TennisBestMagazine n.5

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INTERVISTE | INCHIESTE | TECNICA | TEST | SQUASH

beST/magazine € 4,50 ITALY ONLY

BIMESTRALE NOVEMBRE/DICEMBRE

HANNO SCRITTO Riccardo Bisti Marco Bucciantini Lorenzo Cazzaniga Federico Ferrero Fabio Fognini Cino Marchese Massimo Sartori Emilio Sanchez Andreas Seppi

! S U L P ST BE THE 012 OF 2

ANDREAS SEPPI

NUMERO 1 TENNISBEST.COM


www.almagrafica.com

F o r n i t o r e

U f f i c i a l e

Centro di Preparazione Olimpica Tirrenia (PI) Centro Estivo Castel di Sangro (AQ)

Bergamo ATP Challenger 2012: 11/19 febbraio, 42.500 €

PTT Thailand Open - BANGKOK

ATP World Tour 250: 26 settembre/2 ottobre 2011, 551.000 $

If Stockholm Open - SVEZIA

ATP World Tour 250: 17/23 ottobre 2011 - 531.000 €

St.Petersburg Open - ruSSIA

ATP World Tour 250: 24/30 ottobre 2011 - 663.750 $

PLAY-IT®- tel: +39 030 9912354 - mail: info@playit-tennis.com - www.playit-tennis.com


Fornitore Ufficiale


Sommario novembre/dicembre 2012

SPECIALE THE BEST OF 2012 DA PAG.48

36 IL MEGLIO (E IL PEGGIO) DELLA STAGIONE 2012

Ripercorriamo la stagione ricordando tutto quello che ci è (o non ci è) piaciuto.

48 BRIAN BAKER

Federico Ferrero ha raccontato la storia più bella, più emozionante e più incredibile dell’anno.

54 ANDREAS SEPPI

Marco Bucciantini è tornato ad occuparsi di Andreas Seppi. Destinato, numeri alla mnao, a diventare il più forte azzurro del dopo-Panatta.

66 VECCHIETTI TERRIBILI

Antonio Incorvaia ci ha ricordato gli over 30 di successo: da Roger Federer a Tommy Haas.

66 JOHNNY MAC

Un bellissimo ritratto dell’attuale John McEnroe scritto dal giornalista americano Stephen Rodrick.

74 ITALIA FORZA 8

La classifica combined per nazioni piazza l’Italia all’ottavo posto mondiale.And the winner is...

80 SERVE AND VOLLEY

Razza in via d’estinzione? Forse. Ma intanto ricordiamoci che il bel gioco non deve morire.


Opinionisti ANDREAS SEPPI

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FABIO FOGNINI

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EMILIO SANCHEZ

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FILIPPO GRASSIA

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86 IL TENNIS DEI VATUSSI

Essere molto alti è davvero un vantaggio nel tennis? Scopritelo con noi.

90 BJORN BORG

Questa volta Cino Marchese ci ha raccontato uno dei giocatori al quale è rimasto più legato: il mitico Bjorn Borg.

94 SERIE A

L’inchiesta di Riccardo Bisti sulla nostra Serie A. E su una squadra che andrebbe presa ad esempio: il Park Tennis Genova.

104 I LOVE THIS GAME

Il tennis giovanile e quello su carrozzina meritano l’interesse di appassionati e sponsor. Come nel caso di Bayer.lo scenario del prossimo futuro. Senza dover essere polkitically correct


Sommario novembre/dicembre 2012

111 NOVITÀ 2013

Arrivano le grandi novità 2013. A partire dalla quinta versione della Asics Gel Resolution, la miglior scarpa da tennis.

112 OK, MA IL PREZZO È GIUSTO?

Corrado Erba ha spulciato i listini attuali e fino a quelli di 30 anni fa. E scoperto che le racchette... costano meno di una volta.

116 TEST RACCHETTE

Il test di tre grandi novità 2013: le nuove Wilson BLX Blade 98, la Babolat Aeropro Drive di Nadal e il ritorno di Donnay in Italia.

124 25 ANNI DI PRESTIGE

Un nome che è ormai un’icona: la Head Prestige festeggia, con i suoi campioni, i suoi (primi) 25 anni.

126 SOLETTE NOENE

Diventate compagne inseparabili per tanti appassionati (e per i nostri tester), sono uno dei prodotti top che abbiamo testato nel 2012.

128 TECNICA

I consigli tecnici dei nostri coach, a partire da Luca Bottazzi e Massimo Sartori.

136 SQUASH!

Otto pagine interamente dedicate allo squash con l’intervista esclusiva a Ramy Ashour, il Roger Federer dello squash.


SE AMI IL TENNIS, PARTECIPA AL KIA AMATEUR AUSTRALIAN OPEN.

Potrai giocare alla presenza di Fabio Fognini, ambasciatore di Kia Motors Italia, sponsor ufficiale degli Australian Open, e potrai volare in Australia per le Finali! Registrati su www.facebook.com/kiaitalia entro il 5 dicembre 2012.


beST/magazine beST magazine Direzione e redazione via Bernabò Visconti 18 - 20153 Milano www.tennisbest.com Direttore responsabile Lorenzo Cazzaniga lorenzo@tennisbest.com

INSPIRED BY Andreas Seppi che, piano piano, si sta imponendo come miglior azzurro dell’era post-Panatta

Caporedattore Riccardo Bisti info@tennisbest.com Hanno collaborato Luca Bottazzi, Marco Bucciantini, Corrado Erba, Federico Ferrero, Antonio Incorvaia, Cino Marchese, Cosimo Mongelli, Filippo Montanari, Paolo Roveda

INSPIRED BY Brian Baker. Serviva una gran penna per descrivere l’odissea di questo sopravvissuto. Ci ha pensato Federico Ferrero

Pro Player Fabio Fognini, Andreas Seppi Pro Coach Emilio Sanchez, Massimo Sartori Photo editor Marco De Ponti Photo Agency Getty Images INSPIRED BY Tommy Haas. La carriera si allunga e a 34 anni puoi ancora sperare di battere Federer e chiudere l’anno al numero 21

Art director Der Prinz Editore XM MANAGEMENT SRL corso Garibaldi 49 - 20121 Milano Stampa Grafiche Mazzucchelli Via Ca’ Bertoncina 37/39/41 24068 Seriate (BG), Italia Tel: +39 035 292.13.00 Fax: +39 035 452.01.85 info@mazzucchelli.it Distributore per l’Italia m-dis S.p.A. Via Cazzaniga, 19 - 20132 Milano tel. 02/25.82.1 Registrazione presso il Tribunale di Milano n.75 del 10 febbraio 2012

INSPIRED BY Jerzy Janowicz. Guardandolo demolire (quasi) tutti a Parigi Bercy, ci siamo chiesti quanto conti essere dei vatussi nel tennis


DREAM TEAM

Giocatori, coach, manager, giornalisti, scrittori, commentatori tv: una carrellata dei complici che ci hanno permesso di sfornare questo numero di TENNISBEST Magazine. 1

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RICCARDO BISTI Il suo compito è (anche) realizzare inchieste. Questa volta si è occupato della Serie A italiana, manifestazione dalle ottime potenzialità, non sempre sfruttate. Come per esempio riescono a fare al Park Tennis Genova.

LUCA BOTTAZZI Ottimo giocatore, apprezzato commentatore a Sky, è uno dei migliori maestri italiani. Soprattutto nella delicata fase del primo apprendimento. Ogni numero sviluppa un concetto sul tennis di base, molto utile per i nostri maestri.

MARCO BUCCIANTINI Giornalista de L'Unità, ha un debole (tennistico) per Andreas Seppi. E così, spulciando tra numeri e risultati, si è accorto che l'altoatesino sta diventando il più forte giocatore italiano degli ultimi trent'anni.

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CINO MARCHESE Il più grande manager nella storia dello sport italiano, in questo numero si è occupato di Bjorn Borg. Suo grande amico, ha preferito occuparsi di quello che Borg ha rappresentato per il tennis, piuttosto che dei lati meno positivi espressi fuori dal campo.

EMILIO SANCHEZ L'abbiamo ammirato da giocatore, ora lo apprezziamo per aver creato la più importante accademia di tennis europea a Barcellona (e a Naples, in Florida). Ci ha spiegato come Andy Murray, cresciuto da junior nella sua Accademia, è diventato uno dei Fab Four.

ANDREAS SEPPI L'anno scorso abbiamo scoperto che nei pronostici non è esattamente il numero uno d'Italia. Però... quest'anno è migliorato anche in questo aspetto e ha evitato parecchie figuracce.

FABIO FOGNINI Dopo una stagione cominciata male con l'infortunio al piede e proseguita meglio con la finale a Bucarest e le ottime prestazioni a Parigi e US Open, il n.2 azzurro, che ha nel diritto un'arma importante, ci ha indicato i 10 migliori forehand del tour

FILIPPO GRASSIA La sua rubrica tratta temi che fanno (giustamente) discutere. Grande appassionato (e ottimo doppista), ha prestato giusta attenzione al coraggio di Ernesto De Filippis che con la sua MCA Events ha organizzato la seconda edizione della Grande Sfida.

4 LORENZO CAZZANIGA Il nostro direttore si è occupato di scegliere il meglio e il peggio della stagione 2012. Da Roger Federer che ha preos la testa del Grand Slam Ranking ai successi della nostra Sara Errani, passando per i fatti più (o meno) piacevoli dell'anno.

5 FEDERICO FERRERO La voce di Eurosport si è occupato del sopravvissuto Brian Baker, la storia più straordinaria di questo 2012 di tennis. E poi di altri sopravvissuti all'estinzione: i migliori giocatori serve&volley dell'Era Open.

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di LORENZO CAZZANIGA

IL SISTEMA ITALIA GIOVEDÌ 24 NOVEMBRE ERO NELLA BELLISSIMA REGGIO EMILIA, VESTITA A FESTA IN OMAGGIO AL SANTO PATRONO. L'occasione era partecipare all'evento organizzato dalla nostra Federazione per aiutare la popolazione colpita dal terremoto. Lodevole iniziativa per una manifestazione ben riuscita. La ederazione ha quindi optato per evitare la classica festa natalizia che riuniva in teatro a Roma il (presunto) meglio del tennis italiano per incoronare i più meritevoli. Si è deciso di farlo direttamente sul campo di Reggio Emilia, alla presenza di quasi tremila persone e delle onnipresenti telecamere di SuperTennis. Dopo aver rivisto le emozionanti immagini dei trionfi di Andreas Seppi, Sara Errani e Roberta Vinci, ho visto scendere in campo due belle signore. Erano le mamme di Gianluigi Quinzi e Filippo Baldi, le nostre migliori promesse giovanili, assenti giustificati perché impegnati in tornei all'estero. Mi è parso giusto premiare le madri, un ruolo troppo spesso dimenticato ma fondamentale nella crescita umano-sportiva di ragazzi ancora minorenni. A seguire, è stato premiato anche coach Simone Colombo, che è stato un ottimo giocatore e adesso recita un ruolo importante all'interno del settore tecnico federale. Nella motivazione di tale riconoscimento, ho sentito due parole curiose: Sistema Italia. In sostanza, i risultati dei nostri giovani sarebbero frutto del rinnovato sistema tecnico italiano. Lasciando perdere che considerare Quinzi un prodotto italiano mi par fuorviante (è cresciuto negli States e ora si allena con un coach argentino che non mi pare cresciuto alla nostra Scuola Nazionale Maestri, con tanto di preparazione in Sudamerica), mi è parsa la solita frase di propaganda FIT. Del tutto inutile perché nessun dirigente oserebbe mai alzare il dito per chiedere di cosa tratti esattamente questo Sistema Italia. Ho provato a confrontarmi con qualche istruttore, ma nessuno è stato in grado di abbozzare una risposta. Anzi, sento di maestri che stanno creando attività tecnica fai-da-te perché quella fatta da loro non soddisfa. Non mi sembra che la nostra Scuola Nazionale Maestri abbia un'impronta decisa sui metodi da utilizzare, come invece accade in Spagna o Francia, per citare i due esempi di maggior successo. Sulle nostre pagine e nei bit del nostro sito Internet, trovate spesso critiche (e tavolta i complimenti) a riguardo dell'attività federale (un'obiettività che qualche volta è premiata, altre volte ostacolata) e sempre più spesso le faccende riguardano il settore tecnico, quello che meriterebbe maggiori attenzioni, risorse e investimenti. Va bene la promozione (anche se è chiaro a tutti che il boom dei tesserati è avvenuto con modalità discutibili) ma è l'alto livello che trascina la base. Non l'opposto. E allora non si può gioire solamente per l'audience crescente del canale SuperTennis ma bisognerebbe pensare a creare davvero una scuola italiana, lavorando più a stretto contatto con i maestri, categoria che mi pare stia vivendo un'involuzione pericolosa e momenti di gravi difficoltà. Ricordo un'intervista che mi rilasciò Corrado Barazzutti. Gli consigliai di prendere quei 6-7 aspiranti coach professionisti e di affiancarli ai top coach nazionali (Sartori, Piatti, Rianna, Fanucci, eccetera). Un passo fondamentale per creare nuovi coach professionisti e, magari, un vero Sistema Italia. Barazzutti mi disse che l'idea gli pareva addirittura brillante e che l'avrebbe proposta. Nella sua serietà deve anche averlo fatto, ma fino adesso non ho notizie che sia stata realizzata. A PROPOSITO DI SUPERTENNIS, ho spesso criticato la logica che permette di spendere oltre tre milioni all'anno per un canale televisivo. Credo che limitando la programmazione ai match live o agli incontri vintage (sempre affascinanti) sarebbe possibile ottimizzare le spese e lasciarle a disposizione del settore tecnico. Tuttavia, temo che invece sarà necessaria un'ulteriore integrazione di spesa. Eurosport e WTA infatti, non hanno rinnovato l'accordo per la trasmissione dei tornei femminili e rischiamo di non vedere una palla delle nostre azzurre, proprio in un momento storico così favorevole al nostro tennis. Nel caso nessun interlocutore si facesse avanti, sarebbe quasi un obbligo per SuperTennis intervenire. Supponiamo che una valutazione compresa tra i 400 e gli 800mila euro sia corretta e forse, tagliando qui e là, si potrebbe ricavare. Perché sarebbe una bestemmia passare un anno senza Errani e Vinci, Pennetta e Schiavone, che tanto bene ci hanno abituato. QUESTA L'ABBIAMO GIÀ PUBBLICATA. MA È TALMENTE BELLA CHE VALE LA PENA RIPROPORLA! ... Il giorno dopo le elezioni Fit, mi sono imbattuto nel talk show di SuperTennis TV. Ahimè, c'era anche Nicola Pietrangeli. Ad un certo punto, alza il ditino e chiede di fare una domanda sul centro tecnico di Tirrenia. Poi in realtà, se ne esce con una dichiarazione che mi ha fatto trasecolare: «Ora, ditemi voi il nome di un giocatore che è uscito dall'Accademia di Bollettieri. Basta uno». Timidamente, gli fanno notare i nomi di Agassi e Sharapova (ai quali potremmo aggiungere Courier, Seles, Arias, eccetera). «Beh, ma quelli sono arrivati a 11 anni ed erano già fenomeni». Attendiamo dunque che a Tirrenia arrivi ad allenarsi un infante di quattro anni che diverrà numero uno del mondo vent'anni dopo. Post scriptum: della faccenda, l'immagine più esilarante è stata la faccia di Binaghi, inquadrato subito dopo...

Editoriale


ASICS nasce come acronimo del motto latino “Anima Sana In Corpore Sano”

SONO IL PROSSIMO PUNTO. NON L’ULTIMO. SAMANTHA STOSUR, VINCITRICE US OPEN 2011

IO SONO LO SPORT E TU? ASICS.IT


TENNISBEST MAGAZINE

THE CHOICE Ormai The Choice è diventato un modo di dire, utilizzato da ESPN quando LeBron James annunciò la sua scelta di trasferirsi da Cleveland a Miami. Indica, in buona sostanza, una scelta radicale, atta a trovare una nuova e più proficua strada professionale. È quello che abbiamo deciso di fare a TENNISBEST Magazine. Come la foto qui sopra suggerisce, dal prossimo 13 gennaio, TENNISBEST Magazine sarà disponibile solo su tablet, a partire dal tanto amato iPad. Come leggerete in fondo, non abbandoneremo totalmente la carta stampata ma si tratta di avviare un processo che ci permetta di offrire un'informazione sempre più ricca, più completa, più accattivante. I tablet stanno invadendo le nostre case (sono già oltre due milioni in Italia e dopo il prossimo Natale si registrerà un nuovo boom) e offrono la possibilità di pubblicare riviste digitali che offrono notevoli vantaggi. Anche dal punto di vista economico visto che offriremo l'abbonamento annuale a meno di un euro a copia. E attenzione (e qui sta l'altra novità), dal 2013 TENNISBEST Magazine diventerà un mensile. Un mensile studiato appositamente per tablet grazie ad un programma (Woodwing) considerato il top nell'editoria digitale e di cui si avvalgono testate come il Time, per citare una delle più celebri. Niente semplice pdf infilato in un'applicazione, ma una vera rivista interattiva. Le animazioni rendono più divertente la lettura e consentono di non tagliare gli scritti dei nostri giornalisti. Le gallery permettono di vedere più foto e particolari sia degli eventi sia dei prodotti. I video invece rappresentano un must per approfondire un determinato argomento. Mai più piccole foto con una didascalia tecnica ma uno slow motion di Federer spiegato da un coach alla Massimo Sartori. O ancora un video test dei prodotti o il racconto di una partita di cui possiamo ammirare qualche scambio. Il tutto, senza limiti di spazio, di numero di interventi, di pagine che bloccano considerazioni e approfondimenti. E ancora: una maggior interazione con il lettore tramite social network e affini. Ma la nostra offerta digitale non finisce certo qui. Potenzieremo il nostro sito Internet (TennisBest.com) sia nella sezione news sia in quelle di prodotto. Lanceremo un'applicazione per mobile, iPhone in testa, invieremo newsletter e riassumeremo il meglio della settimana grazie alla tecnologia paper.li che crera un link dove accedere ad una sorta di settimanale che richiama le migliori notizie degli ultimi sette giorni scelte dallo staff di TENNISBEST Magazine. Il tutto sempre utilizzando il nostro Dream Team, una squadra di collaboratori che è il fiore all'occhiello di ogni nostra iniziativa editoriale. Ma non abbandoneremo totalmente la carta. La sfrutteremo meglio. Abbiamo infatti previsto due uscite speciali. La prima, un numero da collezione interamente dedicato a Roger Federer, la seconda un PlayBook che tratterà di attrezzatura, tecnica e stage. E questo, ve lo regaleremo. Un'offerta editoriale importante per tenervi sempre aggiornati, in ogni momento e con qualsiasi mezzo, su quanto accade nel meraviglioso mondo del tennis. Continuate a seguirci, non ve ne pentirete.

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WWW.FACEBOOK.COM/BABOLAT

RACHETTA, PALLA E INCORDATORE UFFICIALE DI ROLAND-GARROS

OFFICIAL SUPPLIER

RAFAEL "EL UNICO" NADAL (SPA) RACCHETTA AEROPRO DRIVE CORDE RPM BLAST



WHO

Bob e Mike Bryan

WHERE

Arthur Ashe Stadium, New York

WHEN

07 settembre 2012

WHY

Perché anche uno sport individuale come il tennis può vivere momenti d’oro quando si gioca in coppia.

WHAT The Bump. Lo chiamano così i fratelli Bryan. Petto contro petto a celebrare un punto straordinario o una vittoria storica, come quella ottenuta nella finale dello US Open 2012 contro Leander Paes e Radek Stepanek. A Flushing Meadows hanno vinto il loro 12esimo titolo del Grand Slam, record assoluto. E se è vero quello che diceva Peter Fleming («Il miglior doppista è John McEnroe con chiunque altro»), i Bryan Brothers possono tranquillamente aspirare al titolo di miglior coppia di sempre. Certo, i top players non giocano quasi mai il doppio, ma loro hanno trascinato la disciplina su livelli altissimi. Cosa succederebbe se incontrassero una coppia formata da Roger Federer e Rafael Nadal? Ci ha risposto Jonas Bjorkman, ex numero 4 in singolare e numero uno in doppio: «Se li avverti 20 minuti prima del match vincono i Bryan. Se gli lasci due settimane di allenamento, Rafa e Roger» photo by Cameron Spencer Getty Images


WHO

Davis Cup Team della Repubblica Ceca

WHERE

02 Arena di Praga

WHEN

18 novembre 2012

WHY

Per ricordare il successo di una grande sqaudra, ma anche (e forse soprattutto) di una grande scuola

WHAT Siamo una squadra fortissimi, canta il Checco Zelone made in Czech Republic. Ma non si riferisce di certo alla quadra di calcio, bensì a quella capitanata dal mister Jaroslav Navratil e trascinata fino alla finale di Davis da Tomas Berdych e quindi, nell’atto conclusivo, da un immenso Radek Stepanek, capace di tramortire Nicolas Almagro col suo serve&volley, con le sue continue discese a rete, con un tennis che in molti davano per scomparso e che il buon Radek ha dimostrato poter essere ancora vincente. Una vittoria, la seconda nella sua storia (la prima nel 1980, porta ancora il nome della Cecoslovacchia) che non è solo di una squadra ma di un’intera scuola tennistica che da quarant’anni sforna un campione dietro l’altro. Come quell’Ivan Lendl da Ostrava, volato fino a Praga per godersi lo spettacolo. Chapeau. photo by Clive Brunskill Getty Images



WHO

Tennis Australia

WHERE

Sydney Olympic Park Tennis Centre

WHEN

11 gennaio 2012

WHY

Per ricordarci che fra un mesetto scarso si ricomincia. Down Under.

WHAT Per molti appassionati è un vero sogno: partire in pieno inverno europeo e fuggire al caldo dell’estate australiana. Con l’inizio della stagione tennistica a far da bella scusa. Certo, l’Australian Open è la massima aspirazione, in quella Melbourne che è stata votata come città più vivibile del pianeta Terra. Però caldeggiamo vivamente anche una capatina a Sydney, la settimana prima, in quella che molti considerano la città più bella al mondo, soprattutto per la qualità di vita (e della vacanza). Si è convinto anche Alex Del Piero, non farete fatica a convincervi anche voi. E non dimenticate una delle regole principali dell’appassionato-turista: non limitatevi ai campi principali, ma fate un tour di quelli secondari, spesso ancora più affascinanti. Soprattutto se ci si imbatte in un arcobaleno australe. photo by Matt King Getty Images



amo i t t e mm o c S ... e h c EPPI DI AN

DREA

SS

Un anno di pronostici Come è ormai abitudine, nell’ultimo appuntamento dell’anno riassumiamo i miei pronostici. L’anno scorso è stata una vera debacle. Quest’anno credo di averne azzeccati parecchi. Andiamo a vedere… Col calcio è andata così così. A inizio anno ho quasi sbagliato la qualificazione del Milan in Champions dopo il 4-0 dell’andata contro l’Arsenal. Però alla fine, per quanto semplice, l’ho azzeccata. Mi piacerebbe invece sapere in quanti avrebbero pronosticato la vittoria del Chelsea nella finale di Champions contro il Bayern. Beh, prima avevo detto che la Champions l’avrebbe vinta il Milan… però è chiaro quanto fossi annebbiato dal tifo! Quest’anno ho già preso la qualificazione del Milan agli ottavi e se sbaglio quella della Juve… pazienza! Ok, sono stato un po’ ottimista sul fatto che, oltre a me e Fognini, anche Volandri e Starace si sarebbero qualificati per il tabellone olimpico. Però ho indovinato che un italiano avrebbe vinto un torneo ATP. Speravo fossi io… e sono particolarmente contento di averci preso! Meno bene con Belen, ahimé. Non è tornata a farci vedere la farfallina e nemmeno qualcos’altro. È andata buca! Passiamo al tennis, che è meglio. Avevo detto che Djokovic non avrebbe vinto Indian Wells e Miami come l’anno scorso, e infatti in California Roger mi ha salvato. Più facile prevedere che i Fab Four sarebbero rimasti lassù: e se nessuno ha scavalcato Nadal che ha giocato solo mezza stagione, vuol dire che sono proprio di un’altra categoria. Azzeccato anche il pronostico su Gianluigi Quinzi: non ha vinto un match nei tornei Challenger, ma quanto ha fatto bene nei Futures! L’anno prossimo cambio scommessa… Ho continuato la mia striscia vincente con Juan Martin Del Potro che effettivamente non ha raggiunto una finale Slam e con Nole che ha chiuso la stagione da numero uno Mi stupisco di me stesso, non ne ho sbagliato uno! Sentite qui. Gli otto qualificati per il Masters? I Fab Four, Ferrer, poi Berdych, Tsonga e Del Potro. Tutti presi. Nadal vincerà Roma e Parigi? Certamente. E così è stato. Va bene, è andata peggio con la Davis. Ero certo fosse l’anno buono per l’Argentina. Ha rotto le uova nel paniere Tomas Berdych, non tanto per come ha giocato la finale a Praga, ma per le sue vittorie a Buenos Aires. Fantastico! Avevo anche azzeccato che Federer non sarebbe rimasto imbattuto come l’anno prima nella stagione indoor, tra ottobre e novembre. Però mi aspettavo che vincesse qualcosa di importante. Però ci possiamo accontentare. Sia io, sia Roger…

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Che dritti! Insieme al servizio, è il colpo che può fare la differenza. Ecco quali sono i 10 diritti più fulminanti del circuito professionistico, scelti da chi li deve affrontare di Fabio Fognini

1. RAFAEL NADAL

Difficile dire se è meglio il diritto di Rafa o quello di Roger. Entrambe sono esecuzioni straordinarie. Per quello che è il tipo di gioco e gusto personale, mi piace vedere come Nadal carica la palla, la rotazione che riesce a imprimere e che ti porta via, lontano dalla riga di fondo, e come poi riesca subito dopo a tirare delle accelerazioni pazzesche. Se si sposta per giocare il diritto anomalo, puoi farti il segno della croce e il cross stretto ti manda in prima fila. Insomma, un'arma letale.

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2 ROGER FEDERER

Beh, ha vinto 17 Slam grazie soprattutto a questo colpo e tanto basta. Una botta terrificante che gioca indifferentemente da qualsiasi posizione del campo verso qualsiasi altra direzione. Nessun limite. Mi fa impazzire quando finta la smorzata e gioca il back lungo!

3. JUAN MARTIN DEL POTRO

Tira sempre forte, ma col diritto crea dei buchi nel campo avversario. Lo vedi subito, quando si prepara con la sua apertura ampia, che sta per arrivarti addosso un comodino. E non lo sbaglia quasi mai.

4. TOMAS BERDYCH

Per facilità esecutiva, è l'unico che tiene il passo di Federer. La palla gli esce con una facilità disarmante, anche quando non è piazzato bene. E riesce a tirar forte sia appoggiandosi ad una palla veloce, sia spingendo una palla morta.

5. JO-WILFRIED TSONGA

Stilisticamente non mi fa impazzire, ma il diritto è pesante, molto pesante.

6. JERZY JANOWICZ

Un solo dubbio? Giocherà sempre come a Bercy. Perché lì, più che dei diritti, sembravano degli smash!

7. NOVAK DJOKOVIC

Capisci che è il numero uno del mondo quando senti dire che questo è il suo colpo debole.Avercene di colpi deboli così! Certo, impressiona meno che col rovescio ma se gli offri campo tira fortissimo anche dal lato destro, anche se resta il colpo col quale perde controllo con maggior frequenza.

8. DAVID FERRER

Un muro col rovescio e adesso, su qualsiasi superficie, appena gli offri un metro ti infila col diritto. Impressionate per solidità.

9. FERNANDO VERDASCO

È un colpo fastidioso perché riesce a sfruttare il fatto di essere mancino. Nasconde bene la direzione e col polso trova angoli micidiali. Se ti chiude con il cross stretto son dolori e gioca con grande sicurezza anche lo sventaglio. Prende tanti rischi ma quando è in giornata diventa pazzesco.

10. ANDY MURRAY

Vale il discorso fatto per Djokovic. Col rovescio è sicurissimo, col diritto un pochino meno, ma sempre in proporzione al suo livello generale di gioco.



h c a Co

DI EMILIO SANCHEZ

IL SEGRETO DI MURRAY Andy Murray ha vinto le Olimpiadi e lo US Open, battendo rispettivamente Roger Federer e Novak Djokovic in finale. Potrei chiedere di più? No, sono molto orgoglioso. Il nostro ex allievo ha realizzato il suo sogno. Però voglio raccontare delle influenze chiave nello sviluppo di Andy e la tremenda lotta tra le emozioni che mostra all'esterno e quello che vive all'interno di sé. Un giorno è arrivato alla nostra Accademia in compagnia di sua madre. Lei era assolutamente sicura di sé, mentre lui sembrava pieno di dubbi. Mi ricordo di un ragazzo che a malapena ti guardava negli occhi. Ma una volta arrivati sul campo, i timori sono scomparsi e c’è stato un rapido adattamento alla nuova realtà. Mamma Judy non aveva dubbi sul fatto che Andy avesse bisogno di crescere in un ambiente diverso, lontano dalla pressione della stampa inglese. Voleva che Andy si trovasse in un posto dove essere solo una persona all’interno di un gruppo, che non fosse uno “diverso” e potesse giocare con tennisti di vari livelli. Inoltre voleva che il figlio si muovesse sul campo da tennis come fanno gli spagnoli, in modo da diventare un gladiatore sul campo. La prima volta che ho giocato con lui, si è presentato in campo un ragazzo alto, magro, allampanato e con lo sguardo sempre rivolto in basso. Ho provato a fare alcune osservazioni per impressionarlo, ma la sua risposta mi ha fatto pensare che questo ragazzo avesse carattere. Poi abbiamo iniziato a palleggiare e non faceva nulla di speciale. Tirava colpi normali. «Non va bene», ho pensato. Ma visto che mi piace misurare i giocatori in partita, ho provato a svegliarlo sfidandolo. Gli ho chiesto se aveva il coraggio di giocare un set, e lui disse: «Ho pensato che fossi tu a non avere coraggio!». Mi chiesi: «Ma questo ragazzo pensa davvero di potermi battere?». Abbiamo iniziato a giocare ed ero sicuro di vincere. Ho tirato alcune palle alte e lui mi ha risposto. L’ho attaccato, ma lui attaccava e si difendeva ancora meglio. L’ho attirato in avanti e giocava le volèe con facilità. Gli costava un po’ correre per colpire la palla, ma era molto esplosivo e sapevo che avrebbe potuto imparare. Il servizio non era molto potente, ma l’esecuzione quasi perfetta. Rimasi impressionato, aveva qualcosa di speciale. Aveva l’animo del vincitore, e una volta imparato ad incanalare le energie nel modo giusto sarebbe diventato un grande giocatore. Preferisco non commentare il risultato finale di quella partita... Quel giorno sono tornato a casa con un sorriso. In pochi giorni aveva già mostrato il suo spirito di gruppo, la sua umiltà, e se avessimo trovato un sistema di lavoro solido sapevamo che sarebbe cresciuto alla grande. La parte più difficile è stata quella di abituarlo alla routine. A volte abbiamo dovuto inseguirlo e quasi forzarlo ad allenarsi. E ha dovuto abituarsi alla durezza degli allenamenti. Ma quando si andava nei tornei tirava fuori il meglio di sé. Questa è una qualità innata, la più difficile da insegnare agli allievi. Per lui era naturale. Alla fine ho capito che esistevano due Andy, molto distanti l’uno dall’altro. Il lottatore irascibile e affamato poteva passare dal peggio al meglio di se stesso da un momento all'altro. Dall’altra parte, quando eri con lui, o anche solo osservando i suoi comportamenti, capivi quanto i due Andy fossero lontani tra loro. Su questo aspetto, Andy ha avuto bisogno di lavorare molto. Chiunque fosse stato in grado di avvicinare questi due aspetti, avrebbe tirato fuori il meglio da lui. Molti allenatori ci hanno provato, ed ogni volta ci è andato sempre più vicino. Poi è arrivato Ivan Lendl. Dopo essere stato fuori dal mondo del tennis per 20 anni, ha avuto la capacità di mettere insieme i due Andy. Non voglio sminuire il suo team, ma Lendl è stato l’unico a convincerlo che poteva andare oltre le sconfitte in finale. Lo ha convinto che poteva vincerle. È stato Lendl che ha permesso a Murray di superare gli ostacoli principali. Dopo aver perso tante partite importanti, Andy ha avuto la capacità di continuare ad avere chiari i suoi obiettivi e spezzare le barriere che gli avevano impedito di raggiungere il suo scopo. Posso solo ringraziarlo per il suo modo di essere, perché da quando ha spiccato il volo ha sempre ricordato l’Accademia e tutti noi, ma possiamo solo essere grati della sua permanenza qui. Non chiediamo di meglio: un punto di riferimento, un modello, un campione che ricorda la sua permanenza a Barcellona come uno dei momenti migliori della sua vita. È una cosa che mi riempie di gioia e orgoglio. Abbiamo condiviso la sua giovinezza e adesso sappiamo che ha realizzato parte dei suoi sogni.

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ASSIA

LA SANA FOLLIA DI ERNESTO DE FILIPPIS “Bisogna essere folli per essere chiari”, scriveva Pasolini facendo riferimento alle straordinarie menti di quegli artisti che altrimenti non avrebbero lasciato orme indelebili nel libro della storia. Facendo le debite proporzioni, Ernesto De Filippis deve aver attraversato lo spartiacque della ragione quando ha deciso di portare il grande tennis a Milano, cioè in una piazza che nell’ultimo decennio s’è infiammata quasi unicamente per il calcio, ma che negli anni ‘70 e ‘80 si specchiava anche nell’hockey su ghiaccio, nel basket, nella boxe, nel tennis. Un atto di coraggio, meglio di sana follia. Ne è riprova, ormai indelebile, l’accoglienza ricevuta agli inizi della sua personalissima sfida. “Ma sei pazzo? Farai un bagno che neppure ti immagini. Al Forum di Assago non arriveranno più di 3mila spettatori”, questo si sentiva dire l’Ernesto nell’estate del 2011 quando decise di organizzare la prima edizione de La Grande Sfida. Invece di deprimersi o di appiattirsi nel ruolo di ragioniere, ha intrapreso una sfida nella sfida: “Figuratevi se mi lascio abbattere da chi mi tira contro per invidia, dabbenaggine, incapacità”. I fatti gli hanno dato ragione con un pienone che a Milano si registra a stento nelle partitissime di basket. I conti un po’ meno per l’elevato ingaggio delle protagoniste (Serena e Venus Williams da una parte, Francesca Schiavone e Flavia Pennetta dall’altra) e il forfait di quegli sponsor rimasti ai blocchi di partenza. Il coraggio non è di tutti. Ci ha creduto invece Sky con uno schieramento imponente di uomini e mezzi, ripagato da ascolti estremamente interessanti. A distanza di un anno De Filippis ha concesso il bis portando un altro cast di prim’ordine coniugando il meglio d’Italia con quello del mondo. Eccoci allora ad applaudire in 10mila Sara Errani e Roberta Vinci, che hanno firmato nel 2012 imprese straordinarie, insieme a Maria Sharapova e Ana Ivanovic, bravissime e bellissime. Un cast importante. Ma che l’Ernesto avesse superato il guado più insidioso, è testimoniato dalla presenza di sponsor prestigiosi fra cui Bnl Paribas, da anni vicina al grande tennis in tutto il mondo. Alla faccia di quegli sfigati che, dopo aver preconizzato il fallimento dell’impresa, non ci avevano pensato due volte a chiedere biglietti omaggio in serie. E tutto, guai a dimenticarlo, per un’esibizione che per quanto seria e credibile non può essere considerata alla stessa stregua d’un torneo vero e proprio. Un evento vero e proprio, invece, potrebbe arrivare a Milano nel 2013. La grande Sfida di Tennis può rappresentare solo l’inizio di un percorso tennistico che vedrebbe tornare la Coppa Davis in terra meneghina dopo esattamente 15 anni, dalla finale del 1998. Nel caso l’Italia dovesse vincere contro la Croazia al primo turno, Milano è in prima linea per ospitare un eventuale quarto di finale magari contro la Spagna di Nadal. Per rimanere in ambito femminile, non dispiacerebbe ai milanesi assistere anche ad un fine settimana di Fed Cup, perché Errani e Vinci in tenuta agonistica sono tutta un’altra cosa. La sana follia di Ernesto De Filippis ci ha insegnato che ormai tutto è possibile. E allora, perché non sognare il Master di fine anno a Milano? Certo, qui oltre alla passione ci vorrebbero anche tanti quattrini, forse troppi, ma da qui al 2016, anno in cui le Atp Finals si libereranno da Londra, tutto può succedere. D’altra parte, se qualcuno ha elogiato la follia, un motivo ci sarà pur stato.

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TOUR

I LIBRI DELLA GAZZETTA

SI INTITOLA ROGER FEDERER. Il nuovo volume, già disponibile in edicola con La Gazzetta dello Sport (180 pagine, 12,99 euro), ritrae uno dei tennisti più forti di tutti i tempi con preziosi contributi e un ricchissimo apparato fotografico e statistico. Il volume monografico racconta la storia di Federer dagli esordi fino a oggi, analizzando l’evoluzione tecnica e facendo dei confronti con i grandi del passato e con gli avversari che l’hanno maggiormente messo in difficoltà, . Trovano spazio anche la vita privata, i suoi impegni extra tennistici e la sua famiglia. Apre il volume una prefazione del vicedirettore vicario della Gazzetta dello Sport, Gianni Valenti.

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r u To

SUPERSTATS! Come spesso accade, le statistiche relative ai top 100 del ranking mondiale ATP, ci aiutano a capire come è andata una stagione. Scoprendo per esempio che...

PLURIVITTORIOSI

Una sorpresa. Già, perché David Ferrer con sette successi finisce davanti perfino ai Fab Four. Certo, se poi andiamo a pesare le vittorie, la situazione cambia radicalmente perché David non ha ancora vinto una prova del Grand Slam, che invece quest’anno i primi quattro giocatori del mondo si sono equamente divisi. In più, è decisamente probabile che se Rafael Nadal non si fosse infortunato, avrebbe rimpinguato il suo bottino di quattro tornei vinti disputando solo metà della stagione. Per la prima volta in tanti anni, c’è anche un giocatore italiano tra i plurivittoriosi del circuito ATP visto che ad Andreas Seppi è riuscita la doppietta Belgrado-Mosca, dopo che già l'anno scorso aveva vinto a Eastbourne.

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I 5 giocatori che hanno vinto più tornei ATP GIOCATORE David Ferrer (Spa) Novak Djokovic (Ser) Roger Federer (Svi) Rafael Nadal (Spa) Juan Martin Del Potro (Arg) Juan Monaco (Arg)

TORNEI (SLAM) 7 6 6 4 4 4

VINTI (0) (1) (1) (1) (0) (0)


NON HO L’ETÀ

Non sono più i tempi in cui Boris Becker, Mats Wilander o Michael Chang vincevano i tornei dello Slam prima di diventare maggiorenni. Si matura più tardi e (quasi) sempre ci si ritira anche più tardi. Non è un caso che il maggior numero di vittorie nei tornei ATP appartenga a giocatori compresi tra i 25 e i 30 anni di età. Ma anche un 34enne reduce da vari infortuni come Tommy Haas, ha dimostrato che si può vincere ancora e perfino puntare alla top 20 mondiale. Vittorie dei tornei ATP divise per fasce di età. 26-30 anni: 37 20-25 anni: 27

+ 30 anni: 2 La finale più giovane: Nishikori (22) b. Raonic (2), Tokyo La finale più vecchia: Haas (34) b. Federer (30), Halle

VITTORIE PER NAZIONI

Sono ben ventuno le nazioni (tra le quali l’Italia, ottava in graduatoria grazie ad Andreas Seppi vincitore a Belgrado e Mosca) che hanno vinto almeno un torneo ATP. Come al solito comanda l'Armada spagnola che ha trovato in David Ferrer un degno sostituto dell’infortunato Rafael Nadal. A seguire, Svizzera e Serbia che si aggrappano ai loro due fenomeni (Roger Federer e Novak Djokovic), mentre gli Stati Uniti devono accontentarsi di cinque vittorie in tornei minori (di cui due dell’ormai ritirato Andy Roddick), con la Francia addirittura esclusa dalla top 5.

La top 5 delle nazioni di maggior successo NAZIONE Spagna Argentina Serbia Svizzera Stati Uniti

TITOLI ATP 14 (Ferrer 7, Nadal 4, Almagro 2, Andujar 1) 8 (Del Potro 4, Monaco 4) 7 (Djokovic 6, Tipsarevic 1) 6 (Federer 6) 5 (Isner 2, Roddick 2, Querrey 1)

NON MOLLARE MAI!

