LeSiciliane n.69

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Ergastolo Ostativo


Le Siciliane - CASABLANCA N.69/ maggio - giugno 2021 SOMMARIO

A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare? Pippo Fava

3 – Editoriale Valerie e Carmelina Graziella Proto 5 –Brusca: lo Stato ha avuto bisogno di lui Graziella Proto 9 – Boss che fanno figli anche al “41-bis” Marta Capaccioni 13 – Balde l’irregolare Yasmine Accardo 16 – Invisibili e silenziose: nuove mafie mercatistiche Vincenzo Musacchio 18 – E’ vero, le pietre sono finite Claudio Tamagnini 21 – Il Paese che vorremmo? Costruiamolo Graziella Proto 25 – Nuovi nemici? Antonio Mazzeo 29 – Futuro e pallottole in piazza Karín Chirinos 33 – Smart working: un deserto normativo Alessio Pracanica 36 – Ai diversi di ogni tipo Natya Migliori 39– Gli Alighieri portatori d’ali Francesca Mazza 41 – Maria Alessi, la socialproletaria Nunziatina Spatafora 43 –Compagni Eleonora Corace Matilde Orlando

Eventi di Frontiera: “Mi chiamo Rita” Un grazie particolare a: Amalia Bruno e Mauro Biani Foto in copertina di Franco Lannino/Studio Camera – Michele Greco al Maxiprocesso Direttora: Graziella Proto – protograziella@gmail.com Direttora Responsabile: Giovanna Quasimodo Redazione tecnica: Nadia Furnari – Simona Secci – Vincenza Scuderi LeSiciliane Web: Nadia Furnari - http://www.lesiciliane.org LeSiciliane Social Media: Graziella Proto, Stefania Mulè, Eliana Rasera Registraz. Tribunale Catania n.23/06 del 12.07.2006 –-

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Editoriale: Valerie e Carmelina

Valerie e Carmelina Qualche giorno fa ho firmato la petizione “libertà per Valerie”, una donna francese di 41 anni che rischia l’ergastolo per avere ucciso il suo aguzzino. Il mostro che la violentava, la costringeva a prostituirsi, la minacciava, la picchiava e col quale Valerie ha fatto quattro figli. Una storia che al solo pensiero mi addolora. Mi fa rabbrividire e mi fa venire da vomitare. Mi chiedo come sia possibile che ancora oggi possano accadere cose di questo genere.

con Daniel. Il mostro Daniel Giusto, una persona non si che ha iniziato ad approfittare uccide. della ragazzina fin da quando Bisogna ricordare tuttavia che lei aveva 12 anni. La madre, una persona, e una donna in sapeva o vedeva o sentiva e particolare, la si uccide ogni non ha mai detto nulla per giorno umiliandola, paura di perdere quel bel violentandola, minacciandola. campione di gentilezza, Denigrandola anche davanti ai affettuosità e amorevolezza figli. Quindi Valerie è stata già sia per la madre che la figlia. uccisa. Lei da anni è già una La madre reagisce solo morta. quando a 17 anni la ragazza Valerie oggi ha 41 anni, ma il restò incinta del mostro, a mostro Daniel Poletti ha quel punto la buttò fuori di iniziato ad approfittare di lei casa. Valerie denunciò e il quando aveva appena 12 anni. mostro finì in galera. Dopo la morte del padre di Dopo quattro anni di carcere, Valerie la madre si era messa lui ritorna e si riprende

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Editoriale: Valerie e Carmelina Valerie. Anzi, la costringe a sposarlo, fare altri figli, prostituirsi… Botte da orbi e minacce con le armi. Nel 2016 disperata lo uccide e assieme ai suoi figli riesce a nascondere il cadavere che successivamente sarà scoperto. Questa in sintesi la storia. Molto molto triste sotto tutti i punti di vista. Mi chiedo, qual è il limite massimo di sopportazione per una donna che quotidianamente per trent’anni subisce violenze di ogni tipo? Qualcuno l’ha protetta? Qualcuno si è interessato di lei, e dei suoi figli? È difficile non schierarsi a favore di Valerie. Ha ucciso e sfidato la legge, costi quel che costi, ma la sopportazione era stata tanta. Trent’anni della sua vita.

sentii raccontare da giovincella. Una storia che mi colpì molto ma che non capivo fino in fondo. Carmelina, una ragazza che veniva a fare le pulizie a casa di una mia zia, improvvisamente non venne più. La ragazzina era sì molto strana, non aveva tutte le rotelle a posto diceva qualcuno, aveva qualche difficoltà a parlare, era scontrosa. Era un poco lenta. Dopo una breve indagine sul perché la ragazza non veniva a fare le faccende, si scoprì che era incinta. Nulla di che anche se in effetti era appena una ragazzina ed era… Carmelina. La cosa che non mi tornava era il fatto che il padre del

Ha ucciso, deve pagare, ma che si trovino delle vie alternative all’ergastolo per le donne che si ribellano al tunnel della violenza maschile. Pappone, violentatore, stupratore, aguzzino. *** E mi ritorna alla mente una storia che LeSiciliane Casablanca 4

nascituro fosse suo “nonno”, cioè il papà di Carmelina. Tragico. C’era dell’altro, le due donne – madre e figlia – dopo che si scoprì della gravidanza lottavano l’una contro l’altra per lo stesso uomo. Nessun commento, a distanza di tanti anni non trovo ancora un vocabolo appropriato che qualifichi l’accaduto. Può una madre comportarsi come la mamma di Valerie o di Carmelina? Stiamo parlando sempre di due donne. Come può una donna arrivare a mettersi contro la propria figlia per difendere e tenersi un uomo – marito o compagno – che ha abusato della propria figlia? A cosa sono servite tutte le nostre lotte per la libertà e l’emancipazione se a distanza di tantissimi anni succedono ancora storie così gravi? Io non ho risposte ma in quanto donne – in lotta o meno – dovremmo rifletterci sopra. Capire per poterlo spiegare alle nostre figlie e alle nostre nipoti. Oltre che ai figli e ai nipoti.


Perché la politica si indigna solo adesso

Brusca: lo Stato ha avuto bisogno di lui Graziella Proto Pro e contro di una legge che crea tante polemiche e tanti elogi. È la legge che ha voluto fortemente Giovanni Falcone – la legge sulle collaborazioni dei cosiddetti pentiti di mafia – che ha trovato applicazione solo dopo la sua morte. DALLA RETE… per ricordare La beffa? Il fatto che ad usuLa strage di Capaci fu un attentato di stampo terroristicofruirne per la prima volta sia mafioso compiuto da Cosa nostra il 23 maggio 1992 nei pressi di proprio Giovanni Brusca, cioè Capaci con una bomba composta da 500 kg di tritolo, per uccidere il magistrato antimafia Giovanni Falcone. colui che quel 23 maggio *** 1992 azionò il tasto che causò Il 23 maggio 1992, il giudice Falcone stava tornando a casa da Roma, come faceva solitamente nel fine settimana, insieme alla l’esplosione della bomba. Ne moglie Francesca. Partito da Ciampino con un jet di servizio parliamo col dottor Sebastiano intorno alle 16:45, atterra all’aeroporto Punta Raisi di Palermo Ardita, componente del Considopo un volo di 53 minuti. Qui trova ad attenderlo 3 Fiat Croma blindate con la scorta. Falcone si mette alla guida della Croma glio Superiore della Magistrabianca. In macchina con lui ci sono la moglie e l’autista tura. giudiziario Giuseppe Costanza. La macchina di Falcone è preceduta Più di cento, meno di duecento, per usare le sue stesse parole. Ovviamente omicidi. Giovanni Brusca ai giudici di tutta Italia che lo ascoltavano, durante la sua collaborazione ha raccontato che ha compiuto più di cento ma meno di duecento delitti. Efferati. Rumorosi. Disumani. Feroci… aggiungiamo.

da una Croma marrone, con gli agenti Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, e seguita da una Croma azzurra con gli agenti Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Le auto prendono l’autostrada, dirette verso Palermo. Alle 17:58, al chilometro 5 della A29, nei pressi dello svincolo di CapaciIsola delle Femmine, il sicario Giovanni Brusca aziona una carica di cinque quintali di tritolo, che era stata posizionata in una galleria scavata sotto la strada, e provoca l’esplosione. Vittime dell’attentato il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Gli unici sopravvissuti furono gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.

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Perché la politica si indigna solo adesso Brusca, “u verru” cioè il porco, o meglio ancora “scannacristiani” è un mafioso feroce e crudele. Durante le sue dichiarazioni ha confermato e si è addossato anche la strage di Capaci. Sicuramente sulle sue dichiarazioni e sulla sua scarcerazione ci sarà stato chi ha brindato, ma moltissimi non gli perdonano il suo impegno e la sua fantasia nella crudeltà. In modo particolare l’aver premuto il tasto in quel tratto di autostrada e soprattutto la ferocia con cui ha ucciso il piccolo Di Matteo. Il papà del ragazzino aveva iniziato a collaborare e questo, sia scannacristiani che tanti altri suoi simili o meno, non glielo potevano permettere. Gli uccidono il figlio per farlo desistere, ma a Brusca ucci-

sto? Per alcune forse sì, per altre no. Parte della sua collaborazione con la giustizia sembrerebbe avvolta da molte ombre. Brusca, sebbene abbia fatto luce su tanti fatti e misfatti secondo alcuni, avrebbe tutelato il suo tesoro, confiscato solo in parte. Sicuramente ha scoperchiato diverse pentole e questo è importante. Lo Stato applicando la legge sui pentiti deve mantenere il patto. Tu collabori, io ti vengo incontro. Permessi premio e liberazione anticipata. È la legge! E una legge ci voleva, per scardinare, smontare, incidere sul sistema criminale. I più giovani non lo ricordano, ma in passato, oltre e prima di

non c’era una legge, nessuno credeva alle cose che raccontava, lo Stato non ne fece patrimonio. “I collaboratori vanno portati nella condizione di fare una scelta che è difficilissima in quanto comporta per sé e per la famiglia molte restrizioni” – ha detto Sebastiano Ardita, intervistato da una tv locale a Catania. I collaboratori danno un contributo non marginale per quanto riguarda temi ardenti, pericolosi, deflagranti: rapporti fra mafie e Stato, mafie e istituzioni, mafie e potere. Ecco perché molti di quelli che oggi gridano allo scandalo per la liberazione di Brusca sono gli stessi che temono i pentiti. La scarcerazione di Brusca è stata ed è ancora una notizia che fa impressione, suscita reazioni emotive e viscerali profonde, in buona o in malafede. Per i pentiti abbiamo tutti la puzza sotto il naso, ma senza i pentiti lo Stato avrebbe avuto gli stessi risultati?

Foto di Giuseppe Di Matteo durante la prigionia derlo non bastava, ha avuto una bella idea… scioglierlo nell’acido. Porco. Da ciò che è venuto fuori dalle sue dichiarazioni si è di fronte a un Brusca che racconta, qualcosa sugli esecutori, nulla sui mandanti delle stragi, si autoaccusa di tante nefandezze. Un Brusca che mette le cose a po-

Buscetta ci fu un altro caso eclatante di un pentito, si chiamava Leonardo Vitale, svelò i veri intrighi di mafia e politica, fu subito spedito al manicomio criminale e poi ucciso. Oggi c’è un suo cugino che lo vorrebbe santo perché il pentimento fu reale, forse di coscienza e di fede, ma questa è tutta un’altra storia. Tuttavia Vitale oggi lo si ricorda per il fatto che allora LeSiciliane - Casablanca 6

“Il caso di Brusca rappresenta davvero una situazione al limite, perché per i delitti che ha commesso e specialmente per ciò che ha fatto al piccolo Giuseppe Di Matteo non può essere mai accettato dalla pubblica opinione il fatto che riacquisti anzitempo la libertà. Purtroppo, da addetti ai lavori sappiamo che ciò avviene perché è una legge che lo stabilisce. Lo Stato ha avuto bisogno di lui e degli altri pentiti e adesso loro riscuotono ciò che lo Stato si era impegnato a riconoscere loro per la collaborazione. Detto


Perché la politica si indigna solo adesso questo è anche vero che da molto tempo sembra che le collaborazioni con la giustizia non interessino più. La legislazione non le incoraggia e l’esecutivo non le persegue, mentre Cosa nostra fa di tutto per impedirle”. Subito dopo il pugno allo stomaco però, chi crede nello stato di diritto razionalizza e orienta la propria riflessione a favore della legge – che forse avrebbe bisogno di qualche aggiustamento – ma molte persone semplici prese dalla rabbia invocano la pena di morte per i mafiosi. Quale sarebbe una via di mezzo? “La pena di morte non fa parte degli strumenti di una democrazia liberale. Ma anche il car-

cere, nella nostra tradizione italiana, è costruito sul modello della reintegrazione e del recupero piuttosto che essere ispirato a finalità di vendetta sociale. Ed è un bene che sia così. Il problema è che troppo spesso non solo la pena non è effettiva né proporzionata, ma anche il suo concreto svolgimento non porta a un reale cambiamento di personalità. E dunque al danno del ritorno a delinquere si unisce la beffa di una mancata punizione. Dobbiamo lavorare ad un carcere civile che rieduchi e reinserisca nella società, senza sconti né elusioni”. Comunque, di fronte al Brusca che torna in libertà, molti continuano a gridare allo scandalo, e molti di costoro sono gli stessi

Franco Lannino/Studio Camera

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che chiedono o appoggiano la liberazione dei mafiosi ergastolani che non hanno mai collaborato con la giustizia né hanno alcuna intenzione di farlo. Per non parlare della ipocrisia dei politici che pur dichiarandosi scandalizzati per la scarcerazione di Brusca, nel frattempo, cominciano a modificare la legge sull’ergastolo ostativo. Stomachevole. Quello che “puzza e fa strano” – ha dichiarato recentemente Antonio Ingroia – per quanto riguarda la scarcerazione di Brusca, è dato dal fatto che la politica mai si era fatta sentire come in questo periodo. “Perché solo con Brusca? Perché lui ha parlato del papello e della trattativa stato-mafia”.


