Segno 243

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E 5.

accademia nazionale di san luca

Roma, piazza dell’Accademia di San Luca 77 | www.accademiasanluca.eu

Anno XXXVIII

GEN/FEB 2013

243

Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

archivio storico archivio del moderno e del contemporaneo richieste: dal lunedì al venerdì 10.00-14.00 consultazione: dal lunedì al venerdì 9.00-18.00 | sabato 9.00-13.00

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SANDRO MELE

# 243 - Gennaio / Febbraio 2013

NATHALIE DJURBERG

Galleria

G. L. Bernini, Modello in terracotta del leone della Fontana dei Quattro Fiumi (sec. XVII), attualmente in prestito dall’Accademia Nazionale di San Luca al Metropolitan Museum of Modern Art di New York per la mostra “Bernini Sculpting in Clay” (03.10.2012 - 06.01.2013)

OLTRE QUATTRO SECOLI DI STORIA VERSO IL FUTURO Segno 243 copertina.indd 1

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WILLIAM KENTRIDGE

MARIA CRISTINA CARLINI

ANDREA FOGLI 16/01/13 19:00


libri & cataloghi

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

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10 Chancery Lane | Adn | Aeroplastics | Algus Greenspon | A.L.I.C.E. | Aliceday | Alma | Annex 14 | Anyspace | Avlskarl | Albert Baronian | Hannah Barry | Johan Berggren | Bernier/Eliades | Blancpain | Bodson - Emelinckx | Borzo | Bourouina | Thomas Brambilla | Brand New Gallery | Jean Brolly | Sandy Brown | Callicoon Fine Arts | Cardi | Carroll / Fletcher | Marta Cervera | Bernard Ceysson | Chambers Fine Art | Cherry and Martin | Chez Valentin | C L E A R I N G | Continua | Crèvecoeur | CRG | Croy Nielsen | Cruise & Callas | Crystal | Heike Curtze | D+T Project | Jeanroch Dard | Patrick De Brock | Monica De Cardenas | Hadrien de Montferrand | De Zwarte Panter | Dependance | DEWEER | Umberto Di Marino | Eric Dupont | Max Estrella | Feizi | Fifty One | Thomas Fischer | Fitzroy | Fluxia | Forsblom | Foxy Production | Fruit and Flower Deli | James Fuentes | GDM | Gentili | Geukens & De Vil | Gladstone | Laurent Godin | Marian Goodman | Gowen | Grimm | Grimmuseum | The Hole | Honor Fraser | Hopstreet | Nettie Horn | Horton | Pippy Houldsworth | Xavier Hufkens | In Situ Fabienne Leclerc | Invernizzi | Rodolphe Janssen | Jeanne-Bucher / Jaeger Bucher | JGM | Jousse Entreprise | Kalfayan | Hunt Kastner | Parisa Kind | Krinzinger | Krome | Susanna Kulli | Lautom | Gebr. Lehmann | Lelong | Leme | Elaine Levy Project | Javier Lopez | Patricia Low | M+B | Maes & Matthys | Mai 36 | Ron Mandos | Marlborough Fine Art | Martos | Maruani & Noirhomme | Maskara | Mario Mauroner | Max Mayer | Mario Mazzoli | Greta Meert | Meessen De Clercq | Marion Meyer | Mihai Nicodim | moniquemeloche | Mot International | Motive | Horrach Moya | Mulier Mulier | Nächst St. Stephan Rosemarie Schwarzwälder | Neue Alte Brucke | Nev Istanbul | Nogueras Blanchard | Nosbaum & Reding | Nathalie Obadia | Office Baroque | On Stellar Rays | Other Criteria | Odile Ouizeman | P420 | A Palazzo | Alberta Pane | The Paragon Press | Perrotin | Tatjana Pieters | Jerome Poggi | Polka | Profile | Projektraum Viktor Bucher | Prometeo | Quadrado Azul | Raum mit Licht | Almine Rech | Michel Rein | Ricou | Gabriel Rolt | Rossi | Rotwand | Lia Rumma | S.A.L.E.S. | Sophie Scheidecker | Karsten Schubert | Senda | André Simoens | Stephane Simoens | Filomena Soares | Société | Sorry We’Re Closed | Michel Soskine | Pietro Sparta | SpazioA | Steinek | Stieglitz19 | Super Window Project | Suzanne Tarasieve | Team | Daniel Templon | Torri | Florent Tosin | Transit | Triangle Bleu | Triple V | Tucci Russo | Steve Turner | Rachel Uffner | Georges-Philippe & Nathalie Vallois | Van de Weghe | Isabelle Van Den Eynde | van der Mieden | Tim Van Laere | Martin Van Zomeren | Samuel Vanhoegaerden | Axel Vervoordt | VidalCuglietta | Nadja Vilenne | Voice | Tanja Wagner | waterside contemporary | Wilkinson | Xippas | Zink

Nocturne: Thursday 18 April, 7–10pm

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riappacificarsi con sé e con l’altro da sé. (Simona Caramia) > Lungi dal propinare un semplice revisionismo storico o una mera riformulazione critica, “Elogio dell’Astrattismo”, ultimo libro di Luigi Paolo Finizio, si prefigura come un viaggio verso l’ignoto, ripercorrendo - con una lettura trasversale storico-critica, nonché fenomenologica - gli esordi e i successivi traguardi di un’avanguardia che ha profondamente influenzato gli anni a venire, come - ricorda Finizio - aveva già annunciato Marc Rothko nella sua biografia. Kandinskij, Malevic, Mondrian, Fontana, Pollock, Klein - alcuni dei nomi prontamente menzionati - hanno tutti reso visibile l’invisibile; il loro “fare astratto” è inevitabilmente legato alla società a loro contemporanea, di volta in volta interrogata, attraverso una “diretta pulsività segnica” o ricorrendo alle ideologie utopiste, con un maggiore coinvolgimento espressivo rispetto a qualsiasi figurazione o rappresentazione mimetica. Non mancano applicazioni pratiche dell’astrattismo che nuovamente risultano pertinenti alla quotidianità della vita: design e architettura astratte - cercano di rispondere alle esigenze primarie dell’uomo, passando dal “bello disinteressato” al “bello concreto”. L’astrattismo - o arte concreta, secondo le più attuali riformulazioni - sembra essere una categoria, acquisita anche inconsciamente dalla storia dell’arte e dai suoi protagonisti, con cui leggere il presente, incidendo persino fisicamente sul reale, come avviene nel caso degli Earth Works della Land Art, e non trascurando il risvolto intimo e personale - con cui liberarsi, anche dalle oppressioni sociali - quindi il desiderio di aspirazione spirituale, di cui Moore, Isgrò, Vedova sono un tangibile esempio. Lo Zeitgeist del Novecento sembra dunque essere l’astrattismo, un movimento artistico, ma soprattutto una predisposizione dell’animo non priva di riferimenti segnici e oggettuali, volta a “rendere straordinaria in sé la percezione”. Nell’attenta ed interessante proposta di lettura di Finizio, l’Astrattismo può esser l’antidoto all’appiattimento della moderna società dell’immagine, in cui la necessità formale della comunicazione eccede e sopraffà il contenuto del messaggio rivolto al soggetto decodificante. Astrattismo come espressione di libertà, ma non di arbitrarietà, incidenza del significato sopra il significante, persistenza della verità segnica sulla non-oggettività dell’immagine tecnologica e virtuale inflazionata e strumentalizzata dalla società liquida, struttura empirico-concettuale verso l’ignoto, “epifania di luce” che non rinuncia al mistero e alla magia dell’arte. (Simona Caramia) > “Le stanze del Minotauro” è il nuovo libro di Massimo Bignardi, frutto di assidui anni di ricerca su una delle più rivoluzionarie personalità del Novecento: Pablo Picasso, la cui com-

plessità è sottolineata anche dal titolo della pubblicazione. Quasi un labirinto che «obbliga a percorrere itinerari mentali spesso senza via d’uscita, a tornare sui propri passi, a perdersi», l’artista intreccia alternativamente immagini del suo presente e del passato, iscrivendo un labile confine su cui si “accende” e “sviluppa” il suo rapporto con “l’ideale moderno di classico”. Difatti, il Minotauro è assurto quale metafora dell’uomo che, sbilanciandosi verso il sublime, scanaglia gli abissi della propria anima e che, risalendovi, osserva e comprende la realtà intorno a lui; è «È una figura, un’ombra nera inquieta, - scrive Bignardi - che istiga e corrode l’animo di Picasso». Non basato su un rigido inquadramento monografico che tenderebbe a ridurne la portata storico-critica, il libro non chiude “l’immagine dell’artista nel suo stesso mito”, ma analizza con cura particolari avvenimenti, figure importanti nella sua vita e per l’iter creativo, aspetti poco noti o meno affrontati, portando alla luce “il rito della pittura”, “il sacrificio del sostrato antropologico”, “la reinvenzione del classico”, “lo spazio e la superficie”, l’incontro “a distanza” e l’influenza della pittura di Matisse, “l’attenzione alla lingua delle immagini”, tutti temi della molteplicità picassiana. Così gli anni della pittura pura, secondo la definizione di Apollinaire, vedono il manifestarsi di una personalità egocentrica, forgiata da drammi esistenziali, dai lutti, dagli orrori della guerra che ben presto sfociano in opere caratterizzate da vivido sentimento d’attesa e da “assenza di Dio”. In questo turbinio di eventi, il lavoro di Picasso è segnato anche dalla necessità di comprendere il reale - trasposto immediatamente in arte con la scultura ed i tableaux-relifs - che sarà sempre modello (o modella) cui riferirsi. Ne è esempio il viaggio in Italia, in particolar modo la visita alle bellezze classiche di Napoli e Pompei, che fanno emergere “un desiderio di mediterraneità” che induce l’artista a soffermarsi sulla figura. Importante in questi anni l’incontro con i Balletti russi e i suoi protagonisti, che permettono a Picasso, ormai trentaseienne, di interrogarsi “sulla prospettiva del palcoscenico”. Questa nostalgia mediterranea si reitera, se non addirittura fortifica, nel corso degli anni Trenta, quando alle tortuose vicende personali si legano una serie di congiunture sociali, politiche e culturali diffuse in tutta Europa. Picasso recupera le origini del mito, le sue icone, saldando alla propria capacità immaginifica le istanze collettive: colori accesi e deformazione espressiva caratterizzano questo periodo, maggiormente visibili in Guernica. Molti i simboli che si agitano nell’immaginario del nostro artista, dando vita ad un “labirinto delle immagini”, in cui, ancora una volta, tensione drammatica e brama del reale sono fortemente sentite, cosicché il colore, espressivo, si accende di luce e lo spazio si riempie di solitudine. Per tutta la sua vita Picasso «non si sottrae mai alla verità, al suo guardare per scoprire», fino alla fine continua a disegnare, a tracciare i segni di un nuovo viaggio verso l’ignoto, verso “lo spazio della pittura”, verso “la sua vita”. (Simona Caramia) Plectica, 2011> L’arte nello spazio pubblico. Una prospettiva critica, edito da Plectica, è il libro d’esordio della giovane storica dell’arte Maria Giovanna Mancini, eppure esso – provvisto di una spiccante copertina rosa che subito lo pone sopra le righe - dimostra già doti non comuni nel padroneggiare con grande sicurezza i vari materiali critici – molti dei quali raramente, quando non per la prima volta, utilizzati dalla letteratura italiana sull’argomento. La Mancini non si limita infatti ad una mera ricostruzione, ma sottolinea senza inibizioni quelli che le appaiono i punti di forza ed i punti deboli di ciascuna posizione – da Rosalyn Deutsche a Miwon Kwon, da Mary Jane Jacob ad Arlene Raven –, argomentandoli con piglio sintetico quanto chiaro ed esauriente e facendo sì che alla fine scaturisca una sua visione

assolutamente personale, nettamente schierata dalla parte di coloro che «producono un’opera che non si separa dal luogo esterno, che non si pone come un inciampo allo sguardo del cittadino, ma come campo in cui interagiscono forze tra cui quelle mosse dai contesti del luogo, secondo un’idea non fenomenologica e formalista dell’arte». Da qui una certa freddezza nei confronti delle esperienze italiane di arte pubblica così come si sono andate sviluppando a partire dagli anni novanta - e forse più ancora nei confronti delle esperienze napoletane delle metropolitane e di Piazza Plebiscito – in quanto per lo più ancora proiettate sul museo come referente, piuttosto che sulla società – casi che pure non rinuncia ad affrontare con il dovuto respiro. D’altra parte se le principali fonti sociologico-filosofiche nell’individuazione a monte dei concetti di “spazio pubblico” e “sfera pubblica” sono rappresentate dal postfrancofortese Jurgen Habermas, dal duo composto dal sociologo di scuola adorniana Oskar Negt e dal cineasta Alexander Kluge, nonché dal teorico della “critica della vita quotidiana” Henri Lefebvre, il riferimento privilegiato sul piano specifico della critica d’arte è senza dubbio, come mette in evidenza Stefania Zuliani, autrice della prefazione, «quel postmodernism of resistence di cui la rivista “October” è stata una indiscussa roccaforte». In quanto «esemplificativi di una pratica che attraverso la “(ri)funzionalizzazione” dell’oggetto estetico permette il contatto diretto con il pubblico indistinto della città» sono infine presentati i casi di tre celebri artisti come Alfredo Jaar, Jorge Pardo e Martha Rosler attraverso altrettanti focus. (Stefano Taccone)

> Lo scorso 16 gennaio la Galleria Deodato Arte ha proposto un duplice appuntamento: la presentazione del calendario 2013 Giorno per Giorno il tempo scandito da 12 opere di Jose Molina edito da Publish e illustrato dalle opere di Jose Molina, e la mostra personale dell’artista spagnolo, visibile fino al 31 gennaio, che espone pezzi inediti e una selezione dei suoi lavori compresi tra il 2004 e il 2012. Jose Molina vive ormai da diversi anni in Italia. Ha iniziato a disegnare e dipingere giovanissimo. In Italia la sua prima esposizione risale al 2004 con la collezione “Morire per Vivere” seguita nel 2007 da “Predatores” mostra curata da Sgarbi presso il Museo della Scienza a Milano e Cosas Humanas del 2010 presso la Fondazione Mudima. Molina sta lavorando ora a due grossi progetti, AnimaDonna e Los Olvidados, due collezioni molto diverse per stile e contenuto, che ci stimolano a prendere coscienza del cambiamento e ci richiamano alle nostre responsabilità di esseri umani. GEN/FEB 2013 | 243 segno - 87

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International Contemporary Art Fair

13 / 17 feb 2013

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#243 sommario Roma, piazza dell’Accademia di San Luca 77 | www.accademiasanluca.eu

Anno XXXVIII

GEN/FEB 2013

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Armin Linke, Kuehn-Malvezzi [29]

€ 5.

accademia nazionale di san luca

gennaio / febbraio 2013

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Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

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SANDRO MELE

# 243 - Gennaio / Febbraio 2013

NATHALIE DJURBERG

in copertina

Galleria

Nathalie Djurberg

G. L. Bernini, Modello in terracotta del leone della Fontana dei Quattro Fiumi (sec. XVII), ualmente in prestito dall’Accademia Nazionale di San Luca al Metropolitan Museum of Modern Art di New York per la mostra “Bernini Sculpting in Clay” (03.10.2012 - 06.01.2013)

segno Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

dal lunedì al sabato 10.00-14.00

Fondazione Pascali, Polignano a Mare

Sandro Mele Galleria Rizzo Venezia

William Kentridge WILLIAM KENTRIDGE

MAXXI Roma

M.C.Carlini

Fondazione Stelline Milano MARIA CRISTINA CARLINI

ANDREA FOGLI

Andrea Fogli Museo di Villa Torlonia

Bertozzi & Casoni [31]

OLTRE QUATTRO SECOLI DI STORIA VERSO IL FUTURO

2/23 Anteprima / News Mostre & Musei in Italia e all’estero

a cura di Lisa D’Emidio e Paolo Spadano ArteFiera Bologna conversazione con Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti (a cura di Luciano Marucci)

Wiliam Kentridge MAXXI (Paola Ugolini pag.24); Shay Friksch Gnam Roma (Ilaria Piccioni pag.25) ; Armin Linke-Kuehn Malvezzi Galleria Vistamare Pescara (Maria Letizia Paiato pag.26); Bertozzi & Casoni All Visual Art Londra (Roberta Minnucci pag.30); Anish Kapoor Lisson Gallery Londra (Roberta Minnucci pag.32); Liu Bolin Museo Andersen Roma (Ilaria Piccioni pag.33): Grazia Toderi MAXXI (Ilaria Piccioni pag.34); Jan Fabre, Museo De Nittis Barletta (Maria Vinella pag 35); Sandro Mele Galleria Rizzo Venezia (Andrea Fiore pag.36); Mel Ramos Galleria Tega Milano (Andrea Fiore pag.38); Ai Weiwei/Ozzola Galleria Continua (Rita Olivieri pag.40); Nathalie Djurberg Fondazione Pascali (Maria Vinella pag.42); Arthur Duff & Niele Toroni Villa Pisani Bonetti (Matteo Galbiatipag.43); Intervista Alfonso Artiaco, Nuova sede (Chiara Pirozzi pag.44); Eulalia Valldosera Studio Trisorio (Raffaela Barbato pag.46); Pisstoletto Terme di Caracalla (Paolo Aita pag.46); Fluxus & Fluxus Galleria Verrengia (Stefano Taccone pag.48); Michele Peri Frac Baronissi (M.Luisa Paiato pag.40); Roberto Pietrosanti Ara Pacis Roma (Paolo Aita pag.49); Pixel Marche Arte Centro (Milena Becci pag.50); Francesco Fossati Galleria Cart Monza (Lucia Nica pag.51); Performance Lab Cosenza (Maria Vinella pag.51); Angelo Savelli MARCA Catanzaro (Simona Caramia pag.52); Errico RuotoloCastel Sant’Elmo Napoli (Stefano Taccone pag.52); Vincenzo Marsiglia Emmeotto Roma (Paolo Aita pag.52); Botto & Bruno Coppie in arte (Antonello Tolve pag.53); M.C.Carlini Fondaz.Mudima e Stelline (Lucia Spadano pag.54); Fotografia contemporanea tedesca Alberto Peola Trino (Jacopo Pavesi pag.55); Andrea Fogli Casino dei Principi Roma (Graziano Menolascina pag.56); Filippo di Sambuy Galleria Marianna Wild Chieti (Conversazione con Lucia Spadano pag.58); Rita Vitali Rosati (pag. 70-71)

Ai Wei Wei [40]

news e tematiche espositive su www.rivistasegno.eu

24/71 attività espositive / recensioni / interviste

Memorie d’Arte

Alfonso Artiaco [44]

Cesare Cattaneo Accademia Nazionale di San Luca Roma (Ester Bonsante pag.60); Anni Trenta in Italia Palazzo Strozzi Firenze (Serena Bedini pag.64); Duetti/Duelli A.A.M. Architettura Arte Moderna Roma (Francesco Maggiore pag.66)

espositive 72/83 documentazione / attività attività didattiche La Terapeutica Artistica a Brera (Tiziana Tacconi pag.72) Frieze Art Fair / Frieze Masters Londra (Roberta Minnucci pag.74); Memory Marathon Londra (Luciano Marucci pag.76); Attività espositive dal web al cartaceo (a cura di Paolo Spadano pag.78/83)

Duetti/Duelli [66]

84/87 Osservatorio critico L’errore del liberismo (Gabriele Perretta pag.84); Libri e Cataloghi (a cura di Lucia Spadano e Collaboratori pag.86)

segno

periodico internazionale di arte contemporanea

Direzione e redazione Corso Manthonè, 57 65127 Pescara Telefono 085/61712 Fax 085/9430467 www.rivistasegno.eu redazione@rivistasegno.eu

Direttore responsabile LUCIA SPADANO (Pescara) Condirettore e consulente scientifico PAOLO BALMAS (Roma) Direzione editoriale UMBERTO SALA

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Anteprima/News

BIENNALE VENEZIA 2013

a 55. Esposizione Internazionale Lnovembre d’Arte si svolgerà dal 1° giugno al 24 2013 ai Giardini e all’Arsena-

le (vernice 29, 30 e 31 maggio 2013), nonché in vari luoghi di Venezia. “La Biennale d’Arte si ripropone ancora una

Paolo Baratta e Massimiliano Gioni La Biennale di Venezia 2013

BOLZANO

Museion

al 2 febbraio al 1° maggio, mostra di D opere di Rosemarie Trockel Flagrant Delight, a cura di Dirk Snauwaert, pro-

posta e presentata dalla direttrice Letizia Ragaglia. A Merano, dal 2 febbraio al 26 maggio, una selezionata mostra di Cindy Sherman, That’s me - That’s note me, con opere giovanili 1975-1977 presentate da Valerio Dehò direttore artistico di Merano Arte.

Rosemarie Trockel, Angel in me, 2008 Mixed Media 68 x 92 x 4,8 cm Copyright: Rosemarie Trockel, VG Bild-Kunst, Bonn 2012 resp. SABAM Brussels 2012. Courtesy Georg Kargl Fine Arts, Vienna Sprüth Magers Berlin London.

a cura di Lisa D’Emidio e Paolo Spadano

volta nella forma “duale” definita nel 1998: una grande Mostra Internazionale diretta da un curatore scelto a tal fine e le Partecipazioni nazionali.” Così Paolo Baratta ha introdotto la 55. Esposizione Internazionale d’Arte, ricordando che i padiglioni dei Paesi sono una caratteristica molto importante della Biennale di Venezia. Una formula antica di presenza degli Stati quanto preziosa in tempi di globalizzazioni, “perché ci dà il tessuto primario di riferimento sul quale possono essere osservate e meglio evidenziate le autonome geografie degli artisti, sempre nuove, sempre varie”. Il titolo scelto da Massimiliano Gioni - direttore della 55. Esposizione Internazionale d’Arte - è: Il Palazzo Enciclopedico, evocando l’artista auto-didatta italo-americano Marino Auriti che il 16 novembre 1955 depositava presso l’ufficio brevetti statunitense i progetti per il suo Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità, collezionando le più grandi scoperte del genere umano, dalla ruota al satellite. L’impresa di Auriti rimase naturalmente incompiuta, ma il sogno di una conoscenza universale e totalizzante attraversa la storia dell’arte e dell’umanità, mette in scena la sfida costante di conciliare il sé con l’universo, il soggettivo con il collettivo, il particolare con il generale, l’individuo con la cultura del suo tempo. “Oggi, alle prese con il diluvio dell’informazione, questi tentativi di strutturare la conoscenza in sistemi omnicomprensivi ci appaiono ancora più necessari e ancor più disperati – spiega Gioni. “La 55. Esposizione Internazionale d’Arte indagherà queste fughe della limmaginazione in una mostra che – come il Palazzo Enciclopedico di Auriti – combinerà opere d’arte contemporanea e

reperti storici, oggetti trovati e artefatti.” Ispirandosi a quello che lo studioso Hans Belting ha definito una “antropologia delle immagini”, Massimiliano Gioni avvia “una indagine sul dominio de l’immaginario e sulle funzioni della immaginazione”, chiedendosi “quale spazio è concesso all’immaginazione, al sogno, alle visioni e alle immagini interiori in un’epoca assediata dalle immagini esteriori? E che senso ha cercare di costruire un’immagine del mondo quando il mondo stesso si è fatto immagine? Fino a dove si estende il dominio dell’immaginario, quando ancora si lotta in nome delle immagini? Come nei teatri della memoria progettati nel Cinquecento dal veneziano Giulio Camillo – cattedrali interiori in cui ordinare il sapere in immagini – l’esposizione “Il Palazzo Enciclopedico” cercherà di delineare – conclude Gioni - la cartografia di un’immagine-mondo, componendo un bestiario della immaginazione.” Per quanto riguarda il Padiglione Italia, come già noto, il Ministero dei Beni Culturali ha dato incarico a Bartolomeo Pietromarchi, il cui progetto espositivo, dichiarato in conferenza stampa, “ha l’obiettivo di leggere criticamente alcune linee dell’arte italiana dal 1960 in avanti non più come contrapposizione di movimenti e generazioni, ma come un atlante composto diacronicamente da temi riconducibili alla nostra storia e cultura nazionale, come ad esempio, il rapporto con il paesaggio, la città e l’architettura, i riferimenti alla storia e al mito, la spiritualità, l’immaginario e la cultura popolare, i temi del doppio e della maschera, del rapporto tra realtà e finzione”. Una mostra con maestri e artisti maturi, con una particolare attenzione a personalità artistiche che non hanno ancora ottenuto un dovuto riconoscimento internazionale.

mondo archeologico; risale ai primi anni ‘80 la svolta artistica che lo vede impegnato nella realizzazione di grandi carte parietali gessose. Alla fine degli anni ‘80 Guerzoni approda a una ricerca sulla superficie intesa come profondità, che dà luogo a grandi cicli di opere quali Decorazioni e rovine, presentato alla Biennale di Venezia del ‘90, e Restauri provvisori, in mostra alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna. Nel 2006 dieci opere di Guerzoni, quattro delle quali presenti nella mostra a Palazzo Pitti, vengono acquisite dalla GAM di Torino.

italiano reso a questo grande protagonista dell’arte scomparso nel 2007 a New York, a 78 anni. A differenza di un’antologica organizzata secondo rigidi criteri cronologici, questa mostra illustra con originalità un percorso artistico di quasi 50 anni suddivisa in tre sezioni, corrispondenti ad altrettanti nuclei tematici, con opere inedite progettate dall’artista e realizzate oggi dai suoi assistenti. La prima sezione è costituita da cinque wall drawings (disegni murali) con la matita nera, i primi degli anni ’70. Come stabilito nel prontuario dei wall drawings redatto da LeWitt nel 1970, il progetto dell’opera è appannaggio dell’artista, mentre la sua realizzazione è affidata agli assistenti che, pur seguendo scrupolosamente le sue istruzioni, rendono ogni disegno l›uno diverso dall’altro. La seconda sezione è composta di 47 opere appartenenti quasi tutte a collezioni napoletane. Nel 1975, con la mostra alla Modern Art Agency di Lucio Amelio, inizia l’assidua frequentazione della città partenopea da parte dell’artista, che crescerà nel corso degli anni ’80 quando si trasferirà con la famiglia a vivere per alcuni anni in Italia, a Spoleto. La terza sezione, infine, frutto della collaborazione con il Centre Pompidou di Metz,espone 95 opere, ovvero una parte rilevante dela collezione privata di Sol LeWitt. Collezionare opere di altri artisti, è stato per LeWitt un impegno a tempo pieno,

Franco Guerzoni, Strappo d’affresco, particolare

NAPOLI

Museo MADRE

al 1 aprile, Sol LeWitt. L‘artista e i FLa ino suoi artisti, a cura di Adachiara Zevi. mostra è il primo omaggio museale

FIRENZE

Palazzo Pitti

al 23 febbraio al 7 aprile 2013, venD gono proposte trenta opere di Franco Guerzoni in una mostra dal suggesti-

Sol LeWitt, Wall drawings, Prima installazione in Italia (courtesy Zerynthia Roma, foto Gino Di Paolo, Pescara)

Sol LeWitt, Wall drawings a Palazzo delle Esposizioni, Roma (foto Andrea Fiorentino)

vo titolo “La parete dimenticata”, curata da Pier Giovanni Castagnoli e Fabrizio D’Amico. Si tratta della prima mostra di un artista contemporaneo che la Commissione per l’arte contemporanea, presieduta dalla Dr. Acidini ha deciso di ospitare nelle storiche sale di Palazzo Pitti. Franco Guerzoni fin dai primi anni ‘70 si dedica, nel clima del concettualismo allora imperante, alla ricerca dei sistemi di rappresentazione dell’immagine attraverso l’uso del mezzo fotografico e, fin da allora presta grande attenzione al

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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< esattamente come disegnare, progettare i wall drawings. Iniziata nel 1960, la collezione, custodita oggi presso la Fondazione di Chester, annovera circa 4000 pezzi: frutto di scambi con artisti, con galleristi, e soprattutto di acquisti. Consistente è il nucleo di opere di artisti italiani, da Boetti a Merz, da Kounellis a Paolini, da Salvo a Chia a Tirelli. Accompagna la mostra il volume di Adachiara Zevi “L’Italia nei wall drawings di Sol LeWitt», pubblicato da Electa. Il volume è il catalogo generale di tutti i wall drawings realizzati dall’artista in Italia dal 1969 fino a oggi, letti attraverso il filtro dell’influenza, riconosciuta dallo stesso LeWitt, dell’arte e degli artisti italiani sul suo lavoro. Il libro contiene anche l’ultima intervista inedita rilasciata da LeWitt all’autrice nel 2006.

ROMA

MAcRO Testaccio

al 1° febbraio al 17 marzo la mostra D Israel Now – Reinventing the Future, a cura di Micol Di Verol. L’esposizione,

strutturata attorno ad una selezione di ventiquattro artisti israeliani provenienti da esperienze e generazioni diverse, vuole aprire molteplici sguardi sul futuro, per offrire una possibile concezione alternativa della produzione e della fruizione artistica. Il percorso espositivo si suddivide in grandi insiemi, all’interno dei quali ogni artista illustra la propria visione di futuro reinventato. In mostra opere di Shay Frisch, Tamar Harpaz, Nahum Tevet, Boaz Arad, Maya Attoun, Yael Bartana, Orit Ben-Shitrit, Yifat Bezalel, Ofri Cnaani, Elinor Carucci, Michal Chelbin, Keren Cytter, Dani Gal, Lea Golda Holterman, Meital Katz Minerbo, Shai Kremer, Adi Nes, Uri Nir, Leigh Orpaz, , Michal Rovner, Yehudit Sasportas, Gal Weinstein, Shahar Yahalom, Guy Zagursky. Yael Bartana, (cortesy Macro, Roma)

ROMA

MAXXI

al 23 gennaio al 6 ottobre 2013 a D cura di Luigia Lonardelli, si prende in esame il particolare rapporto che ha

legato Alighiero Boetti a Roma, con le connessioni, gli intrecci e le risonanze fra l’opera dell’artista e quelle di Francesco Clemente e Luigi Ontani di cui verranno esposti una serie di lavori in dialogo con quelli di Boetti, indagando per la prima volta le relazioni tra le loro opere, che ridefiniscono il panorama di vitalità e di Alighiero Boetti, Mappa 1971-1973 esuberanza creativa che investe la gene- foto Roberto Galasso. razione degli anni Settanta. Nell’autun- Courtesy Fondazione MAXXI no del 1972 Boetti si trasferisce a Roma, considerata dall’artista un avamposto verso l’Oriente, opposta all’aristocratica Torino, fredda e concettuale. Roma gli offre una libertà creativa insperata, rende possibili percorsi nuovi, individuali e liberi da condizionamenti. Pur non facendo mai parte di un gruppo specifico, in questo periodo Boetti stringe una serie di amicizie importanti, con un atteggiamento molto “comunitario” che lo porterà a diventare un punto di riferimento per artisti come il giovane Francesco Clemente, di cui diventa il mentore, e Luigi Ontani. Clemente sarà l’unico fra i tre artisti a decidere di abbandonare in maniera definitiva Roma spostandosi per lunghi periodi in India e studiando Teosofia a Madras dove, dopo essersi trasferito a New York, tornerà più volte nel corso degli anni Ottanta. Anche per Ontani Roma sarà una base di partenza per il suo Oriente che, nella seconda metà degli anni Settanta, prenderà la forma di Viaggio in India, di cui sono esposte le prime fotografie acquerellate che lo vedono protagonista dei suoi famosi tableaux vivants. Se l’Oriente è quindi una scelta di appartenenza totale per Clemente, e per Ontani un mondo immaginato e costruito, Alighiero Boetti invece vorrà sempre rimanere un occidentale a Kabul e un orientale a Roma, a rimarcare una sua voluta alterità rispetto all’ordine delle cose, la sua connaturata bilateralità: “a Roma sono uno straniero, sono un soggiornante, per cui ho sempre la coscienza di dove sono”.

TORINO

Museo di Rivoli

egli spazi della Manioca Lunga, dal 30 gennaio al 5 maggio, grande retrospettiN va dedicata all’artista cubano-americana Ana Mendieta. La mostra, dal titolo She Got Love, nasce da un progetto, a cura di Beatrice Merz e Olga Gambari e si propone

di rileggere, attraverso un centinaio di lavori (realizzati tra il 1972 e il 1985) la figura dell’artista come pioniera della performance e video, body art, fotografia, land art e scultura del Ventesimo Secolo. Ana Mendieta TotemGrove (all-view)

MILANO

haim steinbach

a galleria Lia Rumma presenta, nella Lmostra sede di Milano dal 6 febbraio, la nuova personale di Haim Steinbach. Per

il progetto, sviluppato sui tre piani dell’edificio, l’artista fa uso di materiali ordinari da costruzione per l’edilizia - staffe di metallo, pannelli, scaffalature prefabbricate, pittura e carta da parati – facendo apparire sia gli spazi domestici che quelli istituzionali come luoghi espositivi. Più di 50 oggetti selezionati da 7 collezioni private sono talvolta abbinati ad oggetti della collezione dell’artista. Tutti gli elementi, collocati su mensole, sono esposti sia sulle pareti permanenti della galleria che su quelle temporanee progettate da Steinbach.

Per la sua prima edizione in Asia Art Basel Hong Kong presenta presso l’Hong Kong Convention and Exhibition Centre 245 gallerie e oltre 3000 artisti provenienti da 35 paesi nel mondo, dall’Asia e dall’Occidente (Argentina, Australia, Austria, Brasile, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Hong Kong, India, Indonesia, Irlanda, Italia, Giappone, Corea, Cina, Malesia, Messico, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Filippine, Portogallo, Romania, Russia, Singapore, Sud Africa, Spagna, Svezia, Svizzera, Taiwan, Turchia, Tailandia, the Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna e Stati Uniti). Oltre la metà delle gallerie partecipanti provengono dall’Asia e dalle Regioni asiatiche sul Pacifico – dalla Turchia al Medio Oriente al sub continente indiano, fino ad Australia e Nuova Zelanda – 28 sono le gallerie che hanno uno spazio espositivo ad Hong Kong e 48 partecipano per la prima volta ad una fiera ad Hong Kong. La mostra si articola in quattro settori: Galleries, Insights, Discoveries e Encounters. Il settore principale, Galleries, accoglie 171 gallerie d’arte moderna e contemporanea, provenienti da Asia, Europa e Stati Uniti, che presentano opere di alta qualità spaziando dalla pittura, alla scultura, al disegno, alle installazioni, dalla fotografia, alla video arte del 20imo e 21imo secolo. Le gallerie occidentali che espongono per la prima volta ad Hong Kong sono 303 Gallery, New York; Ameringer McEnery Yohe,

Ana Mendieta, Facial Cosmetic Variations, 1972 suite of four color photo, 19x25 inc Galerie Lelong, New York

New York; Andréhn- Schiptjenko, Stoccolma; Cecilia de Torres, Ltd., New York; Dirimart, Istanbul; Dominique Levy Gallery, New York; Galerie OMR, Città del Messico; Galeria Pedro Cera, Lisbona; Johnen Galerie, Berlino; Mayoral Galeria D’Art, Barcellona; Peter Blum Gallery, New York e Wentrup, Berlino. Il settore Insights presenta 47 gallerie da Asia e Regioni asiatiche sul Pacifico, con un progetto curatoriale specificamente sviluppato per la fiera, attraverso solo show, group show tematici e l’esposizione di un ricco materiale storico, nell’intento di promuovere ed incoraggiare a conoscere il lavoro di molti artisti della scena asiatica degli ultimi cento anni. La sezione include rappresentanti dell’Australia, Cina, Hong Kong e Giappone, acanto a gallerie provenienti da India, Indonesia, Corea, Filippine, Singapore, Turchia, Malesia e Emirati Arabi Uniti (Dubai). Il settore Discoveries presenta una selezione di mostre personali e mostre dedicate a due singoli artisti selezionati tra i più dotati artisti emergenti nel mondo, tra i quali sarà scelto il vincitore del Premio di 25.000 dollari Discoveries Prize. 14 gallerie espongono per la prima volta ad Hong Kong. Infine il settore Encounters, curato da Yuko Hasegawa, presenta opere d’arte, installazioni e sculture large-scale di artisti provenienti da tutto il mondo. Le gallerie italiane presenti ad Art Basel Hong Kong sono Galleria S.A.L.E.S, Roma; Francesca Minini, Milano; Monitor, Roma; Galleria Continua, San Gimignano, Beijing, Le Moulin; Massimo De Carlo, Milano; Galleria d’Arte Maggiore GAM, Bologna; Galleria Lorcan O’Neill, Roma; Lia Rumma, Milano. GEN/FEB 2013 | 243 segno - 7

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Anteprima/News AscOLI PIcENO

gigino Falconi

Il Centro d’Arte L’Idioma propone, a cura di Giuseppe Bacci, la raffinata pittura metafisica di Gigino Falconi nella mostra Momenti pittorici, percorso di venti opere realizzate tra il 1996 e il 2012.

BOLOgNA

sam Francis

Dal 2 febbraio, alla Galleria d’Arte Maggiore La libertà del colore, mostra monografica sull’opera di Sam Francis, storico esponente dell’Espressionismo astratto americano. L’esposizione, ideata da Alessia Calarota e curata da Franco e Roberta Calarota, ne ripercorre la carriera attraverso lavori che dapprima evidenziano l’influenza su di lui esercitata da altri artisti americani, specie Pollock e Still, per poi presentare le tappe dello sviluppo di uno stile personale fatto di un diverso uso dello spazio e una particolare sensibilità per i valori cromatici.

Irma Blank, Avant-Testo, 2002, biro su poliestere, cm.35x35, courtesy P420, Bologna

mondo” attraverso le tracce che vi lasciano. Maria Crispal, Silvia Giambrone, Chiara Mu, Francesca Romana Pinzari, Francesca Pizzo sottolineano uno stato di generosità irremunerabile, in un contesto di degrado fino a qualche anno fa del tutto impensabile.

Irma Blank

La galleria p420 propone la mostra Senza parole, dell’artista Irma Blank. In esposizione alcuni cicli della sua vasta produzione: dalle Eigenschriften della seconda metà degli anni Sessanta, attraverso il mimetismo delle Trascrizioni, la scrittura pittorica dei Radical Writings, il completo astrattismo degli Avant-testo, fino alla scrittura babelica dei più recenti Hyper-text. Un percorso creativo che dura da mezzo secolo, nel quale l’artista ha interrogato le più diverse possibilità attraverso cui il segno può ambire a rappresentare l’esistenza.

BORgOMANERO

un’idea di scultura

La Galleria eventinove, in contemporanea con la galleria Marcorossi di Verona, presenta l’esposizione Un’idea di scultura, breve ricognizione dell’attuale scultura figurativa italiana con opere di Nicola Bolla, Girolamo Ciulla, Chris Sam Francis, courtesy G.A.M., Bologna Gilmour, Maurizio Silvia Giambrone, Eredità, 2009, video performance, Savini e Willy Verginer. courtesy OltreDimore, Bologna

Nonostante tutto

Alla Galleria OltreDimore, con la curatela di Raffaele Gavarro, la mostra Nonostante tutto mette in scena il lavoro corale di cinque giovani artiste italiane che hanno scelto di raccontare il loro “stare ostinato nel

LONDRA

Tate Modern

La Tate Modern a Londra accoglie la mostra A Bigger Splash: Painting after Performance, che offre un nuovo punto di vista sul rapporto dinamico tra la performance e la pittura dal 1950. Partendo dalla pittura chiave di Jackson Pollock e David Hockney, la mostra espone due diversi approcci alla tela, come arena sulla quale agire: uno gestuale, l’altro teatrale. La pittura degli Actionists di Vienna o le Shooting Pictures di Niki de St Phalle sono poste in contrapposizione con opere di artisti quali Cindy Sherman or Jack Smith, che usano il viso e il corpo come una superficie da dipingere e tra-

Franco Guerzoni, Strappo d’affresco, particolare courtesy l’artista

FAENZA

Piero Pizzi cannella

Ceramiche e grandi disegni di Piero Pizzi Cannella, in tutto oltre 70 opere, occupano gli spazi del MIC fino al 17 marzo

sformare, un mezzo da usare attraverso l›utilizzo del make-up. Fino al 1 Aprile 2013. Helena Almeida, Inhabited painting, 1975. Tate Modern, Londra

Zhivago Duncan, Sun Set Boulevard, 2012, modellini, plexiglass, neon, vernice, legno, cm.110x55x55 courtesy Poggiali e Forconi, Firenze Piero Pizzi Cannella, Vaso rosso, 2012 courtesy Galleria Otto, Bologna

2013 in una esposizione dal titolo Atmosfere. Mostra realizzata in collaborazione con la Galleria Otto di Bologna.

FIRENZE

Franco guerzoni

A partire dal 28 febbraio, le stanze dell’Andito degli Angiolini, in Palazzo Pitti, fanno da cornice a La parete dimenticata, grande personale di Franco Guerzoni. L’artista, che cura personalmente l’allestimento, presenta oltre 30 opere, concentrandosi in particolare sui risultati dell’ultimo decennio di ricerca espressiva.

Zhivago Duncan

La galleria Poggiali e Forconi propone la prima personale in Italia dell’artista americano Zhivago Duncan. Quaranta i lavori appositamente realizzati per Papillon, tra cui dieci installazioni (due delle quali di dimensioni monumentali), trenta modellini di aereo dipinti e sospesi, più una serie di dipinti a olio su tela. A cura di Saskia Neuman, fino al 9 febbraio.

Marcel Dzama

David Zwirner Gallery presenta la mostra Puppets, Pawns and Prophets che raccoglie una scelta di opere recenti di Marcel Dzama, tra film, sculture e disegni. Dal 6 aprile all’11 maggio. Marcel Dzama, Death Disco Dance, 2011 (still). Video on monitors, 4 minutes (loop), color, sound.

NEW YORK

ThE ARMORY shOW 2013

7-10 Marzo 2013 Per la sua quindicesima edizione The Armory Show celebra il centennale dalla prima edizione dell’Armory Show del 1913 – dalla quale trae il nome, e che ebbe il merito di introdurre in America il Modernismo europeo – e presenta a New York 200 gallerie da 30 paesi di tutto il mondo, proponendo una vasta selezione di espositori internazionali. La fiera si suddivide in due settori: The Armory Show – Contemporary nel Pier 94 ospita gallerie quali David Zwirner (New York, Londra), Sprüth Magers Berlin Londra (Berlino, Londra), Sean Kelly (New York), Massimo De Carlo (Milano), Lisson Gallery (Londra), Victoria Miro (Londra), Kukje Gallery/Tina Kim Gallery (Seoul, New York), Marianne Boesky (New York), Praz-Delavallade (Parigi), Luciana Brito Galeria (San Paolo), Corvi-Mora (Londra), Sies + Höke (Dusseldorf), Jack Shainman (New York), GALLERIA CONTINUA (San Gimignano, Beijing, Le Moulin), Galerie EIGEN + Art (Berlino), Kerlin Gallery (Dublino), Susanne Vielmetter Los Angeles Projects (Culver City), Mai 36 Galerie (Zurigo), e Rhona Hoffman Gallery (Chicago). Tra le gallerie per la prima volta all’Armory Galerie Eva Presenhuber (Zurigo), Goodman Gallery (Johannesburg), Galerie Rodolphe Janssen (Brussels), e Galeria Raquel Arnaud (San Paolo). Il Pier 92 ospita la sezione The Armory Show – Modern, dedicata all’arte del 20imo secolo, che presenta tra le altre la Marlborough Gallery (New York), Galerie Thomas (Monaco), Galleria d’Arte Maggiore G.A.M. (Bologna), Alan Cristea Gallery (Londra), Marc Selwyn Fine Art (Los Angeles), Simon Capstick-Dale Fine Arts (New York), James Goodman Gallery (New York), Craig F. Starr Gallery (New York), Galerie Ludorff (Dusseldorf), Danese (New York) and Gallery Sho Contemporary Art (Tokyo) e per la prima volta a New York la Galleria Mazzoleni (Torino) e Galerie Koch (Hannover). Le gallerie italiane presenti sono: Cardi Black Box, Milano; Galleria Continua, San Gimignano, Beijing, Le Moulin; Massimo De Carlo, Milano; MONITOR, Roma; Noire Contemporary Art, Torino; Galleria Lorcan O’Neill, Roma; Galleria Il Ponte, Firenze; Vistamare, Pescara; Galleria d’Arte Maggiore G.A.M., Bologna; Galleria Mazzoleni, Torino; Galleria Repetto, Acqui Terme. Affiancano le sezioni principali Solo Projects, la sezione della fiera dedicata a presentazioni di singoli artisti; Armory Film, che presenta una accurata selezione di film e lavori video di artisti contemporanei; Open Forum, con una serie di incontri e tavole rotonde. L’artista nominata a rappresentare l’immagine dell’Armory per l’edizione 2013 è Liz Magic Laser, nota per la sua arte poliedrica che attraversa performance, teatro e installazione. Eric Shiner, Direttore del Warhol Museum di Pittsburgh sarà il curatore di Armory Focus la sezione dedicata quest’anno agli Stati Uniti. Molte le proposte che affiancano la programmazione dell’Armory: il Museum of Modern Art presenta Inventing Abstraction, 1910–1925 (fino al 15 aprile 2013); il Metropolitan Museum of Art propone African Art, New York, and the Avant-Garde (fino al 14 aprile 2013), con opere e manufatti africani acquisiti dalla comunità newyorkese nei primi anni del Novecento; il Montclair Art Museum con The New Spirit: American Art in the Armory Show, 1913 (dal 17 febbraio al 16 giugno 2013). The New-York Historical Society, ospita da ottobre 2012 The Armory Show at 100, con classici quali l’opera di Duchamp Nude Descending a Staircase, per la prima volta in esposizione in America nell’edizione del 1913 di The Armory Show. 8 - segno 243 | GEN/FEB 2013

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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< MILANO

Stefano Pezzato

Arte Accessibile

Annunciata per il mese di aprile, nello Spazio Eventiquattro, la V edizione di Arte Accessibile Milano, manifestazione ideata e diretta da Tiziana Manca che esplicita una reale volontà di avvicinare sempre più persone all’arte contemporanea puntando su un approccio informale. Fra le novità del 2013, un servizio di ArtAdvisor per gli espositori e uno spazio appositamente dedicato all’Art-Design e al Design nel programma del FuoriSalone.

Al Museo Pecci Milano, dal 21 gennaio Percorso in tre atti, di Paolo Grassino a cura di Stefano Pezzato. Scultura, installazione, video e pittura sono gli strumenti usati dall’artista, lungo un percorso di ricerca in tre atti a ritroso nel tempo, dal 2012 al 2008, per mostrare la sapienza e l’inquietudine, la tecnica e l’immaginazione, la composizione, l’evasione contenute e proposte in tre diverse opere.

Marco Formisano

Lo Studio d’Arte Cannaviello presenta Il corpo separato, personale di Marco Formisano. In mostra una selezione di lavori realizzati tra il 2008 e il 2012 con varie tecniche: disegni a carboncino, chine e pitture su lastre metalliche. Presentata, inoltre, una serie di opere frutto di una ricerca sperimentale (dipinti immersi in acqua dentro teche di plexiglass e lasciati aggredire da acidi) iniziata dall’artista nel 2008. Marco Formisano, Untitled, 2011, bitume, resina, olio su lastra di acciaio zincato, cm.130x50, courtesy Studio d’Arte Cannaviello, Milano

Alberto Biasi

Alla galleria Dep Art, dal 16 febbraio al 27 aprile, Rilievi ottico-dinamici di Alberto Biasi. Una importante esposizione di trenta lavori realizzati nell’arco di un cinquantennio, tra il 1960 e il 2010, intesa a ripercorrere e ricostruire il percorso che diede origine alla sua più importante ricerca artistica. Catalogo curato da Antonio Addamiano in collaborazione con l’Archivio Alberto Biasi, che documenta un corpus di oltre 500 opere a colori.

Carlo Ciussi, Senza titolo, 2005, olio su tela, courtesy A arte Studio Invernizzi, Milano

sono esposti i nuovi lavori, al secondo trovano spazio le carte realizzate nei primi anni sessanta.

carlo ciussi

La galleria A arte Studio Invernizzi inaugura il19 febbraio una mostra personale di Carlo Ciussi. Esposti lavori realizzati nel corso del 2011, opere tridimensionali della metà degli anni Novanta, le cui superfici sono attraversate da linee che si intrecciano e si sovrappongono, aprendosi e interagendo con lo spazio architettonico della galleria, ma anche tele rappresentative del biennio 2006/’07, che attraverso la ripetizione di moduli geometrici quadrati e rettangolari indagano lo spazio con un ritmo che tende alla verticalità.

carmen herrera

La sede meneghina di Lisson Gallery ospita, fino al 15 marzo, Works on paper 2010 – 2012, personale interamente dedicata alle nuove opere su carta di Herrera. Carmen Herrera, Untitled, 2012, Carmen courtesy Lisson Gallery, Milano Composte da forme geometriche essenziali che galleggiano su sfondo bianco, questi lavori si misurano con un vocabolario visivo che ricorda fortemente i dipinti su tela dell’artista cubana.

giovanni Rizzoli Alberto Biasi, A Palermo il re dei brodi, 1999, cm.100x100x4, courtesy Archivio Alberto Biasi

hsiao chin

La Fondazione Marconi propone Opere su carta - Dialogo tra gli anni Sessanta e oggi. La mostra, allestita su entrambi i piani dello spazio espositivo, è dedicata alle carte dell’artista cinese Hsiao Chin: al primo piano

LONDRA

Estorick collection Alberto Di Fabio

Realizzata in collaborazione con la Gagosian Gallery, la mostra Dialogues on Display a cura di Pier Paolo Pancotto presenta una selezione di lavori degli ultimi vent’anni dell’artista Alberto Di Fabio, in dialogo con le opere dell’arte italiana del 20imo secolo della collezione permanente del museo. Dal 13 Febbraio al 7 Aprile. Alberto Di Fabio, Energy, 2001 83 x 69 cm Courtesy Gagosian Gallery

Federico Luger propone la prima personale a Milano per l’artista veneziano Giovanni Rizzoli. La mostra è dedicata a una specifica ricerca portata avanti dal 1990: la pittura con la flebo, tecnica che l’artista ritiene “antropologicamente attualissima” perché in essa, a differenza delle esperienze di vari artisti degli anni sessanta, è l’atto formale a unire all’espressione di una condizione umana, quella del tempo della guarigione e della malattia, creando la possibilità di una pittura che si rivela essere simbolica, erotica, ma allo stesso tempo incontrollabile.