Arrivare a match point non vuol sempre dire avere il successo garantito. Nel 2012, in cinque occasioni, un vincitore di torneo ATP ha infatti annullato dei match point nel suo vittorioso percorso. Il caso più clamoroso è stata la finale del Masters 1000 di Shanghai tra Djokovic e Murray. GIOCATORE Kevin Anderson Janko Tipsarevic John Isner Juan Monaco Novak Djokovic

TORNEO/AVVERSARIO Delray Beach – b. Andy Roddick Stccarda – b. Bjorn Phau Winstom Salem . b. Tomas Berdych Kuala Lumpur – b. Kei Nishikori Shanghai – b. Andy Murray

ROUND QF

M.P. SALVATI 3 match point

QF

4 match point

finale

3 match point

semifinale

1 match point

finale

5 match point

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LA MEGLIO GIOVENTÙ

Scouting di tutto il mondo scommettono su quali giocatori saranno gli eredi dei top players attuali. Alcuni erano già attesi nella top 10 (o dintorni) da qualche tempo, ma l’ingresso nel Gotha del tennis pare ritardato. L'australiano Bernard Tomic guida questa speciale classifica ma è spesso vittima di problemi non solo legati al gioco. Lo statunitense Ryan Harrison non pare avere le stimmate del campione e il bulgaro Grigor Dimitrov non è ancora abbastanza solido (ma è quello che potrà farci divertire di più). E Milos Raonic nel 2013 non sarà più un bambino… I 5 top 100 più giovani GIOCATORE Bernard Tomic (Aus) Ryan Harrison (Usa) Grigor Dimitrov (Bul) Andrey Kuznetsov (Rus) Milos Raonic (Can)

ANNO 21 ott 1992 7 mag 1992 16 maggio 1991 22 febbraio 1991 27 dicembre 1990

ATP RANKING 52 70 48 79 13

PASSI DA GIGANTE

Un miracolo, più di un progresso. Potrete leggere in altre pagine di questa rivista la favola dell'americano Brian Baker, il quale, a dispetto degli infortuni che l’hanno tenuto lontano dai campi per anni, è riuscito a scalare 395 posizioni in una sola stagione e arrivare fino al numero 61 ATP. Straordinaria anche la progressione di Tommy Haas, 34 anni, dal quale molti si aspettavano l’annuncio del ritiro. Lui, di posizioni ne ha scalate "solo" 183, ma arrivare fino al numero 21 ha un peso maggiore. Così come c'è curiosità verso il polacco Jerzy Janowicz: fuoco di paglia o, più presubilmente, un nuovo potenziale campione? Da segnalare anche i miglioramenti degli azzurri, soprattutto di Paolo Lorenzi (45 posti) e Simone Bolelli (51 posti), rientrato finalmente in pianta stabile nella top 100 mondiale.

I 5 giocatori, compresi nella top 100, che hanno compiuto i maggiori progressi in classifica nel 2012. + 395 BRIAN BAKER (da 456 a 61) + 239 BENJAMIN BECKER (da 304 a 65) + 194 JERZY JANOWICZ (da 220 a 26) + 183 TOMMY HAAS (da 204 a 21) + 153 MARINKO MATOSEVIC (da 202 a 49)

SUPER QUALIFICATI

I tabelloni di qualificazione sono il viatico per arrivare nel tennis che conta e dal quale tutti sono passati (anche se qualcuno ha cercato di evitarlo sfruttando wild card che, in certe situazioni, si sono dimostrate perfino un ostacolo alla crescita tennistica). Quest’anno comanda la bella speranza argentina, peraltro ancora (decisamente) incompiuta, Federico Del Bonis con otto passaggi dalle qualificazioni al tabellone principale e un conseguente quarto di finale come miglior risultato. Da notare l'exploit di Marinko Matosevic a Delray Beach: dalle qualificazioni alla finale ATP. Ecco i giocatori che hanno superato più volte il tabellone di qualificazione in un torneo ATP. GIOCATORE Federico Del Bonis Roberto Bautista Michael Berrer Jesse Levine Marinko Matosevic Tim Smyczec

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NUMERO 8 7 6 6 6 6

MIGLIOR RISULTATO QF - Vina del Mar 2T – Miami 2T – Roland Garros, Metz 2T – Roland Garros, Wimbledon, Newport, Cincinnati F - Delray Beach 2T – Delray Beach, Newport, US Open


SERVIZI VINCENTI

È considerato il colpo più importante nel tennis moderno. Certamente è quello sul quale si possono sfruttare dei dati statistici precisi per valutarne il rendimento. Anche in questo caso, nessuna sorpresa. In cima alla classifica che tiene conto del numero di ace che mediamente un giocatore scaglia ad ogni partita, sottratto il numero dei doppi falli, troviamo i tre bombardieri più noti: John Isner non ha avuto bisogno di un match come quello contro Nicolas Mahut a Wimbledon 2011 per vincere anche quest’anno questa classifica. Sono ben 13.2 i punti che tira fuori dalla sottrazione ace-meno-doppi falli. Una spanna sopra Ivo Karlovic, il quale non ha ancora sciolto il dubbio sul suo futuro. Indeciso se continuare o meno a giocare nel 2012 (scelta che ci riguarda molto da vicino visto che una sua eventuale assenza sarebbe gradita nel primo turno di Davis che l’Italia affronterà a Torino contro la Croazia, perché anche sulla terra indoor Karlovic è in grado di far paura, se in buona giornata), per adesso dimostra che la sua cannon ball di servizio fa ancora parecchio male. Chiude il podio Milos Raonic, inseguito dal mancino lussemburghese Gilles Muller e dal gigante sudafricano Kevin Anderson. Nella top 10 anche Roger Federer che deve sempre più affidarsi ai punti gratuiti che può ottenere direttamente con la battuta se vuole restare al vertice.

Non è infatti un caso che lo stesso Federer sia terzo (dietro ai soliti Raonic e Isner) nella percentuale di game di servizi vinti. Un tempo Agassi diceva: «Non ho un gran servizio, ma ho un gran turno di servizio». Frase intelligente, a sottolineare che si può essere solidi alla battuta anche senza fare un mucchio di ace, ma anche solo creandosi delle situazioni di vantaggio da sfruttare con il primo colpo dopo il servizio. A conferma, il nome di Rafael Nadal al quinto posto, nonostante abbia disputato buona parte dei suoi 48 incontri sulla terra rossa, superficie sulla quale è più facile perdere la battuta. Prossimo giocatore destinato a far presenza fissa in questi ranking è anche il polacco Jerzy Janocwicz, che però attualmente è giudicabile sui soli 18 match che ha disputato nel circuito maggiore. I 5 migliori battitori secondo il rapporto ace/doppi falli in media per partita GIOCATORE

ACE

DOPPI FALLI

DIFFERENZA

John Isner (Usa) Ivo Karlovic (Cro) Milos Raonic (Can) Gilles Muller (Lux) Kevin Anderson (Saf)

15.2 15.3 15.4 13.0 11.4

2.0 2.6 3.2 2.9 3.2

13.2 12.7 12.2 10.1 8.2

GAME DI SERVIZIO I 5 giocatori con la miglior percentuale di game di servizio vinti GIOCATORE

Milos Raonic (Can) John Isner (Usa) Roger Federer (Svi) Jerzy Janowicz (Pol) Rafael Nadal (Spa)

%

MATCH GIOCATI

93% 92% 91% 89% 88%

65 66 83 18 48

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VITTORIE PER SUPERFICIE

Spesso si dice che il tennis non è uno sport solo, perché varia a seconda delle superfici di gioco. Come nello sci quando si passa dallo slalom speciale alla discesa libera. Ecco allora un ranking diviso per numero di vittorie complessive ottenute su terra battuta, erba e hard court. Gli spagnoli dominano sul rosso, Novak Djokovic si conferma il re del cemento e Roger Federer dell’erba. Insomma, tutto secondo copione. Ecco quali sono i giocatori che hanno vinto più partite sulle varie superfici TERRA BATTUTA Nicolas Almagro David Ferrer Juan Monaco

ERBA 35 32 24

Roger Federer Andy Murray David Ferrer 5 giocatori a quota 9

HARD COURT Novak Djokovic Roger Federer Tomas Berdych Juan Martin Del Potro

OVERALL 50 41 40 40

Novak Djokovic David Ferrer Roger Federer Juan Martin Del Potro Tomas Berdych

SANGUE FREDDO

Il tennis non è uno sport aritmetico, al punto che si può vincere pur conquistando decisamente meno punti dell’avversario. È accaduto spesso, anche in situazioni importanti. Questo perché ci sono punti che pesano molto di più degli altri. Nel guardare le statistiche di un match, un dato fondamentale è dunque quello delle palle break (e andrebbe indicato anche in quanti game diversi le si è conquistate), concesse, conquistate, salvate e trasformate. È chiaro che sulla terra battuta è più facile concedere palle break e quindi i terraioli che giocano tante partite su questa superficie non sono certo favoriti. Proprio per questo stupisce che l’unico giocatore nella top 5 di entrambe le classifiche sia Rafael Nadal. Ora, non che Nadal sia solo un terraiolo, ma nel 2012 (causa infortunio) ha giocato soprattutto sulla terra rossa (o blu di Madrid). Nadal è il giocatore che ha convertito la maggior percentuale di palle break, superato in quelle salvate solo dai bombardieri Milos Raonic e John Isner, che ne concedono poche e tre volte su quattro la salvano (supponiamo con altrettantio servizi vincenti). Buone anche le prestazioni degli azzurri nelle palle break convertite perché se al quinto posto troviamo gli sloveni Grega Zemlja e Blaz Kavcic col 46%, ma poi seguono col 45% Flavio Cipolla e Fabio Fognini e col 44% Andreas Seppi. I 5 giocatori che hanno la miglior percentuale di palle break realizzate GIOCATORE Rafael Nadal (Spa) Michael Russell (Usa) Novak Djokovic (Ser) Grega Zemlja (Slo) Blaz Kavcic (Slo)

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15 12 11

% 49% 48% 46% 46% 46%

75 74 71 65 60

I 5 giocatori che hanno la miglior percentuale di palle break salvate GIOCATORE Milos Raonic (Can) John Isner (Usa) Rafael Nadal (Spa) Tomas Berdych (Rce) Feliciano Lopez (Spa)

% 74% 74% 71% 71% 70%


PRIZE MONEY

Parliamo di una classifica molto cara ai giocatori ma che spesso è indicativa anche per gli appassionati perché premia i risultati ottenuti nei tornei più importanti, quelli che elargiscono i montepremi più alti. Le prime cinque posizioni rispecchiano il ranking mondiale. Da notare che Radek Stepanek ha guadagnato in doppio il… doppio di quanto ha guadagnato in singolare. Seppi è il primo degli italiani, il 21esimo assoluto in singolare. Diciannove giocatori hanno conquistato almeno un milione di dollari (lordi). Bob e Mike Bryan ci sono andati vicini col montepremi del solo doppio (916.603$). Fa spavento sottolineare che Roger Federer ha superato i 76 milioni di dollari vinti in carriera. I 5 giocatori che hanno guadagnato i montepremi più alti nei tornei di singolare Novak Djokovic (Ser) Roger Federer (Svi) Andy Murray (Gbr) Rafael Nadal (Spa) David Ferrer (Spa)

12.799.921$ 8.584.842$ 5.684.272$ 4.867.663$ 4.383.856$

A guardare le cifre, si potrebbe dire che in Italia abbiamo un problema col servizio (anche nel tennis). Solo Seppi (4.2) realizza più di tre ace a partita tra gli azzurri classificati nei top 100. E pensare che, in generale, solo 6 giocatori tra i top 50 realizzano meno di 3 ace a partita (tra i quali Fognini) e solo 20 tra i top 100 (tra i quali, il 25% sono italiani: oltre a Fognini, anche Lorenzi, Bolelli, Volandri e Cipolla). Messi tutti insieme, i top 100 azzurri (ben 6 giocatori) realizzano un totale di 12,7 ace per media/partit, meno di quanto facciano singolarmente Isner, Raonic, Muller o Karlovic. Gli italiani sono sostanzialmente i peggiori aceman: infatti, nelle ultime due posizioni dei top 100 troviamo proprio Volandri (0,4 ace di media/partita) e Cipolla (0,8 ace). Dati che devono far riflettere soprattutto i più giovani, su quanto sia importante crearsi un buon servizio. Se poi teniamo conto che lo stesso Seppi ha molto migliorato il servizio in questa stagione, le statistiche potevano anche essere peggiori.Vi è un ultimo dato che spiega perfettamente le nostre debolezze in questo fondamentale settore, cioè quanti giocatori posizionati meglio in classifica di un azzurro, realizzano meno ace di loro: cinque nel caso di Seppi (numero 23 ATP), 3 di Fognini (numero 45 ATP), 7 di Lorenzi (numero 63 ATP), 4 di Bolelli (numero 83 ATP), nessuno di Volandri (numero 88 ATP) e solo uno (Volandri) di Cipolla (numero 93 ATP). Il rendimento dei top 100 azzurri al servizio

PEGGIORI ACEMAN I 5 top 100 che hanno realizzato meno ace di media per ogni match disputato. Filippo Volandri (Ita) Flavio Cipolla (Ita) Tobias Kamke (Ger) Juan Monaco (Arg) Pablo Andujar (Spa)

POVERO SERVIZIO

0.4 0.8 1.4 1.6 1.6

GIOCATORE

ACE

% GAME

NOTE

SERVIZIO VINTI

ANDREAS SEPPI

4.2

78%

FABIO FOGNINI

2.3

70%

PAOLO LORENZI

2.6

69%

SIMONE BOLELLI

2.4

72%

FILIPPO VOLANDRI

0.4

68%

FLAVIO CIPOLLA

0.8

63%

23esimo nel ranking ATP, solo 5 giocatori davanti a lui realizzano meno ace in media/partita. 45esimo nel ranking ATP, solo 3 giocatori davanti a lui realizzano meno ace in media/partita. 63esimo nel ranking ATP, solo 7 giocatori davanti a lui realizzano meno ace in media/partita. 83esimo nel ranking ATP, solo 4 giocatori davanti a lui realizzano meno ace in media/partita. nessun top 100 realizza meno ace in media/partita solo Volandri nei top 100 realizza meno ace in media/partita

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r u o T

Vinci l'Australian Open! Lo Sporting Club Milano2 ospita il torneo Kia Amateur Tennis. E chi trionfa vola a Melbourne...

L'

occasione fa il tennista attento ed è per questo che il Kia Amateur Tennis riscuote sempre un grande successo. Già, perché non stiamo parlando di uno dei tanti tornei amatoriali (riservati a giocatori di quarta categoria o non classificati) che si disputano sul territorio italiano. Ma è l'opportunità di vincere un premio tra i più ambiti: volare e soggiornare (gratis) all'Australian Open. Già, avete capito bene: mentre in Italia si impallidisce grazie al grigiore, alle piogge battenti, al freddo intenso, si tratterebbe di volare fino a Melbourne per disputare la fase finale del Kia Amateur Tennis e, contemporaneamente, godere della prima prova del Grand Slam. Ai trentacinque gradi dell'estate australe. L'Australian Open è considerato il torneo più bello della stagione. Certo, non avrà la grandeur francese, l'imponenza dell'Arthur Ashe Stadium di New York o la tradizione dell'All England Club di Wimbledon, ma per atmosfera, clima e passione degli spettatori, non teme davvero nessun rivale. Per questo, dal punto di vista del tennista-turista è un sogno che può diventare realtà, anche perché si abbina ad un viaggio-vacanza i n una delle terre più belle e affascinanti del pianeta Terra. Già, ma per arrivarci le 20 ore di volo sono il tragitto meno impegnativo. Prima infatti, bisogna vincere un torneo. Nella volontà di Kia Motors Italia c'è quella di

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offrire questa opportunità al maggior numero di appassionati di tennis possibile e per questo si è deciso, come d'altronde suggerisce il nome del torneo (Amateur), di aprire le iscrizioni ai giocatori con un massimo di classifica indicata nella quarta categoria, cioè a quella più numerosa. Chiaramente, al suo interno vi sono giocatori di livello agonistico differente e siamo certi che alcuni dei migliori "quarta categoria" d'Italia, proveranno a essere tra i 28 giocatori e 28 giocatrici direttamente ammessi al tabellone. Tuttavia, le iscrizioni (che sono state affidate alla pagina Facebook di Kia Motors Italia) faranno già una prima selezione e la formula di gioco impostata, consentirà a tutti di giocarsela fino all'ultima palla. Si giocherà una sorta di torneo-rodeo: due giorni di gare (sabato 15 e domenica 16 dicembre) in cui i match sono previsti sulla distanza di un solo set. Sull'eventuale 6 pari, un classico tie-break e, in ogni game, la regola del no-ad, il punto decisivo che aggiudica direttamente il gioco a chi lo conquista. Ecco che dunque è più facile che la partita esca tirata, combattuta, ricca di adrenalina. E chissà, magari anche di qualche bella sorpresa. Nella prima giornata si disputeranno i match fino ai quarti di finale (compresi), quindi i più bravi saranno chiamati a disputare fino a tre partite (che poi in realtà corrispondono a tre set, quindi non c'è bisogno di


chiamare un'ambulanza a bordo campo). La domenica, gran finale con gli atti conclusivi. Proprio per dare maggior peso alle finali, i match decisivi si disputeranno al meglio dei tre set (ma l'eventuale terzo set sarebbe giocato con la formula del Super Tie-Break ai dieci punti). Il torneo si disputerà nel bellissimo Sporting Club Milano 2, sotto la supervisione tecnica del maestro Giorgio Eleuteri e su campi in terra battuta o cemento. La cornice è un aspetto altrettanto significativo, anche perché è attesa la partecipazione di giocatori non solo da Milano e provincia, vista la sostanza del premio in palio. Ma Kia Motors, che dell'Australian Open è lo sponsor principale, crede a tal punto nel mondo del tennis, da aver attivato sponsorship significative con vari testimonial nel mondo. Tra i quali, anche il nostro Fabio Fognini, numero due azzurro, che all'Australian Open sarà protagonista nel tabellone principale (e senza bisogno di passare dal torneo Kia Amateur Tennis). E proprio Fognini sarà la guest star dell'evento, a disposizione dei partecipanti e dei ragazzi della scuola tennis del club, per saggiare le conoscenze tennistiche di un top 50 del mondo. E chissà, i vincitori potranno chiedergli già qualche consiglio visto che Fabio da diversi anni frequenta Melbourne e gli Australian Open. «È un'opportunità fantastica perché anch'io posso confermare che si tratta di un evento meraviglioso, di un torneo organizzato alla perfezione e di un paese molto accogliente - ci ha detto Fognini -. Per me sarà divertente assistere ad una finale tra giocatori di club con in palio un premio così ambito. Per una volta, vedrò la tensione sui loro volti, la stessa che loro vedono sul mio quando sono impegnato a Melbourne Park». Parole sante, dette da chi è ormai esperto in materia e di tornei ne ha visti tanti. Vale inoltre la pena ricordare che la prima parte della fesa finale australiana, si disputerà al vecchio Kooyong, la storica sede dell'Australian Open: letteralmente imperdibile. Basta collegarsi alla pagina Facebook di Kia Motors Italia. E vincere un torneo amatoriale.

L A R AC C H E T TA D E L L A G A Z Z E T TA La Head Instinct targata Gazzetta dello Sport. Il modello è utilizzato da Maria Sharapova e Tomas Berdych

P

er gli appassionati della Gazzetta dello Sport, è ormai diventato un punto di ritrovo fisso: il Gazzetta Store di Galleria S an Felice, nel cuore di Milano, a due passi da San Babila, dove si può trovare tutto ciò che si desidera, targato Gazzetta. Maglie, stampa di prime pagine storiche, libri e, finalmente, anche racchette da tennis. Grazie alla partnership inaugurata con Head infatti, potete trovare una bellissima Head Instinct, il modello utilizzato da Maria Sharapova (e Tomas Berdych), con la grafica rosea. Un pezzo unico per un modello che ha riscosso tantissimo successo tra gli appassionati. Ovale da 100 pollici quadrati, decisamente maneggevole, ottima sia per giocatori agonisti sia per chi è ancora ad un livello intermedio. Denominatore comune, La Grande Sfida che vedrà impegnata proprio Maria Sharapova al Forum di Assago il primo di dicembre, evento organizzato da MCA Events e supportato da Gazzetta dello Sport (e della quale Head sarà sponsor, per chiudere il cerchio). La racchetta è disponibile anche nel Gazzetta Store della Stazione Termini di Roma, al prezzo di 149 euro e, dal 15 dicembre, anche on-line su www.gazzastore.it 35


T OF

S THE BE

2012

15LOVE Una stagione doc. Con la ciliegina di un'Olimpiade disputata a Wimbledon. Quattro Slam divisi tra i Fab Four, un'italiana in finale a Parigi e un ragazzino marchigiano che lascia sperare imprese straordinarie. E ancora: la favola di Marray e Nielsen, il ritiro di Roddick, la strana coppia Lendl&Murray.... BY LORENZO CAZZANIGA


RE ROGER

Roger Federer ha chiuso l'anno al numero 2 ATP, ma secondo i fans è ancora il più amato. Wimbledon gli ha regalato lo Slam numero 17, ha superato i 70 milioni di dollari in soli montepremi e la pensione sembra ancora lontana («Andrò avanti fino alle Olimpiadi di Rio 2016» ha buttato lì, forse per evitare la stessa domanda in ogni conferenza stampa. All'epoca avrà 35 anni e qualche scricchiolio lo ha già mostrato. Intanto però si gode la vetta di un ranking molto speciale, quello che tiene conto dei soli risultati ottenuti nei tornei del Grand Slam. Però deve già guardarsi alle spalle: Nadal è numero 6 e soprattutto Djokovic è già numero 12 (ma ancora non è arrivato a metà della strada).

GRAND SLAM RANKING GIOCATORE Roger Federer (Svi) Jimmy Connors (Usa) Ivan Lendl (Rce) Pete Sampras (Usa) Andre Agassi (Usa) Rafael Nadal (Spa) Stefan Edberg (Sve) Bjorn Borg (Sve) John McEnroe (Usa) Boris Becker (Ger)

PUNTI 5.646 4.667 4.577 4.406 4.353 3.533 3.335 3.317 3.304 3.085

Legenda: vittoria: 200 punti, finale: 140, semifinale: 90, quarti: 50, 4T: 30, 3T: 15, 2T: 7, 1T: 1

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ST OF

THE BE

2012

ANDY OLIMPICO

Probabilmente Andy Murray e Roger Federer avrebbero volentieri fatto cambio. Allo svizzero l'oro olimpico, allo scozzese il titolo di Wimbledon. Però Murray non deve aver troppo rosicato, anche se la finale ai Championships l'ha un filo buttata via e quella olimpica dominata. Batterlo l'anno prossimo sui prati inglesi sarà un'impresa.

SARITA GIGANTE

Quando la vidi pallettare per quattro ore contro la Gagliardi all'ITF del Tiro a Volo cinque anni fa, giurai che non avrei mai più assistito ad un match di Sara Errani. Mi è toccato perché Sarita è arrivata dove nessuno avrebbe mai pensato: in finale a Roland Garros. Però, mi perdonerete, ma questa è un'altra giocatrice. La pallettara ha fatto spazio ad una giocatrice completa, che la tocca come poche e ha un cervello tennistico come nessun'altra.

VECCHIETTI TERRIBILI

In altra parte di questa rivista, Antonio Incorvaia ha raccontato l'epopea degli attuali over 30 nel circuito ATP, spiegando che non è più tempo per teen-ager d'assalto, come negli anni 80 e 90, quando se non vincevi uno Slam prima dei 20 anni eri uno sfigato. La carriera si è allungata e trovano spazio vecchietti (tennisticamente parlando, of course) che sembravano destinati all'ospizio sportivo e invece continuano a vincere. E qualche volta pure a giocar meglio di una volta. Tommy Haas sembrava destinato a passare i pomeriggi sulla spiaggia di South Beach, invece si è ripreso da un lungo infortunio e si è tolto lo sfizio di vincere un altro titolo ATP. Oh, mica uno qualsiasi, ma quello di Halle. Mah, forse il nome non suscita fremiti, ma il fatto di aver sconfitto in finale Roger Federer dovrebbe ingigantire l'impresa. Dicono che l'anno prossimo non reggerà il ritmo: scommettiamo che lo troveremo nella top 20?


CHE FAVOLA!

Avevo già ammirato Fredrik Nielsen. Stava tirando amabilmente lo straccio sul campo centrale del Park di Genova, dopo un allenamento propedeutico alla Serie A, dove gioca da numero 3, perché tanto di meglio non hanno trovato. Poi mi chiamano da Genova e mi dicono: «Oh, hai visto che siamo in finale a Wimbledon?». Sospetto immediatamente di un party a base di vermentino. Invece Nielsen era davvero in finale e, in coppia col britannico Marray, ha pure vinto i Championships. Poi è tornato a giocare in singolare, perché il doppio lo annoia un po', soprattutto perché Marray lo prende molto sul serio. E in Serie A ha preso stese da Brizzi e Marrai. Fenomeno.

THE MASTERS

LA STRANA COPPIA

Emilio Sanchez conosce molto bene Andy Murray. Fu lui a presentarmelo quando lo scozzese aveva 18 anni e aveva appena vinto lo US Open juniores. Si allenava nella sua accademia di Barcellona ed era un ragazzino lentigginoso, magro, dal buon braccio e dal fisico tutto da costruire. Sanchez sosteneva che Lendl era il coach adatto da affiancare a Murray, perché non lo avrebbe mai mandato a quel paese. O comunque Lendl non lo avrebbe accettato. «Murray vale già i primi della classe - mi diceva un paio d'anni fa Emilio - solo che trova ancora troppe scuse per giustificare un insuccesso. E soprattutto trova sempre qualcuno a cui addossare la colpa. E quel qualcuno è disposto ad accettare lo sfogo, pur di portare a casa un lauto stipendio. Con Lendl all'angolo, Murray dovrà assumersi le sue responsabilità e crescerà psicologicamente». Detto e fatto, e dopo le Olimpiadi è arrivato anche il primo Slam a New York. Dedicato a chi pensa che i coach siano solo dei portaborse.

Chi fa da sé, fa per tre, dice uno dei più inflazionati detti popolari. Devono averla pensata in questa maniera anche i dirigenti dell'ATP, quando hanno deciso di organizzare in proprio il loro evento più prestigioso, quelle che il loro ufficio stampa ci chiede di chiamare sempre ATP Finals e noi ci ostiniamo, nel rispetto della tradizione, a chiamarlo Masters. Comunque sia, ci sono sempre gli otto migliori giocatori del mondo e altrettante coppie di doppio. Uno spettacolo assoluto. Ma non solo tecnico, perché quello è scontato, dato il campo di partecipazione. È tutto quello che ci gira intorno a renderlo speciale. Oh, non sarà come una prova dello Slam, ma nemmeno un Masters 1000 coi fiocchi regge il paragone. Sembra di stare a teatro, col campo illuminato come un palcoscenico, giochi di luci e musica e un'atmosfera caldissima, che giochi l'idolo di casa (già, quando uno scozzese vince ci si ricorda che esiste la Gran Bretagna) o un match di doppio, poco importa. E così l'ATP ha già annunciato che rimarrà volentieri alla O2 Arena di Londra (ma dai...), anche perché la Barclays, al di là di qualche problemuccio di gestione che è uscito fuori quest'anno sui quotidiani economici, ha già rinnovato la sua partnership. E mentre la WTA sonda se è meglio Baku o Città del Messico, l'ATP ha creato una gallina dalle uova d'oro. E se ne guarda bene dal dividerla con le "amiche" della WTA creando quello che sarebbe logico: un Masters combined.

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ST OF

THE BE

2012

UOZ AMMERICA!

Conosco gente che, di passaggio a New York, ha sacrificato la visita al Metropolitan Museum per correre da Mason's a Manhattan e acchiappare in anteprima le scarpe di Roddick made in Usa. Che poi in realtà lo sponsor è francese e la provenienza orientale. Ma una scarpa con le star and stripes nell'anno del ritiro di Roddick, vanno premiate.

IL RE DELLA TERRA

La stagione 2012 di Rafael Nadal sarà ricordata per la sindrome di Hoffa, una infiammazione dei tendini del ginocchio che l'ha tenuto lontano dai campi dalla sconfitta contro Lukas Rosolo all'esordio a Wimbledon fino alla fine della stagione. Lasciando perdere le illazioni dei Federasti che dovrebbero al più indignare, val la pena ricordare che, fin quando è stato sano, Nadal stava ripercorrendo la strada delle sue migliori stagioni: ha dominato Monte Carlo (sulla terra rossa più lenta del circuito), poi Roma, quindi Roland Garros con disarmante facilità. È stato fermato solo da Ion Tiriac e dalla (scivolosa) terra blu di Madrid. In molti pronosticano che nel 2014 lo vedremo pescare al largo della costa di Maiorca. Io ricordo che quando tra il 2009 e il 2010 molti lo davano per spacciato dopo un annetto passato senza vincere tornei, tornò vincendo Monte Carlo, Roma, Madrid, Roland Garros, Wimbledon e US Open. Calma e gesso, quando si tratta di Rafa Nadal.

ADIEU, MR. RODDICK

Ogni anno c'è sempre qualcuno che ci lascia (tennisticamente). Il 2012 è stata la volta di Andy Roddick, che allo US Open ha annunciato a sorpresa l'intenzione di giocare a New York il suo ultimo Slam. Ma anche Kim Clijsters, che sempre a NYC ha appeso, questa volta definitivamente, la racchetta al chiodo. Se ne vanno due interpreti straordinari, magari non dal punto di vista estetico-tecnico, , ma certamente della personalità diverse ma entrambe affascinanti


FENOMENO QUINZI

A 16 anni ha demolito top 300 ATP e raggiunto finali nei tornei Futures, al punto da assestarsi vicino alla 500esima posizione posizione del ranking mondiale. Per darvi un'idea dell'impresa, vi elencherò il ranking ATP che gli attuali top 10 avevano raggiunto all'età di Gianluigi: Djokovic 679, Federer 704, Murray 540, Nadal 200, Ferrer non classificato, Berdych 1.385, Del Potro 1.047, Tsonga 899, Tipsarevic 1.078, Gasquet 161, Almagro 844. Insomma, se togliamo gli ultimi due baby fenomeni del tennis mondiale, Nadal e Gasquet, Quinzi è decisamente avanti. Ma quanto valgono questi risultati? Vi rimando all'ultima pagina di questa rivista.

NUMERO 3?

CAREER SLAM

Bisogna saper scegliere anche le vittorie, perché non tutte pesano come le altre. Maria Sharapova aveva già espresso un buon tennis sui campi in terra rossa, malgrado la sua idiosincrasia alla scivolata. Quest'anno con la vittoria a Roland Garros, ha completato il Career Slam, cioé è riuscita a vincer el'ultima prova del Grand slam che le era sempre fuggita e realizzare il cosiddetto Career Slam. Peccato che per riuscirci abbia dovuto far fuori, in finale a Parigi, la nostra Sara Errani. Nel corso degli anni, Maria Sharapova ha imparato a muoversi meglio sulla terra rossa, a sfruttare scivolate e rimbalzi più lenti. Erba e cemento si lasciano ancora preferire, ma è indubbio che Maria Sharapova regge bene l'urto con la terra battuta e soprattutto resti a lottare fino all'ultimo per conquistare la prima posizione mondiale.

Che il computer non capisca di tennis ma sappia solo far di calcolo, lo ripete Rino Tommasi da una ventina d'anni. Tuttavia, ha quasi sempre avuto ragione (il computer, non solo Tommasi). Quest'anno però, deve aver preso un abbaglio colossale, o almeno la WTA dovrebbe un filo rivedere quella che è la distribuzione dei punti validi per la sua classifica. Già, perché diventa complicato spiegare come sia possibile che Serena Williams, vincendo Wimbledon, Olimpiadi e US Open, occupi solo la terza posizione mondiale.Abbiamo chiesto un parere significativo a Sara Errani, che ha fatto spallucce, ammettendo che anche lei non capisce come sia possibile. Detto che non vi sono stati errori aritmetici, è stata Dinara Safina a provare a dare una spiegazione, da qualche buen retiro dove si è rifugiata a fine carriera. «È giusto che Serena non sia la prima giocatrice al mondo - sostiene l'ex giocatrice russa - perché gioca troppo poco e questa sua scelta la avvantaggia. Se giocasse tanti tornei come le altre, avrebbe delle pause, come tutte Azarenka e compagnia». Tesi interessante che vale la pena approfondire. Ci siamo fatti aiutare da Roberta Vinci: «Macché - ci ha risposto - se giocasse di più, vincerebbe ancora di più. Ma chi la ferma quella lì? È di gran lunga la tennista più forte al mondo». Difficile darle torto. Per la verità, in finale allo US Open, la Azarenka è andata vicina a farci ricredere sulla presunta imbattibilità di Serena. Vicina ma non abbastanza. Però non tornate a raccontarmi di cosa accadrebbe se la Williams affrontasse il numero 300 del mondo, eh? Dai, non scherziamo. 41


RST OF THE WO

2012

LOVE15 Ogni stagione porta con sè qualche risultato flop. Dalla stagione incolore di Francesca Schiavone all'infortunio di Rafael Nadal, dalla scomparsa del rovescio a una mano al disinteresse per il doppio. Per finire con l'affaire de Camaret, la pagina piÚ brutta dell'anno BY LORENZO CAZZANIGA

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26-30 anni: 37

LA CRISI DELLA SCHIAVO

Non cadrò nel trabocchetto del gossip per cercare una spiegazione alla fallimentare stagione di Francesca Schiavone, per la quale ho sempre ammesso una scarsa simpatia. Soprattutto perché la sua è una normale parabola agonistica: dopo due anni stratosferici con una vittoria e una finale Slam, l'apice al numero 4 del ranking mondiale e un tennis che così vario l'abbiamo visto di rado nei tornei femminili, la Leonessa (come non ama troppo essere chiamata) ha avuto un comprensibile calo di motivazione. Solo che il suo tennis, affascinante quanto complicato, risente se la condizione fisico-mentale non è al top. Casi di questo genere hanno riempito le salette degli psicologi dello sport e sarà interessante verificare se troverà la forza per risalire. Per adesso pare abbia deciso per dei lavori forzati lontano dalla madre patria, in quell'Argentina di Eduardo Infantino ha trasformato in una succursale della più amena Tirrenia d'inverno. Non sarà facile, ma la Leonessa ci ha abituato a ben altre sorprese.

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F

ORST O

2012

THE W

IL ROVESCIO A UNA...

mano, of course. Altro che serve&volley, è questo il colpo in via d'estinzione. In campo femminile è sparito da anni, ora in quello maschile vive momenti difficili. Tra i top 10, lo giocano a una mano solo Federer e Gasquet, con alterne fortune.Nei top 20 diventano 5 i giocatori, nei top 50 sono 9. Il 18%, per dirla con i numeri. Quasi tutti delle perle (da Gasquet ad Alamgro, da Haas a Wawrinka. È vero che si comincia presto e le due mani offrono maggior forza; è vero che la seconda mano aiuta a trovar angoli, è vero tutto ciò che volete, ma la bellezza di un rovescio ad una mano non ha paragoni. Sperem.

NEW FEDERER

Dopo Tim Cook, chiamato a sostituire Steve Jobs alla Apple, credo che sia la rincorsa professionale più difficile, quella di Grigor Dimitrov. Essere definito il nuove Federer deve pesargli come un macigno, dietro un atteggiamento piuttosto baldanzoso. Eppure, il paragone tecnico non mi pare campato per aria. Per stile esecutivo, Grigor ricorda da vicino il Fuoriclasse, quasi lo voglia scimmiottare. La differenza resta l'efficacia. E non mi pare un particolare di poco conto.

UN UOMO SOLO AL COMANDO

Le ultime elezioni FIT dello scorso mese di settembre, sono state un plebiscito per il Presidente Angelo Binaghi. Difficilmente poteva accadere qualcosa di diverso, visto che era l'unico candidato. Ora, proprio questo dettaglio deve farci riflettere. Perché nessuno si è presentato come antagonista a caccia della seggiola di Presidente FIT? I casi sono due: o il ruolo non è particolarmente ambito o le norme poste a garanzia della candidatura erano talmente restrittive che nessuno le ha soddisfatte. E in questo caso si dovrebbero tirar fuori le storie legate ai vecchi concetti di democrazia che lo sport italiano tende qualche volta a dimenticare. Resta il fatto che Binaghi governerà il tennis italiano anche nei prossimi quattro anni. Un bene? Un male? Le correnti di pensiero sono molto varie e ognuna è in grado di portare buone motivazioni a supporto. Poi, a fine carriera presidenziale, saranno i risultati a parlare. Ma in una federazione sportiva non contano solo numeri e bilanci economici. E non aver avuto un solo candidato all'opposizione, è un brutto segnale, qualunque sia l'opinione che si può avere dell'attuale dirigenza federale. 44


DIRITTI TV

La situazione televisiva è allarmante. La WTA non ha rinnovato l'accordo con Eurosport e ancora non è chiaro dove (e se) potremo vedere i tornei femminili nel 2013.Voci di corridoio sostengono che Sky abbia qualche dubbio se rinnovare i Masters 1000 alla scadenza di contratto (fine 2013), e chissà se SuperTennis manterrà gli ATP 500. Per adesso solo gli Slam godono di copertura sicura, altrimenti cominciate ad armarvi di parabole e abbonamenti on-line. Una buona ADSL è raccomandata ma, abituati all'orgia di tornei trasmessi in questi anni, speriamo davvero che il panorama televisivo del tennis in Italia non debba subire un brusco ridimensionamento.

FLUSHING ROOF

A New York si vive sui tetti. Un hotel o un building senza rooftop è considerato di livello mediocre. Sui tetti della Grande Mela trovate ristoranti, bar, piscine e, of course, campi da tennis. Però manca il tetto (tennisticamente) più utile, quello che dovrebbe coprire l'Arthur Ashe Stadium, il teatro principale dello US Open. Va detto che 'sti americani della USTA sono pure sfortunati, perché se deve piovere cinque giorni di fila a NYC, state certi che lo farà al principio di settembre. Tuttavia, ormai i buoi son scappati e una decisione (attesa prima dell'ultima finale ma ancora non pervenuta) deve essere presa e non può che essere positiva: il tetto a Flushing va costruito. Anche se costa una montagna di dollari, anche se strutturalmente non è facile coprire uno stadio da oltre 20.000 posti. Però, nell'era televisiva dove i palinsesti governano ogni cosa (soprattutto in America), è impensabile dover pregare Giove Pluvio perché si abbatta da qualche altra parte. Hanno coperto il Centre Court di Wimbledon, diamine. Trovate (in fretta) anche una soluzione per l'Arthur Ashe. 45


F

ORST O

2012

THE W

L'IRA DI DAVID

A Milano diremmo che è stato un pirla, in senso buono. David Nalbandian è un tipo stravagante, ma non anti-sportivo, arrogante o maleducato. Forse non troppo attento, altrimenti col suo talento avrebbe vinto qualche Slam. E così, non deve averci pensato troppo quando ha diretto la sua frustrazione verso un box di legno. Peccato che dietro ci fosse la gamba di Andrew McDougall, giudice di linea volontario, che si è ritrovato una ferita alla gamba. Al di là dell'evento sfortunato, è importante che il tennis mantenga la sua immagine di sport pulito. Lasciando ad altri sport certi comportamenti.

STADI VUOTI

Chiunque abbia organizzato un qualsiasi torneo pro, che sia anche solo un Futures, conosce benissimo la sensazione di vedere gli spalti vuoti. Una tristezza assoluta. Figuriamoci quando succede nei tornei del circuito maggiore. Chiaro che non si può pretendere di avere il sold out dalla prima giornata senza avere i big in campo, ma se Masters 1000 e affini fanno registrare audience da record, è altrettanto vero che i piccoli tornei soffrono. In particolare, mettono tristezza certi eventi dell'Europa dell'Est, dove si gioca in arene gigantesche popolate da poche decine di avventori. Al torneo WTA di Baku, ne ho avvistate (via tv, beninteso) otto per una semifinale. All'ATP di San Pietroburgo non è andata granché meglio. Un danno di immagine che ATP e WTA dovrebbero valutare, al di là che gli organizzatori paghino le fee e le tasse richieste.

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RAFA AI BOX

Credo (spero) che anche i più incalliti tifosi di Roger Federer abbiano versato qualche lacrimuccia nel vedere Rafa Nadal esibirsi su un campo da golf, in una serata per Vanity Fair o a bordo del suo motoscafo nel mare delle Baleari. Al posto di essere nel luogo dove si trova maggiormente a suo agio. La sindrome di Hoffa lo ha allontanato dai courts dal primo turno di Wimbledon fino all'inizio della prossima stagione. E se è vero che non avverti la mancanza di qualcosa (o qualcuno) fin quando lo hai perso, beh allora Nadal è davvero fondamentale per il circuito pro. Dopotutto, i Beatles potevano pure stare senza Ringo Starr; ma senza Paul McCartney chi la canta Let It Be?

IL DOPPIO DIMENTICATO

Si parla di crisi del doppio da oltre un decennio. L'ultimo giocatore capace di stare in vetta a entrambi i ranking è stato Yevgeny Kafelnikov, ma ormai i big lo usano, quando va bene, come allenamento o defaticamento. Un peccato perché, quando riceve degna attenzione (vedi al Masters) è uno spettacolo affascinante. Leander Paes e Radek Stepanek, in particolare, sanno offrire un tennis fatto di tocchi, raffinati volée piazzate, schemi arditi, che in singolare ormai ci scordiamo. E lo stesso spettacolo, seppur con minor eleganza, lo sanno offrire i gemelli Bryan, Bopanna e Bhupathi, Mirny e Nestor, perfino Marray e Nielsen. Certo che se poi il Masters lo vincono Marcel Granollers e Marc Lopez remando dal fondo, allora è giusto che il doppio resti in crisi.