Perché la politica si indigna solo adesso

Franco Lannino/Studio Camera

Anche se a tanti fa venire la bava alla bocca è giusto che lo Stato mantenga i patti fatti col pentito che collabora… ma la possibilità di concedere a boss mafiosi condannati all’ergastolo, che abbiano già scontato 26 anni di pena, la libertà condizionale, senza bisogno di collaborare con la giustizia? “Questa sarebbe la più pericolosa delle possibilità, ma non vedo molti che si indignano. Mentre invece per Cosa nostra l’opportunità di aggirare certezza della pena ed ergastolo senza la via della collaborazione rappresenta una opportunità più unica che rara di questi tempi”. Giusto parlare di umanità, dignità… recupero dei carcerati (per i delinquenti di una

certa caratura criminale non è molto credibile), ma la certezza della pena? “La certezza della pena nel nostro paese è molto relativa. È giusto dare una seconda opportunità a chi sbaglia una volta, ma molto spesso anche dopo la terza e la quarta si continua a consentire di eludere la effettività delle sanzioni penali. Detto ciò umanità e dignità della persona sono principi irrinunciabili, ma qui la rinuncia riguarda semmai il dovere dello Stato di punire e rieducare”. E però che eredità pesante questa di Giovanni Falcone, ancora oggi, da morto, ci mette con le spalle al muro e ci impone di riflettere non solo col cuore e in modo viscerale ma anche (dopo la rabbia e l’indignazione) con razionalità e in LeSiciliane - Casablanca 8

maniera distaccata sulla legge per la quale ha tanto lavorato perché ci credeva lui e tanti altri magistrati onesti e impegnati. Quello che pensa la gente semplice e libera sulla scarcerazione di Brusca… è umano. È viscerale. È legittimo. Ma le leggi sono leggi – per tutti – bisogna rispettarle o impegnarsi politicamente per cambiarle. Potremmo mai pensare che Giovanni Falcone che ha voluto fortemente questa legge sui pentiti e le collaborazioni avrebbe voluto sconti per i mafiosi che non hanno alcun voglia di collaborare con la giustizia?

“Lo Stato… Lo Stato”


Dignità e umanità ma non esageriamo!

Marta Capaccioni Emergenza mafia tutt’altro che finita! Ergastolo e legge sui pentiti sono normative a rischio. Forse qualcuno dovrebbe spiegare all’Europa cos’è la mafia e i mafiosi visto che esorta il nostro paese a rivedere pilastri del nostro sistema. Lo scorso aprile, la Corte costituzionale italiana, con ordinanza, ha esortato il Parlamento ad approvare entro 12 mesi una legge che stabilisca in quali casi un mafioso non pentito, condannato all’ergastolo, possa accedere alla libertà vigilata dopo 26 anni di carcere. Nonostante le restrizioni attualmente previste dal regime carcerario “duro”, molti dei boss potenti fanno figli, danno ordini attraverso i telefonini, continuano i loro affari. Le stragi, gli attentati, gli omicidi, le minacce e le sentenze di morte, rappresenterebbero solamente un ricordo lontano, ma non si può abbassare la guardia. Dopo la sentenza del 2018 in cui è stato accertato in primo grado che pezzi deviati del nostro Stato trattavano con Cosa Nostra mentre saltavano in aria Falcone e Borsellino, la politica e i mezzi di informazione sono caduti in un assordante e inquietante silenzio mediatico. In questi mesi e soprattutto nelle ultime settimane, invece, il tema è

tornato prepotentemente alla ribalta, in particolare dopo la scarcerazione di Giovanni Brusca. A rischio c’è quella normativa di contrasto alle mafie, unica in Italia e nel mondo. Il pericolo è in effetti, che venga smantellata magari perché ritenuta superata, obsoleta e non più corrispondente e adeguata LeSiciliane - Casablanca 9

all’attualità. Una deriva grave e preoccupante, che sta allarmando gli addetti ai lavori, giornalisti e società civile. Ergastolo ostativo, “41-bis”, legge sui “pentiti”: dopo le due pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, che hanno condannato il nostro Paese a riformare la regolamentazione antimafia, lo scorso aprile, la Corte costituzionale italiana,


Dignità e umanità ma non esageriamo! con ordinanza, ha esortato il Parlamento ad approvare entro 12 mesi una legge che stabilisca in quali casi un mafioso non pentito, condannato all’ergastolo, possa accedere alla libertà vigilata dopo 26 anni di carcere. A prescindere dal fatto che – come emerso da innumerevoli inchieste, processi e dichiarazioni di collaboratori di giustizia –, non esiste altro tipo di dissociazione che non passi dalla collaborazione o dalla morte, i punti specifici che dovrebbero essere oggetto di modifiche, facevano parte proprio di quel papello di richieste che Cosa nostra presentò allo Stato durante le stragi del 1992 e 1993. Quindi si comprende chiaramente come, grazie all’abolizione di fatto della pena all’ergastolo per gli omicidi di mafia, si stiano riaccendendo le speranze per i boss di uscire dal carcere, facendo venire meno l’unico vero deterrente temuto dagli stessi. E ancora più grave è che al centro del mirino ci sia proprio l’istituto della collaborazione con la giustizia, il cui smantellamento comporterebbe un grave arretramento nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata: disincentivare la collaborazione e rimuovere la protezione ai collaboratori,

abbandonandoli così a sé stessi, significherebbe privare lo Stato di uno strumento rivelatosi da sempre prezioso (a partire dal primo pentito, Tommaso Buscetta) per destabilizzare gli equilibri interni e per disarticolare le strutture delle organizzazioni criminali. Un pericolo che si aggrava sempre di più, soprattutto dopo le reazioni suscitate dalla scarcerazione di Giovanni Brusca. Ovviamente è comprensibile e condivisibile il dolore e il rifiuto umano provato dai familiari delle vittime di mafia. Ma da parte di certi personaggi politici si percepisce, invece, una levata di scudi allarmante e ipocrita: in effetti, non si capisce come sia possibile che chi grida allo scandalo davanti all’uscita dal carcere di un pentito, il quale, dolente o nolente, ha scontato interamente i suoi anni di pena, favorisca poi nelle aule politiche una modifica normativa che permetterebbe a mafiosi, tra cui irriducibili stragisti, di uscire dal carcere senza aver detto nemmeno una parola. Attualmente all’ergastolo ci sono Bagarella, Santapaola, i Biondino, i Madonia e i fratelli Graviano: personaggi che hanno ucciso centinaia di persone (uomini, donne e bambini), che hanno ordinato stragi e attentati e che se tornassero in libertà, anche LeSiciliane - Casablanca 10

solo per un giorno o per qualche ora, si riapproprierebbero dei propri posti di comando, rafforzando il loro potere. ERGASTOLO? TANTO TELEFONO LO STESSO Alcuni di loro, vedi Filippo Graviano, il quale ha ammesso unicamente la sua partecipazione alla cosca di Brancaccio, hanno già richiesto di accedere a permessi premio utilizzando la via della “dissociazione”. Anni fa lo fecero anche i boss Pietro Aglieri, Nitto Santapaola, Pippo Calò, Giuseppe Farinella e Piddu Madonia. Come se non bastasse, le inchieste più recenti, come quella denominata "Xydi", hanno dimostrato come i boss, nonostante le restrizioni disposte dal regime carcerario, riescano perfettamente a comunicare con l'esterno, a riorganizzare i clan, a tramare, a passarsi messaggi anche tra di loro. Nel 1997 i fratelli Graviano hanno addirittura avuto un figlio, mentre erano reclusi in cella nel regime speciale (ed è un mistero rimasto completamente irrisolto), per non parlare inoltre del ritrovamento nelle mani dei capimafia di alcuni telefonini. Davanti a tale possibilità e a tale pericolo nessuno grida più allo scandalo?


Dignità e umanità ma non esageriamo! Infatti, c’è chi è convinto, o cerca di convincere gli altri, che la mafia non rappresenta più un’emergenza, che le organizzazioni mafiose non hanno più la stessa forza e lo stesso potere di trent’anni fa e che le stragi, gli attentati, gli omicidi, le minacce e le sentenze di morte, rappresenterebbero solamente un ricordo lontano. Tuttavia, ritenere che tale fenomeno sia in grado di scomparire senza un’azione di contrasto forte dello Stato rischia di legittimare un cancro che compromette ogni giorno le fondamenta democratiche della nostra Repubblica. Sicuramente abbiamo bisogno di modifiche legislative per rendere più efficace la lotta alla criminalità organizzata, ma non nel senso di abbassare la guardia e l’attenzione sulla questione. È vero, oggi la mafia è cambiata ma non perché meno pericolosa, al contrario perché molto più potente e subdola rispetto al 1992: nel silenzio pressoché generale della politica e delle legislature che si sono succedute, è stata in grado di incrementare la sua influenza, prendendo il controllo di molti settori della società ed estendendo i propri tentacoli all’interno di ogni ambito della nostra vita quotidiana, sfruttando le crisi economiche, come quella

attuale post pandemica e dimostrando una incredibile capacità di adattamento e di resilienza ai mutamenti politici e sociologici. Tutto questo grazie a stretti rapporti con componenti della politica, dell’imprenditoria, delle banche, e persino con il mondo della massoneria deviata. Un sistema di ibridi connubi emersi da innumerevoli inchieste e processi, come ‘Ndrangheta stragista, Gotha, RinascitaScott e altri. Non è possibile che non si prendano in considerazione gli enormi fatturati prodotti dalle mafie ogni anno (circa 150 miliardi di euro), i quali superano di gran lunga i ricavi di molte aziende e multinazionali italiane e vengono inseriti all’interno del nostro PIL in accordo con i criteri dell’Unione Europea. Ci si chiede, poi, come possano passare inosservate le tonnellate di cocaina che arrivano dalle coste sudamericane direttamente nei nostri porti (primo fra tutti, Gioia Tauro, ma anche nei porti del Nord Italia, come quelli di Genova, La Spezia, Vado Ligure, Livorno e Venezia). È inammissibile inoltre che, in un paese civile, l’edilizia, l’immobiliare, il terziario, l’eolico, lo smaltimento dei rifiuti, ma anche il turismo, il lusso, e persino i centri di accoglienza, siano settori ad LeSiciliane - Casablanca 11

alto rischio di riciclaggio da parte degli ingenti capitali illeciti provenienti soprattutto dall’industria del narcotraffico. NON SCHERZIAMO SI UCCIDE ANCORA Oltre a tutto ciò, la mafia da ormai più di 150 anni rappresenta anche e soprattutto un problema sociale e culturale, la cui soluzione non è mai stata una priorità nell’agenda politica dei governi. Se prendiamo in esame la Sicilia, quest’ultima registra il tasso di povertà più alto della media italiana (41,4 % contro il 10% circa), peggiorato ulteriormente dopo la pandemia, e presenta un quadro criminale molto simile a quello dei paesi sottosviluppati. Una situazione inaccettabile. Quindi vediamo come la mafia sia un fenomeno in grado di aumentare giorno dopo giorno il proprio potere e la propria influenza, ramificandosi e radicandosi nel tessuto economico e politico, e non solo in quello italiano, ma anche in quello europeo e internazionale. Purtroppo però, anche se le organizzazioni criminali hanno in parte cambiato forma e colore, ponendosi una maschera pulita e sfruttando soprattutto il canale della corruzione, queste non hanno mai rinunciato all’uso dell’intimidazione e della violenza ogni volta che se ne è


Dignità e umanità ma non esageriamo!

presentata la necessità. Così, quei magistrati che nel tempo si sono spesi e che oggi si stanno spendendo, sacrificando la loro vita, nella ricerca della verità totale sulle stragi, sulle trattative e su quegli ibridi connubi tra pezzi del potere e la mafia, hanno subito pesanti minacce telefoniche e incursioni nelle proprie abitazioni, hanno ricevuto buste contenenti proiettili, bombole a gas su cui era stato collocato dell’esplosivo, messaggi e bigliettini intimidatori, ordigni rudimentali poggiati sulle proprie foto. Nel 2014 un magistrato in particolare, Nino Di Matteo, attualmente consigliere al Csm, è stato oggetto di un vero e proprio progetto di attentato. Secondo vari collaboratori di

giustizia è arrivato persino il tritolo dalla Calabria a Palermo e secondo gli inquirenti nisseni che si sono occupati delle indagini si tratta di un attentato “ancora in corso”. Non possiamo dimenticare, infatti, che fuori dal carcere, latitante da ormai 28 anni, è in libertà il capomafia Matteo Messina Denaro, rappresentante di quell’ala stragista di Cosa Nostra, “picciotto” di Riina e di Provenzano insieme a Giuseppe Graviano. Proprio Messina Denaro, secondo i pentiti, avrebbe inviato delle missive dove era contenuta la condanna a morte di Di Matteo, che “si era spinto troppo oltre” e dove c’era scritto nero su bianco che a volere tale assassinio erano “amici di Roma”: a detta dei collaboratori LeSiciliane - Casablanca 12

gli stessi mandanti dell’attentato a Paolo Borsellino. E allora di fronte a tutto questo capiamo come sia pericolosa la deriva garantista voluta dai giudici europei applicata alla mafia e ai condannati al 41-bis e capiamo quanto, al contrario, sia necessario non abbassare la guardia e preservare quella normativa fondamentale voluta e ideata da Giovanni Falcone. Un indietreggiamento sull’ergastolo ostativo e sulla legge sui pentiti significherebbe una resa dello Stato, che oggi non ci possiamo permettere. Al contrario, si deve rispondere con un’azione forte e decisa, affiancando quella magistratura onesta e più esposta nella ricerca della verità che è sempre stata lasciata sola, come unico avamposto nel contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo. Oggi più che mai è indispensabile parlare di mafia, ma non nel senso di sminuire il problema, quanto invece, nel senso di informare, per prendere coscienza e consapevolezza di un fenomeno che da tanti decenni mina profondamente i principi democratici della nostra Costituzione.


