Annuario 2018 - CAI Morbegno

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ANNUARIO 2018

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SOMMARIO

CAI Club Alpino Italiano Sezione di Morbegno

Via San Marco Tel. e fax 0342 613803 e-mail: info@caimorbegno.org www.caimorbegno.org

ANNUARIO 2018

FLEMATTISSIME di Giuseppe Popi Miotti

Redazione:

Alessandro Caligari, Lodovico Mottarella, Marco Poncetta

CON GLI SCI AL PIZZO TRE SIGNORI di Mirco Gusmeroli

Hanno collaborato: DesirĂŠe Barbetta, Alberto Benini, Alessandro Caligari, Giovanni Cerri, Pietro Corti, Aurora Curtoni, Oscar Del Barba, Emil Del Nero, Annalisa Gadola, Mirco Gusmeroli, Elisabetta Manni, Marco Marchetti, Riccardo Marchini, Giuseppe Popi Miotti, Lodovico Mottarella, Chiara Piatti, Marco Poncetta, Riccardo Scotti, Mariella Spandrio, Francesco Spini, Mario Spini.

Fotografie: Arch. Alberto Benini: 22,23 Gianfranco Cason: 68, 69 Giovanni Cerri: 70, 71, 84, 85 Arch.Alfredo Corti: 17 Emil Del Nero: 62-63, 64, 65(sotto), 66, 67, 72-73, 74, 75 Mirco Gusmeroli: 10-11, 12, 13 Riccardo Marchini: 43, 44, 45, 80-81, 82, 83 Giuseppe Popi Miotti: 6, 7, 8, 9 Lodovico Mottarella: I, II, III, IV di copertina, 4, 5, 14-15, 16, 18, 19, 20-21, 24, 25, 26-27, 28, 30-31, 32-33, 46, 47, 48-49, 52-53, 54, 55, 87, 88 Marco Poncetta: 59, 61(sotto), 65(sopra), 76, 77, 78, 79 Archivio Riccardo Scotti: 17 Mario Spini: 56-57, 58, 60, 61(sopra)

IL GHIACCIAIO DI PREDAROSSA di Riccardo Scotti

INIZIO XX SECOLO di Alberto Benini

MORBEGNO CITTÁ ALPINA 2019 di Oscar Del Barba

L'ARRAMPICATA CHE VERRÁ di Alessandro Caligari

IL CAI E LA SCUOLA di Riccardo Marchini

Progetto grafico e realizzazione: Mottarella Studio Grafico www.mottarella.com

Stampa: Tipografia Bonazzi

ATTIVITÀ Corso di scialpinismo Rallyno della Rosetta Grignone con gli sci Val Formazza

Punta San Matteo Corso di arrampicata Monte Grona Pizzo Scalino

Speleologia Legnone Alpinismo Giovanile Gruppo 2008

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«Abbiamo un sogno: unire l’Italia intera in un grande abbraccio, attraverso la percorrenza a piedi degli straordinari territori che il nostro Paese è in grado di offrire non appena si abbandona la strada asfaltata»: è questo l’intento che il Club Alpino Italiano si è prefissato quando è stato pensato il Sentiero Italia. Un unico itinera rio escursionistico di oltre 6000 km, il più lungo al mondo, collega le regioni della nostra penisola e raccoglie il grande fascino, la bellezza e le tradizioni del nostro territorio. Il Sentiero Italia si sviluppa lungo l’intera dorsale appenninica, da nord a sud, sul versante meridionale delle Alpi e comprende anche Sicilia e Sardegna. È stato ideato nel 1983 da un gruppo di giornalisti escursionisti e il CAI lo ha fatto proprio nel 1990: grazie al fondamentale contributo delle sue Sezioni, sono stati individuati nel dettaglio il percorso, le tappe e la segnaletica (attualmente è quasi completo, lo trovate indicato con i colori bianco e rosso e la dicitura “S.I.”). Il 2019 sarà l’anno dedicato al cammino lento, istituito per valorizzare i territori italiani meno conosciuti dal turismo internazionale e rilanciarli in chiave sostenibile favorendo esperienze di viaggio innovative, dai treni storici a alta panoramicità agli itinerari culturali, dai cammini alle ciclovie. Si tratta di una strategia di sviluppo finalizzata alla tutela e alla riproposizione innovativa di luoghi, memorie, conoscenze e artigianalità che fanno del nostro Paese un luogo unico. In questa occasione, il CAI s’impegna per far sì che il Sentiero Italia possa essere usufruito in tutte le sue potenzialità. Lo scorso giugno, durante la conviviale numero cinque del Panathlon Club di Sondrio, che si è tenuta presso l’agriturismo “La Fiorida” di Mantello e a cui anche io ho partecipato, Vincenzo Torti, presidente generale del Club Alpino Italiano dal 2016, ha ricordato gli obiettivi della nostra associazione: valorizzare la montagna in ogni suo aspetto, difendere l’ambiente naturale e parlare ai giovani. E il Sentiero Italia vuole essere tutto questo. La nostra associazione s’impegnerà nella valorizzazione di questo patrimonio nazionale: la prima fase del progetto riguarda la ricognizione del percorso originario per valutarne la situazione attuale e individuare le varianti che si rendessero necessarie per risolvere problemi di percorribilità e ricettività. Tra le priorità c’è sicuramente quella di mettere a disposizione tutti gli strumenti necessari per affrontare le terre alte in totale sicurezza: non sempre la montagna è facilmente accessibile, occorre quindi avvicinarla con intelligenza e con la consapevolezza dei propri limiti, sapendo fermarsi quando è necessario. Come ha sottolineato Torti: «La montagna, quella vera, non è una battaglia con il cronometro, ma è una sfida con se stessi». Anche la nostra provincia è interessata da questo importante trekking: il Sentiero Italia si sviluppa su tre itinerari del settore Nord, il primo che va dalla Valchiavenna (Novate) alla Valmalenco, il secondo dalla Valmalenco a Livigno, il terzo da Livigno per il passo Gavia fino alla provincia di Brescia. La nostra sezione non mancherà di valorizzare la bellezza dei nostri sentieri, i loro scorci suggestivi e offrirà, come sempre, delle occasioni di condivisione e convivialità per vivere la montagna nello spirito del Club.

E D I T O R I A L E di Marco Poncetta

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Flemattissime L’incredibile viaggio di Umberto Flematti di Giuseppe "Popi" Miotti

Salendo il regolare sentiero che da Les Contamines porta verso il rifugio Tré-La-Tête il passo era ritmato da mille pensieri. Stavo per fare la conoscenza con una persona speciale o almeno che io consideravo tale. Il suo nome mi era balzato agli occhi molti anni prima, leggendo un libro ‘Le mani sulla roccia’ del celebre alpinista Renè Desmaison, il Walter Bonatti francese. Raccontando della sua storica prima salita invernale al Pilone Centrale del Monte Bianco l’alpinista non lesinava lodi al suo compagno, il giovane Robert Flematti. “Che strano - pensai - Flematti è un nome tipico di Spriana e paraggi.” Tutto finì lì. Passarono gli anni e mi dimenticai della faccenda finché, per motivi che non ricordo bene, ne parlai all’amico Michele Comi che, dopo alcune ricerche, confermò l’esattezza delle mie supposizioni. Inutile dire che per uno come me, che ama esplorare montagne e pareti poco note così come le figure di grandi alpinisti misconosciuti, la conferma di quel che pensai anni 8 CAI MORBEGNO

prima fu la molla per iniziare un’indagine più accurata. Venni così a sapere che una casa editrice di Chamonix aveva pubblicato le memorie di Flematti in un volumetto intitolato ‘Flemattissime’. Non senza fatica riuscii a procurarne una copia, per leggervi una vicenda che mi commosse e mise in moto uno dei miei soliti progetti spesso troppo idealistici. Credo che nessuno in valle, neppure a Spriana, sapesse gran che del valore umano e alpinistico di colui che ancora chiamavo Robert. Che bello sarebbe stato provare a riannodare alcuni fili e far conoscere il personaggio ai suoi antichi convalligiani; riportare Robert in Valmalenco e magari rendere merito anche qui alle sue imprese, alla sua storia. Eccomi dunque alle prese con ‘Flemattissime’. È un libro di piccolo formato, poco

più di duecento pagine scritte con un carattere ben leggibile e righe ben distanziate; quindi, sebbene con un po’ di fatica e con l’aiuto di mia figlia Silvia, non è stato difficile ripercorrere le avventure di Umberto. Volevo essere preparato visto che l’avrei incontrato al rifugio gestito dalla sua compagna Marielle e dove ama soggiornare nel periodo estivo. Infatti, scrivendo al rifugio un po’ in inglese, un po’ in italiano e un po’ nel mio stentato francese, seppi che Umberto sarebbe stato lassù ai primi di agosto. L’aiuto fornitomi dal Ragno di Lecco Mario Conti facilitò le cose e così, solo soletto, eccomi finalmente sulla soglia del Tré-La-Tête. Entro, mi presento e una gentile biondina mi fa strada fino allo spazio esterno posteriore dove, davanti ad una birra, al riparo di un ombrellone, siede Umberto. Un rapido saluto, un invito a sedere e a fargli compagnia con un’altra birra, che francamente anelavo da un po’, e inizia questo strano incontro. Mi rendo conto di essere un poco


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pazzo ma, come fu per Alfonso Vinci, anche per Flematti è la stessa cosa: spesso capita che queste figure "trascurate" custodiscano storie anche più interessanti di altri alpinisti celebrati dai media. Domande ne avrei molte ma, non so perché, preferisco starmene seduto con lui a godere la giornata, a osservare l’andirivieni dei turisti e a condividere qualche commento sulle signore e signorine che passano abbastanza numerose. Umberto mi pare un patriarca che sorvegli bonariamente il luogo e per fortuna parla abbastanza bene l’italiano inserendo anche qualche parola di chiara origine dialettale. Ha uno sguardo difficile da interpretare: è sicuramente fiero, ma i suoi occhi sembra che guardino il mondo attraverso un velo di malinconica, distaccata ironia, come è tipico di chi ha vissuto, nella propria vita esperienze di grande intensità, a volte anche tragicamente sofferenti, come la perdita di un figlio. Qualcuno passa e viene a salutarlo con gran calore e reverenza; due parole sui ghiacciai che si sciolgono, un cenno all’ami italien, che sarei io, e il tempo vola parlando del più e del meno. Scopro così che Flematti è tornato qualche volta a Spriana ed è andato anche a sciare sulle piste del Palù: a quanto pare un filo di collegamento l’ha voluto tenere anche lui. La cosa mi spinge ad avanzare lì per lì una proposta forse azzardata, ma che a mio avviso non può che essere vincente: “Umberto, che ne dici di tornare in Valmalenco e magari ricevere la Pica de Crap, premio che danno annualmente a grandi nomi dell’alpinismo? 10 CAI MORBEGNO

La tua attività e la tua vicenda umana lo meriterebbero e sarebbe bellissimo! E se questo non sarà possibile si potrebbe pensare a un riconoscimento speciale nell’ambito della stessa manifestazione.” Colgo sul suo volto un lampo di compiacimento, ma è proprio solo un lampo, seguito da un gesto affermativo. “Bene – penso – forse non sarà facile convincere la Fondazione Bombardieri ed Elio Parolini, geniale ideatore della Pica de Crap, ma ci voglio provare. Poi potremmo anche proporre al Comune di Spriana un gemellaggio con Arrens; sarebbe bello.” A Spriana ci furono le prime guide di Valmalenco e una di queste, Antonio Flematti detto il ‘Gatt’, accompagnò una comitiva di sondriesi durante

la prima salita italiana al Monte Disgrazia nel 1874. La mia fantasia volava: “E se il ‘Gatt’ fosse un lontano avo di Umberto? Ecco un’altra curiosa liaison.” Arrens è invece il paese dei Pirenei dove Umberto è approdato dopo che con la madre e il fratello maggiore, a soli quattro anni, ha affrontato un viaggio di emigrazione per raggiungere il padre che lavorava laggiù nei cantieri idroelettrici. Era 1946 e potete immaginare le peripezie vissute dai tre, non dissimili da quelle degli odierni migranti, compreso un respingimento con forzato ritorno a valle sulla frontiera del Piccolo San Bernardo. Riportata in Val d'Aosta dai gendarmi francesi la coraggiosa e caparbia mamma di Umberto non si arrese: rifece la salita


verso il valico nottetempo, riuscendo così a passare. Il borgo pirenaico diventò presto la nuova patria di Umberto che, grazie all'interessamento del sindaco del paese, il quale si fece carico delle spese, riuscì a prendere il brevetto di guida alpina per poi diventare istruttore della Scuola Militare di Alta Montagna francese. La fama giunse sul finire degli anni ‘60 quando Desmaison lo scelse come compagno in alcune delle sue più temerarie imprese invernali. Tuttavia, a differenza del maestro e forse anche un po’ per il suo DNA malenco, Flematti si tenne alla larga da pubblicità e sponsor: lui, come ci fa sapere, scalava perché amava profondamente le montagne e l’avventura, nulla più. “Umberto vorrei anche scrivere

qualcosa su di te per il notiziario della Banca Popolare di Sondrio, e avrei bisogno di qualche foto, di documenti. Come facciamo? Hai un indirizzo di posta elettronica? Un sito internet?” Lui mi rivolge lo stesso sguardo di poco prima, quando alla mia domanda se fosse membro di qualche gruppo guide mi aveva risposto: “No, né Saint Gervais, né Chamonix. Libertè, libertè.” Capisco che toccherà fare alla vecchia maniera. Mi lascia un indirizzo e scopro così che non ha neppure il telefono. Due foto e poi giù verso valle con la testa piena di pensieri: "Eccoti qui - mi dicevo - ti sei fatto intrappolare ancora una volta dalla curiosità...” Perché so già che tornato a casa proverò a realizzare il sogno.

Nella pagina a fronte: Popi Miotti con Flematti al rifugio TrĂŠ-La-TĂŞte. Qui sopra: i Piloni del monte Bianco e copertina e pagina del libro di Flematti. A pagina 9: la parete nord delle Grandes Jorasses

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di Mirco Gusmeroli

GRAN TOUR sul Pizzo Tre Signori di Mirco Gusmeroli

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L’idea di questo meraviglioso itinerario è balenata nella mente dell’amico Cristian che, essendo guida alpina, vorrebbe proporlo ai suoi clienti, non prima però di averlo percorso almeno una volta. Ed eccoci quindi a pianificare l’uscita. La traversata si suddivide in quattro tappe, quella che andrò a raccontare corrisponde alla seconda che, dai Piani di Bobbio, conduce al rifugio Salmurano passando attraverso il Pizzo Tre Signori, vetta molto popolare e, lungo la via normale, frequentatissima. Il suo nome ricorda che un tempo, sulla sua vetta, si incontravano tre antiche giurisdizioni politiche, signorie appunto: il Ducato di Milano la Serenissima Repubblica di Venezia e le Tre Leghe che dominarono la Valtellina dal 1512 al 1797. Ancora oggi conserva una funzione simile essendo punto d’incontro fra tre province lombarde: Lecco, Bergamo e Sondrio.