L'AFFAIRE DE CAMARET

Ho ritrovato (se Facebook, pensa te), un articolo dell'Unità, a firma del nostro di Federico Ferrero. Era il 2009. Riguardava l'inizio dell'affaire Régis de Camaret. Ora sappiamo come è andata. «Parte da un libro, la storia di Isabelle. Si chiama «Service volé», un amaro gioco di parole che ricorda, con i gesti classici del tennis che non c'è più, un servizio rubato. E non solo quello. Isabelle è una bambina bionda di Gassin, gioiello di paese nell'entroterra che annuncia la costa vip di Saint-Tropez, e una giocatrice di tennis precoce: baby fenomeno, cresce e prova a ripetersi come professionista della racchetta. Dà il meglio di sé sui vent'anni con un ottavo di finale a Wimbledon, tanti successi in doppio, l'ingresso nelle Prime Dieci di specialità e un torneo del circuito Wta, a Westchester (...) Di Isabelle Demongeot (nella foto), campionessa mancata sulle rive della Provenza, ci si è dimenticati alla svelta. Qualche raro appassionato rammenta, negli ultimi anni, di aver scorso quasi per caso un blog, un diario intimo di ricordi mescolati a frammenti delle sfide più care al ricordo, quelle contro Martina Navratilova. Era il suo. Tra un Australian Open e un Roland Garros, apparentemente senza conseguenzialità, facevano capolino paragrafi inquietanti. Frasi smozzicate, riferimenti a una bambina infelice, a un peso nell'anima che pareva impedirle di andare avanti.A un centro frequentato anche da Nathalie Tauziat, finalista a Wimbledon (...) Quel blog sparisce nel nulla, il male oscuro no. Isabelle tuttavia non si è arresa, è che ha deciso di liberarsene per sempre scrivendo la sua storia e sputando fuori dallo stomaco trent'anni di lacrime e rabbia. Fatica a trovare un editore che la aiuti a dipingere un ritratto orrendo, protagonista Régis de Camaret. Il suo allenatore, quello che l'aveva presa in fasce e resa tennista. (...) Isabelle rivive la vergogna e il terrore di raccontare ciò che le succedeva quando veniva portata «là», in casa, per fare «quello». È un attimo: il tempo che Yannick Noah firmi la prefazione e la polizia bussa a casa di de Camaret, a Cap-Breton. Apre la porta, basito, un signore di 65 anni, lo accompagnano nel carcere di Draguignan con l'accusa infamante di violenze su minori di 15 anni. Difficile dimostrarlo: una voce sola, quella di una donna tormentata, senza prove solide. Ma la pubblica accusa riceve un aiuto insperato: sono le testimonianze, spontanee, di altre presunte vittime, ragazze che frequentarono il centro tra il 1977 e il 1989 e scoprirono il coraggio di denunciare tutto proprio grazie al primo passo che nessuna osava, e che Isabelle trovò la forza di fare. (...) La procura ha contestato i reati di violenza aggravata e aggressione sessuale aggravata. Le altre donne violate sono strette intorno a Isabelle, unite dalla gratitudine e dalla pena comune.Tutte tranne una: Nathalie Tauziat (...). » Ebbene, de Camaret si è beccato 8 anni di galera per violenze sessuali. La Tauziat che lo difese allora e a processo, chiamandolo «un padre», è stata allontanata dalla FFT perché, ha spiegato il direttore generale, chi riceve contributi pubblici deve essere persona di specchiata onestà, senza bisogno di attendere la sentenza definitiva. 47


ST OF

THE BE

2012

Dopo cinque operazioni e sei anni anni passati lontano dal tour professionistico, Brian Baker appare come un sopravvissuto. Ma grazie all’amore sconfinato per questo sport (e ad un talento notevole), è riuscito ad arrivare ad un passo dai top 50. BY FEDERICO FERRERO 48


LA PASSIONE DI

BRIAN 49


C

i fosse un riconoscimento da assegnare a Brian Baker, forse il più calzante non sarebbe quello – come lo si definirebbe nel linguaggio del giornalismo da bar – per l’abnegazione (1). Non è un campione di sacrificio, Baker: piuttosto rappresenta un esempio di uno smodato consumatore di amore e passione. Per se stesso e per lo strumento della sua soddisfazione, la pratica dello sport che scelse in gioventù a Nashville, Tennessee. Baker era un ragazzo del 1985 mantenuto, cura tecnica e denaro, sotto l’ala protettiva della Usta. E ben oltre la maggiore età: si credeva tanto, in lui. Non che fosse un cannone come Roddick; per certi aspetti, però, era pure meglio. Così alto, si muoveva agilmente e soprattutto ‘vedeva’ prima la palla. Sembrava poter colpire con l’anticipo dei grandi, anche applicate le velocità del circuito ATP. Sapeva scegliere il colpo giusto al momento giusto; insomma, in lui c’era l’impronta comune ai fuoriclasse. Il rovescio, poi, era già una favola negli Anni Novanta, una versione ammodernata dell’impatto perfetto di Jimbo Connors. Il coach Ricardo Acuña, cileno di casa in Florida e sotto contratto federale con il comandamento di non far sbandare il miglior diciottenne del Paese, gongolava dopo l’Orange Bowl 2002, che Baker vinse in ciabatte dando la paga al povero Mathieu Montcourt (2) in finale. Sapeva di avere per le mani «uno che ti capita una volta in vent’anni». Baker perse la finale del Roland Garros minorile nel 2003 contro Stan Wawrinka; aveva battuto per strada, senza troppi problemi, altre piccole stelle della classe 1985 come Baghdatis da Cipro e Jo Tsonga da Le Mans. Due che avrebbero giocato una finale Slam a testa, entrambi in Australia, negli anni in cui Baker era in soggiorno all’inferno. Brian arrivò al numero due del mondo ITF, avendo già giocato il primo match da professionista al challenger di Joplin, in Missouri. Aveva perso, per quanto possa contare, contro il fratellone di James Blake, Thomas: lui doveva compiere 17 anni, l’altro ne aveva 26. Una frenetica attività americentrica diede però forma alla sua classifica in tempi rapidi: ottocento, settecento, una wildcard a festeggiare i 18 anni per l’ATP di Washington DC, il primo US Open con un set strappato a Juergen Melzer. Quattrocento, trecento, sempre a botte di futures, challenger e wild card per gli eventi in terra madre. Duecento, centottanta. Baker si stava costruendo. È trascorso un anno, agosto 2004. La wild card a Flushing Meadows è garantita per il rookie Baker, che si è fatto le ossa fino al metro e 91. È andata un po’ meno bene ai fasci di muscoli ma il ragazzo ha personalità e pure, finalmente, una vittoria vera, quella del challenger di Denver. A non voler approfondire le cose, il risultato dello Slam è zero, un altro stop al primo turno. Ma allo US Open il primo turno può voler significare quattro set di badilate contro il fusto canottierato Carlos Moya, allora numero 4 al mondo. Una bella sconfitta, la chiamano al bar. Forse l’ultima al primo turno in uno Slam. Il 2005 è quello dell’addio ai teen, Brian diventa uomo. Eppure, per la prima volta, la classifica stagna. A fine estate gli viene concessa, con dissapore lievitante, una terza possibilità per entrare gratis allo US Open. Se la

gioca da apprendista campione: batte il reuccio fortunello del Roland Garros di quell’anno, Gaston Gaudio, scalda il cuore degli appassionati e lascia il torneo tra pacche e sorrisoni con una match di qualità ceduto a Xavier Malisse. Ma c’è qualcosa che non va, lui e Acuña lo sanno, il resto del mondo no. Due settimane prima, giocando contro un giovane scozzese iracondo e dotatissimo,Andy Murray, Baker ha avvertito un dolore strano, via via più intenso. Il torneo conta poco rispetto allo Slam, è un challenger a Binghamton, New York. Eppure quel fuoco all’anca si fa sentire e non lo molla mai, neppure durante le partite dello US Open, tanto da costringerlo a giocare impasticcato. Baker torna nella sua Nashville per farsi vedere da un chirurgo noto nel giro dello sport, il dottor Richard Byrd, che per problemi simili ha già operato due fuoriclasse come Guga Kuerten e Magnus Norman. Con poco successo sportivo: sono guariti come atleti, finiti come tennisti. Gli fa gli esami, gli consiglia di restare a riposo e di riprovarci. Caso vuole che il challenger della settimana si giochi proprio a Nashville, a casa sua. Ormai è novembre. Baker si iscrive, perde subito.Vola nell’Illinois, a Champaign. Ha un male cane ma gioca ancora. Fuori al secondo turno contro Jeff Morrison, giocatore già maturo e complicato da trattare sul cemento indoor. Il problema è che nel frattempo Byrd ha riempito la sua cartella clinica di risultanze degli esami. La sentenza sa di morte sportiva: Brian è nato col labbro acetabolare delle anche troppo fragile. Buono per un ragioniere, non per un tennista. Il labrum è una cartilagine delicata, deve sopportare carichi enormi se nella vita fai il giocatore professionista e non l’impiegato nella ditta più famosa dello Stato, la benemerita Jack Daniel’s di Lynchburg. Unica via: operare subito, aspettare e sperare. Quel primo intervento all’anca sinistra è un rimpianto con cui Baker ha fatto pace: «Ripensando a quegli anni, se avessi saputo in anticipo che il mio corpo aveva quei problemi, forse mi sarei allenato diversamente, forse avrei tutelato quelle parti che soffrivano gli allenamenti e le partite. Le mie anche non erano sufficientemente mobili per uno sport come il tennis, che ti obbliga ad allungarti continuamente. Ma come si fa a dirlo oggi? E poi non mi piace questo giochetto: è andata così, basta». In verità è andata anche peggio di così: Brian Baker scompare dal tennis in quel novembre del 2005. Gli passano sopra, come un’onda anomala di sfiga, metri cubi di esami clinici nefasti, programmi di riabilitazione, disdette contrattuali. Ha vent’anni, è al volante di un’auto competitiva che ha preparato per metà della sua vita e si è fermata dopo la prima curva della corsa. Decide, nella sua mente, di provarci ancora e di lasciare la data del rientro in bianco. Del resto ha iniziato a giocare a tennis nella culla: come dice Agassi per mano di Moehringer nella sua biografia, a volte giochi a tennis perché non c’è nient’altro che tu possa pensare di fare. Fai il tennista per esclusione. Passano quasi due anni, l’ex tennista Baker è clinicamente guarito. Ha avuto l’occasione di aggiungere alla collezione due interventi: uno per la riparazione di un’ernia sportiva e l’altro, sempre nell’anno 2006, al labrum dell’anca destra. Perché gioca, a livello nazionale, ma gioca. Chi lo sente commentare il Tour dal quale è stato cacciato a colpi di bisturi dice che sa di poter riprendere quel discorso, prima o poi, perché è damn good per il tennis, dannatamente bravo e non si

1. Abnegare non significa ciò che troppo spesso si pretende, cioè «sforzarsi per ottenere un risultato». Significa invece allontanare da sé i desideri e le soddisfazioni per dedicarsi al sacrificio in aiuto degli altri o, per i religiosi, in favore di Dio. Non va proprio usato per indicare lo sforzo che uno sportivo fa per affermarsi. 2. Mathieu Montcourt era un tennista francese coetaneo di Baker, morto il 6 luglio 2009. Fu trovato senza vita sul pianerottolo di casa, a Parigi, dalla fidanzata. Le notizie sull’autopsia e su ulteriori indagini per stabilire la causa del decesso sono state centellinate da famiglia e federazione. Probabilmente a stroncare Montcourt fu un’embolia polmonare. Senza voler (né, soprattutto, poter) indagare sui motivi della tragedia, che potrebbe essere stata una fatalità, è da dirsi che i casi di morte da embolia di individui giovani, sani e controllati come gli atleti professionisti, sono rarissimi.

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vergogna a dirlo. È il novembre 2007 quando in calendario c’è, come sempre, il torneo della città, Nashville. Che bel momento per rientrare, l’invito è già pronto. Baker gioca, lo ferma negli ottavi Rob Kendrick. La settimana successiva, altro torneo: vince una partita a Knoxville. Ma la crudeltà del caso, o l’ennesima ribellione del suo corpo, torna con violenza a chiedere un conto che appare impagabile. Dopo una settimana di dolori lancinanti al gomito destro, a Baker il Capodanno 2008 regala un responso tragico: c’è il legamento collaterale ulnare del suo braccio destro che va ricostruito. Una cosa che nel tennis non si fa: semplicemente si smette, anche di giocare la domenica al circolo. L’intervento ha un nome, si chiama Tommy John surgery, nominata così dalla rivoluzionaria operazione cui fu sottoposto negli Anni Settanta una stella della Major League di baseball. Baker sa che è la fine, è che non osa chiamarla la fine della carriera: quella non è mai iniziata. Prima di farsi aprire il gomito pensa al dopo: dovrà trovarsi un lavoro. E lo fa, con l’iscrizione ai corsi dell’Università di Belmont. Laurea in economia aziendale, lavoro come assistente nella squadra di tennis. Studia e gioca con parsimonia, soprattutto dopo un quinto tagliando dal chirurgo: serve una piccola manutenzione all’anca sinistra. Dà esami e si danna alla televisione, «vedendo che alcuni ragazzi contro cui vincevo, Jo-Wilfried, Marcos e altri erano diventati forti e facevano il pieno di tornei, mentre io potevo giocare un’ora ogni due giorni. Non è che potessi passare le giornate a battere i pugni contro il muro: allora mi dicevo che forse, un giorno, avrei avuto ancora una chance di tornare a giocare». Solo che non succede. È l’autunno

del 2011 quando l’Università, con sorpresa, non registra l’iscrizione di Brian Baker. Gli manca un anno alla laurea. È successo che nell’estate ha giocato regolarmente, otto partite di fila in due Futures, e le cuciture da Frankenstein disseminate nel corpo non gli hanno procurato alcun dolore. Ci ha provato alla chetichella, senza avvertire nessuno se non gli intimi, e le sensazioni sono buone. I libri dei corsi sono rimasti in stanza, Baker ha incordato le nuove Babolat e sta vivendo la palingenesi del professionista: ha ventisei anni e mezzo ma l’esperienza del ragazzino. A Knoxville si qualifica e va in finale, altre otto partite e sette vittorie. Vuole chiudere l’anno a Champaign, in quella tappa della sua Via Crucis. Passa due mesi ad allenarsi come un pro e non gli viene neanche un raffreddore. Attacca il 2012 da 450 al mondo, a marzo ha già vinto due Futures. Inizia a trovare gente seria: Odesnik (4), Tatsuma Ito che è nei primi cento. A Savannah si deve qualificare. Lo fa. Mette in fila Russell, Kendrick, Ginepri, Strode e Gensse. Ha vinto il secondo challenger della vita e non si vuole fermare, a costo di paracadutarsi al prossimo torneo. Che è l’ATP 250 di Nizza: ha il ranking per entrare nelle qualificazioni, deve solo coprire l’oceano di mezzo tra la Georgia e la Costa Azzurra.Arriva in tempo per firmare, vince tre match di qualificazione. Negli ultimi undici, ha perso un set. Non riescono a fermarlo: ci prova Stakhovsky e si arrende. Gael Monfils non gli resiste, due set a zero. Davydenko, idem. Brian Baker è in finale a Nizza, non ci credono neanche a casa dove hanno raccolto una valigia al volo e si sono imbarcati per l’Europa, destinazione la visione del miracolo di famiglia.

Baker non osa chiamarla fine della carriera: quella non è mai iniziata. Prima di farsi aprire il gomito pensa al dopo: dovrà trovarsi un lavoro. E lo fa, con l’iscrizione ai corsi dell’Università di Belmont. Laurea in economia aziendale... Chissà come ci si sente ora a essere Brian Baker, il 55esimo tennista del ranking, dopo un salto quantico così straniante... Ci sono la fidanzata Alathea, papà Steve, un avvocato, mamma Jackie, insegnante di musica, e i fratelli Kathryn e Art. Non c’è molto da fare contro il campione in carica Nicolas Almagro ma poco cambia: già si sa che mamma Usta gli ha regalato l’ultima wild card della sua carriera, dieci anni dopo la prima: quella riservata a uno statunitense per il Roland Garros. Stavolta è un atto di coraggio e di riconoscenza per un giovane uomo che ha categoricamente rifiutato di arrendersi. Le «quality wins» della primavera lo hanno restituito a una classifica impensabile, 140 al mondo. Sul centrale di Parigi, secondo turno, trascina sull’orlo del k.o. un giocatore di gomma come Gilles Simon, che esce vincente ma intontito (3). A resurrezione compiuta, il resto è cronaca: Baker si porta la famiglia a Wimbledon dove, manco a dirlo, passa tre turni di qualificazione e tre nel tabellone principale. Nasconde la palla a Nieminen, manca l’appuntamento con i quarti di finale per colpa di Kohlschreiber. A ventisette anni e tre mesi entra per la prima

volta nei top 100. Si vendica di Kohlschreiber a Cincinnati e raccoglie soldi a sufficienza per non dover pensare troppo ai conti: trecentocinquantamila dollari con undici partite vinte nel Tour, qualificazioni e tornei minori esclusi. Si fa rivedere a Flushing Meadows, ingresso diretto senza passare per l’ufficio inviti né per il torneo di qualificazione, dove pesca Tipsarevic: uno dei pochi che riescono a decriptare il suo gioco, a partire da quel servizio pesante e solitamente imprevedibile. Certe storie di passione avvincono anche chi le racconta. Chissà come ci si sente a essere Brian Baker oggi, il 55esimo tennista del ranking, dopo un salto quantico così straniante. Intorno a lui è cambiato tutto, sono passati campioni e imprese, lui se le è perse tutte. Eppure si comporta come se non fosse successo niente, come se avesse perso un treno e preso al volo quello dopo. Con un dettaglio, che il secondo è passato non dopo dieci minuti, ma dopo quasi dieci anni. E lui era lì, ad aspettare alla fermata. Se questo non è amore.

3. Dirà Simon a fine partita, vinta 6-4 6-1 6-7 1-6 6-0: «Praticamente non mi ricordavo di Brian, è passato troppo tempo. Durante la partita ero impressionato: certe volte avrei voluto saltare la rete e dirgli ‘Ehi, bravo, stai giocando un tennis fantastico’. Se avesse continuato a giocare come nel terzo e quarto set, mi avrebbe travolto». 4.Wayne Odesnik è il giocatore statunitense che ha patteggiato una condanna lieve per possesso di GHT (l’ormone della crescita) in cambio di presunte rivelazioni utili agli inquirenti della WADA (l’agenzia mondiale antidoping) che però, finora, non hanno portato ad alcun provvedimento conosciuto.

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Brian Baker è nato il 30 aprile 1985 a Nashville (Usa). Un metro e 90 per 77kg, da junior ha ottenuto ottimi risultati, sconfiggendo futuri fuoriclasse come Novak Djokovic, Andy Murray, Gael Monfils, Jo-Wilfried Tsonga, Marcos Baghdatis, John Isner e Tomas Berdych e raggiungendo la finale a Roland Garros Junior nel 2003. Fermato da cinque operazioni e rimasto lontano per sei anni dal tour pro, quest’anno è tornato a giocare regolarmente arrivando in finale all’ATP di Nizza e raggiungendo il best ranking al numero 52 ATP

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T OF

S THE BE

2012

Troppo spesso sottovalutato, al termine della sua miglior stagione chiusa al n.23 ATP, Andreas Seppi può tranquillamente aspirare al titolo di miglior giocatore italiano dell’era post-Panatta. La conferma arriva dai numeri che abbiamo analizzato testo di MARCO BUCCIANTINI

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NUMERO

UNO 55


S

e fosse livornese – se avesse sfogliato una volta il Vernacoliere – Seppi affronterebbe il 2013 con un certo ottimismo. Ha chiuso la sua migliore stagione al numero 23: nella cittadina portuale (che usa un motteggiare due dita sopra il comune senso del pudore) quella cifra è il massimo del colpo di fortuna, o come direbbero loro: 23, bu’odihulo. Non tutti capiranno, e forse nemmeno Seppi, che la fortuna non l’ha trovata per strada, e nemmeno l’ha vinta al lotto: questo monumento all’applicazione è riuscito a diventare campione nel suo sport, praticato da milioni di persone nel mondo, ovunque. Quattro finali nei tornei ATP (non succedeva dal faticoso 1978 di Barazzutti!), due vittorie (come Gaudenzi nel 2001, Furlan nel 1994 e Cancelotti 10 anni prima), 38 vittorie e 27 sconfitte. Questi i numeri: più suggestivi, va detto onestamente, della realtà. Seppi si è fatto posto nella storia del tennis italiano, questo è pacifico: il suo miglior ranking è stato il numero 22. Nel cupo e deprimente trentennio che ha seguito le imprese di Panatta, Barazzutti e Bertolucci, resta una delle migliori stagioni di un atleta italiano: Seppi ha eguagliato le vittorie stagionali delle migliori annate di Camporese e Gaudenzi (38, anche loro: poi vedremo come e quando), rimanendo per un solo match dietro a Renzo Furlan, capace di 39 vittorie nel 1995, raccolte però in 32 tornei, tre in più rispetto all’altoatesino. La versatilità di Renzo su tutte le superfici è la stessa di Seppi: sono stati

capaci di risultati di pari valore su ogni superficie, anche se Furlan era meno a suo agio sull’erba (che Seppi invece considera il suo habitat preferito) ma era decisamente più prestante sul cemento all’aperto, dove invece Seppi si diminuisce e dove si consumano un buon numero di tornei importanti: lì, manca la qualità al numero 23 del mondo che infatti non riesce ancora a replicare i piazzamenti in classifica degli altri tre azzurri rammentati: Camporese e Gaudenzi furono 18 del mondo, Furlan 19. In questa comparazione fra le migliori annate dei nostri tennisti dal 1980 in avanti, è giusto dunque tributare per primo Furlan, anche per la costanza del rendimento: il veneto di Conegliano riuscì a dilatare per un triennio il suo periodo migliore: fra il ‘94 e il ‘96, riuscì sempre a concludere la stagione con un bottino superiore alle 30 vittorie: giocava molti tornei e – come detto – sapeva rendere bene su ogni superficie e durante tutto l’anno. Forse, e non sembri un’irriconoscente mancanza di riguardo, fra tutti i nostri giocatori giunti fra i primi 30 del mondo, Renzo è quello meno dotato di talento tennistico. La sua maggiore bravura stava nella duttilità tattica: non aveva una palla molto varia, ma sapeva cambiare schema e adattarsi agli avversari. Fra i fondamentali, il suo rovescio era certamente buono come tenuta e difficile da controbattere, perché di traiettoria crescente. Il suo miglior risultato negli Slam sono i quarti di finali a Roland Garros nel 1995: un tabellone facile, sfruttato fino a Bruguera, uno che a Parigi aveva vinto le due edizioni precedenti. A 38 vittorie, Seppi raggiunge Camporese (1991) e Gaudenzi (1994): come best ranking, i due che con il loro 18esimo posto, sono considerati i migliori azzurri degli ultimi trent’anni. Dovendo valutare le due stagioni in esame, si fa preferire il bolognese, che raggiunse quel bottino in soli 28 tornei (con - dunque - 27 sconfitte, giacché a Rotterdam vinse), mentre

Andrea ne giocò 31, senza vittorie. Camporese fu definito da Gianni Clerici, con cinismo e competenza tecnica, «il campione del mondo di tennis da fermo». Aveva il marmo nelle caviglie, ma quando riusciva a mettersi bene con i piedi rispetto alla palla, poteva macinare punti vincenti contro tutti. Ebbe quattordici mesi impressionanti, dal gennaio del 1991 al marzo del 1992. Nel dicembre del 1990 si preparò con cura, insieme a Eduardo Infantino. Fisicamente, pareva più mobile. Andò agli Open d’Australia con fiducia, superò due turni, al terzo incontrò Boris Becker. Due set tiratissimi, due tiebreak, poteva essere una dignitosa sconfitta. Sicuramente il terzo set scivolerà via in fretta e arrivederci, pensai. E invece. Cominciò una cosa nuova, impressionante, emozionante: 6-0, come previsto. Ma per BEST RANKING

GLI OBIETTIVI DI ANDREAS SEPPI Ecco i traguardi che Andreas Seppi deve raggiungere per essere considerato (senza alcun dubbio) il più forte tennista azzurro dell’era post-Panatta

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OBIETTIVO: numero 17 ATP DIFFICOLTÀ:

Il record assoluto di Adriano Panatta, n.4 del mondo nel 1976, è inarrivabile. Ma dopo all’era Panatta (e Barazzutti), la miglior posizione in classifica mai raggiunta da un tennista italiano è stata la 18esima, conquistata da Omar Camporese e Andrea Gaudenzi. L’impresa non è impossibile: Seppi parte dalla posizione n.23 e fino alla fine di aprile ha pochi punti da difendere. Un buon inizio all’Australian Open getterebbe le basi per il sorpasso. Perché sono pochi gradini ma piuttosto alti.


Camporese: Becker, il campione, raccolse complessivamente 10 punti. Nel quarto set Omar sembrava posseduto dal genio: per contenere la rivalsa dell’umiliato tedesco, andò all’attacco seguendo il rovescio in back, come fosse Edberg: così conquistò il break decisivo al decimo gioco, e chiuse 6-4. Per raccontarla ai nipoti

basterebbe questo. Ma il bello doveva ancora venire. Il quinto set, allora. Dopo 20 game, la situazione era di 10 a 10, i servizi padroni. Becker fece il break,11 a 10 e servizio, 40 a 0. Il pubblico era pronto per l’applauso ai lottatori. Macché. «Mi sono detto: proviamo». Così Camporese spiegò a fine match le cinque

risposte consecutive a tutto braccio, diritto o rovescio che fosse, che lasciarono il tedesco senza difesa. Pazzesco. Il break decisivo Becker lo ritrovò sul 12 pari, con Camporese che era salito fino al 40 a 0, per poi perdersi. Con 5 ore e 11 minuti di partita, è rimasta la più lunga partita in uno Slam per 15 anni. Da questa partita Camporese prese coraggio, capì di essere ormai un giocatore di dimensione maggiore, sul veloce riuscì a essere competitivo con tutti i migliori giocatori della sua generazione. Vinse il torneo di Rotterdam in finale contro Lendl, doppiò l’anno successivo a Milano, contro Ivanisevic, la settimana dopo andò a Stoccarda e ai quarti incontrò Edberg. Arrivò a due punti dalla vittoria, perse, e finì lì. Al numero 18 del mondo. Con un diritto che pochi tennisti di ogni tempo hanno avuto,una palla schiaffeggiata e piatta, profonda e imprendibile. Un rovescio alterno ma gradevole. Una mano capace di picchiare duro e carezzare piano. Un fisico fragile, un carattere modesto, un agonismo superficiale, come se essere campioni o ottimi giocatori fosse – in fondo – la stessa cosa. E un gomito, va detto, che si ammalò della malattia del tennista, l’epicondilite. Passò come una cometa nel cielo del 1997, impossibile da non vedere e altrettanto impossibile da ripetere. Non fu una resurrezione: il tennista Camporese era ormai un vecchio arnese da torneini, e lì tornò. Ma per tre ore e mezzo prese a pallate il suo destino cinico e baro, che quel giorno si chiamava Carlos Moya, il più forte di Spagna, appena arrivato alla finale dell’Australian Open e futuro vincitore di Parigi. Era il condottiero della Spagna nel primo turno di Coppa Davis. Camporese, era – a Pesaro – quasi per sbaglio, per scommessa di Adriano Panatta, per mancanze altrui, per la necessità di giocare sul campo veloce. Come quell’altra volta contro Becker, trascinò i primi due set al tie break per poi perderli. Come l’altra volta,

TITOLI ATP

MATCH VINTI ATP

OBIETTIVO: un altro titolo ATP DIFFICOLTÀ:

OBIETTIVO: altri 17 match da vincere DIFFICOLTÀ:

In questa statistica, Seppi già eccelle a livello italiano, in quanto con tre titoli ha raggiunto in testa alla classifica Andrea Gaudenzi e Paolo Canè. Seppi li ha conquistati nelle ultime due stagioni: l’anno scorso a Eastbourne sull’erba, questa’anno a Belgrado sulla terra e a Mosca sul sintetico indoor. Proprio la caratteristica di aver vinto tre titoli su altrettante superfici diverse, già lo privilegia. In più, è piuttosto probabile che nei 6-7 anni di carriera che gli restano, sia in grado di vincere (almeno) un altro torneo ATP.

Il primo posto è ormai ad un passo, anche se per adesso Seppi staziona sull’ultimo gradino del podio con un totale di 207 incontri vinti nel circuito maggiore ATP. In cima alla classifica, Renzo Furlan con 223, seguito da Andrea Gaudenzi con 219, entrambi due esempi di regolarità di rendimento. Da notare che nessun altro azzurro è arrivato a quota 200 vittorie (al quarto posto c’è Gianluca Pozzi con 175 vittorie). È molto plausibile che Seppi superi Furlan entro la metà della prossima stagione.

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si pensò che potesse essere abbastanza, e invece Omar cominciò a dominare. A differenza dell’altra volta, non smise fino a che non si avvicinò a rete, per dare la mano al belloccio. Andrea Gaudenzi è invece stato (prima di Gianluigi Quinzi) lo juniores nel quale l’Italia del tennis ha riposto più speranze, per quella doppietta Roland Garros - US Open nel 1990, a soli 17 anni, quando chiuse l’anno da campione del mondo dei futuri professionisti. Il suo rivale di allora, Thomas Enqvist, ebbe fra gli adulti una carriera decisamente superiore. Tecnicamente il faentino era completo, anche se mancava di velocità massime. Il diritto era robusto, il rovescio bimane mancava di coraggio nel lungolinea. Possedeva più qualità di quante ne rivelasse in campo: da junior era spavaldo e vario, in campo, baldanza e creatività che sacrificò nel passaggio al professionismo. Ma torniamo al 1994. Di grande qualità per Gaudenzi il torneo estivo sulla terra di Stoccarda con le vittorie su Stich, Albert Costa e Chesnokov, prima della resa in finale contro Berasategui, al tie break del terzo set. L’occasione persa fu a New York, al terzo turno dello US Open, quando fu il modesto Renzenbrink a impedire al romagnolo di doppiare in America gli ottavi di finale di Parigi. Quest’ultimo risultato seguì i quarti di finale a Roma: come per Seppi quest’anno (divorato da Federer in un’ora di gioco) anche Andrea cedette il passo alla storia: 6-3 7-5 a favore di Sampras. Quello che colpisce di Gaudenzi – che, ricordiamo, fu numero uno del mondo fra gli junior – è la precocità di questa annata così promettente: aveva 21 anni, il meglio (credeva lui, credevano tutti) doveva ancora venire. Invece fu quello, il meglio. Anche perché l’altra annata di spessore – il 1998, con 34 vittorie e 25 sconfitte – si concluse in modo drammatico, a Milano, il primo venerdì di dicembre, finale di Coppa Davis, Italia-Svezia,

l’ultimo scampolo di grandezza assoluta del nostro tennis. Gaudenzi non giocava un match ufficiale da due mesi, dalla vittoriosa semifinale a Milwaukee, quando dominammo i resti degli Stati Uniti a casa loro. I dolori alla spalla destra avevano consigliato la lontananza dall’agonismo ma c’era questa miracolosa (e possibile) finale da giocare, da vincere. Di fronte, Norman e Gustafsonn, mica Edberg e Wilander. La prima partita – Gaudenzi contro Norman – era quella più accessibile. Il nostro era stato aggiustato alla meno peggio. Però per 4 ore funzionò. Poi Gaudenzi sembrò dover pagare il conto alla precarietà della forma fisica: Norman va 4 a 0, nel quinto. Rimonta. Ma la Svezia è 5 a 4 e servizio, 40 a 30: match point. Gaudenzi lo salva con il diritto. Poi un altro, poi il break: 5 pari, servizio Italia, palla del 6 a 5, ace, un urlo che sembra uno scoppio, del Forum al completo, dodicimila persone che gridano lo stesso stupore, la stessa gioia. Una, no. Urla anch’essa, ma è dolore. Vivo, atteso ma improvviso: la spalla «ha fatto clac», dirà Gaudenzi. La Davis per noi e la carriera per lui finiscono in pratica lì. Il resto sarà perfino ingiusto (la partita disossata di Sanguinetti contro Gustafsonn, gli anni di partite col magone di Gaudenzi prima del ritiro, vero, didascalico). Ci fu un glorioso, inaspettato sussulto, a 28 anni, nel 2001, quando nel giro di 45 giorni Gaudenzi vinse il torneo di St. Polten, il ricco e competitivo challenger di Braunschweigh e l’altro torneo maggiore di Bastad. Non servì a riscrivere una carriera che si era annunciata più importante. Anzi, quell’an-

PER COMPLETARE L’OPERA, DEVE ARRIVARE AL NUMERO 17 DELLA CLASSIFICA ATP, ED ESSERE COSÌ INEQUIVOCABILMENTE, E LEGITTIMAMENTE, CONSIDERATO IL MIGLIORE DEI TENNISTI DEL DOPO PANATTA-BARAZZUTTI. SFRUTTANDO UNA DELLE SUE MIGLIORI QUALITÀ: NON PERDERE TEMPO A GUARDARSI INDIETRO...

GRAND SLAM RANKING

MATCH VINTI SLAM

OBIETTIVO: vincere 4-5 match DIFFICOLTÀ:

OBIETTIVO: altri sei match da vincere DIFFICOLTÀ:

Il Grand Slam Ranking è una nostra esclusiva ed è una classifica che si basa sui risultati ottenuti in carriera nei tornei dello Slam, con la tabella punti che utilizzava l’ATP nella classifica Race di qualche stagione fa (che premia la qualità e non solo la quantità). Ebbene, Seppi è attualmente quarto con 167 punti; davanti a lui, Gianluca Pozzi con 214 punti, Davide Sanguinetti con 207, Renzo Furlan con 199 e Andrea Gaudenzi con 169. Con due terzi turni e tre secondi turni, Seppi balzerebbe al comando. Insomma, deve vincere 6-7 partite in circa 24 Slam che giocherà ancora...

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nata così, al crepuscolo delle motivazioni e delle forze, servì solo a rimpiangere un grande futuro ormai dietro le spalle. A 34 vittorie arrivò Volandri nel 2006: quasi tutte sulla terra, ovviamente: uno specialista, il livornese, che si terrà la semifinale del Foro Italico (batté Federer e Berdych!) come ricordo che gli altri non possono raccontare. Prima di tornare all’atleta che ha ispirato questo pezzo, un cenno non solo romantico ma perfino doveroso a Paolo Cané, il più limpido e sfortunato dei nostri talenti sprecati. I gesti più naturali, la mano più dolce, l’idea più estrosa, l’esecuzione più fluida: aveva il tennis dei più forti, e una muscolatura da circuito femminile, con una schiena da paziente cronico. Detiene, il bolognese, la migliore percentuale vittorie/partite giocate, nel 1989, con 24 partite vinte in appena 15 tornei (uno vinto, a Bastad): una percentuale di resa che nella classifica attuale possono vantare solo i primi 10 giocatori del mondo. Bastarono quei pochi tornei a Cané per arrivare al numero 26 del mondo. Cosa sarebbe potuto diventare con una tenuta psico-fisica in grado di assicurare i 30 tornei l’anno che gli altri poterono permettersi, non lo ha saputo lui e nemmeno i suoi tifosi. L’immaginazione però è libera: lui e Camporese, due bolognesi, avevano certamente il braccio per compiere exploit ad altri negati, e per frequentare con assiduità i primi 15 del mondo. Torniamo a Seppi, atteso adesso a dare maggiore qualità alle sue vittorie. Sono mancati i punti pesanti, quelli dei Masters

Il rendimento nei tornei del Grand Slam, è sempre un buon indicatore per valutare la carriera di un giocatore. Nell’era post-Panatta l’azzurro che ha vinto più incontri nei Majors (25) è stato Gianluca Pozzi, seguito da Davide Sanguinetti con 22 e Renzo Furlan con 21. Subito dietro, Seppi, che quest’anno ha raggiunto quota 20, raggiungendo Andrea Gaudenzi. Dovesse mantenere il rendimento del 2012, basterebbe il 2013 per raggiungere la vetta. Onestamente, l’obiettivo è tra i più facili da centrare, tra quelli che abbiamo proposto.


1000 e degli Slam, nonostante i quarti di Roma e gli ottavi di Parigi: risultati che devono diventare abituali se l’intenzione è di completare l’opera.Arrivare cioè al numero 17 del mondo nella classifica ATP, ed essere così inequivocabilmente, e legittimamente, il migliore dei tennisti del dopo Panatta-Barazzutti. Seppi sarà testa di serie in Australia, e già lì dovrà assicurarsi il terzo turno. E poi guadagnare punti sul cemento americano, un terreno che spesso lascia incolto. Fino alla tarda primavera del 2013 ha pochi punti da difendere, e tutto da guadagnare. È padrone del suo destino, perché ha già dimostrato di essere degno della sua classifica (e noi siamo pronti a scommettere sul suo approdo nei primi 16). Non ha un gioco arioso, né soluzioni segrete. Ha la mano robusta e quadrata, ma è diventato un produttore di punti e di vincenti. È un palleggiatore che ha raggiunto una notevole velocità di palla e che ormai conosce tutti gli angoli. Equilibrato su entrambi i lati, il servizio è davvero un punto di forza, dopo essere stato per anni una penitenza. Fisicamente è in crescita: la maturità atletica è una conquista recente, ma non è l’unico nel tennis moderno ad aver progredito da adulto. Ha un vantaggio rispetto agli altri italiani: a 28 anni, può ancora migliorare in tutti gli aspetti tecnici e agonistici. Lo sa, ci crede, ci proverà. Si è conservato bene e adesso può aiutarsi con l’esperienza, senza essere già logoro. La miglior caratteristica di questo ragazzo è che non perde tempo a guardarsi indietro. Possiamo farlo noi, specialisti del rimpianto: in questo 2012 ad Andreas sono mancati due minuti di solidità, quelli che servivano per vincere il match contro Istomin a Wimbledon, in quello strano primo turno che in realtà valeva tre partite: il secondo e il terzo turno, infatti, sarebbero stati assai più comodi. Contro Istomin, Seppi andò a servire per il match, sul 5 a 3 del quinto set. Ma anche questa è una storia che nessuno può raccontare.

MIGLIOR EXPLOIT

TOP 50 ATP RANKING

OBIETTIVO: quarti di finale Slam DIFFICOLTÀ:

OBIETTIVO: sesta stagione da top 50 DIFFICOLTÀ:

È il traguardo più difficile da raggiungere: l’exploit in un grande torneo che potremmo identificare in una finale Masters 1000 o, ancor meglio, (almeno) un quarto di finale in un torneo dello Slam, miglior risultato ottenuto d aun azzurro negli ultimi 30 anni (Cristiano Caratti in Australia, Davide Sanguinetti a Wimbledon, Renzo Furlan e Fabio Fognini a Roland Garros). Seppi quest’anno si è fermato negli ottavi di finale a Parigi dove è andato ad un passo dal battere Novak Djokovic. Serve anche una discreta dose di fortuna nel sorteggio.

Un’altra statistica importante perché rappresenta la costanza di rendimento ad alto livello. Seppi è già in testa a questo ranking visto che il 2012 ha rappresentato la quinta stagione che l’altoatesino è stato capace di chiudere nella top 50 ATP. Come lui, solo Filippo Volandri. A quota 4, segue Omar Camporese. Certo, senza infortuni, è probabile che anche Andrea Gaudenzi (3) starebbe lassù a far degna compagnia. Tuttavia, è probabile che Seppi chiuda la carriera (almeno) vicino alla doppia cifra.

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ST OF

THE BE

2012

GENERAZIONE 30 E LODE Roger Federer e David Ferrer tra i Top 10; Tommy Haas, Mikhail Youzhny e Mardy Fish tra i Top 30; Radek Stepanek, Jurgen Melzer, Julien Benneteau, Feliciano Lopez, Jarkko Nieminen e Nikolay Davydenko tra i Top 50. Senza dimenticare Xavier Malisse, Victor Hanescu, David Nalbandian, Benjamin Becker, Bjorn Phau, Lukasz Kubot, Paolo Lorenzi, Filippo Volandri, PaulHenri Mathieu, Lleyton Hewitt, Nicolas Mahut, Olivier Rochus, Michael Russell, Ruben Ramirez Hidalgo, Tommy Robredo, Albert Montanes e il neo-ritirato Andy Roddick, tutti ancora stabilmente tra i Top 100. Anzi, molti di loro mai così ad alto livello come dopo aver compiuto i fatidici “-enta”. Anche il tennis, dunque, non è (più) uno sport per giovani? BY ANTONIO INCORVAIA 60


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GENERAZIONE OVER 30

Premiata bocciofila ATP.