Meglio morto che restare in Italia

Balde l’irregolare Yasmine Accardo Erano in tre, bianchi, italiani, dovremmo aggiungere picchiatori. Lo hanno picchiato selvaggiamente e insultato. Non basta. Siccome era irregolare, è stato prelevato dall’ospedale e rinchiuso al Centro permanenza rimpatri (Cpr) dove si è suicidato. Che il nostro non sia più uno stato di diritto e non provi alcuna vergogna delle proprie malefatte, lo constatiamo ogni giorno che passa. Purtroppo sta vincendo lo svilimento del diritto di asilo e della libertà di movimento. È morta la solidarietà, la pietà. Emerge per l’ennesima volta che i Cpr sono luoghi peggiori della galera, sottratti alla vista del pubblico e dei mezzi d'informazione. È la notte del 22 maggio 2021, il suo nome è Moussa Balde, non ha nemmeno 23 anni, li avrebbe compiuti a luglio, ed è originario delle Guinea. Balde l’ennesimo morto di CPR. Si è tolto la vita mentre si trovava in isolamento nel CPR di Torino, nel famigerato “ospedaletto”. Anche se il nome richiama l’assistenza sanitaria, in realtà si tratta di celle, lontane dall’infermeria, da cui difficilmente si riesce a chiamare eventuali soccorsi. Peggio dei pollai, dirà l’avvocato Gianluca Vitale. Il cosiddetto Ospedaletto continua a essere una zona molto problematica, sia per le degradate e fati-

scenti condizioni strutturali, sia per la separazione rispetto al resto della struttura. Di fatto per le persone che sono costrette a starci, appare come una vera e propria segregazione. Balde ne soffriva e non capiva perché l’avessero portato lì. Il 9 maggio Balde ha subito una violenta aggressione a Ventimiglia, compiuta da tre cittadini

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italiani, con spranghe e bastoni, senza alcun “motivo”. Un video diffuso sui social mostra il brutale pestaggio, mentre chi registra il video, dalla finestra di un palazzo, urla “lo ammazza”, “lo ammazzano”, “lo sta ammazzando, scendete!”. I tre italiani sono stati denunciati per lesioni, mentre Balde è finito all’ospedale. Già destinatario di un provvedimento di espulsione, verrà prelevato direttamente dall’ospedale e portato al Cpr di corso Brunelleschi. La vittima, anziché stare all’ospedale, dove sicuramente i medici avrebbero fatto la diagnosi e ricoverato, viene prelevato dall’ospedale e portato in un Cpr?


Meglio morto che restare in Italia Balde non riusciva a capire perché fosse stato rinchiuso in quella struttura, che lui percepiva come un carcere. L’ultima persona ad avere parlato con lui è stato il suo avvocato difensore, Gianluca Vitale che, notando la fragilità del suo stato psicologico, aveva infatti chiesto una perizia a un importante centro che si occupa di vulnerabilità psichica dei migranti. Balde non ce l’ha fatta, non ha resistito a tanta ingiustizia e si è tolto la vita. “Quanta verità può sopportare un uomo?” Questa volta, in tanti hanno preso posizione in maniera forte. La Camera Penale di Torino è scesa in piazza. Si sono susseguite visite di parlamentari e pare che stavolta l’inchiesta non verrà insabbiata, come troppo volte accaduto per fatti del genere in passato. Speriamo. Intanto l’avvocato Gianluca Vitale, legale del Legal Team Italia e referente anche per la nostra Campagna, nominato dalla famiglia del Balde, a muso duro sta affrontando ogni secondo e ogni ora, perché la morte di Balde non cada nell’ennesimo fatto

di nessuna importanza, la morte di uno dei tanti.

Nostro dovere è sostenere questa battaglia e con altri (Rete Re.Co.sol, Carovane Migranti, Rete antirazzista catanese, etc) abbiamo deciso per un

crowfunding per riportare la salma nel paese di origine, poiché l’ambasciata della Guinea Conakry si è rifiutata di pagare le spese. Manco a dirlo il nostro Governo si è espresso, con parole che non lasciano dubbi sul “l’interesse per la vicenda”, con la Ministra Lamorgese che assolve il suo Ministero, la Polizia e le istituzioni, poiché “Balde, era irregolare e andava espulso”. Nessun cordoglio, nessuna parola sui gravi fatti che hanno condotto Balde al

suicidio e le colpe di chi lo ha posto in detenzione. Che istituzioni umane che abbiamo! L’ennesima conferma di quanto il nostro non sia più uno Stato di Diritto e non provi alcuna LeSiciliane - Casablanca 14

vergogna delle proprie malefatte. Lo esprime bene in una lettera aperta alla Lamorgese lo stesso avvocato (https://www.lasciatecientrare.it/avv-gianluca-vitalemoussa-balde-lettera-apertaalla-ministra-lamorgese/) CPT, CIE, CPR, CAMBIA IL NOME RESTA SEMPRE GALERA L’inchiesta sulla morte di Balde procede e sono stati posti sotto indagine il direttore del CPR e il medico. Finché non ci sarà giustizia, faremo tutto il possibile perché questa storia non sia dimenticata, in un tempo in cui tutto cade in un oblio squallido, che ha l’odore del sangue. Continua intanto a procedere inarrestabile la macchina delle deportazioni dei cittadini tunisini e il fermo di persone che ovunque dovrebbero trovarsi tranne che in un CPR. Come il caso di cittadini in attesa dell’esito della richiesta di sanatoria, trattenuti prima al CPR di Palazzo San Gervasio poi al CPR di Brindisi. Tra loro S. che si trova in una situazione di forte vulnerabilità psichica e che diverse volte ha effettuato gesti di autolesionismo. Non vi è alcuna ragione - se mai vi fosse una ragione per stare nel CPR - che portano a trattenere S. a Brindisi. E’ in attesa di esito di sanatoria; dunque regolare, non è persona “considerata pericolosa”.


Meglio morto che restare in Italia

Foto di Grazia Bucca

Foto di Grazia Bucca Il nostro avvocato di riferimento sta tentando in ogni modo di ottenere la sua giusta liberazione, intanto il tempo passa. Come si risponde a ogni secondo di fermo illegittimo? I CPR continuano a essere luoghi di abuso sempre più inaccessibili, come mostra l’impedimento imposto ad una referente di questa Campagna, nell’accedere a seguito di un

Parlamentare. Non si deve vedere, non si deve denunciare! In questi giorni di aumento degli sbarchi, con l’hotspot di Lampedusa stracolmo e centinaia di persone ammassate a terra l’una sull’altra, persone che arrivano fuggendo da ogni genere di violenze, sono ancora operative le navi quarantena, con alcune novità. Negli ultimi 4 mesi a bordo vi sono finalmente degli operatori legali e viene in LeSiciliane - Casablanca 15

parte garantito il diritto di presentare domanda di protezione internazionale ai tunisini (quanto meno a quelli che nominano i nostri avvocati di riferimento). Alcuni hanno ricevuto sulla nave stessa la convocazione in Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, il giorno prima di scendere; convocazione stabilita, appunto, il giorno dopo l’uscita dalla nave quarantena. “In rispetto di quella procedura accelerata” prevista in frontiera per persone provenienti da paesi sicuri (come la Tunisia). La procedura viene dunque rispettata, almeno formalmente. Certo i tempi per preparare la Commissione, per presentare eventuali certificazioni sono del tutto inesistenti, ma i tunisini “sono numeri non persone”. Per le navi quarantena si continuano a dare milioni di euro agli armatori, soldi per trattenere le persone sulle navi il tempo “necessario alla quarantena”, una quarantena che riprende una volta giunti a terra, in un festival dello spreco di risorse francamente vergognoso. Quegli stessi fondi potrebbero essere utilizzati per una accoglienza degna a terra, per migliorare un sistema in peggioramento impressionante (ebbene sì, era possibile peggiorare ulteriormente il sistema di accoglienza!). Non interessa a nessuno. L’esternalizzazione delle frontiere sta vincendo, come lo svilimento del diritto di asilo e della libertà di movimento. Non smetteremo mai di batterci contro queste forme di detenzione. Non dimenticheremo Moussa Balde e tutti i morti di frontiere e CPR.


Invisibili e silenziose: nuove mafie mercatistiche

Invisibili e silenziose: nuove mafie mercatistiche Vincenzo Musacchio Le nuove mafie si sono notevolmente evolute e si sono adeguate senza particolari problemi ai cambiamenti globali, modificando la loro struttura organizzativa e la loro modalità operativa. Il vero problema da affrontare, per chi voglia realmente lottare contro le nuove mafie transnazionali, è la loro invisibilità e l’uso limitatissimo della violenza (extrema ratio), sostituita ormai quasi completamente dalla corruzione. Necessitano nuove politiche criminali a livello globale. Occorre raccogliere dati omogenei e affidabili sui “reati spia” a livello nazionale e internazionale. Sono essenzialmente tre i principali fattori che hanno determinato lo sviluppo e l'espansione della criminalità organizzata transnazionale. In primis, la libera circolazione delle persone e delle merci. In secundis, gli sviluppi economici e politici inter-istituzionali. Non per ultimo, il progresso e gli sviluppi tecnologici. Premesso ciò, per affrontare questi nuovi aspetti del crimine organizzato sono assolutamente necessarie nuove politiche criminali a livello globale. Mettere a fuoco queste nuove tendenze è la chiave di volta che potrà determinare un’efficace lotta alle nuove mafie. Settori tradizionali come il traffico

internazionale di droga, la tratta e lo sfruttamento di esseri umani e la criminalità finanziaria rimangono le principali cause di apprensione a livello internazionale. Le nuove tendenze criminali delle mafie riguardano essenzialmente due elementi. Il primo, è l'evoluzione del modo in cui nuovi mafiosi si organizzano e si relazionano in ogni parte del globo. Il secondo, è l'evoluzione della tipologia di nuovi crimini in vari ambiti e con nuovi effetti a livello politico, economico e sociale. Le nuove mafie si sono notevolmente evolute e si sono adeguate senza particolari problemi ai cambiamenti globali, modificando la loro struttura organizzativa e la loro modalità operativa. Quando si descrivono cambiamenti apparenti nelle LeSiciliane - Casablanca 16


Invisibili e silenziose: nuove mafie mercatistiche attività o forme di associazione per delinquere come tendenze nell'organizzazione criminale, la prima cosa che emerge è l’uso limitatissimo della violenza (extrema ratio), sostituita ormai quasi completamente dalla corruzione. La loro invisibilità è il vero problema da affrontare per chi voglia realmente lottare contro le nuove mafie transnazionali. La vera sfida

mondiale sarà quella di riuscire a individuare i loro continui mutamenti, l’uso di nuove tecnologie e la loro operatività a livello sovranazionale. I nuovi investigatori dovranno essere formati soprattutto nel saper riconoscere, monitorare e valutare ciò che sta cambiando nel mondo criminale mafioso. In Italia, ad esempio, le mafie sono diventate silenti per cui possono apparire meno pericolose. È vero, purtroppo, il contrario. Siamo di fronte a nuove mafie mercatistiche, invisibili e silenziose, che hanno forti legami con apparati politici, economici e istituzionali. Fanno affari in settori quali rifiuti, acqua, pale eoliche, edilizia

abusiva, grandi supermercati, centri commerciali, appalti e gestione dei servizi pubblici in ogni settore. METAMORFOSI MAFIOSE Tutto questo però oggi accade, sia a livello nazionale, sia internazionale. Le nuove mafie transnazionali hanno ormai una matrice imprenditoriale e i nuovi mafiosi indossano il doppiopetto e portano con sé la ventiquattrore, utilizzano lo strumento della corruzione e dello “scambio elettorale” per accedere, infiltrarsi e condizionare i centri decisionali della politica, quelli gestionali della pubblica amministrazione, dell’economia e della finanza. Sono questi gli aspetti che l’Unione europea, ma anche i vari Stati della Comunità internazionale, dovranno prendere in considerazione per riuscire a contrastare seriamente le nuove mafie transnazionali. La criminalità organizzata in Europa è vista ancora come predatoria e violenta. Si sottovalutano le nuove metamorfosi mafiose e le nuove modalità operative criminali silenti e corruttive. In Europa non esistono dati adeguati per quanto riguarda la maggior parte di queste nuove forme di reati, operanti sul filo dell’illegalità, per cui spesso LeSiciliane - Casablanca 17

non sono individuati e tantomeno compresi. A tal proposito, parlerei di “nuova economia criminale di stampo mafioso”. Le nuove organizzazioni criminali si sono infiltrate agevolmente nei sistemi bancari, hanno intercettato e divorato i finanziamenti europei e oggi – molto più di prima – condizionano con facilità e con immense disponibilità di denaro qualsiasi territorio, senza alcuna distinzione geografica. Le conferme alle mie affermazioni arrivano finalmente anche dalle indagini della magistratura. Le mafie italiane investono ormai in ogni parte del globo. Matteo Messina Denaro, il capo mafia di “Cosa nostra” che predilige il rapporto con i colletti bianchi, ha affari in corso in Albania, Bulgaria, Romania, Polonia e in tanti altri Stati di cui oggi ancora ignoriamo l’esistenza. Per identificare le nuove tendenze riguardanti la criminalità organizzata transnazionale, dobbiamo studiare fonti ufficiali, fonti accademiche e informazioni derivate dal giornalismo investigativo. Un ruolo importante dovrà essere ricoperto anche dalla società civile. Occorre raccogliere dati omogenei e affidabili sui “reati spia” a livello nazionale e internazionale. Solo in conformità a dati attendibili e di statistiche criminali sovranazionali che si potrà pensare di creare una strategia uniforme e globale di lotta efficace contro un fenomeno così complesso rivolto a livello politico, giudiziario e delle forze dell'ordine.


Bombe su Gaza? Razzetti su Sderoth?

