Annuario 2020 - CAI Morbegno

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SOMMARIO

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ANNUARIO 20202021

Club Alpino Italiano Sezione di Morbegno

Via San Marco Tel. e fax 0342 613803 e-mail: info@caimorbegno.org www.caimorbegno.org

COVID E MONTAGNA di Andrea De Finis

Redazione:

Alessandro Caligari, Lodovico Mottarella, Marco Poncetta

Hanno collaborato: Alessandro Caligari, Camilla Castelletti, Giovanni Cerri, Andrea De Finis, Marco Poncetta, Franco Scotti, Riccardo Scotti

IL FASCINO DELL'ESPLORAZIONE di Franco Scotti

Fotografie: Alesandro Caligari:40, 41, 42-43, 48-49, 50, 51, 58, 59, 62, 63 Raffaella Gavazzi: 64, 65, 67 Lodovico Mottarella: I, II, III, IV di copertina, 1, 2, 4, 5, 6, 8-9, 10, 11, 15 (sopra), 20-21, 2, 23, 24,25, 26, 27, 44, 45, 46-47, 56-57, 60-61, 68-69, 71, 72 Marco Poncetta: 52-53, 54, 55 Franco Scotti: 14, 36, 37 Riccardo Scotti: 15 (sotto), 28-29, 30, 31, 32, 33, 34 Paolo Spreafico: 39 Augusto Zanotti: 13, 16, 17, 18, 19

M'ILLUMINO D'IMMENSO di camilla Castelletti

QUANDO IL PRESTIGIO E LA QUOTA NON GARANTISCONO LA FELICITÀ di Riccardo Scotti

VENTO IN POPPA di Paolo Spreafico

Progetto grafico e realizzazione: Mottarella Studio Grafico www.mottarella.com

Stampa:

ATTIVITÀ Corni Bruciati Scialpinismo sociale L'anello della Val Sissone Punta Marinelli Gruppo 2008

Tipografia Bonazzi

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E D I T O R I A L E di Marco Poncetta

Quello che la pandemia ha portato e ci ha tolto in questi due anni lo conosciamo tutti, purtroppo. Ha investito e sconvolto le nostre case, le nostre vite e il nostro lavoro. E di conseguenza il nostro tempo libero. È stato inevitabile quindi che anche le attività del CAI siano state limitate e condizionate. Sono stati due anni difficili per la nostra sezione. L'emergenza sanitaria ha azzerato completamente i momenti di festa e convivialità in sede: la Cena d'inizio Estate nella splendida cornice dei giardini di Palazzo Malacrida, la Castagnata di metà ottobre e la tanto attesa Serata degli Auguri di Natale con la proiezione del filmato sulle attività svolte nell'anno appena concluso. Sono stati annullati i Martedì del Cai, appuntamenti settimanali che allietavano con film e documentari sulla montagna, così come le serate culturali e le assemblee di sezione. Siamo stati costretti a interrompere tutte le attività di formazione, tra cui i corsi di scialpinismo e di arrampicata, da sempre occasioni preziose per avvicinare nuovi appassionati. Quest'anno, in coordinamento con le disposizioni che ci venivano comunicate dalla sede centrale del CAI, abbiamo cercato di tenere quanto più attiva la sezione. La sede è rimasta aperta solo per le attività di segreteria o poco più, per evitare di creare assembramenti. Quando consentito, abbiamo organizzato attività, di svariati livelli, sul territorio, come gite di scialpinismo, ciaspolate, escursioni estive e vie ferrate. Certo, le nostre abitudini sono cambiate. Dobbiamo indossare la mascherina, portare con noi il gel igienizzante, prediligere le attività all'aperto e tenere conto del numero di partecipanti. Ma questo non ci ha impedito di essere una delle poche sezioni del CAI tra le più attive nel momento di difficoltà e di questo ne siamo orgogliosi. Una menzione speciale spetta all'impegno dimostrato dal gruppo Seniores 2008, che, nonostante le preoccupazioni e i rischi della pandemia, ha sempre dimostrato grande entusiasmo e voglia di vivere la montagna. È stato un esempio da seguire da cui i più giovani hanno tanto da imparare. Con piacere, finalmente, dopo un breve stop, torna anche l'annuario, molto apprezzato e richiesto dai nostri soci, che dalla prima pubblicazione nel 2003, erano abituati a inizio anno a ritirare la nuova edizione. Uno strumento per riflettere sui mesi trascorsi, riviverne i momenti più belli e sognare nuove avventure per il futuro. La speranza è quella che il peggio sia passato e che con nuove consapevolezze potremo riprendere al cento per cento le nostre attività. Di certo, ora, abbiamo ancora di più la certezza che la montagna e la natura possono concederci sempre un momento di pace, gioia e soddisfazione da vivere in compagnia. 6 CAI MORBEGNO


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90 ANNI DI CAI MORBEGNO Tra le tante privazioni che la pandemia ci ha imposto c’è stata anche l’impossibilità di celebrare, o di farlo in maniera un po’ approssimativa, alcune ricorrenze, anche importanti. Un esempio sono state gli eventi legati ai settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, che ricorrevano nel 2021, e prima ancora quelli dei cinquecento anni dalla scomparsa di Raffaello Sanzio, avvenuta nel 1520, che sono stati sì celebrati, ma decisamente in maniera sottotono rispetto a quanto era stato programmato. Anche nel nostro piccolo abbiamo dovuto “saltare” un anniversario. Probabilmente molti ricorderanno che nel 2012 abbiamo festeggiato i 50 anni dalla fondazione della Sezione del CAI Morbegno. I più attenti però forse ricorderanno di aver letto sulla pubblicazione distribuita nell’occasione della ricorrenza, che in realtà quella data era frutto di un grosso equivoco. Nel fare delle ricerche tra la documentazione storica della sezione era emerso un grosso registro degli anni ’30. Si trattava del “Libro delle deliberazioni”, in cui erano riportati i verbali delle riunioni del CAI Morbegno dal 1931, quando un gruppo di cittadini morbegnesi diede vita alla sezione di Morbegno. Il sodalizio continuò la sua esperienza sicuramente almeno fino a circa il 1936, data in cui cessano i resoconti sul registro. Si ha però notizia di una certa crisi di iscrizioni alla sezione, cosa che probabilmente ha portato alla fine della sua autonomia. Fino a quella scoperta si era sempre assunto come anno di nascita il 1962, quando con delibera del gennaio di quell’anno, il gruppo di Morbegno si staccò da Sondrio, di cui era diventato sottosezione a partire dalla fine degli anni quaranta, per trasformarsi in sezione autonoma. Per questo nel 2012 si erano comunque svolti i festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario, riproponendoci di “aggiustare” la data reale di inizio della sezione nel 2021, quando avremmo potuto festeggiare i 90 anni. Poi le cose sono andare in maniera diversa. Si va per i 100?

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COVID MON di Andrea De Finis

A metà febbraio del 2020 fervono gli ultimi preparativi per l’annuale spedizione esplorativa di scialpinismo: i pagamenti sono stati regolati, la logistica è pianificata, il meteo è sotto continuo monitoraggio e la rosa dei papabili itinerari è già ampia. Meta designata, dopo i fausti di “Mongolia2019”, è il Caucaso, la Georgia, più precisamente la Svanezia, la regione abitata più alta d’Europa, incastonata tra le provincie di Abkhazia e Ossezia del sud, ufficialmente georgiane, ma de facto sotto l’egida russa dopo la guerra del 2008, insomma le premesse sono da acquolina in bocca. Le informazioni che arrivano dalla Cina, in realtà già da Natale, in merito alla diffusione locale di un virus, sembrano correre su binari paralleli a quelli delle nostre vite quotidiane e, come per tutto il resto, non mettono

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in discussione il viaggio. Nel frattempo, c’è da godersi la tanta neve caduta e portare a termine il corso SA1. Proprio durante la penultima gita del corso di scialpinismo, domenica 23 febbraio, iniziano a diffondersi le prime voci di contagi alle nostre longitudini; ma anche in questo caso, complice un “stiamo tutti sereni” diramato dalle autorità, non veniamo eccessivamente distratti dalla nostra routine. Solo ad inizio marzo cominciamo a percepire la criticità della situazione e nel corso della prima settimana del mese si innesca il drammatico climax: Codogno, Alzano e Nembro prima, poi la Lombardia, quindi l’intera Penisola, fino alla chiusura sostanziale di tutta Europa. Improvvisamente ci ritroviamo confinati in casa, ma, limitatamente al tema di queste pagine, cioè le conseguenze della


TAGNA pandemia sulla montagna, gli effetti sono pesanti, ma non drammatici: veniamo privati della possibilità di uno svago a beneficio della salvaguardia collettiva, diretta e indiretta. Sciare, e in generale andare in montagna, diventa potenziale causa di ulteriore sovraccarico delle strutture sanitarie: non ci possiamo permettere di occupare risorse che al momento devono essere destinate all’emergenza. Oggi, due anni dopo, finalmente si respira, “lo scrivo sottovoce”, la sensazione di trovarsi alle battute finali e mi sento quindi legittimato a tornare a parlare anche di montagna. L’esercizio sarà quello di guardare indietro e di cercare di buttare metaforicamente sul tavolo un paio di riflessioni ed episodi. Il comportamento meno aggressivo del virus in presenza di temperature miti e la possibilità di maggior

distanziamento sociale in spazi aperti, hanno fatto sì che la montagna risultasse decisamente più fruibile durante il periodo estivo. Le frontiere chiuse, la limitazione agli spostamenti, l’attenzione ad evitare contatti, hanno contribuito al significativo (ri)avvicinamento alla montagna da parte di chi in montagna abita, ma che la montagna magari non la

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frequentava: e così capita di scoprire che il vicino che ha l’erba migliore, in realtà siamo proprio noi. L’estate a corto raggio ha decretato poi il definitivo boom della bicicletta elettrica. Mi auspico un accorto e armonioso sviluppo a livello ricettivo e infrastrutturale: la combinata treno-bici potrebbe, siamo nel campo della pura speculazione, aumentare il turismo e ridurre le auto, traghettando un milanese da casa propria all’imbocco del Valgerola in meno di 2h. Purtroppo, per le ragioni elencate sopra, le riaperture estive hanno comportato una vera e propria invasione delle zone montane da parte di chi, rimasto per mesi in città a contemplare i balconi del palazzo di fronte, era alla compulsiva, ma comprensibile, ricerca di verde e aria fresca. Strade e parcheggi congestionati, hotel, ristoranti e rifugi presi d’assalto, richieste di seconde case in affitto decuplicate: insomma 12 CAI MORBEGNO

una Bassa Valle ingolfata e in affanno. E qui suggerirei uno sguardo in avanti. Le previsioni di IPCC e NASA sui cambiamenti climatici ipotizzano che, nei prossimi anni, i grossi agglomerati urbani lombardi saranno soggetti a sempre più frequenti e prolungate canicole estive, che a loro volta saranno causa di fisiologiche migrazioni, temporanee o permanenti, verso zone più fresche. Per ragioni diverse, una dinamica molto simile a quella abbiamo sperimentato nel corso delle due ultime estati. L’ambiente montano, un equilibrio già intrinsecamente instabile, verrà sottoposto al fuoco incrociato di mutazioni climatiche e sovrappopolamento. Le stagioni invernali hanno conosciuto le restrizioni più stringenti. Gli impianti di risalita sono stati progressivamente chiusi a partire da inizio marzo, talvolta seguendo dinamiche grottesche, scritto senza

