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segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910 00 in libreria

E 7.

Anno XXXVI

234 GEN - FEB 2011

Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

segno Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea Segno 234 copertina.indd 1

Lady Performance

MARINA ABRAMOVIC

# 234 - Gennaio/Febbraio 2011

Seven Easy Pieces

ELISEO MATTIACCI

MATTEO BASILè

Intervista a OLIVIERO TOSCANI Nuovo Paesaggio Italiano

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CALENDARIO FIERE 2011

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Arte Fiera Bergamo [14-16]

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Art Palm Beach [20-24]

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Vip Art Fair [22-30]

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Arte Fiera Bologna [28-31]

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Art Rotterdam [10-13]

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Arco - Art Madrid [16-20]

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FEBBRAIO

MARZO

The Armory Show New York [3-6] 28

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Volta - Pulse - Scope New York [3-6] 07

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Art Paris [31-3]

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Zona Maco Mexico DF [6-10]

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MiArt Milano [8-11]

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Art Cologne [13-17]

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Art Brussels [28-1]

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Next - Art Chicago [29-2]

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Viennafair [6-9]

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Loop Barcellona [20-22]

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Art Amsterdam [26-30]

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Hot Art Basilea [14-20]

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Art 42 Basilea [16-20]

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Liste Basilea [15-20]

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Scope Basilea [15-19]

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Volta Basilea [16-20]

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Art Platform Los Angeles [30-3]

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Art Forum Berlino [30-2]

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Art Verona [6-10]

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Frieze Londra [13-16]

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FIAC Parigi [20-23]

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TIAF Toronto [28-31]

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Art Basel Miami Beach [1-4]

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Pulse Miami Beach [2-5]

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Scope Miami Beach [1-5]

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Nada Miami Beach [1-5]

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Art Dubai [16-19]

APRILE

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Road to contemporary Roma [27-30] 30

AGOSTO

SETTEMBRE

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NOVEMBRE Artissima Torino [4-6]

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Con il co-finanziamento di

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Con il patronato di

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The armory Show ®

Piers 92 & 94 New York City March 3–6 thearmoryshow.com

Gabriel Kuri Sin título / Untitled (Cascada coloreada), 2007 (detail) consumption tickets, postcard and screenprint on paper. courtesy of the artist & Sadie Coles HQ, London • Galería Kurimanzutto, Mexico City • Galleria Franco Noero, Turin • Esther Schipper, Berlin

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gennaio/febbraio 2011 Perino & Vele [34]

#234 sommario

Paolo Piscitelli [34]

in copertina

Marina Abramovic Eliseo Mattiacci Matteo Basilè Oliviero Toscani

Carla Accardi [40]

8/33 Anteprima Mostre & Musei News gallerie e Istituzioni news/worldart - news Italia-estero a cura di Paolo Spadano e Lisa D’Emidio

Gianni Caravaggio [50]

/ interviste e documentazioni 34/83 attività espositive / recensioni

Vettor Pisani [56]

La scultura italiana nel XXI secolo di Andrea Fiore La fotografia nell’arte degli anni ‘70 in Italia intervista a Elena Re a cura di Lucia Spadano Joseph Kosuth (Matteo Galbiati), Carla Accardi (Ilaria Piccioni), Basico - Moto perpetuo (Gabriella Serusi), Matteo Basilè (Rebecca Delmenico), Eliseo Mattiacci (Veronica Caciolli), Il nuovo MACRO (Ilaria Piccioni), Mimmo Jodice (L.S.), Elke Warth (Paolo Balmas), Francesco Impellizzeri (Ilaria Piccioni), Gianni Caravaggio (Silvia Bottani), Hendrik Krawen (Stefania Russo), Darren Almond e Marco Neri (Stefano Taccone), Lesley Foxcroft (Matteo Galbiati), Oltre il sacro (Rita Olivieri), Kazuo Ohno (Leda Lunghi), Cesare Galluzzo, Arturo Vermi (Matteo Galbiati), Vettor Pisani (Marisa Vescovo), Huang Yong Ping & Shen Yuan (Viviana Guadagno), Sergio Sorgini (Stefano Taccone), Marisa Albanese (Antonello Tolve), Giuseppe Chiari (Maria Vinella), Lucis: un silenzioso spazio sacro (Carla Masciandaro), Silenziose complicità (Simona Caramia), Lia Drei & Francesco Guerrieri (Chiara Ceccucci), Donald Baechler (Veronica Caciolli), Raffaela Mariniello (Stefano Taccone), Mediamorfosi 2.0 (Stefano Taccone), Una Community di artisti al Museo delle Arti di Catanzaro (Simona Caramia), Annamaria Tina (Katia Baraldi), Filippo Minelli (L.S.), Pavel Braila (Giovanni Viceconte), Luigi Ghirri, Mario Rondero e Franco Pavioli (Andrea Fiore), Corrispondenze (Maria Vinella), Valerio Rocco Orlando (Antonello Tolve), Il giardino segreto (L.S.), Pino Deodato (L.S.), Roberto Cicchinè (Dario Ciferri), Marco Fantini (Nicola Davide Angerame), Elio Cavone (Giancarlo Carlone), Carlo Aymonino - Correspondences (di Valentina Ricciuti), Massimiliano Fuksas - Sublimi Scribi del Caos (di Francesco Maggiore)