E’ vero, le pietre sono finite Claudio Tamagnini È da poco uscito il libro Palestina terra promessa, di Claudio Tamagnini – autore di questo articolo – per le edizioni Nulla Die. Utilizzando lettere scritte durante i sei mesi vissuti in Palestina, Claudio racconta per argomenti la situazione attuale in Palestina, con uno spaccato dell’occupazione, vissuta sulla propria pelle. Gli israeliani sono convinti di essere delle vittime e che tutti i paesi che li circondano sono loro nemici. Ovvio, devono difendersi. Quindi il loro sarebbe un problema di sicurezza. Al di là di come la si pensa, è sicurezza distruggere le case, sradicare gli ulivi, privare i cittadini palestinesi di ogni diritto? Duecentoquarantotto (248) morti di cui 67 bambini, i famosi pericolosi terroristi eliminati,

1.500 feriti di cui alcuni gravi che muoiono successivamente. Si parla di 250 milioni di dollari

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in danni materiali, palazzine distrutte, scuole, ospedali, strade, sistemi elettrici e idrici, il sistema fognario, tre librerie, diverse moschee. Gli israeliani continuano a pensare a modo loro, che avevano diritto a una terra, che sono un popolo perseguitato, che i paesi arabi intorno a loro sono nemici. Il loro punto di vista quindi è che Israele deve difendersi, perché gli arabi li odiano e li vogliono distruggere. Insomma un problema di sicurezza. Tanti altri seguitano a pensare che l’occupazione israeliana è illegale, che quello è un regime di apartheid, che ripetono un sistema coloniale come lo hanno ereditato dagli inglesi. Cercando di ragionare come loro, uno si imbatte negli accordi internazionali, le norme


Bombe su Gaza? Razzetti su Sderoth? che in qualche modo valgono per l’ONU. Esiste la possibilità che uno stato debba ricorrere ad una occupazione: in questo caso la violenza verso l’occupato viene tollerata in quanto funziona come occupazione “temporanea”, compensata dalla ricerca di una soluzione di pacificazione veloce. Con questa premessa l’occidente ha sempre tollerato le violenze israeliane. Ma qui siamo arrivati a 73 anni per la Nakba cioè l’esodo della popolazione araba palestinese durante la guerra civile del civile del 1947-48, e 54 anni per la nuova occupazione. Dove sono l’occupazione “temporanea” e la pace “veloce”? Tanto più che, giusto o sbagliato che sia, gran parte dei paesi vicini hanno firmato accordi di pace, conseguentemente non possono più essere considerati nemici. Sembra che il problema sia un altro: quella di Israele è una volontà coloniale, come quella che ha mosso la “occupazione” degli attuali Stati Uniti, del Canada, dell’Australia, sempre con massacro degli “indigeni”, fino a poter dire che non c’era nessuno prima di loro e loro sono diventati i paesi democratici. BASTA MANIPOLAZIONI MEDIATICHE Nonostante questo sia avvenuto non molto tempo fa, la ripetizione di queste occupazioni non ha nessuna giustificazione nelle pur tolleranti normative dell’ONU. E dopo tutti gli anni passati i Palestinesi sono ancora lì, non se ne vanno e non si può ucciderli tutti (per quanto

impegno ci mettano gli israeliani). Quindi non sanno proprio che fare, mentre, con esasperante lentezza, la comunità interna-

velocità, sembra che anche i tempi di reazione della comunità internazionale procedano con lo stesso ritmo penoso dell’occupazione “tempora-

zionale comincia a non accettare più di credere a un’occupazione “temporanea” con la “pace” in arrivo. Abbiamo visto il New York Times, certamente non un giornale di sinistra, pubblicare in prima pagina le foto dei 67 bambini uccisi per niente a Gaza. Nel 2012, con l’operazione “Colonna di nuvole”, sul New York Times per la prima volta era comparsa in prima pagina la foto di un padre gazawi con in braccio un bambino morto. Nove anni dopo, abbiamo di nuovo una prima volta sul NYT. Non brillano certo per

nea”. Diverso invece è il modo in cui hanno reagito i popoli nel mondo. Abbiamo visto manifestazioni oceaniche in paesi dove assolutamente non è normale, gli Stati Uniti per esempio. Di solito negli USA le manifestazioni sono di poche decine di persone che, fornite di cartelli, camminano avanti e indietro lungo un marciapiede: questo in quanto la polizia tende a non autorizzare l’interruzione del traffico, la libertà di muoversi in macchina è sacrosanta. In qualche occasione le grandi

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Bombe su Gaza? Razzetti su Sderoth? manifestazioni sono nei parchi, per esempio davanti alla Casa Bianca. Ma ora abbiamo visto enormi cortei occupare viali bloccati al traffico, a New York, a Detroit, a Chicago, e poi nelle capitali europee e in quelle di tutto il mondo, nonostante siamo ancora freschi di divieti per il Covid. E che dire dell’unione raggiunta tra i Palestinesi? Non era mai successo: il massacro a Gaza è partito per la volontà di difen-

dere Gerusalemme, sia la moschea Al-Aqsa che i quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan. Ma nei territori del ’48 è stato dichiarato uno sciopero generale, come c’era stato nel ’36 contro gli inglesi, e i Palestinesi della diaspora (Libano, Siria e Giordania) hanno fatto enormi manifestazioni, con il tentativo di raggiungere la frontiera e tornare in Palestina! Questo è un segnale completamente diverso, che riaccende le speranze, i Palestinesi di soli,

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Gaza e West Bank non sono più le campagne per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni possono prendere un nuovo slancio, come ai tempi del Sudafrica! Un altro segnale positivo e di speranza ci viene dai giovani palestinesi, soprattutto le ragazze, le seconde generazioni che sono in Italia e penso anche negli altri paesi. Sviluppano una coscienza nuova che lascia stupiti per la capacità di valutazione e di impegno dimostrata.


Donne, con coraggio scendiamo tutte in pista

Il Paese che vorremmo?

Costruiamolo Graziella Proto

dal profilo facebook https://www.facebook.com/dallastessaparte2020/

#Dallastessaparte, un movimento per fondare una nuova politica. Dalla parte delle donne. “Dallastessaparte” è un’azione politica ed è un processo, ogni donna che vi partecipa ne è il soggetto. Vogliamo – e dobbiamo – costruire una forza delle donne che sia visibile, una forza che abbia un ruolo nelle decisioni e nelle scelte di chi governa per una nuova visione del mondo. Ma come? Un laboratorio di idee per

questo paese. Un paese che vogliamo governare. Un paese per il quale è necessario che le donne stiano unite. Senza se, senza ma. Bisogna capire che l’unica strategia rivoluzionaria per sconfiggere il patriarcato, è l’unione delle donne. C’è bisogno di femminismo, si sente dire da più parti. Per contare e contarci. Per urlare cambiare l’Italia? Magnifica idea. Uno spazio comune per dare una visione nuova del mondo? LeSiciliane - Casablanca 21

che la debolezza delle donne non esiste, la crea la separatezza. Il femminismo per fare emergere la forza d’urto che possa invadere la società e travolgere la politica, costruire una nuova stagione di protagonismo di cui c’è tanto bisogno e si sente la mancanza. Il femminismo Perfetto. E così di buona lena un gruppo di donne – diverse fra loro – si è messo a riflettere su delle


Donne, con coraggio scendiamo tutte in pista proposte-prospettive e lavorare sui temi ritenuti fondamentali: Lavoro, Economia, Ambiente, Salute, Educazione e Welfare. Temi attraverso i quali elaborare ipotesi che possano dare la possibilità di garantire una crescita economica, creare posti di lavoro, eliminare le disuguaglianze. Sei proposte serie per la politica. Una politica Sorda. Cieca. Muta per biechi interessi personali. Sei laboratori per studiare e ragionare sul paese che vorremmo. Il paese che vogliamo. I punti su cui il movimento – persone e associazioni – ha lavorato sono diventati un bellissimo fascicolo: DALLA STESSA PARTE – 6 laboratori per IL PAESE CHE VOGLIAMO. A prescindere dai contenuti, è stato un bellissimo lavoro di tessitura. Un lavoro di rete fra donne. Tutte diverse. Tutte convinte che il mondo lo si possa cambiare. Basta volerlo e per averlo basta restare unite. Tante proposte di governo, ma nel profondo di ognuna di noi tante speranze trasformate in progetti. Forse i nostri sogni… ma chi può impedire di sognare o ritornare a sognare? Nulla di granitico, ma solamente un seme buttato per animare discussioni e riflessioni, un seme disponibile a modificazioni man mano che altre donne si uniscono al movimento.

“Ho aderito perché pensavo che dallastesaparte fosse l’occasione per fare proposte su tutto ciò di cui abbiamo competenze – dichiara la catanese Eliana Rasera, di Iniziativa Femminista ed Ecofemminismo – Siamo l’altra metà non si può far finta di nulla. Non ci sentiamo rappresentate, soprattutto qui nel sud dove bisogna fare i conti anche con il mondo del lavoro. Essere come io sono ecofemminista e del sud sono due punti da cui emergono altre diversità e altre problematiche. Ma credo fermamente nella forza delle donne. Nel nostro stare insieme come per esempio è stato per la lotta sull’aborto e il divorzio”. Recentemente ci si era illuse che potesse nascere un partito delle donne, le condizioni c’erano, e ci si è impegnate con passione travolgente ed entusiasmo. Non ci siamo riuscite – fra le altre cose – per i soliti, vecchi, sciocchi discorsi e pregiudizi, il tempo è scaduto e quindi bisognerà ripartire dal basso, dall’inizio, perché non sembra ci siano condizioni favorevoli in questo momento. Pur essendo in atto contro la legge sull’aborto – una nostra vittoria – un attacco, non si trova la determinazione per stare tutte insieme. Livia Turco a proposito del ritrovarsi nuovamente in pista, afferma: “la scintilla è stata constatare la grande forza delle donne nella società, il loro ruolo insostituibile nella gestione della pandemia, constatare che la crisi di civiltà rivelata da quell’oscuro virus confermava LeSiciliane - Casablanca 22

la validità del paradigma femminista della CURA e il peso debole nella politica. Anche per la frammentazione che connota l’agire politico delle donne”. “Dallastessaparte vuole costruire la forza delle donne a partire dai punti che ci uniscono. L’esperienza del gruppo di lavoro ‘Salute bene comune’ coordinato magistralmente da Giovanna Martelli, è stata una esperienza molto bella che ha visto il coinvolgimento appassionato di tante donne”. Non può essere un caso la rinascita di questa grande passione e voglia di partecipazione per giovani e meno giovani. Dobbiamo essere in tante in pista. Dobbiamo parlare fra noi. Essere solidali e complici. Collaboratrici. Ardimentose. Del lavoro per “IL PAESE CHE VOGLIAMO” ne parliamo con l’ex deputata verde Laura Cima, coordinatrice del Laboratorio sostenibilità ed ecofemminismo. 1 Il tuo essere femminista come, quando, perché ci arrivi. Posso dire di essere femminista da sempre, Credo che mia madre mi abbia emotivamente aiutata a maturare questa sicurezza che mi ha permesso di non essere mai dipendente da nessuno, né affettivamente, né sessualmente e neppure in politica. Mi svegliava ogni mattina baciandomi e dicendomi che ero la sua bella “cita”. Mio padre non ha mai alzato le mani e neppure la voce, ha tentato di


Donne, con coraggio scendiamo tutte in pista imporre la sua volontà e a volte c’è riuscito, ma non mi ha mai fatto paura e, soprattutto, mi ricordo le grandi discussioni politiche con lui, convinto liberale amico di Spinelli, quando ero adolescente; sono stata allieva di Magnani Noja – futura deputata e sindaca socialista di Torino, mi insegnava economia e diritto dalle suore dove mio padre mi aveva costretta a studiare ragioneria per farmi fare la sua contabile. Capire condizionamenti subiti e doni ricevuti, come abbiamo imparato nell’autocoscienza, è fondamentale per proseguire poi nella ricerca di liberazione e autonomia che è sempre difficile in una società fortemente patriarcale e mafiosa come quella italiana. I condizionamenti maschili mascherati che si fanno strada tra giovani femministe non hanno spazio se si è nonviolente ed empatiche come le donne che mi hanno insegnato l’ecofemminismo. Dalla Perkins Gilman alla Carson a Wangari Maathai, Vandana Shiva e Arundhati Roy e le tante indiolatine uccise perché difendevano i loro territori contro colonizzatori e predatori. Ci tengo a chiarire che sono ecofemminista perché oggi è indispensabile di fronte alle pandemie e alle catastrofi. Mi ha preceduta nell’impegno politico ecologista Petra Kelly, fondatrice dei Grünen (i Verdi tedeschi) ed ecofemminista che contribuì a promuovere il disarmo tra i due blocchi negli anni ’80, isolata dai suoi compagni e uccisa dal suo compagno. Gli assassinii, le

torture, gli stupri e le ingiustizie nei confronti di tutte le sorelle che mi hanno preceduta, e le predazioni di Madre terra sono sempre in me a darmi la forza di continuare.

finiranno nelle solite mani di multinazionali e politici, complici e sempre maschi, per proseguire lo sviluppo insostenibile che ci sta distruggendo.

2 Ritrovarsi nuovamente in pista: dopo tanto silenzio e chiacchiericcio politico, a trent’anni dalla carta delle donne come e perché è scattata la scintilla? Cosa ha riacceso gli animi?

