Mestieri d'Arte e Design // Homo Faber

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H O M O FA B E R




Haute Joaillerie, place Vendôme dal 1906

Via Condotti, 15 ROMA Via Montenapoleone, 10 MILANO www.vancleefarpels.com - +39 02 36000028


Clip Ballerina Lina Oro bianco e diamanti.




“LET TIME FLY. YOU MIGHT GET TO AN EXCEPTIONAL PLACE.” YIQING YIN,

HAUTE COUTURE CREATOR, WEARS THE VACHERON CONSTANTIN ÉGÉRIE.


IL CAPITALE UMANO Il talento degli artigiani è al centro di “Homo Faber”, la straordinaria avventura iniziata nel 2018 che, finalmente, riprende un dialogo mai interrotto. Proponendo un futuro sostenibile in cui il talento possa esprimersi e fare la differenza. di Alberto Cavalli

Quando, nel 2016, Johann Rupert e Franco Cologni hanno costituito la Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, avevano uno scopo preciso: aiutare i migliori artigiani d’Europa, spesso poco visibili e scarsamente considerati, ad affrontare le sfide della contemporaneità, diventando i nuovi protagonisti di un modo più umano di lavorare, di produrre, di vendere: in una parola, di vivere. La prima edizione di “Homo Faber”, nel 2018, è stata il trampolino di lancio per questo nuovo movimento culturale internazionale, che Franco Cologni aveva già auspicato e avviato con la sua Fondazione italiana sin dal 1995: un movimento che pone il talento umano, in tutte le sue espressioni, al centro di ogni considerazione su un futuro più sostenibile. Dove per “sostenibile” non si intende soltanto rispettoso dell’ambiente, ma anche di tutto ciò che rende straordinaria la vita: i sogni, la creatività, la bellezza. La seconda edizione di “Homo Faber”, prevista dal 10 Aprile al 1 Maggio 2022 presso la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, porta il dialogo su un piano ancora più suggestivo e prestigioso: il Giappone, ospite d’onore della manifestazione, suggerisce infatti che i più abili maestri d’arte siano dei veri e propri “tesori viventi”. Presenze preziose per la cultura, per la memoria, per l’identità dei luoghi e delle persone: capitali umani di talento e di visione, che vanno considerati e celebrati come dei beni culturali antropologici (per riprendere una formula del nostro Ministero della Cultura). Questo numero di Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture è dedicato dunque alla straordinaria avventura di “Homo Faber”: nelle pagine che seguono sarà possibile scoprire in anteprima,

attraverso il punto di vista competente dei nostri appassionati autori, le quindici mostre che comporranno la nuova edizione di questo evento unico al mondo, curato da un team di esperti che annovera nomi leggendari quali Bob Wilson, Naoto Fukasawa, Judith Clark, David Caméo, Stefano Boeri, Michele De Lucchi, Jean Blanchaert, Sebastian Herkner… Proprio in questa idea di curatela, e di cura, sta uno dei segreti di questa manifestazione, che quest’anno si allarga a tutta la città di Venezia con i percorsi di “Homo Faber in Città”: perché fare le cose con cura, scegliere, accorgersi delle differenze e valorizzarle, sono passi fondamentali per aumentare la percezione, e dunque il valore, della bellezza. Ma questo numero è anche dedicato agli “Homines Fabri”: tutti coloro che ogni giorno, con abnegazione e talento, con passione e competenza, celebrano il rito del bello e del ben fatto, perseguono un sogno fatto a mano, immaginano un futuro in cui le mani dell’uomo sapranno sempre interpretare i nostri desideri meglio di qualunque macchina. E tradurli in oggetti significativi, che lasceranno un segno. Uomini e donne artefici del proprio destino grazie alla competenza, all’amore e all’autenticità della loro vocazione, che permette loro di vincere anche le sfide più impegnative. I loro esempi, distillati lungo le pagine di questa rivista, sono il miglior commento alla meraviglia che Venezia offre a ogni visitatore non distratto: anche l’apparente fragilità può trasformarsi in forza, in resistenza e in resilienza, quando sappiamo prendercene cura. Buona lettura e buon viaggio verso l’isola di San Giorgio! • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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indice 7

N°24 SEMESTRALE DELLA FONDAZIONE COLOGNI

EDITORIALE

Il capitale umano Alberto Cavalli

20 Album Stefania Montani 30 Un’eredità di cultura e bellezza Giovanna Marchello

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Uno degli acquarelli della serie di tredici, su carta satinata in cotone,

UN’EREDITÀ DI CULTURA E BELLEZZA di Giovanna Marchello

realizzati da Sonia Maria Luce Possentini per illustrare il volume della poetessa giapponese Akiko Yosano Non dubitare dei sogni. Foto: Sonia Maria Luce Possentini©2020 Carthusia Edizioni.

68

Magie dell’ottagono Alessandra Quattordio

74

Il fascino della fragilità Giorgia Zanellato e Daniele Bortotto

78

Lo sbocciare delle forme Sylvain Roca

48

Le relazioni

82

meravigliose

QUI: Allestimento

della sala del Cenacolo Palladiano ideato

di Alessandra de Nitto

dall’architetto Naoto Fukasawa, curatore della mostra insieme a Tokugo Uchida,

Dal talento dei grandi maestri d’arte italiani nascono originali

direttore del MOA Museum of Art

creazioni ispirate al Sol Levante. Un omaggio alle storiche relazioni

di Shizuoka. Rendering: Naoto

Uno spazio, un giardino, un evento unico nel suo genere.

Fukasawa Design.

I progetti di dodici Tesori Nazionali Viventi giapponesi, per la prima

PAGINA ACCANTO:

Kazumi Murose, scatola

tra l’alto artigianato del Bel Paese e il raffinato genio giapponese. Un poetico incontro tra due culture votate all’eccellenza.

di zucca in maki-e. Tutti i

sculture, le sue creazioni combinano legno intagliato e resina fusa.

luce e ricordano la profondità delle acque

Tesori Nazionali Viventi.

del mare. Foto: Artur

Foto: MOA Museum

Hovakimyan©Julien

of Art.

Laguestre.

36

L’estetica della praticità Akemi Okumura Roy

82 Biodiversità artigianale di Jean Blanchaert e Stefano Boeri

42 Magnae Chartae Ruben Modigliani

90 Un tè con l’artigiano Alberto Cavalli

48 Le relazioni meravigliose Alessandra de Nitto

94 La sostanza della decorazione Paolo Ferrarini

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104 Lo sguardo di Eilean Paolo Sivelli

Il futuro della tradizione Andrea Tomasi

60 Artifici prodigiosi Nicolas Lemoigne

106 Ombrosa quiete Alberto Mattioli

64 Lo splendore dell’oro bianco Damiano Gullì

110 Estetica sostenibile Francesco Rossetti 114 English Version

8

coffee tables di Julien Lagueste. Autentiche

interagiscono con la

fatta di grazia e di contrasti.

maestri nell’articolo sono

“Les Antilles”, composizione di tre

I colori della resina

volta insieme a Venezia, prendono vita in un’intensa atmosfera

in lacca urushi con decoro


LE OPINIONI

16 Mostrarsi per farsi riconoscere Ugo La Pietra 18 Il senso del fare Stefano Micelli 112 L’arte di creare il futuro Franco Cologni

Ombrosa quiete

QUI: Una scena della

rappresentazione di Madama Butterfly all’Opéra di Parigi, nel 1993: la produzione firmata Bob Wilson presenta raffinati costumi di Frida Parmeggiani

BIODIVERSITÀ

La SOSTANZA della DECORAZIONE

ARTIGIANALE

di Paolo Ferrarini

e coreografie dell’artista giapponese e collaboratrice di lunga data di Wilson, Suzushi Hanayagi. Foto: Tutti i diritti riservati.

Nel 1993, la direzione artistica di Robert Wilson

PAGINA ACCANTO: The

WAITING chair, sedia

trasforma l’opera “Madama Butterfly”

in legno laccato nero, bambù e acciaio, dal

in un universo ipnotico che crea un nuovo

design insolito, utilizzata per le diverse scene.

rapporto con la scena, abbattendo il tempo

Foto: Tutti i diritti

e lo spazio fino a diventare un viaggio eterno

riservati.

nella bellezza.

Una selezione eclettica di opere realizzate da oltre cento maestri invita il visitatore ad apprezzare la sorprendente varietà dell’Europa artigiana.

di Alberto Mattioli

Uno spazio animato e poliedrico che valorizza la ricca diversità dei territori grazie a un linguaggio comune, quello dell’Europa di domani. Alcune grandi Maison del lusso svelano la nascita delle loro creazioni mostrando gli artefici all’opera.

di Jean Blanchaert e Stefano Boeri

L’ispirazione, i processi, e le tecniche che guidano i grandi maestri d’arte dialogano tra loro e offrono al pubblico un’esperienza intensa e autentica.

nell’atelier, è frutto di tre savoir-faire emblematici: gioielleria, intarsio di paglia e glittica. Foto: © Cartier.

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MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE Semestrale – Anno 13 – Numero 24 - Marzo 2022 mestieridarte.it DIRETTORE RESPONSABILE

MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE

Alberto Cavalli

è un progetto della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte

DIRETTORE EDITORIALE

Franco Cologni DIREZIONE ARTISTICA

Lucrezia Russo CONSULENTE EDITORIALE

Ugo La Pietra

Via Lovanio, 5 – 20121 Milano fondazionecologni.it © Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, seppur parziale, di testi e fotografie.

H O M O FA B E R

IN COPERTINA:

I curatori dell’edizione 2022

REDAZIONE

Susanna Ardigò Alessandra de Nitto Lara Lo Calzo Francesco Rossetti

HOMO FABER

spilla rimovibili. Il pezzo, qui ritratto in lavorazione

24/2022

cofanetto prezioso di ispirazione giapponese, ornato di bracciale e

MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE

Per “Homo Faber” 2022, Cartier ha disegnato un

I.P.

Jean Blanchaert: Nel 2018, durante la prima edizione di “Homo Faber”, nella sala “Best of Europe” arrivarono centinaia di Craft Masterpieces reperiti in tutti gli angoli del Vecchio Continente. Stefano Boeri, in piena sintonia con la curatela, inventò un allestimento ispirato a un fiume “meandriforme” che dava l’idea di attraversare tutta l’Europa, quel territorio quadrato compreso fra Islanda, Russia, Cipro e Portogallo. Per la seconda edizione di “Homo Faber”, la sala “Next of Europe” sarà il risultato di una curatela e di un allestimento molto diversi da quelli di quattro anni fa, pur essendo il curatore e l’architetto le stesse persone. Già il titolo, ideato da Alberto Cavalli, suggerisce l’obiettivo: mettere in rilievo il lavoro degli artigiani, quello che si chiama Craft Masterpiece; stimolare nei giovani il desiderio di seguire il talento delle proprie mani quando esse siano abili e capaci e apprendere un mestiere da un maestro in bottega piuttosto che correre appresso a chimere alla moda. L’imperatore Costantino aveva già capito tutto nel

FONDAZIONE COLOGNI DEI MESTIERI D’ARTE

Già due milioni di anni fa, Homo habilis cominciò a usare le mani e seppe riconoscere le qualità dei vari materiali per costruirsi gli utensili. Siamo nel Medio Pleistocene. Il nostro vero antenato è però Homo sapiens, vissuto un milione e ottocentomila anni dopo, cioè duecentomila anni or sono. Celebre è l’uomo di Neanderthal, con un’intelligenza superiore a qualsiasi essere fino ad allora esistito. In milioni di anni di evoluzione, le mani hanno affinato i loro movimenti stimolando lo sviluppo del cervello e il cervello a sua volta ha richiesto alle mani compiti sempre più raffinati. L’Homo faber dell’allocuzione latina homo faber fortunae suae, cioè l’essere umano artefice della sua fortuna è anche la creatura in grado di esprimere al meglio le proprie capacità nell’immaginare, creare, fabbricare; l’essere vivente che ama costruire perché è orgoglioso del proprio lavoro e vuole realizzare in vita qualcosa di bello e duraturo. La manualità cambia ma rimane il motore di tutto.

di “Homo Faber”, ritratti sullo

PUBBLICITÀ E TRAFFICO

Scalone del Longhena della

Mestieri d'Arte Srl Via Statuto, 10 - 20121 Milano

Fondazione Giorgio Cini. Foto di Laila Pozzo.

TRADUZIONI

Traduko Giovanna Marchello (editing e adattamento) PRESTAMPA E STAMPA

Grafiche Antiga Spa MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Artigiani della parola

Giovanna Marchello Jean Blanchaert

Gallerista, curatore, critico d’arte e calligrafo, da più di trent’anni conduce la galleria di famiglia fondata dalla madre Silvia nel 1957 e da sempre specializzata i n materiali contemporanei. Dal 2008 è collaboratore fisso del mensile Art e Dossier (Giunti Editore). Nel 2018 è stato curatore della sala Best of Europe di “Homo Faber”, alla Fondazione Cini, a Venezia.

Damiano Gullì

I suoi ambiti di ricerca sono l’arte contemporanea e il design. Da dicembre 2020 è Head Curator del Public Program di Triennale Milano. Dal 2004 si occupa di comunicazione per Triennale Milano, dove dal 2018 è anche Assistente Curatore del Direttore del Museo del Design Italiano. Ha curato diverse mostre in Italia e i suoi testi compaiono in cataloghi e pubblicazioni italiani e internazionali. 12

Ugo La Pietra

Paolo Ferrarini

Giornalista, docente e curatore, si occupa di innovazione culturale tra moda e design. È titolare del corso di Fashion and Industrial Design al Polo di Rimini dell’Università di Bologna e insegna metodologia della progettazione presso Accademia Costume & Moda a Roma e Milano. È editor europeo di Cool Hunting e collabora con testate quali Interni, Vogue Italia e Eye Magazine.

Artista, architetto, designer e soprattutto ricercatore nella grande area dei sistemi di comunicazione. La sua attività è nota attraverso mostre, pubblicazioni, didattica nelle Accademie e nelle Università. Le sue opere sono presenti nei più importanti Musei internazionali.

Cresciuta in un ambiente internazionale tra il Giappone, la Finlandia e l’Italia, appassionata di letteratura inglese, vive e lavora a Milano, dove si occupa da 30 anni di moda. Segue progetti culturali legati ai mestieri d’arte, collabora con alcune fondazioni ed è luxury goods contributor del mensile russo Kak Potratit.

Ruben Modigliani

Giornalista dal 1994, appassionato di design e architettura da sempre. Ha lavorato nelle redazioni di D la Repubblica delle Donne, Grazia Casa, Elle Decor Italia, AD. Appassionato di grafica (e di molte altre arti applicate), ama individuare e raccontare l’evoluzione del gusto. Dal cucchiaio alla città.

Alberto Mattioli

Nicolas Le Moigne

Dirige il Master of Advanced Studies in Design for Luxury & Craftsmanship all'ECAL/ Università d’Arte e Design di Losanna. Questo corso unico nel suo genere permette agli studenti di lavorare in stretta collaborazione con prestigiose Maison per approfondire la loro formazione nel design in aree di eccellenza.

Alberto Mattioli è giornalista della Stampa per la quale è stato redattore della Cultura, caposervizio agli Spettacoli e corrispondente da Parigi. Esperto d’opera, collabora con i maggiori teatri italiani e stranieri e con le principali riviste specializzate. Ha scritto sette libri, due libretti e alcune migliaia di articoli.

Stefano Micelli

Insegna International Management all'Università Ca' Foscari di Venezia. La sua attività si concentra sulle ragioni del successo della manifattura italiana sui mercati internazionali mettendo a fuoco le connessioni fra innovazione tecnologica, design e saper fare della tradizione


Paolo Sivelli

Sylvain Roca

Stefania Montani

Giornalista, ha pubblicato tre guide alle botteghe artigiane di Milano e una guida alle botteghe artigiane di Torino. Ha ricevuto il Premio Gabriele Lanfredini dalla Camera di Commercio di Milano per aver contribuito alla diffusione della cultura e della conoscenza dell'artigianato.

Scenografo di mostre temporanee e permanenti e designer d'interni esclusivi, si è formato tra Parigi, Montreal e Tokyo. Vive in Francia ma i suoi progetti internazionali lo portano a viaggiare in tutto il mondo.

Attratto dall’acqua (fin dall’adolescenza pratica canottaggio) approda sul Lago Maggiore dove coltiva la passione del restauro di scafi tradizionali e della ricerca storica. Nel 2013 sale sul podio del miglior restauro europeo del Classic Boat Awards. Nel 2018 vince a Trieste il riconoscimento di miglior restauro italiano AIVE. Fonda e presiede l’associazione Vele d’Epoca Verbano. Ad oggi è presidente della Federazione Italiana Barche Storiche per la tutela della cultura nautica tangibile e intangibile. Zanellato/Bortotto

Alessandra Quattordio

Akemi Okumura Roy

Nata a Tokyo, ha vissuto a Lima e Chicago, ricevendo un'educazione internazionale. Tornata in Giappone, ha lavorato nella comunicazione ed è stata responsabile delle pubbliche relazioni e della pubblicità di molti importanti marchi della moda e del lusso. Ora vive in Scozia insieme al marito, fotografo britannico, ed è coordinatrice per diversi media giapponesi.

Fotografa cosmopolita Laureata in Storia dell’Arte all’Università Statale di Milano, ha svolto a lungo attività giornalistica presso AD Architectural Digest. Oggi collabora con il Corriere della Sera e alcune riviste culturali, occupandosi di arte e design. Insegna Storia del Design del Gioiello all’Istituto Europeo di Design.

Andrea Tomasi

Laureato in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo a Bologna, inizia la sua carriera come critico cinematografico. Dopo aver lavorato come caporedattore per diversi settimanali, nel 2018 inizia la sua collaborazione con la Michelangelo Foundation per la realizzazione della prima edizione di “Homo Faber”. Dal 2020 dirige la “Homo Faber” Guide, una piattaforma online che consente di scoprire artigiani d’eccellenza in Europa e in altri Paesi extra-europei.

Giorgia Zanellato e Daniele Bortotto fondano il loro studio di design a Treviso nel 2013. Il loro lavoro è contraddistinto da una lunga e continua ricerca sulla relazione tra i luoghi e lo scorrere del tempo, condotta attraverso l’analisi e la reinterpretazione di tecniche artigianali legate al territorio.

I caratteri tipografici fanno parte della collezione della Tipoteca Italiana. (www.tipoteca.it)

MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Organised by

Under the high patronage of

In partnership with

under the patronage of the European Parliament

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Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation


CRAFTING A MORE HUMAN FUTURE 2022: I TESORI VIVENTI D’EUROPA E DEL GIAPPONE Artigiani di talento Opere sorprendenti Una nuova prospettiva

Biglietti disponibili su homofaber.com Vendita limitata in loco

10 aprile - 1 maggio 2022 FONDAZIONE GIORGIO CINI E IN TUTTA LA CITTÀ DI VENEZIA

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OPINIONI

la piet

L’artista-artigiano è, tra gli artisti, quello che vive più di altri creativi il proprio “isolamento”. Questa condizione lo porta ad esplorare territori poco conosciuti ma lo costringe anche

FATTO AD ARTE

ad avere rare occasioni di verifica e di confronto.

Mostrarsi per farsi riconoscere Confrontarsi per crescere e migliorare! Questo è il vero atteggiamento che si dovrebbe praticare continuamente all’interno delle varie discipline artistiche. Per tanti anni (fino agli anni Cinquanta del secolo scorso), l’artigianato artistico di eccellenza veniva regolarmente presentato nelle riviste come Domus o attraverso le rassegne come la Biennale di Monza o la Triennale di Milano. Poi, per molti anni, il silenzio. Solo negli anni Ottanta, con il recupero delle arti applicate e della cultura del fatto a mano, si attivarono diverse iniziative rivolte alla scoperta e anche alla verifica, e quindi al confronto, delle varie espressioni distribuite sul nostro territorio. Dalle prime mostre sperimentali di “Abitare il Tempo” a Verona e “Abitare con Arte” a Milano, ci furono in seguito veri e propri tentativi per far riemergere la formula delle Biennali dedicate alle arti applicate: vere e proprie rassegne di “eccellenza”. Basterebbe ricordare la rassegna “Masterpieces” organizzata a Torino da Enzo Biffi Gentili, o le edizioni biennali di “Artigianato Artistico” che organizzai a Todi e a Boario Terme tra la fine degli anni Novanta e primi anni del nuovo millennio. Il confronto può diventare quindi lo strumento più utile anche per far crescere la nostra produzione, all’interno del più valorizzato mercato internazionale di questo particolare settore. Settore sostenuto, fuori dalla nostra realtà nazionale, da musei, istituzioni, scuole, gallerie, mercato, quotazioni… Un insieme di strutture che potrebbero accogliere e sostenere anche l’attività del nostro artigianato artistico. Il nostro patrimonio artigianale ha già avuto esempi virtuosi, per quanto riguarda la crescita di strutture di confronto e valorizzazione, che ci possono illuminare: non solo le già citate mostre e i tentativi di Biennali, ma penso soprattutto a ciò che si fece negli anni Cinquanta per il mobile artigianale della Brianza con la “Permanente” di Cantù, istituzione promossa da architetti come De Carli, Zanuso, Parisi, che diede per decenni il marchio di qualità internazionale al mobile di Cantù. Ritrovare le arti applicate, ritrovarsi per uno stimolante confronto, fino al più ambizioso progetto di definire una “permanente”, è stato e continua ad essere una necessità per sviluppare il grande patrimonio dell’artigianato artistico italiano e internazionale. Tutte le discipline, dall’architettura all’arte, dal cinema al fumetto, coltivano da tempo progetti nazionali e internazionali per far conoscere “il meglio” che si sta facendo all’interno del loro specifico disciplinare. Il mondo del design ancora non ha saputo affrontare questo modello di confronto. L’oggetto d’uso e di consumo sembra non avere ancora raggiunto il livello di “valore” e “significato” che hanno le altre arti. Ma l’artigianato artistico merita questo genere di iniziative, se non altro per riconoscere lo sforzo creativo, la passione, la voglia di sperimentazione… tutti valori che connotano questa area disciplinare. Mi sembra di poter affermare che in questi ultimi anni la Fondazione Cologni, attraverso l’impegno e la partecipazione di esperti, studiosi e teorici delle arti applicate, stia contribuendo alla messa a punto di vari strumenti (mostre, premi, pubblicazioni) capaci di raccontare ma soprattutto mettere a confronto le più diverse esperienze creative. Il mondo dell’artigianato artistico guarda con interesse e partecipazione alla crescita di queste iniziative che vanno ben oltre la semplice (ma pur utile) divulgazione. “Homo Faber” sta diventando un centro di conoscenza, di sperimentazione e di confronto internazionale, capace quindi di emergere rispetto alle tante iniziative che si sono succedute in questi ultimi decenni. Emergere per far entrare il nostro artigianato artistico all’interno della grande area internazionale del craft, recuperando così lo straordinario patrimonio creativo che ha sempre distinto il nostro Paese. •

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Ogni crisi rappresenta un’opportunità per riflettere sulla società e sui presupposti del vivere in comune. All’indomani delle vicende del 2008 che hanno segnato l’inizio della crisi finanziaria, ci siamo interrogati su lavoro PENSIERO STORICO

Il senso del fare

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OPINIONI

e ricchezza.

L’analisi delle dinamiche del settore immobiliare ha evidenziato come una larga fascia della popolazione, soprattutto negli Stati Uniti, avesse cominciato a pensare che la finanza – non il lavoro – potesse rappresentare l’origine della ricchezza delle famiglie. Fra le ragioni principali del successo del libro di Richard Sennett, L’uomo artigiano, c’era la determinazione con cui il sociologo americano guardava al lavoro artigiano come vero e proprio antidoto rispetto a una società completamente finanziarizzata. Richard Sennett ha posto per primo una questione di carattere generale: il lavoro artigiano non si distingue solo per il suo contributo all’economia di alcuni settori – ad esempio quello dei prodotti di alta qualità – ma soprattutto per la sua capacità di promuovere caratteristiche della persona che consentono alle comunità di riscoprire legami durevoli e un senso di marcia comune. Anche la crisi innescata dal Covid 19 ha messo in moto una riflessione profonda sul ruolo e sul valore del lavoro nelle società avanzate. Il ragionamento si è sviluppato su più fronti. Una prima considerazione riguarda il nodo delle remunerazioni. In questi due anni ci siamo resi conto che molti lavori non sono pagati a sufficienza nonostante il loro effettivo contributo alla società. Queste considerazioni valgono, ad esempio, per i mestieri della cura, preziosi durante la pandemia ma poco riconosciuti, dal punto di vista economico, rispetto ad altre professionalità. Un secondo ordine di considerazioni riguarda il significato profondo del lavoro. La crisi pandemica ha costretto una larga parte della popolazione a lavorare da casa. In molti hanno profittato dello smart working per riflettere sulla propria condizione lavorativa e sul senso da attribuire al proprio impegno quotidiano. Questo momento di ripensamento collettivo ha generato conseguenze inaspettate soprattutto fra i tanti impiegati nella cosiddetta gig-economy (l’economia dei lavoretti). In molti hanno dato le dimissioni dal proprio posto di lavoro in attesa di trovare qualcosa di più interessante e significativo. Rider delle piattaforme della distribuzione del cibo a domicilio, dipendenti delle grandi catene distributive, operatori della filiera logistica del commercio elettronico sono alcuni dei profili che hanno dato le dimissioni convinti della possibilità di trovare occupazioni migliori. Il fenomeno della “Great Resignation”, di dimissioni collettive su larga scala, parla di un mondo che rifiuta la logica del lavoro standardizzato, regolato da procedure e algoritmi. In molti chiedono di poter esprimere la propria personalità sul lavoro, domandano un margine di autonomia per operare scelte consapevoli, rivendicano uno spazio di socialità autentica rispetto ai destinatari del proprio impegno. Dieci anni fa la crisi ha posto a confronto un’economia fondata sul lavoro e un’economia centrata sulla finanza. All’indomani della crisi pandemica, la contrapposizione si gioca piuttosto tra lavori “cattivi” e lavori “buoni”, come sono stati definiti da due famosi economisti, Dani Rodrik e Charles Sabel. Il lavoro artigiano per molte ragioni rappresenta una forma di lavoro buono, a tutto tondo. La domanda, sempre più visibile e consapevole, di “lavoro buono” è un monito alle imprese e alla politica affinché si impegnino a trovare il modo di avviare un cambiamento di direzione generalizzato. Formazione, incentivi fiscali, offerta di spazi lavorativi a costi contenuti, sostegno all’imprenditorialità sono alcune fra le leve che manager e amministratori della cosa pubblica hanno a disposizione per favorire una transizione verso una nuova idea di lavoro e di vivere in comune. Si tratta di una domanda collettiva che non può più essere aggirata. •

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© Dario Garofalo per Venezia su Misura


Album di Stefania Montani


Adriano Berengo Fondamenta dei Vetrai 109/a Murano, Venezia T +39 041739453 berengo.com

© Dario Garofalo per Venezia su Misura

Fondazione Berengo San Marco 2847, Venezia T +39 041739453 fondazioneberengo.org

Una laurea a Cà Foscari, un dottorato in letteratura comparata conseguito a New York. «Ma la passione per il vetro, così come per la mia città natale, erano nel mio DNA: in poco tempo decisi di abbandonare l’America per fare ritorno a Murano.» confessa Adriano Berengo che dal 1982, anno in cui decise di diventare editore di opere in vetro, non ha mai smesso di far crescere la sua attività. «Mi sono ispirato a Peggy Guggenheim ed Egidio Costantini che negli anni Sessanta avevano invitato artisti come Picasso e Chagall a creare opere in vetro: seguendo le loro orme, ho iniziato nel 1986 a promuovere il mondo dell’arte contemporanea, in vetro. Ho fatto incontrare i maestri vetrai di Murano con alcuni importanti artisti internazionali da me coinvolti, con lo scopo di creare grandi opere d’arte. Da queste collaborazioni sono state

sviluppate anche tecniche nuove, molto interessanti,» commenta soddisfatto Berengo. Nella fornace attrezzata con tre grandi forni, un gruppo di maestri specializzati danno forma alle opere più straordinarie. Sono maestri soffiatori eredi di una tradizione millenaria di cui Venezia è signora indiscussa. «Tanti artisti hanno lavorato, collaborato ed esposto le loro opere nella nostra fornace, lavorando fianco a fianco con i maestri vetrai, e tra questi Tony Cragg, Jaume Plensa, i fratelli Chapman e César» racconta Berengo. Alcuni pezzi sono monumentali, come il lampadario Blossom Chandelier creato da Ai Weiwei con un intreccio di rami, fiori, uccellini, tutti ovviamente in vetro soffiato. Oggi Adriano Berengo dispone di una fornace, dove i maestri vetrai realizzano le opere in vetro collaborando con gli artisti, e di una Fondazione creata nel 2009 che ha sede a Palazzo Cavalli Franchetti, non lontano dal Ponte dell’Accademia, dove artisti e designer espongono le loro creazioni. «Il numero delle copie di ogni opera viene deciso insieme agli artisti. In genere ne realizziamo otto, di cui una per l’artista, una per me, le altre per il mercato dell’arte.» Berengo ha organizzato mostre in tutto il mondo. «Credo di essere l’unico ad avere 1000 pezzi di arte contemporanea pronti per la consegna in 24 ore,» afferma con soddisfazione.