critica e solo con il senno di poi: per alcuni giorni le piste del Tonale in territorio trentino restavano operative e chiuse quelle lombarde, mentre i francesi sponsorizzavano le proprie località virus-free e un barista austriaco contagiava mezza Scandinavia e limitrofi. Il secondo inverno ha continuato a vedere gli impianti chiusi. Una moltitudine di scialpinisti improvvisati si è riversata nei boschi e sui pendi, riproponendo in maniera più edulcorata le problematiche di sovraffollamento dei periodi estivi. E ci siamo quasi tutti riscoperti un po’ avvocati alla continua ricerca di cavilli ed esenzioni alle restrizioni in atto: compiendo gimcane tra seconde case, compagne e compagni residenti in comuni al di sotto di n-mila abitanti, puro attraversamento di altro comune nel compimento dell’attività fisica (o motoria?)… Eccezione da encomio, la determinazione


del nostro presidente Marco che, nel pieno rispetto delle regole, usciva dalla propria abitazione di Morbegno e, sci in spalla, imboccava il sentiero per la Bona Lombarda: avrebbe messo gli sci ai piedi solo dopo i primi 1000 metri di risalita, prima di compierne altrettanti con le pelli…chapeau! Premesso che quasi tutti, con profondo senso civico, ci siamo disciplinatamente adeguati alle sopraggiunte, necessarie, limitazioni alle nostre libertà, vero è anche che quasi tutti ci siamo concessi delle veniali trasgressioni, intercalate a stretto giro di posta da conseguenti sensi di colpa: due passi ossigenanti nel bosco di fronte a casa, il tragitto più lungo di rientro dal supermercato, un giro in auto per evitare l’ovalizzazione degli pneumatici nuovi. E c’è chi approfittandone, con l’intento di strappare un sorriso anticipato da un ‘vaffa’, ha diramato messaggi anonimi alla propria cerchia di amici, spacciandosi per

tutore dell’ordine e richiedendo spiegazioni a tali infrazioni. Tra gli amici c’è è poi stato chi, fiutando parzialmente l’inganno, ha contattato i veri tutori dell’ordine, sfiorando la denuncia propria e altrui.

Nelle foto, in alto, assalto al Munt de Sura. Sopra, ogni mezzo è buono per uscire dai comuni con più di 3000 abitanti. Nella pagina a fronte, la Val di Mello invasa.

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“Perché vuole scalare l’Everest?” “Perché è lì” (George Mallory)

L’IRRESISTIBILE FASCINO DELL’ESPLORAZIONE di Franco Scotti

Da quando nel 1492 Antoine de Ville compì la prima scalata ufficialmente registrata, conquistando la cima del Mont Aiguille (2085 m) in nome del re Carlo VIII e iniziando così la storia dell’alpinismo“sportivo”, ovvero senza motivazioni religiose o superstiziose, fiumi di parole sono state stampate per indagare cosa ci induca a questa passione.

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Sopra, in cima al Pizzo Olano, anno 1960 Nella pagina a fianco, sopra, il Pizzo Badile da Bondo Sotto, il sasso Manduino spunta dalla cresta che sale al Monte Scesa visto dal Taiaa Nella pagina precedente, Masherbrum Far West versante est e la stessa parete su Google Earth

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Complice la limitata mobilità nel periodo pandemico, mi sono ritrovato a riesumare il mio vasto e disordinato archivio di foto e filmati. L’emozione dei tanti ricordi mi ha indotto a riflettere su quanta parte della mia vita ho dedicato a girovagare per monti e valli e a pormi qualche domanda. Voglio così anch’io contribuire con qualche considerazione personale sugli stimoli che alimentano la perseverante attività di noi comuni frequentatori della montagna. Senza addentrarmi in elucubrazioni filosofiche o psicologiche che non mi appartengono, mi sono semplicemente interrogato e poi confrontato con alcuni miei abituali compagni di gita, cercando di ordinare un elenco in base alla rilevanza. Il primo risultato di questo

gioco è stata l’evidenza di una grande varietà di motivazioni, che mutano di numero e importanza in base alle esperienze accumulate nel tempo. Il desiderio di avventura, la bellezza del paesaggio, il contatto fisico con la roccia e la neve, il piacere dell’esercizio muscolare intenso, la percezione di libertà e di isolamento dalla routine quotidiana, il peculiare rapporto umano coi compagni, l’adrenalina prodotta dall’esposizione, il piacere del gesto tecnico, la soddisfazione della vetta, la voglia di mettersi alla prova e di sperimentare il nostro limite, il silenzio e la solitudine, i colori e i profumi del bosco…sono solo alcune, scritte di getto. In realtà quando ci incamminiamo siamo anche noi un po’ come Mallory, andiamo e basta, non ci poniamo tante domande, e al ritorno da una gita che per vari motivi non è stata all’altezza delle aspettative spesso esce il commento: “va beh, dai, l’importante è far fatica”. Certo che le endorfine prodotte dalla stanchezza fisica sono un’ottima spiegazione biologica della nostra dipendenza, ma non sono specifiche per la montagna, possiamo produrle anche in altri ambiti e anche al chiuso di una palestra. E allora ci vuole dell’altro, e ognuno di noi può stilare il suo personale elenco scoprendo le proprie priorità, come anch’io ho provato a fare. A sette anni quando con mio padre giunsi per la prima volta su una cima, il pizzo Olano, ricordo ancora l’emozione di poter finalmente scoprire cosa


si celava sul versante opposto! Anche l’ampliamento dell’orizzonte, col progredire della salita all’alpe Piazza, con quella puntina rocciosa aguzza che spunta dietro la costiera dei Chech e prende gradualmente forma di magnifica pala, di cui nessuno allora sapeva dirmi il nome (Sasso Manduino) già allora mi stregava. E così ancora oggi, quando imbocco in auto la galleria di Bondo DEVO sporgermi dal finestrino destro per imprimere nella retina la sfuggente vista di quella parete con spigolo che tutti conosciamo. E’ opinione condivisa che la visione di una bella cima susciti emozioni simili a quelle indotte dalle opere d’arte, siano esse quadri, sculture o musica. E allora nel mio caso non ho dubbi: il piacere visivo dell’estetica delle vette unito alla curiosità dell’esplorazione sono in me da sempre preponderanti. Ogni appassionato di montagna, se si ferma un attimo e riflette, trova la propria personale lista di emozioni, e non esiste la migliore o la peggiore, semplicemente i gusti e le sensibilità diverse possono integrarsi o contrastarsi, e così si determina il grado di empatia coi compagni di avventura. Nadia, mia moglie, ripete spesso che non troverò più nessuno che mi seguirà in montagna perché non mi accontento mai dell’itinerario programmato ma propongo sempre delle “varianti”, che ogni tanto, è vero, non vanno proprio a buon fine. Per mia fortuna la sua CAI MORBEGNO 17


previsione non si è ancora del tutto avverata! Questa mia propensione ha avuto pieno appagamento quando, nel 1988, ho avuto la fortuna di partecipare a una spedizione in Karakorum che reputo sia stata assolutamente straordinaria, non certo per l’impresa alpinistica in sé, ma sicuramente come avventura esplorativa. Si era deciso di tentare una cima inviolata e, non ricordo con quale criterio, dall’elenco di vette di oltre 7000 m concesse dal governo Pakistano fu individuato il Masherbrum Far West. Con l’attuale tecnologia il nostro pianeta è stato radiografato in ogni remoto angolo e, anche se esiste ancora qualche lembo di terra o valle non ancora calpestata, con un programma tipo Google Earth possiamo, con buona definizione, identificare, misurare, girare intorno a qualsiasi cima. È bellissimo, e io spesso ci perdo delle ore. Ma nel 1988 avevamo solo la quota approssimativa, 7200 m, e l’indicazione, dal nome, che doveva essere la più occidentale rispetto alla vetta principale del Masherbrum, in origine chiamato K1, 7821m, che si affaccia al più frequentato bacino del Baltoro. L’ amico Ermete volò appositamente a Londra dove riuscì ad associarsi alla Royal Geographical Society, requisito indispensabile per poter accedere alla loro storica biblioteca e cercare, inutilmente, documentazione almeno sulla valle di accesso. Riuscimmo, e non fu cosa 18 CAI MORBEGNO

facile, ad ottenere udienza al centro della società “Telespazio”al Pian Di Spagna, unica opportunità per procurarsi una visione satellitare della zona ma, con un bel sorriso di dinego, ci regalarono un magnifico poster a colori, certo satellitare, dell’isola Eleuthera (Bahamas) che è ancora affisso al muro della mia baita in Erdona. La spedizione partì così senza alcuna informazione aggiuntiva, neppure sapevamo che forma avesse la nostra montagna. Le mappe che abbiamo utilizzato erano a

dir poco approssimative e alla testata di molte valli laterali erano stampati degli eccitanti (per il sottoscritto) punti interrogativi. Ovviamente non esistevano ancora GPS e neppure telefonini, niente diretta Instagram! Abbandonato Husce, l’ultimo villaggio, e anche ultimo riferimento altimetrico per tarare i nostri“Thommen”, abbiamo allestito il campo base sulla morena laterale del ghiacciaio avvolti nelle nebbie. Dopo un paio di giorni di maltempo, alla prima schiarita


il palcoscenico si è aperto ed è stato fantastico. Ripensandoci ora la situazione era quasi comica: avevamo di fronte una corona di vette impressionanti e non sapevamo quale fosse la nostra. Dopo non poche discussioni e qualche giretto di ricognizione si è deciso per quella più a sx (ovest), da quel lato maestosa e bellissima. Dopo aver affrontato la parete orientale ed averla ritenuta troppo pericolosa per la cascata di seracchi che la caratterizza, spostando il campo base più a valle,

abbiamo scovato un versante molto più facile e sicuro, che ha permesso a tutti, in due giornate successive, di raggiungere la vetta. Ma non voglio qui raccontare i particolari della salita, voglio invece ricordare le intense emozioni che ho vissuto muovendomi in un ambiente con tutta probabilità mai esplorato prima. Durante la ricognizione per la ricerca di un versante più accessibile abbiamo percorso canali e ghiacciai sconosciuti e ad ogni costone che aggiravamo la montagna

Sopra, sul seracco sommitale Nella pagina a fianco, Masherbrum Far West versante sud

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cambiava aspetto e nuove cime ghiacciate ignote si svelavano ai nostri occhi. Mi rendo conto ora che non tutti erano entusiasti come me di quella situazione di incertezza geografica anzi, forse qualcuno era anche indispettito. Del resto ognuno, come ho già detto, ha la propria sensibilità e spesso in quegli ambienti, comprensibilmente, prevale la voglia di prestazione e di conquista della vetta. Certo anche per me la cima è stata importante, una grossa soddisfazione, come pure l’ebbrezza dell’alta quota, con tutto il condizionamento fisico e psicologico che comporta. Ma il regalo più bello derivato da questa esperienza è il 20 CAI MORBEGNO

privilegio di aver vissuto una vera avventura esplorativa con caratteristiche che al giorno d’oggi non sono più ripetibili. Però non è necessario andare così lontano. La curiosità di esplorare il territorio è una emozione, uno “stato mentale” che può trovare soddisfazione nel percorrere un itinerario, un versante, una cresta, un canale, anche nel bosco, a noi sconosciuto, non necessariamente “vergine”, ma più è nascosto, insolito, poco frequentato, solitario e selvaggio, e più è facile che la magia si avveri. E di questi posti anche nelle nostre zone ce ne sono ancora eccome, basta cercarli con l’occhio giusto.