Si parte! Optiamo per i mezzi di trasporto pubblico coi quali raggiungiamo il piazzale della funivia che conduce ai Piani di Bobbio. Scesi dalla funivia ci affrettiamo a calzare gli sci e, sfruttando la pista di fondo, raggiungiamo il cartello segnavia del sentiero 101 (indicazioni per il riufugio Grassi). Puntiamo a nord attraversando un bosco che ci porta ad aggirare il monte Chiavello (1785 m). In leggera discesa raggiungiamo il passo del Cedrino (1656 m) e, dopo alcuni saliscendi, raggiungiamo il passo del Gandazzo (1660 m). Visto la poca neve, decidiamo di risalire a piedi il costone meridionale dello Zucco del Corvo (1980 m) senza arrivare in cima. Cerchiamo di intuire dove corre il sentiero, in un passaggio esposto scorgiamo affiorare dalla neve delle catene, le

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seguiamo per alcune decine di metri prima di rimettere gli sci. Ancora poco e raggiungiamo il Passo del Toro dal quale puntiamo al monte Foppabona (2082 m). Anche qui, come allo Zucco del Corvo, rinunciamo alla cima ma, con un bel traveso, raggiungiamo la bochetta di Foppabona (1985 m). Piccolo piccolo si vede il Rifugio Grassi che raggiungiamo attraversando il versante orientale dello Zucco di Cam (2196 m), ci rifocilliamo e siamo pronti a ripartire. Procediamo per cresta e, per evitare saliscendi, dove è possibile traversiamo a mezza costa seguendo, in un tratto 14 CAI MORBEGNO

particolarmente esposto, anche delle catene che affiorano dalla neve. Agganciati gli sci allo zaino calziamo i ramponi e, picca in mano, risaliamo la cresta che si fa sempre piu ripida. Per salire al Pizzo Tre Signori dobbiamo percorrere la via del caminetto, non estrema ma, in presenza di neve, sufficientemente esposta tanto da farci procedere con estrema cautela. In alcuni passaggi sono utili le catene che qua e là la neve lascia scoperte. Con la neve che scricchiola ad ogni nostro passo, percorriamo un’ultima rampa ripida che termina in una comoda cengia,

qualche metro ancora e siamo in vetta! Suona un po strano, per me che lo salivo per la prima volta, farlo da un versante che non fosse quello di casa, quello di Val Gerola e per di piÚ in pieno inverno! Per questo la domenica seguente lo salirò poi da Gerola percorrendo la Valle della Pietra. Ma ritorniamo in vetta, la giornata, meteorologicamente non perfetta fa si che il panorama non sia dei piÚ eccitanti ma accontentiamoci! Si fa tardi e abbiamo ancora molta strada da percorrere. Calziamo gli sci per scendere, in neve spettacolare, fino alla


Bocchetta d’Inferno (2306 m). Sci sullo zaino, ramponi ai piedi e picca in mano, risaliamo la cresta che porta al Paradisino (2450 m), e giù di nuovo a capofitto in una discesa meravigliosa nella Valle di Trona. Risaliamo alla Bochetta di Valpianella (2224 m), traversiamo a sinistra fino all’imbocco del Canale dei Vitelli. É tardi, la visibilità è scarsa, alla luce delle frontali scendiamo il canale e risaliamo velocemente in diagonale alla Bocchetta di Salmurano (2017 m), da qui scendiamo al Rifugio Salmurano. La traversata è terminata, ora resta da capire chi ci porta da Pescegallo a Morbegno alle nostre auto? Arrivati al rifugio ordiniamo al Carletto due birre medie e... le chiavi del suo pick up! “Ok per le medie, ma le chiavi solo se guidate prudenti!” Ultima discesa, questa volta in pista, per concludere la giornata dopo 22 km e 2000 m di dislivello. Tirando le somme credo che questo sia forse l’itinerario più impegnativo da me compiuto sulle Orobie, dislivello a parte sono numerosi gli aspetti da valutare, dall’esposizione varia, ai passaggi obbligati, esposti, numerosi saliscendi e la condizione della neve che, per nostra fortuna, non era abbondante. Ringrazio Cristian per avermi proposto di provare con lui questo impegnativo itinerario, dal quale porto con me, oltre alla grande soddisfazione, tanta esperienza che per la pratica dello scialpinismo non è mai sufficiente. CAI MORBEGNO 15


IL GHIACCIAIO DI

PREDAROSSA ad un passo dalla frammentazione di Riccardo Scotti

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Nell’ormai lontano 2003 Lodovico mi chiese un articolo sulla storia del ghiacciaio di Predarossa per il primo annuario del CAI Morbegno. Detto fatto, chiusi l’articolo il 18 agosto quando le incredibili vampate di calore di quella eccezionale estate si stavano lentamente spegnendo. La richiesta non era casuale, stavamo vivendo un periodo che ha rappresentato un punto di svolta nella storia climatica delle Alpi. Picchi di temperatura mai visti prima, flussi di aria subtropicale perduranti per settimane e settimane stavano flagellando l’Europa colpendo i ghiacciai con tassi di fusione eccezionali. Probabilmente nell’immediatezza degli eventi, alla spasmodica ricerca di un minimo di refrigerio, che neppure in montagna si riusciva a trovare, non ci si stava ancora rendendo conto appieno della catastrofe in atto. Il bilancio a fine estate parla del 10 % del ghiaccio delle Alpi scomparso in soli 3 mesi e, conseguenza sconosciuta ai più, almeno 70.000 persone decedute oltre alla media del periodo in tutta Europa. Negli ultimi 15 anni cos’è successo? L’eccezionalità del 2003 è andata in qualche modo sfumando poiché, pur senza più ripetere una sequenza di ondate di calore tanto intensa e prolungata, molte estati hanno visto lunghe fasi calde avvicinandosi molto a quello che era considerata un’estate irripetibile. I ghiacciai hanno così continuato a ridursi a velocità talvolta persino superiori a quelle registrate nel 2003 e fino a 7 volte più rapidamente rispetto ai decenni antecedenti il 1990. CAI MORBEGNO 17


Il ghiacciaio di Predarossa

Grazie al fatto di essere l’unico ghiacciaio visibile dal centro di Morbegno e dai monti sovrastanti, e forse anche per la relativa accessibilità, da sempre esiste uno stretto legame fra il ghiacciaio di Predarossa ed i morbegnesi. Tralasciando in questa sede le note più tecniche riguardo le caratteristiche e la storia del ghiacciaio (le potete trovare sia nell’annuario 2003 che sul più recente volume “I ghiacciai della Lombardia”), le sue fluttuazioni storiche sono state sostanzialmente in linea con i ghiacciai limitrofi. Come testimoniano le imponenti e bellissime morene laterali, all’apice della Piccola Età Glaciale il ghiacciaio era ben diverso dall’attuale. Collegato al ghiacciaio di Pioda Sud tramite il Passo Cecilia, comprendeva anche il piccolo ghiacciaio di Corna Rossa raggiungendo i 2250 m s.l.m. della seconda piana di Predarossa ed occupando complessivamente 2.04 km2. La sua superficie si è progressivamente ridotta tanto che al 2012 occupava 0.55 km2 ai quali vanno sommati gli 0.04 km2 del piccolo Corna Rossa per un ritiro complessivo del 71.1 %. Questo dato, molto significativo, è più elevato della media alpina che si attesta sul 60%. In assenza, per il momento, di dati più aggiornati riguardo la contrazione di superficie, sappiamo dai rilievi di campo che anche dopo il 2012 il ghiacciaio ha continuato nella sua drammatica involuzione. Nel 2008 sono state posizionate delle paline

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Nella pag. 14-15: il M.Disgrazia e il Ghiacciaio di Predarossa dalla Punta centrale dei Corni Bruciati Nella pagina a fronte: Morbegno e il ghiacciaio dalla vetta del M.Disgrazia nel 1987 Qui a fianco e sotto: il ghiacciaio di Predarossa ad inizio '900 in una foto scattata da Alfredo Corti e nel 2015 In basso: due immagini del ghiacciaio riprese nel 1994 (sopra) e nel 2010 (sotto)

ablatometriche nella parte alta del ghiacciaio, poco a monte della fronte secondaria della colata che scende dalla Sella di Pioda. I dati raccolti dall’operatore del Servizio Glaciologico Lombardo (SGL) Luca Farinella testimoniano una perdita di spessore di 12 m di ghiaccio in 10 anni alla rimarchevole quota di 3100 m s.l.m.. Di questi, ben 4.8 m sono andati perduti nelle ultime due estati, a testimonianza di condizioni climatiche particolarmente sfavorevoli. La fronte del ghiacciaio si è ritirata a tal punto che la serie di misure iniziata nel 2008 verrà interrotta entro un paio di stagioni per sopraggiunto esaurimento dello spessore di ghiaccio residuo in questa porzione del ghiacciaio.

Gli ultimi anni, verso una divisione

Sempre lungo il ripido scivolo che conduce alla Sella di Pioda, la forte perdita di spessore ha sostanzialmente diviso in due il ghiacciaio. A testimonianza del ghiacciaio osservato nei decenni passati, rimangono dei minuscoli lembi di ghiaccio privi di alimentazione. La completa suddivisione avverrà probabilmente la prossima estate quando assisteremo alla nascita di un nuovo ghiacciaio, il “Sella di Pioda”, un pezzo di Predarossa che si mette in proprio, se così si può dire. Il nuovo ghiacciaio, vista la sua distanza dalla grande parete sud del Disgrazia, godrà di un contributo valanghivo piuttosto contenuto. Nonostante questo fattore sicuramente limitante, CAI MORBEGNO 19


sviluppandosi da una quota elevata, beneficerĂ  sovente di grossi accumuli eolici nei pressi della Sella di Pioda che persino negli ultimi drammatici anni sono riusciti a resistere alle estati caldissime. Questi hanno garantito al ghiacciaio un minimo di protezione e di produzione di nuovo ghiaccio, e si spera che, nonostante il graduale aumento delle temperature, lo faranno ancora per qualche anno. Il restante ghiacciaio di Predarossa, posizionato ad una quota piĂš bassa, dovrĂ  invece farsi bastare le grandi valanghe provenienti dal Disgrazia e sperare che la sua copertura detritica continui ad aumentare per rallentare il processo di ritiro con tutta probabilitĂ  irreversibile.

L’enigma delle morene misteriose

Durante la salita al Rifugio Ponti, appena terminata la salita che divide la prima piana (quella principale), dalla seconda, il sentiero devia decisamente a sinistra ed inizia a risalire il versante destro idrografico della valle. In questa zona si incontrano una serie di collinette alternate a piccole torbiere. Questi ammassi di detrito, disposti in modo apparentemente casuale, visti dall’alto prendono un senso e disegnano archi abbastanza regolari che chiudono la piana verso valle. Si tratta di due antiche morene, ovvero accumuli di detrito lasciati dal ghiacciaio all’apice di una sua fase di avanzata. Non essendo mai state datate per motivi economici, rappresentano da anni un rebus in ambito paleoglaciologico poiché si trovano 20 CAI MORBEGNO

in una posizione ambigua e difficilmente inquadrabile rispetto alle sequenze di morene che si trovano altrove nelle Alpi. Considerando la loro quota e posizione all’interno della valle, potrebbero essere state deposte recentemente, durante la Piccola Età Glaciale, in particolare nella fase di avanzata di inizio 1600. A sfavore di questa ipotesi la loro grande distanza (800 m) dalla massima avanzata del 1850 posta molto più a monte quando in genere le morene del 1600 e quelle del 1850 sono distanziate di poche decine di metri. Una seconda ipotesi le vede come morene risalenti all’inizio della fase fredda dello Younger Dryas risalente a ben 13.000 anni fa. Morene di questa fase sono molto molto frequenti nelle Alpi (stadiale Egesen), ma in genere si trovano a quote più basse, e tendenzialmente molto molto distanti dalle morene

della Piccola Età Glaciale. Queste due ipotesi prevedono in ogni caso un comportamento anomalo ed un po’ misterioso del Predarossa rispetto a quasi tutti i ghiacciai alpini. Una terza ipotesi vede queste morene come testimonianza di avanzate accadute poco dopo lo Younger Dryas, all’inizio dell’olocene (11.000-9.700 anni fa). Questa tesi se mai potrà essere confermata, risulterebbe ancora più significativa poiché in genere in altre località alpine le morene relative a questo periodo non sono certo così evidenti e ben conservate come quelle del Predarossa. Un enigma che ci lascia intendere come molto sia ancora da scoprire dei ghiacciai del passato e che il Predarossa, anche se dovesse scomparire completamente nei prossimi decenni, ci lascerà delle testimonianze geomorfologiche fondamentali per conoscere il clima del passato ed aiutarci a prevedere quello del futuro.


LA SALITA AL M.DISGRAZIA Monte Pioda 3431 Sella di Pioda 3387

Monte Disgrazia 3678

Rifugio Ponti 2559

PUNTO DI APPOGGIO Rifugio Ponti (2559 m) in Valle di Predarossa raggiungibile in 1,30 h da Predarossa. La strada che sale, da Filorera a Predarossa, prevede il pagamento di un pedaggio DISLIVELLO: 639 m da Predarossa al Rifugio Ponti (da 1920 a 2559) 1119 m dal Rifugio Ponti alla vetta (da 2559 a 3678 m) TEMPI: 3,30/4 h dal Rifugio Ponti DIFFICOLTÀ: salita senza particolari difficoltà (PD+), il ghiacciaio di Predarossa non offre particolari ostacoli e la cresta varia a seconda dell’innevamento, salita su neve e poche rocce ad inizio stagione, su rocce facili e misto a stagione inoltrata. ATTREZZATURA corda, piccozza, ramponi, qualche moschettone, cordini e fettucce DISCESA per la via di salita

E’ la vetta più alta della Val Masino (3678 m) e presenta salite di notevole interesse su ghiaccio e misto, di seguito é proposta la salita della via normale che offre, a fronte di difficoltà non eccessive, grosse soddisfazioni e panorami difficilmente eguagliabili. Dal Rifugio Ponti si scende alla morena che si percorre sul filo fino al suo termine dove si sale sul Ghiacciaio di Predarossa. Si risale il ghiacciaio mantenendosi inizialmente sulla sinistra per portarsi poi al centro fin sotto la Sella di Pioda (3387 m). Dalla sella si piega a destra fino a risalire un canalino che porta fino ad un intaglio di cresta. Si segue la cresta su rocce di facile serpentino, badando ad inizio stagione alle grosse cornici sporgenti sulla parete nord, si raggiunge l’anticima. Da essa, superando il “Cavallo di bronzo” in breve alla vetta.

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INIZIO

XX

SECOLO la S.E.M. alla scoperta

della Bassa Valtellina di Alberto Benini e Pietro Corti

Nata a Milano nel 1891, la Società Escursionisti Milanesi (S.E.M.), dal 1902 si dotò di un proprio organo a stampa denominato significativamente “Le Prealpi : rivista trimestrale della Società Escursionisti Milanesi”, quasi per un ironico confronto con “Le Alpi”, organo assai più autorevole (fin dal titolo) del Club Alpino Italiano, la cui sezione milanese era nata nel 1873. Proprio sul primo fascicolo di “Le Prealpi” Paolo Caimi, che oltre ad esser membro della Società è anche il titolare della tipografia di Cernusco Lombardone dove si stampa la rivista, pubblica un articolo dedicato alla linea ferroviaria Sondrio-Tirano che, con l’elettrificazione introdotta giusto nell’ottobre del 1902, offre un elemento di novità e di applicazione del progresso tecnico alla vita di tutti i giorni che non mancherà di produrre i suoi effetti. Ma a giudicare dal sommario del secondo numero (ottobre 1902), nel quale si dà conto, 22 CAI MORBEGNO

con quella rapidità che i tempi moderni sembrano avere scordato, dell’attività estiva che annovera la Punta Gnifetti, per Carlo Maspero, e due altre ascensioni al Monte Rosa, i soci della SEM dimostrano di non aver aspettato l’elettrificazione per raggiungere la Punta Sertori, il Manduino, il Pizzo Stella e per tentare il Pizzo Roseg per la Cresta di Confine Sud-Est (Brambilla Giuseppe Robbiati Battista). Come si vede, non sono i nomi di personaggi celebri: il miglior indicatore, questo, che l’andar per monti si andava diffondendo, e che la SEM teneva fede alla sua missione di divulgare il verbo alpinistico tra la borghesia milanese, il bacino da cui proveniva la gran parte dei membri del sodalizio. Non stupisce quindi che il numero di luglio del 1903 si apra con una meta valtellinese. Semmai può incuriosire che una piccola borgata di fondovalle come Delebio, venga scelta per il Congresso della Federazione Prealpina, ovvero