Ana Berger c/o Unisve, Dorsoduro 3077, Venezia T +41 796602325 anabee.rouge@yahoo.fr

Ricercatrice e artista tessile, specializzata in tessuti e kimono giapponesi antichi e contemporanei,

Ana Berger è un’appassionata collezionista di raffinati manufatti che espone in Musei e Gallerie, curando in prima persona e pubblicando i suoi cataloghi. Attualmente sta preparando un libro sull’arte tessile giapponese, partendo dall’indagine delle tradizioni più antiche, con l’intento di illustrare la continuità di questo saper fare ancestrale fino ai nostri giorni: per dare una testimonianza della sua attualità. Le attività di Ana Berger, così come i suoi interessi, sono molteplici: infatti, oltre allo studio dei processi artigianali nelle varie epoche e al collezionismo di tessuti, Ana si occupa anche di fashion design e di scenografia, collaborando alla messa in scena di opere teatrali e cinematografiche. Ma la sua grande passione rimane quella per i tessuti giapponesi. «Per entrare nei segreti di questa antica tradizione,» racconta la studiosa e collezionista «ho voluto ampliare le mie conoscenze non solo con la ricerca ma anche imparando le tecniche della tintura e della lavorazione delle fibre. I miei insegnanti sono stati dei maestri tessitori giapponesi, i cosiddetti


Fallani Venezia Cannaregio 50001/A, Venezia T +39 3355851689 fallanivenezia.com

Nel cuore di Venezia c’è un laboratorio che stampa edizioni di grande qualità, riuscendo a interpretare e tradurre in grafica i diversi linguaggi espressivi di pittori, scultori, fotografi, illustratori, grafici, designer, street artist. Una vera eccellenza del made in Italy, aperta nel 1968 da Fiorenzo Fallani (che fu anche docente all’Accademia di Belle Arti di Venezia), il quale si cimentò da subito con tecniche di stampa allora innovative, appena importate dall’America. E fu subito successo. Chiamato nel 1970 alla XXXV Biennale di Venezia per lavorare al laboratorio di serigrafia, Fiorenzo conosce artisti provenienti da tutto il mondo, tra i quali William Weege, artista americano, che resterà oltre un anno a Venezia, lavorando nel laboratorio di Fallani e stringendo con lui una grande amicizia. All’attività artistica di laboratorio si è sempre affiancata anche l’attività commerciale, prima con la zincografia e la fotolito, poi, con l’avvento dei figli di Fiorenzo, con le tecnologie digitali. Oggi a continuare il mestiere e tenere alto il nome Fallani c’è il figlio di Fiorenzo, Gianpaolo, cresciuto in laboratorio, che ha saputo fare tesoro degli insegnamenti del padre e ha sviluppato ulteriormente l’attività. Ci racconta: «Il nostro è un laboratorio artigianale che stampa edizioni di alta qualità, capace di interpretare al meglio l’opera dell’artista per tradurla in grafica: mettiamo a disposizione la nostra competenza tecnica e la nostra sensibilità, che sono poi l’essenza stessa dell’essere artigiano. Ogni

© Dario Garofalo per Venezia su Misura

Tesori Viventi, quegli artigiani che da generazioni si tramandano le tecniche e i segreti del loro mestiere. Per rendere omaggio alla loro arte, ho voluto allestire questa mostra dal titolo “Japan’s Textiles–Fibers, Threads, Gestures & Beauty”.» Attraverso la sua passione e conoscenza dei tessuti e dell’abbigliamento giapponesi antichi e contemporanei, Ana Berger introduce il visitatore nel mondo straordinario di dodici maestri di tessitura, tintura e altre abilità necessarie per realizzare la magnificenza di queste opere. Un percorso alla scoperta dell’incredibile diversità delle fibre e dei filati che vengono utilizzati per produrre questi tessuti, poiché il Giappone è uno dei paesi più ricchi da questo punto di vista. Da Hokkaido alle isole Ryukyu, da Honshu alle altre isole, saranno in mostra numerosi materiali spesso sconosciuti, arricchiti dalle spiegazioni sui vari metodi e procedimenti per produrre i modelli. L’esposizione sarà completata da foto e video.

lavoro ha la sua storia, ricca di aneddoti e di emozioni. Come la pubblicazione dell’opera pittorica di Dario Fo, col quale ho avuto il piacere di lavorare e realizzare una grafica pochi mesi prima della sua scomparsa, o la collaborazione con Giampiero Bodino, col quale ho partecipato all’edizione 2018 di Doppia Firma, al Salone del Mobile di Milano. Dal nostro laboratorio, in 50 anni di attività, sono passati circa 250 artisti provenienti da tutto il mondo. Questa è stata una grande opportunità di scambio che ci ha permesso di crescere ulteriormente.» La serigrafia Fallani ha stampato edizioni di pregio e realizzato più di mille diverse opere. Gianpaolo Fallani è stato insignito del titolo di MAM-Maestro d’Arte e Mestiere dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte. Oggi in laboratorio con lui ci sono i figli Francesca e Alberto, che condividono la stessa passione del padre e del nonno e sono pronti a continuare la tradizione di famiglia.


Galleria d’Arte Caterina Tognon

© Francesco Allegretto

Cà Nova di Palazzo Treves in Corte Barozzi San Marco 2158, Venezia T +39 3488561818 – +39 0415201566 caterinatognon.com

È una delle gallerie più importanti d’Europa, per quanto riguarda il vetro. E in effetti Caterina Tognon collabora con artisti e designer internazionali di altissimo livello. Perché il vetro è la sua grande passione. «Sono sempre stata innamorata della lavorazione del vetro artistico che si soffia a Murano,» confessa la dinamica signora. «Ho lavorato come direttrice artistica e di produzione in una fornace negli anni Ottanta. Poi ho intuito che questo fare di grande qualità poteva avere un futuro solo se legato alle arti visive e non solo al design e alle arti applicate. Ma occorreva trovare la strada per sostenere i costi.» Così Caterina Tognon inizia a reperire artisti non solo a Murano ma in tutto il mondo, decide di creare uno spazio per dare visibilità alle loro opere. Sceglie anche di includere alcune creazioni prodotte ai primi del Novecento,

cioè nell’ambito di quei movimenti artistici dedicati alla produzione del vetro artigianale. Apre la sua prima galleria a Bergamo, nel 1991. Poi decide di trasferirsi a Venezia, nel 2004. «L’avventura in tutti questi anni è diventata più ampia e complessa, anche se gli artisti sono rimasti gli stessi dall’inizio della mia attività: italiani, olandesi, canadesi, boemi. È stato molto bello vederli crescere.» Oltre a curare la sua galleria, Caterina Tognon è fondatrice e coordinatrice di Cotisse (Associazione culturale no profit), progetto nato nel 2011 con lo scopo di sostenere gli artisti maestri vetrai nella ricerca e nella sperimentazione, facendo conoscere nel mondo il valore del patrimonio umano, artistico e tecnologico rappresentato dall’antica tecnica di lavorazione del vetro a Murano. «Ho voluto dare all’associazione il nome di “cotisso” che in gergo sta ad indicare un blocco di vetro informe, lucido, colorato e di forma irregolare, i grezzi della fusione, solitamente accatastati all’ingresso di ogni forno in attesa di essere aggiunti alla sabbia per la fusione. A Murano si vede subito il cotisso in vetro non appena si entra in una fornace. In attesa del progetto di trasformazione che avviene grazie al maestro vetraio.»

Cesare Toffolo Fondamenta dei Vetrai 37, Murano, Venezia T +39 041736460 toffolo.com

Nato in una famiglia dalle tradizioni artistiche (il nonno Giacomo e il padre Florino erano maestri vetrai alla Fornace Venini), Cesare Toffolo è uno straordinario maestro

artigiano che, avendo appreso le basi del mestiere da suo padre, le ha poi affinate inventando anche nuove tecniche. La sua fama di “miglior tecnico della fiamma al mondo” si è presto diffusa anche oltre confine, tanto da essere invitato a insegnare negli Stati Uniti e in Giappone, dove ha formato molti altri artisti, professionisti del vetro. Il suo quartier generale è a Murano, in un edificio storico del XIV secolo. Il negozio, con un’elegante vetrina fatta a bifora, introduce alla galleria dove sono esposte le sue opere. Non c’è limite alla sua creatività che spazia dai vetri ispirati alla tradizione veneziana del Settecento e del Cinquecento, alle forme più moderne, sviluppate nel periodo in cui era negli Stati Uniti. Straordinari i suoi impalpabili abbellimenti, quali fiori, delfini e ornamenti classici, che impreziosiscono calici sottili, coppe, brocche, clessidre, rifacendosi alla tradizione dei secoli d’oro della Serenissima. Notevoli anche le creazioni dalle forme più moderne, sviluppate mentre era in America. Linee minimali, anche un po’ ironiche, spesso accompagnate da minuscole figure di uomini


che completano l’opera. In fondo, oltrepassata l’esposizione, si giunge al suo studio. Qui, lunghi tavoli, tubi di vetro vuoti all’interno e bacchette piene di vari diametri e spessori, foglie d’oro. E poi i cannelli per la fiamma. In questo luminoso spazio Cesare Toffolo lavora con i figli Emmanuel ed Elia, ai quali ha insegnato i segreti di famiglia di questa arte magica. «Personalmente mi dedico al vetro soffiato e non solido: amo lavorare a mano libera, penso sia la condizione ideale per lasciare briglia sciolta alla creatività. Anche ai miei figli ho cercato di insegnare le tecniche dando loro una panoramica sulle diverse fasi delle lavorazioni: ma ho sempre lasciato a ognuno di loro la possibilità di esprimere la loro “anima”.» E questo è proprio palpabile: le creazioni che escono dal suo studio hanno davvero un’anima. Cesare Toffolo è il fondatore del Centro Studio Vetro, associazione nata a Murano nel 1997, volta a promuovere gli scambi intorno al vetro, in Italia e all’estero.

Damocle San Polo 1311, Calle del Perdon, Venezia T +39 3468345720 edizionidamocle.wordpress.com

Pierpaolo Pregnolato è un giovane e colto imprenditore che ha voluto rendere omaggio alla tradizione della sua famiglia, dando vita a una casa editrice indipendente specializzata nella pubblicazione di tascabili in doppia lingua e libri d’artista. Il suo bookshop nel cuore di Venezia è a due passi dal Ponte di Rialto. Qui, nonostante lo spazio ridotto, Pierpaolo è riuscito a sfruttare ogni angolo posizionando non solo i libri della casa editrice Damocle sugli scaffali, ma sistemando anche due piccole presse tipografiche con le quali, quando non ci sono clienti in negozio, crea libri di piccolo formato che cuce sul posto. Ha anche delle cassettiere contenenti i caratteri in piombo e in legno, per comporre i testi. Un vero universo racchiuso in soli 11 metri quadri. Ci spiega l’editore nonché direttore artistico della casa editrice: «La cura con cui viene realizzato un libro Damocle cerca di rendere omaggio alla tradizione libraria che

mi è stata trasmessa dal paziente lavoro artigianale e dal bagaglio culturale che ho ereditato dai miei nonni Ernst Stockhausen e Luigina Vianelli, nonché da Giulio Vianelli, mio bisnonno e fondatore nei primi del Novecento del Premiato Stabilimento Tipografico e Legatoria Vianelli di Chioggia.» Il legame con Chioggia è comunque rimasto: è infatti in questa città, dove è nata la tradizione della sua famiglia, che Pregnolato ha aperto la stamperia e dove realizza i libri di grandi dimensioni, i poster e i manifesti. «Grazie alla mia passione per la letteratura e per l’arte, che mi ha portato ad aprire questa attività, ho avuto la fortuna di incontrare personaggi incredibili, letterati, artisti, attori. Mi reputo molto fortunato,» confessa Pierpaolo. Pregnolato ha anche collaborato a un progetto sociale insieme a un gruppo di attori, editando dei libri che vengono venduti, alla fine degli spettacoli, per supportare delle associazioni benefiche.

Marina e Susanna Sent Fondamenta Serenella 20, Murano, Venezia T +39 0415274665 marinaesusannasent.com


Grande conoscenza delle tecniche artigianali e ricerca di soluzioni innovative hanno portato due sorelle figlie d’arte, con alle spalle una lunga tradizione vetraria di famiglia, ad abbandonare l’ambito familiare e a fondare la loro impresa. Nasce così, nel 1993, la Marina e Susanna Sent, specializzata nella realizzazione di gioielli in vetro e oggetti artistici. Susanna, architetto, si impratichisce nella tecnica della lavorazione del vetro, della decorazione, vetrofusione, molatura, sabbiatura. Marina, con una formazione in studi tecnici, sovrintende a tutti i processi di produzione. I primi oggetti ideati dalle due sorelle Sent nascono in una piccola stanza attrezzata a laboratorio: sono delle collane in perle di vetro soffiato, di impronta moderna e dalle linee semplici, realizzate al lume. Destinate dapprima alla cerchia ristretta delle amiche, queste collane “bolle di sapone” hanno subito un tale riscontro anche in ambito artistico internazionale che in breve tempo vengono esposte alla Triennale di Milano e vendute nei bookshop del MoMA di New York, Tokyo, Bilbao e del Victoria and Albert Museum di

Londra. Un incredibile successo che da allora non si è mai arrestato. Oggi la sede espositiva e il laboratorio delle sorelle Sent è a Murano, una “cavana” (ricovero per barche) dei primi del Novecento da loro completamente ristrutturata, caratterizzata dal bianco degli ambienti e dall’infilata di finestre che si aprono verso Venezia, da Marghera fino a Cannaregio e alla Laguna nord. Qui, grazie all’aiuto di alcune esperte artigiane del vetro, nascono le loro creazioni. Nei due piani di esposizione si possono ammirare molteplici modelli di collane realizzate con tecniche varie, bracciali prodotti con le classiche murrine a canna tonda, da loro schiacciata e appiattita, abiti scultura realizzati con perle di vetro forate da due lati. Uno dei loro abiti è stato realizzato come elemento decorativo per le fantasiose vetrine di Dolce&Gabbana. Tra gli ultimi prodotti inventati dalle brillanti artigiane designer ci sono anche delle piume create con materiali di scarto, conservati e mai buttati, in vetrofusione.

Kimiko Yoshida Esposizione: The Tale of Genji Palazzo Amalteo, San Polo 2646/A, Venezia Contatto: Jean-Michel Ribettes T +39 3518130038 kimiko.fr

Kimiko Yoshida è un’artista giapponese che, insofferente alle rigide regole del suo Paese, dal 1995 ha scelto di vivere in Europa. Arrivata dapprima a Parigi, si è diplomata all’École Supérieure de la Photographie di Arles e allo Studio National des Arts Contemporaines a Le Fresnoy. Infine, innamoratasi di Venezia, soggiorna spesso in Laguna. Oggi vive tra Parigi, Tokyo e Venezia lavorando ed esponendo

le sue opere: sono ritratti giganti che realizza con stampe a pigmento a lunga conservazione su tele opache, e vernici anti UV. Il suo lavoro ruota attorno all’identità femminile e al potere trasformativo dell’arte, giocando con l’abbigliamento e gli interventi pittorici, anche sulla pelle. «Ho iniziato con degli autoritratti, per la maggior parte monocromi, frammenti di una rete intima, elaborazioni di storie singolari: la mia partenza è stata la condizione femminile in Giappone,» confida l’artista. Le sue immagini sono quadrati luminosi di grande formato, che sottolineano la sua epopea quasi fantastica. Per realizzare le sue opere, Kimiko collabora spesso con famosi artigiani giapponesi, come nel caso della realizzazione del Racconto di Genji, poema lirico medievale che narra le gesta del principe Genji lo Splendente. «A partire dalle stampe cromogeniche dei miei autoritratti fotografici su tela, ho creato dei Kakejiku con l’aiuto di un artigiano di Kyoto che applica (secondo la tecnica


Il Forcolaio Matto Ramo dell’Oca, Cannaregio 4231, Venezia T +39 0418778823 ilforcolaiomatto.it

© Dario Garofalo per Venezia su Misura

tradizionale alla lacca) dei delicati disegni che illustrano il Racconto di Genji. Seguendo un’antica tecnica giapponese di lacca mista a polvere d’oro o d’argento, denominata urushi-e, le immagini sono applicate direttamente sulle mie foto che sono delle stampe a pigmenti su tela. In effetti, urushi-e significa letteralmente immagine laccata. Il disegno alla polvere d’oro realizzato con questa tecnica imita il ricamo del filo d’oro. L’immagine che ne deriva è talmente leggera che ci permette di vedere come per un effetto di trasparenza un’antica immagine del Genji sovrapporsi a una fotografia moderna: una doppia immagine.» La fotografia che oltrepassa i limiti della fotografia stessa, oltre l’oggetto della rappresentazione, al di là del tempo. Per i suoi autoritratti, Yoshida ha ricevuto l’International Photography Award nel 2005. Continua a esporre in tutto il mondo e il suo lavoro si trova nelle collezioni permanenti del Fine Arts Museum di Houston, dell’Israel Museum, del Kawasaki City Museum e della Maison Européenne de la Photographie a Parigi.

Colto, autoironico, innamorato del suo lavoro e della sua città, Piero Dri è un giovane laureato in Astronomia che quindici anni fa ha fatto una radicale scelta di vita, lasciando Padova per fare ritorno a Venezia. «Ho iniziato ad andare in barca con mio nonno all’età di 3 anni e da allora il mio amore per la voga non si è mai affievolito. Andare a remi, nel silenzio dei canali, è il ritmo stesso di Venezia, fa parte della sua cultura. Andrebbe spiegato al visitatore, per farlo entrare meglio nello spirito della città. Dopo la laurea percepivo che qualcosa mi mancava: era Venezia. Aprire una bottega come la mia è stato come creare un ulteriore, indissolubile legame con la città.» Decide di fare apprendistato da Paolo Brandolisio, noto maestro remér a sua volta allievo del famoso

Giuseppe Carli. Inizia così la sua fantastica avventura. Nell’ampio magazzino, da lui restaurato nel 2013, Dri accatasta i tronchi di noce, pero o ciliegio, dei quali cura personalmente la stagionatura lenta, che deve durare circa tre anni, per preservarne le caratteristiche tecniche. Nel centro del vasto spazio lavorativo ci sono due grandi morse fisse al pavimento. E tante pialle per lavorare remi vecchi e nuovi, che vengono poi trattati con olio per la rifinitura finale. «Una morsa viene da me utilizzata per lavorare i remi, l’altra, detta “a dò maneghi”, o a coltelli al petto, serve per realizzare le forcole. Ogni remo e forcola viene studiato su misura, perché è solo dal bilanciamento del remo, della forcola, dell’imbarcazione, dell’acqua, del vogatore che si realizza il perfetto equilibrio. Bastano anche pochi millimetri per cambiare la resa.» I clienti di Piero Dri sono i gondolieri, i vogatori di professione, per sport o per diletto, i costruttori di imbarcazioni navali. E non solo. «Le forcole sono diventate ormai oggetto di collezioni: in effetti sono vere e proprie sculture, pezzi unici diversi gli uni dagli altri per forme e venature del legno. Sono soggetti particolarissimi che rappresentano degnamente la nostra città in tutto il mondo. Il primo che portò una forcola in un museo fu il grande maestro remér Giuseppe Carli, che negli anni Sessanta del secolo scorso espose al MoMA di New York un suo scalmo.» Anche Piero Dri ha realizzato diverse sculture per collezionisti di varie provenienza: le sue artistiche forcole portano nel mondo la testimonianza dell’eccellenza veneziana, simbolo di stile italiano.


Paolo Olbi

© Dario Garofalo per Venezia su Misura

Ponte di Cà Foscari, Dorsoduro 3253, Venezia T +39 0415237655 – +39 3408234035 olbi.atspace.com

Se l’età dipendesse dall’entusiasmo e dai progetti per il futuro che un uomo possiede, Paolo Olbi potrebbe essere un ragazzo tra i 25 e 30 anni. E questo perché in oltre cinquant’anni di attività, la passione per il suo lavoro non si è mai spenta. «Agli inizi ho avuto fino a cento dipendenti, quasi tutte donne. La loro manualità era straordinaria. Ho sempre utilizzato strumenti della tradizione e sono orgoglioso dei miei torchi tipografici inizio Novecento e delle trance per la stampa a caldo su cuoio,» confessa soddisfatto. Il suo laboratorio all’interno del Collegio Armeno è attrezzato non solo per i lavori di legatura e di cartonaggio, ma anche per la stampa. «Gli spazi sarebbero ideali per creare una scuola con corsi di legatura, di stampa, di tipografia. Per insegnare ai giovani come nasce un libro, riscoprendo gli insegnamenti di

Aldo Manuzio: sarebbe magnifico riuscire a creare una continuità con le sue straordinarie invenzioni, cinquecento anni dopo. Infine, il mio desiderio segreto sarebbe che l’Università Cà Foscari, che è proprio qui davanti, collaborasse scegliendo i poeti e le poesie da pubblicare. E che uno sponsor prendesse a cuore questo progetto!» In attesa che i sogni diventino realtà, Paolo Olbi si dedica alle sue legature artistiche. Straordinarie quelle realizzate con pelli a concia vegetale, come dalla tradizione antica, meno inquinanti, con solo materiali organici. La sua creatività lo ha portato a sperimentare anche nuovi connubi tra diverse lavorazioni. Le copertine dei diari e degli album sono spesso realizzate in collaborazione con artisti che utilizzano marmo, ferro battuto, vetro, argento, per impreziosire le superfici. Un prodotto molto raffinato destinato ai bibliofili. «La carta Doge, con la quale creiamo molti oggetti che escono dalla nostra bottega, è realizzata con un disegno che si rifà alla cultura bizantina, all’epoca d’oro degli scambi commerciali tra Venezia e Bisanzio. I motivi decorativi sono solo sul frontespizio. Sul retro viene apposto il marchio del nostro laboratorio.»

Massimo Micheluzzi Ponte de la Maravegia 1071, Venezia T +39 0415282190 massimomicheluzzi.it micheluzziglass.com

Nell’ampio negozio laboratorio, un tempo negozio di antiquariato del padre, Massimo Micheluzzi espone i suoi magnifici vasi, pezzi unici. Sono sculture di varie forme e colori, che richiamano le sfumature che caratterizzano Venezia, i colori

dell’acqua e dei tramonti, la sua poesia. Ci racconta il maestro: «La mia passione per il vetro è esplosa in poco tempo, stando a contatto con artisti e maestri vetrai, dei quali esponevamo le creazioni in questa galleria della mia famiglia. Molti degli artisti li ho conosciuti grazie alla famiglia Venini, che ho potuto frequentare fin da bambino, e per la quale ho partecipato all’archiviazione del catalogo, fotografando le loro opere su incarico dell’architetto de Santillana. Poi la decisione di cambiare vita e di cimentarmi in prima persona in quest’arte magica. Inziando ad andare a bottega a Murano.» Grazie al suo estro e alla straordinaria manualità, Micheluzzi ha realizzato vasi scultura che si sono imposti da subito nel panorama internazionale. «Gran parte delle forme che realizzo sono decise dal calore del fuoco: il vetro si muove ed è l’oggetto stesso che si manifesta assumendo di volta in volta una forma diversa.» Nel 2019 Micheluzzi ha ricevuto il Premio Glass in Venice dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere, ed


Fondamenta Vetrai 43, Murano, Venezia T +39 041739439 ongaroefuga.com

Nel 1948 Franco Fuga e Tullia Ongaro, due abili artigiani compagni di vita e di lavoro, aprirono un laboratorio a Murano per realizzare specchiere veneziane. Grazie alla loro straordinaria manualità e al senso artistico, le loro specchiere divennero in breve tempo conosciute non solo a Venezia ma anche in tutto il mondo. Oggi a continuare il loro lavoro c’è il figlio Giuliano Fuga, che insieme a suo figlio Ludovico, al socio Dario Valeri e una decina di esperti artigiani, continua a realizzare specchi da sogno con le tecniche del passato, mantenendo viva la tradizione di famiglia. Il laboratorio è articolato in vari ambienti: c’è la stanza con i tavoli da disegno e gli scaffali; quella con i torni, i nastri e con le pompe per l’acqua; quella dotata di rastrelliere per fare asciugare i pezzi trattati; la stanza per l’argentatura; la stanza per il restauro. Racconta Ludovico, che da due anni è entrato a lavorare con suo padre:

«Partiamo sempre dal progetto e realizziamo a mano il disegno, di dimensioni reali 1:1. Poi intagliamo il legno e tagliamo il vetro a mano con una punta diamantata. Limiamo gli angoli vivi a nastro, con la carta vetrata, quindi scaviamo, con delle ruote di varie dimensioni e materiali, per ottenere le incisioni e i disegni desiderati. Da ultimo passiamo all’argentatura con un processo chimico, sovrapponendo vari strati di argento. Si possono ottenere diversi effetti, dallo specchio normale a quello anticato, con 5 tipologie di anticatura diversa. Da alcuni anni abbiamo iniziato a sperimentare e creare altri tipi di lavorazioni, tra le quali gli specchi colorati e ossidati, utilizzati anche per realizzare opere d’arte contemporanea.» Tra i lavori realizzati da questi straordinari artigiani ci sono i restauri di tutti gli specchi del Teatro La Fenice di Venezia e il rivestimento delle pareti del palazzo del re dell’Arabia Saudita.

© Dario Garofalo per Venezia su Misura

Ongaro e Fuga

© Dario Garofalo per Venezia su Misura

Arti di Venezia nel 2019. Oggi le sue opere sono esposte in vari musei del mondo, dal Metropolitan Museum di New York al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Ma una passione tanto grande non poteva non contagiare chi gli stava vicino. Infatti, dopo aver trascorso alcuni anni all’estero, anche le figlie di Massimo, Elena e Margherita, hanno deciso di seguire le orme del padre. «Di ritorno da Londra, abbiamo iniziato a lavorare nella stessa fornace di Murano, sostenute da nostro padre, realizzando bicchieri e vasi di piccole dimensioni,» racconta Elena. «Abbiamo deciso di creare una nostra collezione, la Micheluzzi Glass, dedicata alla casa: da qui la scelta di oggetti funzionali. Dopo la soffiatura a caldo, una volta raffreddato il vetro, lavoriamo con la mola e creiamo incisioni più o meno profonde sulla superficie, fino a ottenere i decori desiderati. Le sfaccettature producono riflessi incredibili, a seconda dello spessore del vetro e del colore. Ogni volta per noi è una magia.» I vetri di Massimo Micheluzzi e di Elena e Margherita si possono ammirare nella galleria di famiglia.


QUI: Allestimento

della sala del Cenacolo Palladiano ideato dall’architetto Naoto Fukasawa, curatore della mostra insieme a Tokugo Uchida, direttore del MOA Museum of Art di Shizuoka. Rendering: Naoto Fukasawa Design. PAGINA ACCANTO:

Kazumi Murose, scatola in lacca urushi con decoro di zucca in maki-e. Tutti i maestri nell’articolo sono Tesori Nazionali Viventi. Foto: MOA Museum of Art.


UN’EREDITÀ DI CULTURA E BELLEZZA di Giovanna Marchello

Uno spazio, un giardino, un evento unico nel suo genere. I progetti di dodici Tesori Nazionali Viventi giapponesi, per la prima volta insieme a Venezia, prendono vita in un’intensa atmosfera fatta di grazia e di contrasti.


QUI: Komao Hayashi,

bambola realizzata in toso (pasta di paulownia) su anima di legno e ricoperta di carta giapponese. Foto: Japan Kôgei Association. PAGINA ACCANTO:

Sonoko Sasaki, kimono in seta tsumugi con fantasia “Green Shadow” prodotto con la tecnica di tessitura kasuri. Foto: Japan Kôgei Association.

Grazie al grande lavoro di divulgazione della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, anche attraverso le pagine di questa rivista, il pubblico italiano ha imparato a conoscere i Tesori Nazionali Viventi del Giappone. Ma il prossimo aprile, in occasione di “Homo Faber”, sarà possibile ammirare di persona ben dodici capolavori realizzati da questi impareggiabili maestri, riuniti per la prima volta nello stesso spazio. Se si pensa che in tutto il Giappone operano oggi solo 57 Tesori Nazionali Viventi, la proporzione non è irrilevante. La mostra “Il Giardino delle 12 Pietre”, voluta dalla Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, è stata concepita e realizzata da due esperti del settore: Naoto Fukasawa, designer, professore e curatore, e Tokugo Uchida, direttore del MOA Museum of Art di Shizuoka, già presidente del comitato di selezione dei Tesori Nazionali Viventi per il governo nipponico. «I 12 Tesori Nazionali Viventi del Giappone selezionati per la mostra,» spiega Fukasawa, «sono attivi nei loro rispettivi mestieri, come la ceramica, la tessitura e la tintura dei tessuti, la laccatura, la lavorazione dei metalli, la lavorazione del legno, la lavorazione del bambù e 32

la creazione di bambole, e applicano magistralmente diverse tecniche a diversi materiali. Le opere che abbiamo selezionato possono essere interpretate come arte contemporanea, ed essere considerate come tesori del mondo. Non sono infatti solo Tesori Nazionali Viventi del Giappone, ma anche tesori mondiali viventi: la bellezza del Giappone e del mondo.» Allestita nello spettacolare Cenacolo Palladiano della Fondazione Giorgio Cini, la mostra presenta queste mirabili opere disposte su dodici piedistalli a forma di pietra, disegnati dallo stesso Fukasawa. «Sono pietre piuttosto minimaliste, per sottolineare il lavoro tradizionale dei Tesori Nazionali Viventi,» prosegue Fukasawa. «Ho cercato di progettare un ambiente neutro per evidenziare la loro bellezza. Il palcoscenico che ho ideato è un contrasto minimalista con il Rinascimento e la leggenda dell’arte tradizionale giapponese.» Nel suo allestimento, infatti, Fukasawa vuole offrire al pubblico una prospettiva inusuale, che sorprende per il contrasto, messo in risalto da un abile gioco di luci, tra le dimensioni della sala e i dodici blocchi al suo interno. Fukasawa ha immaginato un luogo che è al contempo dinamico e armonioso, e dove


MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Noboru Fujinuma, cesti-scultura per fiori Marea di primavera (a sinistra) e Energia (sotto) ottenuti intrecciando sottili steli di bambù con diverse tecniche tradizionali. Foto: Gerald Le Van-Chau (a sinistra) e MOA Museum of Art (sotto).

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i visitatori possono avvicinarsi alle opere per ammirarne tutti i dettagli e imparare a conoscere le antiche lavorazioni tradizionali grazie alle quali sono stati forgiati. Il legame che unisce questi oggetti, rendendoli speciali, è da rintracciarsi nelle competenze, nelle tecniche e nel savoir-faire che rendono ogni oggetto unico e significativo, infusi cioè di makoto (creati con sincerità). «La maestria e l’alta qualità dei materiali sono il filo conduttore del kôgei (alto artigianato) giapponese,» aggiunge Uchida. «Le tecniche utilizzate per il kôgei sono state codificate nel lontano VIII secolo. Nel corso di 1300 anni, gli artisti del kôgei le hanno perfezionate e tramandate alle generazioni successive. Oggi i maestri fanno il massimo uso di materiali naturali e creano opere con un tocco contemporaneo.» Ma ciò che accomuna i Tesori Nazionali Viventi è che hanno anche una mente progettuale, ed è questo aspetto che Fukasawa ha voluto mettere sotto i riflettori attraverso la scelta dei maestri e delle loro opere. «Ogni Tesoro Nazionale Vivente esegue sia il design dell’oggetto sia la sua creazione. Nel processo di dare vita ai loro progetti, devono essere in grado di impiegare al meglio le tecniche che hanno perfezionato nel tempo. Le loro creazioni devono anche deliziare gli appassionati e invogliarli a interessarsi agli stili che le opere presentano.» “Il Giardino delle 12 Pietre” presenta straordinari uomini e donne che hanno fatto la storia del kôgei giapponese: Imaemon

A SINISTRA: Le mani di Noboru

A DESTRA: Jun Isezaki è uno dei più

Fujinuma intente nella raffinata

rinomati maestri della ceramica Bizen,

arte dell’intreccio del bambù grazie

nata in Giappone oltre 1.000 anni fa

alla quale crea delicati cesti.

nel distretto da cui prende il nome.

Foto: Rinko Kawauchi©Michelangelo

Foto: Rinko Kawauchi©Michelangelo

Foundation.

Foundation.

