Artigianato 52

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MMAATTEERRI IAALLI I && TTEECCNNI ICCHHEE Nella pagina a fronte, dall’alto e da sinistra: blocco di ardesia da cava; texture in rilievo di ardesia a spacco della Val Fontanabuona; cava a tetto, i segni longitudinali sono stati lasciati dai picconi dei cavatori; disegno di porzione interna della cava, detta “il Chiappajone”, tratto dal volume di Nicolò Della Torre “Guida del viaggiatore alle cave di Lavagna”, 1838 (Società Economica di Chiavari).

In questa pagina dall’alto e da sinistra: tabernacolo in ardesia dell’Abbazia di S. Andrea a Borzone anno 1513; spacchino nel momento dello spacco di un doppione; l’apertura del “libro di pietra”; ceppo spaldato in grandi e sottili lastre; tetto della chiesa parrocchiale di Santa Margherita a Vernazza.

La tecnica L’uomo attraverso la tecnica impara a decifrare il materiale e i suoi segreti: aprire questo libro, probabilmente, non è stato così facile come può apparire oggi osservando la semplicità con la quale uno spacchino, con pochi gesti ben calibrati, divide in meno di un quarto d’ora un ceppo di ardesia in quaranta sottili lastre. Ma a sfogliare queste pagine si inizia ancora prima con la “coltivazione” della cava. In Liguria si è affermata in passato la coltivazione sotterranea “a tetto”: intelligente ma pericoloso sistema per evitare di dover continuamente asportare lo “sfrido” all’esterno. Infatti i detriti derivati dal taglio andavano a riempire il vuoto creato dall’asportazione dei blocchi di materiale, permettendo di mantenere costante la distanza tra il suolo formato dagli scarti e il tetto da tagliare formato dalla roccia. Questa tecnica sfruttava al meglio la proprietà dell’ardesia di sfaldarsi lungo piani paralleli di scistosità; si praticavano quattro profondi solchi nel soffitto di roccia delimitando il blocco da estrarre, bastava poi conficcare alcuni cunei, in fondo al solco e in direzione parallela al suolo, che il blocco, per effetto della fissilità, con un sordo rumore, si staccava lungo un piano

perfettamente parallelo al soffitto e per la forza di gravità andava a cadere sui cumuli di detriti appositamente sistemati per attutire l’urto. Una volta caduto il banco d’ardesia veniva suddiviso in ceppi attraverso nuovi solchi, questa volta però, in modo più comodo, con colpi di piccone dall’alto verso il basso. Ancora oggi come nel passato, la successiva fase di “schiappatura” del ceppo avviene in modo completamente manuale con una mazzetta di ferro e due scalpelli affilati. Si inizia posizionando il blocco perpendicolare al terreno, si procede dividendo il blocco a metà con due precisi colpi lungo un’immaginaria retta; si vede a questo punto apparire una netta fessura che, leggermente forzata con la scalpella, apre un piano di spacco perfettamente perpendicolare determinando due perfette metà del blocco. Il vero e semplice segreto è continuare ad aprire la metà della metà del “libro” fino ad ottenere fogli sottili dai 5 ai 3 millimetri. Il procedere di metà in metà è determinante, poiché la fessura di spacco tende a deviare in direzione di un eventuale spessore minore del pezzo sottoposto al processo di sfaldatura; se si cercasse di laminizzare il ceppo iniziando da un lato esterno e non dal centro, si otterrebbero

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