3 Dopo tanto lavoro difficile, paziente e faticoso il resoconto: “DALLASTESSAPARTE”, ci racconti di cosa si tratta?

La pandemia, le catastrofi climatiche e i governi supermaschilisti con i loro tecnici hanno tentato di cancellarci e hanno provocato reazioni diverse tra noi donne. Chi ha insistito sulla parità necessaria e garantita dalla Costituzione avanzando proposte, affinando strumenti, favorendo nomine di donne nei luoghi decisionali con una forte mobilitazione. Chi ha pensato di sostenere a spada tratta proposte maschili che promettono di combattere discriminazioni con l’effetto di spaccare il movimento femminista perché sostenere che i sessi non devono più esserci e ognuno deve poter definirsi maschio o femmina o altro come e quando gli pare, che sex work is work e che l’utero in affitto va incoraggiato è assolutamente contro quello che pensiamo noi, i corpi non si vendono e non si martirizzano. Chi crede – come noi ecofemministe – che non si cambierà la situazione deprimente e confusa, senza speranza di futuro, sa che bisogna intervenire direttamente nelle istituzioni alla faccia di stanziamenti in nome delle “next generations” che LeSiciliane - Casablanca 23

Per tutte le motivazioni ricordate noi ecofemministe abbiamo fondato prima delle elezioni europee l’associazione politica Iniziativa Femminista (IF), a seguito del lavoro con l’europarlamentare rom Soraya Post impegnata a dare vita ad un gruppo parlamentare femminista, entrata nel PE con lo slogan “fuori i razzisti e dentro le femministe”. Abbiamo valutato insieme di presentarci alle elezioni, sotto questa sigla in una decina di paesi. In Italia sono state fissate per legge e regolamenti del ministero degli Interni vincoli di raccolta firme e validità di nuovi simboli assurdi, che ce lo hanno impedito formalmente, mentre poi nel giorno della scadenza l’allora ministro Salvini li superò concedendo a due liste di estrema destra sue amiche di presentarsi anche se per legge non avevano i requisiti. Nessun politico di sinistra lo denunciò. La complicità maschile supera ogni schieramento anche in politica naturalmente. Dopo questa delusione non ci parve vero poter allargare la nostra realtà aderendo all’invito di Livia Turco e Alessandra Bocchetti, promotrici di “Dalla stessa parte”. Accettai l’incarico di responsabile del laboratorio sostenibilità, con


Donne, con coraggio scendiamo tutte in pista l’aiuto di Eliana Rasera e Monica Lanfranco, mentre Serena Omodei si ritirò perché la radicalità ecologica che pretendeva non le sembrò assicurata. La proposta voleva unificare, su contenuti da definire nei laboratori, tutte le associazioni e le singole attiviste in una rete che, su una prospettiva politica di egemonia da elaborare insieme a lungo termine, si sarebbe rafforzata e allargata senza nessuna struttura direttiva e organizzativa, solo sulla volontà di riconoscersi come donne in un soggetto politico in work progress. 4 Vuoi parlare del tuo gruppo di lavoro? Il mio laboratorio si arricchì immediatamente di tante adesioni ecofemministe, tanto che aggiungemmo a sostenibilità la nostra identità di movimento, che si era concretizzata in Italia dal tempo di Chernobyl, dall’ingresso in Parlamento di chi aveva manifestato nelle piazze e fece uscire l’Italia dal nucleare grazie al collegamento ininterrotto con il movimento delle donne. Il manifesto che abbiamo elaborato collettivamente è stato sottoscritto dalle molte che hanno contribuito a definire obiettivi e percorsi e l’abbiamo consegnato per prime. Ma nel frattempo erano già cominciati forti dissapori tra le due più illustri promotrici, Alessandra decise di andarsene perché giudicò troppo compromettenti adesioni di #dallastessaparte a attività del governo Conte e del PD. Così, dopo alcune richieste di chiarimenti alle altre

coordinatrici che non portarono a nulla, valutammo che la nostra volontà di soggettività politica non poteva essere bloccata dallo stop conseguente e cominciammo a dotarci di altri strumenti autonomi e a collegarci ad altre realtà per proseguire nella prospettiva che ci era chiara. 5 Perché sarebbe opportuno promuovere fra tutte le donne “DALLA STESSA PARTE”? In tutta sincerità pensi che questo lavoro possa colmare tutte le lacune, i silenzi, le discrepanze che ci sono fra noi? Insomma, trovi molta sincerità o pensi che appena finisce la diretta ognuno torni a coltivare il proprio orticello aspettando una nuova diretta? La volontà comune di pubblicare i lavori di tutti i laboratori credo dimostri la serietà e le competenze di tutte le partecipanti, inoltre, ne è nato un programma politico in cui ci si possa riconoscere in tante dallastessaparte. Almeno sui contenuti. Colmare silenzi, discrepanze e lacune tra di noi, ma anche sanare malesseri, insicurezze, invidie, opportunismi e complicità con il patriarcato odierno non è facile, e non lo è mai stato, anche perché gli strumenti per distruggerci, cancellarci e renderci insignificanti politicamente ormai sono molto affilati e articolati, da quelli più brutali come i femminicidi e gli stupri a quelli più sottili come l’invasione dei nostri spazi. Ma non abbiamo altre vie per salvare noi stesse, figlie e nipoti LeSiciliane - Casablanca 24

e la stessa Natura che ci ospita e di cui siamo pervase. Oggi c’è questa evidenza ed urgenza che ci rende più responsabili e dobbiamo anche superare i retaggi che ci hanno lasciato interpretazioni filosofiche della differenza che accusavano come traditrici quelle di noi che si sono impegnate anche nella politica seconda, quella istituzionale, dopo aver raggiunto divorzio e aborto, battaglie polemicamente sconsigliate allora! Imparare dalle nostre radici storiche e personali, dalle nostre esperienze collettive sapendo rimetterle sempre in discussione, dai nostri confronti empatici e rispettosi delle differenze, ci farà ritrovare ancora dalla stessa parte, con sempre più convinzione ed adesioni, quella della cura di noi stesse, di chi ha bisogno e della terra che ci ospita. Sono certa che anche molti uomini sapranno confrontarsi rispettosamente con noi se sappiamo porci non solo su un piano di parità ma anche in una prospettiva responsabile che indichi la via. Il webinar organizzativo in vista delle elezioni di ottobre lo dimostra.


Nuovo potenziamento piattaforma siciliana

Nuovi nemici? Antonio Mazzeo Dalla Sicilia il via alle attività di sorveglianza e intelligence di un’ampia area geografica del pianeta: dall’oceano Atlantico sino al Mar Nero e la Crimea e dal Mare del Nord e il Baltico sino al Sud Africa. La loro operatività è stata ufficializzata il 16 febbraio 2021 dal Comandante supremo delle forze alleate della NATO, il generale statunitense Tod Wolters. Dal quartier generale dell’Alleanza Atlantica di Mons (Belgio), è stata data la notizia che quest’estate i cinque droni AGS (Alliance Ground Surveillance) schierati nella grande stazione aeronavale siciliana di Sigonella potranno effettuare missioni di volo sino a 60 ore alla settimana, per poi raggiungere le 100 ore complessive entro il 2024. Il recente vertice di Bruxelles dei Capi di governo dei paesi membri della NATO ha chiarito chi sono i “nuovi” nemici contro cui schierare sistemi di guerra avanzati, missili, satelliti, portaerei e carri armati: la Russia e la Cina e guai a loro se proveranno a mettere radici nel Mediterraneo “allargato”. I droni AGS di Sigonella serviranno proprio a questo: ad allertare centri di comando e controllo su ogni movimento sospetto delle unità da guerra di queste due grandi potenze dotate anch’esse di armi nucleari. “Per il programma AGS è già presente nella principale base operative di Sigonella uno staff di 350 tra miliari e civili e il loro

numero crescerà sino a 600 quando sarà ottenuto lo status di piena operatività”, ha dichiarato il responsabile dell’Alliance Ground Surveiilance NATO, generale Houston Cantwell. “I membri dello staff si occuperanno dei dati raccolti dai droni insieme a un piccolo numero di persone del programma AGS che operano presso il Comando delle operazioni dell’Alleanza a Mons, Belgio e presso il Comando delle operazioni aeree alleate di Ramstein, Germania. L’AGS NATO riceve una quantità invidiabile di dati durante ogni singolo volo dei velivoli senza pilota. Noi continueremo a impiegare un maggior numero di analisti LeSiciliane - Casablanca 25

d’intelligence per gestire la quantità crescente di immagini e informazioni raccolte”. Il primo dei cinque velivoli a disposizione del programma AGS NATO è giunto a Sigonella direttamente dagli Stati Uniti d’America il 21 novembre 2019; è seguito l’arrivo del secondo drone il 19 dicembre 2019, del terzo il 15 luglio 2020, del quarto il successivo 26 luglio e, infine, il quinto il 12 novembre 2020. Questi velivoli senza pilota sono stati realizzati a partire dall’aggiornamento e potenziamento tecnologico del modello “Global Hawk Block 40” nella disponibilità dell’US Air Force, anch’esso operativo dalla grande stazione aeronavale siciliana da oltre un


Nuovo potenziamento piattaforma siciliana decennio. Denominato “RQ-4D Phoenix”, il drone è stato progettato e prodotto dal colosso aerospaziale statunitense “Northrop Grumman”; a realizzare alcune componenti chiave del velivolo anche un consorzio di industrie europee, tra cui Airbus Defence and Space (Germania), Kongsberg (Norvegia) e l’italiana Leonardo (ex Finmeccanica). Alimentati da turbomotori Rolls Royce AE 3007H e dotati della piattaforma radar MP-RTIP con sofisticati sensori termici per il monitoraggio e il tracciamento di oggetti fissi ed in movimento, i droni AGS possono volare ininterrottamente per più di 22 ore, sino a 18.280 metri di altezza e a una velocità di 575 km/h. Il loro raggio d’azione è di oltre 16.000 km. L’AGS è stato finanziato solo da 15 paesi della NATO (Italia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Stati Uniti), anche se è consentito l’accesso alle informazioni a tutti i 30 membri dell’Alleanza. Si tratta del programma NATO più costoso della lunghissima storia dell’organizzazione internazionale, oltre 1,7 miliardi di dollari secondo le stime risalenti al 2008, ma che con gli ultimi stanziamenti potrebbe aver superato una spesa complessiva di 2 miliardi. PER COLPIRE MEGLIO GLI OBIETTIVI La funzione primaria dell’AGS è quella di fornire alla NATO - da notevoli altitudini e per un

tempo indeterminato - una “rilevante capacità di intelligence, sorveglianza e riconoscimento (ISR)”. Il sistema AGS è composto da segmenti aerei, terrestri e di supporto in grado di funzionare in tutte le condizioni ambientali. Sono presenti stazioni di terra fisse, mobili e trasportabili per la pianificazione e il supporto operativo delle missioni e una componente aerea basata sui cinque velivoli a controllo remoto “RQ-4D Phoenix”. Il segmento terrestre, anch’esso localizzato a NAS Sigonella, è fornito di interconnessioni datalink e sistemi di processamento dati e si interfaccia con un ampia rete di centri e sistemi di comando, controllo, intelligence, sorveglianza e riconoscimento (C2ISR) dell’Alleanza Atlantica. I sistemi radar e i sensori dei droni consentono invece di individuare e tracciare gli “oggetti” in movimento nelle aree sotto osservazione e di inviare in tempo reale immagini e dati al centro terrestre AGS. “L’architettura del sistema AGS assicura la piena consapevolezza di quanto avviene nei teatri operativi ai comandanti delle forze ivi dislocate”, spiega l’ufficio stampa NATO. “L’AGS sarà in grado di contribuire ad un ampio raggio di missioni come ad esempio la protezione delle forze terrestri e delle popolazioni civili, il controllo delle frontiere e la sicurezza marittima, la lotta contro il terrorismo, la gestione delle crisi e l’assistenza umanitaria in caso di disastri naturali”. Inoltre (e soprattutto), grazie alle informazioni raccolte e LeSiciliane - Casablanca 26

decodificate dal nuovo sistema di “sorveglianza terrestre”, l’Alleanza sarà in grado di ampliare lo spettro delle proprie attività nei campi di battaglia e rafforzare la capacità d’individuazione degli obiettivi da colpire con gli strike aerei e missilistici. “Subito dopo il loro arrivo dalla California, i cinque droni AGS sono stati equipaggiati con il cosiddetto GMTI - Synthetic Aperture Radar/Ground Moving Target Indicator in grado di identificare qualsiasi obiettivo a terra e in mare”, ha aggiunto il generale Houston Cantwell. L’AGS utilizzerà tre differenti tipologie di telecomunicazioni satellitari: quelle denominate “Ku band” e prodotte da LuxGovSat, una joint venture costituita dal governo del Lussemburgo e da alcune industrie private del settore; le comunicazioni “Inmarsat” predisposte da Airbus Norway; e le comunicazioni UHF - Ultra High Frequency grazie ad un memorandum sottoscritto dal Comando NATO con quattro paesi membri dell’alleanza. L’UHF è il sistema adottato dalla costellazione MUOS della Marina militare USA, con un terminale terrestre per le comunicazioni satellitari installato a Niscemi (Caltanissetta), sotto il controllo operativo-logistico del Comando delle forze armate statunitensi di Sigonella. ALLARGAMENTO DI SIGONELLA PER NUOVI NEMICI Nella base siciliana funzionerà pure una specie di Centro di formazione e addestramento dei piloti dei droni AGS, degli


Nuovo potenziamento piattaforma siciliana analisti dei dati d’intelligence, degli operatori dei sensori e del personale addetto alla manutenzione del sistema NATO (Sigonella Premier Training Centre). Quando sarà pienamente operativo, il Centro ospiterà 22 istruttori che insieme potranno formare sino a 80 “allievi” l’anno. Per la creazione della Main Operating Base del sistema NATO sono stati appaltati imponenti lavori infrastrutturali che cambieranno il volto di Sigonella: si tratta di 14 nuovi edifici in una superficie complessiva di 26.700 metri quadrati, che ospiteranno

centrali radio, uffici, caserme, hangar e officine di manutenzione dei droni. La facility dovrebbe essere completata entro il 2022. I velivoli senza pilota della NATO opereranno congiuntamente ai droni-spia “Global Hawk” e Broad Area Maritime Surveillance e ai droni killer “Reaper” che le forze armate degli Stati Uniti hanno dislocato a Sigonella. Dal 2018 a NAS Sigonella è stato attivato pure l’UAS SATCOM Relay Pads and Facility per le telecomunicazioni via satellite con tutti i droni che le agenzie di spionaggio statunitensi e il

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Pentagono schierano in ogni angolo della Terra. La facility di Sigonella consente la trasmissione dei dati necessari ai piani di volo e di attacco dei nuovi sistemi di guerra, operando come “stazione gemella” del sito tedesco di Ramstein e del grande scalo aereo di Creech (Nevada). La moltiplicazione dei velivoli senza pilota in atterraggio e decollo da Sigonella non potrà che comportare ulteriori pericoli per la sicurezza del traffico aereo civile nei vicini aeroporti civili di CataniaFontanarossa e Comiso e per le popolazioni che risiedono nel capoluogo e nei centri urbani etnei. L‘entità del rischio droni non è nascosto più di tanto dai comandi NATO. “L’accesso allo spazio aereo dei partner dell’Alleanza e di altre nazioni no-NATO deve essere regolato attraverso accordi bilaterali o multilaterali”, hanno dichiarato qualche settimana fa i manager AGS alla rivista specializzata statunitense DefenceNews. “Per raggiungere la giusta quota, i droni salgono dopo il loro decollo da Sigonella sul Mar Mediterraneo. Viene evitato l’impatto con il regolare traffico aereo del vicino scalo di Catania, così il sistema di controllo del traffico aereo italiano si coordina con il velivolo AGS, così come viene fatto con i Global Hawk dell’US Air Force che operano anch’essi da Sigonella. Sono stati predisposti inoltre degli aeroporti da utilizzare nel caso in cui un drone AGS avesse la necessità di effettuare un atterraggio d’emergenza mentre sorvola un paese NATO. I voli del Phoenix sono effettuati