Pensi a Djokovic, Murray e Nadal (età media = 25 anni) e ne deduci che la lotta al vertice goda di sana, robusta e soprattutto, con buona approssimazione, giovane costituzione. D’accordo: nei Top 5 del ranking, insieme a loro, ci sono l’inossidabile Federer - che però fa Storia, con la S maiuscola, a parte - e l’inesauribile Ferrer, entrambi ultra30enni. Ma dietro scalpitano Del Potro, Raonic, Cilic, Nishikori, Dolgopolov, Querrey e Klizan, tutti talenti (chi più, chi meno) che devono ancora raggiungere la piena maturità e che lasciano intravedere un potenziale davvero di altissimo livello. Eppure, allargando l’inquadratura, lo scenario nasconde una realtà un po’ diversa. Perché la maggior parte dei giocatori che affollano le prime 50 posizioni della classifica ha un’età molto più vicina ai 30 anni che ai 20, e non solo: ce ne sono altri 10, oltre a Federer e Ferrer, che i 30 li hanno addirittura già superati. Dati alla mano, nel 1992 gli Over 30 compresi tra i primi 100 tennisti del mondo erano appena 5: Ivan Lendl, John McEnroe, Brad Gilbert, Luis Herrera e Jimmy Connors. Nel 2002 erano 11: Andre Agassi, Pete Sampras, Younes El Aynaoui, Fabrice Santoro, Wayne Ferreira, Davide Sanguinetti, Todd Martin, Jonas Bjorkman, Wayne Arthurs, Fernando Meligeni e Dick Norman. Oggi (classifica del 15 ottobre 2012) sono diventati ben 28, calcolando anche Andy Roddick che ha annunciato il ritiro dal professionismo proprio nel giorno del suo 30esimo compleanno. In uno sport dove - ce lo sentiamo ripetere tutti i giorni come un mantra - i ritmi e i calendari sono sempre più massacranti, per assurdo sta lievitando la longevità e si sta attenuando quella fisiologica selezione naturale che, un tempo, garantiva un avvincente ricambio generazionale. Al punto che l’unico Under 20 attualmente posizionato tra i Top 100 è Bernard Tomic (il quale, pur avendo le stimmate del predestinato, al momento non pare niente di più che l’ennesimo baby-boom deputato a vivere di fiammate estemporanee) e che, di tutti i «futuri Top 5» che da qualche anno alimentano le scommesse di gloria di addetti ai lavori e bookmaker, nessuno è ancora riuscito a sfondare nemmeno il muro della 40esima piazza. E considerando che, alla loro età, Rafa Nadal era già numero 2 del mondo, Novak Djokovic numero 3 e Andy Murray numero 4, non si può certo concludere che la stella di Grigor Dimitrov, David Goffin e Ryan Harrison sia davvero così splendente come si tende a dipingerla. Ma cos›è successo affinché, con gattopardesco senso del paradosso, tutto sia dovuto cambiare affinché niente (in classifica) cambiasse più? I Senior del circuito sono così inestirpabili dalle loro posizioni per meriti propri o per demeriti altrui? A ben vedere, scorrendone rapidamente i nomi, non è difficile accorgersi che molti di loro appartengono alla cara, vecchia scuola del Tennis Totale, che prevede(va) che, oltre alle mazzate con la clava, si sapessero tirare anche le pennellate con il fioretto. La qual cosa, evidentemente, nell›improvvido appiattimento tecnico degli ultimi tempi, permette non soltanto a Roger Federer ma anche a

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Tommy Haas, Mikhail Youzhny, Mardy Fish, Radek Stepanek, Jurgen Melzer, Feliciano Lopez, Xavier Malisse e David Nalbandian di avere sempre più di una chance di vittoria contro le nuove leve dal grilletto facile ma dal braccio – e dal cervello – poco fino, a cui basta un rovescio in back o una variazione di ritmo per ritrovarsi immediatamente disinnescato qualunque schema tattico. In secondo luogo, va riconosciuto che il Tennis non è l›unica disciplina in cui i Senatori sono ancora saldamente al potere: dal Calcio alla Scherma e dall›Atletica al Volley, l›età media di tutti i top player è in continuo rialzo, segno che la ricerca sportiva ha compiuto progressi esponenziali nelle tecniche di allenamento, nelle tecnologie alimentari e nelle terapie dello sforzo. Se fino a qualche anno fa, pur con prestazioni fisiche meno esasperate, si tendeva a logorarsi più velocemente, oggi i tempi di recupero sono ridotti al minimo sindacale (impossibile non ricordare le vittorie di Nadal contro Verdasco e Federer all’Australian Open 2009, per un totale di 10 set giocati e 9 ore e mezza di permanenza in campo nel giro di appena due giorni), come pure lo scarto - mutatis mutandis - tra la reattività e l’esplosività di un 20enne e quelle di un 30enne. È anche vero, poi, che gli exploit dei decani della racchetta sono una sorta di fil rouge che attraversa indistintamente le epoche e i decenni: a 31 anni Rod Laver ha completato un Grand Slam (1969); a 30, Roy Emerson ha vinto Australian Open e Roland Garros (1966), mentre Bill Tilden (1923), John Newcombe (1974), Jimmy Connors (1982) e Andre Agassi (2000) hanno tutti occupato la prima posizione mondiale, alla stregua di Roger Federer nel 2012. Non solo: anche i nostri Gianluca Pozzi e Davide Sanguinetti hanno siglato il loro best ranking quando erano già ampiamente in età pensionabile (numero 40 a 35 anni Pozzi, numero 42 a 33 anni Sanguinetti). Non stupisce, insomma, che nel Tennis una maggiore esperienza possa accompagnarsi al pieno sviluppo delle proprie facoltà e, nondimeno, alla piena consapevolezza dei propri mezzi: mentre gli youngsters tendono a volere tutto e subito, bruciandosi precocemente per l’ansia da prestazione, i matusa hanno acquisito la lucidità necessaria per programmarsi al meglio e prefissarsi obiettivi e stimoli in modo più (aspi)razionale. La domanda, quindi, semmai è un’altra: alla luce del progressivo invecchiamento del circuito, quanti Over 30 popoleranno la classifica ATP nel 2022? Se venisse rispettata la serie di questi ultimi 20 anni, tra i Top 100 diventerebbero la bellezza di 45, una cifra talmente improbabile da apparire, più che fantascientifica, grottesca. Ma parliamoci chiaro: nessuno di noi, soltanto 20 anni fa, avrebbe mai scommesso che quei 5 veterani di lusso sarebbero diventati 28 anzianotti alle grandi manovre. E per quanto siano ammirevoli e straordinarie – e in taluni casi epiche – le imprese di Federer, Ferrer, Haas & Co., c’è da augurarsi che le Federazioni sappiano innescare il proverbiale “cambio di passo” per stimolare (e aiutare) i più giovani a emergere, per non ritrovarci anche nel circuito ATP un Governo Tecnico conservato in naftalina. Che, per esperienza, sappiamo bene essere l’immediata anticamera del lancio nel vuoto.


OVER THE TOP dati aggiornati con il ranking ATP del 19 novembre 2012

TOP 100

27,2%

28 21

percentuale di TORNEI ATP VINTI nel 2012 da giocatori OVER 30

51

Over 30 (nati dal 1982 o prima) Da 25 a 30 (da 1983 a 1987) Da 20 a 25 (da 1988 a 1992) Under 20 (da 1993 in poi)

SYDNEY/Nieminen AUCKLAND/Ferrer ZAGABRIA/Youzhny ROTTERDAM/Federer MEMPHIS/Melzer BUENOS AIRES/Ferrer DUBAI/Federer ACAPULCO/Ferrer INDIAN WELLS/Federer MADRID/Federer HALLE/Haas ‘S-HERTOGENBOSCH/Ferrer EASTBOURNE/Roddick WIMBLEDON/Federer BASTAD/Ferrer ATLANTA/Roddick CINCINNATI/Federer VALENCIA/Ferrer

28 51 21 00

TOTALE: 18 su 66: 27,27% 4 su 9 nei Masters 1000: 44,4% 1 su 4 negli Slam: 25%

Il primo tennista under 20 nella classifica ATP è il ceco Jiri Vesely, numero 260. Gli over 30 presenti

sono: Roger Federer David Ferrer Tommy Haas Mikhail Youzhny Mardy Fish Jurgen Melzer Radek Stepanek Julien Benneteau Andy Roddick Feliciano Lopez Jarkko Nieminen Nikolay Davydenko Michael Llodra Paul Henri Mathieu Xavier Malisse Paolo Lorenzi Victor Hanescu Benjamin Becker Luzasz Kubot Bjorn Phau Nalbandian David Hewitt Lleyton Ruben Ramirez Hidalgo Michael Russell Filippo Volandri Olivier Rochus Albert Montanes Ivo Karlovic.

ETÀ MEDIA DEI TOP 10

26,9

24,6

23,3

25,4

fine 2012

fine 2002

fine 1992

fine 1982

SLAM VINTI DAGLI OVER 30 (Era Open) Ken Rosewall – Roland Garros 1968 – 33 anni, 7 mesi e 7 giorni Rod Laver – Australian Open 1969 – 30 anni, 5 mesi e 18 giorni Rod Laver – Roland Garros 1969 – 30 anni, 9 mesi e 30 giorni Rod Laver – Wimbledon 1969 – 30 anni, 10 mesi e 26 giorni Rod Laver – Us Open 1969 – 31 anni e 1 mese Ken Rosewall – Us Open 1970 – 35 anni, 10 mesi e 11 giorni Ken Rosewall – Australian Open 1971 – 36 anni, 2 mesi e 12 giorni Ken Rosewall – Australian Open 1972 – 37 anni, 2 mesi e un giorno Andre Gimeno – Roland Garros 1972 – 34 anni, 10 mesi e 1 giorno John Newcombe – Australian Open 1975 – 30 anni, 7 mesi e 9 giorni Arthur Ashe – Wimbledon 1975 – 31 anni, 11 mesi e 25 giorni Jimmy Connors – Us Open 1982 – 30 anni e 10 giorni Jimmy Connors – Us Open 1983 – 31 anni e 9 giorni Andres Gomez – Roland Garros 1990 – 30 anni, 3 mesi e 14 giorni Petr Korda – Australian Open 1998 – 30 anni e 9 giorni Andre Agassi – Australian Open 2001 – 30 anni, 8 mesi e 30 giorni Pete Sampras – Us Open 2002 – 31 anni e 27 giorni Andre Agassi – Australian Open 2003 – 32 anni, 8 mesi e 28 giorni Roger Federer – Wimbledon 2012 – 30 anni e 11 mesi

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I MIGLIORI OVER 30 DEL 2012 *

DAVID FERRER / 02.04.1982 / 30 anni

Vittoria a Auckland, quarti a Melbourne, vittoria a Buenos Aires, vittoria ad Acapulco, quarti a Miami, finale a Barcellona, semifinale a Roma, semifinale a Parigi, vittoria a s-Hertogenbosch, quarti a Wimbledon, vittoria a Bastad, semifinale alle Olimpiadi (in doppio), semifinale a New York, semifinale a Kuala Lumpur e quarta qualificazione sia al Masters che alla finale di Coppa Davis: una tabella di marcia che farebbe venire le vertigini a chiunque per il soldatino Ferru, che allo scoccare della trentina infila la sua stagione migliore per valore dei risultati e continuità di rendimento. Che non fosse solo un terraiolo lo si era capito già qualche anno fa - semifinale a New York, vittoria a Tokyo e finale al Masters nel 2007 -, ma che potesse imparare ad addomesticare anche l’erba è stata un’autentica sorpresa, e l’ennesima conferma del suo pedigree da cavallo di razza. I puristi del tennis “giocato” continueranno a storcere il naso e a definirlo un «pallettaro» fino alla fine della sua carriera, ma se “non giocare a tennis” ed essere un «pallettaro» significa che nell’arco di una stagione si perde praticamente solo con Federer, Djokovic, Murray e Nadal (ovvero i primi 4 giocatori del mondo), sono in molti pronti a metterci la firma pur di ricevere le stesse critiche.

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* escluso Roger Federer

TOMMY HAAS / 03.04.1978 / 34 anni

Un autentico fenomeno. Capace di rinascere dalle proprie ceneri - infortunio a entrambe le caviglie, infortunio alla spalla destra, intervento all’anca, intervento al gomito - non una, non due, ma un numero ormai infinito di volte, nel 2012 si è tolto non solo la soddisfazione di risalire fino alla Top 20 del ranking iniziando l’anno da numero 205, ma anche quella di vincere un torneo battendo in finale Roger Federer, per giunta sull’erba di casa ad Halle. Giocatore talentuoso e completo come ne sono rimasti pochi, in grado di esprimersi a livelli di eccellenza assoluta su qualsiasi superficie, ha siglato l’ennesima, miracolosa scalata alla classifica della sua carriera lasciando via via sul campo gli scalpi di Jo-Wilfried Tsonga, Tomas Berdych, Philipp Kohlschreiber, Gilles Simon, Marin Cilic, Mardy Fish, David Nalbandian, Radek Stepanek, Nicolas Almagro e Janko Tipsarevic, non esattamente un roster da circuito challenger. E tutto questo a 34 anni, con una forza di volontà pari solo all’ostinazione (o viceversa). Colpisce che nessun ragazzino, nella smania di scimmiottare lo stile di Nadal o gli atteggiamenti di Djokovic, lo eriga mai a modello da imitare: senza offesa e senza retorica, c’è molto più amore per il tennis da imparare da Tommy Haas di quanto non ce ne sia nell’esasperazione di un diritto liftato o nella sterile ambizione di essere, “semplicemente”, il migliore di tutti.


FELICIANO LOPEZ / 20.09.1981 / 31 anni

Dopo una decina di stagioni di altalena tra le stelle e le stalle, per mettere la testa a posto e riuscire a esprimere il meglio del proprio repertorio ha dovuto aspettare di entrare negli “-enta”, raggiungendo il suo best ranking (numero 15) il 31 gennaio di quest’anno. Dotato di un potenziale da primi 5 del mondo e di un atteggiamento da giocatore di circolo, nel resto del 2012 non ha saputo confermare i progressi tecnici e mentali che nel 2011 gli erano valsi il terzo quarto di finale a Wimbledon, una vittoria incredibile contro Mardy Fish in Coppa Davis, una semifinale al Masters 1000 di Shanghai e una finale a Belgrado, scialacquando una quantità industriale di match al tie-break (tra cui il rocambolesco terzo turno allo US Open contro Andy Murray, perso per 76 76 46 76). Ciò nonostante, è arrivato a un punto dalla medaglia olimpica nella semifinale del doppio - lui e David Ferrer hanno avuto 4 match point, di cui 3 consecutivi, contro Llodra e Tsonga - ed è andato molto vicino a battere lo stesso Ferrer nei quarti a Barcellona (67 76 63 con 3 match point a favore) e John Isner in semifinale a Houston (ancora 67 76 63 con 8 palle break non sfruttate). Ma il destino di Feli, evidentemente, è quello di rimanere sempre l’eterno incompiuto che, con un rovescio più solido e una dose maggiore di killer instinct, avrebbe sicuramente reso meno agevole e funesta la cavalcata degli sparapalle muscoloidi verso le posizioni di vertice.

LLEYTON HEWITT / 24.02.1981 / 31 anni

Se Tommy Haas è l’esempio del «volli, sempre volli, fortissimamente volli», di chi chiede alla sorte ciò che gli spetta per natura, Lleyton Hewitt è quello di chi chiede alla natura ciò che gli spetta per sorte. Ex numero 1 del mondo, ex campione di Wimbledon e New York ed ex «ATP Player of the Year» per due anni di seguito (2001 e 2002), dal 2008 anche Hewitt si è visto negare - salvo, guardacaso, una finale di Halle vinta contro Roger Federer - da infortuni e interventi quello che il Fato gli aveva generosamente offerto in dono, pur senza avere la vocazione del talento puro. E quest›anno, partito con un quarto turno a Melbourne (battendo Andy Roddick e Milos Raonic) ma ritrovatosi addirittura fuori dalle prime 200 posizioni del ranking in estate, ha ritrovato la convinzione dei giorni migliori per infilare una finale a Newport (perdendo di misura contro John Isner), un terzo turno alle Olimpiadi (rischiando seriamente di sgambettare Novak Djokovic) e un terzo turno allo US Open (uscendo vincitore da una maratona con Gilles Muller e impegnando per due set e mezzo David Ferrer), risalendo fino alla Top 100 e dimostrando che la determinazione può ancora portarlo dove colpi e fisico non lo sorreggono più. In fondo, se il Futuro tarda ad arrivare, la persistenza del Passato è quasi una rassicurazione.

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THE NEW JOHNNY MAC John Patrick McEnroe Junior è, ancora adesso, il più famoso tennista americano. Si divide tra l’Accademia di New York, la sua galleria d’arte a Soho, il Senior Tour e i commenti per la NBC. Oltre a dover tenere a bada sei figli e un’incauta volontà di diventare un chitarrista. Perché «non fa schifo essere John McEnroe» testo di STEPHEN RODRICK / ® Men’s Journal 66


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P

er il vecchio Mac, è ora di cominciare una lunga passeggiata. Si mette in spalla la borsa Dunlop con un gemito, poi si dirige verso una scala nera. Una lattina di Rogaine sporge dalla tasca aperta. Inizia a borbottare un brano, non riconoscibile fino a quando non inizia a cantare lui stesso nel suo slang del Queens. «One in the loneliest number that you’ll ever do / Two can be as bad os one / It’s the loneliest number since the number one». In fondo alla scala, John McEnroe spinge una porta aperta prima di fiondarsi sul campo numero uno. Lascia cadere la borsa, prende una racchetta e inizia a picchiettare la racchetta sulla mano destra. La maglia Nike bianca è già intrisa di sudore.Arriva il suo avversario: è abbronzato, alto un metro e 70 e veste Adidas dalla testa ai piedi. Noah Rubin ha 15 anni ed è il miglior allievo della John McEnroe Tennis Academy di New York. Neanche trenta secondi di riscaldamento e il vecchio sta già parlando a se stesso. «Questo campo è troppo veloce.Troppo veloce. Non posso credere di aver accettato di fare una partita dopo essermi allenato. Stavo già facendo Pilates e adesso mi sta prendendo a calci nel sedere!». E ancora: «Sono così pigro, COSÌ PIGRO! Ho un gioco di gambe pietoso. ASSOLUTAMENTE PIETOSO!». Perde un altro punto e urla al suo avversario. «È stato un regalo, DIMMI GRAZIE!». Poi, giusto per divertimento, John fa correre Rubin a destra e sinistra, tirando colpi che gli permettono di raggiungere la palla ma senza chance di essere aggressivo. Finalmente McEnroe tira un colpo fuori dalla sua portata, e Rubin perde la lucidità per un momento. «ODIO QUESTO GIOCO!» urla il ragazzo. McEnroe trattiene un sorriso: ha vissuto questa situazione milioni di volte e gli succederà di nuovo, dopo circa quattro minuti. Il vecchio perde il game successivo quando mette in rete una risposta giocabile. Emette un grido modulato, poi butta la racchetta. Un lancio perfetto, con la racchetta che vola sulla superficie gommosa e scivola lentamente fino a fermarsi a un passo dalla panchina. «Vedi, ho lanciato la mia racchetta

dell’avversario e ragionare come se fosse una partita a scacchi. Non ti preoccupare, mi batterai una delle prossime volte. Ok, ora devo andare. Ho un amico che ha i biglietti di prima fila per la partita degli Yankees di stasera. Non fa schifo essere John McEnroe, vero?” La maggiore parte delle volte, no. IL PIÙ FAMOSO. E (ADESSO) IL PIÙ AMATO John McEnroe ha vinto il suo ultimo Slam nel 1984, più di mezza vita fa. Da allora, Pete Sampras ne ha vinti 14 e Roger Federer 17, mentre Andre Agassi ha raggiunto il Career Grand Slam – vincere tutti i quattro Majors –, traguardo precluso a McEnroe. Eppure, John McEnroe rimane il più famoso e amato tennista americano vivente. Se avessimo pronosticato una cosa del genere negli anni 80, la maggior parte degli appassionati di tennis avrebbe risposto con una sua celebre frase: «You cannot be serious». Il tempo ha ammorbidito McEnroe, ma Youtube resta per sempre. Dall’era di McEnroe e Reagan, abbiamo visto Mike Tyson mordere un orecchio, Roberto Alomar sputare in faccia a un arbitro e Kobe attaccare un arbitro con un’offesa contro i gay. Ma gli sproloqui di McEnroe sono ancora scioccanti, specialmente alcune chicche come: «Tu sei la feccia del mondo!» (diretto ai funzionari di Wimbledon, giornalisti e possibilmente a tutti gli inglesi). «Rispondi alla mia domanda! La domanda, stupido!» (diretto a un giudice di sedia svedese) e «Io odio questo paese!» (riferendosi a tutta la Francia durante i quarti di finale a Roland Garros nel 1983). McEnroe ha un posto fisso nella Hall of Fame degli atleti più maleducati anche se afferma di «essere totalmente in disaccordo», quando l’argomento è delicatamente affrontato. Magro, e con le guance rubiconde, sembra più simile a un ragazzo oggi rispetto a quando era un adolescente grassoccio. «Ci sono molti atleti che fanno le stesse cose, o anche peggio. Pensi che in un campo di football non vengano dette le stesse cose? O sul ghiaccio durante una partita di hockey?». Ha ragione, ma torniamo indietro e guardiamo alcuni dei suoi primi match

Questo apprezzamento post-datato è dovuto al modo in cui giocava. In un tennis popolato da robot che picchiano duro abbracciati alla linea di fondocampo, McEnroe è stato l’ultimo artista del gioco, almeno fino a quando non è entrato in scena Roger Federer. Mac poteva tirare colpi che andavano contro le leggi della geometria... così tante volte che ormai ho un buon tocco» dice ridendo. McEnroe, che oggi ha 53 anni, vuole farti credere che quando lancia una racchetta o tira una maledizione, lo sta facendo per dare alla gente quello che vuole. Ma una fonte informata dei fatti non è d’accordo. «È una grande stronzata - dice sua moglie, la musicista Patty Smyth -. Si arrabbia ancora, non lasciargli dire che è solo per lo spettacolo. Per fortuna non stavamo insieme quando giocava i Majors.Avrei dovuto strisciare via dalla tribuna». McEnroe vince il set per 6-2 e per oggi va bene così. Rubin lo guarda sollevato: è esausto. Il vecchio ha dato lezioni al giovane per 20 minuti. «Lo vedo dalla tua faccia – gli dice McEnroe – che non sapevi cosa avrei fatto dopo un colpo, e certamente non sapevi quello che avresti fatto tu. Invece devi prevedere le mosse

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contro la sua nemesi, Bjorn Borg, poi diventato amico. La gioia con cui gli inglesi andavano contro McEnroe è stupenda. («Avevo la capacità unica di trascinare la folla contro di me» racconta). Erano altri tempi. Adesso torna a Wimbledon nel ruolo di commentatore NBC e viene accolto come un Re. Una parte di questo apprezzamento post-datato è dovuto al modo in cui giocava a tennis. In un tennis popolato da robot che picchiano duro abbracciati alla linea di fondocampo, McEnroe è stato l’ultimo artista del gioco, almeno fino a quando non è entrato in scena Roger Federer. «Ogni volta che giocavamo uno contro l’altro avevamo qualcosa da dimostrare - dice Jimmy Connors, il più grande rivale americano di McEnroe -. Mac provava a entrare nel mio spazio, e io provavo a entrare nel suo. Il tennis era la


John McEnroe ha una famiglia molto allargata. Da 15 anni è sposato con la cantante Patty Smith (sostanzialmente un caso di omonimia con un’altra, più celebre cantante), abitano in un appartamento di Manhattan con sei figli: tre pargoli (il più grande, Kevin, ora ha 26 anni e fa lo scrittore) McEnroe li ha avuti dal suo primo matrimonio con Tatum O’Neil (ne ha ottenuto l’affidamento a causa dei noti problemi di droga della sua ex moglie); altri due li ha concepiti con l’attuale consorte, mentre un altro arriva da una precedente liason della Smith. McEnroe è impegnato in campo con esibizioni e i tornei del Senior Tour (sia quello europeo, sia quello americano), in cabina come commentatore per la NBC, oltre a gestire un’Accademia a Randall Island, due passi da Manhattan, e la sua storica galleria d’arte. Una vita piuttosto intensa.

scena, ma erano i nostri atteggiamenti e le nostre personalità i veri protagonisti. Il tennis era quasi secondario». McEnroe poteva andare a rete e tirare colpi che andavano contro le leggi della geometria e del buon senso. Il suo servizio mancino non era il più potente, ma spesso lasciava fermi i suoi avversari. Nessuno aveva idea di cosa avrebbe fatto McEnroe con il colpo successivo. Nemmeno lui. «Ha sempre avuto questa folle capacità di essere focalizzato sul presente - dice James Malhame, amico d’infanzia di McEnroe -. Non si è mai preoccupato del passato e nemmeno del futuro. Per lui, esiste solo il presente». Il suo vivere nel presente lo ha reso il miglior commentatore sportivo in tv. Non gli importa nulla di cosa pensano di lui. Ed è una buona cosa. Ha fatto incazzare le donne dicendo che molti giocatori

del College o del Senior Tour potrebbero battere le sorelle Williams, ma ha anche mostrato una sorprendente umanità. La sua intervista con un Roger Federer distrutto dopo la sconfitta nell’epica finale di Wimbledon 2008 è stata perfetta, forse perché McEnroe si è sentito allo stesso modo dopo la sconfitta in cinque set subita contro Bjorn Borg nel 1980. McEnroe non è un tradizionalista, uno che pensa a come le cose fossero migliori in passato. Infatti, sostiene che le partite al meglio dei cinque set siano ridicole perché enfatizzano troppo l’aspetto atletico. Ha pure suggerito di eliminare i vantaggi preferendo il punto secco sul 40 pari («Darebbe alla partita una maggior adrenalina, e alla gente piace così»). Ma la vera ragione per cui le persone che prima lo maledicevano e poi hanno cominciato ad amarlo è che

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John McEnroe è rimasto fedele a se stesso. Certo, è cresciuto – sei figli fanno anche questo – ma la scontrosità si nasconde ancora sotto la superficie (quattro anni fa è stato squalificato durante un’esibizione perché aveva offeso un arbitro. Aveva 49 anni). McEnroe e lo sport non sono cambiati, ma hanno raggiunto un punto d’incontro: la consapevolezza che nessuno ama il gioco più di John McEnroe. «Lui è molto soddisfatto degli ultimi 10 anni della sua vita, sia dentro che fuori dal campo - dice Patrick McEnroe, fratello minore ed ex buon giocatore -. Potrei sembrare di parte, ma non credo che nessuno abbia giocato a tennis meglio di John a 50 anni compiuti. Si è anche calmato, anche se vive sempre sulle montagne russe». NIENTE CHITARRA, PLEASE! I tentativi di McEnroe di trovare una vita oltre il tennis sono tutti convenientemente nascosti sotto un tetto. È un pomeriggio d’estate a SoHo, dove McEnroe possiede una spaziosa galleria d’arte. La soffitta ospita dozzine di lavori di qualità, un tavolo da biliardo e abbastanza chitarre e batterie da far partire una

È facile individuare metafore nelle sue opere. Su un muro c’è la famosa fotografia di Winston Link: coppie che guardano un film drive-in mentre un treno a tutta velocità passa attraverso lo schermo (il treno sarebbe McEnroe). Su un altro, c’è la serie di Christopher Wool che consiste in una serie di blocchi di lettere che dicono: FUCK’EM IF THEY CAN’T TAKE A JOKE. «Quello è un po’ rivolto a me, ovviamente» dice McEnroe, scivolando in un sorriso. McEnroe è sposato con la Smyth – cantante della rock band Scandal negli anni 80 e poi artista solista – da 15 anni e le loro famiglie comprendono un totale di sei figli: due li hanno avuti insieme, tre McEnroe dal precedente matrimonio con Tatum O’Neal e uno la Smyth con la leggenda del punk Richard Hell. La covata vive in una casa di quattro piani a Central Park West, quando la famiglia non si sparpaglia tra Hamptons e Malibu. «Quando hai sei figli, ti sbattono a terra e ti prendono a calci nel sedere tutti i giorni - diice la Smyth -. È stato un bene per John». Ma la galleria fornisce anche suggerimenti sulla sua precedente e turbolenta vita. Nella cucina della soffitta, c’è un dipinto di

È stata sua moglie Patty a dirgli che Dio non gli ha permesso di essere allo stesso tempo John McEnroe e Keith Richards. «Una volta David Bowie è venuto nel mio hotel a Wimbledon. Stavo suonando Suffragette City alla chitarra. Mi disse che gli sarebbe piaciuto prendere un drink, ma di lasciare la chitarra in stanza». rivoluzione del pop.Tra moglie, figli e impegni vari – è telecronista di tutti i quattro Slam e gioca più di una dozzina di esibizioni o eventi senior nel corso dell’anno – viene qui solo una volta a settimana. Adesso sta pulendo con frenesia: un potenziale acquirente dei suoi dipinti è atteso per domani. Il suo metodo di mettere in ordine ricorda il suo stile di gioco: caotico ma capace di correre su ogni palla.Alla fine, si metterà a quattro zampe per raccogliere pezzi di carta. «John non è un tipo che si deprime – dice la moglie –. Ha bisogno di due cose: uscire e fare il lavoro sporco. Non ama rilassarsi e non lo vedrete mai star fermo a prendere il sole in spiaggia». Come il suo tennis, la collezione d’arte di McEnroe gli procura piacere e una grande angoscia. Appeso a una parete c’è un Basquiat, ma potrebbero essercene di più. Un amico collezionista voleva vendergli un’opera dell’artista quando era giovane, ma lui non l’ha ascoltato. «Ho visto uno di quelli e ho detto: è terribile - dice McEnroe con un sorriso tagliente -. Mi disse che costava 9.000 dollari e gli risposi che non ne avrei pagati 1.000 per una cosa del genere. Ci riprovò: ‘Fidati di me, verrà apprezzato’. Gli risposi duramente, che non c’era una fottuta possibilità. Adesso, lo stesso pezzo vale probabilmente due milioni». McEnroe è il figlio omonimo di un avvocato. È cresciuto nel Queens ma ha frequentato la Trinity School di Manhattan. La sua prima collezione risale a quando era appena uscito dall’adolescenza, spinto nel mondo dell’arte dal suo amico tennista, lo scomparso Vitas Gerulaitis.

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Andy Warhol che ritrae McEnroe e la O’Neil. Sono due giovani brillanti dagli occhi fiammeggianti. «Di solito ne compravo due di questi, ma ovviamente non hanno trovato spazio in casa» dice McEnroe, che ha ottenuto la custodia dei tre figli avuti con la O’Neil a causa dei ben noti problemi di droga della ex moglie. Largamente inutilizzata, nella soffitta c’è una stanza dedicata alla musica, con una batteria e una mezza dozzina di chitarre. Per un po’, McEnroe ha pensato che la musica rock sarebbe stata la sua seconda carriera. Ha fatto tour musicali per circa cinque stagioni negli anni 90, suonando dove aveva impegni tennistici.Ad alcuni piaceva la sua musica (i Pretenders gli avevano inizialmente offerto di registrare Don’t Get Me Wrong, poi diventata uno dei loro maggiori successi), ad altri no (alcuni fan tiravano palline da tennis addosso a lui e alla sua band). Alla fine, è stata sua moglie Patty a dirgli che Dio non gli ha permesso di essere allo stesso tempo John McEnroe e Keith Richards. «Una volta David Bowie è venuto nel mio hotel mentre giocavo a Wimbledon – ricorda McEnroe –. Stavo suonando Suffragette City alla chitarra. Mi disse che gli sarebbe piaciuto prendere un drink, ma di lasciare la chitarra in stanza. Aveva ragione». Sia la collezione d’arte che la band musicale sono state reazioni di McEnroe alla vita solitaria imposta dalla carriera di tennista. È stato uno dei pochi giocatori a viaggiare senza un allenatore. Anche dopo il fidanzamento con Tatum O’Neal, non c’è mai stato bisogno di qualcuno che si occupasse delle relazioni tra lui e le riviste di gossip. Poco dopo


John McEnroe è considerato il talento tecnico più straordinario di tutti i tempi, capace di soluzioni impossibili e di uno stile molto personale. In carriera ha vinto sette titoli del Grand Slam, nessuno oltre i 25 anni. Ha trionfato tre volte a Wimbledon e quattro volte all’Open degli Stati Uniti. Vale certamente un posto nella top 10 all-time in singolare, mentre è considerato unanimemente il più forte doppista di ogni epoca.

essere arrivato all’Australian Open 1985, McEnroe in persona scese dall’albergo dove alloggiava con la O’Neal per disperdere i paparazzi. È finita come potete immaginare: un minaccioso McEnroe che camminava sopra un giornalista steso a terra, mentre un fotografo scattava allegramente a distanza. «Oggi tutti i tennisti hanno almeno 4-5 persone nel loro staff – dice la Smyth –. John era solo, senza protezione e tutto si riversava su di lui. Quando ti senti solo, succede che esplodi». McEnroe insiste nel dire con fermezza di essere contento di quello che ha combinato in carriera, visione condivisa da buona parte di parenti e amici. Ma la fine di un recente documentario della HBO sulla sua rivalità con Borg, lo condanna sportivamente: la voce fuori campo ricorda infatti che né lui né Borg hanno vinto uno Slam dopo aver compiuto 25 anni. «Ci sono due modi per vederla: wow, ho vinto sette Slam, oppure: che perdente, non ho vinto uno Slam dopo i 25 anni» dice McEnroe. La maggior parte delle volte si può vedere il bicchiere mezzo pieno. Con la possibile eccezione di Michael Jordan, tutte le superstar sentono che avrebbero potuto fare di più con il loro talento. Ma la questione più rilevante è: cosa avrebbe fatto McEnroe senza i suoi scatti d’ira? TUTTO SUO PADRE «Non ha avuto un temperamento focoso fino a quando è diventato professionista e gli obiettivi sono diventati importanti – dice il fratello Patrick –. John ha preso molto da nostro padre.

Ricordo che gli diceva:‘Santo Cielo, John, perché non ti controlli?’. E io pensavo: ‘Senti chi parla’». Ironicamente, McEnroe ha fatto pace con il suo passato abbracciando ciò che non aveva mai amato: la disciplina. A metà anni 90, ha iniziato a giocare lucrose esibizioni contro Connors, Noah e altri grandi della sua epoca. L’unico problema è che non è mai stato un grande lavoratore: fuori forma, veniva regolarmente battuto. «Giocava le esibizioni, perdeva e odiava questa cosa – ricorda la Smyth –. Allora gli ho detto: ‘Non dare per scontato che sarai sempre lì. Mettiti in forma e vinci’. Lo ha fatto, ed è stato molto contento». McEnroe ha iniziato a lavorare 3-4 ore a settimana, in aggiunta alle ore di allenamento sul campo. Va in bicicletta su e giù per Manhattan, si è appassionato al Pilates e si allena con l’ex surfer e guru dell’allenamento Laird Hamilton quando è nella sua casa di Malibu. È un nuovo approccio: durante la sua carriera, McEnroe odiava allenarsi. Pensava che giocare il doppio fosse un sufficiente esercizio aerobico. Il risultato era che si spegneva nelle fasi finali dei match – esattamente quello che è successo nell’epica finale di Wimbledon 1980 contro Borg o in quella di Roland Garros 1984 contro Lendl, che ha messo fine alla sua miglior prestazione nel Grand Slam (questa potrebbe essere la ragione per cui è ossessionato dai match sulla breve distanza). «È in forma migliore oggi rispetto a quando era tra i 20 e i 30 anni – dice Patrick –. Penso che una parte di lui si meraviglierebbe nel sapere cosa sarebbe successo se avesse avuto questa forma durante la sua

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carriera». Trovare un equilibrio tra il McEnroe riflessivo che commenta lo US Open e il mostro che nasceva da se stesso, è una battaglia che combatterà per sempre, anche quando si lamenterà delle chiamate arbitrali al torneo over 85 di Shady Acres. Mi ha raccontato una storia su una conferenza stampa che è stata sospesa per il suo cattivo comportamento. Ricorda McEnroe: «La gente diceva:‘Il suo comportamento è oltraggioso, stavolta ha esagerato’. Ma poi ho visto Jack Nicholson che mi ha detto: ‘Johnny, non cambiare niente!’. E mi ha detto la stessa cosa anche Mick Jagger!’». McEnroe si lascia sfuggire una piccola risata. «Oggi si può andare un po’ oltre. Reciti in un certo modo e alla fine diventa come fumare una sigaretta. Non hai neanche realizzato perché fai così. È schifoso, terribile». LA SALVEZZA DI MAC McEnroe deve sbrigare alcuni affari all’Accademia, così salta sulla sua Lexus nera e si dirige verso Randall Island, distante da casa sua lo spazio di un ponte. Ero un po’ nervoso perché McEnroe è conosciuto per avere momenti di nervosismo alla guida. «Il

IL PROGRAMMA MCENROE La John McEnroe Tennis Academy è un polpettone di contraddizioni, buoni propositi e rivalità irrisolte. Situazioni fedeli al suo fondatore. In un umido giorno d’estate, più di 100 ragazzi corrono da un campo all’altro, lavorando sugli schemi disegnati per rendere il gioco più divertente. McEnroe osserva con sgomento come i grandi tennisti americani siano spariti dal tennis negli ultimi dieci anni. Ha esercitato pressioni sulla USTA per creare alcuni Centri Tennis nelle aree urbane dove i ragazzi possano imparare mentre frequentano ancora la scuola. Per anni, la USTA ha resistito, preferendo le borse di studio per i ragazzi più promettenti da utilizzare nelle migliori Accademie di tennis sparse nei punti nevralgici dei vari stati. McEnroe si è stufato della USTA e ha deciso di iniziare un suo programma a New York. Alcuni degli allievi hanno una borsa di studio, altri arrivano da ricche famiglie di Manhattan e Long Island.Tutti hanno in comune l’adesione allo spirito di McEnroe che prevede la pratica di altri sport: tennis non più di due ore al giorno, obbligo di vivere in famiglia e andare a scuola. «Sono cresciuto giocando a calcio -

McEnroe realizza che c’è dell’ironia nell’uomo che agonizzava per ogni chiamata arbitrale. Il suo approccio è ricco di fasi alterne. Un momento ammira la dedizione di Federer per il gioco, quello dopo si lamenta della mancanza di personalità nel tennis moderno e dice che Lendl ha inaugurato l’era dei tennisti alla Ivan Drago traffico è l’unico posto, oltre al campo da tennis, dove perde ancora la testa» dice la Smyth, la cui personalità fa match pari con la spinosità del marito. «Dieci anni fa aveva tranciato molti specchietti retrovisori». Oggi è relativamente tranquillo: si limita a tagliare la strada a un ragazzo e a mugugnare un morbido «stupido» a un automobilista che non ha segnalato una svolta. Dopo un po’, finisce su uno dei suoi argomenti preferiti: i fans che non rispettano la privacy. «Sei nel mezzo di una cena e arriva qualcuno a chiederti un autografo. Io gli dico: ‘Puoi aspettare la fine della cena?’. E comincia una discussione sul perché. Perché non voglio firmare autografi mentre sto mangiando? Poi loro si voltano e se ne vanno». McEnroe si lascia andare a un sospiro prima di riprendere. «Nessuno dice ‘Povero John’. È meglio che nessuno ti riconosca». McEnroe sa di essere ancora una persona work in progress e riconosce alla moglie il merito di averlo reso più accettabile. «Si potrebbe usare il termine ‘salvato’ per descrivere quello che ha fatto Patty per me - dice mentre si destreggia nel traffico di Manhattan -. Mi ha detto: ‘Guarda che sei fortunato. Eri bravo a fare una cosa’. Mi ha fatto sentire bene con me stesso». Parte del suo sentirsi meglio con se stesso, non comprende molti aspetti del suo carattere. Dopo il suo arrivo in ufficio, il telefono squilla. È sua moglie. Il cattivo ragazzo del tennis diventa un coniuge apologetico. «Hey, tesoro…no, ho provato a chiamarti un’ora fa. Giuro. È’ stato un’ora fa…ok, chiamerò per i biglietti…No, me ne occuperò io, promesso».

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dice McEnroe -. Se da ragazzo ti concentri solo sul tennis, prima o poi ti stancherai». C’è un piccolo dettaglio che rende un po’ scomodo l’attacco frontale di McEnroe alla USTA: il General Manager dello sviluppo per conto della federazione è il fratello minore Patrick. «Mio fratello ha più del politico - continua John -. Lui pensa che devi essere spedito nelle Accademie in Florida o in California per diventare un buon giocatore. Uno dei miei ragazzi ne ha frequentata una per un semestre. Ci sono andato e ho parlato con un suo manager che non mi ha detto una parola sui maestri. Come può essere la scelta giusta?». Patrick sospira quando gli riferisci i commenti del fratello, e si prende una pausa prima di rispondere. È una tecnica che ha funzionato bene per tutta una vita come fratello di Johnny Mac. «Non sono sicuro che un tipo come John McEnroe oggi avrebbe successo – dice Patrick – perché lo sport è molto cambiato. Noi siamo cresciuti praticando altri sport, ma oggi non è più così. Non dico che un giocatore debba andare in Florida o in California, ma senza dubbio dove ci sono i buoni giocatori». John McEnroe realizza che c’è dell’ironia nell’uomo che agonizzava per ogni chiamata arbitrale, ogni fallo di piede. Il suo approccio, come il suo gioco e la sua vita, è ricco di fasi alterne. Un momento ammira la dedizione di Roger Federer per il gioco, quello dopo si lamenta della mancanza di personalità nel tennis moderno e dice beffardamente che Ivan Lendl ha inaugurato l’era dei tennisti alla Ivan Drago. McEnroe ha assunto 33 professionisti e oggi ha


In campo, McEnroe non è mai stato un gentleman, tanto da riuscire a farsi espellere dal Queen’s Club di Londra dopo aver suggerito alla moglie di un socio, un uso improprio del manico della racchetta. Espulso dal campo durante un Australian Open, spesso ci si domanda quali risultati avrebbe potuto ottenere con un carattere meno bizzoso. Domanda che non avrà risposta. Certamente ci saremmo divertiti meno.

più di 700 allievi coinvolti in vari programmi, ma ammette che l’Accademia non ha ancora completamente deciso quale strada prendere. Collabora col guru scolastico Geoffrey Canada e altri professionisti per trovare le nuove Venus e Serena Williams in città. Ma dall’altra parte, McEnroe sta ancora lottando contro se stesso e gli dei del tennis, sta ancora provando ad aggiustare le cose sbagliate di una carriera che non è andata come lui sperava. «Alcune batoste mi hanno aiutato. Sono diventato una persona migliore. Sono diventato un migliore amico, padre e marito». Più tardi, McEnroe mi dice che il figlio maggiore, Kevin, 26 anni, ha terminato un programma MFA in Columbia e ha recentemente terminato il suo primo romanzo. «È davvero bravo – dice con un sorriso orgoglioso –. Non è esattamente tipico di famiglia, ma si riconoscono alcuni elementi». McEnroe non ricorda il titolo esatto, ma dice che c’è la parola “serenità”. Quando rido, alza gioiosamente le spalle. «Lo so, un McEnroe che scrive un libro con il termine serenità nel titolo! Come può essere possibile?». GLI STANDARD DI JOHNNY MAC C’è un evento nell’agenda che John McEnroe ha temuto per tutta la settimana. «Vuoi vedere qualcosa di strano? Torna venerdì. Devo giocare con un paio di benefattori e penso che perderò il match così avremo maggiori donazioni per le borse di studio». In un nuvoloso venerdì mattina, un paio di persone di mezza età con i capelli grigi, arrivano a Randall’s Island a bordo

di un lussuoso SUV. McEnroe arriva alle 7.45, lamentandosi per l’orario, e si cambia rapidamente. Gli hanno chiesto di giocare un match di doppio. Il partner di John è il fratello Mark, che lo aiuta nell’Accademia. Mark è il non professionista dei fratelli McEnroe, ma se i ricconi pensano di avere una chance in più, si sbagliano. Mentre il ranking di John in una ipotetica classifica di tutti i tempi può essere discusso, McEnroe è considerato da tutti il più grande doppista di sempre. Il suo storico partner, Peter Fleming, una volta disse: «La migliore coppia di doppio è John McEnroe con chiunque altro accanto». Poi accade una cosa divertente. Il match inizia e McEnroe... tira colpi negli angoli lontani e colpisce diritti vincenti. Gi avversari sono buoni giocatori di club, ma John e Mark li distruggono con un doppio 6-2. Il match finisce con McEnroe che scende a rete e colpisce una volée angolata, imprendibile. McEnroe stringe le mani ed esce dal campo. Finalmente lo incrocio e gli chiedo perché non ha mollato il match come aveva detto. «Non ho avuto specifiche istruzioni che avremmo ottenuto più soldi se avessimo perso, così ho deciso di non farlo – dice con un sorriso –. Ho i miei standard». Proprio in quel momento, una scia di ragazzi e ragazze attraversano le porte del centro per il loro allenamento mattutino e iniziano a fare alcuni giri di corsa. «Forza ragazzi, correte qui fuori» dice McEnroe. Poi dà un saluto alla nuova generazione dei tennisti mocciosi, come veniva definito lui stesso. Da lontano, il vecchio potrebbe essere scambiato per un modello perfetto.

