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E’ vero, le pietre sono finite

Claudio Tamagnini

È da poco uscito il libro Palestina terra promessa, di Claudio Tamagnini – autore di questo articolo – per le edizioni Nulla Die. Utilizzando lettere scritte durante i sei mesi vissuti in Palestina, Claudio racconta per argomenti la situazione attuale in Palestina, con uno spaccato dell’occupazione, vissuta sulla propria pelle. Gli israeliani sono convinti di essere delle vittime e che tutti i paesi che li circondano sono loro nemici. Ovvio, devono difendersi. Quindi il loro sarebbe un problema di sicurezza. Al di là di come la si pensa, è sicurezza distruggere le case, sradicare gli ulivi, privare i cittadini palestinesi di ogni diritto?

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Disegno di Amalia Bruno

Disegno di Amalia Bruno

Duecentoquarantotto (248) morti di cui 67 bambini, i famosi pericolosi terroristi eliminati, 1.500 feriti di cui alcuni gravi che muoiono successivamente. Si parla di 250 milioni di dollari in danni materiali, palazzine distrutte, scuole, ospedali, strade, sistemi elettrici e idrici, il sistema fognario, tre librerie, diverse moschee. Gli israeliani continuano a pensare a modo loro, che avevano diritto a una terra, che sono un popolo perseguitato, che i paesi arabi intorno a loro sono nemici. Il loro punto di vista quindi è che Israele deve difendersi, perché gli arabi li odiano e li vogliono distruggere. Insomma un problema di sicurezza. Tanti altri seguitano a pensare che l’occupazione israeliana è illegale, che quello è un regime di apartheid, che ripetono un sistema coloniale come lo hanno ereditato dagli inglesi. Cercando di ragionare come loro, uno si imbatte negli accordi internazionali, le norme che in qualche modo valgono per l’ONU. Esiste la possibilità che uno stato debba ricorrere ad una occupazione: in questo caso la violenza verso l’occupato viene tollerata in quanto funziona come occupazione “temporanea”, compensata dalla ricerca di una soluzione di pacificazione veloce. Con questa premessa l’occidente ha sempre tollerato le violenze israeliane. Ma qui siamo arrivati a 73 anni per la Nakba cioè l’esodo della popolazione araba palestinese durante la guerra civile del civile del 1947-48, e 54 anni per la nuova occupazione. Dove sono l’occupazione “temporanea” e la pace “veloce”? Tanto più che, giusto o sbagliato che sia, gran parte dei paesi vicini hanno firmato accordi di pace, conseguentemente non possono più essere considerati nemici. Sembra che il problema sia un altro: quella di Israele è una volontà coloniale, come quella che ha mosso la “occupazione” degli attuali Stati Uniti, del Canada, dell’Australia, sempre con massacro degli “indigeni”, fino a poter dire che non c’era nessuno prima di loro e loro sono diventati i paesi democratici.

BASTA MANIPOLAZIONI MEDIATICHE

Nonostante questo sia avvenuto non molto tempo fa, la ripetizione di queste occupazioni non ha nessuna giustificazione nelle pur tolleranti normative dell’ONU. E dopo tutti gli anni passati i Palestinesi sono ancora lì, non se ne vanno e non si può ucciderli tutti (per quanto impegno ci mettano gli israeliani). Quindi non sanno proprio che fare, mentre, con esasperante lentezza, la comunità internavelocità, sembra che anche i tempi di reazione della comunità internazionale procedano con lo stesso ritmo penoso dell’occupazione “temporazionale comincia a non accettare più di credere a un’occupazione “temporanea” con la “pace” in arrivo. Abbiamo visto il New York Times, certamente non un giornale di sinistra, pubblicare in prima pagina le foto dei 67 bambini uccisi per niente a Gaza. Nel 2012, con l’operazione “Colonna di nuvole”, sul New York Times per la prima volta era comparsa in prima pagina la foto di un padre gazawi con in braccio un bambino morto. Nove anni dopo, abbiamo di nuovo una prima volta sul NYT. Non brillano certo per nea”. Diverso invece è il modo in cui hanno reagito i popoli nel mondo. Abbiamo visto manifestazioni oceaniche in paesi dove assolutamente non è normale, gli Stati Uniti per esempio. Di solito negli USA le manifestazioni sono di poche decine di persone che, fornite di cartelli, camminano avanti e indietro lungo un marciapiede: questo in quanto la polizia tende a non autorizzare l’interruzione del traffico, la libertà di muoversi in macchina è sacrosanta. In qualche occasione le grandi manifestazioni sono nei parchi, per esempio davanti alla Casa Bianca. Ma ora abbiamo visto enormi cortei occupare viali bloccati al traffico, a New York, a Detroit, a Chicago, e poi nelle capitali europee e in quelle di tutto il mondo, nonostante siamo ancora freschi di divieti per il Covid. E che dire dell’unione raggiunta tra i Palestinesi? Non era mai successo: il massacro a Gaza è partito per la volontà di difendere Gerusalemme, sia la moschea Al-Aqsa che i quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan. Ma nei territori del ’48 è stato dichiarato uno sciopero generale, come c’era stato nel ’36 contro gli inglesi, e i Palestinesi della diaspora (Libano, Siria e Giordania) hanno fatto enormi manifestazioni, con il tentativo di raggiungere la frontiera e tornare in Palestina! Questo è un segnale completamente diverso, che riaccende le speranze, i Palestinesi di soli, Gaza e West Bank non sono più le campagne per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni possono prendere un nuovo slancio, come ai tempi del Sudafrica! Un altro segnale positivo e di speranza ci viene dai giovani palestinesi, soprattutto le ragazze, le seconde generazioni che sono in Italia e penso anche negli altri paesi. Sviluppano una coscienza nuova che lascia stupiti per la capacità di valutazione e di impegno dimostrata.