Opinione Latina

Giovanni Rizzoli, Tempo 07-12-12 ore15.00, courtesy Federico Luger, Milano Opinione Latina/1, courtesy Francesca Minini, Milano

Alla galleria Francesca Minini Opinione Latina/1, prima tappa di un progetto espositivo che lancia uno sguardo verso l’America Latina, emblema di una dimensione estetica vivace, energica, esplosiva a tal punto da risultare non classificabile in un’unica corrente, ma capace di raccogliere e reinterpretare la realtà della ricerca visiva contemporanea sviscerando le tematiche dell’urgenza sociale, del senso di disorientamento e nostalgia, della rivisitazione del passato e del legame con la natura. Opere di Jose Dávila, Gabriel de la Mora, Jorge Pedro Núñez, Amalia Pica, Wilfredo Prieto, Thiago Rocha Pitta, Martin Soto Climent, Antonio Vega Macotela.

silvia Bächli

La galleria Raffaella Cortese presenta una personale dell’artista svizzera Silvia Bächli. In mostra disegni e pitture su carta di vari formati e tecniche, più l’installazione Hafnargata, progetto fotografico concepito e ideato con il compagno, l’artista svizzero Eric Hattan, risultato di un loro viaggio esplorativo di quattro mesi in Islanda nel 2008.

Blue and Joy

Alla Galleria Artra personale di Blue and Joy (Fabio Le Fauci e Daniele Sigalot). i due artisti vivono e lavorano a Berlino nella loro “Pizzeria”, uno studio garage, una factory che afferma nell’identità tutta italiana, una piattaforma di incontro e di sperimentazione.. Blue and Joy si appropriano di ogni mezzo linguistico (dalla pittura ad olio, al video; dall’alluminio alle resine, dai cartoni disegnati, agli innovativi mosaici) per focalizzare il messaggio in modo evidente, diretto, ma celando sempre, e con una profonda ironia interrogativa e allusiva, significati nascosti e verità non rivelate.

PARIgI

hiroyuki Masuyama

Piece Unique presenta Cava de’ Tirreni 17922012 la mostra fotografica sul tema del viaggio dell’artista giapponese Masuyama, che propone l’interpretazione fotografica dei luoghi del Grand Tour in Italia immortalato nelle opere di artisti quali Turner e Friedrich. Fino al 15 Marzo.

curtis Mann

Il Centre Pompidou presenta la mostra Fruits de la passion di Curtis Mann. Fino al 2 Settembre 2013.

Masuyama, PieceUnique, Parigi

MADRID

ARcO 2013

13 - 17 Febbraio In occasione della sua 32ima edizione la Fiera d’Arte contemporanea ARCO presenta a Madrid 202 gallerie da 30 paesi dai 5 continenti, e 150 professionisti tra curatori, relatori, direttori di museo e di istituzioni culturali. La sezione OPENING - Young Galleries, propone una selezione di 22 giovani gallerie (operanti da meno di sette anni) provenienti da Asia, America ed Europa; la sezione SOLO PROJECTS: Focus Latin America, è dedicata al lavoro di artisti latino americani emergenti e presenta 23 progetti selezionati dai curatori Inti Guerrero, Catalina LozanoGabriel Pérez-Barreiro, Alexia Tala, e Cristiana Tejo. Il programma Solo Objects apre le porte di Arco ad una selezione di opere large-scale. Paese ospite quest’anno è la Turchia: per la sezione FOCUS TURKEY il curatore Vasif Kortun, con la collaborazione di Lara Fresko, ha selezionato 10 gallerie turche chiamate a fornire uno sguardo sul panorama della emergente produzione artistica turca. La presenza della Turchia si riflette anche nelle mostre tematiche che si terranno nella città di Madrid: il Centro de Arte 2 de Mayo, propone una mostra sull’artista multidisciplinare Halil Altindere, a cura di Ferrán Barenblit; La Casa Encendida proietta i lavori video dell’artista Ali Kazma, e il Centro di arte MATADERO MADRID organizza un group project in collaborazione con il Centro Culturale multidisciplinare turco SALT. Tra le gallerie italiane partecipanti: Enrico Astuni, Bologna; Galleria Gentili, Prato; Prometeo Gallery, Milano; Studio Trisorio, Napoli; SpazioA, Pistoia; Galleria Torbandena, Trieste; Frutta, Roma; Galleria Francesca Minini, Milano; Galleria Norma Mangione, Torino; Cardi Black Box, Milano. GEN/FEB 2013 | 243 segno - 9

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The Armory Show Piers 92 & 94

March 7–10, 2013 • New York City • thearmoryshow.com

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Pier 94: The Armory Show – Contemporary Ambach & Rice, Los Angeles Andersen’s Contemporary, Copenhagen Andréhn-Schiptjenko, Stockholm Angles Gallery, Los Angeles Galerie Anhava, Helsinki Galeria Raquel Arnaud, Sao Paulo Baró Galeria, Sao Paulo Hannah Barry Gallery, London Rod Bianco Gallery, Oslo Josée Bienvenu Gallery, New York BISCHOFF/WEISS, London bitforms gallery, New York Galerie Hervé Bize, Nancy Galleri Bo Bjerggaard, Copenhagen BLAIN|SOUTHERN, London Peter Blum, New York Marianne Boesky Gallery, New York Rena Bransten Gallery, San Francisco Galleri Brandstrup, Oslo Luciana Brito Galeria, Sao Paulo Cardi Black Box, Milan Galeria Pedro Cera, Lisbon C L E A R I N G, Brooklyn, Brussels Galleria Continua, San Gimignano, Beijing, Le Moulin Corkin Gallery, Toronto Crown Point Press, San Francisco Pilar Corrias Gallery, London Corvi-Mora, London Galerie Crone, Berlin Massimo De Carlo, Milan Dirimart, Istanbul Durham Press, Durham Galerie EIGEN + ART, Berlin Eleven Rivington, New York Derek Eller Gallery, New York Gallery Espace, New Delhi espaivisor – Galería Visor, Valencia Gallery Isabelle van den Eynde, Dubai Henrique Faria Fine Art, New York Ronald Feldman Fine Arts, New York Galerie Forsblom, Helsinki Honor Fraser Gallery, Los Angeles Fredericks & Freiser, New York Galerie van Gelder, Amsterdam Galerie Laurent Godin, Paris Goodman Gallery, Johannesburg GRIMM, Amsterdam Howard Greenberg Gallery, New York Kavi Gupta, Chicago, Berlin Haines Gallery, San Francisco Hales Gallery, London Hamish Morrison Galerie, Berlin Leila Heller Gallery, New York Rhona Hoffman Gallery, Chicago Andreas Huber, Vienna i8, Reykjavik Ingleby Gallery, Edinburgh Susan Inglett Gallery, New York Galerie Rodolphe Janssen, Brussels JGM. Galerie, Paris Kalfayan Galleries, Athens, Thessaloniki mike karstens, Munster Sean Kelly Gallery, New York Kerlin Gallery, Dublin Kimmerich Gallery, New York

Leo Koenig Inc., New York Michael Kohn Gallery, Los Angeles Ai Kowada Gallery, Tokyo Kukje Gallery/Tina Kim Gallery, Seoul, New York Morgan Lehman, New York Tanya Leighton Gallery, Berlin Josh Lilley, London Ignacio Liprandi Arte Contemporaneo, Buenos Aires Lisson Gallery, London Loevenbruck, Paris Loock Galerie, Berlin Mai 36 Galerie, Zurich Edouard Malingue Gallery, Hong Kong Galerie Ron Mandos, Amsterdam Marlborough Chelsea, New York Yossi Milo Gallery, New York Victoria Miro, London Mixografia, Los Angeles MONITOR, Rome Galerie nächst St. Stephan Rosemarie Schwarzwälder, Vienna Francis M. Naumann Fine Art, New York Mihai Nicodim Gallery, Los Angeles, Bucharest Noire Contemporary Art, Torino Galerie Nathalie Obadia, Paris, Brussels ONE AND J. Gallery, Seoul Galleria Lorcan O’Neill, Rome Other Criteria, London Paradise Row, London Parkett Publishers, New York Pékin Fine Arts, Beijing Pi Artworks, Istanbul Pierogi, Brooklyn P.P.O.W, New York Galleria Il Ponte, Florence Praz-Delavallade, Paris Galerie Eva Presenhuber, Zurich Galería Lucía de la Puente, Lima Yancey Richardson Gallery, New York David Risley Gallery, Copenhagen Roberts & Tilton, Culver City Rokeby, London Galerie Gabriel Rolt, Amsterdam Rotwand, Zurich Galerie Thomas Schulte, Berlin Galeria SENDA, Barcelona Jack Shainman Gallery, New York Sies + Höke, Dusseldorf Bruce Silverstein, New York Fredric Snitzer Gallery, Miami Sprüth Magers Berlin London, Berlin, London Tang Contemporary Art, Beijing Galerie Daniel Templon, Paris Two Palms, New York Singapore Tyler Print Institute, Singapore Universal Limited Art Editions, Bay Shore Upstream Gallery, Amsterdam Galerie Bob van Orsouw, Zurich Susanne Vielmetter Los Angeles Projects, Culver City Vistamare, Pescara Galerie Anne de Villepoix, Paris Max Wigram Gallery, London Winkleman Gallery, New York Bryce Wolkowitz Gallery, New York David Zwirner, New York, London

Pier 92: The Armory Show – Modern Alan Cristea Gallery, London Alan Koppel Gallery, Chicago Amy Wolf Fine Art and Elrick-Manley Fine Art, New York Andrew Edlin Gallery, New York Armand Bartos Fine Art, New York Browse & Darby, London Carl Hammer Gallery, Chicago Cecilia de Torres, Ltd., New York Chowaiki & Co., New York Craig F. Starr Gallery, New York Crane Kalman Gallery, London Danese, New York David Janis Gallery, New York David Klein Gallery, Birmingham DC Moore Gallery, New York Die Galerie, Frankfurt Driscoll Babcock Galleries, New York Fleisher/Ollman Gallery, Philadelphia Forum Gallery, New York Galerie Koch, Hannover Galerie Ludorff, Dusseldorf Galerie Sho Contemporary Art, Tokyo Galerie Thomas, Munich Galleria d’Arte Maggiore G.A.M., Bologna Galleria Mazzoleni, Torino Galleria Repetto, Acqui Terme Gary Snyder Gallery, New York Gerald Peters Gallery, New York HackelBury Fine Art, London Hackett | Mill, San Francisco Hill Gallery, Birmingham

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Hirschl & Adler Modern, New York Hollis Taggart Galleries, New York James Goodman Gallery, New York Jerald Melberg Gallery, Charlotte John Szoke Editions, New York Jonathan Boos, New York Leon Tovar Gallery, New York LEVY Galerie, Hamburg Louis Stern Fine Arts, West Hollywood Marc Selwyn Fine Art, Los Angeles Marlborough Gallery, New York McCormick Gallery /Vincent Vallarino Fine Art, New York Meredith Ward Fine Art, New York Michael Rosenfeld Gallery, New York Galerie Michael Schultz, Berlin Mireille Mosler Ltd., New York Oriol Galeria d’Art, Barcelona Pace Prints, New York Peter Findlay Gallery, New York Ricco/Maresca Gallery, New York Robert Klein Gallery, Boston Senior & Shopmaker Gallery, New York Sicardi Gallery, Houston Simon Capstick-Dale Fine Arts, New York Sims Reed Gallery, London Susan Sheehan Gallery, New York Tasende Gallery, La Jolla Vivian Horan Fine Art, New York Wetterling, Stockholm Whitestone Gallery, Tokyo

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Modena

roma

Nicola Samorì

Alla Galleria Mazzoli, Nicola Samorì inaugura la personale Die Verwindung, titolo preso in prestito da Heidegger che indica un atteggiamento infedele nei confronti della tradizione. L’artista ha deciso di profanare i capolavori dell’arte, trafugando le memorie che languono nelle pinacoteche di tutto il mondo, nella speranza di “comprendere la vitalità violata della nostra cultura, un capitale inconscio e materiale”.

Nicola Samorì, Pillow, 2012, olio su tavola, cm.9x34x24, courtesy galleria Mazzoli, Modena

NAPOLI

Sol LeWitt

Il Museo MADRE ospita, fino al 1 aprile, la mostra Sol LeWitt. L’artista e i suoi artisti, a cura di Adachiara Zevi, primo omaggio museale italiano a Sol LeWitt dalla sua scomparsa nel 2007. Suddivisa in 3 sezioni tematiche, la mostra percorre 50 anni di carriera, presentando anche lavori inediti, progettati dall’artista e realizzati oggi dai suoi collaboratori. Accompagna la mostra il volume di Adachiara Zevi L’Italia nei wall drawings di Sol LeWitt, pubblicato da Electa.

Divieto di affissione

Zeta Studio propone, fino al 3 maggio, Divieto di affissione. Giovani avanguardie del sud del mondo, collettiva itinerante promossa dalla galleria Numen di Benevento e curata da Giuliana Ippolito, in cui sette giovani artisti del sud si confrontano su corpo e spazio. Con approcci e media molto eterogenei, gli artisti Gema Ruperez Alonso, Barbara Bonfilio, Dario De Cristofaro, Francesca Manetta, Monticelli & Pagone, Antonella Romano, Stella Tasca, esplicano una riflessione sulla corporeità che si fa opera d’arte e cerca un suo spazio. Uno spazio non costrittivo, monotono ed elitario, ma luogo di confronto e scambio capace di trasformare in altro l’opera stessa. Francesca Manetta, The Dying Swan, 2010, autoscatto, c-print digitale con montaggio su alluminio, cm.100x70, courtesy galleria Numen, Benevento

Giovanni Albanese

Silva Latronico, Vistamare Pescara

pescara

Silva e Latronico

La Galleria Vistamare presenta La zona verde di Baghdad, evento espositivo in cui la fotografa ed editrice Giovanna Silva, racconta la sua esperienza nella “green zone” di Baghdad: luogo inaccessibile dove la guerra ha modificato profondamente le caratteristiche del paesaggio urbano, sconvolgendo e riscrivendo l’esistenza quotidiana, generando spazi atipici e sistemi di regole specifici. Con Vincenzo Latronico, con cui Silva ha condiviso la sua prima esperienza editoriale (il libro Humboldt, reportage narrativo e fotografico di un viaggio compiuto da Latronico e Armin Linke lungo la ferrovia etiope, da Gibuti ad Addis Abeba), Silva discuterà il tema del viaggio nel mondo editoriale e della fotografia come strumento narrativo.

piacenza

Alessandro Laita

Alla galleria Placentia Arte personale di Alessandro Laita dal complicato titolo di These things I do, and shall do, if I can, are no longer, or are not yet, or never were, or never will be, or if they were, if they are, if they will be, were not here, are not here, will not be here, but elsewhere. L’installazione in mostra si compone di 65 fogli di carta ottenuti riciclando il suo intero archivio di progetti mai realizzati, secondo un processo di macerazione della carta. Questi fogli, testimoni silenziosi, nascono da un processo rigenerativo grazie al quale il “negativo” cambia stato diventando una possibilità.

L’Aia

Al Museum Beelden aan Zee de L’Aia, Bertozzi & Casoni presentano la mostra Timeless una selezione di 21 opere tra le più significative dal 1997 ad oggi. Dal 25 gennaio al 19 maggio 2013.

Basilea

Markus Raetz

Il Kunstmuseum di Basilea accoglie la retrospettiva dedicata all’artista svizzero Markus Raetz: oltre 200 acquerelli, disegni e polaroid, 60 schizzi e un film creati tra il 1960 e il 2012. Fino al 17 February 2013.

Bilbao

Alex Katz

Il Guggenheim di Bilbao accoglie fino all’autunno 2013 Selections from the Collection of the Guggenheim Museum Bilbao III, una selezione delle opere di Alex Katz, terza di una serie di mostre dedicate agli artisti Pop della propria collezione. Tra le opere la serie Smiles (1994) formata da 11 ritratti di donna di grande formato.

Speech About Crysis

La Galleria Emmeotto inaugura la sezione Outsiders, pensata per dare spazio e risalto alle creazioni e sperimentazioni di artisti emergenti, presentando in collaborazione con il Premio Celeste, la mostra collettiva Speech About Crysis, a cura di Isabella Indolfi. I giovani artisti Agency for Disaster, Simona Barzaghi, Bruna Chiarle, Vittorio Comi, Barbara Matera, Giuseppe Paolillo, Giovanni Presutti, Claudio Rivetti ed Emanuele Serafini interpretano in maniera lucida e ironica la crisi dei nostri giorni, indagandola in tutte le sue molteplici sfaccettature.

Miss.Tic

Wunderkammern presenta Miss.Tic, pioniera della street art che adorna dal 1985 le strade di Parigi con uno stile che unisce estetiche glamour e poesia. Con una combinazione di elementi pop e l’intensità di testi ricercati, le sue pin up sinuose e i suoi uomini atletici ammiccano dai muri della città in abiti e posizioni provocanti e provocatori, rivolgendosi all’osservatore con frasi pungenti e ironiche. Fino al 16 marzo, gli stencil che popolano le strade di Parigi prendono nuova vita su tela, piastre in acciaio, superfici in plastica, legno e collage raccontandosi sui muri della galleria. Mostra a cura di Giuseppe Ottavianelli.

Anteprima/New Alessandro Laita, courtesy Placentia Arte, Piacenza

reggio emilia

Evgeny Antufiev

Miss.Tic, locandina, courtesy Wunderkammern, Roma Giovanni Albanese, courtesy annamarracontemporanea, Roma

Burgdorf, Svizzera

14 marzo al 20 aprile accoglie la mostra *cellar window degli artisti Sam Falls e Joe Zorrilla.

La Collezione Maramotti propone Twelve, wood, dolphin, knife, bowl, mask, crystal, bones and marble – fusion. Exploring materials, dell’artista russo Evgeny Antufiev alla sua prima mostra in Italia. Il progetto, che è stato realizzato appositamente per la Collezione ed è stato portato a termine durante un periodo di residenza a Reggio Emilia, si compone di una varietà di materiali (stoffa, cristalli, meteoriti, ossa, capelli, denti, colla, pelle di serpente, insetti, marmo, legno) e di oggetti apparentemente privi di correlazione tra loro, ma che si fondono e si trasformano all’interno delle installazioni con un processo che richiama le operazioni alchemiche.

Bertozzi & Casoni

Inaugura il 31 gennaio nel cuore dell’antico quartiere ebraico di Roma, il nuovo spazio espositivo annamarracontemporanea, il cui scopo è di supportare la ricerca degli artisti italiani, anche all’estero, identificando una rete di contatti nazionali ed internazionali che permetta la libera diffusione delle più interessanti espressioni artistiche. Primo evento espositivo è una personale di Giovanni Albanese curata da Achille Bonito Oliva: in mostra installazioni “organizzate su un programma circolare a cui il pubblico può accedere ma rimanendo sulla soglia. Albanese utilizza la protesi tecnologica senza illudere lo spettatore, senza promettergli l’Eden della falsa interattività che oggi molta arte promette.”.

Franz Gertsch

Fino al 3 Marzo il Museum Franz Gertsch presenta la mostra “Snap-shot” di Franz Gertsch, con opere dagli anni 1980 al 2012.

Hong Kong

Takashi Murakami

La Gagosian Gallery presenta Flowers & Skulls, la

Donaueschingen, Germania prima mostra ad Hong Kong di Takashi Mura-

Nunzio & Dessì

Con la mostra SENZA TITOLO il Museum Biedermann rende omaggio a due dei principali artisti italiani della Collezione Biedermann: Nunzio e Gianni Dessì. Fino al 16 giugno 2013.

kami. Fino al 9 Febbraio.

Krefeld, Germania

Anne Chu

Ribordy contemporary presenta fino al 9 marzo la personale dedicata a Mathis Gasser, mentre dal

Presso il Museum Haus Lange la newyorkese Anne Chu presenta la personale “Animula Vagula Blandula” una serie di dipinti e sculture ispirati agli affreschi ed alle sculture dell’antica Roma. Cuore della mostra sono tredici putti in porcellana. Fino al 7 Aprile 2013.

Gianni Dessì, Senza Titolo, Museum Biedermann

Nunzio, Senza Titolo, Museum Biedermann

Ginevra

Mathis Gasser

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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< VENEZIA

gianni Berengo gardin

La Casa dei Tre Oci presenta, in anteprima internazionale, Storie di un fotografo, retrospettiva di uno dei più grandi fotografi italiani, Gianni Berengo Gardin. La ricchissima antologica, curata da Denis Curti, si avvale di 130 stampe analogiche che ripercorrono il lavoro di reporter del maestro e che sono lo specchio di un autore che ha fatto dell’etica la sua bandiera. Fino al 12 maggio.

VERcELLI

Arcangelo, courtesy Galleria Eventinove, Torino

TORINO

Arcangelo

La Galleria Eventinove propone, a partire dal 27 febbraio, Da terra mia, interessante quanto unica personale, dell’artista campano Arcangelo. In esposizione, a cura di Ivan Quaroni, circa sessanta opere su carta selezionate a partire dal primo ciclo di opere Terra mia del 1983 fino a Ex-Voto, dell’estate 2012, attraversando così quasi un trentennio di attività.

TRENTO

Taylor McKimens

Allo Studio d’Arte Raffaelli, mostra personale di Taylor McKimens. Nelle sale di Palazzo Wolkenstein verranno esposti fino al 15 marzo i lavori realizzati dall’artista americano nel corso del 2012.

Ideato e curato da Luca Massimo Barbero per il Comune di Vercelli, la mostra Gli anni Sessanta nelle Collezioni Guggenheim. Oltre l’Informale, verso la Pop Art è ospitata nello spazio Arca di Vercelli (Chiesa di San Marco) dal 9 febbraio al 12 maggio 2013. La mostra intende illustrare il panorama artistico degli anni Sessanta, attraverso il confronto tra la scena creativa statunitense e quella europea. Un dialogo transoceanico tra capolavori assoluti, reso possibile dalla ricchezza delle Collezioni Guggenheim di Venezia e New York, che nell’individuazione di parallelismi e scambi permette di cogliere la maturazione di una nuova dimensione della cultura visiva. La mostra - spiega il curatore - si sviluppa mettendo a confronto tre momenti fondamentali che ben raccontano l’arte di questi anni. Il primo è rappresentato da una situazione di superamento dell’arte informale verso nuovi segni e spazi, in cui materia e linguaggio divengono luoghi di una inedita sperimentazione: qui si confrontano artisti come Dubuffet, Antoni Tapies, Twombly e Mark Tobey. In parallelo a questa situazione, è presentata l’ipotesi di riduzione espressiva rappresentata dalle nuove indagini monocrome e spaziali, fondata sulla rarefazione compositiva, il raffreddamento emotivo, la ridefinizione della pittura nella sua stessa dimensionalità (ad esempio nell’impiego delle shaped canvas, tele sagomate), ed espressa da autori come Fontana, Enrico Castellani, Stella, Kenneth Noland, Morris Louis, Agnes Martin e Bice Lazzari. Il momento culminante della mostra è infine rappresentato dalla rivoluzione iconica e mediatica che porta a maturazione la nuova figurazione Pop, fondata sulla reinterpretazione e dissacrazione della tradizione visiva secondo le coordinate della comunicazione contemporanea: espressa da tendenze quali la Pop Art, e rappresentata da autori come Jasper Johns, Rauschenberg, Richard Hamilton, Roy Lichtenstein e Warhol. Nel catalogo edito da Eventi & Progetti di Biella, testi a cura di: Francesca Pola, Sileno Salvagnini, Luca Massimo Barbero

Lawrence Weiner, courtesy Villa Panza Taylor McKimens, This Morning’s Floor, 2012, acrilico su tela, cm.61x46, courtesy Studio d’Arte Raffelli, Trento

Gianni Berengo Gardin, Normandia, 1993, courtesy l’artista e La Casa dei Tre Oci, Venezia

VERONA

Alla Galleria dello Scudo, fino al 31 marzo, Alberto Burri. Opera al nero. Attraverso una selezione di 30 opere su cellotex realizzate nell’arco di un ventennio, fra il 1972 e il 1992, suddivise in sei sezioni, la mostra offre uno sguardo sugli esiti espressivi che connotano il linguaggio dell’artista dopo gli anni ’50 e ’60, quando ormai si è imposto all’attenzione della critica internazionale. Per l’occasione è stato pubblicato un ricco catalogo, edito da Skira, introdotto da una presentazione di Maurizio Calvesi, e corredato da un saggio di Bruno Corà, curatore della mostra. Seguono l’indagine di Rita Olivieri sulla fortuna critica dei Cellotex, un testo di Vittorio Rubiu, una dettagliata biografia dell’artista a cura di Aldo Iori, la ricostruzione dei rapporti di Burri con la Biennale di Venezia elaborata da Laura Lorenzoni, e un’intervista di Manuela De Leonardis ad Aurelio Amendola, fotografo a cui Burri è stato legato da una lunga amicizia. La sezione a cura di Elena Dalla Costa ricostruisce il repertorio delle mostre di Burri tra il 1977 e il 2007 in cui i Cellotex sono stati presenza esclusiva e prevalente al fine di offrire uno strumento di documentazione e un dettagliato prospetto delle tappe in cui si articola la concezione e presentazione al pubblico dei singoli cicli.

VIcENZA

Oki Izumi

La galleria Yvonneartecontemporanea propone una personale di Oki Izumi dal titolo Ho aperto una finestra. L’artista nipponica espone sculture da terra e da tavolo, opere a muro e gioielli, tutto realizzato esclusivamente in vetro, materiale che lavora da molti anni, in particolare sotto forma di lastre industriali. Alla base della sua ricerca riconosciamo il confronto tra cultura orientale, aperta e fluida, e una materia dal carattere occidentale, concreta e circoscritta. Oki Izumi, Memoria trasparente, 2011, vetro, cm.36x24x30, courtesy Yvonneartecontemporanea, Vicenza

VAREsE

Lawrence Weiner

Da un’idea di Giuseppe Panza di Biumo, Villa Panza ospita la prima tappa di Esplorazioni, progetto pluriennale di valorizzazione di artisti che appartengono alla seconda e terza fase della Collezione, dai minimalisti di fine anni ‘60 all’arte organica dei primi ‘80. La mostra Lawrence Weiner, opere 1969-71 propone un focus sulle opere dell’artista americano Lawrence Weiner, pioniere dell’arte concettuale, tra i primi a smaterializzare l’oggetto artistico in puro linguaggio.

LugANO

Klee-Melotti

Il Museo d’Arte di Lugano presenta la mostra Klee - Melotti, un dialogo ideale fra il pittore svizzero-tedesco Paul Klee, e lo scultore italiano Fausto Melotti. La mostra propone uno sguardo inedito sui due artisti, attraverso più di settanta dipinti, acquerelli e disegni di Klee (1879–1940) e circa ottanta sculture e disegni di Melotti (1901–1986). Dal 17 marzo al 30 giugno 2013.

MIAMI

Bill Viola

A Miami il Museum of Contemporary Art presenta in esclusiva il nuovo lavoro di Bill Viola Liber lnsularum: per questo lavoro l’artista si è ispirato al “Libro delle lsole dell’Arcipelago”, scritto dal fiorentino Cristofaro Buondelmonti ecclesiastico nel 15° secolo. Viola parte dai testi di questo libro storico per indagare temi più attuali, come la solitudine dell’uomo nel ventunesimo secolo. La mostra al MOCA rappresenta la prima esibizione pubblica della nuova opera di Viola Ancestors, lavoro recentemente completato, che esplora il

Bill Viola, Miami il Museum of Contemporary Art

rapporto tra realtà e illusione nel mondo fisico. Fino al 3 Marzo 2013.

PEchINO

Berlinde de Bruyckere

Galleria Continua presenta nella sua sede di Beijing la prima personale in Cina dell’artista belga Berlinde de Bruyckere. Fino al 17 marzo 2013.

ZuRIgO

Kunsthalle 2013

La stagione 2013 del Kunsthalle Museum propone dal 2 Febbraio al 24 Marzo 2013 le mostre

degli artisti Tobias Madison «NO; NO; H» e Uri Aran «here, here and here»; dal 6 Aprile al 26 Maggio «Estranged Paradise. Works 1993–2012» dell’artista Yang Fudong,con una selezione di film, lavori fotografici e installazioni dalla fine del 1990 ad oggi; parallelamente con i lavori dell’artista Alejandro Cesarco, costituiti da opere tessili, fotografie, collage, film, libri d’artista e installazioni; dal 9 giugno al 18 Agosto Cameron Jamie; dal 31 agosto al 10 Novembre Wade Guyton e Ed Atkins; per concludere con Lutz Bacher dal 23 Novembre fino a gennaio 2014.

cOLONIA

Art cologne 2013

19 – 22 aprile Con circa duecento gallerie internazionali Art Cologne propone per la sua 47ima edizione una accurata selezione di opere d’arte Moderna e Contemporanea, attraverso le sezioni curatoriali NEW POSITIONS dedicata a 22 giovani artisti emergenti, e NEW CONTEMPORARIES, che accoglie giovani gallerie internazionali. Tra le gallerie italiane saranno presenti Dr. Dorothea van der Koelen, Venezia, Monaco; Luce, Torino; Gio Marconi, Milano; Paradise Garage, Venezia. GEN/FEB 2013 | 243 segno - 13

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Anteprima/News

Gianfranco Maraniello, Claudio Spadoni, Duccio Campagnoli, Giorgio Verzotti

Bologna 2013

UNA NUOVA ARTE FIERA

L’ammiraglia delle Fiere d’arte italiane, propone la trentasettesima edizione con una serie di importanti novità: dalla nuova direzione artistica, affidata a Giorgio Verzotti e Claudio Spadoni, alla manifestazione ART CITY Bologna (con oltre 50 eventi tra mostre ed iniziative culturali), che rappresentano, afferma il Presidente Duccio Campagnoli “non solo una Fiera dell’Arte aperta alla città, ma l’impegno di tutta una città per l’Arte”. Tra le prime novità, la mostra “Storie Italiane” voluta dai due direttori artistici che, con una ottantina di opere selezionate tra quelle presentate dalle Gallerie presenti in Fiera, vuole rileggere la storia dell’arte italiana dal punto di vista delle due curatrici Laura Cherubini e Lea Mattarella. Un’altra novità è la nuova sezione “Solo show” realizzata da Gallerie che propongono progetti espositivi focalizzati esclusivamente alle opere di un unico artista. Un programma di sette conversazioni, dal titolo “Guardare al futuro” mette a fuoco scenari e nuove prospettive del mercato dell’arte. Le Giovani gallerie concorrono, con le loro proposte all’assegnazione dei Premi Euromobil under 30 e Furla. Art City Bologna è il frutto di una collaborazione tra il Comune e Bologna Fiere con le Istituzioni della città, che ha portato alla costruzione di un ampio programma coordinato da Gianfranco Maraniello, direttore dell’Istituzione Bologna Musei. Accanto alle collezioni permanenti, le sedi museali del Comune accolgono una ricca

Conversazione con Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti a cura di Luciano Marucci > Nella nuova ArteFiera di Bologna quali sono i criteri che guidano i settori da voi curati? Claudio Spadoni: Poiché mi occupo del ‘moderno’ - meglio sarebbe dire del Novecento storico - l’obiettivo è di potenziare un settore che è parso non troppo valorizzato. Da tempo si avverte una sottovalutazione soprattutto dell’arte italiana fino agli anni ‘60, con qualche eccezione, da Fontana a Manzoni, per intenderci, e all’Arte Povera. Certo non è facile recuperare gallerie importanti che trattano grandi artisti, italiani e non, del periodo indicato, anche perché la situazione economica generale non aiuta. Giorgio Verzotti: È una conferma di quello che è stata fino ad ora ArteFiera, anche per quanto riguarda il contemporaneo da me curato, cioè una Fiera non specializzata in qualche trend particolare, ma che guarda alle diverse offerte delle gallerie. Quella di Bologna viene chiamata dall’amico Massimo De Carlo “fiera campionaria”, perché c’è un po’ di tutto. Mi piacerebbe che rimanesse così. Ovviamente con questa edizione, e soprattutto con la successiva che avremo più tempo di preparare, ci saranno delle nuove indicazioni. Quindi una maggiore attenzione ai giovani; la ricerca di partecipazione delle gallerie internazionali; una diversa articolazione delle sezioni a cominciare da Solo Show con gallerie che presentano la personale di un artista, come si fa in quasi tutte le fiere.

proposta artistica: da Marino Marini: l’arcaico al Museo Civico Archeologico e De Chirico e i libri alla Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio. Il MAMbo espone la più ampia collezione pubblica di opere di Giorgio Morandi presentando tutte le fasi del suo percorso artistico. Nelle sale interne, l’ampia rassegna “faccia a faccia” di Mario Ceroli, a cura di Gianfranco Maraniello, ripercorre l’intera vicenda creativa dell’artista con alcune delle più celebri installazioni ambientali di grandi dimensioni, oltre a nuovi lavori. La sede di Villa delle Rose ospita Bas Jan Ader, Tra due mondi, prima antologica italiana dedicata all’artista olandese. Alfredo Protti. Il Novecento sensuale, a cura di Associazione Bologna per le Arti, è l’evento protagonista a Palazzo d’Accursio mentre il Museo Internazionale e Biblioteca della Musica presenta una installazione di Hanne Darboven accompagnata da una performance musicale, oltre alla mostra Rewind. 50 anni di Fender in Italia. La Pinacoteca Nazionale ospita il progetto espositivo Gelo del collettivo MASBEDO. La Fondazione Cassa di Risparmio attraverso le sedi del percorso Genus Bononiae rende omaggio a uno dei più grandi fotografi del nostro tempo: Nino Migliori a Palazzo Fava, mostra arricchita dalle installazioni Scattate e abbandonate a Palazzo Pepoli e Glasswriting. Idrogramma a Casa Saraceni. Alla Biblioteca d’Arte e di Storia di San Giorgio in Poggiale è allestita la mostra Il “nostro” Paz, dedicata ad Andrea Pazienza. L’ex Ospedale degli Innocenti fa da suggestiva cornice a Add Fire, momento espositivo della nona edizione del Premio Furla, che prende il titolo dal tema ideato dall’artista padrino Jimmie Durham e presenta i progetti dei cinque finalisti selezionati. I cinque artisti finalisti, individuati al termine di un vero e proprio viaggio di ricognizione sul territorio, sono: Tomaso De Luca (1988) selezionato da Ilaria Gianni e Alice Motard, Chiara Fumai (1978) selezionata da Stefano Collicelli Cagol e Bart van der Heide, Invernomuto / Simone Bertuzzi (1983) e Simone Trabucchi (1982) selezionati da Filipa Ramos e Elena Filipovic, Davide Stucchi (1988) selezionato da Francesco Garutti e Yann Chatei-

Mario Ceroli

gné Tytelman, Diego Tonus (1984) selezionato da Vincenzo Latronico e Fanny Gonella. Palazzo Re Enzo ospita la mostra Benzine. Le energie della tua mente, compresa nell’articolato programma di Arte e Scienza in Piazza a cura della Fondazione Marino Golinelli. Palazzo Re Enzo, accoglie un’installazione sonora creata da Maurizio Nannucci, mentre un’opera di Antonello Ghezzi presso La Luretta conduce i visitatori nei sotterranei del centro storico di Bologna per guardare in alto con il progetto E quindi uscimmo a riveder le stelle. L’attenzione di ART CITY per i giovani si connota nella collettiva New Future, che nella sede del Museo di Palazzo Poggi presenta gli interventi di 13 artisti, selezionati al World Event Young Artist svoltosi a Nottingham nel settembre 2012. Un’altra importante sezione è dedicata al cinema, che include tra l’altro Fine della Specie: programma di spettacoli e performance a cura di ZAPRUDER filmmakersgroup, Gerhard Richter painting di Corinna Belz e l’Omaggio a Hermann Nitsch (6 Tage-Spiel di A. Gulden, 110TH ACTION) e al termine un incontro con lo stesso Nitsch e Marcello Iori).

> Il comunicato di questa edizione annuncia il recupero di “artisti esclusi dalla formula originaria”. Di che si tratta esattamente?

delle gallerie sono stati valutati in relazione alla qualità delle opere oltre che alla notorietà dei nomi. A tale riguardo si è puntato su una commissione di alto profilo.

Claudio Spadoni: Più che di artisti esclusi direi proprio che è l’arte italiana nel suo complesso, almeno fino al secondo dopoguerra, a patire di una disattenzione del mercato - per usare un eufemismo - dovuta anche alla nostra cronica incapacità di valorizzarla e sostenerla, oltre che ad una diffusa esterofilia, frutto di una sudditanza psicologica nei confronti degli altri, ostentata fino al servilismo. Basti pensare, per contro, alla Francia del primo ‘900 o alla spregiudicatezza degli USA nel secondo dopoguerra, quando non esitarono ad attivare perfino la CIA per favorire la diffusione dell’arte americana in Europa e segnatamente in Italia, l’anello più debole della catena. Senza con questo nulla togliere agli artisti importanti messi in campo e ad un’organizzazione di musei e istituzioni artistiche per noi impensabile.

> Perché alcune importanti gallerie non sembrano più interessate a partecipare? Come pensate di neutralizzare gli effetti negativi della crisi economica in atto?

> Viene privilegiata l’arte contemporanea nei confronti di quella storicizzata? Giorgio Verzotti: Io mi sono occupato del contemporaneo, però Bologna è stata sempre forte anche sul piano del moderno. Con la direzione di Claudio Spadoni questo indirizzo è certamente confermato. Credo che anche in tale sezione l’attenzione sia rivolta, per quanto possibile, alla internazionalità. Siamo più su un territorio di conferma della qualità delle gallerie, degli artisti e delle opere. La Fiera continua a rimanere articolata in due sezioni, moderno e contemporaneo. Questa è la caratteristica - più di Artissima e di MiArt - con cui si presenta anche nel contesto internazionale. Claudio Spadoni: Naturalmente i progetti

Claudio Spadoni: Le ragioni sono diverse, anche se per buona parte, a sentire gli interessati, riguardano il profilo complessivo di una Fiera che non corrisponderebbe alle aspettative. Poi ci sono le condizioni del mercato che in Italia è penalizzato rispetto a quanto avviene in altri Paesi. È comunque difficile che ArteFiera sia immune dagli effetti di una crisi di questa portata. Tuttavia speriamo di offrire la conferma, o almeno l’auspicio, che l’arte costituisca un riferimento economicamente tra i più positivi e rassicuranti anche nei tempi lunghi. Se si fossero adottate pure in Italia strategie diverse per valorizzare il patrimonio culturale e le risorse artistiche non solo del passato, l’immagine dell’arte italiana, e dunque dei suoi valori anche economici, sarebbe un’altra. L’augurio è che un’ArteFiera potenziata e di maggior credito internazionale possa funzionare da stimolo. Giorgio Verzotti: Nel passato si è lavorato più sulla quantità e meno sulla qualità. Nell’arte è sempre questione di qualità e noi pensiamo di continuare su questa linea. Il tema della crisi economica, dichiarato e non nascosto, coinvolge tutti gli eventi all’interno della Fiera con incontri, dibattiti, ecc. Si discuterà su come la crisi influisca sul mercato dell’arte; su come quest’ultimo possa reagire, se è vero che possiamo fare di ogni crisi un’opportunità per inventarci qualcosa che ci aiuti ad uscirne; su come il mercato dell’arte possa intervenire con una strategia ottimistica.

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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< Premio Furla

ADD FIRE | Mostra degli artisti finalisti Bologna, Ex Ospedale degli Innocenti

Mario Nigro, Studio Invernizzi Mario Ceroli, Allestimento faccia a faccia foto Aurelio Amendola

Si intitola “Add Fire” la nona edizione del Premio Furla, riconoscimento biennale d’eccellenza per l’arte contemporanea dedicato ai giovani talenti italiani. A firmare il titolo dell’edizione di quest’anno è Jimmie Durham, l’artista - ma anche poeta - statunitense, che farà da padrino al Premio Furla 2013. Il Premio Furla mira a sostenere la migliore pratica artistica del nostro Paese, quale vetrina internazionale per la creatività emergente attraverso il monitoraggio, la selezione, la formazione degli artisti e la produzione di nuovi lavori. Curato da Chiara Bertola, il Premio è organizzato e promosso da Fondazione Furla, Fondazione Carisbo, Fondazione Querini Stampalia, MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna, con il supporto di Carisbo S.p.A. e con la collaborazione di Arte Fiera e Viafarini. ll Premio Furla ope-

BOLOGNA

SetUp, dal 25 al 27 gennaio è la nuova fiera d’arte contemporanea indipendente, ideata e promossa da giovani curatori (Alice Zannoni, Simona Gavioli e Marco Aion Mangani), sorretto da un comitato scientifico formato da Antonio Arévalo, Martina Cavallari, Valerio Dehò, Viviana Siviero ed Eugenio Viola. È una sfilata molto interessante di giovani gallerie, provenienti da tutto il territorio nazionale ed europeo, che presenteranno un artista under 35 e un progetto curatoriale abbinato. Ad accompagnare la kermesse un calendario ricco e vivace di eventi collaterali, con tante performances, concerti, digital art, videoarte ma soprattutto tante novità e moltissimi premi. La crisi, purtroppo, non si può eludere. Vedremo in che modo nel settore dell’arte, collegato al macro settore dell’economia, riusciremo a cavarcela. > A Bologna l’aspetto mercantile è piuttosto presente rispetto ad altre fiere internazionali che tendono a dare sempre più rilievo alle esperienze innovative. Si vuole proprio mantenere questa caratteristica? Claudio Spadoni: Mi sembra un ossimoro, una contraddizione di termini pensare a una fiera d’arte avulsa dal mercato, per quanto una tale manifestazione possa promuovere e arricchirsi con iniziative collaterali non mercantili. D’altra parte la città di Bologna ha allargato la sua partecipazione anche esterna alla Fiera e per questa edizione sono previste mostre ed eventi strettamente legati ad essa senza che questi abbiano un carattere mercantile. Giorgio Verzotti: Tutte le fiere sono mercantili, anche quelle che appaiono più sperimentali sono dentro il mercato. Non credo che dobbiamo ignorare questo aspetto. Non so se Bologna sia più mercantile di altre. Anche Frieze di Londra, Arco di Madrid, FIAC di Parigi, per citare tipologie diverse, o Artissima di Torino, più giocata sul giovane e sullo sperimentale, sono fiere dove alla fine si fanno i conti e si controlla quanto è stato venduto. Per questo non voglio che a Bologna si parli di teoria, storia e filosofia dell’arte; ci sono altri ambiti come musei, fondazioni, istituti in cui si possono elaborare questi discorsi. La Fiera è il luogo dove si agisce sul piano economico, sulla produzione artistica. > ArteFiera potrà distinguersi dalle tante altre e divenire più competitiva non soltanto a livello nazionale?

Claudio Spadoni: ArteFiera ha già un ruolo riconosciuto di prima fiera italiana e non solo per cronologia. Si tratta di potenziare - si diceva - da un lato la presenza della migliore arte italiana dell’ultimo secolo con gallerie che se ne occupino al più alto livello; dall’altro guadagnare una maggiore credibilità internazionale riuscendo a coinvolgere più gallerie straniere qualificate. Altre fiere, in Italia, hanno un carattere più settoriale. Mi riferisco, per fare solo un esempio, ad Artissima di Torino, concentrata sulle ultime generazioni. Non c’è bisogno di trasformare radicalmente la manifestazione bolognese, ma piuttosto di potenziarla e riqualificarne alcuni aspetti. Giorgio Verzotti: Vorremmo che Bologna - naturalmente per fare questo non bastano cinque o sei mesi, ma occorrerà altro tempo diventi competitiva più di prima, se non sul piano internazionale, almeno in quello europeo. Ormai il mondo è globalizzato, ogni pochi mesi c’è una fiera nuova e una Biennale da qualche parte, per cui la competitività diventa uno sforzo, un grande impegno. Dieci, quindici anni fa in Europa c’erano tre o quattro fiere; adesso ce ne sono tantissime, né si può parlare solo di Europa e America. Quello che succede a Shangai ha ripercussione su quanto avviene a Milano o a New York. Bologna deve stare nel contesto globalizzato, perciò il nostro primo impegno è di renderla competitiva a tutti i livelli. > In che misura il modello ArtBasel è da seguire? Claudio Spadoni: ArtBasel può fornire delle indicazioni, dare degli stimoli, ma non credo sia un modello imitabile in Italia. Giorgio Verzotti: ArtBasel è sempre da vedere; è la Bibbia per tutti noi come Artforum nel campo delle riviste contemporanee. Ci dà l’idea

ra come un vero e proprio osservatorio sui protagonisti della migliore creatività emergente in ambito contemporaneo e rivolge la propria attenzione agli artisti, ma anche alla più recente generazione di curatori, affidando per ogni edizione la selezione degli artisti e la curatela della mostra collegata a cinque curatori italiani, ciascuno affiancato a un guest curator straniero. I cinque artisti finalisti, individuati al termine di un vero e proprio viaggio di ricognizione sul territorio, sono: Tomaso De Luca (Verona 1988) selezionato da Ilaria Gianni e Alice Motard. Partendo dallo studio di frammenti provenienti dalla storia, il lavoro di Tomaso De Luca innesca una nuova analisi del vocabolario storiografico consueto. L’artista, abbandonando un sistema di pensiero verticale si appropria di una temporalità e di una spazialità codificata, restituendola sotto nuove vesti. Attraverso i suoi soggetti che ruotano intorno al senso del corpo, della storia, del paesaggio e dello spazio, l’artista elabora le sue considerazioni sull’idea di monumento. Chiara Fumai (Roma1978) selezionata da Stefano Collicelli Cagol e Bart van der Heide. Le sue performance e installazioni creano scenari stranianti che si delineano attraverso la riflessione su scritti di dissenso politico, questioni di identità sessuale, femminismo anarchico, fenomeni paranormali e molto altro. In questi ambienti, Fumai dialoga, declama, urla mettendo le sue molteplici personalità al servizio di persone vissute nel passato (per esempio Annie Jones, la donna barbuta; il mago Houdini; Rosa Luxemburg) che vengono evocate nel corpo dell’artista e interagiscono con gli spettatori. Invernomuto, coppia di artisti formata nel 2003 da Simone Bertuzzi (1983) e Simone Trabucchi (1982) selezionati da Filipa Ramos e Elena Filipovic. Il loro lavoro si basa sulla pratica della ricerca complessa e costante, che si articola intorno alla circolazione e alla trasmissione di quelle forme, idee e contenuti che animano gli immaginari trans-culturali contemporanei. Tale interesse per i processi e le

della fiera con la galleria di tendenza, con quella classica, quella vecchia che potrebbe stare quasi in una mostra di antiquariato. È il modello di tutte le fiere, tranne quelle che nascono specializzate in qualcosa, per non parlare di tutte le fiere alternative che sorgono in contrapposizione, tipo Liste e Volta, o accanto come Frieze New York e Basel Miami. > Che orientamento hanno le iniziative culturali all’interno e all’esterno della Fiera? Claudio Spadoni: C’è uno snellimento dell’apparato, forse eccessivo, delle iniziative collaterali, per concentrarsi di più su alcuni motivi inerenti, appunto, il mercato dell’arte in questa situazione economica, ma anche sul ruolo di figure canoniche del mondo dell’arte - critico, artista, collezionista - considerandone le scelte anche molto differenti o contrapposte. C’è poi la mostra Storie Italiane, curata da Laura Cherubini e Lea Mattarella, su un secolo d’arte italiana con opere scelte fra quelle in dotazione delle gallerie partecipanti alla Fiera, per offrire diverse visioni, o letture, di un percorso che dal passato prossimo giunge al presente. Giorgio Verzotti: Come già accennato, ci sono incontri con artisti, collezionisti, curatori, galleristi ed economisti. Quest’anno vogliamo parlare soprattutto di economia, di come reagire con gli strumenti della cultura al grosso problema che la crisi finanziaria ci sta ponendo. All’esterno della Fiera, mostre ed eventi, pure performantici (coordinati da Gianfranco Maraniello), verranno collegati - questa è un’idea che trovo positiva - da una navetta che, partendo dalla Fiera, girerà ininterrottamente. Ciò, tra l’altro, consentirà di alleggerire il traffico della città e ai visitatori di non perdere tempo a cercare il parcheggio. g GEN/FEB 2013 | 243 segno - 15

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Anteprima/News

Davide Stucchi, Mathilde Agius, 2012 Cavi in alluminio decorati con perle di legno ricoperti di tubi di latex installati a muro, 70 cm x 90 cm x 70 cm. Credito fotografico: Mathilde Agius Diego Tonus, Still from Residenti, 2011 Film, MiniDV - HDV, Color/Sound 108’ Courtesy of the artist and Spinola Banna Foundation Invernomuto, “Wax, Relax”, 2011 Cera, dimensioni variabili Veduta dell’opera presso Pad. d’Arte Contemporanea, Ferrara foto, Laura Fantacuzzi

Chiara Fumai, “Shut Up. Actually, Talk” Performance at The Moral Exhibition House, commissioned by dOCUMENTA 13 and produced with the support of Fiorucci Art Trust, London. ph. Alfredo Cillari, courtesy of the artist Tomaso De Luca, The Monument, 2012 tecniche miste su carta, dettaglio (1 di 300 disegni, 24x30 cm), courtesy l’artista e Gall.Monitor, Roma

condizioni di trasmutazione della cultura li conduce a dare particolare attenzione al dialetto e alle manifestazioni popolari, intrecciando alcuni dei loro aspetti con elementi folcloristici, metropolitani e subculturali. Questi vengono elaborati grazie alla combinazione di grafica, musica, suono e immagini, come elementi che diventano un unico insieme nell’opera che essi producono, e che assumono diverse configurazioni, come installazioni video, performance, eventi mediatici dal vivo o progetti editoriali. Davide Stucchi (Vimercate 1988) selezionato da Francesco Garutti e Yann Chateigné Tytelman . Al centro dell’opera di Davide Stucchi c’è uno dei temi chiave del nostro tempo: il rapporto tra presentazione e rappresentazione, tra strategia di comunicazione e seduzione. Esplorando le logiche di produzione e allestimento del sistema della moda, indagando le tecnologie di costruzione, editing e ripresa fotografica, Stucchi presenta agli occhi dello spettatore una riflessione sottile sul mondo della composizione delle im-

magini e il loro commercio nel contesto dell’arte e non solo. Diego Tonus (1984) selezionato da Vincenzo Latronico e Fanny Gonella. Diego Tonus usa varie tecniche - principalmente film e performance - per manipolare la percezione del pubblico di un processo sociale o culturale, svelando una struttu-

ra di autorità. Che lavori col video (che col montaggio permette di ri-raccontare, alterandola o stravolgendola, un’esperienza individuale), con la voce (che conosce precise tecniche di tono e modulazione per influenzare la reazione inconscia di chi la sente), o con il testo giornalistico (che dichiara verificato - quindi “vero”? ciò che narra), la ricerca di Diego Tonus analizza l’equilibrio fra le modalità del racconto e il suo contenuto, mostrando o lasciando intuire in quanta misura esse siano innanzitutto strumenti di potere e di manipolazione: sia sul pubblico che sul proprio oggetto. Il vincitore avrà la possibilità di realizzare l’opera proposta in progetto, interamente prodotta dalla Fondazione Furla e destinata alla fruizione pubblica attraverso la concessione in comodato al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna. Il lavoro realizzato sarà presentato in anteprima presso la Fondazione Querini Stampalia a giugno 2013, in concomitanza con la 55ma Biennale di Arti Visive di Venezia. g

BOLOgNA

Anne e Patrick Poirier Studio G7

In coincidenza con Artefiera 2013 e l’apertura straordinaria della galleria in occasione di Art City White Night, la notte bianca di Artefiera, lo Studio G7 espone all’interno del proprio spazio un’installazione realizzata dalla coppia di artisti francesi Anne e Patrick Poirier. L’opera unica, intitolata Tikal - Mundo Perdido, è stata eseguita tra il 1980 e il 1982 e appartiene al ciclo delle “ricostruzioni” di città perdute e reinterpretate dai due artisti in chiave utopica. Tra i lavori appartenenti a questa serie, cominciata nel 1970 con lo studio e la realizzazione plastica di Ostia Antica, ricordiamo le celebri ricostruzioni eseguite attraverso gli studi sulla Domus Aurea e Villa Adriana. Tikal è un lavoro di grandi dimensioni in carbone, bronzo e acqua. La scala, mito universale, è un elemento che torna sovente nel loro lavoro, tramite il quale Anne e Patrick Poirier riprendono l’idea di salita senza fine verso l’inaccessibile. In questo caso essa richiama anche le altissime strutture osservate tra i resti archeologici a cui la stessa opera si ispira, Mundo perdido infatti è stata ideata durante un viaggio dei due artisti a Tikal, la più estesa delle antiche rovine delle città Maya in Guatemala. Mai più esposta al pubblico dopo il 1982, l’opera sarà visibile in galleria dal 19 gennaio al 28 febbraio 2013. Per l’intera durata della mostra sarà inoltre disponibile presso Studio G7 il volume Atlas, la grande monografia sui due artisti edita da Dalai Editore a cura di Angela Madesani.

