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segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910 00 in libreria

€ 5.

Anno XXXIX

OTT/NOV 2014

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Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

JULIÃO SARMENTO DARIA PALADINO



#250 sommario

segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910 00 in libreria

€ 5.

in copertina

JULIÃO SARMENTO DARIA PALADINO

Julião Sarmento

Inadequate Readings (with every breath) 2003

Acetato polivinilico, pigmento, gesso acrilico e acrilico su tela in cotone grezzo 270 x 404 cm Courtesy Galleria Giorgio Persano

Daria Paladino

DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI DEL PIEMONTE

Anni Sessanta a Roma [40]

courtesy Galleria Toselli, Milano

4/27 News gallerie e istituzioni Italia ed estero a cura di Lisa D’Emidio e Paolo Spadano

Venezia, Biennale Architettura. Commenti a caldo di Francesco Moschini, Franz Prati, Nicola Di Battista, Attilio Pizzigoni ArteCinema (Raffaella Barbato); Museo Ettore Fico (Gabriella Serusi); L’arte ai confini del mondo (intervista a Luca Tomìo)

24/74 Attività espositive / recensioni Jorge Macchi [46]

Juliao Samento (Lucia Spadano pag.28/29) Hermann Nitsch (Eloisa Saldari pag 30/31) Todi Festival (Paolo Aita pag. 32/35) Pistoletto a Home Festival (pag.36), Dennis Hopper (Ilaria Piccioni pag.37) Il nuovo volto di Capri (Donatella Bernabò Silorata pag. 38/39) Anni Sessanta a Roma (Maria Letizia Paiato pag. 40/43) Carrino - Sassolino (Simona Olivieri pag. 44/45) Jorge Macchi, Shilpa Gupta (Rita Olivieri pag. 46/49) Se dico Aria (Lisa D’emidio pag.50/51) Paul Jenkins (a cura di L.Spadano) pag, 52/53) Rita McBride / Lello Lopez (Stefano Taccone pag.54/55) Grazia Varisco / Arte e Poesia a Morterone (a cura di Lucia Spadano pag.56/57) Luigi Mainolfi (Maria Vinella pag.58) Eva Caridi / Bogumil Ksiazek (Antonella Marino pag.59) Lo spettatore emancipato (pag.60) Giacomo Cossio (Matteo Bianchi pag.61) Visione territoriale (Giuliana Benassi pag.62/63) Accesa, Arte Illuminata (Maria Letizia Paiato pag.64/65) Luigi Presicce (Maria Vinella pag. 66) Domenico Borrelli (a cura di Lucia Spdano pag. 67) Premio Michetti / Premio Vasto (Giuliana Benassi pag.68-69) Dentro e fuori la pelle (Stefano Taccone pag.68) Premio Pascali (Maria Vinella pag.69) M.Galliani/A.Gilbert (pag.70), G.Alfano / That’s it (Dario Ciferri pag.70) Alberto e Pasquale Di Fabio (Maria Letizia Paiato pag. 71 Vito Bucciarelli (Lucia Spadano pag.72) Il Tempo qui. Gli Abruzzi di Paul Scheuermeier e Gerhard Rohlfs fotografi 1923-1930 (a cura di Lucia Spadano pag.72/73

Shilpa Gupta [48]

news e tematiche espositive su www.rivistasegno.eu

75/86 Documentazione Luoghi della storia e della contemporaneità Carceri d’invenzione (Antonello Leggiero pag. 75/79) Cantieri didattici all’Accademia San Luca (Fabrizio Ronconi pag.80/81) Giuseppe Penone (pag.74), Paolo Scirpa (pag.82) Vigne Museum (Adriana Polveroni pag. 83) Rita Vitali Rosati (pag.85)

segno

periodico internazionale di arte contemporanea

Direzione e redazione Corso Manthonè, 57 65127 Pescara Telefono 085/61712 Fax 085/9430467 www.rivistasegno.eu redazione@rivistasegno.eu

Mark Kostabi [62]

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Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

segno Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

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ottobre/novembre 2014

Hermann Nitsch [30]

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OTT/NOV 2014

# 250 - Ottobre/Novembre 2014

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Anno XXXIX

Direttore responsabile LUCIA SPADANO (Pescara) Condirettore e consulente scientifico PAOLO BALMAS (Roma) Direzione editoriale UMBERTO SALA

ABBONAMENTI ORDINARI E 25 (Italia) E 40 (in Europa CEE) E 50 (USA & Others)

Soci Collaboratori e Corrispondenti: Paolo Aita, Raffaella Barbato, Giuliana Benassi, Simona Caramia, Lia De Venere, Anna Saba Didonato, Marilena Di Tursi, Antonella Marino, Luciano Marucci, Francesca Nicoli, Cristina Olivieri, Rita Olivieri, Simona Olivieri, Maria Letizia Paiato, Ilaria Piccioni, Gabriele Perretta, Gabriella Serusi, Stefano Taccone, Antonello Tolve, Piero Tomassoni, Paola Ugolini, Stefano Verri, Maria Vinella.

ABBONAMENTO SPECIALE PER SOSTENITORI E SOCI da E 300 a E 500 L’importo può essere versato sul c/c postale n. 15521651 Rivista Segno - Pescara

Distribuzione e diffusione Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Pescara - ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 Edito dalla Associazione Culturale Segno e da Sala editori s.a.s. associati per gli esecutivi e layout di stampa Registrazione Tribunale di Pescara nº 5 Registro Stampa 1977-1996. Traduzioni Lisa D’Emidio. Art director Roberto Sala Coordinamento tecnico grafico Massimo Sala - Tel. 085.61438 - grafica@rivistasegno.eu. Redazione web news@rivistasegno.eu Impianti grafici e stampa Publish. Ai sensi della legge N.675 del 31/12/1996 informiamo che i dati del nostro indirizzario vengono utilizzati per l’invio del periodico come iniziativa culturale di promozione no profit.


>news istituzioni e gallerie< TIRANA/CETINJE/RIJEKA/VENEZIA/POLIGNANO

ART IN PORT

C

ooperare per dar voce all’arte, per moltiplicarne le visioni, per costruire un racconto a più voci, collegate in una grande rete adriatica e transmediale è l’aspirazione del progetto espositivo di arte contemporanea ART IN PORT - Coexistence: for a new Adriatic koinè, che vede coinvolti artisti di quattro paesi: Albania, Montenegro, Croazia e Italia. I partecipanti si confrontano su tematiche comuni quali storie e narrazioni, miti e leggende, spiritualità e religioni, migrazioni e nomadismo, per giungere a rafforzare un’idea di europeità comune troppo spesso dimenticata. Cinque gli appuntamenti della rassegna, due dei quali già andati in scena: alla “Piramida” di Tirana (Albania) in agosto con lavori di Endri Dani, Sulejman Fani, Ilir Kaso, Alketa Ramaj, Anila Rubiku, e alla National Art Gallery di Cetinje (Montenegro) a settembre, con protagonisti Irena Lagator, Igor Rakcevic, Jelena Tomaševic, Jovana Vujanovic, Nataljia Vujoševic. Le tre tappe rimanenti si svolgeranno, dal 20 novembre al 06 dicembre al Muzej Moderne I Suvremene Umjetnosti di Rijeka (Croazia), con la curatela di Maria Leonilde Giannandrea and Ksenija Orelj e la partecipazione di Gildo Bavcevic, Fokus Groupa, Ana Husman, Nika Rukavina, Davor Sanvincenti; dal 20 dicembre al 18 gennaio 2015, al Magazzino del Sale di Venezia, dove a cura di Martino Scavezzon troveremo lavori di Giulia Maria Belli, Chiara Bugatti, Enej Gala, Annamaria Maccapani, Francesca Piovesan; chiusura alla Fondazione Pino Pascali, a Polignano a Mare, dove dal 31 gennaio all’1 marzo Antonio Frugis presenterà opere di Dario Agrimi, Sarah Ciracì, Gianmaria Giannetti, Francesca Loprieno, Giuseppe Teofilo.

MAR DEL PLATA / USHUAIA

BIENNALE DEL FIN DEL MUNDO

del Fin del Mundo è uno degli eventi artiLConoastici,Biennale culturali, turistici e sociali più interessanti del Sud Americano, con grandi ripercussioni nell’am-

bito della regione e internazionalmente. Nata nel 2007 senza limiti di frontiere, nelle successive edizioni del 2009 e 2011 ha continuato ad approfondire nell’obiettivo di generare nuovi e interdisciplinari spazi di riflessione sulle problematiche della contemporaneità nell’ambito della cultura e della educazione, in speciale modo quella ecologica e con un forte enfasi dedicato allo sviluppo turistico-culturale delle città e dei luoghi che la ospitano. La IV Edizione della Biennale (presidente Alberto Grottesi Errazu e Massimo Scaringella direttore artistico), si realizzerà a partire da dicembre 2014 fino a febbraio 2015 in Argentina, nelle città di Mar del Plata e Ushuaia; in Cile, a Valparaiso e Punta Arenas. Questa edizione affronterà il tema del “Contrasti e Utopie”, e conterà sulla presenza di circa 120 artisti internazionali, oltre ad eventi e azioni collaterali di promozione culturale e turistica, In questa edizione l’Italia sarà il paese d’onore invitato, mentre hanno già confermato la loro presenza artisti provenienti da oltre 30 paesi dei 5 continenti. La Biennale del Fin del Mundo è un evento internazionale, nato dall’alleanza istituzionale con la Fondazione Memorial del Parlamento Latinoamericano di San Paolo (Brasile) che attraverso le sue passate tre edizioni è riuscita a diventare uno spazio per segnalare, studiare e ricercare le problematiche della contemporaneità, con l’intenzione di proporre apporti in base al motto “pensar en el fin del mundo, qué otro mundo es posible”. Il concetto della Biennale è regionale e comprende tutto il cono sud dell’America e con questo progetto si sono presentate azioni nelle città di Rio de Janeiro, San Paolo, Calafate, Ushuaia, diverse basi dell’ Antártida, Rosario, Mendoza, Tucumán, Salta, San Juan y Santa Fé, tra le altre. Ma anche con proposte itineranti e con grandi riconoscimenti in città europee come Roma, Milano, Torino, Venezia, Barcellona, Valencia, Parigi e Londra. La Biennale è parte di un ambizioso progetto de-

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PRINCIPATO DI MONACO

Mese della cultura e della lingua italiana

l Mese della Cultura e della Lingua Italiana, kermesse Iedizione, ideata da Antonio Morabito, giunge alla sua quarta proseguendo un percorso di iniziative volte

a valorizzare e promuovere la presenza culturale del nostro paese nel Principato di Monaco. Un mese fitto di eventi e manifestazioni, a cura dell’Ambasciata d’Italia, tra concerti, esposizioni d’arte, cinema d’autore, teatro, letteratura, design e moda, economia, imprendorialità ed enogastronomia. Città ospiti sono il Comune di Isernia, la candidata a Capitale Europea della Cultura 2019 Matera, con una mostra fotografica dedicata agli storici massi, Cuneo e Mondovì, protagoniste di un progetto di valorizzazione del patrimonio urbanistico e della creatività di “giovani talenti”. Sul versante artistico, l’appuntamento portante è la grande Collettiva di artisti contemporanei italiani allo Yacht Club Monaco, inserita nel contesto di Yachting&art - YA! 2014 e curata da Paola Magni. Partendo da una installazione luminosa e interattiva di Marco Nereo Rotelli dal titolo Se(e)a e dall’esposizione di opere storiche di De Chirico (La musa, 1962, dalla Collezione Nahmad) e Guttuso (La notte Gibellina), gli armatori dello Yacht Club ospitano sulle loro barche lavori di De Sambuy, Del Re, De Luigi, Bramante, Bianchi e Fritsch. Troviamo inoltre le mostre tematiche L’Uomo e l’Acqua di Pieraugusto Breccia, Materia di Gentile, Helidon, Meggiato e Vigna, Il mare con fotografie di Riccardo Varini. A cura di Whitelabs (Milano), Mediterraneo - I Volti della Metafora raccoglie opere di F.Fontana, M.Jodice, Coccorese, Zefferino, Paoli, Comoretti, Galimberti, Biava, Bellobono, Delfino, Lo Pinto, Colin, Beretta, Abate, Marangoni, Haessle, Pasini, Serpas Soriano, Kusterle, Gastel, F.Jodice, Bertozzi E Casoni, Ontani, Barucchello, Ghibaudo, Biffaro. La mostra è arricchita da una sezione speciale composta da lavori di Barbara Frateschi, Gennaro Petrecca, Omar Ludo, Stefania Pennacchio, Verdiana Patacchini, Emanuele Dascanio e Gemelli Plutino. Al Theatre des Variétés, Arte in Italy, rassegna che rappresenta il percorso delle arti figurative, orafe e artigianali italiane del XX secolo. I protagonisti vanno dai nominato “Polo Australe delle Arti, le Scienze, il Turismo e l’Ecologia” che permetterà proporre oltre ad eventi di grande livello artistico internazionale anche la creazione di spazi di riflessione e educativi, con la diffusione all’estero le città e gli spazi turistici di spicco del Cono Sud dell’America, promovendolo e generando una visibilità no convenzionale in tutto il mondo. Tra i progetti speciali, quello del’Italia “invitato d’onor” con una grande presenza di artisti italiani, soprattutto delle nuove generazioni. La maggior parte degli artisti saranno in residenza nelle varie località dei due paesi e produrranno in loco le opere che saranno poi esposte e alla fine della manifestazione donate ai musei ospitanti per generare un collezionismo pubblico permanente. Nell’ambito di questa Biennale, un altro progetto “speciale”, è quello in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Roma, che propone la costruzione di un “Murale del Fin del Mundo” dedicato alla tematica “dell’ inclusione”. L’idea è di farlo realizzare da ragazzi normalmente esclusi dai circuiti artistici e che frequentano la scuola di “muralismo” fondata nella “Villa 21-24” (una delle grandi baraccopoli della città di Buenos Aires) dall’attuale Pontefice Francesco, insieme a ragazzi cileni e alunni dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Lo stesso murale sarà poi replicato nelle varie sedi della Biennale con l’intenzione di generare visibilità alla tematica dell’inclusione, e anche alla diffusione del Progetto Pedagogico della Biennale del Fin del Mundo. Un doppio omaggio è quello del Calendario Pirelli non solo per celebrare i 50 anni di uno dei prodotti di culto della contemporaneità e che rappresenta nell’ambito della fotografia l’evoluzione estetica del costume mondiale immortalata dai migliori fotografi del mondo. Ma anche per celebrare i quasi cento anni della presenza del’impresa italiana Pirelli in Argentina (1917), che sempre si è distinta nell’appoggio alle iniziative culturali in America Latina. Infine c’è l’omaggio a Jorge Orta, uno dei più grandi artisti argentini dell’arte contemporanea per il suo impegno con l’educazione, l’ecologia e l’inserimento sociale. L’artista presenterà un’opera realizzata per quest’occasione, con speciali interventi aggiuntivi nelle regioni dove la Biennale viene presentata. Nel quadro dei Progetti Pedagogici “L’Arte indica”, sono previste giornate di abilitazione di docenti destinate a dare ai gestori dell’educazione in classe gli strumenti che permettano ad orientare i loro alunni alle tematiche della Biennale, nelle sue forme, nei suoi obiettivi e specialmente a preparare i loro sensi e le loro capacità osservative per visitarla. La presentazione del catalogo generale avverrà a conclusione della Biennale nella città di Buenos Aires, a marzo del 2015, inaugurando il suo itinerario internazionale di promozione e diffusione.

Mese della Cultura e della Lingua Italiana, locandina

premiati al Gala de L’art 2014 Hotel de Paris Montecarlo, ovvero Andrea Zanchi, Giovanni Boldrini, Monica Walter, Carla Castaldo, Sandra Levaggi, ai gioielli di Alberto Domenico Vitale, alle poesie di Maddalena Freschi (medaglia d’oro Italiana 2013 “Giacomo Puccini “a Torre del Lago). Appuntamenti speciali sono riservati a focus su personalità come il fotografo Fabrizio La Torre, cui è dedicata la mostra Il mondo degli anni ’50, il pittore Carlo Meluccio, protagonista di I colori di una vita, ma in particolare ad Arnaldo Pomodoro, scultore e orafo le cui sfere sono celebri nel mondo. La mostra Percorsi ne esalta il rigoroso spirito geometrico, per cui ogni forma tende all’essenzialità volumetrica e le cui ripetizioni, in schiere o segmenti, sono paragonabili alla successione delle note in una composizione musicale. La kermesse prevede, inoltre, omaggi al cinema (con Alberto Sordi), alla musica (con la World Youth Chamber Orchestra, diretta dal Maestro Damiano Giuranna), alla moda (con Synesthesis Art, sfilata dell’Accademia di Belli Arti di Cuneo), ma anche al teatro e all’editoria di casa nostra.

Nelle foto gli artisti Duncan Campbell e Ciara Phillips

LONDRA

TURNER PRIZE 2014

li artisti finalisti per l’edizione 2014 del Turner Prize, G sono Duncan Campbell, Ciara Phillips, James Richards e Tris Vonna-Michell. Il prestigioso premio, che dal 1984 viene assegnato a un artista britannico sotto i cinquant’anni, sarà assegnato il prossimo 1 dicembre da una giuria presieduta da Penelope Curtis, direttrice della Tate Britain, e composta da Stefan Kalmár, executive director e curatore di Artists Space, New York, da Helen Legg, direttrice di Spike Island, Bristol, da Sarah McCrory, direttrice di Glasgow International, e da Dirk Snauwaert, direttore artistico del Wiels Contemporary Art Centre, Bruxelles. Tutti i lavori di questi finalisti sono proposti in mostra alla Tate Britain: Duncan Campbell partecipa con It for Others del 2013, Ciara Phillips propone una nuova installazione, Things Shared, con una serie di serigrafie incollate direttamente sulle pareti, James Richards partecipa con un complesso progetto fra fotografia e video, mentre Tris Vonna-Mitchell si presenta con una installazione autobiografica.


>news istituzioni e gallerie< ROMA

Maxxi

avvero molto ricca la proposta del Maxxi per il D prossimo autunno, all’insegna della multidisciplinarietà, della contaminazione dei linguaggi e delle col-

laborazioni internazionali. La varietà dell’offerta nasce dalla voglia dell’istituzione di farsi interprete di nuove istanze per una nuova società, diventare agora per dare voce tanto agli artisti quanto al pubblico. Otto le mostre in programma, tra il Museo d’Arte e quello di Architettura, frutto di una strettissima collaborazione tra il direttore artistico Hou Hanru e i team curatoriali diretti da Anna Mattirolo e Margherita Guccione. Partiamo dal progetto Aliens Cave (30 settembre-12 ottobre) organizzato del Dipartimento educazione del museo e dedicato a tre illustratori: Lorenzo Terranera, Fabio Magnasciutti e Alessandro Ferraro. The Immigrant Songs (1-19 ottobre), è una mostra intensa che, attraverso i video di Angelica Mesiti e Malik Nejmi, racconta storie di emigrazione e “prepara” il pubblico a Open Museum Open City (24 ottobre-30 novembre), progetto curato da Hou Hanru che riempie il museo di sculture sonore trasformandolo in una sorta di foro aperto alla città con musica, proiezioni, narrazioni, incontri, performance e installazioni site specific di oltre 40 artisti italiani e internazionali, tra i quali Justin Bennet, Cevdet Erek, Lara Favaretto, Francesco Fo-

Unedited History. Iran 1960 – 2014, courtesy Maxxi, Roma Huang Yong Ping, Baton Serpent, courtesy l’artista

nassi, Bill Fontana, Jean Baptiste Ganne, Ryoji Ikeda, Haroon Mirza, Philippe Rahm. Il progetto Bellissima. L’Italia dell’alta moda 1945-1968, a cura di Maria Luisa Frisa, Anna Mattirolo e Stefano Tonchi (2 dicembre-3 maggio 2015) racconta il glamour e il fascino di una stagione straordinaria per la creatività italiana. In mostra abiti originali, gioielli, filmati e immagini d’epoca che dialogano con i manichini di Vanessa Beecroft e le suggestioni fotografiche di Pasquale De Antonis. A partire da Unedited History. Iran 1960-2014 (11 dicembre–29 marzo 2015) mostra a cura di Catherine David, Odile Burluraux, Morad Montazami, Narmine Sadeg e Vali Mahlouji, il Maxxi apre verso Oriente. L’Iran è, qui, raccontato attraverso la sua arte, passando per la Rivoluzione del 1979 e la guerra tra con l’Iraq degli Anni Ottanta, frazie alle 200 opere di oltre 20 artisti. Al crocevia tra Oriente e Occidente è Bâton Serpent, personale dell’artista di origine cinese Huang Yong Ping a cura di Hou Hanru (19 dicembre-aprile 2015), stupirà accogliendo i visitatori con un gigantesco e ondeggiante serpente in alluminio e altri lavori monumentali, che alludono a tematiche quali la religione (già il titolo richiama un passo dell’Esodo) e le arti divinatorie, la riflessione sulla tradizione e l’identità culturale. Il Museo nazionale di arte contemporanea di Seul, NMCA, propone il progetto The Future is Now! (19 dicembre-15 marzo 2015), dedicato alla videoarte coreana. Ottanta opere, quaranta artisti, da a partire da Nam June Paik (da una cui opera trae il nome la mostra) fino ai giovanissimi che vivono appieno l’attuale rivoluzione digitale. Per concludere, a cura di Jean Louis Cohen, la mostra Architettura in uniforme. Progettare e costruire per la Seconda Guerra Mondiale si avvale di filmati, documenti originali, riviste storiche, fotografie d’epoca, maquette, per raccontare la storia di alcuni tra i più interessanti progetti del periodo: le città in guerra, i progetti autarchici, il ruolo dell’ industria, le fortificazioni, il camouflage, fino all’ immediato dopoguerra con i memoriali e il riuso delle tecnologie militari.

Jasper Johns, Figura 8, 1959, courtesy The Sonnabend Collection. Prestito a lungo termine presso Ca’ Pesaro, Venezia, Nina Sundell e Antonio Homem.

VENEZIA

AZIMUT/H

on la mostra AZIMUT/H. Continuità e nuovo, a cura di C Luca Massimo Barbero, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia dedica, fino al 19 gennaio 2015, un tribu-

to al contesto delle neoavanguardie, celebrando il ruolo fondante nel panorama artistico italiano e internazionale di quegli anni che ebbe Azimut/h, la galleria e rivista fondate nel 1959 a Milano da Enrico Castellani (1930) e Piero Manzoni (1933 – 1963). La posizione catalizzatrice della cultura visiva e concettuale italiana ed europea, ponte ideale tra una nuova generazione rivoluzionaria, ironica e cruciale, e la più stretta contemporaneità è restituita attraverso un percorso espositivo organizzato in sei stanze. Dai “maestri e compagni di strada” Fontana, Burri, Johns, Rauschenberg, Klein e Tinguely, a una sala dedicata a Manzoni e Castellani, per proseguire con i frutti del network nazionale e internazionale creatosi, con opere di Bonalumi, Dadamaino, Colombo, Mack, Piene e Uecker. Un focus particolare sul tema dell’oggetto-contenitore, parte da lavori emblematici, divenuti iconici della contemporaneità, come le Linee e la Merda d’artista di Manzoni, in dialogo con analoghe creazioni di Johns e Rotella. Uno speciale progetto multimediale, realizzato da Zenith, permette al visitatore di accedere all’universo visivo e documentario che, attraverso foto e rari filmati d’epoca, ne costituisce il materiale di ricerca. È offerta, inoltre, ai visitatori l’occasione di salire sulla ricostruzione autorizzata della celebre “base magica” manzoniana. per diventare sculture viventi.

TORINO

AVANGUARDIA RUSSA

Le sale di Palazzo Chiablese, spazio mostre del Polo Reale di Torino, ospitano la mostra Avanguardia Russa. Da Malevič a Rodčenko. Capolavori dalla collezione Costakis. Da Salonicco, per la prima volta in Italia, 300 opere della collezione raccolta da George Costakis sfidando i divieti del regime stalinista, salvando di fatto dall’oblio l’arte sperimentale russa del primo Novecento. Curata da Maria Tsantsanoglou e Angeliki Charistou, l’esposizione è una vera e propria “enciclopedia dell’Avanguardia russa”, rappresentativa di tutti i principali movimenti del tempo, dal Nuovo Impressionismo e Simbolismo al Cubo Futurismo, dal Suprematismo al Cosmismo, con la possibilità di ammirare capolavori di Malevič, Popova, Rodčenko, Rozanova, El Lissitzky e Stepanova. Fino al 15 febbraio 2015.

Enrico Castellani, Senza titolo, 1959, collezione privata, Milano Lucio Fontana, Io sono un santo, 1958 Fondazione Lucio Fontana, Milano

Kazimir Malevich, Portraiture, 1910, gouache su carta, courtesy Collezione Costaki

TORINO

Roy Lichtenstein

GAM Torino presenta una importante esposizione dedicata ai lavori su carta e a grandi dipinti dell’indiscusso maestro della Pop Art Roy Lichtenstein. 235 le opere in mostra per Opera prima, riunite per la prima volta in Italia con la curatela di Danilo Eccher, grazie alla collaborazione con l’Estate e la Roy Lichtenstein Foundation, oltre a importanti prestiti provenienti da prestigiosi musei internazionali. Insieme ai disegni, che abbracciano un arco temporale che va dai primi anni Quaranta al 1997, GAM presenta anche alcuni grandi dipinti e una documentazione fotografica, testimonianza dell’artista al lavoro. Fino al 25 gennaio 2015.

Piero Manzoni, Merda d’artista, 1961, Fondazione Piero Manzoni, Milano, in collaborazione con Gagosian Gallery

Roy Lichtenstein, Drawing for Girl with Hair Ribbon, 1965, courtesy Estate of Roy Lichtenstein / SIAE 2014

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>news istituzioni e gallerie< NAPOLI

ARTECINEMA

’idea è nata nel 1996 […] quando ho scoperto “L questo materiale straordinario, poco conosciuto e difficilmente accessibile. Da subito, ebbi chiara la

percezione della forza di questi filmati e sorse in me, immediato, il desiderio di poterli mostrare ai miei amici, agli amanti dell’arte, alla mia città […] Così ha preso forma il progetto di realizzare una rassegna a Napoli. Chiesi ospitalità all’Istituto francese che accolse la mia richiesta con entusiasmo e iniziammo quest’avventura. Era il 1996, avevo 29 anni e tanta energia”. Queste le parole della gallerista Laura Trisorio, che oggi - qualche anno in più, ma inventiva ed energia di sempre - può vantare la diciannovesima edizione di Artecinema; pregiata immersion - quattro giorni dal 16 al 19 ottobre- nella cinematografia documentaria sulle arti visive contemporanee e territori limitrofi - l’architettura e la fotografia - ove attraverso il linguaggio cinematografico - spaziando dai documentari, alle interviste, dalle biografie filmate ai materiali d’archivio - si racconta al fruitore esperto o al neofita l’opera, il vissuto e le modalità “di lavoro” di alcuni dei maggiori protagonisti delle arti visive dal secondo novecento, restituendo la ricchezza delle esperienze che costituiscono il variegato panorama artistico internazionale. Accresciutosi nel corso degli anni - passando dai 300 posti dell’Istituto Grenoble nel 1996 ai 1400 del Teatro Augusteo, attuale location della rassegna - Artecinema è uno degli eventi più interessanti della stagione artistica partenopea; risposta singolare all’incalzante odierna produzione di immagini svuotate della capacità “svuotante” e ad uno dei tanti détournement che caratterizzano le profetiche, catastrofiche, ma attuali teorie da Guy Debord, espresse nel saggio “La società dello spettacolo”, ove ricalcando l’incipit de “Il capitale di Marx” l’autore afferma «Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli […]. Le immagini del mondo dettate dalle necessità della produzione capitalistica si sono staccate dalla vita, al punto che lo spettacolo è considerato come “l’inversione della vita”,- si dovrebbe agire concependo - […] Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini» . La rassegna viene aperta dalla sezione arte e dintorni, con Dripped - regia di Léo Verrier - film ambientano in una New York degli anni ’50 in cui un appassionato d’arte, bramoso di assorbire l’ispirazione dei suoi artisti favoriti, ne ruba i quadri per poi cibarsene, sortendo effetti inaspettati; con l’omaggio a Piero Manzoni, Artista - regia Andrea Bettinetti -, un palinsesto di inediti preziosi filmati, testimonianze dirette del protagonista, di amici, familiari e colleghi che l’hanno conosciuto. Nelle giornate successive sono proposti interessanti filmati, a cominciare dal documentario dedicato allo sperimentalismo dell’eclettico Georg Baselitz - regia Evelyn Schells

- vissuto a cavallo di un epocale momento storico, tra la Germania di Hitler e l’epoca comunista nella Germania dell’Est. Passando per Picasso Ceramiques - regia Thierry Spitzer- si approda al film di un altro francese Barthelemy Toguo - Deux Mains…Le Monde - regia di Thierry Spitzer - dedicato all’artista africano Barthelemy Toguo, focus sul suo lavoro e sul progetto della Bandjoun Station in Camerun, concepito come “zona di contatto” fra il mondo internazionale dell’arte e la realtà locale e allo stesso tempo come luogo di transito e residenza, luogo dell’ “abitare nel viaggio”. Alla regia di Susan Sollins è affidato il lavoro dedicato all’artista Tania Bruguera, che esplora il rapporto tra arte e attivismo politico; un lavoro un cui l’artista cubana mette in scena eventi partecipativi sui temi della repressione, del controllo sociale e delle migrazioni. La regista la segue durante la realizzazione del suo Immigrant Movement International Project che prende forma in un centro sociale nel Queens a New York; di matrice sociale è anche il docufilm Ilya and Emilia Kabako, Enter Here – regia Amei Wallach – in cui, venti anni dopo la fuga dall’Unione Sovietica verso l’America, questa storica coppia di artisti torna a Mosca per esporre il proprio lavoro. Il film traccia uno spaccato della vita sovietica, attraverso decenni di sogni utopistici e sconvolgimenti politici, e mostra come l’arte e l’ironia possano alleviare l’oppressione. Si passa poi alla pungente critica di The next Big Thing – regia di Frank Van Den Engel – ove

Piero Manzoni, still dal film “Piero Manzoni artista” di Andrea Bettinetti, 2013

attraverso le testimonianze dirette dei protagonisti del settore, il film indaga il nuovo assessment dell’arte contemporanea, condizionato dalle case d’asta, dai musei e dai collezionisti internazionali. A conclusione della seconda serata l’omaggio – regia a cura di Ranuccio Sodi - a Paolo Rosa, uno dei fondatori del collettivo Studio Azzurro, prematuramente scomparso. Nell’ultima giornata della rassegna - l’appuntamento è con il documentario Lucian Freud: Painted Life – regia Randall Wright - un film che esplora la vita e l’opera del noto artista attraverso la sua diretta testimonianza e quella di amici come David Hockney e Andrew Parker Bowles. Passando per i documentari ART 21 dedicati agli artisti Thomas Hirschhorn, Wolfang Laib e Joan Jonas - regia Susan Sollins – si giunge a L’utopie du Desastre - Toyo Ito - regia Richard Copans - ed ai progetti che dopo il catastrofico tsunami giapponese del marzo 2011, un collettivo di architetti guidato da Toyo Ito realizza, in dialogo con le vittime di Sendai, la Home-for-All un luogo “terapeutico” dove la gente possa sentirsi a casa, incontrarsi, riposarsi e parlare del futuro. L’ultima proposta è con Polly Morgan – regia Morag Tinto – un documentario delicato alla tassidermia, tecnica attraverso la quale si preservano i corpi dalla decomposizione, e che l’artista utilizza per realizzare sculture con piccoli animali come uccelli, topolini e scoiattoli, restituendo loro una nuova “forma di vita”. Raffaella Barbato

Georg Baselitz, still dal film “Georg Baselitz” di Evelyn Schells, 2013

Polly Morgan, still dal film “Polly Morgan” di Morag Tinto

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 7


>news istituzioni e gallerie< Buggenhout, Charrière, Yuan Gong, Kate MccGwire, Mauger, Rémy, Salaud, Tsai e Toguo. Si rinnova per il terzo anno la collaborazione con il Comité Vendôme, il cui frutto è quest’anno il monumentale Tree di Paul McCarthy, scultura site-specific alta 24 metri, concepita in relazione alla corrente esposizione Chocolate Factory alla Monnaie de Paris e installata a Place Vendôme. Torna, dopo l’esperimento dello scorso anno, il programma di appuntamenti lungo la passeggiata che costeggia la riva sinistra della Senna, incentrate sull’esperienza del suono grazie ad artisti come Eddie Ladoire, Hélène Perret, Emmanuel Lagarrigue, Rainier Lericolais, ai musicisti Rodolphe Burger, Philippe Katherine, Bruno Letort, Radio Mentale e allo scrittore e regista Jonas Mekas. La novità destinata a portare maggiore scompiglio è, però, l’annuncio della prima edizione di FIAC LA, in programma dal 27 al 29 marzo 2015 al Convention Center di Los Angeles, un ponte gettato tra i continenti, da una città classicamente punto di riferimento per il mondo della cultura ad una che assurge allo status di capitale culturale in questi anni. La direzione di questa nuova esperienza fieristica è affidata a Aurélia Chabrillat.

VERONA

Art Verona

all’acquisizione di ArtVerona|Art Project Fair da D parte di Veronafiere, primo organizzatore diretto di manifestazioni in Italia, la fiera d’arte moderna e

contemporanea festeggia la sua decima edizione, proponendosi rafforzata grazie al know how e al piano di investimento da parte dell’Ente e del suo direttore generale Giovanni Mantovani, che vede nella manifestazione uno strumento e una opportunità di crescita per il territorio e l’economia di una nuova Italia. Con la direzione artistica affidata ad Andrea Bruciati, ArtVerona vede un rafforzamento di partecipazione di galleristi espositori di sicura qualità, anche per la nascita di un fondo acquisizione di 100 mila euro per opere di giovani artisti emergenti. L’ingresso di altri nuovi interlocutori, hanno anche permesso la nascita o la prosecuzione di interessanti iniziative culturali. Tra esse, il “focus” sul possibile virtuoso rapporto tra mondo dell’arte e dell’impresa, quale reale fattore di sviluppo per il nostro Paese, con la discussione sul “Rapporto Symbola - Unioncamere 2014”, Io sono cultura. L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi, in collaborazione con Arte e Imprese de Il Giornale dell’Arte (a cura di Catterina Seia) e una serie di incontri tra imprenditori, collezionisti e operatori del settore a cura di Adriana Polveroni per ArtVeronaTalk. Tra le varie iniziative espositive, volte a porre le gallerie al centro dell’attenzione, c’è ICONA, il Concorso che attraverso una Commissione presieduta da Cristiana Collu, direttrice del MART, individua l’opera più rappresentativa dell’edizione 2014, per diventare l’immagine di campagna della manifestazione per l’edizione successiva, oltre ad entrare in deposito al Museo di Rovereto; King Kong, all’ingresso dei padiglioni, con una selezione di opere di grande formato proposte dalle gallerie presenti; l’esposizione monografica Enrico Castellani: l’opera in bianco, a cura di Andrea Bruciati, all’interno della sezione del Moderno. Da registrare infine una maggiore sinergia e sensibilizzazione anche da parte della città che, oltre alla decennale collaborazione con l’Area Cultura del Comune di Verona, per la prima volta vede la collaborazione tra ArtVerona e l’Università degli Studi di Verona, oltre a quella già collaudata con l’Accademia delle Belle Arti. Il Comune di Verona, come da tradizione, ospiterà in diverse sue sedi istituzionali mostre e collaterali tra cui Ad Naturam, a cura di Angela Madesani al Museo Civico di Storia Naturale (fino al 30.11 2014); Steve Sabella. Archaeology of the future, a cura di Karin Adrian Von Roques al Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri (fino al 16.11 2014); Noli me tangere. L’arte in movimento e la malattia dei sentimenti di Michelangelo Antonioni, a cura di Eva Comuzzi e Andrea Bruciati (fino al 31.10.2014) in Biblioteca Civica, sede dell’Archivio Regionale di Videoarte del Veneto dove sono consultabili oltre 160 video d’artista.