Imaizumi XIV, maestro nella tradizionale tecnica della decorazione sopra smalto della ceramica; Zenzo Fukushima, specializzato in ceramica Koishiwara; Kunihiko Moriguchi creatore di tessuti che realizza secondo la tradizionale tecnica di tintura yuzen della città di Kyoto; Sonoko Sasaki, che tesse i fili di seta con la tecnica tsumugi-ori; Kazumi Murose, che realizza oggetti in lacca urushi impiegando la tecnica del maki-e, risalente all’VIII secolo; Isao Onishi, un ebanista nominato Tesoro Nazionale Vivente per la sua tecnica di laccatura nota come kyushitsu; Yukie Osumi, maestra nella lavorazione del metallo; Noboru Fujinuma, che intreccia sottili steli di bambù per creare delicati cesti e altri oggetti; Komao Hayashi, che costruisce bambole toso, una tecnica che risale al XVII secolo; Jun Isezaki, uno dei più noti maestri artigiani specializzati in ceramica Bizen; Takeshi Kitamura, artista tessile che impiega antiche tecniche di tessitura; Kenji Suda, ebanista specializzato nella tecnica tradizionale dello sashimono, grazie al quale crea intricate scatole di legno intarsiato usando lacca urushi. I segreti dei maestri sono svelati in affascinanti video-ritratti realizzati dalla fotografa Rinko Kawauchi, che presentano il dietro le quinte di queste lavorazioni. Il pubblico può così entrare direttamente negli atelier dei 12 Tesori Viventi, scoprire gli utensili tradizionali e i materiali naturali che impiegano per realizzare le loro opere, ammirare la grazia di ogni loro gesto creativo e stupirsi della poesia che infondono nel loro lavoro. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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L’estetica della

praticità

di Akemi Okumura Roy

Lo scatto immortala l’istante della

fotografie di Rinko Kawauchi per Michelangelo Foundation

creazione. Arte nell’arte, le suggestive immagini della fotografa Rinko Kawauchi catturano la poesia dei gesti lenti e pazienti di 12 Tesori Nazionali Viventi giapponesi, talenti dalle competenze eccezionali.

QUI: Noboru Fujinuma

raccoglie le canne di bambù nelle fitte foreste del Giappone. Il bambù, simbolo di prosperità, come gli altri materiali lavorati dalle sapienti mani dei Tesori Nazionali Viventi, è considerato un inestimabile dono della natura. PAGINA ACCANTO: Le opere

del maestro Noboru Fujinuma sono state esposte nei musei di tutto il mondo.


Gli “Atelier delle Meraviglie” è una mostra che cattura i momenti creativi di 12 maestri artigiani giapponesi designati “Conservatori di Proprietà Culturali Immateriali” (più comunemente noti come Ningen Kokuho, o Tesori Nazionali Viventi) attraverso l’occhio artistico della premiata fotografa Rinko Kawauchi. L'esposizione è allestita nel rinascimentale Chiostro dei Cipressi della Fondazione Giorgio Cini. Le foto di grande formato sono sia disposte sulle pareti, sia stampate su teli che fluttuano sulle traverse in ferro di uno dei lati del chiostro.

Essendo all’aperto, la luce naturale esalta le immagini pure e poetiche di Rinko Kawauchi, che offrono una rara opportunità di vedere i maestri al lavoro nei loro atelier. In questo spazio pieno di luce, le foto invitano lo spettatore a entrare in un prezioso mondo fatto non solo di capolavori, ma anche di mani che lavorano, di strumenti di valore inestimabile ereditati dai predecessori e di bellissimi materiali naturali. Rinko Kawauchi ha sia progettato sia curato la mostra: «Ho selezionato le scene di lavoro di ogni artista e l’equilibrio della composizione generale in modo che tutto appaia il più


IN ALTO: Il Tesoro Nazionale Vivente

A DESTRA: Jun Isezaki è uno dei più

PAGINA ACCANTO: Il Tesoro Nazionale

Imaemon Imaizumi XIV è un esperto

rinomati maestri della ceramica

Vivente Sonoko Sasaki tinge filati

della tecnica tradizionale della

bizen, di elevata resistenza e dal

di seta tsumugi in colori derivati da

sovrapposizione della smaltatura nella

caratteristico colore bruno-rossastro.

erbe e foglie che verranno poi tessuti

lavorazione della ceramica.

usando la tecnica kasuri.

vario possibile. Ho anche cercato di creare una composizione risonante che offra più livelli di lettura, combinando le fotografie dei 12 Tesori Nazionali Viventi, ciascuno così pieno di individualità.» Attraverso il suo obiettivo, la fotografa cattura il tradizionale complesso di kôgei (un termine giapponese che incarna la radicata cultura dell’alto artigianato) tramandato di generazione in generazione attraverso l’impiego di tecniche tradizionali (waza in giapponese), che solo gli esseri umani sono in grado di padroneggiare. Infatti, gli artigiani impiegano decenni per sviluppare queste eccezionali abilità artistiche: un processo altamente specializzato che richiede tempo, perizia e pazienza. Dato che tutto è fatto a mano – e ogni processo è lunghissimo e incredibilmente preciso, richiedendo non solo concentrazione e attenzione, ma anche “devozione” – per realizzare alcuni oggetti possono volerci diversi anni. Durante le riprese, la famosa fotografa giapponese ha potuto riflettere sulla quantità di tempo, lavoro manuale, concentrazione, pazienza e abilità che ci vogliono per creare

un’opera d’arte coltivata per molti anni. «È la stessa cosa in ogni mestiere», dice, «anche nel mio lavoro. È stata una grande esperienza per me incontrare questi 12 Tesori Nazionali Viventi e imparare da loro l’autenticità dell’artigianato.» I maestri visitati e fotografati da Kawauchi sono specializzati in una varietà di kôgei tradizionali: urushi con tecnica maki-e (lacca); chiku kôgei (lavorazione del bambù); tsumugiori (tessitura di seta grezza); bizen, iroe e koishikawa-yaki (ceramica); tankin (lavorazione dei metalli); mokkogei (lavorazione del legno), bambole toso, yuzen (tintura di tessuti), tate nishiki (broccato); kyushitsu (rivestimento in urushi). La parola giapponese kôgei viene tradotta in italiano come “artigianato”, ma il suo significato è più profondo, perché indica la creazione di opere d’arte che combinano il valore estetico con la praticità. Infatti, si dice che il significato originale del carattere cinese che lo rappresenta sia “una persona che collega il cielo e la terra”. I soggetti delle fotografie spaziano da oggetti di uso quotidiano

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a pezzi ornamentali, ognuno dei quali è un capolavoro “creato con la natura”. I Tesori Nazionali Viventi lavorano con tale precisione, finezza, eccezionali Waza e delicata sensibilità che è difficile credere che si tratti di opere create dalla mano dell’uomo. Attraverso la fotografia di Kawauchi, ogni spettatore assiste al “momento prezioso” della creazione di un’opera d’arte storica. Ho avuto il privilegio di intervistare alcuni dei Tesori Nazionali Viventi ritratti da Kawauchi. In comune hanno la modestia e una fede incrollabile nel kôgei tradizionale: «Tutti i materiali sono doni della natura», dicono, «con la quale dovremmo vivere in armonia. L’essenza della cultura giapponese non è solo quella di tramandare i waza tradizionali e la bellezza, ma anche di combinarli con la nostra creatività e i nostri stili unici, che diventeranno una tradizione per le generazioni future. L’arte dovrebbe essere una fonte di gioia e di nuova vita sin dal momento della nostra nascita.» Il loro approccio si lega anche al lavoro di Kawauchi, poiché

il mondo naturale è un elemento essenziale anche della sua fotografia, attraverso la quale esplora il tema del cambiamento naturale e dell’ambiente. Gli scatti di Kawauchi hanno una trasparenza unica, caratterizzata da una luce delicata e tenui sfumature di colore. Traboccano di un senso di riverenza verso gli artigiani e di uno spirito di trasmissione della bellezza del kôgei tradizionale. Le sue fotografie catturano un momento nel tempo di ciascun maestro artigiano e delle sue opere, che sono piene di vita e sembrano vivere per sempre. Le superbe immagini di Kawauchi tramandano nel futuro le importanti tradizioni e la saggezza dei Tesori Nazionali Viventi che hanno dedicato la loro vita alla conservazione e alla trasmissione del kôgei. «Attraverso questo lavoro,» confida «ho potuto ammirare le infinite possibilità che la mano umana può creare. Vorrei poter condividere questa consapevolezza con tutti.» Grazie a “Homo Faber”, possiamo sperimentare l’arte tradizionale che solo gli esseri umani possono creare in armonia con la natura. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Opera tankin di Yukie Osumi, artista nota per il suo stile molto personale nella lavorazione dei metalli. Nominata Tesoro Nazionale Vivente dal governo giapponese nel 2015, è la prima donna a ricevere questo titolo nel suo campo.

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MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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QUI: Installazione 3D

in carta realizzata dalla paper artist Aline HoudéDiebolt raffigurante la facciata dell’Hôtel de Ville di Parigi. Foto: Maxence Leret d'Aubigny. PAGINA ACCANTO:

Guerriero samurai dell’artigiano finlandese Juho Könkkölä, maestro di origami. Foto: Juho Könkkölä.


Magnae Chartae

di Ruben Modigliani

Quando la carta racconta fantastiche storie d’abilità... Chiamati a misurarsi in una mostra che invita il pubblico a osservare da vicino il loro savoir-faire, i maestri si cimentano in progetti visionari, installazioni sorprendenti, opere che sfidano il tempo.

La mostra “Magnae Chartae”, curata e allestita da Michele De Lucchi insieme al suo studio AMDL Circle, è dedicata alle arti della carta attraverso l’Europa. «Il mio coinvolgimento con “Homo Faber” arriva da un doppio fronte: la mia amicizia con Franco Cologni e Alberto Cavalli e il fatto che ho firmato, per la Fondazione Giorgio Cini, il progetto di ripristino della Manica Lunga all’isola di San Giorgio. Sono stato coinvolto già dalla prima edizione, non potevo non esserci,» spiega sorridendo De Lucchi. «Quando mi hanno proposto il tema della carta, materiale con cui sono in grande sintonia, ho detto subito di sì. C’è anche un altro motivo: Ettore Sottsass, che è stato il mio maestro, la amava. Ne comprava ovunque andasse, tornava con dei pacchi immensi (e dire che la carta pesa). Un tesoro che, in parte, Barbara Radice ha voluto che avessi io, e che conservo in una serie di cassetti.» Un bellissimo punto di partenza. Anche De Lucchi ama la carta, ha sempre con sé blocchetti fatti di fogli A4 divisi in quattro, su cui disegna e prende appunti. Nella sala che ha curato alla scorsa Biennale d’Architettura, una mostra di progetti visionari sul futuro


Pillars of Fire & Cloud della paper artist Lacy Barry. Il lavoro della maestra è ispirato al mondo della natura, alle sue diverse forme e ai suoi colori. Foto: Tutti i diritti riservati.

dell’architettura, ha messo circa 600 schizzi realizzati proprio sui suoi “foglietti da tasca”, come li chiama lui. Il protagonista di questo evento è un mondo con migliaia di anni di storia. E infinite storie da raccontare. La sede espositiva è inedita, una ex chiesa – «Bizzarra, con le cappelle solo da un lato», osserva l’architetto – appena restaurata e riaperta al pubblico proprio in questa occasione. Una mostra partecipativa, che invita il pubblico ad ammirare in prima persona la perizia e l’abilità artistica dei maestri artigiani al lavoro nella sala: l’installazione all’ingresso, ideata dal belga Charles Kaisin, è una grande sfera composta migliaia di piccoli origami creati sul posto e appesi a fili sottili. Le installazioni sono coinvolgenti e sempre sul filo della meraviglia: abiti e parrucche in carta realizzati da veri virtuosi, un piccolo padiglione (una yurta? una tenda da giardino?) fatto con le carte da parati artistiche realizzate a mano nei laboratori di San Patrignano; e poi le ciotole di cartapesta della paper artist svedese Cecilia Levy, realizzate con le pagine di vecchi libri, 44

le sculture geometriche a incastro della greca Zoe Keramea, le complesse figure origami realizzate dall’artigiano finlandese Juho Könkkölä da un unico foglio bianco, sculture fatte da centinaia di strisce sottili e spettacolari tavole di calligrafia. E poi le immagini scattate dalla fotografa Susanna Pozzoli presso la cartiera Gangolf Ulbricht a Berlino, dove si realizzano carte a mano con stampi antichi, carte amate da artisti e restauratori in tutto il mondo. In fondo alla navata c’è uno spazio speciale dedicato a una grande installazione curata da Montblanc, marchio di eccellenza nel mondo della scrittura: uno spettacolare ink bar dove i visitatori possono testare penne i cui pennini, impreziositi da una lamina d’oro, sono lavorati sotto i loro occhi con una macchina apposita dagli artigiani della maison. «È un mondo gigantesco, non sintetizzabile con una sola idea», prosegue De Lucchi. «Credo che gli artisti siano molto attratti da questa varietà propria della carta, che non è solo un supporto ma sa essere materiale costruttivo, col quale realizzare forme e oggetti, creare rivestimenti, superfici,


IN ALTO: Il maestro Gandolf Ulbricht

IN BASSO: Opera in carta

lavora con autentici stampi storici

tridimensionale, dalle sfumature

per produrre carta fatta a mano: ogni

verde-blu, di Anna Kruhelska.

foglio è lavorato singolarmente.

Il concetto centrale del suo lavoro

Foto: Susanna Pozzoli.

è l'interazione tra luce e ombra. Foto: Tutti i diritti riservati.

fondali. Sono di carta anche gli elementi che compongono la scenografia dello spazio: la struttura è in barre dalla sezione cava, a C, in cartone pressato con fogli di carta di cotone a fare da quinta. È un materiale che appare delicato ma che può durare per l’eternità. Questa doppia valenza di fragilità che sa sfidare il tempo è affascinante. Abbiamo voluto fare una mostra sulla carta da cui dovrebbe venir fuori la duttilità, la plasticità, la grandissima larghezza di utilizzazioni che può avere questo materiale, che in Giappone viene utilizzato anche per creare architetture. La sua trasparenza è un tema importante: vuol dire luce, capacità di percepire che c’è un oltre. È il bello delle case di carta della tradizione giapponese, attraverso quella carta capisci che dietro c’è uno spazio ulteriore, ed è una cosa che mi piace moltissimo. In questa mostra non ne parliamo, ce ne vorrebbe una fatta apposta. Ricordo che negli anni Ottanta, all’arrivo dei primi computer, la gente iniziò a dire “non ci sarà più la carta”: sbagliavano.» E questa mostra ne è una dimostrazione sorprendente. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Saldatura della punta di un pennino Montblanc. La storica maison tedesca è un’eccellenza indiscussa nella produzione degli strumenti da scrittura, e i suoi artigiani saranno presenti nella sala "Magnae Chartae" per dimostrare il loro saper fare. Foto: Montblanc.

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Uno degli acquarelli della serie di tredici, su carta satinata in cotone, realizzati da Sonia Maria Luce Possentini per illustrare il volume della poetessa giapponese Akiko Yosano Non dubitare dei sogni. Foto: Sonia Maria Luce Possentini©2020 Carthusia Edizioni.

Le relazioni

meravigliose

di Alessandra de Nitto

Dal talento dei grandi maestri d’arte italiani nascono originali creazioni ispirate al Sol Levante. Un omaggio alle storiche relazioni tra l’alto artigianato del Bel Paese e il raffinato genio giapponese. Un poetico incontro tra due culture votate all’eccellenza.



In occasione di “Homo Faber” 2022 la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte è chiamata a curare, nella suggestiva cornice della Sala dei Cipressi, con l’allestimento scenografico dello Studio di architettura Pedron & Associati, la mostra dedicata alle “relazioni meravigliose” tra Italia e Giappone, celebrate attraverso una straordinaria selezione di opere di grandi maestri d’arte italiani ispirate in vario modo all’arte, all’estetica e al costume giapponesi. Che queste speciali relazioni, attestate storicamente, siano ancora vive e fertili è ampiamente dimostrato dalle opere in mostra, frutto della maestria, del talento, della sapienza progettuale di 18 maestri e atelier italiani d’eccezione: molti di essi appartengono all’esclusivo “Libro d’Oro” dei MAM – Maestri d’Arte e Mestiere, un titolo creato dalla Fondazione Cologni che si rifà a quello di Tesoro Nazionale Vivente, destinato ai più talentuosi Maestri del Sol Levante. L’omaggio al Giappone è variamente articolato, sulla base di tematiche, ispirazioni, materiali, decorazioni, tipologie, tecniche di lavorazione, che danno vita a opere ricchissime 50

di citazioni e insieme di personalissime rivisitazioni: vi sono rappresentati molti dei più significativi settori e materiali dell’alto artigianato italiano. In alcuni casi, le opere nascono proprio dal felice sodalizio con alcuni maestri giapponesi. È quanto accade per la Scuola Mosaicisti del Friuli, che da Spilimbergo ha diffuso in tutto il mondo l’arte del mosaico e che presenta qui due pannelli musivi decorativi frutto della speciale collaborazione con il maestro Toyoharu Kii, ispirati al tema delle nuvole e all’haiku, componimento poetico giapponese brevissimo, evocato dall’alternarsi di tessere e fughe, pieni e vuoti, movimento e stasi suggeriti dalla tecnica di posa del mosaico. E dalla collaborazione con Akiko Yosano nascono i raffinatissimi acquarelli di Sonia Maria Luce Possentini, realizzati per il volume illustrato Non dubitare dei sogni (Carthusia): la poesia leggera e sensuale dei tanka della poetessa giapponese, che descrive lo scorrere delle stagioni, è interpretata dall’illustratrice in paesaggi incantevoli e atmosfere rarefatte. Vero capo d’opera progettato ad hoc per “Homo Faber”


quello della celebre Officina Rivadossi, fiore all’occhiello dell’ebanisteria lombarda e italiana: dalle sapienti mani di Giuseppe ed Emanuele Rivadossi nell’atelier di Nave (Brescia) ha preso vita il magnifico mobile ispirato alla razionalità e leggerezza della villa imperiale di Katsura a Kyoto. Ma l’intera opera di questi maestri del legno è pervasa dall’estetica umanissima e molto zen che mette al centro l’uomo e la natura, la nobiltà del materiale e la sacralità del lavoro artigiano, la funzionalità e un ideale di bellezza semplice, armoniosa, solida e serena. Nell’Aquario d’Arte del Maestro siciliano Platimiro Fiorenza l’omaggio al Giappone si esprime sia nella scelta dei materiali sia nell’iconografia: la preziosa scultura realizzata con coralli mediterranei, coralli orientali e argento rappresenta nelle intenzioni del suo artefice “un ponte tra Oriente e Occidente”. Il legame si esplicita non soltanto nell’impiego del materiale ma anche nella bellissima figura della carpa, che nella cultura giapponese rappresenta energia e forza, nuotando controcorrente, e simboleggia anche felicità coniugale e buona fortuna.

Due installazioni composte da tre

multicolori e murrine, battuto e inciso

opere ciascuna, presentate dal

a freddo, nelle serie Stromboli, che

maestro Lino Tagliapietra, artista del

allude alla lava solidificata del vulcano,

vetro muranese: capolavori in vetro

e Fenice, ispirata agli ideogrammi

soffiato a mano con l’uso di canne

giapponesi. Foto: Francesco Allegretto.

La scelta della storica manifattura Ginori 1735 si è concentrata soprattutto sulla affascinante e innovativa tecnica di lavorazione del grande Vaso con Pavoni in porcellana invetriata, che unisce per la prima volta il kintsugi, l’antica arte giapponese delle preziose cicatrici, e la tecnica di lavorazione a foglia d’oro tipicamente toscana. Da uno scarto può nascere nuova bellezza e Ginori 1735 ha accettato questa sfida, consona al suo spirito da sempre innovatore, presentando l’inedita riedizione di un vaso storico di grandi dimensioni, nato dalla fragilità della porcellana e interamente realizzato a mano. Nella potente scultura Eden, con lo spettacolare blocco di onice modellato, levigato e lucidato a mano, la fusione in bronzo a staffa e a cera persa sul piedistallo in ottone e acciaio inox, Gianluca Pacchioni, artista artigiano milanese fra i più talentuosi ed estrosi maestri dei metalli, dà invece corpo a una vera e propria ode alla natura e alla sua sintonia con l’uomo artifex: una toccante e virtuosistica danza fluida “in cui la pietra si fa morbida e voluttuosa nelle forme date dall’uomo, ma scandite dalle venature della roccia stessa”. MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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PAGINA ACCANTO: Il

Vaso con Pavoni di Ginori 1735 in porcellana invetriata, unisce l’antica arte giapponese del kintsugi alla tecnica toscana della foglia d’oro. Inedita riedizione di un vaso storico di grandi dimensioni, interamente realizzata a mano per “Homo Faber”. Foto: Jody Mattioli ©Ginori 1735. QUI: Eden il titolo di

questa scultura di Gianluca Pacchioni: blocco di onice modellato, levigato e lucidato a mano, fusione in bronzo e cera persa su piedistallo in ottone e acciaio inox. Un’ode alla natura e all’uomo artifex. Foto: Lorenzo Pennati.


Il vetro trova in questa Sala la sua massima espressione d’arte e virtuosismo nella impressionante serie di sei opere realizzate da Lino Tagliapietra, vero Tesoro Vivente del nostro alto artigianato, ambasciatore nel mondo della grande arte del vetro muranese. Emozionanti e spettacolari le opere esposte, in vetro soffiato a mano con l’uso di canne multicolori e murrine, battuto e inciso a freddo, nelle serie Stromboli e Fenice, quest’ultima direttamente ispirata agli ideogrammi giapponesi. Impossibile raccontare adeguatamente tutti i capolavori che il visitatore potrà ammirare, ma altrettanto impossibile non citarli: lo specchio in vetro di Murano intagliato e inciso dal virtuosismo dei fratelli Barbini; gli specchi Kakiemon con decori tridimensionali, lavorati in foggiatura con le tipiche tecniche della Real Fabbrica di Capodimonte; il pannello decorativo in legno di pino intagliato del grande ebanista fiorentino Davide Nencioni, con scene di vita acquatica in stile neo-Deco e contaminazioni asiatiche; il trittico di capolavori di “pittura di pietra” con fiori e volo di farfalle in commesso fiorentino della storica Bottega Scarpelli, orgoglio tutto italiano, dalle manifatture medicee rinascimentali ai giorni nostri, grazie alle mani d'oro di Renzo e Leonardo;

le affascinanti maschere veneziane tradizionali della celebre Bottega dei Mascareri; il sofisticato e prezioso paravento con “incastri giapponesi” di Lunardelli Venezia; la Sirena partenopea con tatuaggi giapponesi in maiolica vietrese dipinta a mano con smalti e colori della tradizione dal Maestro Francesco Raimondi, che mescola con virtuosismo, vena fantastica e ironia le tradizioni campane e giapponesi, tra miti e leggende; i capi d’opera raffinatissimi dell’ebanista brianzolo Giordano Viganò, tra tutti il tavolino da salotto Red fun, ispirato a un antico kimono; la serie di tre tavolini conici in lacca brillante con inserti in ottone e acciaio cromato realizzati da Giuditta Doro di Alchymia; il riccio e il polipo in argento del fiorentino Lorenzo Foglia, vere prove di fantasia creativa e virtuosismo tecnico nella lavorazione del materiale prezioso; e infine il teatro in miniatura della Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli, con le stupende scene della Sposa del Sole, a calare il sipario su questo spettacolo della bellezza! Una vera galleria di capolavori dei mestieri d’arte italiani, i cui artefici hanno saputo rendere all’arte giapponese un omaggio di intenso fascino, declinandone la grande lezione nel segno dell’eccellenza e dell’originalità. •

Ispirato a un antico kimono, il tavolino da salotto Red Fan di Giordano Viganò, in legno wengé, è decorato da un ventaglio realizzato in pietra occhio di falco, di una rarissima colorazione naturale. I profili, le bacchette e l’asta del ventaglio sono in bronzo. Foto: Courtesy Giordano Viganò.



QUI: Al lavoro nel suo

atelier Hélio'g di Meudon (Francia), Fanny Boucher trasferisce un’immagine su una placca di rame per poi stamparla in calcografia, perpetrando così un mestiere divenuto raro, l’eliotipia. Foto: Éric Chenal. PAGINA SEGUENTE:

L’inglese Annemarie O'Sullivan, maestra cestaia del Sussex, coltiva personalmente i giunchi che utilizza per le sue creazioni. Foto: Alun Callender.


Il futuro della tradizione di Andrea Tomasi

Due nobili istituzioni europee dialogano a Venezia per sostenere i mestieri d’arte e per trasmetterne i valori alle nuove generazioni. Un messaggio prezioso e un’occasione unica che racchiude tutto l'inestimabile patrimonio della tradizione artigianale europea.

È un dialogo tra due realtà che da decenni si impegnano nella difesa e nella riconoscibilità dei mestieri d’arte, quello che accoglie i visitatori di “Homo Faber” nell’ambulacro del Cenacolo Palladiano. In “Masterful Gestures”, questo il nome della mostra, si incontrano infatti l’Institut National des Métiers d’Art e il Queen Elizabeth Scholarship Trust, partner della prima ora di Michelangelo Foundation nella sua missione di valorizzazione dell’artigianato d’eccellenza e trasmissione dei savoir-faire alle giovani generazioni. È proprio il tramandare da maestro ad allievo il focus su cui l’Institut National des Métiers d’Art concentra la sua presenza a “Homo Faber”. L’istituto francese, fondato nel 2010 ma che affonda le sue radici in quella Société d’encouragement aux arts et à l’industrie che vide la luce nel 1889, racconta il suo programma Maîtres d’Art-Élèves attraverso quattro binomi di assoluta eccellenza, maestri e allievi ormai divenuti indipendenti che si ritrovano a condividere idee, strumenti di lavoro e ore alla ricerca della perfezione. «“Homo Faber”

rappresenta un’occasione importante per dimostrare il valore e l’impatto del dispositivo Maîtres d’Art-Élèves a livello europeo,» spiega Chloé Battistolo, capo progetto del programma. «Nel 1994, il ministero della Cultura francese ha creato il titolo di Maître d’Art per salvaguardare i savoir-faire rari dall’eclisse che li minaccia. Il titolo, ispirato al meccanismo dei National Living Treasures giapponesi, è una distinzione unica alla quale il maestro ha diritto per tutta la vita, ma più che un semplice riconoscimento rappresenta un simbolo di impegno e volontà di trasmettere la propria conoscenza a una giovane generazione. Per tre anni, l’Institut National des Métiers d’Art, grazie al sostegno della Fondation Bettencourt Schueller, che è il principale mecenate del programma dal 2016, accompagna le coppie che si sono create attraverso il loro percorso di trasmissione.» I quattro binomi presenti in “Masterful Gestures” sono esempi di percorsi riusciti, alcuni già ultimati e altri ancora in corso. Judith Kraft e Mathieu Pradels hanno iniziato la loro


collaborazione nel 2014, e oggi sono entrambi professionisti riconosciuti a livello internazionale nell’ambito della liuteria antica. Gli incisori Yves Sampo e Claire Narboni si sono invece incontrati alla Monnaie de Paris, per alcuni la più vecchia impresa al mondo, a cui ancora oggi spetta la funzione non solo di battere gli euro francesi ma di creare e produrre monete da collezione, medaglie e trofei. A oltre dieci anni dall’inizio della loro collaborazione, continuano a condividere l’atelier Ludovic Marsille e Alice de Kerchove de Denterghem, esperti nella realizzazione di chiavi e serrature. A chiudere la compagine francese Fanny Boucher e Marie Levoyet, che praticano un savoir-faire raffinatissimo e alquanto raro, l’eliotipia, una tecnica risalente al XIX secolo che consiste nel trasferire un’immagine su una placca di rame per poi stamparla in calcografia. La cestaia del Sussex Annemarie O’Sullivan che coltiva i giunchi che utilizza, il liutaio e fondatore della British Violin Making Association Shem Mackey, lo scultore di origini albanesi Andrian 58

Melka e la pellettiera Mary Wing To formatasi tra il London College of Fashion e le scuderie di sua maestà sono invece i quattro maestri presentati dal Queen Elizabeth Scholarship Trust, istituzione reale britannica fondata nel 1990 e patrocinata dal Principe di Galles che ogni anno supporta economicamente giovani e promettenti artigiani attraverso borse di studio. «Tra gli oltre 600 nomi aiutati in questi anni, abbiamo scelto quattro talenti all’apice delle loro carriere, maestri assoluti nel loro campo capaci anche di dimostrare i tanti ambiti tra i quali ci muoviamo,» racconta Deborah Pocock, CEO del Queen Elizabeth Scholarship Trust. «Il nostro obiettivo principale è quello di assicurare un futuro ai mestieri tradizionali attraverso la trasmissione a una nuova generazione di artigiani. Dopo mesi terribili che hanno messo a dura prova la nostra comunità con la chiusura di diverse piattaforme di vendita e l’annullamento di occasioni di incontro importanti, crediamo che “Homo Faber” sia l’occasione perfetta per celebrare questa missione e una sorta di rinascita dei mestieri d’arte.» •



Meccanismo interno di un carillon messo a punto dagli studenti dell’ECAL, la Scuola cantonale d'arte di Losanna. Tra le migliori università d'arte e design del mondo, l’ECAL dispensa ai suoi allievi solide conoscenze ed esperienze orientate in particolare agli aspetti pratici della professione.


ARTIFICI

prodigiosi di Nicolas Lemoigne Foto di Jasmine Deporta per ECAL

Arte, artigianato e ingegneria meccanica si incontrano a “Homo Faber” per presentare un progetto ambizioso che unisce il know-how di storici atelier svizzeri e la visione di giovani designer. La magia delle installazioni conquista lo spazio e il movimento diventa poesia.

Negli ultimi dieci anni, il Master of Advanced Studies in Design for Luxury and Craftsmanship dell’ECAL (Scuola cantonale d'arte di Losanna) permette ai suoi studenti di lavorare a stretto contatto, e in proficua collaborazione, con prestigiose maison dall’importante patrimonio storico e culturale, rivolgendosi dunque a settori di eccellenza che toccano diversi campi: l’alta orologeria, l’arte della tavola, la moda, la gastronomia, i mestieri d’arte, ma anche l’impiego di materiali nobili che prendono vita grazie a tecniche specifiche. La partnership con l’Associazione Mec-Art (per la meccanica fine, legata agli impieghi artistici) si inscrive perfettamente in questo approccio, creando così delle valide opportunità affinché gli studenti del programma collaborino con i maestri artigiani


della città di Sainte-Croix, in Svizzera. Questo borgo, che si trova nell’arco alpino del Jura, riunisce uno straordinario know-how legato all’ingegneria meccanica: qui si creano automi, carillon, esemplari di alta orologeria artigianale, rinnovando tradizioni che fanno da tempo parte del patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO. Questo ambizioso progetto di collaborazione tra realtà educative, produttive e culturali ha quindi permesso di riunire studenti internazionali, designer e artigiani di fama mondiale per far convergere creatività, innovazione e ingegneria. Sotto la supervisione mia e di Fiona Krüger, designer e docente presso ECAL, e grazie a un gruppo di quattro studenti dell’anno accademico 2020 (Charlotte Là, Svizzera; Ebony Lerandy, Francia; Chialing Chang, Taiwan e Sunny Oh, Stati Uniti), è stato dunque sviluppato un progetto che ha conquistato l’attenzione e la fiducia sia dei maestri artigiani sia dei rappresentanti dell’Associazione Mec-Art: professionisti del calibro di Denis Flageollet, Nicolas Court e François Junod. Questo progetto, sviluppato e prodotto direttamente a

Sainte-Croix, è finalizzato alla realizzazione di cinque installazioni meccaniche interattive, le cui caratteristiche estetiche, scenografiche e sonore combinano perfettamente il know-how dei maestri artigiani e la visione dei giovani designer. Ogni installazione ha un nome e un’identità. C’è “Récit”: una carta realizzata in legno intarsiato e in un materiale composito modellato in 3D, che rappresenta i comuni di Sainte-Croix e di L’Auberson, luoghi d’elezione dell’ingegneria meccanica in Svizzera. Il suo movimento di rotazione fuori asse permette di osservare, attraverso una lente di ingrandimento, i diversi luoghi emblematici legati al saper fare artigianale del distretto. “Souffle” è invece composto da tre pistoni trasparenti che creano un soffio d’aria, e animano dei dischi in carta di lino che si mettono a ruotare in modo poetico. Le parti mobili di “Dance” fanno riferimento ai meccanismi delle ballerine che si trovano su alcuni carillon. Il movimento meccanico in alternanza attiva in maniera aleatoria le gambe di vetro blu, creando l’effetto della danza. “Résonance” evoca un antico movimento musicale associato a un’animazione meccanica che fa salire e scendere una


cassa di risonanza. Quando le due parti sono in contatto, la superficie in legno del corpo agisce come una tavola armonica e amplifica l’effetto sonoro. E infine, “Jeu” è composto dal braccio dell’automa che cerca di afferrare un uccellino che scappa e si nasconde, per poi riapparire casualmente. Questo progetto unico sarà presentato in occasione di “Homo Faber”, con un “padrino” d'eccellenza: l'esperto inglese di meccanica fine Simon Kidston. Una sala della Fondazione Giorgio Cini, ribattezzata appositamente per l’occasione “Meccaniche prodigiose”, ospiterà tutte e cinque le strutture. La scenografia, immaginata dalla designer svizzera Charlotte Therre, si inserirà in un contesto storico prestigioso e metterà in risalto le dimensioni della sala, creando un vero “spazio all’interno dello spazio”. Attraversando questa installazione immersiva e coinvolgente, arricchita da giochi di luci, di materiali e di trasparenze, i visitatori avranno la possibilità di dare vita degli automi, attivando i meccanismi stessi e girando le manovelle che fanno accadere la magia. •

PAGINA ACCANTO: Sul banco di lavoro,

alcuni dei componenti necessari che verranno poi assemblati dagli studenti dell’ECAL per la costruzione di un carillon. QUI: Studenti dell'ECAL al lavoro

sul progetto destinato alla mostra “Meccaniche Prodigiose”.