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quell’organismo che con alterne fortune cercherà di rendere unitaria (o meno frammentaria) l’opera delle decine di società che nascono pressoché ovunque per raccogliere gli appassionati dell’escursionismo, in ogni strato della popolazione. Ora, portiamo indietro i calendari e gli orologi, risvegliandoci nella Bassa Valtellina del 1903, l’anno in cui l’uomo volò per la prima volta su una macchina più pesante dell’aria. “C’è qualcuno che alla partenza – esordisce il non meglio precisato “Vostro delegato” sull’articolo di apertura intitolato A Delebio – si sia messo in testa di toccare il Pizzo Alto o il Legnone? La pioggia fu il pompiere chiamato per burla; una buona volta non sentì le giaculatorie degli alpinisti più o meno ferrati, più o meno imbottiti di polpacci […]: non c’era da smorzare nessuna impazienza di ascensione né nei congressisti accolti a suon di banda alla stazione di Delebio, né nei subito sopraggiunti ciclisti. Quanto mai c’era la sete da smorzare e neanche l’avessero indovinato i nostri amici di Delebio, alla sede della Stella delle Alpi si mesceva un vino di Valtellina fresco e sapido: che buon umore ! E intanto che In questa pagina: la copertina della Rivista Trimestrale della SEM Nella pagina a fronte: due immagini di Eugenio Fasana e Guido Bertolazzi presidente del circolo Stella delle Alpi di Delebio. Nelle pagine precedenti: il Pizzo Trona dalla Valle della Pietra

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la pioggia gocciolava grossa e gradita sulle teste calde, noi si ammirava tutto attorno in ogni canto e alla finestre le stelle di Delebio, occhi neri e azzurri, stelle filanti da celestiali faccine fino in fondo al cuore”. Lo stile, come si vede agevolmente, è quello di un’epoca sostanzialmente aliena da eroismi, anzi provvista di una buona dose di ironia e auto-ironia, che permette di misurare senza sforzo la distanza con le successive evoluzioni dello stile del récit de ascension. Prevale infatti lo spirito

sportivo, in tutto corrispondente al termine preso nel suo valore etimologico di distrazione, di divertimento, di scoperta. Insomma ….. di un sacco di cose Ma ancor di più colpisce il fatto che l’associazione Stella delle Alpi di Delebio presieduta da Guido Bertolazzi si aggiudichi e, da quello che leggiamo, facendo pure una gran bella figura, un convegno di livello lombardo, di cui riportiamo il sintetico resoconto. “Alla mattina une promenade ad Osiccio, poi il Congresso a Delebio e dopo il Congresso


il banchetto federale: il cibo semplice e buono, il vino quello della sera. L’allegria quella di tutta la gita, mentre la banda di Delebio, in elegante montura, con diligenza arte e sentimento interpretava scelti pezzi di musica al tempo segnato con gesto parco da un maestro giovane e valente. Evviva Delebio! […] Si alza il simpatico medico del paese e con acconcie [sic] parole saluta i congressisti e presenta gli omaggi alle signore, brinda alla Federazione e al suo nuovo Presidente [Ottone Brentari]”. Evidentemente, i brindisi

sono stati il filo conduttore dell’evento ! Nel prosieguo dell’articolo, scopriamo che già l’anno precedente Delebio aveva dato ospitalità al Congresso, ma soprattutto che è tanto il piacere del ritrovarsi con i “federati” in un ambiente tanto accogliente che … si perde artatamente il treno della sera per Milano (“Banda in testa si va alla stazione a salutare il treno che passa e si torna a marciare per il paese”) per poter trascorrere ancora la sera e la notte in quel della Bassa Valtellina e procrastinare alla

mattina successiva, col primo treno del mattino, il rientro a Milano. Sempre sul filo delle pagine di “Le Prealpi”, compiendo un balzo di sei anni (numero del 25 novembre 1909), nella rubrica “Escursioni dei soci” troviamo un resoconto delle ascensioni Al Pizzo Varrone (m. 2332) e al Pizzo di Trona (m. 2510) firmato da Eugenio Fasana (Gemonio 1886 – Milano 1972) che debutta qui come articolista (non ancora redattore) del periodico. Un esordio che segnerà CAI MORBEGNO 25


profondamente la vita della SEM e della sua rivista. Senza dilungarci troppo, basti ricordare che Fasana è una figura in cui scrittura, fotografia, pittura si danno la mano per diffondere la passione per la montagna, si tratti di esplorazione o di arrampicata. Senza dimenticare i suoi successi sulle pareti rocciose, che ne fanno una figura di riferimento per l’alpinismo e l’arrampicata in Lombardia. Bastino le prime ascensioni in Grignetta al Campaniletto, alla Lancia, alla Torre, al Fungo e al Sigaro: una cinquina che qualunque scalatore dell’epoca avrebbe voluto sottoscrivere. D’altronde, se pochi alpinisti possono vantare una parete intitolata... a se stessi, Efas (citando uno dei numerosi pseudonimi da lui usati) di “pareti Fasana” se ne vedrà attribuire addirittura due, tra l’altro, ante mortem: la parete Nord Est del Corno Centrale di Canzo e la gigantesca Nord Est del Pizzo della Pieve in Grigna Settentrionale. Dunque, si diceva, il 30 maggio 1909 Eugenio Fasana e il fratello Piero, De Enrici e Guidi, nomi non ignoti alle cronache alpinistiche di quei tempi (Edoardo De Enrici sarà il compagno di Fasana, giusto un anno più tardi, nell’apertura della via sulla parete del Corno Centrale di Canzo, dove Eugenio supera un tratto che – secondo il metro di valutazione odierno – sfiora il sesto grado…), dopo una notte trascorsa nella Trattoria “Pizzo” di Gerola Alta, costeggiano il Lago d’Inferno ancora coperto da un manto di neve di un metro di spessore. La comitiva attacca quindi il 26 CAI MORBEGNO

Pizzo Varrone, tracciando una variante alla via solita. Anche nella successiva salita al Pizzo di Trona, evita di ridiscendere al lago e traversa sotto la cresta che sale al Pizzo dei Tre Signori, portandosi poi direttamente alla vetta Sud, la meno alta delle due. Quindi, dopo aver raggiunto la vetta culminante, caratterizzata da un enorme ometto, ed aver goduto del “panorama superbo”, ridiscende alla base lungo la via normale. Sono le 19.30 e la notte è ormai incipiente. I quattro ardimentosi si calano a tentoni, fino a raggiungere, alle pendici della montagna, “una miserabile baita abbandonata, priva di uscio” dove, come su “un letto di Procuste”, il brigante mitologico, trovano uno scomodo riposo. Il numero di giugno del 1910


Nella pagina a fronte: il Pizzo Tronella dal Lago Zancone. Sotto: il Pizzo Varrone In basso: la Cima di Pescegallo

dà conto, sempre per la penna di Fasana delle “Peregrinazioni alpinistiche. Il Pizzo Tronella (m. 2311), prima traversata e prima salita completa per la fronte Nord, e primo percorso per la parete Sud (Dente, Vetta centrale, Vetta meridionale)”. Fasana, che spesso si lancia in più o meno lunghe divagazioni, svolge dapprima alcune considerazioni generali: “L’alpinismo ha bisogno di sempre nuovi campi d’azione e quindi, a contribuire in piccola parte al lavoro collettivo di esplorazione delle montagne neglette, mi dilungherò più di quanto si addirebbe a sì modesta cima, ben felice se avrò raggiunto lo scopo di invogliare qualche collega a conoscere e ad apprezzare questo romito angolo della Valle del Bitto”. Inquadra poi, con una prosa CAI MORBEGNO 27


non priva di una certa ricercatezza formale, il proprio obiettivo: “Visto da settentrione il Pizzo di Tronella ha una configurazione arieggiante il Cervino e presenta una successione di ertissime piodesse; nereggia al basso di una nerissima foresta di abeti. La sua storia alpinistica è presto fatta: la prima ascensione fu compiuta da Gilberto Melzi con la guida Sertori nel 1890. Dopo una lunga pausa Dietz e Ellenshom [due soci del Gruppo Lombardo Alpinisti Senza Guida, germe milanese del Club Alpino Accademico e fra i primi esploratori della Cresta Segantini in Grignetta. N.d.r.] nel 1903 pare pervenissero sulla vetta meridionale. Dall’altra parte non si ebbero particolari in merito. Nella valle si racconta come di un’impresa senza precedenti, della scalata del picco fatta anni fa, solo, da un ardito capraio e sono noti gli infruttuosi assalti di varie comitive al caparbio monte. Le due salite finora note si effettuarono col medesimo itinerario, ritenendosi impraticabili gli altri versanti”. Fasana passa poi a illustrare le ragioni del fallimento del primo tentativo, svoltosi nel maggio di quello stesso 1910 quando le condizioni meteorologiche, influenzate forse dal passaggio della Cometa di Halley come da alcuni sostenuto (“con quanto fondamento non so”) rimandarono indietro, con un concorrere di cieli bigi e slavine, il terzetto completato da Carlo Molaschi e Pietro Mariani. Passati gli infausti influssi della cometa, il gruppo si ripresentò all’attacco il 18 28 CAI MORBEGNO

giugno, e il giorno successivo riuscì a completare l’ascensione che venne descritta con l’understatement che diventerà una delle cifre dello stile di Fasana. Così suggella il racconto: “Riassumendo, la traversata del Pizzo di Tronella è purtroppo breve, ma in compenso bella e variata. Lasciata in immeritata dimenticanza è indubbiamente quella che offre la più divertente salita della regione, mentre le vette centrale e meridionale presentano appena un discreto interesse alpinistico. Con la nostra esplorazione, fra l’altro abbiamo dimostrato fattibile la salita completamente per la fronte nord e, col percorso della parete meridionale, dimostrato inoltre l’accessibilità del Pizzo da un versante ritenuto

impraticabile”. Qui emerge lo spirito esplorativo che, se ci si pensa bene, è, in scala assai ridotta, lo stesso che ha animato le grandi esplorazioni che proprio a quell’epoca riempivano le pagine di libi e riviste: la ricerca di un passaggio, la possibilità di raggiungere un dato punto apparentemente inaccessibile, il voler in qualche modo dimostrare coi fatti una propria teoria. Per continuare a seguire le peregrinazioni orobiche di Efas, dobbiamo a questo punto compiere un balzo cronologico che ci porta al 1930 e 1931, avvicinandoci alla più prossima Cima di Pescegallo, ma per farlo non possiamo servirci delle pagine di “Le Prealpi”. La collaborazione di Fasana alla rivista infatti è venuta


Nella foto a fianco, il versante orientale dei Denti della Vecchia

diradandosi negli anni, per cui faremo ricorso alle pagine necessariamente meno vivaci di Silvio Saglio, autore con Alfredo Corti e Bruno Credaro del volume Alpi Orobie (CAITCI 1956) che dovrà giovarsi di “informazioni private” dello stesso Fasana per ricostruire la storia dell’esplorazione alpinistica di alcune “cime e cimette”. Naturalmente Saglio non manca di dar notizia anche dell’ascensione al Pizzo della Tronella, ma facendolo finisce a complicare un po’ le cose. È un Saglio visibilmente schiacciato, come altrove nei suoi prodotti post-bellici, dalla mole del lavoro: anche la redazione del volume ne risente in incongruenze di trattamento delle notizie e in qualche inutile ripetizione. Insomma, un’opera che non

brilla per chiarezza e sicura identificazione e descrizione dei soggetti trattati. In ogni caso qui l’orografia e la situazione sono abbastanza univoci. Dopo una prima esplorazione risalente al 29 luglio 1930 in compagnia di Sala, nella quale, salendo per “un canale”, raggiunse la vetta dell’allora (alpinisticamente) innominata Cima di Pescegallo attribuendole appunto questo nome, Efas si riavvicinò a quelle pareti in compagnia di Antonio Omio il 15 e il 16 agosto del 1931. Il giorno di Ferragosto i due si dedicarono al “gran diedro della parete OvestNord-Ovest”, completando un percorso descritto come “molto difficile”, dove Fasana ritornò (da solo?) il 14 agosto del 1941, aggirando a sinistra un tratto dell’ascensione di

dieci anni prima. Il giorno successivo scalarono, in una successione che ignoriamo, la parete Ovest-Nord-Ovest e il roccione trapezoidale della parete Ovest-Nord-Ovest, quotando entrambi gli itinerari come “difficili”. Un metodo di valutazione delle difficoltà, quello usato qui da Saglio, che, volendo paragonare descrizioni realizzate in epoca pre-bellica, finisce per far compiere alla guida un bel passo indietro nella quotazione delle difficoltà. Ancor più clamoroso se pensiamo a Le Grigne (1937) dove lo stesso Saglio (1937) aveva utilizzato la scala delle difficoltà numerica – dal 1° al 6° grado – e descrittiva – difficile, molto difficile, estremamente difficile, o alla guida di Bonacossa MasinoBregaglia-Disgrazia (1936) che per prima aveva applicato al granito la scala Welzenbach. Il risultato sono comunque tre vie che corrono pressoché parallele a un dipresso della zona “recuperata” qualche anno fa da Ivo Mozzanica e poi attrezzata dal Gruppo R2 Monza a partire dalla via “40° Fior di Montagna”, che indicano in qualche modo la vocazione “sportiva” di queste pareti. Diciamo, senza voler calcare troppo la mano, che in Fasana coesistevano una vocazione esplorativa molto accentuata e una concezione più sportiva, legata al superamento di strutture a sé stanti, a volte tecnicamente molto difficili, e non più soltanto al raggiungimento di cime.

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Sempre sulla guida Alpi Orobie si dà notizia (sempre sulla base di “informazioni private”) di una parziale traversata dei Denti della Vecchia (o Rocca di Pescegallo) compiuta dal Fasana con Castelli il 20 giugno 1906 salendo al Secondo Dente per il versante Est, e passando poi al Terzo e quindi al Quarto, dichiarando “media difficoltà”. Dovrebbe trattarsi dei primi vagiti dell’arrampicata su roccia su queste cime, quando Fasana ancora non scriveva su “Le Prealpi”. E se pensiamo al grande sviluppo avuto qui dall’arrampicata sportiva, non possiamo, ancora una volta, non riconoscere il fiuto di Fasana nell’individuare terreni destinati a diventare 30 CAI MORBEGNO

piccoli classici della scalata. Resta solo da ricordare che il compagno di Fasana nel 1931 alla Cima di Pescegallo fu proprio quell’Antonio Omio (all’epoca cinquantenne) che tanta parte ebbe nella tragedia della Punta Rasica che tanta eco doveva avere di lì a quattro anni, sul chiudersi della stagione alpinistica del 1935 e alla cui memoria verrà intitolata l’omonima capanna nell’alta Valle Dell’Oro eretta proprio dalla SEM nel 1937. NOTA Ringraziamo Enrico Barbanotti della Biblioteca “Ettore Castiglioni” per la indispensabile collaborazione


Nella foto a fianco, in arrampicata sulla via Fior di Monte

Cima di Pescegallo

M.Ponteranica occ.

Ottantasette anni fa, il 15 agosto 1931, nel corso delle sue scorribande in Valgerola, Eugenio Fasana, con Antonio Omio, salĂŹ la Cima di Pescegallo per il diedro Nord-Ovest e, il giorno successivo, il grande diedro al centro della parete. Oggi queste vie sono state chiodate a spit e si prestano a piacevoli salite molto ben protette. DifficoltĂ A - Via Fior di Monte, III, IV B - V, VI C - III, IV D - Diedro Nord-Ovest, III, IV

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MORBEGNO:

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CITTÁ ALPINA 2019 di Oscar Del Barba

Morbegno dal 14 marzo 2019, fino al marzo 2020, sarà ufficialmente la Città Alpina per il 2019, la ventunesima Città Alpina dell’Anno e la settima italiana, dopo un percorso iniziato nel 2016 con la presentazione del dossier di candidatura.