LONDRA

FRIEZE

Regent’s Park, puntuale ogni anno come il caA dere delle foglie, si rinnova dal 15 al 18 ottobre l’appuntamento con Frieze London, l’evento fieristico

PARIGI/LOS ANGELES

FIAC

orna, tra il 23 e il 26 ottobre, l’appuntamento pariT gino con la FIAC - Foire Internationale d’Art Contemporain. Come ogni anno, anche questa edizione porta

in dote alcune novità, la più importante delle quali è senz’altro la nascita di (OFF)ICIELLE, fiera satellite contemporanea alla FIAC, che si tiene alla Cité de la Mode et du Design e accoglie una settantina di gallerie (francesi ed estere) della scena emergente. La sezione principale, nella prestigiosa cornice del Grand Palais, accoglie 191 espositori, che comprendono I maggiori nomi del mondo dell’arte, accostando moderno e contemporaneo, esposizioni tematiche e design. L’Italia è ben rappresentata in questo contesto grazie ad Alfonso Artiaco (Napoli), Continua (San Gimignano), Massimo De Carlo (Milano/ Londra), Kaufmann Repetto (Milano), Francesca Minini

(Milano), Massimo Minini (Brescia), Monitor (Roma), Franco Noero (Torino), Tucci Russo (Torre Pelice), Spazio A (Pistoia) e Tornabuoni Arte (Firenze). Sculture e installazioni di dimensioni monumentali trovano posto ai Tuileries Gardens e ai Plant Gardens. Tra gli artisti più attesi in queste cornici: Baselitz, Boltanski, Les Frères Chapuisat, Fujimoto, Nasr, Pernice, Sartori, Tatars, Verna e Warren, ma anche Albarracín,

Pablo Picasso, foto David Douglas Duncan, courtesy l’autore e Harry Ransom Humanities Research Center, The University of Austin

trainante per la capitale del Regno Unito. La sezione principale costituisce il cuore pulsante dell’evento, con una ricchissima partecipazione internazionale, ma una forte connotazione british; portabandiera di casa nostra sono le gallerie Massimo De Carlo (Milano/Londra), Giò Marconi (Milano), Franco Noero (Torino), Raucci/Santamaria (Napoli), T293 (Roma). 38 gli espositori di Focus, sezione dedicata a progetti espositivi speciali, tra i quali troviamo la Galleria Frutta (Roma) e la Galleria Fonti (Napoli). La sezione Live, novità di questa edizione della fiera dedicata ad ambiziose installazioni performative appositamente concepite o a riadattamenti di lavori storici, si compone di sei gallerie tra cui sottolineiamo: gb Agency (Parigi) con Floats di Robert Breer; Green Tea Gallery (Iwaki/Fukushima) con Does This Soup Taste Ambivalent? di UNITED BROTHERS; Rodeo (Istanbul/Londra) con Resorting di Tamara Henderson; Silberkuppe (Berlino) con Choreographic Service No. 2 di Adam Linder. Esordio anche per il Frieze Artist Award, assegnato per la sua prima edizione a Mélanie Matranga, selezionata tra gli oltre mille candidati. il premio consente a un artista emergente di realizzare un suo progetto durante la fiera, all’interno di Project. Matranga proporrà una serie di video online che seguono una giovane coppia di artisti intenti a “negoziare” la loro libertà, il successo e la funzionalità del loro menage di coppia. Gli eventi speciali di Frieze Project son affidati quest’anno agli artisti Sophia Al Maria, Jérôme Bel, Jonathan Berger, Isabel Lewis, Tobias Madison, Nick Mauss, Cerith Wyn Evans e la già citata Mélanie Matranga. Terza edizione per il Frieze Sculpture Park, quest’anno curato da Clare Lilley, direttrice dello Yorkshire Sculpture Park, che consente un libero accesso per passeggiare tra opere di Caroline Achaintre, Reza Aramesh, George Condo, Michael Craig-Martin, Martin Creed, Gabriele De Santis, Matt Johnson, KAWS, Yayoi Kusama, Seung-taek Lee, Roelof Louw, Marie Lund, Fausto Melotti, Richard Nonas, Not Vital, Kristin Oppenheim, Jaume Plensa, Ursula von Rydingsvard, Thomas Schütte e Franz West. Come ogni anno, fanno da cornice all’evento un ricchissimo panel di incontri (Frieze Talks), proiezioni video (Frieze Film), appuntamenti musicali (Frieze Music).

NEW YORK

pIcasso and the camera

Gagosian Gallery, in collaborazione con Bernard RuizPicasso, presenta Picasso and the Camera, quinto appuntamento di un ampio progetto espositivo partito nel 2009. La mostra esplora, con la curatela del biografo di Picasso John Richardson, coadiuvato dai direttori di Gagosian Valentina Castellani e Michael Cary, il rapporto di Pablo Picasso con la fotografia, intesa come medium, fonte di ispirazione e parte integrante della sua pratica in studio, occasione per ammirare molti scatti dello stesso Picasso, mai esposti in precedenza, ma anche un’ampia selezione di quadri, disegni, sculture, stampe e filmati con questi in diretta relazione. L’artista stesso, personaggio iconico dell’arte del Novecento, è stato probabilmente il più fotografato del suo tempo (tra gli altri, da Jean Cocteau, Cecil Beaton, Man Ray, Lee Miller, Michel Sima, Arnold Newman) e, con i fotografi, ha ingaggiato un rapporto molto stretto collaborando in particolare con Brassaï, Dora Maar e Andre Villers, ma anche con filmmaker come Luciano Emmer e Henri-Georges Clouzot ai quali concesse di catturare i suoi processi creativi. Fino al 3 gennaio 2015. 8 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014


>news istituzioni e gallerie< TORINO

Artissima

rtissima ha reso note le gallerie e gli artisti parteA cipanti, dal 7 al 9 novembre, al suo ventunesimo appuntamento.
Sono 194 gli espositori (137 stranieri e

Shaun Gladwell, Untitled, 2014, Galleria Astuni

Julião Sarmento, Inadequate Readings (with every breath), 2003, Galleria Giorgio Persano

Maria Kriara, Untitled, 2014 CAN Christina Androulidaki Gallery

Yona Friedman & Jean-Baptiste Decavèle, Balkis-Island n°12/49, 1996 - 2008, Galerie Anne Barrault

57 italiani) e 61 gli artisti nelle sezioni curate in questa edizione 2014, ma avremo anche un nuovo progetto dedicato alla performance, 40 curatori coinvolti, 5 premi per artisti e gallerie e un inedito progetto espositivo prodotto dalla fiera. Nella MAIN SECTION, le gallerie più rappresentative e consolidate del panorama artistico internazionale: 401Contemporary, Berlin; A Gentil Carioca, Rio De Janeiro; Samy Abraham, Paris; Aike-Dellarco, Shanghai; Air De Paris, Paris; Sabrina Amrani, Madrid; Analix Forever, Geneva; Annex14, Zurich; Apalazzo, Brescia; Artericambi, Verona; Alfonso Artiaco, Napoli; Aspn, Leipzig; Enrico Astuni, Bologna; Athr, Jeddah; Balice Hertling, Paris; Anne Barrault, Paris; Hannah Barry, London; Belenius-Nordenhake, Stockholm; Bendana | Pinel, Paris; Bernier / Eliades, Athens; Isabella Bortolozzi, Berlin; Thomas Brambilla, Bergamo; Brand New Gallery, Milano; Braverman, Tel Aviv; Bugada & Cargnel, Paris; Bwa Warszawa, Warsaw; Casado Santapau, Madrid; Pedro Cera, Lisbon; Charim, Vienna; Chert, Berlin; Christinger De Mayo, Zurich; Co2, Torino; Hezi Cohen, Tel Aviv; Antonio Colombo, Milano; Continua, San Gimignano, Beijing, Les Moulins; Vera Cortês, Lisbon; Raffaella Cortese, Milano; Guido Costa Projects, Torino; Monica De Cardenas, Milano, Zuoz; De’ Foscherari, Bologna; Umberto Di Marino, Napoli; Exit, Hong Kong; Faggionato, London; Figge Von Rosen, Cologne; Marie-Laure Fleisch, Roma; Frutta, Roma; Furini, Arezzo; Green On Red, Dublin; Giacomo Guidi, Roma, Milano; Andreas Huber, Vienna; Hunt Kastner, Prague; Ibid., London, Los Angeles; In Arco, Torino; Antonia Jannone, Milano; Jeanrochdard, Paris, Brussels; Kalfayan, Athens, Thessaloniki; Peter Kilchmann, Zurich; Christine König, Vienna; Eleni Koroneou, Athens; Kow, Berlin; Tomio Koyama, Tokyo, Singapore; Krome, Berlin; Lattuada Studio, Milano, New York; Emanuel Layr, Vienna; Le Guern, Warsaw; Antoine Levi, Paris; Josh Lilley, London; Magazzino, Roma; Norma Mangione, Torino; Mario Mazzoli, Berlin; Mendes Wood Dm, São Paulo; Francesca Minini, Milano; Massimo Minini, Brescia; Ani Molnár, Budapest; Monitor, Roma; Mor.Charpentier, Paris; Motinternational, London, Brussels; Múrias Centeno, Porto; Franco Noero, Torino; Lorcan O’ Neill, Roma; P420, Bologna; Alberta Pane, Paris; Alberto Peola, Torino; Peres Projects, Berlin; Giorgio Persano, Torino; Photo&Contemporary, Torino; Francesca Pia,

Marge Monko, Studies of Bourgeoisie - Tableaux 2, 2005 Ani Molnár Gallery

Shadi Ghadirian, Miss Butterfly #1, 2011 Podbielski Contemporary

Alex Mirutziu, Works ad Interview Through Sculpture, 2012 Sabot Gallery

Rachel Rose, A minute ago, 2014, HD Video, High Art Gallery Karthik Pandian, Borsalino, 2014, Federia Schiavo Gallery

Marie Denis, Les yeux derrière la tête, 2011 Galerie Alberta Pane

Apparatus 22, As Good As Gold, 2014, Kilobase Bucharest

Jiri David, Pain of Water, 2006, Le Guern Gallery

Ahmed Mater, Talisman Illumination I, 2008, Athr Gallery

Rachel de Joode, The Residue of Those Celestial Objects Bound to our Sun by Gravity (Venus), 2013, Neumeister Bar-Am Darren Harvey-Regan, More or Less Obvious Forms, 2012, Coppefield Gallery Marcello Maloberti, The Ants Struggle on the Snow, 2009, Galleria Raffaella Cortese

Darren Almond, Fullmoon@Santo Antão, 2013, Galleria Artiaco

Roni Horn, Puff (2), 2002, Galleria Raffaella Cortese

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 9


>news istituzioni e gallerie< Zurich; Pinksummer, Genova; Pm8, Vigo; Podbielski, Berlin; Gregor Podnar, Berlin, Ljubljana; Polansky, Prague; Produzentengalerie Hamburg, Hamburg; Profile, Warsaw; Projectesd, Barcelona; Prometeogallery, Milano, Lucca; Quadrado Azul, Porto; Rotwand, Zurich; Lia Rumma, Milano, Napoli; Sabot, Cluj-Napoca; Marion Scharmann, Cologne; Schleicher/Lange, Berlin; Side 2, Tokyo; Smac, Stellenbosch, Cape Town; Spazioa, Pistoia; Sprovieri, London; Sultana, Paris; Taik Persons, Helsinki; Joseph Tang, Paris; The Breeder, Athens; The Gallery Apart, Roma; Elisabeth & Klaus Thoman, Innsbruck; Caterina Tognon, Venezia; Torri, Paris; Tucci Russo, Torre Pellice; Upp, Venezia; Paola Verrengia, Salerno; Viltin, Budapest; Vistamare, Pescara; Wentrup, Berlin; Wilkinson, London; Jocelyn Wolff, Paris; Zak | Branicka, Berlin; Martin Van Zomeren, Amsterdam. Espongono in NEW ENTRIES, le giovani gallerie presenti ad Artissima per la prima volta: 22,48 M², Paris; :Baril, Cluj-Napoca; Rod Barton, London; Can Christina Androulidaki, Athens; Car Drde, Bologna; Copperfield, London; Document-Art, Buenos Aires; Elika, Athens; Ex Elettrofonica, Roma; Emmanuel Hervé, Paris; Instituto De Visión, Bogotà; Last Resort, Copenhagen; Marcelle Alix, Paris; Marso, Mexico City; Massimodeluca, MestreVenezia; Neumeister Bar-Am, Berlin; Anca Poterasu, Bucharest; Svit, Prague; Vitrine, London. In ART EDITIONS, edizioni, stampe e multipli di Alex Daniels – Reflex, Amsterdam; Editalia, Roma; L’arengario S.B., Gussago; G.Maffei – G.Galimberti, Torino; Danilo Montanari, Ravenna; Sudest 57, Milano. Per quanto concerne i progetti espositivi integrati nella fiera, partiamo dalla sezione PRESENT FUTURE, che raccoglie le personali di 20 artisti emergenti invitati da Luigi Fassi, Catalina Lozano, Piper Marshall, Jamie Stevens, Xiaoyu Weng: Apparatus 22 per Kilobase Bucharest, Bucharest; Robin Cameron per Room East, New York; Juan Capistran per Curro Y Poncho, Guadalajara; Jeremiah Day per Arcade, London / Ellen De Bruijne Projects, Amsterdam; Alex Da Corte per Joe Sheftel, New York; Rochelle Goldberg per Federico Vavassori, Milano; An He per Tang, Bangkok, Beijing; Anne Imhof per Deborah Schamoni, Munich; Toril Johannessen per Osl, Oslo; Dawn Kasper per David Lewis, New York; Candice Lin per Quadrado Azul, Porto; Adrian Melis per Adn, Barcelona; Uriel Orlow per La Veronica, Modica; Karthik Pandian per Federica Schiavo, Roma; Rachel Rose per High Art, Paris; Harry Sanderson per Arcadia Missa, London; Beatriz Santiago Muñoz per Agustina Ferreyra, San Juan; Jorge Satorre per La-

Edson Chagas, Oikonomos, 2011, A Palazzo Gallery Travess Smalley, Vector Weave - Action 11 Feb 2014, 2014, Galerie Andreas Huber

Lionel Esteve, Untitled, 2014, Galerie Bernier Eliades

Zio Ziegler, Understanding movement, 2014, Antonio Colombo

Jimmie Durham, Even after so many years have passed so strangely I still cannot explain adequately what happened that night, 2012, Christine König Galerie

Andrea Bianconi, In Between, 2014, Furini Arte Contemporanea

Suda Yoshihiro, Clematis, 2013, Faggionato

Shilpa Gupta, 100 Hand drawn Maps of my country Italy, 2014, Galleria Continua Luca Francesconi, Capo, 2014, Galleria Umberto Di Marino

Valerio Carrubba, Nurses Run, 2014 Galleria Monica De Cardenas Ron Gorchov, Manto, 2013, Thomas Brambilla Gallery

10 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014

James Balmforth, Systems of Remembering and Forgetting, 2007, Hannah Bawrry Gallery Christina Kubisch, Cloud, 2011, Galerie Mario Mazzoli


>news istituzioni e gallerie<

Zoe Giabouldaki, Best Fit, 2014, Elika Gallery

Arturo Hernandez Alcazar, Geometry o Collapse, 2013, Marso Gallery

Jonathan Baldock, The Rites of Spring (i & II), 2013 Vitrine Gallery

bor, Mexico City; Liu Shiyuan per Andersen’s, Copenhagen; Xinguang Yang per Boers-Li, Beijing Lavoro di recupero e valorizzazione per la programmazione di BACK TO THE FUTURE , sezione nella quale vengono proposte 25 mostre personali di qualità museale, con lavori degli anni ‘60, ‘70 e ‘80, selezionati e proposti da João Fernandes, Douglas Fogle, Beatrix Ruf, Jochen Volz, con il coordinamento di Eva Fabbris: Lutz Bacher per Buchholz, Cologne; Imre Bak per Acb, Budapest / Erika Deak, Budapest; Irma Blank per P420, Bologna; Paulo Bruscky per Nara Roesler, São Paulo, Rio De Janeiro; Hans-Peter Feldmann per Richard Saltoun, London; Ion Grigorescu per Gregor Podnar, Berlin, Ljubljana; Channa Horwitz per François Ghebaly, Los Angeles; Edward Krasiński per Foksal Gallery Foundation, Warsaw; Norbert Kricke per Aurel Scheibler, Berlin; Friedl Kubelka per Richard Saltoun, London; Tetsumi Kudo per Christophe Gaillard, Paris; Ugo La Pietra per Camera16, Milano; Seung-Taek Lee per Motinternational, London, Brussels; Bernhard Leitner per Georg Kargl, Vienna; Amadeo Luciano Lorenzato per Bergamin, São Paulo; Paolo Masi per Frittelli, Firenze; Marta Minujin per Henrique Faria, New York, Buenos Aires; Vera Molnar per Oniris - Florent Paumelle, Rennes; Anna Oppermann per Barbara Thumm, Berlin; Osvaldo Romberg per Henrique Faria, New York, Buenos Aires; Néstor Sanmiguel Diest per Maisterravalbuena, Madrid; Alfons Schilling per Charim, Vienna; Kishio Suga per Tomio Koyama, Tokyo, Singapore; Grazia Varisco per Ca’ Di Fra’, Milano; Gil Joseph Wolman per Natalie Seroussi, Paris. PER4M, a cura di Simone Menegoi, Tobi Maier e Natalia Sielewicz, è la grande novità di questa edizione. In questa sezione verranno presentate, nel contesto fieristico, 16 performance di Leah Capaldi per Vitrine, London; F. Marquespenteado per Mendes Wood Dm, São Paulo; Shaun Gladwell per Enrico Astuni, Bologna; Louise Hervé & Chloé Maillet per Marcelle Alix, Paris; Helena Hladilová per Co2, Torino; Tom Johnson per Guido Costa Projects, Torino; Tobias Kaspar per Peter Kilchmann, Zurich; Marcello Maloberti per Raffaella Cortese, Milano; Giovanni Morbin per Artericambi, Verona; Prinz Gholam per Jocelyn Wolff, Paris; Lili Reynaud Dewar per Emanuel Layr, Vienna; Cally Spooner per Motinternational, London, Brussels; Kate Steciw & Rachel De Joode per Neumeister BarAm, Berlin; Nico Vascellari per Monitor, Roma; Viola Yesiltaç per David Lewis, New York; Italo Zuffi per Pinksummer, Genova.

TORINO

THE OTHERS 2014

L

a quarta edizione di The Others si svolge, come di consueto, presso la location insolita che è quella delle Ex Carceri Le Nuove. Dal 6 al 9 novembre si accendono i riflettori su The Others, che quest’anno è “The Wild Site”, che si propone come uno sguardo diverso e trasversale che attraversa la contemporaneità con una dimensione libera, senza categorie formali e strutturali. Le novità di quest’anno sono tre nuove sezioni: “OtherScreen”, “Other Stage” e “Other Sound”: le prime due dedicate al video e alla performance, la terza alla ricerca musicale. Le gallerie partecipanti, giovani e votate alla ricerca ed alla sperimentazione. Anche quest’anno The Others offre una ricca selezione di premi per gli artisti ed i migliori progetti curatoriali.

Maanantai Collective, Cloudberry, 2013, Gallery Taik Persons

Nico Vascellari, Studio per NSVN, 2014, Monitor

Alexis Marguerite Teplin, Three Women, 2012 Galleria CAR drde Zoulikha Bouabdellah, Cauchemar, 2013 Sabrina Amrani Gallery

Luigi Mainolfi, Dune tornado oasi, 2012 Galleria Paola Verrengia, Salerno

Adrian Melis, Linea de Producción por Excedente, 2014 ADN Galería

Noga Shtainer, Horses, 2011, Podbielski Contemporary

One Torino / Palazzo Cavour

S

HIT AND DIE è il progetto espositivo prodotto da Artissima nella suggestiva cornice di Palazzo Cavour. L’invito della direttrice Sarah Cosulich a un curatore-non-curatore, un artista in pensione, un curioso che sa scoprire e far scoprire, Maurizio Cattelan, affiancato da due giovani curatrici, Myriam Ben Salah e Marta Papini, è stato quello di affidare un progetto pensato appositamente dai tre curatori per quella che fu la residenza del Conte Cavour e radicato nel patrimonio culturale, storico e artistico della città, ma anche nella sua contemporaneità e nel suo immaginario collettivo. Riunendo le misteriose memorie e i curiosi fantasmi di Torino, il progetto dei tre curatori non è semplicemente una mostra, ma un percorso ricco di domande e storie, stimolate dall’intreccio tra le opere, lo spazio e la città. SHIT AND DIE prende a prestito il proprio titolo dall’opera di Bruce Nauman “One Hundred Live and Die del 1984: brevi slogan scritti al neon sintetizzano gli elementi essenziali che accomunano gli esseri viventi attraverso lo spazio e il tempo, suggerendo una visione della condizione umana in generale. Appunto il corpo, il lavoro, i vizi, la morte. La mostra si articola in un percorso diviso in sezioni, ognuna delle quali ha come punto di partenza un oggetto specifico, un luogo, una suggestione incontrata nelle collezioni della città: gli oggetti che costellano le stanze di Palazzo Cavour sono presi in prestito dalle collezioni meno convenzionali e dalle istituzioni affermate della città e del territorio, dall’unità residenziale Olivetti a Ivrea al Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”, dal Museo di Anatomia Umana “Luigi Rolando” a Casa Mollino, dal Museo del Risorgimento ai prestiti della Collezione La Gaia, della GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, della Fondazione MUSEION/Collezione Enea Righi, della Fondazione Ettore Fico e della Fondazione Aldo Mondino. Questi oggetti riportano alla luce momenti a volte dimenticati della storia di Torino e ne sottolineano feticci e segreti, ma la loro forza sta nell’interazione con le opere contemporanee, in alcuni casi produzioni site specific realizzate per la mostra. SHIT AND DIE costruisce tra le sale di Palazzo Cavour un vero e proprio itinerario per immagini, tra aneddoti particolari e temi universali, sin dal titolo, che sintetizza la dicotomia morte/vita. Sono circa 50 gli artisti presentati in mostra, tra nomi affermati e giovani emergenti della scena artistica internazionale. Tra gli altri: Lutz Bacher, Davide Balula, Lynda Benglis, Guy Ben Ner, Valerio Carrubba, Martin Creed, Enzo Cucchi, Eric Doeringer, Valie Export, Stelios Faitakis, Roberto Gabetti e Aimaro Oreglia d’Isola, Tim Gardner, Rokni e Ramin Haerizadeh, Petrit Halilaj, Jonathan Horowitz, Dorothy Iannone, Ewa Juszkiewicz, Myriam Laplante, Natalia LL, Sarah Lucas, Tala Madani, Pascale Marthine Tayou, Alessandro Mendini, Carlo Mollino, Aldo Mondino, Florian Pugnaire and David Raffini, Carol Rama, Dasha Shishkin, Roman Signer, Alexandre Singh, Andra Ursuta, Maurizio Vetrugno, Julius von Bismarck, Alexandra Waliszewskla. Maurizio Cattellan (photo PierPaolo Ferrari) OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 11


>news istituzioni e gallerie< TORINO

MUSEO ETTORE FICO

C

on un certo anticipo sull’avvio della prossima stagione espositiva che culminerà nella settimana dell’arte contemporanea di cui assoluta protagonista sarà Artissima, la mostramercato italiana più attesa dell’anno, è stato presentato agli addetti ai lavori e al pubblico il nuovo polo museale Ettore Fico (MEF), uno spazio espositivo di oltre duemila metri quadrati disposti su due piani dedicato al moderno e al contemporaneo, nato là dove sorgeva una delle tante architetture industriali dismesse di cui la città è ricca. Progettato a quattro mani dal direttore artistico stesso Andrea Busto e dal giovane e brillante architetto Alex Cepernich sul modello delle Kunsthalle europee e dei grandi musei internazionali, il MEF si trova nel cuore di Barriera di Milano, storico quartiere operaio di Torino dove oggi, a seguito di massive migrazioni, coabitano fianco a fianco etnie diverse (rumeni, senegalesi, cinesi, magrebini) e cittadini italiani. Questa estesa porzione della città è da qualche anno al centro di un significativo piano di riqualificazione urbanistico-ambientale e c’è da scommettere che il Museo diverrà in breve tempo uno dei punti di riferimento per il territorio in cui si innesta, in quanto pensato come luogo propulsore di processi positivi di crescita culturale e aggregazione sociale. Un museo aperto, in dialogo continuo con il variegato tessuto sociale di questa parte della città, grazie ad una serie di attività educative rivolte alle scuole ma anche agli adulti e una programmazione espositiva attenta all’aspetto divulgativo della materia ma con grandi ambizioni internazionali. Arricchito di una area lounge, di un concept store, di un arioso bookshop e di una caffetteria che si affaccia sulla strada, il luogo sorprende il visitatore in un gioco di prospettive, di tagli spaziali, di vetrate luminose che dall’ingresso conducono fino al piano superiore dove, da una grande terrazza piena di luce con la quale si conclude la navata lunga quasi seicento metri , si gode uno dei nuovi scorci sul quartiere in via di sviluppo. In questi anni, si è molto dibattuto sulla funzione, sugli orientamenti, sulle strategie con cui alimentare le casse dei musei civici e sulla provenienza dei fondi con i quali costruire e sovvenzionare queste strutture operative. In quest’ottica, il MEF è un esempio virtuoso di intervento economico privato a beneficio della collettività e quindi la sua nascita va salutata con entusiasmo e interpretata come segno di incoraggiamento verso il sistema produttivo culturale e, in senso lato, come iniezione di fiducia all’economia del

12 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014

paese. La mostra di apertura “Ettore Fico nelle collezioni” celebra per l’appunto la figura del pittore piemontese (1917-2004) a cui il museo è intitolato per volontà della vedova, Ines Fico che, con coraggio ne ha finanziato la costruzione dopo aver a lungo seguito insieme ad Andrea Busto, la raccolta delle opere con l’intento di promuovere e diffondere la ricerca e il pensiero artistico dell’autore. Tra dipinti, acquerelli, disegni, acqueforti, grafiche, la Fondazione Ettore Fico – attiva dal 2007 – ha messo a disposizione del curatore un numero nutrito di lavori che illustrano bene il percorso di questo artista poco conosciuto eppure apprezzato dai tanti collezionisti che lo hanno sostenuto in vita, dimostrandogli stima e comprensione. Vissuto in maniera defilata, lontano dai clamori del capoluogo piemontese fino all’età di 16 anni, Ettore Fico si trasferisce a Torino per frequentare l’Accademia Albertina di Torino e diventare allievo prediletto di Luigi Serralunga. È qui che conosce altri giovani pittori talentuosi come Mattia Moreni o Piero Martina ed è qui che, fra la prestigiosa sede dell’Accademia, i vivaci caffè torinesi e gli studi d’artista, si svolge un acceso dibattito teorico che investe il linguaggio della pittura, traghettandola verso nuovi codici espressivi e verso una piena maturità ad opera di personalità come Felice Casorati e il gruppo dei sei di Torino. La giovane età di Fico e la sua indole riservata lo inducono a non partecipare direttamente al dibattito, preferendo la riflessione appartata e la pratica assidua e quotidiana dell’arte, intesa come mestiere. L’avvento del conflitto bellico interruppe la formazione dell’artista e il dramma della guerra fu mitigato soltanto dalla possibilità di dipingere durante gli anni di prigionia in Algeri (1943). Fu forse proprio qui, a cavallo di questa terribile esperienza, che maturò

in lui il gusto delle “cose più semplici e più care”. I paesaggi assolati, le spiagge solitarie e piene di luce, gli oggetti quotidiani. Ettore Fico mette a punto proprio in questi anni così difficili uno stile pittorico personale – certo ancora acerbo – ma già improntato sull’uso pieno del colore e sulla ricerca della dimensione più intima dei personaggi. Rientrato a Torino nel ’46, al termine della guerra, Fico è ormai un pittore maturo e consapevole, refrattario ad ogni forma di ideologia, convinto unicamente del fatto che l’arte debba essere certamente confronto e ascolto degli altri ma soprattutto ricerca personale, quand’anche ciò possa significare il rifiuto all’appartenenza a questa o quella corrente artistica. L’artista sceglie il ritiro verso luoghi appartati, talora si sposta, prende ciò che gli serve dalla pittura di chi lo ha preceduto, reinterpreta alla sua maniera i capolavori pittorici che lo hanno commosso, fa suo lo sguardo e lo stile di altri che lo hanno preceduto, fa esperienza della materia cromatica come di un mezzo che può restituire meglio di altri una sensazione o un’emozione provata. Che si tratti di paesaggi urbani o rurali, di interni modesti o signorili, di figure o di nature morte, è sempre il colore il vero protagonista dei suoi quadri. I rossi accesi, i gialli assolati, i marroni caldi e terrosi, gli azzurri e i viola declinati nei toni delicati del celeste e del lilla impiegati soprattutto nella parte finale della sua vita per restituire allo sguardo del mondo una visione della vita imperniata sull’attenzione verso la natura e le cose più vicine all’uomo. Nascono così tele vibranti in cui la materia cromatica si fonde meravigliosamente con i soggetti rappresentati (le acque dei torrenti, i glicine in fiore) in un trionfo di stupore fanciullesco e saggezza senile che fanno di questo artista – come ha scritto nel testo in catalogo Marco


>news istituzioni e gallerie<

Meneguzzo – un “sensibile percettore dei mutamenti del gusto del tempo”. La mostra antologica allestita negli spazi del nuovo museo mette in luce chiaramente, attraverso le opere presentate, l’attitudine di Fico a introiettare le teorie elaborate, i codici stilistici, la sensibilità di un’epoca per fissarle subito e farle diventare tradizione. Per questa capacità di intercettare il gusto di una parte della società, a cui per altro l’artista apparteneva per natali, e di traghettare il gusto

pittorico nel cuore della modernità, Ettore Fico è da considerare – questo il giudizio del curatore e dei critici Marco Meneguzzo e Faye Hirsch di cui in catalogo si possono leggere i testi di approfondimento in catalogo– non figura marginale, bensì personalità da riscoprire e da storicizzare nell’ottica di completare il grande mosaico della Storia dell’Arte italiana riguardante l’appena terminato “secolo breve”. Gabriella Serusi

Nelle immagini, alcuni allestimenti e ambienti del Museo per la mostra di apertura dedicata allo scomparso pittore piemontese Ettore Fico. Qui sotto il direttore artistico Andrea Busto

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 13



>mostre in italia / in breve< BARI

Torre di Nebbia, Corato. “Stone” mostra •d’arteMasseria contemporanea a cura di Lucia Anelli. Artisti in-

Wolfgang Weileder

vitati, Franco Altobelli, Rossana Bucci, Mimmo Ciocia, Giulio de Mitri, Danilo De Mitri, Giulio Giancaspro, Maria Martinelli, Vincenzo Mascoli, Magda Milano, Oronzo Liuzzi, Lucia Rotundo, Francesco Sannicandro, Rosemarie Sansonetti, Annamaria Suppa.

BOLOGNA

David Lynch

ni, suggestioni, motivi provenienti da culture differenti si incontrano e convivono sulla tela, dando vita a qualcosa di completamente nuovo. Studio Guenzani. Personale dell’artista americana Louise Lawler intitolata No Drones. Una complessa indagine sulle funzioni che l’opera d’arte assume nei contesti in cui viene presentata. Lisson Gallery. Personale dell’artista irlandese Gerard Byrne. La serie di stampe fotografiche timeshifting (live in differita) che riproducono edicole con periodici e quotidiani pubblicati diversi anni prima, costitusce il cuore di un corpus di opere esposte.

• •

grandi fotografie di Wolfgang Weileder •cheMAMbo, raffigurano principalmente tramonti sul mare. Gerard Byrne, stampa fotografica Wolfgang Weileder, allestimento al MAMbo. • Kaufmann Repetto. Personale di Adrian Paci con di Arti, Sperimentazione e Tecnologia. disegni e due grandi mosaici. •OpereManifattura fotografiche di David Lynch che testimoniano Adrian Paci Untitled la sua fascinazione per le fabbriche, la passione quasi • Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea. Apokalypto ossessiva per comignoli, ciminiere e macchinari. Vogue dell’artista napoletana Barbara La Ragione. David Lynch al MAST Bologna. La sua ricerca artistica parte dalla fotografia analogica in Studio G7, mostra dedicata all’opera grafica di Giulio bianco e nero e poi dipinta a mano per sostenere l’idea •Paolini, arricchita da alcuni pezzi unici eseguiti negli di unicum. anni recenti con matita e collage. Il motivo portante • Libreria Bocca. A cura di Giorgio Lodetti, mostra della rassegna è ispirato al tema della storia dell’arte, personale di Domenico Carella, Paesaggi verbali in elemento dominante nella poetica di questo autore.

Giulio Paolini, Antologia 1974.

piccolo formato, e testo critico di Matteo Galbiati.

Spazia, retrospettiva di Franco Grignani •conGalleria opere storiche degli anni ‘60 elaborate nell’esperienza ottico-dinamica.

BOLZANO

Cattani conemporary art. Wonderland è il •titoloAntonella della mostra dell’artista argentina Silvia Leven-

Giulio Paolini, Antologia, 1974

son, che, attraverso installazioni ed oggetti, principalmente riferiti al mondo dell’infanzia, mette in atto una strategia narrativa per cercare sensazioni di meraviglia, e al tempo stesso una reazione emotiva da parte di chi guarda.

Gerard Byrne

GENOVA

Galata Museo del Mare. Nella cornice del Salone Nautico, Bruno Guidi industriale del mondo della nautica e mecenate dell’arte contemporanea, ha promosso un appuntamento tra arte e industria con le mostre personali di Marco Lodola e Jill Mathis a cura di Ivan Quaroni, sul tema Futuro, inteso come innovazione tecnologica che caratterizza sia l’industria che l’arte contemporanea. Mathis presenta una selezione di fotografie scattate per i prodotti della Guidi, mentre Marco Lodola propone una grande scultura pop luminosa che immagina una imbarcazione del futuro sulla quale sono montati altri prodotti Guidi.

Adrian Paci, untitled, 2014

LATINA

Romberg Arte Contemporanea, Room op, personale •di Vincenzo Marsiglia con un allestimento specifico nello spazio della Galleria.

MILANO

Silvia Levenson, Wonderland

Davide Gallo. Inizio di attività con una mo•straGalleria personale di Francesco Arena dal titolo “Double

Cabin with Times”. Da sempre ispirato alla relazione tra analisi politica, sociologica e intuizione estetica, l’artista parte da due pilastri della cultura occidentale: Thoreau e Keruac. Monica De Cardenas. Personale dell’artista svizzera Christine Streuli dal titolo “Ickelackebana”. Immagi-

• Marco Lodola, Surfin’ bird, 2014. Perspex, led luminosi e pellicole adesive, cm 350 x 225x35 Jill Mathis, Industria, 2014. Stampa fine art Giclée montata e incorniciata in alluminio, 90x120 cm

Barbara La Ragione, Gatta Medea Domenico Carella, Paesaggio verbale 2014, collage, bitume, acrilico e foglia simil oro su specchio 30x30x5 cm.

Francesco Arena, double cabin Christine Streuli Ickelackebana

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 15



>mostre in italia / in breve< PESCARA

Vittoria Colonna. Personale di Matteo Basi•lèMuseo con opere appartenenti ad un nuovo viaggio ciclico

in una traettoria drammaturgica del suo ritrattismo - scrive Gian Ruggero Manzoni in catalogo - virata nei margini densi del nero cosmico, dove il nero implica vertigini emotivi ma anche la necessità di una luce, di una accensione morale che faccia vibrare lo sguardo dei suoi protagonisti. Galleria Vistamare. In occasione della prima mostra complessiva a Vistamare Rosa Barba, con Leonor Antunes, Daniel Roth ed Ettore Spalletti, presenta una selezione di opere, di cui alcune realizzate espressamente per la galleria. Di queste, tre sono le sue note sculture filmiche, una è una grande opera in feltro, un’altra un oggetto realizzato con filtri colorati, poi un lavoro composto di sei grossi calchi di gesso che in superficie rivelano le impronte di migliaia di lettere di stampo tipografico.