Nuovo potenziamento piattaforma siciliana

ad elevate altitudini, sopra le rotte dei voli commerciali in regolari corridoi”. Inutile dire che i voli militari hanno priorità sul traffico aereo civile: la piena operatività dei droni AGS e la contemporanea attività dei velivoli con e senza pilota di Stati Uniti e partner NATO ed extra-NATO, comporteranno certamente sempre più numerosi stop alle partenze e agli arrivi di CataniaFontarossa, con notevoli disagi per gli equipaggi e i passeggeri. Poco importa: per la guerra ai “nemici” di Russia e Cina e con

l’escalation delle missioni di guerra USA-NATO in Libia, Sahel, Corno d’Africa, Siria e Medio Oriente, la Sicilia dovrà potenziare il proprio ruolo di piattaforma di lancio militare. E non saranno certo il pericolo collisioni e i rischi d’incidente droni a fermare i deliri di onnipotenza dei cavalieri di morte dell’Alleanza Atlantica 2030. specialisti del settore, appura l’inutilità e l’approssimazione del progetto e ne denuncia l’assenza di ottemperanza alle prescrizioni dello stesso. Come LeSiciliane - Casablanca 28

reagisce TAP? Prova a “comprare” il consenso della popolazione, sponsorizzando sagre e feste patronali, e il 16 maggio 2016 viene effettuata una sorta di finta cantierizzazione solo per mostrare all’Europa che tutto va bene e non perdere l’Autorizzazione Unica. Trascorrono i mesi e si temporeggia fra bonifiche del territorio e potature di ulivi. “Il 4 di dicembre – si legge sul sito del Movimento No TAP – viene indetto un referendum che riguarda anche Il Titolo V della Costituzione che stabilisce le competenze tra Stato e Regione riguardo le infrastrutture energetiche. Chiaro, se al referendum vincesse il SI, Tap avrebbe la strada spianata, aiutata dai Ministeri e senza più doversi interfacciare con Regione e Comune. Il referendum lo vince il NO ma, per come poi si è visto dopo, non è servito a nulla visto che il Governo, sistematicamente, davanti alle difficoltà della multinazionale, accorre in suo aiuto. A botta di decreti e cambio delle carte in tavola, TAP accelera e recinta la zona di San Basilio toglie qualche muretto a secco e si ferma nuovamente nell’attesa forse di qualche altro aiuto”. Oggi le condanne. E la beffa. La società TAP che si è costituita parte civile in due dei procedimenti, sarà risarcita in sede civile.


America Andina, vento di rivoluzione

FUTURO e pallottole in PIAZZA Karín Chirinos In Perù, il marxisista Pedro Castillo, maestro rurale, figlio di contadini pochi giorni fa è stato eletto presidente. In Colombia la resistenza continua nonostante la repressione di Stato e una situazione allarmante di militarizzazione del paese, persecuzioni e civili scomparsi che tutto il resto del mondo ignora colpevolmente. La lotta è contro i governi neoliberali e neoconservatori privi di speranza collettiva. Si lotta per un mondo migliore, trasformazioni radicali e per il diritto alla vita, diritto al sogno contro l’incubo. Le Ande sono in rivolta, migliaia di giovani, contadini e studenti occupano le strade e le piazze. Su tutto ciò l’informazione – tranne qualcuno – tace. La troppa rabbia covata negli anni soffia sul vento della rivoluzione, seppure con modalità diverse, soffia in Colombia e in Perù Il 6 giugno scorso, in Perù, si è tenuto il secondo turno delle presidenziali tra Pedro Castillo, il maestro rurale di orientamento marxista, candidato di Perù Libre, e Keiko Fujimori, erede di quel fujimorismo che non intende mollare la presa sul paese e

che continua a giustificare le malefatte di suo padre. Ha vinto il maestro marxista anche se ancora di fatto non è presidente a causa di una contestazione della sua rivale. Il candidato cajamarquino rappresenta la risposta del Perù profondo al centralismo limeño. Castillo intende sostiture la costituzione fujimorista tramite un'Assemblea Costituente, LeSiciliane - Casablanca 29

nazionalizzare i settori strategici dell’economia, rendere gratuito l'accesso alle università, puntare su una crescita economica attraverso la redisribuzione del reddito. Un fatto che nessuno dei precedenti presidenti aveva mai messo in discussione per non disturbare lostatus quo dell'oligarchia, la quale, da parte sua, ha sempre considerato le comunità indigene, comunità contadine e


America Andina, vento di rivoluzione le comunità native come persone di tserie B. In questo paese, dall’inizio della pandemia, i morti per Covid sono più di 500 per ogni 100mila abitanti, la cifra più alta al mondo, la percentuale di vaccinati è la più bassa del Continente. In queste condizioni, l’infezione continua ad allargarsi e i nuovi colpiti quasi tutti appartenenti alle popolazione rurali difficilmente troveranno posto in ospedale, né potranno accedere a cure mediche in un sistema sanitario inefficace e altamente privatizzato. Gli strateghi elettorali di Keiko Fujimori hanno tentato di far passare Castillo come terrorista a causa del suo legame con il Movimento Per l'Amnistia e i Diritti Fondamentali (MOVADEF), gruppo impegnato a chiedere il rispetto dei prigionieri politici coinvolti nella lotta armata, non di certo un gruppo guerrigliero terrorista. Una accusa che risale al 2017 quando l´allora ministra dell'Istruzione Marilú Martens non volle sostenere un dialogo con il sindacato degli insegnanti CONARE (Comitato nazionale per il l’orientamento e la ricostruzione del SUTEP Sindacato Unitario de Trabajadores en la Educación del Perú) poiché ci sarebbero state presunte infiltrazioni di Movadef, lasciando i maestri di tutto quel paese abbandonati. Nonostante le accuse il maestro Castillo ha ampliato consensi e vantaggi contro la rivale di destra, Keiko Fujimori. Il voto dei condenad@s della

tierra avrebbe spinto al massimo l’ascesa di Castillo. Nel candidato figlio di contadini, si concentrano le speranze della sinistra per impedire il ritorno del fujimorismo, promuovere l’assemblea costituente e far fronte – oltre alla altre cose – all’estrattivismo minerario, un tema su cui, in molti paesi, sono forti le divisioni tra movimenti sociali e almeno una parte di quei governi che si definiscono progressisti.

solo problemi. Non meritano rispetto o attenzioni. Secondo l’Observatorio de Conflictividades del Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz (INDEPAZ), le persone uccise da paramilitari, polizia e Esmad sarebbero 73. Moltissime gli scomparsi e gli arrestati e 25 vittime di violenza sessuale. Uno scenario che racconta di un paese in un clima di militarizzazione permanente a cui la società civile ha risposto ribellandosi.

È partendo da questi presupposti che Keiko Fujimori, sostenuta dall’empresariado minero e dall’oligarchia terrateniente, grida al pericolo comunista che vuol espropriare le fasce sociali più ricche del paese ed è sostenuta dal premio Nobel di letteratura Mario Vargas Llosa, il quale ha invitato i peruviani a votare Fuerza Popular.

Lo sciopero del 28 aprile scorso è stato ed è utilizzato dal Governo come scusa per debellare definitivamente le lotte per la terra e tutti i movimenti sociali, utilzzando la violenza, ma, nonostante ciò, la protesta si è trasformata in una mobilitazione straordinaria.

LA PROTESTA DEI GIOVANI In Colombia, l´Escuadrón Móvil Antidisturbios (Esmad) e la polizia nazionale reprimono senza pietà una nuova forza trasformatrice, la quale è scesa in piazza dal 28 aprile scorso contro una riforma tributaria, che è stata per il momento accantonata, ma ha dato vita ad un paro (sciopero nazionale) a tempo indefinito. Il presidente Iván Duque, anziché cercare il dialogo, ha scatenato una violenta repressione poliziesca caratterizzata da morti, feriti e desaparecidos in tutto il paese. In fondo, le organizzazioni sociali, sindacati, studenti, indigeni per il presidente sono LeSiciliane - Casablanca 30

«Si combatte contro i governi neoliberali e neoconservatori che non offrono futuro alcuno» – dice Gonzalez Posso, presidente di INDEPAZ – «Ci aspetta un futuro fatto di grandi sfide, ma stavolta anche di trasformazioni radicali». “¡Nos está matando la policía!” non è uno slogan, ma, un grido di disperazione. Lo Stato risponde con le persecuzioni e uccisioni. Il fallimento di fronte all'avanzata del Covid-19, soprattutto a causa della precedente privatizzazione del sistema sanitario, è stato un fattore determinante nella decisione di occupare le piazze e dichiarare lo sciopero. Il paro, per rivendicare e risolvere anche problemi che si trascinano da anni. I colombiani


America Andina, vento di rivoluzione chiedono diritti e migliori condizioni di vita. Protestano contro la riforma fiscale, la svendita del paese alle multinazionali. Non è solo Duque che si contesta, ma anche tutti gli altri governi che non si sono fatti alcun problema nello svendere lo Stato colmbiano e le sue risorse per arricchire ancora di più l'oligarquia terrateniente. Protestano contro la scelta del Governo di togliere la terra a milioni di contadini per far posto alle multinazionali. La scusa ufficiale è stata quella di voler debellare le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC),che avevano scelto di riprendere la strada della lotta armata. Ciò,nel 2016, è valso un immeritato Nobel per la pace a Juan Manuel Santos, presidente colombiano dal 2010 al 2018. In effetti, sarebbe stato più coerente riconoscere il Nobel a qualcun altro che si è ben distinto per coraggio e proposta

politica. Frale tante:Jineth Bendoya, una giornalista torturata e stuprata dalle AU C (Autodefensas Unidas de Colombia), il gruppo dei paramilitari – vera terza forza armata in campo; Luz Marina Bernal, leader delle Madres de Soacha, associazione che raccoglie le madri dei giovani “falsos positivos”, dramma che ha toccato tante famiglie umili colombiane durante l’epoca del governo liberista e conservatore di Alvaro Uribe con Juan Manuel Santos come ministro della Difesa. CI HANNO GIÀ UCCISO MA NOI SIAMO ANCORA VIVI Furono le Madres de Soacha insieme all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani a rivelare l’esistenza di una circolare ministeriale del governo di Uribe che garantiva premi, scatti di carriera e incentivi di vario genere ai militari colombiani che uccidevano o catturavano

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guerriglieri- A seguito di questa circolare, più di 5.000 giovani rappresentanti sociali o sindacali vennero assassinati da membri dell’esercito e fatti passare per membri delle FARC. Soltanto grazie alle indagini svolte dall’Alto Commissariato ONU, di organismi come il CAJAR, un collettivo di Avvocati per i diritti umani, e le Madres de Soacha, i responsabili di quelle esecuzioni extragiudiziali sono stati assicurati alla giustizia. Resta il fatto che per lungo tempo il Governo di Uribe, allora in carica, ha negato l’evidenza dei fatti e, quando è stato costretto ad ammetterli, a seguito delle risultanze investigative e di fronte all’ammissione di alcuni militari “pentiti”, ha parlato di “mele marce” e non di un vero e proprio sistema che si avvaleva di complicità e silenzi, di coperture e connivenze. In Colombia, purtroppo, non è cambiato nulla dall’uribismo in


America Andina, vento di rivoluzione poi e si continua a giustificare il diritto della polizia a difendersi con la violenza da un non meglio precisato “terrorismo vandalico”. Sebbene lo scenario odierno sia quello di un paese assediato, al Comando Nacional de Paro hanno aderito studenti, sindacati, lavoratori del settore sanitario, operai, docenti e organizzazioni sociali, ma sono stati i giovani, principalmente, a guidare la

drammaturga Patrizia Ariza da anni dirigono la Corporación Colombiana de Teatro (CCT) la sede dove è nato il gruppo di teatro pro diritti umani Tramaluna, formato da vittime del conflitto in alleanza con artisti: «le persone hanno rimosso la disperazione e l'odio che i nemici della pace hanno seminato per anni. Viviamo in un momento storico: l'anima giovanile democratica collettiva si è risvegliata in Colombia. La

razzismo, il classismo, il colonialismo. Il nuovo pensiero è chiaramente anti-neoliberista. Le piazze dicono con forza rivoluzionaria NO. NO all’offensiva dell'oligarchia neoliberista maschilista. NO alle più di trecentomilla donne povere, contadine e indigene vittime di sterilizzazione forzate durante il governo dell’allora presidente Fujimori in Perù.

https://www.facebook.com/CCdeTeatro/photos/pcb.4295666837194904/4295636103864644/ protesta. L’establishment colombiano, contro il quale la gente si è ribellata, ha distrutto l’economia e cancellato le speranze di pace e di un futuro. L’incapacità di tenere sotto controllo la pandemia ha fatto il resto. Come sostiene il professore universitario, drammaturgo e poeta, Carlos Satizábal, che insieme alla sua compagna la

nuova generazione è entrata nella storia. E lei stessa racconta la sua epopea in tutte le lingue: spettacoli, balli, canzoni, manifesti, poesie, graffiti, performances, marce, barricate e assemblee comunitarie... ». In Colombia, come in Perù, si vuole sradicare la disperazione, la disillusione, la rassegnazione, l'indifferenza, il sentimento di odio e la voglia di vendetta. Il LeSiciliane - Casablanca 32

NO dicono le madri e le sorelle delle vittime dei falsi positivi, figli, mariti, padri e fratelli assassinati, scomparsi e poi presentati davanti agli schermi di guerra come terroristi presumibilmente uccisi in combattimento: come ci fermeremo se ci hanno già ucciso e noi siamo ancora vivi...?