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I contenuti della motivazione con cui l’Associazione ha inteso conferire a Morbegno questo riconoscimento sono stati incentrati sul ruolo che ha assunto, e che può assumere, la Città nel rapporto con la montagna circostante e con la sua storia di porta d’ingresso della Valtellina, testimoniata dalle importanti architetture religiose e civili. La Giuria a seguito di alcune visite, ha valutato che Morbegno si presenta come una città vivibile, organizzata e rispettosa dell’ambiente; inoltre l’aver aderito al Patto dei Sindaci, l’aver avviato un processo di riqualificazione energetica degli edifici pubblici e scolastici, di riduzione del consumo energetico nell’illuminazione pubblica e di riduzione dell’inquinamento

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luminoso, sono state ritenute azioni congruenti con i principi della Convenzione delle Alpi. La Giuria ha inoltre preso atto che Morbegno è dotata di teleriscaldamento tramite una centrale a metano e di una a biomassa, che la Città è dotata di car-sharing elettrico e che presenta una rete cablata con la fibra ottica. Le motivazioni facevano anche riferimento al 2018, “quando si concluderanno i lavori del by-pass della strada statale 38 che prima attraversava la città”, e alla conseguente predisposizione di “programmi e progetti per la riduzione del traffico interno e l’aumento della dotazione di parcheggi, per la riqualificazione di alcuni viali verso il centro storico, per creare un contesto ambientale più favorevole e vivibile”.

Ha inoltre valutato favorevolmente “la chiusura al traffico veicolare dello storico ponte di Ganda, simbolo della Città”. E’ stato apprezzato il ruolo di valorizzazione del territorio comunale e di quello circostante con la promozione dei prodotti locali, e di quelli agro-alimentari, formaggi e vini in particolare, con le giornate di Morbegno in Cantina, nonché delle opportunità turistiche dell’intero territorio E’ stata apprezzata l’attività culturale e il ruolo svolto dalla biblioteca civica, presso cui ha sede anche l’Info-point della Convenzione delle Alpi. I temi per i quali la Giuria ha valutato l’impegno della Città di Morbegno all’interno della Convenzione delle Alpi riguardano in particolare gli obiettivi dei Protocolli


CITTÀ DETENTRICI DEL TITOLO CITTÀ ALPINA DELL'ANNO 2019 Morbegno 2018 Bressanone 2017 Tolmezzo 2016 Tolmin (SLO) 2015 Chamonix (F) 2014 titolo non assegnato 2013 Lecco 2012 Annecy (F) 2011 Idrija (SLO) 2010 Bad Aussee (A) (*) 2009 Bolzano 2008 Brig-Glis (CH) 2007 Sondrio (*) 2006 Chambéry (F) 2005 Sonthofen (D) 2004 Trento 2003 Herisau (CH) 2002 Gap (F) (*) 2001 Bad Reichenhall (D) 2000 Maribor (SLO) (*) 1999 Belluno 1998 titolo non assegnato 1997 Villach (A) (*) (non sono socie dell'associazione)

“Pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile”, “Energia”, “Turismo e attività del tempo libero” e “Agricoltura di montagna”. I servizi che Morbegno ingloba quale Città capofila del territorio limitrofo sono stati ritenuti congruenti con gli obiettivi della Dichiarazione “Popolazione e Cultura” e sono stati considerati la base su cui ampliare le relazioni con il territorio circostante. La Giuria ha concluso che l’assegnazione del titolo di “Città Alpina dell’Anno 2019” può rappresentare per la Città di Morbegno e il territorio circostante uno stimolo al riconoscimento delle attività in essere quale esempio di crescita sociale in grado di configurare il futuro in modo sostenibile.

L’Associazione delle Città Alpine dell’Anno è l'associazione delle città alpine che hanno ottenuto il titolo di "Città alpina dell'anno". Questo riconoscimento viene conferito alle città alpine che si sono distinte per il particolare impegno dispiegato nell'attuazione della Convenzione delle Alpi e viene assegnato da una Giuria internazionale. L'obiettivo di fondo della Convenzione delle Alpi è di coniugare misure per la protezione dello spazio alpino con uno sviluppo sostenibile e orientato al futuro delle regioni. Il fatto che la Convenzione delle Alpi si riempia di contenuti concreti proprio nelle città alpine è di importanza centrale, poiché circa due terzi della popolazione alpina vive in aree urbanizzate, anche se queste costituiscono solo il 40% della superficie alpina complessiva. Dal punto di vista spaziale, le Alpi sono ancora oggi un territorio marcatamente rurale, tuttavia la popolazione - e quindi l'economia - ha già, per la maggior parte, una connotazione urbana. Natura e cultura, ecologia ed economia trovano qui un terreno di scontro-incontro senza mediazioni. Rendere consapevole di questo un'ampia fascia di popolazione è l'obiettivo dichiarato dell'idea di "Città alpina".

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L'ARRAMPICATA CHE VERRÁ di Alessandro Caligari

Sono diversi anni che il CAI di Morbegno ha nei suoi propositi quello di realizzare una struttura per l’arrampicata al coperto. Una prima soluzione si era concretizzata negli anni ’80 quando, con l’Amministrazione comunale di allora, erano state posate delle prese per l’arrampicata nell’angolo Nord Ovest del campo di basket, al palazzetto Mattei. Alcune vie erano state realizzate sulle pareti ed anche su parti delle travi della struttura. Successivamente la necessità di creare delle tribune proprio in quell’area, ha portato allo smantellamento di questa prima palestra d’arrampicata. Per diverso tempo l’idea di una nuova struttura non è più stata riproposta con particolare convinzione, anche se periodicamente qualcuno rilanciava l’idea. Alcuni anni fa, non ho date precise, perché è stata una decisione non legata ad alcun motivo specifico, ha nuovamente preso corpo, con maggior determinazione, l’idea della palestra indoor. In modo abbastanza capillare abbiamo preso in rassegna varie opzioni. Una possibilità molto concreta era stata quella della realizzazione di una struttura per l’arrampicata artificiale all’interno di un 36 CAI MORBEGNO

capannone prefabbricato, posto nel centro di Morbegno e legato ad un esercizio pubblico. La soluzione, che pareva ottimale sia per noi che per i gestori dell’attività commerciale, era stata portata avanti in maniera decisa, fino ad una prima progettazione delle strutture d’arrampicata. Proprio in questa fase però c’è stato un ripensamento da parte dei gestori del posto, preoccupati dall’invasività delle attrezzature e dei supporti previsti, che avrebbero sottratto uno spazio significativo, e quindi potenzialità, al loro edificio, precludendone l’utilizzo ad alcune particolari attività. Siamo quindi ripartiti prendendo in considerazioni altre ipotesi più o meno concrete finchè, in un concorso indetto dalla fondazione Promor per raccogliere nuove idee su possibili sviluppi della città di Morbegno, avevo lanciato l’idea di convertire l’ex piscina comunale, in fase di smantellamento, in un “palazzetto della Montagna” con strutture per l’arrampicata sportiva, anche su ghiaccio. Il CAI di Morbegno ha quindi sposato questa proposta e ci siamo attivati per poterla concretizzare.

L’idea ha cominciato a ronzare nell’orecchio di vari enti finchè il Comune di Morbegno, in accordo con le fondazioni Promor e Mattei, ha indetto un concorso ad inviti per la riqualificazione del palazzetto comunale. Nel bando si chiedeva esplicitamente di realizzare, nell’area dell’ex piscina, una struttura per l’arrampicata indoor. Allo scopo, nell’estate scorsa abbiamo costituito un’associazione temporanea di professionisti che vedeva il sottoscritto come capogruppo assieme all’ingegner Luca Gadola. Il concorso è stato da noi vinto, per cui siamo stati incaricati della riqualificazione del palazzetto. Per correttezza, ma soprattutto per gratitudine, vorrei citare tutti i componenti del gruppo cioè l’ingegner Stefano Boninsegna, l’ingegner Alberto Caligari, l’architetto Ernesta Croce, l’ingegner Michele Dei Cas, il perito industriale Daniele Fornè, l’ingegner Giulio Gadola, l’architetto Luca Volpatti e l’ingegnere Gabriele Zecca. La nostra proposta progettuale, piuttosto articolata, prevede la possibilità di essere attuata in più lotti funzionali. Prende le mosse dalla trasformazione della piscina in un campo


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da gioco multidisciplinare, a cui è annessa una palestra per l’arrampicata sportiva. La proposta progettuale prevede la realizzazione di un nuovo settore da dedicare esclusivamente all’arrampicata sportiva indoor. Si è pensato di creare un nuovo corpo di fabbrica che non fosse semplicemente l’ampliamento, in proiezione alla parete Nord, dell’ambiente che ospitava la piscina, ma invece che costituisse appunto un nuovo fabbricato, dalle dimensioni significative. Questa scelta è dovuta alla necessità di realizzare una superficie d’arrampicata complessiva che abbia delle estensioni tali da essere economicamente vantaggiosa dal punto di vista gestionale. Infatti dal confronto con esperti nella conduzione di questo tipo di strutture, è emerso che, per avere un ritorno economico positivo, non sarebbe sufficiente uno spazio ricavato con il semplice spostamento di pochi metri della parete Nord. Anche le indagini sulla possibile utenza locale hanno incoraggiano un approccio di questo tipo. La struttura è stata pensata per consentire lo svolgimento di competizioni a norma dei vigenti regolamenti FASI (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana). In sostanza il progetto prevede la realizzazione di una palestra d'arrampicata che si attesta sul lato Nord del fabbricato della piscina dismessa, sfondandone la parete settentrionale, e che si sviluppa poi, con un corpo dall'andamento curvo e ad altezza digradante, nell'area ad Est del Palasport. Ogni settore della palestra sarà 38 CAI MORBEGNO

deputato ad ospitare diverse "discipline". La parte posta in proiezione Nord alla piscina sarà dedicata all'arrampicata con corda, ed in particolare alle gare di difficoltà (Lead) e di velocità (Speed); per quest’ultima disciplina si prevede la realizzazione di due percorsi identici e paralleli, leggermente strapiombanti. Dato che questo tipo di competizioni prevedono delle altezze significative, abbiamo progettato un edificio la cui altezza raggiunga circa i 13 metri interni. Spostandosi ad est, il corpo avrà invece delle altezze via via decrescenti, in funzione delle discipline ospitate. Ci sarà infatti la zona dedicata al bouldering, in cui si arrampica senza l'ausilio della corda di sicurezza, per terminare con l'area dedicata ai bambini. La superficie arrampicabile sarà creata con pannelli pre-forati, adatti ad ospitare prese di diverso tipo, ancorati a delle strutture portanti, dall’inclinazione variabile. In questo modo le vie d’arrampicata saranno completamente modificabili, sia per il tipo di appigli, sia per la loro disposizione, sia per l’inclinazione della superficie. Sarà quindi possibile ottenere il grado di difficoltà voluto e variare continuamente la tracciatura, evitando così la creazione di una struttura statica e alla lunga noiosa da frequentare. La palestra d'arrampicata sarà funzionalmente collegata alla struttura dell'ex piscina, che come ho detto verrà riqualificata in palestra sportiva multidisciplinare, di cui, anche visivamente, ne costituirà l'ampliamento. Anche gli spazi di servizio

(spogliatoi, bagni, depositi, infermeria ecc.) saranno messi in comune. Nel caso di utilizzo contemporaneo del campo da gioco della palestra e delle strutture d'arrampicata, i due ambiti saranno separati da una rete leggera mobile avvolgibile. Questa separazione potrà essere utilizzata anche per impedire l'utilizzo delle strutture d'arrampicata quando quest'area non sarà presidiata dal personale addetto. La palestra d’arrampicata sarà accessibile, oltre che dall’entrata della palestra anche da un ingresso dedicato indipendente, posto nella “piazzetta” tra il nuovo corpo e la parete vetrata dell’expiscina.


Allo stato attuale si sta definendo il quadro economico e, salvo eventi imprevedibili, si dovrebbe iniziare entro l’anno con la progettazione definitiva.

Come ho detto, sono anni che stiamo cercando di realizzare questa palestra d’arrampicata ma, incrociando le dita, questa sembrerebbe la volta buona! CAI MORBEGNO 39


CAI

IL E LA

SCUOLA di Riccardo Marchini

(AAG – Bombardieri/Martelli) Pochi sanno che fra CAI e MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) esiste un accordo di collaborazione. Tecnicamente si chiama Protocollo d’intesa ed è stato firmato il 18 ottobre 2017 dal Presidente Generale Vincenzo Torti per il CAI e dal Capo del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, Rosa De Pasquale. E’ la riscrittura del Protocollo datato agosto 2012, sottoscritto da Umberto Martini, Presidente Generale in quell’anno. Dopo un po’ di pagine di “Visti” e “Premesso che”, gioia e diletto per chi ha a che fare con l’amministrazione pubblica, il documento entra nel merito sviluppando in 5 articoli gli intenti dell’iniziativa. Limitandoci a ciò che compete alla nostra Associazione, ci soffermiamo sull’Art. 2 nel quale si afferma che il CAI si impegna a:

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• favorire la conoscenza diretta del territorio montano e del suo patrimonio ambientale e naturalistico, attraverso progetti didattici modulati per le scuole di ogni ordine e grado; • promuovere con i docenti, gli alunni e gli studenti iniziative formative sui seguenti temi: attività di educazione ambientale e scoperta del territorio; esperienze di educazione motoria e arrampicata in età evolutiva; attività di educazione alla sicurezza individuale e alla prevenzione dei pericoli; attività di alternanza scuola lavoro; • realizzare, con il concorso delle istituzioni locali, corsi di aggiornamento per i docenti della scuola, di ogni ordine e grado, sui tre temi sopraindicati; • favorire la realizzazione di esperienze didattiche tali da coinvolgere gli alunni e gli studenti, per un accostamento all’ambiente in chiave storica ed euristica, con metodologia scientificamente corretta; • elaborare, in collaborazione con i docenti, progetti formativi basati sull’individuazione delle metodologie e sulle competenze riferite all’educazione ambientale e allo sviluppo


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sostenibile, con l’obbiettivo di avvicinare i giovani alle montagne; • coinvolgere i giovani nell’organizzazione di esperienze autdoor, escursioni e trekking, stage didattici, esperienze di alternanza scuola-lavoro, che abbiano come contenuto didattico aspetti conoscitivi, scientifici, geografici e storicoantropologici, con particolare riferimento alla conoscenza, alla prevenzione, alla sicurezza e al rispetto dell’ambiente; • diffondere la conoscenza e la frequentazione dei percorsi alpini e appenninici di rinomata valenza paesaggistica, quali le alte vie, gli itinerari storici legati alla Grande Guerra, al pellegrinaggio, alla transumanza, al contrabbando, alle forme di economia e di ecologia delle popolazioni montane, nonché percorsi didattici (geologici, glaciologici, botanici); •Diffondere nelle scuole i valori 42 CAI MORBEGNO

del volontariato sensibile alle problematiche dell’ambiente e della tutela della sicurezza individuale, promuovendo i valori della cittadinanza attiva, della solidarietà, del rispetto reciproco e dell’integrazione fra culture diverse; •… Come si può evincere da quanto esposto, siamo in presenza di un progetto importante che coinvolge il CAI con tutti i suoi Organi Tecnici, centrali e territoriali, consultivi e operativi: le Commissioni e le Scuole di Alpinismo e Sci Alpinismo, di Escursionismo, di Speleologia e Torrentismo, di Alpinismo Giovanile; e poi il Comitato Scientifico, la Commissione Tutela Ambiente Montano e il Servizio Valanghe Italiano; e, ovviamente, il Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico. Trattandosi di iniziative rivolte al mondo dell’educazione e ai

giovani in età scolare, in prima linea non può che esserci, però, l’Alpinismo Giovanile ai vari livelli, nazionale, regionale e, quando esiste, sezionale. Questa è la cornice. Ma qual è la situazione nelle diverse realtà locali e in particolare come siamo messi in provincia di Sondrio? In Valtellina, la collaborazione fra Scuole e CAI è una pratica abbastanza consolidata, soprattutto grazie alla presenza della Scuola di Alpinismo Giovanile “Bombardieri – Martelli”. In questi ultimi anni sono stati diversi gli Istituti che si sono rivolti a noi per concordare progetti di varia natura, in ottemperanza a quanto previsto dal Protocollo. Abbiamo avuto e stiamo avendo contatti con il Liceo Scientifico Carlo Donegani di Sondrio, in particolare con il suo indirizzo Sportivo. E’ dal 2014 che i ragazzi della 1° classe dello Sportivo


hanno la loro iniziazione al quinquennio di studi con uno stage di tre giorni presso il Rifugio Gerli-Porro su argomenti quali la geologia, la glaciologia, la storia dell’alpinismo e la progressione su terreno scabroso, seguiti dagli Accompagnatori di AG. Giustamente, trattandosi di una scuola di montagna. Con altre classi degli Istituti superiori cittadini, Liceo e ITIS in particolare, viene affrontato il tema dell’orienteering, previsto dal piano curriculare di Scienze motorie, prima in aula con lezioni teoriche, poi con una prova pratica in ambiente. L’orientamento è la materia che ci viene richiesta anche da alcune Scuole Medie: di Ponte in Valtellina, nel corso della loro settimana di laboratori, e di Morbegno. Ultimamente la “Bombardieri – Martelli” è sempre più spesso contattata dalle Scuole primarie per alcune uscite in

ambiente avendo come traccia l’ educazione alla montagna. In questo senso belle esperienze abbiamo avute in tal senso con le Primarie di Sondrio, Morbegno, Castione e della Valmalenco. Il bilancio di questo accordo e della collaborazione che ne scaturisce è senz’altro positivo, soprattutto in una realtà alpina come quella della Valtellina, perché crea un’interazione virtuosa fra Scuola e Territorio, rappresentato, quest’ultimo, dal CAI che è portatore di conoscenze e di cultura alpina come recita l’Art. 1 del suo Statuto: Il Club Alpino Italiano, fondato in Torino nel 1863 per iniziativa di Quintino Sella, ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale.