Matteo Basilè, UNSEEN

ROMA

• Galleria Marchetti. Nel decennale della scomparsa di Plinio De Martiis, collettiva di opere di artisti italiani delRosa Barba

la Tartaruga: Angeli, Attardi, Boille, Capogrossi, Corpora, Di Stasio, Dorazio, Festa, Fontana, Lombardo, Maccari, Mafai, Mambor, Maselli, Mattiacci, Monachesi, Muccini, Notargiacomo, Novelli, Omiccioli, Perilli, Pirandello, Raphael, Rotella, Santomaso, Schifano, Scordia, Tacchi, Turcato, Vangelli, Vedova. Mostra e catalogo a cura di Silvia Pegoraro. Fino al 22 novembre. Galleria Z20 Sara Zanin. Ciclo di esposizioni che vede coinvolti artisti di differenti generazioni, Pier Paolo Calzolari e Giuseppe Scifo all’interno di uno spazio condiviso. Fino al 10 novembre. The Gallery Apart , mostra Solitary Shelters, terza personale di Luana Perilli . Fino al 22 novembre Luana Perilli Solitary Shelters Galleria Marie-Laure Fleisch, mostra personale di Ofri Cnaani artista newyorkese. In mostra un’installazione ambientale composta da artigianali proiettori e macchine luminose che creano un mondo di ombre e di bizzarri elementi mobili, in un’atmosfera protomeccanica magica. Bibliothè Contemporary Art. Opera unica di Salvatore Pupillo, per la rassegna periodica “Unum” a cura di Francesco Gallo Mazzeo. Fondazione Pastificio Cerere. Nell’ambito del progetto dedicato all’approfondimento della scena artistica contemporanea in Polonia - ideato da Ania Jagiello, responsabile del programma d’arte contemporanea dell’Istituto Polacco, e da Marcello Smarrelli, direttore artistico della Fondazione Pastificio Cerere - viene proposta la mostra In Polonia per saziare l’amore, a cura di Ilaria Gianni e Luca Lo Pinto. Realizzata in collaborazione con il MOCAK, Museo d’Arte Contemporanea di Cracovia, la mostra intende approfondire lo scenario artistico polacco degli anni della neoavanguardia e le sue influenze sugli artisti delle generazioni successive, partendo dall’artista concettuale Edward Krasinski (Luck, 1925 – Varsavia, 2004), passando per un ritratto degli anni Sessanta e Settanta attraverso le immagini del fotografo Tadeusz Rolke (Varsavia, 1929), per concludersi con la prima presentazione italiana di Krzysztof Niemczyk (Varsavia, 1938 – Cracovia, 1994), pittore, musicista, scrittore e performer autodidatta, leggendario personaggio della neoavanguardia polacca.

Calle al secondo piano della residenza sabauda. In contemporanea, la rassegna Intenzione manifesta. Il disegno in tutte le sue forme si concentra sul disegno nelle sue varie declinazioni e attraverso i suoi molti linguaggi; dalla pratica quotidiana e di autocontrollo a elemento di analisi e di sfogo, da veicolo di comunicazione a urgenza espressiva. A cura di Beatrice Merz e Marianna Vecellio, lavori di Ai Weiwei & Olafur Eliasson, Mario Airò, Francis Alÿs, Giovanni Anselmo, Stefano Arienti, Micol Assaël, Charles Avery, Giacomo Balla, Matthew Barney, Elisabetta Benassi, Umberto Boccioni, Alighiero Boetti, Louise Bourgeois, Cai GuoQiang, Pier Paolo Calzolari, Mircea Cantor, Chen Zhen, Roberto Cuoghi, Hanne Darboven, Nicola De Maria, Luciano Fabro, Lara Favaretto, Peter Friedl, Alberto Giacometti, Gilbert & George, George Grosz, Renato Guttuso, Karl Haende, Keith Haring, Alfredo Jaar , William Kentridge, Paul Klee, Robert Kusmirovski, Sol LeWitt, Osvaldo Licini, Richard Long, Goshka Macuga, Mario Merz, Marisa Merz, Marzia Migliora, Boris Mikhailov, Aleksandra Mir , Joan Miró, Piet Mondrian, Giorgio Morandi, Matt Mullican, Shirin Neshat, Nunzio, Claes Oldenburg and Coosje van Bruggen, Giulio Paolini, Pavel Pepperstein, Dan Perjovschi, Pablo Picasso, Robin Rhode, Tim Rollins & K.O.S., Andrea Salvino, Thomas Schütte, Lorenzo Scotto di Luzio, Nedko Solakov, Rosemarie Trockel, Danh Vō, Lawrence Weiner.



 Studio Tucci Russo - Torre Pellice. Mostre personali di Mario Airò e Christiane Lö h r

Peter Paul Rubens, S.Sebastiano curato dagli Angeli Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Corsini, Roma

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Luana Perilli Solitary Shelters

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Ofri Cnaani, installation shot 01.154352

Castello di Miradolo, grande mostra dedicata a San •Sebastiano, curata da Vittorio Sgarbi con la collabo-

razione di Antonio D’Amico. A proporre la mostra-evento è la Fondazione Cosso, presieduta da Maria Luisa Cosso, nell’affascinante cornice del Castello di Miradolo, a pochi chilometri da Torino. Per l’occasione i curatori della mostra hanno selezionato oltre quaranta capolavori, dal Rinascimento al Seicento inoltrato, secoli in cui la storia dell’arte ci ha offerto grandi e straordinari capolavori.

TORINO

FranzPaludetto. Lo spazio della piccola gal•leriaGalleria di via Stampatori 9 si trasforma in neutro paralle-

Salvatore Pupillo, Tagli di luce Tadeusz Rolke, Ritratto di Beuys

lepipedo bianco, per accogliere, l’installazione “Abitarsi” composto di mattoni di paraffina, di Domenico Borrelli. Come il ventre gravido di una donna, - scrive Diletta Benedetto - quel parallelepipedo, a mano a mano che la costruzione di mattoni prende forma, si lascia “abitare”, si fa custode di quel guscio dall’effetto opalino che l’artista plasma dall’interno. Castello di Rivara – Centro d’Arte Contemporanea, Rivara. Andreas Schön, Petra Lemmerz “visitare l’invisibile”, Domenico Borrelli “abitarsi”, Art Vs. Recycling, Bassotto | Nalin | Taioli, Carlo Gloria “unità di misura”, Enzo Bodinizzo “cult”. Galleria Alberto Peola, Tanzen, installazioni di Giorgio e Walter de Silva, fatte di cartone e carta, di carbonio e metallo, di frammenti, di oggetti disparati che, una volta assemblati, diventano volumi di alone magico. Castello di Rivoli. Progetto site-specific di Sophie

• • •

Petra Lemmerz, Keto 08, 2013, 126 x 243 cm

VENEZIA

Jarach Gallery. personale “A++” di Matteo Cre•monesi con il ciclo fotografico “SCULPTURES”. Il testo

critico che accompagna la mostra è a cura di Simone Frangi. Galleria Massimodeluca, Mestre. Personale di Paola Angelini quale risultato dell’intenso lavoro quotidiano realizzato dall’artista durante la residenza svolta tra al centro Nordic Artists’ Centre Dale (NKD) di Sunnfjord, sui fiordi norvegesi. In mostra una serie di opere che la pittrice marchigiana ha realizzato in Norvegia, in cui il paesaggio nelle sue diverse interpretazioni è protagonista assoluto.

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 17


12 ottobre 2014 – 12 aprile 2015 giovedì–domenica via fratelli cervi 66 – reggio emilia tel: +39 0522 382484 info@collezionemaramotti.org www.collezionemaramotti.org


>news istituzioni e gallerie< ANVERSA

Jan Fabre

Da At The Gallery, Jan Fabre è protagonista di una personale dal titolo The Spiritual Sceptic. Fino al 4 gennaio 2015.

ATENE

Keren Cytter

Alla galleria State of Concept prima personale in terra greca per Keren Cytter. In Video Art Manual l’artista israeliana celebra la quotidianità per mezzo di narrazioni intense, artificiose ma immerse in scenari naturali e dalla struttura ciclica, per indebolire i cliché che spesso accompagnano l’immagine in movimento. Nell’universo che ne deriva, l’uomo contemporaneo è isolato, paranoico, ingenuo, ma anche capace di atteggiamenti romantici.

BARCELLONA

Group Show juan genovés

La Marlborough Gallery ospita, nei nuovi spazi espositivi della sua sede di Barcellona, in Carrer d’Enric Granados, una collettiva che attaverso 15 lavori, pittorici e scultorei, di 8 artisti riflette sull’umana condizione. I protagonisti: Magdalena Abakanowicz, Ahmed Alsoudani, Frank Auerbach, Francis Bacon, Vincent Desiderio, Francisco Leiro, Antonio López e Paula Rego. A seguire, personale dell’artista valenciano Juan Genovés, coi suoi lavori caratterizzati dalla vista a volo d’uccello e dalla personalissima tavolozza.

Jan Fabre, Gedissecteerde scarabee, 2012, bronzo, courtesy Angelos bvba, foto Pat Verbruggen

Martin Disler, Ohne Titel, 1992, acrilico su tela, cm.150x175, courtesy Buchmann Galerie, Berlino

Keren Cytter, Siren, 2014, fermo imagine video HD digitale, courtesy dell’artista e Galerie Nagel Draxler, Berlino/Colonia

Fiona Rae, Drawing (figura 3a), 2014, carbone su carta, cm.42x29,7, courtesy Buchmann Galerie, Berlino

BASILEA

One Million Years

Il Kunstmuseum, nella sede del Museum für Gegenwartskunst, propone la mostra One Million Years System und Symptom, analisi della contemporaneità sociale organizzata in “sistemi”, all’interno dei quali ogni deviazione o incongruenza diviene “sintomatica”. “I sintomi sorgono quando i sistemi riducono la complessità” è il paradigma attorno al quale ruotano le opere di Acconci, Albers, Boltanski, Darboven, Demand, Fraser, Fritsch, Kawara, LeWitt, Olesen, Pisano, Rosler, Schoonhoven, Slominski, Starling, Tan, Tratmansdorff e Zobernig.

BILBAO

The art of our time

Al termine del periodo di attività in gestione concordata con la Solomon R. Guggenheim Foundation, il Guggenheim Museum Bilbao presenta una grande esposizione della propria collezione permanente. La mostra The art of our time. Masterpieces from the Guggenheim Collections, occupa l’intero spazio espositivo e racchiude I maggiori movimenti artistici del Novecento, con uno speciale focus su artisti come Jorge Oteiza ed Eduardo Chillida, ma anche su installazioni contemporanee provenienti dal museo newyorkese.

BERLINO

Martin Disler Fiona Rae

Buchmann Galerie inaugura la stagione autunnale con una doppia proposta. Paintings è la prima esposizione dedicata dalla galleria all’opera di Martin Disler. Dell’artista prematuramente scomparso nel 1996, sono in mostra otto dipinti di grande formato prodotti nella seconda metà degli anni ’80. Lo spazio Buchmann Box ospita una nuova serie di Fiona Rae dal titolo Zeichnungen. I lavori formano un corpus intensamente concentrato sul disegno, come mai finora per l’artista londinese. I carboncini sono immediati, espressivi e, allo stesso tempo, “calcolati”, tanto da riflettere la forza e il dinamismo dal quale sono nati.

BONN

Outer Space

Frank Auerbach, Head of William Feaver, 2013, olio su tavola, cm.61x48,6 Juan Genovés, Acceso, 2014, acrilico su tavola, cm50x100, courtesy Marlborough Gallery, Barcellona

Der Kubist Duchamp Mapplethorpe

Alla Galerie Thomas Schulte, ampia collettiva dal titolo Der Kubist Marcel Duchamp mag nicht malen (Il cubista Marcel Duchamp non vuole dipingere), dodicesima parte del ciclo espositivo che la galleria dedica al romanzo L’uomo senza qualità di Robert Musil, ambientato nel 1913, anno in cui Duchamp crea il primo ready-made. Sono chiamati a esporre Argianas, Betke, Blumenstein, Camnitzer, de la Cruz, Dammann, Dehn, Feldmann, Gander, Hay, Huws, Kunze, Martek, Metzker, Sander, Schürmann, Schutter, Solakov, Töpfer e Zarka. A seguire, Sell All the Public Flowers, personale di Robert Mapplethorpe che accosta il plastico movimento dei suoi nudi al motivo floreale rappresentato da venti scatti intensi, attraverso i quali la bellezza prende vita nella sua rappresentazione. Robert Mapplethorpe, Tulips, 1988, stampa in gelatin d’argento, cm.71,1x68,5, courtesy Robert Mapplethorpe Foundation

On Kawara, One Million Years (Past), 1970/’71, dettaglio, courtesy Kunstmuseum, Basilea

Da tempo immemore, lo spazio ha suscitato nel genere umano un sentimento misto di timore e attrazione, senso di protezione e smarrimento nei confronti dell’in(de) finito. La mostra Outer Space, alla Bundeskunsthalle fino al 22 febbraio 2015, analizza gli infiniti quesiti che l’immensità ci pone, specie quelli su noi stessi, la nostra origine e il nostro futuro, come da sempre fanno filosofi, scienziati, scrittori, leader spirituali, artisti e visionari di ogni genere. I curatori Claudia Dichter e Stephan Andreae hanno allestito 12 percorsi espositivi, che ci accompagnano lungo il corso della storia del nostro rapporto col cosmo e variano dalle rappresentazioni cosmologiche e astronomiche, agli artefatti necessari ai viaggi spaziali, alle dimostrazioni scientifiche, alla fiction fantascientifica, il tutto fondendo costantemente scienza e cultura.

Mark Rothko, Untitled (Titulurik gabea), 1952/53, olio su tela, cm.300x442,5, courtesy Solomon R. Guggenheim Collection Outer Space, courtesy Bundeskunsthalle, Bonn

Der Kubist Marcel Duchamp mag nicht malen, particolare dell’allestimento, courtesy Thomas Schulte, Berlino

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 19


>news istituzioni e gallerie< LIPSIA

Rémy Markowitsch

Jill Baroff, Stolen Moments, particolare dell’allestimento, courtesy Galerie Christian Lethert, Colonia

COLONIA

Jill Baroff

Bita Fayyazi, Road Kill, 1998, riallestimento della New Art Exhibition del Tehran Museum of Contemporary Art, 1999, ceramica, sabbia e neon, dimensioni variabili, courtesy Gallery Isabelle van den Eynde, Dubai City

Terza personale alla Galerie Christian Lethert per l’artista newyorkese Jill Baroff. Nella mostra Stolen Moments, i disegni in esposizione sviluppano temi e motivi delle prime fasi della ricerca artistica della Baroff.

DUBAI

Bita Fayyazi

Alla Gallery Isabelle van den Eynde, Rearranged: Selected Works from 1998 to 2014, ricognizione e reinterpretazione della carriera di Bita Fayyazi, a cura di Rokni e Ramin Haerizadeh. Piuttosto che celebrare l’artista in quanto scultrice o ceramista in mistica relazione con i suoi media, la mostra rielabora alcuni momenti iconici della sua ricerca, ponendo un’attenzione particolare alle sue implicazioni sociali.

GINEVRA

Horror Vacui

Paul Noble, Sea 7B, 2007, matita su carta, cm.270,2x201, courtesy Gagosian Gallery, Geneve Mona Marzouk, Trayvon #5, 2014, acrilico su tela, cm.90x110, courtesy dell’artista e Gypsum Gallery, Il Cairo

Nella doppia sede di Ginevra e Atene, Gagosian presenta Horror Vacui, esposizione che prende le mosse dall’Art Brut, concetto coniato da Jean Dubuffet per indicare l’arte creata al di fuori dei canoni ufficiali. Il titolo richiama quell’eccesso di attività che spesso caratterizza le opere in mostra, in cui ogni singolo centimetro quadrato è riempito e sovraccaricato, in una sorta di compulsione creativa, quasi ad avere, appunto, paura del vuoto. In mostra, a Ginevra, lavori di Anastasi, Duchamp, Fischer, Houck, Kami, Korine, Morrison, Noble, Rubins e R.Wright. Nella sede di Atene: Hirst, Nauman, Opalka, Phillips, Rubins, Stokou, Uklański e Whiteread.

Negli spazi di Lipsia della Galerie EIGEN + ART, Julien, esposizione di Rémy Markowitsch che prende spunto dal racconto La Légende de Saint Julien l’Hospitalier di Gustave Flaubert. Per l’occasione, oltre a dare vita alle potenti immagini che leggendo i classici evochiamo nel nostro immaginario, l’artista ha creato (partendo da un’esatta replica del calamaio a forma di rana realmente appartenuto a Flaubert) un action painting cresciuto di giorno in giorno.

LONDRA

Anselm Kiefer

The Royal Academy of Arts ospita la prima grande retrospettiva britannica di Anselm Kiefer. Grazie a prestiti dalle più importanti collezioni pubbliche e private, ed ai lavori appositaente concepiti dall’artista tedesco per le gallerie dell’Accademia, l’esposizione ne evidenzia l’attrazione per la storia e i grandi maestri del passato, richiamando temi chiave e le personali iconografie create nell’arco degli oltre quattro decenni di ricerca. Tra le opere in mostra, dipinti e fotografie dalle controverse serie Heroic Symbols e Occupations, e tele dalla serie Attic.

Guy Ben-Ner

Alla galleria Gimpel Fils è possibile visionare Soundtrack, film di Guy Ben-Ner. L’artista ha utilizzato come set un territorio familiare, la sua stessa cucina, nella quale in differenti momenti della giornata mette in scena e dipana epiche letterarie come Moby Dick e Robinson Crusoe, ma anche cinematografiche come War of the Worlds di Steven Spielberg. I sottintesi rimandi al conflitto israelo-palestinese sono amplificati dall’utilizzo, in qualità di attori, dei familiari stessi dell’artista, intenti alle loro usuali scaramucce di casa.

IL CAIRO

Mona Marzouk Basim Magdy

La Gypsum Gallery propone una nuova serie di dipinti di Mona Marzouk dal titolo Trayvon. L’ispirazione dei lavori nasce da un luogo, l’aula giudiziaria, che negli ultimi anni caratterizzati da dimostrazioni e sollevazioni socio-politiche è sempre più stata intesa come spazio per l’implementazione e la salvaguardia dei valori sociali positivi. Il titolo fa riferimento, ovviamente, al noto e triste caso di Trayvon Martin, 17enne afro-americano ucciso da un vigilante volontario delle ronde di quartiere a Sanford, Florida. La galleria propone, a partire dal 18 novembre, Measuring the Last Breaths of Time on a Fading Scale, personale di Basim Magdy, artista il cui lavoro getta un’occhiata satirica sul mondo. Attraverso disegni, sculture, video e installazioni lo spettatore si immerge in un universo costruito col più sorprendente gusto per l’assurdo.

Guy Ben-Ner, Soudtrack, fermo immagine, courtesy Gimpel Fils, Londra Anselm Kiefer, Die Orden der Nacht, 1996, emulsione, acrilico e shellac su tela, cm.356 x 463, courtesy l’artista e Seattle Art Museum

KLOSTERNEUBURG

Die Zukunft der Malerei

Ines Agostinelli, Senza titolo, 2014, grafite e pastello su tela, cm.220x210, courtesy l’artista Rémy Markowitsch, La Source, 2014, courtesy EIGEN + ART, Berlino/Lipsia

La mostra Die Zukunft der Malerei. Eine perspektive (Il futuro della pittura. Una prospettiva), all’Essl Museum con la curatela di Günther Oberhollenzer, cerca la risposta all’annosa domanda “la pittura ha un futuro?”, ma intende anche riflettere su quale evoluzione abbia avuto la scena pittorica nel recente passato. 23 le nuove posizioni artistiche rappresentate, dalle più classiche e figurative fino a giungere alle più astratte e sperimentali. Gli artisti: Ines Agostinelli, Alfredo Barsuglia, Adel Dauood, Cäcila Falk, Irina Georgieva, Lena Göbel, Suse Kravagna, Eric Kressnig, Isabella Langer, Matthias Lautner, Larissa Leverenz, Leo Mayer, Robert Muntean, Peter Nachtigall, Alfons Pressnitz, Vika Prokopaviciute, Thomas Riess, Bianca Maria Samer, Patrik Roman Scherer, Martin Veigl, Victoria Vinogradova, Christiane Wratschko, marshall!yeti.

LIMA

Occhio mobile

Al MAC Museo de Arte Contemporaneo, fino al 5 gennaio 2015, “Occhio mobile - Lenguajes del arte cinético italiano - Anos ‘50 - ‘70. Cinquanta opere, collage, video, sculture ed altri oggetti realizzati dagli artisti chiave dell’arte ottica e cinetica italiana, da Bruno Munari, precursore delle ricerche sulla percezione, fino ad artisti che condivisero la scena locale come Gianni Colombo ed altri membri del “Gruppo T” (Giovanni Anceschi, Antonio Barrese, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Di Vecchi, Grazia Varisco), fino al “ Gruppo 63” (Lucia Di Luciano, Lia Drei, Francesco Guerrieri, Giovanni Pizzo). 20 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014

Lia Drei, Operazione modulare, 1963 Francesco Guerrieri, Ritmo AB1, 1965


>news istituzioni e gallerie< Richard Serra

Entrambe le sedi londinesi di Gagosian presentano i lavori recenti di Richard Serra. In Britannia Street troviamo quattro monumentali sculture in acciaio: Backdoor Pipeline, Ramble, Dead Load e London Cross. A Davies Street un lavoro su carta di enormi dimensioni dal titolo Double Rift #2.

Diego Perrone

Gli spazi londinesi di Massimo De Carlo aprono la stagione ospitando la mostra Void-Cinema-Congress-Death di Diego Perrone. Con l’utilizzo di diversi mezzi d’espressione, materiali e tecniche di lavorazione (tra cui la pasta di vetro colato e il basso rilievo), l’artista traduce il senso di vuoto mentale e fisico in un immaginario crudo, le cui radici affondano nella dimensione semi-fantastica della mitologia e delle antiche leggende.

Jon Thompson

La Anthony Reynolds Gallery propone l’esposizione dei nuovi dipinti di Jon Thompson. La serie in mostra, The Lyotard Suite, partendo dalla canonica piega delle superfici pittoriche in quattro, esplora le possibilità di modifica alle diagonali introducendo una quintupla piegatura a rappresentare i cinque sensi, o, per dirla con Jean-Francois Lyotard, “i cinque traumi”.

LUGANO

Ohya Masaaki

Theca Gallery presenta, a cura di Monica Anziliero e Alice Tegazi, una personale dell’incisore e scultore giapponese Ohya Masaaki dal titolo Nature: beyond Time and Space. La mostra raccoglie, attraverso un’accurata selezione di opere degli ultimi quindici anni di produzione artistica, un’attenta riflessione sulla natura e sulla vita, dipanata in tre sezioni: Osservazione, Riflessione, Coscienza.

MADRID

An Atlas for a Duplicated Reality

Jon Thompson, The Lyotard Suite - Sponge, 2014, courtesy Anthony Reynolds Gallery, Londra

An Atlas for a Duplicated Reality, particolare dell’allestimento, courtesy Espacio Trapézio, Madrid

Espacio Trapézio propone An Atlas for a Duplicated Reality, collettiva che attraverso 30 documenti al confine tra la mappa e il diagramma, la rappresentazione artistica e l’architettura, vanno a formare un atlante che descrive il dualismo tra realtà e finzione, realtà e immaginazione, realtà e apparenza, con la stessa precisione con la quale si descrive un luogo fisico. Gli artisti: Francisco Almeida, Giulia Cosentino, Cesar Curiel, David de la Fuente, Setsuko Kanai, Miguel Lopez, Alejandra Ordehi, Vera Patricio, Martín Sevillano, Mazakazu Shirane.

Francisco Ruiz de Infante

Alla Galería Elba Benítez, personale di Francisco Ruiz de Infante dal titolo La Línea de los Ojos (The Death Line). Le installazioni in mostra, come da cifra stilistica dell’artista (solo) apparentemente instabili, il tempo e lo spazio non si presentano come elementi separati, ma in profonda e interdipendente vibrazione.

Francisco Ruiz de Infante, La Línea de los Ojos (The Death Line), courtesy Galería Elba Benítez

MONACO

Sean Scully, Lost Door in Ireland, 2000, C-Print, cm.88x122, Edition 6, courtesy l’artista e Galerie Klüser, Monaco di Baviera

Sean Scully

Diego Perrone, Void-Cinema-Congress-Death, particolare dell’allestimento, courtesy Massimo De Carlo, Milano/Londra

Ohya Masaaki, Permanet Power X, 1998, acquaforte, puntasecca, cm.26x53, edizione di 50 copie, courtesy Theca Gallery, Lugano

La Galerie Klüser propone, in entrambi i propri spazi espositivi, una ricognizione sul rapporto tra Sean Scully e la galleria, che procede fin dal 1993. Accanto a due nuovi oli e alcuni lavori su carta, troviamo numerose stampe fotografiche delle sue opere più rappresentative.

NEW YORK

MoMA

LOS ANGELES

Giuseppe Penone

Gagosian propone a Beverly Hills Ramificazioni del Pensiero / Branches of Thought, prima grande esposizione dedicata a Giuseppe Penone sulla West Coast. L’artista, recentemente insignito del Praemium Imperiale 2014 per la scultura, a Tokyo, attraverso disegni, fotografie, sculture e installazioni evidenzia i livelli di interazione tra uomo, arte e natura.

Molto sfaccettata la proposta autunnale del MoMA. L’esposizione di maggior richiamo è senza dubbio, al sesto piano del museo, Henri Matisse: The Cut-Outs, la più estesa retrospettiva mai dedicata alla tarda produzione del maestro francese, allorché concentrò progressivamente la maggior parte dei suoi sforzi, attraverso numerosi esperimenti, nella produzione di singolari lavori che combinano il collage alla pittura al libro d’artista. The Heart Is Not a Metaphor, al secondo piano, è la prima grande esposizione dedicata al lavoro di Robert Gober negli Stati Uniti. Grazie a numerosi prestiti da istituzioni pubbliche e collezioni private, la mostra ospita 130 opere che variano dalla scultura classica agli ambienti scultorei immersivi, a un ricco corpus di disegni, stampe e fotografie. Il terzo piano del museo ospita Soul of the Underground, esposizione che rende omaggio a Jean Dubuffet, artista il cui atteggiamento ribelle nei confronti della predominante cultura “alta” e dei concetti di bello o buon gusto, è rappresentato attraverso un corpus di oltre 1.200 lavori, che stanno anche a dimostrare l’importanza da lui rivestita all’interno della collezione del MoMA. Evento molto speciale è l’esposizione, frutto di un prestito privato di lungo periodo, del celeberrimo capolavoro di Gustav Klimt, Adele Bloch-Bauer II. Gli fa da corollario una selezione di opere storiche della collezione del museo, tra cui dipinti, disegni e oggetti di Klimt, Schiele, Kokoschka, Hoffmann e Moser.

Giuseppe Penone, Luce zenitale (dettaglio), 2012, bronzo e oro, cm.400x150x150, courtesy Archivio Penone Robert Gober, Untitled Leg, 1989/’90, cera d’api, cotone, legno, pelle e capelli, cm. 28,9x19,7x50,8, donazione della Dannheiser Foundation, courtesy l’artista e The Museum of Modern Art, New York

Jean Dubuffet, Angle de mur à l’oiseau perché, dalla suite per il libro Les Murs (Eugène Guillevic, 1945), lithografia, cm.36,5x27,9, courtesy 2014 Artists Rights Society (ARS), New York / ADAGP, Paris e The Museum of Modern Art, New York Henri Matisse, Memory of Oceania, 1952/’53, gouache su carta tagliata e incollata, carboncino su carta montata su tela, cm.284x286, courtesy Mrs. Simon Guggenheim Fund., Succession H. Matisse, Paris/Artists Rights Society (ARS), New York e The Museum of Modern Art, New York

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 21


>news istituzioni e gallerie< Blanche ou l’oubli

NEW YORK

Jeff Koons

Alla Galerie Alberta Pane Blanche ou l’oubli, collettiva a cura di Léa Bismuth composta da opere di Sandra Aubry, Sébastien Bourg, Charbel-joseph H. Boutros, Gayle Chong Kwan, Marie Denis, Marco Godinho, Marcela Paniak, Hiraki Sawa e João Vilhena.

Lo Split-Rocker di Jeff Koons fa il suo debutto newyorkese al Rockefeller Center, in concomitanza con la grande retrospettiva al Whitney Museum of American Art. Presentata da Gagosian e organizzata dal Public Art Fund e Tishman Speyer, l’installazione consta in una formazione fiorita alta oltre 10 metri, che ospita più di 50.000 piante, il cui primo allestimento fu al Palais des Papes, ad Avignone nel 2000.

Tom Fruin

La Mike Weiss Gallery presenta Color Study, prima esposizione delle sculture di Tom Fruin in un contesto galleristico, anziché nella usuale cornice urbana. I lavori in mostra offrono un nuovo sguardo sul linguaggio dell’artista newyorkese, con una composizione coloristica che riverbera, nell’energia della metropoli, l’eredità della tradizione di Piet Mondrian.

Jeff Koons, Split-Rocker, 2000, acciaio, terra, tessuto geotessile, sistema di irrigazione interna e piante, m.11,35x12,27x10,86 , courtesy Jeff Koons, foto Tom Powel Imaging

Richard Bosman

Owen Houhoulis annuncia l’apertura della Owen James Gallery e della sua esposizione inaugurale, Death and The Sea di Richard Bosman, esplorazione dell’amore dell’artista nei confronti del mare, inteso a volte come scenario, altre come protagonista di lavori xilografici e ad acquaforte.

NIZZA

Blanche ou l’oubli, courtesy Galerie Alberta Pane, Parigi Tom Fruin, Watertower (Dutch Masters), 2014, courtesy Mike Weiss Gallery, New York Richard Bosman, South Seas Kiss, 1980/’81, xilografia, courtesy Owen James Gallery, New York

Cildo Meireles, Marulho (dettaglio), courtesy Hangar Bicocca, Milano, foto A. Osio

Paola Risoli

Il Musée d’Art Moderne et d’Art Contemporain ospita SITEMOTION di Paola Risoli, progetto dedicato agli sguardi del cinema in cui, partendo da materiali poveri recuperati, l’artista si fa regista di un mondo microscopico all’interno del quale riecheggiano gli sguardi dei personaggi dei film di Godard, Resnais, Almodóvar, Wenders e Neshat.

Orlan

La galleria Michel Rein propone il frutto della terza occasione di collaborazione con Orlan, dopo le mostre Tricéphale (2003) e Self-Hybridations Indiennes-Américaines (2008), è la volta di Masques, Pekin Opera facing designs & réalité augmentée. L’esposizione prosegue il lavoro di ibridazione ed esplorazione dell’universo della maschera da parte dell’artista francese, attraverso le serie storiche dedicate alle civiltà precolombiane, all’Africa e ai nativi americani, aggiungendo una nuova serie di pezzi dall’Opera di Pechino. Al primo piano della galleria, una selezione di lavori relative alle performance chirurgiche di fine anni ’80, allusive alla tematica della maschera.

TOLOSA

Extraits & Extractions

Paola Risoli, Their Love, 2014, stampa lambda su Dibond, cm.144x95,5, courtesy Gagliardi Art System, Torino, foto Paola Risoli

Nei primi 2000, Dove Allouche rielabora a carboncino cento fotografie di un bosco di eucalipti andato a fuoco. Extraits & Extractions segue la sua linea, selezionando dalla collezione di Les Abattoirs, gli artisti e le opere nate da feconde rielaborazioni di materiali grezzi, capaci di suscitare sorpresa o confusione sensoriale. Gli artisti: Allouche, Burri, Dubuffet, McCall, Meireles, O’Neill, Riopelle, Russell, Shimamoto, Antoni Tàpies, Uemae e Yoshida. Fino al 4 gennaio 2015.

PARIGI

VIENNA

Analizzando il programma del Centre Pompidou per le stagioni autunnale e invernale, troviamo occasioni di grande interesse per i visitatori. L’obiettivo del ciclo Great Figures in the History of Art si posa su Marcel Duchamp, con l’esposizione di un centinaio di lavori che vanno a comporre una eccezionale mostra monografica incentrata sull’attività pittorica e sui disegni, che condussero tra il 1910 e il 1923 a opere come Le Grand Verre o La mariée mise à nu par ses célibataires, même. Per la prima volta in Europa, grazie al ciclo The Great Contemporary Architects, una esauriente retrospettiva del lavoro di Frank Gehry, figura di primissimo piano, ormai iconica dell’architettura contemporanea. La mostra offre un sguardo globale sull’intero arco del suo lavoro architettonico, descrivendone lo sviluppo formale e linguistico attraverso le varie fasi della carriera a partire dagli anni ’60, il tutto attraverso 60 grandi progetti. L’annuale mostra personale dell’artista insignito del Prix Marcel Duchamp vede protagonista la franco-marocchina Latifa Echakhch, il cui lavoro a metà strada tra Surrealismo e Concettualismo è stato ritenuto particolarmente innovativa all’interno della scena artistica francese. Tra i mesi di ottobre e gennaio 2015, il museo propone il progetto Rythmes sans fin, con la curatela di Angela Lampe. La mostra esalta la straordinaria collezione di dipinti, disegni, mosaici, modelli, oggetti decorativi e fotografie di Robert Delaunay del Pompidou In partnership col Whitney Museum of American Art di New York, da novembre fino ad aprile 2015, il Centre Pompidou presenta una grande retrospettiva dedicata all’opera di Jeff Koons, la prima a mostrarne in Europa per intero l’estensione e la varietà della produzione dal ’79 a oggi. A cura di Bernard Blistène, immancabili alcune opere iconiche per l’arte attuale come Rabbit (1986), Michael Jackson and Bubbles (1988), Balloon Dog (1994-2000) e la serie di acquari in Equilibrium (1985).

Alla Kunsthalle di Vienna, Blue Times, collettiva che esamina la fenomenologia e l’iconologia del colore blu attraverso le discipline e le prospettive più differenti. Con la curatela di Amira Gad e Nicolaus Schafhausen prendono parte all’evento, tra gli altri, gli artisti internazionali Saâdane Afif, Billy Apple, Nadia Belerique, Irma Blank, Edith Dekyndt, Simon Denny, Sylvie Fleury, Peter Friedl, Ryan Gander, Liam Gillick, Derek Jarman, Toril Johannessen, Chris Kabel, Tobias Kaspar, Yves Klein, Walt Kuhn, Edgar Leciejewski, Goshka Macuga, Jonathan Monk, Alex Morrison, Otto Neurath, Wendelien van Oldenborgh, Prinz Gholam, Walid Raad, Mark Raidpere, De Rijke / De Rooij, Willem de Rooij, Pamela Rosenkranz, Julia Scher, Société Réaliste, Michael Staniak, Hito Steyerl, Derek Sullivan, Walter Swennen, Remco Torenbosch, Lidwien van de Ven, Lawrence Weiner e Raed Yassin.

Blue Times

Centre Pompidou

22 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014

Orlan, Masques, Pekin Opera facing designs & réalité augmentée, courtesy Michel Rein, Parigi/Bruxelles Frank Gehry, Retrospettiva, locandina

Jonathan Monk, The World In Workwear, 2011 courtesy l’artista e Galleri Nicolai Wallner, Copenhagen


>news istituzioni e gallerie< Zakharov / Hofer Boyadgian e Calovski

Ricca la programmazione della Galerie MAM. Il piano terra della galleria viennese ospita la mostra Interior of Archivist dell’artista, editore, collezionista e archivista Vadim Zakharov; al piano interrato troviamo Das Endlose Zimmer, progetto di lungo corso di Markus Hofer, nel quale ogni oggetto dislocato al’interno dello spazio espositivo è in relazione con altri, a significare una interconnessione sia fisica che concettuale. Mauroner partecipa inoltre, assieme ad altre venti gallerie viennesi, al progetto di Vienna_All About Art dal titolo The Century of the Bed, ospitando a cura di Basak Senova e Stephane Ackermann, lavori di Benji Boyadgian e Yane Calovski.

Wake Up Early, Fear Death

La Galerie nächst St. Stephan presenta Wake Up Early, Fear Death, esposizione curata da Philipp Kaiser che raccoglie lavori di Caitlin Lonegan, Rebecca Morris e Laura Owens. Le tre artiste, tutte di Los Angeles, riflettono sullo status della pittura come medium apparentemente datato, ma di continuo rigenerato, e lo fanno dando vita a un cosmo privato che espande i confini dell’esperienza pittorica.