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* Il Nation Ranking è ottenuto sommando la classifica mondiale dei migliori tre giocatori e giocatrici di ciascun Paese. Ranking del 19 novembre 2012

ITALIA FORZA

L’ItalTennis ha vissuto una delle migliori stagioni degli ultimi 30 anni. Quarta forza tra le donne, ottavi negli uomini e nel computo globale, la punta di diamante è stata certamente Sara Errani. Ma sono cresciuti anche Andreas Seppi e Roberta Vinci, si conta sulla definitiva esplosione di Fabio Fognini e si aspetta trepidanti l’arrivo tra I pro di Gianluigi Quinzi. 74


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Almeno nel tennis, i numeri dicono che meritiamo di stare nel G8. Grazie soprattutto all’incredibile, sorprendente stagione di Sarita Errani.

ITALIA OTTAVA POTENZA MONDIALE Non resta dunque che valutare i risultati finali ottenuti seguendo la classifica ATP e WTA del 19 novembre (sostanzialmente rappresenta quella di fine stagione, anche se le ultime attività Challenger e Futures possono creare qualche minima variazione).Ebbene, può apparire sorprendente ma a primeggiare sono sempre gli Stati Uniti. Già, i tanto bistrattati americani, incapaci di creare un numero uno del mondo in campo maschile da un decennio, dopo essere stati abituati a dominare il tennis (negli anni 70, vi son stati periodi in cui oltre il 50% dei top 100 era di nazionalità yankee). Ritiratosi Andy Roddick, fermo ai box Mardy Fish, gli USA si affidano soprattutto ai giganti, John Isner e Sam Querrey. Isner ha evitato l’umiliazione (per i loro standard) di non avere nemmeno uno statunitense nella top 10, mentre Querrey si è ripreso piuttosto bene da un lungo periodo di infortunio, dimostrandosi giocatore da top 20. Certo, il problema è che i tifosi statunitensi non possono certo accontentarsi di questi numeri. Non pretendono di tornare ai tempi in cui Pete Sampras, Andre Agassi, Jim Courier, Michael Chang e Todd Martin monopolizzavano i primi posti del ranking mondiale, ma tra le due situazioni vorrebbero trovare una via di mezzo. La USTA sta cercando la strada giusta, ma per adesso è sempre la cara, vecchia Nick Bollettieri Tennis Academy ad aver sfornato le migliori promesse: i fratelli Ryan e Christian Harrison, che poi non sembrano dei veri crack. Certo, dietro spingono altri buoni prospetti (Jack Sock su tutti) ma il tempo delle vacche grasse sembra passato. Riescono, gli States, a restare al comando grazie al settore femminile, che pure dobbiamo limitare a casa Williams, in particolare quella Serena che solo un computer, che sa far di calcoli ma conosce poco il gioco, sostiene non essere solo la numero uno del mondo («Vorrei capirlo anch’io come è possibile» ci ha detto Sara Errani). Tuttavia, gli Stati Uniti soffrono anche tra le donne, perché Christina McHale non è certo sufficiente a far dormire sonni tranquilli. Si spera tanto in Madison Keys, ma ci vorranno un paio d’anni per capire se sarà un top player o un’altra discreta giocatrice.

GERMANIA ÜBER ALLES A inseguire (abbastanza) da vicino gli Stati Uniti, due potenze europee e una sorpresa (relativa). Fa piacere osservare la Germania al secondo posto. Negli anni 80 e 90 disponeva di una triade favolosa composta da Boris Becker, Steffi Graf e Michael Stich (con rincalzi di lusso in stile Anke Huber). Poi la crisi. Gravissima. Ora non è che abbiano risolto tutti i problemi. Soprattutto in campo maschile, Philipp Kohlschreiber è giocatore di talento e bel tennis, ma è ben lontano dalle abitudini di eccellenza tedesche. Anche in campo femminile manca la top player, ma il livello medio è piuttosto alto, con Sabine Lisicki, Julia Goerges e Angelique Kerber, cresciuta, chissà come, fino alla top 5 mondiale (senza un adeguato diritto e con una seconda di servizio da scuola Sat, beninteso). Chiude il podio la Serbia, capitanata da Novak Djokovic ma sorretto anche da un altro Masters come Janko Tipsarevic e un ottimo vassallo quale Victor Troicki. Tra le donne, Ana Ivanovic e Jelena Jankovic non sono più le giocatrici che battagliavano per una finale Slam o la leadership mondiale, ma restano comunque due ottime giocatrici che hanno regalato al Paese la finale di Fed Cup. La Spagna paga un settore femminile deficitario, così come la Francia che non presenta nemmeno giovani particolarmente interessanti. Tuttavia, va tenuto presente che, per quanto nel tennis le differenze di ritorno commerciale e promozionale tra tour maschile femminile non siano così nette come in altri sport (pensate a calcio e basket, tanto per intenderci), supponiamo che la Germania farebbe volentieri cambio tra la Kerber e uno Tsonga, tra una Liscki e un Ferrer (per non scomodare Nadal). In buona sostanza, la Francia sogna un altro Slammer dal 1983 (quando Yannick Noah trionfò a Roland Garros), mentre se si lamenta la Spagna, allora per gli altri è momento di suicidio di massa. Prima della maglia azzurra, ci sono anche Repubblica Ceca e Russia, a conferma che la scuola tennistica dell’Europa dell’Est è sempre prolifica. Soddisfatti soprattutto i ceki, per la vittoria in Davis e perché Tomas Berdych, ma soprattutto Petra Kvitova non sono mai da escludere tra i potenziali vincitori Slam, mentre la Russia deve affidarsi a Maria Sharapova, visto che il resto della (numerosa) truppa è un po’ sparito. L’Italia chiude all’ottavo posto. Un risultato prestigioso e inattaccabile, visto che la nona classificata (la Slovacchia) è lontana anni luce. Se Francesca Schiavone o Flavia Pennetta tornassero a livelli doc e Fabio Fognini (e Camila Giorgi) dovesse esplodere definitivamente, potremmo puntare ancora più in alto, sempre che Sara Errani, Roberta Vinci e Andreas Seppi, la nostra top 3 assoluta, si confermino (almeno) sui livelli di questa stagione. Da notare l’assenza dalla top 30 della Svezia. Pare una bestemmia, è la triste realtà.

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Il Nation Ranking è un semplice quanto efficace studio statistico che permette di valutare l’effettiva forza tennistica di una nazione. Lo si ottiene con una elementare somma algebrica dei primi tre giocatori e delle prime tre giocatrici del ranking mondiale. Riteniamo che si tratti di un numero sufficiente a testimoniare la qualità tecnica di un Paese; oltre si rischierebbe di tagliar fuori tanti piccole nazioni e soprattutto di preferire esageratamente la quantità rispetto alla qualità. Il nostro sistema consente un ottimo equilibrio e testimonia pienamente la situazione tennistica dei vari Paesi.

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Il numero di italiani nella top 100 mondiale: 6 uomini (Seppi, Fognini, Lorenzi, Volandri, Cipolla e Bolelli) e 5 donne (Errani, Vinci, Schiavone, Pennetta e Giorgi

La posizione del primo giocatore italiano nella classifica ATP under 21, Riccardo Bellotti, numero 342 del ranking assoluto ATP. In attesa dell’arrivo di Gianluigi Quinzi...


NATION RANKING

TOP 3 UOMINI

TOP 3 DONNE

1. STATI UNITI

111

Isner 14 Querrey 22 Fish 27

S.Williams 3 Lepchenko 21 V.Williams 24

2. GERMANIA

129

Kohlschreiber 20 Haas 21 Mayer 28

Kerber 5 Goerges 18 Lisicki 37

3. SERBIA

139

Djokovic 1 Tipsarevic 9 Troicki 38

Ivanovic 13 Jankovic 22 Jovanovski 56

4. SPAGNA

152

Nadal 4 Ferrer 5 Almagro 11

Suarez N. 34 Dominguez L. 48 Medina G. 50

5. FRANCIA

155

Tsonga 8 Gasquet 10 Simon 16

Bartoli 11 Cornet 44 Parmentier 66

6. REPUBBLICA CECA

164

Berdych 6 Stepanek 31 Rosol 74

Kvitova 8 Safarova 17 Zakopalova 28

7. RUSSIA

176

Youzhny 25 Davydenko 44 Kuznetsov 79

Sharapova 2 Petrova 12 Kirilenko 14

8. ITALIA

188

Seppi 23 Fognini 45 Lorenzi 63

Errani 6 Vinci 16 Schiavone 35

9. SLOVACCHIA

330

Klizan 30 Lacko 50 Beck 141

Cibulkova 15 Hantuchova 32 Rybarikova 62

10. AUSTRALIA

392

Matosevic 49 Tomic 52 Hewitt 82

Stosur 9 Dellacqua 88 Rogowska 112

11. GIAPPONE

441

Nishikori 19 Soeda 58 Ito 66

Morita 87 Doi 92 Date Krumm 119

12. CROAZIA

457

Cilic 15 Dodig 73 Karlovic 97

Martic 59 Lucic 104 Vekic 109

13. ROMANIA

463

Hanescu 64 Ungur 112 Copil 161

Cirstea 27 Halep 47 Begu 52

14. BELGIO

506

Goffin 46 Malisse 62 Rochus 89

Wickmayer 23 Flipkens 54 Van Uytvanck 232

15. SVIZZERA

520

Federer 2 Wawrinka 17 Chiudinelli 146

Oprandi 61 Voegele 116 Bacsinszky 178

16. OLANDA

536

Haase 56 Sijsling 69 De Bakker 126

Bertens 63 Rus 68 Krajicek 154

17. POLONIA

565

Janowicz 26 Kubot 75 Przysiezny 266

Radwanska 4 U. Radwanska 31 Zaniewska 163

18. CANADA

624

Raonic 13 Pospisil 127 Dancevic 152

Wozniak 43 Dubois 141 Bouchard 148

19. ARGENTINA

635

Del Potro 7 Monaco 12 Berlocq 67

Ormaechea 142 Molinero 201 Irigoyen 206

20. UCRAINA

637

20. TAIWAN

637

22. KAZAKISTAN

706

23. GRAN BRETAGNA

728

Murray 3 Goodall 232 Baker 248

Watson 49 Robson 53 Keothavong 143

24. AUSTRIA

731

Melzer 29 Haider Maurer 113 Linzer 261

Paszek 30 Meusburger 132 Mayr 166

25. CINA

783

Zhang 158 Wu 183 Chang 369

Li 7 Zheng 26 Peng 40

26. SLOVENIA

797

Zemlja 55 Kavcic 92 Bedene 98

Hercog 79 Majeric 224 Rampre 249

27. BRASILE

1184

Bellucci 33 Dutra Silva 128 Alves 133

Pereira 164 Vaisemberg 337 Alves 389

28. BIELORUSSIA

1208

Ignatik 145 Zhyrmont 275 Betov 476

Azarenka 1 Govortsova 57 Yakimova 254

29. COLOMBIA

1210

Falla 54 Giraldo 57 Farah 208

Duque Marino 146 Castano 237 Lizarazo 508

30. SUD AFRICA

1454

Classifica del 19 novembre 2012

Dolgopolov 18 Stakhovsky 101 Marchenko 160 Tsurenko 107 Svitolina 114 K. Bondarenko 137 Lu 60 Wang 156 Chen 204

Hsieh 25 Chang 89 Chan 103

Kukushkin 106 Golubev 163 Korolev 223 Shvedova 29 Voskoboeva 83 Pervak 102

Anderson 37 Van der Merwe 213 De Voest 269 Scheepers 60 Simmonds 177 Fourouclas 698

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Se la situazione generale degli azzurri è tutt’altro che malvagia, è nel settore femminile dove l’Italia emerge quale potenza assoluta. Se difatti l’Italia conferma in campo maschile l’ottavo posto conquistato nel ranking generale, in campo femminile siamo addirittura al quarto posto. Allo scivolone in classifica mondiale di Francesca Schiavone (peraltro dopo due stagioni super) e Flavia Pennetta (colpita da un brutto infortunio, rientrerà all’inizio del 2013), ha fatto da contraltare la crescita strepitosa, quanto inaspettata di Sara Errani, capace di chiudere la stagione tra le top 10. In più, anche la sua compagna di doppio, Roberta Vinci, ha migliorato il suo ranking, entrando nella top 20. A quei livelli, anche poche posizioni pesano come macigni. L’Italia è una delle sei nazioni capaci di finire nella top 10 di entrambi i Nation Ranking, sia tra gli uomini sia tra le donne. A farci compagnia Stati Uniti, Francia,Germania, Serbia e Repubblica Ceca. Il Gotha del tennis mondiale. Analizzando singolarmente i due ranking, il podio maschile è quello che ci si aspettava alla vigilia della stagione. La Spagna continua a dominare, nonostante l’infortunio di Rafael Nadal. È l’unica nazione che può vantare tre top 10 (oltre a Nadal, David Ferrer e Nicolas Almagro) e che si permette di definire rincalzi giocatori come Fernando Verdasco e Feliciano Lopez. E, ciliegina sulla torta, hanno pure trovato una coppia di doppio, formata da Marcel Granollers e Marc Lopez, che ha vinto il Masters. Se pensate che di questi tempi, generalmente Lopez giocava i doppi nella nostra Serie A a Bassano del Grappa... L’unico dubbio per il prossimo futuro restano i giovani rincalzi. Nel senso che sembrano spariti, a partire da quel Carlos Boluda che, troppo frettolosamente, era stato battezzato come il nuovo Nadal. In realtà, le Accademie spagnole continuano a lavorare splendidamente e a sfornare ottimi giocatori. Già, ma per gli altri. Creatasi la meritata nomea di luoghi dove anche un ronzino riesce a diventare un campione, i coach iberici sono stati presi d’assalto da ragazzi di tutto il mondo (a partire dall’Est Europa, dove dispongono ancora di buone riserve da investire). E a farne le spese sono, per adesso, i giovani spagnoli: un nuovo Nadal, macché un nuovo Ferrer, non si vede nemmeno col binocolo. MUSI LUNGHI IN CASA FRANCIA Detto questo, la Spagna si gode un presente dove una finale di Davis persa viene giudicata una tragedia nazionale. Alle sue spalle, la Francia. Anche qui, musi lunghi nonostante il risultato. Già, perché la media resta altissima ma ormai, i cugini sono abituati ad avere il numero 5, il numero 7 o il numero 12 del mondo. Però finalmente vorrebbero un numero uno o quantomeno uno Slammer. Invece è dai tempi di Yannick Noah (1983) che non vincono uno Slam, e l’attesa comincia a farsi lunga. Resta la (per loro) consolazione di avere un valore medio dei top players altissima. Sull’ultimo gradino del podio, la Serbia. È incredibile cosa sono riusciti a ottenere da un Paese di 7.261.000 abitanti. Fosse anche vero, come sosteneva l’ex presidente federale Paolo Galgani,

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Le nazioni rappresentate nella top 50 del ranking mondiale ATP. Tredici hanno un giocatore meglio classificato del nostro number one, Andreas Seppi.

che il fuoriclasse (Novak Djokovic) te lo porta la cicogna, forse potremmo chiedere come si costruiscono giocatori come Janko Tipsarevic e Victor Troicki. E sia chiaro, campioni cresciuti in casa. Per il resto la Repubblica Ceca si conferma fucina di ottimi giocatori, gli Stati Uniti si sistemano al quarto posto ma non possono certo accontentarsi di un Isner o un Querrey, mentre la Germania si sta ritrovando su buoni livelli. Sorprende il Giappone, che a Kei Nishikori ha affiancato due buoni giocatori come Soeda e Ito, che hanno ben approfittato dei tanti (ricchi) challenger che popolando il calendario ATP in Oriente. Le notizie meno positive arrivano dalla Russia che resta nella top 10 ma rimpiange i tempi di Kafelnikov e Safin e dalla Croazia che fatica a sostituire Ivan Ljubicic (e speriamo non ci riesca prima del prossimo febbraio, quando affronterà l’Italia in Davis). ITALIA DA PODIO In campo femminile, la Russia si conferma la prima potenza mondiale, seguita dagli States, sorretti dalle sorelle Williams e dalla Repubblica Ceca, che ha coronato la stagione vincendo la Fed Cup. L’Italia è quarta, risultato pazzesco che conferma la tendenza delle ultime stagioni. E, se Schiavone e Pennetta riuscissero a tornare sui loro livelli abituali, si può tranquillamente puntare al podio. Dietro spingono Germania e Cina, mentre delude soprattutto la Francia che dietro Marion Bartoli (che non è più una ragazzina) non vede brillare potenziali stelle del futuro. Fuori dalla top 10, la Spagna. Emilio Sanchez ci ha spesso spiegato che in un paese molto machista come quello spagnolo, non è semplice per le donne emergere nello sport. Verissimo, però in passato Arantxa Sanchez e Conchita Martinez avevano abituato bene. Carla Suarez Navarro «può giocare un tennis fantastico» conferma Sarita Errani (la cui crescita a Valencia sotto la guida di Pablo Lozano conferma la bontà delle accademie spagnole) ma intanto i risultati non arrivano. Va anche sottolineata l’internazionalità del nostro sport: 26 nazioni rappresentate nella top 50 maschile, 23 in quella femminile. Però alla fine, otto dei primi dieci Paesi della classifica generale sono europei, con una certa crisi del Sudamerica e una crescita dei paesi asiatici più lenta di quanto si fosse immaginato. LA MAGLIA NERA Nessun dubbio invece nell’assegnazione della maglia nera. Eravamo abituati a trovare la Svezia sempre nei piani alti di questo ranking, almeno nel maschile. Poi la crisi, attenuata dai risultati di Robin Soderling. Ora che la mononucleosi lo tiene lontano dai campi da oltre un anno, la Svezia è letteralmente scomparsa. Se tra le donne Sofia Arvidsson e Johanna Larsson garantiscono due top 100, in campo maschile il number one è Patrik Rosenholm, numero 382 ATP. Oh, per vent’anni la cantilena era Edberg-Wilander-Nystrom-Sundstrom..

23

Le nazioni rappresentate nella top 50 del ranking mondiale WTA. Cinque hanno una giocatrice meglio classificata della nostra number one, Sara Errani.


NATION RANKING ATP

NATION RANKING WTA

1. SPAGNA

20

1. RUSSIA

28

2. FRANCIA

34

2. STATI UNITI

48

3. SERBIA

48

3. REPUBBLICA CECA

53

4. STATI UNITI

63

4. ITALIA

57

5. GERMANIA

69

5. GERMANIA

60

6. ARGENTINA

86

6. CINA

73 91

7. REPUBBLICA CECA

111

7. SERBIA

8. ITALIA

131

8. SLOVACCHIA

109

9. GIAPPONE

143

9. FRANCIA

121

10. RUSSIA

148

10. ROMANIA

126

11. SVIZZERA

165

11. SPAGNA

132

12. AUSTRALIA

183

12. POLONIA

198

13. CROAZIA

185

13. AUSTRALIA

209

14. BELGIO

197

14. KAZAKISTAN

214

15. SLOVACCHIA

221

15. TAIWAN

217

16. SLOVENIA

245

16. GRAN BRETAGNA

245

17. OLANDA

251

17. CROAZIA

272

18. UCRAINA

279

18. UNGHERIA

276

19. CANADA

292

19. OLANDA

285

20. BRASILE

294

20. GIAPPONE

298

21. COLOMBIA

319

21. BELGIO

309

22. ROMANIA

337

22. BIELORUSSIA

312

23. POLONIA

367

23. AUSTRIA

328

24. PORTOGALLO

380

24. CANADA

332

25. AUSTRIA

403

25. SVIZZERA

355

26. TAIWAN

420

26. UCRAINA

358

27. GRAN BRETAGNA

483

27. BULGARIA

524

28. KAZAKISTAN

492

28. THAILANDIA

543

29. SUD AFRICA

519

29. ARGENTINA

549

30. CILE

693

30. SLOVENIA

552

Classifica del 19 novembre 2012

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S E R V E

&

V O L L E Y

PANDA! RADEK STEPANEK HA DIMOSTRATO NELLA FINALE DI COPPA DAVIS CHE SI RIESCE ANCORA A VINCERE GIOCANDO UN TENNIS D’ATTACCO. EPPURE PARLIAMO DI UNA SPECIE (QUELLA DEL GIOCATORE SERVE & VOLLEY) IN VIA D’ESTINZIONE DA DIVERSI ANNI. QUANDO UNA VOLTA INVECE...

testo di FEDERICO FERRERO 80


81


P

er i voyeur del tennis, è roba da ejaculatio praecox. Peccato sia sempre più raro incontrarli sul campo, gli interpreti dello schema più coraggioso, più affascinante, più difficile da mettere in pratica: il serve & volley. Un tempo, prima del concepimento dei nuovi materiali e delle nuove corde che permettono angolazioni che hanno improvvisamente ingigantito il campo agli attaccanti, vi erano veri adepti del servzio e volée. Ne ricordiamo (volentieri) i più piacevoli. PAT RAFTER In fondo non aveva torto, almeno non l’ha avuto per un lustro, un principe del commento naif come Giampiero Galeazzi: Pat Rafter, il kamikaze del serve&volley. Un forzato. Un ossimorico serve&volley difensivo. Questo il postulato: non è che Rafter colpisse di volo perché scegliesse di farsi una gita a metà campo o in ragione del fatto, come calcolava il suo avo Jack Kramer, che la statistica gli desse otto probabilità su dieci di fare il punto. Batteva e scendeva, rispondeva e scendeva perché quello sapeva fare. Messo coi piedi sulla riga di fondocampo, semplicemente non riusciva a tenere contro il numero 200 al mondo. Brutta cosa per Pat il bello, figlio di una numerosissima famiglia di Mount Isa. Nove fratelli: oggi, che fa il papà in semipensione, non sa come mamma fosse riuscita a tirare su una nidiata tanto affollata, lui che fatica a star dietro a Joshua e India, i figli avuti dalla compagna di lungo corso Lara Feltham. Il primo Rafter era un pirata della volata con un bel servizio arcuato e liftato, una fiorettata di volèe di rovescio. Molto buona anche quella di diritto, che controllava anche in allungo con la dote dei vecchi maestri aussie. Di rimbalzo non ce la faceva proprio: il diritto era medio, leggero e poco liftato, neanche tanto profondo, irregolare. Il rovescio,

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quasi solo in backspin. Difficile che quell’evoluzione contemporanea dei maestri canguri (un Emerson, un Roche non mancino) potesse candidarsi al ruolo di erede. Però piaceva: bello e atletico, si era specializzato nel colpo del fotografo, la veronica-smash: un guizzo dorsale di potenza – anche scenica - unica. Vestiva un completo sgargiante, chiamato pijamatop: pareva un aitante Tarzan che offriva il suo petto ai passanti dei nemici. Quel Pat ebbe vita breve: entrò nei cento, toccò i primi 20 nel 1994, un titolo sull’erba di Manchester.Poi l’effetto sorpresa delle sue volèe prese a non funzionare più. Perdeva a Wimbledon contro Sergi Bruguera, il prototipo dell’homo terriculus. Il vecchio John Newcombe lo prese sotto braccio e gli indicò un cesto. «Pat, qui c’è del lavoro da fare. Sarà lungo e sarà noioso, ma indispensabile: tu devi imparare a giocare da fondocampo». Irrobustito nei colpi e più carenato nel gioco, Rafter si ripropose al grande tennis dal 1996-97. E lo fece con la semifinale Slam più improbabile, quella a Roland Garros (lì sì che aveva il suo senso, perdere contro Bruguera). Fino al miracolo dello US Open, in un’edizione strana: Sampras battuto da Korda, una sola delle prime otto teste di serie nei quarti, Chang. Rusedski e Bjorkman a disputarsi la prima semifinale, Rafter e Chang la seconda. In finale, il servizio atomico di Rusedski non funzionò contro

Meadows, nella scomoda posizione di campione in carica cui tutti concedevano zero possibilità di conferma, rischiò di perdere al primo turno contro Talento Arazi. Superò Sampras in una semifinale notturna al quinto set, sotto due set a uno, e diede un saggio di solidità a Mark Philippoussis in un evento rarissimo nel tennis contemporaneo, una finale Slam tra due australiani – l’ultima si era giocata all’Australian Open, ventuno anni prima. Con due Slam e una settimana da numero uno al mondo, Pat Rafter era un uomo felice.Anzi, no: voleva succedere a Pat Cash come ultimo australiano re di Wimbledon. Col suo nuovo tennis, si poteva fare. La volèe era un pilastro del suo tennis ma non più l’unico: sapeva scambiare, pure passare. Nel 1999 lo fermò in semifinale Andre Agassi, facile facile. L’anno dopo, nell’edizione del Millennio, la semifinale contro Agassi ebbe un esito diverso e, in finale, andò vicino a far cadere il regno di Sampras.Andò avanti un set, 4-1 e servizio nel tie-break del secondo. Poi, parole sue, ebbe paura. La stessa che lo attanagliò un anno dopo, nella finale di lunedì, quella del miracolo Ivanisevic. Ma forse, quel pomeriggio, più che l’ansia di toccare la coppa che gli australiani sequestrarono per decenni nella storia del tennis, più forte di lui fu la volontà di un uomo che aveva offerto la sua salute pur di vincere quel maledetto Slam. La sensazione è

In fondo non aveva torto, Giampiero Galeazzi: Pat Rafter era un kamikaze del serve&volley. Un forzato. Non è che Rafter colpisse di volo perché scegliesse di farsi una gita a metà campo. Ma perché quello sapeva fare. una Rafter che non sbagliava mai. Nonostante in pochi credessero alle sue possibilità di restare al top, Pat da quel momento in poi fu un campione. Nel 1998 vinse sei titoli: in estate batté Sampras a Cincinnati, che si rifiutò di ammettere il suo status di grande giocatore («La differenza tra me e lui sono dieci Slam», disse con curiosa mancanza di tatto; Rafter rispose che lo ammirava come fuoriclasse ma che non ci avrebbe mai bevuto una birra insieme e che, da quel momento in poi, avrebbe fatto di tutto per fargli cambiare idea). A Flushing

che Pat Rafter, che lasciò il tennis troppo presto perché sfiancato dai dolori, fosse stato costruito come un testimonial in laboratorio: giocate di volo, e diventerete come i surfisti di Bondi Beach: ammirati, eroici e invidiati. MARTINA NAVRATILOVA In fondo non è che un’applicazione di un medesimo principio: Marco Pantani sosteneva che i suoi scatti in salita rispondessero all’esigenza di rendere la fatica e il dolore esperienze più brevi. Martina Navratilova, invece, giustificava il


LA TOP 5 DELL’ERA OPEN

JOHN MCENROE Se parliamo di pura sensibilità, nessuno come lui. Impressionava la facilità con la quale eseguiva le volée più difficili.

STEFAN EDBERG Dal lato destro abbiamo visto volée anche migliori. Dal lato sinistro mai. Forse mai più.

PAT CASH Una volée che più solida non si può. Come le vporrebbe ogni maestro. Sbagliava uno smash ogni 5 anni.

Dall’alto in senso orario, tre fenomeni del serve&volley dell’Era Open: John McEnroe, Par Rafter e Stefan Edberg. Tre stili diversi ma tutti, a loro modo, difficilmente superabili quando erano nei pressi della rete, grazie ad una posizione e una mobilità sotto rete sorprendenti. In più, erano capaci non solo del serve&volley, ma anche del chip&charge, cioé di seguire a rete la risposta al servizio avversario. Davvero roba d’altri tempi...

suo endorsement del serve&volley con questo concetto: «A me piace provocare il gioco». Che è una frase meravigliosa, densa di significato. Provocare significa costringere l’altro a fare per forza qualcosa: batti, scendi, colpisci la palla prima che rimbalzi. L’altro è messo nella condizione in cui deve creare. Non può tirare di là una palletta interlocutoria e lasciarti chiudere il punto, anche se quello sarebbe il suo gioco. O mira il passante, il difensore, o arma il pallonetto. Se gioca alto sopra la rete per non sbagliare, come se il nemico fosse ancora laggiù in fondo

al campo, il punto è perso. Il servizio-volèe di Martina nacque come ideale e diventò religione. Ha attraversato, trascendendole, le epoche: nel 1973 sfidava i passanti di legno di Billie Jean King (classe 1943, di 13 anni più vecchia), nel 1988 duellava con Graf (13 in meno). Nel 2004 aveva ancora la forza per vincere match da professionista sull’erba: 6-4 6-3 alla Santangelo a Eastbourne (48 anni lei, 23 Mara), 6-0 6-1 alla povera Catalina Castano nella sua reggia, Wimbledon, quella che le regalò nove titoli in singolare, sette in doppio, quattro nel misto. In

PAT RAFTER Aveva talento al volo, da ambo i lati. Però impressionava per la fisicità e la capacità di volleare in acrobazia.

TIM HENMAN L’ultimo vero adepto del serve&volley. Faceva tutto benissimo, tutto troppo piano.

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mezzo, una carriera che non ha senso raccontare in venti righe. Invece si può, anzi, si deve indicare quello schema, il servizio mancino slice da sinistra e la volée di rovescio a tagliare il campo, come una conquista di uno sport che ammise non da subito la facoltà di non attendere il rimbalzo della palla. Navratilova era una macchina da guerra, non un’espressione di talento e sensibilità selvagge: sapeva giocare ogni tipo di volata, completa o mezza. Su terra e cemento giocava preferibilmente una prima volèe profonda, per mettere in imbarazzo il passante e provare a chiudere con la seconda, o con lo smash. Su erba e tappeti rapidi poteva anche giocare una prima volèe incrociata e stretta, o addirittura smorzata. Quel suo richiamo naturale, ma allenato in campo e in palestra, verso la corsa in verticale rese grandi anche le altre: Chris Evert non sarebbe stata la stessa, senza quelle continue aggressioni e sollecitazioni. E con lei tante altre fuoriclasse che accompagnarono Martina in una carriera lunghissima eppure, disgraziatamente, fallita in un obiettivo: quello di insegnare alle giovani quanto sia ampio il campo, quanto varie possano essere le soluzioni. Giocano (quasi) tutte alla stessa maniera, ormai. E tutto ciò che omologa, allo stesso modo impoverisce. TAYLOR DENT Il papà, Phil Dent, aveva giocato una finale all’Australian Open e una semi a Parigi. La mamma, Betty Ann Stuart Grubb, ha all’attivo quattro matrimoni, una finale in doppio con il trans Renèe Richards e un paio di mutande entrate direttamente nella Hall of Fame del tennis, con un clamoroso «Guardalo!», Watch it!, ricamato sul didietro. Dall’unione Dent-Stuart, il tennis ebbe Taylor Dent, il giocatore dal servizio più ingestibile del circuito. Il suo segreto l’ha rivelato allo scrivente: «Da ragazzo la mia racchetta pesava 405 grammi. Poi, negli ultimi anni, sono sceso a 385 per avere più spin». Inutile specificare che una clava di quattro etti è manovrabile solo da un uomo con spalla, gomito e polso bionici. In mano a lui, quel bastone diventava un fuscello: «Servire così non è complicato, devi pensare di far schioccare una frusta: la spalla è potente ma lenta, il gomito è un po’ più veloce, il polso è ancora più veloce. Se coordini le tre spinte e frusti la palla, ecco un servizio veloce senza sforzo». Sostenere che il gioco di Taylor Dent ruotasse intorno al servizio è quasi canzonatorio: la meccanica della sua battuta coinvolgeva a tal punto la rotazione di schiena e anca

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Dall’alto in senso orario, tre giocatrici che sapevano toccarla davvero bene al volo: Billie Jean King, Gabriela Sabatini e Martina Navratilova. Certo, affrontare i passanti bolidi delle picchiatrici moderne non sarebbe stato granché facile nemmeno per loro, ma se sono riuscite a cavarsela contro la precisione e le angolazioni delle varie Chris Evert, Steffi Graf, Monica Seles, beh, non sarebbe stato facile trafiggerle nemmeno per una Aarenka o una Williams

che, dai e ridai, si ruppero. Quando Taylor serviva, sembrava una belva: la bocca, enorme, si spalancava; il casco di capelli si scuoteva in avanti, la gamba destra restava penzoloni, particolare in comune a una strettissima minoranza dei professionisti (Guy Forget, un altro tra gli eccellenti). Ne uscivano bombe a 240 chilometri orari. Ma non c’era il solo serve, perché la volley spiccava per tecnica: quella che gli fece vincere il primo ATP nel 2002 a Newport, in finale su James Blake. Nel 2003, a 22 anni, altri tre titoli: Memphis, Bangkok, Mosca. Aveva dei problemi? Sì, gli spostamenti laterali. La corretta

alimentazione non è mai comparsa come comandamento appuntato sulla lavagnetta da cucina di casa Dent. Taylor, nei giorni più bolsi, si spostava con lentezza irritante. Mezzo contropiede, e cadeva per terra. Anche in verticale, rendeva le sortite a rete delle guerre contro se stesso: ottimi riflessi ma passo pesante. Il suo modo di interpretare il gioco di rete non è che non fosse, in un certo modo, classico. Eppure era poco imparentato con i gesti bianchi. C’era molta veemenza, molta sostanza e poco fronzolo: se bastava una volèe da sei decimi, sei decimi era. Senza taglio a uscire o ricamino da highlight televisivo.


Solo un eroe sportivo può passare sette mesi a letto, dopo due operazioni per una spondilosistesi la cui prima diagnosi fu funesta: caro Dent, gli disse un chirurgo di fama tra le star sportive, se riuscirai ancora a camminare, dopo che avrò fuso quel pezzo di vertebra, sarà qualcosa. Taylor tornò, anni dopo, in un tennis cambiato: palle più grosse, superfici più lente, attrezzi e corde che avevano spinto lo sport in una direzione – quella i cui risultati oggi ammiriamo - ostinata e contraria alla rete. La meccanica del suo servizio era più pulita, la schiena molto meno sollecitata ma ritoccò ugualmente i limiti di velocità in tutti gli Slam: 238, 240, 242, 245. Soprattutto, riusciva ancora a fare serve&volley. Allo Us Open del 2009 si aprì un varco temporale: Dent batté due spagnoli in fila, Feliciano Lopez e Ivan Navarro. Si giocò solo di volo, per ore e ore: come nel 1969. A Navarro annullò match point sul Grandstand, fece 121 vincenti in 190 punti vinti, strappò il successo 7-6 al quinto. Si aggrappò al microfono del giudice Jake Garner e dichiarò il suo amore per il tennis e la gente che aveva fatto le ore piccole per non perdere una forchettata di quell’indigestione di gioco d’attacco. STEFAN EDBERG (E I SUOI FIGLIOCCI) Se non il papà, è lo zio senza figli del

quattro Major: pure in Francia, a Roland Garros. Oggi, a volerla cercare nelle serie inferiori a velocità ridotte, la volèe di rovescio di Stefan non c’è più. Non ha lasciato eredi. Al più, figliocci. E l’idolo di Coppa Davis Radek Stepanek, insieme al mancato eroe dell’Insalatiera 2010 Michael Llodra, sono i suoi parenti più prossimi. Entrambi nati con la convinzione di poter fare solo del doppio un mestiere. Perché giocare a rete, ai giorni nostri, è come condannarsi alla disoccupazione studiando filosofia all’Università. Il serve&volley di Stepanek è un’antinomia: tanto è brutto e sgarbato – diciamolo, irritante il personaggio -, tanto è dolce, delicato e delizioso il tocco di palla. Il servizio di Radek è sparato con un Barrett M95: colpirebbe una moneta a cento metri di distanza. Non fa i duecento all’ora, ma nelle giornate di buona è preciso in misura quasi disumana. Llodra è un artista. Mancino, con un braccioracchetta mai così vicino alla crasi: non si capisce, in certi momenti, se la palla l’abbia sistemata con le corde in budello o direttamente con le dita. Michael ha un servizio che pesa di più, nel bilancio del campo: se la prima non entra, beh, o la superficie invita a rischiare la seconda (e allora si fa), oppure le percentuali calano. È un giocherellone: ama esasperare i tagli, attacca rispondendo con la smorzata, concede a sé e ai paganti quel più non

Martina Navratilova giustificava il suo endorsement del serve&volley con questo concetto: «A me piace provocare il gioco». Che è una frase meravigliosa, densa di significato. Provocare significa costringere l’altro a fare per forza qualcosa... tennis di rete. Stefan Edberg si era scientificamente specializzato in uno schema per il quale aveva asservito ogni aspetto del suo essere tennista: dal lancio di palla sulla testa alla presa esasperata per battere servizi lift, dal salto nel campo in atterraggio allo split step al passo a gambe divaricate che preparava peso del corpo e movimento dell’avambraccio alla volèe. Bellissimo gesto, quello della battuta: un airone spalancava le ali piumate, la palla partiva con uno schiocco e lui dietro, quasi a volerla recuperare prima dello sconfinamento nell’altra metà campo. Applicato dappertutto, fruttò finali nei

strettamente necessario ma che il gioco a rete permette, perdona e, in fondo, istiga a concepire. Sono anni bui per chi infrange la legge del rimbalzo, tutto cospira contro gli attaccanti; non è casuale leggere le date di nascita dei due difensori... dell’attacco. Stepanek è del ‘78, ha 34 anni. Llodra è un maggio 1980, 32 anni e mezzo. Dieta, pesi e convinzione hanno allungato l’età media dei tennisti, ma qui siamo comunque all’ultimo giro. Resterebbe, anzi, resterà il “giovane” Feliciano Lopez (1981) a rappresentare il sindacato dei volleatori estinti, e a significare la stupidità della razza umana.Anche nel tennis.

LA TOP 5 DELL’ERA OPEN

MARTINA NAVRATILOVA Attaccava anche sugli stracci, anche contro i passing millimetrici di Chris. Per coraggio e, talvolta, per paura.

BILLIE JEAN KING Attaccava, dietro la battuta, dietro la risposta, al massimo dopo due scambi. Però ai tempi non esistevano le Luxilon.

GABRIELA SABATINI Piena di grazia, direbbero i più cattolici. Ha la colpa di aver scoperto tardi di saper giocare al volo come poche.

JANA NOVOTNA Per essere una fifona, mostrava coraggio. Sfruttando peraltro una tecnica volleatoria da prima della classe.

SERENA WILLIAMS Tecnicamente non merita la nomination. Ma data la mole, superarla a destra, a sinistra ma soprattuto sopra, è sostanzialmente impossibile.