Pro e contro del lavoro “agile”

Alessio Pracanica L’attuale narrazione sullo smart-worker evoca l’immagine di un lavoratore in pigiama, con un occhio al lavoro e l’altro ai social, sorseggiando beatamente una tazza di caffè solubile, oppure quella di una lavoratrice con il volto stravolto mentre analizza i bilanci sullo schermo, pensa a mantecare il risotto o ad aiutare i bambini a studiare, ad allattare, o ancora ad occuparsi dell’anziano che vive nella stessa casa. Lo smart working – secondo la XI Commissione del lavoro della Camera dei deputati – se strutturale e vero, favorisce l’equità e la trasparenza retributiva di genere. Peccato che i nostri dati non corrispondano con i loro. Peccato che le donne non la pensino allo stesso modo. Per non parlare delle tutele. Analisi semi seria sullo smart working. Inutile farsi illusioni, sappiamo già di non di vivere in un mondo qualunque. La cara, vecchia Paperopoli occidentale in cui gli imprenditori creano benessere, i lavoratori sono dei privilegiati e i precari godono, mai verbo fu più azzeccato, di uno status lavorativo da schiavo delle piramidi. Giusto con qualche tutela in meno, perché all’epoca gli schiavi costavano e si cercava di conservarli in salute.

Niente piagnistei, mi raccomando, c’è grossa crisi. E poi il costo del lavoro, le pastoie burocratiche, la sovrapproduzione. Azione e reazione, globalizzazione und delocalizzazione.

resti dei passati bivacchi. Com’è giusto che sia. Donando alle merci libera circolazione e agli esseri umani libertà di annegamento, affinché i container abbiano più diritti delle persone.

Il capitalismo è cosa viva, dinamica, fluida e allora il capitale si sposta, come una carovana lungo la via della seta, in perenne ricerca di nuovi mercati, di altri schiavi. Lasciando dietro di sé cenere e

Davvero il migliore dei panorami contemplabili. Dove solo alle cassandre più ostinate e nefaste pare di scorgere, in lontananza tra i fumi e le nebbie, lo skyline di Atlantide.

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Pro e contro del lavoro “agile” Una sorta di paradiso in multiproprietà, con i nanetti di gesso nei giardini e i vialetti lastricati di pessime intenzioni. Così bello e perfetto da sembrare eterno. Roba che niente e nessuno avrebbe potuto scalfire. Invece, il destino cinico, baro e comunista s’è inventato la pandemia, mettendo il futuro tra parentesi e condannandoci a galleggiare in un fermo immagine. Si spera di uscirne presto e bene, naturlicht, senza trarne soverchi insegnamenti. Spritz, lunch, brunch, apericene, aperitutto, crapule di gruppo e saccheggi di centri commerciali. Come prima, più

prima, consumerò, cantava la canzone. O giù di lì. Qualcosa, però, minaccia di restare. Di smart working, o lavoro agile, nella riduttiva traduzione italiana, si parlava già in tempi non sospetti e con ben altri scopi. Sulla carta, infatti, il lavoro da casa garantirebbe parecchi vantaggi. In primis un basso impatto ambientale. Meno automobili in giro, minore utilizzo dei mezzi pubblici e significativi risparmi sul consumo energetico. Scomparsa la necessità di illuminare, riscaldare e

connettere certi immensi alveari color bile o vomito, senza senso, né di affanno, né di pace. Per il singolo lavoratore, tutto questo si tradurrebbe in benefici sia economici che psicologici. Nullo o diminuito ricorso a baby-sitter e badanti, per chi ha figli piccoli o anziani disabili. Zero spese per benzina o mezzi pubblici. Gestione del proprio tempo, in teoria, più flessibile e rilassata. Occorre ricordare che viviamo in un tempo sovrastato dall’eccesso di comunicazione. Ove la narrazione, ormai diventata fuorviante sinonimo di realtà, precede l’evento e lo plasma a propria deformata immagine, come gli specchi del luna-park. IN CASO DI MOBBING E MALATTIA? L’attuale narrazione sull’argomento ci regala l’immagine di uno smart-worker in pigiama, con un occhio al lavoro e l’altro ai social, sorseggiando beatamente una tazza di caffè solubile. Una carezza al gatto, un buffetto al pargolo e via a mantecare il risotto, mentre sullo schermo scorrono i dati del bilancio. Ma è davvero tutto smart, quel che luccica? O tra le pieghe di cotanta beatitudine ci sono dei prezzi nascosti? Per iniziare, in molte città il diminuito impatto ambientale si accompagna a una desertificazione del centro, con gravi ripercussioni per tutte quelle attività, di ristorazione o

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Pro e contro del lavoro “agile” smart? Chi sorveglierà, al riparo delle mura domestiche, che non venga costretto a prestazioni quantitativamente o qualitativamente diverse, da ciò che è previsto per contratto? Come si potranno effettivamente monitorare le reali ore di lavoro? Chi potrà mai testimoniare per eventuali casi di mobbing? E come la mettiamo con i casi di malattia? Se un impiegato scivola e si rompe una gamba tornando dal bagno al pc, va considerato infortunio sul lavoro? Ci troviamo di fronte a un evidente deserto normativo, facile tentazione per imprenditori e superiori, da colmare prima che qualche lobby sussurri iniqui rimedi all’orecchio sempre poco disinteressato dei partiti. O prima che la Cassazione, com’è italica consuetudine, certifichi tra venti o trent’anni, stante la durata media dei processi, i vizi e i soprusi commessi nel frattempo.

servizi, sorte proprio in funzione degli uffici presenti. Certo, una volta consolidato l’attuale trend, si potrebbero riconvertire i centrocittà a dispensatori delle innumerevoli bellezze in essi contenute. Considerato che non siamo il paese della Ruhr, ma del Rinascimento e non esiste angolo, in questo squinternato Stivale con isole annesse, che non abbia qualche capolavoro artistico, culturale, ambientale. Il condizionale dei potrebbe, però, va esteso all’attuale

classe politica, di cui ben conosciamo capacità e lungimiranza. Se perfino la Caput Mundi è costellata di buche e affollata di cinghiali, viene difficile pensare, in tempi brevi, alla riconversione turistica di Sesto San Giovanni o di Abbiategrasso. Passando poi dal macro al micro, i dubbi possono soltanto crescere. Già constatiamo la penuria di tutele per il lavoratore normal. Quante potrà averne quello LeSiciliane - Casablanca 35

Il vero problema, come spesso avviene, sta nel confronto tra teoria e prassi. In un mondo ideale, lo smart working sarebbe la soluzione più ovvia e giusta per la maggior parte delle attività. Nel nostro, in assenza di opportuni provvedimenti, rischia di tramutarsi in una catena così lunga e sottile, da risultare invisibile agli occhi di molti.


Letture di frontiera: Ai diversi di ogni tipo

Ai Diversi di ogni tipo Natya Migliori Una storia tragica. Triste. Vera. Attuale. Una storia che parla di diversità antiche e moderne. Una storia che ricostruisce dolori del passato e ne evoca quelli del presente. Una narrazione fluida e poetica. Viva e appassionata. Tra realtà e fantasia. “È un romanzo che indaga su quanto può far male il rifiuto della diversità”– spiega l’autrice Rosa Maria Di Natale. cata, per ritrovarsi a respirare gli odori ed essere abbagliati dai colori della Giramonte degli anni ‘70. Nome fittizio, Giramonte. Ma specchio di storia vera. Saverio e Matteo sono “diversi”. Saverio vorrebbe andarsene da una realtà per lui troppo stretta, vorrebbe continuare gli studi. Matteo è “puppu cco buddu”. Troppo per una rea ltà dove la virilità è valore indiscusso e segno distintivo. Il mondo, a Giramonte, è diviso in uomini e femmine. Tutto il resto è stranezza, malattia, maaria da esorcizzare con riti e preghiere. Tutto il resto è sbagliato.

La penombra della notte, il silenzio surreale di una redazione che si concede una boccata d’aria, prima della quotidiana apnea. Due uomini. L’uno disposto ad ascoltare, l’altro con un disperato bisogno, finalmente, di raccontare. Si apre così “Il silenzio dei giorni”, romanzo di esordio della giornalista Rosa Maria Di Natale, Ianieri edizioni, ispirato al caso che sconvolse Giarre, cittadina a pochi chilometri da Catania, nel 1980. Un caso di omofobia collettiva che, complici l’omertà e il pregiudizio, stroncò due giovani vite: Giorgio Giammona di 25 anni e Tony Galatola di 15. Bastano poche pagine di scrittura asciutta e deliLeSiciliane - Casablanca 36


Letture di frontiera: Ai diversi di ogni tipo “Ai diversi di ogni tipo e a ogni tipo di sopravvissuti”. Una dedica intensa, quella dell’autrice, che racchiude il senso stesso del romanzo. Come sopravvivono oggi i diversi, in Sicilia ma non solo, rispetto a quarant’anni fa? Com’è cambiata l’accettazione della diversità? Per me -ci spiega Rosa Maria Di Natale- la diversità non è solo quella degli omosessuali, degli stranieri o dei fragili. Diverso è semplicemente chi percepisce l’esistenza, o sceglie di viverla, attraverso codici differenti da quelli cosiddetti normali o normati. Ci sono milioni di diversi. Credo che sia superficiale chiamarli così. I sopravvissuti sono coloro che sopravvivono a un grande

dolore, come il mio protagonista, Peppino Giunta, che è poi la voce narrante della storia. Oggi i cosiddetti “diversi” vivono con più libertà rispetto a 40 anni fa. Inutile negarlo. Ma se l’omofobia e la violenza sociale, fisica e verbale, a essa correlati è ancora così forte, vuol dire che non è cambiato abbastanza. Come nasce la curiosità verso un “cold case” e l’idea di scriverci un romanzo? Del “caso di Giarre” venni a sapere parecchi anni dopo i fatti, accaduti nel 1980. Li avevo rimossi, anche perché all’epoca ero davvero una bambina. Rimasi particolarmente colpita rileggendo un vecchio articolo,

per puro caso: a pochi chilometri da casa mia era accaduto un episodio così grave? Davvero due persone avevano pagato l’omofobia così a caro prezzo? Bastò questa ad accendere l’urgenza di scrivere una storia. Non la reale storia dei due ragazzi di Giarre, per quella c’è la cronaca del tempo, ma inventarne un’altra, una storia “figlia” di quella vera. “Mio padre concludeva ogni pasto con una Merit, e quella domenica terminò la sigaretta con profonde riflessioni sui maschi e sulle femmine […] In sostanza le donne devono semplicemente esistere come donne o come madri”. Sono parole del romanzo, in cui preponderante è anche il tema del ruolo della donna. In un momento storico (il nostro) in cui persino nel linguaggio si lotta ancora per affermare il genere femminile, a che punto è la donna? A che distanza si colloca rispetto al 1972 a Giramonte? Cosa c’è ancora da fare? Difficile rispondere sinteticamente ad una domanda come questa. Ci sono ancora troppe persone, comprese molte donne, convinte che esista un preciso “posto femminino” dai contorni definiti e rassicuranti, anche se oramai faticosi, da occupare. La donna che lavora, che vince le sue battaglie quotidiane, che gestisce con fatica ma con onore figli e marito, capo e uscite con le amiche, palestra e buona cucina, è il nuovo modello politicamente corretto. Prova a fare saltare alcune di queste buone pratiche e scatta la riprovazione. Certo la

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Letture di frontiera: Ai diversi di ogni tipo

distanza dalla Giramonte del 1972 è evidente, ma non è così tanta come ci fa comodo credere. Peppino, il protagonista, riesce ad affermare se stesso e il proprio essere parte di una comunità tutta al maschile, quando comincia a dire “minchia”. Potere taumaturgico di una parola che, esclamata, dice Peppino, “mi faceva stare meglio”. Cosa significa essere virili a Giramonte? E quanto Peppino riesce davvero ad interiorizzare il modello del padre e degli altri uomini del suo paese? Il modello di virilità di Giramonte, per me summa della provincia siciliana di quegli anni, è un’illusione consolatoria. Uomo è chi esibisce una virilità greve,

sempre pronta a cacciare la preda, non importa poi se sia vero o no. Conta sbandierare la mascolinità come rappresentazione, come ce l’ha passata il brancatismo e il linguaggio correlato serve a rinforzare il messaggio. D’altronde la parola ha il potere di dare corpo, talvolta illusoriamente, alla realtà. Il dialetto siciliano in questo senso è perfetto. Peppino Giunta oramai adulto, fa i conti proprio con questo modello e con l’immagine del padre. Il lettore giudicherà se riesce a liberarsene oppure no. Se la virilità è salute, il gay è malato. E “certe cose si possono curare in America”. Nel 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha cancellato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. Eppure non sono rari i post, tutt’oggi, in cui le persone omosessuali sono appellate come “malate”. Perché, secondo te, non si riesce a uscire da questo tipo di retaggio? Per lo stesso motivo per cui si parla dei depressi come dei perdenti, o dei poeti come perditempo, o delle donne che non fanno mistero della loro attività sessuale libera come LeSiciliane - Casablanca 38

puttane. Per comodità e per ignoranza. Nel romanzo, strisciante antagonista è la religione. Papa Francesco ha manifestato una certa apertura nei conf ronti delle persone omosessuali, lasciando intendere che dottrina cattolica e omosessualità non si escludono a vicenda. Ma, per la gente comune e per il resto del Vaticano, è davvero così? Per quel che riguarda la mia esperienza personale, molti cattolici la pensano esattamente come Francesco e molti altri no. Non si può generalizzare. Confesso di frequentare poco o nulla quel mondo. Da donna e giornalista attenta alle problematiche di genere e ai diritti delle donne, come mai la scelta letteraria di calarti nei panni di un uomo? Quali le difficoltà e i vantaggi nel raccontare “l’anima" e i pensieri più intimi di un protagonista maschile? Non è stata una scelta. Mi è venuto naturale e non ho provato difficoltà. Oggi serve un punto di vista maschile, domani ne servirà uno femminile, ecc. Se sento molta vicinanza nei confronti dei miei personaggi, anche quelli negativi (e nel romanzo ce ne sono), riesco a vestire i loro panni, mi basta che siano umani. Il giornalismo tradizionale non consente questo. Al contrario, chiede al cronista di essere osservatore preciso ma terzo, anche quando sposa una causa e la racconta con passione. La letteratura è altro. Per fortuna.