Damisch ERRÓ Diaz

Dalla Galerie Hilger tre proposte autunnali: nello spazio Hilger Next Überblick und Markus Hofer, From Left to Ausschnitt, personale Right – From Right to Left, 2014, cm.100x80, courtesy MAM, Vienna di Gunter Damisch i cui lavori (dipinti, grafiche e sculture) di natura panoramica riescono ad avere, al contempo, un effetto zoom. L’HilgerBROTKunsthalle ospita ERRÓ and friends. American Comics II, con dipinti di grande format dell’islandese Erró e lavori di Jean-Jacques Deleval, Mel Ramos e Deborah Sengl. Nella project room di Hilger Next, lo street artist portoricano Alexis Diaz presenta in Hoy i suoi lavori a inchiostro nero, caratterizzati da una scrupolosa attenzione ai dettagli.

VILNIUS

Deimantas Narkevičius

Personale dal titolo Sounds Like the XX Century per Deimantas Narkevičius alla Galerija Vartai. In mostra filmati, installazioni e oggetti creati nell’arco dell’intera esperienza dell’artista, che compongono un’estesa ricerca sulla relazione tra documenti storici sulle repressioni politiche e i nostri ricordi.

ZURIGO

Memento

Mai 36 Galerie propone Memento, esposizione a cura di Maria de Corral focalizzata sul tema chiave della memoria, del ricordo, trave portante dei lavori selezionati di Jacobo Castellano, Luigi Ghirri, Jürgen Drescher e Zoe Leonard.

Gunter Damisch, Skulptur, 2013, courtesy Christoph Fuchs

Laura Owens, Untitled, 2013, courtesy l’artista e Gavin Brown’s Enterprise, New York, foto Douglas M. Parker Studio Deimantas Narkevičius, Sounds Like the XX Century, particolare dell’installazione, courtesy Galerija Vartai, Vilnius Luigi Ghirri, Modena, dalla serie Kodachrome, 1973, C-print, cm.12,5x17,5, courtesy Mai 36 Galerie, Zurigo

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L’ARTE AI CONFINI DEL MONDO Intervista a Luca Tomìo un gallerista-curatore sulle orme di Toselli e Sargentini a cura di Lucia Spadano

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uca Tomìo è un giovane operatore che sta battendo una strada nuova e ad un tempo centrale per l’arte dei nostri giorni. Una strada non ovvia ma chiaramente delineata e forse oramai ineludibile. È la strada del cacciatore d’arte, dell’esploratore solitario che non segue una mappa predisposta, ma disegna un territorio a partire dalle sue stesse scoperte. Come ha avuto modo di imparare dai galleristi che più ammira e frequenta, Luca Tomio sa che individuare giovani talenti non basta se non si creano per loro delle occasioni espositive aperte, capaci di interrogarsi e di stupirci attraverso la loro diretta e scarna assolutezza. L’assolutezza antideologica che nasce non da un programma precostituito, ma da un atteggiamento di rispetto per la ricerca e la poetica di chiunque attiri la sua attenzione. Incuriositi dalla sua energia e dal suo entusiasmo, doti oramai rare in un mondo in cui la mera suddivisione del lavoro sempre più viene confusa con la professionalità, abbiamo sentito il bisogno di provare a scambiare con lui qualche parola non nella logica dell’intervista formale, ma in quella del dialogo tra chi ama le stesse cose e guarda il futuro con molte più aspettative che rimpianti.

Luigi Puxeddu e La Giraffa, 2014 (foto Daria Paladino)

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attività espositive ANTICIPAZIONI

Luigi Puxeddu, Il Lupo, 2014, legno assemblato e dipinto, 120x200x43 cm

- Franco Toselli, con cui lavori da anni, dice che sei “un giovane curatore”, “più uno storico dell’arte che un gallerista”. Ti riconosci in questa definizione o pensi che dietro le parole del nostro amico ci sia qualcosa di più che ha bisogno di essere chiarito? Qualche riferimento implicito che ci terresti a far emergere? - Sto vicino a Toselli per affinare la sensibilità di individuare un artista agli esordi. Dal libro che Germano Celant sta scrivendo sulla storia della sua galleria emergerà la dote di Toselli non tanto di anticipare i tempi ma di capirli e di capire gli artisti che li sanno interpretare al meglio. Al di

là delle definizioni mi interessa capire il meccanismo di insorgenza dell’arte. In questo senso Toselli è un maestro. - Altri maestri? Altre occasioni di crescita interiore e culturale? - Altri momenti di formazione. Cito in ordine sparso, frammenti di memoria… mio padre che mi porta da piccolo la domenica alle mostre, uno sguardo fugace di Gino De Dominicis, le chiacchierate con Luigi Koelliker, un viaggio ai confini del mondo con Fabio Sargentini…

Angelo Formica, Doppio gioco, collage su forex in teca, cm 57,5 x 55,6 circa, 2011 (particolari)

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- Mi incuriosisce questo viaggio… - Andavamo alla Scarzuola di Tomaso Buzzi per le strade sterrate nei dintorni della sua casa paterna in Umbria. Si parlava della mostra che gli proponevo di organizzare in questa città di sogno, ma la cosa bella è che ogni tanto ci facevamo sorprendere da cose semplici, uno strano cavaliere, un pollaio, bambine che raccoglievano more… Un pomeriggio che mi ha fatto capire come l’arte nuova cresca sempre ai confini del mondo e sopratutto sempre fuori dal sistema imperante. - Sei critico verso l’attuale sistema dell’arte contemporanea? - Nel ’68 Sargentini lasciò la galleria di Piazza di Spagna per esporre cavalli vivi in un garage; nello stesso anno Boetti scaricò da Toselli, nel borghesissimo cortile di via Borgonuovo, una camionata di sassi del Ticino… E’ stata una rivoluzione tangibile. Il sistema non c’era ma c’erano gli artisti. Oggi c’è un sistema ma troppa convenzionalità. La vera arte infrange i sistemi. - Nel campo dell’arte ritieni sia più difficile pianificare, predisporre o inseguire l’attimo irripetibile ovunque esso si presenti? - L’arte non germoglia mai in giardino. Cresce come un’erbaccia che spacca l’asfalto. Il sistema invece mira all’artista giusto “su cui puntare”, come alle corse o in borsa, e invece l’arte è innanzitutto arte, sopratutto agli albori. Ci vogliono altre attenzioni. A parte rare eccezioni, agli inizi il destino dei giovani artisti è nelle mani di pochi galleristi e collezionisti. Il vero critico è chi compra un’opera per condividere e sostenere un’idea, non per speculare. - Quindi il sistema attuale ti sembra inefficace? - Potrebbe essere adatto per il secondo mercato se non ci fossero enormi problemi strutturali: con l’Iva al 22% di contro al 5% di Londra è naturale che le gallerie più forti se ne vadano all’estero; bisognerebbe arrivare almeno al 10%… Aggravano la situazione la mancata libera circolazione e il vuoto legislativo sulle autentiche… In Italia l’arte contemporanea è pensata come un vezzo da miliardari e non come una risorsa. - E in questo contesto i giovani artisti annaspano, forse ancor più degli altri giovani alla ricerca della propria strada, di un’attività che dia loro identità e gratificazione... - Da creativo puoi scovare qualche opportunità, da artista ti devi armare di determinazione che unitamente all’umiltà sono le doti di carattere per portare avanti il lavoro, e difenderlo anche. Oggi è anche facile ottenere visibilità ma tanto velocemente cresce la notorietà tanto repentinamente si eclissa. Se sei un artista la strada non è que-

Claus Larsen, Il confine della realtà, 2011, olio su tela, 40x40 cm

sta. L’arte vera è quella che non si mostra. La vita vera è quella nascosta. Un’altra vita. Il resto è vanità, creatività. Cose effimere. - Allora qual è la strada giusta per realizzare un opera d’arte? - Ci sono infinite possibilità di realizzare un’opera ma quello che conta è proprio la sua centralità. L’artista deve sottrarsi a se stesso, ridimensionarsi a favore dell’opera. Si guardi al lavoro di Prini e di Paolini… L’opera non deve essere la proiezione dell’artista, deve essere il suo personalissimo ambito di indagine sulla natura delle cose e dell’uomo. Gli artisti non devono assecondare aspettative del sistema. Devono essere asimmetrici, non convenzionali. Devono fare cose fuori dal mondo, ai margini del sapere, allargandone i confini, così come opera la ricerca scientifica. Un artista che vuole essere a tutti i costi solo un artista è un controsenso. - Mi fai qualche nome di artisti emergenti? - Luigi Puxeddu, un artista remoto, inattuale: scolpisce nel legno animali preistorici dipinti di rosso; prima mostra da Sargentini, seconda da Toselli: come GDD… Angelo Formica, ispirato dai santini della sua Sicilia oggi è tra i finalisti del Premio Cairo… Daria Paladino, che a trent’anni ha già una bella carriera alle spalle, nel suo ultimo lavoro

Daria Paladino, La trasmutazione dell’uomo in Cristo, 2014, 70x50 cm, stampe fotografiche

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attività espositive ANTICIPAZIONI

Sbagliato, intervento urbano, Paulay Ede utca, Budapest, 2013

Sbagliato, intervento urbano, Piazza della Suburra, Roma, 2014

sulla trasfigurazione dell’uomo in Cristo si rivela sorprendente e attualissima, capace di farsi nemesi degli orrori perpetrati dall’Isis … Claus Larsen, dipinge a olio come un fiammingo, ma i suoi dipinti indagano le frontiere della ricerca scientifica più avanzata… Mario Nalli, che espone i suoi miraggi di mare a L’Attico di Fabio Sargentini vent’anni dopo la prima mostra: il tempo in arte non esiste, tutto è immobile…

delle mostre dei nuovi talenti, ma anche consolidamento del secondo mercato per la sempre maggiore richiesta estera degli artisti che spesso hanno esordito proprio con Toselli e che ora sono i maestri riconosciuti dell’arte italiana. Per primavera spero di organizzare con Fabio Sargentini la mostra pazzesca di cui dicevo prima, alla Buzzinda, la città ideale costruita da Tomaso Buzzi nel cuore dell’Umbria, un sogno ai confini del mondo… (P.S. proprio la sera stessa in cui mi proponevi la versione definitiva di questa intervista, intitolata appunto “L’arte ai confini del mondo”, Massimo Scaringella mi invitava a partecipare con una selezione di giovani artisti proprio alla Biennale del Fin del Mundo che sta organizzando tra Argentina e Cile! Quando la coincidenza si mette i panni del destino…) n

- Segui un criterio per individuare questi nuovi talenti? - Frequentare altri cacciatori di talenti ed essere curiosi, battere territori poco frequentati. Le perle rare si trovano su sentieri solitari e disparati, e all’inizio è necessario osservare l’evoluzione dell’artista, cercare di capirlo interferendo il meno possibile… Luigi Ambrosetti l’ho conosciuto per strada a Roma, a San Lorenzo, e agli inizi rielaborava quadri che altri artisti buttavano nella spazzatura; ora dipinge quadri estremi, che piacerebbero a Pasolini… i lavori sui deserti di Brunella Longo li ho scovati navigando su internet; poi con lei ci siamo sentiti più volte per incontrarci senza riuscirci, forse è destino che ci si incontri lungo sentieri desolati… Daria Paladino mi ha segnalato le “finte finestre” che Sbagliato mette sui muri di Roma; mi hanno colpito, ribaltano la visione di Pistoletto… - Prossime mostre? - Ora devo occuparmi del nuovo corso di Galleria Toselli, stessa linea di ricerca di sempre, con l’organizzazione

[n.d.r. sul prossimo numero di Segno, Luca Tomìo ci fornirà un resoconto dettagliato della IV edizione della Biennale del Fin del Mundo 2014/2015, uno degli eventi più importanti del continente sudamericano, che sotto la direzione di Massimo Scaringella e con l’Italia paese invitato d’onore si svolgerà tra Argentina (Mar del Plata, Ushuaia) e Cile (Valparaiso, Punta Arenas)] Mario Nalli, Miraggio di mare, 2013, olio su tela, 70x170 cm

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GAM Torino / MAMAC NIzza

Julião Sarmento

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ue grandi mostre dell’artista portoghese Julião Sarmento (Lisbona 1948) sono state proposte contemporaneamente a Torino e Nizza. Con una selezione di circa trenta opere, che dà conto della visione totalizzante del suo mondo attraverso differenti mezzi: la fotografia, la pittura e la scultura, dalla fine degli anni 70 fino ai lavori più recenti, la GAM di Torino ha voluto rendere omaggio al grande artista, che a distanza di 15 anni, è tornato ad esporre in un Museo italiano. Nel contesto di “Dialoghi”, ciclo di mostre di artisti contemporanei a confronto con le collezioni del Museo, Julião Sarmento ha scelto, tra le opere della collezione, due differenti “modelli” ispiratori della sua ricerca artistica: il pittore italiano Giorgio Morandi e l’artista americano Sol Lewitt, due artisti apparentemente distanti ma che conservano entrambi una solida ricerca formale, caratteristica che Sarmento considera sia punto di partenza, sia punto d’arrivo necessario. Al centro dell’allestimento il confronto con i due maestri è testimoniato dal grande trittico “White Veil”, realizzato appositamente per l’occasione, posto in dialogo con “Complex Form #52” di Sol Lewit e, sulla parete di fronte, con una selezione di 12 opere di Giorgio Morandi – delicate e intense pagine ad acquerello e a matita – e a una coppia di Nature morte dipinte. Lo sviluppo della ricerca artistica di Sarmento è stato presentato secondo un rigoroso taglio dai curatori Danilo Eccher e Riccardo Passoni, svolto con criteri tematici, che ne hanno analizzato con occhio critico l’opera: dalle sequenze dei lavori sul tema della figura femminile e dell’oggetto, sino a quelle dedicate all’architettura con i due video “Cromlec e R.O.C. (40 plus one) in cui si ricompone il binomio “donna-architettura”. Il testo in catalogo di Danilo Eccher, è un dialogo con l’artista scandito in capitoli numerati, che partono da 1 - l’Immagine, (....i racconti di Julião

Sarmento smembrano l’immagine in frammenti disordinati dove si allude ad una visionarietà che solo il pensiero sa trattenere). 2 - la Materia, (....La materia pittorica accende il mistero interpretativo della poesia, si spoglia della propria funzione descrittiva per arretrare nell’opacità del sussurro, per sciogliersi nella liquidità del sogno). 3- Tonalismo, (...Il peso concettuale della materia pittorica non avrebbe il ruolo recitativo che merita se non portasse in dote l’incanto di un tonalismo discreto e silenzioso, capace di abbracciare e avvolgere l’intero spettro cromatico). 4 - Geometria (...A tratti, la poetica di Julião Sarmento sfiora la severità delle forme geometriche, si allontana da un procedere abituale per raccogliere le suggestioni di un pensiero matematico, rigorosamente astratto, formalmente ineccepibile). 5 - Natura (...La Natura di Sarmento si presenta dunque come il sipario che protegge la recita, come il velo che si stende sul corpo ammorbidendo le forme, oscurando le cicatrici, accendendo le fantasie, una trasparenza che attira lo sguardo oltre l’immagine per affondare in un nuovo e più profondo racconto). La realizzazione della mostra e del catalogo (Silvana Editoriale, saggi dei curatori e dei critici portoghesi Alexandre Mel e Sérgio Mah) è stata resa possibile dal contributo della Galleria Giorgio Persano e dal Banco Espirito Santo. Al MAMAC, prestigioso Museo di Nizza, la rassegna di opere di Juliao Sarmento dall’inizio degli anni Settanta ad oggi, ha costituito una buona occasione per vedere la sua evoluzione plastica ed iconografica, favorendo una reale immersione in un universo allo stesso tempo poetico, concettuale ed attuale attraverso opere provenienti dallo studio dell’artista, da collezionisti privati e da importanti istituzioni. “Una esposizione di questa ampiezza - precisa Gilbert Perlein, direttore del MAMAC - non avrebbe potuto aver luogo senza la complicità instaurata tra il Museo, l’artista e la Galleria Giorgio Persano. E’ importante che la Città di Nizza conservi la memoria di questo avvenimanto, L’acquisizione dell’installazione “Second Easy PIèce” del 2013 è un arricchimento delle collezioni del MAMAC dedicate all’arte

In questa pagina Julião Sarmento vista dell’allestimento alla GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino 2014 Courtesy GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino - Photo Paolo Robino

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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

d’assemblaggio ed al trattamento delle immagini. La donazione dell’artista e della galleria Persano di una pittura di grande qualità (Marlen, 2006) completa magistralmente la collezione permanente con un’opera iconica”. L’installazione Second Easy Pièce fa parte di uno degli archivi della memoria. Nello spazio, una scultura in resina, disposta su una pila di tavole di legno, assume la stessa posa de “La Petite Danseuse de quatorze ans” di Edgar Degas. L’opera non è altro che la riattualizzazione

in 3D della ballerina che Degas aveva realizzato anche in cera colorata al naturale, con veri capelli e con un tutu, esponendola in una vetrina. L’installazione fa parte di una serie di cinque opere ispirate alla “ballerina” di Degas seguendo i suoi stessi principi concettuali e formali. Da cui il titolo, Second Easy Piece, la cui prima versione è al Museo Reina Sofia di Madrid. In catalogo testi di Gilbert Perlein, Oliver Bergesi, Rébecca François, Jacinto Lageira. (redatto da Lucia Spadano)

In questa pagina Julião Sarmento vista dell’allestimento al MAMAC, Nice 2014. © Julião Sarmento / MAMAC, Nice 2014 – Photo Muriel Anssens

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photo: courtesy atelier Hermann Nitsch

Prinzendorf an der Zaya - Vienna

Hermann Nitsch Una azione-rito per la Festa di Pentecoste

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ei dintorni di Vienna, a pochi chilometri dalla imperiale città della musica, muovendo a nord-est, al limite delle terre un tempo austro-ungariche, il paesaggio metropolitano cede lentamente posto ad un inatteso scenario agreste. Auree distese di grano, che ondeggiano alla frizzante brezza di primavera, si avvicendano a prosperi frutteti in fiore e ad avvitati vigneti, manto di una ampia valle costellata di minuti abitati. Immersi in questa idilliaca veduta si arriva a Prinzendorf an der Zaya, silente borgo “del principe”, topos di un serpentinato fiume. Al suo margine, all’estremità di una terrosa via, si erge maestoso il “castello” di Hermann Nitsch. Fucina delle sue solenni Aktionen da oltre quaranta anni, lo scorso giugno è stato, ancora una volta, teatro della sacra Festa di Pentecoste. Per la celebrazione di questa festività “mobile”, che cade al cinquantesimo giorno dopo la Pasqua, Hermann Nitsch ha organizzato, con la usuale ciclica regolarità, una Azione non-stop che, dal mattino alla notte inoltrata, si è svolta senza interruzioni rievocando l’intensità della “festa dei sei giorni” del 1998. A raccolta sono accorsi in centinaia provenienti da ogni dove, habitué dell’arte contemporanea, ammiratori, curiosi e la stessa comunità di villici, nella quale la ricorrenza è particolarmente sentita. Varcare l’ingresso di questo possente schloss vuol dire vestire i panni di “attori”, al contempo “passivi” e “attivi”, di una mise en scène che, nella filosofia dell’Orgien Mysterien Theater, rifugge la finzione del palcoscenico a favore del reePhoto Michaela Hetzel Research

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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

nactment del sacro evento. In questa giornata di Pentecoste Nitsch ha accordato la sacralità del racconto apostolico con il mistero degli ancestrali riti pagani e della catarsi della tragedia greca. Il vivace rintocco delle campane ha annunciato l’inizio della festa nella corte a ferro di cavallo cinta dalle stalle, oggi studio dell’artista nel quale alloggiano i relitti delle sue storiche azioni. Tra oche e paradisiaci pavoni si è svolto il conviviale pasto comune, rievocazione della “comunità gerosolimitana”, ovverosia del cenacolo di Maria e degli Apostoli sul quale discese lo Spirito Santo, al suono di una orchestra locale di strumenti a fiato. Il “rumore estatico” degli aerofoni ha guidato poi la processione, che adagio, a memoria delle primigenie feste agricole per la mietitura e il raccolto delle primizie, ha percorso sentieri, attraversato campi, vigneti e boschi e ha trovato ristoro alla soglia delle cantine che disegnano un dedalo sotterraneo, per concludersi al fresco della sera nel vecchio mulino del paese, a “compimento della comunione totale”. Richiamando la concezione nieztschiana dello spirito dionisiaco, Hermann Nitsch ha diretto questa azione-rito collettiva di imitatio vitae, elevando il reale ad evento, per il risveglio, in ciascuno di noi, di una privata spiritualità. In un momento storico di anestesia e indolenza emotiva, è stata dirompente la potenza di questa domenica di Pentecoste in un sentimento panico della natura e di unione con il tutto. Epifania sensoriale, la festa si è manifestata come una partitura di toni cromatici e olfattivi, di accenti sonori, tattili e gustativi, coinvolgendo i presenti in una liturgia del sentire. Una Gesamtkunstwerk, processo di inclusione del mondo esterno, che accorda, in una viscerale esperienza sinestetica e di espiazione, le arti con il vissuto ed educa i sensi “affinché tutto in noi si trasformi e passando attraverso noi vada oltre”. Eloisa Saldari

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Leonid Tishkov, Luna Privata, 2003-2014. Installazione

Todi Festival 2014

Schegge multimedia dalla Russia

I

l Todi Festival nell’edizione 2014 ha ospitato un importante connubio tra la cultura italiana e quella russa. Tutto il Festival è stato innervato dalla presenza russa, perché, da un omaggio a Rostropovich, a un musical su Putin, a Tolstoj, i riferimenti a questa cultura sono stati continui, mentre l’associazione culturale Zerynthia, con la collaborazione di Olga Strada, hanno portato una documentazione impeccabile delle ricerche che in vari campi si stanno svolgendo in Russia ai nostri giorni. Piuttosto espliciti sono apparsi gli interventi di Vittorio e Olga Strada. Il primo ha raccontato come la percezione di questa nazione sia cambiata negli anni, con considerazioni molto concrete sulla attuale situazione Ucraina, dove il potere russo medita interventi armati. Di uguale tono critico l’intervista di Olga Strada allo scrittore Vladimir Sorokin, che ha descritto la

Alexander Pettai, 2011 Todi2014.jpg

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condizione dell’intellettuale russo come impossibile, motivando così i suoi continui soggiorni all’estero. La realtà russa è stata descritta come un’immensa messa in scena, in cui l’assurdo detta legge. Uguale impressione si rileva dalle pagine di Dmitrij Prygov, lette nell’occasione da Mario Caramitti. Situazioni grottesche dove gli insetti sono protagonisti, assurdi contrasti col potere, mancati riconoscimenti del valore del lavoro dello scrittore, sono frequenti nell’attività di questo artista a 360°, che ha lasciato anche preziosi disegni per documentazione delle sue installazioni e opere fonetiche, presentate adeguatamente da Vitaly Patsyukov. Di uguale orientamento politico le parole di Ossip Mandel’stam, presentato da Daniela Rizzi, che si è opposto per tutta la vita al regime staliniano, e da questo fu perseguitato, passando lungo tempo in esilio, forgiando così una vera e propria estetica della mancanza e del simbolo. Jannis Kounellis ha fatto un diario pubblico delle sue esperienze, descrivendo la Russia come un Paese con una impronta culturale legata in modo marcato alle immense distanze e dimensioni, come alle immense difficoltà, tali che tutto assume una di-


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Jannis Kounellis, S.T., 2014 Installazione site-specific. Palazzo del Vignola, Todi 2014

mensione epica. Nelle parole dell’artista la lotta per più giuste condizioni economiche degli operai diventa una riflessione sul materialismo e sulla filosofia. Per offrire una documentazione pIù efficace delle ricerche attuali - chi scrive - ha proposto un ascolto di musicisti russi viventi, nello spirito delle sperimentazioni che vedono l’utilizzazione del sonoro in ambito artistico. La conclusione è stata assegnata a Valentino Zeichen, che ha letto delle poesie composte per l’occasione, dopo l’ascolto di quattro composizioni di Riccardo Giagni e Maurizio Rizzuto Vitaly Patsyukov ha curato anche le opere video e sonore russe presentate per la prima volta a Todi. Leonid Tishkov è forse il rappresentante di spicco del nuovo romanticismo russo. La Luna è la protagonista della sua ricerca, e, installata nei luoghi più suggestivi dei musei del mondo, sembra rilanciare l’eterna questione della distanza e del dialogo con questo satellite che, sebbene lontano, essendo così consueto al nostro sguardo appartiene al nostro immaginario. Vladimir Tarasov fa parte di un’ideale propaggine russa di Fluxus. Questo artista lavora sulla casualità, così i rumori del traffico sono sintetizzati

in una partitura per strumenti tradizionali che traduce la caoticità del mondo contemporaneo. Il video di Olga Chernyshova al contrario ci mostra uno dei rari momenti statici del mondo contemporaneo, infatti è legato al sonno del protagonista del video. Lacerti di vissuto si mescolano col sogno al suono della celeberrima “Volare” di Modugno, con una dimensione di libertà e realismo vicina a tanti momenti del cinema italiano. Karmanov e Klimchenco riprendono la tematica del soggetto e della sua libertà, un tema tipico del romanticismo. In questo caso il rapporto io/tutti è proposto attraverso la citazione di una composizione di Schubert, che in vita subì incomprensioni feroci. Alessandra Mitlyanskaya mescola suoni e rumori, composto e casuale in un video che ha molteplici piani di svolgimento. La de-composizione di Cage è utilizzata per un montaggio decisamente libero e molto vicino a proposte occidentali. Alexander Pettay mescola luce e sonoro in una dimensione che deduce dalla quotidianità i suoi accostamenti in modo sempre cangiante. Ma il sogno ritorna con la figura di J. S. Bach, citato nel video di Smolyar, che mette insieme, in un modo di

Olga Chernysheva, Sogno festivo, 2005 Installazione audiovisiva Video 07’07’’. Musiche: Variety Orchestra “Volare”. Melodia. 1996

Vladimir Smolyar, Vladimir Martynov, L’après midi du Bach (il pomeriggio di Bach), 2011. Installazione audiovisiva. Video 12’00’’ loop

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Vitaly Patsyukov

Anna Cestelli

Daniela Rizzi

Marco Caramittii

Paolo Aita

Bianca Sulpasso

Jannis Kounellis

Riccardo Giagni, Maurizio Rizzuto, Todi 2014

Palazzo del Vignola - Todi Festival 2014

Valentino Zaichen, Todi 2014

34 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

comporre tipicamente onirico, frammenti di realtà soggettiva e vincoli matematici, molto presenti nella musica barocca e nel minimalismo odierno. Non potevano mancare gli artisti video italiani (Mario Airò, Massimo Bartolini, Riccardo Benassi, Bianco-Valente, canecapovolto, Alberto Garutti, Donatella Landi, Martux_M, Liliana Moro, Cesare Pietroiusti, Alfredo Pirri, Vettor Pisani, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Annie Ratti, Donatella Spaziani, Alberto Tadiello, ZimmerFrei) che a Todi hanno ricevuto grande attenzione da un

pubblico piuttosto diverso da quello delle gallerie delle grandi città, comunque numeroso. Si può dire, in conclusione, che questa edizione del Festival ha goduto di una atmosfera decisamente internazionale, nella quale i differenti tipi di approccio alla cultura (da parte di storici, traduttori, specialisti in slavo, artisti del video e del sonoro) hanno avuto una giusta rappresentanza, così da offrire un riuscito spaccato non solo della produzione artistica attuale, ma anche di tutti gli stili della ricerca contemporanei. Paolo Aita

Installazione Le Cordinate del Suono, Todi, 2014

Installazione Arte italiana all’ascolto, Todi, 2014

Vladimir Tarasov, In Between, 2009. Installazione audio visiva. Video b/n, suono 4’09’’ loop

Pavel Karmanov, Andrey Klimenko, Forellen Quintett, Todi, 2014

Vladimir Tarasov, Kyklos, 2010. Installazione audiovisiva, Todi, 2014

Alexandra Mitlyanskaya, Concerto 1. Fornello. Dalla serie “Tchaikovsky”, 2006. Video, 00’57’’ loop

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Cascata di foglie d’alloro dal palco ©Davide Carrer

Treviso

Home Festival

R

AMradioartemobile e Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, nell’ambito di Home Festival a Treviso, hanno presentato il Terzo Paradiso. “Un passaggio evolutivo” - afferma Michelangelo Pistoletto – “nel quale l’intelligenza umana trova i modi per convivere con l’intelligenza della natura.”. Il simbolo del Terzo Paradiso è la riconfigurazione del noto segno matematico di infinito, nel qule i due cerchi opposti si fondono nel cerchio centrale, a rappresentare il grembo generativo della nuova umanità. Il Terzo Paradiso porta ognuno ad assumere una personale responsabilità in questo frangente epocale e HOME Festival diviene il luogo ideale di incontro, partecipazione e promozione del cambiamento attraverso la musica e le arti. Come su un palco gli artisti si fanno portatori di messaggi, si investono di un ruolo che colpisce il pubblico con il suono e la voce, così HOME Festival attraverso una cascata di foglie d’alloro trasmette il messaggio del Terzo Paradiso. Cascata di foglie d›alloro. Performance Michelangelo Pistoletto a Home Festival ©Elena Simeoni Michelangelo Pistoletto e il simbolo d’alloro del Terzo Paradiso sul palco di HOME Festival ©Davide Carrer

36 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Gagosian Gallery Roma

SCRATCHING THE SURFACE

Photographs by Dennis Hopper

G

rattando la superficie è la traduzione letterale del titolo della mostra fotografica di Dennis Hopper, inaugurata alla Gagosian Gallery di Roma, ed è ciò che Hopper ha compiuto in anni di lavoro multiforme, da regista, attore e con l’esperienza di fotografo “onnivoro”. Nella numerosa carrellata di immagini in bianco e nero, realizzate dall’attore e regista americano negli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, gli Stati Uniti sono come siamo abituati a vederli o meglio immaginarli, negli anni d’oro del cinema e della musica

a stelle e strisce. Di quell’epoca le vite ci appaiono cristalline, a due passi da noi, nonostante la distanza da un periodo che non ha un ritorno visivo immediato; in tagli netti di inquadrature mai studiate, la disinvoltura della pratica fotografica si adagia alla superficie delle stampe in gelatina d’argento. Così troviamo nella ricostruzione iconografica che Dennis Hopper fa di quegli anni, durante il momento più intenso del suo lavoro di attore e regista, tanto di un vissuto straordinariamente “vintage”, che ricalca una storia narrata da antropologo “freak” quanto di persona integrata nel sostrato creativo di quel periodo. L’epoca che ha visto sviluppare una cultura che ha realizzato e sostenuto identità artistiche eccentriche, ricche di fascino leggendario. Gli stessi artisti come Andy Warhol, Claes Oldenburgh, Allan Kaprow o i musicisti, le popstar, i politici, gli attori come Peter e Jane Fonda, tutti sono ripresi nella quotidiana vita mondana, nella loro abituale condizione, nei frangenti di pura semplicità che catalizzano l’attenzione sulla consuetudine esistenziale. La normalità parla con accento sostenuto una lingua che diventa facile da apprendere, se ci si adagia al richiamo che Hopper fa del mondo circostante. Dagli ambiti più propri dello spettacolo e del mondo socio-politico, alle strade della provincia americana, la superficie si fa più chiara e immediata, la realtà viene vissuta appieno e anche la dimensione hollywoodiana si dispone come un tutt’uno con la condizione popolare. La serie Drugstore Camera ne è l’esempio lampante, le persone e le nature morte sono all’interno di una stessa intimità, caratterizzata dalle persone vicine a Hopper e dalla realtà californiana, dall’attivismo politico e dalla cultura “beat” che ha rinsaldando il “mito americano”. Ilaria Piccioni

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Bruno Cerasi

Lucio Perone

Il nuovo volto di Capri uaranta artisti nazionali e internazionali. Venticinque opere d’arte poste lungo gli scorci più significativi dell’isola, di cui due interventi di Permanent Street Art. Questi sono i primi numeri dell’edizione zero di Capri The Island Of Art che si è da poco conclusa sull’isola azzurra. Il progetto ideato da Liquid Art System e prodotto da Franco Senesi con la direzione artistica di Marco Izzolino e la collaborazione di Lucia Zappacosta è stato pensato per ridare a Capri una centralità artistica internazionale. L’isola amata da Malaparte, Marinetti, Giò Ponti è un concentrato di bellezza, storia e architettura che ha pochi eguali nel Mediterraneo. Il fascino eterno che emana è indiscusso e oggi, come ieri, continua a sedurre artisti, scrittori, pittori e viaggiatori. Partendo da qui, è nato il progetto di Liquid Art System che, per un mese (dal 6 settembre al 5 ottobre), ha trasformato l’isola in una grande galleria d’arte diffusa, con interventi indoor e outdoor. Gli artisti coinvolti (tra i quali Bruno Cerasi, Caterina De Nicola, Antonio Di Biase, Gianfranco Meggiato, Lucio Perone, Peppe Perone, Gloria Sulli, Paolo Staccioli) si sono cimentati con le caratteristiche stradine bianche, la celebre Piazzetta, i cortili e le terrazze di case private, i giardini degli alberghi e luoghi simbolo dell’isola come lo straordinario Belvedere di Tragara. In questo dialogo, in questo confronto, hanno preso forma progetti d’arte originali realizzati per interagire con gli spazi e la comunità locale. Tra questi, due lavori sono stati realizzati site specific per restare in permanenza sull’isola, eredità di questa edizione e “testimone” per la

prossima a cui i curatori stanno già lavorando. Sono “La Sirena” di Ozmo (posta sulla parete esterna della Casa Guiscardo Ramondini in piazza la Torre ad Anacapri davanti alla Casa Rossa) che riesce a calamitare l’attenzione dei passanti attraverso la rappresentazione di un’immagine immediata, di chiara lettura e ispirata al mito delle sirene tramandato dalla letteratura classica (da qui il nome di “isola delle sirene”), e il “Wallpainting for Anacapri” di Eron che ha voluto raffigurare l’idea della contrapposizione tra forze in perenne opposizione. Considerato tra i più interessanti interpreti italiani di street art, Eron ha recuperato un’iconografia - la lotta tra capre - non casuale perchè gli animali sono simbolo del comune di Anacapri. La realizzazione dell’opera sempre su uno dei muri di Casa Ramondini sul lato di via Orlandi, è stata un’azione performativa che per giorni ha appassionato il pubblico, dagli anziani dell’isola ai turisti stranieri: i lavori di preparazione e di allestimento hanno attirato l’attenzione di molti curiosi, facendo il giro del web e generando attesa e meraviglia. <Vedere gli artisti interagire con la comunità locale e con i turisti allo stesso tempo, sentire i commenti delle persone nel seguire i progressi delle opere di ERON e di OZMO è stata una delle esperienze più stimolanti di questo progetto>, spiega Marco Izzolino, curatore di Capri The Island of art. <Ci siamo appassionati nel leggere le discussioni sul tema della sirena sui social network e sui blog; vedere visitatori e capresi affacciarsi dai belvedere dell’isola a guardare la luna (artificiale) di Paco Desiato; trovare le foto delle installazioni “postate” nelle pagine social di persone famose, insomma abbiamo destato curiosità, interesse ed anche critiche, abbiamo stimolato un dibattito attivo ed è questo il vero successo di questa edizione d’esordio>. Capri insomma ha risposto al progetto. <È un posto – continua Izzolino - che attrae una tale varietà di