Certo la tecnologia in montagna ha portato degli enormi vantaggi, soprattutto sul profilo della sicurezza. Sicurezza che oggi è un dogma che assilla ogni aspetto della nostra vita. Pensate quale disagio proviamo oggi nell’accorgerci di non avere con noi lo smartphone (non solo in montagna…), ma nel secolo scorso giravamo tranquilli senza. Oggi possiamo condividere la nostra posizione in tempo reale e inviare messaggi automatici di aiuto, nonché essere localizzati sempre tramite il nostro telefono. Registriamo traccia, altimetria, frequenza cardiaca, passi e quant’altro. Poi scattiamo selfie e filmatini


che girano in rete ancor prima del nostro ritorno a casa. Ancora con l’amico Ermete ricordo come, molto tempo fa, restammo sorpresi e anche divertiti quando suo zio, assistendo alla nostra partenza per una salita, in perfetto dialetto delebiese ci chiese: “ma cosa andate su a fare sulla cima che non c’è su neppure nessuno che vi vede!” Lo zio Rodolfo aveva precorso i tempi. La necessità di una platea, di qualcuno che assista alle nostre azioni e appaghi il nostro bisogno di approvazione è ora soddisfatta dall’iperconnessione. E’ palese che per alcuni, oggi, la condivisione delle foto, dei reports, e relativi like sia un incentivo non secondario per la loro gita. Ma questo è solo un aspetto della complessa e controversa faccenda della funzione dei social in montagna. Vorrei infine far notare che c’è anche qualcuno che ha avuto la determinazione di partire rinunciando a tutta la tecnologia, alla cartografia e addirittura al semplice orologio, affidandosi solo all’esperienza e all’intuito dei propri sensi, affrontando salite e traversate nei posti più selvaggi della terra. In questa modalità pare che si risveglino degli istinti primordiali di sopravvivenza sopiti nei secoli della nostra evoluzione e si attivi una integrazione intima dei nostri bioritmi con i ritmi dell’ambiente in cui ci muoviamo. Assolutamente coraggioso e affascinante!

I più curiosi possono approfondire con queste interessanti letture:

Qui sopra, la cartina cinese molto sommaria della zona da noi esplorata

Franco Michieli: La vocazione di perdersi. Piccolo saggio su come le vie trovano i viandanti. Ediciclo 2015

In alto, nella seraccata della parete E Nella pagina a fronte, 9/8/1988, sulla vetta del Masherbrum Far West

Jon Krakauer: Nelle terre estreme ed. Corbaccio 2008

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M'ILLUMINO D'IMMENSO di Camilla Castelletti

Avevo sette anni quando mio nonno, assieme al cugino Andrea, mi portò ad assistere al sorgere del sole dalla Motta di Olano. La sveglia fu una faticaccia, d’altro canto lo è ancora oggi, ma al contempo ero elettrizzata e felice. Di quella felicità che ti emoziona, ti aumenta il livello di adrenalina nel corpo e che, tutto d’un tratto, ti butta giù dal letto. Ero ancora piccola ma questa esperienza rimane per me un ricordo indelebile. Un ricordo che forse ha contribuito a formare la mia personalità e che sicuramente ha plasmato il mio amore per la montagna e, ovviamente, per l’alba. Questo spettacolo quotidiano, osservato da Olano, è una cosa veramente magica. Ti dona infatti un senso di tranquillità e di felicità non comparabile con nessun altra cosa al mondo.

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Durante le numerose gite coi miei genitori, pur partendo la mattina presto, raramente capita di farlo ad ore antelucane pertanto non riesco mai ad assistere al sorgere del sole da un punto dominante. Farlo richiede grande volontà, ma ciò trasforma la gita in una vera magia. D'altro canto, con il tempo, ho imparato che se vuoi emozioni 24 CAI MORBEGNO

speciali e grandi soddisfazioni anche l’impegno deve essere proporzionale ad esse. Sono passati da allora otto anni e, durante le vacanze estive, chiedo al nonno di ripetere l’esperienza. Mamma ed io partiamo da Fenile, il nonno da Morbegno. L’appuntamento è “ai Buri”, uno spiazzo adibito allo stoccaggio dei tronchi lungo la strada che


porta al Bar Bianco. Lasciamo un auto lì perchè il programma è di attraversare poi da Olano fino a Combanina da dove scenderemo. Questo spiazzo mi ricorda quando lo scorso inverno sono salita alla Rosetta con gli sci, anche se, a onor del vero, ora un buio impenetrabile non mi permette di vedere nulla. Alla Corte sono le 5.30, il

buio è totale per questo ci incamminiamo nel bosco con le pile frontali. Abbiamo un'ora di tempo per raggiungere la Motta con un certo anticipo sul sorgere del sole che dovrebbe avvenire alle 6.50. Passo dopo passo dal bosco usciamo sui prati delle Tagliate procedendo silenziosi e ancora assonnati. Qui il buio, prima assoluto,

si attenua, vediamo nel fondovalle le luci di Morbegno e ad est comincia ad albeggiare. Ci fermiamo per fotografare la valle ancora addormentata, poche auto percorrono la statale e le mill luci dei paesi abbarbicati alla montagna ricordano quelle di un presepe. È in questo momento che mi convinco ancora di più di CAI MORBEGNO 25


quanto sia spettacolare la nostra valle. Una valle scavata dai ghiacciai migliaia di anni fa e successivamente scelta dagli uomini che la trovarono molto ospitale tanto da insediarvisi. In questo momento sembra che tutto stia rinascendo, tutto si rimette in moto. Vedere dall’alto iniziare la giornata, godersi questo spettacolo è proprio una grande emozione. Per non sprecare tempo il nonno non monta il cavalletto ma appoggia la fotocamera ad un albero per trovare stabilità mentre immortala questi momenti. Riprendiamo a salire. 26 CAI MORBEGNO

Nel bosco procediamo in silenzio quando, improvviso, sentiamo un calpestio, forse un capriolo o un cervo sorpreso dalla nostra presenza, infatti intravedo appena un’ombra che fugge tra gli abeti. Ancora un tratto di sentiero piuttosto sconnesso e usciamo sull’alpeggio. Più su ci accorgiamo che all’orizzonte, verso est, ci sono alcune nuvole che ci preoccupano, potrebbero nascondere il sorgere del sole. Sarebbe veramente un peccato dopo la “levataccia”. Incrociamo le dita. Nel frattempo nel fondovalle si sono formate alcune nebbie che

lente salgono verso di noi, l’atmosfera ha un che di bucolico. Siamo intanto arrivati alla Motta di Olano, fa molto freddo, non sembra nemmeno agosto, indosso tutto quello che ho con me, piumino compreso. C’è un po’ di vento, dà fastidio, ma speriamo almeno che riesca a spazzare il cielo. Ad est l’orizzonte si tinge di giallo. Osservando la nebbia, che ancora non se n’è andata, mi sembra di essere dentro il famoso dipinto di Caspar David Friedrich, “Viandante sul mare di nebbia”. È uno dei miei


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quadri preferiti, rappresenta un universo sconfinato e dà una sensazione di libertà. Il nonno mi scatta una foto che vuol avere quasi le stesse caratteristiche del dipinto di Friedrich. E’ un esplosione di colori, le nuvole si tingono di blù, di giallo, di rosso. Sembra sempre più di essere dentro la tavolozza di un grande artista. Ma il sole ancora non si vede. Tuttavia queste colorazioni fantastiche vanno immortalate quindi ci armiamo di fotocamera e ci posizioniamo a dovere. Il nonno fotografa con due apparecchi per evitare spreco di tempo nel cambio di obiettivi, ogni minuto è prezioso e 28 CAI MORBEGNO

diverso dagli altri, perché la luce e i colori cambiano ogni istante. Finalmente il sole buca le nuvole, la luce si apre verso l’alto con un enorme ventaglio di raggi. E’ uno spettacolo che dura pochi istanti ma che porterò sempre dentro di me. Ci incamminiamo, infatti la nostra gita non è ancora finita, dobbiamo raggiungere l’Alpe Culino e Combanina. Dopo aver percorso pochi metri vediamo che il sole, ormai fuori dalle nuvole, si specchia nel laghetto di Olano creando l’illusione di due soli, non possiamo che ritornare sui nostri passi per catturare anche questa magia. Mentre la luce raggiunge gli

anfratti più reconditi della montagna e le nebbie si dissolvono, noi c’incamminiamo nuovamente per la nostra traversata. Il nonno ci assicura che, fino a Combanina, sarà una breve passeggiata anche se, beh lo conosciamo, è durata più del previsto. I tratti in salita erano si pochi, dal momento che eravamo già in quota, ma lo sviluppo si è rivelato notevole. Dopo un bellissimo sentiero nel bosco e l’attraversamento di un torrentello giungiamo all’Alpe Culino che attraversiamo velocemente per raggiungere i Vén. Qui, lontano dalla mandria, vediamo dei piccoli vitelli, probabilmente sono appena nati perché hanno


ancora il cordone ombelicale, sono carinissimi. Camminiamo poi su un sentiero appena tracciato, supponiamo sia la Via del Bitto che dovrebbe essere accessibile anche con la mountain bike. Giunti all’Alpe Combanina divalliamo tra boschi di larici e abeti accompagnati da un cielo sempre più azzurro, arriviamo all’auto alle nove in punto ora che di norma, in estate, mi vede appena alzata. È magnifico aver iniziato la giornata così perché la felicità per aver vissuto questa esperienza ti permette di poter trascorrere al meglio l'intera giornata. E allora, rivolgendomi al nonno “L’anno prossimo ripetiamo”. E lui “Si ma alla Rosetta!”. CAI MORBEGNO 29


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QUANDO IL PRESTIGIO E LA QUOTA NON GARANTISCONO LA FELICITÀ di Riccardo Scotti

Durante l’estate 2020, pochi mesi dopo il primo confinamento a causa del Covid-19, ho partecipato alla spedizione “Alpi 2020” del progetto Sulle Tracce dei Ghiacciai. Della spedizione hanno fatto parte il fotografo e direttore del progetto Fabiano Ventura, dal filmmaker Federico Santini e dal fotografo Dario Orlandi oltre all’amico Marco Manni. Il mio incarico sul campo prevedeva, parallelamente alla consulenza glaciologica, l’organizzazione logistica degli itinerari, la produzione di filmati time-lapse e la raccolta di immagini ad altissima risoluzione con la tecnica del giga-pan. Questa esperienza, durata quasi un mese e mezzo, mi ha permesso di visitare i principali massicci montuosi e località turistiche delle Alpi italiane. Riporto in questi due capitoli le mie impressioni su due momenti e luoghi antitetici, forse il contrasto più estremo sia a livello di sviluppo territoriale che di sensazioni personali.

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Breithorn, il mio primo (e ultimo?) 4000 5-6 agosto 2020 Risalendo la Valtournenche la sera del 5 agosto improvvisamente ci si para davanti il Cervino, forse la montagna più simbolica del nostro pianeta. Sebbene il profilo della Gran Becca da sud non sia il più slanciato, l’energia del rilievo e la potenza di questa montagna fa comunque impressione, un vero spettacolo della natura. Visitare Cervinia, soprattutto nei mesi estivi, è un’esperienza particolare. Il villaggio è stato creato dal nulla con un fortissimo sviluppo edilizio nel secondo dopoguerra per supportare l’industria dello sci. Ci troviamo a 2000 m di quota ma i grandi palazzi che la compongono sono sostanzialmente identici a quelli di una qualsiasi degradata periferia metropolitana, con la sola differenza che le aiuole sono formate da rododendri, mirtilli e larici. Cemento armato e acciaio logorati dal tempo e dalle avversità dell’alta montagna danno forma a una collezione di ecomostri 32 CAI MORBEGNO

senza identità che stridono con la bellezza della natura circostante. Siamo qui per salire la vetta del Breithorn, forse il 4000 più accessibile delle Alpi, con l’intento di ripetere una magnifica foto panoramica di Vittorio Sella, uno dei momenti più importanti dell’intera spedizione per il grande valore storico e scientifico di questa immagine. Non è la prima volta che tento di salire su questa vetta, nel lontano 1995 ci provai con le pelli in occasione di una gita del CAI Morbegno. Il fortissimo vento bloccò gli impianti al troncone intermedio, ricordo una risalita su piste deserte e vento furioso fino al Plateau di 3750 m dove l’ora tarda e il mal di montagna ci costrinse al rientro. Questa volta invece risaliamo in modo rapidissimo i vari tronconi di funivia fino ai 3480 m di Plateau Rosa, incolonnandoci dopo pochi minuti con altre decine di cordate. Per raggiungere i pianori sommitali siamo obbligati ad intersecare le numerose piste da sci estivo dove si stanno allenando diverse squadre di sci alpino.