Anne e Patrick Poirier Tikal - Mundo Perdido, 1980-1982 (courtesy Studio G7, Bologna)

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ACCARDI ALVIANI ASDRUBALI BONALUMI CASTELLANI DORAZIO JORI MAINOLFI

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ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA FIRENZE

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Galleria Paola Verrengia Claudia Rogge, Prelude, Lambda on Alu Dibond, 165 x 215 cm.

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AMPARO SARD / ANNE MICHAUX / CLAUDIA ROGGE EMANUELA FIORELLI / LUIGI MAINOLFI PAOLO GRASSINO / PAOLO RADI / ROSY ROX

Galleria Paola Verrengia, Via Fieravecchia, 34 - 84122 Salerno | tel-fax +39 089 241925 | www.galleriaverrengia.it | info@galleriaverrengia.it

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Progetto espositivo di Luca Barreca e Roberto Gramiccia

Roma Giardino degli Aranci Palazzetto Venezia 21 marzo – 23 maggio 2013

© foto Claudio Abate

Museo Nazionale d’Arte Orientale “G. Tucci” 14 marzo – 16 maggio 2013

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Gaetano Grillo

José Maluenda

Filippo di Sambuy

Claudio Pieroni

Marco Cingolani

Mario Moscadello

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Gruppo Radici

Enrico Bafico

Nicola Maria Martino

LA STANZA DI POLICLETO prima mostra inaugurazione sabato 12 gennaio 2013 ore 18.00 artisti Federica Beretta Enrico Partengo Alejandro Tamagno Zhang Zhe seconda mostra inaugurazione sabato 8 febbraio 2013 ore 18.00 artista Claudio Pieroni MARIANNE WILD ARTE CONTEMPORANEA UNICA VIA RAVIZZA 27, 66100 CHIETI Galleria.unica@gmail.com

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MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, Roma

William Kentridge “Vertical Thinking” l tempo è un grande scultore ma anche un grande baIimpercettibilmente stardo, è l’invisibile ticchettio non udibile che trasforma, ma inesorabilmente noi stessi, i nostri

volti, le cose e la vita. Il tempo è l’incessante e continuo lavorio delle nostre cellule che si moltiplicano e muoiono modificandoci, il tempo, questo temibile e affascinante flusso continuo e inarrestabile dell’esistenza che tutto investe e muta, croce e delizia, fonte di angoscia e di speranza, il tempo che non passa mai o che al contrario fugge via troppo velocemente. In questa nostra dimensione terrena, il tempo è lineare e tutto si misura secondo le due coordinate imprescindibili di spazio e tempo. Si può raccontare lo scorrere del tempo? Si può visualizzare il tempo? William Kentridge, (Johannesburg 1955), pensa di si, e ha fatto del tempo il poliedrico e indiscusso protagonista dei suoi lavori. Video, performances teatrali, arazzi e disegni sono gli strumenti utilizzati da questo geniale demiurgo per raccontare il passato e il presente del suo paese natale, Il Sudafrica, dove l’apartheid e la segregazione razziale sono stati praticati fino al 1994. Per dare sostanza corporea al tempo che scorre trasformando tutto Kentridge ha scelto come medium previlegiato il disegno a carboncino con cui ha creato, fra il 1989 e il 2003, la serie dei “Drawings for projection” nove film di animazione basati su sketches a carboncino in cui l’immagine disegnata, cancellata, trasformata e sovrapposta ci trasporta in un mondo parallelo in cui tutto appare in divenire e nulla è fermo e immanente. Nei suoi video, gli elementi narrativi si fondono perfettamente con la grafica e la musica, producendo nello spettatore un’immediata empatia e un forte coinvolgimento emotivo quasi ipnotico. Per rappresentare il tempo nel suo svolgersi Kentridge esegue l’intero processo grafico di una sequenza su un’unica superficie riproducendo un’inquadratura base dalla quale cancella alcuni singoli elementi, per poi ridisegnarne di nuovi, creando così un’immagine ancora diversa in cui emergono i personaggi e le storie lasciate dal disegno precedente, creando atmosfere immaginifiche, evocative e toccanti. Ci sono una serie di simboli e figure che ricorrono in tutti i suoi video di questo periodo: la donna africana dalla silouhette inconfondibile, e i due opposti alter-ego dell’artista, Soho Eckstein, l’imprenditore capitalista di successo e il poeta, Felix Teitelbaum, e poi il paesaggio africano, i fumi densi delle fabbriche, Johannesburg con la violenza e l’oppressione che per decenni hanno marchiato quel luogo ma anche l’allegria delle canzoni e dei suoni sincopati della musica africana. In questi disegni che si cancellano e si ricompongono come in

William Kentridge, Installation view / veduta delle installazioni [photo Flaminia Nobili - courtesy MAXXI Roma]

una danza Kentridge racconta delle storie private, di singoli, che, così manipolate e ricomposte diventano il racconto dei grandi temi filosofici universali come la morte, la solitudine esistenziale, l’amore e il tradimento. Vertical Thinking è il titolo della sua personale al MaXXI di Roma, il cui fulcro è l’opera di animazione “The refusal of time”, un affascinante e coinvolgente teatro di ombre cinesi realizzato per Documenta 13 a Kassel. La grandiosa rappresentazione del tempo standardizzato dall’avvento dell’era industriale è raccontato dalle figure feticcio dell’artista, enormi megafoni cilindrici, ruote, orologi pneumatici, metronomi giganti e altri strumenti meccanici di misurazione che si muovono circolarmente sui tre muri della sala espositiva in una sarabanda di suoni e ritmi straordinari. Al centro si erge solitaria una macchina meccanica che scandisce il tempo come un direttore di orchestra, una presenza che sembra affiorare dal lontano passato quando la scienza era indagata di nascosto da qualche genio eccentrico come Leonardo Da Vinci e, più recentemente, l’industrializzazione criticata nella sua meccanicità da un irriverente Duchamp con le sue macchine celibi. In mostra anche le opere acquistate dal Museo agli albori del suo percorso e, finalmente esposte al pubblico, fra cui la poetica maquette-installazione teatrino per le scenografie del Flauto magico (presentato al San Carlo di Napoli nel 2005) e due arazzi davvero notevoli, oltre ad alcuni disegni a carboncino acquerellato. Il tempo meccanico, l’entropia, la circolarità del tempo che nello spazio è una linea curva dove tutto accade e poi accade di nuovo all’infinito sono messi in scena magistralmente nello spettacolo teatrale “Refuse the hour” rappresentato al Teatro Argentina purtroppo solo per 4 giorni. Kentridge è un grande attore, un narratore coinvolgente che partendo dal mito di Perseo ha srotolato il tempo fino ad arrivare al cinema, al colonialismo e alla teoria della relatività di Einstein, con lui la coreografa Dada Massilo, che con le sue incredibili danze ha creato una sorta di meraviglioso collages di reminiscenze estetiche e plastiche che affondano le loro radici nelle avanguardie storiche ma rinnovate dal ritmo sensuale della danza africana. Paola Ugolini

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma

Shay Frisch

ssenzialità, nettezza, estetica scarnificata in monocromi assoluti, in bianco e in E nero - gli elementi cromatici presi singolarmente nella vera essenza, per ciò che sono stati definiti negli ultimi secoli, dagli studi scientifici, come “non colori”. I lavori di Shay Frisch, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, santificano gli

s Shay Frisch, Sala 2 ▼ Sala 3B , Installation view [Roma Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, 2012]

▼ Shay Frisch, Sala 1 , Installation view [Roma Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, 2012]

ambienti in icone modulari composte di oggetti di uso comune, terminali elettrici: le prese e le spine di un bianco luminoso e di un nero profondo. La scelta è assoluta, non c’è unione cromatica fra gli opposti. Il lavoro dell’artista israeliano, stabilizzato a Roma da più di vent’anni, è incentrato da tempo sull’elemento modulare La ripetizione di un termine linguistico formale si annulla nella distensione in superfici, di forma variabile, per molte e infinite possibilità; il cambiamento di un incastro è fisionomia di uno stesso proposito. Nel “campo” si definisce il tutto, dalle spie luminose si percepisce il fluire dell’energia, condotta nella continuità elettrica, dalla plastica. Nel semplice oggetto del quotidiano si apre il perimetro energetico ed elettromagnetico. L’andamento del modulo, che scandisce le pareti dei 4 ambienti della Gnam di Roma, è la frase dell’intera mostra curata da Achille Bonito Oliva, campo 100535 B/N. I Campi modulari si allungano e interrompono in porzioni distinte, quadrate, rettangolari, e in altre forme geometriche lineari, diffuse sulle pareti. Nell’unione di strisce composite di materiale plastico - che creano a distanza una unitarietà formale forte e solida - l’anima di energia che sottace è palesata in linee di luce rossa. La striscia elettrica indica il valore energetico nato dall’unione dei molti pezzi industriali che formano un campo. È la ripetizione che crea il circuito, in unione e accordo con la forma diffusa. La disposizione tecnica e proporzionale degli elementi svela la formazione di Frisch, specializzato nel campo dell’industrial design ed architettura. Nel suo lavoro è eclatante la tendenza Minimal, alleata di una ricerca artistica che sfrutta comuni componenti industriali per una dialettica con lo spazio e l’atmosfera. Come scrive Bonito Oliva nel catalogo della mostra “Shay Frisch conferma la linea di ricerca primaria condotta dalla Minimal Art, con un’analisi degli elementi fondanti pittura e scultura: luce e spazio. L’installazione e le opere a parete evidenziano tale analisi, con una rappresentazione essenziale e fenomenica di questi due poli dell’opera come avvento concreto. La luce viene evidenziata, resa volumetrica per un assetto formale che la inquadra e la inscatola concretamente nello spazio.” Ilaria Piccioni

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Galleria Vistamare, Pescara

Armin Linke e Kuehn-Malvezzi

dall’architettura alla fotografia nella rilettura dell’opera di Carlo Mollino Dialogo a quattro voci a cura di Maria Letizia Paiato n’idea, una visione, una mostra. Un U dialogo a quattro voci per scoprire qualcosa di più di Armin Linke e lo studio Kuehn Malvezzi, il cui progetto, che parte dalla rilettura dell’opera dell’architetto Carlo Mollino, si propone a Pescara come occasione di una riflessione su se stessi. Ciò che osserviamo, come spiega Cloe Piccoli, è un’idea di luogo, di spazio, di ambiante, attorno alla quale si svolge un progetto. Armin Linke e Kuen Malvezzi danno così vita a nuove modalità operative, di osservazione, di progettazione, del fare e dell’immaginare e comprendere quanto ci circonda. Maria Letizia Paiato - Come nasce l’incontro fra te e lo studio Kuehn Malvezzi? Armin Linke - Il nostro incontro risale a circa cinque anni fa. Da quel momento abbiamo cominciato a scambiarci opinioni in merito ai concetti di spazio e del vivere un luogo; o meglio su un’idea di spazio compresi gli elementi che possono o non occuparlo. Il percorso da li condiviso e tutt’ora in corso è visibile nei progetti che dall’Haus der Kunst di Monaco oggi ci vede protagonisti alla Vistamare di Pescara. > Come nasce l’idea di indagare la produzione di Carlo Mollino? Perché proprio lui e non un altro architetto? A.L. Curiosamente il modo di pensare e immaginare di Carlo Mollino e poi di ideare e giungere alla progettazione di un’architettura o di un complemento d’arredo, è affine alla mia ricerca artistica quanto alle modalità di interpretare l’architettura di Wilfried Kuehn e Simona Malvezzi. Da qui l’idea di realizzare un progetto che prende lo spunto dalla sua opera. Va in ogni caso specificato che dell’architetto torinese è molto più conosciuta la produzione di mobili; mentre è meno nota quella di edifici (perlopiù pubblici ma anche privati) e di monumenti. Ho pertanto sentito come un’esigenza, il desiderio di indagare nel dettaglio la totalità della sua produzione. In quest’analisi, sono giunto a considerare Mollino un vero e proprio artista contemporaneo e uno straordinario pro-

gettista, anomalo nel modus operandi rispetto a ricerche coeve la sua epoca. Dietro la realizzazione di un mobile c’è ovviamente un progetto, così come nell’architettura. Il progetto, per queste discipline, impone il rispetto di una funzionalità. Tuttavia l’opera di Mollino non è soltanto funzionale ma anche sociale. Prendiamo ad esempio il caso del Teatro Regio di Torino. Ogni ambiente interno, compresi gli arredi, è congeniato come un luogo di scambio. Le persone sono invitate a sostare e vivere il foyer prima di entrate a teatro (la cui forma e collocazione non si intuisce nell’immediato). Non è banalmente un luogo di fugace passaggio, ma concettualmente accarezza un sentimento di attesa, dove le persone sono invitate a conoscersi, a guardarsi (attraverso i grandi specchi e sistemi di passarelle) e quindi a riflettere sulla propria presenza in quel luogo e nella relazione con gli altri. Tutto ciò ha una valenza sociale. E altrettanto straordinario è il procedimento con il quale arriva a concepire tutto questo. I riferimenti storici e le citazioni di cui si serve, si stratificano con sorprendente armonia una sull’atra fondendosi in un unico ambiente. > Ci spieghi brevemente cosa spinge un artista a interessarsi all’architettura? E Perché usi prevalentemente la fotografia e non un altro mezzo espressivo? A.L. L’architettura mi affascina ancora una volta per questa sua valenza sociale. Mi intriga in particolare tutto il processo creativo che sta alle spalle della realizzazione di un edificio, così come tutto ciò cui segue in fase esecutiva. C’è un prima e c’è un dopo e la fotografia, per certi versi, è il mezzo che meglio riesce a raccontare tale procedimento. Tuttavia, le mie foto non hanno mai un valore puramente documentativo, non mi interessa questo aspetto. Ciò che tento di fare è mettere in scena, o meglio rimettere in scena gli elementi formali sui quali mi focalizzo; è come se facessi un uso antropologico della fotografia stessa. In questo senso non mi interessa portare a conoscenza dello spettatore l’opera di Mollino ma evocar-

I componenti dello Studio Kuhen-Malvezzi Johannes Kuehn, Simona Malvezzi e Wilfried Kuehn

ne la valenza sociale sicché si creino nuovi e attuali punti di vista. > Che significato può avere proporre una mostra di questo tipo in uno spazio espositivo tra i pochi edifici storici della città di Pescara? Secondo te viene qui rispettata la tua proposta visiva? Come? A.L. La galleria di Benedetta Spalletti è ospitata in un’architettura particolare. Mollino talvolta cita l’architettura folklorica del ‘600, pertanto ritengo interessante che queste fotografie possano occupare uno tra i pochi ambienti storici di questa città. À come se una nuova citazione prendesse corpo spontaneamente. Allo stesso tempo è rispettato quell’ideale processo di “montaggio” attuato da Mollino che prende forma nel gioco tra il bidimensionale della foto e lo spazio stesso in cui è accolta. Anche la scelta dell’allestimento non è casuale. Le foto sono montate non in modo lineare ma secondo uno schema coreografico sicché da mettere in scena un ulteriore nuova prospettiva visiva. > Come vedi, interpreti la città di Pescara, che sensazione hai avuto visitandola? A.L. Pescara è una città particolare. Non tutto ciò che si osserva è visivamente bello sotto il profilo estetico. Tuttavia si vive una sensazione straniante, una sorta di sospensione nel tempo tale da non capire se ci si trova nel passato o nel futuro. Ad esempio la stazione ferroviaria ritengo sia un edifico interessantissimo, avveniristico per l’epoca della sua progettazione, assolutamente contemporaneo ed attuale eppure allo stesso tempo è come se qualcosa lo tenesse bloccato nel tempo. In ogni caso, ogni città, ogni architettura (che ovviamente ingloba degli spazi) parla dell’uomo ed

Armin Linke - Carlo Mollino, furggen Cableway abbandoned station, Cervinia (Aosta), Italy - [Courtesy Galleria Vistamare, Pescara]

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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE è dunque un fatto sociale. Pescara con le sue anomalie è un fertile terreno per chi come me studia queste tematiche. > Quali sono i tuoi progetti futuri? A.L. Attualmente sto lavorando ad un progetto collettivo che interessa trecento isole deserte sparse nel Mediterraneo. NGBK Berlino è un programma collettivo che non prevede l’intervento di un curatore e che ha come finalità creare un sistema espositivo cartografico che va da Gibilterra alla Turchia. Tutte queste isole, attraverso l’intervento degli artisti coinvolti, sono collegate da un unico ponte/tavolo che le attraversa, sicché nell’idea di attraversamento prende corpo il pensiero di un superamento dei confini nazionali. > Che cosa ti ha colpito e cosa t’interessa di più dell’architettura di Carlo Mollino? Cosa nello studio della sua opera senti determinante per la tua ricerca? Wilfried Kuehn - Possiamo definire Carlo Mollino un manierista della modernità. O meglio, egli è moderno e manierista allo stesso tempo. Nel suo lavoro Mollino include e sovrappone un’infinità di elementi appartenenti e derivanti da realtà architettoniche e artistiche diverse. Nell’architettura e anche nel design egli, con estrema abilità, passa dal Barocco al Modernismo, dall’Art Nouveau al Surrealismo, sviluppando un’estetica personalissima e eterogenea. Trovo seducente, soprattutto per quel che concerne l’attività di progettista d’interni e di designer, l’ingegnosità con cui fonde insieme tecniche costruttive artigiane alla sperimentazione di nuovi materiali e la conseguente capacità di servirsi di mezzi espressivi diversi per giungere alla creazione di un edificio o di un manufatto. Ad esempio, spesso, Mollino fa uso della fotografia. Per lui la foto non serve a fissare quello che vede. Non la utilizza quindi a scopo documentativo ma bensì concettuale, facendo di ciò che osserva una costruzione personale. Per questo motivo non troviamo nel suo percorso un solo scatto dello stesso soggetto ma tanti scatti i cui elementi vengono selezionati e rimescolati fra loro successivamente. Questo si chiama Postproduction. Nel concreto egli costruisce il progetto utilizzando elementi preesistenti, opere o strutture formali, al fine di produrre ambienti, oggetti, “spazi” dove si sviluppano dei rapporti. Si creano in tal senso modelli relazionali, dove il significato dell’opera è pariteticamente importante quanto l’uso; sicché possiamo concludere che il

Vista della mostra: in primo piano: Kuehn-Malvezzi, Tavolo [Courtesy Galleria Vistamare, Pescara]

lavoro di Carlo Mollino agisce come un agente attivo verso coloro i quali l’opera è destinata. In particolare stimolano il mio lavoro taluni aspetti contraddittori che emergono dall’analisi e studio della sua ricerca. Contraddizioni che tuttavia non generano conflitti. Così è successo di partire tramite lo studio della sua opera, da un tema contemporaneo per parlare della nostra attualità con l’obiettivo di sviluppare altrettanti modelli relazionali. Trovo la prassi di progettare di Carlo Mollino molto in sintonia con il mio modo di vivere e interpretare il circostante e quindi l’architettura. Credo personalmente nell’originalità che nasce dalla sovrapposizione di diversità. > Anche voi vi servite molto della fotografia; o meglio vi servite degli scatti realizzati dagli artisti. Ci puoi spiegare meglio che differenza c’è con l’uso che ne faceva Carlo Mollino? e che senso ha per il tuo lavoro la foto d’artista? W.K. Rispetto all’utilizzo fatto da Carlo Mollino, qui l’idea s’inverte. Ovvero il passaggio non è più dalla fotografia all’architettura ma dall’architettura alla fotografia. Non si tratta più semplicemente di costruire idee di spazio ma interpretare gli spazi e ciò avviene nella e con la collaborazione di artisti contemporanei, perché ciò che ci interessa è far emergere il loro punto di vista. Nel concreto, osserviamo, ad esempio, il mobile presentato qui alla galleria Vistamare. E’ un tavolo il cui piano d’appoggio, da noi realizzato, è costituito da una fotografia scattata da Carlo Mollino. Nell’immagine si vede un tavolo di Mol-

lino, il cui piano d’appoggio è di fatti una fotografia scattata all’opera Lo Schiavo Morente di Michelangelo. Il tavolo non racconta pertanto, attraverso la fotografia e il continuo rimando nel gioco di appropriazioni, semplicemente una storia, ma estrapola un concetto che riesiede nell’iterazione più che nei singoli stati. Attraverso l’elemento tavolo si giunge ad una qualità diversa dell’immagine fotografica, liberata sia dall’aspetto puramente documentario che dall’essere oggetto-feticcio. > Secondo la tua opinione è più l’arte contemporanea a trarre ispirazione dall’architettura o è piuttosto il contrario? W.K. Più spesso è l’arte contemporanea ad ispirarsi all’architettura che viceversa. Fondamentalmente credo perché l’architettura ha una carica e una responsabilità più politica; essa vive ed esercita la sua funzione in un mondo più democratico. > Vorresti dire dunque che l’architettura è più democratica? W.K. In un certo senso si; perché in essa è insita un’idea di uso quotidiano. L’architettura è raramente fine a se stessa. Essa vive obbligatoriamente tra le persone, il più delle volte nella quotidianità sociale. L’arte contemporanea invece non è per forza molto democratica perché nella sua relazione con il pubblico non si esercita necessariamente un uso quotidiano. Quando c’è, esso si muove sempre su un terreno concettuale. Tuttavia l’architettura aspira (da sempre) a essere arte e certamente nel confronto, nel connubio, nella relazione con l’arte

Armin Linke, Carlo Mollino, furggen Cableway abbandoned station, Cervinia (Aosta), Italy - [Courtesy Galleria Vistamare, Pescara]

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Armin Linke - Carlo Mollino, due immagini del Teatro Regio diTorino, Italy - [Courtesy Galleria Vistamare, Pescara]

contemporanea essa trova uno sviluppo tangibile e visivo più interessante. L’architettura e l’arte contemporanea oggi ambiscono a sviluppare comportamenti attivi nella collettività, a provocare delle dinamiche. Il loro interagire credo sia il futuro e ciò cui anche noi aspiriamo a mettere in pratica. > Dove nasce il tuo interesse per l’attività di Carlo Mollino? Ci sono degli elementi specifici della sua produzione diventati essenziali nel tuo lavoro? Pensi che questi siano determinanti nel lavoro di ricerca che porti avanti con KUEHN MALVEZZI? Simona Malvezzi - Va detto innanzi tutto che Carlo Mollino è un architetto assolutamente contemporaneo. Molto più contemporaneo di quanto a suo tempo forse non si percepisse. Tutt’oggi le sue architetture, così come la sua produzione di design e di arredamento risultano a chi osserva molto attuali. Quello che mi ha colpita e colpisce di Mollino, non è soltanto il risultato estetico finale ma il processo attraverso il quale egli giunge alla realizzazione concreta di un edificio piuttosto che di un mobile. La sua modalità di ricerca e lavoro è curiosamente pioneristica rispetto al tempo in cui viveva. Già all’epoca, infatti, egli operava partendo dall’osservazione, individuazione e studio di forme ed elementi spesso diversissimi fra loro, e servendosi di mezzi espressivi eterogenei: dalla fotografia al disegno, alla scrittura. Tutti questi elementi venivano poi riosservati, scelti e ricombinati insieme secondo il sistema del “montaggio” per dare vita successivamente a qualcosa di

nuovo e originale. Una modalità lavorativa definita oggi post-produzione, ovvero quella pratica, utilizzata da molti artisti, di rielaborare elementi già esistenti al fine di dargli significati nuovi. Non vi sono pertanto specifici elementi formali dell’opera di Mollino essenziali nel mio lavoro. E’ piuttosto il modo di progettare d’insieme a interessarmi e che è allo stesso tempo curiosamente il tratto distintivo del lavoro che svolgo con i miei due soci e il modo in cui intendiamo l’architettura contemporanea. Naturalmente questo suo modus operandi va interpretato secondo un modello di matrice surrealista. È una percezione del mondo e delle cose molto visionarie. Un aspetto che lo contestualizza e lo spiega. E’ una personalità ibrida e sospesa a metà

tra il ragionevole pensiero di immaginare un’idea spazio in termini di utilità, funzionalità pubblica e sociale, e un fare più libero e creativo. > Che significato ha per te la collaborazione con Armin Linke, con un artista che usa in particolar modo la fotografia? Cosa nella cooperazione con lui si aggiunge o si evidenzia nella vostra ricerca? S.M. Innanzi tutto nell’opera di Armin il “montaggio” è essenziale. Apparentemente egli si sofferma sulla ripresa di un soggetto. Ciò che si staglia dinanzi all’osservatore tuttavia non è banalmente una proposta estetica ma piuttosto quella di una visione: la sua tra le tante possibili. Egli (come Mollino, come noi) è come se mettesse in scena nuove com-

Vista della mostra: Armin Linke - Carlo Mollino, Teatro Regio, Torino, Italy - [Courtesy Galleria Vistamare, Pescara]

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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE posizioni partendo da elementi, riproposti a chi guarda secondo punti di vista nuovi tali da creare nuove narrazioni, nuovi significati, nuove idee. Dunque, se nel primo progetto con Armin l’interesse era quello di osservare attraverso l’insieme delle nostre competenze l’opera di Mollino, offrendo un nuovo punto di vista, qui l’obiettivo è osservare il punto di vista di Armin e il nostro. Ovvero qui è in mostra la nostra visione dell’architettura e delle cose, che sebbene prendano spunto da elementi da noi conosciuti, quelli appunto di Mollino, esse sono nei fatti fotografie indipendenti e oggetti assolutamente nuovi. > Negli ultimi anni mi è capitato di registrare la tendenza da parte di sempre più artisti a interessarsi all’architettura, includendola nei loro progetti. Secondo te, perché? Credi che ciò rappresenti un nuovo terreno di ricerca per gli artisti di oggi? E in questo percorso, qual è a tuo avviso il ruolo degli architetti? S.M. Si è vero, sempre di più l’arte contemporanea guarda all’architettura, tuttavia non è una pratica mai percorsa prima anche se certamente oggi si prospetta con modalità operative nuove. Oggi sarebbe assolutamente fuori luogo pensare all’arte piuttosto che all’architettura come a discipline, come a fatti indipendenti e non dialoganti fra di loro. Diversamente le cose si bloccano, stallano e non trovano senso. Questa è la base sulla quale anche noi ci muoviamo, inglobando punti di vista e sensibilità diverse dalle nostre che diventano assolutamente fondamentali per la riuscita di un progetto. > E come spieghi ad esempio il fatto che l’architettura contemporanea riesca a incontrare più facilmente dell’arte il gusto e l’approvazione

del pubblico? L’architettura è forse più democratica? L’architettura, diversamente dall’arte contemporanea, è a mio avviso una disciplina che ha tante voci e che altrettante ne interpreta. L’arte è solitamente espressione di un unico punto di vista e non necessariamente esige di mettersi in relazione con soggetti al di fuori della mente dell’artista. Si propone al giudizio del pubblico, ma un giudizio negativo non fa scomparire l’opera. Per un architetto è diverso, egli sempre è assoggettato al giudizio del committente e del pubblico e quando il giudizio è negativo l’opera non è realizzata. Esistono comunque due tipi di architettura: una che mette in mostra se stessa (vedi Archistar) e un´altra che mette in mostra il contenuto, che puo´essere arte nel caso di un museo oppure altre funzioni. La nostra architettura non ha uno stile, ma reagisce ogni volta al contesto creando nuove relazioni, dando quindi attenzione al contenuto . > Tu hai sviluppato l’esercizio critico intorno al lavoro di Armin Linke e lo studio Kuehn Malvezzi. È stato difficile interpretare la loro ricerca e se si perché? Secondo te perché sempre di più gli architetti e gli artisti collaborano insieme? Cloe Piccoli - È stato molto interessante lavorare a questa mostra a Vistamare perchè più si costruiva la mostra più si delineava un reale filo conduttore fra Armin Linke, Kuehn Malvezzi e Carlo Mollino: un artista, tre architetti, un architetto/designer/fotografo, ognuno dei quali, a sua volta, ha altre ‘professionalità’: Linke ha studiato architettura, i Kuehn Malvezzi sono esperti e collezionisti d’arte contemporanea, Mollino è quella personalità eclettica e intellettuale che conosciamo. Quando parlo

s Kuehn Malvezzi, mobile bar ▼ Armin Linke - Carlo Mollino, Camera di Commercio, Torino, Italy - Courtesy Vistamare Pe

di un reale filo conduttore mi riferisco a concetti, strategie, punti di vista e visioni, condivisi attraverso discipline ed epoche. Non è così usuale trovare autentiche corrispondenze e affinità. E soprattutto è un aspetto prezioso perché da queste affinità si sono sviluppate energie e sinergie, che a loro volta hanno creato nuovi lavori, concetti e altre visioni. E’ questo l’aspetto interessante di progetti condivisi fra varie professionalità. Artisti e architetti hanno sempre, storicamente, lavorato insieme. La differenza è sempre stata, ed è tuttora, su cosa si basa questa collaborazione. Se su superficiali affinità stilistiche e decorative o su strategie condivise. Il primo caso, ovviamente non è interessante. Il secondo crea una dimensione ricca di possibilità progettuali e creative. Fra i vari aspetti concettuali e progettuali condivisi da Armin Linke, Kuehn Malvezzi e Carlo Mollino, c’è un metodo peculiare, che prima che un metodo è un concetto, e ancor prima una visione del mondo, stiamo parlando di un modo di costruire immagini, spazi, visioni che includano, senza pregiudizi, ma anzi con estrema attenzione e sensibilità elementi non immediatamente assimilabili. Lo stesso Wilfried Kuehn ha utilizzato la parola montaggio. Ovvero quel processo fotografico e cinematografico che accosta dettagli, epoche, tempi, oggetti, e spazi differenti. E’ lo stesso concetto che ha sviluppato a proposito delle tendenze dell’arte contemporanea degli anni Novanta Nicolas Bourriaud in quel libello molto interessante che è Postproduction. In quel caso il critico francese parla di processi artistici che per Kuehn Malvezzi possono essere traslati in architettura. > Credi dunque che sempre più l’arte contemporanea dialogherà con l’architettura? C.P. Non saprei, credo che ogni caso sia sempre molto specifico. Caso mai l’attenzione dovrebbe essere indirizzata verso la selezione delle occasioni più interessanti di scambio fra arte e architettura. Certo mettere a confronto concetti e discipline sviluppa nuovo pensiero. > Tu hai detto che il lavoro di Armin Linke e Kueh Malvezzi si concretizza facilmente poiché essi vedono il mondo alla stessa maniera? Come spieghi allora la difformità di risposta rispetto ad alcune domande poste in questa intervista? Ad esempio, al quesito: credi che l’architettura sia più democratica dell’arte contemporanea? C.P. È proprio nella diversità che si configura il tracciato di un percorso comune e condiviso. La diversità non necessariamente è conflitto, ma anzi pensieri differenti concorrono a rintracciare soluzioni nuove e originali. Questo è l’aspetto interessante di un lavoro che mette a confronto esperienze e professionalità diverse dalla cui sinergia non solo dialogano ambiti differenti ma da cui nascono nuove idee ed energie. > Come credi che si debba, possa integrare l’esercizio critico, la parola in questa prospettiva? Per te la critica d’arte esiste ancora? C.P. Ho lavorato più volte con artisti, architetti, designer in varie forme, non solo come critico e scrittore, ma partecipando ad alcune fasi della progettazione, all’ideazione e realizzazione di progetti espositivi ed editoriali che hanno coinvolto diverse professionalità. E’ sempre una questione personale, di come un professionista interpreta e mette in opera il suo mestiere g GEN/FEB 2013 | 243 segno - 29

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Bertozzi & Casoni “Regeneration” di Roberta Minnucci

l centro della sala, un imponente gorilla accoglie il A visitatore con le braccia aperte e lo sguardo bonario, con in grembo un capriolo. Con la sua imponenza, ha l’autorità di una

divinità animale, rafforzata dalla compostezza con cui mantiene la posizione del loto, tipica della meditazione. Gli artisti hanno concepito l’opera come una scultura taumaturgica, in grado di infondere serenità e energia positiva in chi la osserva, e la calma misteriosa che sprigiona sembra confermarlo. Il suo titolo, Regeneration, è lo stesso della mostra, la prima personale dedicata a Bertozzi & Casoni nel Regno Unito. Mostra che segna un’evoluzione nella poetica degli artisti: anche se il punto di partenza resta l’indagine meticolosa dei rifiuti della società contemporanea, di avanzi di pasti in decomposizione e oggetti gettati via, questi scarti ora non vengono più ricreati per una pura contemplazione, ma diventano la base di riscatto per una rigenerazione estetica e materiale. I materassi sporchi e consumati su cui siede il gorilla sembrano esser stati appena recuperati da una discarica di cui portano ancora i segni: nelle macchie e nelle lacerazioni del tessuto, e nell’invasione di lattine accartocciate, stivali di plastica, scatole di medicinali ed altri rottami. Sono stati destinati ad una fine senza scampo, ma per Bertozzi & Casoni diventano la base per una redenzione che passa attraverso l’armonia del mondo animale, attraverso un gorilla così simile all’uomo e un immacolato capriolo, e culmina nei minuti uccellini che si dispongono intorno, pronti a volare. Questa dimensione ascendente è presente anche in tutte le altre opere, dove la morte e la decomposizione materiale diventano il punto di inizio di una nuova vita. In Dogma la testa di un cervo riposa su un piatto coperto di sangue dove la tradizionale decorazione a “grottesca” viene

Bertozzi & Casoni, Disgrazia con orchidee rosa, Disgrazia con orchidee blu, Installation view © Tessa Angus

All Visual Arts, Londra

reinterpretata con teschi ed ossa. In una spiazzante versione della decollazione del Battista, sulle corna dell’animale agonizzante si posano delicate farfalle che sembrano volerlo riportare in vita. In Flamingo anche la testa di un fenicottero giace su un piatto simile percorso dalla scritta Regeneration: una rigenerazione assicurata dalle farfalle che lo sollevano verso l’alto, e dal compagno in vita che osserva con speranza la scena. La farfalla, con la grazia e lo splendore dei suoi colori, diventa il tramite che assicura la rinascita, una nuova esistenza che passa anche attraverso la bellezza. In Melanconia le sue minuscole estremità si posano sulla testa tranciata di un pesce spada distesa all’interno di una custodia di chitarra, e l’armonia delle forme, delle decorazioni interne e dei colori riescono ad annullare il senso macabro della morte a favore di una stupita contemplazione estetica. Nella serie delle Disgrazie sono i fiori a diventare simbolo di rigenerazione, traendo linfa vitale da zolle di terra colme di rifiuti eterogenei: carte dei tarocchi, dentiere, dollari accartocciati, zampe di gallina, dita mozzate, falli, medicinali. In questo terreno vittima di una devastante contaminazione, splendide orchidee, tulipani e ranuncoli dichiarano la vittoria della bellezza sulla distruzione materiale, il trionfo di un’ammirazione estetica per l’armonia dei colori e le loro sfumature, le stesse di alcuni curiosi camaleonti che si arrampicano sui loro gambi. Su un rottame metallico con sedimentazioni terrose poggia un bucranio su cui si erge prepotente, a difenderlo, un varano dalle fauci spalancate, simbolo di un regno animale pronto a lottare per la propria sopravvivenza, insieme a quello vegetale raffigurato dai due timidi tulipani. In Vaso con mazzo di fiori Bertozzi & Casoni si ricollegano alla

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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

s Bertozzi & Casoni, Disgrazia con orchidee gialle (particolare) © Bernardo Ricci

▼ Bertozzi & Casoni, Dogma © Tessa Angus

s Bertozzi & Casoni, Flamingo © Tessa Angus

▼ Bertozzi & Casoni, Regeneration (particolare) © Tessa Angus

▼ Bertozzi & Casoni, Flamingo (particolare) © Bernardo Ricci

tradizione della natura morta e della Vanitas raffigurando nei fiori la caducità di una bellezza pronta a sfiorire in breve tempo, e minacciata dalla carica mortifera degli insetti che decorano il vaso. Se si osserva il suo interno, si scopre che il liquido che dovrebbe mantenerli, se pur illusoriamente, è stato sostituito da una colata di sangue che ne potrebbe accelerare la fine o miracolosamente allungarne la vita, in un’altra rigenerazione.

L’unica opera che non allude esplicitamente a questo processo è un vassoio con avanzi di cibo e tarocchi, con al centro il corno divelto di un animale intrappolato in una museruola per cani. Qui tutto parla di morte; ma gli artisti ci lasciano col dubbio che una nuova vita si potrebbe nascondere tra le pieghe di questa decomposizione materiale, anche se allo spettatore non è dato saperlo e rimane, come il titolo dell’opera, Disorientato g

Bertozzi & Casoni, Regeneration, Installation view © Tessa Angus

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Lisson Gallery, London

Anish Kapoor opo l’attenzione mediatica e le critiche alla sua D ArcelorMittal Orbit, la torre olimpionica che è diventata il nuovo landmark di Londra, Anish Kapoor propone i suoi nuovi

lavori alla Lisson Gallery celebrando i trent’anni della storica collaborazione. La mostra ospitata negli spazi di Bell Street si sviluppa seguendo la poetica già affermata della triade coloreforma-materia, e ne indaga i nuovi sviluppi legati all’impiego di inediti mezzi espressivi. Il percorso espositivo permette una visione completa della nuova produzione, esplorandone l’affascinante eterogeneità. Si inizia con In the Shadow of the Tree and the Knot of the Earth, una serie di micro paesaggi immaginari dove le dolci protuberanze e le cavità della materia rimandano a quelle interne, misteriose, del nostro pianeta e del nostro corpo. Un gioco di ombre e luci, misteri e rivelazioni che l’artista modella con la terra vera e propria, la materia per eccellenza, lasciando visibile la sua componente granulosa. Architetture fantastiche che si avvallano e si innalzano su piani di legno che vengono presentati come tavoli da lavoro dello stesso artista, montati su degli essenziali cavalletti di ferro: la materia grezza, pura, insieme all’immediatezza del gesto creativo. La terra viene cosparsa anche sulla tradizionale superficie della tela, che accoglie anche polvere di rame, ferro e bronzo in un pittorico sfumato che aspira alla tridimensionalità. Alle pareti, delle enigmatiche masse porose di terra e resina, polvere di marmo e cemento, che si presentano come dei meteoriti allo stato puro, o imbevuti di pigmenti rossi e porpora nei loro interstizi. L’impiego del cemento come materia grezza continua in una serie di sculture che si innalzano da terra come sedimentazioni progressive di una materia in fieri, bloccata nell’attimo della cristallizzazione. Nelle sinuosità dei movimenti della colata, l’artista riesce a sublimare uno dei materiali industriali per eccellenza. All’interno degli immacolati spazi espositivi, interrotti soltanto dai colori neutri delle opere, l’artista utilizza il colore nero per una serie di rimandi: i pigmenti purissimi disegnano un cerchio sul muro che sembra dotato di profondità infinita, e coprono un angolo della galleria, il Dirty Corner, oltre alla superficie brillante di una scultura in resina. Nera, completamente sprofondata nell’oscurità, è anche l’installazione site specific Anxious: una stanza in cui il visitatore è messo a confronto con le proprie paure, diventando cavia di una serie di ultrasuoni appositamente elaborati per provocare sensazioni di ansia e malessere. All’opposto, si esce all’aria aperta per ammirare Intersection, enorme struttura in acciaio che lo sguardo riesce a malapena ad abbracciare, viste le colossali dimensioni poste nel ristretto cortile. L’opera, composta dalla giunzione di due forme sferiche, è la naturale prosecuzione della precedente Memory, esposta tre anni fa al Guggenheim di Berlino e New York.