Paola Margherita

Caterina De Nicola e Antonio Di Biase

da meta turistica a galleria d’arte contemporanea

Q

38 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

persone tale da generare interazioni di proporzioni inaspettate>. Sculture, installazioni audio e video, proiezioni in notturna, esposizioni, performance e sperimentazioni musicali hanno trovato terra fertile sull’isola azzurra. Lucia Zappacosta, direttrice dell’Alviani Art Space di Pescara coinvolta nella realizzazione dell’evento, ha giustamente sottolineato che <L’opportunità di confronto con un pubblico internazionale che si è offerta ai giovani artisti è stato l’aspetto più interessante di questa esperienza a Capri. L’identità così forte dell’isola, tra bellezze naturali, storia e mito, è stata territorio di confronto per chi oggi produce e fa ricerca in ambito artistico. Vedere le persone apprezzare e fotografare gli esperimenti creativi, scoperti per caso tra le cose meravigliose già presenti sull’isola, è stata un’opportunità impagabile>. Alcuni progetti, sperimentati già da quest’anno, verranno portati a termine solo l’anno prossimo ponendo i presupporti per una mostra in progress che si svilupperà nel tempo arricchendosi di contenuti inediti, come anticipa Franco Senesi: <Dopo la sperimentazione di quest’anno, nella quale ci siamo confrontati con tante tipologie diverse di opere (wallpainting permanenti, proiezioni ambientali, installazioni urbane, sculture e opere negli alberghi tra i più famosi dell’isola, sperimentazioni musicali, ecc.), credo che abbiamo collezionato una serie di esperienze sul territorio utili a comprendere come sia possibile valorizzare la ricerca artistica contemporanea attraverso le risorse che l’isola di Capri offre, ma anche come sia possibile valorizzare il territorio attraverso il contemporaneo. Nella prima grande edizione dell’anno prossimo tenteremo dunque di ampliare la conoscenza della storia dell’isola chiedendo a tutti gli artisti coinvolti di “accendere i riflettori” su luoghi ugualmente meravigliosi ma ancora poco noti al grande pubblico e non ancora valorizzati come meriterebbero, uno tra tutti Villa Lysis, studiando delle installazioni site-specific per essi>. Un buon motivo per fare ritorno a Capri nel 2015. Donatella Bernabò Silorata

Ozmo

Peppe Perone, Belvedere di Tragara

REWIND & PLAY

Proiezioni luna Gloria Sulli

Jaromil Eron, Capri 2014

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Palazzo De Sanctis, Castelbasso (TE)

C’ERA UNA VOLTA A ROMA Gli Anni Sessanta intorno a Piazza del Popolo

C

i separano più di cinquant’anni da quei lontani ma così vivi nella memoria, anni Sessanta; un decennio vivo anche in quella di chi, ne ha solo letta la storia sui libri e immaginato l’intrigante susseguirsi di accadimenti straordinari e vicende fascinose. Un’epoca per sempre immortalata fra le scene di uno dei film più famosi nella storia del cinema: La Dolce Vita, dove l’intramontabile mito di Federico Fellini, ha fissato eternamente sulla pellicola la magia della Roma di quel tempo. Superati gli anni della ricostruzione, la caput mundi nel 1960 si apre, infatti, con fervido entusiasmo al benessere, riscopre se stessa, la sua attrattiva e apre le porte alle dive internazionali del cinema, alla bellezza, all’arte, all’amore fra gossip da rotocalco e scatti rubati dai primi reporter di costume. I ‘favolosi’ anni Sessanta, così li hanno chiamati e non a caso, per via di quel clima disincantato e leggero che aleggiava in ogni dove. Un’atmosfera e uno scenario trascinanti, grazie anche a uno slancio culturale entusiasticamente auspicato da un gruppo d’intellettuali e poeti, fra i quali Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Ennio Flaiano e il gruppo dei poeti Novissimi, nonché artisti che, incredibilmente si ritrovarono a frequentare gli stessi luoghi intorno a Piazza del Popolo e i limitrofi caffè Rosati, trattoria Menghi, gallerie La Tartaruga, La Salita e L’Attico. C’ERA UNA VOLTA A ROMA. Gli Anni Sessanta intorno a Piazza Particolare dell’allestimento, in primo piano, Gino Marotta, Foresta di menta, 1968; sullo destra Mario Schifano, Senza titolo (Poggidoro particolare), 1963, collezione privata

Panoramica dell’allestimento

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Tano Festa, Omaggio a un poeta morto, 1969, plexiglass, cm.200x200 collezione privata

del Popolo si tratta dunque di una mostra strenuamente ambiziosa e dall’elevato contenuto critico, poiché si è posta l’arduo obiettivo di ricostruire quel complesso e articolato clima romano di quel decennio che, è stato anche il fertile terreno sul quale sono germogliate talune delle esperienze creative ed estetiche di neo-avanguardia in Italia. Un decennio durante il quale hanno preso vita ante litteram, forme d’arte affini ai nuovi indirizzi proposti dall’arte americana, prima ancora che questi oltrepassassero l’oceano e influissero in maniera sensibile sui modi espressivi dei più giovani. Ed è proprio a partire da questo momento storico che s’intensifica il dialogo con l’America, con cui Roma intrattiene un rapporto di assoluta equivalenza soprattutto sul piano sul piano concettuale. Sebbene le similitudini, sotto il profilo formale con l’arte dell’ east coast siano di facile dichiarazione, l’arte di casa nostra manifesta peculiarità proprie, in un certo qual senso un’italianità che, ne fa un nodo cruciale e di passaggio nella comprensione dei fenomeni e dei cambiamenti che interessano la storia dell’arte contemporanea internazionale. Una prima possibile traccia è data nel volume Linee della ricerca artistica 1960/1980, testo fondamentale sul quale la stessa Laura Cherubini, curatrice della mostra insieme a Eugenio Viola, ancora buona parte della sua critica. Significativa distinzione è segnata nella suddivisione in sezioni che riguarda soprattutto lo specifico ambito di indagine su cui si focalizzano gli artisti: Superfice e monocromia, La ricognizione urbana, Gli oggetti simbolici. Categorie evidentemente arbitrarie ma funzionali a inquadrare i diversi indirizzi di ricerca perseguiti; tendenze spesso tutte in egual misura sperimentate e che, attraverso le opere viste in mostra, si sono


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Franco Angeli, 25 luglio 1963, tecnica mista su tela, cm.155x200, courtesy Collezione Arnaldo Pomodoro, Milano

Umberto Bignardi, Rotor, 1967, installazione multimediale con video “Motion Video”, 1966/’67, Cinema per il teatro, quattro capitoli video per “Ritorno alla città”, 1999/2000, courtesy l’artista

Panoramica dell’allestimento, al centro Mario Ceroli, Confronto, 1965, legno e chiodi, cm.101x114x18, courtesy Collezione Maramotti, Regio Emilia

Particolare dell’allestimento, a sinistra Sergio Lombardo, Nikita Krusciov, 1962, smalto su tela, cm.230x180; a destra Sergio Lombardo, Krusciov, 1962, smalto su tela, cm.190x250, collezione privata

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C’era una volta a Roma, Gli Anni Sessanta intorno a Piazza del Popolo. Panoramica dell’allestimento

così palesate allo spettatore, offrendosi al contempo con la stessa freschezza ed energia con cui furono eseguite all’epoca. Abbiamo avuto dunque il piacere di poter fruire di un insieme unico di opere. Alcune realizzate a monocromo e che in tal senso hanno rappresentato e rappresentano la tendenza all’azzeramento, ovvero una sorta di riduzione radicale del mondo alla pittura, le quali tuttavia, sono prive di quell’assoluto neutralismo proposto dalla minimal, e che corrispondono ad esempio ai lavori di Francesco Lo Savio o di Franco Angeli. Altre che invece vanno legate alla costante presenza dell’oggetto e dell’immagine, come quelle di Mario Schifano e di Tano Festa, sebbene entrambi, come è noto, hanno anch’essi cominciato con lavori a monocromo. Un discorso che vale anche per tutte le altre presenze osservate in mostra e che corrispondono ai nomi di: Nanni Balestrini, Umberto Bignardi,

Mario Ceroli, Claudio Cintoli, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Gino Marotta, Fabio Mauri, Pino Pascali, Mimmo Rotella, Salvatore Scarpitta, Cesare Tacchi, Cy Twombly, Giuseppe Uncini. Una nota particolare la merita forse la Foresta di Menta del 1968, di Gino Marotta. Si tratta di un’opera ambientale composta da lunghe liane di plastica e caramelle di menta piperita da assaggiare alla fine dell’attraversamento. Lavoro che ci ha ricordato soprattutto la sua precoce tendenza a realizzare installazioni e a sperimentare materiali innovativi, nonché il preludio a quello che sarebbe stato da lì a poco l’ esperienza dell’ Arte Povera. Infine, per quel che riguarda inoltre la complessità della mostra, va precisato anche che, come scrive ancora una volta Laura Cherubini in catalogo, gli anni Sessanta italiani, circa le arti visive,

C’era una volta a Roma, Gli Anni Sessanta intorno a Piazza del Popolo. Panoramica dell’allestimento

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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

C’era una volta a Roma, Gli Anni Sessanta intorno a Piazza del Popolo. Panoramica dell’allestimento

rappresentano ancora oggi un nodo di ardua ricostruzione storica, la cui ricerca di fonti certe è tutt’ora terreno d’indagine aperto. Una difficoltà determinata perlopiù dall’assenza di un sistema dell’arte organizzato, come invece è oggi, dove molto spesso le mostre non erano accompagnate da catalogo e raramente fotografate, una difficoltà in parte colmata dalla testimonianza diretta degli artisti ancora viventi e che diventa in tale occasione essenziale alla ricostruzione di fatti e vicende. Significativa in tal senso, quella ad esempio di Umberto Bignardi che, qui in mostra con il suo celebre Rotor del 1967, riporta alla memoria la prima esperienza a contatto con l’arte di Rauschemberg. La vista del primo combine-painting alla Tartaruga e anche da Cy (Tombly) - a Roma dal 1959 -, intorno al quale l’artista esprime un giudizio in parte dubbioso più favorevole invece ai lavori su carta, perché, a suo

dire, Rauschemberg lì andava più nel profondo delle immagini. Ma ancora ci offre notizia dell’inizio della sua avventura con il collage su tela, immagini fotografiche accostate ad altre foto e parti di pittura cominciata nel 1962, lavori realizzati per quella che sarebbe stata la successiva mostra alla Tartaruga avvenuta nel 1963. Notizia dove ci tiene a precisare l’uso strutturale che egli faceva dell’immagine, nel rispetto della vocazione stessa dell’immagine perché non entrava nella specificità di un segno o di una precisa iconografia. In tal senso precisava così la propria distanza di concetto fra il suo lavoro e quello dei PoP artisti americani; parole significative che, ancora una volta, testimoniano le sottili ma determinanti differenze di poetica già all’ora esistenti ma forse non propriamente così determinate come invece ci appaiono oggi. Maria Letizia Paiato

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rrivare a Villa Pisani a Bagnolo di Lonigo (VI) è l’inizio di un viaggio di scoperta tra passato e presente. È immergersi nella storia dell’architettura, in quella studiata all’università. È addentrarsi in un susseguirsi di suggestioni, in un continuo dialogo tra arte - quella contemporanea - e architettura quella storica - quella del Palladio e delle sue Ville. Cornice tra le più classiche, quindi - una Villa del XVI secolo, ispirata alla Roma imperiale con un affaccio sul fiume e l’altro sulla campagna, come tutte le Ville progettate da Palladio per l’aristocrazia veneziana ma resa unica da Arte Contemporanea a Villa Pisani, progetto avviato nel 2007 da Manuela Bedeschi e Carlo Bonetti, gli attuali proprietari della Villa che, per alimentare e condividere la loro grande passione per l’arte contemporanea, a cadenza biennale, con spirito da mecenati d’altri tempi, invitano artisti a confrontarsi con questo contesto così particolare, chiedendo loro opere site specific destinate a diventare parte integrante delle passeggiate nel parco e degli interni della Villa. Realizzato dall’Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art, in collaborazione con A arte Invernizzi, grazie al coordinamento di Luca Massimo Barbero e alla curatela di Francesca Pola, il progetto, quest’anno alla sua sesta edizione, vede protagonisti gli artisti Nicola Carrino (1932) e Arcangelo Sassolino (1967). Poter percorrere questi luoghi in solitudine, con la dovuta calma, è poter respirare la passione per l’arte e per questi luoghi, è sperimentare la continuità di un pensiero fertile, di una stratificazione di progetti e pensieri, di idee ed esperienze anche molto differenti tra loro, ma in dialogo continuo. È relazione. Misura. Confronto. Le opere, infatti, non si confrontano solo con l’identità forte di questo luogo così carico di storia ma anche con le pre-esistenze, otto infatti sono artisti internazionali, quali Nelio Sonego e Michel Verjux (2007), Igino Legnaghi e François Morellet (2008), Alan Charlton e Riccardo De Marchi (2009), David Tremlett e Bruno Querci (2010), Niele Toroni e Arthur Duff (2012) che, con i loro lasciti hanno connotato e trasformato questi luoghi. È accoglienza. Ospitalità. La mostra, inaugurata il 14 giugno, accoglie il visitatore come un vero e proprio ospite in una casa abitata, vissuta nel quotidiano, in una dimensione che è anche privata e non solo spazio espositivo, la Villa, infatti, nella sua parte nobile, è riservata a residenza stabile dei proprietari. Dicevo, dialogo confronto relazione. Quest’anno i due artisti invitati sono entrambi legati all’idea della Scultura, che viene praticata però in modi molto diversi. Carrino, interviene in esterni, lavorando sulla costruzione e trasformazione dei luoghi, con il suo Ricostruttivo Palladio, opera attraversabile e percorribile, che cattura l’attenzione sulle direttrici di percorso del viale d’accesso, e sulla relazione tra la Villa e il giardino; ha poi riconfigurato, in modo inedito, uno dei suoi Costruttivi storici in rapporto con l’architettura di una

delle cantine. Sassolino invece, concentrandosi sulle tensioni degli interni, ha lavora sulla decostruzione e la destabilizzazione collocando - nel grande salone centrale - due presenze sospese, i ritratti dei proprietari e committenti del progetto. Anche gli altri suoi lavori sottolineano in modo diverso questo attrito tra il luogo storico e l’incombere delle macchine, della tecnologia, come il paradosso gravitazionale di Analisi e la macchina Schizzo pensata per l’altra cantina che sorprende il visitatore con il suo scatto pneumatico. Per entrambi, però, nonostante le diversità delle forme espressive, la scultura non è solo un oggetto da contemplare, ma un elemento che invita l’osservatore a un’esperienza da vivere con un’intensità più complessa – si è di fronte a opere che producono situazioni attive – non solo sguardo ma messa in gioco, è connessione tra opera, luogo, artista e visitatore. Il percorso alla scoperta di queste sculture comincia dal giardino. Per il suo Ricostruttivo Palladio, Nicola Carrino si è ispirato ai Quattro libri dell’architettura di Andrea Palladio: l’opera è in quattro elementi, edificati e posizionati seguendo un modulo quadrato di un metro per lato, che è griglia e misura. Lo studio delle proporzioni, la scelta del materiale, la praticabilità dell’opera traducono un’attenzione costante dell’artista per il visitatore. È scultura pensata per essere percorsa, abitata, toccata, sfiorata, vissuta. I grandi parallelepipedi collocati nel cortile della Villa invitano all’attraversamento, alla scoperta d’inediti tagli e prospettive dello spazio che si è ricostituito e trasformato. È dialogo di luoghi. È elemento vivo e trasformabile, dal tempo, dalle stagioni, dallo sguardo di chi lo osserva. Collocata sulla direttrice di percorrenza principale del parco la scultura di Carrino è in costante relazione con la Villa. È elemento architettonico, loggia, ideale, per il rustico presente nel giardino. Tutto dialoga e crea un’unità nuova nella visione di questi luoghi, ogni elemento è in rapporto con gli altri e in dialogo con il contesto. Un’altra caratteristica importante dell’opera di Carrino è il materiale utilizzato, elemento che connota da sempre il suo lavoro. Quello scelto per l’opera in Villa è un unico materiale, l’acciaio, ma lavorato in tre modi differenti e che, idealmente, corrispondono ai tre temi affrontati da Palladio ne I quattro libri dell’architettura: un parallelepipedo nero grecato per indicare le tecniche costruttive del primo libro, due rosso ruggine, dedicati agli edifici costruiti da Palladio, spiegati nel secondo e terzo libro e un quarto parallelepipedo in acciaio inox dedicato all’architettura greco-romana del quarto libro. Uno di essi è collocato orizzontalmente, a sottolineare l’invito al muoversi da e verso la Villa. “La scultura è la forma del luogo, anzi il luogo stesso” come ama ripetere Carrino. Scultura come spazio di incontro e luogo di esperienza. In una delle sale interne sono inoltre presenti un video esplicativo e i disegni di progetto del Maestro che hanno portato alla realizzazione dell’opera. Entrando in Villa si trova l’opera principale di Arcangelo Sassolino che invece si è concentrato su un altro aspetto fondante del luogo: non quello architettonico e spaziale, ma quello della committenza, espresso dagli stessi proprietari e abitanti del luogo. Ha così realizzato due grandi ritratti di Manuela Bedeschi e Carlo Bonetti. I loro visi, fotografati e riportati su lamiere di alluminio

Nicola Carrino, Ricostruttivo Palladio, 2013-14. Ferro, acciaio corten, acciaio inox 4 moduli parallelepipedi di 400x100x100 cm ciascuno Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo 2014. Courtesy Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art. Foto Bruno Bani, Milano

Arcangelo Sassolino, Ritratto di Carlo Bonetti 2014 Inchiostro, alluminio, acciaio 137x91x21 cm Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo 2014. Courtesy Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art. Foto Bruno Bani, Milano

Villa Pisani, Bagnolo di Lonigo (VI)

Nicola Carrino Arcangelo Sassolino

Arte contemporanea a Villa Pisani

A

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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Nicola Carrino, Costruttivo 1/69 C, 1975, Percorso trasformativo 4.8, 2014. Ferro 32 moduli scalari di 30x30x30 cm ciascuno Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo 2014. Courtesy Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art. Foto Bruno Bani, Milano

sono compressi e deformati con una particolare macchina a pistoni idraulici che trasforma la fotografia – elemento bidimensionale - in scultura e, poi sospesi nel salone centrale, uno di fronte all’altro, alterando così la tradizionale prospettiva frontale del ritratto storico e aprendo la visione a suggestioni visive nuove dando la possibilità al visitatore di ruotare attorno a ciascuno di essi. Icone che attraversano il tempo. Volti che mutano, si trasformano, si deformano e si frammentano, moltiplicando i punti di vista possibili e cambiando anche in rapporto allo sguardo di chi le osserva e stravolgendo l’abituale prospettiva centrale del ritratto storico. Forme più concave e accoglienti, pieghe fluide per Manuela Badeschi, più spigolose e decise per Carlo Bonetti. Dialogo intimo tra identità e rappresentazione. Importante è il lavoro di Sassolino sulla lamiera utilizzando macchine inventate per l’occasione e attrezzi da carpenteria, sottolineando così le sue tematica principali: gli equilibri, le tensioni e il loro limite. Un video, presentato nei sotterranei, racconta le fasi esecutive delle due opere a dimostrazione che per Sassolino l’iter realizzativo è sempre parte inscindibile del significato dei suoi lavori. In una delle sale adiacenti a quella centrale, in relazione con opere di altri artisti troviamo l’opera intitolata Analisi, un lavoro a parete, apparente-

mente, fermo, statico, innocuo ma che nelle intenzioni dell’artista indica la relazione e la tensione che si crea tra i diversi materiali e tra l’attrazione gravitazionale e la tenuta di questi ultimi. Proseguendo il percorso ci si trova nelle cantine della Villa che ospitano, una la seconda opera di Carrino che ha ripensato uno dei suoi storici Costruttivo 1/69C in un Percorso trasformativo 4.8.2014. Trentadue moduli articolati in quattro scalini in ferro, divisi in otto blocchi di quattro elementi ciascuno, che idealmente ricompongono un cubo con incastrandosi con il proprio doppio. Disposti a sequenza in un percorso lungo le stanze che si susseguono del seminterrato, collocati in corrispondenza delle aperture dell’architettura che le ospita, sempre in stretta relazione con il contesto sia quello interno che quello esterno. E, la seconda cantina - l’altra opera realizzata da Sassolino, una macchina pneumatica, Schizzo, un compressore con reazioni improvvise a intervalli di tempo casuali, che attraverso il rilascio di aria compressa per un brevissimo tempo, modifica e ridisegna lo spazio attivando il movimento di un lungo tubo collocato a un’estremità. Dinamismo e trasformazione. Organismo vivente che dialoga con lo spazio. Simona Olivieri

Arcangelo Sassolino, (da sinistra a destra), Ritratto di Carlo Bonetti, 2014. Inchiostro, alluminio, acciaio 137x91x21 cm Ritratto di Manuela Bedeschi 2014. Inchiostro, alluminio, acciaio 135x93x43 cm. Veduta parziale dell’esposizione Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo 2014. Courtesy Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art. Foto Bruno Bani, Milano

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Galleria Continua, San Gimignano

Group show On another scale

Jorge Macchi Shilpa Gupta personali

L

a Galleria Continua a San Gimignano con “On Another Scale”, la collettiva curata da Ricardo Sardenberg, assieme alle due personali di Jeorge Macchi e di Shilpa Gupta, presenta tre proposte espositive, volutamente separate, di fatto con vari punti di contatto e di continuità tra una mostra e l’altra. Si comincia con l’opera di Jeorge Macchi allestita all’arco dei Becci, quattro dipinti di grande dimensione, con i quali l’artista argentino, che nel suo lavoro utilizza vari mezzi espressivi, torna alla pittura, rivisitandola e offrendo nuove prospettive di visione. È una pittura questa che indaga sulla destrutturazione dell’immagine e sulla percezione di chi guarda. Cover 06 e Cover 03, databili ad anni recentissimi, sono due superfici caratterizzate da un’indefinitezza di soggetto, risolta in una stesura spessa e racchiusa da sagomature quasi in

rilievo: opere che per certi versi possono essere considerate aniconiche, realizzate con un lessico particolare nel rapporto tra forma e colore e attraverso un’ implicita gestualità del segno, aspetti mai travalicanti e sempre ben contenuti dagli ampi spazi pittorici. In Cover 01 e Cover 04, l’una del 2012 e l’altra del 2013, l’immagine è differentemente strutturata in forme geometriche, che al loro interno racchiudono segmenti di altre immagini, quasi a costruire una disorganica e quanto mai enigmatica fenomenologia del reale, che spinge lo spettatore a voler guardare oltre la costruzione visibile e a cercarvi una continuità narrativa, per altro non raggiungibile. Il nutrito percorso pensato da Shilpa Gupta appositamente per lo spazio gallerico dell’ex cinema-teatro invita lo spettatore a meditare sulla percezione di tematiche sociali ed economiche di grande spessore e su concetti quali il confine, la frontiera, il senso di appartenenza, l’identità individuale e collettiva nonché sull’incidenza della tecnologia nella vita quotidiana, concetti espressi in una variegata gamma di mezzi. È dato caratterizzante della scultrice quello di avvalersi di installazioni interattive, di video, o di realizzare opere bidimensionali, i cui soggetti, con il loro riflesso nella vita reale, sono trascesi sia in opere connotate da grande essenzialità di linguaggio e da altrettanta precisione di riferimenti, sia in installazioni complesse. Emblematica è la serie di sei lavori esposti, Untit-

Jorge Macchi, Cover 01, 2012. Olio su tela, 198 x 334 cm. Courtesy the artist and GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Les Moulins

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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

led, 2014 , in cui l’artista utilizza dei fogli di tessuto lavorati a mano, con misure variabili da un A0 a un A5, con un segmento lineare inciso al centro mediante un ricamo, a indicare la lunga linea fortificata, voluta dal governo di Nuova Delhi e ancora in costruzione, fra il confine di India e Blangadesh, due paesi di lingua ed etnia comuni. La riflessione sul potere politico, sulla sua influenza in ogni ambito della società e della cultura, è fondamentale nell’opera 100 Hand Drawn Maps, una successione di mappe scaturite dal disegno di un centinaio di persone che hanno tracciato a memoria i confini del loro paese. Di una complessità evidente è Untitled 2014 la grande installazione site specific nella quale l’artista in un’apparente disorganicità e frammentazione di immagini affronta il tema dell’identità per-

sonale, presentando un nutrito repertorio di casi di persone che hanno deciso di cambiare il loro cognome, sia per motivazioni personali che collettive. “On another scale”, installata nello spazio dell’ex cinema-teatro, è una mostra di notevole interesse, che ha come perno il rapporto di scala, che, nelle intenzioni del curatore Sardenberg, esplica il valore che un “ oggetto d’arte”, ancor più nel piccolo, condensa in sé. In posizione dominante è presentata la Boîte -en-valise , un piccolo museo portatile con le miniature delle opere fondamentali di Marcel Duchamp, contenute in una scatola all’interno di una valigetta. Ad essa fanno eco un corposo numero di opere collocate nel restante spazio espositivo di artisti quali, per citarne solo alcuni, Lucio Fontana, Alighiero

Jorge Macchi, Cover 03 (particolare), 2012. olio su tela 195 x 303 cm. Courtesy the artist and GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Les Moulins Jorge Macchi, Cover 06 (particolare), 2013. Olio su tela, 195 x 350 cm. Courtesy the artist and GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Les Moulins

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 47


Shilpa Gupta, 24:00:01, 2008-2009.
Motion flapboard 30 min 45 sec loop 225 x 20 x 28 cm. Sotto: 24:00:01, 2014. Mixed media | materiali vari 147,3 x 121,9 cm | 151 x 125 x 7 cm framed. Photo by Ela Bialkowska, OKNO STUDIO Courtesy the artist and GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Les Moulins

48 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Shilpa Gupta, Untitled, 2014. Installation | Installazione Site specific. Photo by Ela Bialkowska, OKNO STUDIO. Courtesy the artist and GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Les Moulins

Boetti, Luigi Ghirri, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Carlos Garaicoa, Antony Gormley, Mona Hatoum, Gianni Colombo, Piero Manzoni. Una sorta di valigia in grande dimensione diventa lo spazio contenitore della galleria, dove i vari lavori, alcuni minuscoli, sono collocati dalla platea, ai palchi, fino agli angoli più reconditi, in un sorprendente percorso. Inalterate sono le caratteristiche peculiari di ciascun linguaggio artistico pur nel formato ridotto dell’opera, amplificata anzi dallo spazio circostante e in assonanza per affinità simboliche e poetiche con le altre. Si stabilisce così una fitta rete di relazioni alcune pensate da Sardenberg, a seconda dei punti di vista, delle opere insieme e in rapporto con il palcoscenico, punto focale della mostra, altre individuabili dal visitatore, mutabili ogni volta e quindi pressoché infinite. “On another scale” diventa così una sorta di teatro nel teatro, un teatro in divenire, in cui ognuno recita la sua parte e risponde a quella altrui, come in un gioco interattivo, in cui percezione, coinvolgimento e riflessione sono attributi determinanti evocati dall’intera proposta espositiva, lungo tutto il suo itinerario. Rita Olivieri

On another scale, a destra: Cildo Meireles Dados, 1970. 96 scatola di gioielli: (velluto e raso) e due targhe di bronzo, dado, 9 x 9 x 5,5 cm; in basso a sinistra: Willys de Castro Objeto ativo, 1965 stampa manuale off-set su carta, piegata e incollata 31 x 31 x 5,5 cm; in basso a destra: Lawrence Weiner one of these one of those placed to rise above the mist, 2014 testo + vinile 110 x 500 cm in primo piano Marcel Duchamp La Boîte en valise: From or by Marcel Duchamp or Rrose Sélavy, Selected by Jorge Macchi, 1941-1963 Wooden box, 68 fac-simile reproductions 40 x 38 x 9 cm Photo by Ela Bialkowska, OKNO STUDIO

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Chiesa di San Francesco, Camerano (AN)

Se dico Aria

I

l Parco Regionale Naturale del Conero, palcoscenico di rara bellezza con le sue alte falesie calcaree a picco sul mare, ha accolto nella città di Camerano – che ha dato i natali a Carlo Maratti, uno dei più grandi artisti della fine del Seicento, ed è conosciuta per la bellezza e il mistero delle sue grotte sotterranee – il Caleidoscopico Festival delle Arti, che ha trasformato il centro storico della città in una sorta di grande museo diffuso, colorato dalle opere di artisti straordinari come quelle della mostra, realizzata con la curatela di Vittorio Sgarbi, dedicata all’opera “Rebecca ed Eliezer al Pozzo” di Carlo Maratti, tornata a Camerano dopo un attento restauro, ed attualmente conservata a Roma nella Galleria d’Arte Antica di Palazzo Corsini; alle sculture e ai dipinti del marchigiano Quirino Ruggeri. Protagonista indiscussa è stata l’arte contemporanea con la mostra “Se dico Aria”, che il curatore, Antonio D’Amico, ha allestito all’interno della chiesa di San Francesco, luogo di culto suggestivo, chiamando sei artisti italiani ed internazionali – Marcello Chiarenza, Chris Gilmour, Angela Glajcar, Kaori Miyayama, Gianluca Quaglia e Medhat Shafik – a rispondere alla In alto, Marcello Chiarenza, La pesca delle stelle, 2014, cm 150x150 Courtesy dell’artista; In alto, accanto al titolo: il curatore della mostra Antonio D’Amico con la scultura Airplain model, 2014 (Messerschmitt Bf 109), cm 40x200x160 di Chris Gilmour. Courtesy Marcorossi artecontemporanea, Milano. A sinistra, Gianluca Quaglia, Da lontano ma vicino, 2014, misure ambientali. Courtesy dell’artista. Nella pagina a fianco, da sinistra: Kaory Miyayama, Le radici del cielo, 2014, dimensione variabile. Courtesy dell’artista; Angela Glajcar, Terforation, 2014, cm 260x122x600. Courtesy Antonella Cattani Contemporary Art, Bolzano. Eduardo Secci Contemporary, Firenze; Medhat Shafik, Le città sospese, 2014, misure ambientali. Courtesy Marcorossi artecontemporanea, Milano.

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domanda “Se dico Aria…”, attraverso installazioni site specific, coniugando il tema dell’aria sotto diverse sfaccettature, e muovendo dalle proprie diversità di religione e culto verso l’unione, oltre il contrasto, interagendo con la sacralità del luogo e proponendo opere che contemplano l’aria “riscoprendone la sostanza, l’ampiezza, l’invadenza, il limite, per mostrare il fascino delle suggestioni che origina”. “...Infatti il loro lavoro - ha dichiarato il curatore - si presenta come l’espressione tangibile di ciò che è nelle cose e ne trasfigura la naturale percezione sublimandola, attraverso diversi strati di indagine: materiale, simbolica, filosofica e spirituale. Gli artisti interpellati, per loro natura, osservano la realtà e trascendono il dato materiale, percepiscono la profondità delle cose e si abbandonano a un’azione meditativa che dalla visione oggettuale dell’aria, trasmigra alla riflessione sulle possibili accezioni ad essa legate. Nel loro immaginario, l’aria è leggerezza, sospensione, possibilità di far fluttuare ciò che si contrappone con la pesantezza e l’immobilità”. Accompagnati dalla musicalità delle note dell’unico artista marchigiano, Giovanni Allevi, che si disperdono nell’aria, ci si addentra nell’installazione labirintica di tessuti trasparenti con immagini xilografiche e fili dell’artista nipponica Kaori Miyayama: “Il mio lavoro Le Radici del Cielo vuole essere una riflessione sul vuoto nell’aria, sul confine e sul collegamento tra cielo e terra. L’idea è quella di creare un’atmosfera al limite, che sia al contempo del bosco e delle radici ma anche delle nuvole alla deriva”. L’artista si lascia permeare dal movimento dell’aria con una raffinata ed evanescente simbologia che veicola culture e linguaggi. Il suo labirinto di organza racconta un intreccio di relazioni fra popoli e storie di uomini che muovono l’aria ed edificano il tempo. Una delle pale d’altare accoglie l’opera dell’artista Medhat Shafik, vincitore del Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel ’95 con il Padiglione Egitto, che rappresenta la sospensione dell’uomo, il cammino verso la scoperta di sé, verso la propria anima e la conoscenza. “Il cristiano copto Medhat Shafik - afferma D’Amico - vola con la fantasia e ricrea spazi e linguaggi simbolici, luoghi mentali e ideali, ricchi di meraviglia e incanto. Le città sospese dell’artista egiziano sono luoghi ideali, sono isole popolate di meraviglia e di silenzio che conducono l’anima nei meandri della magia e nutrono il reale”. Alla domanda “Se dico aria… dici?” Shafik risponde: “Tempo sospeso, levitazione del pensiero, leggerezza, meditazione, spiritualità e desiderio di ritrovare il candore dell’essere. Aria è un respiro vagante nello spazio cosmico. La dolce malinconia e l’inquietudine dell’essere che trovano spazio per liberarsi in una dimensione di quiete e vitale umanità. Attraverso la mia opera desidero ritrovare lo spirito generativo delle città, cioè la coesistenza pacifica e inclusiva; le mie Città sospese sono un’alternativa al degrado, alla distruzione e alla demolizione sistematica di tutto lo stratificato e il sedimentato storico, architettonico e antropologico delle nostre città. Le mie città sono sospese sulle ali di una nuvola del pensiero”. La cattolica tedesca Angela Glajcar “innalza cattedrali di carta candide, spettrali, che vivono in uno spazio empirico e sovrastano l’edificabile. Le sue forme traforate, accostate fra loro, aprono varchi per l’anima, grembi protettivi in cui rifugiarsi; cercano l’origine della vita, procedono verso un volo spirituale di intensa magia”. Nella sua installazione sospesa e multi stratificata – ogni singolo foglio di carta, attraverso il taglio e la lacerazione, è irreversibilmente trasformato, diventando altro da sé, qualcosa di ben diverso dalla ‘carta bianca’. Allineando i singoli elementi nascono nuove impressioni e, contemporaneamente, uno sguardo all’indietro. Non si crea né un tunnel né una nuova visione verso il futuro, ma un “pieno” che guarda al passato. “Tutte le mie ope-


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Chris Gilmour, Piano Stenway, 2011 cm 100x200x150. Courtesy Marcorossi artecontemporanea, Milano. A destra una veduta complessiva dell’allestimento nella chiesa di San Francesco a Camerano (An).

re” afferma l’artista “sono una reminiscenza che dall’esterno va verso l’interno e quindi nel passato. Non è mai una restituzione “piena”, bensì l’impressione di sperimentare il flusso del tempo. È in ogni caso un flusso, uno sviluppo che scaturisce da una ‘vista all’indietro’”. L’artista di origine siciliana Marcello Chiarenza alla domanda “Se dico aria … ” ha risposto attraverso le reti fluttuanti di luce de La pesca delle stelle, la sua installazione ispirata al Cantico delle creature, che perfetta si colloca ad illuminare l’abside della Chiesa di San Francesco: “Penso al cielo come mare superiore e alla terra come fondo di un oceano d’aria” ha dichiarato l’artista “Tutto il mio lavoro è ispirato al Cantico delle creature, e nella fattispecie de La pesca delle stelle, il riferimento è ai miti della creazione, in cui si racconta nelle varie culture che il cielo nasce dalle acque oscure dei primordi e si libera illuminando e gocciolando di luce l’aria, portando l’acqua superiore in alto a disegnare un cielo che è il nostro mare superiore. Si potrebbe dire che la costellazione dei pesci è in cielo mentre le stelle marine sono nel mare.” Gianluca Quaglia risponde al quesito “Se dico aria … dici?” con la parola ‘Paesaggio!’ “La mia definizione di paesaggio si avvicina al concetto di esperienza, nella misura in cui acquisiamo conoscenza attraverso il contatto diretto con la realtà che vediamo e viviamo. Tocchiamo l’aria e l’aria tocca tutto ciò che è nel paesaggio: montagne, palazzi, piante, animali e persone; ma l’aria è anche dentro di noi, nei nostri polmoni, la respiriamo, la sperimentiamo, la sentiamo. In questo senso non esiste un limite tra noi e ciò che guardiamo. Ci muoviamo nell’ambiente e siamo l’ambiente”. Per la sua installazione il giovane artista milanese ha inciso in maniera maniacale con un bisturi cinquecento poster con paesaggi di montagna, separando il cielo dalla roccia. Utilizzando questi due differenti elementi per ricreare uno

spazio all’interno della Sacrestia, occupando con le sue rocce di carta un vero e proprio ambiente in cui il pubblico può entrare e muoversi, e concentrando il proprio lavoro sul concetto di limite. L’inglese Chris Gilmour sorprende il visitatore sospendendo al centro della navata della chiesa un grande pianoforte a coda, e innescando meccanismi di contrasto, veri e propri corto circuiti. “Il pianoforte è vero e, al tempo stesso, è assolutamente finto” afferma l’artista “è leggero e pesante, è presente ma anche assente; è teso tra una pesantezza minacciosa che incombe su chi lo osserva e una leggerezza e una fragilità che lo rendono quasi immateriale. Queste giustapposizioni si moltiplicano in direzioni diverse: il materiale è semplice cartone da imballaggio, rimasto dopo aver scartato il prodotto tanto desiderato e parla di un processo di manifattura e di commercio, ma anche della differenza tra il costo e il valore degli oggetti. Racconta del contrasto tra il valore di un’opera d’arte – sia economico che culturale – e un materiale di nessun valore: è il contrasto tra la pretesa di eternità di un lavoro artistico e la natura evanescente della carta”. La scelta dell’oggetto in sé non è casuale. Qui è un pianoforte, un pesante simbolo della cultura “classica”, nella pala d’altare sceglie invece di sospendere due modellini di aeroplani, lacerti che vengono “posati” quali simulacri moderni, come fossero croci, confermando il desiderio di leggerezza, di sospensione e di tensione verso l’alto. Alla stessa domanda “Se dico aria …” il curatore Antonio D’Amico conclude: “mi sovviene che … l’aria cerca, s’infiltra, delimita, stravolge pesi e misure ma si arrende alla chiusura dei confini. L’aria coinvolge l’invisibile e trascende il visibile invadendo il conscio e il sub-conscio. L’aria è essenza vitale in cui viaggiano idee, ideologie e culture, in una dimensione spazio-temporale perennemente in movimento. L’aria è quell’arte che regala stupore, incanto, curiosità, stimola coraggio, affetti e instilla propositi”. Lisa D’Emidio