Gli Alighieri – portatori d’ali

Gli Alighieri portatori d’ali Francesca Mazza Il 2021 è l’anno delle celebrazioni dantesche e viene festeggiato il settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri. Dal Ministero della Cultura il 2021 è stato proposto come l’anno del sommo poeta. A partire dal 25 marzo, ovvero il Dantedì, a memoria del giorno in cui il Sommo Poeta intraprese il suo viaggio ultraterreno, sono state organizzate una serie di iniziative e festeggiamenti in tutto il territorio nazionale e in molte città all’estero, coinvolgendo anche le scuole. Sono previste iniziative di carattere scientifico, giornate di studi e convegni, ma anche progetti culturali di ampio respiro quali mostre, concerti, esposizioni, produzioni teatrali e cinematografiche, cicli di incontri e performance. È cosa oramai nota che la biografia di Dante Alighieri non goda di certezze granitiche e che buona parte delle vicende della sua vita non sia sempre corrisposta da comprovate e attendibili documentazioni. Ma

l’opera sua tuttavia è tale da imporci a cercare tracce delle sue azioni e delle persone con cui si intrecciò la sua esperienza terrena, amici, avversari, potenti, gente comune e la sua stessa LeSciliane - Casablanca 39

famiglia, gli Alighieri. Esiste una derivazione dotta del cognome Alighieri da Aligerii, cioè i portatori d’ali (dal latino Alae-gero), voluta da una tradizione giunta fino ai nostri giorni e contenuta dentro uno


Gli Alighieri – portatori d’ali stemma, con un’ala d’oro in campo azzurro portato dai discendenti del Poeta, i conti Serego Alighieri che lo hanno impresso sulle etichette delle bottiglie di Valpolicella, prodotto dalla loro azienda vinicola. Ma vediamo ora quel che Dante stesso affida ai posteri di sé. Della sua vita privata le relazioni sono coperte da riservatezza. Dei familiari non parla mai palesemente: del proprio padre, Alighiero degli Alighieri o della madre, monna Bella degli Abati, né dei fratelli, né della propria famiglia di formazione, i figli, tre maschi e due femmine e la moglie Gemma Donati. Ma questa riservatezza non è silenzio totale, reticenza o assenza. Infatti Dante compone e dedica alle proprie radici i canti XV, XVI e XVII del Paradiso, la trilogia di Cacciaguida, suo antenato e padre del suo bisavolo Alighiero, che nel canto XV gli si manifesta come sua radice e con la discendenza del proprio casato. […] O fronda mia in che

io compiacemmi / pur aspettando, io fui la tua radice […] (Par. XV, vv. 88-89); […] Quel da cui si dice / tua cognazione […], […] mio figlio fu e tuo bisavol fue […] (Par. XV, vv. 91-94).

Il dialogo tra Dante e il trisavolo Cacciaguida che va avanti per i tre canti XV, XVI e XVII per parlare di una Firenze del buon tempo antico, integra nei costumi, dove le donne praticavano la modestia e gli uomini non cercavano lo sfarzo, giunge al punto in cui il poeta, già molto provato dalle traversie terrene, la condanna all’esilio, chiede all’antenato di svelargli

la sorte che lo attende […] ché

saetta prevista vien più lenta (Par. XVII, v. 27). E: […] per chiare parole e con preciso / latin rispuose quello amor paterno, / chiuso e parvente del suo proprio riso […] (Par. XVII, vv. 34-36). MONNA BELLA, ALIGHIERO E CACCIAGUIDA Dante che prende il nome (cognazione) dal bisavolo Alighiero non si fa scrupolo di attribuire a Cacciaguida l’amorevolezza propria di genitore chiamandolo “amor paterno” perché sa che solo su quell’amore si può fare affidamento senza esserne delusi e anche se Caccia guida è l’antenato, in questa circostanza, il poeta vede in lui il proprio padre a cui si affida. Nascono così quei versi memorabili di predizione dell’esilio e delle sue amarezze:

[…] Tu lascerai ogni cosa diletta / più caramente; e questo è quello strale / che l’arco dello essilio pria saetta. / Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ’l salir per l’altrui scale […] (Par. XVII, vv. 55-60). E seguitando, anche le consolazioni di una magnanima accoglienza, a Verona, presso Cangrande della Scala, il “gran Lombardo”, che ha per insegna l’aquila imperiale: […] Lo primo

tuo refugio, il primo ostello / sarà la cortesia del gran Lombardo / che ’n su la scala porta il santo uccello; / ch’in te avrà sì benigno riguardo […]

(Par. XVII, vv. 70-73). La figura paterna e il conseguente sentimento “dell’amor paterno” sono così evocati attraverso lo schermo di un antenato. LeSciliane - Casablanca 40

Esperto delle sacre scritture, il poeta non dimentica quanto si legge nei comandamenti: onora il padre e la madre; e della madre fa dire a Cacciaguida, nel XVI canto, parlando della propria nel momento in cui lo partorì: […] al parto in che mia

madre, ch’è or santa, / s’alleviò di me ond’era grave […] (Par. XVI, vv. 35-36).

Della madre di Dante, monna Bella, si sa poco, morta prematuramente perché il padre Alighiero si risposò in seconde nozze; ma di colei che soffre i dolori del parto il poeta afferma che è “santa”, come ogni madre e dei figli, i propri come in generale tutti i figli, sa che sono opera divina. Lo storico Alessandro Barbero nella sua recente biografia di Dante (A. Barbero, Dante, Laterza, 2020), nel capitolo tredicesimo, La famiglia di un esiliato, scrive a pagina 163: “Notava il Petrocchi che i tre nomi dei figli maschi di Dante, Giovanni, Piero e Iacopo, sono quelli di tre apostoli, gli stessi che il poeta incontrerà in Paradiso…”. Giorgio Petrocchi, uno dei più noti studiosi di Dante nel Novecento, intuisce il ricordo dei familiari nel Poema. Ecco un’altra traccia dei familiari di Dante (limitatamente ai nomi) riportati nella cantica del Paradiso e lo schermo è quello di Pietro, Giacomo e Giovanni, gli apostoli della Trasfigurazione. Sotto l’apparente silenzio e dietro gli schermi c’è la traccia di un Dante privato che emerge nella Commedia.


Maria Alessi, la socialproletaria

Maria Alessi, la socialproletaria Nunziatina Spatafora Insegnante, donna colta, deputata socialista al Parlamento dal 1961 al 1968, Maria Alessi l’ho incontrata nel 2002 attraverso le poche pagine del libro di Sebastiano Catalano, Protagonisti a Catania fra ottocento e novecento. Da subito,di questa donna, che aveva svolto significativi ruoli politici nel PSI e nel PSIUP, desiderai saperne di più. Iniziai a contattare l’ing. Camillo Bosco e il prof. Carmelo D’Urso di Riposto, che militarono tra gli anni Cinquanta e Sessanta nel partito socialista, e il prof. Riccardo Occhipinti, che nel 2002 era preside dell’Istituto Tecnico Archimede di Catania, dove Maria Alessi insegnò dal 1968 al 1980. Nata a giugno del 1915, Maria Alessi, si diploma all’istituto magistrale e dopola laurea in lettere, si dà all’insegnamento, impegno lavorativo che condivide con la passione politica. Nel 1952 sceglie di militare nel PSI e nel 1955 viene candidata alle elezioni regionali ottenendo ben 5.866 preferenze. Camillo Bosco la ricordava come «una donna colta dal carattere

gentile, ispirava grande simpatia, ma era combattente tenace e decisa nella difesa dei diritti dei deboli e nella lotta per la conquista della parità delle donne in tutti i settori della vita civile». L’anno successivo, nel 1956, viene eletta consigliera comunale e tra le sue prime lotte c’è quella per la municipalizzazione delle onoranze funebre. Già dal 1955 dirige il movimento femminile in provincia di Catania, compito portato avanti fino al 1959. Insomma, Maria sperimentò la classica gavetta politica, tipica delle militante e dei militanti dei grandi partiti della Prima Repubblica. L’avvocato Carmelo D’Urso ricorda: «Maria Alessi subentrò alla Camera dei deputati a seguito della morte di Biagio Andò, avvenuta il 6 giugno del 1961. Maria infatti era stata candidata nelle liste del partito socialista nel 1958 risultando la prima dei non eletti». LeSiciliane - Casablanca 41

Nello stesso anno dell’insediamento, la deputata siciliana è cofirmataria della proposta di legge per l’abolizione dell’art.559 del codice penale, secondo il quale la moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Qualche mese prima la Corte Costituzionale con la sentenza del 28 novembre 1961, n. 64, aveva dichiarato non fondatale questioni di ’illegittimità


Maria Alessi, la socialproletaria costituzionale dell’art. 559 del codice penale. Per quanto riguarda invece la Sicilia, confortata dall’aiuto e suggerimento di Carmelo D’Urso, all’ora appena ventiseienne già consigliere comunale del PSI, Maria decide di presentare diverse interrogazioni tra cui quella per l’istituzione della scuola magistrale a Riposto. Nell’interrogazione del 4 agosto 1962 la deputata Alessi chiede, invece, al ministro competente perché delle 687 lettere di Giovanni Verga acquistate nel 1943 e in possesso dell’Università di Catania, ne erano disponibili solo 521. Il ministro, in risposta, imputa la non disponibilità delle rimanenti lettere al marasma dei fatti bellici e del poco personale di cui era dotata l’Università. Il professore Nicola Mineo, già preside della facoltà di Lettere dell’ateneo catanese, in questi giorni mi ha confermato che oggi le lettere sono tutte in mano della Fondazione “Giovanni Verga”. IL VERNACOLO VERACE IN POLITICA Legittimo pensare che il controllo della Alessi non sia stato inutile. La sua firma sulle proposte di legge sancisce un’attività parlamentare a supporto delle problematiche che attraversavano i territori e le emergenti esigenze della società. Durante gli anni della sua legislatura, Maria è la prima firmataria di 5 disegni di legge e cofirmataria di altri 12. Tiene 49 interventi di cui 13 in Assemblea e 36 nei vari lavori parlamentari. I numeri sono importanti perché ci

testimoniano una donna che sentiva il peso della responsabilità del suo mandato elettorale. Viene rieletta nelle elezioni del 1963 seguendo attentamente il suo collegio e la vita delle sezioni. Ed è anche Camillo Bosco che sottolinea come «a Giarre, Maria ottenne un forte consenso popolare per il sostegno determinante della sinistra socialista». Del lavoro politico della compagna socialista Carmelo D’Urso ricorda ancora «come la sua oratoria efficace coinvolgesse le piazze e soprattutto coinvolgesse il suo essere donna in politica. Spesso girava per le sezioni mantenendo un contatto con l’elettorato». Maria Alessi nel 1964 passa al PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria), nato da una scissione a sinistra del Partito Socialista. Nello stesso anno, riconosciuta la sua forza di rappresentanza del nuovo partito, ne guida la lista dei candidati per il consiglio comunale e torna ad essere consigliera comunale a Catania. Nel 1968 affronta la campagna nazionale delle elezioni politiche, pur consapevole della difficoltà della formazione politica minoritaria a cui aveva aderito. Non viene rieletta, ed il quotidiano “La Sicilia” del 24 maggio del 1968 scrive, riconoscendo il suo impegno: «Anche i socialproletari perdono l’unica donna deputato che avevano, la battagliera Maria Alessi Catalano». Pur dedicandosi con la stessa serietà e fermezza al suo “mestiere” di insegnante, Maria non si separa dalla vita politica LeSiciliane - Casablanca 42

e l’esperienza che vive nel ‘68 a Catania non è stata meno forte di quella maturata al parlamento, come si deduce da una nota che nel 2002 il preside Riccardo Occhipinti dell’istituto “Archimede” ha redatto. Un appunto di ricordi di chi l’ha conosciuta: «…Purtroppo, ora in Istituto sono solo i vecchi che si ricordano di questa donna colta, dalla forte personalità che aveva la grande capacità di comunicare con chicchessia, magari, anzi soprattutto, in dialetto. Era forse questo il modo per manifestare il suo amore per la Sicilia? O, piuttosto il vernacolo verace, scarso di voli pindarici, le consentiva di andare dritto al sodo senza incorrere in ambiguità». Maria Alessi scrive di affetti in ambito politico, anticipando temi e categorie del femminismo e della filosofia della biopolitica. Infatti in due fogli scritti nel 1964, forse appunti da utilizzare per qualche comizio o incontro politico, riportati da Sebastiano Catalano, si legge «… che i parlamentari, deputati del popolo, quando sono veramente tali non possono lasciare che eredità di affetti e che solo il riscatto del lavoro e la conquista della libertà vera, che è libertà dal bisogno e quindi dal riscatto della forze predominanti, per quelli che questa libertà ancora non hanno, mi spinse a lottare per il trionfo del socialismo».


Letture di frontiera - Compagni

COMPAGNI Eleonora Corace Matilde Orlando In una Sicilia sonnolenta un gruppo di giovani cerca di dare un senso alla propria vita attraverso la politica. Ivan, Michela, Giuditta e Chiara, studenti di Filosofia, fondano con altri compagni il collettivo militante Zapata. Con le vicende di un centro sociale, nomade perché continuamente sgomberabile, si narra la vita altrettanto fragile e precaria di un gruppo di idealisti. Figli di una generazione apolitica e individualista, i compagni tentano di costruire una nuova comunità, un nuovo Noi, una nuova politica, una forma altra di stare al mondo. Uno squarcio nell’epoca della fine di ogni ideologia. La storia, d’ispirazione autobiografica, scruta un tempo racchiuso tra le proteste contro la riforma Gelmini e la stagione dei Teatri Occupati e i Beni Comuni.

Eleonora Corace (Messina 1986) e Matilde Orlando (Messina 1988) sono colleghe fin dai tempi dell’Università: hanno condiviso studio e ricerche filosofiche, sperimentando la scrittura collettiva in articoli e saggi filosofici. Tra le loro pubblicazioni L’immagine carnefice (Cronopio 2017).

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“Il mio nome è Rita” – per info sul programma www.ritaatria.it


“A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare?” Pippo Fava

Le Siciliane.org – n.69


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