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LA GUERRA battaglia BIANCA edella San Matteo di Alessandro Caligari

La guerra Bianca, o guerra di montagna come dicono gli austriaci, è l’insieme di eventi bellici del fronte alpino italiano della 1° guerra mondiale, combattuti dalle truppe di montagna dell’esercito del Regno d’Italia contro quelle dell’Impero austro-ungarico. In questo frangente, dal lato italiano, si distinse un corpo militare relativamente nuovo, quello degli Alpini, specializzato proprio nella guerra di montagna. Si trattava perlopiù di civili arruolati con la coscrizione obbligatoria; quasi tutti provenivano dalle stesse 44 CAI MORBEGNO

regioni in cui si combatteva: sostanzialmente l’intento era quello di mettere a battagliare persone che conoscevano bene il territorio e che avrebbero combattuto per difendere non solo la propria nazione ma anche le proprie case. In questo conflitto si possono distinguere tre settori d’azione: quello delle Dolomiti, quello dell’Adamello-Presanella e quello dell’Ortles-Cevedale. La linea del fronte coincideva all’incirca con l’attuale limite amministrativo della Provincia di Trento. Qui gli austro-ungarici, in inferiorità numerica, sfruttarono

l’inaccessibilità dei luoghi per trincerarsi sulle cime più alte ed ottimizzare i vantaggi di quelle posizioni sopraelevate. E’ evidente che combattere per degli anni a queste quote fu un’impresa tragicamente difficile, soprattutto per il fatto che, dopo pochi mesi di combattimento, anche questa divenne una logorante guerra di posizione. Va da sé che le condizioni proibitive del luogo falcidiarono i combattenti in misura doppia rispetto all’azione degli avversari: fame, freddo, valanghe, crepacci e seracchi erano i costanti compagni delle truppe. A ciò


va aggiunto che gli inverni del ’16 e del ’17 furono tra i più nevosi del secolo, con precipitazioni pari al triplo della media. I soldati dettero il meglio di sé per cercare di resistere al nemico e agli elementi; ovunque scavarono trincee e tunnel, nel ghiaccio e nella roccia, edificarono baraccamenti nei posti più aerei ed inverosimili, crearono una ragnatela di collegamenti fatta di scale e sentieri, issarono pesantissimi pezzi d’artiglieria fino a quote impensabili. Il settore dell’Ortles-Cevedale, per l’impervia conformazione del

terreno e per l’altezza dei luoghi, mediamente maggiore di 500 metri rispetto agli altri due settori, presentava sicuramente le condizioni più estreme. Questo da un lato evitò il verificarsi di eventi bellici di ampia estensione, ma dall’altro rese estremamente difficili le condizioni di vita e di combattimento degli uomini dei due schieramenti. Una delle battaglie più note fu quella avvenuta attorno al San Matteo, nell’estate del 1918, diventata famosa per essere stata la battaglia più alta mai combattuta. Gli austroungarici avevano conquistato

la vetta del San Matteo, da cui potevano agevolmente bombardare il passo del Gavia con la loro artiglieria, creando diversi problemi alla rete di approvvigionamento italiana. Il 13 agosto il battaglione Ortler degli Alpini, con un attacco a sorpresa conquistò la cima, facendo prigionieri metà degli austriaci. Una parte salì dalla parete Nord-Ovest, un’altra attraversò la vedretta del Dosegù per poi risalire la cresta Sud-Ovest. Dato che per gli austro-ungarici il San Matteo era una vetta particolarmente strategica, questi organizzarono un CAI MORBEGNO 45


massiccio contrattacco: il 3 settembre iniziò l’offensiva con un pesantissimo bombardamento della cima, che si abbassò di ben 6 metri. Crollò anche la galleria di ghiaccio, con cui il capitano Arnaldo Berni ed i suoi uomini avevano organizzato il presidio della cima, rimanendovi per sempre intrappolati. Dopo di che, verso sera, attaccarono in forze e si riappropriarono della vetta. Due mesi dopo, con la firma dell’armistizio cessarono le ostilità. Dal giugno 1915 al settembre del 1918 il capitano Berni scrisse quasi quotidianamente ai suoi familiari. Questi scritti (lettere, cartoline, semplici annotazioni) sono stati raccolti da colonnello Magrin in una sorta di diario, e ci danno un commosso e veritiero ritratto umano e spirituale del giovane ufficiale. Tra questi l’ultima lettera scritta il 31 agosto del 1918. Il capitano è sempre in cima al San Matteo, a 3.678 metri di quota, in attesa del cambio che tarda ad arrivare. "Carissimi, mi trovo sempre come vedete, colla mia bella Compagnia sul monte conquistato e vi rimarrò ancora per almeno una settimana, se le cose andranno bene. La vita quassù è alquanto dura, ma tutto si sopporta per amore di Patria e per la Vittoria. Oltre ai disagi imposti dalla natura (freddo, neve, tormenta, mancanza di ricoveri, etc.), c'è il continuo tormento da parte del nemico che invano cerca di farci danno per costringerci ad abbandonare la posizione. Ma quassù ci sono i bravi alpini della 307ª del Battaglione Ortler e nessun nemico riuscirà a sopraffarli! Dunque, come 46 CAI MORBEGNO

vi dicevo, credo di rimanere quassÚ ancora per sette od otto giorni, poi scenderemo forse a S.ta Caterina per godere un meritato riposo od andremo al Passo dell'Alpe. Tenterò di chiedere allora la licenza... ma dubito molto che mi venga concessa, dovendo il Battaglione, verso la fine del mese, scendere piÚ in basso come riserva. In ogni modo proverò. Farò anche il possibile, nel caso io ottenga la licenza, di farla ottenere anche a Meomo (soprannome di Arturo, n.d.r.). Mi sarebbe stato facile se fosse ancora al 27° da Campagna, ma ora non so a chi rivolgermi. Di qui vedo bene la conca Presena e la posizione su cui si trova il nostro Arturo. C'è

quassÚ un panorama stupendo. Siamo quasi a 3700 metri e dominiamo tutto il Trentino. L'occhio spazia dalle Dolomiti cadorine alle Dolomiti di Brenta, all'Adamello, al Bernina, all'Ortler-Cevedale. E' una ridda fantastica di cime nevose, di ghiacciai, di vette rocciose, di vallate verdi popolate di ameni paeselli. Dai primi di questo mese fino ad oggi ho lavorato e faticato molto, ho dato gran parte delle mie energie e, in molti momenti, era solo il mio entusiasmo (che non è mai venuto meno) e lo spirito di compiere tutto il mio dovere che mi hanno sorretto. Non importa se tutto quello che ho fatto, se tutto quanto ho sofferto non è stato o non


sarà riconosciuto. Io sono egualmente contento. Fra poco avrò la Croce di Guerra. Magra ricompensa invero! Pari a quella che hanno coloro che, stando a qualche Comando, hanno fatto talvolta qualche capatina dietro la prima linea! Pazienza! Quando verrò a casa, avrò tante cose da dire e mi sfogherò... Ora continuo a compiere il mio dovere come prima e a dare quanto posso per il bene della Patria: spero che questa mia trovi il papà e la Rita reduci dalla loro villeggiatura e contenti. Ricordatemi a parenti ed amici. Baci e saluti affettuosissimi. Vs. Aldo" . Il 3 settembre 1918 arriva sulla vetta un preciso colpo di artiglieria che abbatte la galleria dove Arnaldo Berni si era riparato con alcuni soldati mettendo così fine alla vita del giovane Capitano, impedendo persino ad amici e commilitoni di trovarne il corpo.Tutt’ora camminando in questi posti è frequente imbattersi nei resti di questa guerra; matasse di filo spinato, resti di baracche, trincee, gallerie ma anche oggetti che ci parlano della vita degli alpini: scatolette di cibo, resti di scarponi, fibbie, bottoni. A volte il ghiaccio restituisce anche i corpi dei caduti, come nel caso del recente ritrovamente di tre kaiserschutzen, ultracentenari rinvenuti nel loro intatto aspetto di giovani ventenni. A 100 anni esatti di distanza abbiamo risaliti la cima del San Matteo, passando accanto al monumento dedicato ad Arnaldo Berni, capitano alpino ventiquattrenne, tuttora sulla montagna.

Nelle pagine precedenti a sinistra: alpini in una trincea scavata nel ghiacciaio, a destra targa commemorativa del capitano Berni. Nella pagina a fronte: alpini in tenuta invernale. In alto: un gruppo di prigionieri austriaci sul San Matteo Qui sopra: alpini in ascensione.

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IL SENTIERO CHE FU Sono anni che protestiamo, per lo piÚ inascoltati da chi dovrebbe invece intervenire, contro l'indisturbata percorrenza dei sentieri di montagna da parte delle moto. La normativa in merito è chiarissima e perciò, salvo pochissime eccezioni, è certo che il transito di questi veicoli sia vietato. Come abbiamo già detto fino alla noia, le motociclette inquinano, sia dal punto di vista delle emissioni nocive sia da quello acustico. Poco risalto invece viene dato ai danni che il continuo transito delle moto arreca ai sentieri. Le ruote della motocicletta, con il loro movimento, scavano il 48 CAI MORBEGNO

sentiero,lasciando un solco stretto; in genere piÚ il percorso è ripido, piÚ le ruote slittano e di conseguenza scavano sempre piÚ in profondità. Le piogge poi si incanalano in questi solchi, erodendoli a loro volta. Anche in discesa le cose non migliorano; la motocicletta, scarica tutto il suo peso, quello del suo conducente e tutta la sua forza cinetica sui soli due punti di contatto tra le ruote ed il terreno. Ad ogni frenata si produce un attrito notevole, devastante per il sentiero e per la cotica erbosa. Capita spesso quindi di imbattersi in sentieri

resi impraticabili, in cui la traccia prodotta dalle moto è cosÏ stretta e profonda da costringere a camminare in precario equilibrio sui bordi. Tutti hanno diritto di andare in montagna con i mezzi ed i modi (leciti) che preferiscono, crediamo però che nessuno abbia il diritto di recare danno agli altri mostrando anche un'evidente disprezzo della natura. Ecco, come dicevamo all'inizio, ci piacerebbe che le autorità preposte, spesso cosÏ zelanti nel far applicare normative a volte inutili e insensate, intervenissero per porre fine allo scempio in atto sulle nostre montagne.


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CAIMORBEGNOATTIVITÀ

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DUE AMICHE E LA MONTAGNA NEL CUORE la nostra prima esperienza al corso Cai

di Curtoni Aurora & Elisabetta Manni

Dopo molti inverni in cui la neve si è fatta tanto desiderare, finalmente è giunto un anno propizio in quanto a precipitazioni nevose. Così, parlando tra di noi, ho cercato di convertire la mia amica Betty allo scialpinismo, visto che io lo praticavo già da due anni e ne ero affascinata, mentre lei faceva solo sci da discesa fin da piccola e non aveva mai provato l’ebbrezza della neve fresca. L’idea l’ha subito eccitata ed entusiasmata, così mi ha proposto di iscriverci al corso di sci d’alpinismo, tenuto dal Cai di Morbegno. La voglia di 52 CAI MORBEGNO

conoscere gente nuova, immersi in incantevoli scenari innevati , e di apprendere al meglio l’utilizzo dei dispositivi di sicurezza (Artva, pala, sonda), garbava molto anche me. Così eccoci qui, cariche come molle!!!! Eravamo estremamente entusiaste e non appena la mia amica Betty ha acquistato tutta l’attrezzatura, eravamo pronte per il primo test sulla neve. Ovviamente non si poteva scegliere una valle migliore come prima uscita: il Mùnt de Sura, cima della nostra amatissima Valgerola.

Ci ritroviamo al parcheggio di Morbegno alle ore 8.00, e la giornata comincia già in maniera tragicomica: a Lola, causa un sabato sera movimentato (di cui peraltro si scusa), non è suonata la sveglia (sempre a farsi riconoscere) causando cosÏ un ritardo generale. Ero super-euforica, perchÊ non ero mai arrivata sulla cima di una montagna di casa con gli sci. Purtroppo la gita, causa di un forte vento gelido, quel giorno si è conclusa poco sotto la meta. Abbiamo comunque goduto di


una discesa unica, una neve da leccarsi i baffi, in uno scenario mozzafiato. Una delle uscite che ha soddisfatto maggiormente le nostre aspettative è stata quella al Pizzo D’Emmat Dadaint in Engadina. La partenza non è stata delle migliori, essendoci un vento gelido e una nebbia che peggiorava la situazione, rendendo difficile l’orientamento; ma, nonostante le condizioni avverse, grazie alla preparazione dei nostri istruttori siamo giunti in cima. Qui, come per miracolo, il cielo si è aperto mostrando tutta la bellezza della valle che ci circondava. Nonostante un problema tecnico ai miei scarponi, che a causa del freddo non si riuscivano più ad agganciare nella modalità “discesa”, sono giunta al parcheggio sana e salva, grazie ad un piccolo trucchetto di Mirko che mi ha salvata. L’uscita conclusiva, a cui Lola non ha potuto partecipare a causa di impegni lavorativi, è stata nella bellissima Val Viola. Dopo una notte in compagnia al rifugio Dosdè, ci siamo incamminati di prima mattina verso il Piz Dosdè a 3.281m, la più alta cima che avessi mai fatto. La mancanza d’ossigeno si faceva sentire, ma il panorama alpino compensava ogni fatica. Quando ci si diverte il tempo vola, e così, tra risate, neve polverosa e neve crostosa, nuovi amici, panini super imbottiti, cadute varie, zainetti rosa e chi più ne ha più ne metta… eccoci giunte alla fine di questo meraviglioso corso Cai! Un grosso grazie va a tutti gli istruttori per l’impegno dimostrato e per la buona riuscita del corso. Ma

soprattutto un grazie per averci dato le basi, importantissime, dell’andare in sicurezza in montagna e del come comportarsi di conseguenza in caso di pericolo. Ringraziamo tutte le persone nuove che abbiamo conosciuto; è stato bello condividere questa esperienza piacevole con voi e speriamo di continuare a vederci ed organizzare altre uscite insieme. La montagna, o meglio, vivere la montagna nelle sue varie sfaccettature, con il sole, con la neve e con la nebbia ti fa sentire vivo. Godere della bellezza che ci circonda

quando arrivi in cima con i tuoi compagni di salita fa bene al cuore e scalda l’anima. La montagna educa al necessario, al silenzio, ed è un valido e naturale metodo per eliminare lo stress quotidiano e farci dimenticare i problemi. “La vita è come lo sci: l’obbiettivo non è arrivare in fondo alla collina, ma fare un sacco di buone discese prima del tramonto, accanto ad un’amica speciale”. Quindi grazie e………alla prossima RAVANATA!!!!!