Anish Kapoor, Installation View [Lisson Gallery, London 2012, Courtesy of the artist and Lisson Gallery]

Se nei lavori con la terra, la polvere di marmo e il cemento l’artista si concentra sull’indagine della materia, nell’altra serie di lavori in mostra continua ad esplorare il fascino del colore, costante del suo percorso artistico fin dalle prime sperimentazioni con i pigmenti. Le nuove opere al riguardo si presentano come delle semisfere alle pareti che giocano a confondere i sensi percettivi dell’osservatore: se di profilo sono chiaramente delle opere tridimensionali, di fronte si presentano come dei dischi piatti di colore puro, e ad un’osservazione più ravvicinata monopolizzano il campo visivo attirandolo un vortice di colore senza fine, in un illusorio universo infinito. Le sfumature si diversificano e vanno dagli accesi giallo e rosso fino ai più cupi e delicati blu, viola e malva. L’unica opera che non convince, presentata come la prima scultura dell’artista a partire da un oggetto già esistente, è Organ, un complesso macchinario di pompe e tubi che insieme alle altre opere appare come un’entità completamente a sé stante e fuori luogo. Tranne questa eccezione, emerge dalla mostra un Anish Kapoor più ispirato che mai, che arriva a grandi risultati nell’utilizzo di tutti i diversificati mezzi espressivi. Roberta Minnucci

Anish Kapoor, Intersection 2012 [corten steel] Courtesy of the artist and Lisson Gallery

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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Museo H.C. Andersen, Roma Gall. Naz.le d’Arte Moderna, Roma

Liu Bolin

’invisibile, il cogliere un elemento L nascosto che non si vede o non si vuole vedere. Nel lavoro di Liu Bolin, ar-

tista di Pechino, il soffermarsi sulla percezione della realtà, data dall’osservazione, è la partecipazione vitale dell’atto creativo, per avvicinare il percorso di fruizione dell’opera a una raffinazione dello sguardo per la storia umana. Al Museo Hendrick Chriatian Andersen di Roma la mostra dell’artista cinese, A Secret Tour a cura di Raffaele Gavarro è una rassegna di opere fotografiche ambientate in luoghi d’Italia storicamente caratterizzati, parte di una serie intitolata Hiding in the city che nel 2006 hanno avuto origine da Suojia Village. Dal lavoro sulla distruzione del villaggio di artisti di Pechino, Bolin si avvicina ad un “nuovo realismo” fatto di camaleontica trasformazione della propria immagine corporea, per attuare un mimetismo sorprendente, come fece la prima volta davanti alle macerie del suo studio. Carpire una realtà diversa dal primo colpo d’occhio – l’esperienza visiva è chiamata ad affrontare una analisi segnica, contenutistica, soggettiva. Liu Bolin è sagacemente tagliato per una missione per l’arte affrontata in modo analitico e performativo, divinando aspetti propri di una realtà oggettiva e di paesaggio, di vedute, con la proiezione centrale, albertiana. Nelle sue opere si attraversa l’analisi delle potenzialità tecniche dell’arte, e dei mezzi pittorici che portano al fulcro del lavoro d’artista. Body art, perfor-

s Liu Bolin, Duomo di Milano, 2010 ▼ Liu Bolin, Villa dei Misteri di Pompei, 2012

s Liu Bolin, Piazza San Marco, Venezia 2010

mance, fotografia sono i vocaboli di un linguaggio che parte dal luogo, seme del pensiero. I mezzi utilizzati per la mimesi sono molti, affrontati con estrema minuzia per procedere nella via della ricostruzione del pezzo celato dal corpo stesso, che diviene superficie speculare, gravida di materia iconica. La dialettica tra l’artista e il luogo è stringente, forte della complicità con l’immaginario comune, il simbolo storico. Affrontato nella sua essenza di immagine iconica consolidata e ricono-

sciuta, lo spazio di realtà, scelto come luogo per la raffinazione estetica, assume una nuova natura comunicativa: è il presupposto per una altra visione estetica, l’aggiornamento della riflessione. Bolin lavora il pensiero nascosto e celato, realizzando un analisi fortemente politica, che evidenzia l’impossibilità in Cina di comunicare liberamente, in cui le autorità limitano fortemente l’espressione intellettuale con una politica repressiva e sconsiderata. Ilaria Piccioni

s Liu Bolin, Paolina Bonaparte Borghese, Galleria Borghese Roma, 2012 ▼ Liu Bolin, Teatro alla Scala n°1, Milano 2010

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MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, Roma

Grazia Toderi, Mirabilia Urbis 2012 [two video projections, loop, sound, dvd - ed. 1/5]

Grazia Toderi inque video proiezioni di Grazia ToC deri stanno nello spazio della Sala Gian Ferrari del MAXXI in accordo propor-

zionale con gli ambienti ampi e oscurati, accordanti i contenuti visivi delle vedute dall’alto della città eterna. Per calcare le scene della precedente esperienza di osservazione di Roma, fatta nel 2001 con Mirabilia Urbis, accanto al lavoro di dodici anni fa si controbilancia il più recente e omonimo, strutturato in una doppia proiezione ad angolo acuto, della ripresa di immagini fatte lo scorso agosto. La donazione di Renata Novarese di Mirabilia Urbis, per la collezione permanente del Museo delle Arti del XXI secolo, è offerta al pubblico con la corrispondenza di altre opere video della Toderi che mantengono lo stesso soggetto geografico: Roma. Rosso del 2007 (Collezione MAXXI) ritorna sul tema della visione dell’agglomerato urbano, della città scrutata nelle sfumature vermiglie di un’atmosfera spaziale, solidificata nei miliardi di spunti luminosi, di fasci che attraversano la visione. L’osservazione del luogo metropolitano è affrontata più volte dall’alto in una infinita lontananza, nell’accordo assoluto con la fase notturna, tra stasi e dinamismo, di tante vite umane, di sola presenza, di attività o movimento; unite nella stessa centralità locale. Dal riquadro all’ovale che incornicia la porzione di veduta, in sottolineatura di uno sguardo fermo nello stesso angolo visivo; lo scorrere del tempo che appare immobilizzato in un recinto invisibile, racconta la stessa attenzione che Grazia Toderi ha per l’esistenza umana. Ora, nelle opere video dell’ultimo decennio, l’osservazione dello stato di vita dell’uomo diventa più distante ma non distaccata, aumenta la distanza per aumentare la quantità di spunti e punti di indagine, per una ricostruzione a tuttotondo. Il quadrato che incornicia l’ovale sembra essere la ripresa moderna dei quadri di nature morte del Seicento olandese. Come se fosse una riproposizione cartografica di un planisfero ridisegnato, con

▼ Grazia Toderi, Rosso 2007 [Ph. Grazia Toderi] © 2002 - 2013 Fondazione MAXXI Roma

l’aggiunta di una profondità, del suono e del movimento, la città assume un’identità estetica primaria e originale. Le luci artificiali della città sono il segno della presenza attiva dell’uomo, che vive e si muove, nella dimensione della attuale e forte modernità. E come se fosse una luce indirizzata a fissare un punto, il cerchio che sta nei due video del 2012 Atlante Rosso avanzano uno spunto di osservazio-

ne più condensata e diretta. Il patrimonio paesaggistico e architettonico, che in queste immagini è concentrato in un unico, generico quadro di osservazione, ha un aspetto omogeneo e acquisisce una texture digitale. L’originalità di una nuova visione richiama al concetto di umanità, nel complesso delle sue caratteristiche e dei suoi limiti. Ilaria Piccioni

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Museo De Nittis, Barletta

Jan Fabre

n’eccentrica e surreale ossessione U blu anima le sale delle esposizioni temporanee di Palazzo della Marra

di Barletta, sede del Museo Pinacoteca Giuseppe de Nittis. E’ “Art is a Medusa”, la personale di Jan Fabre organizzata da Eclettica Cultura dell’Arte e curata da Giusy Caroppo nell’ambito del progetto europeo Intramoenia Extra Art/ Watersched, progetto incentrato sul tema dell’acqua che mette in rete il Sud dell’Italia (la Puglia) e il Nord dell’Europa (il Belgio, i Paesi Bassi e la Svezia) mediante i linguaggi dell’architettura, del teatro-danza, delle arti visive e video-art, della fotografia, del paesaggio e dell’ambiente antropico. Anche Fabre è artista totale, registaperformer-coreografo-autore teatrale in movimento costante tra pittura, scultura, grafica, video, installazione. E’ interprete temerario di tematiche connesse alle relazioni corpo-mente, natura-cultura, vita-morte, forme organiche-inorganiche, mondo reale-mondo onirico, artescienza. E’ genio visionario che crede in un’arte “come espressione di libertà, che serve ad ‘aprire’ l’immaginazione di tutti. Questa è la forza dell’arte. Curare le ferite della mente e del corpo”. Erede coerente della tradizione fiamminga (di artisti come Bruegel o Bosch, come ha ricordato Alberto Fiz all’inaugurazione) Fabre connota le sue opere in maniera poli-sensoriale e poli-linguistica, così come è evidente in questa occasione espositiva dedicata a una figura dalla duplice anima: la sinuosa e trasparente medusa marina, la fatale e temibile Medusa del mito. Già il titolo emblematico della mostra allude all’essenza dell’arte stessa, che può estasiare gli sguardi e attrarre pericolosamente oppure nascondersi alla vista e mimetizzarsi. Come sguardo di Medusa, celato tra le serpi, lo sguardo dell’arte incanta e riflette desideri-sognipassioni di chi l’osserva. Solo l’artista è immune. Egli ha “sguardo strabico”, che addomestica ogni immagine producendo sempre nuovo incanto. Proprio come fa Fabre. “Cavaliere della Disperazione” in rivolta contro la Morte, “Guerriero della Bellezza” che rimargina ogni ferita per riaffermare il destino della Vita, l’artista belga gioca pericolosamente con lo sguardo di Medusa e lo fa mediante la vastità di un colore nel quale tutto annega e si disperde. Il blu. Con il colore liquido e trasparente, Fabre dà corpo e anima al proprio immaginario e riveste le sue visioni. Il blu fluido, in continuo mutamento è in realtà il blu della penna a sfera Bic, un nero-blu luminoso in grado di creare profondità attraenti e oscure, prive di certezze e dense di dubbi. Spazi di metamorfosi del segno tormentoso che si fa disegno perturbante. Per le sale del museo di Barletta, possiamo sperimentare la vertigine delle seducenti visioni blu dell’artista, che si riallacciano al tema dell’acqua. Dai video (bellissimo quello sul “Progetto Tivoli”, con le architetture esterne della residenza-castello occultate da pannelli adesivi ricoperti dai segni di migliaia di penne a biro blu; storico quello di fine anni ottanta “Questa pazzia è fantastica”, in bianconero con effetti in blu, girato tra le acque del fiume Schelda), ai numerosi disegni

s Jan Fabre, Monopoli Project [penna Bic su Cibachrome - Ph. Giuseppe Fiorello]

▼ Jan Fabre, Monopoli Project [penna Bic su Cibachrome - Ph. Giuseppe Fiorello]

appartenenti a diversi cicli. Dai piccoli e recenti schizzi a matita di castelli nordici “bagnati” dalle tracce essiccate dei rivoli azzurrati di lacrime d’artista, alla serie di eleganti dettagli decorativi riprodotti in multipli su superfici argentee come pozze d’acqua lacustre, ai cicli dove il colore omaggia la luce crepuscolare mediante un ossessivo e vellutato tratteggio dell’inchiostro blu della penna-biro. Sono disegni di dimensioni variabili, realizzati tra il 1986 e il 1992 (le spade-croci rese con effetti di figura-fondo intagliati nella carta, gli elmi-pesci, i coleotteri-farfallescarabei-bozzoli-larve-uccelli-crostacei e

dettagli di animali vari incrociati a corpi umani, scritte, motti, forme arcane…), dedicati alle complesse iconografie delle metamorfosi e degli incroci simbolici. Il percorso espositivo si chiude con l’anticipazione di un progetto in embrione che coinvolge una fortezza-castello affacciata sul mare, fulcro pulsante di un borgo pugliese; grazie alla collaborazione collettiva di innumerevoli di-segnatori lo scheletro architettonico si tingerà del blu infinito di mille e mille tracce di penna Bic, diventando luogo di emozioni oniriche. Maria Vinella GEN/FEB 2013 | 243 segno - 35

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Galleria Michela Rizzo, Venezia

Sandro Mele

“The American Brothers” n’importante questione legata U all’analisi dei fenomeni artistici è la comprensione del ruolo che essi rive-

stono nella società contemporanea. Le attuali dinamiche di mercato implicano una variazione semantica del concetto di contemporaneità e si traducono nella mancata rappresentazione del proprio tempo. La crisi culturale comporta alcuni mutamenti nelle arti figurative, attraverso l’individuazione di un modello partecipativo che media tra individuo e collettività. Il rovesciamento dei sistemi artistici, decretato dal passaggio da modelli elitari a democratici, ora si ribadisce attraverso l’impegno intellettuale e sociale dell’artista. Un’occasione per riflettere su come oggi l’arte possa esprimere alcune criticità sociali è rappresentata dalla mostra personale di Sandro Mele: The American Brothers, curata da Raffaele Gavarro, che si terrà presso la Galleria Michela Rizzo a Venezia dal 16 febbraio al 16 marzo 2013. Il progetto The American Brothers indaga la condizione operaia in Italia attraverso l’analisi della strategia manageriale di Sergio Marchionne. Una ricerca focalizzata sulle reali problematiche della classe operaia è raccontata attraverso la voce dei lavoratori e le opinioni di giornalisti e sindacalisti, al fine di analizzare l’attuale condizione di precarietà italiana. The American Brothers è un progetto artistico che ha la responsabilità civile di fare luce su alcune questioni sociali, nelle quali la verità è spesso celata da drammatiche incongruenze politiche. Sandro Mele, dopo aver portato a termine delle importanti ricerche in America latina, prima sui contadini in Campo Argentino (2006) e poi sulla fabbrica rilevata dagli stessi operai Fanispat ex Zanon (2008), con questo nuovo progetto

s Sandro Mele, Art.1 l’Italia era una Repubblica Democratica fondata sul lavoro [courtesy Sandro Mele & Galleria Michela Rizzo]

ritorna ad occuparsi della situazione sociale in Italia. Come sostiene il curatore, la mostra di Mele solleva due questioni; la prima riguarda il ruolo dell’arte, la seconda quello che noi ci aspettiamo da essa, facendoci riflettere sulla capacità dell’arte di costituirsi come elemento interlocutorio della realtà e non solo come semplice racconto. Il linguaggio di Mele si avvale di diversi medium comunicativi, evidenziando la possibilità di intendere più livelli di lettura nel medesimo progetto. I video

presentati in mostra sono integrati con pitture, fotografie ed installazioni, che insieme custodiscono l’idea progettuale di The American Brothers e l’artista diviene portavoce dalla necessità di far coesistere un’operazione artistica con l’impegno sociale e politico. Per comprendere meglio gli intenti del progetto ho rivolto alcune domande all’artista e alla gallerista, al fine di comprendere gli intenti dell’esposizione. Ringrazio la gentile disponibilità di Sandro Mele e di Michela Rizzo.

▼ Sandro Mele, Storyboard, installation view [courtesy Sandro Mele & Galleria Michela Rizzo]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

s Sandro Mele, Fasinpat ex Zanon [photograph, wood, beeswax c. 90x135] - Courtesy Sandro Mele & Galleria Michela Rizzo

COLLOQUIO CON SANDRO MELE

> Da diversi anni sei impegnato ad indagare la condizione operaia e racconti le storie dei lavoratori (basta pensare al progetto “FaSINPaT ex Zanon” realizzato nel 2008) e anche in questa occasione ti sei occupato di un argomento importante e di grande attualità. Potresti spiegare com’è nato e cosa rappresenta il progetto: “The American Brothers”? > Verso la fine del 2010 ho intervistato un operaio del Fiat CNH del gruppo Fiat Industrial di Lecce. Era il periodo del referendum di Mirafiori, e mentre tutti parlavano dei possibili esiti della votazione, lui mi fece notare come in CNH già si lavorasse in condizioni simili al contratto Marchionne. L’operaio aveva paura di esporre le proprie idee e questo mi fece rabbia, forse perché Lecce è la mia città di origine o per il mio passato da operaio. Da li capii che avrei approfondito la questione per comprendere e far comprendere le reali condizioni lavorative in Italia. Il ricatto si attua soprattutto dove le necessità dei lavoratori sono più diffuse. A Lecce, come in tutto il sud Italia, c’è sempre stata una grande carenza occupazionale. Attraverso interviste ad operai delle varie sedi italiane FIAT, oltre ad interventi di sindacalisti, giornalisti e persone comuni, il progetto intende svelare ed evidenziare gli aspetti silenti del piano Marchionne: le finalità finanziarie che lo muovono e la probabile necessità di indebolire il sistema lavorativo italiano retrocedendo su alcuni diritti acquisiti e annullando il ruolo dei sindacati. Esiste un intento di disgregare la classe operaia italiana? Perchè? Quali sono i compromessi accettati per voler credere nella ripresa economica americana? Queste le domande che mi sono posto e che vorrei porre a chi approccia il mio progetto. > Il tuo impegno per le tematiche sociali mi fa pensare all’importanza che riveste oggi un operatore culturale, proprio per questo mi viene di porti una domanda: qual è il ruolo dell’artista nella società contemporanea? > Una domanda complessa, forse troppo. Mi sembra difficile definire ora il ruolo dell’artista nella società, credo che solo il tempo possa permettere questa risposta. Posso dire però che mi piacerebbe che l’arte contemporanea ribadisse la sua capacità apparentemente effimera di cambiare, far evolvere la cultura comune e quindi il pensiero civile come spesso è successo nel passato. > Già dagli anni Settanta l’attenzione per i rapporti di partecipazione sociale nell’arte rappresentava un importante punto di riferimento per molti artisti; qual è la risposta alla nuova domanda di partecipazione sociale nelle arti visive? > Artisti impegnati nel sociale ci sono sempre stati e ci saranno sempre. Io personalmente sento l’urgenza di raccontare questo tipo di cose, non saprei fare altro. Credo anzi sia un dovere etico ragionare sulla nostra epoca

e non ci si dovrebbe sottrarre facilmente a questa necessità; non riesco a concepire l’arte fine a se stessa. E’ vero che in questo momento nel mondo dell’arte si sta registrando un nuovo interesse verso gli artisti che agiscono in questo ambito: il punto è mantenere una certa onestà intellettuale e distinguere tra chi lo fa per spinta poetica e chi per prurito contingente. COLLOQUIO CON MICHELA RIZZO, GALLERISTA

> In questo momento di grande crisi, principalmente culturale, sostenere un progetto come quello di Sandro Mele è una scelta coraggiosa e di certo non banale. Cosa rappresenta per la sua galleria il lavoro di Sandro Mele ed il progetto “The American Brothers”? > Ho incontrato diverse volte Sandro Mele per approfondire la mia conoscenza del suo lavoro. Quando ad un certo punto mi ha parlato del progetto The American Brothers, abbastanza istintivamente gli ho detto di andare avanti, che sarei stata interessata a seguirlo in questa avventura. Il percorso artistico fino ad allora intrapreso da Sandro mi ha fatto pensare che avesse in mano gli strumenti atti ad affrontare un argomento così complesso nel migliore dei modi. La sua coerenza e capacità di indagine, unite ad una eccellente risoluzione formale mi rende serena all’idea di presentare questa sua ultima mostra al mio pubblico. Essere accompagnati inoltre da un bravissimo curatore come Raffaele Gavarro, rende le cose più facili e garantisce la qualità dei lavori che andremo a proporre. Penso e spero inoltre, che l’attualità dell’argomento possa stimolare l’interesse di un pubblico davvero vasto e il fatto di uscire dal mondo, a volte un po’ troppo piccolo, dell’arte è una cosa che mi interessa sempre tanto. Riguardo specificatamente le scelte della mia galleria, non è certo la prima volta che lavoro con artisti che indagano questioni sociali, mi vengono senz’altro in mente Muntadas e Francesco Jodice, Balestrini e Mauri, tanto per citare alcuni nomi. Per cui portare la questione Fiat in galleria sarà un’esperienza dura e impegnativa, ma non certo insensata. > Qual è la sua posizione nei confronti di questo tipo di ricerca artistica? > Per me il lavoro di un artista e la sua ricerca possono prendere mille strade, non ho pregiudizi ne’ restrizioni di sorta. Quello che mi interessa è la loro Autenticità, ci sono diversi palloni gonfiati in giro che ci propongono un sacco di bufale. Io devo sentire che si sta lavorando nell’ambito dell’Arte con la A maiuscola, qualsiasi argomento l’artista sia interessato a indagare e con qualsiasi media lo faccia. Se mi ritrovo con una ‘brutta’ (nel senso di poco significante) mostra in galleria, soffro terribilmente. Ci perdo il sonno. Può succedere perché errori se ne fanno, ma cerco davvero di limitarli e di scegliere con la maggiore acutezza possibile. Andrea Fiore GEN/FEB 2013 | 243 segno - 37

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Mel Ramos, Installation view; da sinistra: Hav-a-Havana, 2006 [resin polychrome 84 x 200 x 72 cm]; Chiquita Banana, 2008 [resin polychrome 177 x 110 x 100 cm] Courtesy Galleria Tega Milano

Galleria Tega, Milano

Mel Ramos lla galleria Tega, una intrigante A mostra personale di Mel Ramos (Sacramento, 1935), ci consente oggi di

valutare gli approdi creativi di uno dei più originali interpreti della Pop-Art. Con il successo della popular art americana si è riflettuto per più di mezzo secolo sul rapporto tra l’individuo e la società dei consumi; un fil rouge che ancora oggi trova nelle immagini di una realtà omologata la sua genesi antropologica. Di certo non ci stupirebbe pensare ad un percorso artistico che parte da un tema e si evolve poi in qualcos’altro, questo, non accade in Mel Ramos, artista instancabile e rigoroso nell’esprimere il suo linguaggio. L’artista americano indaga il tema dell’estetica di massa in modo inflessibile dal 1963, come una sorta di missione etica e morale. Dietro l’aria rassicurante di smisurati oggetti di consumo quotidiano, associati ad ammiccanti nudi femminili, si cela, in verità, una profonda introspezione critica. La mostra celebra l’artista californiano attraverso un nu-

Mel Ramos, The pause that refresh (Coca Cola) 2007 [resin polychrome 53 x 53 x 15 cm] Courtesy Galleria Tega Milano © The Artist

mero limitato di opere che arredano lo spazio della galleria come se fossero dei simulacri retti ai miti del nostro tempo. You get more Salami with Modigliani (1978) è il disegno che apre il percorso espositivo, cedendo subito il passo alle grandi statue in poliestere dipinto. Corpi di modelle perfette sembrano levarsi dall’immaginario collettivo e diventano inesorabili prodotti commerciali. È la celebrazione del desiderio che si esprime attraverso la creazione

Mel Ramos, Hav-a-Havana, 2006 [resin polychrome 84 x 200 x 72 cm] Courtesy Galleria Tega Milano © The Artist

di idoli effimeri e destinati al mercato. Questa prospettiva spicca, in maniera particolare, nell’opera Chiquita Banana (2008) in cui una bella fanciulla, di certo non una signorina buona sera, sbuca nuda da un’enorme buccia di banana Chiquita e diventa essa stessa un oggetto di consumo. Siluette svestite di disinibite fanciulle entrano in equilibrio con oggetti di largo impiego quotidiano, comunicando il desiderio erotico volto all’acquisto di un oggetto. Le seducenti ragazze di Ramos più che promuovere l’oggetto lo rappresentano. Quest’ambiguità corrisponde all’intenzione di dare un’immagine razionale e consapevole della società che volge uno sguardo compiacente alle icone del consumo contemporaneo. Voluttuosi nudi si coniugano con oggetti, come una gigantesca bottiglia di Ketchup Heinz in Heidi Heinz (2009), oppure ad un enorme hamburger, che farebbe invidia anche a Claes Oldenburg, in “Barbiburger” (2011). Nouvelle Danae si allungano su enormi sigari in Hav-a-Havana (2006) e su giganteschi pacchi di caramelle in Five Flavor Frieda (2010). Il percorso cronologico dell’esposizione termina con La gitane (2012), la scultura più recente presente nella mostra. L’esposizione è un viaggio nell’ultima produzione di Mel Ramos e pone in maniera evidente l’accento sulla coerenza della sua lunga esperienza artistica. La mostra è inoltre corredata da un catalogo a cura di Luciano Caprile, che illustra il percorso dell’artista, ponendo alcune domande che ci aiutano a comprendere gli intenti dell’artista. Alla domanda: C’è qualcosa in particolare che le dà fastidio nel giudizio dei critici? L’artista risponde: «Quando Picasso, Modigliani, Matisse hanno dipinto dei nudi, la gente li ha chiamati nudi. Ed è ciò che pretendo si dica delle mie opere, non voglio che le interpreti dei miei lavori vengano chiamate pinup». Andrea Fiore

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Mel Ramos, Installation view; da sinistra: Hav-a-Havana, 2006 - Chiquita Banana, 2008 - Heidi Heinz, 2009 [resin polychrome 90 x 43 x 43 cm] Courtesy Galleria Tega Milano

An exhibition of selected sculptures by Mel Ramos (born in 1935 in Sacramento, California), one of the most important masters of American pop-art. Like the other protagonists of this artistic movement exploded in the United States in the Sixties, his attention is focused on that consumerism celebrated by a striking advertising compaigns. But unlike serial and sometimes coldly surgical simplicity of Andy Warhol or of a comic strip, or also instead of a distilled representation by Roy Lichtenstein, Ramos turned his attention to the combination of pin-up nudity and the product to advertise. All through a warm painting, solar and sensual evidently favored by the climate of his origin, so different from the rhythmic and sometimes obsessive behavior typical rule of the inhabitants of a metropolis like New York. And probably this detachment allows one hand to argue that hedonistic pleasure that leaked from his works and after to enable the resulting particularly effective weapon of irony. In fact, his provocative protagonists promote the object by superimposing their bodies to the product to advertise: they become themselves an attractive object of visual consumption and activate winking least complicity with the viewer captured by such seductive beauty. These bodies, played on many levels, also acquire a vocation which enhances the three-dimensional shapes. Therefore their translation painted sculptures became cloaked in a subsequent step inevitability. The current exhibition is aimed precisely at the creative landing of Ramos, thus, is to emphasize another of his complaints, the kitsch, addressed to certain objects of propaganda, which he takes into consideration, the balanced harmony typical of the great artist. In this circumstance, “Chiquita Banana”, where from the exotic fruit erupts vertically the smooth bust of a girl, to ”Hav-a-Havana-2”, where the model lies on a cigar of large size, in “Barbiburgher” which proposes a miss sitting comfortably on a sandwich stuffed in the unusual role of a soft pillow, a masterpiece like “The Pause That Refreshes” characterized by a sinuous “b side” overflowing with a label of Coca Cola. And so on. g Mel Ramos, Installation view; da sinistra: Five Flavor Frieda, 2010 [resin polychrome 50 x 96 x 22,5 cm] Hav-a-Havana, 2006 - Courtesy Galleria Tega Milano © The Artist

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Galleria Continua, San Gimignano

Ai Weiwei & Giovanni Ozzola ue personali sono quelle proposte D dalla Galleria Continua di San Gimignano, secondo uno stile ormai asso-

dato: quella di Ai Weiwei nello spazio dell’ex cinema e l’altra di Giovanni Ozzola all’Arco dei Becci. Mentre inaugura la mostra, Ai Weiwei è agli arresti domiciliari a Pechino, con un destino analogo a quello del padre, Ai Qing, illustre poeta anche lui arrestato, esiliato e oppresso dal regime di Mao Zedong. Ai Weiwei, attivista per i diritti umani, paladino della libertà e della verità, è una ‘monumentale’ icona del dissenso cinese, un uomo, la cui storia, nota al mondo, è un’espressione costante di coraggio, di determinazione e di speranza, un artista, le cui opere, presenti nei maggiori musei del pianeta, parlano con la forza dell’ indagine, della denuncia e della testimonianza. Il suo lavoro prima di ogni altra valutazione di carattere estetico, si esplica, in una focalizzazione lucida, operata attraverso la lente dei vari linguaggi artistici da lui professati, della realtà cinese contemporanea, di un “modernismo” imposto che distrugge le tradizioni e si dimentica dell’uomo e dei valori fondanti la sua esistenza. Il livello di lettura, pertanto, dell’opera di Ai Weiwei, non può prescindere dal considerare l’azione culturale e politica, come aspetto primario sotteso al suo lavoro ed emergente come dato connotante: ciò induce a una riflessione più generale sul ruolo dell’arte in questo secolo e, soprattutto, nei paesi dove la libertà d’espressione è negata o fortemente compromessa. L’arte, come insegna Ai Weiwei, ha ancora l’ineliminabile funzione di far conoscere, con una presa in carica della realtà vissuta, quello che diversamente sarebbe ridotto al silenzio. L’artista, architetto, urbanista, fotografo, poeta, storico di verità documentate, inevitabilmente “filosofo”, blogger e performer, nella complessità che lo caratterizza, è anche il simbolo della comunicazione e della protesta via web: virtualmente ha mostrato la sua vita, la nascita dei suoi progetti artistici e dialogato con i visitatori. Nel blog, poi, ha denunciato, la causa di morte di innumerevoli persone, durante il sisma del 2008, determinata dai materiali scadenti con i quali erano costruiti gli edifici pubblici, un esempio è costituito dalle scuole di “tofu”, dove quasi seimila bambini persero la vita, di molti di questi Ai Weiwei, con l’ausilio di molti volontari, ha ricostruito il nome e le generalità , pubblicandoli in rete, in un’impresa difficilissima , osteggiata e repressa dal governo con l’oscuramento del blog. Marble Helmet del 2010, opera in mostra alla Galleria Continua, ricorda la tragedia: è una scultura in marmo bianco che riproduce con precisione l’elmetto dei soccorritori, simbolo di un barlume di luce nella catastrofe. Brain Inflation del 2009, esposta, è una lastra della risonanza magnetica eseguita dall’artista stesso, relativa all’emorragia cerebrale a lui causata dalle percosse della polizia: un’opera di intenso valore testimoniale. Del blog dell’artista, prima che fosse censurato, sono proiettate, nei vari spazi della galleria, oltre settemila immagini

Ai Weiwei - Stacked, 2012 [760 biciclette, dimensioni variabili] Courtesy Galleria Continua San Gimignano

Ai Weiwei, Oil Spills 2006 [6 pezzi in porcellana, dimensioni variabili] Courtesy Galleria Continua San Gimignano

mediante dodici monitor, eloquenti nei loro contenuti e relative al periodo precedente l’ arresto di Ai Weiwei: vari temi emergono nello scorrere dei fotogrammi, in uno spaccato di vita sociale e artistica, nella documentazione di allestimenti espositivi, o nella messa a fuoco, tra l’altro, di una lunga serie di animali, tra costrizione e libertà , fra i quali, sovrani i gatti. L’itinerario della mostra è omnicomprensivo di lavori riferibili ai vari linguaggi professati dall’artista, con opere datate fra il 2004 ed il 2012, ad eccezione di June del 1994, fotografia in bianco e nero, scattata da Ai Weiwei in piazza Tienanmen, nella ricorrenza della strage del 1989, dove, di fronte ai simboli della rivoluzione culturale, è ritratta la moglie mentre mostra le mutande, in un gesto emblematico di disprezzo verso il potere. Nella stessa sala sono esposte due ope-

re lignee quasi gemelle, se pur di diverse dimensioni, contraddistinte da forme geometriche pure, l’una Unititled del 2010 con sapienti tarsie in tutta la sua superficie, l’altro F-Size del 2011, quasi dodecaedro, modello architettonico che circoscrive una porzione di spazio, fra interno ed esterno; entrambe sono l’esito più rarefatto di un lavoro sui mobili della tradizione cinese a cui l’artista si è ispirato nel corso della sua attività, quasi a voler conservare e rivisitare il patrimonio di saperi artigianali del suo paese. Procedendo nell’itinerario espositivo le qualità di Ai Weiwei architetto, emergono nel capolavoro di forme che è Ordos 100 Models del 2011, installato nella platea dell’ex cinema: un enorme plastico in legno di pino, relativo al progetto urbanistico per una zona della Mongolia, ideato dall’artista con Herzog & de Meuron, progettisti, con i quali aveva

Ai Weiwei, Bubble of Twenty Five 2008 [porcellana, 25 elementi, 50 x ø 75 cm ciascuno] Courtesy Galleria Continua San Gimignano

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Ai Weiwei, Ordos 100 Model, 2011 [legno di pino, video, 80 x 1511 x 1357.3 cm, 1h 0m 57s] Presentato con testi e immagini da 100 architetti - Courtesy Galleria Continua San Gimignano

Ai Weiwei, Untitled 2010 [legno Huali, Ø 70 cm]: F-Size 2011 [legno Huali, ø 130 cm ] courtesy Galleria Continua, San Gimignano. © The Artist

Giovanni Ozzola, Routes and Stars, 2012 [veduta dell’installazione, courtesy Galleria Continua, San Gimignano] Courtesy Galleria Continua San Gimignano

Giovanni Ozzola, Doradus in Tarantola Nebula, 2012 [legante filmogeno su ardesia, cm.120x180] Courtesy Galleria Continua San Gimignano

Ai Weiwei, Marble Tree’ 2012 [marmo, 155 x 65 x 65 cm] courtesy Galleria Continua, San Gimignano. © The Artist

già collaborato per la realizzazione dello stadio “a nido d’uccello” in occasione dei giochi olimpici del 2008. La sistemazione e l’assetto dell’area di territorio in Mongolia prevedeva il contributo di architetti provenienti da paesi stranieri, selezionati mediante un concorso, per edificare mille ville di mille metri quadri ciascuna, non ancora concretizzate. L’opera in mostra documenta il lavoro progettuale dei professionisti scelti a operare, con l’esposizione delle stampe in sequenza dei loro lavori: straordinaria è la definizione delle singole unità abitative, ognuna diversa dalle altre, ognuna specchio del paese d’origine del progettista, in una gamma di modelli, alcuni fortemente innovativi, altri più tradizionali. Nel palcoscenico della Galleria Continua campeggia la grandiosa installazione Stacked del 2012, dedicata al mezzo di trasposto più comune in Cina, la bicicletta: oggetto smontato e ricomposto serialmente in un’infinità di combinazioni, a diventare una scultura di gigantesche di-

da tre barre di acciaio estratte da demolizioni forzate di fabbricati, è emblematica della Cina in cambiamento,della ricostruzione a svantaggio della tradizionale architettura e della vita delle persone e dei loro ricordi. Contrassegnata da grande essenzialità iconica è l’installazione di Giovanni Ozzola, Routes and Stars, 2012 presentata nello spazio dell’Arco dei Becci. È composta da tre lastre di ardesia, poste sul pavimento, ognuna con suggestivi segni, rievocanti le preistoriche incisioni rupestri e realizzate con quella tecnica primordiale. Della caverna l’insieme ha memoria, nel buio d’intorno, nella luce diretta a illuminare esclusivamente gli elementi costituenti l’opera, laddove le tracce di una primitiva comunicazione e di antiche presenze sembrano atterrate dal vuoto sidereo di Stars: mappe e stelle forse, simbolo dell’eterna ricerca di rotte e di approdi, forse interiori, cui l’attività artistica di Ozzola sembra volgere. Rita Olivieri

mensioni, allusiva alla moltitudine di vite umane che usano quel mezzo di trasporto e che sono inglobate e compresse nei pressanti ritmi e meccanismi del sistema lavorativo cinese. Nel giardino esterno, inoltre, le ampie sfere di porcellana dell’opera Bubble of Twenty Five del 2008, riflettenti la luce e disposte in assoluto ordine geometrico, evocano la più raffinata tradizione ceramica del paese di Ai Weiwei. In rimando all’interno Oil Spills del 2006, anch’essa nel medesimo materiale, presenta sei macchie di petrolio, in cui la denuncia del progressivo inquinamento in Cina, appare più forte della bellezza dell’opera stessa, tanto più se la si astrae dal contesto e la si priva del riferimento del titolo. Due opere esposte sono, infine, Marble Tree del 2012 e Rebar 49 realizzata fra il 2008-2012. La prima in marmo è composta da tre sculture rappresentanti bianchi alberi ibernati, in basi anch’esse dello stesso materiale, mentre la seconda, formata

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Museo Fondazione Pino Pascali, Polignano a Mare-Bari

Nathalie Djurberg & Hans Berg Premio Pascali 2012 l video “Jag sysslar givetvis med trolImagia”) leri” (“Naturalmente mi occupo di accoglie in maniera suggestiva i

visitatori nella prima sala all’ingresso del museo. Veloci tratti al carboncino tracciano il racconto del disegno animato (e sonorizzato dalla musica di Hans Berg): i rami contorti di due grossi alberi scheletriti catturano una leggiadra e incredula figura femminile, nuda. La straziano, la squartano, la violentano, ne deformano la struttura anatomica, sino ad annientarla. La Natura, questa volta Natura-matrigna più che benigna, perversa e minacciosa si rivolta. Aggredisce l’umano. Ne sconvolge la bellezza. Ne distrugge la vita. E,’ questo, solo un assaggio dei temi ricorrenti del lavoro di Nathalie Djurberg, che inventa universi visionari, abitati dalla follia di allucinanti storie di personaggi coinvolti in affaires di sesso e di morte. Le creature ibride e deliranti dell’autrice svedese, appartengono a realtà oniriche dai caratteri persecutori, disegnate o realizzate in plastilina o con tecniche polimateriche e poi animate in video. In questi microcosmi paranoici, dove scenografie fiabesche e inquietanti accolgono

figure dai comportamenti sadici e bestiali, incontriamo esseri mostruosi in continua metamorfosi: piante e fiori carnivori, animali mutanti, orride streghe, corpi smembrati, accoppiamenti agghiaccianti. Alle inconsuete narrazioni dell’artista svedese è dedicata la XV edizione del Premio Pino Pascali. In particolar modo, il premio del 2012 è attribuito per la produzione delle celebri clay animation, film realizzati in stop motion con marionette forgiate in argilla e plastiline. Già Leone d’Argento alla Biennale di Venezia del 2009 come miglior giovane artista, Nathalie Djurberg, insieme al musicista e compositore Hans Berg, è reduce di significative mostre tenute in questi ultimissimi anni al New Museum di New York, al Röda Sten Art Centre di Göteborg, al londinese Camden Arts Centre, al Walker Art Center di Minneapolis, al parigino Centre Pompidou. Alla Fondazione Pascali, nella personale curata dalla direttrice del museo, Rosalba Branà, e dai giovani critici Roberto Lacarbonara e Mariapaola Spinelli, l’artista ha deciso di mostrare alcune opere significative del proprio itinerario espressivo, con una

selezione di sculture, video-installazioni e filmati realizzati tra 2007 e 2011 e provenienti dalla Fondazione Prada e dalla Galleria Giò Marconi di Milano. Tra le opere in mostra anche “The Whales”, “Le balene”, in polistirolo e acrilici: graziose e gioiose forme marine appartenenti al mondo dei giochi infantili che però, dagli squarci del ventre, lasciano intravedere pezzi di corpi umani e ragazzini vivi ancora da digerire. In “Didn’t you know I’m made of butter?, “Non lo sai che son fatta di burro?” (clay animation, video, musica del 2011), l’allegoria della guerra tra i sessi è simboleggiata dal confronto – dalle esplicite implicazioni erotiche – tra una procace e discinta “lei”e un imponente e prestante “lui” (un toro bianco). In “Johnny”, è invece il protagonista maschile messo alle strette, legato, deriso, violentato e infine arso vivo da tre giovani donne vendicative, da lui spiate nel momento intimo del bagno nel ruscello del bosco. Anche in queste opere, i fantoccimarionetta variopinti della Djurberg ci riconducono ad un immaginario drammaticamente problematico, dove humor e horror, stupore e oscenità, desiderio e paura si intrecciano in una conturbante, apocalittica Danza Macabra che ci spaventa e ci sconcerta. Eppure ci seduce, ci affascina, ci compiace. Come ogni fiaba. Maria Vinella Nelle immagini, gli allestimenti di alcune opere di Nathalie Djurberg e del suo sodalizio con il compositore musicale Hans Berg, costituite da mixed media, attrezzature audio e video, provenienti dalla Fondazione Prada e Giò Marconi, Milano. [Photo © Attilio Maranzano. Courtesy Fondazione Pino Pascali, Polignano a Mare, Bari]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Niele Toroni, “Impronte di pennello n. 50 a intervalli di 30 cm - intervento pittorico per Palladio””, 2012 Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo (courtesy A arte Studio Invernizzi, Milano - foto Bruno Bani, Milano) Arthur Duff, “Sing About The Past”, 2012 [proiettori laser 5w Green, misure variabili] Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo (courtesy A arte Studio Invernizzi, Milano - foto Lorenzo Ceretta, Vicenza

Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo (VI)

Arthur Duff & Niele Toroni n un periodo di difficoltà e crisi proIpenalizza fonda come l’attuale, che spesso soprattutto il sistema culturale e lo rende vittima privilegiata di severi – quanto ingiustificabili – tagli, non possiamo che apprezzare e lodare tutte quelle iniziative che sono indirizzate al sostegno e alla promozione

della vera cultura, in modo particolare quella legata all’arte contemporanea. Per questa ragione dobbiamo elogiare con soddisfazione l’aver ritrovato anche quest’anno il progetto Arte Contemporanea a Villa Pisani, che nasce da una passione, sincera, profonda e rigorosa, tanto che potremmo parlare

di nobile e antico mecenatismo, dei suoi proprietari e amorevoli custodi: Manuela Bedeschi e Carlo Bonetti. La loro sensibilità ha permesso di spalancare dal 2007 le porte di un luogo suggestivo, come la cinquecentesca villa palladiana – che loro abitano e vivono e che non è quindi solo una magnificente quinta espositiva – con ambienti di indiscutibile pregio e fascino, al dialogo con le opere di artisti contemporanei, sempre chiamati ad operare guardando e connettendosi alle peculiarità e alle dinamiche di un luogo tanto coinvolgente quanto complesso per il denso carico di storia che conserva. Si è, quindi, chiusa nel novembre scorso la quinta edizione Arte Contemporanea a Villa Pisani – che da questa diventerà, per gli anni a venire, appuntamento biennale – e che ha visto protagonisti Niele Toroni e Arthur Duff. A cura di Francesca Pola, sono stati individuati due artisti internazionalmente affermati che esprimono due temperamenti differenti, due linguaggi distanti ma che hanno trovato una inedita sincronia nel rapportarsi con le specifiche condizioni di questo luogo. Niele Toroni applica, in continuità con la sua quarantennale ricerca, la sua inconfondibile traccia di pennello (in questo caso un pennello numero 50 con un ritmo spaziato di 30 centimetri) che si applica e sviluppa come un segno aniconico, semplice e basico. Un segno frutto di quel gesto, minimo ed essenziale, che è linguaggio fondante di ogni espressione pittorica. Toroni lascia impronte disperse e mutevoli di colore; marca tracce come episodi frammentati e regolari che, sempre fedeli a se stesse, mutano continuamente esprimendo una natura rinnovabile grazie alla connessione con le forze dell’ambiente del loro divenire. Niele Toroni consegna allo sguardo una spazialità ritmica e progressiva in cui la pittura si fa essa stessa lo spazio vivificante di un luogo rivissuto e riletto alla luce della sua inconfondibile presenza. Un lavoro sul luogo, concepito attraverso le sue abituali proiezioni laser di scritte in movimento, è anche quello di Arthur Duff che, operando in un ambiente schermato e buio per far risaltare tanto il suo intervento quanto in modo inedito alcune sale della Villa, ha rivolto la sua attenzione alle travi del soffitto. Il movimento vibrante della sua opera, frantuma e altera la regolarità geometrica delle componenti architettonico-strutturali e immerge lo sguardo dentro ad un moto incessante, grazie alla cui sollecitazione lo spettatore riesce a ripensare la propria peculiare condizione percettiva. In Duff ogni dato visibile agisce in virtù di uno specifico punto di vista che, unico e univoco nella singolarità spazio-temporale, cortocircuita il modo di intendere, comprendere ed esperire l’opera d’arte e il dove questa si inserisce. Il mezzo luce, vivificato dai laser, pone l’opera di Duff sempre in bilico tra una fisicità attiva per la sensibilità e, allo stesso tempo, una inconsistenza effimera e immateriale, rifuggente la consistenza propria della materia concreta. Le sue scritte si spostano costantemente, vibrano nell’aria, toccano l’ambiente: in tale variazione, continua e progressiva, vanno ben oltre il loro semplice messaggio significante, allargandone il senso e spostandone il centro sempre su novi ed inediti territori. Matteo Galbiati GEN/FEB 2013 | 243 segno - 43

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Nuova sede, Napoli

Intervista ad Alfonso Artiaco di Chiara Pirozzi

rima inaugurazione nella nuova P sede. Come nasce il progetto espositivo per Sol leWitt e per Liam

Gillick? Alfonso Artiaco: Mi è parso doveroso inaugurare il nuovo spazio con un omaggio a Sol leWitt. La mostra presenta un lavoro inedito in Italia: le dodici Pyramids esposte da Peter Pakesch a Vienna, acquistate da noi nel 1992. La mostra di Liam Gillick era già prevista per dicembre nel vecchio spazio e abbiamo pensato di inaugurare con lui lo spazio nuovo. Il mio intento è avere una storia lineare, l’apertura di un nuovo spazio non deve significare chissà cosa, non ci sono mostre speciali ma è chiaro che l’apertura di un nuovo spazio dà maggiore visibilità. L’artista ha pensato un lavoro per Napoli. > La galleria ha sempre fatto da bat-

tistrada al mercato dell’arte napoletano per il procedere fra i valori affermati e giovani artisti. Quali saranno gli elementi di continuità e le novità? A.A.: Essendo uno spazio più grande ci sarà un carico di lavoro superiore ma la logica resterà la stessa. Faccio le cose che rientrano in un sistema personale e certamente ci saranno dei progetti diversi. Questo spazio mi offre una maggiore libertà, una modularità e un’ampiezza superiore. Lo spazio è quattro volte più grande. > La nuova sede implica programmi ambiziosi e site-specific, hai ponderato eventuali difficoltà logistiche e tempistiche? A.A.: Per la verità no. Quando ho visto questo spazio, mi sono reso conto ad esempio che era al secondo piano, però

Liam Gillick, Veduta delle installazioni / Installation view [Courtesy Alfonso Artiaco]

credo che queste limitazioni siano superabili. Il site-specific è la norma per le gallerie che fanno un tipo di lavoro come il mio. Io opero sulla centralità della città e se un lavoro si contamina con questi luoghi, ne sono felicissimo. Il modo di costruire una mostra è sempre legato a uno specifico luogo. Le difficoltà saranno le stesse che ho avuto in precedenza. > Le tue mostre hanno spesso avuto un nesso con Napoli. Sarà ancora un filo conduttore del tuo lavoro? Puoi farci degli esempi futuri? A.A.: Il problema non è dov’è una galleria ma cosa fa. Vado via da Chiaia perché non ci sono spazi adeguati a una galleria di standard internazionale. Oggi le gallerie s’ingigantiscono sfruttando spazi industriali e a Napoli è rarissimo trovarli in centro. Avevo visibilità a Pozzuoli perché facevo mostre di Anselmo, Penone, Wolfang Laib, Sol leWitt, eccetera. Questo programma faceva sì che ricevessi un interesse più ampio rispetto alla mia territorialità. Ci sarà sempre una connessione col territorio. L’ultima mostra di Carl Andre, ad esempio, si chiamava ”9X27 Napoli Rectangle”. A Napoli puoi trovare spazi che evocano e gli artisti si lasciano suggestionare; per arrivare da me passi per Piazza del Gesù, Santa Chiara, San Domenico, Cappella San Severo. Qualsiasi artista ha l’occasione di lasciarne traccia nei lavori, questa traccia sarà esplicita o criptica. Non mi piace fare progetti con troppo anticipo, m’interessa avere dei rapporti consolidati con gli artisti e con loro essere un compagno che sostiene una ricerca. > Il tuo vecchio spazio trasuda di storia del contemporaneo. Hai sentito la responsabilità di adoperarti affinché la sede trovasse una vocazione d’uso in questi termini? Per molti che fanno il mio lavoro questo pensiero si accende. Il problema è che operiamo in un territorio con difficoltà molto forti. Non è però uno spazio che ti condiziona. Il vecchio spazio mi faceva pensare al lavoro fatto da Lucio ma “uno spazio è uno spazio”. Quando ho preso sede in Piazza dei Martiri, al di là di voler offrire alla città una consuetudine artistica consolidata, la mia preoccupazione era di fare un lavoro di grande qualità, però era il mio lavoro. La responsabilità che ho sempre avvertito è che la fiammella del contemporaneo rimanesse accesa. Ho cercato di dare il mio contributo, saranno gli altri a stabilire se è stato importante. > Puoi farmi un bilancio del tuo 2012 e un pronostico sul mercato dell’arte nel 2013? A.A.: Il mercato sul piano internazionale non sta subendo grandi contratture ma se l’economia complessiva ha una sofferenza, è chiaro che il mercato dell’arte non ne è escluso. Avere l’IVA al 21% non aiuta il mercato. Complessivamente però, considerata anche la presenza alle ultime fiere, non è un momento facile ma non è nemmeno drammatico. > Sei stato protagonista ad Artissima, a Basilea e a Frize di New York. Che stime ci porti? Ritieni che le fiere in Italia abbiano bisogno di un generale restyling? In Italia ci sono troppe fiere e questo determina una frammentazione. Il nostro paese non riesce a reggere quest’offerta. Spesso suggerisco delle joint venture, offro delle idee per cercare di accorparle. Per esempio a New York per anni c’erano due o tre fiere e,

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Liam Gillick, Veduta delle installazioni / Installation view [Courtesy Alfonso Artiaco]

prima che Miami decollasse, c’era ben poco. C’erano Armory e NADA ma erano una vicenda più americana. Frize si candida a essere per New York la fiera leader. Artissima ha risentito della crisi ma ha ricevuto un buon pubblico. Basilea è una fiera fuori conto perché è andata benissimo, qui converge tutto il mondo dell’arte, ha una specificità unica. Miami e Fiac si sono difese. > Come giudichi il lavoro delle giovani gallerie? Che consiglio daresti ai tuoi colleghi neofiti? L’unico consiglio che si può dare è di lavorare immediatamente bene perché la media si sta alzando moltissimo e anche le giovani gallerie riescono subito Sol Lewitt, “Pyramiden”, 1986 [Courtesy Alfonso Artiaco]

ad avere uno sguardo giusto sull’arte. Il consiglio che posso dare, forse ovvio, è quello di lavorare duramente. > Che futuro vedi per il Madre e il Pan? Una valvola di salvezza potrebbe essere l’interazione pubblico-privato? Premesso che non precludo nessuna forma di collaborazione, credo che il pubblico debba fare il suo ruolo e il privato idem. Le forme di collaborazione non possono essere caratterizzanti dell’azione pubblica. Ciò che m’interesserebbe sapere è: qual è la mission dei musei napoletani? In che modo s’inseriscono in un dibattito internazionale? Che cosa riescono a incidere sul tessuto culturale

della città? Il Madre è avviato a una ristrutturazione con la nuova direzione e il Comitato scientifico risponde a criteri di alta qualità. Mi auguro che il nuovo direttore possa essere posto nelle condizioni di fare un buon lavoro. Dal Pan non abbiamo nessuna notizia ma mi ha fatto veramente male vedere fuori il museo le lenzuola scritte con lo spray. Al Pan ho fatto “Dedica”, la mostra per i vent’anni della galleria e si avvertiva una vibrazione bella. Io continuo a pensare che Napoli abbia la possibilità di avere due musei e che la città richieda un occhio attento sui flussi turistici per continuare a dare un’offerta culturale di standard europeo g

Liam Gillick, Adi Dassler [Courtesy Alfonso Artiaco]

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Studio Trisorio, Napoli

Eulalia Valldosera 'arte è una sorta di pensiero relazioL nale, che accetta di fare i conti con le ragioni più profonde della soggettività

e nello stesso tempo si pone il problema di mettere a punto strutture di comunicazione intersoggettive”(F. Menna). Il processo di costruzione artistica sottintende, secondo quanto affermava il critico salernitano, una pratica di relazioni che pone in comunione soggettività ed intersoggettività; una ricerca senz’altro espressiva, ma al contempo comunicativa e collettiva, capace di sollecitare “questioni”, come, nel viaggio proposto da Eulalia Valldosera, negli spazi espositivi della Galleria Trisorio. Il lavoro, sviluppato su differenti registri cognitivi si presenta, alla coscienza dello spettatore, come una interrogazione/ cronaca, ironico e affettuosa, ma pungente ed attuale della famiglia: indagata quale sistema relazionale, oggi compromesso ed in crisi. Nelle installazioni Mother & Father e Do ut des, attraverso differenti modalità linguistiche - video, tracce sonore, proiezioni luminose, assemblage di oggetti, nonché ragionatissime e articolate combinazioni di specchi e corpi rifrangenti, sapientemente posizionati negli ambienti della galleria -, figure/ombre si manifestano nella gestualità propria di un rituale primigenio - di odio e amore - , rinviando silenziose alle conflittualità tra sistema maschile e femminile, nonché ai processi di sovrascrittura dell'odierno “lessico familia-

Eulalia Valldosera, veduta Installazione / installation view We are One Body, 2012

re”. La famiglia non è più nucleo primordiale fondante il sistema sociale, ma il riflesso di una collettività che per ritrovare se stessa, inventa - e si reinventa - generando nuovi topoi, altre scatole per la classificazione: tassonomie antropologiche (sottofamiglie, famiglie allargate, mononucleari, etero ed omosessuali). Specchi, armadietti, bottiglie, libri, asciugamani, contenitori di plastica, ed altro ancora sono le tracce del vissuto, le reliquie del quotidiano, attraverso le quali l'artista crea nelle proprie installazioni uno “spazio animato” - una cartografia del sentire - in cui è inserito lo spettatore, inscritto inconsapevolmente nell'esperienza del gioco. Attraverso il ri-uso di oggetti di consumo, la Valldosera propone – decodificata in un alfabeto simbolico, accessibile e

coerente - la propria personale ricerca in cui, la materia/corpo diviene «entità, parte inscindibile dal pensiero», lente focale con la quale indagare atteggiamenti mentali/comportamentali e gli archetipi sociologici del femminile. Tutto concorre alla creazione di una sorta di macchina psico-teatrale, in cui ha luogo il dramma dell'essere e dell'esistere: «l'intenzione» - dichiara l'artista - «non è quella di creare un oggetto da osservare, ma coinvolgere il pubblico in un'azione che può essere ricordata […] l'artista è un produttore di significati […] le opere sono processi e gli oggetti sono sfide a questa pratica». L'oggetto perde forma e consistenza, ed è la “memoria corporale”, l'ombra, il più delle volte, ad “agire”. Atteggiamento, modalità di giudizio e possibilità risolutive differenti, sono

Ram, Terme di Caracalla, Roma

Michelangelo Pistoletto

n piccolo gruppo di gallerie di Roma U ha un’attività lunghissima. Legate alla tradizione del nuovo, si pongono in un

solco che da sempre privilegia la ricerca, e continuano senza timidezza nella proposizione di un’arte di frontiera da oltre trenta anni. Di queste fa parte RAM di Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier, che nelle sue infinite metamorfosi e ramificazioni da sempre porta grande arte nella capitale. Benvenuta dunque l’idea di mettere mano al magazzino, per mostrare opere ai più sconosciute, e confrontarle con la produzione odierna. Probabilmente è in una contraddizione che si è sempre iscritta l’arte di Pistoletto. Da una parte c’erano le opere realizzate già negli anni ’80 con gli specchi, dall’altra c’erano questi volumi che RAM ri-espone. Da una parte la materia, dall’altra i riflessi, che sono uno dei migliori esempi di dematerializzazione nell’arte, al contrario i “grumi” esposti da RAM più concreti non potrebbero essere. Non solo invadono lo spazio della galleria, ma sono posti in una posizione disagiata, come se potessero cadere addosso allo spettatore. La sensazione di ingombro è dunque aumentata dall’incombenza di volumi che sono montati come le pietre di Stonehenge o gli ziggurat aztechi, con un percepibile primitivismo, nel quale si legge con chiarezza la sensazione di desolazione pubblica e privata (sono infatti intitolati Arte dello squallore) degli anni ‘80. Quindi un momento di denuncia vissuto dall’interno, Michelangelo Pistoletto, Volume diagonale policromo, 1985/86 [poliuretano espanso cm 300 x 210 x 75] Courtesy: RAM radioartemobile - Crediti Foto: Yamina Tavani