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IL TENNIS DEI VATUSSI Quanto conta l’altezza nel tennis? Superare i 190 centimetri è davvero un vantaggio? Abbiamo elaborato i dati degli ultimi 40 anni e scoperto che... testo di COSIMO MONGELLI / photo by GETTY IMAGES

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N ell’exploit del gigante polacco Jerzy Janowicz (203 centimetri di morbidezza, nelle movenze e nel tocco) a Parigi Bercy, finalista da perfetto sconosciuto, è sin troppo facile cercare un indizio. Ennesimo di un cambio di tendenza o una delle tante eccezioni che confermano la regola? Nel tennis, essere alti attorno ai due metri ha sempre rappresentato un handicap più che un’arma a proprio favore. Se è vero che nel servizio e nel gioco di rete l’altezza rappresenta un bel vantaggio, quando si tratta di cambiar direzione e spostarsi da una parte all’altra del campo, sono quasi sempre dolori. Ora, argomentare di servizio e volèe è un esercizio di stile nostalgico e romantico, in un tennis dominato dagli scambi inchiodati a fondocampo. Certo è che gli spilungoni son sempre più numerosi nel circuito, ma la fredda analisi dei risultati sembra comunque spegnere sul nascere l’eccessivo entusiasmo. Quello sull’altezza, quale fattore predominante nel tennis del futuro, è comunque argomento di discussione da circa un decennio. Quando il folle Marat Safin sconfisse Pete Sampras portandosi a casa lo US Open 2000, il mondo tutto pensò subito al russo, coi suoi 193 centimetri, quale futuro del tennis. Lo stesso Pete affermò che Marat non era che il capostipite di una nuova generazione di lungagnoni pronti a dominare il tennis per i secoli a venire. La realtà dei fatti, invece, ha visto nei 185 centimetri (altezza statisticamente perfetta in questo sport) di Federer, Nadal e Djokovic i dominatori incontrastati del decennio successivo. Ciò vuol dire che l’altezza non recita un ruolo così fondamentale? Prova a rispondere Massimo Sartori, coach del numero uno azurro, per risultati e... proprio per altezza, con i suoi 190 centiemtri: «Nel tennis moderno, fatto di grande potenza, l’altezza è un aspetto fondamentale. Ci sono le debite eccezioni, come un Olivier Rochus per citare un esempio, ma è chiaro che lui stesso, fosse stato dieci centimetri più alto, avrebbe avuto una carriera diversa. In senso generale, potrei dire che non è in assoluto un enorme vantaggio essere due metri, ma rappresenta un certo handicap misurare meno di 1 metro e 80, un metro e 85». Coach Sartori pone

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anche l’accaento sulle rinnovate tecniche di preparazione atletica che avrebbero notevolmente favoriti i lungagnoni: «Ormai è piuttosto difficile trovare un giocatore molto alto ma anche scarsamente rapido e agile. Prendete Isner: per la sua altezza si muove benissimo. E lo stesso discorso vale per Raonic, Anderson o Tomic. Certo, non saranno mai rapidi come un brevilineo, ma non sono né lenti, né grezzi nei gesti». Insomma, nel tennis si è verificato lo stesso processo avvenuto nel basket qualche anno fa, quando un tizio di due metri e 5 che una volta veniva schierato come centro (il nostro pivot) e ora fa la guardia, trattato come un nanerottolo. E se un Kevin Durant è in grado di muoversi come un ballerino dall’alto dei suoi due metri e sei, perché un Isner non deve essere in grado di piegarsi adeguatamente per giocare una volée bassa? Ecco dunque che l’altezza torna a rappresentare un fattore significativo, anche se siamo lontani dalla profezia di Ion Tiriac che suggeriva di cercare i futuri campioni nei boschi, in mezzo a gente alta e (molto) muscolosa) Ma forse sono le statistiche, quelle che meglio possono rappresentare la realtà dei fatti. Analizziamo le classifiche degli ultimi 40 anni, da quando è il computer a stilarle, e armiamoci di calcolatrice. I risultati sono a dir poco sorprendenti, almeno per chi si è prodigato ad affermare che qualcosa è cambiato e non ci sono più le mezze stagioni. Nella classifica ATP pubblicata lunedì 19 novembre 2012, i giganti (cioé coloro che misura più di 190 centimetri) tra i primi 10 al mondo, sono solamente due: Tomas Berdych e Juan Martin del Potro. Andy Murray, con il suo metro e novanta, possiamo farlo rientrare nella categoria dei giocatori normodotati. E l’altezza media è di 187 centimetri. Se estendiamo la ricerca ai primi 50, di affetti di gigantismo ne troviamo 9. A quelli già elencati si aggiungono Milos Raonic, Marin Cilic, John Isner, Sam Querrey, il già menzionato Janowicz, Kevin Anderson e Benoit Paire. Se poi apriamo ai top 100, arriviamo a quota 16 giocatori. Ma se torniamo indietro di dodici anni, al termine della stagione 2000, è vero che nella top ten abbiamo il solo Marat Safin sopra i 190 centimetri, ma è altrettanto vero che l’altezza media poco si discosta da quella attuale: 186 centimetri, virgola più virgola meno. Scorriamo la lancetta del tempo ancora dieci anni più addietro: dicembre 1990. A parte il magone lancinante che si prova nel leggere i nomi di Boris Becker, Stefan Edberg e Pete Sampras, per la calcolatrice il risultato è impietosamente identico. Sì, avete capito bene. Stessa, identica, altezza media: 186 centimetri. E due sole “giganti” eccezioni, Goran Ivanisevic e Andres Gomez che sfiorano il metro e novantacinque. Per cominciare a notare sostanziali differenze, ci si deve trascinare al 1980. In questo caso la musica cambia. Nell’ultima classifica stilata dal cervellone elettronico, i primi quattro al mondo sfiorano a mala pena il metro e ottanta: Bjorn Borg, Guillermo Vilas, Jimmy Connors e John Mc Enroe, i dominatori incontrastati negli anni 70. Tra i primi dieci della classifica, a svettare in altezza è il solo Ivan Lendl, con i suoi 188 centimetri. E l’altezza media si attesta sul metro e ottanta. Negli anni 70, gli ultimi buoni consultabili della classifica ATP, stessa situazione: 180 centimetri. Con i primi due al mondo, Ilie Nastase e John Newcombe poco sopra la


In questa pagina, in senso orario, quattro vatussi come l’americano John Isner (già top 10 ATP), il newcomer polacco Jerzy Janowicz, finalista al Masters 1000 di Parigi Bercy, l’olandese Richard Krajicek, campione di Wimbledon 1996 dopo aver battuto Pete Sampras e il mitico Big Bill Tilden, fuoriclasse americano degli anni 20, un vero gigante per l’epoca.

GIGANTI DA TOP 100

media, era lo statunitense Stan Smith a primeggiare con il suo metro e novantatre, e i restanti ad arrancare attorno ai 175 centimetri. Quindi si può affermare che negli ultimi 22 anni, la regola dei 185 centimetri è rimasta sostanzialmente inalterata. Ci sono sempre state e ci sono, ovviamente, le dovute (alcune splendide) eccezioni. Soprattutto a Wimbledon, anche grazie al terreno che resta l’ideale per esercitare il serve and volley. Primo della lista Goran Ivanisevic (193 centimetri), trionfatore nel 2001 partendo dl ruolo di wild card e con l’incubo nella sua mente di ben tre finali perse (1992, 1994 e 1998). Richard Krajicek, vincitore nel 1996 (che verrà ricordato ad libitum per aver deriso l’allora invincibile Pete Sampras per tre set a zero, divenendo l’unico tennista capace di battere l’americano a Londra nel periodo 1993/2000). E vale la pena di menzionare anche l’australiano Mark Philippoussis, finalista nel 2003 coi suoi 196 centimetri di rara potenza. Dobbiamo poi arrivare al 2009, per trovare risultati analoghi. Questa volta sui campi dello US Open. Abbiamo

97. IVO KARLOVIC

2.08

14. JOHN ISNER

2.05

26. JERZY JANOWICZ

2.03

37. KEVIN ANDERSON

2.03

07. JUAN M. DEL POTRO

1.98

15. MARIN CILIC

1.98

22. SAM QUERREY

1.98

64.VICTOR HANESCU

1.98

06. TOMAS BERDYCH

1.95

13. MILOS RAONIC

1.95

47. BENOIT PAIRE

1.95

52. BERNARD TOMIC

1.95

74. LUKAS ROSOL

1.95

38.VIKTOR TROICKI

1.93

68. GILLES MULLER

1.93

78. GAEL MONFILS

1.93

ancora negli occhi l’autorevolezza con cui Juan Martin Del Potro (198 centimetri), col suo diritto devastante, ha surclassato prima Rafael Nadal e poi Roger Federer in finale. Confutato che Tomas Berdych, pur non avendo nulla da invidiare ai primi quattro al mondo, deve ancora limare delle lacune importanti, è proprio l’argentino l’unico dei giganti che ha la possibilità di mietere successi Slam negli anni a venire. Se il fisico martoriato glielo permetterà. Riguardo gli altri c’è ancora troppa carne al fuoco per poter trarre conclusioni, auspicare cambiamenti, azzardare tendenze. Val la pena ricordare le misure dei giocatori considerati come le attuali migliori promesse del circuito mondiale: Milos Raonic (196 centimetri), Bernard Tomic (196 centimetri), Grigor Dimitrov (188 centimetri) e Ryan Harrison (183 centimetri): media da un metro e 91. In ogni caso, il 2013 potrà certamente darci qualche risposta in più. Starà (soprattutto) a Jerzy Janowicz e allo stesso Juan Martin dimostrarcelo.

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I racconti di Cino Marchese

Bjorn Borg

M

ICONA, SVEZIA, 56 ANNI

i sono trasferito a Roma alla fine del 1971. Mi ero sposato da poco e volevo dare un taglio alla vita che avevo fatto fino ad allora e soprattutto lasciare Valenza, la città dove sono nato. Avevo dovuto affrontare diversi problemi della mia famiglia, ma finalmente ero riuscito a risolverli, a costo di enormi sacrifici. La mia famiglia era molto nota in città: mio nonno era stato sindaco prima dell’ultima guerra, così come mio padre, appena dopo la liberazione. Operavano nel campo orafo come quasi tutti a Valenza, ma diverse scelte fatte da mio padre e da mio zio Pasquale avevano creato gravi difficoltà all’attività. Io fui obbligato a interrompere gli studi e mettermi a lavorare. Furono anni duri, ma con la determinazione e la volontà riuscii a risanare il tutto e soprattutto a riguadagnare stima e fiducia delle persone. La situazione mi aveva però prostrato e non sopportavo più di vivere in una piccola città di provincia. Mia moglie mi incoraggiò a cambiare aria; arrivai a Roma pieno di entusiasmo e mi stabilii in un piccolo, ma delizioso appartamento a Campo dei Fiori. Mi ero portato appresso tutte le mie passioni e il tennis era forse quella che sentivo di più. In Piemonte ero socio del glorioso T.C. Alessandria e avevo visto nascere il compianto Robertino Lombardi, Corrado Barazzutti, Ciccio Gorla, Ettore Fontana e molti altri allievi del grande maestro Cornara, che era anche allenatore di calcio e scopritore di Gianni Rivera. A Roma mi guardai intorno e mi iscrissi al C.T. Fleming, allora il Club più in voga, il più cool, come si direbbe oggi. Il Fleming era frequentato da grandi attori e personaggi dello spettacolo, dai giocatori della Lazio di Maestrelli fino a Paolo Bertolucci e Adriano Panatta. Il suo Presidente, Stefano Pantanella, era estremamente attento alle attività sportive e aveva squadre di alto livello in Coppa Croce e in Facchinetti. Conoscevo già Adriano, ma ne divenni amico in quella circostanza. Avevo già frequentato il Foro Italico appena arrivato a Roma ma è stato grazie alle mie frequentazioni al Fleming che ho avuto accesso ai luoghi più riservati e ambiti. Era il 1974 e quell’anno tutti erano curiosi di vedere all’opera un ragazzino svedese che aveva già stupito il mondo: Bjorn Borg.Vinse il torneo alla grande anche se fu costretto a dare il meglio di sé in uno storico match contro

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Guillermo Vilas. Dopo quella volta, tra di loro non ci fu più partita. Io, come tutti i miei amici e soprattutto mia moglie, rimasi stregato da quello svedese dai capelli lunghi e biondi e da una personalità che sapeva esprimere senza dire una parola. Alla fine del torneo mi presentai, gli feci le congratulazioni e gli dissi che mi aveva dato delle sensazioni uniche. Da allora ho instaurato un’amicizia che dura ancora oggi, pur senza aver occasione di frequentarci molto.Tuttavia, a distanza di tanti anni, provo sempre qualche cosa di speciale quando gli parlo. Di lì a poco cominciai la mia nuova professione di manager sportivo, ma la prima cosa importante che feci fu di organizzare nel 1978 un’esibizione in Sardegna, a Roccaruja, dove avevo organizzato un camp estivo con Eugenio Castigliano e Claudio Pillot. Roccaruja era un feudo della famiglia Moratti che aveva ceduto il comprensorio all’Immobiliare Sarda, società del gruppo ENI. Roccaruja è un posto meraviglioso, di fronte all’Asinara, in una magnifica baia dove c’è la famosissima spiaggia della Pelosa, con sabbia rosa e mare cristallino.A Roccaruja facevano vacanze molti giocatori della famosa Inter di Helenio Herrera, come Mario Corso, Tarcisio Burgnich, Mauro Bellugi e molti altri tra cui anche Marcello Lippi. Ma soprattutto era il regno della mitica Signora Erminia, moglie di Angelo Moratti, storico presidente dell’Inter. Ovviamente ero amico di tutti loro, malgrado la mia fede juventina e con la Signora Erminia giocavo tutte le sere a scopone scientifico. Lei in coppia con il Comandante Mastellone, responsabile del suo yacht e io in coppia con un amico di Monza, negato per lo scopone, ma piuttosto simpatico. Quando annunciai che sarebbe venuto Borg, tutti si attivarono e i Moratti misero a disposizione la loro barca per ospitarlo e intrattenerlo. Adriano non era disponibile e quindi fui costretto a ripiegare su Zugarelli che svolse al meglio il suo compito perché il successo fu grandissimo: era la prima volta che Borg, finalmente numero uno del mondo, giocava un’esibizione in un luogo di vacanze e soprattutto in Sardegna.Vennero tutti i giornalisti più importanti (e non solo di tennis) e l’intera Sardegna si mobilitò, con il traffico bloccato per diverse ore. Noi eravamo ospiti in barca della Signora Erminia per un lunch leggero. Ero andato a Nizza con un aereo privato a prelevare Borg con il suo manager Peter Worth di IMG e con l’inseparabile Lennart Bergelin che dopo l’esibizione si fermò per una settimana al nostro clinic. Questa operazione mi servì a cementare la mia relazione con Bjorn e i suoi genitori, Rune e Margaretha. Da quel momento la mia amicizia divenne intensa e Bjorn un punto di


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I racconti di Cino Marchese riferimento. L’anno dopo venne a giocare il torneo di Palermo, esclusivamente perché lo organizzava il sottoscritto, visto che ormai un giocatore come lui non disputava tornei piccoli.Venne anche a Bologna, sia per il torneo sia per un’esibizione, e non perdeva occasione per dimostrarmi la sua sincera e genuina amicizia. Quando giocava mi sentivo male dalla tensione e ricordo che la famosa finale di Wimbledon del 1980 contro John McEnroe la vidi proprio a Roccaruja. Quando finalmente vinse, ero stanco e spossato quanto lui. Per anni lo seguii dappertutto: Montecarlo, Roland Garros, Wimbledon, US Open e in molti altri tornei. Ero solamente in difficoltà quando giocava contro Panatta perché anche Adriano è stato capace di darmi grandi emozioni. Borg comunque era magico e quando giocava era capace di suscitare sensazioni uniche e speciali. Il suo gioco non era spettacolare e se vogliamo anche un po’ noioso, ma il suo modo di stare in campo era indescrivibile. Con mia moglie andavo spesso a Montecarlo; Borg stava a Cap Ferrat, dove abitavano i genitori. Gli rimasi vicino per tutto il periodo del fidanzamento con Mariana Simionescu, rumena, anche lei tennista, dal carattere mite e molto innamorata. Andammo anche al loro matrimonio che si celebrò in Romania, a Snagov, vicino Bucarest. Per la Romania fu un grande avvenimento e Ceausescu mise a disposizione degli sposi qualsiasi cosa. Noi infatti eravamo in una sua casa sul lago di Snagov, un po’ lugubre, ma per quei posti (e quei tempi) di gran lusso. Le nozze si celebrarono con rito ortodosso in una abbazia bellissima e blindata. Nastase e

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Gerulaitis erano i soli tennisti invitati, ma molti erano gli ospiti importanti. La cerimonia si svolse con la regia di IMG che ne vendette pure i diritti per coprire le spese, al punto che diversi aspetti furono trattati in maniera discutibile. Il ricevimento si svolse a Snagov con delle musiche folkloristiche locali. Mi ricordo perfettamente della Pirinizza che mia moglie ballò scatenandosi con Ilie e Vitas, rompendo il filo di una bellissima collana di onice. C’era anche la regina delle notti parigine, Regine, famosa per la sua boite e per essere una cantante di successo. Mark McCormack aveva curato personalmente l’organizzazione e selezionato gli inviti. Io e mia moglie eravamo gli unici italiani perché Adriano alla fine rinunciò per stare vicino alla moglie che doveva partorire. Questo evento consolidò ancor di più la nostra amicizia, tanto che Bjorn era ospite a casa mia ogni volta che veniva in Italia., a Roma come a Milano. Perché Bjorn amava profondamente l’Italia, frequentava i miei ristoranti preferiti ed era chiaro che si trovava perfettamente a suo agio. Presto però il matrimonio naufragò e quell’equilibrio che fino alla fine del 1981 lo aveva caratterizzato, andò a farsi benedire. La normalità lo aveva fatto grande. Quella normalità che era costituita dai rapporti sani con Bergelin, Mariana, i suoi genitori e pochi fidatissimi amici, tra cui ovviamente mi contavo. Quando questi equilibri che lo avevano fatto grande cominciarono a scricchiolare, la sua vita si incanalò per un verso sbagliato e nessuno riuscì a fermarlo. Io però lo voglio ricordare come un guerriero quasi invincibile. Sul resto preferisco glissare.


Bjorn Borg è nato a Sodertalje il 6 giugno 1956. In carriera ha vinto undici titoli del Grand Slam (sei Roland Garros e cinque Wimbledon) ed è stato numero uno del mondo. Si è sposato tre volte (compreso un discusso matrimonio con Loredana Berté) e ha due figli: Robin, avuto dalla modella Jannike Bjorling (che non ha mai sposato) e Leo, dall’attuale consorte Patricia Ostfeldt

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Serie A? In questa pagina, la squadra dell'ATA Battisti di Trento, quella che ha maggiormente impressionato nella fase a gironi, pur senza presentare stelle di primissimo livello. Fortissima sulle superďŹ ci veloci, punta al titolo visto che la ďŹ nale si disputa proprio nella sua regione, a Rovereto, in Trentino. Proprio il fatto di aver giocato le partite piĂš importanti col netto vantaggio del fattore campo (e soprattutto della superďŹ cie) ha riproposto l'idea di creare dei gironi con match di andata e ritorno. Nelle prossime pagine, troverete una nostra proposta di rinnovo della formula.

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Il massimo Campionato a squadre nazionale non sfrutta per nulla il suo potenziale, schiavo di regole che fanno discutere. Un viaggio nei top club italiani per capire come poter rilanciare la nostra Serie A1

INCHIESTA

di Riccardo Bisti 95


INCHIESTA

P

er parlare di Serie A1, non si può che partire dai regolamenti che l’hanno rivoltata come un calzino un paio di stagioni fa. In particolar modo, ha fatto discutere quella che obbliga a schierare tra i quattro giocatori per squadra, uno che sia tesserato da almeno otto anni in quel circolo o abbia militato per almeno due anni nelle sue categorie giovanili (esclusi gli under 18). Ma sono cambiamenti che hanno aiutato a far crescere l'interesse per il Campionato? Qualcuno mugugna, altri lasciano perdere, tutti si adeguano. E solo Gianfranco Barbiero, Presidente del Circolo Tennis Rovereto, le approva totalmente («Sono regole che premiano le società che fanno progetti a livello giovanile a medio e lungo termine, o che comunque danno continuità all’attività agonistica»). Paradossalmente, è stato anche l’unico a violarle, schierando Davide Scala come elemento del vivaio alla prima giornata contro la Società Tennis Bassano. Il bolognese però, non aveva gli otto anni di militanza richiesti dal regolamento (ma nessuno se ne è accorto fino a qualche giorno dopo la conclusione dell’incontro) ed è scaturito un 3 a 3 che ha parzialmente falsato il campionato e potrebbe comportare la retrocessione d’ufficio del team trentino. Tuttavia, è indubbio che il Campionato di Serie A1, che stava recuperando interesse tra gli appassionati, rischia una rovinosa caduta d’immagine, in gran parte imputabile proprio ai nuovi regolamenti. Prendiamo il campionato femminile: salvato da Francesca Schiavone nel 2010 e da Roberta Vinci nel 2011, quest’an-

no non ha visto in campo nessuna delle migliori. Errani e Vinci sono tesserate per Albinea e Parioli, ma gli impegni internazionali le hanno tenute lontane dai circoli di appartenenza; Pennetta e Schiavone sono out, Camila Giorgi vive e si allena in America e non ha nemmeno preso in considerazione l’ipotesi di giocare il nostro massimo Campionato a squadre. La giocatrice di miglior classifica ad aver giocato con continuità è stata dunque Karin Knapp. E non è un caso che il suo Club Nomentano (Roma) sia stato tra le sorprese del campionato. Ma quale appeal potrebbe avere una Serie A di calcio senza Milito, Totti, Marchisio, Cavani e Boateng? La regola più discussa è quella che impone pesanti limitazioni alle rose. Norme complicate, di difficile lettura, che comportano storture e inciampi regolamentari. «Sappiamo come sono nate – dice Renzo Monegaglia, presidente dell’ATA Battisti Trento, alludendo agli anni in cui spadroneggiava il Capri Sports Academy di Roberto Russo, piuttosto inviso alla FIT –: sono norme che danno una mano ad alcuni circoli e ne ostacolano altri. Personalmente la rivedrei: metterei queste regole in A2 o in B, lasciando stare la A1. Ed è ancora più importante la limitazione per i giocatori stranieri». In contrasto alla Legge Bosman, che garantisce la libera circolazione dei lavoratori nell’Unione Europea, nella Serie A di tennis si può tesserare al massimo uno straniero. «Negli altri sport non ci sono limiti alla circolazione dei comunitari – continua Monegaglia – e poter schierare più stranieri fornirebbe un doppio aiuto: migliorerebbe lo spettacolo e darebbe una calmata agli ingaggi. Con queste regole, i tennisti italiani hanno pretese economiche troppo alte».. È d’accordo anche Guido

Sopra, le squadre del TC Cagliari e del TC Italia Forte dei Marmi, entrambe qualificate per i play off. Sono squadre che hanno il loro punto di forza nel... giocatore più "debole", vale a dire colui che viene schierato come numero 4. I sardi hanno utilizzato Giorgio Galimberti, il TC Italia Daniele Giorgini. Il Forte dei Marmi presenta come numero uno Filippo Volandri, ma è competitiva soprattutto sulla terra battuta.

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Nesti, vicepresidente e direttore sportivo del Tennis Club Prato, finalista tra le donne nel 2010, nel 2011 e anche quest’anno. «I vincoli consentono storture al sistema. La norma dei vivai regala a diversi giocatori una forza che non hanno. Esempio: un giocatore intorno al numero 300 ATP o WTA può prendere 1.300-1.400 euro a partita. Ma con la norma dei vivai, un 2.5 che vi rientra può chiedere la stessa cifra, anche se non la vale. Per questo consentirei il libero mercato. Tuttavia lo limiterei ai giocatori italiani: gli stranieri possono venire a cifre più basse, togliendo spazio ai giovani italiani». La norma sui vivai non piace a Fausto Marini, DS del Tennis Club Sarnico, ex grande, oggi retrocessa in A2. «Il massimo campionato non deve avere alcuna limitazione. Giovani, stranieri, bandiere…niente. Può avere un senso far giocare un junior, ma deve essere un junior reale. E non deve capitare che un ragazzino giochi contro un 40enne che risulta come vivaio. In Germania c’è entusiasmo, pubblico e grande livello di gioco: dovremmo prendere esempio da lì. Mi dicono che dall’anno prossimo cambierà qualcosa, ma noi non ci saremo. Dopo 12 anni ad alto livello, sinceramente mi sono un po’ stancato». Chi invece ha annusato il sapore della Serie A per la prima volta è il Club Nomentano. Capitan Fabrizio Zeppieri riconosce che le norme sono un po’ restrittive. «Ma va bene così, altrimenti lieviterebbero i costi. Credo che debba esserci un accordo all’origine: che si vuole fare della Serie A? Se si vogliono incentivare i circoli a investire sui giovani va benissimo così, anche perché dopo 7-8 anni diventa un falso problema. Questa norma aiuta chi vuole tutelare i vivai rispetto a chi ha grandi risorse economiche». Vero, ma è altrettanto vero che i top players finiscono sempre nei grandi club. Qualche anno fa c’era il Capri Sports Academy, adesso il Circolo Canottieri Aniene che può permettersi Bolelli, Starace e Cipolla e rinunciare a un numero quattro di livello. «A noi è andata bene – continua Zeppieri – oltre a Knapp, Shamayko e Pillot, abbiamo un’ottima numero 4 come Emily Stellato».

La Serie A comporta investimenti importanti. Ogni club spende decine di migliaia di euro, anche se non tutti sono disposti a parlare di cifre. Tuttavia, c’è un pensiero comune: il ritorno di immagine non è proporzionale ai soldi spesi. Neanche lontanamente. Un paio d’anni fa, il TC Prato spendeva 60-80.000 euro. «Le cifre si sono ridimensionate del 30% - dice Guido Nesti –. Abbiamo diversi sponsor che però sostengono l’intera attività del circolo, non c’è un title sponsor per la squadra di Serie A. E non avendo trovato un’azienda che coprisse interamente i costi del campionato, c’è un frastagliamento degli sponsor. Tenga conto che noi mandiamo avanti una trentina di squadre e la stessa Carla Mel, capitano del team, ricopre gratuitamente il suo ruolo». Sono più fortunati a Trento, dove tutta l'attività agonistica è coperta dagli sponsor e dai contributi della Provincia autonoma. «Anche se, dato il momento, non sono più quelli di una volta – dice il presidente Monegaglia. –. Ci sono settori sociali che hanno la priorità. Il problema sono gli ingaggi: i giocatori più forti chiedono cifre eccessive. Ad ogni modo, spendiamo tra i 60 e i 70.000 euro, tutto compreso». Negli anni d’oro, a Sarnico erano arrivati a spenderne circa 100.000: «Ma adesso ci siamo ridimensionati, non si va oltre i 40-50.000» dice Marini. Una delle maggiori critiche ai circoli di Serie A stava nei presunti investimenti sbagliati. Il senso comune condanna i soldi destinati ai professionisti di seconda o terza fascia, mentre vedrebbe meglio un investimento sui giovani. C’è un equivoco di fondo: i circoli, di tasca propria, investono poco o nulla. Sono soldi che arrivano dagli sponsor (o “sostenitori”, come ama chiamarli Marini) e che in nessun altro modo entrerebbero nel mondo del tennis. Secondo l’avvocato Stefano Bagnera, presidente della Canottieri Casale, un’azienda è interessata al concetto di Serie A, inteso come massimo campionato a squadre.

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INCHIESTA

«Se chiedessimo soldi per aiutare un ragazzino di 16 anni, non ci sarebbe la stessa sensibilità». Il problema è che gli investimenti sono diminuiti. Da una parte c’è la crisi economica che attanaglia il Paese, dall’altra un ritorno di immagine per nulla proporzionale all’investimento. La FIT, ente organizzatore, offre un ottimo servizio trasmettendo in diretta le finali (ma che errore abolire la Final Four!), un beneficio di cui però, godono solo quattro squadre. E le altre 17? Le risposte sono sconfortanti. «Di certo al Nomentano non arriva un pubblico da palazzetto dello sport – dice Zeppieri – anche perché il tennis femminile è meno seguito. Resta tutto dentro il circolo, mentre fuori dai cancelli non c’è interesse, anche se ricordo un bell’articolo sulla Knapp uscito sull’edizione romana della Gazzetta dello Sport». Sulla stessa lunghezza d’onda Nesti del TC Prato: «Il ritorno è così così: abbiamo 600 soci e quest’anno abbiamo avuto partite di altissimo livello come Camerin-Arn e Camerin-Knapp alle quali hanno assistito un centinaio di persone. Il socio che non ha un trascorso di Coppa Facchinetti o Coppa Croce non è interessato. L’unico momento di gloria risale a due anni fa, quando venne la Schiavone reduce dalla vittoria a Roland Garros: c’erano appassionati da tutta la Toscana». Situazione pressochè identica a Sarnico, che pure si trova in una provincia molto tennistica come quella di Bergamo: «Il ritorno non è sufficiente – chiosa Marini –: abbiamo uno spazio fisso al mercoledì sull’Eco di Bergamo e una volta è venuta un troupe di SuperTennis. Il pubblico? Per i singolari c’è un po’ di

gente, ma quando arriva ora di pranzo, il Centro si svuota. Va però detto che non giochiamo nel nostro Club, ma a Cividino». L’unico che sembra soddisfatto del ritorno mediatico è Renzo Monegaglia, con la sua ATA Battisti che è stata aiutata da un campionato eccezionale. «Abbiamo vissuto alcune domeniche di grande sport: contro l’Aniene c’erano 500 persone e 100 sono rimaste fuori. Quando giochiamo in casa arriva gente da tutta la regione. Il tennis dal vivo piace, è un bel veicolo promozionale per i ragazzi delle scuole. Spesso la RAI regionale manda una troupe, il TG della domenica sera parla di noi e L’Adige, il più importante giornale locale, ci dedica una pagina. Hanno un palinsesto fisso per il tennis: al lunedì c’è un articolone, il sabato si presenta la gara. Non siamo come la pallavolo, ma non possiamo lamentarci. È bello quando i media si fanno vivi». C’è però un dato che deve far riflettere. Nessun dirigente di Serie A consiglierebbe a un nuovo circolo di impostare un progetto finalizzato al massimo campionato. Le argomentazioni sono convincenti, ma è come se Moratti dicesse ad Antonio Gozzi, Presidente della Virtus Entella: «Lascia perdere, non vale la pena investire per salire in Serie A». Evidentemente qualcosa non torna. «Io sono un uomo di campo – dice Zeppieri – e preferirei un progetto tecnico basato sui giovani. Se poi, dopo 7-8 anni, c’è la possibilità di andare in Serie A, ben venga. L’anno scorso abbiamo sfiorato la B con ragazzi nati e cresciuti al Nomentano. Penso che attività giovanile e Serie A possano coesistere, ma ci vuole un po’ di tempo. Oggi entrano in ballo anche aspetti economici». Focalizzato sui giovani anche i pareri di Marini e Monegaglia. «Lascerei perdere

Nelle foto sopra, Sara Errani è stata la grande assente di questa edizione.Tesserata per il TC Albinea di Reggio Emilia, la fenomenale quanto stancante stagione, le ha impedito di scendere in campo nella nostra Serie A. Stesso discorso per Roberta Vinci, Flavia Pennetta e Francesca Schiavone. Nessuna top 100 ha dunque preso parte all'edizione 2012: in campo femminile, il livello non è stato granché dignitoso.

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SERIE A1 – ALBO D’ORO RECENTE UOMINI

1998 – Matchball Bagno a Ripoli 1999 – Matchball Bagno a Ripoli 2000 – Cierrebi Club Bologna 2001 - Cierrebi Club Bologna 2002 - Cierrebi Club Bologna 2003 - Cierrebi Club Bologna 2004 – Tennis Club Cagliari 2005 – Geovillage Olbia 2006 – Capri Sports Academy 2007 - Capri Sports Academy 2008 - Capri Sports Academy 2009 - Capri Sports Academy 2010 – Circolo Canottieri Aniene (Roma) 2011 – Castellazzo Tennis Club (Parma)

la Serie A e investirei sui giovani, promuovendo allenamenti mirati» dice il DS di Sarnico, mentre il presidente dell’ATA Battisti è orgoglioso dell’attività che riesce a impostare nel suo circolo. «La priorità è costruire un gruppo di giovani. Sono i ragazzi che creano la continuità, se poi c’è qualcuno particolarmente bravo, è un piacere aiutarlo. Credo sia giusto partire con i bambini e poi fare una panoramica delle proprie possibilità. Di certo non consiglierei di partire con la Serie A come obiettivo». Noi crediamo che ci sia un equivoco di fondo: è sbagliato mischiare la Serie A con la cura del settore giovanile. Sono (o meglio, dovrebbero essere) due rette parallele destinate a non incrociarsi. Il regolamento attuale vuole unirle a tutti i costi, creando le storture che abbiamo visto nelle ultime tre edizioni (dodicenni in campo, squadre piene di giocatori di terza e quarta categoria). Trovare la formula perfetta è difficile (nel box qui accanto trovate le nostre proposte). L’impressione è che i club accettino passivamente la situazione, mugugnando in silenzio salvo poi non fare nulla per provare a cambiala (forse disillusi dalle possibilità di riuscirci…). Nesti pensa che sia compito della Federazione pensare a un sistema che possa rendere più appetibile il campionato. Lo crediamo anche noi. Monegaglia torna sul suo pallino: «Bisognerebbe consentire l’utilizzo degli stranieri. Ci permetterebbe di calmierare i prezzi. E poi una comunicazione più aggressiva sui canali federali, a partire da SuperTennis. Oltre a far vedere i grandi tornei, potrebbe mostrare delle realtà italiane di alto livello. Tutto questo potrebbe avvicinare potenziali sponsor nel breve e nel medio termine». Una cosa è certa: così com’è, il Campionato di Serie A1 non va bene perché non sfrutta appieno le sue potenzialità. È arrivato il momento di rilanciarlo in maniera significativa perché è un patrimonio del tennis italiano che non va perduto.

DONNE

1998 – Tennis Club Genova 1999 – Tennis Club Napoli 2000 – Tennis Club Milano 2001 – Club La Meridiana Casinalbo (Modena) 2002 – Tennis Club Napoli 2003 – Tennis Club Parioli (Roma) 2004 - Tennis Club Parioli (Roma) 2005 - Tennis Club Parioli (Roma) 2006 – Tennis Club Viterbo 2007 - Tennis Club Viterbo 2008 - Tennis Club Viterbo 2009 - Tennis Club Viterbo 2010 - Tennis Club Viterbo 2011 – Tennis Club Parioli (Roma)

LA NOSTRA SERIE A1 Ecco la nostra proposta di rinnovo della formula che renderebbe la manifestazione più attraente. 1. Quattro gironi da quattro squadre, con partite di andata e ritorno, sia per gli uomini che per le donne. La prima di ogni girone accede alla Final Four, l’ultima retrocede in A2. Inizio ritardato all’inizio di novembre, con uno o due turni infrasettimanali. 2. Creare un evento Final Four. Semifinali e finali in un’unica sede, con un happening di 4-5 giorni che catalizzi l’attenzione di tutto il tennis italiano. 3. Ridurre la formula degli incontri, portandola a 3 singolari e un doppio, uniformando gli uomini alle donne. 4. Abolire gli obblighi relativi ai vivai e liberalizzare le rose. Ogni rosa composta da 8 giocatori (più tutti i giovani che si vogliono, a patto che abbiano una classifica inferiore all’ultimo giocatore schierato). Adesione alla sentenza Bosman e libera circolazione dei comunitari (ma con l’obbligo di schierare un numero minimo di due giocatori italiani). 5. Obbligo di rispettare standard organizzativi. Quindi giudici di linea, tribune, superfici regolamentari a livello internazionale. Esattamente come avviene per i tornei ATP Challenger.

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IL PARK GENOVA È UNA DELLE PIÙ BELLE REALTÀ DEL TENNIS ITALIANO E, IN PARTICOLARE, DEL CAMPIONATO DI SERIE A. IL SUO PRESIDENTE, MAURO IGUERA, CI HA ACCOMPAGNATO IN UN PERCORSO TRA AGONISMO E SOLIDARIETÀ CHE DOVREBBE SERVIRE DA ESEMPIO. DI RICCARDO BISTI

PARK TENNIS

La squadra del Park Genova: appena tornata in Serie A1, ha subito dimostrato di poter puntare allo Scudetto


C

apisci che il Park Genova è un club speciale ancora prima di entrarci. È mattino presto, ma l’impiegato all’ingresso è già costretto a esporre il cartello “parcheggio esaurito”. E non perché si sta disputando un match di Coppa Davis. È sufficiente un incontro del Campionato di Serie A1, dove il Park è tornato a svolgere un ruolo di primissimo piano. Lo stupore diventa incredulità quando ci imbattiamo nel maxi-striscione dedicato alla squadra: lungo 15 metri, troneggia nel parcheggio e ospita le foto dei ragazzi del Park, da Fabio Fognini al capitano Elio Inserra, passando per gli altri giocatori e il team manager Pietro Ansaldo. In una Serie A1 che deve barcamenarsi tra crisi economica e regole deficitarie, il Park Genova è un gioiello. Una perla rara. Nato nel 1946 e ricostruito dopo le macerie della guerra che avevano devastato il vecchio Tennis Club Albaro, è uno dei due circoli top della città, insieme al Tennis Club Genova. Nel corso degli anni, hanno vestito i colori del Park giocatori come Diego Nargiso e Linda Ferrando (nel 1981 arrivò anche uno scudetto femminile). Dopo un periodo di appannamento della scuola tennis, in cui le lezioni erano viste come babysitteraggio per i figli dei soci, nel 2003 è arrivata la svolta. L’ex giocatore Filippo Ceppellini ha assunto la carica di presidente e di quel consiglio faceva parte anche il top manager Mauro Iguera, all’epoca un semplice appassionato. «Per sei anni ho partecipato ai consigli cercando di capire come funzionasse il tutto – racconta Iguera – e già allora c’era una forte spinta per il rilancio del circolo». La svolta è arrivata nel 2009, quando i fratelli Ceppellini (l’altro, Federico, è stato anche consigliere nazionale FIT) lo hanno coinvolto nell’organizzazione dello storico Italia-Svizzera di Coppa Davis, cui prese parte Roger Federer. «In quel momento abbiamo capito che si poteva fare un grande salto – continua Iguera, presidente dal 2009 – e non limitarci a un evento straordinario ma isolato. L’obiettivo era avere una cassa di risonanza tennistica per 12 mesi l’anno. E allora abbiamo rafforzato il corpo maestri, sono arrivate figure di primissimo piano e abbiamo dato sempre più importanza alla Scuola Tennis». L’impresa non era facile, perché spesso i circoli italiani sono frequentati da soci non più giovanissimi che hanno bisogno di spazi e campi disponibili. Nei limiti, è anche giusto che sia così. In fondo sono loro i veri azionisti del circolo, quelli che, pagando le quote sociali, consentono di avere eventi come la Serie A1. «Noi cerchiamo di ovviare all’invecchiamento del circolo usando la Scuola Tennis per formare giocatori che saranno i soci di domani. E all’appello hanno risposto ben 250 ragazzi. Non so quanti campioni creeremo, ma di sicuro ci saranno 250 appassionati di tennis, nonché futuri soci del club». Ma se il Park è salito alla ribalta nazionale, è merito della promozione in Serie A1. Matricola terribile, punta a un piazzamento importante con gli acquisti di Fabio Fognini e Gianluca Naso. «Abbiamo deciso di affrontare la Serie A1 con lo stesso spirito del torneo challenger: offrire un evento ai soci e alla città di Genova - dice ancora Iguera -. Per farlo, tuttavia, bisognava creare una squadra competitiva senza che la spesa incidesse troppo sul circolo.Abbiamo fatto un investimento forse superiore alla portata dell’evento ma l’idea era di farla bene o non farla per niente». Già, perché creare una squadra di Serie A1 con grandi ambizioni, necessita di investimenti importanti. «Il budget totale è di circa 150.000 euro, così suddivisi: 50.000 li mette il circolo, 50.000 gli sponsor e 50.000 alcuni mecenati che hanno deciso di dare una mano. Si tratta di investimenti sproporzionati al ritorno di immagine che il campionato può dare, però siamo riusciti a creare una rete di relazioni in cui gli sponsor hanno piacere ad essere partner del club». Iguera è particolarmente fiero di non aver messo mano alle casse del circolo. La spesa sostenuta dal club è la stessa del 102

Fabio Fognini, numero due italiano e Davisman azzurro

Campionato di A2 e visto che il circolo produce un fatturato di un milione e mezzo di euro, la spesa per la Serie A è inferiore al 5%. Inoltre, se la FIT – almeno a parole – spinge sul concetto di vivaio, il Park prova a rispettarne i dettami, pur senza rinunciare alla competitività generale della squadra. Ma c’è un dettaglio importante che la caratterizza rispetto alla quasi totalità degli altri team coinvolti nella Serie A1: la squadra del Park ha una fortissima identità territoriale ed è composta quasi esclusivamente da giocatori liguri. Difficile pensare che sia un caso. «Infatti non lo è: c’è una progettualità in questo senso. Lo zoccolo duro è composto da quattro genovesi che sono cresciuti insieme, si sono laureati insieme (tre addirittura lo stesso giorno) e sono grandi amici: Ansaldo, Sanna, Wellenfeld e Cafferata. Poi c’è Alessandro Giannessi: lo abbiamo preso quando non lo conosceva nessuno. Mi dissero che era un ligure di belle speranze, facemmo un pranzo insieme e trovammo subito l’accordo.All’inizio ha fatto un po’ fatica, anche perché le gare a squadre sono un’altra cosa rispetto ai tornei individuali. Poi ha ingranato ed è stato determinante. Il Park ha assistito alla sua straordinaria progressione». Giannessi ha guidato il Park alla promozione, ma per il nuovo campionato servivano altri giocatori di prima fascia. «E noi volevamo i liguri – prosegue Iguera –. Anni fa, chiesi al papà di Fognini se sarebbe stato possibile averlo a Genova in caso di promozione. Era entusiasta, perché lui qui si sente a casa, ha tanti amici, si sente protetto. Il giorno della promozione lo chiamai, e trovare l’accordo è stato semplicissimo. L’ultimo nome è quello di Gianluca Naso: abbiamo scelto lui perché ha sempre giocato bene a Genova (vanta due finali all’ATP Challenger, n.d.r.), è un ligure d’adozione essendo cresciuto a casa Fognini ed è amico di tutti i ragazzi. Dopo aver verificato che non creava scompensi alla squadra, lo abbiamo contattato. Prima di qualsiasi decisione mi sono sempre consultato con i ragazzi: per me è fondamentale avere un team coeso e armonico».Anche Frederik Nielsen, a modo suo, è una bandiera.Acquistato qualche anno fa insieme a Jean Julien Rojer, si è innamorato