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IL RALLYNO

GARA DI REGOLARITÀ 1°: Rita Bertola - Alessandro Caligari 2°: fabiano Gusmeroli - Libero Marchesi 3°: Guglielmo Cavallotto - Fabio Cornaggia

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VELOCITÀ SALITA 1°: Diego Canti - Daniele Rava 2°: Luca De Bianchi - Fabrizio Guerra 3°: Dario Piasini - Mario Trotti


DELLA

ROSETTA di Alessandro Caligari

Domenica 25 marzo. Da un punto di vista della meteorologia la giornata non è un granchè anzi, per dirla alla Paolo Conte, a tratti sembra di essere dentro un bicchiere di acqua e anice. Però come sempre il rallyno rappresenta una festa, per cui ugualmente una novantina di persone si presenta alla partenza. GARA DI DISCESA 1°: Pietro Del Barba - Mauro Orlandi 2°: Rudy Pezzini - Ashley Ruffoni 3°: Pietro Colleoni - Maddalena Mognetti

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Il tracciato di salita è già stato battuto e segnato con le bandierine il giorno precedente, così come il gigantone, le cui porte, appese al muro finale, sono percorse con lo sguardo dai concorrenti in attesa di partire dal bar Bianco. Il dislivello da superare non è molto, attorno ai 600 metri, abbordabile da tutti. Anche quest’anno, dovendomi occupare delle iscrizioni e della consegna dei pettorali, fino al termine di queste operazioni non sapevo se avrei partecipato alla gara. Poi, all’ultimo momento mi sono iscritto assieme a Rita, che come me doveva gestire alcune operazioni alla partenza. Non è la prima volta che gareggiamo assieme; in genere facciamo la nostra onesta salita, e alla fine, se va bene, vinciamo dei guanti (ne ho già portati a casa 56 CAI MORBEGNO

quattro paia). Senza particolari velleità, anche quest’anno abbiamo risalito, con calma cadenzata, la bianca schiena della Rosetta. Essendo una gara di regolarità, la velocità non è ricercata, anzi, si cerca di diluire gli effetti di eventuali errori dovuti ad accelerazioni o decelerazioni non volute, distribuendoli in un tempo di salita molto dilatato. Così anche noi abbiamo impiegato quasi un’ora e un quarto per giungere al traguardo finale. Come sempre ce ne siamo infischiati di altimetri e cronometri, regolandoci solo sulle nostre sensazioni e sul cercare di mantenere una fatica d’ascensione costante. Affrontiamo il gigantone, previsto per la gara di discesa, con rassegnazione, sapendo che saremo sbalzati di qua e di là dalle porte posate da


Angelo, cosa che puntualmente avviene. Polenta e costine sono il giusto premio alle fatiche, anche se la premiazione vera e propria inizia subito dopo il pranzo. Questa avviene con una sadica modalità: si premiamo tutte le coppie concorrenti, dalla quart’ultima alla quarta. Restano pertanto in sospeso le ultime tre e le prime tre, in bilico tra un successone e una disfatta clamorosa. Progressivamente si rivela qual’è la terz’ultima e la terza coppia e così via. Al termine restano due copie, la prima e l’ultima classificata. Una delle due siamo siamo io e Rita. Ci guardiamo un po’ perplessi, però abbiamo la sensazione di non essere andati male: quest’anno si vince, niente guanti! CAI MORBEGNO 57


SULLA

GRIGNA CON GLI SCI di Marco Marchetti

Da sempre le due Grigne hanno esercitato un fascino particolare sugli uomini inducendone molti a salire sulle loro cime e tanti a scalare le loro impervie pareti. Non si conta quante vite umane questo amore sia costato e quanto continui a costare. Non è valutabile il prezzo pagato da una moltitudine di alpinisti, escursionisti e sciatori. Giovani e meno giovani, coraggiosi e pieni di infinito amore per questi monti hanno sacrificato tutto pur di raggiugerne le vette; spesso riuscendovi ma altrettanto spesso dovendo rinunciare e molte altre volte senza poter piÚ fare ritorno. Non si contano le madri che hanno pianto i propri figli e le mogli che hanno aspettato invano il ritorno dei mariti, qui periti.

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Questo, le due Grigne, sono state e sono per tante generazioni che le hanno amate senza se e senza ma, senza compromessi e senza porre alcuna condizione alle due montagne; solo lasciarsi salire. A loro è anche dedicata una canzone dove la bella e poderosa Grigna settentrionale è vista come una crudele guerriera, mentre le ardite guglie della Grignetta sono torri di una fortificazione posta a sua difesa. Come un guerriero la montagna sa essere spietata con chi vi si avventura pieno di passione e amore cercando di conquistarla. Per tale motivo la canzone dichiara indomito amore e prega che agli amanti della montagna sia risparmiato ogni pericolo.


Queste le parole scritte e cantate: Alla guerriera bella e senza amore un cavaliere andò ad offrire il core, cantava: Avere te voglio, o morire! Lei dalla torre lo vedea salire. Disse alla sentinella che stava sopra il ponte: Tira una freccia in fronte a quello che vien su. Il cavaliere cadde fulminato: Ma Iddio punì l’orribile peccato e la guerriera diventò la Grigna una montagna ripida e ferrigna. Anche la sentinella che stava sopra il ponte fu trasformata in monte e la Grignetta fu. Noi pur t’amiamo d’un amor fedele,montagna che sei bella e sei crudele, e salendo ascoltiamo la campana d’una chiesetta che a pregare chiama. Noi ti vogliamo bella che diventasti un monte; facciam la croce in fronte, non ci farai morir.

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Il Grignone (Grigna settentrionale) è una montagna dove, insieme alla Grignetta (Grigna Meridionale) cugina più bassa e allo Zucco Campelli posto sopra i Piani di Bobbio a Est del Grignone stesso, mi sento a casa. Al loro richiamo difficilmente resisto, anzi non resisto proprio … mi è impossibile! Questi i posti dove oggi vaga perennemente e irrimediabilmente, come fosse malata, la mia anima e dove, spero, possano riposare i miei resti umani ponendo finalmente termine alla malattia. Spesso una beffa la vita, infinitamente scarso nel mio

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talento e nelle mie capacità in montagna (su roccia o con le pelli, di corsa o con gli sci non ha importanza, sempre modesto resta il mio talento) ma altrettanto infinitamente innamorato di questi monti (in estate e in inverno non ha importanza, comunque sempre irrimediabilmente perso nell’amore per la montagna). Sono due montagne che ho nel cuore; anche se, a voler essere sincero fino in fondo, forse è la “montagna” che ho nel cuore, nel sangue, nella carne e in ogni dove. Semplicemente la montagna, comunque essa sia. Basta che si elevi sopra le

debolezze umane facendole illuminare dal sole. Basta che le sue cime facciano arrivare dove gli occhi non si stancano mai di guardare e il cielo diventa trasparente. Basta che con le sue pareti faccia scappare dalla rabbia e dal rancore, dalla sete di vendetta e dalla terra piana che ogni giorno sempre più sento stretta. Sembra strano ma sento la pianura, che non ha confini a vista d’uomo, come una galera: troppo stretta e troppo angusta. Appare assurdo ma sento la montagna, che è solo un confine di valli e di rilievi, di


creste e di canali, di crode e di cenge come espressione di libertà immensa e infinita. Ecco perché quando ho saputo di questa uscita, fra le gite organizzate dalla mia Sezione del CAI Morbegno, immediatamente ho capito che non avrei potuto perderla. Inoltre, strano ma ci sarà un suo perché, di questa splendida montagna mi mancava proprio la salita con le pelli. L’ho percorsa su tanti versanti, per canali e per prati, lungo sentieri e ferrate, da creste e da sbalzi, per lavoro e per diletto, di corsa e di passo, da solo (con i miei cani) e in compagnia, in tutte le condizioni, col freddo e col caldo, con il vento e con la pioggia ma non da scialpinista. Si tratta infatti di una magnifica gita dal dislivello importante, se fatta da Pasturo (m 1800), un poco meno (m 1300) se si parte dalla località Pialeral. Molto rinomata e frequentatissima in inverno, da intraprendere in condizioni

assolutamente sicure. Dai pendii sommitali infatti si possono verificare distacchi di grandi dimensioni e di rilievo. Si ricordano eventi catastrofici che hanno segnato la storia dell’alpinismo lecchese come quello dell’inverno 1986 nel corso del quale una grossa slavina distrusse l'intero Rifugio Tedeschi, storico rifugio per oltre vent’anni gestito dal mitico Giovanni Gandin. Inoltre, la cresta finale, normalmente facile e ben “pedonata”, può presentarsi ghiacciata. In tal caso deve essere percorsa con estrema attenzione. In montagna infatti il ghiaccio potrebbe non perdonare se sottovalutato. Da fare per tutto l’inverno fino a inizio primavera dato che, grazie all’esposizione, la neve si trasforma con relativa rapidità ma, ai primi caldi primaverili, scompare in fretta. Negli anni in cui la neve “faceva sul serio” si poteva addirittura partire dal

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fondovalle (altri 100 metri di escursione) in prossimità della strada provinciale. Poi si è iniziato a “pellare” dall’abitato di Pasturo fino agli ultimi anni dove purtroppo si possono mettere gli sci in località Pialeral riducendo così l’escursione a soli 1300 metri di dislivello. Ma, ahimè, come mi ha insegnato il mio grande amico Igor (istruttore CAI di Chiavenna) “piuttosto di niente è sempre meglio piuttosto”. Il percorso per noi, lasciate le auto appena sotto l’Alpe Cova (alt. circa m 1300) punta dritto alla località Pialeral (alt. circa m 1400) e prosegue poi sulla dorsale centrale dell'ampio versante Est del Grignone fino alle Baite Comolli (alt. circa m 1850). Da qui la pendenza 62 CAI MORBEGNO

si fa decisamente elevata (cosiddetto “muro” dove spesso si vedono sci-alpinisti “spallare” gli sci lungo la traccia diretta portandosi sulla cresta tra Grignone e Pizzo della Pieve (anche detta Grigna di Primaluna) ad una quota di circa mt 2250 giusto sopra la parete Fasana. Qui giunti un brivido e un emozione corrono lungo la mia schiena, anche se non è certo la prima volta che mi trovo in questo punto. Sapere di essere proprio sopra la parete e l’omonima via Fasana dove, nel 1925, giunse Eugenio Fasana dopo avere fatto per primo e senza piantare un solo chiodo, con il solito Vittorio Bramani, gli 800 metri di dislivello della parete è comunque una sensazione

alla quale non riesco e non riuscirò mai ad essere indifferente. Da qui si segue la cresta verso la cima del Grignone posta a m 2410. Spesso la discesa viene effettuata scendendo il costone subito sotto il crocione di vetta, facendo ben attenzione alle bastionate di roccia che lo delimitano sulla destra orografica, oppure più sotto è possibile congiungersi alla discesa nel vallone a destra avendo alle spalle il rifugio (richiede condizioni di neve sicure); infine tagliando a sinistra (sempre con lo sguardo verso valle) a ricongiungersi con il rifugio/bivacco dei Comolli e scendendo lungo la via di salita. Noi abbiamo scelto un’altra


variante (si dice riservata agli ottimi sciatori) da fare solo in condizioni di perfetta visibilità e neve sicurissima, da evitare in presenza di croste ghiacciate. Siamo scesi nel canale sotto il Rifugio Brioschi partendo direttamente dalla transenna del rifugio stesso verso il Canalone Ovest, adrenalinico ma tutto sommato non difficilissimo. Abbiamo poi evitato il vallone alla destra del costone seguendo un percorso dove le pendenze divengono sostenute ma per gli “ottimi sciatori del CAI Morbegno” nulla è troppo complicato. La neve però aveva mollato completamente rendendo la sciata un poco faticosa. Ci siamo poi portati

gradatamente sul costone a sinistra, per evitare un breve salto, e siamo rientrati quindi a destra dove, per ampi canali e pendii via via meno ripidi, abbiamo raggiunto la Foppa del Gèr. Da qui abbiamo ripreso l’itinerario di salita per raggiungere poco più sotto il Pialeral e, per facili prati, le auto. L’uscita è stata entusiasmante, a voler essere riduttivi, e lo spettacolo stupendo La Valsassina era illuminata dal sole e la neve rifletteva come uno specchio. Il “muro” (del pianto?) ha fatto il suo dovere stroncando le gambe e il fiato. In vetta non c'era vento e fare le cresta è stato un vero piacere; l’abbiamo percorsa

per lungo tratto con gli sci ai piedi e solo verso la fine, all’approssimarsi del crocione di vetta, abbiamo dovuto “spallarli” e proseguire camminando senza bisogno di ramponi. E’ stato davvero emozionante trovarsi in vetta e sotto di noi la discesa che ci attendeva. Dopo una sosta nel rifugio Brioschi, in attesa di tutta la compagnia, lasciarsi scivolare lungo il pendio guardando il lago è stata un'emozione indescrivibile. La neve non era male (un poco pesante ma comunque ben sciabile) anche se l’attesa l’ha resa troppo molle e si è preso qualche sasso di troppo. Una giornata stupenda che non potrò mai dimenticare. CAI MORBEGNO 63


SCIALPINISMO

VAL

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IN

FORMAZZA di Marco Poncetta

La Val Formazza è un piccolo gioiello alpino della provincia del Verbano-Cusio-Ossola, a nord del Lago Maggiore, parte dell’estremo nord del Piemonte, tra i cantoni svizzeri del Vallese a ovest e del Ticino a est. Per tutto il Duecento gruppi dell’Alto Vallese (CH) travalicarono i passi per insediarsi nelle vicine valli alpine e non vennero ostacolati dai feudali dell’epoca, i De Rodis e i duchi di Milano, non interessati alle terre alte ma agli ingenti tributi ricavati da questa popolazione che si insediò in piccoli villaggi dediti alla coltivazione e all’allevamento. Per

secoli il popolo Walser (da Walliser, abitante del Vallese) ha vissuto quasi indisturbato in questi luoghi, senza venire a contatto con le popolazioni vicine, mantenendo così un’autonomia culturale che si è perpetrata di generazione in generazione. La cultura walser è chiaramente individuabile nelle costruzioni e nella lingua. Le case walser, molte ancora visibili in Val Formazza, sono riconoscibili dal basamento in pietra, sopra il quale appoggia il corpo principale completamente in legno, un materiale che non veniva quasi utilizzato per le abitazioni sulle Alpi. CAI MORBEGNO 65