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Eulalia Valldosera, vedute Installazione s We are One World, 2012 ▼ Padre y madre © Valldosera and Carroll Fletcher

quelle espresse dalla catalana, nel ciclo fotografico Family Ties, in cui gruppi di persone, protagonisti di due diverse tipologie di famiglia (convenzionale e non) si fondono - abbracciandosi e respingendosi - in inquadrature di impianto classico, dalla latente narratività e «mettendo in atto ciò che si presenta come uno psicodramma terapeutico» (Tom Morton), che echeggia il metodo curativo delle Costellazioni Familiari di Bert Hellinger. Denuncia sociale e possibilità di riscatto sono le dinamiche che sottintendono invece We Are One Body, opera dalla quale trae il titolo la mostra. L'installazione è strutturata in due otri “narranti” - usate un tempo per far fermentare il vino, che richiamano alla mente, data la veste grafica con la quale sono presentate la pittura vascolare greca -, sulle quali si alternano sequenze di immagini e messaggi dialettici in contrapposizione tra di loro, come in una sorta di erma bifronte antelitteram. Sul ventre panciuto del vaso di destra, sono proiettate scene delle manifestazioni/guerriglie urbane greche verificatesi pochi mesi fa; immagini/citazione, eco, di un sistema che è la crisi. Sull'altra otre, posizionata a sinistra dello spettatore, una epifania di figure geometriche astratte -proiezioni a soffitto di immagini che generano multipli, alludendo all'interconnessione delle cose, al cubo di Metatron, all’albero della vita cabalistico - che guidano alla trascendenza, si alterna ed è accompagnata dall'audio della ipnotista Dolores Cannon che con tono dolce e pacato invita a riflettere sulla possibilità di processo evolutivo ed utopistico che l'uomo può ancora avviare. Raffaela Barbato

Michelangelo Pistoletto, Il Terzo Paradiso, 2012 [Terme di Caracalla, Roma - Courtesy: Cittadellarte - Crediti Foto: Pierluigi Di Pietro]

dove l’espressione del dissenso si avverte nel silenzio assordante e assorbente generato da questi volumi. Nell’opera contemporanea i frammenti di rovine utilizzati nelle Terme di Caracalla danno forse la migliore esemplificazione dei concetti che stanno dietro l’idea di Terzo Paradiso. Questi frammenti hanno migliaia di anni, e sono montati in un triplice cerchio per ricordarci ancora una

volta che il tempo è dato solamente umano. L’universo invece è legato a un ciclo di morte e rinascita, nel quale tutti noi non siamo altro che episodi di una serie che non avrà mai fine. La spirale della vita, e tutta la sua simbolica che va dal DNA ai serpenti intrecciati che si trovano nel caduceo, simbolo anche odierno della medicina, non può essere interrotta, anzi deve essere continuata aggiungendo altri cerchi. Questi

frammenti immettono nell’opera di Pistoletto un tempo straordinariamente antico, e la de-contestualizzano dal punto di vista storico, come è già avvenne nell’Etrusco e nella recente Venere degli stracci. Si legge dunque un’ulteriore applicazione di questo simbolo, mentre la compresenza di arcaico e attuale ancora aumenta il suo fascino. Paolo Aita GEN/FEB 2013 | 243 segno - 47

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Galleria Paola Verrengia, Salerno

Fluxus & Fluxus 1962-2012 circa sei mesi dall’apertura della A mostra Fluxus. A Creative Revoution, curata da Antonio d’Avossa e Nicoletta

Ossanna Cavadini presso il m.a.x. museo di Chiasso in occasione del cinquantenario della nascita di Fluxus, d’Avossa torna a rivisitare tale movimento per la galleria di Paola Verrengia, concependo un nuovo progetto espositivo fondato su di una selezione di opere uniche e multipli degli esponenti più rappresentativi della sua parabola - Ay-O, Eric Andersen, George Brecht, Giuseppe Chiari, Philip Corner, Robert Filliou, Henry Flynt, Al Hansen, Geoffrey Hendricks, Dick Higgins, Joe Jones, Alison Knowles, George Maciunas, Jackson Maclow, Larry Miller, Charlotte Moormann, Yoko Ono, Nam June Paik, Ben Patterson, Takako Saito, Serge III, Bob Watts, Emmet Williams, Ben Vautrier, Wolf Vostell – e sulla proiezione di Fluxfilm Anthology, assemblata dal leader indiscusso della formazione, l’artista, architetto e grafico lituano-americano George Maciunas, fin dagli anni sessanta. Sorta di traduzione dal medium grafico della struttura adottata della precedente An Anthology e composta di 37 cortometraggi, per una durata totale di oltre due ore, appartenenti a numerosi artisti fluxus, essa mette in discussione tanto la concezione rigidamente autoriale del cinema, mostrando, come rileva il curatore della mostra, che in definitiva «anche il cinema può essere fatto da tutti e che in questo modo esso sarà per tutti», quanto la sua dimensione spazio-temporale, sottoponendola «alle più elementari e alle più concettuali delle prove», così da poter sostenere che «anche il cinema dopo Fluxfilm Anthology non sarà più lo stesso». Fluxus rappresenta forse, fin dalla scelta del nome – scaturito, come racconta lo Frac Baronissi, Galleria dei Frati

Michele Peri

isale al 1982 l’ultima mostra di R Michele Peri realizzata in Campania e che ebbe luogo presso la Galleria

San Carlo di Napoli. Oggi, trascorsi circa trent’anni, l’artista ritorna con una grande personale che, allestita al Frac di Baronissi, ripercorre gli ultimi vent’anni della sua attività, comprese alcune installazioni appositamente realizzate per questa occasione. Da Semplificazione dei segni, Impedimenti, Emergenze circolari, opere ancora ascrivibili al tardo informale e che descrivono l’intenso dialogo tra forma e colore avviato da Peri già sul finire degli anni Ottanta si passa a Spirali n°2 Ferro, Forme geometriche A in luce, Cubi. Lavori questi ultimi di taglio marcatamente minimalista e geometrico attraverso i quali l’artista avvia un processo di frantumazione delle masse scultoree – così come osserva Pasquale Ruocco curatore della rassegna – spostandosi sempre più verso il campo dell’installazione e dove definisce con maggiore intensità la propensione alla sperimentazione di materiali industriali e di innovazione tecnologica. Dal suo quotidiano sperimentare vengono alla luce sculture fatte di ferro, resina, rame, plexiglass, vetro, specchi, luce artificiale che si sposano a materie prelevate dal mondo della natura: legno, terra,

Allestimenti mostra Fluxus & Fluxus 1962-2012 alla Galleria Paola Verrengia, Salerno

stesso Maciunas, «ficcando un coltello in un dizionario», operazione tipicamente dadaista non solo nell’evocazione del caso, ma, più nello specifico, in quanto assolutamente analoga a quella che, secondo la leggenda, avrebbe condotto alla scelta dell’appellativo “Dada”, eppure anche leggibile, secondo quanto si evince dal primo Manifesto del febbraio 1963, «in termini corporali esplicitamente ai processi medici di evacuazione catartica, escrementizia, oltre che ai processi scientifici di trasformazione molecolare e fusione chimica», con l’allusione ad una funzione purgante nei confronti dell’arte e del mondo, oltre che naturalmente al carattere assolutamente fluido, transeunte, continuo, al pari della vita quotidiana, della sua prassi –, il movimento che più compiutamente nel secondo dopoguerra riprenda le motivazioni e le attitudini di Dada come superamento dell’arte nella vita, fedele alla celebre affermazione – che d’Avossa non a caso pone ad apertura del suo saggio nel catalogo della mostra di Chiasso - del poeta rumeno e fondatore di Dada a Zurigo Tristan Tzara, per il quale «L’arte non è la alabastro volturnense, marmo e acqua. Una combinazione di elementi che è sinonimo di un poetico dialogo tra l’uomo e l’ambiente; tra il proprio presente e il patrimonio arcaico della sua terra d’origine. Le sculture di Michele Peri sono la trasposizione visiva e concreta di un colloquio interiore fatto di sussurri e parole velate e che nella dimensione dello spazio in cui sono accolte, diventano il corpo di una ricostruzione narrativamente fantastica del reale. Le forme diventano sogni, sicché intorno alle sue sculture si respira un’aurea di spiritualità difficile da negare. Magica e suggestiva è l’opera Gocce che come pendoli di orologi oscillano dalle volte del della galleria Frac e nel loro muoversi paiono eseguire una delicata melodia capace di toccare le corde del cuore. In questo luogo, il convento dei Frati, che invita alla meditazione, le gocce cantano il suono del silenzio e l’atmosfera si carica di un profondo senso di tranquillità e pace. Si specchiano in acqua colorata queste gocce. Acqua che entra come elemento dirompente nel suo repertorio di Peri, affiancando a questa opere come La sorgente e Salto uno, due e tre. L’acqua come elemento immateriale, privo di forma propria, trattiene in sé plasticità ed energia. In La sorgente e Salto uno, due e tre, che simula l’idea di una cascata, l’acqua si trova ad attraversare più superfici, sconfina dal suo percorso e assorbe altre energie: quella del vetro e

più preziosa manifestazione della vita. L’arte non ha il valore celestiale e universale che alla gente piace attribuirle. La vita è di gran lunga più interessante» – su questo piano probabilmente Fluxus è raggiunto soltanto dall’Internazionale Situazionista, che peraltro opera con modalità ed esiti infine anche molto differenti -, nonché la sua formidabile contaminazione tra i differenti linguaggi artistici fino alla dissoluzione dei confini, per cui sarebbe fuorviante, ad esempio, considerare in maniera distinta un Fluxus musicale da un Fluxus afferente le arti visive, così come non funzionerebbe suddividere Dada nelle categorie di poesia, teatro… La genealogia di Fluxus risulterebbe però inevitabilmente monca se accanto a Dada non si menzionasse il riferimento più specifico a Marcel Duchamp, in parte mediato dal musicista John Cage, le cui lezioni presso la New School of Social Research di New York sono seguite tra il 1957 ed il 1959 da molti di coloro che di li a poco entreranno nel giro di Fluxus – Brecht, Mac Low, Hansen, Higgins -, che trasmette loro una lettura ove del discorso dell’inventore

Michele Peri, Riflesso 2012 [installation view]

dell’acciaio, ma soprattutto quella di chi osserva, sprigionando tutta la sua essenza nella straordinaria contrapposizione tra forza e leggerezza. Chiude la mostra Vele, opera di straordinaria bellezza portatrice di tali energie contrastanti. Svettano fiere le vele d’acciaio su lunghissime aste ancorate a basi di alabastro, pronte, come sembrano, a navigare nell’intenso blu del cielo. Un coinvolgente abbraccio tra la superfice specchiante dell’acciaio e i raggi del sole, smuove l’immaginario verso il potenziale materializzarsi di quell’ abbaglio di luce che si fa metafora di speranza verso l’ignoto, cammino che attende il futuro. È quello di Peri un percorso intenso e ricco di emozione, che racconta tutta la forza e la visionarietà di un significativo interprete della scultura contemporanea. Maria Letizia Paiato

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

del ready-made sono marcate in primis le implicazioni aleatorie ed alogiche, e soprattutto – e qui appare più prepotentemente che mai la personalità di Maciunas, con la sua peculiare teoria estetico-politica – agli esiti più radicali dell’avanguardia sovietica,

quelli del gruppo Lef (Fronte di Sinistra delle Arti) e dei produttivisti – le cui vicende sono a quel tempo pressoché ignote tanto in Europa, quanto in America – in un ardito quanto interessantissimo ed in definitiva tutt’altro che peregrino tentativo di fusione

col Dada. «Se il Produttivismo», osserva Benjamin Buchloh, «aveva insistito sulla necessità di rispondere ai bisogni delle masse proletarie postrivoluzionarie sostituendo l’autoriflessione estetica con la produzione utilitaria e cambiando la forma di distribuzione elitaria dei testi e oggetti culturali, dall’altra parte Dada aveva tentato di contrapporre polemicamente forme popolari di mostre e spettacoli, ispirate alla cultura di massa, all’istituzionalizzazione dell’arte e alla sua separazione dalla sfera della vita quotidiana». L’impronta delle avanguardie sovietiche – anche se non solo di esse - va ad esempio ricercata nella vasta produzione di scatole, libri gadget e multipli venduti sottocosto presso il Fluxshop, a proposito del quale non di meno Maciunas, con spiccata autoironia dadaista, riconosce che durante l’intero anno dell’operazione non viene venduto un solo oggetto. Riflettendo a distanza di mezzo secolo, infine, appare quasi d’obbligo affiancare alla questione dei presupposti del movimento, quella della sua successione e della sua eredità. In merito d’Avossa si pronuncia in maniera molto netta, persuaso che «Fluxus che è stato influenzato da tante esperienze passate ha finito nel suo procedere per influenzare praticamente tutto ciò che è accaduto in questi ultimi cinquant’anni», pensando presumibilmente tanto all’arte concettuale quanto alla performance; tanto alla critica istituzionale quanto alla body art… Col notevole incremento, a partire dagli anni novanta, delle pratiche generalmente definite relazionali e partecipative, il movimento risulta inoltre costantemente annoverato tra precursori di esse, eppure, avendo in mente l’arguta similitudine di Vautier, per il quale «se Fluxus fosse una pianta grassa sarebbe un cactus nel culo dell’arte che si crede bella», pare sia proprio tale concreta irriverenza a risultare deficitaria in gran parte di queste recenti pratiche, malgrado la loro struttura aperta o almeno formalmente tale. Stefano Taccone

Ara Pacis, Roma

invita a sensazioni di ordine metafisico. Una volta che abbiamo conquistato il suo accostamento, scopriamo che è incavata, quindi questo volume sembra cedere verso il suo interno. Questa cavità è situata al livello del terreno, così sembra configurarsi come l’ingresso a una tana, come spesso se ne trovano passeggiando nei boschi. Quindi da una percezione approfondita di questa opera, si scopre che la purezza di linee enunciata dalla leggibilità del suo contorno, è contraddetta da una catastrofica crepa, una dolorosa mancanza, un venir meno, che sembra minare l’attendibilità di questo purissimo volume. Pare insomma che la purezza minimalista sia contraddetta da un’immissione naturalistica

del tutto particolare, che in modo inedito consente anche una lettura metaforica di questa opera. Voglio scorgervi anche un segno autobiografico, così ricordo che Roberto Pietrosanti è nato a L’Aquila, quindi il ricordo del recente terremoto ha lasciato un segno che forse questa opera raccoglie. L’opera è destinata al Parco Nomade di Volume!, attraverso un’operazione coordinata da Achille Bonito Oliva. Ci si augura che una differente collocazione non snaturi o indebolisca la percezione profonda e complessa che emana dall’opera, che in questa collocazione genera una suggestione certamente significativa per ogni spettatore. Paolo Aita

Allestimenti mostra Fluxus & Fluxus 1962-2012 alla Galleria Paola Verrengia, Salerno

Roberto Pietrosanti n volume puro, che più puro non si può U essendo un cubo, un colore assoluto, che più assoluto non si può, perché è un

bellissimo nero ottenuto dalla grafite, sono le armi utilizzate da Roberto Pietrosanti per intrattenere un dialogo con le forme mirabili dell’Ara Pacis. Queste si possono considerare perfette, infatti sono sopravvissute a critiche più che millenarie, che hanno verificato la loro tenuta estetica. Un confronto con queste forme avrebbe intimidito più di un esponente della scena artistica contemporanea, al contrario è diventata un incentivo, infatti l’artista ha riservato studi pluriennali a questo sito. Roberto Pietrosanti sceglie l’arma del riserbo. Invece di rivolgere l’attenzione al dialogo con la città e le sue attività, che circondano con vitalità e fragore l’Ara Pacis, fa un’operazione di segno inverso, e sembra sottrarre la sua scultura, farla rientrare attraverso una suggerita concavità a un mondo tutto interiore, un mondo di silenzio, che stride fortemente con ciò che è attorno. In realtà, come avviene con tutte le opere di ispirazione minimalista, occorre rivolgersi più al loro non-detto, che all’esibizione estroversa di questo volume, che dichiara con chiara leggibilità il suo essere al mondo. L’opera di Roberto Pietrosanti è collocata in una posizione di vertice, perciò, dovendo arrivarvi attraverso un percorso di tipo ascensionale,

Roberto Pietrosanti, installation view / veduta dell’installazione all’Ara Pacis, Roma

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Marche Centro d’Arte

Pixel. La nuova generazione della videoarte italiana a presenza di una rassegna video a L Marche Centro d’ Arte rappresenta la grande attenzione di questo proget-

to alle varie forme d’espressione della scena artistica contemporanea. Oggi, quando si parla di arte, non si può essere indifferenti all’uso, per niente passivo, che sempre più giovani artisti fanno del mezzo tecnologico con precise finalità comunicative. PIXEL – La nuova generazione della videoarte italinana, la quarta sezione di Marche Centro d’Arte curata da Giovanni Viceconte e inaugurata il 15 giugno all’interno della Sala Auditorium del Palariviera di San Benedetto del Tronto, ha selezionato diciotto video artisti tra i più interessanti nel panorama contemporaneo, che rappresentano diciotto realtà diverse: Rebecca Agnes, Filippo Berta, Silvia Camporesi, Diego Cibelli, Tiziana Contino, Daniela De Paulis, Armando Fanelli, Alessandro Fonte, Antonio Guiotto, Luca Matti, Matteo Mezzadri, Sabrina Muzi, Laurina Paperina, Maria Pecchioli, Christian Rainer, Cosimo Terlizzi, Devis Venturelli, Diego Zuelli. Alcuni dei video in rassegna sono stati selezionati dal curatore dall’archivio arthub.it e il video di Silvia Camporesi e quello di Sabrina Muzi fanno parte di VisualContainer – Italian Videoart Distributor, Milano. La rassegna ha voluto mostrare, senza fissare alcun tema, la tendenza di questo nuovo linguaggio artistico che documenta e critica l’instabilità e le incertezze del mondo contemporaneo: una frase abusata come M’Ama / Non M’Ama diventa, nel video di Filippo Berta, il simbolo di un dubbio irrisolto che contrasta con la volontà di mettere ordine tra gli scaffali dei libri; il manico di una pala è, in La nostra alba di Alessandro Fonte, l’unico appoggio di una generazione che ha difficoltà ad autosostenersi e perde la sua funzione originaria. Nella videoarte performance, multimedialità e linguaggio cinematografico si fondono per catturare un pubblico oggi abituato ad essere bombardato da immagini, ma forse poco a riflettervi. Milena Becci

Antonio Guiotto [Pixel, MCDA]

Alessandro Fonte [Pixel, MCDA]

Armando Fanelli [Pixel, MCDA]

Christian Rainer [Pixel, MCDA]

Daniela De Paulis [Pixel, MCDA] Cosimo Terlizzi [Pixel, MCDA]

Devis Venturelli [Pixel, MCDA]

Sabrina Muzi [Pixel, MCDA]

Diego Cibelli [Pixel, MCDA]

Silvia Camporesi [Pixel, MCDA]

Rebecca Agnes [Pixel, MCDA] Filippo Berta [Pixel, MCDA]

Luca Matti [Pixel, MCDA] Matteo Mezzadri [Pixel, MCDA] Diego Zuelli [Pixel, MCDA] Tiziana Contino [Pixel, MCDA]

Maria Pecchioli [Pixel, MCDA]

Laurina Paperina [Pixel, MCDA]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Galleria Cart, Monza

Francesco Fossati

li oltre cinquanta lavori esposti sinG tetizzano gli ultimi tre anni della ricerca del giovane artista che spazia dalla

scultura, alla pittura, alla fotografia. Se la serie fotografica "Late Again" ripropone l'immagine di coppe sportive amatoriali rigorosamente riprese dal retro e quindi anonime poichè prive dell'etichetta che rammenta l'occasione dell'evento celebrato, gli oli su carta riportati su tavola, raffiguranti con monocrome tonalità le abitazioni alternative edificate sugli alberi dagli hippy alla fine degli anni '60 negli USA,immersi in larghe bande verticali del medesimo colore della tavola stessa, che pressochè si confondono e si annullano, richiamano quasi una pittura di paesaggio, le piccole sculture in terracotta costituiscono il risultato dell'ultimo periodo del lavoro dell'artista. Eseguite amalgamando e cuocendo impasti dif-

Francesco Fossati, Late Again 2009-2012 [56 Lambda Prints on Dibond, 70 x 100 cm each]

ferenti di crete, al contatto del calore la materia si trasforma e trascolora con effetti non previsti e incontrollabili, creando una difformità di pigmentazione, unica per ogni elemento; sculture, spaccate a mano, incise con tagli e fenditure, lega-

Adrian Paci, 700 strette di mano a, 2011 [performance Scicli, Ragusa]

Comune di Cosenza

VIVA Performance Lab tto artisti internazionali e otto O artisti under 35 partecipano al festival ospitato dal Comune di Cosen-

za, per un progetto del MAXXI di Roma e dell’Università della Calabria con l’Unione Europea, a cura di Tania Bruguera e Cristiana Perrella. Dedicato ai linguaggi dell’azione, dell’happening,

Tania Bruguera, Burden Of Guilt, 1997 [performance Biennal de La Habana]

te ai presupposti della pittura, a seguito dell'azione di fusione a forno. Completa l'esposizione un bel catalogo illustrato, accompagnato dagli scritti di alcuni giovani critici emergenti. Lucia Nica

Yoshua Okón, Octopus, 2011 [video still - total running time: 18:31 min. loop.]

del comportamento, il VIVA Perfomance Lab si propone come promettente appuntamento annuale per presentare il meglio dell’arte realizzata - in giro per il mondo - con i linguaggi performativi. La nota artista cubana Tania Bruguera, tra gli esponenti internazionali protagonisti del festival, ha guidato insieme a Cristiana Perrella il workshop per i giovani artisti: Diego Cibelli, MaraM, entrambi di Napoli, Alessandro Fonte e Shawnette Poe, Luca Pucci, il cuneese Franco Ariaudo, Ioana Paun, il romano Leonardo Zaccone, e le promettenti Calori & Maillard (Letizia Calori e Violette Maillard). La stessa Bruguera ha partecipato al VIVA con un’operazione di denuncia politica e di slittamento socio-geografico che ha assunto una veste effimera legata alla comunicazione mediale della carta stampata (il quotidiano cosentino “Calabria Ora”, mutato nel suo originario assetto grazie all’inserimento della pagina “Colombia Ora”, con notizie di cronaca nera del paese sudamericano). Adrian Paci con una performance collettiva ha creato un unico quadro vivente; invitando gli abitanti del centro storico cosentino ad inserirsi con la propria sedia in un circolo silenzioso nella piazza del mercato cittadino ha proposto una riflessione sull’identità condivisa e sulle comuni radici della memoria. Ancora una situazione paradossale per Cesare Pietroiusti la cui azione performativa è stata “Money Watching”; il microevento ha richiesto la partecipazione attiva del pubblico,

invitato, in turni prefissati, ad osservare a lungo una banconota (corrispondente al compenso-orario erogato dall’artista ad un “osservatore-beneficiario” per un x-tempo di attività percettiva). Ha giocato con le categorie ludiche del grottesco Yoshua Okón, che ha ideato un’azione organizzata con degli animali (maiali portati in giro fuori e dentro le mura della città) e dedicata agli intrecci naturale/artificiale, addomesticato/ selvaggio. Dall’ironia alla magia: una narrazione poetica è quella focalizzata (in un grande ambiente completamente oscurato) da Francesca Grilli che nella propria performance ha costruito liriche relazioni tra il canto struggente della voce femminile e il volo controllato di due falconi. Tematiche sociali nelle proposte di Güell, di López e di Cuevas: lavorando sulle problematiche del diritto alla casa, Núria Güell ha presentato una performance dove alcune tattiche di disturbo agiscono tramite la delocalizzazione e la ricollocazione delle porte di accesso ad appartamenti forzatamente sgomberati; il guatemalteco Aníbal López ha gestito il sovvertimento dei codici di comunicazione nello spazio cittadino facendo attivare alcuni antifurti automobilistici; invece, Minerva Cuevas ha messo in atto la propria guerriglia comunicativa affidando ad un agente finanziario (collocato con un banchetto all’uscita di un centro commerciale) una azione informativa/ promozionale legata all’economia cosentina. Maria Vinella GEN/FEB 2013 | 243 segno - 51

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Emmeotto Arte, Roma

MARCA, Catanzaro

Vincenzo Marsiglia

Angelo Savelli

di Catanzaro dedica ad AnIchelgeloMARCA Savelli una grande retrospettiva parte dalle origini pittoriche del

maestro del bianco, dalle sue relazioni amicali - e dalle relative influenze artistiche - sino ai lavori che gli hanno permesso, e a ragione, di essere invitato alla Biennale di Venezia del 1964, quando vinse il Gran Premio per la Grafica. Lucio Fontana, Afro, Renato Guttuso, Pietro Dorazio, Salvatore Scarpitta, Mimmo Rotella, tutti amici e compagni di strada che hanno vissuto il fermento artistico del secondo dopoguerra, che hanno segnato la storia dell’arte, ma che soprattutto hanno sostenuto il fare di Savelli. A loro è dedicata la sezione della mostra “Savelli&friends”, che oltre a mostrare una vicinanza nel sentire artistico, tocca il pubblico, narrando una serie di vicende personali, come la cartolina indirizzata al maestro calabrese e spedita da Dorazio. Merita particolare attenzione la sezione che ospita i lavori degli anni SessantaOttanta, in cui il bianco si fa padrone, elemento predominante, che da solo regge una poetica intera. Un bianco che indaga lo spazio, che racconta l’infinito, a livello inconscio e che “comunica con il subcosciente”. Libero dal vincolo di ogni relazione - dal soggetto e dal tema - il bianco di Savelli si fa forza ed energia, che sollevano spiritualmente l’artista e il fruitore. Ma il bianco puro si fa via via crepa nella superficie, segno, forma (geometrica), sino ad interfacciarsi con le corde, ricordo marinaresco dell’infanzia di Savelli. «Ma se inconsapevolmente mi sono riferito al ricordo, la mia intenzione, nell'inserire le corde nello spazio compositivo - dichiara Savelli in un’intervista del 1989, pubblicata su “L’Arca” - è stata quella di accompagnare l'occhio, in ritmo ellittico, dalla base all'alto dell'opera e viceversa. Coinvolgendo in questo moto anche le campiture poste alla destra e alla sinistra, questa linea tracciata dalla corda costituisce un accento dello spazio dividendolo e unendolo nello stesso tempo». La corda e il bianco creano così il movimento, creano lo spazio, sulla superficie spaziale stessa, giacché proprio nei contorni delle cose - e nel toccare visivo - si annidano le relazioni più profonde. Simona Caramia Museo di Castel Sant’Elmo, Napoli

Errico Ruotolo

intetizzare in poche righe l’attività S di un artista che abbraccia almeno mezzo secolo è impresa sempre e co-

munque non facile, ma nel caso di Errico Ruotolo (Napoli 1939-2008), complice anche la sua precoce scelta di scindere sostanzialmente la sua sussistenza dalla pratica artistica, fondando la prima sulla sicurezza dell’insegnamento e potendo così evitare di associare la seconda alla componente mercantile - opzione dunque, si badi bene, sempre dettata dal desiderio di creare liberamente, senza alcun condizionamento che non afferisse alla propria volontà poetica, mentre si fraintenderebbe se si pensasse ad un rifiuto della mercificazione dell’oggetto, che invece coinvolge tanti altri suoi più o meno coetanei a Napoli ed a livello internazionale tra gli anni sessanta e settanta –, essa appare ulteriormente complicata dal carattere estremamente mutevole,

a mostra Experience di Vincenzo MarL siglia dà modo di apprezzare i progressi di questo giovane artista, dopo l’individua-

Errico Ruotolo, Un brutto sogno, 2000 [materiali diversi cm240x240] Courtesy collezione Fondazione Morra

costellato da continui abbandoni e ritorni, del suo percorso. Allievo presso l’Accademia di Napoli del pittore neorealista Armando De Stefano, ma anche del pittore astratto-concreto Giudo Tatafiore, nel corso degli anni sessanta e settanta Ruotolo consolida la sua formazione in virtù di frequenti e prolungati soggiorni in Europa – Parigi, Monaco, Amsterdam -, guardando indubbiamente innanzi tutto ai grandi maestri della pittura degli ultimi decenni dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento piuttosto che alle ricerche che si svolgono in quel momento - tanto che egli stesso, qualche anno prima di morire, si inscrive «tra “realismo courbettiano” e “costruttivismo cenzanniano” intervallati dall’amore che ho per Picasso» -, ma senza lasciarsi sfuggire un evento epocale come la leggendaria Documenta V di Kassel del 1972 – quella curata da Harald Szeemann -, alla quale Ruotolo presenzia durante i giorni più caldi, visitando la mostra e anche cogliendo l’occasione di confrontarsi con alcuni degli artisti ivi presenti. Da tali esperienze deriva il suo disinvolto passare da una pittura assolutamente gestuale e non oggettiva ad una pittura neofigurativa e persino talvolta tendente alla narrazione, il suo restare sempre e comunque pittore, ma anche il suo frequente eccedere il limiti tradizionali del piano pittorico aggredendo lo spazio tramite l’inserimento di oggetti ready-made – senza dimenticare le esperienze di sconfinamento nello spazio della vita con la Galleria Inesistente e con l’A/Social Group”. Negli uni e negli altri casi, sia pure in diverse forme e misure, rimane però senz’altro operante la sua risaputa istanza etico-politica, da leggersi in rapporto al quartiere operaio di San Giovanni a Teduccio, dove era nato e viveva, e con l’intenso impegno politico nelle file del P.C.I., che per alcuni anni sottrasse non poche energie alla sua occupazione più amata. A circa cinque anni di distanza dalla prima retrospettiva che a Ruotolo sia mai stata dedicata, quella del Frac di Baronissi a cura di Massimo Bignardi inaugurata peraltro poche settimane prima della sua scomparsa – un’istituzione napoletana decide finalmente di tributargli una mostra che ripercorra con ampio respiro la sua produzione. Curata da Giuseppe Morra, direttore della fondazione che più di ogni altro ente lo ha sostenuto negli ultimi anni di vita, e Gabriele Frasca, l’amico poeta che più volte, negli ultimi tempi, si è cimentato nell’analisi del suo lavoro, Errico Ruotolo. Opere dal 1961 al 2007 è stata realizzata dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico, Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Napoli e dalla Fondazione Morra, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli e la Fondazione Premio Napoli. Stefano Taccone

zione della sua “unità minima significante”, una stella a quattro punte realizzata partendo ovviamente da molteplici istanze. Infatti da una parte c’è una stilizzazione grafica veramente efficace, dall’altra è inevitabile il recupero delle implicazioni culturali di questo simbolo, che dall’alba dei tempi indica elevazione, bellezza, accordo col proprio destino. Vincenzo Marsiglia realizzava le sue opere precedenti in modo piuttosto lineare, componendo dei reticoli più o meno estesi, più o meno desiderosi diventare ambiente. Si avvertiva che l’opera era una selezione da composizioni idealmente molto più ampie, un frammento che il nostro occhio e la nostra mente potevano interpretare a modo loro, comprimendolo o espandendolo a volontà. Questo percorso di base negli anni è molto cresciuto, e in questa esposizione è stato allargato in modo considerevole e decisamente interessante. La stella a quattro punte ha invaso gli ambienti e gli oggetti, non accontentandosi più di essere collocata solamente sulla superficie dell’opera. Si può notare quindi un allargamento applicativo di questo segno/simbolo, che, occorre ammettere, sorprende. Nell’esposizione romana ci sono tre applicazioni differenti, ognuna destinata a proporsi in modo autonomo e decisamente riuscito. Nella prima sala la stella viene adagiata su oggetti e ambienti. In questo modo il simbolo esce dal quadro, e invade gli spazi in cui abitiamo. Nella seconda diventa segno tra segni, per cui scivola all’interno di scene bucoliche o resti di architetture classiche nelle riposanti ceramiche della tradizione italiana, e sottilmente le sabota, facendole diventare uno strano ibrido tra contemporaneo design e arcadica decorazione. La terza sala ospita le applicazione neo-mediatiche e sonore, infatti è dipinta in nero, un colore utile a valorizzare la dimensione visiva, e rimanda ai luoghi elettronici densamente popolati dai giovani, che in questo occasione hanno modo di interagire con la stella di Marsiglia, e realizzare opere ibride e aperte attraverso gli iPad presenti e utilizzabili. Ci troviamo di fronte a un’evoluzione linguistica di grande vivacità. Se fino a qualche anno fa ci si poteva accontentare semplicemente della progressione e della stilizzazione che portavano alla stella, Vincenzo Marsiglia con questa esposizione sembra affermare che occorre perseguire tutte le implicazioni e le conseguenze di questo percorso, e brucia le tappe che dall’arte portano al design. Occorre dire con un entusiasmo contagioso e una velocità incredibili: questo lo stile delle generazioni più recenti. Paolo Aita Vincenzo Marsiglia Baroque Ambient, 2007-2008 [divano primi Novecento, ceramica con interventi al terzo fuoco e specchio interattivo - cm. 300x300x300] Veduta parziale delle installazioni alla Galleria Emmeotto, Roma

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE COPPIE IN ARTE / 1

Botto & Bruno

’identità e l’alterità, l’accoglienza e L l’ospitalità, la disomogeneità e la marginalità. Attorno a queste figure – a

queste tematiche segnate da forti scosse telluriche – Botto&Bruno (coppia d’artisti formata da Gianfranco Botto e Roberta Bruno) tessono, da tempo, una riflessione serrata che, se da una parte apostrofa sulle degenerazioni di un sistema policentrico che non riesce a prendersi cura della città e dei suoi abitanti, dall’altra attraversa la pelle della realtà per ricostruire un mondo, quello delle periferie più precisamente, in continuo divenire. Abito che abita lo spazio espositivo, la loro opera sfonda la prospettiva dell’architettura e dell’urbanistica per edificare, attraverso la tecnica dell’ostranenie, scenari e atmosfere strappate ai lati invisibili del mondo, con lo scopo di sottrarre il trauma al trauma (la paura alla paura). Di pianificare un lavoro morbido che evita, appunto, l’aggressività e mette in luce un modello in cui l’esistenza si pone come coesistenza, condivisione, coesione. Ad una serie di fattori che condizionano l’attuale panorama culturale – la perdita del centro, lo smarrimento dell’identità e il degrado urbano ne sono alcuni – Botto&Bruno contrappongono, allora, un territorio magico che si riappropria del «mondo della vita e dei mille significati che la riguardano» (Trimarco) per porre l’accento su un tessuto vivo e vitale che trova proprio nella periferia il primum movens della creazione. Grazie ad una continua compressione e dilatazione temporospaziale, i loro lavori propongono un paesaggio apparentemente sovratemporale (un paesaggio costellato da personaggi muti e autistici che «non comunicano attraverso lo sguardo» ma mediante oggetti, scritte, atteggiamenti). Un paesaggio che non solo divide, addiziona, moltiplica o sottrae i frammenti della realtà raccolti personalmente in luoghi e circostanze diverse («l’artista è un modello di antropologo impegnato» ha suggerito Kosuth), ma formulano un piano di lavoro rivolto al presente e alle presenze. Ad un circuito che punge l’attualità in tutti i suoi vari aspetti per sottolineare l’urgenza di essere parte del presente come anelli d’una catena (Montale), come frammenti d’un discorso in continua metamorfosi, come analisti e inviati speciali nella realtà (ABO). All’indifferenza dell’uomo contemporaneo Botto&Bruno oppongono, così, un colpo d’occhio che si fa presa diretta del reale, strappo fulmineo di luoghi ed occasioni del tempo, sipario riflessivo volto a presentare un continente culturologico in cui la storia lascia il posto alle storie e la vita quotidiana si mostra in tutte le sue luminose difformità. Il loro lavoro e i loro progetti, difatti, «como una segunda piel […] demuestra que no todo está perdido» (Cristiana Perrella). Ogni immagine, video o installazione – meravigliosa quella realizzata a Madrid per l’Istituto Italiano di Cultura (2012) –, si mostra come un progetto dolce. Come una poesia che mira ad immergere lo spettatore nei tessuti underground mediante piacevoli shock visivi che trasformano il decentramento in centro, il marginale in imperativo, il secondario in pensiero dominante di un’atmosfera tesa a meravigliare. A trasportare il pubblico tra i dedali di una

▼ s Botto & Bruno, A concrete town is coming, 2006 [veduta

installazione, stampa vutek su carta e pvc calpestabile, fanzine, videoproiezione - courtesy Alfonso Artiaco, Napoli, foto L. Romano]

s Botto & Bruno, Camminando sul fango, 2012 [veduta installazione, wall paper, collage fotografico, graffite su carta, carta plastificata - courtesy Oliva Arauna, Madrid]

▼ Botto & Bruno, Kids town II, 2004 [veduta installazione, stampa vutek su carta e pvc calpestabile] courtesy Alberto Peola, Torino - foto Tommaso Mattina

cultura che si riafferma proprio tramite i comprensori inferiori delle metropoli, luoghi pulsanti di vita in cui il multiculturalismo genera nuovi sensi, nuovi sentimenti, nuovi incontri felici e nuove realtà. Sogno sonico e Sogno di periferia (ambedue del 1996), House where nobody lives (2001), Disappearing city (2004), Walking in the empty spaces (2006). Assieme a lavori video come A concrete town (2006), Kids riot (2006-2007), Waiting for the promise land (2009) e Lenfant sauvage (2012), sono soltanto alcuni dei lavori realizzati negli anni per dislocare – Paysage disloqué (2008) è, tra l’altro il titolo di un

progetto luminoso – spazi, luoghi ed occasioni del tempo, con lo scopo di trovare un riposo, un equilibrio tra i diversi strati della società. Anche la prossima personale, Un jeune homme qui refuse de quitter l’enfance, per gli spazi della parigina Magda Danysz (opening 23 febbraio 2013) segue questi orientamenti. Queste attitudini che ripensano la realtà per stabilire contatti, punti di ritrovo, dialoghi necessari tra l’Innen e l’Aussen, tra gli spazi dell’abitare e un nucleo fragile – irrequieto! – che si chiama vita. Antonello Tolve GEN/FEB 2013 | 243 segno - 53

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Fondazione Mudima Fondazione Stelline, Milano

Maria Cristina Carlini

a mostra “Maria Cristina Carlini. L Opere” curata da Flaminio Gualdoni è un racconto a tutto tondo dell’in-

tenso percorso scultoreo dell’artista. Un’esposizione che coinvolge due importanti sedi di Milano: la Fondazione Mudima che ospita lavori di piccole, medie e grandi dimensioni e la Fondazione Stelline, che accoglie nel Chiostro della Magnolia sculture monolitiche. Maria Cristina Carlini, una delle rare voci femminili nel panorama della scultura monumentale italiana, si esprime attraverso opere realizzate principalmente in grès, acciaio corten, resina e legno, crea sculture parlanti, legate alla terra, alla natura, che esprimono energia, movimento e potenza. Lo si percepisce osservando Soglia (2012), un’imponente ‘porta’ alta 4 metri realizzata in acciaio corten e resina che apre la mostra presso la Fondazione Mudima, o imbattendosi in Bosco (2012), un intricato gruppo di alberi stilizzati, che invitano il visitatore ad addentrarsi nel passaggio interno e a sentirsi proiettati in un’atmosfera invernale. Fortemente evocativa è l’opera Stracci (2006), composta da pesanti elementi in grès con cuciture, appesi ad una struttura in ferro che poggia su un tappeto di terra scura. E ancora incontriamo Muro (2007), una parete con ruvide e imperfette formelle in grès dai toni rugginosi; Alcatraz (2012) un’isola di legni scuri sovrapposti con interventi cromatici e chiodi che si innalza su un mare fatto di granelli di sale; numerosi disegni su carta, bozzetti e opere inedite. Contemporaneamente il Chiostro della Magnolia della Fondazione Stelline ospita tre lavori monumentali dell’artista che ben si prestano ad essere collocati in luoghi aperti. Dal primo sguardo si coglie fra Torre di Babele (realizzata nell’estate 2012 in legno, polistirolo e malta bianca) e Giardino di pietra (del 2008, composta da 11 elementi di acciaio resinati coperti di vernice bianca) un dialogo profondo, suggerito dall’imponenza, dal colore a dalla struttura delle due opere. Questi “giganti bianchi” sono complementari a Genesi (2004) un lavoro composto da quattro tondi in ferro, contenenti acqua, spirali ed elementi in grès, che adagiati sul prato con ad andamento sinuoso esprimono dinamicità e alludono alla ciclicità del tempo, delle stagioni, della trasformazione e del continuo rinnovamento. La scelta delle opere in mostra invita a riflettere sul rapporto fra uomo e materia, sulla capacità dell’artista di far affiorare le caratteristiche del materiale in quanto tale, contraddistinto dalle proprie qualità originarie, recuperando un tempo quasi primitivo. Grazie all’intenso rapporto con la materia, l’artista riesce a plasmarla e a trasformarla in arte. Le sue sculture ricche di simbolismo invadono poeticamente gli ambienti in cui sono inserite, creano nuovi ponti di comunicazione e danno vita a storie sempre attuali. In occasione della mostra viene pubblicato il libro monografico “Maria Cristina Carlini” curato da Flaminio Gualdoni, edito da Mudima, con testi di critici nazionali e internazionali tra cui Luciano Caramel, Gillo Dorfles, Yakouba Konaté e Elena Pontiggia, con immagini delle principali opere dagli anni ‘70 a oggi. (LS)

Maria Cristina Carlini, Giardino di pietra, 2008 [11 elementi, acciaio, resina cm310x600x1600(, particolare] Foto AStudioF

Maria Cristina Carlini, Alcatraz, 2012 [tecnica mista su legno, cm 175x160x120]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Alberto Peola Arte Contemp., Torino

Fotografia contemporanea tedesca. La scuola di Düsseldorf el 1976 l’Accademia di Belle Arti N di Düsseldorf decise di istituire un corso di fotografia, affidandolo a Bernd

Becher, che con la moglie Hilla stava affrontando una sperimentazione vicina all’approccio concettuale e minimalista; insieme avrebbero portato avanti per più di vent’anni un’esperienza di insegnamento fondamentale per la storia della fotografia. Così, a partire dalla riflessione dei Becher su serialità e annullamento del soggetto e dalla loro lezione di neutralità, distacco critico e rigore compositivo, nasceva una nuova fotografia di architettura e di paesaggio, che avrebbe costituito un momento decisivo nel progressivo riconoscimento del medium fotografico come appartenente al campo dell’arte. La galleria Alberto Peola propone fino al 2 febbraio una mostra collettiva che offre un affascinante sguardo d’insieme su alcune delle direzioni esplorate dagli allievi più illustri della Scuola, i quali hanno tracciato nel corso degli anni percorsi di ricerca anche molto divergenti. Facendo propria l’esclusione di ogni traccia di soggettività dalle immagini appresa dalla coppia di maestri, essi hanno di fatto operato scelte autonome

Candida Höfer Kunsthalle Karlsruhe VII 1999 cm.117x117 C-type print ed.6 courtesy A.Peola, To

e innovative per quanto riguarda soggetti, tecniche e punti di vista. Accanto alle famose torri industriali in bianco e nero dei Becher incontriamo dunque gli scorci di strade urbane come riflessione sulla società di Thomas Struth, le grandi stampe a colori di spazi sociali vuoti di Candida Höfer e i notturni verdognoli di Thomas Ruff; le ampie prospettive aeree di Andreas Gursky e quelle, tra documentazione fotografica e rimandi all’arte del passato, di Elger

Esser. Insomma una “classe” di allievi che, declinando in maniera personale l’insegnamento dei Becher e creando un proprio linguaggio iconografico, si sono confrontati in modo diverso con il problema della visione del reale attraverso il mezzo fotografico, giungendo a ottenere riconoscimenti importanti da istituzioni pubbliche e dal mondo del mercato e diventando a loro volta dei maestri. Jacopo Pavesi

Elger Esser “Montlouis, France” 2006 [cm.138,6x183,6 C-type print ed.7 ] courtesy Alberto Peola, Torino - Hilla e Bernd Becher "Water Tower, Toledo, Ohio, USA, 1974" 1992 [cm.92x75 - fotografia b/n ed.5] courtesy Alberto Peola, Torino - Andreas Gursky “Hong Kong, Port” 1994 [cm.155x125 C-type print ed.6] courtesy Alberto Peola, Torino - Candida Höfer "San Augustin Mexico D.F. II" 2005 [cm.92x118 C-type print ed.6] courtesy Alberto Peola, Torino.

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Casino dei Principi, Musei di Villa Torlonia, Roma

Andrea Fogli

mio avviso, prima di altri possibili A punti di riferimento, l’arte di Andrea Fogli si muove su una linea parallela

a quella di due grandi artisti del panorama contemporaneo internazionale: Gino De Dominicis e Vettor Pisani. Ci troviamo, come in loro, dinanzi ad un teatro simbolo della manifestazione, della quale viene sottolineato soprattutto il carattere illusorio. Questo simbolismo può essere considerato partendo sia dal punto di vista dell’attore che da quello del teatro stesso. L’attore è un simbolo del Sé che si manifesta attraverso una serie indefinita di stati e di modalità, anche ben distanti tra loro, e questo concetto richiama direttamente una delle serie più emblematiche di Andrea, una sorta di opera-manifesto: la sequenza Sezione Aurea (2002/03) in cui lui ha trasformato varie copie dello stesso calco in gesso del suo volto dando vita ad un pantheon di personalità parallele o, meglio, di maschere sceniche che rimandano al teatro greco o dell’estremo oriente. Sotto quelle maschere l’attore rimaneva infatti se stesso nel corso di tutte le sue diverse “interpretazioni”, così come accade per i suoi autoritratti in gesso… Inoltre le sue installazioni, le sue mise en scène , come per Gino e Vettor, sembrano essere corredate da un cartello d’ingresso imperativo e implicito: “SILENZIO”. Se ne era accorto Ugo Ferranti quando osservò che alle mostre di Fogli, a differenza di altre, il visitatore ammutoliva come se entrasse in una chiesa. Tutto ciò è connesso ad un teatro fatto di simboli, dove tutto non deve essere inteso in senso letterale. Un teatro dell’oltre, un teatro archetipico, celeste e terrestre allo stesso tempo. Andrea, come Gino e Vettor, non si limita a rappresentare il mondo umano, vale a dire un solo stato di manifestazione, ma è fortemente spinto dal desiderio di andare oltre. Come per il grande sciamano Joseph Beuys, la scena è divisa in piani diversi che corrispondono ai differenti mondi: sistemi inferiori e superiori si accavallano, angeli celesti e demoni ctoni si fondono, aspetto questo proprio della tradizione esoterica ed iniziatica, che però Andrea ha assunto implicitamente visto che non ha nessuna intenzione di perseguirla né studiarla… Installazioni come le madonne gemelle trasfigurate in un panneggio nell’argenteo ambiente di Sub Rosa del 2000, o il ciclo dei santini, dei disegni e delle argille dei 59 grani o quelli dell’ Anagramma di Maria, sono un teatro di figure ambivalenti, vero attentato al senso letterale - alla “lettera” ricercata da pigri pellegrini del sacro o dell’arte - poichè possono essere lette in modo contraddittorio dal nostro sistema percettivo. La poetica di Andrea corre sul filo di questa misteriosa ambiguità, di questo inquietante silenzio, che rivela sotto le righe - a volte esplicitamente come nel periodo auroroccidentale - ironia, e addirittura strafottenza. Come Gino ha il pallino per l’illusione, quello di creare un accadimento magico nella mente dello spettatore, come nella bolla sospesa, ripiena di miele, che diviene mongolfiera nel riflesso della vasca nell’installazione ad Edicola Notte nel 1990, Possibilità di un doppio fiore. La storia che Andrea si appresta a raccontare, come ha fatto anche Vettor, è così allora quella del teatro

Andrea Fogli, Mantra [bronzo]

s Andrea Fogli, Isola VIII, 2007

Andrea Fogli, Anagramma di Maria III [serie fotografica 2001]

▼ Andrea Fogli, Diario delle ombre / installazione Marta Herford, 2006

▼ Andrea Fogli, Sub rosa / Installazione Ugo Ferranti Roma, 2000

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Negli spazi del Casino dei Principi di Villa Torlonia a Roma, Andrea Fogli presenta la serie di sculture Isole (2005/2006), Cuori (2007) e Notti Bianche (2012); i cicli pittorici della Vierge a Silence (2005/2007) con le grandi carte a carboncino della Vierge au Silence II (2009-2012). Vojage au centre du monde (2008) e del Fregio dei risvegli (2012); i disegni del Diario delle Ombre (2000/2008). Completa il percorso espositivo la serie fotografica L’Anagramma di Maria III (2001), iniziata nel 1994, stesso anno dell’opera che apre la mostra Aurora Occidentale op.17, una coppia di mani blu oranti rivolta l’una verso l’altra, immagine simbolo dell’esposizione. La mostra, dal 1° febbraio al 7 aprile, è a cura di Claudia Terenzi e si avvale di un bel catalogo edito dalla Casa Editrice Tutti Santi di Innsbruck, distribuito da Edizioni Corraini, con testi della curatrice, Peter Weiermair, Markku Valkonen e un dialogo dell’artista con due giovani critici e curatori, Graziano Menolascina e Giancarlo Carpi.