Lo splendore D E L L’ O R O B I A N C O di Damiano Gullì

Collezione “Lightscape” in porcellana

forme e funzioni degli oggetti

bianca biscuit, realizzata per

quotidiani per proporne una

Nymphenburg da Ruth Gurvich,

nuova lettura.

artista-artigiana di origini argentine.

Foto: Porzellan Manufaktur

Nei suoi pezzi, Gurvich reinventa

Nymphenburg.


Osare, progettare e proiettarsi in un lungo viaggio verso il futuro. A “Homo Faber” vanno in scena “I virtuosi della porcellana”, artisti animati dal senso di sperimentazione, capaci di esaltare un materiale dal fascino intramontabile. «La porcellana è un materiale di bellezza incomparabile. Richiede cura e dedizione… Richiede un viaggio.» Così Edmund de Waal, tra i più importanti ceramisti al mondo, scrive ne La strada bianca. Storia di una passione ripercorrendo la storia della porcellana da Jingdezhen a Venezia, da Versailles a Dublino e Dresda fino alle colline della Cornovaglia e ai Monti Appalachi del South Carolina. Un viaggio, nel tempo e nello spazio, che esalta preziosità, fragilità e grande flessibilità di questo materiale dal fascino misterioso e ancestrale. Ed è proprio un viaggio, immaginifico, tra Europa e Giappone, quello proposto da David Caméo e Frédéric Bodet nella mostra “I virtuosi della porcellana”, da loro curata per l’edizione 2022 di “Homo Faber” nella Biblioteca del Longhena alla Fondazione Giorgio Cini a Venezia, con progetto di allestimento dello studio _apml (Alessandro Pedron e Maria


QUI: Caratterizzate da un forte senso

A DESTRA: Ruth Gurvich al lavoro

di sperimentazione, le realizzazioni di

presso la manifattura bavarese

Tamsin van Essen esplorano i concetti

di porcellane di Nymphenburg.

di bellezza e provvisorietà. Foto:

Foto: Porzellan Manufaktur

Vladimir Jedlicka.

Nymphenburg.

La Tegola). Il virtuosismo evocato nel titolo, va subito detto, non è mai fine a se stesso, ma è l’evidente testimonianza della straordinaria abilità, e visionarietà, di artisti, designer e “mani intelligenti” impegnati in un incessante misurarsi con una pluralità di stili e lavorazioni, spaziando dal recupero della figurazione all’astrazione. I confini tra arte, artigianato e design si fanno labili e si confondono. Emergono la ricchezza e la varietà di una produzione emozionale dalla alta qualità formale ed espressiva in un equilibrato bilanciamento tra tradizione e innovazione, tecnica e poetica, sperimentazione e contaminazione tra diverse culture. All’insegna di una costante trasformazione, e reinvenzione, dei linguaggi, talvolta anche radicale. Sempre con la volontà di spingersi oltre ai limiti imposti. «Oggi gli artigiani contemporanei devono essere invitati a cambiare prospettiva: il futuro è di coloro che sono disposti a superare le aspettative, a rivitalizzare e rinnovare il loro mestiere e nel processo catturare un pubblico giovane con la forza che è rappresentata dalla bellezza, dal “saper fare” e, infine, dall’oggetto finale,» sottolinea Caméo. La bellezza, cui anche Edmund de Waal fa riferimento, è però oggi una bellezza “altra”, “disequilibrata”, talvolta intrisa di ironia e 66

giocosità, talvolta aperta all’imperfezione e al non canonico. Aleggiano, sicuramente, echi di esuberanze e ridondanze del Barocco e del Rococò e, al contempo, si ritrovano approcci più minimali e contemplativi. Così come le opere di ceramisti indipendenti sono accostate a quelle nate dalla collaborazione tra artisti e designer internazionali e alcune delle più prestigiose manifatture europee. In una atmosfera tra la wunderkammer e il cabinet des curiosités si alternano la poetica nobilitazione del quotidiano di Naoto Fukasawa per Sèvres agli onirici memento mori di Katsuyo Aoki – intricati sistemi decorativi elevati a struttura portante dell’opera stessa –, il lavoro sulla memoria di Bouke de Vries agli allegorici e allusivi busti velati di François Ruegg. Si incontrano poi nel percorso le figurine di Chris Antemann per Meissen – debitrici di immaginari e iconografie del XVIII secolo e allo stesso tempo lucida analisi e parodia del rapporto uomo-donna nonché riflessione su riti domestici, etichette sociali e tabù – e il lavoro di Fernando e Humberto Campana per Bernardaud in un tripudio di zoomorfie e fitomorfie. Tutto questo per citare solo alcuni dei protagonisti e delle opere in mostra ne “I virtuosi della porcellana”. Il viaggio è infatti lungo. E costellato di meraviglia. •


“Loom IV”, creazione in porcellana di Katsuyo Aoki, nota per le sue opere in rilievo o a tutto tondo, e per il suo stile ornato. Il teschio e la corona, allusioni a narrazioni storiche e mitologie, sono tra i motivi preferiti dall’artista. Foto: Tutti i diritti riservati.


Un artigiano dell'Atelier Mestdagh intento nella produzione dell’opera ispirata al motivo ottagonale del sagrato della basilica di San Giorgio Maggiore. Il laboratorio belga utilizza il vetro colorato nell’architettura moderna, abbinando così l'artigianato tradizionale all'innovazione contemporanea. Foto: WIT photography & videography©Atelier Mestdagh.


MAGIE

di Alessandra Quattordio

DELL’OTTAGONO Gli intrecci di marmo del sagrato della basilica di San Giorgio vengono reinterpretati all’interno della mostra “Il Motivo dei Mestieri”, grazie alla collaborazione tra un curatore d’eccezione e diciotto artigiani che dimostrano quello che il talento può fare per dare significato alla decorazione d’interni.


L’eccellenza degli artigiani d’arte d’Europa si concentra come per magia in un unico luogo, tempio della bellezza, non a caso situato in Laguna a Venezia, proprio di fronte a San Marco. Ecco dunque l’Isola di San Giorgio Maggiore, bagnata dal Canale della Giudecca, apparire dominata dal profilo della chiesa progettata quasi cinquecento anni fa dal Palladio, come un candido miraggio sorto dalle acque e dall’arioso sagrato marmoreo. Ma, al tempo stesso, anche celarsi, a chi passi in battello, come, per esempio, nel caso dei suoi magnifici giardini, perlopiù occultati alla vista. Qui, negli spazi della Fondazione Cini, nel 2018 si tenne la prima edizione di “Homo Faber”, manifestazione che, come il suo stesso titolo lascia supporre, riguarda le qualità fabbrili della mano artigiana, esplicate in opere multiformi, frutto della stratificazione di vari saperi: conoscenza dei materiali, abilità tecnica, capacità di tradurre la genialità inventiva in opere di magnifica qualità artistica. La seconda edizione, dal titolo “I tesori viventi d’Europa e Giappone”, rappresenterà nell’aprile 2022, la prosecuzione del viaggio iniziato anni fa da Michelangelo Foundation attraverso i Paesi del mondo, in cerca di degni interpreti di un imperituro savoir-faire, alimentati sì nell’immaginazione dalle tradizioni radicate nelle varie aree storico-culturali, ma proiettati 70

anche verso una dimensione visionaria che solo dal talento individuale può scaturire. Leitmotiv di una delle 15 sezioni del prossimo “Homo Faber” – ovvero la mostra “Il Motivo dei Mestieri” curata da Sebastian Herkner –, è l’elegante pattern che scandisce il sagrato della chiesa di San Giorgio in intrecci di marmo bianco e grigio a disegno ottagonale. Ricco di simbologie allusive al tema dell’eternità, l’ottagono si ripropone nell’allestimento firmato dal designer tedesco attraverso le singole interpretazioni di diciotto artigiani-artisti che, insieme, vengono a ricomporre il pattern geometrico. Herkner apprese dal padre artigiano il significato di manualità. Divenuto da tempo progettista per i più importanti brand, e nominato Designer of the Year 2019 a “Maison & Objet”, oggi sottolinea: «Ho chiesto agli autori scelti per questo progetto di interpretare il motivo ottagonale ognuno a modo proprio, esplicando le loro qualità manuali attraverso i materiali che sono a loro congeniali. Sono convinto che realizzare a mano un prodotto racconti una storia unica, soprattutto se fatto con amore e passione.» Certamente nessuno degli artigiani coinvolti nel progetto si sottrae al fuoco sacro di un’ardente creatività. Ecco le loro identità. Violaine Buet, che trasforma le alghe della Bretagna in


fluido materiale tessile; il sivigliano Francisco Carrea Iglesias, che elabora sontuosi ricami sia per paramenti sacri che per creazioni di noti fashion stylist; la tedesca edition van Treeck, che mette al servizio dei designer le sue competenze in fatto di vetri d’elezione; la danese Signe Emdal, che incrocia nei suoi textile tecniche digitali e ispirazioni naturali; Julien Feller, che, novello “alchimista”, trasforma il legno in merletto, in omaggio alla tradizione belga; la spagnola Henar Iglesias, che compone piume con matematica esattezza, ispirandosi alle tradizioni pre-colombiane; il londinese Daniel Heath, che dipana storie favolose dai decori delle sue carte da parati; Séverina Lartigue, che, nel cuore della Normandia, inanella fiori di seta come appena colti dai giardini dell’Eden; la parigina Anna Le Corno, che con le sue fini marqueterie si pone come un’antica miniaturista; Atelier Mestdagh, che, sulle orme dell’Art Nouveau belga, mette in scena vetrate artistiche come spettacoli di luci e colori; Naturtex, che dà corpo al mito della perfezione ispanica nella produzione di stuoie e tappeti in materiali naturali; Venezia Orsoni 1888, che fa del mosaico il caleidoscopio di ogni sogno a occhi aperti; la francese Marie de la Roussière, che si appropria della lacca come strumento di magia certosina; Rubelli, che fa sfoggio di tessuti memori dei

fasti dogali della Serenissima; José Vieira, che cesella i metalli, rame o stagno, emulando a Coimbra il dio Vulcano; la tedesca Tabea Vietzke, che intarsia la paglia come si trattasse di fibra preziosa; Zanat, che detiene i più antichi segreti balcanici della lavorazione del legno; Palmalisa Zantedeschi, che scandaglia i misteri dei marmi del Veronese, affrancandoli dalla loro fisicità, e assecondando una lettura ascetica della materia. E voilà, dal sagrato alla nitida Sala Barbantini di Fondazione Cini, l’ottagono rivive! •

PAGINA ACCANTO: Henar Iglesias usa

QUI: Tabea Vietzke è una virtuosa

le piume per creare forme astratte,

dell’intarsio in paglia, un’arte che

rigorose nella loro geometria, ma

risale al XVII secolo. Le sue creazioni,

morbide nella loro espressione. Questa

dai colori vivaci e dai motivi originali,

insolita materialità unisce l’aspetto

fondono tecniche antiche con

organico alla maestria tecnica.

un'estetica contemporanea.

Foto: Adriana Mateos.

Foto: Tutti i diritti riservati.

MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Rubelli, azienda fondata a Venezia nel 1889, ha creato questo prezioso tessuto ispirato al pattern del sagrato della basilica di San Giorgio Maggiore, con cui saranno rivestite le pareti della sala Barbantini. La produzione di Rubelli include tessuti nobili come il damasco, il velluto, il broccato. Foto: Rubelli.


MIMOSA COLLECTION DAMIANI.COM


Il

fascino della fragilità di Giorgia Zanellato e Daniele Bortotto

La mostra “Rintracciando Venezia” racconta in metafora storie di mondi lontani e di maestri artigiani che da millenni plasmano, preservano e rinnovano Venezia e la Basilica di San Marco. Un patrimonio inestimabile che deve diventare fonte di ispirazione per il design contemporaneo.

Il nostro viaggio a Venezia inizia nell’inverno del 2013. Si rimane spesso folgorati dalla bellezza di un luogo alzando lo sguardo e ammirando ciò che ci sovrasta. A Venezia abbiamo invece imparato a cambiare punto di vista, osservando la città guardando all’ingiù. Nelle giornate fredde di febbraio, la luce filtra attraverso la foschia, evidenziando ciò che è difficile se non impossibile scovare altrove. Sfumature, segni e imperfezioni, tracce evidenti di un fenomeno unico: l’acqua alta. Un tema delicato, che è stato per noi il punto di partenza di un percorso di confronto intimo e personale con questa città che continua ancora oggi. Pochi anni dopo, con la curiosità di rivivere un luogo con uno sguardo più maturo, siamo entrati nella Basilica di San Marco. Qui abbiamo conosciuto un tesoro ai nostri piedi, spesso ignorato da visitatori impegnati ad ammirare le magnifiche

volte ricoperte di mosaico in foglia d’oro. Entusiasti, abbiamo iniziato a scoprire i meravigliosi mosaici policromi che ricoprono più di 2000 metri quadri del suolo marciano. Un insieme complesso ed elaborato di motivi ornamentali musivi dal profondo significato simbolico. Un’opera fuori dal tempo che racchiude in sé storie e mondi lontani. San Marco è un cantiere millenario, e racconta attraverso le sue bellezze la storia stessa della città, della sua potenza e delle sue conquiste, delle scoperte provenienti da lontano che ancora qui risiedono. I suoi pavimenti sono messaggeri di un modo di fare antico che si è tramandato nei secoli, inseriti in un mondo nuovo che lotta per preservarli. «L’arte applicata a Venezia ha una posizione di privilegio perché l’artigiano sa che una città così singolare è nata e si mantiene in vita dall’opera delle sue mani in tutte le varie espressioni.» Così


PAGINA ACCANTO, QUI E PAGINA SEGUENTE: Questo

decoro in rame, ottone e acciaio fa parte di un'installazione creata per “Homo Faber” in omaggio a Venezia e ai preziosi pavimenti a mosaico della Basilica di San Marco. Il progetto di Zanellato/Bortotto è realizzato da De Castelli. I diversi metalli si trasformano in trame e arazzi che creano un superbo impatto visivo. Foto: Mauro Tittoto (p. 74) e Alberto Parise (p. 75 e 76).


PAGINA ACCANTO:

Artigiano di De Castelli che lavora alla creazione di uno dei pannelli dell’installazione. De Castelli è un’azienda fondata nel 2003 vicino a Treviso ed erede di una lunga tradizione nella lavorazione dei metalli. Foto: Mauro Tittoto.


scrive Guido Perocco ne L’arte dello smalto nel 1984, e non vi è per noi interpretazione più attenta per comprendere Venezia e i suoi tesori. Sono trascorsi stili ed epoche, ed è mutato il volto stesso della città, ma da sempre il solo artigiano ha il potere di rinnovare questo patrimonio secolare. La storia del saper fare veneziano è legata alle vicende degli individui che hanno plasmato il volto di questi luoghi. Ma a Venezia la mano dell’uomo non ha il solo compito di dare forma alla materia. Deve infatti proteggerne la bellezza dalla forza della natura, dall’acqua che la circonda e spesso la ricopre, portandosi via dei frammenti e lasciando su di essa segni indelebili. E la Basilica di San Marco è il fulcro della città lagunare, il punto più delicato e colpito dall’innalzamento della marea. Nella basilica abbiamo osservato il lavoro paziente e incessante svolto dal tempo e dall’acqua, che ha mutato l’aspetto di pietre, muri e intonaci. Un vocabolario di segni dove ciò che è imperfezione, rottura e mancanza è diventato uno spunto per narrare una storia attraverso il progetto. Con questo sguardo è nato il progetto “Tracing Venice” (“Rintracciare Venezia”). Un viaggio che prende forma in una serie composta da 7 opere ispirate ai motivi del pavimento marciano. Realizzate in mosaico metallico dall'azienda

trevigiana De Castelli, che plasma i metalli creando mobili e arredi design, ricalcano i segni di deterioramento e usura del pavimento originale, esaltati dalle infinite sfumature del rame, dell’ottone, del ferro e dell’acciaio. Perché tradurre una storia legata alla pietra attraverso l’uso di un materiale come il metallo? Perché la tradizione va stimolata con le idee, e “Tracing Venice” si pone come interpretazione contemporanea di questo racconto secolare. Ancora una volta entra in gioco l’abile mano dell’artigiano, che agisce sulla materia attraverso ossidazioni ed erosioni, composizioni irregolari e macchie di colore. In De Castelli abbiamo trovato una fucina moderna, attenta a preservare tecniche e saperi antichi offrendone un’interpretazione aperta sul futuro. Attraverso processi elaborati e a volte incontrollabili, abbiamo ricercato e descritto i segni che i mosaici originali hanno subito nei secoli, attraverso una chiave di lettura creativa e a tratti romantica. Come sottolineato dal Proto della Basilica di San Marco, Mario Piana, la Basilica “è un organismo vivente” da tutelare e preservare giorno per giorno. “Tracing Venice” è un omaggio alla sua storia, alla forza di resistere al tempo e di mantenere l’equilibrio con un ecosistema così delicato e imprevedibile. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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QUI: Coloratissime

proiezioni e vasi realizzati espressamente per l’occasione rendono unico l’allestimento della Sala Bianca della Fondazione Giorgio Cini che ospita la mostra “Blossoming Beauty”, studiato da Sylvain Roca. Rendering: Atelier Roca©Julia Dessirier. PAGINA ACCANTO:

Nicolai Bergmann è un riconosciuto flower designer che ha stabilito uno stile singolare unendo i principi del design scandinavo e di quello giapponese. Foto: Manami Sunaga©Nicolai Bergmann K.K.


Lo sbocciare di Sylvain Roca

delle

forme Un dialogo inedito tra esclusive creazioni in vetro e spettacolari composizioni floreali, firmate da famosi flower designers, che diventa un’esperienza immersiva grazie a una scenografia di evanescente bellezza che stimola le emozioni e il desiderio di comprensione.


La scenografia che ho immaginato per la mostra “Blossoming Beauty” è radicata nel terreno fertile dei dialoghi possibili e significativi tra le creazioni materiali e l’ambiente sensoriale (fisico e digitale) che esploro da diversi anni; in particolare, attraverso progetti cosiddetti “immersivi” con la Maison Cartier, il Louvre, l’Institut du Monde Arabe, in Francia e all’estero. Che il soggetto di queste mostre sia sociale, storico, artistico o scientifico, la parte intuitiva, emozionale e universale che questo approccio propone trasforma gli eventi in esperienze, individuali e collettive, dove la dimensione sensoriale attiva irresistibilmente un appetito cognitivo. La realizzazione di “Blossoming Beauty” è stata immaginata partendo dal dialogo tra il luogo (la Sala Bianca della Fondazione Giorgio Cini), le opere (creazioni uniche in vetro della fornace Venini disegnate appositamente per l’evento), gli autori (dieci flower designer internazionali), i principi fondamentali della Fondazione Michelangelo, l’identità dell’evento “Homo Faber” e naturalmente l’isola di San Giorgio Maggiore. Si tratta di tessere legami, sia oggettivi sia impercettibili, tra questi diversi protagonisti. Il che richiede un periodo d’immersione, di comprensione attiva e intuitiva, da cui emerge un ecosistema scenografico in cui tutto si sostiene e 80

contribuisce allo scambio. Il contesto particolare degli ultimi due anni ci ha permesso di estendere la riflessione, di affinare e perfezionare la nostra creazione. Tutto è anche una questione di condivisione, con una squadra dedicata costituita proprio in funzione degli universi e dei talenti di ciascuno. Così Christian Holl, ingegnere, sound designer e inventore; Olivier Brunet, regista; e Antoine+Manuel, grafici e artisti, si sono gradualmente uniti al filo della concezione e dell’avventura creativa. “Blossoming Beauty” punteggia in modo singolare la visita a “Homo Faber”. Una parentesi minimalista che nasconde un ricco macrocosmo organico e sensoriale, un’unione e una fusione di due mestieri particolarmente vivaci e proteiformi: la creazione del vetro e la creazione floreale. I dieci flower designer del progetto, provenienti da diverse culture, apportano ognuno la propria visione estetica. Ci sono le inglesi Philippa Craddock e Nikki Tibbles, entrambe portavoce della tradizione floreale britannica, e il trio tutto al femminile di White Pepper Studio, che si ispira all’ikebana giapponese. Proprio dall’impero del Sol Levante arrivano Satoshi Kawamoto, al cui negoziolaboratorio di Tokyo si sono aggiunti negli anni quelli di New York e Milano, e il danese Nicolai Bergmann, che in Giappone


ha messo radici divenendo una star indiscussa dell’arte floreale. Riconoscimenti anche per il francese Frédéric Dupré, insignito del titolo di Meilleur Ouvrier de France, per lo spagnolo Daniel Santamaria, che alterna il suo lavoro di flower designer a quello di insegnante presso la Escuela de Arte Floral di Barcellona, e per il tedesco Gregor Lersch, maestro indiscusso che propone i suoi laboratori attraverso il mondo. A chiudere la compagine, l’estro spettacolare del lituano Mantas Petruškevičius e la poesia rarefatta dell’americana Emily Avenson, che coltiva i suoi fiori in una fattoria della campagna belga. Per la prima volta, questi maestri si sono misurati non solo con i fiori ma anche con i vasi: vasi unici, che Venini fa interpretare e realizzare dai suoi maestri vetrai. E che devono quindi essere adeguatamente valorizzati. A tal fine, due semplici parallelepipedi ospitano un vivace ambiente di cui le opere sono il nucleo; la combinazione centrale di vasi e composizioni floreali danzano dolcemente in un lento vorticare, al suono di una misteriosa composizione musicale, estesa all’infinito nello spessore delle pareti laccate e degli specchi. E intorno, nei quattro angoli, i materiali originali scorrono, si metamorfizzano, si allungano e si intrecciano allo stesso tempo. Perché nell’ibridazione c’è vita, e la vita deve sempre sbocciare per rivelare la sua forma più bella. •

PAGINA ACCANTO, A SINISTRA: La flower

designer Emily Avenson, appassionata di natura, coltiva in Belgio i fiori che utilizza come coloranti naturali per creare i nastri di seta fatti a mano. Foto: Mathias Hannes. PAGINA ACCANTO, A DESTRA: Nicolai

Bergmann crea composizioni armoniose ispirate alle proporzioni perfette dello stile giapponese e alla purezza caratteristica dello stile scandinavo. Foto: Manami Sunaga©Nicolai Bergmann K.K. QUI: I vasi utilizzati per accogliere le

composizioni floreali sono realizzati da Venini, storica fornace di Murano, dove maestri vetrai e artisti si incontrano per dare vita a una storia d’eccellenza e innovazione che inizia in Italia per raggiungere tutto il mondo. Foto: Orsenigo Chemollo.

MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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“Les Antilles”, composizione di tre coffee tables di Julien Lagueste. Autentiche sculture, le sue creazioni combinano legno intagliato e resina fusa. I colori della resina interagiscono con la luce e ricordano la profondità delle acque del mare. Foto: Artur Hovakimyan©Julien Laguestre.


BIODIVERSITÀ

ARTIGIANALE Una selezione eclettica di opere realizzate da oltre cento maestri invita il visitatore ad apprezzare la sorprendente varietà dell’Europa artigiana. Uno spazio animato e poliedrico che valorizza la ricca diversità dei territori grazie a un linguaggio comune, quello dell’Europa di domani.

di Jean Blanchaert e Stefano Boeri

Già due milioni di anni fa, Homo habilis cominciò a usare le mani e seppe riconoscere le qualità dei vari materiali per costruirsi gli utensili. Siamo nel Medio Pleistocene. Il nostro vero antenato è però Homo sapiens, vissuto un milione e ottocentomila anni dopo, cioè duecentomila anni or sono. Celebre è l’uomo di Neanderthal, con un’intelligenza superiore a qualsiasi essere fino ad allora esistito. In milioni di anni di evoluzione, le mani hanno affinato i loro movimenti stimolando lo sviluppo del cervello e il cervello a sua volta ha richiesto alle mani compiti sempre più raffinati. L’Homo faber dell’allocuzione latina homo faber fortunae suae, cioè l’essere umano artefice della sua fortuna è anche la creatura in grado di esprimere al meglio le proprie capacità nell’immaginare, creare, fabbricare; l’essere vivente che ama costruire perché è orgoglioso del proprio lavoro e vuole realizzare in vita qualcosa di bello e duraturo. La manualità cambia ma rimane il motore di tutto.

Jean Blanchaert: Nel 2018, durante la prima edizione di “Homo Faber”, nella sala “Best of Europe” arrivarono centinaia di Craft Masterpieces reperiti in tutti gli angoli del Vecchio Continente. Stefano Boeri, in piena sintonia con la curatela, inventò un allestimento ispirato a un fiume “meandriforme” che dava l’idea di attraversare tutta l’Europa, quel territorio quadrato compreso fra Islanda, Russia, Cipro e Portogallo. Per la seconda edizione di “Homo Faber”, la sala “Next of Europe” sarà il risultato di una curatela e di un allestimento molto diversi da quelli di quattro anni fa, pur essendo il curatore e l’architetto le stesse persone. Già il titolo, ideato da Alberto Cavalli, suggerisce l’obiettivo: mettere in rilievo il lavoro degli artigiani, quello che si chiama Craft Masterpiece; stimolare nei giovani il desiderio di seguire il talento delle proprie mani quando esse siano abili e capaci e apprendere un mestiere da un maestro in bottega piuttosto che correre appresso a chimere alla moda. L’imperatore Costantino aveva già capito tutto nel


IV secolo, 1800 anni fa, e abolì le tasse ai maestri incisori che avessero un lavorante in laboratorio. Stefano Boeri: Sono contento di tornare sul progetto “Homo Faber” che è stato per me fonte di grandi sorprese e suggerisco ai politici d’oggi d’ispirarsi al decreto dell’imperatore Costantino. Ho capito che anche questa volta la selezione degli oggetti è mirata soprattutto a individuare opere che abbiano una grande complessità e una sofisticazione nel lavoro di dettaglio sui materiali ma, nel contempo, siano anche funzionali. Un altro criterio di selezione è legato invece all’idea di un’officina, di una scuola dell’artigianato come pratica di rimando, di formazione, di investimento sul tempo e non soltanto sullo spazio di un oggetto. Nella costruzione dell’oggetto, spesso il maestro si fa assistere da un allievo che così impara i segreti della professione. La sofisticazione del lavoro artigianale si misura anche con un concetto antico del tempo e questa cosa è molto bella. Quello che noi abbiamo fatto è stato realizzare uno spazio diverso da quello del 2018, nel senso che nel centro di questo spazio ci saranno gli artigiani che lavoreranno sui materiali con i loro allievi. Intorno, 84

lungo tutto il perimetro, a mo’ di cornice, ci sarà una grande scaffalatura, molto semplice, dove cercheremo di evidenziare proprio la specificità di ogni oggetto che avrà il suo spazio e le sue proporzioni. JB: Questo nuovo allestimento porta il visitatore a concentrarsi sull’oggetto, sul Craft Masterpiece in questione. L’allestimento di Studio Boeri questa volta si basa anche molto sull’illuminazione, ogni oggetto dovrà catturare l’attenzione di chi guarda per quei 30, 70, 200 secondi. Per questo è stata studiata una sorta di “scatola magica” che attirerà come una calamita l’occhio dello spettatore sul manufatto in essa contenuto, che dialogherà con il pubblico mostrandosi e raccontandosi. SB: Assolutamente sì. Questa scaffalatura ovviamente ha un linguaggio molto semplice, però si adatta a ospitare oggetti di forma, dimensione, peso diverso e che avranno bisogno di illuminazioni differenti; quindi, se per la prima edizione di “Homo Faber” avevamo pensato al “fiume Europa”, questo grande fiume, queste grandi onde sinuose che ospitavano


PAGINA ACCANTO:

QUI: La creatrice di guanti

Concretion di Thérèse

Thomasine Barnekow

Lebrun. Dalle pazienti

crea a Parigi guanti di

mani dell’artista ceramista

grande raffinatezza,

belga nascono opere in

lavorandoli come

cui forme organiche quali

oggetti architettonici. I

semi, steli di piante, fossili

suoi prodotti sono stati

e conchiglie incontrano la

esposti in prestigiosi

porcellana.

musei di tutto il mondo.

Foto: Paul Gruszow.