C’è parecchia confusione, cordate che rischiano di falciare sciatori e allenatori che sbraitano. Non che sia un habitué dell’alpinismo in quota, ma una simile problematica di circolazione in alta montagna credo sia un caso più unico che raro. Dopo aver attraversato l’ultimo skilift che arriva dal Piccolo Cervino, abbiamo davanti a noi solo una grande distesa di ghiaccio senza altre infrastrutture, ma le anomalie, almeno per le mie abitudini di frequentazione della montagna, non finiscono. Ci troviamo infatti praticamente incolonnati, la salita alla vetta è una specie di processione, un fiume di persone ci precede e ci segue, chi con gli sci, chi con il parapendio, chi in solitaria nonostante l’incognita dei crepacci. Ci appare ora del tutto evidente quanto sia ancora oggi forte il “collezionismo” di vette soprattutto il simbolismo delle quote. Sono convinto che se il Breithorn, alto 4163 m, avesse avuto la “fortuna” di essere alto 3996 m come il Piz Zupò, saremmo stati quasi soli. Sotto un sole cocente con due lunghi tornanti sulla paretina


sud saliamo facilmente alla vetta. Godiamo di uno spettacolare panorama a 360°, oltre al Cervino, altri “scogli” emergono dal mare delle vallate vallesane, il cuore delle vette più alte ed estetiche delle Alpi. Per completare la ripresa panoramica a 360° su pellicola siamo costretti a restare in vetta per ben 3 ore, scherziamo pensando di aver fatto un record assoluto di permanenza su questa montagna. I tempi per completare il lavoro si dilatano anche perché la vetta prende la forma di una lunga cresta e il flusso continuo di cordate ci costringe a interminabili attese per avere l’orizzonte libero per scattare. Di tanto in tanto ci viene a far visita un elicottero a distanza ravvicinata, ogni volta pensiamo ad una missione di soccorso mentre si tratta di heli-turismo, sono gli svizzeri che portano a spasso facoltosi turisti ad ammirare le vette dall’alto. Quando è ora di tornare a valle ormai siamo soli in vetta, il flusso di alpinisti su questa montagna dipende essenzialmente dagli orari della prima e ultima funivia, ormai siamo agli sgoccioli anche noi e dobbiamo affrettarci per evitare una lunghissima discesa a piedi fino in paese. Sulle piste non scia più nessuno, troppo caldo al pomeriggio. In una scena che mai avrei pensato di vedere, camminiamo fra numerosi gatti delle nevi schivando enormi ruspe che, accanto alle piste, scavano grandi solchi nella neve. Ci rendiamo presto conto che questa imponente operazione serve essenzialmente per rimpinguare ogni giorno lo scivolo di neve che collega la funivia al ghiacciaio per

permettere agli sciatori di calzare subito gli sci ed evitare una breve discesa a piedi. Nell’attesa della funivia ci accorgiamo anche dell’enorme cantiere per il nuovo collegamento funiviario con il Piccolo Cervino, vetta già largamente martoriata che ospiterà la funivia più alta al mondo chiamata “Il sogno del consorzio degli impianti di risalita Zermatt” che sperano “…si apra così una corsia di attraversamento della Alpi che possa fornire

ai molti turisti asiatici, che viaggiano in Europa tra Parigi e Milano, un'esperienza di montagna unica, sicuramente competitiva con la traversata del Monte Bianco in funivia”. Sia chiaro, immagino che qui, come in altre zone simili delle Alpi, le cose funzionino così da sempre, probabilmente la stragrande maggioranza degli alpinisti non ci fa caso, si porta a casa un facile 4000 e si gode soltanto il paesaggio dalla vetta. Io non riesco a non vedere le contraddizioni di un

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luogo del genere, si tratta di una montagna alla quale non sono abituato, ha per me ben poca attrattiva forse perché il collezionismo di vette e la lotta coll’Alpe sono interessi che, pur perfettamente rispettabili, ho abbandonato da tempo. Mi faccio solo delle domande rispetto ad uno sviluppo e “gestione” delle terre alte che non mi piace e che mi è sembrata solo un grande luna park nell’anfiteatro forse più spettacolare delle Alpi. Bila Pec, il fascino delle selvagge Alpi Giulie 4-5 settembre 2020 La spedizione sta volgendo al termine, dopo il Breithorn e gli altri gruppi montuosi valdostani e piemontesi ci siamo spostati sulle montagne di casa, Valmalenco, Alta Valtellina, Adamello. Dopo qualche giorno passato ai piedi della Marmolada, ci muoviamo verso l’estremo oriente delle Alpi italiane con destinazione Sella Nevea, gruppo del Canin. I passi dolomitici attorno a Cortina sono assaltati dai turisti apparentemente incuranti delle tremende cicatrici lasciate 34 CAI MORBEGNO

dalla tempesta Vaia. In questo dedalo di vallate, passi e montagne di quota medio bassa ci si chiede che ne sarà, fra qualche anno, dell’infinita rete di funivie, piste, stradine di arroccamento, bacini per l’innevamento quando la crisi

climatica renderà ancora più insostenibile di oggi la produzione di neve artificiale. Dalle casse dell’autoradio sentiamo un profetico testo di Vasco Brondi “Di quest'epoca non resteranno neanche delle belle rovine”.


Nella doppia pagina di apertura, lungo la salita al Breithorn Nelle pagine precedenti, Cervinia e in vetta al Breithorn Qui a sinistra, salendo al Breithorn e in cima al Bila Pic Sotto, lo Jof di Montasio e nella pagina seguente l'altopiano del Montasio.

Ad un tratto il paesaggio inizia però a cambiare così come il nostro umore proprio quando iniziamo a salire verso il Passo della Mauria fra il Cadore e la Valle del Tagliamento. A sud ripide valli selvagge ci chiudono lo sguardo, sono

le montagne protette dal Parco naturale delle Dolomiti friulane. Al valico il paesaggio, naturale ed antropico, inizia ad essere molto diverso dai luoghi dolomitici dove “nevica firmato” (cit. uno del posto). Qui è tutto più disordinato, meno luccicante, per il senso comune forse depresso ed arretrato, ai nostri occhi, semplicemente bello e autentico. Un sospiro di sollievo, mi sento subito più a mio agio. Man mano che scendiamo la valle si fa più ampia e all’orizzonte compaiono montagne isolate e sconosciute. Una in particolare ci colpisce, scopriamo che si tratta del Monte Amariana che domina la cittadina di Tolmezzo, pare un colosso ma è alto soli 1906 m sul livello del mare, la luce del tramonto la rende ancora più maestosa nel suo isolamento. Ci godiamo queste enormi vallate dove i grandi fiumi come il Tagliamento sono ancora liberi di occupare interamente il fondovalle. Questa caratteristica è forse la più distintiva fra l’ambiente molto antropizzato a cui siamo abituati anche in Valtellina rispetto a queste terre. Pur

trovandoci sostanzialmente in pianura e non essendo neppure in una riserva naturale si respira qui un paesaggio alpino primordiale dove l’uomo cerca di adattarsi il più possibile al contesto naturale. Certo, non si può negare che le piogge “monsoniche” da sbarramento, che con grande frequenza ingrossano a dismisura questi corsi d’acqua, siano un bel deterrente all’urbanizzazione. Arriviamo in tarda serata in Val Raccolana nel cuore delle Alpi Giulie occidentali, dove l’amico Roberto Colucci ci accompagna in un piccolo ristorantino attorniato da incombenti pareti di calcare. È molto tardi ma veniamo accolti in modo calorosissimo dall’oste, un “local” dall’accento spiccatamente balcanico che, ci dicono, sia l’accento tipico di queste terre di confine. Ci rendiamo conto di essere in un angolo delle Alpi che si discosta sotto mille aspetti dal resto delle Alpi CentroOccidentali. Sebbene il piccolo villaggio di Sella Nevea ricordi un poco una Cervinia in miniatura, le pareti verticali e i fitti boschi che coprono queste montagne rimarginano e rendono meno impattanti i CAI MORBEGNO 35


Sulle tracce dei ghiacciai

segni dell’uomo. La mattina successiva è l’ultimo giorno di spedizione, il tempo è magnifico, una limpida giornata di fine estate, una rarità in queste terre famose per gli eccezionali quantitativi di pioggia e neve. Siamo tutti più rilassati e possiamo così goderci la breve ma divertente salita fra roccette e sentiero sulla panoramica vetta del Bila Pec, un cucuzzolo di calcare che supera di poco i 2000 m. Siamo di fronte alla muraglia di calcare del Canin, vetta simbolica per gli eventi bellici della prima guerra mondiale e di grande fascino per la presenza dei residui di quello che era il ghiacciaio più esteso delle Alpi Giulie. Verso est vediamo il confine con la Slovenia, una miriade di altre vette ed una distesa infinta di boschi dove gli orsi sono di casa, la cosa ci rincuora e ci riporta un poco alla memoria le sensazioni della spedizione in Alaska del 2013. Per fortuna l’antropocentrismo ha ancora lasciato qualche scampolo di terre selvagge anche nelle Alpi. Concluso il lavoro di ripetizione dello scatto della Sez. Fotografica del Genio del 1899, quando il ghiacciaio del Canin aveva ben altra potenza, 36 CAI MORBEGNO

scendiamo velocemente a valle e ci spostiamo nel versante opposto, nel magnifico Altipiano del Montasio, proprio sotto la piramide dello Jof di Montasio. Si chiude ufficialmente la spedizione con la ripetizione di una panoramica dell’Istituto Geografico Militare del 1916. Il punto di scatto è al margine di un grande pascolo ancora molto ben conservato dove possiamo rilassarci qualche ora sotto il caldo sole estivo. Sarà per il particolare momento, la serenità della consapevolezza del rientro a casa dopo oltre un mese, ma in questo ambiente mi sento in sintonia con ciò che mi sta attorno. Ho sempre amato il “contrasto”, di ambienti, di vegetazione, di colore, e forse per questo in estate mi sento molto più a mio agio nel “verde” rispetto al “bianco” dell’alta quota. Chissà se la mia passione per le Orobie ed i suoi ghiacciai di bassa quota, “estremi” se vogliamo, sono la causa oppure la conseguenza di qualcosa di più profondo. Sarebbe bello trovare una risposta, ma più semplicemente sarebbe ancor più bello tornare fra i boschi e su qualche 2000 delle Alpi Carniche e Giulie più che sui 4000 delle Alpi.