Andrea Fogli, Ora nera dal Diario delle ombre, 2000-2008 [matita su carta, cm 48 x 36]

Andrea Fogli, La vierge au silence, 2010 [carboncino su carta cm. 200x100]

Andrea Fogli, Sezione aurea, 2002 [gesso] / collezione MART Rovereto

principe, quel teatro che da due millenni e mezzo si ripropone ogni giorno l’impossibile impresa di tradurre in realtà il sogno: le diverse figure o personaggi messi in scena possono essere considerate le modificazioni secondarie e in un certo

qual modo i prolungamenti dell’autoreSé, quasi come accade per le forme sottili prodotte nello stato di sogno. L’autore ha, a tal riguardo, una funzione veramente “demiurgica”, giacchè produce un mondo che trae tutto da se stesso. Ed anche in

Andrea Fogli, La voce eterea, 2002 [tempera su cartolina]

questo risiede la forza del suo lavoro, al di là delle “affinità elettive” con Pisani e de Dominicis: l’assoluta autonomia delle sue invenzioni formali e l’indipendenza dai dettami delle mode correnti. Graziano Menolascina GEN/FEB 2013 | 243 segno - 57

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Conversazione con

Filippo di Sambuy a cura di Lucia Spadano

Con il lavoro presentato in questa mostra l’artista dà inizio ad una nuova serie di opere sul ritratto a cui è stato dedicato il libro “The private Portraits Collection” edito da Paola Gribaudo per la collana “Disegno Diverso” e corredato da testi, poesie e scritti d’artista. Un’edizione raffinatissima che segue quella edita da Umberto Allemandi & C., che documenta i grandi lavori in situ eseguiti dall’artista dal 1999 al 2004 a Sabaudia, Stupinigi e Castel del Monte. i conosciamo dalla fine degli C anni Settanta-inizio anni Ottanta, periodo in cui, giovanissimo,

al massimo del tuo splendore, hai iniziato la tua carriera d’artista. Quello era un momento di svolta per la pittura, che, dopo anni di sperimentazioni astratto-concettuali è tornata a recuperare la figurazione. Tu però hai seguito un percorso diverso con una ricerca formale dominata da una costante che definirei di “spiritualità”. > L’urgenza di un elemento spirituale è la costante poetica del lavoro artistico. L’idea del sacro è infatti concepita all’origine di un’opera deliberatamente non conforme al tempo. Ogni qualvolta un artista inizia la sua opera si trova di fronte ad una infinità di possibilità, ma dal momento in cui l’opera è iniziata, il primo gesto è fatto e quell’infinità di possibilità si è trasferita nell’opera. Tra le tue possibilità espressive quali sono quelle a te più congeniali e quali linguaggi usi? > Mezzi di elezione sono il disegno e la pittura, mediante i quali mi propongo di plasmare i simboli capaci di condurre la percezione estetica dal finito all’infinito, dal reale all’immateriale: La pittura è tradizione immutabile e, in quanto tale, attività capace di sottrarsi ai limiti spazio-temporali imposti dalla realtà contemporanea. L’artista diviene così il mediatore di un segnale che tenta di svelare l’invisibile per mezzo del visibile Filippo di Sambuy, immagini di alcune opere esposte alla Galleria Marianne Wild, Chieti

Filippo di Sambuy “ The Private Portraits Collection”; libro edito da Paola Gribaudo, per la Collana Disegno Diverso realizzato con 36 disegni – 64 pagine, sui Testi di Filippo di Sambuy, Guy Lesser e M. Quoist, per una tiratura in 1000 esemplari numerati, di cui 50 con un disegno originale

come accade nella tua recente mostra (presso la galleria Marianne Wild Arte Contemporanea UnicA di Chieti) ove due autoritratti separati da un tempo lungo trent’anni si osservano, una di fronte all’altra come allo specchio. Il giovane riflette il vecchio, il femminile, il maschile, la spontaneità, l’esperienza. > Nell’opera gli opposti tornano a fondersi attraverso lo scambio dei loro sguardi. I quadri sono ormai vibrazione. Attraverso la pittura si trasformano in pura energia, per divenire infine l’unità dell’essenza ritrovata... e forse non solo. La pittura ha una storia che non è solo tradizione ed accumulo, ma anche costruzione, definizione delle modalità del significare e del comunicare. Per questo hai scelto la strada della sicurezza espressiva, della sintesi partecipativa che governa anche i processi necessari della scissione e della comparazione?

Quindi, sei tu che oggi guardi l’immagine di ieri o è lei che ti scruta e non riesci a distogliere lo sguardo? > Questo è l’enigma dell’immagine pittorica che prediligo: immobile, silente e immateriale mi incalza, dolcemente, senza tregua... Lo specchio ideale è quello il cui riflesso è quello di trent’anni prima. E, nel caso questa magia esistesse, potrei ancora riconoscermi? Che particolarissima energia attraversa questi due sguardi! Forse si tratta di una completa alterità o di un’identità un po’ estraniante: come la fotografia ritrovata dopo anni nel cassetto. Ecco questa tensione, che solo il tempo riesce ad esprimere nelle nostre vite, ho voluto trasferirla in questo dittico. L’arte diventa lo specchio ideale e lo sguardo vivo di tanti anni fa riconosce quello sbiadito di oggi, o meglio, metà si specchia nell’altra metà ricreando lunica identità possibile, senza dispersione, senza disperazione... perchè è nell’assoluto presenteg

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attivitĂ espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Filippo di Sambuy, immagini di alcune opere esposte alla Galleria Marianne Wild, Chieti

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Accademia Nazionale di San Luca, Roma

Tutti i voli del cervello: Cesare Cattaneo, pensiero e segno nell’architettura. di Ester Bonsante

cento anni dalla nascita, l’architetto A Cesare Cattaneo è celebrato a Roma, presso l’Accademia Nazionale di San Luca,

con una mostra dall’evocativo titolo “Cesare Cattaneo 1912-1943. Pensiero e segno nell’architettura”,. L’architetto comasco, morto prima di aver realizzato se stesso (Zevi), ha rappresentato un momento di riflessione silenziosa, ma essenziale nella tumultuosa temperie culturale di quei decenni, tra tendenze conservatrici e forze innovatrici. La titolazione della mostra, curata da Pierre Alain Croset, sintetizza i cardini sui quali è ruotata l’opera dell’architetto, la cui febbrile produzione a cavallo fra testo scritto, disegni e cantiere, si è risolta nell’arco di pochi anni di lavoro, fatalmente interrotto dalla precoce morte avvenuta a Como a soli trentuno anni. La mostra si snoda in un contrappunto di testi e disegni, intesi entrambi come strumenti di indagine e comprensione, che danno la cifra della febbrile tensione dell’intendere dell’architetto comasco. L’esposizione è articolata in due sezioni, una relativa al periodo di formazione, e l’altra incentrata sull’opera-manifesto della sua poetica: la casa per affitto di Cernobbio, in cui Cattaneo, committente di se stesso, ha potuto con una certa libertà espressiva dipanare e tradurre in segno i travagliati percorsi costantemente ridiscussi della sua poetica in fieri. La finalità prima di questa celebrazione è quella di onorare la figura dell’architetto, eroe silenzioso, rimasto per molti anni poco studiato, sia per la esiguità della produzione architettonica sia per l’essersi trovato nel cono d’ombra proiettato dagli

Cesare Cattaneo nel 1941 (Archivio Cesare Cattaneo, Cernobbio)

altri più celebri Maestri comaschi, Terragni e Lingeri, con cui collaborò negli anni della formazione prima e della professione poi. Nonostante la brevità della sua esperienza, e le poche opere realizzate è possibile individuare un itinerario chiaro nella poetica di Cattaneo, tra le righe dei sui scritti e dei suoi disegni: dalle prime (tutt’altro che timide) suggestioni futuriste, ravvisabili in particolare nel progetto della torre-réclame Pons, che prende il nome dal personaggio Paolo Pons di un suo scritto giovanile; all’incontro con Terragni e la coraggiosa adesione al razionalismo, una adesione maturata in seguito nell’appropriazione di una cifra progettuale più autonoma verificata con le quattro architetture realizzate; fino al ripiegamento intimistico e spirituale dell’ultimo periodo, che emerge nelle “macchine per pregare”, cioè le chiese progettate con Mario Radice. Anche un’altra finalità, più sottile, sottende la mostra: il materiale esposto è un invito a riprendere il dialogo su problematiche ancora attuali e cogenti, profeticamente anticipate nel testo che già allora Giuseppe Pagano indicava come “bilancio preventivo sulla crisi del mondo moderno e sulle grandi responsabilità dell’architettura di oggi e di domani”. La mostra comprende circa centosessanta disegni e schizzi che ripercorrono l’intero arco evolutivo della poetica di Cattaneo: i primi concitati disegni dal vero di paesaggi, profili urbani, scorci, sono piccoli cammei che cristallizzano nella rapidità del tratto la visione fugace e cangiante del paesaggio, talvolta colta dal finestrino di un treno, e che rendono manifesta la necessità e l’ansia di capire attraverso il

disegno. Seguono gli schizzi di studio dal tratto più laconico e sintetico, che dipanano il processo progettuale rendendone intellegibile l’intenzionalità. Infine i disegni dei particolari costruttivi completano il catalogo grafico dell’architetto nella cui opera la visione del dettaglio non evade da quella dell’insieme e viceversa, in un rapporto di necessità che riguarda anche il manufatto architettonico rispetto al contesto urbano. Come si può leggere nel dialogo quinto: “come un elemento dell’edificio è in funzione dell’edificio stesso che lo contiene, così anche l’edificio è in funzione del gruppo di edifici, o della città, che lo contiene”. L’alternanza disegni / testi, esposti senza soluzione di continuità, permette di cogliere la forte analogia tra le due forme di espressione in cui tanto gli schizzi “costituiscono una vera e propria scrittura del pensiero spaziale” (Croset), quanto i testi disegnano una chiara e dichiarata intenzionalità progettuale. I disegni e le opere realizzate sono la messa in pratica e la verifica sul campo dei principi stipulati negli scritti teorici, che vengono di conseguenza rimessi in discussione in un mutuo rimando di reciproca necessità. Spirito creativo e capacità critica fanno di Cattaneo un architetto completo e compiuto che finalizza ogni spunto cognitivo e ogni proficuo incontro alla intimistica ricerca di una visione personale dell’architettura. Lo stesso Cattaneo nel romanzo futurista Paolo Pons scrive “Non è colpa mia se, da quando m’interesso di architettura, la vedo dovunque mi fa comodo. Ché veramente quell’arte è per me il senso di

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memorie d’arte attività espositive

Cesare Cattaneo, Casa d’affitto a Cernobbio, 1938-1939: prospettiva dalla strada (Archivio Cesare Cattaneo, Cernobbio)

A siistra: Cesare Cattaneo, schizzi di studio per una fontana a Como, 1937-1938: matita su carta; In basso a sinistra: Cesare Cattaneo, Album di schizzi, Viaggio in Toscana, 1932: matita su carta; a destra: Cesare Cattaneo, Scuola di Ebanisteria, 1933: schizzi e disegni a matita su carta. Tutte Archivio Cesare Cattaneo, Cernobbio.

Allestimento all’Accademia Nazionale di San Luca, Roma. Foto di: Pietro Carlino

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tutti i voli del cervello. E gli architetti...son genti che più degli altri sa trarre sintesi armoniose dai sogni della fantasia..”. Questa riflessione tratteggia in nuce il concetto di polidimensionalità, ben esposto nel secondo dialogo di Giovanni e Giuseppe e che sarà il fulcro concettuale della poetica di Cattaneo, per il quale l’architettura si pone “come volto in grado di sintetizzare una molteplicità di saperi nell’unità del disegno” (Moschini). In tal senso il disegno non è solo rappresentazione, ma principio informatore dell’opera di architettura, allusione induttiva più che descrizione deduttiva. Anche i disegni costruttivi rivelano una visione d’ampio respiro e non meramente tecnica, del saper fare coniugato al sapere, denotano l’amore tecnologico di Cattaneo, che declina il principio di polidimensionalità a tutte le scale, compresa quella del dettaglio. L’opportuna scelta dei materiali, il bilanciamento dei pesi, l’ottimizzazione degli sforzi, tutto viene considerato e messo a sistema sino ad arrivare a un risultato di apollinea bellezza in un ingranaggio che è unitario con l’insieme, tessera di uno stesso mosaico, più che non mera trovata tecnologica accessoria. La scala di casa Cernobbio è indicativa in questo senso: un capolavoro di sintesi di ogni necessità fatta virtù per un risultato complessivo che richiama la definizione di bellezza dell’Alberti, totale e inappellabile. Ogni necessità funzionale viene così risolta e sublimata in un meccanismo perfetto e unitario, in cui il disegno di architettura rappresenta la sintesi ultima per la comprensione dei molti saperi chiamati in causa, contro ogni settorialismo: “Le specializzazioni esistono solo nella scorza dei problemi: scavando, dalle tante scorze e dai tanti rami si arriva ad una sola radice” (Dialogo undicesimo). Il testo / testamento di Cattaneo, Giovanni e Giuseppe. Dialoghi di architettura, dialogo platonico tra i due doppi dell’autore pubblicato nel 1941, descrive un confronto inconcludibile e vivido che fa di questo testo un libro aperto che termina con nuovi interrogativi.

Cesare Cattaneo e Mario Radice, Veduta notturna della Fontana al Parco Sempione di Milano, VI Triennale, 1936 (Archivio Cesare Cattaneo, Cernobbio)

Cesare Cattaneo, Casa d’affitto a Cernobbio, 1938-1939: Cesare Cattaneo, Pietro Lingeri, Luigi Origoni, Nuova sede fotografia della casa appena ultimata (Archivio Cesare dell’Unione Fascista dei Lavoratori a Como, 1938-1943: fotografia Cattaneo, Cernobbio) dell’edificio ultimato (Archivio Cesare Cattaneo, Cernobbio) Cesare Cattaneo e Luigi Origoni, Asilo Infantile Garbagnati ad Asnago, 1935-1937: fotografia dell’edificio ultimato (Archivio Cesare Cattaneo, Cernobbio)

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memorie d’arte attività espositive

Allestimento all’Accademia Nazionale di San Luca, Roma. Foto di: Pietro Carlino

Francesco Moschini, nell’organizzare la mostra, ha inteso raccogliere la provocazione lanciata da Cattaneo a conclusione del suo libro: “Il responsabile del libro -ben sapendo che Giovanni e Giuseppe hanno discusso molto ma hanno concluso pochissimo- sarebbe lieto di continuare la discussione -in forma epistolare o verbale- con quel lettore che lo volesse”, sollecitando

una ventina di architetti italiani e non solo, a rispondere con una lettera all’architetto comasco. Le problematiche trattate, tuttora attuali, riallacciano la dimensione intellettuale al fare architettonico in un sodalizio imprescindibile e irrinunciabile. Come scrive lo stesso Moschini nella introduzione del prestigioso catalogo “Si intende, in questa occasione, rac-

coglierne l’appello, affrontando la sfida di un ragionamento su temi che, a cento anni dalla nascita dell’architetto comasco, risultano centrali nel dibattito sull’architettura”. “Giuseppe - Non vieni? Giovanni - No. Ho soltanto diritto di stare ai margini. Ci sono in me troppe contraddizioni.”

Allestimento all’Accademia Nazionale di San Luca, Roma. Foto di: Pietro Carlino

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Palazzo Strozzi, Firenze

Anni ‘30. Arti in Italia oltre il Fascismo ironi, Viani, Morandi, Carrà, De S Chirico, Rosai, Guttuso sono solo alcuni dei nomi di questa mostra

singolare, interamente dedicata a un periodo, quello degli Anni Trenta, contraddistinto da ricchezza e varietà stilistica, funzionalismo e razionalismo ma anche irrealismo e metafisica. Un’epoca di forti contrasti, le cui aspre tensioni artistiche vengono ben

s Giò Ponti, Urna con coperchio con decoro “Trionfo dell’Amore” , [porcellana, cm 50, ø cm 52,5 - Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia]

documentate da questa mostra nelle diverse sezioni che raccoglie: Centri e scuole (Firenze, Milano, Roma, Torino, Trieste), Giovani e “irrealisti”, Artisti in viaggio, Moralismo e arte pubblica, Contrasti, Il design e le arti applicate, Firenze. È un salto indietro nel tempo, una porta che si apre sul passato e lascia in bocca il sapore amaro delle cose perdute, quelle vissute con passione, con originalità, con singolare raffinatezza e proprio per questo destinate a restare uniche, testimonianza indelebile di giorni appassionati. 96 i dipinti, 17 le sculture, 20 gli oggetti di design: tutti pezzi abilmente disposti nel percorso espositivo fruibile così a più livelli, da quello onnicomprensivo a quelli più specifici, dedicati magari solo ad un tema o ad uno stile, per approfondire e studiare più da vicino tendenze e dettagli. Si tratta effettivamente di una mostra enciclopedica nella quale il visitatore resta abbagliato oltre che dall’incredibile varietà di stili, anche dai rimandi alla storia dell’arte (si pensi alle forme plastiche e masaccesche di Sironi o Soffici, alle posture che richiamano Piero della Francesca dei dipinti di Colacicchi, ai riferimenti a Van Gogh e Gauguin di Basaldella o a quelli metafisici di Morlotti e Tozzi), dal riferimento alla classicità grecoromana (come nei bozzetti per il Foro

7Giovanni Colacicchi, Fine d’Estate, 1932 [olio su tela 162x201 - Firenze Galleria d’Arte Moderna Palazzo Pitti].; s Mario Tozzi, Figure e Architetture , 1929 [olio su tela, cm 116,3 x 72,9 - Berna, Kunstmuseum Bern, Staat Bern] Mussolini a Roma, eseguiti da Gino Severini, o il marmo pentelico Ricordo di Atene, 1932, di Maraini), dalle vicinanze con il razionalismo tedesco e con lo stile Bauhaus (Mario Radice, Composizione G.R.U. 35/B/ Composizione n.85, 1937), o dalle istanze del Secondo Futurismo (Ruggero Alfredo Michahelles, Industria, 1931). C’è tuttavia un percorso sottile, quasi nascosto rispetto all’abbondante va▼ Guido Peyron, Ritratto del poeta Montale , 1932 [olio su tela, cm 100,5 x 81,5 - Grassina, Pier Francesco Vallecchi]

▼ Eva Menzio, Corridore Podista, 1930 [olio su tela cm 85 x 58 - Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna GNAM]

▼ Adolph Ziegler, I Quattro Elementi (Die vier Elemente) terra e Acqua, Fuoco, Aria, 1937 [tela; Terra e Acqua (pannello centrale) cm 171 x 190,8, Fuoco (pannello sinistro) cm 170,3 x 85,2, Aria (pannello destro) cm 161,3 x 76,7 - Monaco di Baviera, Bayerische Staatsgemäldesammlungen - Pinakothek der Moderne]

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memorie d’arte attività espositive

s Renato Birolli, I Giocatori di Polo, 1933 [olio su tela cm. 142x132 - Roma, GNAM ]

▼ Mario Mafai, Demolizione dei Borghi, 1939 [olio su tela; cm. 50x63 - Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna]

s Achille Funi, Malinconia , 1930 [olio su tela, cm.110x90 - Milano, Museo d. Novecento]

▼ Corrado Cagli, Trionfo di Roma, 1937 [tempera encaustica su tavola tamburata, cm 240 x 200 - Roma, collezione privata ]

▼ Scipione, La Piovra (I molluschi, Pierina è arrivata in una grande città), 1929 [olio su tavola cm. 60x71 - Macerata, Fondazione CARIMA ]

rietà pittorica, che non è secondario ma al contrario ospita lavori di grande intensità e di singolare bellezza. Si tratta dell’itinerario tracciato, quasi silenziosamente in mezzo a tanta ricchezza di colori, forme e linee, dalle sculture. La prima opera che accoglie il visitatore all’entrata è il ritratto di Adolfo Wildt (Milano, 1868-1931), Arturo Ferrarin (1929), eseguito in marmo con una doratura all’interno cavo che lo rende quasi una maschera funeraria, dai tratti somatici decisi, nella migliore tradizione della raffigurazione dell’eroe fascista. Nella sala successiva, la Donna al sole (1929) di Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947) accoglie chi entra con la sua posa lasciva, sensualmente abbandonata e le sue forme morbide contrastano piacevolmente con il ritratto di Ferrarin, così imponente e austero nella sua squadrata plasticità. Inaspettate poi le sculture del giovane Lucio

Fontana (Rosario de Santa Fé 1899, Varese 1968), come il Campione Olimpionico (1932) - le cui possenti masse muscolari sono contraddistinte da una cromia azzurra, proprio come l’acqua, l’elemento che sfida ogni giorno per raggiungere la gloria nello sport, disciplina di grande impatto comunicativo attraverso la quale il regime fascista non cessava di fare propaganda – o, ancora, come Il fiocinatore (1934), di una bellezza classica e perfetta nel pondus ben distribuito. All’ambito sportivo appartiene anche Il tuffo (1932) di Thayaht (Ernesto Michahelles, Firenze 1893 - Marina di Pietrasanta 1959), in gesso patinato con base di metallo, nel quale l’atleta è ridotto a mera forma, poco più di una linea che descrive e insieme documenta la perfezione dell’esibizione sportiva, nella sua composta eleganza. Fausto Melotti (Rovereto 1901 - Milano 1986) con la Scultura n. 11 e an-

cora Lucio Fontana con la Scultura astratta, entrambe risalenti al 1934, si trovano nella sezione Contrasti: la raffinatezza formale è il fulcro di queste due opere, di cui la prima appare come un’armonica articolazione dalle volute classicheggianti e la seconda, quasi un disegno scultoreo, caratterizzato da un ritmo franto e da uno stile geometrico di incredibile originalità. È Giacomo Manzù (Bergamo 1908 - Roma 1991) a chiudere questo percorso di sculture attraverso gli Anni ’30: un David (1938) etereo, innocente, gracile, sta accovacciato in mezzo all’ultima sala, tutto concentrato sulla decisione da prendere. Non ha niente dell’imponenza dell’eroe michelangiolesco e ancor meno della grandiosità dei valori fascisti, sembra quasi preludere a una nuova concezione dell’uomo, quella che emergerà dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale ormai alle porte. Serena Bedini GEN/FEB 2013 | 243 segno - 65

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A.A.M. Architettura Arte Moderna Extramoenia

Duetti/Duelli. Partite a scacchi sul disegno di Francesco Maggiore

“Mi accingo a intraprendere questo elogio della mano così come si adempie ad un dovere di amicizia. Nel momento in cui inizio a scrivere vedo le mie, di mani, che sollecitano, che stimolano la mia mente. Eccole, compagne instancabili, che per tanti anni hanno assolto il loro compito, l’una tenendo fermo il foglio, l’altra moltiplicando sulla pagina bianca quei piccoli segni scuri, fitti, persistenti. Grazie ad esse l’uomo prende contatto con la dura consistenza del pensiero, arriva a forzarne il blocco. Sono le mani ad imporre una forma, un contorno e, nella scrittura, uno stile” (H. Focillon, Vita delle forme. Elogio della mano). Da cinque anni si susseguono, per iniziativa di A.A.M. Architettura Arte Moderna, estemporanei ma puntuali incontri tra artisti e architetti, di differenti generazioni, accomunati da una grande passione per il disegno. Se questo, per certi versi, può essere definito come un anacronismo, per evidenti ragioni che appartengono all’evoluzione e, al tempo stesso, alla deriva dell’informatica, Vincenzo D’Alba con Alvaro Siza “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.01), 28.10.2008 China su carta, 45x25 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro in occasione della “Lectio Magistralis”, tenuta al Teatro Politeama Greco, a Lecce, il 28 ottobre 2008, a conclusione della mostra antologica dedicata ad Alvaro Siza, allestita in due sedi, al Castello di Acaya e al Museo Provinciale Sigismondo Castromediano di Lecce. Copyright: Alvaro Siza, Vincenzo D’Alba Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Franco Purini e Antonio Ortiz “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a più mani, (n.02), 02.05.2009 china su carta da lucido, 33x87 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro a conclusione del WORKSHOP DI ARCHITETTURA “Il territorio oltre lo stretto” (a cura di Bodàr_Bottega d’Architettura e Associazione Culturale Plusform) a Barcellona Pozzo di Gotto, Sicilia, Italia. Visiting Professors: Roberto Collovà, Nikos Ktenàs, Bruno Messina, Francesco Moschini, Antonio Ortiz, Franco Purini, Laura Thermes. Copyright: Franco Purini, Antonio Ortiz, Vincenzo D’Alba Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

ancor più può apparire un fenomeno lontano, se si tiene conto che questo incontro tra artisti e architetti avviene sempre attraverso un dialogo strettamente di tipo grafico. Ad ogni incontro corrisponde, infatti, un disegno dove due autori si confrontano sul medesimo foglio. L’iniziativa ideata da Francesco Moschini e Francesco Maggiore ha lo scopo di riscoprire e rivalutare l’eredità grafica che tanto in architettura quanto nell’arte è stata più che sostituita, confusa da mezzi di comunicazione spesso intesi semplicisticamente come mezzi espressivi. L’A.A.M. Architettura Arte Moderna ha quindi istituito all’interno della sua collezione di disegni una serie dedicata a questo specifico tema dal titolo “Duetti/Duelli. Partite a scacchi sul disegno”. Fino ad oggi un corpus di venti opere costituisce l’avvio di questa iniziativa che continuerà ad avere in futuro nuovi incontri tra architetti, pittori e scultori. In ogni duetto può riconoscersi, seppure in forme del tutto spontanee e per certi versi irrazionali, il tentativo degli autori di dialogare attraverso le immagini tratte dai propri repertori culturali o formali che in molti casi costituiscono un linguaggio fatto di segni riconoscibili e indipendenti. Il Progetto “Duetti/Duelli. Partite a scacchi sul disegno” è stato inaugurato nel 2008 con Alvaro Siza, invitato a tenere la prima estemporanea grafica, improvvisando un disegno a quattro mani con l’architetto Vincenzo D’Alba. A questo primo duetto sono seVincenzo D’Alba con Guido Canella e Luciano Semerani “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a più mani, (n.03), 03.05.2009 china su carta da lucido, 33x87 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro serale prima della “Giornata di Studi sul Disegno” e della presentazione del catalogo, curato da Francesco Moschini, dedicato a “L’Accademia Nazionale di San Luca per una Collezione del Disegno Contemporaneo”, relativo all’omonima mostra, con la partecipazione tra gli altri di: Guido Canella, Nicola Carrino, Angela Cipriani, Marisa Dalai Emiliani, Carlo Lorenzetti, Francesco Moschini, Aimaro Oreglia d’ Isola, Paolo Portoghesi, Concetto Pozzati, Franco Purini, Ruggero Savinio, Luciano Semerani, Giuseppe Spagnulo, Mauro Staccioli, Guido Strazza, Grazia Varisco, Claudio Verna, presso l’Accademia Nazionale di San Luca, Piazza dell’Accademia di San Luca 77. Copyright: Guido Canella, Luciano Semerani, Vincenzo D’Alba Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Carlo Aymonino “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.04), 17.10.2009 china su carta da lucido, 59x84 cm (assemblaggio di quattro lucidi di 29,5x42 cm) Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro serale nella casa-studio di Carlo Aymonino il 17.10.2009, in occasione del trasferimento dello studio di Carlo Aymonino, proprio in quel giorno, nella sua abitazione di via del Babuino, Roma. Copyright: Carlo Aymonino, Vincenzo D’Alba Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

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guiti altri (tutti consultabili sul sito www.aamgaleria.it), che hanno visto D’Alba confrontarsi con: Carlo Aymonino, Antonio Annicchiarico, Alessandro Anselmi, Michele Beccu (A.B.D.R.), Guido Canella, Alberto Cecchetto, Stefano Cordeschi, Nicola Di Battista, Alfonso Femia (5+1AA), Mauro Galantino, Michele De Lucchi, Aimaro Oreglia D’Isola, Antonio Ortiz, Paolo Portoghesi, Franz Prati, Franco Purini, Filippo Raimondo (A.B.D.R.), Renato Rizzi, Luciano Semerani, Beniamino Servino, Ettore Sordini. Fino ad oggi lo sfidante è sempre D’Alba mentre l’architetto o l’artista, di volta in volta coinvolto, è lo sfidato. Lo sfidante cerca di forza il suo competitor sui temi a lui più congeniali fino a stravolgerlo e quasi a forzarlo, sondandone un po’ i limiti. Così, l’unitarietà autoriale dello sfidato è sempre messa a dura prova “dall’arcaicismo ancestrale di D’Alba, contraddistinto – come osserva Moschini – dalle sue disseminazioni ripetute nella coazione a ripetere della variazione come avviene in un testo poetico di George Perec”. Si tengono, dunque, dei singolar tenzone che per mosse successive, proprio come in un duello, portano alla definizione di disegni a più mani nei quali ad ogni mossa dell’uno è corrisposta la risposta dell’altro; un’alternanza di “tratti dapprima timidi, rigidi, poco precisi, poi ostinatamente analitici, a momenti vertiginosamente definitivi, liberati fino all’ubriachezza; poi affaticati e gradualmente irrilevanti” (Siza). I risultati evidenziano in alcuni casi affinità grafiche in cui è diffi-

cile distinguere i segni di ciascuno dei due “agenti”, in altri casi rivelano differenze tecniche in cui è possibile individuare le singole poetiche. È possibile distinguere due tipi di elaborati: quelli colorati e quelli puramente segnici. In questi ultimi, come osserva Moschini “Vincenzo D’Alba esaspera e accentua lo scontro tra finezza del segno e asprezza, se non durezza del suo modo di entrare, per sottolineare il rapporto tra armonia e conflitto”. Al contrario, quando l’esito del duetto è una tavola colorata, è l’architetto sfidato a condurre il gioco; in questa circostanza, in genere, D’Alba, continua Moschini “ricorre all’interferenza quale negazione come controcanto per forgiare la resistenza della stesura cromatica”. Questi disegni estemporanei nascono dalla volontà di cognizione e di contemplazione del reale, dal bisogno continuo di misurarsi col quotidiano; sono dialoghi improvvisati e spontanei intrattenuti con i luoghi e le cose intorno al tema del costruire e alla sua fisicità. “Testimoni dei dubbi quotidiani, dei piccoli progressi e degli errori, dell’abbandono di un’idea e del riprendere qualcosa di diverso dalla stessa idea” (Siza), questi pastiches grafici rappresentano la pratica esperienziale insostituibile nella formulazione dell’idea progettuale e artistica. L’accettare questi confronti è la testimonianza di come il disegno rappresenti per ogni architetto e per ogni artista un “impegno capriccioso” una deviazione spontanea e necessaria, che ricopre un ruolo esclusivo nella pratica della professione e nella proie-

Vincenzo D’Alba con Paolo Portoghesi “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.05), 14.03.2010 China su cartoncino, 70x100 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro nella casa-studio di Paolo Portoghesi, presso Calcata, il 14.03.2010, in occasione dell’intervista-colloquio tra Francesco Moschini e Paolo Portoghesi realizzata per Sat2000. Copyright: Paolo Portoghesi, Vincenzo D’Alba Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Alessandro Anselmi “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.07), 06.07.2011 Matita, matite colorate, pastelli a cera e inchiostro su cartoncino, 70x100 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro nello studio di Alessandro Anselmi, via Umberto Boccioni n.5, Roma, il 06.07.2011. Copyright: Alessandro Anselmi, Vincenzo D’Alba Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Ettore Sordini “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.06), 19.06.2010 Matita, matite colorate, pastelli a cera e inchiostro su cartoncino, 70x100 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro nella casa-studio di Ettore Sordini, presso Cagli, il 19.06.2010, in occasione del “Premio dell’Angelo Città di Cagli”, conferito al Maestro Ettore Sordini, con la relazione introduttiva di Francesco Moschini. Copyright: Ettore Sordini, Vincenzo D’Alba Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Aimaro Oreglia D’Isola (Gabetti & Isola / Isolarchitetti) “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.08), 29.05.2012 China e acquerelli su cartoncino, 70x100 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro presso l’Accademia Nazionale di San Luca, Roma, il 29.05.2012. Copyright: Aimaro Oreglia D’Isola, Vincenzo D’Alba Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

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Vincenzo D’Alba con Antonio Annicchiarico “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.13), 19.09.2012 Tecnica mista su cartoncino, 100x70 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro in occasione del Workshop Internazionale di Architettura e Progetto / Laboratorio di Progettazione Gallipoli 2012. Copyright: Vincenzo D’Alba, Antonio Annicchiarico Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

zione poetica. “Le grafie dei segni – scrive Moschini – diventano il modo per riconoscerne l’uso intimo e privato che la pratica del disegno può esprimere fino ad arrivare a custodire le inquietudini degli autori. I disegni, spesso, danno conto di un insieme semantico personale e parallelamente sono testimonianza di un’attività analitica e di studio”. La scelta di creare momenti di riflessione e di confronto sui temi indiretti della progettazione costituisce il comune denominatore di tutti questi incontri; gli architetti, infatti, sono invitati da A.A.M. Architettura Arte Moderna a realizzare disegni attraverso gli elementi e gli strumenti “preprogettuali” che rappresentano le formulazioni di poetiche tese alla continua sperimentazione e al “piacere del divagare”. All’avvio di ciascun “duello” è individuato da Francesco Moschini un tema congeniale allo sfidato, questo rappresenta l’input iniziale al disegno così come è avvenuto con “Specie di spazi” per Galantino, “Cava di pietra” per Cordeschi. Disegni, schizzi, appunti, generati da una specie di bisogno primario, da un’esigenza infantile di gioco, diventano momenti significanti e preziosi che raccontano della necessità dell’architetto d’immedesimarsi con la realtà per trascendere nei luoghi della conoscenza, del desiderio e della figurazione. In questi disegni è possibile quindi ritrovare i contributi strumentali di ricerche specifiche e accurate che svelano le ingranature e le grammatiche costitutive per la scrittura e la costruzione logica dell’architettura. “Si tratta di immagini scaturite da un puro atto di fantasia le quali, nonostante tale origine, intermedia tra il sogno e il ricordo di qualcosa di perduto, riescono spesso a svelare i lati più nascosti e

Vincenzo D’Alba con Michele Beccu e Filippo Raimondo (ABDR) “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.09), 29.06.2012 Tecnica mista su cartoncino, (110x80 cm)x2 (dittico) Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro presso Convitto Palmieri, Lecce, il 29.06.2012, in occasione della Lectio Magistrales tenuta da ABDR e della presentazione ufficiale del Workshop Internazionale di Architettura e Progetto / Laboratorio di Progettazione Gallipoli 2012. Copyright: Michele Beccu (ABDR), Filippo Raimondo (ABDR), Vincenzo D’Alba Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Stefano Cordeschi “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.11), 17.09.2012 Tecnica mista su cartoncino, 70x100 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro in occasione della “Lectio Magistralis” che Stefano Cordeschi, ha tenuto a Gallipoli (Lecce), il 17 settembre 2012, nell’ambito del Workshop Internazionale di Architettura e Progetto / Laboratorio di Progettazione Gallipoli 2012. Copyright: Vincenzo D’Alba, Stefano Cordeschi Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Michele De Lucchi “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.10), 10.09.2012 Tecnica mista su cartoncino, 64x88 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro in occasione della “Lectio Magistralis” che Michele De Lucchi, ha tenuto a Bari (Fiera del Levante), il 10 settembre 2012. Copyright: Vincenzo D’Alba, Michele De Lucchi Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Beniamino Servino “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.12), 18.09.2012 Tecnica mista su cartoncino, 88x64 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro in occasione della “Lectio Magistralis” che Beniamino Servino, ha tenuto a Gallipoli (Lecce), il 18 settembre 2012, nell’ambito del Workshop Internazionale di Architettura e Progetto / Laboratorio di Progettazione Gallipoli 2012. Copyright: Vincenzo D’Alba, Beniamino Servino Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

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spesso illuminanti della realtà” (F. Purini, Comporre l’architettura). L’iniziativa “Duetti/Duelli. Partite a scacchi sul disegno” intende, in linea con la tradizione espositiva e culturale di A.A.M. Architettura Arte Moderna, riportare il disegno alla sua vitale centralità: esso infatti, è sempre stato uno degli elementi di maggior riconoscibilità e rappresentatività della cultura italiana, proprio per il suo essere considerato come momento di grande concentrazione teorica. Per i migliori artisti e architetti italiani “quello del disegnare – sottolinea Moschini – è stato un modo di svincolarsi dalla pura e semplice dimensione realizzativa per alludere a nuovi e diversi scenari possibili per l’arte, per i luoghi e per il paesaggio”. Privilegiare il disegno come fondamentale atto creativo per artisti e architetti, tende a sottolineare, come aggiunge Moschini, “che si vuole riconoscerne la centralità nel suo essere strumento di evidenziazione di un duplice significato: in quanto strumento di conoscenza, e dunque adeguazione dell’idea alla cosa; in quanto elaborazione creativa capace di modificare la percezione passiva del reale, riportandola nell’ambito di una identificazione teorico pratica, seppure spesso venata da intenti ideologici. Sarà sempre più utile dunque guardare alla complessità del disegno, al suo dispiegarsi come un concentrato teorico, pur senza nulla “promettere” e senza rimandare ad altro, evitando di cogliere esclusivamente l’aspetto più immaginario che sarebbe limitativo della sua funzione e deviante rispetto al suo ruolo”. Sia nell’esegesi della prefigurazione, sia nella rappresentazione pura, la linea riferisce di un ambiente, a volte trasognato, a volte bucolico, ma sempre governato da un rigor mortis in grado di considerare la mano come generatrice della “vita delle forme”. g Vincenzo D’Alba con Nicola Di Battista “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.15), 20.09.2012 Tecnica mista su cartoncino, 70x100 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro in occasione della “Lectio Magistralis” che Nicola Di Battista, ha tenuto a Gallipoli (Lecce), il 20 settembre 2012, nell’ambito del Workshop Internazionale di Architettura e Progetto / Laboratorio di Progettazione Gallipoli 2012. Copyright: Vincenzo D’Alba, Nicola Di Battista Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Renato Rizzi “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.17), 22.09.2012 Tecnica mista su cartoncino, 70x100 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro in occasione della “Lectio Magistralis” che Renato Rizzi, ha tenuto a Gallipoli (Lecce), il 22 settembre 2012, nell’ambito del Workshop Internazionale di Architettura e Progetto / Laboratorio di Progettazione Gallipoli 2012. Copyright: Vincenzo D’Alba, Renato Rizzi Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Mauro Galantino “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.14), 19.09.2012 Tecnica mista su cartoncino, 70x100 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro in occasione della “Lectio Magistralis” che Mauro Galantino, ha tenuto a Gallipoli (Lecce), il 19 settembre 2012, nell’ambito del Workshop Internazionale di Architettura e Progetto / Laboratorio di Progettazione Gallipoli 2012. Copyright: Vincenzo D’Alba, Mauro Galantino Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Alberto Cecchetto “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.16), 21.09.2012 Tecnica mista su cartoncino, 70x100 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro in occasione della “Lectio Magistralis” che Alberto Cecchetto, ha tenuto a Gallipoli (Lecce), il 21 settembre 2012, nell’ambito del Workshop Internazionale di Architettura e Progetto / Laboratorio di Progettazione Gallipoli 2012. Copyright: Vincenzo D’Alba, Alberto Cecchetto Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Vincenzo D’Alba con Alfonso Femia (5+1AA) “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.18), 22.09.2012 Tecnica mista su cartoncino, 70x100 cm Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore / Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Note: Incontro in occasione della “Lectio Magistralis” che Alfonso Femia e Simonetta Cenci (5+1AA), hanno tenuto a Gallipoli (Lecce), il 23 settembre 2012, nell’ambito del Workshop Internazionale di Architettura e Progetto / Laboratorio di Progettazione Gallipoli 2012. Copyright: Vincenzo D’Alba, Alfonso Femia (5+1AA) Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

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Accademia di Brera, Milano

La Terapeutica Artistica a Brera di Tiziana Tacconi

ono ormai sette anni che all’AccadeS mia di Belle Arti di Brera si è istituito un Biennio in Teoria e Pratica della Te-

rapeutica Artistica in collaborazione con la Scuola di Specializzazione in Psichiatria dell’Università degli studi di Pavia e Scienze dell’Educazione della Bicocca -Università di Milano. Il Biennio è l’unico in tutta Italia che rilascia un Diploma di secondo livello ed è aperto agli studenti di tutte le facoltà ma per la sua finalità artistica e terapeutica è unico anche in Europa. La Terapeutica Artistica traendo i propri fondamenti teorici da un’eredità storica di enorme portata, si distingue dall’Art Therapy di concezione britannica per costruire un nuovo territorio di ricerca di approfondimento dell’Arte alla quale afferiscono diversi saperi, relativi alla psicoanalisi, alla psichiatria, all’estetica di orientamento fenomenologico, alla storia dell’arte. Il confronto di due sguardi: quello artistico e quello del mondo della psiche, senza snaturarne i rispettivi linguaggi, ha portato a “rinominare” a “ridisegnare” un nuovo linguaggio e metodo del processo che stà alla base del “fare” creativo e inventivo. La scelta del termine Terapeutica che deriva da Filone D’Alessandria e traduce etimologicamente dal greco Therapeytikè “prendersi cura di se” affiancato ad “artistica” definisce sia l’azione consapevole ad un “saper fare” che il piacere di poter creare ed esprimersi con l’arte. Quindi, non “arte che cura” come semplice giustapposizione di due elementi, ma arte-terapeutica che traduce “ avere cura di se” concetto olistico, che al tempo stesso comprende entrambi i termini e li oltrepassa, proponendosi come nuova

possibilità espressiva. La finalità del Biennio è quello che formare artisti in grado di dialogare attraverso il linguaggio dell’arte con chiunque abbia il desiderio d’incontrarsi con la propria potenzialità creativa. La parola creatività nel mondo dell’arte è stata praticamente bandita come se in qualche modo sminuisse il valore artistico,ma la creatività dovunque la incontriamo, nell’artista come nell’individuo comune, nel sano e nel malato o negli aspetti meno vistosi della vita di ogni giorno è la condizione prima per riempire ogni spazio vuoto ed aprirsi ad un cosmo espressivo e terapeutico. Lo stesso Jung sostiene che se tutto il lavoro umano trae origine dalla fantasia creativa, dall’immaginazione; come potremmo averne una bassa opinione? Per certi versi, gli uomini non possono fare a meno di creare; le azioni creative sono una necessità per sopravvivere ma la malattia, che porta con sé sofferenza e angoscia, tende ad annullare la vita dell’immaginario ed a causare quella sorta di silenzio interiore che non consente di uscire dal paese del dolore. In questi anni di ricerca gli artisti della Terapeutica Artistica sono stati presenti con progetti laboratoriali, strutturando atelier sperimentali in diversi luoghi di cura, oncologia, psichiatria, pediatria, geriatria, patologia della gravidanza,nelle carceri, nelle scuole e nelle piazze. La particolare attenzione degli artisti terapisti ai luoghi della sofferenza e alla relazione di tutti i partecipanti emerge nell’attuazione dell’ Opera Condivisa. “L’opera condivisa ” consente a chiunque di sviluppare un percorso artistico individuale di scoprire una propria dimensione espressiva, contemporaneamente

alla condivisione di un progetto comune finalizzato alla realizzazione dell’opera. Quando l’immaginazione si concretizza in un’opera, con la quale sorprendentemente l’autore risuona e si riconosce, liberandosi dai limiti silenziosi dell’impotenza creativa, allora è possibile ritrovare la dimensione armonica della nostra interezza, superando la divisione tra corporeo e psichico, e ciò costituisce un aspetto fondamentale delle potenzialità terapeutiche dell’arte. La prima Opera Condivisa è stata realizzata nel Reparto d’Oncologia dell’Ospedale di Carrara. Oggi, più che mai, la medicina in un progetto di Umanizzazione sempre più attuale si rivolge all’Arte ma addentrarsi in questa realtà significa incontrarsi con argomenti di notevole complessità, dal rapporto medico-paziente, ambito nel quale il disagio appare ancor più evidente in relazione alla moderna tecnologia, alla visione dell’uomo come risultato di una coesistenza forzata, mai risolta, di anima e corpo. L’arte che si insinua negli ospedali e trasforma gli spazi per lo più asettici in spazi della contemplazione, è un’arte che produce una conseguenza positiva, una risoluzione della solitudine, stimola il bisogno d’immaginazione, apre il bisogno nel sogno ed alimenta la speranza. Ecco che la Terapeutica artistica diventa la comunicazione attiva tra paziente ed artista terapista , percorso di trasformazione in cui si attiva il prendersi cura di se e della forma d’arte Le opere realizzate dagli artisti, dai pazienti, dai famigliari dei pazienti, dai medici, infermieri,personale sanitario ecc.. nel momento in cui vengono installate nei luoghi di cura modificano lo spazio

Con-ta-ci, Malaspinarte, 2009

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attività didattiche DOCUMENTAZIONE

Terapeutica dell'arte, workshop a Francavilla al Mare (Ch)

ta – in una’antica lingua orientale traduce “ Le mani che lavorano bene” ci- corrispondente a noi , è comunità , è il tempo e il luogo e la ragione per la quale gli artisti fissano, con la materia, istanti di vita. Con-ta-ci è un rito che si consuma nell’opera, esplicita la volontà di sognare nuovi mondi, oltre la vita, Con-ta-ci è esser-ci - è il mistero dentro di noi e permette allo spazio di essere infinito come in un sogno. Con-ta-ci è la possibilità di fare arte insieme, con gioia e piacere per tutti e tutto questo è Terapeutico

e l’estraniamento che ogni paziente vive all’interno di strutture che per essere riconosciuti come luoghi specializzati della cura hanno perduto totalmente la relazione con il paziente e si è reso sterile ogni forma di contatto. Molte sono le Opere Condivise che in questi sette anni si sono installate nei luoghi di cura e molte sono state le mostre realizzate con le opere condivise. Nel Maggio del 2009, nella Chiesa di San Carpoforo a Milano si è tenuta una mostra intitolata “Arazzi della legalità”, in cui venivano esposti 10 arazzi di grandi dimensioni realizzati nella Sezione femminile del Carcere di Bollate. La sezione femminile di Bollate è stata aperta il 18 febbraio del 2008. Le ospiti sono 40. Per loro, come per tutte le donne, la carcerazione è ancora più pesante che per gli uomini. Non solo: in un istituto definito “aperto” come La Casa di Reclusione di Bollate , per molti anni solo maschile, ai detenuti è concessa libertà di movimento quasi totale all’interno, mentre le donne, sono quindi costrette a vivere per lo più all’interno del reparto detentivo, senza poter fruire appieno delle opportunità lavora-

tive, formative e sportive che l’istituto offre. Carcere nel carcere. A quel tempo la direttrice era Lucia Castellano che ha aperto con piacere le proprie porte alla Terapeutica Artstica considerando il progetto un esperimento da tentare. Le poliziotte ci misero a disposizione uno stanzone, che si riempì di tessuti e fili colorati, forbici aghi e tinte, per dare forma agli “arazzi della legalità.” Un anno di lavoro comune, artiste e detenute. Alla fine, tutti hanno constatato la bellezza delle opere realizzate. Per dare continuità al progetto, è nata, insieme alle detenute, l’idea di realizzare un laboratorio artigianale del feltro, con la vendita all’asta degli arazzi. Le opera di feltro realizzate all’interno del carcere consistevano in grandi tappeti realizzati con i piedi danzando. La stessa opera è stata riproposta in diverse piazze d’Italia con una elevatissiva partecipazione. Ogni Opera condivisa porta le firme di tutti i partecipanti. Ho trovato un acronimo per sottoscrivere la nostra condivisione: Con-ta-ci Fondato nel 2007 Con-ta-ci significa: Con- “con-divisione” -”con-nessione” .

La nostra scommessa è quella di contribuire alla costruzione di un progetto d’integrazione tra due sguardi, quello psichico e quello artistico, aventi come finalità la comprensione dell’individuo colto nella sua dimensione antropologica esistenziale e di conseguenza una nuova, reale prospettiva dell’arte. Perciò il contributo importantissimo del convegno “TERAPEUTICA, l’arte in teoria e in pratica”, 8/9 APRILE 2011, tenutosi all’Accademia di Belle Arti di Brera è stata un’ulteriore occasione di crescita del progetto e di visibilità dei risultati raggiunti. L’incontro di diversi sguardi e ambiti professionali ed espressivi ha creato un momento di confronto e di re-visione dell’esperienze che da tempo sono state avviate dalla Terapeutica Artistica in molti progetti sperimentali. Medici, psicoanalisti, artisti terapisti, filosofi, musicisti, performer, danzatori, hanno animato le giornate del convegno grazie all’energia creativa, alla ricchezza del materiale visivo e ai contenuti teorici dei loro interventi. L’evento è stata un’occasione per approfondire, l’alleanza terapeutica delle Arti e il ruolo che l’artista occupa in questo contesto attraverso la comune passione per la creatività.