Foto: Michael Campi.



le opere esposte, in questo caso portando tutto a parete, il lavoro è più, diciamo così, di campionatura. Del resto, la cosa interessante è proprio il rapporto tra la varietà formidabile degli oggetti selezionati e la flessibilità omogenea del nostro progetto che è un supporto a questa varietà. Mi ricordo una cosa che diceva Umberto Eco quando parlava dell’Europa: «L’Europa si basa sulla traduzione, se non ci fosse la pratica della traduzione non ci sarebbe l’Europa.» È verissimo, infatti proprio nella traduzione di linguaggi differenti nasce il senso stesso, il concetto stesso, se vuoi il principio culturale, il DNA dell’Europa. Io credo che alla fine quello che abbiamo fatto è stato di mostrare al visitatore, con un allestimento sobrio che però sa valorizzare le differenze, le varietà, “le traduzioni”, quest’Europa artigiana. Irlandesi, spagnoli, greci, russi o norvegesi che siano, tutti questi oggetti saranno in

PAGINA ACCANTO: La plumassière

QUI: Flow, di Iosifina Kosma. Ispirata

Laurence Le Constant nel suo atelier

dalla natura, la ceramista greca crea

parigino mentre assembla fragili piume

forme organiche di grande armonia,

che andranno a comporre il volto di un

che esplorano il movimento e i giochi

animale. Foto: Laurence Le Constant.

di luce. Foto: Boris Kirpotin.

qualche modo portati a essere tradotti nello stesso tipo di rappresentazione, nel linguaggio di “Next of Europe”, lo strumento di traduzione delle varietà e delle differenze degli utensili. JB: L’Italia non è il paese dove si legge di più, però è il paese dove si traduce di più e questo è molto interessante. SB L’Italia è anche il paese della massima biodiversità del mondo, diversità vegetale, diversità animale e quindi, in un certo senso, siamo abituati a fare i conti con questa straordinaria varietà di paesaggi, di climi, di culture, di dialetti. Questa è un po’ la nostra storia ed è bello che questo concetto di traduzione dell’Europa venga portato a Venezia, che è un pezzo della storia italiana e un pezzo della storia del mondo. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Vaso del ceramista King Houndekpinkou, che sottolinea le somiglianze spirituali tra il Benin, suo Paese d’origine, e il Giappone. Le opere dell’artista, in costante dialogo tra culture, fondono spiritualità e lavoro sulla materia. Foto: King Houndekpinkou.


I vasi di Elysia Athanatos, di grande potenza fisica, si concentrano sull’alchimia tra vuoto e pieno: nelle forme, la luce diventa scultura dando vita ad opere d'arte complete. Foto: Gabriele Semenzato.


QUI: Poltrona del designer

nigeriano Tosin Oshinowo rivestita con un colorato tessuto Asò-oké, tipico dell’etnia Yoruba, ordito a mano. Foto: Ilé Ilà. PAGINA ACCANTO:

Horizons Vase, vaso da tavolo disegnato da Kaoline in porcellana fine bianca opaca. Foto: Marie-Sophie Leturcq.

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Nell’era del tattile e della condivisione, perché non prendere un tè seduti su raffinati oggetti di design, giocando a scacchi in legno intagliato? La mano dell’uomo è il fil rouge di questa mostra interattiva che abbatte le barriere tra persona e oggetto.

di Alberto Cavalli

Un tè

con l’artigiano «I gesti degli artigiani, il loro lavoro, i loro materiali non sono più presenze quotidiane, costanti.» Lo sguardo di Tapiwa Matsinde, la curatrice britannica che creerà la straordinaria “Sala da tè” tutta artigianale di “Homo Faber”, è preciso e al contempo sognante. Evoca uno scenario lontano: quello dello Zimbabwe, suo Paese d’origine, con le miriadi di attività che si svolgevano ogni giorno in modo quasi rituale, consapevole, apparentemente immutabile. Gli artigiani trasformavano i materiali locali in oggetti funzionali, pronti per l’uso: per loro, e per i loro clienti, il concetto di preziosità era legato al tempo necessario per realizzarli. La loro maestria, appresa spesso in modo informale, si dipanava lungo le strade sotto gli occhi curiosi delle persone, e soprattutto di una bambina che di lì a pochi anni sarebbe diventata una delle più importanti esperte internazionali di craft africano, e di design contemporaneo: Tapiwa Matsinde, appunto. Che in occasione di “Homo Faber” tramuta il Padiglione delle Capriate, suggestiva struttura a tre navate che sorge nel parco della Fondazione Giorgio Cini, in una inedita MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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“Imaginary Architecture”, “Homo Faber” 2018. Installazione in rattan ideata dall’architetto India Mahdavi e ispirato a un giardino d'inverno astratto in omaggio al pittore Henri Rousseau. Al suolo, mosaico realizzato dalla Scuola Mosaicisti del Friuli. Foto: Tomas Bertelsen©Michelangelo Foundation.


Whirling Dervishes, set di scacchi in legno intagliati a mano da Lazo Studios, ispirati a figure mitologiche preislamiche. Foto: Simon Sorted©Lazo Studios.

sala da tè: «La distanza rispetto alla quotidianità della presenza degli artigiani è uno dei primi aspetti che mi ha colpito, quando dallo Zimbabwe sono tornata a Londra. Tendevo a darla per scontata, ma non lo è. Per questo l’idea di creare uno spazio dove non vige più il dogma del guardare ma non toccare, e dove anzi gli oggetti possono venire esperiti, vissuti e utilizzati, mi ha molto stimolata.» “The Artisan: una sala da tè fatta a mano” si colloca a tutti gli effetti come una delle 15 mostre di cui si compone “Homo Faber”, intese per celebrare la maestria degli artigiani che, come Tapiwa osserva, sembrano sempre più retrocedere a presenze evanescenti nelle nostre città. Ma diversamente dalle altre esposizioni, “The Artisan” affianca agli elementi della contemplazione, della meraviglia e della scoperta un aspetto inedito e quasi irrituale, per una mostra in equilibrio tra arte, artigianato e design: quello dell’interazione. I visitatori di “Homo Faber”, infatti, possono approcciare le scelte curatoriali effettuate da Tapiwa (tavoli, sedie, vasi, divani, poltrone…) sia come espressioni espositive, sia come elementi d’arredo di un luogo presso il quale si può davvero prendere un tè. E non un tè qualunque, ma una miscela speciale appositamente creata dai Mariage Frères, il celebre marchio francese che artigianalmente crea profumate e raffinate infusioni. Accomodarsi su una poltrona di Morelato o su uno degli

sgabelli di Lunardelli, naturalmente fatti a mano; scegliere un libro Marsilio da scaffali in legno realizzati a mano nel Regno Unito, o sentirsi in una puntata di The Crown sulla poltrona Peacock di Visionnaire; concedersi una partita a scacchi utilizzando preziosi pezzi scolpiti artigianalmente, o addirittura sfidare a calcetto uno degli Young Ambassadors di “Homo Faber” sullo straordinario calcio-balilla artigianale; esperienze che nulla tolgono all’attenta osservazione che di solito gratifica le mostre, ma che aggiungono un elemento sensoriale che permette non solo di ammirare, ma anche di sentire (su di sé e intorno a sé) la raffinata qualità del lavoro degli artigiani. «La definizione di craft, oggi, deve evolvere per comprendere tante manifestazioni del talento umano, come Michelangelo Foundation auspica,» commenta Tapiwa Matsinde. «In questa sala da tè vi sono pezzi funzionali e oggetti decorativi; espressioni di talento artigiano e visioni più legate alla manifattura; creazioni sorprendenti e altre più quotidiane; ma in ogni oggetto è presente la mano dell’uomo.» Il talento degli artigiani, dall’Europa all’Africa e dall’America al Giappone, cancella le barriere formali e forse ormai tramontate che separano e frammentano le espressioni creative dell’uomo, per celebrare quello che le macchine non sapranno mai fare bene come noi: interpretare i sogni, per trasformarli in realtà. Anche, e soprattutto, nel nostro quotidiano. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Per “Homo Faber” 2022, Cartier ha disegnato un cofanetto prezioso di ispirazione giapponese, ornato di bracciale e spilla rimovibili. Il pezzo, qui ritratto in lavorazione nell’atelier, è frutto di tre savoir-faire emblematici: gioielleria, intarsio di paglia e glittica. Foto: © Cartier.


La SOSTANZA della DECORAZIONE di Paolo Ferrarini

Alcune grandi Maison del lusso svelano la nascita delle loro creazioni mostrando gli artefici all’opera. L’ispirazione, i processi, e le tecniche che guidano i grandi maestri d’arte dialogano tra loro e offrono al pubblico un’esperienza intensa e autentica.


L’orologio “Métiers d'Art Hommage aux grands explorateurs” di Vacheron Constantin celebra le scoperte di Bartolomeu Dias, Vasco da Gama (modello nella foto) e Pedro Álvares Cabral, tre navigatori portoghesi del XV secolo. Ognuno dei tre quadranti policromi in smalto Grand Feu rappresenta parte di una mappa dell'Atlante Miller del 1519. Foto: Vacheron Constantin.

Il racconto della creazione del lusso ha sempre esercitato un fascino speciale. Dalla mitologia antica fino a TikTok, la scoperta dei piccoli grandi segreti che portano alla nascita del bello crea meraviglia e ipnotizza al contempo. Mani al lavoro sono oggi protagoniste di video di ogni lunghezza, dai pochi secondi al documentario alla serie. Una tendenza che tocca le corde di chi ama sbirciare dietro le quinte, per capire il valore profondo degli oggetti e per apprezzare l’autenticità dei processi. Ma un conto è il video in uno schermo spesso troppo piccolo, un altro godere l’esperienza dal vivo. “Dettagli: genealogie dell’ornamento” è una delle 15 mostre dell’edizione 2022 di “Homo Faber” e ci aiuterà a soddisfare molte curiosità, appagando la voglia di veder nascere il bello sotto ai nostri occhi. Curata da Judith Clark in collaborazione con Sam Collins, la mostra consentirà di scoprire oggetti unici e ammirare artigiani di 15 marchi della moda e del lusso, intenti a dimostrare di persona la loro maestria. In linea con le altre mostre di “Homo Faber”, non mancherà un riferimento al Giappone, la cui cultura viene omaggiata nell’edizione 96

2022 dell’evento. Judith Clark ci spiega la ragione della scelta del titolo, che racchiude una serie di parole chiave cruciali della moda e del lusso: «Credo che il fatto che genealogie sia al plurale inviti il visitatore a chiedersi quali dettagli stiamo osservando o seguendo, quali elementi vengono citati e quali tecniche tramandate. Ci fa pensare a come i motivi e le abilità siano rigenerati e re-immaginati attraverso il tempo. Vorrei che il visitatore vedesse una versione di come l’ispirazione funziona all’interno di questi progetti straordinariamente dettagliati, che attingono a tradizioni diverse.» Si parlerà di moda, ma non solo. Infatti, il tema viene affrontato focalizzandosi su tutto quello che ruota attorno all’abbigliamento. La mostra ci porta alla scoperta dell’ornamento attraverso la produzione di abiti, ma soprattutto di accessori, decorazioni, gioielli, orologi, profumi in materiali come pelle, velluto, piume, metalli preziosi e pietre rare. Ben 15 Maison sono state invitate a partecipare, con oggetti e persone, artigiani e artigiane che metteranno in pratica sotto gli occhi dei visitatori le loro abilità di Maestri d’Arte,


Dettaglio della manica di un cappotto doppiopetto Dolce&Gabbana Alta Sartoria, interamente ricamato a mano, che riproduce una veduta di piazza San Marco. Foto: Courtesy of Dolce&Gabbana.

realizzando e rifinendo oggetti meravigliosi. Potremo ammirare le costruzioni scultoree di Alaïa, gli orologi senza tempo di A. Lange & Söhne e di Jaeger-LeCoultre, l’arte fiorentina dei profumi di Aquaflor, la tradizione dell’argenteria milanese di Buccellati, la gioielleria iconica di Cartier, il velluto lavorato con la tecnica del velours au sabre di Hermès, le creazioni per la couture parigina di Maison Lemarié, l’oreficeria sensuale di Piaget, l'intreccio Mosaico della pelle di Serapian, la smaltatura operata dai maestri di Vacheron Costantin e la doratura eseguita da artigiani del Louvre con cui la manifattura svizzera ha una collaborazione culturale, la gioielleria da favola di Van Cleef & Arpels, oltre ai magici kimono giapponesi di Chiso e all’alta sartoria maschile di Dolce&Gabbana. Infine, non poteva mancare un accenno al lusso in chiave sostenibile, che sarà mostrato da YOOX Net-A-Porter Group con l’aiuto di The Prince’s Foundation guidata da Carlo, principe del Galles. “Dettagli: genealogie dell’ornamento” troverà sede negli spazi dell’Ex-Scuola Nautica presso la Fondazione Giorgio Cini. L’allestimento prende spunto dal San Girolamo nello

studio, capolavoro realizzato sul finire del Quattrocento da Antonello da Messina, realizzato a Venezia e oggi conservato alla National Gallery di Londra. Il dipinto è uno sfoggio delle abilità tecniche di Antonello ma allo stesso tempo una piccola antologia di oggetti, libri, animali, abiti, materiali e superfici. La figura del santo dialoga con lo spazio e con i manufatti, così come accadrà nella mostra, dove ogni azione e ogni prodotto si definiranno in costante dialogo tra di loro e con l’allestimento. Judith Clark – autrice anche del design dell’esposizione – ha immaginato uno spazio distinto per ogni artigiano e per ognuna delle 15 case partecipanti. Le pareti e i pavimenti delle diverse aree saranno realizzati a mano con l’intento di creare dei piccoli mondi coerenti, quasi come fossero studioli alla maniera di San Girolamo. Più che le differenze, l’approccio curatoriale punta a sottolineare le similitudini tra discipline, tecniche e origini. Tale visione si sposa con il legame speciale tra Europa e Giappone che “Homo Faber” 2022 ha posto al centro della programmazione. «Gli artigiani lavorano ai perimetri MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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della mostra» racconta Judith Clark «come se rifinissero gli squisiti oggetti al suo interno, sottolineando un ambiente collaborativo. Si celebra ciò che le Maison hanno in comune, non solo la loro vocazione più generale nell’artigianato specializzato associato al lusso, e l’impegno ad adattare queste abilità per nuovi progetti, ma anche dettagli decorativi che appaiono tradotti attraverso materiali diversi. Quest’anno la cultura e l’artigianato giapponesi vengono celebrati attraverso le mostre; quindi, sono i dettagli associati all’ornamento giapponese che creano rimandi visivi attraverso l’enorme spazio dell’ex-scuola nautica.» Ma come si esprime questo rapporto profondo tra i progetti in mostra e gli stili del Sol Levante? «La cultura giapponese è stata così influente su tutte le Maison in momenti diversi» prosegue Judith Clark «nel modo in cui leghiamo una cintura, immaginiamo la sovrapposizione disegnata di petali o squame di pesce, o celebriamo le stagioni: entriamo in una mostra piena di omaggi, dai progetti Cartier degli anni ’20 e ’30 alle commissioni contemporanee per la mostra.» Grazie a questa mostra i racconti del lusso diventeranno anche i nostri racconti, quelli di un’esperienza unica, che porteremo con noi a lungo, per tramandare a nostra volta la bellezza del fare e l’importanza di ogni dettaglio. •

PAGINA ACCANTO: L'incisore di Piaget

cesella l'oro a mano creando un motivo ornamentale di grande effetto. Foto: Piaget. IN ALTO, A SINISTRA: Una fase del

montaggio della celebre pendola “Atmos” (ref. 568) di Jaeger-LeCoultre disegnata da Marc Newson. Foto: Pol Baril. IN ALTO, A DESTRA: L'incisione è il

coronamento di ogni singolo orologio di A. Lange & Söhne. Gli abili maestri incisori padroneggiano diverse tecniche, come il tremblage. Ma ciò che rende unico ogni orologio è l'incisione del ponte del bilanciere. Foto: Lange Uhren GmbH.

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PAGINA ACCANTO: Uno dei tratti

QUI: Hermès perpetua un

taglio) sul foulard di raso duchesse

distintivi di Serapian è l'intreccio

know-how unico. Nel corso di

Les Artisans d'Hermès disegnato

Mosaico. Strisce di preziosa nappa

“Homo Faber” 2022, la maison

da Akira Yamaguchi.

d'agnello sono delicatamente

presenterà una dimostrazione

Foto: Studio des fleurs © Hermès, 2022.

intrecciate a mano da abili artigiani.

della tecnica Velours au sabre

Foto: Serapian.

(motivi di velluto ottenuti tramite

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QUI: Vaso della collezione Doge di

PAGINA ACCANTO: Il collier di alta

Buccellati in argento con incastonate

gioielleria Zip Antique Cadence

cinque pietre diaspro rosso alternate a

Joyeuse di Van Cleef & Arpels prende

cinque lapislazzuli.

vita negli atelier della Maison parigina.

Foto: Buccellati.

Foto: Van Cleef & Arpels SA.

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Eilean, il ketch bermudiano di 22 metri progettato e costruito nel 1936 dal leggendario cantiere scozzese Fife of Fairlie, nel 2009 è stato riportato al suo splendore originario dopo due anni e mezzo di restauro. Il veliero è stato ormeggiato a San Giorgio Maggiore, Venezia, già durante la prima edizione di “Homo Faber” nel 2018 e vi ritornerà nel 2022. Foto: Panerai.


Lo sguardo

di Eilean

di Paolo Sivelli

Protagonista di un’epopea straordinaria, Eilean è una barca leggendaria che racconta una storia di maestria, di talento e di passione. Il sogno degli uomini che l’hanno costruita si fonde con quello di chi l’ha salvata e resa immortale.

“Piccola Isola” è il significato gaelico di Eilean, il nome del fortunato yacht nato dalla sapiente mano di William Fife. Fife, nome sconosciuto ai più, figlio d’arte che ereditò il nome e l’esperienza di tre generazioni di costruttori di barche scozzesi, divenendone ben presto l’interprete più famoso e riconosciuto nel nascente mondo dello yachting anglosassone. Willam Fife I, II ed infine lui, William III, per gli “amici” Fife Junior, seppe interpretare le necessità, i capricci e le aspettative di reali, nobili e possidenti di tutta Europa che nella metà XIX secolo si appassionarono a questo nuovo e curioso sport. Erano i tempi dei piroscafi a vapore, quando per raggiungere le Americhe erano necessari oltre trenta giorni di navigazione e la Rivoluzione Industriale stava affermando una nuova classe sociale, gli “imprenditori d’industria”. Eilean, commissionata dai fratelli Fulton, ricchi commercianti scozzesi di metalli, vide la luce nel cantiere della famiglia Fife sulle rive del Clyde nel 1936 e oggi, dopo numerose peripezie, è giunta a noi raccontandoci la storia di una vita fortunata. Attraversato il 1900 e le sue guerre, cadde in disarmo quando nel 2006 la fortuna volle farle incrociare lo sguardo di Angelo Bonatti, ai tempi CEO di Panerai, che ne fece commissionare la ricerca storica e il meticoloso restauro, terminato nel 2009. La storia e l’arte dei maestri d’ascia e delle costruzioni navali lignee si perdono nella notte dei tempi. I corsi e gli specchi d’acqua, non a caso definiti “vie d’acqua”, svolsero funzioni comunicative e commerciali fondamentali dall’antichità fino alla fine del 1800, quando la rotaia prima e la gomma dopo, portarono al declino di queste autostrade naturali e dei mestieri che qui proliferavano.

Se barche raffinate e sinuose come Eilean hanno faticato a raggiungere i giorni nostri, risulta chiaro come le barche da trasporto e da lavoro, ben più povere di vezzi e finiture, ma altrettanto ricche di tradizione e storia, non abbiano avuto la fortuna di poterci raccontare personalmente il loro trascorso. A oggi alcune virtuose realtà si impegnano per difendere questo patrimonio e trasmettere ciò che ancora non è andato perduto, per tramandare la storia dei William Fife, di Eilean, dei leudi, dei trabaccoli, dei trasportatori di marmo del Duomo di Milano, dei maestri d’ascia, interpreti ed attori di un tempo passato. In quest’ottica di salvaguardia del passato proiettata verso nuovi modelli di economia sociale sostenibile, nascono le Officine dell’Acqua sul Lago Maggiore. Un progetto di riqualificazione urbana di un’ampia area dismessa sul porto di Laveno, centro di attività artigianali legate alla lavorazione del legno e alla storia della navigazione delle acque interne. L’importanza di cogliere il valore di questi manufatti, non soltanto da un punto di vista artigianale ma anche e soprattutto socio-economico, diviene il fulcro per la comprensione della storia territoriale, dello sviluppo urbanistico e demografico, strumenti imprescindibili per la progettazione di opportunità future, nell’era post pandemica, quali il turismo di prossimità e la riscoperta delle attività tradizionali. Oggi Eilaen non narra solo la sua storia, ma è testimone di una maestria del passato che spesso non ha avuto la fortuna di incrociare gli occhi e la sensibilità di chi avrebbe potuto salvarla. Il nostro impegno, oggi, deve volgere alla formazione e alla sensibilizzazione delle future generazioni, perché possano crescere con sguardo più preparato e attento. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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QUI: Una scena della

rappresentazione di Madama Butterfly all’Opéra di Parigi, nel 1993: la produzione firmata Bob Wilson presenta raffinati costumi di Frida Parmeggiani e coreografie dell’artista giapponese e collaboratrice di lunga data di Wilson, Suzushi Hanayagi. Foto: Tutti i diritti riservati. PAGINA ACCANTO: The

WAITING chair, sedia in legno laccato nero, bambù e acciaio, dal design insolito, utilizzata per le diverse scene. Foto: Tutti i diritti riservati.


Ombrosa quiete Nel 1993, la direzione artistica di Robert Wilson trasforma l’opera “Madama Butterfly” in un universo ipnotico che crea un nuovo rapporto con la scena, abbattendo il tempo e lo spazio fino a diventare un viaggio eterno nella bellezza.

di Alberto Mattioli


IN ALTO: Suzushi Hanayagi, ballerina e

A DESTRA: vaso in ceramica del maestro

coreografa giapponese, scomparsa nel

artigiano Taizo Kuroda.

2010. Foto: Robert Wilson.

Foto: Lovis Dengler Ostenrik.

Forse iniziare con un ricordo personale è irrituale o perfino sconveniente, ma non posso farne a meno. Correva l’anno 1996 e al Teatro Comunale di Bologna si rappresentava Madama Butterfly di Puccini con la regia di Robert Wilson. Lo spettacolo in realtà non era nuovo, ma si trattava di un’importazione dall’Opéra di Parigi, dove aveva debuttato tre anni prima. Ma io non l’avevo visto, nemmeno in video, né ne avevo mai sentito parlare. Fu una rivelazione, anzi un felice choc. Era un Giappone non descritto e nemmeno evocato, semmai condensato, depurato, distillato alla sua pura essenza, dove la forma diventava sostanza e viceversa, apparentemente un grande vuoto ma, in realtà, pieno di senso, con le luci (quelle luci!) che non si limitavano a definire spazi e situazioni, semmai li raccontavano senza che diventassero mai “realisti”. E tuttavia, misteriosamente, questo Giappone risultava più autentico di quello “vero”, dalla celebre (con il senno e le riprese di poi) sedia “dell’attesa”, in lacca nera e con una sola gamba, ai magnifici costumi-scultura di Frida Parmeggiani. E tutto ciò nell’opera di Puccini più sfigurata dalla cosiddetta tradizione, quella Butterfly dove una violenza quasi metafisica (un’opera tutta sull’attesa, proprio, dove l’azione è in 108

realtà la sua assenza) viene di solito ridotta e involgarita a sentimentalismo piccoloborghese, e dunque tradotta, anzi tradita, in un’estetica da servizi da tè. Nemmeno il Giappone “reale”, men che meno la sua essenza profonda, ma proprio la cartolina a uso dell’occidentale in visita guidata. Per inciso, riproponendo quel colonialismo becero da turista sessuale bianco che compra la ragazzina con cui spassarsela fra una tappa e l’altra del tour, contro il quale l’opera di Puccini si scaglia con una lucidità ferita e dolente che ci appare, a posteriori, profetica. Tutto questo spariva di colpo, davanti a questa eleganza astratta e traslucida, questi movimenti ritualizzati, calcolatissimi, calibratissimi, lentissimi (risolvendo finalmente anche il problema numero uno dell’opera lirica, il canto che allunga smisuratamente il tempo dell’azione) e che tuttavia non davano un risultato gelido, anzi colpivano molto di più delle care vecchie movenze del Puccini prêt-à-pleurer. Non ho mai capito come si possa parlare di minimalismo in rapporto a Bob Wilson: o meglio, per la soppressione radicale di ciaffi e attrezzistica e color locale da ristorante “tipico”, forse sì; per la ricchezza di idee e la potenza emozionale che suscita, certamente no.


“Goro’s Tabouret”, in acciaio martellato,

per Madama Butterfly che però non è

alluminio galvanizzato e pietra, nato

mai stato utilizzato nella messinscena.

dalla creatività di Bob Wilson. Prototipo

Foto: Courtesy of RW Work Ltd.

Poi Wilson raccontò del suo primo impatto con il Giappone. Tutto risale a un viaggio alla fine degli Anni Settanta, grazie a una sovvenzione del Rockfeller Found, in compagnia di un’altra borsista di belle speranze che si chiamava Susan Sontag. “Dopo un mese in Giappone la mia vita è cambiata per sempre”, dice oggi Wilson. Ed elenca gli incontri decisivi, perché poi una cultura, anche una grande cultura, cammina pur sempre sulle gambe degli uomini: Hideo Kanze, discendente di una dinastia di attori del teatro Nō, Tamasabura, una star del Kabuki, Hiroshi Teshigahara, filmaker e maestro della composizione floreale, e così via. «Prima di allora non avevo mai conosciuto il teatro giapponese, ma è stata un conferma di tutto quello che già stavo facendo nel mio lavoro,» ricorda Wilson. Nel 1993, quando mise in scena quella Butterfly che gli avrebbe cambiato la vita, e per la verità non solo a lui, all’elenco si aggiunse la coreografa Suzushi Hanayagi, uscita da una stirpe teatrale pluricentenaria, ancorata nella tradizione del Nō, del Kabuki e del Bunraku (in un mondo, quello teatrale, dove il passaggio dei saperi e la trasmissione della tradizione – quella vera – si fanno ancora manualmente, a bottega con gli anziani, nel contatto fra le

generazioni, e per la verità non solo in Giappone). Da allora, di spettacoli di Wilson, di prosa e d’opera, ne ho visti molti. Ricordo un Ring all’Opernhaus di Zurigo, dove sembrava materializzarsi quel “teatro invisibile” eppure coinvolgente e sconvolgente richiesto da Wagner, deluso della modestia delle soluzioni scenotecniche e illusionistiche della sua epoca, o i Monteverdi alla Scala, specie la celebrazione cortigiana e le metafore neoplatoniche dell’Orfeo trasformati in un rito ancestrale, in un’Arcadia di squisita, immota bellezza. Ma alla fine si torna sempre lì, a quella Butterfly tuttora nel repertorio dell’Opéra dove la si è poi vista e rivista, che riempie ogni volta di senso la sua stasi apparente, la sua concentrazione formale, la sua rastremazione iconica. Forse è questo il classico: ripensare continuamente l’esistente proiettando il passato nel futuro. Quella Butterfly evocata da questa mostra veneziana è un classico perché si potrà continuare a ripeterla e ogni volta resterà sempre se stessa e ogni volta diventerà un’altra. Quod erat in votis del giovane principiante che, in una sera del 1996 (e a Bologna poi, che non è esattamente Los Angeles), si faceva catturare per la prima volta dall’arte spiazzante e affascinante di Robert Wilson. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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EMU, nel cuore dell’Umbria, forte

collezioni d’arredo per esterno adatte

delle sue radici italiane ha sviluppato

a ogni contesto. È partner di “Homo

in oltre 70 anni di storia

Faber” già dalla prima edizione 2018.

una sensibilità e una vocazione

Foto: Marco Kesseler©Michelangelo

internazionali, che rendono le sue

Foundation.

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Estetica sostenibile

di Francesco Rossetti

“Homo Faber” ha scelto il Parco dell’Isola di San Giorgio per celebrare i valori dell’alto artigianato creativo, della ricerca estetica che si sposa con la contemporaneità, la funzionalità e la sostenibilità.

I giardini di Venezia sono come i suoi tesori più preziosi: nascosti. In questa città davvero unica e fatta a mano, dove i palazzi si riflettono sui canali in un caleidoscopio di pietre e mosaici, gli spazi verdi sono una punteggiatura urbana rarefatta ma raffinata. E tra i giardini, gli orti e i parchi di Venezia, uno dei più vasti e importanti è sicuramente quello che si estende sull’isola di San Giorgio Maggiore e che collega i diversi spazi della Fondazione Giorgio Cini. In occasione di “Homo Faber” la parte di parco che si estende tra gli edifici monumentali, la piscina Gandini e le Cappelle Vaticane, sarà trasformata in un interludio sorprendente: tra gli alberi secolari e le siepi, tra le sale e le mostre, sarà infatti possibile sedersi, rilassarsi e ristorarsi, riposando quindi lo sguardo e la mente dopo aver contemplato le meraviglie selezionate dai curatori. E dal momento che la bellezza richiama (ed esige) bellezza, anche questo interludio è stato pensato e costruito per armonizzarsi alla perfezione con il messaggio di eccellenza estetica e di sostenibilità su cui si basa la visione di “Homo Faber”. Il menu è affidato a Genuino, giovane e dinamica realtà triestina che persegue con integrità una missione culinaria speciale: educare al buono, al sano e al semplice attraverso un servizio attento ed efficace, trasferendo sulla tavola quei valori di artigianalità che “Homo Faber” persegue e promuove. E i tavoli, le sedie, i divani, gli arredi che impreziosiscono il parco sono creati e forniti da EMU: l’azienda umbra, celebre per il comfort e l’eleganza dei suoi prodotti di design, si distingue da oltre 70 anni per il dialogo fertile e duraturo con i creativi più visionari, da Patricia Urquiola a Jean Nouvel, e per

la maestria nella lavorazione del metallo. Ma non solo: la cura del territorio è per EMU un fattore essenziale, come testimonia il fatto che tutte le fasi della produzione sono sottoposte a un rigoroso monitoraggio, dalla verifica delle materie prime all’ingresso, al controllo e test durante le fasi di lavorazione, fino al check del prodotto assemblato, prima del processo di cataforesi e verniciatura, fino alla validazione e conformità del prodotto finito. L’interludio che EMU e Genuino animano nel parco della Fondazione Giorgio Cini è molto più che un servizio per i visitatori di “Homo Faber”: è una vera e propria celebrazione, coerente e completa, di quei valori di artigianalità, creatività e contemporaneità che “Homo Faber” esprime. Una sostenibilità che, nel caso di EMU, si traduce in creazioni perfette e sostenibili sia dal punto di vista estetico, sia per la loro resistenza. Già presente a “Homo Faber” nel 2018, l’azienda umbra torna sull’isola di San Giorgio Maggiore con collezioni nuove ma con la passione di sempre, e con una missione ben chiara: realizzare soluzioni di arredo che uniscano design, tradizione e innovazione tecnologica, portando nel mercato globale la cultura italiana del vivere all’aperto. Creare prodotti unici che superino le aspettative dei clienti per comfort, durabilità e rispetto dell’ambiente, grazie al mix equilibrato di ricerca estetica, funzionalità, tecnologia e abilità manifatturiera. Una missione che, nel contesto di “Homo Faber”, si arricchisce della vena poetica di un dialogo con l’alto artigianato creativo e funzionale, chiudendo quindi il cerchio di una ricerca di bellezza che i giardini, con i loro mestieri e i loro misteri, da sempre testimoniano e rappresentano. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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OPINIONI

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Il futuro è nelle mani di chi ha talento, passione, di chi crede nell’unicità. “Homo Faber: Crafting a more human future”

RI-SGUARDO

è la sintesi tra manualità e poesia, l’esaltazione dello splendore del passato che si proietta nella lucida visione di un futuro più umano.