Il dialetto walser, una commistione di tedesco antico e dialetti subalpini, è rintracciabile nelle zone del comune di Formazza, anche se purtroppo ormai solo alcuni anziani sanno ancora parlarlo. La Val Formazza, dal tipico profilo glaciale, è percorsa per intero dal fiume Toce, che nella porzione terminale forma le celebri cascate, un salto di ben 143 metri. Offre agli alpinisti una notevole scelta di attività, dalle semplici passeggiate lungo il fondovalle ai più impegnativi trekking in quota tra grandi montagne e praterie alpine, dalle falesie attrezzate e dal comodo accesso, fino a itinerari sui ghiacciai delle cime più alte: Basodino, Punta d’Arbola, Punta del Sabbione, Blinnenhorn sono solo alcuni dei Tremila che contornano la Valle. In inverno, la neve è sempre abbondante, oltre 66 CAI MORBEGNO

ai lunghi anelli di fondo e al piccolo comprensorio per lo sci alpino, si può camminare con le ciaspole lungo itinerari di diversa lunghezza e difficoltà, ma è forse lo scialpinismo che in Val Formazza regala le emozioni più intense, con percorsi adatti sia ai principianti sia ai più esperti. Nella ricerca di una meta per la classica gita scialpinistica di due giorni, navigando su internet sono stato catturato dalla bellezza e dalla storia di questa valle ed è stato facile convincere il consiglio a proporla nelle attività sociali dell’anno. E così sabato 21 aprile il gruppo, composto da 26 scialpinisti, parte con il pullman di buon mattino per Riale, ultima frazione a nord della Val Formazza posta a 1730 m. Il programma della giornata è portarsi con gli sci ai piedi fino al Rifugio Maria Luisa 2156 m punto d’appoggio

per affrontare l’indomani il Monte Basodino 3273 m. Arrivati a Riale poco prima di mezzogiorno rimango colpito dalla quantità di neve presente in zona, a bordo strada ci sono cumoli che superano anche i 2 metri d’altezza a testimonianza dell’inverno nevoso che ha caratterizzato le Alpi Occidentali. La salita al Rifugio è comoda lungo una tranquilla mulattiera che ci porta alla meta in poco più di un’ora. Nel pomeriggio si decide di fare una breve escursione di circa 400 m di dislivello nelle vicinanze, per allenare le gambe approfittando di una zona sicura, viste le temperature calde del pomeriggio, eccessivamente alte rispetto alla media, arrivate improvvisamente dopo una settimana di abbondanti nevicate e che ci fanno preoccupare circa la fattibilità della gita programmata per il


giorno successivo. Il Basodino infatti è un’escursione tutt’altro che banale: con un ripido e “valangoso” canale (Kastell) nella parte centrale dell’itinerario e un delicato traverso sul versante ticinese sempre con pendenze sostenute. La fattibilità e la scelta di un itinerario alternativo è stato l’argomento più discusso dell’intera serata, durante l’ottima e abbondante cena al Rifugio Maria Luisa. Solo al mattino confortati dal rigelo notturno e dal prezioso consiglio dell’esperto gestore del rifugio si decide di tentare la cima. Impegnativa è la salita lungo il canale Kastell, rampanti obbligatori per affrontare la pendenza con più tranquillità e sosta obbligata, arrivati alla bocchetta, per compattare il gruppo, mangiare qualcosa e godersi un po’ di sole. Valutate le buone condizioni anche sul versante ticinese, si prosegue la salita lungo il ghiacciaio fino a un pianoro posto sul versante est della cima, da qui, lasciati gli sci raggiungiamo la cima con picozza e ramponi. Siamo poi discesi lungo il medesimo itinerario fino a Riale dopo essere passanti ancora al rifugio per recuperare quanto lasciato per alleggerire lo zaino e festeggiare con un improvvisato rinfresco la buona riuscita della gita. Personalmente sono rimasto molto soddisfatto, la Val Formazza ha soddisfatto le mie aspettative, peccato che le numerose cave di serizzo, dighe e tralicci hanno deteriorato anche l’ambiente: del resto non si può pretendere di ritornare ai tempi dei walser. CAI MORBEGNO 67


PUNTA SAN MATTEO

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di Emil Del Nero

E' domenica 3 giugno 2018, con un gruppo di 20 persone partiamo alla volta della Punta San Matteo per l'ultima gita scialpinistica di stagione. Alle 7.30 partiamo dal Passo Gavia sci ai piedi e iniziamo la risalita dello spettacolare ghiacciaio del DosegĂš. Il gruppo e' affiatato, la giornata stupenda. Presenti, nel gruppo, anche una buona parte degli allievi del corso di scialpinismo, che si e' concluso qualche settimana prima. Un buon rigelo notturno ci permette di risalire i pendii del ghiacciaio senza grossi problemi e ci fa ben sperare in una bella discesa su ottima neve primaverile. Affrontiamo l'ultimo tratto di cresta che porta ai 3678 m della cima con piccozza e ramponi, foto di vetta e iniziamo la discesa. La sciata si dimostra all'altezza delle aspettative e ci concediamo anche una ripellatina, (visto che sara' l'ultima della stagione ci e' parsa quasi d'obbligo) poi fino alla macchina sci ai piedi. Per alcuni e' stata la prima occasione di mettere piede su ghiacciaio, per altri il primo 3000, per tutti un'ottima giornata scialpinistica!!! CAI MORBEGNO 69


di DesirĂŠe Barbetta

IL CORSO

Sicurezza, tecnica, passione: la combinazione vincente di un corso di arrampicata libera ad arte, quello organizzato dalle sezioni Cai di Chiavenna e Morbegno. Svoltosi nei mesi di maggio e settembre per un totale di cinque uscite pratiche e il gran finale di un weekend in Liguria e supportato da un corollario di lezioni teoriche, il corso ha dato l'opportunitĂ  ai partecipanti di prendere confidenza con i principi fondamentali dell'arrampicata libera e di confrontarsi con le pareti piĂš differenti, dalla palestra a Piuro, alla falesia del Sass Negher di Piona, il Sasso bianco a Prata 70 CAI MORBEGNO

Camportaccio, la Valsassina e il Sasso del Drago di nuovo a Piuro, per finire con le falesie di Finale ligure. Il bottino da portare a casa è ricco, a cominciare da un qualcosa di elementare: la fiducia. La fiducia da riporre prima di tutto in sÊ stessi, in quel centimetro quadrato su cui il piede tremolante deve stabilizzarsi e permettere alle gambe di stendersi. Ma anche la fiducia nell'attrezzattura che si è imparato a conoscere e a utilizzare in sicurezza con tanti piccoli accorgimenti apparentemente banali eppure salvavita. E infine la fiducia


DI ARRAMPICATA nel compagno che assiste nella salita e garantisce la calata. A casa si porta anche la soddisfazione di aver completato "quella" via, di aver superato "quel" passo e la felicitĂ di aver condiviso un percorso di crescita in un team caloroso e supportivo, reso saldo da istruttori capaci e di spirito. Il corso ha gettato cosĂŹ un seme che crescerĂ a seconda della dedizione e della pratica di ciascuno ma che sicuramente ha permesso ancora una volta di avvicinarsi alla montagna, in una forma nuova e sempre con il dovuto rispetto, dispensando insegnamenti validi per la vita.

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Monte Grona di Alessandro Caligari

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Non tutte le ferrate sono uguali. Alcune sono una successione ininterrotta di gradini e staffe, in cui non si mette mai una mano od un piede sulla roccia. Altre invece sono realizzate con uno spirito diverso, salvaguardando il gesto dell'arrampicata e proponendo il cavo metallico o la catena solo come dispositivo di sicurezza, lasciando a ciascuno la libertĂ  di servirsene a propria discrezione, come mezzo di progressione o solo come protezione. La ferrata del Centenario sul monte Grona appartiene a questo secondo tipo. Si sviluppa su una cresta di roccia calcarea, da cui si levano quattro torri, di cui l'ultima costituisce la vetta del monte. Siamo sulle montagne tra i lago di Como e quello di Lugano, nei pressi del rifugio Menaggio. Dopo due rinvii a causa del tempo instabile, finalmente arriva una bella domenica di maggio. Dopo un

La ferrata del Centenario avvicinamento di tre quarti d'ora siamo all'attacco della via, che, per mettere subito le cose in chiaro, parte con un tratto verticale. La relazione la classifica come “D”, difficile. La roccia però è molto appigliata, con bei maniglioni per le mani ed altrettanti appoggi per i piedi, cosicchè chi vuole arrampicare lo può fare in tutta tranquillità. Chi invece ha meno dimestichezza con la roccia sale aggrappandosi alla catena, con però un notevole dispendio di energie. Dopo il tratto iniziale, tutto il gruppo prende confidenza con la via e si procede tranquillamente. Siamo in tredici ed abbiamo circa 400 metri di dislivello da compiere in arrampicata. Il fatto di essere un gruppo numeroso si ripercuote negativamente sulla nostra velocità: siamo in fila indiana ed ogni rallentamento del singolo, per una difficoltà, per un intoppo, per fare una foto o semplicemente per tirare


il fiato e guardarsi in giro, si trasmette immediatamente a chi lo segue e a chi, più avanti, lo dovrà aspettare. Per questa ragione, unitamente al fatto che è una bella giornata, che non abbiamo nessuno né davanti né dietro, impieghiamo quasi quattro ore per completare la via. Nel complesso è una ferrata divertente, con tratti semplici ed altri non banali. In particolare sulla terza torre c'è una placca verticale (non a caso chiamata “placca difficile”) che determina qualche apprensione ed anche una defezione a causa di un problema fisico; anche il successivo “spigolo affilato” dà del filo da torcere a chi vuole salire in arrampicata. Va anche considerato che, se da un lato si è sempre agganciati al cavo di sicurezza, dall'altro gli ancoraggi di questo cavo sono piuttosto distanti, per cui un'eventuale caduta significherebbe un volo anche di 5-6 metri, non piacevole su una cresta frastagliata. La via presenta anche alcune possibilità di uscita, che in un caso, come detto, si sono rese quanto mai utili. Verso l'ora di pranzo siamo tutti in cima. La vetta è molto panoramica, anche se la foschia ci toglie un po' dello spettacolo, che comunque è notevole. Raggiunti da comitive chiassose che salgono dalla via normale, addentiamo finalmente i nostri panini. Anche la sete si fa sentire, e mi fa pensare a cosa dev'essere salire la via in una giornata di piena estate. Mi accorgo di avere le braccia rosse per il sole e di essermi seduto su delle inaspettate ortiche di vetta. Radunato il gruppo scendiamo

per la ripida direttissima, cioè il sentiero che percorre il canalone che fiancheggia la nostra cresta. In venti minuti perdiamo il dislivello che abbiamo faticosamente guadagnato in una mattinata d'arrampicata, ed arriviamo all'affollato rifugio Menaggio, pieno di famiglie e fauna varia. Una birretta ci toglie l'arsura, poi con calma scendiamo alle macchine.

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IL PIZZO SCALINO di Francesco Spini e Chiara Piatti

Domenica 1 luglio si è svolta la gita alpinistica dell’estate 2018, con meta il Pizzo Scalino. Una gita magari non di altissimo livello tecnico, una meta forse un po’ inflazionata (soprattutto per chi ci era appena stato non più di due mesi prima con gli sci) ma scelta proprio per questi motivi: dare l’occasione a chi volesse approcciarsi all’alpinismo di vivere un’esperienza anche formativa in un ambiente relativamente facile. Undici partecipanti (solo 4 avevano già salito la cima di questa montagna) di cui due tesserati ad un’altra sezione, a sottolineare quanto il CAI possa davvero essere una realtà di condivisione.

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Giornata tra le più calde dell’estate, limpida e che promette bene già dalla partenza. Una volta lasciate le macchine ci si addentra nei piani di Campagneda fino alla più faticosa risalita del Cornetto. Da qui, dopo un ultimo passaggio su sfasciumi, inizia la vera parte alpinistica della gita. Progressione su ghiacciaio (in ottime condizioni) che ha dato la possibilità ad alcuni partecipanti di sperimentare per la prima volta l’esperienza della cordata mentre a tutti ha consentito un sempre utile ripasso, in vista 76 CAI MORBEGNO

dell’imminente stagione alpinistica. Un po’ più critica si è rivelata l’uscita dal ghiacciaio per raggiungere il colletto dove sono stati lasciati i ramponi: tra cornici di neve (residui della primavera) ed un paio di passi di arrampicata ci siamo ritrovati a poche centinaia di metri dalla vetta, raggiunta senza ramponi ai piedi seguendo le comode tracce tra le roccette finali. Doveroso il set fotografico in cima, roba da far invida ai fotografi dei matrimoni (ma questo solo grazie al nostro official ph) le strette di mano e le felicitazioni. Dopo di che,


i protagonisti assoluti sono stati lo stupore ed il silenzio di fronte al panorama che la splendida giornata ha offerto. Dopo aver mangiato qualcosa in fretta è iniziata la discesa, arricchita da una semplice calata nel passaggio precedentemente citato per raggiungere il ghiacciaio. Le ultime fasi della discesa si sono rivelate faticosissime, probabilmente per il caldo. Tant’è che si è optato per una birra dissetante ma di dimensioni forse esagerate. Diciamo che abbiam raggiunto la macchina … euforici, senza motivare del tutto questa euforia! CAI MORBEGNO 77


LA MONTAGNA di Mariella Spandrio

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Dopo innumerevoli gite all’aperto, ascensioni alpinistiche e scialpinistiche a diverse vette, perché non entrare dentro la montagna per scoprirne i segreti che nasconde nei suoi anfratti … Ecco, allora che il Cai ha proposto un’escursione speleologica, una novità nel programma 2018: la Grotta dell'Acqua Bianca. Domenica 23 settembre un gruppo di noi soci ha raggiunto la frazione Rongio di Mandello del Lario. Da lì, salendo a piedi lungo il sentiero che porta al Rifugio Elisa, sulla Grigna, per circa 45 minuti, accompagnati da una guida alpina, uno speleologo ed un

aiuto-guida facente parte del gruppo speleologico di Lecco, siamo giunti all'ingresso della grotta posto a 590 m di quota. Ben coperti ed attrezzati di imbrago, cordino, moschettoni, casco, torcia frontale, ci siamo addentrati in un mondo buio e sconosciuto. La caverna, formata da un unico ambiente molto vasto, è dovuta a fenomeni di carsismo ed è percorsa da un ruscello che si disperde nelle fratture del basamento. Grazie alle guide esperte che hanno anche posizionato corde nei punti piÚ pericolosi ed al nostro presidente Cai, sempre attento ai partecipanti, abbiamo avuto la possibilità di percorrere


DENTRO la grotta, muovendoci su un fondo molto scivoloso. Al suo interno è stato possibile osservare gli scavi, traccia della passata attività di estrazione di idrossidi di ferro, intravedere diversi cunicoli, alcuni dei quali abbiamo perlustrato strisciando come lucertole in spazi angusti e ricoperti di fango. Qualcuno di noi, addirittura, si è trovato incastrato negli stretti corridoi ed in difficoltà a trovare la via d’uscita. E’ stato come aggirarsi in un labirinto senza punti di riferimento dove spazio e tempo si perdono facilmente, in un regno dove abitano solo animali notturni come i pipistrelli che abbiamo

Il CAI e la speleologia

potuto sentire e vedere qua e là.. Dopo circa due ore, ricoperti di fango, abbiamo lasciato questo mondo tenebroso ma affascinante, contenti di rivedere la luce e ritrovare il caldo estivo (viste le temperature di quel giorno). Il pranzo al sacco l’abbiamo gustato in compagnia delle nostre guide che ci hanno intrattenuto piacevolmente raccontandoci esperienze vissute, fornendoci spiegazioni scientifiche sulla formazione delle grotte, sul loro sfruttamento e sull’attività di speleologia. Concludendo credo sia stata un’esperienza singolare, istruttiva ed emozionante che

ci ha consentito, “in veste di speleologi”, di approfondire la nostra conoscenza della montagna, di vivere in modo diverso quella montagna che tanto amiamo e frequentiamo, di solito, solo esternamente. Pertanto ringrazio chi ha organizzato e supportato questa escursione portata a termine con successo. CAI MORBEGNO 79


LEGNONE di Annalisa Gadola

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Finalmente Legnone! Una delebiese non può non essere mai stata sul pizzo Legnone... perché l’hai sempre avuto lì, a sorvegliarti dall’alto, e tu l’hai guardato milioni di volte, per vedere se arriva la neve, un temporale o se domani sarà bello... Perché il Legnone ti dice anche questo, magari con poca precisione o scarsa affidabilità, ma te lo dice... come sintetizzava, ironicamente, mio nonno: “quant che il Legnun l’ g’ha su ‘l capel, o che l’ fa brut, o che l’ fa bel". Era da un po’ di tempo che cercavo l’occasione per andarci perché, anche se da troppi anni ormai abito a Milano, ogni

volta che torno in Valtellina e me lo vedo lì sopra penso, immancabilmente, di dover vedere la valle anche da lassù, prima o poi... E l’occasione giusta è arrivata proprio grazie alla gita CAI, che ha proposto l’uscita al Legnone in una splendida giornata di metà ottobre, con i colori dell’autunno, il cielo terso in quota e una velatura in basso, a ricoprire valli e laghi. Lunghetto il tratto in macchina, per raggiungere i Roccoli, ma molto bello il percorso tra i boschi di castagno. Al parcheggio, si compone un folto gruppo di escursionisti, con tanto di ‘ospiti’ da altre sezioni CAI: evidentemente il Legnone è una meta ambita, con la sua maestosa e solitaria presenza in quel tratto alpino.