Installazione al Castello di Lerici, 2008

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Regent’s Park, London

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Frieze Art Fair a cura di Roberta Minnucci

iunta alla sua decima edizione, G Frieze Art Fair si conferma un appuntamento irrinunciabile di importanza

internazionale e cambia nome in Frieze London per distinguersi dalle due sorelle appena nate: New York e Masters. L’edizione 2012 viene ospitata come sempre a Regent’s Park, in una struttura temporanea costruita dagli architetti Carmody Groarke che ingloba gli alberi del parco all’interno degli spazi espositivi, e che vede al proprio interno la partecipazione di 175 gallerie da tutto il mondo, compresi paesi come Argentina, Cina, Columbia, Ungaria, India, Korea e Sud Africa. Sette le partecipazioni italiane: Massimo De Carlo (Milano), Giò Marconi (Milano), Galleria Franco Noero (Torino), Galleria Lorcan O’Neill (Roma), Galleria Raucci/Santamaria (Napoli), T293 (Roma) e Fonti (Napoli). Se nell’insieme le proposte delle gallerie non stupiscono particolarmente, i grandi nomi invece non deludono e si fanno notare per le loro scelte di qualità. Victoria Miro (Londra) presenta Elmgreen & Dragset, Grayson Perry, Yayoi Kusama, Maria Nepomuceno, Chris Ofili e Peter Doig, mentre Gagosian (Londra) rimane fedele a Damien Hirst, Giuseppe Penone e Paul Noble. Lisson (Londra, Milano, New York) espone Anish Kapoor e sculture e mosaici di Julian Opie, mentre Hauser & Wirth (Londra, Zurigo, New York) punta su Paul McCarthy con l’imponente scultura White Snow Head, e su Jason Rhoades con la curiosa Shelf (Mutton Chops) with Unpainted Donkey. Nello stand della White Cube (Londra) colpisce per la sua raffinatezza il ritratto Our Parents (cenere su lino) di Zhang Huan, e da Sadie Coles HQ (Londra) l’oscillante e provocatoria Mumum di Sarah Lucas. Waddington Custot Galleries (Londra) scommette sui classici Robert Indiana e Barry Flanagan, Andrea Rosen Gallery (New York) e Galerie Chantal Crousel (Parigi) su Wolfgang Tillmans; quest’ultima espone anche Untitled (What a load of rubbish) di Claire Fontaine, che ripropone la polemica dell’acquisizione da parte della Tate dei “Bricks” di Carl Andre. Galerie Barbara Weiss (Berlino) ospita un’ampia selezione di opere di Thomas Bayrle, mentre David Kordansky Gallery (Los Angeles) propone con successo una serie di dipinti di Jonas Wood. Interessanti le proposte della galleria Project 88 (Mumbai): l’inquietante essere antropomorfo a terra ricoperto di peli Lost and Found di Huma Mulji e la serie Gallery of Losers di Sarnath Banerjee commissionata per Frieze Projects East. La Kukje Gallery (Seul) attira l’attenzione con Flip Fleet Flow Units di Haegue Yang, che si serve delle forme e dei colori di comuni tapparelle per creare una suggestiva installazione, mentre la Galerie Perrotin (Parigi) ospita le sculture di Johan Creten, la suggestiva foto Women Are Heroes, Eye on bricks-New Delhi di JR, e le fotografie di grande formato di Paola Pivi. Nella sezione Frame , dedicata a 25 gallerie con meno di sei anni di attività che presentano un solo artista, spicca François Ghebaly Gallery con video e dipinti di Mike Kuchar dalla provocatoria tematica omosessuale. In questa edizione 2012 la fiera si ar-

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1. Zuang Huan, Our Parents (2008) White Cube, London [Frieze London 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze] 2. Paul McCarthy, White Snow Head (2012) Hauser & Wirth [Frieze London 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze] 3. Sarah Lucas ‘Mumum’ (2012) Sadie Coles London [Frieze London 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze] 4. Galerie Chantal Crousel, Paris [Frieze London 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze] 5. Victoria Miro, London [Frieze London 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze] 6. Frieze London 2012 [Ph. Graham Carlow Courtesy Graham Carlow/ Frieze] 7. Thomas Bayrle ‘Sloping Loafers / Smooth’ (2012) Commissioned and produced by Frieze Foundation for Frieze Projects 2012 [Frieze London 2012 - Ph. Polly Braden - Courtesy Polly Braden/ Frieze] 8. Grizedale Arts & Yangjiang Group, Colosseum of the Consumed’ (2012) Commissioned and produced by Frieze Foundation for Frieze Projects 2012

ricchisce anche della nuova sezione Focus, per gallerie aperte dopo il 2001 che espongono fino a tre artisti e che sono state selezionate dai curatori Rodrigo Moura e Tim Saltarelli; tra le altre, presente la Galleria Fonti di Napoli con Fabian Marti, Giulia Piscitelli e Daniel Knorr con Stolen History, settanta fotografie che documentano la performance del 2008 in cui l’artista ha oscurato con passamontagna i volti delle sculture cittadine di Copenhagen. A dar vitalità a Frieze 2012 contribuisce in maniera decisiva il validissimo programma di Frieze Projects, che anima gli spazi interni ed esterni con sei progetti commissionati ad altrettanti artisti. Il lungo corridoio che accoglie il visitatore all’entrata è una coloratissima installazione di Thomas Bayrle che ricopre pareti e pavimento con un pattern di scarpe verdi, rosse e gialle, mentre negli spazi interni l’artista sceglie il logo del formaggio francese La vache qui rit, segnalando in maniera giocosa gli spazi di sosta della fiera. Passando da uno stand all’altro, si incrocia This Is Your Audio Guide di Cécile B.Evans, vincitrice dell’Emdash Awardz, che anima delle divertenti guide in 3D facendo parlare specialisti di altri settori che forniscono una visione diversa sulle opere esposte, un punto di vista soggettivo che rimanda al potere emozionale dell’arte. Esplora il rapporto tra fiction e realtà, tra autorità e arte, Murders in Three Acts di Aslı Çavu�o�lu, che mette in atto e filma una puntata di un’ipotetica fiction proprio all’opening di

Frieze: tra uccisioni ed indagini, lo spazio del delitto e il video rimangono a disposizione del visitatore insieme alle opere d’arte. Una curiosa struttura cilindrica in legno con una tavola apparecchiata si presenta come il Colosseum of the Consumed: è il progetto di Grizedale Arts & Yangjiang Group che indaga la stretta relazione tra arte e cibo con un fitto programma quotidiano di degustazioni e performances, con la partecipazione di artisti, chefs, storici dell’alimentazione e specialisti del settore, mentre completamente virtuale, visitabile on line, è quello di DIS Magazine, che in Fair Trade utilizza gli spazi della fiera come set per scatti fotografici e video. Joanna Rajkowska con Forcing a Miracle fa sprigionare una nuvola di incenso nell’aria autunnale di Regent’s Park: un parallelo tra i rituali della fiera e delle cerimonie religiose, ed una transizione dal sapore spirituale che introduce il visitatore allo Sculpture Park, una serie di sculture di grandi dimensioni selezionate da Claire Lilley. Le opere che popolano gli spazi verdi del parco sono di Yayoi Kusama, Anri Sala, Hemali Bhuta, Adip Dutta, Sam Falls, Hans Josephsohn, Alan Kane and Simon Periton, Sean Landers, Michael Landy, Peter Liversidge, Andreas Lolis, Jean-Luc Moulène, David Nash, Damián Ortega, Thomas Scheibitz, William Turnbull, Maria Zahle. Permettono una suggestiva passeggiata tra arte e natura, ed accompagnano il visitatore all’altra art fair, la nuovissima Frieze Masters.

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

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9. Zuang Huan, Our Parents (2008) White Cube, London Frieze London 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze 10. Anri Sala, Clocked Perspective (2012) Frieze London 2012 - The Sculpture Park - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze 11. Yayoi Kusama, Flowers That Bloom Tomorrow (2011) Frieze London 2012 - The Sculpture Park - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze 12. Peter Liversidge, Everything is Connected (2012) Frieze London 2012 - The Sculpture Park - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze 13. Richard L. Feigen & Co, New York - Frieze Masters 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze 14. Sam Fogg, London - Frieze Masters 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze 15. Edward Tyler Nahem Fine Art, New York - Frieze Masters 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze 16. Stair Sainty Gallery, London Frieze Masters 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze 17. Koetser Gallery, Zurich - Frieze Masters 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze 18. Richard Avedon, Gagosian Gallery, London - Frieze Masters 2012 - Ph. Lyndon Douglas - Courtesy Lyndon Douglas/ Frieze 19. Jean-Luc Baroni, London Frieze Masters 2012 - Ph. Linda Nylind - Courtesy Linda Nylind/ Frieze

Regent’s Park, London

Frieze Masters rieze Masters è indubbiamente la riF velazione di quest’anno dell’art week londinese.

Nata per accogliere l’arte dall’antichità al duemila, questa fiera appena nata riesce già ad oscurare la parallela Frieze London e ad imporsi come una pericolosa rivale per Tefaf Maastricht. Lasciando gli spazi rumorosi ed affollatissimi della prima fiera, arrivare a questa è quasi un sollievo, e il visitatore si rende immediatamente conto della differenza, qualitativa e quantitativa, che sta alla base. L’accogliente spazio espositivo è una struttura essenziale e luminosa realizzata da Selldorf Architects di New York che all’esterno si integra perfettamente con il parco, lasciando all’interno spazio e respiro per godere dei lavori esposti. Il piacevole percorso espositivo è un viaggio a ritroso nell’arte di migliaia di anni da Andy Warhol, Thomas Schütte, Francis Bacon, Man Ray, Henry CartierBresson fino al 3000 a.C. passando per sculture romane, medievali, orientali, i maestri fiamminghi, Rubens e Tiepolo, Guido Reni e Füssli, Géricault e Picasso. Altissimo il livello delle proposte delle gallerie, ed altrettanto valido l’allestimento. Alcune, come Bacarelli Botticelli (Firenze) e Koetser Gallery (Zurigo), ne fanno il proprio punto di forza, simulando e lasciando visibili casse ed imballaggi del trasporto insieme alle opere. Per le altre le opere parlano da sole e

nell’allestimento essenziale riescono ad imporsi con tutta la loro forza. Diverse gallerie scelgono di puntare sulla fotografia: bellissime le immagini di Richard Avedon che indagano i volti del West americano scelte da Gagosian (Londra, New York) e quelle di Henry Cartier-Bresson e di Joseph Koudelka sui gitani esposte da Eric Franck Fine Art (Londra). Le scelte monografiche risultano le più funzionali: emergono tra le altre la raffinata selezione di Morandi della Galleria d’Arte Maggiore (Bologna) e i lavori di Henry Moore presentati da Osborne Samuel (Londra). Alcune gallerie si concentrano su un percorso tematico: Edward Tyler Nahem Fine Art (New York) sul ritratto contemporaneo con opere di Picasso, de Kooning, Warhol, Rotella e Basquiat; Robilant + Voena sulle vedute di Vanvitelli, Canaletto, Pannini, aggiungendo a lato Boldini e Morandi. Le altre presentano più artisti insieme, puntando sulle grandi figure dell’arte moderna e contemporanea. Faggionato Fine Art (Londra) espone una serie di opere di Thomas Schütte insieme a Calder, Warhol, Bourgeois, Picasso Vuillard, Redon e Richter, Alan Cristea Gallery (Londra) mette insieme gli storici Matisse, Mir�, Picasso e Jim Dine, Hamilton, Caulfield e Wesselman. Acquavella Galleries (New York) espone Bonnard, Freud, Mir�, Dubuffet e Bacon insieme a Arp, Magritte, Matisse e Picasso, Richard L. Feigen & Co. (New York) unisce secoli di storia esponendo sculture antiche con Richard Smith e Claes Oldenburg, insieme a Füssli e ai maestri della ritrattistica inglese dell’Ottocento: Romney, Lawrence,

Gainsborough, presente anche da Lowell Libson Ltd (Londra) insieme a William Blake e John Constable. Cheim & Read (New York) sceglie opere degli anni Sessanta e Settanta di Lynda Benglis, Louise Bourgeois, Hans Hartung, Jannis Kounnellis, Jean Luc Baroni Ltd (Londra) propone un incantevole Tiepolo con Otto Friedrich, Klimt e Redon. Nonostante l’Ottocento e il Novecento europeo siano prevalenti, altri secoli e geografie trovano ugualmente posto nella fiera. Sam Fogg (Londra) espone delle monumentali gargouilles medievali e dipinti del Cinquecento europeo, De Jonckheere (Parigi) i maestri fiamminghi Jan Massys, Brugel il Giovane, Cranach il Vecchio, ed altre gallerie arte antica dell’Oriente. Tra i capolavori da ricordare, i baccanti di Guido Reni di Adam Williams Fine Art Ltd (New York) e il ritratto maschile di Théodore Géricault della Stair Sainty Gallery (Londra). Nella sezione Spotlight ventidue gallerie presentano l’opera di un solo artista del XX secolo. Il risultato della selezione, a cura di Adriano Pedrosa, vede una concentrazione di artisti che hanno lavorato soprattutto negli anni Sessanta e Settanta richiamandosi all’arte concettuale e femminista e che spaziano dall’Europa agli Stati Uniti, dall’Asia all’America Latina e all’Est. La proposta più interessante viene presentata da Parra & Romero (Madrid) con Luis Camnitzer; spiccano tra le altre la Galeria Graça Brandão (Lisbona) con Lygia Pape, Sperone Westwater (New York) con Bruce Nauman e Bernier/Eliades con Pier Paolo Calzolari. GEN/FEB 2013 | 243 segno - 75

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Serpentine Gallery, Londra

Memory Marathon

a cura di Luciano Marucci ell’ottobre scorso alla Frieze Week N di Londra, uno degli eventi di maggior richiamo dopo la Fiera era la

Maratona dell’arte attuata dalla Serpentine Gallery che offriva anche il Pavilion 2012 - costruito su progetto immaginifico e funzionale degli architetti svizzeri Jacques Herzog & Pierre de Meuron e dell’artista dissidente cinese Ai Weiwei - e la vasta mostra monografica del multiforme Thomas Schütte in veste di ritrattista. Memory Marathon - curata con impegno e competenza da Julia Peyton-Jones e da Hans Ulrich Obrist, dinamico esploratore delle esperienze pionieristiche del passato e del contemporaneo - come sempre era relazionata al Padiglione che quest’anno era chiaramente riferito all’archeologia. Si è tenuta in due giorni no-stop (13 e 14, dalle 11 alle 23), ma ha avuto l’anteprima il 12 con un concerto di musica elettro-acustica del libanese Tarek Atoui e dei 14 componenti del suo gruppo che si sono esibiti alternativamente per ben cinque ore. Questa settima edizione - dedicata allo storico e scrittore britannico Eric Hobsbawn che avrebbe dovuto essere presente e che purtroppo ci ha lasciato il 1° ottobre - ha affrontato il tema della memoria da varie angolazioni, coinvolgendo una cinquantina di autorevoli personaggi, tra artisti ed esperti di altre accreditate attività umane. Così, per esempio, è stato possibile assistere agli interventi di Israel Rosenfield (docente di storia intellettuale), John Hull (teologo), Edward Cooke (specialista di tecniche dell’apprendimento), John Berger (regista e scrittore), Etel Adnan (scrittrice e poetessa), Marcus du Satutoy (matematico), Amos Gitai e Adam Curtis (filmmakers), Tim Bliss (neuropsicologo), Brian Dillon (editore), Richard Hollis (graphis designer), Alice Rawsthorn (critica del design), Dimitar Sasselov (astrofisico), Donald Sassoon e Jan Winter (storici), Timothy Taylor (archeologo), Eyal Weizman e Fomihiko Maki (architetti), Luc Steels (ingegnere robotico), David Goldblatt (fotografo), Dara Birnbaum (videomaker); Ed Atkins, Douglas Gordon, Mariana Castillo Deball, Dominique Gonzales-Foerster, Isabel Lewis, Michael Stipe (artisti). Ovviamente non sono mancati momenti spettacolari ed emozionanti. Sull’avvenimento ho conversato brevemente con Obrist:

promuovere connessioni sconfinando in luoghi extrartistici… - L’idea è quella di un pool di saperi, di far incontrare in 48 ore una vasta gamma di partecipanti: artisti, architetti, registi, musicisti, scienziati, teorici e scrittori in un continuo programma performativo di relazioni, esplorazioni, spettacoli musicali e teatrali, proiezioni di film, discussioni ed esperimenti. È un po’ come un festival dove si lanciano nuovi spunti, si stabiliscono rapporti tra i rappresentanti di tante discipline e con i visitatori. L’operazione sarebbe piaciuta anche all’enciclopedico Diderot… - Può darsi, sì. Stai offrendo materiali pure a Google… - È un progetto che naturalmente si può trovare su internet, ma è anche un incontro molto fisico, perché ha luogo sotto una cupola geodetica accanto al Padiglione, il ‘sito archeologico’ realizzato da Herzog & de Meuron e da Ai Weiwei, il quale - come si sa - non può venire dalla Cina, perché è senza visto nel passaporto. Ma ci sono i due architetti e proietteremo un filmato su Ai Weiwei. In pratica, quali valori della memoria si vogliono salvare negli incontri con i numerosi esperti? - Cerchiamo di capire quale importanza Nella foto di apertura, Alberto Garutti con l’interprete (ph. L. Marucci); Daniel Buren parla della sua realizzazione per Monumenta al Gran Palais di Parigi (ph. L. Marucci)

Gilbert & George in dialogo con Hans Ulrich Obrist (ph. L. Marucci)

abbia oggi la memoria per l’arte, come essa viene definita, dove è la punta della neuroscienza. Vogliamo vedere se si tratta di ricordare, di dimenticare, di protestare contro l’ovvio, come afferma il grande Eric Hobsbawn. Vogliamo dire che la memoria è complessa e talvolta pericolosa. Per quali requisiti è stato chiamato Alberto Garutti? - Garutti ha sempre lavorato sul tema della memoria, se pensiamo anche al modo con cui utilizza e dinamizza le tracce del passato. La sua partecipazione alla “Marathon” è anche un’estensione delle mostre di Milano; una collaborazione con la città, con l’assessore Stefano Boeri e la critica e storica dell’arte Paola Nicolin, che hanno voluto l’esposizione di Garutti al PAC, da poco inaugurata, e Fuoriclasse. 20 anni di arte italiana nei corsi di Alberto Garutti, allestita alla GAM con una selezione di opere di artisti che hanno avuto o hanno Garutti come docente nelle Accademie di Bologna, Milano e Venezia. Anche i padiglioni estivi di architettura realizzati presso la “Serpentine” vogliono favorire conoscenze, interazione ed evoluzione? - Vogliono dare concretezza all’idea di creare una ‘scuola’ permanente, un festival di saperi che non esiste ancora, come ho accennato g Va sottolineato che le Maratone sono una rara occasione per approfondire temi di attualità in modo interdisciplinare e scientifico, creare ibridazioni dando un sostanziale apporto alla conoscenza di complesse questioni culturali del mondo globalizzato e, quindi, favorire in particolare il progresso delle arti visive. Data la vastità dei contributi, mi soffermo su quelli dei più noti artisti: Daniel Buren, Gilbert & George e Alberto Garutti (unico italiano). Buren ha commentato Memories from 3 destroyed works, ricordando che questi lavori ora esistono solo nella memoria: il travail in situ del 1987 per la “Serpentine”, quello tra i resti della sinagoga Il pubblico sotto la cupola geodetica assiste all’intervento di Alberto Garutti (ph. L. Marucci)

Serpentine Gallery, Padiglione 2012 progettato da Herzog & de Meuron e Ai Weiwei [© Herzog & de Meuron e Ai Weiwei; © immagine: Iwan Baan 2012]

> Se non sbaglio, l’annuale “Marathon” rappresenta un modello operativo di riferimento non convenzionale, una sorta di attivismo ragionato e coordinato. Creare sinergie su un determinato argomento significa 76 - segno 243 | GEN/FEB 2013

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE a Ostia antica e Excentrique(s) per Monumenta al Grand Palais di Parigi del maggio scorso. Nel dialogo con Obrist ha chiarito il significato delle sue “photo-souvenir”, immagini delle opere che archivia da 45 anni. Pur riconoscendo l’importanza della memoria per la loro esistenza, non vuole esporle nelle mostre, né tanto meno commercializzarle. Rifiuta l’idea che la documentazione diventi a sua volta opera, dal momento che un’installazione, realizzata per un determinato luogo, non può essere considerata indipendentemente da esso. L’attesa partecipazione di Gilbert & George non ha deluso. Nella conversazione con Obrist i due artisti hanno affermato di credere nello spirito della memoria, ma che essa è imperfetta perché nel tempo si perde, rispetto alle immagini che invece aiutano a ricordare e a rivivere le sensazioni del vissuto. Per questo da settant’anni archiviano foto, cartoline e altro che utilizzano nella pratica artistica, capace di congelare il tempo. Guardando le immagini possono tornare in mente anche le canzoni dell’età giovanile… A questo punto, assumendo una statuaria posizione, hanno riproposto una Singing Sculpture in un duetto dalla perfetta sintonia. Poi, ripensando a una mostra di foto tenuta in passato a Brussels e all’intervista in forma di testo psicologico (durata tre minuti), rilasciata alla radio belga, hanno recitato una nuova versione di Brussels Alphabet in un serrato ping-pong, che aveva lo scopo di contestare la percezione che la società ha nei confronti di termini considerati offensivi e osceni. Quindi, l’incontro ha avuto anche il carattere di divertente performance. Il calibrato e inventivo intervento di Garutti è partito dalla distribuzione al numeroso pubblico di un foglietto colorato con stampata la frase “Every step that I have taken in my life has brought me here, now” (“Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora”) Ecco alcuni passaggi dell’essenziale testo da lui letto: “Mi interessa la possibilità di concepi-

re un’opera che induca lo spettatore al ricordo, che inviti ogni persona che leggerà questa breve frase […] a ricostruire una cartografia personale, una geografia sentimentale che, dall’infanzia attraverso l’adolescenza e forse la maturità, possa essere ricomposta per punti, istanti, attraversamenti e frammenti fino a guidarci qui, ora.” “L’opera è una macchina finalizzata alla produzione di ricordi, infiniti. Così personali, da essere anche collettivi. […] si costituisce e informa della moltitudine di pensieri e immagini che si producono nelle menti dei lettori, spettatori, visitatori, passanti occasionali e cittadini. L’opera ha luogo nel presente del passato e si dispiega tra le fila parallele delle vite di tutti noi, qui ora”. […] “L’opera ci invita a soffermarci, a provare a ricomporre e ricordare. L’opera, nel tentativo di riannodare tutte le fila, tutti i passi di un’esistenza, svela l’impossibilità della stessa ricostruzione: ecco dunque il suo senso poetico. Nella capa-

cità del presente - dell’attimo presente - di manifestare un dolore elementare. Il senso della perdita”. “Tutti passi che abbiamo fatto nella nostra vita, ci hanno portato qui, ora” Le parole di Garruti si sono configurate come una dichiarazione programmatica che ha definito l’identità di certo suo lavoro e, nello stesso tempo, la costruzione occasionale di un’originale opera concettuale intersoggettiva, dai contenuti filosofici e ideali, poetici ed esistenziali g

Nella sequenze fotografiche di questa pagina (dall’alto in basso): Marcus du Sautoy, Ed Atkins, Dara Birnbaum, John Berger, Israel Rosenfield con Ed Cooke e John Hull, Mariana Castillo Deball, Isabel Lewis, Etel Adnan (ph L. Marucci)

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dal web al cartaceo a cura di Paolo Spadano

ACRI

Pop Art a Torino!?

Al MACA - Museo Arte Contemporanea Acri (cs), Pop Art a Torino!?, mostra incentrata su cinque figure centrali nell’evoluzione artistica della città di Torino e dell’intero panorama italiano della seconda metà del secolo scorso: Boetti, Gilardi, Mondino, Nespolo e Pistoletto. La mostra evidenzia quanto, secondo il curatore Francesco Poli, questi artisti nel loro operare fossero sovente più affini al mondo della Pop Art, che non a quello del poverismo.

La Galleria Formaquattro ha proposto Tout se tient, mostra che trae spunto dal mutuo scambio tra artista e memoria plastica del mondo, esplicitandosi attraverso la documentazione delle fasi progettuali nella ricerca scultorea di Iginio Iurilli, nell’installazione di Giulio De Mitri e nel design di Fabio Vinella.

Giannetti e Gatto

Il Beluga art project space di Rustigliano ha presentato una mostra dal titolo La donna elefante cerca la verità elefante, a cura di Antonella Marino con opere di Gianmaria Giannetti e Chiara Gatto. L’apparente levità del titolo spalanca le porte a ben altro spessore, sfiorando con disincanto non cinico profonde questioni ontologiche, sdrammatizzandole con l’espediente del paradosso.

ANCONA

Valeriano Trubbiani

AREZZO

Fermariello / Capponi

Gli spazi espositivi della Galleria Comunale d’Arte Contemporanea hanno ospitato Mitico Minimale, esposizione di Sergio Fermariello a cura di Fabio Migliorati, progetto fatto di grafie leggiadre e codici espressivi evoluti condotti alla connotazione di alfabeti antropologici primordiali. Nella Sala Sant’Ignazio, Perspicere, mostra di Antonella Capponi, artista umbra la cui ricerca si lega ai temi del cammino interiore e degli attraversamenti di campo.

BOLOGNA

Between Form and Movements

La Galleria Enrico Astuni ha presentato, con la mostra Between Form and Movements, l’opera di artisti internazionali che indagano la produzione dello spazio nelle sue connotazioni sociali, politiche e architettoniche, per poterlo esplorare attraverso il suo potenziale performativo. Protagonisti Can Altay, Kevin van Braak, Aldo Giannotti, Shaun Gladwell e Maurizio Mochetti.

alla galleria Antonella Cattani. Quindici opere inedite, nate sotto il segno di una speciale condivisione, quella tra i rapporti di forza-fragilità, di pieno-vuoto.

BRESCIA

Accardi e Halley

Alla galleria Massimo Minini, Carla Accardi e Peter Halley protagonisti di un’importante esposizione, confronto tra le rispettive decennali ricerche su forma, geometrie e colore. In mostra tutte opere recenti e, in particolare quelle di Halley, realizzate appositamente per questa occasione. Carla Accardi, Verso il Blu, 2007, acrilico su tela, cm.160x220

Thomas Deyle

Lo Studio G7 ha presentato, a cura di Peter Weiermair l’esposizione Albedo, personale di Thomas Deyle, artista che si confronta con natura e ambiente circostanti, isolandone due elementi basilari per l’esperienza visiva, il colore e la luminosità, presenti nella doppia veste di oggetto di studio e, allo stesso tempo, mezzo espressivo.

Piero Gilardi, All’indomani della Burrasca, cm.150x150x20, courtesy MACA, Acri (cs)

Nelle sale espositive della monumentale settecentesca Mole Vanvitelliana, grande mostra antologica di Valeriano Trubbiani, De rerum fabula, comprendente sculture, ambientazioni, disegni e pirografie, realizzate dagli anni Sessanta fino al primo decennio del Duemila. Evento promosso dal Museo Tattile Statale Omero e curato da Enrico Crispolti.

Aldo Giannotti, Senza Titolo, 2012, disegno montato su cornice, listello, vetro acrilico, pannello in gommapiuma, cm.100x70, courtesy Enrico Astuni, Bologna

Gianmaria Giannetti, Orizzonti, courtesy Beluga art project space, Rustigliano (ba)

BERGAMO

Corpicrudi e Giunta

La Traffic Gallery ha proposto il mix di musica, danza, arte performativa, fotografia, disegno, scultura, che compone Sinfonia in Bianco Minore, progetto espositivo che ha coinvolto il duo Corpicrudi e Daniele Giunta, in cui i video e alle fotografie dei primi si interfacciano alle pitture di Giunta, le cui cosmologie esplorano la percezione dell’essere e del reale, nello spazio e nel tempo dilatati dell’infinito.

Thomas Deyle, Albedo, courtesy Studio G7, Bologna

Peter Halley, Mystica, 2012, acrilico su tela, cm.198x211, courtesy Massimo Minini, Brescia

CASTELBASSO

Nicola Evangelisti Scatti e scritti La Galleria OltreDimore ha proposto la mostra Temporary Illusions di Nicola Evangelisti, a cura di Olivia Spatola e in collaborazione con Eli Sassoli de’ Bianchi. Attraverso studi sulla psicologia della forma e della percezione delle immagini, teoria della Gestalt, l’artista ha realizzato installazioni e video-installazioni interattive il cui completamento percettivo è di natura mentale.

La Fondazione Malvina Menegaz, nella cornice di Palazzo Clemente, nel Borgo Medievale di Castelbasso (te), propone Scatti e scritti. Il borgo, il territorio, le persone, esposizione di fotografie di Giovanni Lattanzi e da album di famiglia, a cura di Giuseppe Di Melchiorre e Marina De Carolis. Le persone del borgo e del territorio, persone di ieri e di oggi, raccontano la trama di una piccola storia che si è dipanata nel tempo e che oggi continua negli sguardi, nei sorrisi e nei gesti che ne compongono la quotidianità.

Corpicrudi, Sinfonia, courtesy Traffic Gallery, Bergamo

BIELLA Giuliano Galletta

La galleria Silvy Bassanese ha inaugurato la stagione espositiva autunnale con Non voglio essere me stesso, personale di Giuliano Galletta a cura di Viana Conti, imperniata su profondi interrogativi sul tema dell’identità individuale e collettiva, ma anche sul problema della coscienza. Giuliano Galletta, courtesy galleria Silvy Bassanese, Biella

Nicola Evangelisti, Coins Explosion, 2012 courtesy OltreDimore, Bologna

Hanne Darboven

La galleria P420 ha allestito nei suoi spazi la mostra Index, retrospettiva di Hanne Darboven curata da Miriam Schoofs. Dell’artista tedesca, tra le figure più rilevanti dell’Arte Concettuale, presente una selezione di lavori realizzati tra gli anni ‘70 e la metà degli anni ‘90, oltre ad alcuni tra i suoi più significativi libri d’artista, per i quali lei stessa amava definirsi scrittrice prima ancora che artista.

Scatti e scritti, courtesy Fondazione Malvina Menegaz, Castelbasso (te)

CATANIA

Alfio Lisi

Sergio Fermariello, courtesy l’artista

Nelle sale espositive Ariston, Alfio Lisi presenta la propria produzione dell’ultimo decennio nella mostra Pop-Hard ovvero non sono Andy Warhol: opere, collage e d’intorni.

BARI

Tout se tient Iginio Iurilli, Impronta di Giunone, courtesy Galleria Formaquattro, Bari

Alfio Lisi, Hope, courtesy l’artista Hanne Darboven, Index, panoramica dell’allestimento, galleria P420, Bologna

BOLZANO

Giuseppe Spagnulo

Esposizione personale di Giuseppe Spagnulo dal titolo Sole rosso, sole nero 78 - segno 243 | GEN/FEB 2013

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Il Rito della Luce

Il 21 dicembre, giorno in cui secondo alcuni i Maya avrebbero profetizzato la fine di tutto, la Fondazione Fiumara d’Arte di Antonio Presti ha voluto affermare l’eventualità della fine di “un” mondo, la fine di un approccio consumistico e spersonalizzante alla vita, e lo ha fatto con Il Rito della Luce, risposta spirituale volta a un futuro di condivisione e conoscenza partita proprio dai più giovani abitanti di Librino, quartiere difficile di Catania, e che ha coinvolto 30 scuole, 120 artisti, 40 poeti, 30 associazioni, 40 fotografi, 150 musicisti, 5 gruppi etnici differenti.

dell’ambiente che l’artista porta avanti da anni all’incrocio tra grafica, film, disegno e fumetto.

LECCE

Imaginarium Matteo Montani, L’acqua viva, 2006, courtesy Fondazione CariChieti

Simongini, presenta e confronta complessivamente oltre trenta opere, con speciale attenzione alle produzioni degli ultimi anni.

CIVITANOVA MARCHE

CATANZARO Non ti farai Memorie d’artista immagine alcuna e… dintorni Alla galleria Per mari e monti, Non ti faAl Centro per l’arte contemporanea Open Space Memorie d’artista e… dintorni, mostra dedicata al libro d’artista con lavori realizzati tra il 2008 e il 2012 su invito di Roberto Peccolo da: Bertini, Blank, H.Chopin, Conte, Crespo, de Jong, G.De Mitri, D’Oora, Errò, Formenti, Gandini, Gut, Lombardi, Lora-Totino, Lucca, Maier, Melcher, Morandi, Parant, Peruz, Pignotti, Pozzi, Romanelli, Ruffi, Spagnoli, Varisco, Violetta.

rai immagine alcuna, collettiva il cui titolo deriva dal gelido precetto dettato sul Monte Sinai a Mosè e che apre il Decalogo e può essere vista come sorta di commento laico sul tema dell’immagine di Dio. Opere di Böcklin, Bordoni, Chia, Consorti, De Molfetta, Di Stasio, Giacomelli, Hassan, Ivancich, Kostabi, H.H.Lim, Manzù, Montesano, Nitsch, V. Paniccia, Pisani, Taioli.

FIRENZE

Nanni Balestrini

Frittelli arte contemporanea ha presentato Tristanoil di Nanni Balestrini, il film più lungo del mondo, già presentato alla Fondazione Marconi di Milano e in visione a Kassel per tutta la durata di Documenta 13. Il film è generato attraverso un computer che riassembla, in sequenze di 10 minuti ciascuna, oltre 150 clip video in modo che ogni sequenza sia diversa dall’altra pur trattando il medesimo argomento: la distruzione del pianeta attraverso un uso predatorio delle sue risorse.

Errò, courtesy Open Space, Catanzaro

Lo sguardo espanso

Nel Complesso Monumentale del San Giovanni, Lo sguardo espanso. Cinema d’artista italiano in mostra, esposizione curata da Bruno Di Marino, Andrea La Porta e Marco Meneguzzo a narrare la storia del nostro cinema d’arte attraverso i lavori di oltre 50 autori, spaziando dal Futurismo fino all’odierna era digitale: da Ginna e Corra, Bragaglia e L. Veronesi a Munari, Patella e Bene.

Primo Piano LivinGallery ha proposto la mostra Imaginarium: miti, fiabe, allegorie e leggende nell’era di Internet, evento di arte insolita e visionaria che ha inglobato angosce, inquietudini e sogni degli artisti invitati a esporre: Almazrouie, De Gennaro, Dutton, Özeskici, Frisenda, Imperiali, Manieri, Miccoli, Koppa, Jovićević, Mattsson, Passaro, Snider, Crawford, Varga e Victore.

Arnaldo Miccoli, Man with a green face, courtesy Primo Piano LivinGallery, Lecce

LIVORNO

Nelio Sonego

Alla Galleria Giraldi, Orizzontaleverticale, personale di Nelio Sonego composta da trenta opere, tra tele e lavori su carta, realizzati con l’ausilio di colori ad acrilico spray nell’arco dell’ultimo decennio.

MILANO

FOLIGNO

Al CIAC Centro italiano Arte Contemporanea, con la curatela di Filippo Maggia, Fotografie - Una retrospettiva, grande mostra dedicata a Edward Weston nel

Belle Arti di Brera, è nato il progetto In q… alla pentola. Il cuoco che non c’è. L’idea si inscrive nello storico progetto didattico Trattoria da Salvatore, che dal 1995 indaga attorno al connubio arte e cibo, componenti che l’uomo utilizza da sempre per esprimere se stesso trasformando una materia. Gli allievi hanno lavorato sulle immagini degli chef più noti e riconosciuti oggigiorno in Italia; i ritratti che ne sono scaturiti, sono stati infine applicati sul fondo esterno di diverse pentole.

Mimmo Germanà

Lo Studio d’Arte Cannaviello ha reso un doveroso Omaggio a Mimmo Germanà, a vent’anni dalla morte, con una mostra composta da 24 tele di vario formato, opere che illustrano il lavoro dell’artista fatto di spessori, pennellate dense, figure di una tridimensionalità fatta di pittura, carne e pelle incorporate nell’alveo del quadro.

Jaan Toomik

La Galleria Artra ha aperto la sua stagione espositiva con la mostra RUN di Jaan Toomik, prima retrospettiva italiana del più importante artista estone. In scena un teatro di atti unici, senza scopo apparente, video che presentano una gestualità allo stato puro, esibizione di un’impossibilità di parlare e di una perenne oscillazione tra fissità e movimento, tra tela e fotogramma, cuore pulsante della sua intera ricerca. Centro della mostra il film di fiction Oleg (2010), attorno al quale hanno ruotato video come Jaan (2001) e l’ultima fatica RUN (2011).

Mimmo Germanà, Senza titolo, 1990, olio su tela, cm.80x80, courtesy Studio d’Arte Cannaviello, Milano

Homo Faber

Nanni Balestrini, dollar-000203, still dal video Tristanoil, 2012, stampa a getto d’inchiostro su tela, cm.60x90, courtesy Frittelli arte contemporanea, Firenze

Edward Weston

In q…alla pentola, locandina, courtesy Accademia di Belle Arti di Brera, Milano

Jaan Toomik, Oleg, still dal video courtesy Artra, Milano

In q… alla pentola

In seno al corso di Pittura del Prof. Nicola Salvatore, presso l’Accademia di

Ospitata nelle sale della Rocchetta del Castello Sforzesco, la mostra Homo Faber. Il ritorno del fare nell’arte contemporanea, curata da Mimmo Di Marzio in collaborazione con Nicoletta Castellaneta, ha raccolto opere di oltre 30 artisti di respiro internazionale, in dialogo con i tesori del Castello, con l’intento di sottolineare il legame concettuale e formale fra le opere realizzate a partire dal Medioevo e i linguaggi dell’arte contemporanea. Presenti Bertozzi e Casoni,

Lo sguardo espanso, courtesy Fondazione Rocco Guglielmo, Catanzaro

CHIETI

Bendini e Montani

Un dialogo fra generazioni lontane 5 decenni quello di Vasco Bendini e Matteo Montani nella mostra Così lontani, così vicini, promossa dalla Fondazione CariChieti a Palazzo de’ Mayo nel S.E.T. - Spazio Esposizioni Temporanee. La mostra, ideata e curata da Gabriele Vasco Bendini, dalla serie L’immagine accolta, 2010

cui percorso espositivo trovano spazio tutti i temi indagati dal fotografo americano, dai nudi ai paesaggi, dai suoi peperoni ai giocattoli indigeni trasformati in icone surrealiste e postmoderne; centodieci opere fotografiche originali, scattate dai primi anni venti fino agli anni quaranta

LA SPEZIA

Luca Matti

Vincitore della rassegna annuale Settembre d’Arte, Luca Matti è stato protagonista al CAMeC della mostra Nuovimondi, evoluzione naturale di un lavoro su inquinamento e sfruttamento Luca Matti, Nuovo mondo, 2011, courtesy CAMeC, La Spezia

Genesi del fare, locandina, A arte Studio Invernizzi, Milano

Genesi del fare

La galleria A arte Studio Invernizzi ha ospitato la mostra Genesi del fare, evento che ha ripercorso l’evoluzione di quella direttrice dell’arte contemporanea che ha privilegiato la formazione di una nuova grammatica espressiva, a partire dalla ricerca della sintesi tra colore, atto pittorico, materia e forma. Punto di partenza del percorso espositivo, l’opera Spazio totale: progressioni ritmiche simultanee in variazione vibratile realizzata nel 1953 da Mario Nigro, per dipanarsi poi tra lavori di Aricò, Candeloro, Carrino, Castellani, Charlton, Ciussi, Colombo, Dadamaino, De Marchi, Foxcroft, LeWitt, McCracken, Morellet, Querci, Rückriem, Sonego, Staccioli, Toroni, Tremlett, Varisco, Verjux. GEN/FEB 2013 | 243 segno - 79

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neutics, ha presentato una nuova serie di acquarelli e una selezione di lavori precedenti realizzati in inchiostro di china su carta. Il focus è sulla storia recente dell’ex Unione Sovietica, ma al dramma e alla retorica sono preferiti i toni della satira, della commedia e della fiaba illustrata.

Davide Nido, Onda Frattale, cm.90x100, courtesy l’artista

Alighiero Boetti, Borremans, Ceroli, Collishaw, Cuoghi, Di Piazza, Djurberg, DTao, Guida, Iudice, Jianhua, Kaphar, Marin, Mazzoni, Millar, Rapetti Mogol, Monzo, Mutu, Nasr, Nido, Ontani, Perry, Schinwald, Shaw, Sissi, Steiner, Sung Keun, Tarshito, Tayou, Vezzoli e Wiley.

Maria Mulas

Riccardo Previdi, Cimento dell’armonia e dell’invenzione, 2012, acrilico su tela, 3 pezzi, cm.190x90, courtesy Francesca Minini, Milano

Milan Kunc, Der grosse manager, 1981, cm.37x54.5, courtesy Zonca e Zonca, Milano

Spencer Finch

La sede milanese di Lisson Gallery ha proposto la mostra Not precisely knowing, not precisely knowing not, di Spencer Finch. Esposta una serie di nuovi lavori tra I quali una installazione led site-specific, fotografie e un acquerello di grandi dimensioni che esplora i temi della memoria, del colore e la relazione tra conscio e inconscio.

Lo spazio exfabbricadellebambole ha proposto una selezione di opere di Maria Mulas col titolo Contaminazione.

sezione OPEN, dedicata a collaborazioni con altre istituzioni, con una mostra di lavori su carta e opere scultoree dell’artista brasiliano Bruno Pedrosa. L’evento è stato organizzato in collaborazione con il Lu.C.C.A.. Enrico Savi, Flore-Alia, courtesy Nur Gallery, Milano

Enrico Savi

Nur Gallery, spazio espositivo dell’associazione culturale arsprima, ha ospitato Flore-Alia, personale di Enrico Savi. In questa occasione, il fotografo milanese tradisce il suo elegante bianco e nero, per aprirsi al colore in una vera esplosione cromatica, viaggio psichedelico di forme cangianti e sensuali, tra rimandi letterari ed echi cinematografici. Spencer Finch, The evening star, 2010, alluminio, materiali fluorescenti, diametro cm.275, courtesy Lisson Gallery, Milano

Alberto Garutti

Giuliano Mauri

Alla galleria Maria Cilena, Milano 1976 - Azione alla Palazzina Liberty, mostra a cura di Roberto Borghi con dipinti su tela grezza di Giuliano Mauri, le Lenzuola, una serie di foto di Enrico Cattaneo che documentano l’Azione alla Palazzina Liberty di Milano realizzata da Mauri nel ‘76 e alcune opere dell’artista lodigiano degli anni Novanta.

Maddalena Ambrosio Maria Mulas, Contaminazione, 2011, cm.100x240, courtesy l’artista

Beppe Sabatino

Il foyer dello Spazio Oberdan ha ospitato Fontane per pesci profughi, personale dell’artista siciliano Beppe Sabatino a cura di Cinzia Maria Orsini. In esposizione, oltre a dieci quadri in acrilico o rame, sculture realizzate in materiali totalmente naturali: stoffe, rame, legno, tondini di ferro, a costituire un appello e un grido di dolore e ribellione della natura violentata.

Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea ha proposto una nuova personale di Maddalena Ambrosio. In questa occasione l’artista ha presentato una serie di installazioni in cui è tornata a indagare le complessità insite nel rapporto tra l’uomo, considerato nell’insieme della sua storia evolutiva, e la terra, grembo originario con cui abbiamo instaurato, nel corso dei secoli, una relazione mutevole e profondamente ambigua.

Maddalena Ambrosio, Libreria, courtesy Mimmo Scognamiglio, Milano Beppe Sabatino, Pesci profughi, installazione, cm.300x200, courtesy Spazio Oberdan, Milano

Riccardo Previdi

La galleria Francesca Minini ha presentato Broken Display, terza personale nei suoi spazi dell’artista Riccardo Previdi. Una serie di composizioni astratte realizzate con tecniche miste su feltro sintetico e su una pellicola trasparente di PVC, per svolgere un’acuta riflessione che parte dalle molteplici sfaccettature del termine inglese “display” e chiedersi cosa accadrebbe se, d’un tratto, tutto ciò che semanticamente vi ruota attorno smettesse di funzionare.

Pavel Pepperstein

Alla galleria Monica De Cardenas, l’artista russo Pavel Pepperstein, già tra i fondatori del gruppo Medical HermePavel Pepperstein, He said nothing, courtesy Monica De Cardenas, Milano

Alberto Garutti, Come se, courtesy PAC, Milano

Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea ha presentato la Didascalia / Caption, prima retrospettiva dedicata ad Alberto Garutti, curata da Paola Nicolin e Hans Ulrich Obrist. In mostra oltre 30 tra lavori storici, nuove produzioni concepite appositamente per il PAC, riattivazioni di opere recenti e modelli di progetti mai realizzati, in una sorprendente molteplicità di linguaggi che spaziano dalla fotografia alla scultura, dalla scrittura all’installazione, dal disegno al suono, dal video alla pittura, dalla conversazione all’insegnamento.

Rino Valido

Alla Galleria Poleschi Arte, Rino Valido. La ricerca dell’equilibrio, personale a cura di Luciano Caprile, cha ha messo in risalto la creatività di Rino Valido come artista e designer, attraverso quaranta opere tra quadri, oggetti di design e alcuni inediti creati per l’occasione.

Milan Kunc

La galleria Zonca e Zonca ha proposto la mostra di Milan Kunc 1979-1989. Presentate dieci opere di grande e medio formato che ripercorrono il decennio in cui l’artista ceco raggiunge la notorietà internazionale come massimo rappresentante della cosiddetta Ost Pop, declinazione Est europea della Pop Art. Nel suo immaginario troviamo tanto reminiscenze della cultura popolare quanto un vasto terreno di resistenza, critica e sovversione.

MOLFETTA

Alberto Biasi

Con la curatela di Gaetano Centrone, in collaborazione con Marco Meneguzzo e la galleria Allegra Ravizza di Milano, Prismi e ombre, esposizione di Alberto Biasi composta da due installazioni, Luce di prismi nel Torrione Passari e Ombre nella Chiesetta della Morte, alternate a quattro grandi opere, testimonianza di una complessa personalità artistica.

Alberto Biasi, Prismi e ombre, courtesy Allegra Ravizza, Milano

MONZA

Carlo Spiga

La Galleria Cart ha presentato una personale di Carlo Spiga dal titolo Makika. Proposta la sua più recente produzione con istallazioni, suoni e una ventina di lavori della serie They Live!. A cura di Andrea Lacarpia.

NAPOLI

Errico Ruotolo

Nella cornice di Castel Sant’Elmo, Opere dal 1960 al 2007, mostra monografica, curata da Giuseppe Morra e Gabriele Frasca, dedicata all’opera di Errico Ruotolo, protagonista del laboratorio artistico napoletano a partire dalla fine degli anni Cinquanta. Esposte oltre 70 opere, con un particolare nucleo d’interesse nelle opere Carlo Spiga, They Live!, cm.40x50 courtesy Galleria Cart, Monza

Rino Valido, La vela bleu, 2006, olio e terre su tela, cm.100x150, courtesy Poleschi Arte, Roma

Balka / Horn

Doppia personale alla galleria Raffaella Cortese, Miroslaw Balka e Roni Horn hanno invaso gli spazi della galleria con Gespräche über persönliche Themen (traducibile come “dialogo tra argomenti personali”), mostra in cui i lavori sui temi legati all’identità e alla memoria, indagati con continuità da entrambi, hanno sprigionato un’intensa e penetrante atmosfera di poeticità.

Bruno Pedrosa

La Fondazione Zappettini ha aperto la

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE che la famiglia Ruotolo ha recentemente donato alla Fondazione Morra.

THE ONE|Group Show

In occasione dell’anno di attività, la galleria Dino Morra Arte Contemporanea ha reso omaggio al suo gruppo di artisti con una collettiva dal titolo THE ONE|Group Show, riflessione sul percorso di ricerca intrapreso, con l’esposizione di un lavoro per ciascun artista, accompagnata dalla presentazione di un catalogo, che riassume i progetti passati e quelli futuri. Lavori di Afterall, Chiara Coccorese, Daniela Di Maro, Moio&Sivelli, Cristina Gardumi, Pierpaolo Lista, Lamberto Teotino, Devrim Kadirbeyoglu, Anja Puntari e Mary Zigouri.

Padraig Timoney

Argentato alla galleria T293. Questo nuovo progetto ha alla base la rivisitazione di un processo industriale e si compone di una serie di sculture in metacrilato trasparente, realizzate per termoformatura e presentate come involucri vuoti, free standing e a grandezza naturale.

Marinella Senatore, Rosas: The Trilogy, courtesy Umberto Di Marino, Napoli

re-mapping politico, con particolare attenzione all’esperienza austriaca (dalla annessione al Terzo Reich del ‘38, fino alla riconquistata autonomia del ‘55).

PISTOIA

Fabro e Melani

A Palazzo Fabroni, Scultura a due voci – Luciano Fabro/Fernando Melani, a cura di Ludovico Pratesi, mostra interamente incentrata sulla ricostruzione filologicodocumentaria del rapporto tra due dei più importanti protagonisti dell’arte italiana del dopoguerra. Rassegna che si sviluppa cronologicamente nel periodo che va dall’aprile del 1967, data del primo incontro tra i due artisti in occasione della personale di Melani alla galleria Numero di Fiamma Vigo a Milano, e il dicembre del 1980, anno della collettiva presso la galleria Vera Biondi di Firenze insieme a Ranaldi.

l’artista dedica alla tematica amorosa. La mostra ruota attorno all’inquietante iconologia del pericolo, il teschio davanti alle tibie incrociate, che diviene oggi, sulla lettera del padre, il marchio indelebile di un amore spezzato.

ROMA

Marcello Avenali

La Galleria André ha dedicato, a cura di Gabriele Simongini, una mostra/omaggio a Marcello Avenali, come seguito ideale della giornata commemorativa che la Fondazione la Quadriennale di Roma dedica all’artista, nel centenario della nascita. Percorso espositivo che spazia lungo tutta la produzione di Avenali, dagli anni ‘30 al 1981.

Pordenone

Marion Jauth

Padraig Timoney, Stanligrad in every city, courtesy Raucci/Santamaria, Napoli

La galleria Raucci/Santamaria ha proposto Stanligrad in every city, personale dell’artista irlandese Padraig Timoney che ha presentato una serie di lavori di grandi dimensioni, tutte opere del 2012 che ne evidenziano la capacità di utilizzare pittura, fotografia, scultura, video e installazione come media per rappresentare la molteplicità del contemporaneo e tutte le possibili modalità con cui le sue immagini si possono riprodurre.