“Sulle tracce dei ghiacciai” è un progetto fotografico-scientifico che coniuga comparazione fotografica e ricerca scientifica al fine di divulgare gli effetti dei cambiamenti climatici grazie all’osservazione delle variazioni delle masse glaciali negli ultimi 150 anni. Con 6 spedizioni nell’arco di 10 anni destinate ai ghiacciai montani più importanti della Terra (Karakorum 2009, Caucaso 2011, Alaska 2013, Ande 2016, Himalaya 2018, Alpi 2020), il progetto ha lo scopo di sostenere studi originali e di realizzare nuove riprese fotografiche dallo stesso punto di osservazione, e nel medesimo periodo dell’anno, di quelle realizzate dai fotografi-esploratori di fine ‘800 e inizio ‘900. Il progetto rappresenta il più ampio archivio esistente di fotografia comparativa sulle variazioni delle masse glaciali; è stato ideato e realizzato dal fotografo Fabiano Ventura in collaborazione con uno staff tecnico-creativo ed è supportato da un Comitato Scientifico internazionale. Il forte potere comunicativo dei confronti fotografici, unito ai risultati delle ricerche scientifiche, rappresenta un contributo allo sviluppo di una maggiore consapevolezza sull’impatto delle attività antropiche sul clima. La diffusione dei contenuti del progetto ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di salvaguardare le risorse naturali per la tutela delle generazioni future. https://sulletraccedeighiacciai. com/


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Il corso di

SCIALPINISMO

di Franco Scotti

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23\02\2020, Montespluga, Val Loga: quinta uscita del corso base di scialpinismo. Causa freddo e vento ci ripariamo tutti all’interno del bivacco Cecchini. Assembramento: sostantivo che aveva ancora un significato innocuo. Si chiacchiera, si scherza e ci si rifocilla. Cominciano a cinguettare gli smartphones, arrivano degli sms e whatsapp:… è arrivato il COVID anche in Valtellina…annullata la gara di scialpinismo in Val Brembana… domani scuole chiuse… Siamo più incuriositi che spaventati, certo è che nessuno di noi minimamente

immaginava l’imminente disastro. Così si è concluso, cioè non si è concluso il corso, monco dell’agognata ultima uscita di due giorni, già prenotata al rifugio Branca in Valfurva. Eravamo un bel gruppo, col rispetto della parità di genere. Ci siamo divertiti e le lezioni ed esercitazioni effettuate sono state proficue ed apprezzate, tanto che alcuni allievi hanno deciso, quest’anno, di ripetere l’esperienza per poter concludere il programma, a due anni di distanza.


Queste le uscite felicemente portate a termine, sempre con buona meteo e buon innevamento:

26/01 Monte Ponteranica Centrale (Val Gerola)

16/02 Piz Surgonda (Passo Julier)

02/02 Cima di Lemma (Val Tartano)

23/02 Bivacco Cecchini (Valle Spluga)

09/02 Munt Musella (Engadina)

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VENTO

al Sasso di Cusino A Maggio del 2020, dopo il primo lockdown, la voglia di tornare a scalare qualche via lunga cominciava a farsi sentire sempre più, tuttavia le pareti in quota non erano ancora in buone condizioni così Io ed Elena pensammo di fare un giro al Sasso di Cusino, all’imbocco della Val Cavargna. La roccia è un calcare giallo e grigio di ottima qualità e la parete è alta circa 200 metri nella parte centrale, un po’ più bassa e strapiombante in quella sinistra ed è stata salita per la prima volta alla fine degli anni ’80 da Maurizio Orsi, del CAI di Menaggio, che ci è tornato più volte per chiodare altre belle linee. “Vento in poppa” parte su una placca lavorata per poi affrontare al centro il muro strapiombante che caratterizza la parte sinistra della parete e mi ha subito colpito per la qualità della roccia e la logicità della linea di salita che va a cercare il “facile” nel difficile, perciò, dopo il primo “sopralluogo”, ho pensato che sarebbe stata una bella sfida per me cercare di salirla tutta in “libera”.In generale salire una via “in libera” significa utilizzare la sola roccia come mezzo di progressione, affidandosi alle proprie capacità tecniche e alla propria “fantasia” per collegare un appiglio a quello successivo; nel migliore dei casi, una salita in 40 CAI MORBEGNO

libera può essere fatta “a vista” cioè al primo tentativo, senza nessuna informazione preventiva e senza mai appendersi a spit, chiodi o dispositivi mobili per riposare. Per quanto mi riguarda su “Vento in poppa” il processo è stato un po’ più lungo ed è iniziato con due giornate di “studio” a Maggio del 2020 con Elena e proseguito con Franz (Adriano Carnati) a Luglio del 2021. Una volta messe a punto tutte le sequenze ero pronto per dei tentativi “convinti”, tuttavia la temperatura era un po’ alta e alcuni movimenti, necessitando della giusta “aderenza”, mi mettevano ancora un po’ in difficoltà. Ne ho approfittato per passare qualche giornata in Dolomiti dove, oltre a visitare qualche falesia al fresco, ho ripetuto “Rien ne va plus”, una via recente di Christoph Hainz sulla parete Sud del Sass Ciampac. Di ritorno dalle vacanze in Trentino ho proposto a Marco Maggioni, un giovane amico e “Ragno di Lecco” come me, di venire a darci un’occhiata e dopo altri tre giorni di tentativi sono finalmente riuscito a concatenare tutti i movimenti senza mai cadere. La via si compone di quattro tiri, di cui il primo è una facile placca, mentre gli altri tre sono più corti e superano il muro strapiombante superiore.

di Paolo Spreafico

In corrispondenza della seconda e della terza sosta non è presente un riposo “naturale” (per esempio una cengia o una depressione della parete dove è possibile riposare staccando entrambe le mani) e la continuità dell’arrampicata non viene interrotta, pertanto ho ritenuto fosse logico cercare di concatenare le tre lunghezze in successione senza mai sostare. Ne è uscito un lungo tiro di 40 metri caratterizzato nella prima parte da una progressione relativamente facile su buone prese, da una seconda dove la dimensione degli appigli e degli appoggi diminuisce e l’arrampicata si fa più complessa per finire con una sezione dove gli appigli tornano ad essere più buoni ma lo strapiombo si fa più pronunciato e la stanchezza nelle braccia aumenta sempre più. Nel complesso ho impiegato sette giorni tra pulizia, studio e tentativi per riuscire nel mio intento ma tutto questo non sarebbe stato possibile se non avessi avuto l’appoggio di Elena, Franz e Marco che mi hanno accompagnato e mi hanno aiutato in alcune sezioni, che a volte, per risolvere, basta guardare con occhi diversi; ringrazio inoltre l’apritore Maurizio Orsi per la “creazione” di questa e delle altre belle vie del Sasso di Cusino, che consiglio per la qualità della roccia e per la buona chiodatura.


IN POPPA

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per altre invece è un’esperienza abbastanza nuova. La stessa cosa per gli accompagnatori, molti dei quali alla prima esperienza. Per tutti un senso di soddisfazione, sia per l’ambiente in cui ci si trova che per la particolarità dell’esperienza. Dopo una breve sosta si torna, decidendo di lasciare il sentiero e passare per il bosco. Tutto sommato i mezzi non hanno particolari difficoltà, per cui attraversiamo la pineta con tranquillità, puntando verso il punto di

di Alessandro Caligari

Un bel sabato di inizio novembre ci siamo trovati, con un gruppo di amici, sul piazzale di Poira dove ci hanno raggiunto i pulmini dell’associazione “Dappertutto”. Il senso della giornata era quello di organizzare un’escursione con persone con disabilità motoria, che avremmo accompagnato sui sentieri utilizzando delle joelette, una carrozzella da fuori strada a ruota unica che permette appunto la pratica di gite (o anche corse) ad ogni persona a mobilità ridotta, grazie all’aiuto di almeno due accompagnatori. L’accompagnatore posteriore assicura l’equilibrio della joëlette, oltre ovviamente a spingere il mezzo, mentre invece l’accompagnatore anteriore assicura la trazione e la direzione. Concepita sia per la passeggiata familiare e gli usi sportivi, il limite della Joëlette dipende solamente dalle capacità degli accompagnatori. 42 CAI MORBEGNO

TUTTI

Tutto sommato è un mezzo facilmente smontabile, che entra facilmente nel bagagliaio di un’automobile, cosa che aiuta non poco l’approccio all’escursione. Quando arriva anche il secondo pulmino cominciamo a montare le cinque joelette, di cui una a trazione elettrica assistita. Le persone, aiutate da noi, salgono sui mezzi e si inizia l’escursione. I prati di Poira di Mello sono ideali per questo tipo di uscita: completamente immersi nel verde ma al contempo non troppo accidentati né troppo ripidi. La giornata non è molto calda ma il sole e l’esercizio fisico sistemano in breve la temperatura percepita. Tra vari su e giù, prove tecniche di trasporto, gare improvvisate, in un’ora circa arriviamo su un prato panoramico, con un’ampia veduta sul fondovalle, sulle cime circostanti, fino al luccicante lago di Como. Alcune delle persone trasportate sono già degli habituè del mezzo,

partenza. Sulla strada del ritorno, degli amici ci danno ospitalità nella loro casa estiva con un provvidenziale thè e biscotti servito nel prato antistante. La temperatura ora comincia ad essere piuttosto bassa, per cui, valutando anche la luce calante, si accelera verso i pulmini. L’esperienza è stata interessante, e mi ha riportato a pensare al rapporto tra disabili e la loro frequentazione della montagna. Sono ancora vive le polemiche sugli interventi in Val di Mello, eseguiti sul sentiero esistente in sponda sinistra idrografica, per adattarlo alla frequentazione di persone disabili. L’opinione pubblica si è divisa tra fautori dell’intervento, a favore del miglioramento della fruizione da parte di persone con disabilità e contrari all’opera, per una conservazione inalterata dell’ambiente. Senza inoltrarmi ulteriormente in questa polemica così


divisiva, vorrei qui fare una semplice considerazione. In montagna, almeno a partire da certe quote e in contesti particolarmente delicati, non andrebbero creati né modificati i sentieri, né per persone con disabilità né per quelle normodotate. Si dovrebbe perseguire il mantenimento della wilderness, della natura nel suo stato originario, senza la contaminazione da parte di interventi umani. Quindi ridurre al minimo gli interventi, anche manutentivi, la posa

obbliga a prendere posizioni anche scomode e, come dicevo, divisive. Certamente gli interventi eseguiti in montagna non sono reversibili, mentre le capacità di percorrere un sentiero, anche da parte di persone con disabilità possono progredire di molto, basti vedere l’evoluzione in tal senso che si è verificata negli ultimi decenni. Questo dovrebbe essere l’assunto da cui partire. Diamoci allora da fare per realizzare mezzi sempre più adatti alla frequentazione della

montagna da parte di persone con disabilità, e al contempo batterci per preservare l’ambiente naturale attorno, quotidianamente attaccato da interventi spesso ben più invasivi di quelli realizzati per far passare una joelette su un sentiero.

DAPPERTUTTO? di segnaletica, soprattutto quella verticale. Deve essere il frequentatore della montagna ad adattarsi all’ambiente, non viceversa. Un percorso difficile lo posso coprire preparandomi ed equipaggiandomi adeguatamente, non modificandolo per renderlo più agevole. Ugualmente, per la frequentazione della natura da parte delle persone con disabilità la strada dovrebbe essere quella di rendere i mezzi e i dispositivi utilizzati sempre più performanti ed efficienti, non modificare i percorsi. Diversamente non si riuscirebbe a porre un limite alle alterazioni all’ambiente: fin dove è giusto modificare un sentiero? Fino a quale quota portare le persone con disabilità, o gli anziani o anche semplicemente quelle che faticano o non sono tecnicamente preparate? Modificare l’ambiente alle esigenze dei suoi fruitori è un esercizio di democraticità? E’ un tema complesso, che

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EPIFANIA di Alessandro Caligari

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Sabato pomeriggio, passeggiata al rifugio della Corte. Mi piace fare queste camminate solitarie in montagna, mi rilassa e al contempo posso pensare liberamente a molte cose, svariando da un tema all’altro con molta disinvoltura, in un monologo interiore degno di Molly Bloom. Tra le varie cose, sto pensando ad una relazione che devo fare per un’occasione in ricorrenza dei 500 anni dalla morte di Raffaello Sanzio. Sono su un sentiero in discesa, in un bel prato, ancora molto verde, la traccia passa accanto ad una casa al limite del bosco. Vedo una piccola edicola di legno, con un dipinto. Man mano che mi avvicino il quadro si fa sempre più famigliare. Ma sì, è la Madonna della Seggiola di Raffaello. Che coincidenza! Inizialmente penso sia una stampa, tanto è preciso, ma poi vedo che è realmente un dipinto, forse ad acrilico. Indubbiamente è fatto da una buona mano, con un’ottima resa. La Madonna guarda lo spettatore seduta su una seggiola elegante. Per tenere in braccio il Bambino solleva una delle due gambe, generando un moto visivo circolare, come se stesse cullando il Figlio, che stringe a sé, in un gesto protettivo. Come in molte raffigurazioni di Maria lo sguardo è pensoso e malinconico. Il bambino, dai modi dolci di Raffaello che però ha assimiliato la fisicità michelangiolesca, non ci guarda, ma fissa un punto lontano. Sullo sfondo, un San Giovannino è raccolto in preghiera. Bello! Chissà chi lo ha dipinto. Scatto alcune foto e noto che anche la natura ci mette del suo: davanti all’edicola ci sono delle piccole rose, dal colore intenso, il grigio del legno usurato dal tempo della staccionata si staglia sulle foglie gialle e verdi dei castani, sullo sfondo gli abeti del bosco che sale alla Rosetta. Ora ho un motivo in più per passare da questo sentiero.