Francesco Guerrieri [56]

news e tematiche espositive su www.rivistasegno.eu

Le mostre nei Musei, Istituzioni, Fondazioni e Gallerie

84/95 osservatorio critico

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periodico internazionale di arte contemporanea

Direzione e redazione Corso Manthonè, 57 65127 Pescara Telefono 085/61712 Fax 085/9430467 www.rivistasegno.eu redazione@rivistasegno.eu

Lia Drei [56]

Intervista a Oliviero Toscani (a cura di Luciano Marucci), “Cosa Vostra - L’arte del presente è l’anima del futuro: nutriamola” (Campagna di sensibilizzazione AMACI), Recessioni del lavoro di conoscenza (di Gabriele Perretta), Col segno... di poi / 2000-2010 contributi di Ursula Valmori, Rosanna Fumai, Antonella Cattani, Camilla Valsecchi. Libri, Monografie & Lettere (a cura di Paolo Balmas, Antonello Tolve, Matteo Galbiati)

Direttore responsabile LUCIA SPADANO (Pescara) Condirettore e consulente scientifico PAOLO BALMAS (Roma) Direzione editoriale UMBERTO SALA

ABBONAMENTI ORDINARI E 30,00 (Italia) E 40,00 (in Europa CEE) E 50,00 (USA & Others)

Soci e collaboratori: Paolo Aita, Davide Angerame, Marcella Anglani, Paolo E. Antognoli, Veronica Caciolli, Simona Caramia, Nicola Cecchelli, Daniela Cresti, Paola D’Andrea, Rebecca Delmenico, Lia De Venere, Marilena Di Tursi, Andrea Fiore, Rosanna Fumai, Matteo Galbiati, Barbara Goretti, Andrea Mammarella, Antonella Marino, Fuani Marino, Francesca Nicoli, Ilaria Piccioni, Enrico Pedrini, Gabriele Perretta, Gabriele Sassone, Gabriella Serusi, Stefano Taccone, Federica Tolli, Antonello Tolve, Alessandro Trabucco, Paola Ugolini, Stefano Verri, Maria Vinella.

ABBONAMENTO SPECIALE PER SOSTENITORI E SOCI E 500,00 L’importo può essere versato sul c/c postale n. 15521651 Rivista Segno - Pescara

Distribuzione e diffusione Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Pescara - ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 Concessionaria distribuzione in libreria: DIEST, Torino - 011.8981164. Edito dalla Associazione Culturale Segno e da Sala editori associati per gli esecutivi e layout di stampa Registrazione Tribunale di Pescara nº 5 Registro Stampa 1977-1996. Traduzioni Lisa D’Emidio. Coordinamento tecnico grafico Roberto Sala e Massimo Sala - Tel. 085.61438 - grafica@rivistasegno.eu. Redazione web news@rivistasegno.eu Impianti grafici e stampa Publish Allestimento Legatoria D’Ancona. Ai sensi della legge N.675 del 31/12/1996 informiamo che i dati del nostro indirizzario vengono utilizzati per l’invio del periodico come iniziativa culturale di promozione no profit. Segno 234 03-23.indd 7