Rebecca Horn

Gli storici spazi dello Studio Trisorio hanno ospitato una mostra personale di Rebecca Horn dal titolo Capuzzelle. A un decennio dall’installazione realizzata in Piazza del Plebiscito, Spiriti di madreperla, l’artista tedesca ha voluto dedicare alle “capuzzelle”, ovvero dei teschi che rappresentano le anime del purgatorio, ancora una mostra composta da nuove sculture e disegni.

Marinella Senatore

La Galleria Umberto Di Marino ha presentato una personale di Marinella Senatore dal titolo Rosas: The Trilogy. La mostra, inserita in un ampio ciclo di presentazioni internazionali in spazi pubblici e privati, è stata il culmine di un progetto volto alla creazione di un’opera lirica in tre atti realizzata per lo schermo, concepita dall’artista coinvolgendo nell’arco di oltre un anno un cast e una troupe di oltre 20.000 partecipanti in tre paesi e prodotta da prestigiose istituzioni internazionali: il Kunstlerhaus Bethanien di Berlino, il Museo Quad di Derby e il Matadero di Madrid.

Per il ciclo di esposizioni dedicate all’arte contemporanea, alla Galleria d’Arte Moderna An Artful confusion, progetto espositivo di Francesco Simeti in cui installazioni, video, wall paper, sculture e un’inedita installazione ambientale ne ripercorrono le tappe più significative della carriera e ne rappresentano il peculiarissimo linguaggio artistico.

PESCARA

Pennacchio Argentato

Mostra dal titolo At 03:30 A.M. on the night of June 5, 1992, per Pennacchio Pennacchio Argentato, July 25, 2012, 2012, silkscreen on methacrylate serigrafia su metacrilato, cm.202x70x35, courtesy T293, Napoli

Marcello Avenali, Bianco e nero, courtesy Galleria André, Roma

Stephan Balkenhol

La galleria Valentina Bonomo ha proposto le nuove opere dell’artista tedesco Stephan Balkenhol, tra i più influenti scultori contemporanei. Figure scolpite da un unico tronco di legno e in seguito dipinte, una materialità vivida e gesti dello scultore ben evidenti sulla superficie, accentuandone la vitalità. Una pratica di lavorazione antica che sintetizza due tendenze dell’arte contemporanea diametralmente opposte: l’essenzialità della tradizione minimalista e l’immediatezza del gesto.

Chester

PALERMO

Francesco Simeti

Trans Adriatic

Rebecca Horn, Capuzzelle, 2012, acrilico e inchiostro su carta, cm.40 x 30, courtesy Studio Trisorio, Napoli

L’Associazione Culturale La Roggia ha proposto Crescere e Diventare, personale di Marion Jauth. In esposizione opere che si confrontano con temi attuali ed esistenziali, ispirate a temi che vanno dal confronto con la natura al fascino della mitologia egizia. I lavori dell’artista olandese nascono da un profondo dialogo con la tela, un rapporto irrazionale e istintivo fatto di continui ritocchi, ripensamenti, abrasioni, levigature, sciacqui e nuove stesure.

Inaugurato all’interno dell’ex Aurum il nuovo spazio Alviani ArtSpace. Mostra d’apertura la collettiva Trans Adriatic, a cura di Lucia Zappacosta, viaggio verso le nuove tendenze dell’arte contemporanea, della cinetica, della robotica e della new media art, il tutto nelle due dimensioni dello spazio e del tempo. Presenti 4 artisti croati: Davor Sanvincenti, Hrvoje Hiršl, Ivan Marušić Klif ed Edita Pecotić.

PIACENZA

Silvia Hell

La galleria Placentia Arte ha ospitato A Form of History, progetto scultoreo di Silvia Hell, il cui focus è posto sulle riconfigurazioni della fisionomia europea tra il 1861 ed il 2011, sulle strategie di Silvia Hell, A Form of History, particolare dell’allestimento, courtesy Placentia Arte, Piacenza

Marion Juath, courtesy Associazione Culturale La Roggia, Pordenone

RAGUSA

Portrait X

Alla Galleria Clou, Portrait X, collettiva con lavori di Antoci, Arvanitis, Bulgini, Capozzi, Longo, Rizzo, Tobacco, Sacco, Xagoraris e Suma, dieci progetti per approfondire il concetto di ritratto come pratica risalente all’alba della creatività e le arti visive come punto d’incontro tra estetica, etica e identità.

Rosario Antoci, Ho ancora bisogno del tuo sguardo, tecnica mista, cm.29x29, courtesy Galleria Clou, Ragusa

Moira Ricci

Laveronica arte contemporanea ha presentato Per sempre con te fino alla morte, personale di Moira Ricci che propone la prima tappa di una serie di lavori che Moira Ricci, Per sempre con te fino alla morte, 2012, stampa lambda su plexiglass, cm.24x24, courtesy Laveronica, Modica (rg)

Chester, locandina, courtesy CO2, Roma

La Galleria CO2 ha ospitato Chester, progetto di Adam Carr nato in relazione alla città di Roma e composto da artisti (e curatore) nati o cresciuti nella città di Chester (Gb). Più che una mostra sulla dicotomia tra periferia e centro, un lavoro sul provincialismo o sull’esternazione dei valori provinciali con opere di Jacqueline Bebb, Timmy Foxon, Ryan Gander, Tom Howse, Max Hymes, Stuart Middleton, Hannah Perry, Jesse Wine.

Berger&Berger

Il duo francese Berger&Berger protagonista alla Fondazione Pastificio Cerere con la personale La densità dello Berger&Berger, Jekyll, 2009, foto Guillaume Ziccarelli

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spettro, mostra in cui hanno presentato una serie di lavori inediti, realizzati appositamente per questa occasione. Nel cortile dell’istituzione, come parte integrante del progetto espositivo, si trova Mystères, il manifesto che l’artista Laurent P. Berger e l’architetto Cyrille Berger hanno ideato per il progetto Postcard from…. Entrambi gli appuntamenti a cura di Marcello Smarrelli.

Michele De Lucchi

La Fondazione Volume! ha presentato Colonne portanti, un’installazione site specific dell’architetto e designer Michele De Lucchi, a cura di Emilia Giorgi. L’opera nasce da un’accurata lettura degli spazi espositivi, in cui riscoprire antiche nicchie ormai nascoste e costruirne di nuove: ognuna è un micromondo, un ulteriore spazio da esplorare, in cui trovano posto colonne in legno che De Lucchi ha realizzato personalmente.

Lonardi Buontempo, a due mesi dalla prestigiosa donazione che ha arricchito le collezioni con gli oltre 100.000 documenti e 8.000 libri della biblioteca di Incontri Internazionali d’arte. Hanno preso parte a Incontri Internazionali d’Arte 1970 – 2012. Un omaggio a Graziella Lonardi Buontempo, tra le altre, personalità come Achille Bonito Oliva, Gabriella Buontempo, Cecilia Casorati, Bruno Corà, Carla Fendi, Giordano Bruno Guerri, Michele Iodice, Jannis Kounellis, Anna Mattirolo, Luigi Ontani, Luana Perilli, Fabio Sargentini, Lina Wertmuller.

Luigi Ontani

A quasi dieci anni dall’ultima personale in un’istituzione romana, il Museo Hendrik Christian Andersen ha ospitato la mostra AnderSennoSogno di Luigi Ontani. Curata da Luca Lo Pinto, l’esposizione è concepita come un viaggio alla riscoperta di opere meno note di Ontani senza un intento retrospettivo, ma come avventura all’interno del suo immaginario, in un percorso scandito in ritmi, tempi e spazi diversi: dalle prime opere della metà degli anni sessanta fino alle maschere musicali prodotte a Bali nel corso degli ultimi quindici anni.

Francesca Loprieno courtesy Studio Arte Fuori Centro, Roma

Francesca Loprieno

Allo Studio Arte Fuori Centro personale di Francesca Loprieno dal titolo Dell’altrove e dell’ovunque, a cura di Maria Vinella. La mostra costituisce il primo appuntamento di Spazio Aperto 2013, ciclo di quattro eventi in cui critici invitati dall’associazione culturale Fuori Centro, tracciano percorsi e obiettivi che si vanno elaborando nei multiformi ambiti delle esperienze legate alla sperimentazione.

Rachel Feinstein

La sede romana di Gagosian Gallery ha proposto una i nuovi lavori di Rachel Feinstein, artista statunitense nota per le sue sculture dall’animo barocco e fiabesco. In mostra un progetto site specific ispirato alla tradizione scultorea e architettonica classica, al panorama di Roma e al tema del viaggio.

installazione-performance che si interroga sulla faccia nascosta delle nostre certezze, tentativo di illustrare la condizione mentale di dubbio permanente tipica di questa epoca di comunicazioni di massa.

Nessuno e niente scompaia

La galleria 1/9unosunove ha presentato Nessuno e niente scompaia, esposizione a cura di Raffaele Gavarro che ha raccolto lavori di Raffaella Crispino, Bruna Esposito, Fabio Mauri, Valerio Rocco Orlando ed Eugenio Tibaldi. La mostra ha preso forma da un’opera “politica” di Mauri, Vomitare sulla Grecia del 1972, pensata in relazione al regime dei Colonnelli, ma che oggi ci torna con una forza d’attualità sorprendente e paradossale.

Danh Vo

Le grandes galeries dell’Accademia di Francia – Villa Medici hanno ospitato una personale di Danh Vo dal titolo Chung ga opla, seconda tappa del percorso espositivo a cura di Alessandro Rabottini incentrato sul tema dell’Accademia. Il lavoro dell’artista vietnamita fonde l’autobiografia con le grandi narrazioni, facendo collassare la divisione tra Storia e storie. Per questo evento ha realizzato una serie di interventi in collaborazione con i suoi familiari, intimità che fa da contraltare alla monumentalità del contesto che la ospita, in una fusione di quotidianità e ufficialità che il titolo amplifica: Chung ga opla, infatti, è la traduzione fonetica dell’espressione vietnamita che indica le “œuf au plat” (uova al tegamino).

Lo Studio d’arte Contemporaneo Pino Casagrande ha ospitato nei suoi spazi gli ultimi lavori dell’artista Oscar Turco in una personale dal titolo dell’equilibrio interiore, mostra incentrata su due concetti universali, che toccano la sensibilità e la razionalità dell’uomo: l’equilibrio interiore e la forza di gravità.

Myriam Laplante

La galleria Il Ponte Contemporanea ha presentato Questo soltanto e nulla più, personale di Myriam Laplante, nuova

Rachel Feinstein, Panorama of Rome, 2012, dettaglio, 2012, foto Rob McKeever, courtesy Gagosian Gallery, Roma

Si è svolta al Maxxi una intensa giornata di studi dedicata alla figura di Graziella Graziella Lonardi Buontempo foto Massimo Piersanti

Danh Vo, We The People, 2011-’13 dettaglio, foto Nils Klinger, courtesy Villa Medici, Roma

SALERNO

Nicola Palma

La galleria Leggermente Fuori Fuoco ha proposto il progetto fotografico di Nicola Palma Erbario salernitano, quinto appuntamento del programma City specific. L’esposizione parte dalla catalogazione delle piante officinali messe a dimora nel Giardino della Minerva per indagare il tema dell’identità e della cultura materiale di Salerno. Nell’ambito dell’evento anche un’installazione dal titolo Installazione di Precetti: disposti lungo la strada come panni stesi ad asciugare, teli stampati con immagini e regole tratte dal Regimen Sanitatis Salernitanum, che richiamano alla qualità della vita e a un equilibrato rapporto tra uomo e natura.

Ivano Troisi

Alla Galleria Tiziana Di Caro personale di Ivano Troisi. Progetto espositivo pensato appositamente formato da disegni, sculture e installazioni realizzati quasi

Omaggio a Graziella Lonardi Buontempo

Myriam Laplante, sbadigliorosso courtesy Il Ponte contemporanea, Roma

esclusivamente con carta fatta mano, in un processo di produzione legato alla tradizione, ma che rimane singolare ed esclusivo.

In forma di francobollo

Per celebrare i 70 anni di Marcello Diotallevi, Ophen Virtual Art Gallery ha invitato 88 artisti a cimentarsi con ciò che l’artista marchigiano fa da sempre: francobolli d’artista. Tra i presenti per In Forma di Francobollo, a cura di Giovanni Bonanno: Della Vedova, Scirpa, Limarev, Bertola, Anelli, Altschul, Terlizzi, De Palma, Blank, Guerrieri.

Marcello Diotallevi, 70 years, 2012, francobollo del valore di 1,40 € courtesy Ophen Virtual Art Gallery, Salerno

Luigi Ontani, AnderSennoSogno courtesy Museo Andersen, Roma

Oscar Turco

Ivano Troisi, Carte, 2012, carte fatte a mano, courtesy Tiziana Di Caro, Salerno, foto Christian Rizzo

Nicola Palma, Bislingua, courtesy Leggermente Fuori Fuoco, Salerno

Formafantasma / Scarpitti

La Galleria Paola Verrengia, insieme con Nunzio Vitale, ha presentato la mostra Formafantasma + Chiara Scarpitti, accostamento inedito tra la giovane designer Chiara Scarpitti e lo Studio Formafantasma, gruppo rivelazione della scena internazionale del design, che ha dato vita a un percorso espositivo con l’intento di progettare il futuro ripartendo dal passato.

SAN SEVERO

Lo sguardo attraverso

Lo spazio Abitare07 ha ospitato la rassegna Lo sguardo attraverso, progetto che ha coinvolto 12 artisti visivi e altrettanti poeti sul tema della trasparenza. Artisti: Arcuri, Capone, D. De Mitri, De Palma, Liberatore, Liuzzi, Maisto, Pagano, Peri, Pollidori, Reggianini, Tonon. Poeti: Benassi, Broggiato, Coco, Cohen, D’amaro, Fontanella, Dalessandro, Fraccacreta, Mancuso, Moretti, Rafanelli, Ritrovato.

SARZANA

Mirko Baricchi

La galleria Cardelli e Fontana di Sarzana (sp) ha proposto Germogli. e di stelle, personale dedicata alla ricerca recente di Mirko Baricchi, a cura di Elena Forin. Dittici e i trittici in mostra ad accogliere lo spettatore in un percorso pensato appositamente per gli spazi della galleria. Mirko Baricchi, Una cima. e di stelle, 2012, courtesy Cardelli e Fontana, Sarzana (sp)

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE due (The Persuaders), a cura di Gianmichele Arrivo, Ilaria Miccoli e Angelo Raffaele Villani. Dieci artisti, Battista, Ciracì, Cocca, Fiorella, Mancinelli, Monticelli & Pagone, Piediscalzi, Quida, Scognamiglio e Zelenkevich, hanno attraversato il complesso mondo esteriore e interiore che accompagna l’Io. Marco Andrea Magni, Più giovani di così non si poteva, locandina courtesy Fuoricampo, Siena

SIENA

Marco Andrea Magni

Lo spazio espositivo della Galleria Fuoricampo ha ospitato Più giovani di così non si poteva, esposizione di lavori di Marco Andrea Magni, artista che vede nella scultura un ampliamento dei sensi, una forma di educazione sentimentale in cui imparare a seguire se stessi e accogliere l’incontro con l’altro. In mostra una serie di tavole con i velluti e una lettera scritta a due mani in forma bustrofedica.

TORINO

Pino Deodato

La galleria RoccaTre ha presentato Lo Scultore innamorato della Scultura, mostra personale di Pino Deodato. L’artista milanese ha esposto una installazione collocata in uno spazio intimo e raccolto della galleria, composta da innumerevoli piccole sculture in terracotta che raccontano il suo amore per la materia, amore fisico e metafisico, un legame che si trasforma in opera d’arte.

Mario Schifano

Con la mostra 10X15, la galleria In Arco ha concluso un ciclo dedicato a Mario Schifano, iniziato fin dal 2004. In questa occasione sono state esposte le Correzioni, una scelta di fotografie ritoccate a mano dall’artista per almeno un decennio, a partire dalla fine degli anni ‘80.

Adriano Campisi

La galleria franzpaludetto ha presentato nel suo spazio torinese una selezione di opere di Adriano Campisi. Nei lavori in mostra, l’artista ha preso in prestito elementi decorativi dell’architettura

classica coi quali ha costruito dettagli di scenografie all’interno dello spazio.

TRENTO

La magnifica ossessione

Il Mart Rovereto celebra i suoi primi dieci anni di vita con La magnifica ossessione, programma che ridisegna la relazione delle sue collezioni con il pubblico, riflettendo sul proprio patrimonio e offrendo un modo inedito di osservarlo. Per circa un anno, fino all’ottobre 2013, una folta squadra curatoriale offre al visitatore la possibilità di incontrare i protagonisti e le opere più significative dell’arte italiana e internazionale; movimenti e artisti come Astrattismo, Architettura Razionalista, Pop Art, Sironi, De Chirico, Fontana, Isgrò o Fogarolli. Protagonista del primo appuntamento, Liliana Moro con Dicono di lei, mostra in cui l’artista ha presentato Underdog, gruppo scultoreo in bronzo, e una selezione di opere realizzate da artiste di varie generazioni, in particolare Ketty La Rocca.

VERONA

Tony Oursler, Denouement courtesy FaMa Gallery, Verona

VICENZA

Manuela Bedeschi

Lo Studio Cleto Munari ha proposto la mostra Rossoarancio – Manuela Bedeschi da Cleto Munari. I lavori di Manuela Bedeschi hanno indagato la bellezza del neon ponendosi in strettissima relazione con l’architettura dello spazio espositivo, unitamente a una linea pittorica rosso arancio satura di luce.

Tony Oursler

Denouement è il titolo della personale di Tony Oursler che FaMa Gallery ha presentato nei suoi spazi. A cura di Danilo Eccher, in mostra una articolata serie di nuovi lavori, tra cui due grandi installazioni, tre micro sculture e una serie di dipinti con immagini animate dell’indiscusso padre della video-scultura.

Julião Sarmento Giuseppe De Gregorio, Finestra a Calafuria, 1976, olio su tela, cm.160x140, courtesy Palazzo Collicola, Spoleto, (pg)

SPOLETO

Giuseppe De Gregorio

Palazzo Collicola Arti Visive - Museo Carandente ha fatto da cornice alla composita mostra Giuseppe De Gregorio opere 1935-2004. Il gruppo di Spoleto. L’ultimo naturalismo e l’informale al Premio Spoleto, grande evento espositivo incentrato sulla antologica di Giuseppe De Gregorio, preceduta da una selezione di opere storiche degli altri artisti del Gruppo di Spoleto e da una ampia sezione dedicata alle opere di linguaggio informale che vinsero premi in varie edizioni del Premio Spoleto (19531964). A cura di Gianluca Marziani.

A oltre vent’anni di distanza dalle due precedenti occasioni, del 1988 e del ‘90, la galleria Giorgio Persano torna a proporre il lavoro dell’artista portoghese Julião Sarmento e lo fa con una personale che ruota attorno all’installazione video Leporello. Quattro attrici (la francese Amira Casar, la statunitense Sasha Grey e le brasiliane Jerusa Franco e Pamela Butt) osservano una sequenza tratta da uno specifico film porno e, senza alcuna prova, riferiscono lo svolgersi dell’azione. La contemporaneità e l’utilizzo dei diversi idiomi porta alla creazione di una cacofonia verbale di sovrapposizioni delle diverse narrazioni femminili, una odierna Babele in cui l’assenza di traduzioni e sottotitoli spinge lo spettatore a concentrarsi sulle sonorità e sulle performance fisiche delle narratrici. Balza subito agli occhi, il rimando al collage, da sempre centrale nella poetica di Sarmento, qui fortemente problematizzato e amplificato. A completare l’allestimento, quattro dittici fotografici che riprendono la sequenza oggetto delle narrazioni, mentre altri spazi accolgono sculture e pitture di recente produzione, svincolate dal video ma in dialogo con esso attraverso una fitta rete di vicendevoli relazioni.

Manuela Bedeschi, Rossoarancio, dettaglio dell’allestimento courtesy Studio Munari, Vicenza

TARANTO

Attenti a quei due

Le gallerie Rossocontemporaneo e CO.61 artecontemporanea (a Grottaglie), hanno presentato la collettiva Attenti a quei

Julião Sarmento, Leporello, videoinstallazione, courtesy galleria Giorgio Persano, Torino

Errata corrige

A pagina 68 del precedente numero sono state erroneamente invertite le didascalie di due opere. Le ripubblichiamo con le corrette indicazioni scusandoci con gli interessati. Anna Maria Battista, Pro-memorie, courtesy Rossocontemporaneo, Taranto Raffaele Fiorella, Sky, still da video

Iginio Iurilli, Groviglio rosa, dalla mostra Il Labirinto del Fauno, ipogeo della masseria Il Brigantino, Fasano (br), courtesy l’artista

M.I.L.C., Meduses, still da video, dalla mostra Pronti via, courtesy Garage 21, Ceglie Messapica (br)

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Il fiore nero della civiltà. L’errore del liberismo: “tagli alla cultura come tagli … a se stesso!” di Gabriele Perretta

B

sistemica, di indifferenza politica, lontana dalla realtà atasta sfogliare le pagine di un giornale o di una rivituale, come se il compito del simbolico non fosse quello sta, ammesso che tra un po’ di tempo ce ne saranno di contribuire a mutare la realtà, cioè di risolvere le conancora e ne potranno uscire ancora, e leggere a caso i traddizioni esistenti e di proporre nuovi valori e visioni. titoli degli striminziti e insulsi fogli dedicati alla cultuDel resto, se c’è chi ha la presunzione di sostenere anra, per ricavare un vero e proprio catalogo delle varietà cora che i grandi principi sono stati già scoperti e l’arte umane di aggressività, di distruttività, di “scippo” ostile e potrebbe poco, la risposta non è una improduttiva rasmalvagio verso l’universo simbolico. L’attacco maligno, segnazione, ma il bisogno di organizzare o differenziare da parte del capitale finanziario e liberale, determina il resto,“dis-conformare”la realtà. Una cultura moderna, con chiarezza i limiti del suo stesso comportamento: “o non può rifarsi a concezioni di riduzionismo e mortifieliminiamo le risorse per I Beni Culturali oppure elimicazione della propria storia, vegetando in un presente niamo il Ministero stesso”. che non vuole ricordare, si rifiuta di vedere e di progetLa crisi politica che travaglia la nostra epoca, è tanto tare. Bisogna, invece, ammettere che la politica senza la grave e profonda che non se ne possono indicare facultura, non è tanto un principio, quanto piuttosto una cilmente gli errori e le contraddizioni. In tutte le epoche conseguenza, un risultato di ottusità, ristrettezze e cattidi decadimento politico, o più modestamente, di conve ragioni, che vogliono far prevalere la Morte sulla vita, fusione, di agitazione, di dissennatezza, le più disparala “deficienza” sulla speranza; il che equivale a dire che la te dottrine economiche correnti, tendenze politiche e politica viene dopo la cultura, perché essa è la sintesi di finanziarie, si sono attratte e respinte, mostrando il vero un’azione che trae la sua forza dal vissuto nella comunivolto e il vero intento del Capitale. La disarmonia dell’astà. Ne deriva un’artisticità disposta ad accettare il labosolutismo - finanziario attuale - nasce dal ripensamento ratorio del bene comune, che tende ad affiancare, pragacritico della cultura e dei suoi comparti, ma ad ogni maticamente (e qui ci vuole realisticamente e non in modo, dal rimpasto fecondo di tutto un patrimonio di maniera meramente post-moderna) pratiche umanistiidee politiche, sociali e comunitarie le quali richiederebche e scientifiche. Mai risultati attuali sono spesso delubero la mediazione tra sfera pubblica ed esperienza: la denti, in quanto è più facile che la mescolanza arbitraria conciliazione a cui pure si deve giungere dopo ogni scisdella sintassi finanziaria del capitale – fatta di spread e di sione. Qui sembra che l’ultima scissione causata dal delirating – si fonda con il modello dominante del sistema rio dello spread non voglia giungere a nessuna forma di dell’arte lobbistico e mondializzato, anziché scendere al ricomposizione, ma perpetrare un controllo dei conflitti dialogo con il mondo dell’esperienza pubblica e sociale! di classe, che va contro qualsiasi possibilità critica orgaSpinoza e Gramsci appaiono ormai insulsi! Omero è stanizzativa e sindacale. to superato dal cattivo monumentalismo e gigantismo Infatti, per un contatto costante tra la “ricerca” e le pratidi Hollywood. Dobbiamo pur avere un punto da cui riche del simbolico è necessario che il cordone ombelicacominciare?! C’è stata una le che lega la cultura, direi le culture alla società, non Una cultura artistica al solo servi- guerra, una guerra forte, combattuta con le armi del venga reciso. zio dei gruppi finanziari di pote- PIL, ch’è costata migliaia di Secoli di pratiche, del no- re, come quella attuale, non può posti di lavoro e di vite artistiche ed umane. Si prostro e di altri paesi, hanno ampiamente dimostrato evitare la sclerosi: impartisce un spettano enormi tagli per mantenimento del patriche l’arte (le arti e le coinsegnamento analitico e ripetiti- ilmonio artistico dell’Italia, municazioni delle arti, tra cui editoria, musei, etc…) vo a tutto il sedicente sistema per il mondo dello spettacolo dissanguato, ma c’è stessa è devitalizzata se si l’esecuzione di puri modelli for- pare chi si lamenta del fatto riduce ad essere un “solitario fiore monetario” in mali, validi per l’ideologia liberal che rischiano di scompariconsulenti e tecnici per un deserto di evoluzione, in quanto simulazione di valori re risparmiare sulle missioni. di espansione e di connesLe pratiche paesaggistiche sione; essa mette robuste assoluti e indiscutibili. non potranno più essere radici, solo se è capace di evase, ma perché l’occhio ricavare i suoi succhi vitali dello smarrimento non si rivolge anche al ripiegamento dalla società di cui è parte essenziale ed operante. di centinaia di ragazzi che abbandonano il mondo della ricerca artistica e sono costretti ad andare a lavorare nei Essi sono frutti asfittici di una ragione astratta, distaccati call center? Le gallerie private sono già d’accordo sulle dai problemi concreti della realtà mutevole e sottilmennuove leve scelte dalle lobby finanziarie del collezionite collegati con le decisioni dei governi tecnici, al servismo, quel liberismo culturale che muove lo spread di zio della Banche mondializzanti. Una tale cultura e pramolti paesi. tica artistica tende ad accreditare un concetto di azione

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osservatorio critico RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Ma è forse vero che au- Di cosa deve vivere l’arte, se ad morte. Il sistema liberal-artistichese intende accostamentano i visitatori nei luoghi espositivi (+21%) una rivista fintamentente d’a- re al fattor comune delle e si riducono le risorse, vanguardia vengono assicurati best practices gestionali, al fine di migliorare la qualità oppure aumentano solo le inchieste apologetiche contributi a pioggia per publi/re- dell’esercizio di potere e di della rete, contro a favore di un sistema dazionali pianificati dall’assoluti- controllo la ricerca e la potenziale ofdell’arte ossessionato dai pesi e dalle misure di una smo sistemico, mentre altre non ferta indipendente. da incubo si Bilancia dei pagamenti a riescono a tirare avanti neanche Distopie estendono dappertutto: favore di Banche e lobby? C’è un’idiosincrasia letale per coprire le spese tipografiche? musei, gallerie d’arte, teatri, orchestre, troupe di nella rete sistemica musedanza o altre iniziative culale, quella di voler essere turali soffrono o rischiano addirittura di scomparire. In istituzione autonoma e governance pluripartecipata: Olanda è colpito il mondo della danza: l’Internationaal non essere musei statali, ma comunque pubblici, nella Danstheater accusa il governo di aver affettato fuor di maggior parte dei casi, collegati agli enti locali e al terrimisura, senza dare tempo alle organizzazioni di trovare torio. Queste istituzioni, nonostante le difficoltà econoun sostegno diverso. L’amministrazione generale pomiche, prima di arricchire le loro collezioni, si sono forlacca ha tagliato i fondi per il teatro; quella danese ha nite di classi curatoriali ben agganciate al mondo della tagliato i filarmonici. In Francia il governo giudica tropfinanza e com’è nell’usanza italiana, il posto di senior cupo onerosa la cassa integrazione per i clown e gli artisti rator spetta ai figli dei collezionisti, che hanno diritto a disoccupati, compresi i cameraman che girano film e proporre mostre e lavorare intensamente alla riduzione documentari rischiando di trovarsi inariditi. A Barcelona dei costi della politica espositiva e al fundraising. una donazione privata ignota sta salvando «Art Solidari», rimasta senza fondi pubblici. «L’arte è l’ultima delle Ma nonostante ciò il budget ordinario del 2012, nelpriorità in Grecia». Il crescente divario tra l’élite mondiala maggior parte dei musei, si è ridotto dal 5% fino al le e le miserabili masse dell’umanità è mantenuto da 50%. La capacità di generare risorse proprie – attraverso una spirale di aggressioni contro popoli e culture inerbiglietteria, utilizzo spazi, servizi aggiuntivi, ecc – non mi. Qualsiasi tentativo di resistenza, benché inefficace, aumenta affatto, anzi peggiora. Su un campione di 23 è colpito con massacri indiscriminati provocati dalla musei pubblici, l’autofinanziamento ammonta complesmoderna guerra industriale. Il crollo internazionale, gli sivamente a 19,5 milioni, pari al 34% delle risorse comassalti del clima, la siccità, le inondazioni, il rapido decliplessive, considerando che dal fronte pubblico arrivano no della resa agricola e dei 37,250 milioni. Il grido prezzi dei prodotti alimend’allarme di questa crisi strutturale, mostra la vo- L’alta borghesia finanziaria domi- tari sta creando un unilontà di sottoporre il siste- na in maniera preponderante il verso in cui il potere sarà conteso tra una ristretta ma museale ad un sempre maggiore coinvolgimento sistema di promozione artistica e élite, che ha in mano sofidei privati in qualità di tende a scacciare fuori dalla rete sticati strumenti di morte, e la gente comune inferofinanziatori e partner di progetti culturali. Lo stes- quelle classi sociali autonome, cita. L›autorità dello stato so si sta prospettando per che possono contare solo sulla è conferita nelle mani di un gruppo esecutivo che l’intero sistema educativo serve pedissequamente ed universitario, il privato loro indipendenza. gli interessi delle imprese sostituendo il finanziaglobali. I media e il potere giudiziario e legislativo sono mento pubblico alle istituzioni, si arroga il diritto di indidiventati inefficaci e ornamentali. Il dissenso è tradimenrizzare scelte, progetti e finalità. Gli enti locali – regioni, to. Bellezza e verità sono abolite. La cultura è degradata province e comuni o direttamente il Mibac per alcune nel kitsch. La vita emotiva e intellettuale dei cittadini è Fondazioni - sono degli agenti politici che invece di sodevastata dallo spettacolo volgare e osceno. Il concetto stenere una riorganizzazione finanziaria delle strutture espositive, si preoccupano di collocare “scarti di leader” del bene comune non fa più parte del lessico del potere. Questo, come scrive il romanziere J.M. Coetzee, è “il in poltrone attraenti. Il nodo della governance viene alla fiore nero della civiltà”. È Roma sotto Diocleziano. E ribalta per rispondere sempre agli stessi interrogativi: in siamo noi. Le egemonie culturali, alla fine, decadono in consiglio siede il potere economico, mette i soldi chi coregimi tirannici, corrotti e assassini che infine consumamanda e comanda chi mette i soldi! Pubblico e privato, no se stessi. i, ora stiamo sputando sangue. invece di potenziarsi a vicenda, cercano uno nell’altro la GEN/FEB 2013 | 243 segno - 85

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LIBRI & CATALOGHI

a cura di Lucia Spadano e collaboratori > Al MACRO Museo d’Arte Contemporanea Roma presentato il volume di Nanni Balestrini, TRISTANOIL. Il titolo fa riferimento al film realizzato dall’artista, quale il più lungo del mondo, dalla durata di 2400 ore – esattamente quanto il periodo di dOCUMENTA13 dove è stato proposto questa estate. Dopo essere stato proiettato a Kassel, Milano (alla Fondazione Marconi), a Firenze (da Frittelli Arte), il film è visibile nel foyer del MACRO fino al 27 gennaio 2013. Il titolo contiene in sé un doppio riferimento: sia al romanzo combinatorio Tristano, scritto nel 1966 dallo stesso Balestrini – e potuto stampare solo nel 2007 in copie tutte diverse grazie alla stampa digitale –, sia alla multinazionale petrolifera, che lascia intuire il tema dell’opera: la distruzione del pianeta a causa di un consumismo irragionevole delle risorse, caratteristico del nostro tempo. Il film, proprio come il romanzo, si sviluppa così in un montaggio di frammenti – oltre 150 video clip elaborati in sequenze della durata di 10 minuti –, con immagini di disastri ecologici, scene tratte da serie tv americane degli anni Settanta. Su tutto scorre un velo, un flusso di petrolio dorato, da cui nascono le sequenze, riconfigurate in un gioco combinatorio ipoteticamente infinito. Il libro, pubblicato dalla casa editrice Il Canneto Editore, raccoglie i testi di Paolo Bertetto, Manuela Gandini, Vittorio Pellegrineschi, Giacomo Verde.

> Studio Azzurro Teatro, a cura di Noemi Pittaluga e Valentina Valentini, è un interessante volume che presenta gli spettacoli musicali, teatrali, di danza di Studio Azzurro, un gruppo di ricerca artistica fondato nel 1982 che si esprime con i linguaggi delle nuove tecnologie. I lavori qui raccolti rappresentano una significativa selezione della articolata produzione di trenta anni di lavoro. La struttura portante del volume è data da una rigorosa ricostruzione

degli spettacoli basata sui documenti conservati negli archivi di Studio Azzurro (schizzi, storyboard, testi, immagini fotografiche, recensioni, locandine) e sulla memoria diretta degli autori. > Nell’ambito di ArteFiera 2013 presentazione del volume “Giù le mani dalla modernità” di Francesca Alix Nicoli, a cura di Giacinto di Pietrantonio e Laura Cherubini. Il saggio, del tutto nuovo nel panorama degli studi e degli approfondimenti sull’arte moderna e contemporanea, unisce al percorso esplicativo dell’opera d’arte e del suo tempo un dialogo serrato con il pensiero filosofico. L’autrice conduce il lettore in un viaggio seducente e intenso nella modernità fra Avanguardia e Retroguardia, fra Nichilismo ed Esistenzialismo, in compagnia di artisti e filosofi per giungere alla soglia di un’attualità dove si aprono i pensieri e le riflessioni di Francesca Nicoli, “un’empirista scettica” che vuole assumere posizioni anche scomode, come difendere il lavoro che Fausto Melotti progettò per l’EUR sotto il governo fascista o opponendosi a coloro che hanno demonizzato Nietzsche ostacolando una lettura fra le più interessanti di fine Ottocento, oppure su coloro che al nome di Ernst Jünger esprimono ancora posizioni ferme al mondo quale si presentava cinquant’anni fa. Sotto l’egida dell’empirismo scettico, Francesca Nicoli combatte gli schemi del dogmatismo in sede filosofica così come nel campo della critica d’arte, contro tutte le ideologie e, al contempo, ha il coraggio di armarsi e promuovere come antidoto ai mali della nostra epoca valori forti come l’essere progressisti. In “Giù le mani dalla modernità” si incontrano Aristotele e Nietzsche, Heidegger e Sartre, Adorno e Deleuze, Camus e Jünger, chiamati in causa quale specchio e genesi di pensiero delle complesse ragioni dell’umano sentire che corrispondono anche al volto e all’essenza dell’opera d’arte. Filo conduttore del libro è la domanda circa la validità del quadro ideologico “post-moderno” indagato alla luce delle poetiche di alcuni fra gli artisti di spicco nel panorama internazionale dell’arte contemporanea quali Jan Fabre, Ilya ed Emilia Kabakov, Louise Bourgeois, Cai Guo Qiang, Aidan Salakhova, Antony Gormley, Antoine Poncet e Vanessa Beecroft. Nel contesto del libro gli artisti sono quasi delle cavie utili a saggiare la pervasività e l’attualità di questo paradigma teorico, per rilanciare i temi caldi dello “spirito moderno”. In realtà, gli stessi, si trasformano, nella scacchiera del vasto scenario del pensiero, quali pedine di un gioco più grande di loro e del tempo che li ha partoriti, così come è sempre stato nella storia dell’arte. > Giulio Carlo Argan. Intellettuale e storico dell’arte, è Il volume edito da Electa a chiusura delle celebrazioni del centenario della nascita di Giulio Carlo Argan (1909-1992), e quasi in coincidenza con il ventennale della sua

scomparsa. Il suo ruolo di storico dell’arte, intellettuale e critico militante, viene ricordato attraverso le autorevoli voci di Maurizio Calvesi, Antonio Pinelli, Salvatore Settis, Paolo Portoghesi, Andrea Carandini e molti altri. Il libro, che comprende nella parte finale foto, percorso biografico e bibliografia critica, è diviso in più sezioni in cui si presenta la figura di Argan nel suo complesso, a partire dalle prolusioni generali, per toccare poi aspetti specifici dei rapporti con altri studiosi, dei temi della tutela, del restauro, del museo, dell’estetica, della politica, del linguaggio critico e dell’uso dei mezzi televisivi, fino alla valutazione dell’attualità/inattualità della critica arganiana oggi, carteggi e importante documentazione inedita. Claudio Gamba, curatore del volume, sottolinea come questo lavoro intende testimoniare quanto la lezione di un “criticismo laico” sia ancora viva e possa costituire il presupposto per rivendicare alla storia dell’arte quello statuto intellettuale e professionale che sempre più spesso le viene negato. La lezione di non separare gli studi e la ricerca disciplinare dall’impegno di una militanza intellettuale e politica, rimane oggi, nonostante tutto, la ragione dell’attualità del pensiero arganiano. > Ventiseiesimo volume della collana “Memorie d’artista”, edito da Roberto Peccolo di Livorno, “Giulio De Mitri: Il Grande Mare” racconta, attraverso le parole dell’artista tarantino, una poetica dedicata al Mediterraneo, contenitore - personale ed universale - di fascinosi segreti, «tra terra e mare» come afferma lo stesso De Mitri. Ma il Mediterraneo è soprattutto una zona di confine geo-politico, bacino che unisce Oriente e Occidente amalgamati con le filosofie ancestrali presenti nel codice genetico dei popoli che si affacciano su questo grande specchio. I suoi elementi materiali ed immateriali: luce, flutti sinuosi, simboli alchemici sono la matrice delle opere dell’artista. Istallazioni, tecno-light-box e video esprimono con il blu cupo - suo colore d’elezione, carico di infinita spiritualità - quell’energia liquida capace di legare le mille facce di questo mondo. Tra ricordi d’infanzia, esperienze di vita, citazioni colte e profonde convinzioni positive per l’avvenire, questo libro d’artista rivela un sogno che «non si è ancora trasformato in realtà», ma i cui germi urlano la necessità di costruire ed intessere un dialogo trans-culturale, per integrare etnie e civiltà in un significativo percorso dal buio alla luce. Fermamente persuaso della bellezza etica delle differenze, che arricchiscono la collettività ed il singolo, Giulio De Mitri opera in direzione di un’antropologia allargata, che pone attenzione all’uomo, alla cultura passata e presente, al più attuale scenario sociale e politico: partire dalle origini per guardare al futuro, spaziando abilmente tra scienza, cosmologia, architettura, storia. Il suo fare-arte si pone come un’area di speranza, per una visione globale del mondo in cui l’uomo possa

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libri & cataloghi

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Giulio Carlo Argan

riappacificarsi con sé e con l’altro da sé. (Simona Caramia) > Lungi dal propinare un semplice revisionismo storico o una mera riformulazione critica, “Elogio dell’Astrattismo”, ultimo libro di Luigi Paolo Finizio, si prefigura come un viaggio verso l’ignoto, ripercorrendo - con una lettura trasversale storico-critica, nonché fenomenologica - gli esordi e i successivi traguardi di un’avanguardia che ha profondamente influenzato gli anni a venire, come - ricorda Finizio - aveva già annunciato Marc Rothko nella sua biografia. Kandinskij, Malevic, Mondrian, Fontana, Pollock, Klein - alcuni dei nomi prontamente menzionati - hanno tutti reso visibile l’invisibile; il loro “fare astratto” è inevitabilmente legato alla società a loro contemporanea, di volta in volta interrogata, attraverso una “diretta pulsività segnica” o ricorrendo alle ideologie utopiste, con un maggiore coinvolgimento espressivo rispetto a qualsiasi figurazione o rappresentazione mimetica. Non mancano applicazioni pratiche dell’astrattismo che nuovamente risultano pertinenti alla quotidianità della vita: design e architettura astratte - cercano di rispondere alle esigenze primarie dell’uomo, passando dal “bello disinteressato” al “bello concreto”. L’astrattismo - o arte concreta, secondo le più attuali riformulazioni - sembra essere una categoria, acquisita anche inconsciamente dalla storia dell’arte e dai suoi protagonisti, con cui leggere il presente, incidendo persino fisicamente sul reale, come avviene nel caso degli Earth Works della Land Art, e non trascurando il risvolto intimo e personale - con cui liberarsi, anche dalle oppressioni sociali - quindi il desiderio di aspirazione spirituale, di cui Moore, Isgrò, Vedova sono un tangibile esempio. Lo Zeitgeist del Novecento sembra dunque essere l’astrattismo, un movimento artistico, ma soprattutto una predisposizione dell’animo non priva di riferimenti segnici e oggettuali, volta a “rendere straordinaria in sé la percezione”. Nell’attenta ed interessante proposta di lettura di Finizio, l’Astrattismo può esser l’antidoto all’appiattimento della moderna società dell’immagine, in cui la necessità formale della comunicazione eccede e sopraffà il contenuto del messaggio rivolto al soggetto decodificante. Astrattismo come espressione di libertà, ma non di arbitrarietà, incidenza del significato sopra il significante, persistenza della verità segnica sulla non-oggettività dell’immagine tecnologica e virtuale inflazionata e strumentalizzata dalla società liquida, struttura empirico-concettuale verso l’ignoto, “epifania di luce” che non rinuncia al mistero e alla magia dell’arte. (Simona Caramia) > “Le stanze del Minotauro” è il nuovo libro di Massimo Bignardi, frutto di assidui anni di ricerca su una delle più rivoluzionarie personalità del Novecento: Pablo Picasso, la cui com-

plessità è sottolineata anche dal titolo della pubblicazione. Quasi un labirinto che «obbliga a percorrere itinerari mentali spesso senza via d’uscita, a tornare sui propri passi, a perdersi», l’artista intreccia alternativamente immagini del suo presente e del passato, iscrivendo un labile confine su cui si “accende” e “sviluppa” il suo rapporto con “l’ideale moderno di classico”. Difatti, il Minotauro è assurto quale metafora dell’uomo che, sbilanciandosi verso il sublime, scanaglia gli abissi della propria anima e che, risalendovi, osserva e comprende la realtà intorno a lui; è «È una figura, un’ombra nera inquieta, - scrive Bignardi - che istiga e corrode l’animo di Picasso». Non basato su un rigido inquadramento monografico che tenderebbe a ridurne la portata storico-critica, il libro non chiude “l’immagine dell’artista nel suo stesso mito”, ma analizza con cura particolari avvenimenti, figure importanti nella sua vita e per l’iter creativo, aspetti poco noti o meno affrontati, portando alla luce “il rito della pittura”, “il sacrificio del sostrato antropologico”, “la reinvenzione del classico”, “lo spazio e la superficie”, l’incontro “a distanza” e l’influenza della pittura di Matisse, “l’attenzione alla lingua delle immagini”, tutti temi della molteplicità picassiana. Così gli anni della pittura pura, secondo la definizione di Apollinaire, vedono il manifestarsi di una personalità egocentrica, forgiata da drammi esistenziali, dai lutti, dagli orrori della guerra che ben presto sfociano in opere caratterizzate da vivido sentimento d’attesa e da “assenza di Dio”. In questo turbinio di eventi, il lavoro di Picasso è segnato anche dalla necessità di comprendere il reale - trasposto immediatamente in arte con la scultura ed i tableaux-relifs - che sarà sempre modello (o modella) cui riferirsi. Ne è esempio il viaggio in Italia, in particolar modo la visita alle bellezze classiche di Napoli e Pompei, che fanno emergere “un desiderio di mediterraneità” che induce l’artista a soffermarsi sulla figura. Importante in questi anni l’incontro con i Balletti russi e i suoi protagonisti, che permettono a Picasso, ormai trentaseienne, di interrogarsi “sulla prospettiva del palcoscenico”. Questa nostalgia mediterranea si reitera, se non addirittura fortifica, nel corso degli anni Trenta, quando alle tortuose vicende personali si legano una serie di congiunture sociali, politiche e culturali diffuse in tutta Europa. Picasso recupera le origini del mito, le sue icone, saldando alla propria capacità immaginifica le istanze collettive: colori accesi e deformazione espressiva caratterizzano questo periodo, maggiormente visibili in Guernica. Molti i simboli che si agitano nell’immaginario del nostro artista, dando vita ad un “labirinto delle immagini”, in cui, ancora una volta, tensione drammatica e brama del reale sono fortemente sentite, cosicché il colore, espressivo, si accende di luce e lo spazio si riempie di solitudine. Per tutta la sua vita Picasso «non si sottrae mai alla verità, al suo guardare per scoprire», fino alla fine continua a disegnare, a tracciare i segni di un nuovo viaggio verso l’ignoto, verso “lo spazio della pittura”, verso “la sua vita”. (Simona Caramia) Plectica, 2011> L’arte nello spazio pubblico. Una prospettiva critica, edito da Plectica, è il libro d’esordio della giovane storica dell’arte Maria Giovanna Mancini, eppure esso – provvisto di una spiccante copertina rosa che subito lo pone sopra le righe - dimostra già doti non comuni nel padroneggiare con grande sicurezza i vari materiali critici – molti dei quali raramente, quando non per la prima volta, utilizzati dalla letteratura italiana sull’argomento. La Mancini non si limita infatti ad una mera ricostruzione, ma sottolinea senza inibizioni quelli che le appaiono i punti di forza ed i punti deboli di ciascuna posizione – da Rosalyn Deutsche a Miwon Kwon, da Mary Jane Jacob ad Arlene Raven –, argomentandoli con piglio sintetico quanto chiaro ed esauriente e facendo sì che alla fine scaturisca una sua visione

assolutamente personale, nettamente schierata dalla parte di coloro che «producono un’opera che non si separa dal luogo esterno, che non si pone come un inciampo allo sguardo del cittadino, ma come campo in cui interagiscono forze tra cui quelle mosse dai contesti del luogo, secondo un’idea non fenomenologica e formalista dell’arte». Da qui una certa freddezza nei confronti delle esperienze italiane di arte pubblica così come si sono andate sviluppando a partire dagli anni novanta - e forse più ancora nei confronti delle esperienze napoletane delle metropolitane e di Piazza Plebiscito – in quanto per lo più ancora proiettate sul museo come referente, piuttosto che sulla società – casi che pure non rinuncia ad affrontare con il dovuto respiro. D’altra parte se le principali fonti sociologico-filosofiche nell’individuazione a monte dei concetti di “spazio pubblico” e “sfera pubblica” sono rappresentate dal postfrancofortese Jurgen Habermas, dal duo composto dal sociologo di scuola adorniana Oskar Negt e dal cineasta Alexander Kluge, nonché dal teorico della “critica della vita quotidiana” Henri Lefebvre, il riferimento privilegiato sul piano specifico della critica d’arte è senza dubbio, come mette in evidenza Stefania Zuliani, autrice della prefazione, «quel postmodernism of resistence di cui la rivista “October” è stata una indiscussa roccaforte». In quanto «esemplificativi di una pratica che attraverso la “(ri)funzionalizzazione” dell’oggetto estetico permette il contatto diretto con il pubblico indistinto della città» sono infine presentati i casi di tre celebri artisti come Alfredo Jaar, Jorge Pardo e Martha Rosler attraverso altrettanti focus. (Stefano Taccone)

> Lo scorso 16 gennaio la Galleria Deodato Arte ha proposto un duplice appuntamento: la presentazione del calendario 2013 Giorno per Giorno il tempo scandito da 12 opere di Jose Molina edito da Publish e illustrato dalle opere di Jose Molina, e la mostra personale dell’artista spagnolo, visibile fino al 31 gennaio, che espone pezzi inediti e una selezione dei suoi lavori compresi tra il 2004 e il 2012. Jose Molina vive ormai da diversi anni in Italia. Ha iniziato a disegnare e dipingere giovanissimo. In Italia la sua prima esposizione risale al 2004 con la collezione “Morire per Vivere” seguita nel 2007 da “Predatores” mostra curata da Sgarbi presso il Museo della Scienza a Milano e Cosas Humanas del 2010 presso la Fondazione Mudima. Molina sta lavorando ora a due grossi progetti, AnimaDonna e Los Olvidados, due collezioni molto diverse per stile e contenuto, che ci stimolano a prendere coscienza del cambiamento e ci richiamano alle nostre responsabilità di esseri umani. GEN/FEB 2013 | 243 segno - 87

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# 243 - Gennaio / Febbraio 2013

NATHALIE DJURBERG

Galleria

G. L. Bernini, Modello in terracotta del leone della Fontana dei Quattro Fiumi (sec. XVII), attualmente in prestito dall’Accademia Nazionale di San Luca al Metropolitan Museum of Modern Art di New York per la mostra “Bernini Sculpting in Clay” (03.10.2012 - 06.01.2013)

OLTRE QUATTRO SECOLI DI STORIA VERSO IL FUTURO Segno 243 copertina.indd 1

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WILLIAM KENTRIDGE

MARIA CRISTINA CARLINI

ANDREA FOGLI 16/01/13 19:00


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