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CARTELLOMANIA Fino a pochi decenni fa i sentieri escursionistici di montagna erano tracciati con segnavia realizzati con segni di vernice, stesi con più o meno cura sul percorso. Spesso era una segnaletica un po’ approssimativa, non normata da codici. Si trovavano perciò segni geometricamente diversi: linee, cerchi, triangoli, ma anche fasci littori, animali stilizzati ecc.; anche i colori erano molto vari, perlopiù il classico bianco e rosso ma anche il giallo, l’azzurro, l’arancione, e persino il mimetico verde. Era invece quasi del tutto assente la segnaletica verticale, al massimo poteva esserci un cartello all’inizio del sentiero e null’altro. Ai bivi i tracciatori perlopiù scrivevano, frequentemente con calligrafia approssimativa, le diverse destinazioni a caratteri cubitali sui massi vicini. Gli interventi di manutenzione erano piuttosto rari, per cui spesso ci si trovava a cercare di decifrare cosa volesse dire quella scritta, ormai sbiadita e consunta. Con l’aumento della frequentazione della montagna anche la segnaletica dei sentieri si è evoluta: è stata in gran parte normata e sviluppata fino a diventare quasi una disciplina. Ultimamente si è visto anche un proliferare di itinerari escursionistici tematici, anche molto lunghi, spesso su più sentieri. Per questo si è passati non solo a tracciare segni che indicassero il tragitto ma anche a posare una cartellonistica che indicasse le varie direzioni, la tempistica di percorrenza, il tema o il nome del percorso, l’ente che lo ha realizzato, i mezzi per cui il sentiero è adatto e molto altro. Così c’è stato un incremento vertiginoso della segnaletica verticale, con cartelli distinti che spesso indicano la stessa meta, ma che sono posati da tracciatori diversi, ciascuno dei quali vuole segnalare il proprio itinerario. Il risultato spesso è desolante: bivi con mille segnali, magari fatti con fogge, materiali e colori diversi, a volte anche con indicazioni contrastanti. Ci si trova spesso a rimpiangere il segnavia rado o la scritta sgangherata, che lasciavano però intatta la soddisfazione di intuire la traccia giusta e la sensazione di seguire un percorso poco battuto, in un ambiente non antropizzato.

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CAIMORBEGNOATTIVITÀ

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L’ANELLO DEI CORNI BRUCIATI di Alessandro Caligari

La capanna Bosio è un rifugio che mi è sempre piaciuto; un po’ per il sentiero che la raggiunge, un po’ per il posto in cui è ubicata, fatto sta che ci sono sempre andato volentieri. Però non lo faccio spesso, soprattutto perché la capanna non è vicinissima: occorre andare a Sondrio, risalire la Valmalenco e, se si escludono sleali scorciatoie automobilistiche ora ahimè possibili, percorrere un sentiero piuttosto lungo. Guardando però sulla cartina, mi sono reso conto che in linea d’aria non è molto distante da noi: da Preda Rossa basta risalire la Val Terzana, attraversare la poco ampia valle di Caldenno e dall’omonimo passo si arriva in Val Airale, appunto la valle della Bosio. Così mi sono ripromesso di provare l’itinerario. Nel pianificarlo ho visto che sarebbe stato interessante non tornare dalla stessa parte, ma si sarebbe potuto salire alla Desio, al passo di Corna Rossa, e da lì ridiscendere alla Vale di Preda Rossa e quindi al punto di partenza. In pratica non avevo fatto altro che programmare l’anello attorno ai Corni Bruciati! CAI MORBEGNO 51


Così lo propongo agli amici del Consiglio e lo mettiamo in calendario per il 27 settembre. Quella mattina saliamo in auto fino al parcheggio di Preda Rossa. Le previsioni meteo non sono male: giornata bella con alcune perturbazioni nel tardo pomeriggio, ma piuttosto lontane dalla nostra zona. Nei giorni precedenti ha nevicato un po’, così per prudenza decido di portare corda e ramponi. Saliamo all’alpe Scermendone con la sua chiesetta di San Quirico. Alcuni dicono che in realtà sia dedicata ad uno dei Setti Fratelli, ma non i sette martiri della tradizione cattolica, piuttosto quelli della tradizione popolare locale, titolari anche dello 52 CAI MORBEGNO

sperduto oratorio nei monti sopra Mello. Comunque sia passiamo oltre e ci inoltriamo nella Val Terzana. E’ una valle particolare, che nasce a 2000 metri, fatta da dossi erbosi e morbidi a Sud e da spondoni sassosi e tormentati a Nord, che salgono fino alla cima dei Corni Bruciati (3114 m) nome evocativo che richiama una leggenda che però qui non sto a raccontare. A circa metà della percorrenza della valle, attorno ai 2300 metri, incontriamo il lago di Scermendone, un bello specchio d’acqua che costeggiamo sulla sua riva meridionale. Il sentiero comincia a salire con più decisione, fino al passo di Scermendone (m. 2595) che immette nell’alta Val

Caldenno. Appena scollinati le temperature cambiano; anche il sentiero è decisamente meno tranquillo ed invita a qualche cautela: la traccia e piuttosto ripida con diversi tratti ghiacciati. In breve però arriviamo sul fondo della conca valliva, che risaliamo dalla parte opposta, fino al passo di Caldenno (2517 m). Ecco che così ci affacciamo sulla Val Airale, la valle del rifugio Bosio. Il nostro intento però non è quello di scendere alla capanna, ma risalire la sponda sinistra idrografica della valle fino alla dismessa capanna Desio. Pertanto mangiamo qualcosa velocemente e soprattutto ci vestiamo un po’ più pesanti perché qui la temperatura è


scesa ulteriormente. Il terreno è punteggiato di tracce recenti di neve e l’aria non promette nulla di buono. “Musina!” dice qualcuno ed infatti in breve cominciano a turbinare dei minuscoli e ghiacciati fiocchi di neve, grandi appunto come moscerini (musin). Facciamo qualche considerazione sul meteo, valutiamo la strada che manca e decidiamo di proseguire (ma non tutti) sul percorso previsto. Il sentiero comincia a essere più impegnativo, con diversi tratti ghiacciati, finchè la traccia lascia il posto alle pietraia. Anche la neve comincia ad essere un po’ più che una simpatica ed imprevista comparsa, ed in poco tempo ci troviamo sotto una fitta nevicata. Quando cominciamo a vedere la Desio stiamo ormai camminando su uno strato di una ventina di centimetri di neve. I segnavia non si vedono più e procediamo cercando quello che ci sembra il percorso più logico. Finalmente siamo al passo. La neve è sempre molto fitta, ed il fatto di essere a fianco di un rifugio che però è inagibile perché staticamente pericolante non aiuta. Comincia a serpeggiar un po’ di nervosismo, soprattutto perchè la discesa verso la Valle di Preda Rossa, normalmente non banale e con diverse corde fisse, con la neve diventa decisamente impegnativa. Oltretutto tutte le catene ed i segnavia sono nascosti dalla neve, e questo non è una cosa simpatica. Chi li ha portati calza i ramponi, condividiamo alcuni bastoncini con chi ne è sprovvisto e cominciamo a scendere, fra molte cautele. Ci mettiamo non poco ad abbassarci di

quota, soprattutto per essere certi di non andare fuori percorso e finire su qualche placca innevata, ma alla fine va tutto bene e ci troviamo sulla morena del ghiacciaio di Preda Rossa. Qui possiamo toglierci i ramponi, anche perché la neve ha lasciato il posto alla pioggia, per poi cessare quasi del tutto. Ci svestiamo ancora un po’, mangiamo qualcosa e, lanciando graziosi epiteti a chi ha fatto le previsioni meteorologiche, ci avviamo alle auto. CAI MORBEGNO 53


SCIALPINISMO “SOCIALE” di Marco Poncetta

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Da sempre lo scialpinismo è l’attività di montagna che prediligo, in primo luogo perché l’ambiente innevato ha, secondo me, un fascino indiscutibile, poi perché la progressione in salita con gli sci personalmente mi pesa molto meno ed è più redditizia rispetto alla salita a piedi e, diciamocelo, la discesa è puro divertimento.

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Nel 2012, quando ho cominciato a essere parte attiva nel consiglio di sezione, mi sono preso volentieri l’incarico di seguire e organizzare escursioni di questa disciplina. A essere sincero, a volte l’entusiasmo mi ha spinto a organizzare in autonomia giornate che per difficoltà e impegno andavano ben oltre quello che dovrebbe essere un'uscita sociale. Ricordo in particolare gite più tecniche e impegnative come la Punta Penia sulla Marmolada o la Grigna Settentrionale nel lecchese, oppure salite con importanti sviluppi e dislivelli, come la Cima di Savoretta in 56 CAI MORBEGNO

Val di Rezzalo. Anche nell’attività scialpinistica sociale del 2021 le uscite al Pizzo Tre signori in Val Gerola e al Pizzo Ferrè in Valle Spluga hanno tutti i connotati per essere definite gite toste. Sabato 27 febbraio siamo andati al Pizzo Tre Signori, con partenza da Gerola salendo dalla Valle della Pietra. Ha un dislivello sostenuto di 1600 m e il delicato traverso a picco sulla diga d’Inferno è tutt’altro che banale. Il ripido tratto prima della cima spesso richiede i ramponi, ma fortunatamente questa volta non son serviti.

La discesa verso la Bocchetta d’Inferno e il lungo canale sotto il muro della diga ci hanno regalato un’ottima sciata. Domenica 30 maggio, invece, abbiamo fatto la gita al Pizzo Ferrè e nonostante la stagione avanzata siamo partiti con gli sci ai piedi da Montespluga. Ottimo il rigelo notturno quindi la neve è stata portante per tutta la salita e il tratto alpinistico per raggiungere la cima è stato davvero molto bello. Abbiamo percorso un ripido canale con piccozza e ramponi, poi un filo di cresta molto esposto. La soddisfazione è stata grande


per tutti i partecipanti. È sempre un piacere vedere la partecipazione attiva di giovani intraprendenti a queste gite più difficili. Dimostrano che offrire delle mete e delle attività non semplici premia, perché permette ai partecipanti di avere soddisfazione e misurarsi con un itinerario sfidante rispetto a quello che potrebbero organizzare autonomamente. In questo il CAI vuole essere un aiuto, una guida e un'occasione per far crescere le abilità e le passioni del singolo. E non potrei che esserne contento. CAI MORBEGNO 57


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E’ appena terminato il lockdown. Dalla fine di febbraio del 2020 il Coronavirus Disease 2019, meglio conosciuto come Covid, ci ha tappato in casa per dei mesi. Ai gravi problemi portati da questa pandemia, si è aggiunto quello di un confinamento domestico forzato. Per noi che viviamo a stretto contatto con il verde e la montagna in genere è stata una sofferenza pensare alla neve là fuori, destinata a sciogliersi intonsa, oppure vedere dalla finestra l’arrivo della primavera senza averne un contatto diretto. Ci sono sì stati degli strappi alla regola, più o meno legali, ma accompagnati dai giudizi di biasimo di chi restava a casa, che non ti permettevano di godere appieno di quei pochi momenti di libertà, mai così desiderata.