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 51


Galleria Open Art / Museo di pittura murale in S. Domenico, Prato

Paul Jenkins

D

ue prestigiosi spazi di Prato accolgono una spettacolare mostra dell’artista americano Paul Jenkins. (1923-2012) a poco più di due anni dalla morte. La rassegna, a cura di Mauro Stefanini e Suzanne Donnelly Jenkins, propone settanta opere su tela e su carta, rivelatrice, in qualche modo, di aspetti inconsueti della sua giovinezza. Nel catalogo (Carlo Cambi editore) è riportato un puntualissimo testo del 2010 di Beatrice Buscaroli, che sottolinea “la portata storica dell’artista e l’importanza della costante ricerca all’interno di un mondo risolto e personalissimo... Mentre Jackson Pollock, Mark Rothko, Willem de Kooning, Robert Motherwell rappresentano un capitolo fondamentale della pittura, che si è naturalmente concluso, Paul Jenkins - nei suoi 87 anni - alimenta ancora il bacino del suo lavoro con una costanza e un metodo che sfuggono ad ogni definizione. Il fluire della pittura non si presenta nella sua semplice esteriorità cromatica, ma rimanda immediatamente al suo significato altro, oltre la lettura, oltre la catalogazione dell’opera, anche oltre il suo possibile significato in quel momento. (...) La sua storia è unica. Già quarant’anni fa si poteva parlare della “storia” della sua pittura. Il lavoro di questo americano nato nel Missouri “durante una tempesta di fulmini” ha attraversato il tempo con una intensità tale da mutarne la consistenza. Dal momento del suo arrivo a Parigi nel 1953, ha potuto cogliere l’essenza dell’anima dell’Europa, quell’anima informale che stemperava l’urgenza degli anni della Seconda Guerra Mondiale, rendendo l’osservatore attore dello svolgersi dell’opera, del suo farsi, e ribollire.” A questo concetto si riallaccia il contributo storico-critico di Bruno Corà che, tra l’altro, afferma: “L’opera di Paul Jenkins, peraltro, è protagonista e testimone di una delle stagioni più intense dell’arte contemporanea del XX Secolo, cioè di quella stagione che dal secondo dopoguerra in poi, ha visto negli Stati Uniti e in Europa, lo sviluppo della sensibilità espressionista astratta, dell’informale, dell’Art Autre e dello spazialismo in tutte le sue morfologie. Accanto alle opere di Pollock e Rothko, de Kooning e Kline, di Wols e Michaux, la pittura di Jenkins ha contribuito a fornire una dimensione estetica di cui le nuove generazioni, cresciute nella considerazione degli esiti maggiori, non possono ignorare la portata e gli effetti. La lettura e la riflessione sulle opere di Jenkins, offerta oggi dall’occasione della mostra di Prato, consente di soffermarsi sui modi essenziali della sua originale avventura pittorica e di cogliere quegli spunti essenziali per i quali l’intero suo lavoro delinea l’esperienza di un Maestro contemporaneo. In una intervista rilasciata in occasione della mostra di Lille (2005), rispondendo a una domanda rivolta a classificare i suoi interessi culturali ed artistici relativi all’esordio del suo percorso, Jenkins rispondeva: “… Ero spinto dall’urgenza della mia propria necessità interiore ed è stata quella che mi ha condotto dopo quattro anni di studi con Yasuo Kuniyoshi all’Art Students League di New York”. E’ in quel contesto newyorkese che Jenkins, tra il 1948 e il 1952, oltre a Kuniyoshi e Morris Kantor incontra Mark Rothko. E se i suoi maestri – sottolinea Corà – lo esortano a ‘scavare profondamente nel colore‘ sono altresì le visite al Frick Museum a consentirgli l’ammirazione di opere di Goya, Rembrandt, Turner, De La Tour, Vermeer, Bellini, nelle quali il colore e le sue qualità trasparenti e luminose evocano soprattutto la presenza della luce protagonista delle forme. Nelle note di diario, Jenkins in quegli anni trascrive le proprie emozioni e riflessioni sulla pittura di Van Gogh, Rembrandt,

Paul Jenkins, Phenomena Measure Red 1965 - acrilico su tela - cm. 50.5 x 91.5

52 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014

Paul Jenkins, PhenomenaUp Right Up Left 1966 - acrilico su tela - cm. 84 x 84

Leonardo, ma anche su film come “Rashomon” di Akira Kurosawa o su sculture come “Fish” di Brancusi, o perfino la statua equestre di José de San Martin all’entrata del Central Park, in corrispondenza tra la 59th e la Sixth Avenue, curiosamente ‘velata’ da un drappo che la rendeva misteriosamente attraente. Di quell’esperienza del ’51 esiste nella collezione dell’artista un olio su tela “Veiled Equestrian” (1952) che rivela la precoce intuizione della modalità della ‘velatura’, seppure in questo caso come nascondimento, ma così ampiamente esercitata in seguito, mediante il colore, nelle opere pittoriche astratte. (...) Non sembra inutile ricordar - precisa Corà - che nel ’51 Jenkins, in seguito a un viaggio nella Fire Island realizza l’acquerello “Sea Escape” (1951) quale risposta all’esperienza marina così coinvolgente da usare il mezzo stesso a base di acqua per realizzare quell’immagine dove – tra le prime sensazioni ricevute – si rendeva concreto e tattile il senso di un’entità come quella del mare. L’acquerello integrato dall’impiego dell’inchiostro alterna alle stesure orizzontali e uniformi di colore della parte superiore e mediana dell’opera, una zona sottostante, alla base dell’acquerello, molto più screziata e mossa, spumeggiante e chiara, in netto contrasto con la modalità dominante di quel paesaggio. Ciò che si evidenzia nell’uso di questa tecnica è la trasparenza del colore, le sue gore liquide, le sovrapposizioni delle stesure e dunque una delle prime sensazioni di ‘velatura’ successivamente costanti in Jenkins. (...) Con un ragionamento a posteriori, verrebbe da osservare che nelle esperienze giovanili di disegno di Jenkins, a partire dagli studi su Michelangelo (1940), fino allo straordinario disegno a grafite Hat (1945) e attraverso anche opere come Light Between (1943), nelle quali la precisione del disegno è il caso di dire ‘capillare’, per i tratti di sottile linearità con cui traccia le figure in modi palesemente leonardeschi o con la meticolosità crudele di Bellmer, vi sia già tutta compresa quell’attitudine alla ‘fluidità’ che occuperà fisicamente e concettualmente la sua opera. (...) Le opere della decade Novanta e quelle stesse del nuovo secolo risentono beneficamente di quella catartica creazione che oltretutto appare riassumere i molteplici interessi e attitudini di Jenkins verso la


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Paul Jenkins, Sphinx 1958 - olio e smalto su tela - 163.7 x 169 cm

magia, l’esoterismo, la numerologia, la danza, il teatro, la musica, la scrittura, il sacro e lo spirituale e infine la stessa pittura. All’assioma di Moreau secondo cui il colore deve essere “pensato, sognato, immaginato”, si potrebbe affiancare per Jenkins l’esigen-

za di “liberarlo” per consentirgli, nella congiunzione con la luce, di espandersi illimitatamente nello spazio. Il prisma è la dimostrazione di come l’assoluto e il cangiante coesistano e si alimentino reciprocamente, di come sia la luce a creare il colore.” (a cura di LS)

Paul Jenkins, Phenomena North Harbor Omen 1969 - acrylic on canvas - cm. 120,5 x 169

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 53


Lello Lopez, dal progetto Assioma della Memoria, 2014 acrilico e stampa su tela, cm 280X400

Alfonso Artiaco, Napoli

Rita McBride Lello Lopez

Lello Lopez, Assioma della Memoria, 2014 stampa e acrilico su tela, cm 220x160

54 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014

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attern e Decoration è la terza personale di Rita McBride (Des Moines, Iowa, 1960) presso la galleria di Alfonso Artiaco, benché la prima ospitata nello spazio assai più ampio e carico di potenzialità in cui il gallerista napoletano si è trasferito da circa due anni. Se tanto nella prima personale (2007), presentando una curiosa serie di pannelli metallici con teorie di figure geometriche più o meno regolari che si vanno a stagliare su di essi per sottrazione, quanto nella seconda (2010), presentando un gruppo di esili e frastagliati elementi in bronzo come germoglianti dai loro rispettivi basamenti marmorei a parallelepipedo, la sua scultura intrattiene un serrato dialogo con le dimensioni dell’architettura e del design - da ricondursi peraltro alla sua formazione specifica -, ora tale connubio risulta confermato, ma anche ulteriormente complicato dall’apertura su di un territorio ulteriore, quello delle forme iconiche utilizzate nel decoupage, nel patchwork, per la carta da parati da ornamento e per la tessitura. Disseminare tale repertorio iconografico di origine popolare - nuovamente, come già nel 2007, per mezzo dello scavo in negativo su pannelli metallici - in maniera tale da evocare eterodosse “griglie moderniste” – e si sa quanta importanza tale paradigma rivesta nella transoceanica “tradizione del nuovo” –, emblemi piuttosto di un’arte d’élite, diviene così per l’artista statunitense un’asserzione sullo stesso collasso - tipicamente postmodernista - di tali distinzioni; non senza tralasciare richiami – si veda il titolo – a quella tendenza, la Pattern Painting, che, pure connessa all’inglobamento-recupero di un immaginario tipicamente artigianale, già preannuncia evidentemente la nuova stagione con il suo tipico ibridismo indebolito. Il prodotto finale si rivela un qualcosa che, pur campeggiando sulle pareti della galleria, richiama non troppo lontanamente gli arredi urbani che compaiono in prossimità delle feste comandate. Anche in questa occasione, come già nella precedente personale di tre anni fa (2011), nella quale additava la dismissione industriale dei Campi Flegrei - zona ovest di Napoli - Lello Lopez (Pozzuoli, Napoli, 1954) fa riferimento alla dimensione del tempo e della storia e dimostra una certa attenzione per i drammi dell’essere umano. Se la scelta del titolo della mostra, Assioma della memoria, si spiega con la volontà di connettere due verità, quella “evidente non dimostrabile” dell’assioma e quella “potente che spinge a riflettere sulla realtà, suggerisce definizioni di sé e sulla responsabilità del rapporto con l’altro” della memoria, tali riflessioni trovano il loro culmine in una grande opera murale composta da una miriade di immagini su tela di grandi dimensioni - realizzate con sistemi di stampa digitale e dipinte con colori acrilici - che campeggiano come avvolte da una superficie filamentosa che ricorda i tessuti nervosi del cervello. Stefano Taccone


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Veduta parziale dell’installazione

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Grazia Varisco, Quadri comunicanti, 2011 - 8 elementi in ferro e alluminio in dimensioni variabili

Galleria Invernizzi, Milano

Grazia Varisco

L

a produzione artistica degli ultimi decenni di Grazia Varisco viene proposta dalla Galleria Invernizzi ed allestita in modo che possa dialogare con alcuni lavori realizzati all’inizio degli anni Ottanta. In un gioco di rimandi e contrapposizioni i lavori appartenenti ai cicli dei “Quadri comunicanti” e delle “Risonanze al tocco” stimolano lo

spettatore , coinvolto a livello sensoriale, ad interagire in un gioco di rimandi e contrapposizioni, basato sull’utilizzo della “piegatura” della materia come momento di apertura verso la terza dimensione. Lo stesso spaesamento sensoriale si nota anche negli “Gnomoni” degli anni Ottanta: Al piano inferiore della galleria sono esposte, per la prima volta, opere recenti in cartone ed in metallo. Catalogo bilingue con saggio introduttivo di Francesca Pola ed una poesia di Carlo Invernizzi. (c.s.)

Grazia Varisco, (da sinistra a destra) Gnomoni 1986 3 elementi in ferro, Ventilati 2013-2014 4 elementi in cartone vegetale (dimensioni variabili)

56 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Grazia Varisco, (da sinistra a destra) Comunicanti in acciaio, 2013-2014, 4 elementi, Comunicanti in azzurro 2013-2014, alluminio rivestito 6 elementi in dimensioni variabili. courtesy A Arte Invernizzi, Milano - fito Bruno Bani

Palazzo delle Paure, Lecco

Natura Arte Poesia a Morterone

L

a mostra (dal 14 settembre al 9 novembre) è una testimonianza di come Morterone, piccolo comune sito ai piedi del versante orientale del monte Resegone, sia divenuto un centro internazionale di arte e poesia grazie al progetto di Carlo Invernizzi e alla sua concezione della poetica della “Natura Naturans”, che vede nell’operare degli umani un’azione di conoscenza e non un’alterità operativa prevaricante. L’Associazione Culturale Amici di Morterone ha iniziato a operare a metà degli anni Ottanta con l’intento di presentare mostre d’arte contemporanea pure creando un Museo all’Aperto, tuttora in progress, con l’installazione di oltre 30 opere di pittura e scultura di artisti italiani ed europei. La mostra a Lecco - suddivisa in sezioni - propone i vari aspetti dell’attività svolta nel corso di quasi trent’anni con opere di artisti già presenti con installazioni permanenti sul territorio morteronese e di artisti che hanno partecipato alle mostre organizzate dall’Associazione nel corso degli anni, sia a Morterone sia in spazi pubblici in Italia e all’estero. Nelle diverse sale si susseguono i lavori di maestri dell’arte contemporanea italiana e internazionale, attivi sin dalla metà del XX secolo quali Rodolfo Aricò, Gianni Asdrubali, Francesco Candeloro, Nicola Carrino, Enrico Castellani, Lucilla Catania, Alan Charlton, Carlo Ciussi, Gianni Colombo, Dadamaino, Riccardo De Marchi, Riccardo Guarneri, Lesley Foxcroft, Igino Legnaghi, François Morellet, Mario Nigro, Pino Pinelli, Bruno Querci, Ulrich Rückriem, Antonio Scaccabarozzi, Nelio Sonego, Mauro Staccioli, Niele Toroni, David Tremlett, Günter Umberg, Grazia Varisco, Elisabeth Vary, Michel Verjux e Rudi Wach. In particolare Maria Mulas espone opere fotografiche, dal titolo “Ri-tratti” relative ad alcuni protagonisti che hanno operato a Morterone ed immagini del fotografo Luigi Erba dal titolo “Frasnida”. Un’altra sezione è dedicata alle attività svolte per il recupero della memoria storico-culturale di Morterone, con l’esposizione dei progetti-visione e sculture dell’artista Rudi Wach per il recupero della locale Chiesa Santa Maria Assunta. In occasione della mostra viene pubblicato un libro riguardante i vari aspetti dell’attività dell’Associazione Culturale Amici di Morterone, attraverso studi realizzati per l’occasione, documenti storici e materiali fotografici ed un video documentario. Il volume, a cura di Epicarmo Invernizzi e Francesca Pola si avvale anche dei contributi di Massimo Donà, Paola Fenini,

Daria Ghirardini, Chiara Mari e Antonella Soldaini e dei testi di: Giovanni Maria Accame, Giorgio Bonomi, Elisabeth Bozzi, Claudio Cerritelli, Lorenzo Mango, Enrico Mascelloni, Mauro Panzera, Francesco Tedeschi, Elmar Zorn ed altri autori. (c.s) Un lavoro di David Tremlett a Morterone

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 57


Molfetta, Centro Storico

Luigi Mainolfi Il Sole e altre storie

T

ra tradizione e innovazione, il lavoro di Luigi Mainolfi continua a provocare riflessioni su quelli che sono la funzione della scultura e il ruolo dello scultore. “Ancora oggi penso che il mio lavoro è sperimentazione – va ripetendo l’artista – come se ancora mi stessi affinando e preparando per un altro tipo di lavoro: credo che l’esperienza serva a questo, io non mi fermo sul lavoro già fatto, il mio sogno è realizzare ancora di più, arrivare a quel momento dell’esistenza per la quale ho sempre lottato, come quelli che hanno fede in qualcosa, anche se so che non arriverà mai, però questo tentativo di salire o scendere o volare appartiene al mio lavoro”. Attento all’aspetto antropologico dell’arte più che a quello psicologico, con sguardo interrogativo bilanciato tra astrazione e figurazione, entrambi connotanti una plastica tormentata e irrequieta sempre protesa verso una particolare percezione del naturale, lo scultore rivaluta il valore della forma intesa come fulcro di un processo di trasformazione che essa stessa innesca. Poi, la spontaneità del gesto, l’aderenza al materiale usato (ceramica, terracotta, ferro, acciaio ecc.), fanno il resto. E, come precisò Dorfles, si coagulano attorno alla caccia di misteriosofici significati occulti, di indubbia matrice simbolica: forse ancestrale, legata a un’aderenza con la natura e con la natura della terra. La mostra di Molfetta, a cura di Gaetano Centrone (patrocini: Regione Puglia, Accademia Belle Arti di Bari, Provincia e Comune), ci aiuta a mettere a fuoco un percorso artistico ricco e articolato, proponendo opere importanti collocate in un gradevole itinerario cittadino. Quattro le grandi installazioni presentate, più una sezione documentaria video-fotografica. Nel Torrione Passari è collocata “Solsud dai capelli al vento” (2014), opera esposta in questa versione per la prima volta: una grande forma sferica che lancia centinaia di lunghi e attorcigliati raggi neri attraverso pareti, soffitto, pavimento, determinando una spazialità virtualmente infinita, dilata e mutabile, dove i raggi-capelli autosorreggono il pesante volume scultoreo sfidando ogni legge di gravità. Nell’area circolare prospiciente il

mare, nella parte più bassa dell’antica costruzione, l’installazione “Colonne di Maggio (Arpie Cina)” propone tre slanciate e sottili colonne in terracotta coperte da candide vesti femminili che paiono intonare un pericoloso e muto coro di sirene. Sulla cima del torrione, l’opera site-specific “Per quelli che volano” (2014) mostra una panchina in ferro affacciata verso il mare, allusione al pericoloso passaggio dall’atteggiamento contemplativo e malinconico del viandante/viaggiatore che si riposa godendo del panorama all’atteggiamento provocatorio (e disperato) di chi medita sul salto nel vuoto. Tra i vicoli del borgo antico molfettese, nella vicina Chiesetta Santa Maria de Principe è collocata “Nacchere il sud”, una monumentale installazione con bivalve vuote di molluschi giganti in acciaio dipinto, con forma scura di goccia e unite a grappoli, omaggio ironico ad un gigantismo perturbante della natura marina. Completa la mostra una sezione dedicata al video e alla fotografia (“Luigimio”, “Self portrait” ecc.) tesa a inquadrare il clima degli esordi performativi e concettuali degli anni Sessanta/Settanta, che Mainolfi interpreta con irriverente verve polemica. L’artista, nei fatti, non percorre soltanto i labirinti della natura – intrecciando magistralmente i sistemi del mondo inorganico e di quello organico, mai disgiunti da quello umano – ma si inerpica nei sentieri immateriali del pensiero, pur rifuggendo ogni sterile, superfluo mentalismo. Maria Vinella

Luigi Mainolfi, Sol Sud dai capelli al vento Luigi Mainolfi, Colonne di maggio

58 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Castello di Acaya, Lecce

Eva Caridi Bogumil Ksiazek

I

n un Salento contrassegnato da un crescente attivismo culturale; “scoperto” sempre più negli ultimi anni dal turismo internazionale; con un capoluogo, Lecce, che si candida come nuova “capitale della cultura”, un punto di forza è sicuramente rappresentato dagli spazi. Luoghi antichi bellissimi, che ristrutturati diventano fascinose location espositive, ideali per accogliere i segni del contemporaneo. È il caso del Castello di Acaya, una grande fortezza militare di epoca rinascimentale in carico alla Provincia, che ne ha affidato la gestione all’Istituto delle Culture Mediterranee con l’obiettivo di “rendere concreta la vocazione del Salento alla pace e al dialogo nel centro di quella parte di mediterraneo che guarda ad oriente”. In quest’ottica di confronto con l’altra sponda adriatica e di collegamento tra nord ed est Europa si colloca il progetto “Approdi” proposto dall’associazione A100 Gallery di Galatina, che esordisce con due artisti stranieri generazione anni settanta: Eva Caridi, greca di Corfù, e Bogumil KsiazeK. polacco di Cracovia, entrambi già con trascorsi ed esperienze in Italia. Sono due personalità creative molto diverse, che col supporto critico di Lorenzo Madaro si alternano in un percorso al chiuso, ma anche all’aperto. La grande terrazza affacciata su uliveti secolari, da cui lontano fa capolino il mare, accoglie infatti come ideale ingresso una grande installazione della Caridi, composta da una simbolica gabbia metallica e cinque cubi sempre in ferro, a rappresentare i cinque continenti, E’ un minimalismo caldo, carico di risonanze. Accentuate da un sottofondo sonoro con il rumore del mare che ci conduce fino ad un grande “Ulisse”, una scultura in gesso dove l’eroe s’incarna in realtà in sembianze goffe, molto umane. Il mito cerca così di attualizzarsi, carica il tema epico del viaggio di connotazioni prosaiche legate al ben più drammatiche migrazioni odierne. È questo il filo che collega anche i lavori di Ksiazek, eclettici dipinti in cui figurazione ed astrazione s’intersecano in superficie senza soluzione di continuità. E dove il richiamo a personaggi storici o mitici come Diogene ed Enea

s’innesta su ordinarie scene di vacanze marine, anonimi affreschi di un quotidiano grottescamente banale. Da segnalare, in questo contesto, è infine un intervento a latere, installato in un secondo momento: “Indians” di Michele Carone, una giocosa capanna indiana fatta però con remi colorati, che arricchisce la mostra occupando la sala circolare al piano terra. Antonella Marino

Bogumil Ksiazek, DIogene, olio su tela

Michele Carone, Indians

Eva Caridi

Eva Caridi, Installazione site specific, castello di Acaya. Ph. Samuele Mele

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 59


Galleria Bonelli, Milano

Lo Spettatore emancipato

C

ollettiva a cura di Angela Madesani, che nel proporre l’evento, ci anticipa parte del saggio in catalogo dichiarando come nel 2008 il filosofo francese Jacques Rancier ha dato alle stampe il saggio dal titolo Le Spectateur émancipé, un importante studio che, per altro, non è mai stato tradotto nella nostra lingua. Si tratta di una fondamentale riflessione sul mutamento del ruolo dello spettatore all’interno del sistema dell’arte e non solo. “Qui in mostra - scrive Angela Madesani - sono i lavori di nove artisti italiani con opere datate dagli anni Settanta a oggi. Da quel momento particolare, infatti, il ruolo di chi guarda è profondamente mutato. Lo spettatore nel corso del tempo, a partire dall’inizio del XX secolo, si è a poco a poco emancipato dalla passività alla quale è stato costretto da sempre, per occupare finalmente un ruolo attivo. In taluni casi da fruitore è divenuto partecipe alla creazione dell’opera con un conseguente annullamento del concetto di autorialità. Lo spettatore è parte attiva nella creazione dell’opera, ad esempio, nelle diverse Esposizioni in tempo reale di Franco Vaccari, realizzate

tra la fine dei Sessanta e gli anni Duemila, così anche per i lavori del Laboratorio di Comunicazione Militante, attivo nella seconda metà degli anni Settanta, e per gli Schermi di Fabio Mauri oltre, ovviamente, al concetto stesso di Manipolazione di cultura al quale l’artista ha dedicato uno dei suoi più significativi lavori. Lo spettatore si rende attivo anche di fronte agli Sehespass di Cioni Carpi, in cui l’immagine fotografica genera altri immagini grafiche. Legarsi alla montagna di Maria Lai del 1981, di cui è in mostra un video di documentazione, precede di almeno vent’anni il concetto di arte pubblica, di arte diffusa sul territorio, in questo caso la Sardegna, in cui le persone tutte sono chiamate a partecipare. Sempre in tema al cambiamento di rapporto tra spettatore e opera ci sono i lavori di Gianni Pettena, risalenti alla sua permanenza americana degli anni ‘70, dove si documentano lavori a metà tra arte pubblica, land art e architettura radicale. In mostra sono anche alcuni lavori recentemente realizzati come quelli di Tullio Brunone, incentrato su un raffinato concetto di interazione, e del giovane Alessandro Sambini in cui il pubblico è chiamato a partecipare direttamente alla costituzione dell’opera. Maurizio Bolognini, con la sua riflessione artistica e i suoi complessi lavori di arte generativa post-digitale, ci offre uno sguardo sul futuro rapporto operaspettatore”. (dal testo di AM)

Gianni Pettena, grazia e giustizia 3,1968, serie di 8 foto cm 12,7x8,7 cad. Fabio Mauri, Manipolazione di cultura 1971, reperti fotografici e acrilico su tela, cm 45x72x3

60 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014

Maria Lai, mappa celeste 1991 filo e ricamo su tessuto- 104x70cm


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Giacomo Cossio, Furgone bianco, 2014 Tecnica mista e collage su tevola, cm. 49x49x7,5

Giacomo Cossio, Camion bianco, 2014 Tecnica mista e collage su tavola, cm. 51x56x5.jpeg

Galleria Bonioni Arte / Reggio Emilia

Giacomo Cossio

I

l titolo della mostra, “L’ultima ruota del carro”, sottolinea, senza negarsi l’ironia, il ruolo centrale della macchina nella poetica di Giacomo Cossio (Parma 1974), l’artista che inaugura la nuova stagione espositiva della Galleria Bonioni Arte di Reggio Emilia. Una personale a cura di Chiara Canali e Niccolò Bonechi, con una ventina di opere a tecnica mista e collage su tavola, oltre ad alcune sculture polimateriche, tutte realizzate dal 2008 a oggi. Catalogo disponibile in galleria (Ed. Bertani, 2014). I soggetti privilegiati dall’autore parmense restano nel tempo le macchine edili e gli automezzi, caratterizzati da una maggiore ricerca di sintesi rispetto alla produzione precedente. E sedimentano esteticamente, tanto che a cominciare dal titolo non manca il riferimento a Van Gogh, alla sua vicenda personale e al suo profondo senso del colore. Lo sguardo all’olandese che rese uniche le sue espressioni sofferenti, Cossio l’aveva volto già nel 2003 con “Ti ricordi i Girasoli, Francesca?”, quando le corolle di un passato personale entrarono concretamente nel presente fatto pubblico. Da allora, tanto sui fianchi delle macchine quanto nello sfondo, spesso è rimasto un giallo densamente inquieto, che si afferma per le impurità. Il paradigma, dunque, è sempre l’imperfezione, la distorsione sensoriale: il soggetto riprodotto diviene oggetto nell’istante in cui l’emotività dell’artista lo investe contaminandolo, a tratti lo calpesta, ma mai privandolo della funzione originaria, del significato condiviso. In questa maniera il significante si arricchisce di toni e, da un occhio all’altro, non si arresta, ma acquisisce movimento e spessore. L’ironia che s’intravede, invece, nell’approccio con il reale è l’effetto della rassegnazione di colui che per natura subisce gli eventi circostanti; benché egli non disperi come Van Gogh, ma liberi il peso del fato creativamente. La ricerca di Cos-

Giacomo Cossio, Macchina, 2011, tecnica mista, cm. 39x21x8

Giacomo Cossio, Verde, 2014, tecnica mista e collage su tavola, cm.77x103x7

sio nasce dalla volontà di ristrutturare la realtà oggettiva attraverso stratificazioni, sovrapposizioni e assemblaggi di materiali differenti. Fotografie, fotocopie, schiume e fiori sintetici sono gli elementi che compongono i suoi collage oggettuali, dai paesaggi artificiali (rivisitazioni del tema della natura morta) alla ricostruzione di ruspe e scavatrici, scomposte e ricomposte. Un lavoro che si estende anche alla figura umana, al paesaggio, agli oggetti d’uso quotidiano, riprendendo un tema caro alla Pop Art. Soluzioni scultoree e architettoniche che, mediante un uso tridimensionale dello spazio, portano l’artista alla realizzazione di opere aggettanti e sporgenti. Matteo Bianchi OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 61


Civitella del Tronto

Visione territoriale

“V

isione” si riferisce a chi vede una cosa per esaminarla, a chi scruta nei dettagli per trarre nozioni o per scorgere nuovi aspetti. Il gesto della visione va oltre il semplice guardare, è un atteggiamento dedito alla scrupolosità e alla dedizione di ciò che si ha davanti. Questo termine è il fulcro del progetto espositivo che si svolge presso la Fortezza di Civitella del Tronto ormai da tre anni e che, per questa edizione 2014, ha coinvolto anche la città di Teramo con la mostra Visione - Enzo Cucchi presso L’ARCA-Laboratorio per le arti contemporanee (a cura di G. Di Pietrantonio e U. Palestini). Tutto si muove attorno alla ceramica, il che spiega l’altro termine “territoriale”. Infatti, proprio in Abruzzo e a non troppi chilometri di distanza dalla Fortezza Borbonica di Civitella, sorge Castelli, un piccolo centro in cui si tramanda di generazione in generazione una delle più antiche tradizioni ceramiche d’Italia. Così, proprio nel luogo in cui si è versato sangue per la difesa della terra, la mostra Visione Territoriale, curata da Giacinto Di Pietrantonio, ha portato alla ribalta un materiale tanto antico, quanto attuale e con sé il significato antropologico di tradizione e ritorno alle origini. Disseminati tra le spesse mura delle antiche celle dei soldati, dieci lavori in ceramica tutti realizzati nelle botteghe di Castelli, brillano per superficie e per varietà di colore tra le porte e le feritoie della dura pietra con cui è costruita la Fortezza: sono le opere di Gabriele Di Matteo, Anna Galtarossa, Daniel

Gonzàlez, Mark Kostabi, Ugo La Pietra, Alfredo Pirri, Luca Rossi, Matteo Rubbi, Giuseppe Stampone, Vedovamazzei. Il materiale ceramico diviene il mezzo con cui l’artista è stato chiamato a confrontarsi per allargare i propri orizzonti in termini di possibilità progettuale, come nel caso dell’opera My Weakness di Vedovamazzei in cui la pila di materassi (conosciuta come motivo estetico nell’installazione dedicata a Fausto Coppi) è diventata oggetto da salotto e felice illusione di morbidezza e flessibilità. Fucina di sperimentazione, il processo artigianale delle ceramiche ha incontrato nel lavoro di Alfredo Pirri una declinazione pittorica nei mattoni tradizionali trattati e “ingentiliti” con la smaltatura come se fossero dei piatti o dei vasi da decorare. Se Ugo La Pietra ha da sempre lavorato la ceramica, in questa occasione è stata la prima volta che ha eseguito i vasi Bosco in città nella propria regione d’origine, introducendo al concetto di “territorialità” quello di “circolarità” inteso come, appunto, ritorno alla terra, alle origini. La sfida del contemporaneo è anche quella di confrontarsi con la tradizione per tramandarla o trasformarla, cosa che è possibile fare solo se si entra in familiarità con essa: in questo senso sono ardui i lavori di Daniel Gonzàlez e Anna Galtarossa poiché sono la traduzione “artigianale” di un linguaggio artistico estremamente variegato: il primo ha pensato alla ceramica come ad un cartone-contenitore di ricordi, un Time Box, da sotterrare e contenente una pianta di pomodoro e una statua antica, mentre Galtarossa ha sondato le estreme possibilità di realizzazione ceramica producendo un Totem che si origina dalla borsetta di una donna (ovviamente in ceramica!). I laboratori di Castelli per certi aspetti sono anche luoghi in cui si trovano le rovine della ceramica

Mark Kostabi

Vedovamazzei, My weakness, 2014, ceramica di Castelli, photo by Giampiero Marcocci - Visione Territoriale- Fortezza di Civitella del Tronto

62 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Giuseppe Stampone, Maneggiare con cura, 2014, ceramica di Castelli, photo by Giampiero Marcocci - Visione Territoriale- Fortezza di Civitella del Tronto

stessa. A causa della fragilità del materiale, ogni officina ha conserva grandi quantità di cocci e utensili ceramici incompleti. Partendo da questa osservazione, Mark Kostabi ha concepito le quattro sculture Eternal embrace in termini di “archeologia”, includendo in ogni base frammenti di altre opere ceramiche. L’aspetto più tradizionale della ceramica di Castelli è la decorazione spesso proposta in termini floreali o paesaggistici e in vari colori. Nel lavoro Maneggiare con cura di Giuseppe Stampone invece, la ceramica viene riscoperta come materiale puro e candido, capace di veicolare l’essenzialità dell’impianto modulare e in quello di Gabriele Di Matteo cattura la tridimensionalità astratta della riproduzione di un’opera di Pollock

andata perduta ed esistente solo nella pagina di un catalogo, Rape of Europa. Matteo Rubbi ha concepito la ceramica nella sua essenza originaria: la terra; Isole sotto il letto sono delle riproduzioni plastiche di isole realmente esistenti. Tutta la mostra si sviluppa attraverso un dialogo serrato tra arte e artigianato, arte e territorio, arte e progettualità, arte e mezzo, costruendo un felice incontro tra tradizione del passato e linguaggio contemporaneo. In tal senso, valga per tutte l’opera del misterioso artista del web Luca Rossi che con IMG 3733 ha riprodotto in ceramica la sigla casuale di un video qualsiasi caricato su youtube tramite i-phone. Giuliana Benassi

Alfredo Pirri, Senza titolo, 2014, ceramica di Castelli, photo by Giampiero Marcocci - Visione Territoriale- Fortezza di Civitella del Tronto

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 63


Davide Controni, Sancta Agnes e Emerentiana. 2010, tecnica mista su blue jeans

Enrico Minguzzi, Incanto, 2014, acrilico ed olio su tela, cm 80x60 Angelo Bucciacchio, Black hole, 2013, gommapiuma e luci led, 14x100x100 cm

Monteprandone

ACCESA! Arte illuminata

“F

ate che io veda le cose quali sono. Che niente mi abbagli” recita un pensiero di Teresa di Lisieux, che suona come una preghiera di verità. Abbracciando il tema della luce intesa come mezzo per indagare la realtà e strumento di discernimento, la quarta edizione di ACCESA! Arte illuminata di Monteprandone ha messo in scena nove artisti Josè Angelino, Angelo Bucciacchio, Davide Controni, Federica Di Carlo, Simone Millo, Enrico Minguzzi, Davide Monaldi, Alice Paltrinieri e Leonardo Petrucci, alla regia Giuliana Benassi. Le stanze ipogee del palazzo storico Parissi di Monteprandone assomigliano un po’ ad una discesa verso una dimensione altra. La bellezza quasi cavernicola dello spazio e l’incedere nella penombra tra opere di vario genere e uniche fonti d’illuminazione per lo spazio, fa tornare alla mente il famoso mito della caverna de La Republica di Platone dove la luce e la penombra non erano altro che metafore del concetto di verità e di opinione. L’eterna discussione e la conturbante perplessità sulla percezione della realtà, la lotta nella presa di coscienza tra ciò che si vede realmente e ciò che si pensa di vedere, sono stati gli interrogativi sui quali si sono inerpicati gli artisti, trovando una risposta (ciascuno con due lavori) lungo la via della propria

Alice Paltrinieri, Pavimentazione 01, olio e acrilico su tavola, cm 200x250, 2014 Alice Paltrinieri, Suture, cartoni riciclati e filo, cm 180x110, 2013 Simone Millo, MangiAvorare, 2014, installazione

64 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Federica Di Carlo, Ogni cosa è illuminata#4, 2014, installazione

ricerca personale e attraverso il proprio linguaggio. Così, gli interventi di Josè Angelino trattano la materia assecondando le leggi fisiche con una logica estetica: il gas è luce e disegno; l’acqua sulla putrella di ferro crea in virtù della caratteristica natura molecolare, dei giochi di luce e l’illusione di consistenze diverse dallo stato liquido. Angelo Bucciacchio esplora nella scultura Blake Hole, come anche nei disegni, i “vuoti” della memoria, intesi come impercettibili stati di assenza di luce, mentre Davide Controni indaga pittoricamente la luce dell’interiorità attraverso i corpi nudi delle sante martiri. Federica Di Carlo rende la luce calpestabile con un arcobaleno orizzontale che traccia sul pavimento una linea fino a verticalizzarsi sulla parete per colorare una scultura e segnare il limite o il superamento di esso. Simone Millo traspone il romanticismo di una cena a lume di candela in fredda ironia sul

Josè Angelino, senza titolo, 2014, ferro e acqua, foto di Claudio Lazzarini, particolare Enrico Minguzzi, La successione, 2014, acrilico ed olio su tela, cm 120x160

senso della vita e della morte attraverso il rapporto cibo-lavoro. Enrico Minguzzi esprime pittoricamente luce e buoio, come in Successione dove il mare notturno si apre alla luce attraverso i puntini che si susseguono secondo la legge Fibonacci. La verità come richiesta ossessiva e quotidiana trapela nel lavoro in ceramica di Davide Monaldi con l’altare coperto da 184 candele. Alice Paltrinieri riflette sulla vita degli edifici trovando nella luce che si scorge da ogni singola finestra o feritoia il segno di una vita. Leonardo Petrucci pensa alla luce come ad energia che influenza la materia. L’installazione Lontani Km, vicini anni luce gioca con l’alchimia della luce che si trasferisce da una lampadina attaccata alla corrente ad una riempita di fosforo come a voler creare un “equilibrio di luce” anche al buio. Maria Letizia Paiato

Davide Monaldi, Santuario, 2014, 184 candele realizzate a mano in ceramica smaltata, mensola in legno,dimensioni candele (variabile), dimensioni mensola, 345cm, foto di Claudio Lazzarini Leonardo Petrucci, Der Mond, 2014, tela nera su tavola, 130x130 cm

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Luigi Presicce, Allegoria astratta dell’atelier del pittore all’inferno tra le punte gemelle, 2014, performance per un solo spettatore per volta, accompagnato. Teatro Studio, Scandicci (FI). Foto Dario Lasagni. Courtesi l’Artista.