Frederik Nielesn, nel 2012 ha vinto Wimbledon in doppio

dell’Italia, del pesto genovese e dell’ambiente Parkiota. Prima delle partite interne non va neanche in albergo, ma è ospite dei compagni. «Anche se ha vinto il doppio a Wimbledon, vuole continuare col singolare. Dice che solo con il doppio si annoierebbe, una scelta più emozionale che economica. Abbiamo un grande rapporto umano, ci piacciono la sua disponibilità e intelligenza. E poi è un grandissimo doppista: in Serie A1 può fare la differenza. Ad ogni modo, credo che i giocatori vengano da noi proprio per il clima in seno alla squadra. Gli ingaggi sono più o meno gli stessi ovunque, l’ambiente forse no». Tuttavia, i regolamenti hanno impedito di schierare Fognini e Naso nella stessa partita. È infatti vietato far giocare nella stessa giornata due nuovi tesserati. «Mi sta bene: in epoca di spending review, è giusto calmierare il passaggio dei giocatori da un circolo all’altro. I trasferimenti selvaggi, tra l’altro, comportano un aumento dei costi. E non sempre i circoli riescono a portare a termine certi impegni». La regola dei vivai, al contrario, merita una riflessione più ampia. Pochissime squadre hanno giocatori con almeno otto anni di militanza o un passato nelle categorie giovanili. Nel 2012, in ogni partita deve essere schierato almeno un giocatore con questi requisiti. E spifferi federali dicono che ci sarebbe l’intenzione di aumentarli a due (!). «In linea di massima non sono contrario – dice Iguera - ma servirebbe più tempo per organizzarsi. Per tanti anni i vivai sono stati trascurati, quindi imporre certi limiti significa abbassare il livello della competizione. E poi sposterei da 8 a 6 anni la soglia per diventare un giocatore-bandiera. Sei anni di permanenza in un circolo sono sufficienti per non essere considerati mercenari. E sarebbe un aiuto importante per i club. Prendete Ansaldo: è cresciuto a Genova, è un’istituzione del nostro club, ma potremo schierarlo solo nel 2015. E lo stesso discorso vale per altri giocatori di altri club. È giusto valorizzare i vivai, ma non bisogna penalizzare lo spettacolo. La Serie A deve essere uno spettacolo». Secondo Iguera, il valore di una Scuola Tennis lo si vede dal livello degli under 10, 12, 14 e (forse) 16: «Il resto è un servizio che un

Presidente deve utilizzare per creare consenso e spettacolo. E allora è importante che il livello sia alto». Ma c’è una domanda che serpeggia nella mente: per vincere la Serie A, cosa è più importante: soldi, bravura o fortuna? D’istinto, il presidente del Park menziona unità e coesione della squadra. È un concetto a cui tiene molto. Da quel che abbiamo visto, l’obiettivo è stato raggiunto. Ma per vincere uno scudetto potrebbe non bastare: «Al primo posto metto i soldi, poi insisto sulla coesione della squadra. Però la fortuna va sul podio, soprattutto per il discorso relativo alle superfici di gioco. Giocare in casa o fuori fa una differenza enorme. Quest’anno abbiamo pescato il jolly perché abbiamo giocato in casa contro tre squadre che prediligono il veloce alla terra rossa. Ma per avere maggior regolarità, ci vorrebbe la formula con andata e ritorno. E la fortuna influisce anche sulla disponibilità dei giocatori più forti, spesso impegnati negli eventi internazionali». Naturalmente, non è tutto oro quello che luccica. Iguera non consiglierebbe a un circolo nuovo di focalizzarsi sull’obiettivo Serie A, anche perché i media danno pochissimo risalto all’evento. In Liguria, ad eccezione di Genoa, Sampdoria e del fenomeno-pallanuoto, il Park è l’unica realtà di Serie A. «Eppure se non siamo noi a contattare i giornalisti, è difficile far passare il messaggio. Se si crede veramente nella Serie A bisogna creare un progetto che la consideri un’apripista della Davis. Non è semplice, perché il tennis è visto come uno sport individuale. Ma alla fine piace moltissimo: in Serie A c’è un entusiasmo di pubblico che non si riscontra in tanti tornei». Parole sante. Per quanto bistrattata, la Serie A viene vissuta con passione da giocatori e pubblico. Scene ben diverse da tornei Challenger anche di ottimo livello, dove spesso ci sono le tribune vuote. «Il potenziale c’è. Bisognerebbe saperlo sfruttare». Ma il Park non è soltanto Serie A, anzi. Le prodezze di Fognini e Naso sono il fiore all’occhiello di un’attività che produce anche tante piccole questioni che non è sempre semplice affrontare. «Per fare il presidente di un club ci vuole spirito di servizio e sacrificio - sostiene Iguera -. Credo che chi abbia avuto fortuna nella vita, debba fare qualcosa per restituire qualcosa agli altri. E io provo a farlo tramite il tennis». Il segreto del Park Genova sta in una gestione professionale, figlia dell’attività principale di Iguera (Amministratore Delegato di Cambiaso Risso, azienda leader in consulenza e brokeraggio assicurativo nei settori di corpi e macchine, cantieri navali e yacht). Iguera dispone di un efficiente ufficio comunicazione, di controllo del personale e di gestione delle risorse. Forze che danno una mano anche al circolo, che altrimenti farebbe fatica a gestire tanti aspetti logistici, peraltro già importanti quando bisogna gestire un migliaio di soci, come quelli di cui dispone il Park. «Per il mio staff, una domenica di Serie A è un’attività di comunicazione come le altre. E per questo si riesce a gestirlo con grande professionalità. Sono molto grato ai miei collaboratori, che hanno inserito il Park tra le diverse società che devono già seguire». Ma l’obiettivo principale di Iguera non è vincere lo scudetto, che pur sarebbe un risultato molto gradito: «Ho il desiderio di tramandare qualcosa – dice con delicato orgoglio quando ci racconta l’ultima iniziativa, forse la più importante -.Abbiamo siglato un accordo con il Paladonbosco di Genova e abbiamo preso in gestione quattro campi da tennis nelle zone meno fortunate della città: Sampierdarena, Rivarolo e Marassi. La Scuola Tennis costa molto meno e le lezioni private sono offerte a prezzi scontati». L’obiettivo è andare nelle scuole e avvicinare i bambini meno ricchi al tennis, magari creando una piccola cantera: «Non credo che creeremo campioni, ma la priorità va alla questione sociale: con questo progetto toglieremo tanti bambini dalla strada». Lo dice con pudore, ma è facile intuirne il pensiero: forse lo scudetto più importante è proprio questo. 103


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ST OF

THE BE

2012

love this game

i

Il tennis non è solo Wimbledon e Roland Garros. Ma è fatto di tanti appuntamenti agonistici su scala nazionale, creati soprattutto per aiutare giovani e disabili. Grazie alla passione di tecnici, genitori e sponsor. Come Bayer.

testo di Paolo Roveda 105


G

ianluca Rinaldini è una persona sfortunata. Ottimo giocatore (è stato top 100 delle classifiche mondiali) e apprezzato tecnico nazionale, un incidente stradale mentre tornava da un allenamento con un suo celebre allievo, Paolo Canè, lo ha costretto su una sedia a rotelle. Sono passati 27 anni da quel maledetto giorno. Eppure Gianluca non ha mai perso né coraggio, né forza d’animo. Uno dei tanti esempi di come lo sport possa essere un veicolo concreto per aiutare chi ha avuto meno fortuna nella vita. Il Wheelchair Tennis ne è un esempio straordinario, tra i migliori che lo sport per disabili possa offrire. Perché? Per le differenze quasi nulle rispetto al tennis per normodotati. Cambia una sola regola: la palla può rimbalzare due volte prima di colpirla. Per il resto, tutto resta identico. Le misure del campo, l’altezza della rete, l’attrezzatura di gioco e, ça va sans dire, il punteggio. Sfruttano carrozzine tecnologiche che aiutano i movimenti e le virate rapide, tanto che recuperi di smorzate e pallonetti sono tutt’altro che occasionali. Un’uguaglianza di diritti e doveri sul campo che aiuta a ricordare come anche chi è stato colpito da una qualche disabilità, può continuare a fare l’atleta. Quest’anno lo abbiamo (ri)scoperto in due occasioni. Una in piena estate, con le Paralimpiadi di Londra. Un successo straordinario, di pubblico, di interesse e di qualità degli atleti. Chiunque abbia sfruttato la miriade di canali

zionali, si siano affiancate scuole tennis permanenti, riservate ai soli disabili, rappresenta un passo avanti notevole per la cultura sportiva italiana. Perché il tennis (e lo sport in generale) può certamente rappresentare un sostegno fondamentale per ricostruirsi una vita, ma necessita anche di personale e strutture specializzate. E di qualcuno che creda fermamente in un progetto sociale e sportivo. In particolar modo, sarebbe importante sviluppare la parte relativa all’insegnamento di base. Quante volte abbiamo scritto che si tratta di un argomento fondamentale per lo sviluppo dell’intero settore tennis? Beh, se limitiamo la considerazione al tennis per disabili, la qualità dell’insegnamento è una priorità indiscutibile. Perché è chiaro che non si tratta solo di insegnare i movimenti del diritto o la meccanica corretta del servizio; vi sono implicazioni psicologiche che impongono l’utilizzo di personale specializzato. O comunque di maestri che abbiano seguito un percorso formativo, se vogliamo trasformare un movimento ludico in qualcosa di maggiormente significativo. Il 2012 ha rappresentato una stagione molto particolare. Le Paralimpiadi hanno aiutato a far conoscere un movimento che andrebbe maggiormente supportato per creare quei servizi sociali che dovrebbero rappresentare uno dei modelli cardine di ciascun movimento sportivo. E che dovrebbe unire, in questo intento, tutte le associazioni coinvolte, a partire dalla Federazione per continuare con UISP, PTR, CSAIN e tutte le altre che (troppo) spesso trascurano l'attività di Wheelchair Tennis. Tuttavia, è indubbio che l'Italia stia facendo notevoli passi avanti in questo senso. Per anni la Vavassori Academy ha ospitato addirittura il Masters ITF riservato alle otto migliori coppie del mondo. Negli occhi degli appassionati vi sono gli sguardi attoniti dei nostri due top player del tennis normodotati, Andreas Seppi e Fabio Fognini, mentre scambiano con i primi due giocatori del mondo. Anche loro sorpresi dalla qualità del tennis che riescono a esprimere. Come suggerisce anche la maestra Laura Vignoni, colei che opera in questo settore nell'Accademia Vavassori e già tecnico della Nazionale italiana femminile, «perché sia realmente utile, lo sport non deve essere inteso esclusivamente come passatempo ludico. Per l'amor del cielo, anche in questo senso produce effetti positivi. Ma per chi ha la volontà di trasformarlo in un'attività agonistica, è fondamentale pretendere lo stesso impegno degli atleti normodotati. Basta seguire l'esempio di Alex Zanardi, il più celebre atleta disabile italiano. Quello che può fare il tennis, e lo sport in generale, per i ragazzi disabili, è difficilmente immaginabile. Ma ho l'esperienza per affermare che si tratta di qualcosa di sorprendente». In questo senso, l'impegno di Bayer con la Vavassori Wheelchair Academy rappresenta un fiore all'occhiello. La possibilità di sfruttare le strutture di un centro così specializzato, offre un'opportunità unica per aiutare atleti meno fortunati che cercano una nuova strada.

Il fatto che ai singoli tornei si siano affiancate scuole tennis permanenti per disabili, rappresenta un passo avanti notevole per la cultura sportiva italiana. Perché il tennis può rappresentare un sostegno fondamentale per ricostruirsi una vita, ma necessita di personale e strutture specializzate. E di qualcuno che creda fermamente in un progetto sociale e sportivo. che Sky Sport ha messo in piedi per seguire (come mai prima) questa manifestazione, avrà ammirato Stephane Houdet ed Esther Vergeer, la più vincente campionessa dello sport attuale (normodati e disabili messi insieme) che ha catturato la sua settima medaglia d’oro olimpica. E come dimenticare l’abbraccio tenero tra gli americani David Wagner e Nick Taylor dopo l’ultimo punto vinto della finale del doppio Quad, la categoria della massima disabilità permanente. L’altro evento che ha richiamato la nostra attenzione sono stati i Campionati Italiani che, per il secondo anno consecutivo, si sono svolti presso l’Accademia Vavassori di Palazzolo sull’Oglio, a due passi da Brescia. È vero che lo sport italiano potrebbe fare ancora di più per i disabili, mondo del tennis compreso. In altri paesi europei (Olanda soprattutto), si ha una cultura maggiore verso questo tipo di attività, ma il fatto che ai singoli tornei na-

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L'altra categoria che merita attenzione è quella dei giovani. La nota (molto) positiva, è la crescita in termini di tesserati, squadre iscritte ai vari Campionati, manifestazioni organizzate, pur in un momento di contrazione economica. Va infatti sottolineato che il tennis è uno sport individuale e quindi che le spese sono (quasi) totalmente a carico delle famiglie. Tuttavia, l'ottima immagine sportiva di cui gode, permette di andare in controtendenza facendo registrare un aumento dell'interesse e della partecipazione. In questo senso, un ruolo fondamentale lo ricoprono i circuiti giovanili, capaci di attirare l'attenzione dei giovani appassionati ma anche di spostarla da concetti di promozione provinciale o regionale, fino a raggiungere l'intero Paese.Tra questi si distingue certamente il Trofeo Tennis Kinder+, quello che la Federazione Italiana Tennis segue con maggior enfasi (oltre a quello organizzato direttamente dalla FIT). Tuttavia, mentre quest'ultimo si rivolge ai migliori ragazzini italiani e serve anche per fare una prima scrematura su quelli che un domani saranno i convocati al centro tecnico federale, il Trofeo Tennis Kinder+ assolve anche la funzione, importantissima, di promozione del tennis su scala nazionale. Per la prima volta, nel 2012 si sono toccate tutte le regioni italiane per un totale di oltre 70 tappe organizzate e una partecipazione globale che ha superato gli 11.000 giocatori. Un trend in crescita che conferma i risultati degli ultimi anni. Anche in questo caso, alle spalle vi sono due categorie irrinunciabili per la buona riuscita del progetto: famiglie e sponsor. Il ruolo dei genitori è spesso controverso. Se talvolta possono essere la causa di una crescita sportiva difficile per le enormi pressioni che impongono ai figli (non a caso, con voluta esagerazione, Adriano Panatta diceva: «I campioni bisogna cercarli tra gli orfani») recitano comunque un ruolo fondamentale, sostituendo di fatto (nel ruolo e nei sacrifici) le società sportive. Se dunque il loro appoggio è indispensabile per la crescita sportiva dei ragazzi, lo è altrettanto quello degli sponsor, senza i quali i circuiti giovanili non troverebbero le risorse necessarie per essere organizzati. Per il secondo anno consecutivo, Bayer è stata al fianco del circuito creato da Rita Grande (ex top 30 delle classifiche mondiali), completando le sponsorizzazioni nel mondo del tennis rivolte alle categorie che maggiormente le meritano: disabili e giovani (e in questo senso va ricordato la lunga partnership siglata col torneo internazionale under 18 di Salsomaggiore). «Un gruppo come Bayer ha la responsabilità di creare buoni prodotti ma anche di sostenere attività che migliorino la società spiega Daniele Rosa, Direttore della Comunicazione del Gruppo Bayer -. La nostra missione è Science for a Better Life, Scienza per una Vita Migliore e lo sport può certamente aiutare a migliorare la qualità della vita, soprattutto dei giovani. E fra i tanti, consideriamo il tennis uno degli sport più affascinanti e capaci di trasmettere valori positivi. I giovani, la salute, il vivere in maniera etica lo sport, sono i messaggi che vogliamo portare avanti. Di conseguenza, un target importante sono proprio i giovani, che possono rappresentare un modello di comportamento, con le loro famiglie alle spalle che li aiutano a crescere in questa direzione. Per questo motivo, il nostro impegno con questo circuito di tornei e con le attività dei disabili, non è semplicemente un'attività

«La nostra missione è Scienza per una Vita Migliore e lo sport può certamente aiutare a migliorare la qualità della vita, soprattutto dei giovani. Proprio i giovani, la salute e il vivere in maniera etica lo sport, sono i messaggi che vogliamo portare avanti. E fra i tanti, consideriamo il tennis uno degli sport più affascinanti e capaci di trasmettere valori positivi». Daniele Rosa, direttore comunicazione Gruppo Bayer

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di marketing, perché ci sentiamo particolarmente vicini a questi ragazzi che trasmettono valori positivi ed etici». Ciliegina sulla torta, il premio-Nadal. Grazie all'appoggio di Bayer, un gruppo di ragazzi tra le migliaia che hanno preso parte al circuito, avranno una possibilità unica, quella di volare a Manacor per incontrare l'idolo tennistico dei giovani, Rafael Nadal, e assistere ai suoi allenamenti. «Un'esperienza quasi mistica per un giovane appassionato - dice giustamente Rita Grande -. Va sottolineata la disponibilità di Nadal che non si è dimenticato di quando lui stesso sognava di diventare un campione e per questo accoglie sempre piacevolmente i nostri ragazzi. I quali possono capire a quali sacrifici dovranno andare incontro se vorranno cercare la via del professionismo. E, anche per chi non avrà questa ambizione, vi è la possibilità di capire come sudore e fatica siano alla base di tutti i progetti vincenti. Come quello che la famiglia Nadal ha sviluppato con Rafael.


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2005

Gotennis offre da anni i migliori pacchetti hotel + biglietti per i più grandi Tornei del circuito professionistico

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TEST IL NUOVO GIOIELLO

PER GLI APPASSIONATI È ORMAI UNA SORTA DI RELIQUIA. A gennaio, Asics uscirà con il nuovo modello della Gel Resolution, in assoluto la miglior scarpa da tennis mai creata. Sarà la quinta versione che presenterà alcune modifiche nella tomaia per renderla ancora più performante e resistente (unico piccolo neo fin qui riscontrato). Per il resto, comfort, stabilità, ammortizzazione, tenuta nei cambi di direzione e nelle scivolate, tutto sarà come sempre al top. I colori principali? Il blu che potete vedere nella foto, con inserti in argento e, per i più coraggiosi, un giallo palla da tennis.

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AFFARI D’ORO In controtendenza con quasi tutti gli altri prodotti dell’economia mondiale, i prezzi delle racchette sono scesi rispetto ai listini di dieci, venti o trent’anni fa. Come è possibile? Abbiamo provato a scoprirlo….

di Corrado Erba

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L’altro giorno sedevo sul divano e oziosamente pensavo ai tempi in cui le racchette costavano quattrocentomila lire. Andavo da Germani Sport e le guardavo concupiscente. Poi uscivo, ovviamente a mani vuote, invidiando i fortunati possessori di quelle bellezze. Tre, quattrocentomila lire, sono cencinquanta, duecento euro, mi è venuto in mente. Due calcoli. Illuminazione. Possibile che le racchette costassero più allora di oggi? O, come diceva (Dis)Guido Oddo, possibile che le racchette siano più economiche oggi di allora? Possibile che a distanza di 30 anni i prezzi siano addirittura diminuiti? Che il prodotto tennis si sia rivelato profondamente anticiclico, beffardamente resistente ad ogni dogma socio economico? La prima cosa da fare è stata... scendere in cantina. Ivi infatti, tengo il mio scibile tennistico, fatto da centinaia di cartacce alle quali la paziente moglie non ha dato fuoco, solo per paura delle conseguenze col condominio. Presto tirati fuori alcuni vecchi listini, ho confutato le mie pigre elucubrazioni, quindi ho chiamato il Direttore che, colto probabilmente durante una pennichella pomeridiana, si è ripromesso di controllare. Segue telefonata. «Corrado, andiamo dal dottor Pietra, va». Riccardo Pietra, per chi non lo sapesse, oltre a essere un gentiluomo, è l’amministratore delegato di Babolat Italia, nonché progenie diretta del fondatore di Maxima. Già, quelle Maxima, le racchette De Luxe. Pietra si è detto interessatissimo all’argomento e subito si è buttato a pesce in alcuni vecchi schedari, per tirarne fuori listini ingialliti alti così, seguiti da depliant colorati che illustravano bellezze ormai defunte. Telai lignei, grip in pelle, prime grafiti, perfino ardite sperimentazioni stilistiche, come la magnifica Maxima Giugiaro Design. Abbiamo iniziato a spulciare i vecchi listini e di concerto,

785 lire l’una, 3.032 Lire a tubo (o scatolotto che dir si voglia). La mitica Maxply veniva 17.100 lire, 34.700 con budello VS. Troviamo anche le mitiche presse trapezoidali (1.700 lire), gli ombrelli da arbitro (16.000 Lire), le reti da campo (36.000 Lire). Passano dieci anni e viene il 1984: le profezie di Orwell non si avverano, Connors porta ancora la frangetta ma impalma una coniglietta di Playboy. Si impongono i campi in cemento, i Queen guidano la Top Ten, i russi lanciano la sonda Vega per osservare la cometa di Halley e lo scrivente viene bocciato in prima liceo. I materiali cambiano e il legno, ormai semi abbandonato, è sostituito dalla grafite. Nonostante tutto, resiste la classicissima Torneo De Luxe anche se il prezzo è salito a 88.000 lire (153.000 con incordature in budello) e viene affiancata dai moderni midsize in grafite e boron. La Evolution Boron costa in negozio 282.000 Lire, che salgono a 347.000 incordata VS. Si impone sul mercato la classica Dunlop Max 200 G di Johnny Mac, (218.000 / 283.000 Lire), ma resiste ancora in listino la Maxply, ora prodotta in Germania, che costa dalle 102.000 alle 167.000 lirette. La racchetta dell’anno è la Wilson Pro Staff 85, ancora prodotta nella mitica isola di St. Vincent per il costo mirabolante di 500.000 Lire. La rivale, Head Prestige, costa poco meno. Il costo di un tubo di palle Fort sale a 11.850 Lire. Escono anche le prime tennis bag termiche e la linea McEnroe viene venduta a 31.500 lire. Gli anni 90 accolgono la musica elettronica e i computer, Jimbo lascia la frangetta per la permanente, Bum Bum impazza, si comincia a parlare di World Wide Web e il film dell’anno è Pulp Fiction di Quentin Tarantino, che resuscita

Due calcoli. Illuminazione. Possibile che, a distanza di trent’anni, i prezzi delle racchette siano diminuiti? La prima cosa è stata scendere in cantina. La seconda andare dal dottor Pietra. Che si è buttato a pesce su vecchi schedari per tirar fuori listini ingialliti e scoprire che... deciso di verificare l’andamento degli stessi, a cadenza decennale: 1974 / 1984 / 1994 / 2004 / oggi. Settantaquattro: Connors portava la frangetta, flirtava con la Evert, Panatta sbracciava promettente, Borg seminava avversari e cuori a Wimbledon, Patricia Hearst veniva rapita dall’esercito di liberazione Simbionese. Barry White suonava Can’t Get Enough e la Lazio di Re Cecconi vinceva lo scudetto. La Maxima Torneo De Luxe costava 13.700 lirette, la Maxiglass (con fibra di vetro!) 23.700, se le volevate nude. Già incordate in budello però, la musica cambiava: gli stessi telai costavano rispettivamente 27.700 e 41.400! Sembra da matti, ma il migliore budello (tipo V.S. Spiral) costava ben 17.800 lire, 4.100 più del telaio. Le palle Dunlop invece

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un imbolsito John Travolta. I cataloghi diventano colorati, le lignee bellezze vengono chiuse negli armadi e la Maxima è ormai agli sgoccioli, nonostante la bellissima linea 1994, tra le quali spicca la Balance Torneo, midplus nero con fregi gialli e rossi e il manico in pelle: 300mila Lire nuova fiammante, 20 mila in più se incordata (con sintetico però)! Nel frattempo, con finissimo fiuto per gli affari, Pietra acquista la rappresentanza di una notissima casa francese, famosa nel mondo per le corde: Babolat. Nello scetticismo generale, Babolat lancia una linea di racchette, tra le quali una midplus leggera e azzurrina. La mettono in mano a un promettente giocatore spagnolo, Carlos Moya. Bum. La Wilson Pro Staff diventa Classic e il costo è intorno alle 400.000 Lire in negozio;


la Head, sempre Prestige è offerta allo stesso prezzo, su per giù. E arriviamo al terzo millennio, anno 2004: Jimbo si è finalmente ritirato, Pete Sampras tira sempre forte, Britney Spears si sposa e l’euro ha soppiantato le svalutate lirette. La Maxima purtroppo è defunta, ma Babolat è una degna erede sul mercato degli appassionati. La sopracitata racchetta azzurrina, ormai è la regina del mercato: si chiama Pure Drive e costa 229 euro di listino, ma viene comunemente venduta a 160 euro. Le storiche rivali restano la Wilson Pro Staff (150 euro in negozio) e la Head Prestige (165 euro). «Volano i decenni» si cantava e arriviamo ai giorni nostri. La Pure Drive non è più azzurrina ma superbamente scura. Costa sempre 159 euro, mentre la Wilson (ora Pro Staff BLX) viaggia sui 170 e la Head Prestige (ora YouTek) sui 160. Ok, d’accordo con tutto il panegirico ma chiusa la lunga premessa, dove vogliamo arrivare? Semplice Watson. Anno 2013, entriamo in un qualsiasi negozio: «Buongiorno, vorrei una Pure Drive». Ok, grazie, prego, no, senza corde, carta, click: 159 euro e arrivederci. Ma come? Nel 1984 una Maxima Evolution Boron costava l’equivalente di 180 Euro, una Pro Staff addirittura 260! E sono passati trent’anni. E qui vi volevo, anzi è qui che lo scrivente, il Direktor, il dottor Pietra, un piccolo dettagliante e l’amico JP, giocatore di club, si siedono intorno al tavolo per un fruttuoso brainstorming. Insomma, se seguiamo normali parametri economici, il grosso delle voci di costo sono: 1. materiale (grafite per la maggior parte dei casi), 2. mano d’opera, 3. trasporto, 4. marketing, 5. distribuzione. Assunto che, in 30 anni, il costo della grafite è aumentato, il trasporto di un bel container via nave dalla Cina anche e che i pubblicitari si fanno pagare in Euro, allora, chiedo timidamente: «Forse che i costi di mano d’opera sono diminuiti?». «Macché – risponde Pietra -, lascia stare gli operai specializzati della vecchia Sirt di Bordighera che tiravano i legni con perizia senza pari, ma poi, dagli Anni 80, le racchette si fanno sempre con certi stampi e i cinesi si fanno pagare sempre poco. Certo, quando le racchette si facevano in Europa, costavano qualcosa in più, ma non erano differenze così rilevanti». «Per me è solo colpa del marketing folle delle case che sponsorizzano i tennisti» è l’opinione di un noto commerciante. I negozianti, tra la fine degli Anni 80 e l’inizio degli Anni 90, avevano un margine di circa il 40% e le racchette venivano realizzate per gran parte in Europa. Oggi vengono prodotte in Cina a costi ridicoli, ma ai tempi non c’era un Federer che ha strappato un contratto a vita con Wilson che prevede bei soldini anche quando avrà appeso la racchetta al chiodo o un Nadal che riceve due milioni di euro all’anno per 10 anni. «E quei soldi chi li paga? Mica Wilson o babolat. Li paga il consumatore finale. Ma la cosa più straordinaria è che il margine di guadagno dei negozianti si è ridotto all’osso e io, se va bene, porto a casa un margine del 15%» conclude il commerciante. Rimane pertanto da addentrarsi nel periglioso percorso costituito dai costi distributivi, dai margini del commerciante, dalle percentuali degli agenti, dalla nascita delle grande catene specializzate e dal crescere dell’e-commerce. A mio parere è innegabile che tutto sia cambiato con l’avvento della grande distribuzione sportiva. Nonostante la guida al tennis di Milano 1982 segnalasse quasi 200 punti vendita specializzati o comunque venditori di articoli tennistici nella sola provincia milanese, la distribuzione era estremamente frammentata e pochi negozi avevano una quota di mercato rilevante.Tali punti vendita storici, imponevano una sorta di cartello sui prezzi che portava il

Pete Sampras con la mitica Wilson Pro Staff Original 85 prodotta nella’isola di St. Vincent. Costava 500.000 Lire

margine del negoziante ad una percentuale piuttosto rilevante. Tale cartello, è venuto a decadere a fine anni 90 con l’ingresso sul mercato di players quali Decathlon, la (defunta) Giacomelli Sport, Cisalfa, eccetera. I prezzi vengono fatti da anonimi buyer che, seduti dietro a una calcolatrice, di fatto impongono alle varie case tennistiche un determinato prezzo, calcolato non più sull’acquisto di poche decine di telai ma su migliaia. A questo punto, il prezzo al dettaglio viene fissato senza superare una determinata soglia, calcolata sul reddito del potenziale acquirente. E il prezzo scende, poiché la GDO può permettersi di sopravvivere con margini decisamente diversi dal dettagliante tradizionale, avendo delle logiche e delle economia di scala ben diverse. La stessa strategia è tenuta dai newcomers del mercato, ovvero i negozi on-line, il cui ruolo predominante era inimmaginabile solo 10 anni fa. A sua volta il piccolo dettagliante, per combattere la GDO, non può certamente alzare i prezzi, ma tenerli perlomeno allineati al “nemico”, augurandosi che il cliente si affezioni a lui per la qualità del servizio offerto e per la competenza. Essendo il prezzo all’acquisto uguale per tutti, l’unica scelta è abbassare il proprio margine di guadagno, sperando di galleggiare con gli altri pesci piccoli. «Meglio per noi modesti giocatori di club - dice JP - che possiamo permetterci di cambiare spesso e volentieri, anche se è innegabile come il prezzo dei telai scenda anche del 40% nel momento in cui esce il restyling di un modello, magari modificato solo nella cosmetica. Dunque, ne deduco che i costi non siano produttivi, ma soprattutto di marketing». Questo ci porta alla logica conclusione che, essendo la racchetta da tennis un bene di consumo non indispensabile (anche se qualcuno pensa il contrario n.d.r.), come tutti i prodotti voluttuari, il prezzo finale è fissato non dal costo a monte, ma da quanto siamo disposti a pagare per quel determinato oggetto. Il prezzo attuale, proporzionalmente ridotto rispetto al passato, avvantaggia noi tapini racchettomani, che forse guardiamo con nostalgia a quei bei negozi con i soffitti a cassettoni e centinaia di telai appesi alle pareti, così diversi dalle anonime luci al neon degli odierni magazzini. Ma d’altronde, il portafogli ringrazia.

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2013

NOVITÀ


CORDE

Non sono previste grandi novità per i top brand del mercato. Incuriosisce il calibro 1.41 che Luxilon propone dell'Alu Power, adatto alle nuove racchette Wilson Spin da 16 corde per 15. Interessante invece, sarà seguire il percorso dei vari brand di nicchia che stanno proponendo corde sempre più performanti: da Double Ar a Starburn, da MSV a Solinco. Per un mercato che non è mai stato così prolifico.

SCARPE

Ovviamente Nike e Adidas presenteranno, come ogni stagione, le nuove versioni dei modelli che finiranno ai piedi di Nadal e Federer, di Djokovic e Murray. Ma la grande attesa è per la nuova Gel Resolution di Asics, la scarpa top del mercato che verrà riproposta con qualche lieve modifica alla tomaia per renderla (se possibile) ancora più performante. Il modello super leggero Gel Solution invece, subirà solo una rivisitazione grafica.

RACCHETTE

Tante novità: la nuova Babolat "Nadal", le Blade di Wilson, le Head "Djokovic" e "Sharapova", con la tecnologia G che verrà compiutamente svelata l'11 gennaio. E poi le nuove Dunlop appena sfornate, qualche novità che Pro Kennex non fa mai mancare, i nuovi modelli di Prince. E il ritorno in Italia di un brand come Donnay.

Ovviamente Nike e Adidas Il sistema Trusstic presenteranno, come ogni offre un ottimo stagione, le nuove versioni supporto mediale, dei modelli che finiranno mentre la gomma è garanzia ai piediAhar di Nadal e Federer, di durata. Il di Djokovic e Murray. Ma la a spina grandebattistrada attesa è per la nuova di pesce modificato Gel Resolution di Asics, si adatta alle varie la scarpa superfi top del ci mercato di gioco. che verrà riproposta con qualche lieve modifica alla tomaia per renderla (se possibile) ancora più performante. Il modello super leggero Gel Solution invece, subirà solo una rivisitazione grafica.

ABBIGLIAMENTO

SUPERFICI

Ovviamente Nike e Adidas presenteranno, come ogni stagione, le nuove versioni dei modelli che finiranno ai piedi di Nadal e Federer, di Djokovic e Murray. Ma la grande attesa è per la nuova Gel Resolution di Asics, la scarpa top del mercato che verrà riproposta con qualche lieve modifica alla tomaia per renderla (se possibile) ancora più performante. Il modello super leggero Gel Solution invece, subirà solo una rivisitazione grafica.

LA NUOVA STAGIONE PORTERÀ CON SÉ TANTE NOVITA, SOPRATTUTTO NEL SETTORE RACCHETTE. ALCUNE LE TROVATE NELLE PROSSIME PAGINE, ALTRE ARRIVERANNO NEL MESE DI GENNAIO. E POTRETE SCOPRIRLE TUTTE SEGUENDOCI SU TEBBISBEST.COM


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BLX BLADE 98 16X19

WILSON

Milos Raonic, canadese, classe 1990: una scommessa (nemmeno troppo azzardata) è pronosticarlo top 10 nel 2013. Sarà il principale testimonial della nuova Blade.

Sarà certamente una delle racchetta agonistiche bestseller della nuova stagione, esattamente come lo è stata due anni fa nella versione precedente. Oltre alla tecnologia Amplifeel che offre una maggior sensibilità all'impatto, la vera novità è data dal modello con schema di incordatura 16x19 che offre maggior spinta e profondità ai colpi e una maggior resa delle rotazioni. L'utente agonistico cerca sempre più racchette giocabili e la nuova Blade 98 ha centrato l'obiettivo. Il controllo, ça va sans dire, è sempre su livelli ottimali, mentre servizio e colpi piatti sono da vera cannon ball. La corda ideale? L'ibrido ci è parsa la scelta ideale, restando su tensioni basse, 22-23 kg.

Test A CHI LA CONSIGLIAMO A giocatori agonisti dotati di un braccio allenato, dallo stile (abbastanza) classico, che amano picchiare dal fondo ma anche toccare sotto rete (e sfruttare l’inerzia se si dispone di un servizio importante). Le rotazioni non sono certo bandite ma se siete arrotomani, si possono cercare altre soluzioni. Fate grande attenzione a trovare il giusto set-up con le corde (ai nostri tester, la soluzione ibrida è piaciuta tanto).


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Una favola: picchio quanto mi pare e la palla resta sempre in campo. Le 16 corde aiutano eccome, anche perché quel pizzico in più di rotazione mi aiuta ad avere ancora maggior controllo e a far saltare di più la palla che sulla terra è un aspetto fondamentale. Chiedete ai miei avversari quanto pesa la palla…

PAOLO, 24 ANNI CLASSIFICA 3.5

La grande novità è aver creato la versione da 16 corde per 19, lo schema maggiormente apprezzato attualmente. Rispetto al 18x20, la palla esce rapidamente e con maggior facilità, ciò che chiedono (anche) i giocatori agonisti moderni. Ne guadagnano anche le rotazioni, senza perdere in controllo, che resta ad altissimi livelli.

on court

Perfetta per chi gioca classico: gran servizio (oh, escono botte clamorose), i colpi piatti escono potenti e in totale controllo e il gioco di volo preciso. Le rotazioni non vanno esasperate e per il gioco di difesa ci vuole gran sensibilità. In generale, una racchetta per chi ama offendere, più che difendere. Sulla tensione corde, consiglio di stare bassi: 22, 23 kg.

FRANCESCO, 32 ANNI CLASSIFICA 3.2

Il sistema Trusstic offre un ottimo supporto mediale, mentre la gomma Ahar è garanzia di durata. Il battistrada a spina di pesce modificato si adatta alle varie superfici di gioco.

Se ti sei abituato alle tubolari e giochi con grandi rotazioni, difficile tornare indietro. Certo, la sensazione all’impatto è bellissima perché senti la palla piena e non quella sensazione di vuoto delle racchette più moderne. Però devi sempre spingere: se ci riesci, chi ti tiene. Ma se ti viene un filo di braccino oppure sei spesso costretto a difenderti, allora amen.

LORENZO, 41 ANNI CLASSIFICA 4.1

lunghezza: 68,5 cm ovale: 98 pollici profilo: 21,5 mm costante peso: 315 grammi bilanciamento: 33,9 cm inerzia: 335 corde: 16 x 19

IN LABORATORIO


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AEROPRO DRIVE GT

BABOLAT

Per chi non lo ricordasse, Rafael Nadal ha giocato con la Pure Drive fino all'età di 17 anni. Poi Babolat ha studiato la versione Aero per esaltare i suoi colpi arrotati.

È la versione 2013 della racchetta che Rafael Nadal ha cominciato a utilizzare nel 2004. Pensata per il fuoriclasse spagnolo, gli steli appiattiti aiutano a offrire maggior aerodinamicità che si traduce in maggiori effetti, sia col back sia col top. È ideale per chi ama colpire forte dal fondo e picchiare senza paura, chiaramente con le dovute rotazioni. Il piatto corde è quello della mitica Pure Drive, il peso (incordata) di 320 grammi con un bilanciamento oltre i 33 centimetri che aumenta l'attitudine alla spinta. La corda ideale? L'agonista puro può montare un monofilo senza problemi; per gli altri la soluzione ibrida è molto interessante.

Test A CHI LA CONSIGLIAMO Ai picchiatori moderni che amano spingere dal fondo tutte le palle con buona rotazione. Molto manovrabile, aiuta anche in fase difensiva, soprattutto col back. Astenersi se siete giocatori dallo stile molto classico che giocano solo colpi piatti e finezze.


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Esteticamente è ancor più bella della versione precedente. In campo è rimasta quella: chi picchia da fondo con buone rotazioni va a nozze. Si sottolinea sempre il top spin, ma si esalta molto anche nel back. La botta piatta fa male e la si sfrutta soprattutto al servizio. la sensibilità? Non è la caratteristica principale di questi telai, ma è tutt'altro che malvaagia.

PATRIZIO, 35 ANNI CLASSIFICA 3.3

La nuova Aeropro Drive rispecchia dunque le caratteristiche del modello precedente. Tuttavia, è stata migliorata la tecnologia Cortex Active Technology (sistema che permette di smorzare le vibrazioni all'impatto) per offrire migliori sensazioni quando si colpisce la palla e aiuta a controllare meglio i colpi.

on court

Se la tua racchetta magica è una Pure Drive, vien spontaneo chiedersi se con la versione Aero posso trovare un telaio leggermente più agonistico e performante. In senso generale, la risposta è affermativa. L'impatto è più secco, la sensazione di controllo maggiore. Però la facilità con la quale si manovra la Pure mi impedisce la sostituzione.

FABIO, 41 ANNI CLASSIFICA 4.1

Il sistema Trusstic offre un ottimo supporto mediale, mentre la gomma Ahar è garanzia di durata. Il battistrada a spina di pesce modificato si adatta alle varie superfici di gioco.

La usa Nadal e tanto basta! A me piace picchiare forte e con la Aero ci riesco senza perdere controllo. Sento abbastanza bene la palla sulle corde e gli effetti la tengono bassa sul back e la fanno saltare tanto col top. Il servizio è una bomba. L'unico problema al principio è stato adattarmi alla forma piatta degli steli (si dice così?). Però alla fine i vantaggi sono chiari.

TIZIANO, 17 ANNI CLASSIFICA 4.1

lunghezza: 69 cm ovale: 100 pollici profilo: 23-26-24 mm peso: 320 grammi bilanciamento: 33,2 cm inerzia: 334 corde: 16 x 19

IN LABORATORIO


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X-P DUAL BLACK 102

DONNAY

Esattamente 20 anni fa, Andre Agassi conquistava il suo primo Slam a Wimbledon, imbracciando una Donnay.

Il ritorno di Donnay in Italia è una di quelle boccate d'ossigeno che fanno piacere agli appassionati. Chi non ricorda il modello Pro col quale Borg ha spazzato via tutti negli anni 70? O la Pro One arancione con la quale Agassi ha vinto Wimbledon nel 1992? Ebbene, negli States hanno fatto scalpore i nuovi modelli dal profilo super sottile, a noi è piaciuta soprattutto questa 102 pollici quadrati con la quale la palla esce facile, con buona rotazione e soprattutto con un comfort per il braccio pazzesco. Sarà la tecnologia Xenecore, ma la sensazione all'impatto ricorda quella del legno: soffice, morbida, una sensibilità clamorosa. E una gioia per il braccio.

Test A CHI LA CONSIGLIAMO A giocatori che cercano un comfort eccezionale, con la palla che esce facile e un impatto molto morbido. Ideale per chi cerca racchette molto elastiche, un po' sparite dal mercato attuale, e dall'ovale un filo allargato che perdona di più e concede buone rotazioni. Importante trovare un buon set-up con le corde.


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Ero stato preavvertito che il feeling all'impatto sarebbe stato particolare. «Come il legno» mi avevano detto. Avevo sorriso, di nascosto. Oh, invece sono bastati i primi colpi per capire che era proprio così. Racchetta elastica come una volta, gran sensibilità, impatto morbido e palla che fila via veloce. Sorry.

LORENZO, 41 ANNI CLASSIFICA 4.1

Si chiama Xenecore ed è un materiale che viene iniettato nel telaio durante la fase di produzione. Il risultato? Un miglior feeling all’impatto e una forte riduzione delle vibrazioni perché, come dice il responsabile del design Donnay, Mr. Jerry Choe, «il nostro scopo è creare racchette performanti che al contempo prevengano problemi al braccio» braccio

on court

Non pensavo che con un 102 pollici mi sarei trovato bene. «Perderò un sacco di controllo» avevo pensato. Invece si spinge bene ma senza andar spesso lunghi, con la rotazione che aiuta a trovare le giuste misure. L'impatto è bello elastico e confortevole e sotto rete si manovra che è una meraviglia. L'ottima manovrabilità aiuta nell'accelerare il gesto del sevrizio,

PAOLO, 22 ANNI CLASSIFICA 3.2

Il sistema Trusstic offre un ottimo supporto mediale, mentre la gomma Ahar è garanzia di durata. Il battistrada a spina di pesce modificato si adatta alle varie superfici di gioco.

Finalmente una racchetta elastica. Ormai non ci speravo più! Quando ho visto il profilo sottile, mi sono un po' spaventato, invece l'impatto è molto confortevole. La palla esce facile, condizione per me essenziale, come la resa del back spin. Bella manovrabile, il braccio ringrazia per l'assenza di vibrazioni.Va cercata con attenzione la corda giusta.