L'ANELLO della VAL SISSONE di Alessandro Caligari

Comunque sia ora si può uscire e quindi mettiamo in atto quest'escursione, già programmata in tempi migliori, quando si dava per scontato che andar per montagna fosse un diritto inalienabile assolutamente da non mettere in discussione. C'è però un protocollo da seguire: occorre indossare la mascherina anche sul sentiero, dichiarare di essere sani (almeno fisicamente) e dare il proprio recapito perchè, qualora nei giorni successivi all'escursione qualcuno dei partecipanti risultasse positivo al coronavirus, tutta la banda verrebbe rintracciata e messa in quarantena. Con queste premesse si parte un po' guardinghi, tenendosi CAI MORBEGNO 59


l'un l'altro a debita distanza, guardando le persone che si incontrano come fossero untori manzoniani. Però poi la piacevolezza della giornata e della natura attorno prendono il sopravvento e il gruppo, ormai fuori dalla crisi d'astinenza da montagna, comincia a salire deciso. Si parte da Chiareggio e si imbocca un'ampia strada sterrata che attraversa il Pian del Lupo, nome intrigante ma che in realtà è semplicemente una cattiva traduzione dei termini dialettali che indicavano il piano della loppa, cioè gli scarti del processo d'estrazione del ferro dai minerali che lo contengono. Prendiamo il sentiero che si dirige al rifugio Tartaglione60 CAI MORBEGNO

Crispo e ci immettiamo nella Val Sissone. Sulla sinistra comincia a profilarsi la Nord del Disgrazia e appunto il monte Sissone, in un tratto in cui il percorso si snoda a fianco del Mallero, che in alcuni punti erode il fondo del sentiero causando piccole frane che ci obbligano a deviazioni. Passato l’antico maggengo di Forbisina si supera anche la deviazione per il rifugio Tartaglione, passando oltre. Il gruppo, circa una ventina di persone, prende il sentiero contrassegnato dai triangoli gialli dell’Alta via della Valmalenco, che comincia a diventare decisamente più ripido. Si procede su un percorso reso un po’ difficoltoso dalla presenza di molti massi e piccoli torrentelli

da attraversare. I larici, già molto radi, lasciano il posto a magri pascoli. Raggiungiamo l’alpe Sissone di Dentro, che si presenta con una cascata dal salto notevole. Il sentiero sale, sempre ripido ma meno evidente, sino ad un altro pianoro, vero e proprio balcone sulla Nord del Disgrazia. L’affaccio è notevole, il ghiacciaio è proprio li, di fronte, con i suoi crepacci e seracchi e ci invita a fotografarlo. Un muro di cellulari immortala la parete, e poi si riparte, verso il crinale roccioso in cui si vede l’intaglio del passo della Corna di Sissone di Dentro (2438 m.). La spaccatura ci permette di attraversale la cresta, passando dall’alpe Sissone di Dentro all’alpe Sissone. Il sentiero che scende in questa valletta è ben tracciato, a volte anche con scalini, e permette di attraversare comodamente tutta l’alpe, per poi risalire dalla parte opposta. E’ l’ultima salita di giornata, che obbliga anche a mettere le mani sulla roccia. Si tratta però di un tratto abbastanza breve, tra l’altro reso sicuro dalla recente posa di catene. Raggiungiamo tutti il Buchelin, passo che ci permette di portarci in vista del rifugio. Da qui saliamo ancora un


poco, fino a raggiungere il Del Grande Camerini (2580 m.), recuperato in tempi recenti dal CAI di Sovico. La struttura è aperta, ma la pandemia in corso ne rende problematica la fruizione. I gestori ci servono con i guanti, ma non per cortesia. Con un dispiegamento di disinfettanti, mascherine e tovaglie di carta hanno organizzato una sorta di banco-bar all’esterno, dal quale riusciamo a prendere un dignitoso caffè caldo, seppure rigorosamente servito in materiali usa e getta. Per il resto mangiamo al sacco e ci godiamo la tiepida giornata. Davanti all’edificio si apre tutta l’alta Val Malenco e la valle che sale al passo del Muretto. Scattiamo un po’ di foto di gruppo, con il prodigioso sfondo del Disgrazia, indecisi se compattarci per esigenze fotografiche o stare più distanti per questioni di contagio. Come compromesso decidiamo di metterci in posa con le mascherine. Oltre alla bella vista dei monti circostanti, un altro pregio di questa escursione è quello di essere un giro ad anello. Iniziamo quindi la discesa non dal sentiero da cui siamo arrivati ma dalla traccia che scende davanti al rifugio. I pendii erbosi diventano poi boscati ed il sentiero scende, con tornanti, fino all’alpe Vazzeda superiore (2033 m.), con i suoi edifici desolatamente abbandonati, e quindi a quella inferiore (1832 m.). Continuando sulla traccia raggiungiamo nuovamente l’alpe Forbesina e da qui torniamo alle macchine. Nei giorni successivi fortunatamente nessuno è risultato positivo al Covid. CAI MORBEGNO 61


LA PUNTA

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MARINELLI di Alessandro Caligari

L’ascensione alla Punta Marinelli è un’escursione in un ambiente già d’alta montagna, che consente di raggiungere un bel “3000” senza affanni alpinistici. L’itinerario è lunghetto, con un dislivello teorico di circa 1300 metri che in realtà diventano 1500 considerando alcuni saliscendi che si presentano lungo il percorso. Avevamo programmato l’uscita già da tempo, sperando che le incertezze meteorologiche e legate alla pandemia non ci scombussolassero i piani. La domenica del 18 luglio tutto sommato si presenta come una discreta giornata, pertanto

con le auto saliamo fino al parcheggio della diga di Campo Moro, in Valmalenco. Il gruppo è come sempre abbastanza eterogeneo e numeroso, composto tutto da buoni camminatori. Partiamo in discesa, scendendo verso la diga che attraversiamo per risalire sul roccioso versante opposto, apparentemente ostico ma in realtà percorso da un bel sentiero, tra larici, che ci consente di guadagnare quota rapidamente e ci porta in un bosco quasi pianeggiante. Lo attraversiamo e ne usciamo in vista della soprastante bocchetta delle Forbici.

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Qui il percorso cambia decisamente pendenza, tanto da guadagnarsi il nomignolo di sentiero dei “sette sospiri”, esalati i quali arriviamo al rifugio Carate Brianza, pochi metri sotto il passo, ad una quota di 2636 metri. L’edificio, che fu ristrutturato nel 1927 da un gruppo di escursionisti dell’omonimo centro brianzolo, era in origine un deposito degli Alpini acquartierati al rifugio Marinelli . Facciamo una brevissima sosta e poi saliamo al passo, che ci immette nel vasto vallone di Scerscen. Teoricamente da qua avremmo dovuto vedere tutte le principali vette della testata occidentale della Valmalenco: i Gemelli, il Pizzo Roseg, lo Scerscen, la Cresta Guzza ed il Bernina; in realtà una cortina ininterrotta di nubi si è installata su tutte le cime, permettendoci di vederne solo la base. Facciamo comunque delle foto e riprendiamo il percorso. Sul sentiero ci sono delle bandierine e dei piccoli segnavia catarinfrangenti, 64 CAI MORBEGNO

posizionati per la Valmalenco Ultradistance Trail, la gara che ha visto i suoi concorrenti passare di qui la notte precedente, per una sgroppata di 90 km con 6.000 metri di dislivello! Dalla bocchetta cominciamo a costeggiare il versante occidentale delle cime di Musella, prima in piano e poi in discesa, fino a portarci nel centro del vallone. Passiamo accanto ai rottami dell’elicottero precipitato nel 1957 con a bordo Luigi Bombardieri, autore degli ampliamenti del rifugio Marinelli, capanna che dalla tragica fine dell’alpinista assunse anche il suo nome nell’intitolazione. Il grande edificio è ora in vista, letteralmente arroccato su uno spiazzo roccioso. Attraversiamo il torrentello che scende dal ghiacciaio della Bocchetta di Caspoggio e ricominciamo a salire su un sentiero a ripidi tornanti che ci porta al sorprendentemente ampio spiazzo del rifugio Marinelli. La capanna risale al 1880,


costruita dal CAI di Sondrio che lo denominò rifugio Scerscen. Fu ideato da Damiano Marinelli, membro del CAI di Firenze a cui si devono molte prime ascensioni nel gruppo del Bernina e alla sua morte, avvenuta nel 1882, ne prese il nome. Sul piazzale ci fermiamo un attimo, per equipaggiarci per la parte finale della salita. Scompaiono i pantaloncini corti e compaiono giacche a vento e qualche rampone. Iniziamo infatti a risalire su ripidi costoni innevati, sferzati da un vento fastidioso. Il primo tratto del percorso è in comune con il sentiero che sale alla capanna Marco e Rosa, poi i due percorsi si separano, e noi seguiamo quello contraddistinto dai triangoli gialli dell’Alta Via della Valmalenco, che ci porta al passo Marinelli Orientale. Qui ci affacciamo sul sottostante ghiacciaio della Fellaria Occidentale e sul poderoso panorama delle vette della Valmalenco, con l’Argient e lo Zupò, (a cui mancano 5 metri per arrivare ai 4000) e l’imponente vedretta della Fellaria Orientale. A questo punto pieghiamo decisamente a Sud e risaliamo la rocciosa ma semplice cresta della punta Marinelli. Finalmente raggiungiamo la Madonnina della cima, a 3180 metri di quota. Il tempo per scattare la foto di gruppo e poi cominciamo a ridiscendere dallo stesso itinerario di salita. Il nevaio merita qualche attenzione e cautela in discesa, ma senza problemi torniamo nuovamente alla capanna Marinelli . Qui una meritata birretta ci ristora prima della camminata finale.