L’arte di creare il futuro La massima espressione della bellezza e dello splendore, ovvero Venezia e le sue terre, e la più alta rivelazione del talento umano, ovvero la maestria artigiana, si incontrano in un luogo magnifico: la Fondazione Giorgio Cini, in occasione della seconda edizione di “Homo Faber: Crafting a more human future”. Una mostra-evento che celebra il lavoro, e la felicità che deriva dal poter trasformare ogni giorno la materia in forme nuove e straordinarie. Un lavoro inteso dunque non solo come labor, ovvero fatica e impegno: questi elementi sono certo presenti nella vita di un maestro d’arte, ma non ne esauriscono il significato. Il lavoro che “Homo Faber” presenta e promuove è più opus, un’operazione necessaria, adamantina, lontana dalla cieca fatica d’insetto che proprio John Ruskin (tra i primi fautori dell’universalità di quanto Venezia rappresenta) stigmatizzava come disumanizzante, quando applicata alle azioni umane. Un lavoro che si nutre di abilità e di poesia, insomma, e che i curatori chiamati a ideare le 15 mostre di cui si compone l’evento hanno saputo cogliere e valorizzare come veri artigiani del gusto, del gesto, delle forme, andando a raccontare una bellezza fatta a mano che scivola verso il futuro e che evoca un passato mai davvero scomparso. La presenza dei Tesori Nazionali Viventi giapponesi è una chiave di lettura efficace per comprendere il valore dei mestieri d’arte nel mondo contemporaneo: nella loro apparente semplicità, infatti, gli oggetti creati da questi detentori di un patrimonio immateriale di saper fare e di talento propongono un efficace antidoto alla banalità e all’omologazione che rendono opaco il nostro presente, facendoci riscoprire la felicità del fare nella vita di tutti i giorni. La fredda distanza che moltiplica lo spazio tra noi stessi e gli oggetti che ci circondano, di cui in molti casi non conosciamo nulla se non una funzione, prospera oggi più che mai a causa della nostra pericolosa incapacità di contemplare e accogliere la bellezza. Lasciarsi stupire dalla bellezza significa permettere al talento, alla creatività e alla maestria di rinascere ogni giorno, come “Homo Faber” invita a fare. Per costruire, come auspica il mecenate Johann Rupert, fondatore insieme a me della Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, un futuro più umano: un futuro fatto ad arte, con cura e passione. La Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, la Japan Foundation, la Fondazione Giorgio Cini, la Fondation Bettencourt Schueller e gli altri partner che la Michelangelo Foundation ha coinvolto in “Homo Faber” investono e si impegnano perché questi valori, che ci incantano e ci ispirano, possano sempre rappresentare non solo un simbolo dello splendore passato, ma anche la direzione più saggia (e forse più sostenibile) per uno straordinario futuro. •

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MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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ENGLISH VERSION

THE HUMAN CAPITAL Alberto Cavalli In 2016, when Johann Rupert and Franco Cologni founded the Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, they had a precise aim in mind: to support the finest craftspeople in Europe, often somewhat invisible and only rarely taken into consideration, in facing the challenges of the contemporary world. In so doing, they set themselves the goal of helping them become the new protagonists of a more human way of working, producing and selling: in a word, of living. The first edition of “Homo Faber”, in 2018, was the springboard for a new international cultural movement, which Franco Cologni has sought to promote through his Italian foundation since 1995: a movement that places human talent, in all its expressions, at the heart of endeavours for a more sustainable future. Where “sustainable” does not only mean respect for the environment, but also for everything that makes life extraordinary: dreams, creativity and beauty. The second edition of “Homo Faber”, scheduled to take place from 10 April to 1 May 2022 at the Fondazione Giorgio Cini in Venice, raises this dialogue to an even more evocative and prestigious level: Japan, the guest of honour at the event, shows us that the most skilled master craftspeople are true “living treasures”. A presence that is priceless for culture, memory and the identity of people and places: a human capital of talent and vision, which should be considered and celebrated as an anthropological cultural asset (in the words of our own Ministry of Culture). This issue of Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture is thus dedicated to the extraordinary adventure of “Homo Faber”. The following pages will reveal a preview, through the competent point of view of our passionate authors, of the fifteen exhibitions that will make up the new edition of this unique event, curated by a team of experts that includes legendary names such as Bob Wilson, Naoto Fukasawa, Judith Clark, David Caméo, Stefano Boeri, Michele De Lucchi, Jean Blanchaert and Sebastian Herkner. This concept of curatorship and care is one of the secrets of this event, which this year will be extended to embrace the whole city of Venice though the “Homo Faber in Città” programme: because doing things with care, making choices, noticing differences and showcasing them, are fundamental to increase the perception, and therefore the value, of beauty. But this edition is also dedicated to the “Homines Fabri”: all those who, with abnegation and talent, passion and skill, set out each day to celebrate the ritual of beautiful and well-made objects. People who pursue a handmade dream, imagining a future in which human hands always interpret our desires better than any machine. And translate them into meaningful objects that leave a mark. These men and women are the makers of their own destiny, thanks to the competence, love and authenticity of their vocation, which enables them to succeed in the most exacting challenges. The essence of their work is distilled in the pages of this magazine. It is the best possible commentary to the wonders Venice offers the watchful visitor: what might at first glance seem fragile can actually turn into something strong, longlasting and resilient when we take care of it. Enjoy your reading and have a good trip to the island of San Giorgio!

STAND OUT AND BE KNOWN Ugo La Pietra People need to exchange views in order to grow and improve! This is the approach that should be constantly applied within the various artistic disciplines. Among artists, the artisan-artist is the one who, more than other creative professionals, experiences the most “isolation”. This condition leads him to 114

explore unfamiliar territories but also forces him to have rare opportunities for verification and comparison. For many years (until the 1950s), outstanding artistic craftsmanship was regularly presented in magazines such as Domus or through exhibitions such as the Monza Biennale or the Milan Triennale. After that, many years of silence followed. It was only in the 1980s, when applied arts and the maker culture began to surface, that various initiatives were launched to unearth the different expression of crafts throughout Italy and to compare them with one another. The first experimental exhibitions at “Abitare il Tempo” in Verona and “Abitare con Arte” in Milan were followed by attempts to actually harness the formula used for the Biennials of the applied arts, resulting in exhibitions of “excellence”. Like, for example, the “Masterpieces” exhibition staged in Turin by Enzo Biffi Gentili, or the biennial editions of “Artigianato Artistico” that I organised in Todi and Boario Terme between the late 1990s and the turn of the new millennium. Comparing notes can therefore become the most useful tool for growing our own production within the more valued international market of this particular sector. Which, outside of Italy, is supported by museums, institutions, schools, galleries, the market… A complex of structures that could also sustain the work of our artistic craftsmanship. As far as nurturing forms of comparison and enhancement goes, our legacy of craftsmanship has already seen virtuous examples. Indeed, they are positively illuminating: more than the above-mentioned exhibitions and attempts at Biennials, I am thinking most of all about what was achieved in the 1950s for the handcrafted furniture of Brianza with the “Permanente” exhibition of Cantù. This institution was promoted by architects of the calibre of De Carli, Zanuso and Parisi, and for decades it provided the furniture in Cantù with an international seal of quality. Rediscovering the applied arts, coming together for a stimulating confrontation, up to the more ambitious project of creating a “permanent” exhibition, has been and continues to be a necessity for fostering the great heritage of Italian and international artistic craftsmanship. Every discipline, from architecture to art, cinema and comics, have long been cultivating national and international projects to showcase “the best of ” what is being done within their specific discipline. The world of design has yet to grasp how to deal with this comparison-based approach. Functional and consumption objects do not yet seem to have achieved the level of “value” and “meaning” that other arts have. But artistic craftsmanship deserves this kind of initiative, if only to acknowledge the creative effort, the passion and the desire to experiment… all values that characterise this particular field. In recent years, thanks to the commitment and participation of experts, scholars and theorists of the applied arts, the Fondazione Cologni has contributed to the development of various tools (exhibitions, awards, publications) capable of presenting but above all comparing a wide range of creative experiences. The world of artistic craftsmanship looks with keen interest and participation to the growth of these initiatives, which go far beyond the mere (albeit useful) raising of awareness. “Homo Faber” is becoming a centre of knowledge, experimentation and international exchange, and one that stands out amongst the many initiatives that have taken place in recent decades. We need to stand out to bring our artistic craftsmanship into the vast international arena of the crafts, thereby recovering the extraordinary creative heritage that has always distinguished our country.

THE MEANING OF MAKING Stefano Micelli Every crisis provides an opportunity to reflect on society and on the assumptions of living together. In the aftermath of the events of 2008, which


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marked the beginning of the financial crisis, we questioned ourselves about work and wealth. Analysis of the dynamics of the real estate sector showed that a large segment of the population, especially in the United States, had begun to think that finance – not labour – could be the source of household wealth. Among the main reasons for the success of Richard Sennett’s book, The Craftsman, was the determination with which the American sociologist looked at craftsmanship as a true antidote to a completely financialised society. Richard Sennett was the first to pose a general issue: craftsmanship is characterised not only by its contribution to the economy of certain sectors – for example, that of high-quality products – but above all by its ability to stimulate features of each individual that allow communities to rediscover lasting bonds and a sense of common purpose. The crisis triggered by Covid-19 has also set in motion a significant reflection on the role and value of work in advanced societies. The argument has developed on several fronts. A first consideration concerns the issue of remuneration. Over the past two years, we have come to realise that many jobs are not paid enough in spite of their actual contribution to society. These considerations apply, for example, to the nursing professions, which were valuable during the pandemic, but underpaid compared to other jobs. A second consideration concerns the deeper meaning of work. The pandemic crisis has forced a large portion of the population to work from home. Many have taken advantage of smart working to reflect on their working conditions and on the meaning that should be attributed to their daily commitment. This moment of collective rethinking has led to unexpected consequences, especially among those employed in the so-called gig economy. Many have resigned from their jobs, waiting to find something more interesting and meaningful. Riders working for home food delivery platforms, employees of large distribution chains, operators of the logistics chain of e-commerce are some of the profiles that have resigned convinced of the possibility of finding better employment. The phenomenon known as the “Great Resignation” speaks of a world that rejects the logic of standardised work regulated by procedures and algorithms. Many people are asking to express their personalities at work; they demand a margin of autonomy in order to make informed choices; they claim a space for authentic social interaction with respect to the recipients of their commitment. Ten years ago, the crisis juxtaposed an economy based on work and an economy centred on finance. In the wake of the pandemic, the contrast is rather between “bad” jobs and “good” jobs, according to the definition by two famous economists, Dani Rodrik and Charles Sabel. Craftsmanship represents a form of good work, from every angle. The increasingly visible and conscious demand for “good jobs” is a warning to business and politics to find ways to initiate a general shift in direction. Training, tax breaks, the offer of working space at low cost, support for entrepreneurship are some of the levers that managers and public administrators can use to encourage a transition towards a new idea of work and living in common. This is a collective demand that can no longer be avoided.

ALBUM Stefania Montani Adriano Berengo Fondamenta dei Vetrai 109/a, Murano, Venice T +39 041739453

Fondazione Berengo, San Marco 2847, Venice T +39 041739453

After graduating from Cà Foscari University of Venice, Adriano Berengo earned a PhD in Comparative Literature in New York. “But my passion for glass and my hometown were in my DNA: in a short time, I decided to leave America and return to Murano,” he confesses. Since 1982, the year in which he decided

to go into glassmaking, he has never stopped growing his business. “I looked to Peggy Guggenheim and Egidio Costantini for inspiration. In the 1960s, they invited artists such as Picasso and Chagall to create works in glass. I followed their example, and in 1986 I started promoting the world of contemporary glass art. I brought Murano’s greatest glassmakers together with some important international artists I had involved with the aim of creating great works of art. These collaborations have also led to the development of new and really interesting techniques,” notes Berengo with satisfaction. In the furnace, equipped with three large kilns, a group of master glassmakers gives shape to the most extraordinary works: they have inherited a tradition spanning a thousand years, of which Venice is the undisputed Grande Dame. “Many artists have worked side by side with our master glassmakers and exhibited their objects in our furnace. They include Tony Cragg, Jaume Plensa, the Chapman brothers and César,” Berengo explains. Some of the pieces are monumental, such as the Blossom Chandelier created by Ai Weiwei, in which blown-glass branches, flowers and little birds are all interwoven. Today, Adriano Berengo has a furnace where master glassmakers create glass works in collaboration with artists, and a Foundation set up in 2009. The latter is housed in Palazzo Cavalli Franchetti, not far from the Ponte dell’Accademia bridge, where artists and designers can display their creations. “The number of copies of each piece is decided with the artists. We usually make eight: one for the artist, one for me and the others for the art market.” Berengo has staged exhibitions all over the world. “I think I’m the only person who has 1,000 pieces of contemporary art ready for delivery in 24 hours,” he says proudly. berengo.com fondazioneberengo.org Ana Berger c/o Unisve, Dorsoduro 3077, Venice T +41 796602325

Ana Berger is a textile researcher and artist specialised in ancient and contemporary Japanese textiles and kimonos. She is a passionate collector of fine artifacts that she exhibits in museums and galleries, curating and publishing her own catalogues. She is currently preparing a book on Japanese textile arts, with studies of ancient traditions as her starting point. Her aim is to illustrate the continuity of this ancestral savoir-faire up to the present day, thereby providing testimony of how up-to-date it still is. Ana Berger’s work and interests are many and varied: in addition to studying artisan processes in the various periods and collecting fabrics, she is also involved in fashion and set design, collaborating in the staging of plays and films. But her greatest passion are Japanese textiles. “In order to get a glimpse of the secrets of this ancient tradition,” the scholar and collector explains, “I needed to gain a better understanding of it by actually learning the techniques used for dyeing and weaving the fibres. My teachers were master Japanese weavers, known as Living Treasures. They are artisans who have been handing down the techniques and secrets of their craft for generations. To pay tribute to their art, I decided to organise an exhibition entitled ’Japan’s Textiles–Fibers, Threads, Gestures & Beauty’.” Through her passion and knowledge of ancient and contemporary Japanese textiles and clothing, Ana Berger will introduce visitors to the extraordinary world of twelve masters of weaving, dyeing and other skills required to create these magnificent artworks. It is a journey designed to unveil the incredible diversity of fibres and yarns used to make these textiles, as Japan is one of the world’s richest countries from this standpoint. From Hokkaido to the Ryukyu islands, from Honshu to other isles, countless materials will be on show, often alongside explanations about the various methods used to make the patterns. The exhibition will be complemented by a rich selection of photographs and videos. anabee.rouge@yahoo.fr MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Fallani Venezia Cannaregio 50001/A, Venice T +39 3355851689

In the heart of Venice stands a workshop that prints high-quality editions interpreting the various expressive forms used by painters, sculptors, photographers, illustrators, graphic designers and street artists. This outstanding all-Italian business was established in 1968 by Fiorenzo Fallani, who also taught at the Venice Academy of Fine Arts. Right from the outset, he started using printing techniques that had just been imported from America, and were innovative at the time. It was an immediate success. In 1970, Fiorenzo was invited to the 25th Venice Biennale to work in the silk-screen printing workshop, where he met artists from all over the world. One of these was William Weege, an American artist who stayed in Venice for over a year to work in Fallani’s atelier, forging a great friendship in the process. The artistic work has always run alongside the business itself: first came zincography followed by photolithography and then, with the arrival of Fiorenzo’s children, came digital technologies. Today, Fiorenzo’s son Gianpaolo, who grew up in the workshop, continues to carry on the business and upholds the Fallani name. He explains: “Ours is an artisan workshop that prints high-quality editions. We interpret the artist’s works to best effect whilst translating them into graphic form: to do so we put at their disposal our technical expertise and our sensitivity, which are the very essence of craftsmanship. Each work has its own story full of anecdotes and emotions. Like the publication of the pictorial work by Dario Fo, with whom I had the pleasure of working just a few months before he passed away. Or the collaboration with Giampiero Bodino for the 2018 edition of Doppia Firma at the Salone del Mobile in Milan. Over the course of 50 years, about 250 artists from all over the world have come to us. It’s given us an amazing opportunity to exchange knowledge and to grow even more.” Fallani’s screen printing company has turned out precious publications and created more than a thousand works. Gianpaolo Fallani was awarded the title of MAM-Maestro d’Arte e Mestieri (Master of Arts and Crafts) by the Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte. Today, his children Francesca and Alberto work with him in the workshop. They share the passion of their father and grandfather, and are ready to continue the family tradition. fallanivenezia.com Caterina Tognon Art Gallery Cà Nova di Palazzo Treves in Corte Barozzi San Marco 2158, Venice T +39 3488561818 – +39 0415201566

Caterina Tognon owns one of the most important glass galleries in Europe. She has an all-consuming passion for glass, and collaborates with international artists and designers of the highest level. “I have always been in love with artistic glass blowing in Murano,” confesses the dynamic lady. “In the 1980s, I worked as artistic and production director in a furnace. Then I realised this outstanding craft could only have a future if it was linked to the visual arts, and not just to design and the applied arts. But it was necessary to find a way to support the costs.” So, Caterina Tognon began to contact artists not only in Murano but all over the world, and decided to create a space to give visibility to their works. She also chose to include some creations produced at the beginning of the 20th century within the artistic movements dedicated to the crafting of artisanal glass. She opened her first gallery in Bergamo in 1991. This was followed by the decision to move to Venice, in 2004. “In all these years, the venture has become bigger and more complex, even though the artists have remained the same since the beginning of my activity: Italian, Dutch, Canadian and Bohemian. It has been very nice to see them grow.” 116

In addition to curating her gallery, Caterina Tognon is also the founder and coordinator of Cotisse (a non-profit cultural association), a project set up in 2011 to support master glassmakers in their research and experimentation, at the same time making the value of the human, artistic and technological heritage represented by the ancient Murano glassmaking technique known throughout the world. “I named the association after the cotisso, which in our jargon refers to a shapeless, shiny, coloured and irregular block of glass. They’re rough casts and are usually stacked up at the entrance of every furnace, waiting to be added to the sand for fusion. In Murano, you immediately see the cotisso when you walk into a furnace, just waiting for the master glassmaker to transform it.” caterinatognon.com Cesare Toffolo Fondamenta dei Vetrai 37, Murano, Venice T +39 041736460

Born into a family of traditional artistic glassmakers (both his grandfather Giacomo and father Florino were master glass blowers at the Venini furnace), Cesare Toffolo is an extraordinary master. Having learned the basics from his father, he went on to hone his skills and invent new techniques. His reputation as the “world’s greatest glass-blower” soon spread beyond Italy, so much so that he was invited to teach in the United States and Japan, where he trained many other artists and glass professionals. His headquarters are in Murano, in a historic 14th-century building. His shop, with its elegant mullioned window, leads into the gallery where his works are displayed. His creativity knows no bounds, ranging from glass inspired by the Venetian tradition of the 18th and 16th centuries to the more modern forms developed during his time in the United States. Extraordinary, ethereal decorations such as flowers, dolphins and classical ornaments adorn slender goblets, glasses, jugs and hourglasses inspired by Venice’s golden age of the Serenissima. His more modern creations, developed whilst in America, are also noteworthy. They see minimalist, even a little ironic, often accompanied by tiny human figures that complete the work. At the far end, beyond the display area, is his studio, with long benches, hollow glass tubes and solid rods in a panoply of diameters and thicknesses alongside sheets of gold leaf and blowtorches. Cesare Toffolo works in these bright, airy space with his sons Emmanuel and Elia, whom he has taught the family secrets of this magical art. “Personally, I prefer blown glass rather than the solid kind: I like working freehand, I think it is the ideal condition to give free rein to creativity. I have also done my best to teach my sons these techniques and give them an overview of the different stages of the process. But I have always left them free to express their own ‘spirit’.” And this is positively tangible: the creations that leave his studio have a spirit of their own. Cesare Toffolo founded the Centro Studio Vetro, an association established in Murano in 1997 to foster exchanges in glass expertise both in Italy and abroad. toffolo.com Damocle San Polo 1311, Calle del Perdon, Venice T +39 3468345720

Pierpaolo Pregnolato is a young and cultured entrepreneur who decided to pay homage to the family tradition by setting up an independent publishing house specialising in the publication of dual-language paperbacks and artist’s books. His bookshop in the heart of Venice is a stone’s throw from the Rialto Bridge. In spite of the limited space, Pierpaolo has managed to make the most of every corner: not only by placing the Damocle books on the shelves, but also by setting up two small printing presses with which, when there are no customers


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in the shop, he creates small-format books that he binds on the spot. He also has chests of drawers containing the lead and wooden characters used to compose the texts. A whole universe enclosed in just 11 square metres. The editor and artistic director of the publishing house explains: “The care that goes into making a Damocle book is a tribute to the legacy that has been handed down to me through patient craftsmanship and the cultural background that I inherited from my grandparents Ernst Stockhausen and Luigina Vianelli, as well as from Giulio Vianelli, my great-grandfather and founder, in the 20th century, of the Premiato Stabilimento Tipografico e Legatoria Vianelli in Chioggia.” His bonds with the town remain to this day: it is in Chioggia, where the family tradition was first forged, that Pierpaolo Pregnolato opened the printing house where he crafts large books, posters and fliers. “My passion for literature and art prompted me to open this business, and it has allowed me to meet exceptional scholars, artists and actors. I consider myself very lucky,” Pierpaolo confides. He has also worked on a social project with a group of actors to publish books that are sold at the end of performances as a means of supporting charitable organisations. edizionidamocle.wordpress.com Marina e Susanna Sent Fondamenta Serenella 20, Murano, Venice T +39 0415274665

Extensive knowledge of artisan techniques and the quest for innovative solutions led two sisters born into a long-standing glassmaking tradition to leave the family business and establish their own. Thus, in 1993, Marina and Susanna Sent was founded, specialising in the creation of glass jewellery and artistic objects. Susanna, an architect, has mastered the techniques of glassmaking, decoration, glass fusion, grinding and sandblasting. Marina, who trained in technical studies, oversees all production processes. The Sent sisters created their first objects in a small room equipped as a workshop: they were necklaces made with blown glass beads with a modern design and simple lines and crafted with the lampworking technique. Originally made for their closest friends, these “soap bubble” necklaces proved so popular in the international art world that they were soon exhibited at the Milan Triennale and sold in the bookshop of the New York Moma, as well as in Tokyo, Bilbao and the Victoria and Albert Museum in London. An incredible success that has not stopped since. Today, the showroom and workshop of the Sent sisters are in Murano. They are housed in an early 20th-century cavana (a boathouse) they renovated, which features white interiors and a row of windows overlooking Venice, from Marghera down to Cannaregio and the north of the Lagoon. Their creations are brought to life here with the help of expert glass artisans. The two-storey display area showcases a variety of necklace models made with different techniques, along with bracelets crafted out of traditional round murrina rods which are flattened, and sculptural dresses made using glass beads pierced on both sides. One of their dresses was made as a decorative element for Dolce&Gabbana’s imaginative window displays. The latest products invented by the brilliant artisan designers include feathers crafted out of scraps left over from the glass fusion process, which are never thrown away. marinaesusannasent.com Kimiko Yoshida Exhibition: The Tale of Genji Palazzo Amalteo, San Polo 2646/A, Venice Contact: Jean-Michel Ribettes, T +39 3518130038 Constrained by the strict norms of her home country, Japanese artist Kimiko Yoshida decided to move to Europe in 1995. Her first port of call was Paris, then she graduated from the École Supérieure de la Photographie in Arles and

the Studio National des Arts Contemporaines in Le Fresnoy. Having fallen in love with Venice, she often stayed in the lagoon. Today she lives between Paris, Tokyo and Venice, where she works and displays her large-scale portraits, created with long-life pigment prints on opaque canvases and anti-UV paints. Her work revolves around female identity and the transformative power of art, playing with clothing and pictorial interventions, even on the skin. “I started with self-portraits, mostly monochromes that were fragments of an intimate mesh, elaborations of singular stories. My starting point was the female condition in Japan,” the artist confides. To create her works, Yoshida often collaborates with famous Japanese artisans, as in the case of the Tale of Genji, a medieval poem that tells the adventures of Prince Genji, the Shining Prince. “Starting from the chromogenic prints of my self-portraits on canvas, I created Kakejikus with the help of a Kyoto craftsman who applies delicate designs to illustrate the Tale of Genji. Using a traditional Japanese technique that mixes lacquer with gold or silver powder, known as urushi-e, the images are applied directly onto my photos, which are pigment prints on canvas. In fact, urushi-e literally means lacquered image. The gold dust design made with this technique imitates gold thread embroidery. The resulting image is so light that you can see an ancient image of Genji superimposed on a modern photograph: a double image.” The photograph goes beyond the limits of photography, beyond the object it portrays, beyond time itself. Yoshida’s self-portraits earned her the International Photography Award in 2005. She continues to exhibit around the world, and her work can be seen in the permanent collections of the Museum of Fine Arts in Houston, the Israel Museum in Jerusalem, the Kawasaki City Museum and the Maison Européenne de la Photographie in Paris. kimiko.fr Il Forcolaio Matto Ramo dell’Oca, Cannaregio 4231, Venice T +39 0418778823

Cultured, self-ironic, in love with his work and his city, Piero Dri is a young astronomy graduate who made a radical life change fifteen years ago, leaving Padua to return to Venice. “I started rowing with my grandfather at the age of three and since then my love for rowing has never waned. Gliding down quiet canals is what Venice is all about, it’s part of its culture. It should be explained to visitors, so that they can better understand the spirit of the city. After graduating, I felt that something was missing: it was Venice. Opening my own workshop was like creating another indissoluble bond with the city.” He decided to be apprenticed to Paolo Brandolisio, a well-known remér (master oar and rowlock maker), who was in turn a pupil of the famous Giuseppe Carli. Thus began his fantastic adventure. Dri stacks walnut, pear and cherry wood in the spacious warehouse he renovated in 2013. He personally oversees the slow seasoning of the wood: about three years are needed to preserve its technical characteristics. Two large vises are fixed to the floor in the middle of the huge workspace. There also many planes with which he creates old and new oars, which are then treated with oil to give them their final finish. “I use one of the vises to hold the oars, whilst the other one, a dò maneghi, with two handles, is used to make the forcole (rowlocks). Each oar and rowlock are made to measure, because you can only achieve an equilibrium if the oar, the rowlock, the vessel, the water and the rower all strike the perfect balance. Even just a few millimetres can change the end result.” Piero Dri’s customers are gondoliers, professional rowers (for sport or leisure), and boat builders. But there is more. “Rowlocks have become collectibles, and if you look at them, they are in fact sculptures in their own right, one-off pieces that have different shapes and wood veining. They are really unusual pieces that represent our city beautifully all over the world. The first person to display MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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a forcola in a museum was master remér Giuseppe Carli, who in the 1960s exhibited one of his rowlocks at the MoMA in New York.” Piero Dri has also produced a number of sculptures for collectors all over the world: his artistic forcole bear witness to Venetian expertise, a symbol of Italian style around the globe. ilforcolaiomatto.it Paolo Olbi Ponte di Cà Foscari, Dorsoduro 3253, Venice T +39 0415237655 – +39 3408234035

If age depended on a person’s enthusiasm and plans for the future, Paolo Olbi would be between 25 and 30 years old. Not least because, after more than fifty years in the business, his passion for his craft has never waned. “In the early days, I had up to one hundred employees, almost all of them women. They were incredibly skilled. I have always used traditional equipment, and I’m proud of my early 20th-century printing presses and my tools for hot-embossing leather,” he confesses with satisfaction. His workshop is housed in the Collegio Armeno. It is not just equipped for binding and covering books with cardboard, but also for printing. “This space would be perfect for creating a school offering binding, printing and typography courses. To teach young people how books are made, and to rediscover the techniques once used by Aldo Manuzio: it would be wonderful to create continuity with his incredible inventions five hundred years later. I have a secret wish: I’d like the Cà Foscari University, which is right in front of us, to work with us to choose poets and poems for publishing. And I’d like a sponsor to take this project to heart!” While waiting for his dreams to come true, Paolo Olbi spends his time on his artistic binding. In keeping with time-honoured traditions, he crafts his incredible works in vegetable-tanned leather, which is less polluting and only involves the use of organic materials. His creativity has also led him to experiment with new combinations of different techniques. The covers of diaries and albums are often crafted in conjunction with artists, using marble, wrought iron, glass and silver to embellish the surfaces. A highly refined product made with bibliophiles in mind. “The Doge Paper we use to make many of our products is made with a design inspired by Byzantine culture, the golden age of trade between Venice and Byzantium. The decorative motifs are only used on the frontispiece, whilst the hallmark of our workshop is on the back.” olbi.atspace.com Massimo Micheluzzi Ponte de la Maravegia 1071, Venice T +39 0415282190

Massimo Micheluzzi displays his breath-taking one-of-a-kind vases in a large workshop-store, which once housed his father’s antiques shop. His sculptures are crafted in a variety of forms and colours that recall the hues that characterise Venice, the colours of the water and its sunsets, and all its poetry. The master explains: “My passion for glass exploded rapidly, through the contact I had with artists and master glassmakers whose creations we displayed here in my family’s gallery. I met many of these artists thanks to the Venini family, which I frequented from childhood, and for whom I participated in the archiving of the catalogue, photographing their works on behalf of architect de Santillana. Then I decided for a complete change in direction and to try my hand at this magical art, starting my apprenticeship in the workshops of Murano.” His flair and exceptional skill allowed Micheluzzi to craft sculptural vases that immediately made their mark on the international scene. “Most of the shapes I create are decided by the fire itself: glass moves and it is the object that manifests itself, taking on a different form every time.” In 2019, Micheluzzi was awarded the Glass in Venice Prize by the Istituto 118

Veneto di Scienze, Lettere, ed Arti in Venice. Today, his works are exhibited in various museums around the world, from the Metropolitan Museum in New York to the Musée des Arts Décoratifs in Paris. A passion as great as his couldn’t help but prove contagious. So, after spending some years abroad, Massimo’s daughters Elena and Margherita also decided to follow in their father’s footsteps. “When we came back from London, we started working at the furnace in Murano with our father’s encouragement. We made glasses and small vases,” Elena explains. “We decided to create a collection of our own, called Micheluzzi Glass, for the home: hence the choice to make functional objects. Once the glass has cooled down, after being hot-blown, we use the grinder to make engravings of different depths on the surface to achieve the desired decorations. The facets produce incredible reflections, depending on the thickness of the glass and its colour. For us, it’s magic every time.” The glass artworks made by Massimo, Elena and Margherita Micheluzzi can be admired in the family gallery. massimomicheluzzi.it micheluzziglass.com Ongaro e Fuga Fondamenta Vetrai 43, Murano, Venice T +39 041739439

In 1948, Franco Fuga and Tullia Ongaro, two skilled artisans who were partners both in life and at work, opened a workshop in Murano to make Venetian mirrors. Thanks to their exceptional manual skill and artistic sense, their mirrors soon made a name for themselves not just in Venice but all over the world. Today their work is carried on by their son Giuliano Fuga who, together with his son Ludovico, his business partner Dario Valeri and ten expert craftspeople, continues to make astonishing mirrors using time-honoured techniques, keeping the family tradition alive. The workshop is divided into various rooms: one houses the drawing tables and shelves; one the lathes, ribbons and water pumps; one is equipped with racks for drying the treated pieces; a room is dedicated to silvering; and a room to restoration work. Ludovico, who started working with his father two years ago, explains: “We always start with a design. We draw a life-size sketch on a 1:1 scale. Then we cut the wood and glass by hand using a diamond drill. We use a grinder to smooth the rough edges, then we use lathes of different sizes and materials to carve out the desired engravings and designs. Finally, we proceed to silver plating with a chemical process, superimposing several layers of silver. Different effects can be achieved, from a normal mirror to an antique-effect one, using five types of antique finish. Some years ago, we started experimenting with other types of finish including coloured and oxidised mirrors, which are also used to create contemporary artworks.” Among the works carried out by these extraordinary artisans are the restoration of all the mirrors in the La Fenice Theatre in Venice and the covering of the walls of the palace of the King of Saudi Arabia. ongaroefuga.com

A LEGACY OF CULTURE AND BEAUTY Giovanna Marchello Thanks to the awareness-raising activities of the Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, also through the pages of this magazine, the Italian public has become familiar with the Living National Treasures of Japan. And next April, on the occasion of the “Homo Faber Event,” it will be possible to admire as many as twelve masterpieces created by these incomparable masters, brought together for the first time in the same space. Considered that there are only 57 Living


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National Treasures working in Japan today, the proportion is no small feat. Advocated by the Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, the exhibition “12 Stone Garden” was conceived by two experts in the field: Naoto Fukasawa, designer, professor and curator, and Tokugo Uchida, director of the MOA Museum of Art in Shizuoka and former chairman of the selection committee of Living National Treasures for the Japanese government. “The twelve Japanese Living National Treasures selected for the exhibition,” Fukasawa explains, “are active in their respective crafts, such as pottery, weaving and dyeing, lacquering, metalworking, woodworking, bamboo crafting and doll making, and they apply a variety of techniques and materials with exceptional skill. The objects we have chosen could be interpreted as contemporary art, which can be recognised as treasures of the world. In fact, they are not only Japanese Living National Treasures, but also World Living Treasures, expressing the beauty of Japan, as well as of the world.” Housed in the spectacular Palladian Refectory inside the Fondazione Giorgio Cini, the exhibition showcases these exceptional works on twelve stone-shaped blocks designed by Fukasawa himself. “They are rather minimalistic stones to emphasize the traditional work of Living National Treasures,” Fukasawa continues. “I tried to create a neutral ambience in the Palladian Refectory to highlight their beauty. The stage I designed creates a minimalistic contrast to the Renaissance and the legend of traditional Japanese art.” Fukasawa’s exhibition sets out to offer visitors a unique perspective: the subtle use of lighting creates a contrast between the imposing interior of the room and the twelve blocks. He imagines a space that is on the one hand dynamic and on the other hand a harmonising experience for visitors, who can observe the details of the artworks from up close and learn about the age-old traditional processes used to create them. The link that unites these artifacts, making them special, lies in the skills, techniques and savoir-faire that render each object unique and meaningful: that is, infused with makoto (crafted with sincerity). “Excellent craftsmanship and high quality of materials are the common thread in Japanese kôgei (art crafts),” Uchida adds. “The techniques employed for kôgei were established in the 8th century. During the following 1,300 years, kôgei artists have perfected those techniques, and passed them down to the next generations. Today the artists make the most use of natural materials and create works with a contemporary twist.” But Living National Treasures also share a design approach, and this is the aspect Fukasawa decided to spotlight in choosing the master craftspeople and their works. “Living National Treasures perform both the design and the creation themselves. In the process of bringing their designs to life, they must bring out the best in all the techniques they have perfected over time. Their creations should also delight enthusiasts and entice them into taking an interest in the styles the works present.” “12 Stone Garden” showcases exceptional men and women who have made the history of Japanese kôgei: Imaemon Imaizumi XIV, a master of the traditional technique of overglazing in making ceramics; Zenzo Fukushima, specialised in Koishiwara-ware; Kunihiko Moriguchi, who creates fabrics in Kyoto’s yuzen textile-dyeing tradition; Sonoko Sasaki, who weaves silk threads with the tsumugi-ori weaving technique; Kazumi Murose, who crafts urushi lacquerware using the technique of maki-e, which dates to the 8th century; Isao Onishi, a cabinetmaker whose designation as a Living National Treasure is for the lacquering technique known as kyushitsu; Yukie Osumi, a master of metal forging; Noboru Fujinuma, who weaves slender sticks of bamboo into fine baskets and other objects; Komao Hayashi, who makes toso dolls using a technique dating back to the 17th century; Jun Isezaki, one of the most renowned master artisans of Bizen ceramics; Takeshi Kitamura, a textile artist who uses ancient weaving techniques; and Kenji Suda, a cabinetmaker who employs a traditional technique called sashimono to create intricate intarsia wooden boxes, using Japanese urushi lacquer.