CLAUDIO, 50 ANNI CLASSIFICA 4.4

lunghezza: 68,5 cm ovale: 102 pollici profilo: 19,5-23-19,5 mm peso: 309 grammi bilanciamento: 33 cm inerzia: 312 corde: 16 x 19

IN LABORATORIO


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t h

IL MITO DELLA

PRESTIGE

Quando mi è arrivata la release stampa di Head, che annunciava il 25esimo anniversario della Prestige, la vita mi è passata davanti. VENTICINQUE ANNI! La vidi in azione per la prima volta nel 1987, ero poco più che bambino. Il papà giocava un match di Coppa Italia su un campo di cemento sbrecciato, lungo il naviglio milanese, i grilli fischiavano forte. Brandiva la racchetta l’avversario, un certo Wilfredo Sergente, e chissà se ci sta leggendo. Un telaio filante, colorato di marroncino, che diventava rosso sangue quando il telaio veniva colpito dai raggi del sole. Io guardavo il match e sentivo sul Sony antidiluviano, The Final Countdown degli Europe. Non pensate che questo Sergente fosse Rod Laver incarnato, ma giocava mancino come me. E poi quella bellezza tra le mani. A fine match osai afferrarla, provai un paio di colpi a vuoto. Fece swoosh: fischiava, muovendola nell’aria, a segnalare l’aerodinamica perfetta. Derivata dal vecchio modello nero, la Graphite Pro, le prime versioni erano rigorosamente midsize, 600 centimetri quadrati di ovale, reticolo da 18 per 20. Racchetta tosta, non tutti se la potevano permettere. «DISTINGUE I BAMBINI DAGLI UOMINI» mi ammonì una volta un vecchio maestro. Se toccata bene, la palla centrava solidamente l’incrocio delle righe, ma bastava che il colpo fosse abborracciato o che si tirasse indietro il braccino, e la palla rimaneva sul telaio, morta li, suscitando nell’osservato un'alzata di cipiglio a dire: «Lascia perdere, non te la puoi permettere, è un amante esigente». E io non me la potei permettere per parecchio: il braccio era da sgrezzare e poi costava 450mila lire e gli usati allora non giravano su Internet, per il semplice motivo che Internet non esisteva ancora. Cosi come per gli inavvertiti dilettanti, la Prestige si affermò come arma preferita dei grandi professionisti. La usava Thomas Muster, che ci giocava anche in sedia a rotelle quando era infortunato, i fratelli Sanchez, il divino e lunatico Henri Leconte, il viveur impazzito Marat Safin. Mark Philippoussis se ne fece fare una uguale da un’altra marca. Era tutta gente tosta, tiravano forte, NO COMPROMISE. Cosi come Goran, che se ne innamorò da piccolo e mai la tradì, fino a che non riuscì a cadere esausto, ma finalmente felice, sui prati di Church Road. L'unico che mal si adattò fu John McEnroe: la utilizzò una volta sola, a Wimbledon, salvo poi tornare alla sua 200G. Il colore Prestige è il rosso sangue, anche se non sono mancate alcune varianti. Una argento, con il bumper verde, l’unico non affogato fino a metà telaio, croce e delizia degli incordatori, impugnata da Goran, il piccolo Amos Mansdorf, il fine toccatore Jason Stoltenberg. Un’altra versione fu nera e gialla, la serie I, una delle preferite dai professionisti, che coincise anche con la prima versione con il piatto 630, ad affiancare il classico 600. Un noto giocatore italiano, (Simone Bolelli va, diciamolo) ci mise del bello e del buono a lasciarla: si trovava troppo bene con quella. Poi Head decise per il ritorno al classico rosso, e via le versioni si susseguirono. Sul web potete trovare club di estimatori che discutono animatamente se sia meglio la Microgel o la Flexpoint (quella col buco in mezzo). E PER ALCUNI AFICIONADOS INTEGRALISTI, LA SERIE S, LA VERSIONE LITE, È UNA BESTEMMIA; altri ancora rimpiangono il desueto piatto 660. Ma la verità è che la Prestige rimane uno dei pochissimi telai classici della storia e l’unico che nel tempo è rimasto sul mercato, aggiornandosi continuamente. Altri telai mitici forse li avete custoditi gelosamente negli armadi. Li tirate fuori ogni tanto, rimirandoli impolverati con piacere. Ma la leggenda di Prestige continua. Sul campo. Già, perché l'ottimo ufficio marketing ha sputato fuori un modello celebrativo in edizione limitata per festeggiare le nozze d'argento. Un telaio elegante, bellissimo, prezioso. Da veri collezionisti.

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on court

THOMAS MUSTER La Prestige? Un buon giocatore ha bisogno di una buona racchetta. Diventa parte della tua vita. L'ho sempre trattata come qualcosa di speciale. Mi ha accompagnato in tutte le mie vittorie.

GORAN IVANISEVIC Non ho mai voluto cambiarla (e di offerte ne ho ricevute tante!) perché il feeling era davvero unico. È stato anche grazie a lei che da wild card ho vinto il titolo di Wimbledon

HEAD YOUTEK IG LTD. EDITION PRESTIGE MID+

EMILIO SANCHEZ Il tennis è uno sport individuale e devi avere molta fiducia in te stesso. Potevo avere 6-7 telai nella borsa ma in certi momenti volevo giocare con lo stesso. Sempre Prestige, ovviamente.

lunghezza: 68,5 cm ovale: 98 pollici profilo: 21 mm costante peso: 337 grammi bilanciamento: 32,3 cm inerzia: 310 corde: 18 x 20

ROBIN SODERLING Il feeling è davvero difficile da descrivere ma chiunque abbia mai usato una Prestige mi può capire. È una racchetta che mi ha sempre offerto un perfetto mix tra potenza e controllo.

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Solette NOENE Alcuni le tengono appese in casa, come si trattasse di una reiliquia. Le solette Noene hanno risolto problemi fisici in maniera talmente efficace da essere diventate compagne inseparabili per tanti tennisti. Ma di cosa si tratta esattamente? Sono solette di varia natura, che possono sostituire il sottopiede delle scarpe oppure essere infilato sotto (in questo caso è opportuno utilizzare solette da 1 o 2 millimetri che non cambiano la calzata). Parliamo di un materiale vibro-assorbente che elimina (non totalmente, solo al 98%...) i traumi da impatto col terreno. Come non bastasse, ai prodotti più pregiati è stato associato il tessuto Nexus che, grazie alle Onde Infrarosse Lontane, migliora la circolazione sanguigna. Ma chi ne può beneficiare maggiormente? Chi soffre di tendiniti, tensioni muscolari, dolori alla schiena. O anche chi, pur non soffrendo di particolari patologie, desidera un minor affaticamento muscolare.

ST OF

THE BE

2012

H

DI LORENZO CAZZANIGA

o fatto l'istruttore di tennis per sei anni. Lavoro duro, credetemi. Non fosse che per il numero di ore che si passano in piedi. Per spiegarlo, dicevo di togliere le sedie dall'ufficio. «Poi resta pure a far nulla, ma a fine giornata vediamo come ti senti». Poco più che ventenne, tiravi mezzogiorno-undici di sera senza troppa fatica. Quando però si comincia a entrare negli "enta", la situazione cambia. Che tu faccia il maestro o il giocatore di club. Soprattutto se, come accade in particolar modo nel Nord Italia, si gioca spesso su superfici dure, in cemento o sintetico, le quali, pur con tutte le nuove tecnologie applicate, fanno soffrire i tendini più che la vecchia terra rossa. Per questo, appena ricevute le solette per i test, ho subito avvisato qualche maestro, i più inclini a soffrire di tendiniti, affaticamenti muscolari, mal di schiena, ginocchio e gambe. Pronti, via: la coach pro Barbara Rossi ne è rimasta entusiasta al punto da chiedere se gliene facevano alcune su misura da infilare nelle... scarpe col tacco («È quando usi quelle che soffri davvero!». Coach Renato Vavassori ne è rimasto sorpreso: «Ammetto di averle provate per curiosità, più che per convinzione. E invece sono una manna. Soprattutto se il fisico è di quelli importanti, annullare le vibrazioni all'impatto col terreno è fondamentale per finire la giornata senza acciacchi». Opinione condivisa da coach Luca Ronzoni, responsabile dell'Accademia Vavassori a Milano. Uno di quei maestri che fisicamente sono una roccia ma che sul campo ci stanno dodici ore al giorno: «Già e da qualche anno! Finire con qualche problema fisico è inevitabile, soprattutto quando si seguono i ragazzi dell'agonistica o addirittura chi punta al professionismo. Lo sforzo fisico è notevole per gambe, ginocchia e schiena e quindi ben venga tutto ciò che aiuta a superare questi dolori. Certo, non mi aspettavo che una soletta potesse far tanto». Che vi sia anche un certo effetto placebo in tutto ciò? Può anche essere ma onestamente è semplice scoprire quanto sia efficace: basta toglierle. Già, da fedeli accompagnatrici, dopo qualche tempo non ci si rende nemmeno conto di averle ai piedi. Però basta provare a toglierle per accorgersi della differenza. Magari non dopo un'oretta sulla terra per il solito doppietto con gli amici, ma quando si va sotto sforzo prolungato, la differenza si sente, eccome. Anche il sottoscritto, che partiva abbastanza prevenuto sulla loro efficacia, si è dovuto ricredere. Per questo, dovessi votare l'accessorio dell'anno (in mezzo a tanti gadget inutili) non avrei alcun dubbio: solette Noene, please. 127


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TECNICA

TESTA ALTA

VIKTOR TROICKI NON È UN FENOMENO SOTTO RETE. Almeno per gli standard dei top 30 ATP. In questa immagine però, mostra qualcosa di interessante, che può apparire quasi elementare ma che spesso i giocatori di club ignorano o sottovalutano. Nella volée è fondamentale tenere la testa della racchetta alta, sicuramente sopra il livello del polso.Troppo spesso invece, i giocatori di club l’abbassano eccessivamente e finiscono col giocare una volée ascendente e quasi difensiva. Invece bisogna mantenere aggressività: soprattutto se il passante è lento bisogna andare a cercare la palla con le gambe e cercare di prenderla sempre sopra il livello della rete.

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T

A C I N EC

DI LUCA BOTTAZZI

I VANTAGGI DELLA BILATERALITÀ

I VANTAGGI DI ESSERE MANCINI, LE MIGLIORI PERFORMANCE DEI BIMANI E UN CONCETTO DI BILATERALIT BILATERALITÀ FONDAMENTALE PER UNA CRESCITA EQUILIBRATA, SIA A LIVELLO FISICO SIA DI TENNIS, SPIEGATA CON CONCETTI SCIENTIFICI PRECISI

I

l 2012 ha messo in luce nel tennis femminile una fragilità patologica tra le nuove pretendenti al titolo di campionessa del mondo. Le performance di una "vecchia" campionessa quale Serena Williams sono state alquanto rivelatorie circa un rinnovamento che possa essere ritenuto all’altezza della tradizione. Nel tennis maschile le cose sono andate diversamente. La conferma del dominio dei Fab Four è garanzia d’eccellenza. Djokovic ha avuto un calo di rendimento prevedibile in rapporto a un 2011 mostruoso, ma si è comunque confermato numero uno l mondo. Murray si è finalmente imposto vincendo il suo primo Slam e l’oro olimpico. Roger Federer è tornato re di Wimbledon e ha ritoccato vari record della storia del tennis. Nadal invece è stata la vera sorpresa. Sorpresa purtroppo negativa. Nessuno poteva prevedere che lo spagnolo uscisse di scena a metà anno. Questo fatto è stato l’elemento scatenante che ha prodotto gli scenari 2012 favorendo i risultati dei suoi rivali diretti. Con Nadal in gioco, le cose sarebbero andate in modo diverso.Va ricordato che lo spagnolo è in vantaggio negli scontri diretti con Djokovic, Murray e Federer. L’iberico è da sempre indigesto ai suoi avversari, specialmente a Federer. La causa di tutto questo è determinata dal fatto che il maiorchino è probabilmente il secondo campione di sempre. Nadal ha addirittura superato i record sulla terra di Bjorn Borg e come lo svizzero ha vinto tutte le prove dello Slam. Oltre alle straordinarie capacità, alle peculiarità del gioco e alla personalità di Rafa, uno dei fattori che più fanno la differenza a favore dello spagnolo è quello di essere un giocatore mancino. IL GIOCATORE MANCINO Le problematiche che sorgono in termini di vantaggio operativo tra giocatori destrorsi e mancini è una questione che da sempre ha coinvolto tecnici e addetti ai lavori. Questo dilemma è presente anche in altri sport (es. baseball, hockey, boxe, scherma). Prima di entrare nel cuore dell’argomento è opportuno formulare alcune riflessioni. La prima e banale considerazione è che esistono più destri che mancini, per cui il minor esercizio e opportunità da parte dei destrorsi di incontrare avversari mancini e non viceversa, spesso si traduce in un iniziale svantaggio in termini di abitudine. Altro elemento fondante è che per un destrorso la lateralità dominante è la destra, per il mancino invece la sinistra.Attraverso la lateralità dominante vengono eseguite il maggior numero di abilità: servizio, smash e diritto sia di rimbalzo che di volo e di risposta. Questo fattore genera situazioni di vantaggio nell’apertura degli angoli del campo. Di conseguenza per i destrorsi è più semplice e naturale aprire angoli dalla parte destra del campo, per i mancini da quella sinistra. Premesso che ogni giocatore capitalizzi al meglio il vantaggio nel lato di campo a lui più congeniale, si vengono a configurare situazioni strategiche che si riflettono sul punteggio in modo alternato e continuativo. Il destrorso conquista i punti iniziando il gioco dal settore destro del campo e si porta in vantaggio, al contrario il mancino vince quelli dal settore sinistro e riporta il punteggio in parità. Come è noto, durante una partita di tennis questo tipo di sequenza viene interrotta, altrimenti l’incontro proseguirebbe all’infinito. Nella pratica, quando viene rotta la situazione d’equilibrio, prende forma un altro ordine nel punteggio: 1. 40/0 o 0/40, dove il mancino inizierà a giocare per due volte dal suo lato favorevole contro una del destrorso. 2. 40/15 o 15/40, dove entrambi i contendenti inizieranno a giocare nella situazione a loro congeniale una volta a testa 3. 40/30 o 30/40 e vantaggi, dove il mancino inizierà sempre a giocare dal lato di campo favorito per vincere o salvare il game, il set, il match. Analizzando la situazione nella quale i giocatori si trovano a fronteggiare dei break point sia a vantaggio che a sfavore, emerge chiaramente come il giocatore mancino inizi la propria azione di gioco dal suo lato favorevole più volte. In particolare i momenti di punteggio 130


con minimo scarto (40/30, 30/40, vantaggi) sono per il mancino una sorta di esclusiva del vantaggio operativo. Di fatto sono diversi gli aspetti che offrono al mancino situazioni favorevoli. Al giocatore destrorso rimangono le seguenti soluzioni tattiche: 1. Vincere i punti che iniziano dal proprio lato favorevole di campo in modo da portarsi in vantaggio nel punteggio 2. Mantenere il più possibile lo scambio di rimbalzo sulla diagonale di campo favorevole e coprire il centro con la propria lateralità dominante (diritto) prima di cambiare angolo per aprirsi degli spazi. 3. In svantaggio negli scambi da fondo, verticalizzare il gioco, prendere la rete per evitare di essere chiusi nell’angolo sinistro. 4. Chiusi frequentemente nell’angolo sinistro, giocare al centro o in lungolinea. Meglio contrapporsi con un rovescio bimane. PROPOSTA DIDATTICA Gli aspetti trattati sono da sempre stati rilevanti nel tennis maschile perché tempi, spazi, angoli, velocità, ecc., risultano estremizzati. Tuttavia, oggigiorno vi sono meno mancini nei top 10 rispetto al passato anche nel tennis maschile. Questo fatto è in parte determinato dalle racchette di nuova generazione con cui è più facile rispondere. Ma l’elemento che ha fatto la differenza nel determinare il nuovo scenario risiede nel rovescio bimane.Abilità tecnica dove viene sempre più spesso utilizzata, come dominanza, la lateralità opposta (mano, braccio ecc.). Questa strategia esecutiva viene oggi impiegata dalla maggioranza dei giocatori. Chi utilizza il rovescio ad una mano incontra difficoltà superiori. Probabilmente questo è il fattore per il quale Federer vanta un passivo peggiore contro Nadal rispetto a Djokovic e Murray. Se questo aspetto rappresenta una difficoltà per Federer, figuriamoci per gli altri. Di primaria importanza è proporre un approccio metodologico e didattico dell’apprendimento che tenga conto di questi elementi. Una proposta mirata per la scuola tennis è presente nel metodo R.I.T.A. (Associazione Culturale di Ricerca) dove è previsto il sistematico uso della lateralità opposta (arto, mano, ecc.) per lo sviluppo delle abilità speciali. Le motivazioni di questo orientamento didattico si basano su aspetti scientifici che riguardano l’apprendimento attraverso l’ausilio della bilateralità. Il libro Dal bambino al campione di se stesso dedica spazio a temi di importanza basilare in merito al processo di apprendimento dell’individuo, con particolare riferimento a motricità e tennis. La bilateralità è una di queste tematiche.

LA BILATERALITÀ Gli strumenti di apprendimento delle abilità pretecniche si prestano all’uso di entrambi gli arti, aspetto a nostro avviso fondamentale sia per la scoperta della dominanza laterale nei bambini sia per lo sviluppo di abilità nell’uso dell’arto opposto. La dominanza laterale è una predisposizione emisferica che orienta all’uso di uno degli organi pari del corpo con funzione guida e con maggior abilità rispetto a quello opposto. Questa definizione classica è stata rivisitata negli ultimi anni, preferendo al termine dominanza quello di prevalenza o di specificità laterale in quanto, in tutti i movimenti e le azioni, se l’organo prevalente non fosse parzialmente o totalmente assistito dal controlaterale, ridurrebbe notevolmente la sua efficacia. La specificità laterale ha origine prevalentemente genetica anche se le esperienze (intese anche come danni funzionali, miopia, ecc.) possono tendere a sovvertire la predisposizione. Lo sviluppo della prevalenza di un organo rispetto a quello opposto avviene per effetto di spinte innate e acquisite ed è definita lateralizzazione, condizione che si manifesta abbastanza stabilmente verso i 6-7 anni, conferendo capacità di organizzazione e controllo dei movimenti. La prevalenza laterale è definita omolaterale (se riguarda occhio, mano, piede dello stesso emicorpo) oppure crociata (se non vi è corrispondenza). L’esercizio favorisce la lateralizzazione ma è in grado anche di conferire abilità motorie più equilibrate sollecitando la bilateralità. Un movimento appreso attraverso esecuzioni con l’arto dominante viene acquisito in maniera grezza anche con l’altro. È possibile che ciò abbia alla base una sorta di “passaggio di abilità” tra i due emicorpi e che quindi esercitandoli entrambi si possa arricchire il bagaglio motorio di un allievo? I primi studi ad approfondire questo argomento, definito cross-education, avevano come obiettivo la forza muscolare. Diversi autori nel corso degli anni, tra i quali ricordiamo Moritani e De Vries nel 1979, hanno dimostrato che in condizione di immobilizzazione, esercitazioni di forza in un arto generano un lieve incremento anche in quello opposto proprio grazie alle proprietà del sistema nervoso. Lo stesso esito è stato confermato più recentemente da Perez nel 2007, da Anguera nello stesso anno e nel successivo da Cashe, ed è stata ipotizzata l’esistenza di un fenomeno definito Intermanual Transfer Transfer, attivo in esercitazioni semplici eseguite con un solo arto. Correzioni di movimenti stabilmente acquisiti, ma disfunzionali, possono trovare giovamento dall’esecuzione dello stesso fondamentale con l’arto opposto per attivare un processo noto come transfer bilaterale. Nel tennis, la sollecitazione di capacità di entrambi gli arti nell’esecuzione dei fondamentali, riveste notevole importanza anche per favorire il controllo dell’arto superiore controlaterale e renderlo capace di gestire la racchetta con maggiore abilità. In tal modo si favorisce lo sviluppo di quello che oggi in realtà definiamo diritto bimane. Questo si differenzia dal tradizionale rovescio a due mani, guidato dall’arto dominante, in quanto è in grado di esprimere elevata potenza (particolarmente su palle colpite alte), angoli, movimenti preparatori contenuti e impatti frontali, tipici del diritto. Nel corso degli anni abbiamo osservato sistematicamente bambini di dieci anni, ai primi passi del percorso didattico, distinti in due gruppi, uno dei quali sollecitato attraverso esercitazioni specifiche del rovescio bimane, l’altro con una contestuale sollecitazione sensopercettiva e coordinativa di entrambi gli emicorpi, facendo ampio uso della doppia racchetta (abilità pretecnica metodo R.I.T.A.), fino a proporre esercitazioni simmetriche di tutti i fondamentali, con l’eccezione dei colpi sopra la testa. Si è inteso verificare se l’apprendimento dei due colpi di rimbalzo fosse differente nei due gruppi. Dall’analisi dei dati è emerso che il diritto non presentava differenze significative, mentre nel rovescio bimane risultavano più precisi i bambini allenati con la metodologia bilaterale. I nostri riscontri di campo ci fanno ritenere l’ampio uso di entrambi gli arti in grado di produrre risultati migliori, in accordo con molteplici teorie scientifiche che mettono in guardia da una precoce specializzazione potenzialmente responsabile di plateau di apprendimento limitanti la possibilità di sviluppare abilità tecniche plastiche e adattabili. In considerazione dei riferimenti scientifici citati precedentemente, della teoria dell’apprendimento motorio di Bernstein, e degli studi sulla bilateralità realizzati da Starosta nel 1986, abbiamo deciso di sviluppare il nostro percorso didattico, a prescindere dal fatto che l’atleta potesse adottare definitivamente un rovescio a una o a due mani o un diritto bimane. Ovviamente anche per gli arti inferiori è corretto prevedere sollecitazioni bilaterali e simmetriche. Esercitazioni speculari, quindi possono e devono essere proposte sia nel corso della preparazione complementare sia in fase di gioco. LUCA BOTTAZZI, ex giocatore professionista e docente di Scienze Motorie all'Università, commentatore SKY e socio fondatore di R.I.T.A. Per approfondire le tematiche trattate, potete scrivere a info@tennisbest.com 131


SPECIAL MATCH LA PARTITA È UN OTTIMO ALLENAMENTO. PERÒ TALVOLTA PUÒ ESSERE UTILE INSERIRE QUALCHE OBBLIGO IN MANIERA DA RENDERE L’INCONTRO TECNICAMENTE PIÙ PROFICUO. ECCO ALCUNI VALIDI ESEMPI PER RENDERE L’ALLENAMENTO (E LA PARTITA) PIÙ INTERESSANTE.

di MASSIMO SARTORI

COME GIOCARE Succede di trovarsi in tre ad allenarsi ed ecco che allora può scattare il match duecontro-uno, utilissimo soprattutto per il doppio. A rotazione, un giocatore resta da solo a coprire una metà campo (se si vuole allenare il doppio valgono anche i corridoi) con gli altri due avversari a rete. Si tratta di giocare passanti e lob contro volée. La coppia di giocatori può volleare solo nella metà campo coperta dall’avversario. Si giocano match ai 10 punti.

DUE-CONTRO-UNO B

PERCHÉ Per allenare la solidità di passanti e volée. Tutti e tre i giocatori si trovano già in posizione ottimale, e diventa davvero un tentativo di abbattere il muro a rete.

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A

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TUTTI IN ANTICIPO!

B

A

COME GIOCARE Si tratta di uno dei miei schemi di partita preferiti e che ritengo particolarmente utili per i giocatori di club. In sostanza, si tratta di giocare una normalissima partita, anche senza il servizio, ma con un semplice obbligo: rimanere sempre con i piedi dentro la riga di fondocampo. Per il resto, tutto resta normale. Si può giocare in singolare o in coppia, a seconda di quale specialità si vuole allenare. Si giocano match al meglio dei 10 punti.

PERCHÉ Per allenare uno dei punti più deboli (generalmente) dei giocatori di club: l’anticipo. In questo modo, impossibilitati ad arretrare, si può imparare ad aggredire maggiormente la palla, a non aspettarla troppo, a prender eil tempo all’avversario, a scendere più spesso a rete e anche a muoversi rapidamente perché bsiogna avere maggiori riflessi e muoversi più rapidamente. Basta estremi tentativi di recupero e lob difensivi: bisogna giocare alla Agassi e imparare a prendere in mano l’iniziativo dello scambio.

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CORSA E PRECISIONE B

A

COME GIOCARE Schema molto classico ma sempre utile da applicare. In sostanza, si gioca un match normale con la differenza che un giocatore deve coprire solo una metà campo, mentre l’avversario dovrà occuparsi del doppio dello spazio. Si possono giocare match al meglio dei 10 punti, magari alternando i ruoli, oppure interi set come in una normale partita.

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PERCHÉ Sono partite che creano problemi specifici ad entrambi i giocatori (pur in maniera diversa) e che quindi obbligano, talvolta nella loro semplicità, a giocare ragionando. È il caso di questa schema-partita: un giocatore (quello che deve curare solo metà campo) dovrà essere aggressivo e far muovere l’avversario, aspettando al contempo la palla giusta per l’accelerazione vincente. Al contrario, il giocatore che deve coprire tutto il campo, ha scarse chance di fare il punto diretto (visto che l’avversario deve coprire solo metà campo) e dovrà quindi correre tanto ed essere molto solido: sbagliare poco e giocare profondo per forzare l’avversario all’errore.


SERVIZIO E RISPOSTA B

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A

COME GIOCARE Un giocatore si piazza a tre quarti di campo (circa due metri e mezzo dentro la riga di fondocampo) e da quella posizione eseguirà il servizio. Con l’obbligo di scendere a rete. In questo modo ci si abitua gradualmente visto che è uno schema non semplice da applicare (ma molto utile). Al contempo, anche l’avversario avrà a disposizione dei tempi di risposta più brevi. Si giocano dei match al meglio dei 10 punti, alternandosi alla battuta.

PERCHÉ Lo schema serve & volley è sempre meno utilizzato, anche a livello professionistico. Tuttavia, resta un’arma da allenare perché piuttosto utile in doppio o come effetto sorpresa. La risposta non è mai un colpo troppo semplice, quindi ogni tanto battere e scendere diventa un’ottima soluzione perché si obbliga l’avversario a prendere un rischio inconsueto oppure sarà facile governare una risposta mediocre. Al contempo, l’altro giocatore allenerà la risposta, peraltro su un servizio che arriverà veloce, visto che si batte da tre quarti campo.

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SQUASH

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I CAMPI NEL MONDO

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IL NUMERO DELLE STRUTTURE È UN INDICATORE SIGNIFICATIVO per stabilire la forza di un certo movimento sportivo. Come prevedibile, la Gran Bretagna capeggia questa classifica, forte di oltre 5.000 campi, con Stati Uniti e Germania a inseguire, sopra la soglia dei tremila courts. La presenza di un fuoriclasse come Ramy Ashour ha contribuito al boom egiziano, mentre i 1.427 campi dell’Olanda sono impressionanti, se teniamo conto delle dimensioni del Paese. L’Italia è 11esima con 844. Un dato incoraggiante. Soprattutto perché in crescita. E di questi tempi sono parole d’oro.

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ramy ashour

THE

SPECIAL

ONE

UN TALENTO TECNICO STRAORDINARIO, AL PUNTO DA ESSERE CONSIDERATO IL FEDERER DELLO SQUASH. EGIZIANO, 25 ANNI, È GIÀ STATO NUMERO UNO DEL MONDO NEL 2010. E PROMETTE DI TORNARE A ESSERLO MOLTO PRESTO, SE GLI INFORTUNI LO LASCERANNO FINALMENTE IN PACE INTERVISTA DI LORENZO CAZZANIGA

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L

o definiscono il Federer dello squash. E tanto basterebbe a spiegare il talento di Ramy Ashour, 25 anni, egiziano, già vincitore di World Open e World Team Championships e vera star sportiva del suo Paese. A confermare le sue doti, arrivano in soccorso altri soprannomi che gli appassionati gli hanno affibbiato:The Magician, The Artist. Insomma, un vero Special One, per dirla alla Mourinho. Fermato dagli infortuni, resta il giocatore più fantasioso e spettacolare che si possa ammirare su un campo da squash. Come ti sei avvicinato al mondo dello squash? Come spesso accade nel tennis, grazie a mio padre. Avevo sei anni ed è stato un colpo di fulmine. Sin dal principio ho capito che questo era il mio sport. Ma non ho cominciato ad allenarmi seriamente prima dei dodici anni. È stato complicato cominciare a giocare in un paese come l'Egitto? Per nulla e adesso lo è ancora meno. Ci sono tantissimi campi e accademie. È certamente più difficile provare a diventare un giocatore professionista perché ci sono tanti ostacoli creati dal sistema e quindi devi fare tutto da te. Lo sport in Egitto non ha basi professionali così alte: devi trovare le motivazioni dentro di te e poi riuscire a superare le difficoltà che si incontrano, a partire dagli infortuni. Da quale tipo di famiglia provieni? I miei genitori hanno sempre permesso e me e mio fratello un buon standard di vita. Ho potuto allenarmi e lottare sul campo da squash ogni santo giorno della mia vita, anche per restituire tutto ciò che avevo ricevuto, per orgoglio e soddisfazione personale. In particolare mia madre mi ha insegnato a credere in quello che volevo essere e a lottare per ottenerlo. Quando hai capito che potevi davvero diventare il miglior giocatore al mondo? 140

Da un lato ho sempre saputo di poter giocare bene, di avere il talento per fare cose eccezionali sul campo. Dall'altro però... non sono certo l'unico. Da questo punto di vista lo squash non ti offre nessuna garanzia perché ogni match è una battaglia e ci sono diversi giocatori che possono ambire al titolo di numero uno del mondo. Per questo devi sempre allenarti duramente. Se cedi un pochino, ti spazzano via. Cosa pensi del tuo soprannome, Il Mago? Come hai imparato uno stile di gioco così fantasioso? Amo quando mi chiamano Il Mago o L'Artista. Però non bisogna pensare che sia solo talento, tutt'altro. Alla base c'è tantissimo lavoro sul campo. Sono sempre stato convinto che la dedizione e la voglia di migliorarsi siano più importanti del talento. Sei considerato il Roger Federer dello squash: che effetto fa? Dispiace magari non guadagnare quanto lui? Diciamo che prendo solo il lato positivo di questo paragone! Federer è certamente uno dei più grandi sportivi di sempre, in senso assoluto. E sono convinto, molto convinto che un giorno lo squash sarà uno sport famoso quanto il tennis. Per questo è fondamentale il progetto Back the Bid 2020: diventare sport olimpico è un passaggio necessario per raggiungere un certo status. Perché non essere sport olimpico è davvero un limite così importante? Beh, non è un dramma, però soprattutto dispiace che uno sport così bello e che si pratica in 137 paesi del mondo non debba godere della vetrina olimpica. Cosa pensi debba fare la Federazione Internazionale per migliorare la situazione dello squash a livello mondiale?


Sono il Federer dello squash ma non guadagno quanto lui? Mah, diciamo che prendo solo il lato positivo del paragone! Sono convinto che un giorno lo squash sarà famoso quanto il tennis. Ma sarà fondamentale diventare sport olimpico. Credo che la WSF debba essere maggiormente coinvolta in tutte le faccende più significative. Non che la PSA non sia in grado do gestire adeguatamente la situazione ma credo che la WSF dovrebbe essere più partecipe per tener maggiormente conto delle esigenze dei giocatori, così che la PSA non prenda decisioni da sola. C'è qualche regola dello squash che cambieresti per renderlo ancora più affascinante? Maggior apprezzamento per i più forti giocatori del mondo. In ogni senso, dall'hotel all'organizzazione fin quando si scende sul campo di gioco. E poi che la PSA interpelli i giocatori e li coinvolga quando ci sono decisioni importanti da prendere. Nel board PSA ci dovrebbero essere delegati in rappresentanza di differenti nazioni e differenti categorie coinvolte nel mondo dello squash. Hai vinto tanti titoli del circuito mondiale, ma quale ricordi con maggior affetto? Ne dico cinque: Saudi open,Greece Open, World Open, El Gouna Open e Hong Kong Open. In Egitto sei una vera star: è difficile gestire una situazione del genere? Mah, non è complicato anche perché mi conoscono più di nome che di faccia. In Egitto tutto lo sport ruota intorno al calcio e purtroppo del sottoscritto riceve le giuste attenzioni solo se vince un World Open. Dopo la Rivoluzione Araba, come è cambiata la tua vita in Egitto? Al principio pensavamo che la Rivoluzione Araba avrebbe davvero cambiato le cose ma sfortunatamente gli estremisti sono ancora qui e il Paese non ha certo superato la crisi che sta vivendo. È davvero triste: vivo in Egitto e mi accorgo che ognuno fa i propri interessi e non si pensa più alla gente povera che ha

dato inizio a questa rivoluzione, come fossero stati presto dimenticati. Ma il problema è che sono stati proprio i ceti sociali meno abbienti a fidarsi degli estremisti che usano la religione per manipolare la gente meno colta, per confondere i loro pensieri. E adesso la situazione è tornata a essere complicata. Stai già pensando a cosa farai nel dopo carriera? Resterò nel mondo dello squash. Ho già creato la mia Accademia, Inspire Squash Academy, e sarà la mia occupazione principale quando avrò smesso di giocare. Con un occhio, anzi un orecchio alla musica, che è l'altra mia grande passione. Conosci la situazione dello squash in Italia? Che opinione ti sei fatto? In Italia ricordo di aver giocato a Rimini e Riccione e ancora adesso racconto agli amici quanto mi sono trovato bene nel vostro Paese. Credo che in Italia ci siano buoni talenti ma bisogna lavorare più duramente e con maggior convinzione per arrivare al top a livello mondiale. Che rapporto hai con Nick Matthew, l'altra grande star dello squash mondiale? Possiamo paragonare la vostra rivalità a quella di Federer e Nadal? Nick è un campione fantastico. Non conosco che tipo di relazione ci sia tra Federer e Nadal. Io posso dire che con Nick siamo parecchio rivali in campo ma sempre con grande fair play e professionalità. Abbiamo giocato dei match memorabili e sono convinto che ci affronteremo ancora tante volte. Il prossimo grande obiettivo che ti sei posto? Giocare un'intera stagione senza infortunarmi! Tre ottime ragioni per cominciare con lo squash. Si bruciano una quantità di calorie impressionanti. Migliora tantissimo i riflessi e rende più determinati in campo e fuori. In più, se ti piace al principio, diventa una vera malattia. 141


JEKKORA S2

KEAN

DOUBLE AR EASY. Per i giocatori di club alla ricerca di una corda molto resistente che non vanifichi al contempo le qualità della racchetta, consigliamo la Easy, ultima nata in Double AR. Stesso polimero della sorella Challenge ma in

DOUBLE AR CHALLENGE. Il telaio è molto preciso quindi bisogna abbinare una corda in grado di aumentare la potenza senza mandarla fuori giri. La Double Ar Challenge rappresenta il connubio ideale per l’agonista che vuole potenza e precisione ai massimi livelli.

LE CORDE IDEALI

Test LA SCHEDA TECNICA Kean, marchio emergente nell’attrezzatura tecnica da Squash, si affaccia sul mercato italiano con una gamma prodotti rinnovata e dall'ottimo rapporto qualità/prezzo. Fra i prodotti 2012/2013, spunta la Jekkora S2, racchetta essenziale ed equilibrata che strizza l’occhio agli agonisti di alto livello. Grazie ad una estrema armonia fra le componenti del telaio e ad un bilanciamento neutro, la S2 si caratterizza come telaio estremamente preciso e performante in grado di esprimere anche una potenza sorprendente, se posta in mani sapienti, rispetto al peso dichiarato di soli 125grammi, almeno 10 grammi al di sotto dei prodotti top di gamma della concorrenza. Racchetta reattiva e chirurgica nei colpi di chiusura, ha un solo difetto evidente: l’incordatura di serie, davvero non all’altezza della qualità del telaio.

A CHI LA CONSIGLIAMO A chi cerca un telaio molto maneggevole e preciso. Il peso contenuto e il bilanciamento neutro la rendono uno strumento ideale per gli agonisti alla ricerca di un attrezzo rapido. Non chiedetele la potenza dei “cannoni” da 15 grammi di peso in più, ma se volete piazzare la smorzata a un millimetro dal Tin, è la racchetta giusta per voi.


Ottima racchetta, decisamente leggera e maneggevole. Spinge piuttosto bene nonostante non abbia un peso monstre ed è anche molto precisa… quando centro bene l’impatto! Infatti, come con tutti i piatti piccoli, se stecchi o vai fuori dalle corde principali, non ti perdona.

GIOVANNI, 23 ANNI, GIOCATORE DI CLUB

Il segreto di questo telaio è la struttura tubolare del collo e il bialnciamento neutro che offrono alla S2 un ottimo connubio tra potenza dettata dall’effetto frusta e sensibilità.

calibro superiore per garantire potenza e durata senza eguali.

on court

Bella racchetta. Kean è un marchio emergente sistema ancheIlin ItaliaTrusstic e non offre un ottimo facciosupporto fatica a mediale, crederlo. La S2 è una racchetta che mentre la gomma potrebbe Ahar tranquillamente è garanzia di durata. Il far parte dei prodotti a spina top dibattistrada gamma di tutti di pesce modificato i marchi major. si adatta alleUnico varie difetto, l’incordatura superfi ci di gioco. base. Noi professionisti siamo abituati a tagliare subito, ma un giocatore di club – sbagliando – in genere usa la racchetta con le corde di serie. Quelle della S2 sono davvero ingiocabili!

HAMDI, 28 ANNI ATLETA PRO

Racchetta eccellente, efficace, senza fronzoli. Design essenziale, la S2 è votata alla performance di alto livello ma può essere apprezzata anche da giocatori di club alla ricerca di un attrezzo affidabile e resistente ad un prezzo più basso dei concorrenti di livello. Gli amanti del piatto ovale non potranno davvero rimanerne delusi.

MARCO, 45 ANNI ISTRUTTORE

prezzo: 115 euro peso: 125 grammi bilanciamento: neutro corde: 14 x 19

IN LABORATORIO


The End

LA GRANDE SPERANZA. Ogni mattina ho un percorso obbligato che mi spinge a guardare alcuni siti Internet di informazione tennistica.Tra questi Live Tennis mi incuriosisce parecchio. Si tratta di un sito dove trovi i risultati di tutti i giocatori italiani impegnati in tornei professionistici, che si tratti di Wimbledon o di un Futures in Burundi. Immagino che dietro nickname di fantasia, si nascondano cinquantenni che smanettano di nascosto, vecchi e nuovi appassionati che litigano per Fognini e la Schiavone, addetti ai lavori che si celano dietro un soprannome improbabile per tirare anatemi contro questo o quello. Discutono di qualsiasi aspetto, di qualsiasi giocatore, di qualsiasi risultato, come se la vittoria di un Brizzi al primo turno del Challenger di Casablanca possa cambiare le sorti della loro serata. Tuttavia, l'apice lo si tocca quando compare una qualsiasi notizia su Gianluigi Quinzi. In uno degli ultimi tornei Futures che ha giocato il 16enne di Porto San Giorgio, si è sfiorato quota mille commenti. Ora, mi ha affascinato l'idea che qualche centinaio di persone fosse attaccata ad un computer per seguire un live score di una partita di un Futures sudamericano da 10.000 dollari di montepremi. Pare che in un caso, il sito di un torneo cileno sia andato perfino in tilt, visto che non era stata prevista l'ondata di utenti italiani a caccia di notizie su GQ, iniziali pronte a sfidare come marchio quello della nota rivista maschile. Un'attenzione spasmodica, forse perfino esagerata, quella rivolta al fenomeno marchigiano e che, va detto, lo stesso Gianluigi (e il suo staff) sanno gestire senza troppi fastidi. Tuttavia, il lato più interessante della vicenda è che tutto ciò dimostra la fame che gli appassionati hanno di tennis ma soprattutto di (ri)trovare un campionissimo, che ci manca da trent'anni, quando Adriano Panatta e Corrado Barazzutti hanno appeso la racchetta al chiodo. Abbiamo avuto campionesse Slam, finaliste di Roland Garros, tre top 10 negli ultimi anni e trasformato la Fed Cup in un affaire italiano. Brave, bravissime. Ma l'appassionato medio vuole anche (soprattutto) il campione maschio.Vuole Alberto Tomba.Vuole Valentino Rossi. E spera di averlo trovato in GQ. Qualcuno ha alzato dei dubbi per una programmazione volta soprattutto a vincere partite e apparire un fenomeno di precocità piuttosto che a lavorare sugli aspetti tecnici. Massimo Sartori, che con Andreas Seppi ha già dimostrato di sapere come si crea un campione, mi ha detto: «Stanno portando avanti questa strategia da sempre e fino adesso ha funzionato. Sono determinati e coscienti di quello che stanno facendo. Quindi è giusto così». La strada verso l'Olimpo del tennis è ancora lunga. Ma i primi passi fanno ben sperare. 144



Esplorare la vita

Realizzare i sogni

Science For A Better Life

Ci sono già sette miliardi di individui che vivono sul nostro pianeta e il numero continua a crescere di duecentoventi mila unità ogni giorno. Come si può garantire l’alimentazione a un numero sempre maggiore di persone senza arrecare danni all’ambiente? Come si può accre r scere re r il benessere re r di ognuno re e prevenire le malattie? Come sviluppare materiali nuovi che aiutino a conserv r are le risorse? rv La ricerc r a Bayer contribuisce a fornire rc r soluzioni re migliori a tali problematiche. La società è costituita da tre aree di business: Salute, Agricoltura e Materiali Innovativi. Campi nei quali Bayer è già un leader globale e la cui import r anza per il rt futuro dell’umanità cresce ogni giorno. www.bay a er. ay r it r.


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