Teatro Romano di Lecce

Luigi Presicce Il giudizio delle ladre

L’

immaginario visionario di Luigi Presicce è stato definito dalla critica l’immaginario di un mistico contemporaneo dell’arte. Nei fatti, da qualche anno, l’artista mantiene una posizione molto personale nel mondo artistico. La sua pratica espressiva – che dopo l’esordio con la pittura è passata progressivamente alla performing art – coniuga etica ed estetica accolte, entrambe, in un terreno denso di simbologie in bilico tra santità e magia, incroci di sacro e profano, iconografie teatrali e coreografie rituali, spazi della liturgia e citazioni dalla storia dell’arte. Ogni opera è luogo filosofico a-storico e a-logico, visione del mondo e costruzione di mondi. “L’arte è parte della costruzione della storia dell’uomo – afferma lo stesso Presicce – Ogni civiltà ha avuto una sua storia legata ai propri manufatti e per mezzo di questi è stata raccontata. L’arte di oggi è testimonianza del nostro tempo e della nostra civiltà, chi verrà dopo di noi proverà a decodificare quello che abbiamo lasciato, all’artista spetta il ruolo di tradurre i misteri e la bellezza del mondo che conosciamo”. Fuori da ogni relazione con le catagorie temporali del reale, l’artista leccese crea raffinati tableaux vivants e intense azioni performative per un pubblico costituito da pochissimi spettatori. Come accade sin dai primi interventi del 2007/2009, ogni opera cerca di sollecitare un rapporto differente con l’osservatore, invitato ad assumere atteggiamenti di meditazione, ad entrare in atmosfere di sospensione emotiva accuratamente definite dall’artista-sciamano (in rari casi, gli interventi non prevedono alcuna partecipazione di pubblico). Tra azioni sceniche, quadri viventi, video e fotografie, il suo lavoro

rende omaggio a personaggi della storia e della cronaca nell’ambito di scene dell’arte sacra e profana d’epoca medievale o rinascimentale (Giotto, Piero della Francesca, Paolo Uccello ecc.). Dalle costruzioni di repertori allegorici, resi con “lucidità ieratica, intimità, solennità” (Barbara Gordon), riemergono ricordi infantili e allusioni antropologiche, immagini popolari e atmosfere surreali. Nel 2007, con la Sonata n.1 interrotta, nella Chiesa di San Francesco a Como, Presicce realizza la prima performance. Ne seguono altre nel 2009 (C’è splendore, piazzetta Antonio Panzera a Lecce; Topo rosso, in via Settembrini a Milano; Il Mago di Cefalù, al Preparco di Fiumicello). L’anno successivo, le azioni performative sono numerose sia in luoghi pubblici che privati (ricordiamo Monsieur Osiris, Cappella Guglielmo Tell, a Losanna; Tabula Luciferina, O’ Artoteca, Milano; Janny Haniver show, Fondazione Claudio Buziol, Venezia; alcune performances a Monteroni di Lecce e altre realizzate in abitazioni private a Milano). Nel 2011 oltre a vari interventi in spazi italiani, crea Allegoria astratta dell’atelier del pittore all’inferno tra le punte gemelle, per il Reims Festival Scènes d’Europe, FRAC Champagne-Ardenne, e per il Thessaloniki Performance Festival, Andreas Voutsinas Theater di Salonicco. Nel 2012 in un programma di residenza in Svezia realizza Sant’Elena ritrova e riduce in pezzi il Sacro Legno (Watershed/Intramoenia Extra Art), e L’età del ferro (con Luigi Negro), al Theatre de l’Octagone a Losanna; inoltre progetta performances per il MACRO e il MADRE. Nello stesso anno sviluppa la memorabile performance per un pubblico rinchiuso nella Chiesa leccese di San Francesco della Scarpa, intitolata Atto unico sulla morte in cinque compianti. Ideata in ricorrenza del decennale della morte di Carmelo Bene, l’azione utilizza i costumi di scena del Maestro. “Ho iniziato così a riflettere sull’idea di compianto nella storia dell’arte scegliendo quattro scene tratte da affreschi del Trecento/Quattrocento e a

Sopra il titolo, in alto e qui sotto: Luigi Presicce e Maurizio Vierucci, Il giudizio delle ladre, 2014, performance aperta al pubblico. Teatro Romano, Lecce. Foto Luigi Negro. Courtesy l’Artista e Teatro dei Luoghi Fest.

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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

pensare a un omaggio al suicidio di Kurt Cobain come modello di bellezza. […]. Le scene (cinque tableaux vivants) si sono composte alla presenza del pubblico costretto in uno spazio delimitato nella navata della chiesa. Attraverso una forma di defilè, i quattro altari laterali di San Francesco della Scarpa sono stati occupati, seguendo un ordine, da trentotto adolescenti non attori che, sotto la mia direzione, hanno composto i quattro compianti di Giotto, Maso Di Stefano, Pietro Lorenzetti e Beato Angelico. Sull’altare principale invece un musicista, Oh Petroleum, ha esordito fin da subito con un fucile in bocca accompagnando poi l’uscita del pubblico con Pennyroyal tea, un pezzo dei Nirvana, neanche questo scelto a caso”. Nel 2013, tra le altre, realizza Le Tre Cupole e la Torre delle Lingue (Le storie della Vera Croce), al Palazzo Daniele di Gagliano del Capo. Alla performance organizzata dall’Associazione Capo d’Arte può assistere uno spettatore per volta, e per soli due minuti. Anche alla Galleria Bianconi per L’invenzione del busto (Le storie della Vera Croce) può accedere uno spettatore alla volta, accompagnato. Del 2014 è Allegoria astratta dell’atelier del pittore all’inferno tra le punte gemelle (PIECE – Percorsi della performance, Teatro Studio Scandicci di Firenze) e La caduta di Atlante con Legno a lato diritto e gallo a lato manco (ARTDATE, Chiostro Convento di San Francesco di Bergamo). Invece, Il giudizio delle ladre (con Oh Petroleum/Maurizio Vierucci), è una complessa opera pubblica realizzata al Teatro Romano di Lecce nell’ambito della sezione arti visive del Teatro dei Luoghi Fest di Koreja. Curata da Marinilde Giannandrea, al confine fra teatro e performance, con la collaborazione di trenta

giovani studenti d’arte, mette in scena iconografie derivate dalla rilettura di cicli di affreschi medievali cristologici. E tra simbologie mistiche e realismo fantastico, per la prima volta alla presenza di una vasta platea, definisce un multiverso artistico sospeso fra visionarietà e invenzione. Il progetto è concepito come un’azione in quattro atti – della durata di circa dieci minuti e ripetuta per un’ora – su un impianto iconografico e narrativo ispirato ai dipinti di Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova, raffiguranti gli ultimi giorni di vita di Gesù Cristo: La flagellazione, Il bacio di Giuda, Cristo davanti a Caifa e Pentecoste. L’artista nelle vesti del sommo sacerdote Caifa, giudice dal volto bianco, dal suo trono sui gradini romani fra bilance della giustizia-metro di colpe e punizioni, regola la mischia che si svolge tra cavea e orchestra: un gruppo di punitive gazze ladre (gli studenti coinvolti) in tunica nera e improvvisati sonagli assediano Giuda e Cristo uniti in un abbraccio che ricorda il Giotto della Cappella degli Scrovegni a Padova. Come scrive la curatrice, sfuggendo alla logica palese del linguaggio comune, l’opera delimita una densa e perturbante condensazione di significati che acquista tempo e senso propri, disancorati da quelli del reale. Numerosi i progetti in programma quest’anno: una personale dal titolo Ermete su carta, in ottobre a Roma da Zoozone Artforum; una nuova performance dal titolo La corona di chiodi della madre, in dicembre a Pesaro da Pescheria. Poi ancora una performance al teatro Verdi di Milano … Un intervento espositivo a Mosca. Una personale a Madrid nel contesto di un progetto curatoriale di Marina Fokidis a Summa … Luigi Presicce procede nei suoi percorsi di ricerca con risonanza sempre maggiore. Maria Vinella

Galleria “Il ritrovo di Rob Shazar, Sant’Agata de’ Goti

Domenico Borrelli, Nerea (2)-8

Domenico Borrelli

L

a personale dell’artista torinese Domenico Borrelli, presentata alla galleria il Ritrovo di Rob Shazar l’estate appena trascorsa, è la seconda, dopo otto anni, con un nuovo sorprendente progetto curato da Marianna Bacci e Alessandro Demma. “In -Fuori” prosegue l’indagine sul corpo umano e sulle implicazioni identitarie che l’artista porta avanti da tempo. Nel testo che accompagna la mostra i due curatori scrivono: Attraverso questa rappresentazione del corpo e delle sue forme essenziali, l’artista torinese costruisce una riflessione teorica sui rapporti d’identità, d’interiorità e di memoria. La macchina umana non è più rappresentata dai suoi confini certi e tradizionali (la pelle, il viso, etc.), ma viene attraversata, “smontata” e indagata nella sua “inapparenza”. I suoi corpi si presentano in una condizione di continua metamorfosi, figure ibride in cui s’intrecciano parti di anatomie dalle dimensioni reali con elementi, organi e strutture del corpo umano ingigantite, da cui emerge la messa in discussione e una profonda analisi del “dramma” della funzione organica. Fulcro della personale due nuove installazioni Colonna e Nerea, una bianca e l’altra nera, la prima di genere maschile l’altra femminile. : La colonna vertebrale diventa uno dei protagonisti assoluti di questo processo di rappresentazione dell’essenziale, la spina dorsale viene rappresentata come un albero della vita, la “colonna” della memoria e dell’identità dell’essere umano. (c.s.)

Domenico Borrelli, Nera inversione-8

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MuMi, Francavilla al Mare (Ch)

Premio Michetti

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orreva l’anno 1947 e a Francavilla al Mare nasceva il Premio Michetti per onorare la memoria del pittore Francesco Paolo Michetti. “Fu tra i primi a sorgere in un momento in cui una guerra nefasta aveva addensato sul Paese un cumulo di rovine, di disgrazie e di lutti” (Marco Valsecchi, 1966). Sebbene il dramma di quegli anni non sia paragonabile all’attuale momento storico, il premio, giunto alla sua 65° edizione, si struttura rispondendo alla situazione contemporanea di crisi totale e culturale attraverso la tematica del cibo e dell’arte intesa come “alimento dell’anima”. L’argomento anticipa quello che sarà il punto di riflessione della grande manifestazione dell’EXPO 2015 e pone sotto i riflettori un tema ambivalente che induce ad un’analisi della corporeità dell’uomo tesa tra i due poli estremi del bisogno e del vizio. Tra i lavori di tanti partecipanti (Riccardo Ajossa, Giovanni Albanese, Sara Bandini, Antonio Barbagallo, Pierluigi Berto, Marina Bindella, Daniela Bozzetto, Matteo Bultrini, Aurelio Bulzatti, Leonardo Cambri, Alfonso Cannavacciuolo, Sauro CarXLVII Premio Vasto di Arte Contemporanea

L’icona ibrida

Francesco Guerrieri, Trittico verso l’Infinito, 2014: Aurora, Giorno, Tramonto. Acrilico su tela 50 x 100 (cad.)

dinali, Filippo Ciavoli Cortelli, Luca Coser, Elisabetta Diamanti, Stefania Fabrizi, Roberto Ferri, Michela Forte, Fathi Hassan, Paolo Iacomino, Pierluigi Isola, Ana Kapor, Paolo La Motta, Alessandro Lato, Paolo Laudisa, Andrea Lelario, Riccardo Luchini, Enrico Luzzi, Giovanni Maranghi, Andrea Martinelli, Mauro Maugliani, Licinia Mirabelli, Giuseppe Modica, Mariano Moroni, Stefano Mosena, Beatrice Nencini, Giorgio Ortona, Pierfranceschi Maurizio, Giosuè Ripari, Raffaele Rossi,Sandro Sanna, Antonio Sannino, Doriano Scazzosi, Vincenzo Scolamiero, Elvezio Sfarra, Franco Sinisi, Anna Skoromnaya, Giuseppe Nicola Smerilli,Gloria Sulli, Francesco Verio, Virgilio, Antonello Viola, Andrea Volo, Cordelia von den Steinen, Alfredo Zelli) la giuria composta da Roberto Grossi, Presidente della Accademia di Belle Arti di Roma, Franco Marrocco, Direttore della Accademia di Brera, Lucia Arbace, Sovrintendente per i Beni storici, architettonici ed etnoantropologici d’Abruzzo, Grazia De Cesare, Docente di restauro dell’Accademia di Belle Arti Dell’Aquila, responsabile del progetto Conservazione Premi Michetti, Vincenzo Centorame, Presidente della Vincenzo Centorame, Presidente della Fondazione Michetti, Antonio D’Argento, Segretario Generale, ha assegnato il Premio Michet-

I

ti alla carriera a Nicola Giuseppe Smerilli; il sessantacinquesimo Premio Michetti ex aequo a Vincenzo Scolamiero, Ana Kapor e Andrea Lelario; il Premio Pastificio Cocco ex aequo a Giovanni Albanese e Paolo Laudisa; il Premio “ Dante Ruffini e Maddalena Pettirosso” a Sandro Sanna. I plurimi linguaggi e i diversi approcci al tema del nutrimento, hanno fatto del percorso espositivo un itinerario in cui si è potuto snocciolare la complessità dell’ar-

l fascino dell’ambiguità è irresistibile. Spesso coincide con il mistero o con qualcosa che ha a che fare con la compresenza degli opposti in un unico armonico. Diceva Emily Dickinson “sono tutto e il contrario di tutto”, mentre Walt Whitman “sono ampio, contengo moltitudini”. Con una chiave che assomiglia a quella destinata a schiudere un misterioso portone, il XLVII Premio Vasto di Arte Contemporanea “L’icona ibrida. Forme in transito dall’invisibile al visibile” (a cura di Gabriele Simongini) ha aperto gli spazi delle Scuderie di Palazzo Aragona di Vasto alle opere di molti artisti - Sabina Alessi, Vasco Bendini, Marco Brandizzi, Fausto Cheng, Bruno Conte, Peter Flaccus, Andrea Fogli, Antonio Fraddosio, Bruno Gorgone, Marco Grimaldi, Francesco Guerrieri, Andrea Lelario, Marcello Mariani, Claudio Marini, Matteo Montani, Gianluca Murasecchi, Fabio Nicotera, Maurizio Pierfranceschi, Roberto Piloni, Reinhard, Vincenzo Scolamiero, Mariantonietta Sulcanese, Alberto Timossi-Simone Pappalardo, Stella Tundo, Giorgio Vicentini, Alfredo Zelli - che in qualche modo

incarnano per versatilità di linguaggio e varietà d’espressione un unico potente flusso informe capace di contenere complessità e semplicità, stabilità ed instabilità, cultura individuale e culture plurali, ossessioni soggettive e pulsioni collettive. Sotto questo aspetto le “icone ibride” sono il riflesso di una società sempre più liquefatta (Z. Bauman), caratterizzata da incertezze e repentine inversioni di valore che si traducono in forme in transito che non rinnegano, ma assecondano la realtà priva di stabilità. Attingendo da un gergo quasi geologico, tutta la mostra è suddivisa in sezioni che, con la stessa fluidità del tema, sembrano scivolare davanti agli occhi dell’osservatore: Forme Fluide alla ricerca dell’Aura; L’ordine enigmatico; Le metamorfiche trasformazioni del segno; Materiale Immateriale; Senza specie; Slittamenti, corrispondenze e connessioni; Presenze inquiete, magmatiche. Con questa formula, quello che originariamente era un concorso, è ora diventato un appuntamento espositivo tout court per l’arte contemporanea in Abruzzo. Giuliana Benassi

Benevento, Museo Arcos

Museo beneventano e riferendosi al tema in maniera più o meno esplicita, pur mantenendo sempre un legame con l’io pelle, senza trascurare il rapporto con una città che di per sé evoca miti e magie.

Dentro e fuori la pelle

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elle sale espositive del Museo ARCOS di Benevento, la mostra “Dentro e fuori la pelle” a cura di Enzo Battarra e Ferdinando Creta, propone alcuni degli artisti di maggiore prestigio operanti nel territorio campano, artisti che sono delle vere e proprie eccellenze nel campo della ricerca contemporanea. Si è pensato di ospitare le loro opere in correlazione con il convegno scientifico al 53° Congresso Nazionale dei dermatologi ospedalieri a Benevento e utilizzare la pelle come metafora di superficie e di involucro, di separazione tra esterno e interno. Gli artisti invitati Antonio Biasiucci, Sergio Fermariello, Nino Longobardi, Perino & Vele, Ernesto Tatafiore hanno realizzato o selezionato lavori che in qualche modo sono site e topic specific, relazionandosi quindi alle caratteristiche architettoniche di un luogo suggestivo come il 68 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014

Ana Kapor

A sinistra, Ernesto Tatafiore, Senza titolo; sotto, Nino Longobardi, Installazione


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

gomento in chiave sia materiale che immateriale. Parallelamente al concorso, si è svolta la mostra “Call for Papers” con le opere di Franco Marrocco, Italo Bressan e Alessandro Savelli; curata da Giovanni Iovane: un omaggio alla pittura in presa diretta con quella rinascita pittorica che caratterizzò l’Italia negli anni Sessanta e che, sino ad oggi, ha continuato a resistere attraverso il filo sottile del legame con la tradizione. Giuliana Benassi Franco Marrocco

Fondazione Pino Pascali, Polignano-Bari

Fabrizio Plessi

XVII Edizione Premio Pascali

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i intitola emblematicamente “Plescali” l’omaggio all’immaginario pascaliano ideato da Fabrizio Plessi in occasione della mostra al Museo Pino Pascali di Polignano a Mare (Bari). L’imponente video-scultura, composta da tre cascate virtuali generate da 40 monitor che restituiscono l’emozione sonora e cromatico-visiva dell’acqua in vertiginosa caduta e in fragoroso scorrimento, è un’installazione site specific realizzata nella ricorrenza del Premio Pino Pascali alla sua XVII edizione. La video-scultura è dedicata all’acqua quale metafora di purificazione e di rinascita, e costituisce un esplicito omaggio a due opere di Pino Pascali, “Cascate” del 1966 e “Confluenze” del ’67. Come Pascali, dunque, anche Plessi dichiara apertamente il proprio amore poetico per l’acqua: “Amo le onde che spazzano via le secche del nostro quotidiano e della sua banalità. Non si può vivere non creando onde, bisogna sempre agitare le acque”. Artista eclettico e amante delle sperimentazioni tecnologiche più spericolate, l’artista veneziano ha sempre adoperato

nel suo lavoro diversi media e passando dal cinema alla tv, dal video all’ambientazione, al teatro, alla moda ecc., ha dimostrato in ogni tappa del proprio lavoro la necessità di manipolare tecnologicamente la materia. Anche il video è stato considerato una materia come la pietra, il marmo, il carbone, la paglia, il fuoco, l’acqua … Anzi, per Plessi il video è stato non solo una tappa storicamente determinata nell’evolversi delle tecnologie dell’immagine, non solo occasione di poetica innovativa, ma – come scrive Marco Senaldi – un luogo autonomo di coagulazione creativa e “un vero e proprio topòs perfettamente isolato e autosufficiente, insomma un linguaggio espressivo la cui dignità è, per paradossale che possa apparire, esattamente pari a quella di altre forme che ci sembrano più nobili solo perché temporalmente più cospicue, come la scultura, la pittura, il mosaico o il cinema.” “Barbaro” e “archeologo” delle tecnologie – come lui stesso si è definito – Fabrizio Plessi si è costantemente occupato di scultura elettronica, pensiamo alle installazioni degli anni Settanta, come “Gabbia d’acqua”, alle prime videosculture come “Mare orizzontale” del 1976, alle installazioni più monumentali e spettacolari degli anni Dieci del Duemila. Frequentemente, al centro della propria ricerca espressiva, l’artista ha messo l’acqua. Ovvero una materia immateriale, metafora “liquida” della liquidità della nostra epoca (Bauman). Un’acqua che non bagna eppure inonda gli occhi e il pensiero, riempie l’emozione e la percezione, con la proteiforme e demoniaca (Nietzsche) capacità di essere ad un tempo corporea e incorporea, di riempire il mondo e di riempire noi stessi, umor vitreo che permettendo il passaggio della luce illumina e colora le nostre visioni del mondo. Elettroniche e non. Maria Vinella

Fabrizio Plessi, Il flusso della memoria

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Palazzo Wolkenstein, Trento

Michelangelo Galliani Andrew Gilbert

D

ue gallerie trentine, Buonanno Arte Contemporanea e Studio d’Arte Raffaelli, hanno organizzato una doppia personale di Michelangelo Galliani e Andrew Gilbert dal titolo “Fiori e soldati”. Nelle suggestive sale di Palazzo Wolkenstein a Trento sono allestite le opere scultore di Michelangelo Galliani e quelle su carta di Andrew Gilbert, la mostra è la reinterpretazione di un progetto presentato l’estate scorsa a Forte Strino (TN) con un nuovo allestimento e alcuni lavori inediti, in cui i due artisti, in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale, si confrontano con il tema del dolore e della guerra. Il titolo della mostra “Fiori e soldati” allude e prende spunto da un’opera di Michelangelo Galliani: il ritratto mutilato di un soldato, candido nella rigidità del marmo, sostenuto, e quasi incorniciato, da una lastra di piombo con l’incisione di un fiore. Lo stesso apparente contrasto ricorre, come un richiamo, negli altri lavori di Miche-

Michelangelo Galliani, Buon compleanno, 2008 Marmo statuario di Carrara e ottone, 150 x 80 x 20 cm

Un lavoro di Pasquale Di Fabio (foto Graziana Garzone)

Andrew Gilbert, Vittorio Veneto, 1918, 2014 Acrilico, acquerello e penna su carta 40 x 30 cm

langelo Galliani, tra i disegni naturalistici su metallo e i corpi incompleti dei soggetti statuari, vittime innocenti della violenza umana. Nelle opere su carta di Andrew Gilbert i soldati inviati al fronte sono colti nella loro giovinezza: tratti dall’iconografia dei gloriosi manifesti propagandistici dell’epoca, dove senza discrimine erano utilizzate immagini di “bambini che giocano alla guerra” e scritte che inneggiavano alla vittoria, i soggetti realizzati dall’artista ne rappresentano a tutti gli effetti il contraltare e vivono cristallizzati nel loro triste teatro bellico. Solo i fiori, rossi di sangue e azzurri di speranza, che sbocciano tra la neve della Guerra Bianca, sembrano suggerire l’illusione di una rinascita. (c.s.)

Andrew Gilbert, Gott strafe das treulose italien, 1915, 2014. Acrilico, acquerello e penna su carta 30 x 40 cm

Michelangelo Galliani, Vergine degli inganni, 2014 Marmo Badiglio di Carrara e marmo Nero Marquinia 60 x 130 x 230 cm

Galleria Marconi, Cupra Marittima (AP)

le tele, mentre al centro della galleria, a terra, è stata realizzato un cerchio con i disegni, tutti 19x21 cm, in questo modo l’osservatore non solo si trova nella condizione di dover spostare lo sguardo ma anche di doversi piegare per poter cogliere al meglio la ricchezza dell’opera di Alfano. I soggetti sono i più vari, si va dai ricorrenti ritratti fatti al proprio figlio, fino alle spose, agli anziani, a persone eleganti, agli anziani seduti, ai bambini nel giorno della propria prima comunione, come a voler cogliere la complessità dell’uomo nelle varie fasi della propria vita, nell’intrecciarsi di giorni normali, ricorrenze importanti e riti di passaggio. L’opera di Giovanni Alfano rappresenta un’umanità nella sua calma apparente, una calma che nasconde una tensione emotiva che pervade le figure e le congela nell’istante in cui cercano di proteggersi celandosi allo sguardo e dando in questo modo maggiore risalto alla propria umanità. Dario Ciferri

Giovanni Alfano

N

el riprendere gli appuntamenti espositivi, la Galleria Marconi propone la personale di Giovanni Alfano a cura di Nikla Cingolani. con il titolo Opposizioni reali. La prima cosa che colpisce nelle opere di Giovanni Alfano è la grande forza suggestiva che i soggetti hanno. I soggetti sono persone rappresentate nel pieno della propria umanità, con le proprie fragilità, le chiusure, le incertezze, i dubbi. Qualunque sia la posa che le figure assumono non è mai possibile vedere la faccia, o perché raffigurate di spalle o perché hanno le mani che coprono il viso. Questo nascondersi che le figure hanno, appare come la ricerca di una via di protezione, un difendersi dall’esterno, un celarsi dentro sé. Ma proprio in questo nascondersi sta forse la rappresentazione umana più autentica. Sembra quasi che nelle tele di Giovanni Alfano si confrontino due forze in equilibrio e lotta fra loro, da una parte l’offrirsi allo sguardo e al giudizio dell’osservatore e dall’altro coprire il proprio sguardo per proteggersi dall’esterno e difendersi dalle brutture che si possono vedere. Le opere di Alfano sono tutte realizzate con una grisaille raffinatissima, un monocromatismo vellutato riportato sulla tela o nei disegni con una perizia tecnica e un’attenzione ai dettagli che riescono a dare una grande forza visiva alle opere che riempiono e invadono lo spazio circostante. L’installazione si sviluppa su due piani visivi, alle pareti sono state posizionate 70 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014

Giovanni Alfano, Per Meriam, 2014 olio su tela, trittico 90x40 cm, photo Stefano Capocasa

Cisterne Romane, Palazzi Duchi D’Acquaviva/ Atri (Te)

Alberto e Pasquale Di Fabio

Da padre in figlio

D

i Fabio e ancora Di Fabio. Un cognome che, nell’arco dell’estate appena trascorsa, abbiamo sentito nominare spesso. Un cognome per tutti noto e legato alla figura del giovane e brillante Alberto, da anni presente sulla scena artistica internazionale e fra i pochi italiani a essere rappresentato dal gallerista statunitense Larry Gagosian. Alberto Di Fabio, protagonista in questi mesi, di diverse personali dove si sono potute apprezzare moltissime tele della sua più recente produzione, ma in particolare un inedito video che, pregno di suggestionante intensità emotiva, narra la profondità di ‘pensiero’ sottesa alla sua opera, così il suo divenire ed essere artista, la cui forza e ispirazione la percepiamo, senza necessità di spiegazione alcuna, venirgli nel completo isolamento e nel contatto con gli elementi della natura che disegnano il paesaggio che lo circonda. Un corto che si chiude, infatti, con una bellissima scena dell’artista ripreso di spalle mentre contempla le montagne. Quasi un omaggio al mitico pittore tedesco Caspar David Friedrich, così Di Fabio dichiara apertamente che l’artista altra risorsa non ha che il proprio io spirituale, affidando al contempo il contenuto simbolico dell’opera alla natura e invitandoci, in un certo qual senso, a vivere l’esperienza del sublime. Di Fabio dunque protagonista ancora una volta. Ma in questa occasione Alberto non ha esposto da solo, ma con un altro Di Fabio: Pasquale, suo padre. A fornircene un’immediata spiegazione è il titolo stesso che ha accompagnato la mostra, evento speciale parte della rassegna Vagiti Ultimi,

Palazzina Azzurra, S.Benedetto del Tronto

THAT’S IT:

contemporaneità a confronto

O

rganizzata dalla Galleria Marconi da IS Gallery e da Marche Centro d’Arte, la collettiva THAT’S IT, titolo della mostra a cura di Nikla Cingolani, ha offerto la possibilità, attraverso i percorsi artistici di otto artisti marchigiani - Federica Amichetti, Attinia, Roberto Cicchinè, Rocco Dubbini, Armando Fanelli, Pierfrancesco Gava, Carla Mattii, Rita Soccio - di potersi confrontare con la contemporaneità e i tanti modi in cui può essere affrontata e raccontata. In questo percorso l’immagine e il concettuale sono stati accostati in maniera encomiabile per offrire una mostra di alto livello estetico. Due cose colpiscono immediatamente nelle installazioni: il tentativo di entrare in sinergia con l’ambiente della Palazzina Azzurra, luogo storico della vita, della cultura e del divertimento sambenedettese, e la scelta di non appendere opere alle pareti offren-


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

svoltasi ad Atri (TE) e giunta quest’anno alla sua terza edizione: Da padre in figlio. Una doppia personale dunque, curata da Lavinia Isailia, e che per la prima volta ha messo a confronto due generazioni di artisti, un padre e un figlio per l’appunto, la cui operazione ha rappresentato per Alberto, sia un omaggio all’arte del padre, con il quale ha esposto qui per la prima volta, sia un momento di rilettura e riflessione più generale sui cambiamenti di gusto e di ricerca che hanno interessato l’ambito delle arti contemporanee nell’arco degli ultimi quarant’anni. Pasquale Di Fabio, scomparso a Roma sedici anni fa, è stato pittore, scultore e anche architetto, versato, soprattutto agli inizi della sua carriera e per tutto il corso degli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, a un lavoro vicino all’ambito del realismo sociale. Dalla figurazione l’artista si è progressivamente spostato verso un’indagine più aniconica, fino alla produzione di opere stilisticamente ascrivibili al neo-futurismo; ricerca che presto abbandona per dedicarsi, dall’inizio degli anni Settanta in poi, allo studio di forme pure attraverso un uso razionale del colore e l’impiego di rigorose strutture geometriche. Una pittura e una scultura astratta quella di Pasquale Di Fabio dove, in particolare l’elemento della luce, intesa propriamente come materia e come tale utilizzata in virtù delle sue proprietà plastiche, è diventata la costituente sulla quale l’artista ha fissato, i canoni della propria ricerca estetica. Un interesse, quello per la

Un lavoro di Alberto Di Fabio (foto Graziana Garzone) Sotto: Pasquale Di Fabio fra le sue sculture

do una mostra pensata interamente di sole sculture, installazioni, video e performance. All’ingresso, quasi a volerci traghettare all’interno, troviamo l’installazione di Attinia, una barca spezzata e bruciata a cui si affiancano, quasi abbandonati, i remi con su scritti i versi danteschi. Nella sala adiacente sono presenti una serretta chiusa, realizzata da Rita Soccio, che ha al suo interno diverse piante da orto con un erogatore di deodorante da ambienti che spruzza regolarmente e intossica le piante con i suoi agenti chimici. È presente poi REfuSE un video, realizzato da Armando Fanelli, in cui l’artista si fa gettare addosso dei rifiuti, quasi volesse farsi carico dei disastri del mondo e cercasse di instaurare un nuovo rapporto con la natura, improntato su un rinnovato rispetto. Salendo al piano superiore troviamo una stanza con le opere di Roberto Cicchiné una croce di specchio stesa sul pavimento, che proietta verso l’infinito il dolore e la possibilità di redenzione, e due piccole saponette di marmo, con scritto PELLE e TESTA e dietro delle formule chimiche. L’installazione di Pierfrancesco Gava va ad intervenire nello spazio nella ricerca di un’armonia ideale realizzata attra-

Veduta dell’allestimento nelle Cisterne Romane

luce, una necessità d’indagine che avvicina la sua produzione artistica, a quella di molti degli amici artisti conosciuti a Roma, quali Alviani e Calderara, dalla quale, tuttavia, si evidenzia una sostanziale differenza. Le opere di Pasquale Di Fabio, sebbene evidentemente versate alla creazione d’immagini ‘illusorie’, grazie proprio allo sfruttamento degli effetti ottici derivati dalla modulazione della luce, e benché aperte all’indagine sui problemi di ‘sintesi’, mancano di quella totale e radicale ‘freddezza’ che attraversa buona parte delle coeve esperienze dell’epoca. Diversamente esse tradiscono la volontà, forse inconscia, ma tangibile dell’artista, di trattenere un ragguardevole e distintivo contenuto simbolico, dettato formalmente dalle linee e dai colori che, come raggi ascensionali, spingono e sostengono l’immaginazione verso una sorta di elevazione ‘spirituale’. Ciò pare molto evidente, ad esempio, nelle sculture di forma piramidale, dove in mostra si è potuta osservare una bella fotografia del pittore fra esse, collocate in uno spazio all’aperto, un’installazione ambientale, davanti alle montagne. È nello scarto di pensiero che si crea proprio nell’accostamento fra forma artistica, forma frutto della ratio umana e forma della natura; nell’ideale vicinanza fra le punte delle sculture e la vetta innevata che, ha luogo una giunzione sinaptica fra l’uomo-artista e l’invisibile. Sebbene siano moltissime le corrispondenze sul piano formale fra i due, molte le somiglianze se si osservano le opere più fortemente interessate al dato geometrico anche in Alberto, è forse più precipuamente questo, l’aspetto che accomuna l’opera di Di Fabio padre, a quella del figlio. Questa tensione mistica che si respira nell’osservare l’opera di entrambi, rende ancor più suggestionante

la mostra, ancor di più nel rileggere le parole che Pasquale diceva all’Alberto bambino e che l’artista adulto e affermato ricorda: parole che hanno disegnato in lui il fascino per il mondo in cui viviamo: «[…] noi siamo come quel trenino in lontananza di fronte a questo cielo stellato, siamo un granello di sabbia di fronte all’universo, ma la nostra mente è più grande dell’universo…e continuava: per vedere la luce pura, per parlare con Dio… Ci serve molta concentrazione». Parole che a leggerle, paiono così intensamente visibili oggi sulle tele di Alberto. Ad Mortem, ideata da Luciano Lupoletti e curata da Danila Martella, è stata invece la consueta collettiva che accompagna la rassegna “Vagiti Ultimi” sin dalla sua prima edizione, quest’anno incentrata su un tema delicatissimo, quello dell’Ante Mortem per l’appunto. Qui inteso però, come l’attimo che precede la fine del lavoro creativo, in tal senso la morte ideale di un’opera che, tuttavia, in questa specifica occasione si è fatto metafora del non-finito; dunque una proposta di opere che hanno lasciato aperta in chi osservava, la possibilità di un continuo dialogo. Rita Antonioli, Angelo Barile, Lorenzo Bartolucci, Domenico Bindi, El Gato Chimney, Stefano Ciaponi, Giuseppe D’Orsi, Rolando Fidani, Andy Fluon, Renato Giorgio, Enzo Guaricci, Nikos Gyftakis, Lupo&Ardo, Luciano Lupoletti, Pep Marcheggiani, Adam Martinakis, Carlo Moschella, Lucio Nespoli, Ciro Palladino, Sorin Purcaru, Paolo Repetto, Serena Salvadori, Flavio Sciolè, Juliane Shulz, Andrea Vannini, sono i 25 artisti che hanno affrontato il difficilissimo ma attualissimo tema proposto, mostrando una varietà di argomenti sui quali l’arte si è proposta di aprire una discussione, ovviamente non-conclusa. Maria Letizia Paiato

verso la ripetizione, idealmente infinita, dei motivi delle grate dei confessionali. Un intervento estetico che si avvale di un materiale povero come il cartone quasi a ricongiungere la religione alla sua essenza primigenia. Nell’ultima sala sono presenti poi Federica Amichetti con il video Mater Materia, un percorso ideale nel femminile, partendo da una bambina all’età adulta di molte donne di ogni etnia, fino alla possibilità di una nuova nascita. Carla Mattii presenta tre sculture della serie Type, tre fiori realizzati in polvere di nylon dall’innesto di parti di vari fiori, come a voler creare delle nuove specie botaniche e mostrare la possibilità di manipolare la natura ed intervenire su di essa. Come punto di raccordo di tutta la mostra c’è stata poi la performance di Rocco Dubbini, realizzata in collaborazione con la Cooperativa Sociale Meridiana. La performance ha visto alcuni migranti richiamare l’attenzione e dire nella propria lingua: “I marinai valgono più delle navi, ridateci i nostri morti”. A testimonianza dell’intervento sono rimaste le biografie dei migranti e il fischietto usato come richiamo e segnale di pericolo. Dario Ciferri