The secrets of the masters are unveiled in fascinating video-portraits by photographer Rinko Kawauchi in a behind-the-scenes glimpse of these production processes. Visitors can thus enter the ateliers of the twelve Living Treasures, discover the traditional tools and natural materials they use to create their works, admire the grace of their creative gestures, and marvel at the poetry they infuse into their work.

THE AESTHETICS OF PRACTICALITY Akemi Okumura Roy The “Ateliers of Wonders” is an exhibition that captures the creative moments of 12 Japanese artisans designated as “Preservers of Important Intangible Cultural Properties” (more commonly known as Ningen Kokuho, or Living National Treasures) through the artistic eye of award-winning photographer Rinko Kawauchi. The exhibition is set in the Renaissance-style Cypress Cloister of Fondazione Giorgio Cini. The large-size photos are arranged both on the walls and also printed on cloths hanging from the iron beams running along one side of the cloister. Being outdoors, the natural light enhances Kawauchi’s pure and poetic photographs, which provide a rare opportunity to see the work of the masters in their ateliers. In this space full of light, the photos all come together, inviting the viewer into a world of preciousness made not only of masterpieces, but also the working hands of artisans, the invaluable tools inherited from their predecessors, and beautiful natural materials. Kawauchi both designed and curated the exhibition: “I have selected each artist’s distinctive work scenes and the balance of the overall composition so that it appears as varied as possible. I also tried to create a multi-layered and resonant composition that can be seen by combining the photographs of the 12 Living National Treasures who are full of individuality.” Through her lens she captures the traditional kôgei (a Japanese term that embodies the long-rooted culture of craftsmanship) which has been handed down through generations using traditional techniques (waza in Japanese), which only humans are skilled in. In order to master these exceptional artistic skills and techniques, craftspeople must spend decades to train: a highly specialised process that involves time, skill and patience. Since everything is done by hand - and each process is enormous and incredibly precise, requiring not only concentration and attention, but also “devotion” - some objects can take several years to complete. During the shooting, the famous Japanese photographer was reminded of the amount of time, manual work, concentration, patience and skill that it takes to create an artwork that has been cultivated over many years. “It is the same in every craft,” she says, “and my own work as well. It was a great experience for me to meet these 12 Living National Treasures and to learn from them about the sincerity of craftsmanship.” The masters visited and photographed by Kawauchi specialise in a variety of traditional kôgei: Urushi with maki-e technique (lacquerware); Chiku Kôgei (bamboo craft); Tsumugi-ori (cloth woven from raw silk); Bizen, Iroe and Koishikawa-yaki (pottery); Tankin (metalwork); Mokkogei (woodcraft), Toso dolls, Yuzen (textile-dyeing), Tate Nishiki (warp-patterned brocade); Kyushitsu (coating with urushi). The Japanese word kôgei is translated as “art crafts” in English, but it’s meaning is more profound, because it stands for the skilled creation of works of art that combine aesthetic value with practicality. In fact, it is said that the original meaning of the Chinese character is “a person who connects heaven and earth”. The subjects of the photographs span from daily objects to ornamental pieces, each of which is a masterpiece “created with nature”. The Living National Treasures work with such precision, finesse, exceptional waza and delicate sensitivity that it is hard to believe it is human work. Through Kawauchi’s MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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photography, each viewer is quietly evoked into the “precious moment” of a historical work of art. I have had the privilege of interviewing some of the Living National Treasures portrayed by Kawauchi. They are all very modest and have a firm belief in traditional kôgei: “All materials are obtained from nature,” they say, “with which we should live in harmony. The essence of Japanese tradition is not only to pass on the traditional waza and beauty, but also to combine them with our own creativity and unique styles, which will become a tradition for future generations. Art should be a source of joy, and it should be a source of new life from the moment of birth.” Their approach is connected to Kawauchi’s work too, as the natural world is an essential element of her photography, through which she explores the theme of natural change and the environment. Kawauchi’s photographs have a unique transparency, gentle light and colour tones. They are overflowing with a sense of reverence to artisans and a spirit of handover of the beauty of traditional kôgei. Her photographs capture a moment in time of each master artisan and their works, which are full of life, and seem to live on forever. Through her exquisite photographs, she also conveys to the future the important traditions and wisdom of Living National Treasures who have devoted their lives to the preservation and transmission of kôgei. “Through this shoot,” she confides, “I was able to experience the infinite possibilities that the human hand can create. I wish I could share this realisation with everyone.” And thanks to the “Homo Faber Event”, we can experience the traditional art that only human beings can create in harmony with nature.

MAGNAE CHARTAE Ruben Modigliani The exhibition “Magnae Chartae”, curated and set up by Michele De Lucchi together with his studio AMDL Circle, is dedicated to paper arts across Europe. “My involvement with ‘Homo Faber’ came about for two reasons: my friendship with Franco Cologni and Alberto Cavalli and the fact that I was in charge of the project to restore the Manica Lunga on the island of San Giorgio for Fondazione Giorgio Cini. I have been involved since the first edition, and I would not have wanted to miss this one,” De Lucchi explains with a smile. “When they first came up with the topic of paper, a material I feel a great affinity with, I immediately said yes. But there is another reason, too: Ettore Sottsass, who was my teacher, loved paper. He used to buy it wherever he went, and come back with huge packages (and paper is heavy). Barbara Radice wanted me to have a part of this treasure, and I store it in a chest of drawers.” A wonderful starting point. De Lucchi too loves paper: he always carries around little blocks of A4 sheets divided into four, on which he draws and takes notes. In the room he curated at the last Biennale d’Architettura, an exhibition of visionary projects on the future of architecture, he displayed around 600 sketches he had made on his “pocket sheets”, as he likes to calls them. The protagonist of this event is a world with thousands of years of history, and countless stories to tell. The venue, which has never hosted an exhibition before, is a former church (“Bizarre, with chapels only on one side”, observes the architect), which has been renovated and reopened to the public on this occasion. It is an immersive exhibition, inviting the public to admire first-hand the skill and artistic talent of the master artisans at work in the hall. At the entrance is a large sphere designed by Belgian Charles Kaisin, composed of thousands of tiny origami created on site and hung on thin threads. The installations are engaging and always generate a sense of wonder: paper dresses and wigs made by real virtuosos; a small pavilion (a yurt? a garden tent?) made from artistic wallpapers handmade in the San Patrignano workshops; 120

papier-mâché bowls made from the pages of old books by Swedish paper artist Cecilia Levy’s; interlocking geometric sculptures by Greek artist Zoe Keramea; complex origami figures crafted from a single white sheet by Finnish artisan Juho Könkkölä; sculptures made from hundreds of thin strips and spectacular calligraphy tables. Then there are the images shot by photographer Susanna Pozzoli at the Gangolf Ulbricht paper mill in Berlin, where paper is made by hand using ancient moulds: the kind of paper loved by artists and restorers all over the world. At the end of the nave is a special area dedicated to a large installation by Montblanc, a brand of excellence in the world of writing: a spectacular ink bar where visitors can test pens whose nibs, embellished with a sheet of gold, are crafted before their eyes by the maison’s artisans using a special machine. “It’s an immense world that cannot be summed up in a single concept,” De Lucchi continues. “I believe that artists are really drawn to the variety offered by paper, which is not just something you write on, but can also be a construction material, with which you can create shapes and objects, coverings, surfaces and backdrops. The elements that make up the scenography are also made of paper: the structure is made of bars with a hollow, C-shaped section, in pressed cardboard with sheets of cotton paper as a backdrop. It is a material that appears delicate but can last for eternity. This two-fold fragility that challenges time itself is fascinating. We wanted to stage an exhibition on paper, which would reveal the ductility, plasticity and great scope of uses in which this material can be employed, and which in Japan is also used to create architectural elements. Its transparency is an important aspect: it means light, the ability to perceive that there is something beyond. This is the beauty of traditional Japanese paper houses: through that paper you can perceive that there is another space behind it, and it’s something I really like. We don’t talk about it in this exhibition, though it deserves a whole event of its own. I remember that in the 1980s, when the first computers arrived, people started to say ‘it’ll be the end of paper’: they were wrong.” As this exhibition proves, to surprising effect.

MARVELLOUS LIAISONS Alessandra de Nitto At “Homo Faber Event” 2022, in the evocative setting of the Cypress Cloister Hall, the Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte is called upon to curate, with the scenic design of Pedron & Associati architecture studio, an exhibition dedicated to the “Marvellous Liaisons” between Italy and Japan. The relationship will be celebrated through an extraordinary selection of works by great Italian master artisans inspired in various ways by Japanese art, aesthetics and customs. The fact that these special, historically attested relationships are still alive and fertile is widely demonstrated by the works on display, which are the result of the skill, talent and design expertise of 18 outstanding Italian masters and ateliers. Many of them belong to the exclusive “Golden Book” of the MAM - Maestri d’Arte e Mestiere (Masters of Arts and Crafts), a title created by Fondazione Cologni and inspired by the Living National Treasures of Japan, a designation conferred to the most talented artisans of the Land of the Rising Sun. The tribute to Japan unfolds in various ways, based on themes, inspirations, materials, decorations, typologies and production techniques, giving rise to works that are rich in references and at the same time very personal reinterpretations: many of the most significant sectors and materials of Italian fine craftsmanship are represented. In some cases, the works are the result of successful collaborations with Japanese masters. This is the case for the Scuola Mosaicisti del Friuli in Spilimpergo, which has spread the art of mosaics all over the world. The school presents two decorative mosaic panels resulting from the special venture with Toyoharu Kii,


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inspired by the theme of clouds and Japanese haiku poems, which are evoked by the alternation of tesserae and joints, full and empty spaces, movement and stasis prompted by the mosaic-laying technique. Sonia Maria Luce Possentini’s refined watercolours were created in collaboration with Akiko Yosano for the illustrated book Non dubitare dei sogni (Carthusia): the light, sensual poetry of the Japanese poet’s tanka, which describes the passing of the seasons, is interpreted by the illustrator with enchanting landscapes and rarefied atmospheres. A true work of art was designed purposely for “Homo Faber” by the famous Officina Rivadossi, the jewel in the crown of Lombardy and Italian cabinetmaking. In the atelier of Nave (Brescia), the skilful hands of Giuseppe and Emanuele Rivadossi have given life to a magnificent piece of furniture inspired by the rationality and lightness of the imperial villa of Katsura, in Kyoto. But the entire oeuvre of these master cabinetmakers is pervaded by an extremely human and very Zen aesthetic, which focuses on man and nature, on the nobility of the material and the sacredness of craftsmanship, on functionality and an ideal of a simple, harmonious, solid and serene beauty. In Aquario d’Arte (Art Aquarium) by Sicilian master Platimiro Fiorenza, the homage to Japan is expressed both in the choice of materials and in the iconography: the exquisite sculpture made of Mediterranean corals, oriental corals and silver represents, in the intentions of its creator, “a bridge between East and West”. The link is expressed not only in the materials used but also in the beautiful figure of the carp swimming against the current, which represents energy and strength in Japanese culture, and is also a symbol of marital happiness and good luck. The choice of the historic Ginori 1735 porcelain manufactory focuses on the fascinating and innovative technique used to craft the large Vaso con Pavoni (Vase with Peacocks) in glazed porcelain, which for the first time combines kintsugi, the ancient Japanese art of precious seams, and the typically Tuscan gold leaf technique. New beauty can be born from waste and, in keeping with its innovative spirit, Ginori 1735 has accepted the challenge to present an unprecedented re-edition of a large historical vase, born from the fragility of porcelain and made entirely by hand. In the powerful Eden sculpture, a spectacular block of onyx is modelled, smoothed and polished by hand. The bronze is cast with a frame and lost-wax casting on a brass and stainless steel pedestal. Milanese craftsman Gianluca Pacchioni, one of the most talented and imaginative masters of metalworking, breathes life into a veritable ode to nature in harmony with man the maker: a touching and virtuosic fluid dance “in which stone becomes soft and voluptuous in the shapes given by man, but marked by the veins of the rock itself ”. In this room, glass finds its greatest expression of artistic flair in the impressive series of six works created by Lino Tagliapietra, a true living treasure of Italian fine craftsmanship and a global ambassador of the great art of Murano glass. Surprising and breath-taking, the works on show are made in hand-blown glass using multicoloured canes and murrine in the Stromboli and Fenice series, the latter directly inspired by Japanese ideograms. It is impossible to describe in depth all the masterpieces that visitors will be able to admire, but it is just as impossible not to mention them: the Murano glass mirror carved and engraved by the highly talented Barbini brothers; the Kakiemon mirrors with three-dimensional decorations, crafted using the typical techniques of the Real Fabbrica di Capodimonte; the decorative panel in carved pinewood by the great Florentine cabinetmaker Davide Nencioni, with scenes of aquatic life in a neo-Deco style imbued with Asian influences; the commesso fiorentino “stone painting” masterpiece with flowers and a flight of butterflies by the historic Bottega Scarpelli, an all-Italian pride, from the Medici Renaissance manufactories to the present day, thanks to the talented hands of Renzo and Leonardo; the fascinating traditional Venetian masks from the renowned Bottega dei Mascareri; the sophisticated and precious screen with “Japanese joinery” by Lunardelli Venezia; the Sirena partenopea con tatuaggi giapponesi (Neapolitan mermaid with Japanese tattoos) in Vietri majolica hand-painted with traditional enamels and

colours by master craftsman Francesco Raimondi, who mixes, between myth and legend, the traditions of Campania and Japan with virtuosity, a fantastic vein and irony; the highly refined masterpieces by Brianza cabinetmaker Giordano Viganò, including the Red Fun coffee table, inspired by an ancient kimono; the series of three conical tables in brilliant lacquer finish with brass and chrome-plated steel inserts by Giuditta Doro of Alchymia; the silver hedgehog and octopus by Florentine silversmith Lorenzo Foglia, true proof of creative imagination and technical virtuosity in crafting objects from this precious material; and finally, the miniature theatre by the Carlo Colla & Figli Marionette Company, with the wonderful scenes of La Sposa del Sole (The Bride of the Sun), bringing the curtain down on this spellbinding spectacle! A true gallery of masterpieces of Italian fine craftsmanship, whose creators have been able to pay an intensely fascinating tribute to Japanese art, interpreting its great lesson in the name of excellence and originality.

THE FUTURE OF TRADITION Andrea Tomasi A dialogue between two organisations that have been committed for decades to defending and raising the profile of craftsmanship welcomes visitors to “Homo Faber” in the Novitiate Parlour of the Palladian Refectory. The exhibition, entitled “Masterful Gestures”, brings together the Institut National des Métiers d’Art and the Queen Elizabeth Scholarship Trust, two of the Michelangelo Foundation’s long-standing partners in its mission to promote fine craftsmanship and ensure the passing on of know-how to the younger generations. The handing down from master to pupil is the focal point on which the Institut National des Métiers d’Art is focusing its presence at “Homo Faber”. The French institute, founded in 2010, actually hails back to the Société d’encouragement aux arts et à l’industrie first established in 1889. It reveals its Maîtres d’Art-Élèves programme through four duos of absolute excellence: masters and students who have now become independent and who come together to share ideas, working tools and time in pursuit of perfection. “‘Homo Faber’ is an important opportunity to demonstrate the value and impact of the Maîtres d’Art-Élèves programme at a European level,” explains Chloé Battistolo, project leader for the programme. “In 1994, in order to safeguard rare savoir-faire from disappearing, the French Ministry of Culture created the title of Maître d’Art, a unique distinction inspired by the Living National Treasures of Japan, to which the master is entitled for life. Not only in recognition of his or her work, but also as a symbol of commitment and desire to pass on knowledge to the younger generations. Thanks to the support of the Fondation Bettencourt Schueller (the main sponsor of the programme since 2016), for three years the Institut National des Métiers d’Art has been accompanying these couples on their path of transmission.” The four duos featured in “Masterful Gestures” are examples of successful processes, some of which have already been completed whilst others are still underway. Judith Kraft and Mathieu Pradels began working together in 2014, and today they are internationally renowned masters in the field of antique violin making. Engravers Yves Sampo and Claire Narboni, on the other hand, met at the Monnaie de Paris, where French euros are still minted and collector’s coins, medals and trophies are created and produced. More than ten years after they first started working together, Ludovic Marsille and Alice de Kerchove de Denterghem, experts in crafting keys and locks, continue to share an atelier. The French roundup closes with Fanny Boucher and Marie Levoyet, who practice heliotypography, a highly refined and rare technique dating back to the 19th century, which involves transferring an image onto a sheet of copper before producing a chalcographic print. MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Sussex basket weaver Annemarie O’Sullivan, who grows her own rushes, luthier Shem Mackey, founding member of the British Violin Making Association, Albanian-born sculptor Andrian Melka and leatherworker Mary Wing To, who trained at London College of Fashion and at the Royal Mews, are the four masters presented by the Queen Elizabeth Scholarship Trust, a British charity founded by the Royal Warrant Holders Association in 1990 under the patronage of H. R. H. the Prince of Wales, which every year provides financial support to promising young craftspeople through scholarships. “Out of the more than 600 names we have helped over the years, we have chosen four talents at the peak of their careers, absolute masters in their craft who are also able to demonstrate the many fields we are working in,” says Deborah Pocock, CEO of the Queen Elizabeth Scholarship Trust. “Our main goal is to ensure a future for traditional crafts through their transmission to a new generation of artisans. After the terrible months that have put our community to the test, which saw the closure of several retail platforms and the cancellation of important events, we believe that the ‘Homo Faber Event’ is the perfect opportunity to celebrate this mission and a renaissance of the crafts.”

animation that causes a sound box to rise and fall. When the two parts are in contact, the wooden surface of the body acts like a soundboard and amplifies the sound effect. And finally, “Jeu” consists of an automaton’s arm trying to catch a bird that flies away and hides, only to randomly reappear. This unique project will be presented at “Homo Faber Event” with a patron of excellence, the British expert in fine mechanics Simon Kidston. A hall at the Fondazione Giorgio Cini, renamed “Mechanical Marvels” for the occasion, will house all five structures. The scenography, conceived by Swiss designer Charlotte Therre, will be set in a prestigious historical context and will emphasise the immense proportions of the room, creating a true “space within a space”. As they move around this immersive and engaging installation, enriched by lighting, texture and transparency, visitors will have the opportunity to activate the mechanisms by turning a handle that brings the different automata to life, making the magic happen.

MECHANICAL MARVELS Nicolas Lemoigne

“Porcelain is a material of incomparable beauty. It requires care and dedication… It requires a journey.” So writes Edmund de Waal, one of the world’s finest ceramic artists, in The White Road. Journey into an obsession. In it he traces the history of porcelain from Jingdezhen to Venice, from Versailles to Dublin and Dresden, all the way to the hills of Cornwall and the Appalachian Mountains of South Carolina. A journey through time and space that reveals the preciousness, fragility and great flexibility of this material, with its mysterious and ancestral charm. And it is a poetical journey from Europe to Japan that David Caméo and Frédéric Bodet offer in the exhibition entitled “Porcelain Virtuosity”, which they are curating for “Homo Faber Event” 2022. Staged in the Longhena Library of Fondazione Giorgio Cini in Venice, the layout of the exhibition is designed by studio _apml (Alessandro Pedron and Maria La Tegola). It must be said that the virtuosity evoked in the title is never an end in itself. Instead, it is the clear testimony of the extraordinary skill and visionary prowess of artists, designers and “intelligent hands” constantly engaged with a myriad of styles and techniques, ranging from the recovery of figurative art to abstraction. The lines between art, craftsmanship and design become blurred. What emerges is the richness and variety of an emotional production of high formal and expressive quality, striking a balance between tradition and innovation, technique and poetry, experimentation and influences from different cultures. With the will to push beyond boundaries, it strives to achieve constant, even radical transformation and reinvention of its languages. “Contemporary artisans should be encouraged to change their perspective: the future belongs to those who are willing to go beyond expectations, to revitalise and renew their craft, and in the process capture a young audience with the strength that is represented by beauty, by the ’know how’ and, of course, by the final object,” Caméo emphasises. But the beauty mentioned by Edmund de Waal has acquired a different form. It is “imbalanced”, at times ironic and playful, whilst at other times it is open to flaws, to the unconventional. Echoes of exuberance and excess redolent of Baroque and Rococo linger. At the same time, there are also more minimal and contemplative approaches. In the same way, the works by independent ceramicists are displayed alongside those yielded by joint ventures between international artists and designers and some of Europe’s most prestigious manufactories. In an atmosphere that is part wunderkammer part cabinet des curiosités, Naoto Fukasawa’s poetic ennoblement of everyday life for Sèvres alternates with the dreamlike memento mori of Katsuyo Aoki – intricate decorative systems turned into the work’s supporting structures. The work on memory by Bouke de Vries alternates with the allegorical, allusive veiled busts of François Ruegg. A journey

For the past ten years, students of the Master of Advanced Studies in Design for Luxury & Craftsmanship at ECAL/University of Art and Design Lausanne have worked closely, and in fruitful cooperation, with prestigious and storied maisons in disciplines that impose the highest standards of excellence, ranging from fine watchmaking to tableware, fashion, gastronomy and artistic craftsmanship, and which apply specific crafts and techniques to noble materials. The partnership with Association Mec-Art (Pour la mécanique d’Art) is a perfect example of this approach, giving students the opportunity to work alongside craftspeople established in Sainte-Croix. The town, in the Swiss Jura, is home to the specialisations involved in the creation of art mechanics, such as automata, music boxes and handcrafted watches, renewing traditions that are part of the UNESCO List of the Intangible Cultural Heritage. This ambitious project between educational, manufacturing and cultural hubs brought international students together with world-renowned designers and artisans in a combination of creativity, innovation and mechanical engineering. Under the supervision of myself and Fiona Krüger, designer and lecturer at ECAL, and thanks to a group of four students from the 2020 academic year (Charlotte Là, Switzerland; Ebony Lerandy, France; Chialing Chang, Taiwan and Sunny Oh, USA), a project was developed that won the attention and trust of both master artisans and representatives of the Association Mec-Art, including professionals of the standing of Denis Flageollet, Nicolas Court and François Junod. This project, developed and produced directly in Sainte-Croix, aims to create five interactive mechanical installations whose aesthetic, scenic and sound characteristics perfectly combine the know-how of master craftspeople and the vision of young designers. Each installation has a name and an identity. “Récit” is a map made of inlaid wood and a composite material modelled in 3D, representing the municipalities of Sainte-Croix and L’Auberson, places of choice for mechanical engineering in Switzerland. Its off-axis rotation allows visitors to observe, through a magnifying glass, the iconic locations linked to the district’s craftsmanship. “Souffle”, on the other hand, consists of three transparent pistons that generate a breath of air that animates linen paper discs spinning in a poetic way. The moving parts of “Dance” are inspired by the ballerina mechanisms found on some music boxes. The alternating mechanical movement randomly activates the blue glass legs, creating the effect of dance. “Résonance” evokes an ancient musical movement combined with a mechanical 122

THE SPLENDOUR OF WHITE GOLD Damiano Gullì


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through the exhibition also offers encounters with Chris Antemann’s figurines for Meissen – indebted to imagery and iconography of the 18th century and at the same time lucid analysis and parody of the man-woman relationship as well as reflection on domestic rites, social labels and taboos – and the work by Fernando and Humberto Campana for Bernardaud, with its riot of animal and plant-inspired forms. This is just a taster of the protagonists featured in “Porcelain Virtuosity”. The journey is in fact long. And studded with wonder.

THE MAGICAL OCTAGON Alessandra Quattordio As if by magic, Europe’s finest artistic craftspeople are concentrated in one place: a temple of beauty, not by chance located in the Lagoon of Venice, right in front of St. Mark’s square. The island of San Giorgio Maggiore is lapped by the waters of the Giudecca Canal and dominated by the profile of a church, designed almost 500 years ago by Palladio, which rises from the waters like an immaculate mirage with its airy marble terrace. At the same time, it remains concealed from those who pass by boat, exactly like its magnificent gardens, mostly hidden from view. The Fondazione Giorgio Cini hosted the first edition of “Homo Faber” in 2018. As its name suggests, the event is a showcase of the skills of master artisans expressed in a variety of works crafted from layer upon layer of know-how: knowledge of materials, technical skill, and the ability to translate inventive genius into magnificent works of art. In April 2022, the second edition entitled “Living Treasures of Europe and Japan” will represent the continuation of a journey that the Michelangelo Foundation embarked upon years ago. A voyage to countries across the globe, on a quest to seek out the worthy interpreters of an eternal savoir-faire: artisans whose imagination is nourished by the traditions rooted in their respective histories and cultures, but who are also projected towards a visionary dimension that only individual talent can yield. The leitmotif of one of the 15 sections of the forthcoming “Homo Faber Event” the exhibition “Pattern of crafts”, curated by Sebastian Herkner - is represented by the elegant octagonal pattern in interlocking white and grey marble that decorates the terrace in front of the church of San Giorgio. Rich in symbolism alluding to the theme of eternity, the octagon is presented in the exhibition designed by the German designer through the individual interpretations of 18 artisan-artists who, together, recreate the geometric decoration. Herkner learned the meaning of craftsmanship from his father, who was an artisan. He has long since become a designer for major brands, and was named Designer of the Year 2019 at Maison&Objet. He explains: “I asked each of the artisans picked for this project to interpret the octagonal motif in their own way, using their manual skills and the materials they feel suit them best. I am convinced that making a product by hand tells a unique story, especially when it is crafted with love and passion.” None of the artisans involved in the project shrink from the sacred fire of burning creativity. Here, then, are their names: Violaine Buet, who turns Brittany’s seaweed into fluid textile material; Sevillian Francisco Carrea Iglesias, who elaborates sumptuous embroideries both for sacred vestments and for the creations of well-known fashion designers; German Edition van Treeck, which places its expertise in high quality glass objects at the disposal of designers; Danish Signe Emdal, whose textiles see a combination of digital techniques and natural inspiration; Julien Feller, a modern “alchemist” who turns wood into lace in a tribute to Belgian tradition; Spanish Henar Iglesias, who composes feathers with mathematical precision, drawing on pre-Colombian traditions for inspiration; London-born Daniel Heath, who unravels fabulous stories from the decorations of his wallpapers; Séverina Lartigue, who, in

the very heart of Normandy, crafts silk flowers that look as though they have been plucked straight from the Garden of Eden; Parisian Anna Le Corno, whose fine marquetry places her on a par with miniaturists of days gone by; Atelier Mestdagh which, following in the footsteps of Belgium’s Art Nouveau, transforms stained glass into displays of light and colour; Naturtex, which embodies Spain’s time-honoured tradition in making exceptional mats and rugs from natural materials; Venezia Orsoni 1888, which turns mosaics into a dreamlike kaleidoscope; French Marie de la Roussière, who uses lacquer as an instrument of painstaking magic; Rubelli, which displays fabrics recalling all the splendour of the days of the Doges of Venice; José Vieira, who emulates the God Vulcan in Coimbra as he chisels metals, copper and tin; German Tabea Vietzke, who crafts intarsia with straws as if it were a priceless fibre; Zanat, who guards the Balkan secrets of woodworking; Palmalisa Zantedeschi, who plumbs the depths of Veronese marble, releasing it from its physical essence, yielding a more ascetic interpretation of the material. And… voilà! From the parvise to Fondazione Cini’s pristine Sala Barbantini, the octagon lives again!