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Anteprima/News Biennale di Venezia ILLUMInazioni

resentata dal Presidente della Biennale P di Venezia, Paolo Baratta, la 54. Esposizione Internazionale d’Arte che si svolgerà

dal 4 giugno al 27 novembre 2011 (vernice 1,2,3 giugno). Il Direttore Bice Curiger ha scelto come titolo ILLUMInazioni, termine che associa metaforicamente all’ampia varietà di attività e tendenze che piccoli gruppi portano avanti in ogni angolo del mondo. La Curiger si è detta favorevole a una “Biennale con i Padiglioni” in quanto straordinaria occasione di dialogo tra gli artisti e strumento di riflessione, anziché anacronismo. Lo ha dichiarato di fronte ai rappresentanti dei paesi invitati, tra i quali per la prima volta Andorra, Arabia Saudita, Bahrain, Bangladesh, Malaysia, Ruanda, nonché Congo e India, a Venezia l’ultima volta rispettivamente nel 1968 e 1980. Per rafforzare ulteriormente questo senso di unità tra Mostra internazionale e Partecipazioni nazionali, ha lanciato 5 domande per gli artisti: Dove ti senti “a casa”? Il futuro parla in inglese o in quale altra lingua? La comunità dell’arte è una “nazione”? Quante nazioni senti dentro di te? Se l’arte fosse una nazione, cosa ci sarebbe scritto nella sua Costituzione? Il dialogo è aperto.

Urs Fischer, House of Bread, 2004, pane, courtesy Fondazione Nicola Trussardi, Milano

John Bock, Meechfieber, 2004, video still, courtesy Klosterfelde, Berlino; Anton Kern, New York

Paul McCarthy, Static (Pink), dettaglio dell’installazione Pig Island, 2004-2009, silicone e acciaio, cm.271x164x324, foto Roberto Marossi, courtesy Fondazione Nicola Trussardi, Milano Maurizio Cattelan, We, 2010, fibra di vetro, gomma uretanica, legno, abiti, cm.148x79x68, foto Zeno Zotti, courtesy Fondazione Nicola Trussardi, Milano

MIART 2011

8/11 aprile edizione 2011 di MiArt punta dichiaratamente all’”eccellenza del sistema artistico”, grazie a una selezione di cento gallerie tra le più importanti nel panorama italiano e internazionale. L’appuntamento fieristico milanese si svolgerà tra l’8 e l’11 aprile nel padiglione 3 di fieramilanocity, con un allestimento che collocherà gli espositori per analogia delle proposte, secondo gli ambiti storico, contemporaneo e giovani. Confermati Giacinto Di Pietrantonio e Donatella Volonté, curatori rispettivamente delle sezioni contemporaneo e moderno della fiera. Il Comitato Consultivo preposto alla selezione delle gallerie partecipanti è composto da Marco Altavilla, Epicarmo Invernizzi, Giò Marconi, Francesca Minini, Mauro Nicoletti, Lorcan O’Neill, Mario Pieroni, Giulio Tega. Il programma di convegni e conferenze interno alla manifestazione è stato affidato a Peep-Hole (Vincenzo de Bellis e Bruna Roccasalva), mentre il catalogo, edito da Silvana Editoriale, si preannuncia come un vero libro d’arte, curato da Giorgio Verzotti, che contiene il secondo saggio teso a ricostruire la storia dell’arte italiana attraverso le gallerie.

L’

Terre Vulnerabili

HANGAR BICOCCA, Milano ll’Hangar Bicocca, dal 2 febbraio al 10 marzo, il “secondo quarto” del progetto Terre Vulnerabili – a growing exhibition, quattro mostre che si innestano mutando una nell’altra, dal titolo (preso in prestito da L’infra-ordinario di Georges Perec) Interrogare ciò che ha smesso per sempre di stupirci. Con la curatela di Chiara Bertola, gli artisti Bruna Esposito, Carlos Garaicoa, Invernomuto, Kimsooja, Margherita Morgantin, Adele Prosdocimi, Remo Salvadori e Nico Vascellari vanno a sommarsi a quelli già in mostra fin dal 21 ottobre 2010, portando nell’esposizione una nuova fase germinativa e organica: l’idea è che l’opera di ognuno non si cristallizzi una