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GRUPPO 2008

ATTIVITA' 2021 L'anno inizia ufficialmente con una gita Cai al Pizzo Torrenzuolo. In realtà la meta doveva essere il passo di Tartano, ma l'incredibile affollamento di scialpinisti in val Lunga ha bloccato l'accesso. Comunque bella uscita con il brivido di una cresta innevata e sottile. Si prosegue in Val Tartano con la stupenda Cima DI Lemma, raggiunta dal passo della Scala, in un magnifico ambiente invernale,risalendo un largo vallone e quindi la ripida crestina finale. Torniamo in Val Gerola per una classica salita al Munt de Sura o cima di Pescegallo. Giornata luminosa, bella neve e piacevole sosta al sole. 66 CAI MORBEGNO

di Giovanni Cerri

Ci diamo dentro con una altra cima: il Monte Tartano in Val Lemma. Escursione bella lunga e impegnativa in una giornata spaziale e calda. Siamo arrivati sotto la cima, ma poi la neve inconsistente della cresta ci ha bloccato, ma tutto il percorso di avvicinamento e' stato magnifico. Prima della fine di febbraio il 28 dobbiamo tenere la nostra Assemblea annuale e lo facciamo abbinandola ad una tranquilla escursione sul Sentiero Bonatti che percorriamo dalla sua casa di Dubino fino alla Piazza. Ma subito a Marzo ecco di nuovo il maledetto Lockdown da Covid. Quando riprendiamo e' il 9 maggio e lo facciamo alla grande con il Pizzo Pedena,


una salita tosta e con neve che a tratti ci mette a dura prova, comunque grande soddisfazione per aver affrontato uno dei percorsi più classici ed impegnativi delle Orobie. Con il Pedena finisce la stagione invernale, troveremo ancora neve, ma residui primaverili, come al Pizzo Berro tour un giro ad anello in un ambiente selvaggio e molto bello. Si va sulle montagne del lago, la meta e' il Dosso Bello da Prennaro, ma poi in realtà andiamo a scalare in ambiente ancora innevato la Cima degli Orsi, complice anche la scarsa visibilità e la lunga e faticosa dorsale. Siamo comunque orgogliosi della conquista: siamo scalatori come Antonio. Dopo un rapido allenamento mattutino al rifugio Trona Soliva, ritorniamo sul lago con una meta impegnativa la Corvegia dalla Costa Sterlera, che già avevamo tentato respinti dal vento. Questa volta, nonostante una fascia nebbiosa al mattino ed un po' di neve nella parte finale della cresta riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo ed ammirare il vasto panorama dalla sommità. La suggestiva escursione con base ad Erve la ricordo vivamente per due considerazioni: anche in un paese capita che i telefonini non prendano e sia difficile ritrovare il gruppo, la seconda, che dopo aver compiuto una bella salita al monte Magnodeno e ripetuto il sentiero attrezzato della Cresta della Giumenta, la magnifica scoperta di un borgo lungo il fiume pieno di case fiorite e di oggetti buffi e colorati. E' quindi la volta del monte Bregagno salito dalla splendida

dorsale Nord-Est partendo dalla chiesetta di San Bernardo, una cavalcata su paesaggi dominati dall'azzurro del lago. Ci spostiamo in Valchiavenna per un inedito anello OlmoLaguzzuolo-Lendine-Olmo e quindi in Valmalenco al quasi omonimo lago di Lagazzuolo, una gemma blu ancora incorniciata dalla neve dopo aver risalito una ripida pecceta. Siamo a giugno, ma ancora

ci imbattiamo nella neve da risalire per conquistare il Pizzo Paradiso. A seguire una classica morbegnese il bivacco Bottani e i Tre Cornini. A luglio prima trasferta Svizzera al Passo di Val Viola, dopo aver risalito la Val di Campo da Sfazu' ammirarando i suoi laghi dai nomi poetici tipo Saoseo siamo ridiscesi con un giro ad anello. Andiamo in val di Scais al Rifugio Mambretti alla scoperta

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dei colossi delle Orobie: Redorta, Punta Scais, Porola, Cima Soliva, ecc. ma anche del bellissimo lago che al ritorno costeggiamo sul lato opposto rispetto al mattino, scoprendo un punto di vista del tutto nuovo e affascinante. La prima gita del Cai Morbegno del 2021 e' una tosta ascensione alla Punta Marinelli di 3182 metri, molto lunga, faticosa e in parte su neve, ma vetta e panorama eccezionali. Dopo un lungo periodo di tempo sfavorevole, riprendiamo l'attività con una bella uscita al Passo del Forno da Chiareggio, passando anche in prossimità del luogo in cui trovo' la morte per assideramento il grande alpinista Castiglioni. Panorami sensazionali sui monti della Valmalenco. L'uscita successiva e' la magnifica ascensione al Piz Julier che con i suoi 3380 metri e' la vetta piu elevata raggiunta nel 2021. Dopo un faticoso avvicinamento, affrontiamo la lunga e bellissima cresta attrezzata del Pizzo Julier riuscendo a raggiungere la vetta con grande soddisfazione. Insistiamo con la Svizzera inserendo in un'unica gita la salita alla ferrata La Resgia e alla Capanna Segantini da Pontresina. Un'esperienza unica che unisce l'adrenalina della ferrata alla lunga traversata verso la Segantini, il suo ambiente rarefatto ed uno dei più affascinanti panorami delle Alpi. Bella anche la discesa tra i mughi per ritornare alla bellissime e storiche ville di Pontresina. Intervallo in Valgerola con un lungo giro ad anello dalla Casa San Marco ai Laghi di Ponteranica, prima di ritornare in terra elvetica 68 CAI MORBEGNO

per una singolare escursione alla Chamanna coaz, avendo usufruito del primo tratto della funivia del Corvatsch, non ci rimane che una breve salita fino alla Fuorcla Surlej e quindi una lunga diagonale in discesa nella Val Roseg fino alla Coaz. Ho ancora negli occhi gli incomparabili panorami da brivido della Biancograd del Bernina, la calotta del Piz Roseg e le alte cime della Valmalenco. Al ritorno ci tocca risalire e per non farci mancare l'incredibile panorama dell'Engadina facciamo pure un largo giro verso il Lej dals Chodes, quasi a St. Moritz, con splendida vista dei laghi di Silvaplana e Sils fino al passo del Maloja. Nonostante la stanchezza riusciamo a gustare i profumi del bel bosco di pini cembri. Nuova uscita del Cai Morbegno alla Cresta di Piancaformia della Grigna settentrionale, e discesa dall'affollatissima via normale. Una tranquilla gita tra Valgerola e Val Biandino al Rifugio Santa Rita, al ritorno ci regala un bel sentiero attrezzato verso la bocchetta di Piazzocco con un po' di adrenalina. L'uscita clou di settembre è però quella che ci porta all' attacco della Via dei Morbegnesi alla Sfinge. E' un omaggio ad Antonio (uno dei valorosi primi salitori nel 1964) che superato da un'ora il rifugio Omio, ci indica con precisione la fessura da cui parte la storica via. Successivamente andiamo a visitare il nuovo Bivacco Rovedatti in Valtartano, il Rifugio Cristina e lo splendido Lago di Mufule' in Valmalenco. Quindi ci dedichiamo anche al lecchese con due belle uscite: la prima risalendo il sentiero attrezzato del Canale Bobbio al Resegone e la seconda con il

bel giro dell'anello dei Campelli, un'itinerario con partenza dai Piani di Bobbio, che attraverso il sentiero attrezzato degli Stradini, raggiunge i Piani di Artavaggio e ritorna a Bobbio salendo alla bocchetta dei Mughi. Abbiamo fatto ritorno in Valtartano per l'ascensione al Monte Cadelle in una giornata particolare dal punto di vista meteo, la pianura e le parti basse delle valli in breve furono avvolte da una coltre di nubi da cui spuntavano solo le cime piu' elevate come isole in un mare di bianco. Dopo aver ammirato l'artistica scultura trifonte dell'Arcangelo Gabriele, tocca anche a noi immergerci nella nebbia per ritornare verso i fantasmi dei laghi di Porcile e all'Arale. Ad ottobre abbiamo aggiornato la nostra collezione di Pizzi Badile andando a salire quello Brembano, in una zona per noi del tutto sconosciuta la valle di Piazzotorre dietro al passo San Marco. Quasi per caso abbiamo fatto un giro ad anello salendo il pizzo dal lato est prativo, ripido e scivoloso e discendendolo dalla cresta ovest rocciosa e delicata. Ottima esplorazione. L'autunno con i suoi magnifici colori ci spinge ad un'altra avventura tra Lecco e Bergamo la salita del sentiero attrezzato del Monte Ocone. Una performance ragguardevole in un magnifico ambiente e dolce discesa attraverso il rosso ruggine della faggeta ed il giallo della betulleta. Inizia Novembre ed ecco la prima neve e con essa la voglia di camminarci sopra: Cima Rosetta, Oratorio dei 7 Fratelli, anello dei castelli di Mancapane E Grumello, Bivacco Scermendone, Monte Bassetta, Torre del Segname.


In mezzo una fantastica notturna al Bivacco Legui, con luna piena ed un veloce rientro. La prima ciaspolata con neve soffice la facciamo al Passo di Salmurano a inizio dicembre con bella discesa sulla pista della Scala. Dopo la nevicata dell'Immacolata la neve diventa magnifica ed ecco che riusciamo a salire sulla vetta del Monte Lago e sulla Cima dei Lupi. Prima della fine dell'anno ultima uscita del Cai Morbegno sulla neve del Pizzo Meriggio. In conclusione: il 2021 e' stato un altro anno difficile per l'andamento del Covid, che in pratica ci ha bloccato dapprima fino a meta' Febbraio e poi di nuovo da Marzo a all'inizio di Maggio. Comunque siamo riusciti a compiere 41 Escursioni del Gruppo 2008 e 4 Uscite del CAI Morbegno. Ci siamo divertiti, abbiamo faticato, provato soddisfazioni e grazie a Dio siamo sempre tornati sani e allegri. CAI MORBEGNO 69


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NOTIZIE DALLA SEZIONE

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NOTIZIE DALLA SEZIONE I NUMERI DEL C.A.I. MORBEGNO Alla data del 31.12.2021 gli iscritti sono 418 così suddivisi: 300 ordinari di cui 31 ordinari juniores, 93 famigliari e 25 giovani. Ricordiamo che le iscrizioni si effettuano in sede e presso gli sportelli del Credito Valtellinese di Via Ambrosetti. CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente Marco Poncetta Vice Presidente Alessandro Caligari Segretario Davide Bonzi Consiglieri Domenico Del Barba Rita Bertoli Andrea Borromini Alda Maffezzini Francesco Spini Emil Del Nero Chiara Piatti Mirco Gusmeroli DELEGATI Marco Poncetta Domenico Del Barba ISTRUTTORI DI ALPINISMO E DI SCI ALPINISMO E ARRAMPICATA LIBERA Enrico Bertoli (ISA) Giulio Gadola (ISA) Franco Scotti (ISA) Cesare De Donati (IA+INSA) Moreno Libera (IAL)

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ISTRUTTORI SEZIONALI DI ALPINISMO, SCI ALPINISMO E ARRAMPICATA LIBERA Danilo Acquistapace Andrea De Finis Mirco Gusmeroli Emil Del Nero Moreno Libera Riccardo Scotti Mario Spini Chiara Piatti Marco Mazzolini Alessandra Tagliabue ACCOMPAGNATORI SEZIONALI DI ALPINISMO GIOVANILE (ASAG) Rita Bertoli Mara Cavallotto Riccardo Marchini Claudia Ponzoni ACCOMPAGNATORI DI ESCURSIONISMO Davide Bonzi (AE) Alessandro Caligari (AE) I CORSI Corso di ginnastica presciistica Tenuto dall’insegnante Loredana Pantaleo si è svolto da novembre 2019 ametà febbraio2020 presso la palestra provinciale del Liceo Artistico e presso la palestra di via Prati Grassi. Corso base di sci-alpinismo Si è svolto in modo parziale interrotto per il sopraggiungere del Covid, ultima gita il 23 febbraio 2020 nel 2021 non è stato effettuato.

Le Uscite: • 26/01 Monte Ponteranica Centrale (Val Gerola) • 02/02 Cima di Lemma (Val Tartano) • 09/02 Munt Musella (Engadina) • 16/02 Piz Surgonda (Passo Julier) • 23/02 Bivacco Cecchini (Valle Spluga) Corso di arrampicata e Alpinismo giovanile Annullati LE GITE Gite sezionali 2020 • Scialpinismo Piz d’Emmat Dadaint, Piz Motal • Uscita notturna scialpinistica e ciaspole al Lago di Pescegallo • Ciaspole Moutt Ota, Alpe Lendine • Escursionismo Val Sissone, Forcola di Felleria, Val Cardonè Val Lia, Corni Bruciati • Gruppo 2008 38 uscite Gite sezionali 2021 • scialpinismo Torrenzuolo, Pizzo Tre Signori, Pizzo Ferrè, Medaccio di Dentro, Pizzo Meriggio • Ferrate Zucco di Pesciola • Escursionismo Punta Marinelli, Grigna Cresta di Piancaformia. • Gruppo 2008 41 uscite Assemblea Annuale Venerdì 17 dicembre per l’anno 2019 e 2020


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