THE CHARM OF FRAGILITY Giorgia Zanellato and Daniele Bortotto Our journey to Venice began in the winter of 2013. We are often struck by the beauty of a place as we look up and observe what looms over us. In Venice, however, we learned to change our point of view, to look downwards. On cold February days, the light filters through the mist, highlighting what is difficult if not impossible to see elsewhere. Shades, marks and imperfections, evident traces of a unique phenomenon: high water. A delicate issue, which offered us a starting point in an intimate and personal process, which continues to this day, of acquainting ourselves with this city. A few years later, our curiosity piqued by the desire to relive the same places with a more mature approach, we visited St Mark’s Basilica, where we came across a treasure lying at our feet, often overlooked by visitors busy admiring the magnificent vaults covered with gold leaf mosaic. Fired by our enthusiasm, we began to discover the wonderful polychrome mosaics that cover more than 2,000 square metres of the basilica’s floor. A complex, elaborate set of ornamental motifs of deep symbolic meaning. A timeless work of art embracing stories and distant worlds. St Mark’s is a millenary building site, and through its beauty it tells the story of the city itself, of its power and its conquests, of the discoveries made afar that still remain here. Its floors are messengers of a timehonoured way of doing things, which has been handed down over the centuries and is now part of a new world struggling to preserve them. “In Venice, applied arts enjoy a privileged position because the craftsman knows that such an unusual city was born, and remains alive, thanks to the work of his hands, in all its many expressions.” Thus wrote Guido Perocco in L’arte dello smalto in 1984, offering us the best possible insight into Venice and its treasures. Styles and epochs have passed, and the very face of the city has changed, but the craftsman alone has always had the power to renew this centuries-old heritage. The history of Venetian know-how is intertwined with the vicissitudes of the individuals who forged these places. Yet in Venice the hands of man are not just tasked with giving shape to matter. In fact, they must also protect its beauty from nature’s force, from the water that surrounds and often submerges it, taking away fragments and leaving indelible signs on it. St. Mark’s Basilica is the cornerstone of the lagoon city, and it is perhaps the point most exposed and affected by the rising tide. In the basilica we see the patient and incessant work inflicted by time and water, which have indelibly changed the appearance of every stone, wall and plaster. A vocabulary of marks in which imperfections, breakages or absences of some kind provide the cue to tell a story through the project. MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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This is how the “Tracing Venice” project was born. A journey that takes the form of a series of seven works inspired by the motifs on the floors of St Mark’s. Produced by De Castelli in a metallic mosaic, they bear the signs of the wear and tear of the original floors, enhanced by infinite shades of copper, brass, iron and steel. Why translate a story linked to stone with a material like metal? Because tradition needs to be stimulated with ideas, and “Tracing Venice” offers a contemporary interpretation of this age-old story. Once again, the skilled hands of the craftsman come into play, oxidising and eroding the material with irregular compositions and patches of colour. De Castelli is a modern forge that takes great pains to preserve age-old techniques and knowledge whilst interpreting them in a way that is open to the future. Through elaborate and sometimes uncontrollable processes, we sought out and described the marks inflicted on the original mosaics over the centuries using a creative and at times romantic approach. As Mario Piana, the Chief Architect of St Mark’s explains, the Basilica is “a living organism” to be protected and preserved day by day. “Tracing Venice” is a tribute to its history, to its ability to withstand time and strike a balance with such a delicate and unpredictable ecosystem.

in Japan before going on to become an undisputed star of floral art. Frenchman Frédéric Dupré has also notched up an award, with the title of Meilleur Ouvrier de France, along with Spainish Daniel Santamaria, who alternates his work as flower designer with teaching at the Escuela de Arte Floral in Barcelona, and German Gregor Lersch, an undisputed master who proposes his workshops around the world. The line-up is rounded off by the exceptional creative verve of Lithuanian Mantas Petruškevičius and the rarefied poetry of American Emily Avenson, who grows her flowers on a farm in the Belgian countryside. For the first time, these masters have measured themselves not only with flowers but also with vases: unique vases, which Venini asked its master glassworkers to interpret and produce. And which must be enhanced to best effect. Thus, two simple parallelepipeds form a lively setting with the works set in the middle. The central combination of vases and floral arrangements dance gently in a slow whirl to the sound of a mysterious musical composition, which extends infinitely in the depth of the lacquered walls and mirrors. All around, in the four corners, original materials metamorphose as they stretch and intertwine with one another. Because there is life in hybridisation, and life must always blossom to reveal its most beautiful form.

BLOSSOMING BEAUTY Sylvain Roca

CRAFT BIODIVERSITY Jean Blanchaert and Stefano Boeri

The scenography I envisaged for the “Blossoming Beauty” exhibition is rooted in the fertile terrain of potential, significant dialogues between material creations and the sensory environment (physical and digital) that I have been exploring for several years, in particular through “immersive” projects with Maison Cartier, the Louvre, the Institut du Monde Arabe, in France and abroad. Whether the subject of these exhibitions is social, historical, artistic or scientific, the intuitive, emotional and universal aspect of this approach turns events into individual and collective experiences, in which the sensorial dimension unleashes a cognitive appetite. The creation of “Blossoming Beauty” was imagined starting from the dialogue between the location (the White Hall of Fondazione Giorgio Cini), the works (unique glass creations made by Venini and designed purposely for the event), the authors (ten international flower designers), the fundamental principles of the Michelangelo Foundation, the identity of the “Homo Faber Event” and, of course, the island of San Giorgio Maggiore. It is about weaving bonds, both objective and imperceptible, between each of these protagonists. All of which calls for a period of immersion, of active and intuitive understanding, revealing a scenic ecosystem in which the elements support each other and foster an exchange. The particular circumstances experienced in the last two years have allowed us to extend this reflection, to hone and perfect our creation. It is also a question of sharing experience with a dedicated team set up with the backgrounds and talents of each in mind. We have Christian Holl, engineer, sound designer and inventor, Olivier Brunet, director, and Antoine+Manuel, graphic designers and artists, who have gradually come on board to conceive this creative adventure. “Blossoming Beauty” punctuates the visit to the “Homo Faber Event” in a unique way. A minimalist parenthesis conceals a rich organic and sensorial macrocosm, a union and fusion of two lively, shape-shifting crafts: glassmaking and flower creation. The ten flower designers in the project, all coming from different cultures, each contribute with their own aesthetic vision. They are British designers Philippa Craddock and Nikki Tibbles, both representatives of the UK’s floral tradition, and the all-female trio of White Pepper Studio, inspired by Japanese ikebana. From the Empire of the Rising Sun come Satoshi Kawamoto, whose shop-laboratory in Tokyo has been joined over the years by those in New York and Milan, and Dane Nicolai Bergmann, who put down roots

As far back as two million years ago, in the Middle Pleistocene, Homo Habilis was already beginning to use his hands and was able to recognise the qualities of different materials for making tools. Our true ancestor, however, is Homo Sapiens, who lived 1,800,000 years later, about 200,000 years ago. The Neanderthal man is famous for having an intelligence superior to that of any other being that had ever existed. Over millions of years of evolution, human hands acquired greater precision of movement, stimulating the development of the brain. The brain in turn asked the hands to perform increasingly refined tasks. The Homo Faber of the Latin saying, homo faber fortunae suae (meaning every man is the creator of his destiny), is also the living creature capable of expressing his skills to the full by imagining, creating and making things; a living being that loves to build because he is proud of his work, and wants to achieve something beautiful and lasting in life. Manual skills change, but they remain the driving force behind everything.

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Jean Blanchaert: In 2018, during the first “Homo Faber Event”, hundreds of Craft Masterpieces sourced in all corners of the Old Continent arrived in the “Best of Europe” hall. Stefano Boeri, in full harmony with the curatorship, invented a display inspired by a meandering river that gave the idea of crossing the whole of Europe, the square-shaped territory extending between Iceland, Russia, Cyprus and Portugal. For the second “Homo Faber Event”, the “Next of Europe” hall will be the result of a very different curatorship and installation from the edition held four years ago, even though the curator and architect are the same. Even the title, conceived by Alberto Cavalli, suggests the objective: to highlight the work of craftspeople, or Craft Masterpieces, and to stimulate in young people the desire to follow the talent of their own hands when they are skilled and capable and to learn a trade from a master in the workshop rather than chasing fashionable chimeras. Emperor Constantine had it all figured out in the 4th century - 1,800 years ago - when he abolished taxes on master engravers who had an apprentice in their workshop. Stefano Boeri: I am really pleased to return to the “Homo Faber” project. It has been a source of great surprise to me, and I think today’s politicians should draw on the Emperor Constantine’s decree for inspiration. I realised that this time too, the selection of objects is aimed above all at identifying works that


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are highly complex and involve sophisticated detailing of the materials, but which are also functional. Another selection criterion is linked to the concept of the atelier, of the craftsmanship school as a means of providing a benchmark, of training, of investing in the time of an object, instead of just its space. In the construction of the object, the master is often assisted by a pupil who thus learns the secrets of the trade. The sophisticated nature of craftsmanship is also measured with the ancient concept of time, and this is something very special. What we have done is to create a different setting from that of 2018, in the sense that in the centre of this space there will be craftspeople working on materials with their pupils. All along the perimeter, like a frame, there will be a large, very simple system of shelves, where we will try to showcase the specific nature of every object, which will have its own space and proportions. JB: This new layout makes visitor focus on the object, on the Craft Masterpiece in question. This time, Studio Boeri’s installation also relies heavily on lighting: each object must capture the viewer’s attention for 30, 70, 200 seconds. This is why a sort of “magic box” has been designed to attract the spectator’s eye to the object it contains, which will dialogue with the public by showing and telling its story. SB: Absolutely. This shelving system obviously uses a simple form of communication, but it is suitable for hosting objects of various shapes, sizes and weights, which will need different kinds of lighting. Therefore, if for the first edition of “Homo Faber” we thought of the “River Europe”, a great river with all these sinuous bends hosting the works on display, in this case, by taking everything onto the walls, the work is more, let’s say, a sampling. Besides, the interesting thing is precisely the relationship between the formidable variety of selected objects and the homogeneous flexibility of our project, which helps support this variety. I remember something Umberto Eco used to say when he was talking about Europe: “Europe is based on translation, if there were no translation there would be no Europe.” That’s very true, in fact it is in the translation of different languages that the very meaning, the very concept, if you like the cultural principle, the DNA of Europe is born. I believe that in the end what we have done is to show the visitor, with a sober display that is able to enhance the differences, the varieties, the “translations” of this artisan Europe. Whether Irish, Spanish, Greek, Russian or Norwegian, all these objects will in some way be translated into the same type of representation, into the language of “Next of Europe”, the translation tool of the varieties and differences of the utensils. JB: Italy may not be the country where people read the most, but it is the country which translates things most, and this is very interesting. SB: Italy is also the country with the greatest biodiversity in the world - plant diversity, animal diversity - and so, in a way, we are used to coming to terms with this extraordinary variety of landscapes, climates, cultures and dialects. This is our history, really, and it is great that this concept of translating Europe is brought to Venice, which is a piece of Italian history as well as a piece of world history.

the many activities performed each day in an almost ritualistic, conscious, seemingly unchanging way. The artisans would turn local materials into functional objects, ready for use. For them and their customers, the concept of an object’s value was proportional to the amount of time needed to make it. Along the streets, they would unfold their skills, often learned informally, displaying them to curious onlookers, and in particular to a little girl who, a few years later, would become one of the most important international experts on African craftsmanship and contemporary design: Tapiwa Matsinde. At “Homo Faber Event”, she will be transforming the Padiglione delle Capriate building, an evocative three-nave structure in the park of Fondazione Giorgio Cini, into an original tea room. “One of the first things that struck me when I returned to London from Zimbabwe was the distance between artisans and everyday life. It was something I took for granted, but it isn’t. So the idea of creating a space where the ’look-but-don’t-touch’ dogma does not exist, where objects can actually be touched, experienced and used, really stimulated me.” “The Artisan: a crafted tea room” has its rightful place amongst the 15 exhibitions that make up the “Homo Faber Event”. It is designed to showcase the mastery of artisans who, as Tapiwa observes, seem to be retreating into the shadows and becoming evanescent figures in our cities. But unlike the other exhibitions, “The Artisan” combines the elements of contemplation, wonder and discovery with interaction: an aspect that, for an exhibition seeking to strike a balance between art, craftsmanship and design, can seem new and unorthodox. Visitors to “Homo Faber” will thus be able to experience Tapiwa’s curatorial choices (tables, chairs, vases, sofas, armchairs …) both as exhibits and as furnishing elements in a location where people will actually be able to enjoy a cup of tea. And not just any tea, but a special blend created purposely by Mariage Frères, the celebrated French brand that crafts fragrant and refined infusions. Pulling up a Morelato armchair or a Lunardelli stool, all naturally handmade; taking a Marsilio book from wooden shelves made by hand in the UK; feeling like you’re in an episode of The Crown on Visionnaire’s Peacock armchair; enjoying a game of chess using precious, hand-carved pieces; or even challenging one of “Homo Faber”’s Young Ambassadors to a game on an extraordinary artisanal table soccer set. All these experiences take nothing away from the attention we usually devote to exhibitions, but actually add a sensorial element that not only makes it possible to admire but also to feel (on and around oneself ) the refined nature of craftsmanship. “The definition of craft, today, needs to evolve to embrace the many manifestations of human talent, just as the Michelangelo Foundation hopes,” comments Tapiwa Matsinde. “In this tea room, there are both functional and decorative objects, expressions of artisan talent and visions more related to craftsmanship, surprising creations alongside other, more prosaic ones. But the hand of man is there in each of them.” The talent of artisans from Europe, Africa, America and Japan erases the formal and perhaps outdated barriers that separate and fragment man’s creative expressions. Instead, it celebrates something machines will never be able to do as well as we can: interpret dreams and turn them into reality. Even, and above all, in our daily lives.

THE ESSENCE OF DECORATION Paolo Ferrarini TEA WITH THE ARTISAN Alberto Cavalli “The gestures, work and materials of artisans are no longer daily, constant presences.” The expression of Tapiwa Matsinde, the British curator behind the extraordinary crafted “Tea Room” at “Homo Faber Event”, is both piercing and dreamy. She conjures up distant scenes in Zimbabwe, her country of origin; of

The narration of how luxury objects are created has always held a special fascination. From ancient mythology to TikTok, the discovery of the great little secrets that lead to the birth of beauty generates wonder and mesmerises us at the same time. Hands engaged in work are the protagonists of videos of all lengths, from a few seconds to a documentary or even a series. A trend that touches the heart of those who love to glimpse behind the scenes, to understand MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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the true value of objects and to appreciate the authenticity of the processes that go into crafting them. But it is one thing to watch a video, often on a screen that is far too small, and quite another to enjoy the experience in person. “Details: genealogies of ornament” is one of the 15 exhibitions of “Homo Faber Event” 2022, and will help us satisfy many curiosities, quenching our desire to see beauty born before our very eyes. Curated by Judith Clark in collaboration with Sam Collins, the exhibition will allow us to discover unique objects and admire artisans from 15 fashion and luxury brands demonstrating their craftsmanship in person. In line with the other “Homo Faber” exhibitions, there will be a reference to Japan, whose culture is being honoured in this edition of the event. Judith Clark explains the reason for the choice of title, which encompasses a sequence of words that are crucial to fashion and luxury: “I feel the fact that genealogies is plural in the title invites the visitor to wonder which details we might be looking at or tracking: which elements are being quoted and which techniques are being passed down. It makes us think about how motifs and skills are regenerated and reimagined across time. I would like the visitor to see a version of how inspiration works within these extraordinarily detailed projects, taking from different traditions.” Fashion will be the main topic, but not the only one. In fact, the theme is addressed by focusing on everything that revolves around clothing. The exhibition will take us on a discovery of ornamentation through the production of clothes, but above all of accessories, decorations, jewellery, watches and perfumes in a variety of different materials, such as leather, velvet, feathers, precious metals and gemstones. As many as 15 Maisons have been invited to take part, with objects and artisans who will reveal the skills that make them Master Craftspeople, creating and finishing marvellous objects before the visitors’ eyes. The public will be able to admire Alaïa’s sculptural constructions, the timeless watches of A. Lange & Söhne and Jaeger-LeCoultre, Aquaflor’s Florentine art of perfumery, Buccellati’s Milanese silverware tradition, Cartier’s iconic jewellery, Hermès’ “velours au sabre”, Parisian Maison Lemarié’s couture creations, Piaget’s sensual jewellery, Serapian’s mosaic leatherwork, the enamelling carried out by the masters of Vacheron Costantin and the gilding by artisans of the Louvre with whom the Swiss Maison has a cultural collaboration, Van Cleef & Arpels’ fairytale jewellery, Chiso’s magical Japanese kimonos, and Dolce&Gabbana’s Alta Sartoria. Last but not least, a nod to sustainable luxury will be showcased by YOOX Net-A-Porter Group with the help of The Prince’s Foundation led by the Prince of Wales. “Details: genealogies of ornament” will take place in the spaces of the until recently abandoned Ex-Scuola Nautica at Fondazione Giorgio Cini. The exhibition is inspired by the painting Saint Jerome in his study, Antonello da Messina’s late 15th-century masterpiece currently housed at London’s National Gallery. The painting is a display of Antonello’s technical skills but at the same time a small anthology of objects, books, animals, clothes, materials and surfaces. The figure of the saint dialogues with the space and the artefacts, as it will in the exhibition, where every action and every product will be defined in constant dialogue with each other and with the exhibition. Judith Clark - who also designed the exhibition - has imagined a separate space for each craftsperson and for each of the 15 participating houses. The walls and floors of the different areas will be handmade with the intention of creating small coherent worlds, almost like small studios designed in the manner of Saint Jerome. Rather than underscoring the differences, the curator’s approach aims to highlight the similarities between the disciplines, techniques and their origins. This vision fits in with the special link between Europe and Japan that “Homo Faber Event” 2022 has placed at the heart of its programme. “The artisans work at the perimeters of the exhibition,” Judith Clark explains, “as though finishing 126

the exquisite objects within it, underlining a collaborative environment. It celebrates what the Maisons have in common, not only their more general vocation to specialist crafts associated with luxury, and a commitment to adapting those skills for new designs, but also decorative details that appear translated through different materials. This year Japanese culture and craft are being celebrated through the exhibitions so it is details associated with Japanese ornament that create visual relays across the huge space of the Ex-Scuola Nautica.” But how is this profound relationship between the projects on show and the styles of the Land of the Rising Sun expressed? “Japanese culture has been so influential on all the Maisons at different moments in time,” she continues, “in the way we tie a belt, imagine the drawn overlapping layers, petals or fish scales, or celebrate the seasons: we enter an exhibition full of homages, from Cartier designs from the 1920s and 1930s to contemporary commissions for the exhibition.” Thanks to this exhibition, the stories of luxury will also become our own stories: those of a unique experience that we will carry with us for a long time, to pass on the beauty of making and the importance of every detail.

THE LOOK OF EILEAN Paolo Sivelli Eilean, “Little Island” in Gaelic, is the name of the fortunate yacht skilfully crafted by William Fife. Little known to most people, Fife was born into a family of three generations of Scottish boatbuilders. He inherited their legacy, going on to become the best-known figure in the nascent world of Anglo-Saxon yachting. William Fife I, II and, lastly, William III himself, or Fife Junior as he was known to his “friends”, proved adept at interpreting the needs, whims and expectations of royals, nobility and the well-heeled of Europe who, in the mid-19th century, developed a taste for this new and curious sport. These were the days of steamboats, back when it took more than thirty days to reach the Americas by sea, and the Industrial Revolution was spawning a new social class of “Industrial Entrepreneurs”. Commissioned by the Fulton brothers, wealthy Scottish metal traders, Eilean was crafted in the Fife family boatyard on the shores of the river Clyde in 1936. Today, after a series of ups and downs, she has reached us to tell her happy story. After traversing the 20th century and its wars, she had fallen into disrepair when, in 2006, providence put her in the way of Angelo Bonatti, then CEO of Panerai, who had the boat’s history charted and had her painstakingly restored, a job that was completed in 2009. The history and art of shipwrights and wooden boatbuilding are lost in the mists of time. Rivers and lakes, not by chance referred to as “waterways”, played a fundamental role in communication and trade from antiquity until the end of the 19th century, when the railway first and then road vehicles led to the decline of these natural highways and the trades that flourished around them. If boats as refined and sinuous as the Eilean have struggled to reach the present day, it is clear that vessels used for transportation and work, much poorer in decoration and finish but equally steeped in tradition and history, have not been as lucky when it comes to telling us the story of their past. A number of high-minded organisations are now committed to defending this heritage, and to ensuring that the boats not already lost to time can be preserved. Thus the story of the Fifes, of Eilean, of the leudo, trabaccolo and barges used to carry the marble for Milan’s Duomo, of the shipwrights that made them in days gone by, can be handed down to future generations. It is with this goal of safeguarding the past, with a view to nurturing new models for a sustainable social economy, that Officine dell’Acqua was established on the shores of Lake Maggiore. A project to redevelop a large abandoned urban area


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in the port of Laveno, a hub of craft businesses and of the history of sailing on landlocked waters. The importance of understanding the value of these vessels, not just from an artisan standpoint but above all in social and economic terms, is pivotal for grasping the history of the area, its urbanistic and demographic development. Both are essential for planning future opportunities in the post-pandemic era, including staycations and rediscovering traditional crafts. Today, Eilean not only tells her story, but she is also witness to a past mastery that has only rarely been lucky enough to catch the eye and tug at the heartstrings of someone in a position to save it. Our commitment must be geared towards training and raising the awareness of future generations, so they can grow up with a more qualified, attentive outlook.

PEACEFUL DARKNESS Alberto Mattioli It might seem odd to open with a personal recollection, perhaps even unseemly, but I can’t help it. It was 1996, and Puccini’s Madama Butterfly, directed by Robert Wilson, was playing at the Teatro Comunale in Bologna. The performance was actually not new, but an import from the Paris Opéra, where it had made its debut three years earlier. But I had not seen it, not even on video, nor indeed had I ever heard of it. It was a revelation, a happy shock. Japan was not so much as described or even evoked, but rather condensed, purified, distilled to its genuine essence. Form became substance and vice versa, resembling a great void but in actual fact full of meaning, with lights (those lights!) that did not limit themselves to defining spaces and situations, but rather portrayed them without ever becoming “realistic”. And yet, mysteriously, this Japan was more authentic than the “real” one, from the famous (in hindsight and subsequent filming) WAITING chair, in black lacquer and with only one leg, to Frida Parmeggiani’s magnificent sculptural costumes. And all this in Puccini’s opera most disfigured by the so-called tradition: a Butterfly in which an almost metaphysical violence (the performance revolves entirely around waiting, where the action is actually its absence) is usually reduced and coarsened into middle-class sentimentalism, and therefore translated, indeed betrayed, with a tea service aesthetic. Not even the “real” Japan, let alone its deepest essence, but just a postcard for the Westerner on a guided tour. A return to colonialism in the form of the white male sex tourist who buys a young girl to have a good time between one stop of his trip and the next. A backdrop against which Puccini’s opera tears into with a wounded and painful lucidity that seems, in retrospect, prophetic. All this suddenly disappeared in front of this abstract and translucid elegance, these ritualised, calculated, calibrated, very slow movements (finally solving the main problem of the opera: the singing, which extends the time of the action considerably). Yet the result did not come across as icy. Instead, it proved far more striking than Puccini’s prêt-à-pleurer approach. I have never quite understood how someone can speak of minimalism in relation to Bob Wilson. Or rather, for the radical suppression of paraphernalia and props and the colour of a “typical” restaurant, perhaps yes; but not for the depth of ideas and emotional power generated. Wilson then talks about his first encounter with Japan. It dates back to a trip in the late 1970s, thanks to a grant from the Rockefeller III Fund, in the company of Susan Sontag, another budding young hope who was also a recipient of the grant. “I was there for one month, and my life changed forever,” Wilson now says. He reels off a list of decisive encounters, because a culture, even a great culture, always walks on the legs of men: Hideo Kanze, descendent of a dynasty of Nō theatre actors; Tamasabura, a Kabuki star; Hiroshi Teshigahara, filmmaker and master of flower arrangements, as well as many others. “I had

never before experienced the theatre of Japan, but once I saw it, I realised that it was a confirmation of everything I was doing in my own work,” Wilson recalls. In 1993, when he staged the Butterfly that was to change his life, and indeed not only his, the list saw the addition of choreographer Suzushi Hanayagi, who comes from a centuries-old theatrical lineage, anchored in the tradition of Nō, Kabuki and Bunraku (in a world, the theatre world, where knowledge and authentic traditions are still handed down manually, bringing generations together in workshops with the elders, and indeed not just in Japan). Since then, I have seen many of Wilson’s productions, both drama and opera. I remember a Ring at the Zurich Opernhaus, where that “invisible theatre” seemed to materialise, both enthralling and disturbing, as requested by Wagner who was disappointed by the modesty of the staging and illusionist solutions of his time. Or the Monteverdi at La Scala, especially the courtly celebration and neo-Platonic metaphors of Orpheus transformed into an ancestral ritual, into an Arcadia of exquisite, motionless beauty. But in the end, we always come back there, to that Butterfly which is still in the repertoire of the Opéra, where we have seen it again and again, filling with meaning its apparent stasis, its formal concentration, its iconic tapering. Perhaps this is what the classics are about: to continually rethink the existing by projecting the past into the future. The Butterfly evoked by this Venetian exhibition is a true classic because it can be repeated over and over, and each time it will remain the same and each time it will become something different. As per the wishes of that young amateur who, one evening in 1996 (in Bologna, which is not exactly Los Angeles), was captivated for the first time by the unsettling yet fascinating art of Robert Wilson.

SUSTAINABLE BEAUTY Francesco Rossetti The gardens of Venice are hidden, like all its most priceless treasures. In this truly unique and “handmade” city, where the buildings are reflected in the canals in a kaleidoscope of stone and mosaic, the areas of greenery punctuate the urban landscape with rarefied refinement. And among Venice’s gardens, orchards and parks, one of the largest and most important is undoubtedly that which extends over the island of San Giorgio Maggiore, linking the various premises of the Fondazione Giorgio Cini. To mark the “Homo Faber Event”, the part of the park running between the monumental buildings, the Gandini swimming pool and the Cappelle Vaticane, will be turned into a surprising interlude: amidst the centuries-old trees and hedges, between the halls and exhibitions, visitors will be able to pull up a seat, relax and enjoy refreshments as they allow body and mind to unwind after contemplating the curators’ pick of wonders. And given that beauty calls (and indeed demands) beauty, this interlude has also been designed to blend in with the vision of atheistic excellence and sustainability of “Homo Faber”. The menu is entrusted to Genuino, a young and dynamic company from Trieste, which pursues its special culinary mission with integrity: to educate people on wholesome, healthy and simple food through an attentive and effective service, thus transferring to the dinner table the values of craftsmanship that “Homo Faber” cultivates and promotes. The tables, chairs, sofas and furnishings that embellish the park are all created and supplied by EMU. The Umbrian company, renowned for the comfort and elegance of its designs, has stood out for over 70 years thanks to the fertile, lasting dialogue established with the most visionary designers, ranging from Patricia Urquiola to Jean Nouvel, and for its mastery of metalworking. But that’s not all: caring for the territory is essential for EMU, as evidenced by the fact that every stage of its production undergoes strict monitoring, from controlling the materials before they are accepted to checking and testing MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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during the manufacturing phases. All of which is followed by inspections of the assembled product prior to cataphoresis and painting, up to the validation and compliance of the finished product. The interlude brought to life by EMU and Genuino in the park of the Fondazione Giorgio Cini is much more than a service for visitors of the “Homo Faber Event”: it celebrates all the values of craftsmanship, creativity and contemporariness that “Homo Faber” expresses in a coherent, complete manner. In the case of EMU, sustainability translates into perfect creations that are aesthetically sustainable and built to last. After taking part at the first “Homo Faber Event” in 2018, the Umbrian company is set to return to the island of San Giorgio Maggiore with new collections but with the same passion and a clear mission: to create furnishing solutions that combine design, tradition and technological innovation, bringing the culture of Italian outdoor living to the global market. Crafting unique products whose comfort, durability and respect for the environment exceed customer expectations, thanks to a balanced mix of aesthetic research, functionality, technology and manufacturing skills. A mission that, in the context of “Homo Faber”, is enhanced by the poetic vein afforded by a dialogue with creative and functional craftsmanship. In so doing, it closes the circle of the quest for beauty that gardens, with their mysteries and the professional skill they call for, have always represented.

THE ART OF CRAFTING THE FUTURE Franco Cologni The highest expression of beauty and splendour – Venice and its surrounding area – and the supreme manifestation of human talent – fine craftsmanship – are being brought together in Fondazione Giorgio Cini, a truly exceptional location, to mark the second edition of “Homo Faber: Crafting a more human future”. Part exhibition, part event, “Homo Faber” is set to celebrate the work and happiness that come from being able to transform matter into new and extraordinary forms. Work is therefore not just understood as the Latin labor, i.e. hard work and commitment: these elements are undoubtedly present of the life of a master artisan, but they do not convey its meaning in full. The work that “Homo Faber” presents and promotes is more in the sense of opus: a necessary and painstaking task, and a far cry from the dogged labouring of insects that John Ruskin (one of the first advocates of the universality which Venice represents) condemned as dehumanising when applied to human actions. It is work that is nourished by skill and poetry, and which the curators called upon to conceive the 15 exhibitions that make up the event have been able to grasp and enhance as true artisans of taste, gesture and form. A handmade beauty that they narrate as it glides towards the future, evoking a past that has never really disappeared. The presence of Japan’s Living National Treasures is an effective key to understanding the value of craftsmanship in the contemporary world. In their apparent simplicity, the objects crafted by these holders of an intangible heritage of know-how and talent offer an effective antidote to the banality and standardisation that make our present dull. And in the process, it reveals the happiness of “making” in our everyday lives. The cold distance that multiplies the space between ourselves and the objects around us, which in many cases we know nothing about except for their function, is flourishing more than ever before because of our dangerous inability to contemplate beauty and embrace it. To be awed by beauty means allowing talent, creativity and craftsmanship to be reborn every day, which is just what “Homo Faber” invites us to do. With the hope, shared by patron Johann Rupert, with whom I founded the Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, of crafting a more human future: a future made with skill, care and passion. 128

The Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, the Japan Foundation, the Fondazione Giorgio Cini, the Fondation Bettencourt Schueller and the other partners that the Michelangelo Foundation has involved in “Homo Faber” are investing and committing themselves so that these values, which enchant and inspire us, may always represent not only a symbol of past splendour, but also the wisest (and perhaps most sustainable) direction for an extraordinary future.


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