Carla Mattii e Federica Amichetti, installazione

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Vito Bucciarelli

doppiata ed inesorabilmente rovesciata! L’unica via di scampo era indicata, forse, dalla mucca Evangeline, (presente solo in video per motivi precauzionali), che (alludendo al mito di Europa, di cui Giove si era invaghito e, trasformatosi in toro, la rapì) poteva forse condurci verso una via di salvezza! Erano parte dell’evento: Voce Narrante Marta Bucciarelli, danzatrici Nicoletta Damiani e Antonella Martelli ed i Musicisti Stefano Barbati (chitarra), Davide Bernaro (percussioni), Giampiero Barbati (Sax), che hanno eseguito quale colonna sonora dell’evento un brano composto da Santana e dedicato ad un amico gravemente malato. “Io - dice Vito Bucciarelli - ho voluto dedicarlo alla nostra vecchia Europa, anch’essa gravemente malata!” (LS) Nelle foto di Roberta Pizzi, alcuni momenti della performance

EURO....Pà

U

na location insolita quella scelta da Vito Bucciarelli, per presentare un evento performativo con musica live e voce narrante, un video ed un’installazione. Si tratta di uno spazio, un mercato cittadino in uso, un luogo dove, per tradizione, agricoltori, contadini e cittadini s’incontrano ed in cui si svolge, col rito della domanda e dell’offerta, il Commercio. Vito Bucciarelli entra a far parte di questo sistema con l’offerta di prodotti radicati nel terreno della “Cultura artistica”. Il titolo dell’evento “Euro...pà”, sintetizza efficacemente la proposizione “cultural-politica” che riguarda un’Europa che sta scoppiando, che “rovescia” i suoi confini e la sua cultura, esemplificata con una sagoma in legno dell’Italia posta al contrario, (girata, come la pagina di un libro, sul rovescio, ed usata come mensa realmente riempita di pane e pesci, che gli spettatori hanno mangiato) e da una mappa dell’Europa fresca di pittura, Museo delle Genti d’Abruzzo / Pescara

Il tempo qui non vale niente Gli Abruzzi di Paul Scheuermeier e Gerhard Rohlfs fotografi 1923-1930

L

a Fondazione Genti d’Abruzzo, diretta da Ermanno de Pompeis, ha proposto, in occasione del convegno internazionale “L’Abruzzo dei contadini nelle inchieste etnolinguistiche di Paul Scheuermeier e Gerhard Rohifs” (organizzato dall’Università degli Studi de L’Aquila), una importante mostra di fotografia, dedicata ai due studiosi-fotografi svizzeri, curata e magistralmente allestita negli spazi del Museo delle Genti d’Abruzzo da Mariano Cipollini, in collaborazione con le competenze tecniche di Alessandra Moscianese, Francesco Perozzi e Paolo Dell’Elce. Si tratta di una selezione di stampe - reso Paul Scheuermeier e Gerhard Rohifs, Serrone

Paul Scheuermeier e Gerhard Rohifs, Civitaquana

disponibile dall’Archivio AIS dell’Università di Berna - tratte dal diario fotografico del passaggio in Abruzzo e territori confinanti dei due ricercatori, che esplorarono l’Italia contadina tra gli anni Venti e Trenta. Immagini - con alcuni pezzi già della collezione del Museo delle Genti - destinate a fissare la memoria di un mondo che stava per scomparire: scene di vita rurale, di fatica e di dolore, ma anche di piccole gioie e condivisione. La mostra, prima di Pescara, è stata proposta a Scanno, Palmoli, Castelli e Civitaquana, per riproporre scenari di vita passata nei territori dei comuni ospitanti. Scrive - tra l’altro - il curatore Mariano Cipollini nel testo in catalogo che accompagna la mostra: “Scene di vita contadina, donne impegnate in lavori domestici, oggetti composti in bell’ordine. Tutte inquadrature che, oltre a riproporci le sonorità pittoriche degli artisti abruzzesi tra la seconda metà dell’Ottocento ed il primo trentennio del Novecento, si impreziosiscono di citazioni che attingono direttamente dalla cultura artistica europea. Nature morte fiamminghe, rarefatte atmosfere alla Vermeer, contadini che lavorano i campi alla ma72 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

niera di J.-François Millet, ritratti che restituiscono finanche le sperimentazioni visive del neonato cinema muto prefigurando, in alcuni scatti, temi narrativi cari alla cinematografia del ventennio successivo. Evocatrici di antiche litanie, queste foto riescono, in pochi attimi, a trasportarci in un tempo dove passato e futuro coincidono. Liberando una modernità di linguaggio, atta non solo a testimoniare un apparente passato remoto, riescono a tracciare la strada per ricostruire una storia territoriale spesso interrotta dalla non memoria generata dallo spopolamento conseguente all’emigrazione. Ci permettono di far riaffiorare quella coscienza collettiva del “come eravamo” aiutandoci a comprendere che il non dimenticare è la chiave indispensabile per riconoscerci, con le nostre peculiarità, in quei valori universali non iscrivibili esclusivamente all’interno di una regione ma rintracciabili nella volontà che accomuna gli uomini nell’affermare un’universale dignità.” (dal testo di MC)

Paul Scheuermeier e Gerhard Rohifs, Palmoli Paul Scheuermeier e Gerhard Rohifs, Serrone Paul Scheuermeier e Gerhard Rohifs, Palmoli

Paul Scheuermeier e Gerhard Rohifs, Civitaquana

OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 73


Giuseppe Penone

2014 Praemium Imperiale for sculpture from the Japan Art Association 74 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014

Art Unlimited / Basilea

Giuseppe Penone, Matrice di linfa, 2008 Legno di abete, resina vegetale, terracotta, pelle, metallo Opera installata cm 127 x 4600 x 400 circa Courtesy: l’artista e TUCCI RUSSO Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice (TO) Foto: Sebastiano Pellion di Persano


documentazione A.A.M. Architettura Arte Moderna Extramoenia

Carceri d’invenzione

storia e storie dell’architettura delle istituzioni totali di Antonello Leggiero

A.

A.M. Architettura Arte Moderna avvia un nuovo progetto di ricerca rivolto a indagare il mondo delle istituzioni totali. Questa iniziativa denominata “Carceri d’invenzioni” s’inserisce all’interno del Progetto T.E.S.I. Tesi Europee Sperimentali Interuniversitarie, programma culturale ideato da Francesco Moschini, Vincenzo D’Alba e Francesco Maggiore, con l’obiettivo di riformulare, in ambito accademico, un dialogo critico tra differenti ambiti disciplinari attraverso argomenti di ricerca pluriennali, condivisi e contraddistinti da un valore progettuale, umanistico e scientifico. Il nuovo ambito di ricerca coordinato da Antonio Labalestra si concentra sugli spazi del potere, sottolineando come la memoria e la riscoperta del passato esplicitino il bisogno di ri-concettua-

lizzare la storia, distinguendo l’ideal-tipo “totalitarismo” dalle forme particolari di “spazi assoluti”, promuovendo una retrospettiva che, senza imbarazzi e giudizi morali, cerchi di inquadrare culturalmente le forme architettoniche e gli spazi animati dalla vitalità del negativo. Lo studio degli elementi tipologici, in questo caso, termina però il suo processo in un raggelamento che oggettiva i dati considerati fino a rintracciare, proprio nell’assenza della loro qualità individuale cui questi luoghi vengono consegnati, l’aspetto più riconoscibile e poetico del tipo stesso. Uno spazio circondato da un coro di voci che, in un’egemonia mentale di sottile crudeltà, riprendono a parlare la lingua, talvolta unica, ma spesso anche diversa da quella iniziale, così come unico e mentale è lo spazio letterario in

D. Idda, La storia della detenzione, 2013

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cui ogni pezzo trova un ruolo. Spazi che si consolidano a partire dal modello positivista ottocentesco con cui si arriva a una definizione sempre più certa, meticolosa e ossessiva dell’organizzazione che questi complessi architettonici devono avere, fornendo ai progettisti indicazioni dettagliate e soprattutto scientificamente indubitabili. Alla tipologia architettonica viene così attribuito il trionfo della grande utopia e delle promesse progressive delle scienze positiviste, attraverso le quali le istituzioni vengono rimodellate per la “funzione correttiva”. Ancora oggi, le difficoltà progettuali di questi ambiti, nascono rispetto all’organizzazione della vita degli individui in spazi ristretti che può essere riscattata mediante un loro processo di umanizzazione attraverso la ricerca di soluzioni tipologiche e tecnologiche più accoglienti: e ciò sia per gli spazi più intimi, sia per gli spazi comuni all’interno dei quali il soggetto dovrebbe ristabilire il proprio rapporto con la società. Non è però sufficiente ricostruire un quadro conoscitivo dell’idea architettonica delle istituzioni totali, attraverso percorsi paralleli e sovrapponibili, quali quelli dell’analisi storica, tipologica ed urbanistica, per ottenere una specifica conoscenza e generare un processo progettuale positivo. Si è consapevoli della necessità, invece, di usufruire anche di altre conoscenze che provengono da ambiti di molto differenti, nella convinzione che un problema che riguarda la qualità della vita di un’intera popolazione non sia delegabile al vaglio di un’unica disciplina, ma debba sottoporsi a un approccio olistico. In questo contesto, sono state condotte una serie di ricerche, laboratori progettuali e tesi di laurea presso il Politecnico di Bari e altri atenei italiani, come la facoltà di Architettura di Alghero e lo IUAV di Venezia, che prendono il via dalle teorie del controllo sociale le quali, con la stessa pervasività con cui hanno riguardato i nuovi spazi della reclusione, sono state estese ad altri tipi di architetture concepiti per altrettante istituzioni totali. Ogni architettura in cui si impone all’individuo la restrizione in una dimensione spaziale limitata nella quale, attraverso la coercizione forzata in una estensione strettamente definita, si impone la privazione della libertà, può considerarsi un luogo assoluto. Questo dato, oltre a consolidarsi come un fallimento del sistema sociale del nostro paese, è anche un elemento fortemente simbolico, quasi un monolite eretto a dissuasione dal compiere e reiterare dei comportamenti tipici. Considerando ad esempio, la fattispecie delle strutture penitenziarie italiane e le sollecitazioni da queste subite negli ultimi cinquant’anni con il fenomeno del sovraffollamento e con il cambiamento nella composizione sociale dei detenuti, bisognerebbe chiedersi in che modo l’architettura possa ancora contribuire a pacificare la durezza del contesto urbano attenuando i conflitti e i rapporti di inclusione-esclusione tra interno ed esterno. A sinistra, in alto: D. Idda, L’Italia della detenzione, 2013. A sinistra: D. Idda, Existenz minimum. Unità fondamentale: la cella, 2013. Sotto: D. Idda, Progetto per un nuovo carcere femminile della Giudecca a Venezia, tesi di laurea discussa presso la Facoltà di Architettura di Alghero (UNISS). Relatori : Josep Miàs Gifre, Erika Bonacucina, Antonio Labalestra, 2013. Nella tavola: Carlo Aymonino, Il bacino di San Marco, Venezia, 1985, tecnica mista su carta da lucido, 62x98 cm. Courtesy e Copyright: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva - A.A.M. Architettura Arte Moderna.

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documentazione

G.B. Piranesi, Tavola XIII di Carceri d’invenzione, incisione, Roma M. Ridolfi, Progetto per le carceri giudiziarie di Nuoro: Badu ‘e Carros, 1955

D. Idda e Antonio Labalestra, Un frammento di ontologia, 2012

Esclusione che è apparsa congeniale al ruolo sociale riservato agli alienati dalla società che, in questo momento, si è ritenuto dovessero essere relegati in luoghi in cui non possano turbare la quiete o arrecare danno alla pubblica decenza. Spazi che spesso sono già stati testimoni silenti di altre segregazioni: “sparita la lebbra – scriverà ad esempio Foucault - cancellato o quasi il lebbroso dalle memorie, resteranno queste strutture. Spesso negli stessi luoghi, due o tre secoli più tardi, si ritroveranno stranamente simili gli stessi meccanismi dell›esclusione. Poveri, vagabondi, corrigendi e - teste pazze - riassumeranno la parte abbandonata del lebbroso”. In questi istituti si afferma, rispetto alla città, la possibilità di definire a priori un luogo rispetto ad una funzione preordinata, si ribadisce la prerogativa di sanzionare una violenza perpetrata infliggendone un’altra: la privazione delle libertà personali. Regole ed effrazione, potere ed eversione vivono in una sorta di incontrovertibilità rispetto al potere che le ha predisposte. Mentre nella città la violenza si afferma e si auto-controlla autonomamente nelle falle dell’esercizio del “potere”, nelle carceri le due istanze sono cristallizzate e vivono di margini minimi di intervento, tra il sorvegliare e punire. Nella città però, la violenza è proscritta in spazi con caratteristiche ben precise, in quartieri estremi, periferici, monosociali, in cui il “potere” lascia che la sua concentrazione si auto-saturi tollerando l’effrazione fino ai limiti di livelli accettabili per la società e per la comunità stessa. In questi casi il controllo si afferma come forma di potere latente o di potere in crisi. In questo senso rientrano nell’alveo di questo lavoro anche gli edifici destinati ad ospitare il potere e il controllo come alcuni nati e diffusi durante il ventennio fascista. L’interrogativo su cui si incentra questa ricerca allora, riguarda il senso generale con cui interagisce la natura “violenta” con la dimensione dello “spazio” e, soprattutto, quale legame di dipendenza si instaura tra queste due entità, senza però cadere nelle sabbie mobili di una disciplina che non sia basata sulla militanza politica ma sull’ambito della ricerca storica, tipologica e architettonica. Essa si basa dunque sulla convinzione che ogni studio serio, che si pone come obiettivo quello di indagare un organismo spaziale complesso, deve essere svolto in modo da condurre ad una doppia condizione di verifica in maniera bipendolarmente tafuriana: cioè tra teoria e progetto. Se per un verso si deve, con il piglio dell’entomologo, scomporre il fenomeno in ogni sua parte, per capire ogni singola forma- funzione, dall’altro bisogna porsi nell’eventualità di poter lavorare a lungo per arrivare alla conclusione più ovvia, la stessa che si era palesata al primo approccio al tema, la prima volta in cui vi si era imbattuti. Non è un caso che uno dei più importanti maestri del Novecento – Le Corbusier - abbia fatto il suo apprendistato La ‘Fossa’ nella prigione inglese di Warwick chiusa nel 1797, Warwick, Howard League Collection, 1818.

come orologiaio, formandosi tecnicamente sullo smontaggio di ingranaggi e sul loro riassemblaggio, cosa abbastanza evidente guardando le sue opere. Essa intende quindi procedere gradatamente, smembrando in tutte le sue singole parti questi istituti, attraverso le opinioni delle figure tecnico-professionali e di chi purtroppo le “abita”, ma anche di politici, legislatori e amministratori locali, fino a giungere ad un grado zero della tipologia, quello che non si può fare a meno di eliminare, quello che rimane indispensabile per definire questi stessi spazi. Appare però quasi lapalissiano che nella pratica, la molteplicità dei fenomeni è sempre piegata alla funzionalità dello studio, dal quale appare fisiologico che quanto se ne desume, non può corrispondere ad una delle sue proiezioni o solo ad alcune di esse. Si hanno in qualche modo tante immagini parziali quante sono le ragioni per cui si analizza un oggetto architettonico, una tipologia o uno spazio. Ognuna sembra essere esaustiva nella misura in cui, chi compie l’analisi non è interessato a vedere le altre proiezioni-implicazioni del fatto/organismo. Dunque solo percorrendo un’analisi basata sulla molteplicità di criteri, si può presentare una visione più completa di un fenomeno, nella fattispecie quello architettonico, in cui bisogna necessariamente mettere in campo tutte le implicazioni nella loro complessità. È per questo che il metodo di approccio d’indagine è stato condotto in maniera apparentemente schizofrenica, da tutte le angolazioni possibili, senza gerarchie preordinate e soprattutto mettendo democraticamente sullo stesso piano tutte le figure coinvolte; cercando in buona sostanza di vedere l’aspetto che nell’immaginario collettivo questi spazi in generale assumono. Si sono presi in considerazione ad esempio una serie di film o filmati dedicati: da Papillon con Paul Neuman a Cesare deve Morire dei fratelli Taviani, si è proceduto con la somministrazione di questionari ai detenuti, ai direttori degli istituti di pena e alle guardie carcerarie, ai magistrati, e si è parlato con i parenti dei detenuti e con chi a vario titolo lavora in questi contesti: solo così, individuati gli interpreti, e i rapporti tra gli stessi, le interpretazioni scaturite possono assimilarsi ad una serie di analisi fattuali che danno origine ancora a qualcosa, a virtualità, a interstizi, a spazi “vuoti”, a quello che rimane e che è l’immagine OTTOBRE/NOVEMBRE 2014 | 250 segno - 77


Carlo Aymonino, Autoritratto preoccupato per l’architettura. Carlo V/’78, Penna su carta, 32x24 cm. Courtesy Collezione A.A.M. Architettura Arte Moderna di Francesco Moschini e Gabril Vaduva

e l’essenza del luogo, il genius loci, la vera natura dello spazio. Un progetto così orientato, prima di dare risposte alle singole esigenze rivenienti dalle analisi condotte, deve porsi il vincolo di dover considerare non solo in termini quantitativi gli spazi destinati ai fruitori della struttura, nella misura in cui ciò che si vuole valutare coincide con quello che rimane al netto di tutte le proiezioni e interpretazioni fatte a freddo, con parametri meramente tecnici, che è purtroppo quello che invece, finora, è stato fatto dai nostri legislatori, dando vita solo a dei luoghi-levitani che si contorcono su se stessi generando inasprimenti incivili delle pene. Dopo aver attraversato l’opprimente labirinto di perdizione cresciuto all’ombra della architettura di queste istituzioni, dopo aver attraversato l’analisi storiografica e morfologica dell’architettura del potere nel nostro Paese negli ultimi due secoli, l’obiettivo è quello di rispondere alla «ricchezza senza dignità» accumulata dal panorama di segni dell’architettura, fino a dimostrare che è pronta a rovesciarsi nella rovinosa recessione del XXI secolo. Le opzioni da percorrere sono a questo punto distinte tra quella di continuare a manipolare e riassemblare le proiezioni che gli altri hanno del concetto spaziale legato a queste architetture, e quella di rivendicare la perdita dello spazio ordinato, fino all’estremo limite della sua crisi, dell’annullamento del “principio di identità” 78 - segno 250 | OTTOBRE/NOVEMBRE 2014

dello spazio architettonico che, attraverso il confronto piranesiano delle singole parti, definisce esso stesso un frammento possibile di un intero di là da venire. Per questa ragione si vorrebbe guardare all’architettura come al pretesto per pensare nuovi archetipi che possano essere validi sia per lo spazio al di qua sia per quello al di là delle mura di cinta delle istituzioni, che ci consentano di pensare ad un più vasto intervento che annoveri la vitalità del negativo di questi spazi del controllo in una nuova formulazione positiva e “provocatoria” che coinvolga tutta la città in ogni sua parte, ponendo in atto una riflessione metadisciplinare sul tema degli spazi che, a partire dalla città del potere, possa giungere ai quartieri limitrofi, fino a coinvolgere l’intera città, attraverso microsistemi che si collegano e relazionano osmoticamente. Microcosmi fatti per pezzi e per parti, in cui come in condomini di Ballard “quella della violenza è soltanto una fase verso una nuova normalità” e dove dunque il compito di sorvegliare e punire alla maniera di Michel Foucault è demandato alla sola architettura, in cui lo spazio è neutro, privo di caratterizzazione, ma in movimento, in evoluzione, in un continuo ciclo di trasformazione. In questo senso ”il potere”, diventa solo una fase pertinente e fisiologica del processo di auto-regolamentazione, di appropriazione e di definizione, di caratterizzazione, di adattamento di uno


documentazione spazio neutro alle pratiche non istituzionalmente normate, non più doloroso e pericoloso, ma frutto della contaminazione con la società che ne farà uso. Così, la vocazione enciclopedica dell’iniziativa “Carceri d’invenzione” è in continuità con una tradizione culturale in grado di organizzare il Sapere in forme tassonomiche. Il Progetto T.E.S.I. è in linea con le attività promosse da Francesco Moschini, che da quasi quarant’anni con A.A.M. Architettura Arte Moderna, oggi divenuto F.F.M.A.A.M. Fondo Francesco Moschini Architettura Arte Moderna (www.ffmaam.it), attraverso precisi programmi critici, evidenzia le “pluralità” formando parallelismi e intrecci disciplinari, allo scopo di sollecitare “sguardi incrociati”, contaminazioni e attraversamenti del e nel contemporaneo. A questa visione appartengono i numerosi temi di ricerca avviati da F.F.M.A.A.M. e che restano per loro stessa definizione in fieri; essi sono dedicati

al mondo delle Biblioteche, del Cinema, degli Archivi, dei Musei, dei Teatri, delle Scuole, dello Sport, delle Caserme. Nell’intenzione di istituire e definire più ampi spazi di ricerca, Francesco Moschini ha dunque strutturato le sue attività secondo un’ottica “Permanente” e “Continuativa”, non limitata a un preciso momento, ma estesa nel tempo. In continuità con questa vocazione tesa all’esaltazione del processo e all’autorialità dell’opera, si definiscono i “Progetti interminabili”, iniziative pluriennali dove si riconosce il desiderio di costituire un corpus organico di lavori eseguiti in tempi e in luoghi differenti ma legati da un medesimo tema, permettendo così una storicizzazione essenziale per guardare criticamente opere e autori. In questo filone di ricerca s’inseriscono numerose attività in fieri: “Progetti d’Opera”, “Duetti”, “Laboratori di Progettazione”, “Duetti/Duelli. Partite a scacchi sul disegno”, “Codice Atlantico di Leonardo da Vinci”. n

Carlo Aymonino, Disegni anatomici....Ferrara”. firma a lato dx “Carlo 1977/79 Inchiostro a spirito su carta, 69x49 cm. Courtesy Collezione A.A.M. Architettura Arte Moderna di Francesco Moschini e Gabril Vaduva

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“Diomede precipita il cadavere di Pentesa” di Antonio della Pitta

Ritratto di “Pietro” di Emilio Aschieri

Cantieri didattici nel cortile di Palazzo Carpegna

Summer School 2014

L’Iscr all’Accademia Nazionale di San Luca di Fabrizio Ronconi

A

nche quest’anno l’Accademia Nazionale di San Luca ospita i cantieri didattici estivi della Scuola di Alta Formazione dell’Iscr (Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro). Se i risultati della precedente Summer School, tre statue in bronzo e nove in materiale lapideo riportate al loro splendore, sono ancora visibili nella corte dell’Accademia, quest’anno la collaborazione fra le due istituzioni ha portato gli allievi del secondo anno del percorso formativo professionalizzante PFP 1, seguiti dai docenti Davide Fodaro, Salvatore Federico e Maria Elisabetta Prunas, ad intervenire nel mese di luglio su alcuni gessi della collezione accademica per poi continuare, nel mese successivo, con il restauro del festone decorativo del portale d’ingresso della rampa elicoidale, uno delle poche tracce dell’intervento di Francesco Borromini su palazzo Carpegna. La collezione di gessi dell’accademia annovera al suo interno opere come “Ganimede e l’aquila” di Bertel Thorvaldsen, dono dell’artista alla galleria accademica, o quel che rimane del modello che Antonio Canova realizzo in vista dell’esecuzione de “La Religione cattolica”, statua colossale che avrebbe voluto erigere a sue spese all’interno di San Pietro per rendere omaggio alla religione. La scelta delle opere da restaurare si è orientata su dodici gessi “minori” della collezione, quasi tutti databili tra la seconda metà del XIX secolo e l’inizio del XX, tra cui un “pugile” di Rinaldo Rinaldi, il ritratto di “Pasin Canova” di Antonio d’Este, “Amore e Psiche” di Carlo Voss,il “ritratto di Pietro” di Emilio Aschieri e “Diomede precipita il cadavere di Pentesa” di Antonio della Pitta. Le opere presentavano varie situazioni di degrado, le superfici erano ricoperte da depositi coerenti e incoerenti e in diversi casi la materia originale era stata occultatata da grossolane ridipinture , dovute probabilmente a Due immagini del “Pugile” di Rinaldo Rinaldi - Foto di Alessandro Morelli

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metodi di “restauro” ancora in uso anche in tempi relativamente recenti. Gli inteventi dei giovani restauratori sono consistiti in operazioni di pulitura e consolidamento delle superficie e delle armature metalliche interne, proseguendo con l’integrazione delle lacune, ricostruendole plasticamente e reintegrandole cromaticamente. La scultura in gesso viene frequentemente sottovalutata, sia per la povertà e la deperibilità del materiale, sia per il valore spesso meramente strumentale di tale tecnica, utilizzata per effettuare riproduzioni di sculture oppure calchi legati al processo di formatura per la realizzazione dei bronzi, nel quale il gesso veniva utilizzato per costruire gli stampi negativi dal modello positivo in argilla, in modo da poter realizzare un secondo modello positivo in cera per il processo di fusione del bronzo detto “a cera persa”. Se nella formatura il gesso è solo un tramite per passare da un negativo a un positivo, nel processo di riproduzione delle opere, ne diventa anche l’esito, con sculture-copia che hanno una duplice finalità. La prima riguarda la riproduzione di modelli da utilizzare per fini didattici per la realizzazione di calchi o come modelli-studio per il disegno dal vero. La seconda riguarda invece la realizzazione, a partire da un modello originale in argilla, di una copia in gesso da utilizzare, per esempio come nel metodo di lavoro di Antonio Canova, come campione da affidare ai suoi collaboratori per una successiva trasposizione in marmo. In quest’ultimo caso che le sculture in gesso non possono essere definite solo come semplici copie in quanto il modello di argilla originale veniva distrutto nel processo di duplicazione. La scultura in gesso allora può essere vista come unica testimone di ciò che era l’autografa forma del modello scomparso. Il doppio si trasforma così da semplice tramite materiale a ultimo custode di una autenticità perduta.


documentazione

Due bozzetti per bassorilievi del Teatro Regio di Messina di Saro Zagari

“Pugile” di Rinaldo Rinaldi

ritratto di “Pietro” di Emilio Aschieri

“Diomede precipita il cadavere di Pentesa” di Antonio della Pitta “Amore e Psiche” di Carlo Voss

Professori e Allievi dell’ISCR

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Paolo Scirpa

“…Camminando sopra/nell’opera, lo spettatore avverte le proprie condizioni corporee fondative – lo stare verticale, il rapporto tra la propria verticalità e l’orizzontalità dell’appoggio – modificate, e verrebbe da dire minacciate, dall’affondare dello sguardo in queste vertiginose prospettive. Esse arretrano ad infinitum, in un’illusione di convergenza delle quattro machinae luminose che di fatto sottraggono allo spettatore ogni certezza statica e topica: ma, insieme, egli sa che è una finzione – finzione doppia, e doppia illusione – ed è indotto a vivere questa straniata esperienza corporea e visiva come porzione emotivamente padroneggiabile di esperienza: e come gioco, appunto…” Flaminio Gualdoni, 2001


documentazione

Vigne Museum di Yona Friedman & Jean-Baptiste Decavèle with DAC Photo © Luigi Vitale

Abbazia di Rosazzo, Friuli Venezia Giulia

Vigne Museum

ell’Abbazia di Rosazzo e sulle sue colline, si sono svolte le celebrazioni N del centenario di Livio Felluga. Diversi e significativi momenti hanno caratterizzato l’evento: il convegno “Arte e Impresa

a tutela del paesaggio rurale” curato da Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier di RAM radioartemobile; l’inaugurazione del Vigne Museum, di Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavèle; la presentazione di 100 il vino in edizione limitata appositamente creato e dedicato a Livio Felluga. Il coinvolgente festeggiamento per i 100 anni di Livio Felluga ha preso forma nel Vigne Art Museum realizzato da due per-

sonaggi, Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavèle, di cui vorrei sottolineare il fatto che l’ispiratore del progetto, Yona Friedman, è un altro grande vecchio, ancora estremamente attivo e creativo e che da sempre lavora sull’architettura incompiuta. Il Vigne Museum, che non a caso è all’aperto come la vite che cresce all’aperto, è qualcosa che poi andrà riempito esattamente di precisi significati. L’architettura provvisoria e incompiuta di Friedman apre proprio alla costruzione di relazioni, di attitudini, di un senso evidentemente condiviso. Processualità relazionali, potremmo dire, come processuale è il suo segno che nascono in qualche modo da questo territorio. Penso che questo sia l’esempio di una germinazione particolarmente felice, di un intervento architettonico che si presenta così leggero e così non invasivo e che si innesta in un territorio virtuoso come il Friuli. Un significativo importante da esplorare in questo progetto è la “provvisorietà”, qualcosa che non si era definito all’inizio, ma che è cresciuto successivamente proprio grazie alla relazione con l’ambiente e con il paesaggio. Un intervento come questo effettivamente sottolinea e valorizza il paesaggio nel momento in cui lo ridescrive, poiché ce lo fa rivedere attraverso gli occhi dell’arte. Un altro aspetto molto importante è l’incontro tra un’azienda e degli operatori culturali. Penso che oggi una delle gradi scommesse del nostro Paese, sia cercare di unire quanto possibile il nostro patrimonio culturale al patrimonio del sapere aziendale e imprenditoriale, che in passato ha fatto ricco questo Paese. Penso che dall’incontro tra impresa e arte, tra due mondi apparentemente (e anche di fatto) così lontani, forse possa generarsi un pensiero diverso, un pensiero eccentrico, che esce dal centro e dal rituale e che può fecondare nuovi orizzonti e altre nuove visioni” Adriana Polveroni

Inaugurazione Vigne Museum @credits Photo-life Gianni Strizzolo Convegno ©credits Luigi Vitale

Yona Friedman, Jean-Baptiste Decavèle e Dora Stiefelmeier ©Luigi Vitale

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documentazione

Rita Vitali Rosati

IL LAVORO VIRTUALE / EDITORIALE

Rita Vitali Rosati è cresciuta in un vecchio palazzo, ricco di affreschi del primo ‘900. Una sua zia, di nome Isoletta, dipingeva ritratti alla maniera accademica, ma piacevole per il gusto degli affezionati del casato. Rita ha da sempre deciso di intraprendere una via diversa, sghemba, facendone il suo codice e la sua tecnica, sempre in corsa per una destinazione ignota. L’ho incontrata recentemente all’inaugurazione di una mostra, ed insieme abbiamo deciso di pubblicare questa sua “lettera aperta”, sicuramente un invito. (Lucia Spadano)

“Miei cari Sponsor”

Gentili editori, vista la mia riflessione sulla progressiva smaterializzazione dell’opera d’arte contemporanea, ( che perseguo da più di un decennio), vorrei sottoporvi un mio progetto con il quale intendo mostrarvi un’allarmante ovvietà, ovvero, come il fruitore percepisce, anzi, non percepisce più le opere d’arte in quanto tali, incapace di cogliere la differenza tra un’opera d’arte più propriamente mediatica e/o pubblicitaria). Lo scopo della mia ricerca è dunque quello di evidenziare come la creazione delle opere d’arte, per questa omologazione dello sguardo, non distingue più la necessità dell’arte nella forma di quadro, pittura, scultura. L’opera ormai per troppe persone è confusa con le immagini, belle, prodotte da fotografi

ed altri soggetti della comunicazione, insieme a sedicenti artisti che si aggirano nello spazio dell’informazione. Per evidenziare questa confusione la riproduco in modo ironico, quasi specularmente nel mio lavoro, occupando come faccio da tempo le doppie pagine delle riviste, (per ora solo quelle dedicate all’arte.) Sarei particolarmente interessata per questi motivi così sottolineati, ad allargare questa comunicazione artistica negli spazi pubblicitari dei quotidiani di larga diffusione, in giornali e riviste, per oppormi al furto di spazio operato da pubblicitari, design e i diversi creativi in generale, occupando spazi che non siano quelli usuali dell’arte. Sottolineando, se è possibile, l’abbinamento snaturante di arte e pubblicità. Quest’ultima ha fatto propri i meccanismi tipici dell’opera d’arte, finendo per sottrarle sostanza e funzione; appropriandosi di buona parte della sua forza espressiva. Ora, in virtù di questo scambio improprio le qualità estetiche insite dell’arte sono state fraintese e confuse con le spettacolarizzazioni dell’informazione e della pubblicità con cui l’arte nella odierna società dello spettacolo deve fare a gara. Oramai non è più solo l’arte a suscitare meraviglia e piacere, la pubblicità ha imparato bene la lezione, col solo scopo di vendere prodotti, e non di sedurre testa e cuore magari vendendo se stessa. L’arte è confusa ma ancora riesce a stare al passo con il meretricio pubblicitario. Vale la pena in questo breve e personale proclama in forma di dichiarazione di poetica, che la sottile differenziazione del rapporto tra artista e spettatore sia anche utile per stimolare qualche riflessione. Intanto mi vieto severamente qualsiasi mercificazione e ovviamente non vendo idee, cose o progetti, la fame è l’effetto collaterale della fedeltà all’opera. Attendo solo, e non con poca e serena fiducia, che qualcuno apprezzi la sincerità e diventi mecenate di questa mia ricerca. Confidando nella vostra attenzione e nella speranza di potervi incontrare, per illustrare meglio a voce le finalità del mio lavoro, vi porgo i miei più cordiali saluti. Rita Vitali Rosati 17 settembre 2014

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ACCADEMIA NAZIONALE DI SAN LUCA

mostra

eur sconosciuta Il “piccolo codice” di Giuseppe Pagano per la città corporativa e altre visioni urbane inaugurazione 30 ottobre 2014 dal lunedì al sabato 9.00-19.00

accademia nazionale di san luca Roma, piazza dell’Accademia di San Luca 77 06.6798850

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www.accademiasanluca.eu


PREVIEW AD INVITI GIOVEDI 22 GENNAIO DALLE 12 ALLE 21 ORARI DA VENERDI 23 A DOMENICA 25 DALLE 11 ALLE 19 | LUNEDI 26 GENNAIO DALLE 11 ALLE 17 PREVIEW BY INVITATION ONLY THURSDAY JANUARY 22 FROM 12 AM TO 9 PM OPENING TIMES FRIDAY 23 TO SUNDAY JANUARY 25 FROM 11 AM TO 7 PM | MONDAY JANUARY 26 FROM 11 AM TO 5 PM


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