La parte iniziale del tragitto è stata correttamente definita da qualcuno un ‘sentiero a due corsie’, perché ampia e agevole (a tratti fin troppo, sembra quasi una strada carrabile...). In realtà tutta la salita è piuttosto dolce e poco impegnativa, almeno fino alla Ca’ de legn, che di legno non ha proprio nulla (o forse è Ca’ de Legn, con la maiuscola perché si riferisce a Legnone...): lì inizia il tratto finale, con una pendenza maggiore e qualche passaggio che richiede un po’ di attenzione (e magari di abbandonare i bastoncini...). Nulla di particolarmente esposto, comunque, se io sono arrivata senza problemi di vertigini fino sulla cima, a godermi un panorama spettacolare: perché il fatto che il Legnone se ne stia lì da solo, senza cime di altitudini simili nelle vicinanze, ti regala una vista unica sull’arco alpino, sui laghi, le valli e le pianure. E, ovviamente, su Delebio.

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ALPINISMO GIOVANILE Con la Scuola Provinciale BOMBARDIERI – MARTELLI

di Riccardo Marchini (AAG)

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La stagione 2018 di Alpinismo Giovanile può essere sintetizzata cosÏ: pochi ma buoni. Pochi, perchÊ, a fronte delle 27 adesioni al programma proposto dalla Scuola, in calo rispetto allo scorso anno, la frequenza media per uscita è stata di 12 partecipanti. Buoni, perchÊ si è comunque creato un bel gruppo di giovani, disponibili e interessati con i quali è stato

possibile svolgere un ottimo lavoro, che fa ben sperare per il futuro. I nostri Aquilotti, la cui età media era di 12 anni, provenivano da Morbegno (7), Castione (6), Sondrio (5), Ponte (3), Tresivio (2), Lanzada (2), Traona (1), Cosio (1). Relativamente al calo delle adesioni andrà fatta un’analisi approfondita per capirne le cause al fine di aggiustare il tiro in prospettiva dei


prossimi calendari. Venendo allo specifico delle attività, oltre alle 4 uscite con sci e pelli (preferiamo non parlare di sci alpinismo) di gennaio/ febbraio che hanno visto coinvolti una decina di giovani fra i più grandicelli, assistiti dagli Accompagnatori di AG in collaborazione con gli Istruttori di Sci Alpinismo della Scuola provinciale “Luigi Bombardieri”, abbiamo effettuato 12 uscite distribuite

fra marzo e ottobre, di cui 4 di due giorni. La stagione vera e propria è iniziata con la tradizionale gita sulla neve, quest’anno al lago Palù, per prendere contatto con l’ambiente innevato e le sue insidie, occasione per rafforzare l’attenzione alle regole necessarie per la sicurezza personale. Nel primo scorcio di primavera, in considerazione delle sfavorevoli condizioni in

quota, ci siamo dedicati all’esplorazione dell’ambiente valtellinese, percorrendo un tratto della Via dei Terrazzamenti retici, da Teglio a Chiuro, e, a seguire, risalendo il versante opposto alla volta di Arigna per conoscere la civiltà della castagna, il pane nero cotto nel forno comunitario e la lavorazione dei pezzotti, aiutati rispettivamente dalla simpatia del Sig. Claudio Moretti (detto Belgio) e dalla professionalità CAI MORBEGNO 83


del Sig. Stelio Toppi. A maggio, nella successiva uscita ai Prà Sücc sulla Costiera dei Cèch, ci hanno affiancato gli allievi del Corso per Accompagnatori Sezionali di Alpinismo Giovanile (ASAG) che dovevano sostenere una delle prove pratiche in ambiente, avente come tema la conduzione di un gruppo di giovani. Molto gratificanti anche le due successive uscite. Nella prima, a Dalòo e a Lagunc, a scavalco fra la Val Bregaglia e la Valle di San Giacomo, i ragazzi hanno potuto dare sfogo alla loro creatività costruendo alcuni manufatti in pietra a secco; nella seconda all’Alpe Pirlo in Valmalenco, siamo stati testimoni privilegiati della realizzazione di un lavècc, grazie alla disponibilità del Sig. Silvio Gaggi, titolare di una cava e di un tornio per la pietra ollare. Terminati gli impegni

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scolastici, avendo più tempo a disposizione, ci siamo dedicati alle avventure estive di due giornate, con pernottamento in rifugio. Nel centenario della fine della 1° Guerra Mondiale, abbiamo affrontato la lunga trasferta in Val Camonica per le visite alle fortificazioni austriache nei dintorni del Passo Tonale e al Museo della Guerra Bianca di Temù, alle quali ha fatto seguito, il giorno seguente, l’impegnativa salita alla Bocchetta di Val Massa, dove è presente, ancora in ottimo stato, un’imponente trincea difensiva italiana. Il Rifugio Alpe Stavello è stato scelto come campo base della manifestazione internazionale “Youth at the top” (Giovani in vetta), patrocinata dal Parco delle Orobie Valtellinesi con altre Aree protette dell’arco alpino in Italia, Francia, Germania, Austria, Svizzera e Slovenia.

Scopo della manifestazione, che ha sempre luogo nei giorni 11 e 12 luglio, è quello di accompagnare i gruppi giovanili aderenti all’iniziativa su una delle cime presenti nelle suddette Aree, affrontando nel contempo un tema di interesse comune relativo all’ambiente. L’argomento di questa edizione riguardava i cambiamenti climatici, la cui comprensione ci è stata facilitata dalle spiegazioni del Dott. Fausto Gusmeroli che ci ha accompagnato nella prima parte dell’escursione. La vetta prescelta avrebbe dovuto essere il Monte Rotondo, terza elevazione della Valgerola, ma le cattive condizioni meteo ci hanno costretto a ripiegare sulla Cima della Rosetta, raggiunta sulla via del ritorno approfittando di una pausa del maltempo. Bella e istruttiva anche la successiva uscita all’Alpe Piazza di Albaredo. Qui i


ragazzi hanno avuto modo di assistere alla lavorazione del prodotto caseario simbolo dell’intera provincia, il formaggio Bitto. Per la cronaca il casaro dell’alpeggio di cui siamo stati ospiti, Flavio Mazzoni, quest’anno è stato il vincitore del 1° premio alla Mostra del Bitto di Morbegno. La salita, il giorno dopo, al Monte Lago ha concluso degnamente la nuova avventura. Ultima della serie, la più impegnativa, ma probabilmente la più gradita, è stata la trasferta alla Grigna Settentrionale. Partiti dall’Alpe Cainallo abbiamo raggiunto il Rifugio BiettiBuzzi transitando accanto alla suggestiva Porta di Prada, curioso arco naturale scavato nel calcare. Sulla vetta siamo saliti la mattina seguente percorrendo la Via del Caminetto, itinerario a tratti attrezzato con catene, che ha permesso ai ragazzi di divertirsi affrontando un terreno per loro insolito che richiedeva di mettere, per dirla con Andrea Oggioni, “le mani sulla roccia”. Prima della tradizionale festa di fine stagione ci è toccato recuperare la mancata uscita al Raduno Regionale di AG, non effettuato da parte della Commissione Regionale a fine maggio per motivi organizzativi. Rimanendo in tema di 1° Guerra Mondiale, siamo saliti alle Torri di Fraele per imboccare la stradina militare che si inerpica in un ambiente suggestivo di mughi e di aspre rocce calcaree al Monte delle Scale, per poi scendere ai laghi di Cancano sul versante opposto, dopo avere attraversato i manufatti

della fortificazione che passa da parte a parte il crinale della montagna. Il trasferimento pomeridiano in quel di Oga, a monte di Bormio, ci ha consentito di effettuare la visita guidata al Forte Venini. Festa di chiusura dicevamo. Questa si è svolta in ottobre con i giochi dell’Arrampicaorientarsi presso la nuova palestra della Sassella e il Parco Bartesaghi, preludio a un’ottima polentata in compagnia di ragazzi, genitori e accompagnatori presso il Pala Castione, dove è stato fatto omaggio ai ragazzi di una T-shirt con il logo dell’AG e della Scuola.

A pagina 76-77: un momento di riposo prima di raggiungere il Rifugio Brioschi sul Grignone. Pagina a fronte: la Porta di Prada sul versante occidentale del Grignone In questa pagina. Sopra: scendendo dal Monte delle Scale ai Laghi di Cansano. Sotto: lezione di storia patria all’ex Forte Sarcarana, nei pressi del Tonale.

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IL GRUPPO 2008 di Giovanni Cerri

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Il gruppo 2008 del CAI di Morbegno ha come "mission" principale la fruizione della montagna da parte di persone che appartengono alla categoria dei Seniores, ma anche di coloro che possono dedicare il mercoledĂŹ alla pratica escursionistica. La connotazione principale dei componenti del gruppo e' sicuramente l'amore per la montagna e per i suoi valori unito ad un saldo rapporto di amicizia, di allegria e di solidarietĂ . Per il gruppo 2008 la grande bellezza e' nella natura della montagna in tutte le sue forme, dalle scintillanti vette

alle verdi vallate, alle foreste, ai torrenti, ai laghi, ai fiori e agli animali. Naturalmente il gruppo, oltre che alle proprie attivita', partecipa alle iniziative escursionistiche o conviviali proposte dal CAI. Mi sembra importante segnalare anche la costante azione di crescita collettiva del gruppo nella cultura alpinistica grazie alla condivisione di aspetti tecnici, esperienze, informazioni e consigli sul campo. I componenti piĂš esperti del gruppo sono sempre pronti ad offrire il loro sostegno e incoraggiamento agli altri e a seguirli con attenzione nel superamento


di qualche tratto piu' impegnativo. L' attivita' svolta nel 2018 ha seguito principalmente due criteri: il primo focalizzato sulla riscoperta di itinerari gia' percorsi in passato o di vette gia' note, ma da raggiungere da altri versanti o con diverse modalità ed il secondo sulla ricerca di nuove escursioni e di nuovi territori da esplorare. Complessivamente nel 2018 abbiamo effettuato una quarantina di uscite, nella prima parte dell'anno prevalentemente su neve con ciaspole o sci, mentre da maggio in poi ci siamo dedicati alle escursioni ed ascensioni tipicamente estive. Tra le uscite invernali sono state particolarmente apprezzate la salita al Resegone, il monte Brione al Prato Valentino, il monte Rotondo in Val Lemma, il Passo di Campagneda, il Sass Queder al Diavolezza e la cima Zebru' Le uscite estive/autunnali sono state di tre tipologie: dei trekking anche parecchio impegnativi, delle ascensioni su cime importanti ed alcune ferrate o sentieri attrezzati. Tra i primi da segnalare il giro ad anello Val d'Ambria - Val Venina, il rifugio V° Alpini dalla Val Zebru', l'anello Val Poschiavina - Val Campagneda e la cima di Vallumbrina dal Rifugio Berni. Per le vette di maggior soddisfazione vanno menzionati: il Tre Signori salito dall'inusuale via del Caminetto, il pizzo Tambo' è i Ponteranica Occidentale e Orientale. Le ferrate su cui ci siamo cimentati sono state quella di Dalo', la Gamma 1, lo Zucconi Campelli ed il Piz Trovat al Diavolezza. Mentre

tra i sentieri attrezzati hanno spiccato il Badile Camuno e la Cresta Sinigaglia della Grignetta. Inoltre abbiamo anche collaudato il Ponte nel Cielo per raggiungere il pizzo della Pruna in Valtartano e affrontato una temeraria discesa in notturna dal monte Pisello per festeggiare il Decennale del Gruppo 2008 dopo uno spettacolare tramonto ammirato dalla cima e l'attesa della luna piena. La fortuna e la prudenza ci hanno aiutato ad avere quasi sempre delle condizioni meteo discrete ed ad evitare infortuni. In conclusione, anche se in qualche occasione ci e' toccato di "ravanare" un po', siamo sempre tornati sorridenti dalle nostre escursioni e con la voglia di provare nuove emozioni nelle prossime avventure.

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NOTIZIE DALLA SEZIONE I NUMERI DEL C.A.I. MORBEGNO Alla data del 31.12.2018 gli iscritti sono 487 cosĂŹ suddivisi: 320 ordinari di cui 31 ordinari juniores, 101 famigliari e 35 giovani. Ricordiamo che le iscrizioni si effettuano in sede e presso gli sportelli del Credito Valtellinese di Via Ambrosetti. CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente Marco Poncetta Vice Presidente Alessandro Caligari Segretario Davide Bonzi Consiglieri Domenico Del Barba Rita Bertoli Andrea Borromini Alda Maffezzini Francesco Spini Emil Del Nero Chiara Piatti Mirco Gusmeroli DELEGATI Marco Poncetta Domenico Del Barba ISTRUTTORI DI ALPINISMO E DI SCI ALPINISMO E ARRAMPICATA LIBERA Enrico Bertoli (ISA) Giulio Gadola (ISA) Marco Riva (ISA) Franco Scotti (ISA) Cesare De Donati (IA+INSA) Moreno Libera (IAL)

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ISTRUTTORI SEZIONALI DI ALPINISMO, SCI ALPINISMO E ARRAMPICATA LIBERA Danilo Acquistapace Andrea De Finis Mirco Gusmeroli Emil Del Nero Moreno Libera Riccardo Scotti Mario Spini Chiara Piatti Marco Mazzolini Alessandra Tagliabue ACCOMPAGNATORI SEZIONALI DI ALPINISMO GIOVANILE (ASAG) Rita Bertoli Riccardo Marchini Claudia Ponzoni ACCOMPAGNATORI DI ESCURSIONISMO Davide Bonzi (AE) Alessandro Caligari (AE) I CORSI Corso di ginnastica presciistica Tenuto dall’insegnante Massimo Maffezzini si è svolto da novembre 2017 al marzo 2018 presso la palestra provinciale del Liceo Artistico e presso la palestra di via Prati Grassi. Corso base di sci-alpinismo Si è svolto da gennaio a marzo, articolato in 7 lezioni teoriche presso la sede CAI e 6 esercitazioni pratiche in montagna. Il corso ha visto Enrico Bertoli direttore.

Le Uscite: • Selezione su pista 21 gennaio a Pescegallo • Munt di Sura 22 gennaio • Pian dei Cavalloi 28 gennaio • Passo di Tartano 4 febbraio • Piz d’Emmat Dadaint 21 febbraio • Pescöla 4 marzo • Pizzo Dosdè 8 marzo Corso di arrampicata • Palestra Indoor Piuro Valchiavenna 20 maggio • Falesia Sass Negher Olgiasca 27 maggio • Falesia Sasso Bianco - Prata Camportaccio Valchiavenna 3 giugno • Falesia di Sherwood - Ballbio Valsassia 9 settembre • Falesia Sasso del Drago Valchiavenna 16 settembre • Weekend a Finale Ligure22-23 settembre ALPINISMO GIOVANILE Con la Scuola di Alpinismo Giovanile “Bombardieri-Martelli” della Provincia di Sondrio. Attività da marzo a settembre con 13 uscite. LE GITE Gite sezionali • Scialpinismo Piz Grevasalvas, Grignone, Val Formazza, Punta San Matteo • Uscita notturna scialpinistica e ciaspole a Pescegallo • Ciaspole Alpe Piazza, Pian dei Cavalli • Vie ferrate Monte Grona


• Escursionismo Val Fontana, Monte Legnone, Ghiacciaio di Fellaria, Cima Fiorina, Spadolazzo, 4 giorni in Dolomiti, Malinone • Alpinismo Pizzo Scalino, Pizzo d'Emet Gruppo 2008 Uscite tutti i mercoledì, meteo permettendo, per una quarantina di uscite. I MARTEDÌ DEL CAI Per gli incontri del martedì sono stati proiettati i seguenti film

• Nel cuore della montagna • Una vita in montagna • Volando sopra l'Everest • Dramma sul Monte Kenia • Vincersi 29°RALLYNO DELLA ROSETTA Si è svolto il 25 marzo. Totali iscritti: 43 coppie • Vincitori regolarità: Rita Bertola-Alessandro Caligari • Vincitori salita: Diego Canti-Daniele Rava • Vincitori discesa: Del Barba Pietro-Orlandi Mauro

I RITROVI CONVIVIALI • Venerdì 22 giugno CENA D’ESTATE momento conviviale informale nei giardini del palazzo Malacrida • Venerdì 19 ottobre CASTAGNATA • Venerdì 21 dicembre AUGURI NATALIZI ISTITUZIONALE • Venerdì 23 febbraio Assemblea Annuale di Sezione

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