A

FONDAZIONE NICOLA TRUSSARDI, Firenze La Fondazione Nicola Trussardi, in occasione del Centenario del Gruppo Trussardi, presenta 8½, mostra a cura di Massimiliano Gioni e realizzata in collaborazione con la Fondazione Pitti Discovery. 8½ riunisce nei monumentali spazi della Stazione Leopolda le opere dei tredici artisti a cui, tra il 2003 e oggi, la Fondazione ha dedicato ambiziose personali e spettacolari progetti d’arte pubblica: Darren Almond, Pawel Althamer, John Bock, Maurizio Cattelan (di cui viene presentata in anteprima una nuova opera), Martin Creed, Tacita Dean, Michael Elmgreen & Ingar Dragset, Urs Fischer, Peter Paola Pivi, 100 Cinesi, 1998, stampa fotografica, cm.340x480, foto Attilio Maranzano, courtesy Galleria Massimo De Carlo, Milano

volta aperta la singola mostra, ma continui a crescere ed evolversi per l’intera durata del progetto (che giungerà a conclusione con il quarto quarto in aprile) con aggiunte, correzioni, dialoghi con gli altri artisti invitati e con il pubblico.

Remo Salvadori, Non si volta chi a stella è fisso, 2011, marmo bianco (Hangar Bicocca). Nico Vascellari, Senza titolo, 2011, loop video (Hangar Bicocca). Bruna Esposito, Trittico (Hangar Bicocca).

8-

Fischli e David Weiss, Paul McCarthy, Paola Pivi, Anri Sala e Tino Sehgal. Si tratta, com’è facile constatare, di nomi che nell’ultimo decennio si sono imposti tra le voci più interessanti e significative del panorama internazionale accomunati in un racconto per immagini, una sorta di carosello fatto di sogni e ossessioni, di desideri e fantasie cucite insieme come nell’immortale film di Fellini da cui la mostra prende in prestito il titolo.

Europunk

VILLA MEDICI, Roma L’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici presenta Europunk, La cultura visiva punk in Europa, 1976-1980, prima grande mostra di respiro internazionale che raccoglie, fino al 20 marzo, la produzione alternativa nel campo delle arti visive della seconda metà degli anni ‘70, in particolare quella realizzata nel Regno Unito e in Francia, ma anche in Germania, Svizzera, Italia e Olanda. L’esposizione è curata da Éric de Chassey, direttore dell’Accademia di Francia a Roma, ed è realizzata in collaborazione con Fabrice Stroun, curatore indipendente associato al MAMCO di Ginevra. A circa 35 anni dalla nascita, lo stile punk continua a influenzare tutte le forme d’arte, come abbiamo la possibilità di constatare dall’accostamento di opere storiche di Jamie Reid, Malcolm McLaren, il team Bazooka, circa 550 tra oggetti, fanzine, poster, volantini e copertine di dischi e filmati, con i progetti site-specific

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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< Collezione Christian Stein

Michelangelo Pistoletto Lui e lei abbracciati, 1968, carta velina su acciaio, cm.120x100 (MAXXI) Gerrit Rietveld, Sedia rosso blu, 1917 (MAXXI)

MAXXI Roma

A

rchiviati i primi sette mesi di vita, il MAXXI si prepara a un 2011 molto intenso a partire dalle grandi monografiche dedicate a Michelangelo Pistoletto e Gerrit Rietveld. La mostra di Pistoletto, conclusasi da poco al Philadelphia Museum of Art, è visitabile a Roma dal 3 marzo al 26 giugno e segna la prima di una serie di importanti collaborazioni internazionali del museo italiano. Nell’esposizione, a cura di Carlos Basualdo, sono riuniti oltre cento lavori, dai ritratti ai Plexiglas degli anni Sessanta anticipatori del Concettuale, dalla sezione degli Stracci testimonianza della ricerca legata all’Arte Povera alle performance degli anni Settanta, fino al cuore della mostra con gli Specchi e gli Oggetti in meno. Un’attenzione particolare è dedicata alla mostra/laboratorio Cittadellarte, che esplora il lavoro del centro interdisciplinare per l’arte e la cultura fondato da Pistoletto a Biella nel 1998 con l’intento di, come dichiara, “mettere l’arte al centro di un processo responsabile di trasformazione sociale”. Si snoda, invece, tra aprile e luglio Rietveld’s universe, esposizione a cura di Maristella Casciato, Domitilla Dardi e Ida van Zijl del Central Museum Utrecht (dove anche in questo caso, la mostra si è appena conclusa); l’evento ricostruisce i termini della grande influenza del maestro di Utrecht nell’architettura e nel design moderno e contemporaneo.

di Francis Baudevin, Stéphane Dafflon, Philippe Decrauzat e Scott King. Ricchissimo l’apparato iconografico del catalogo (in francese, italiano e inglese), con un saggio critico di Éric de Chassey e testi di Jon Savage e Jerry Goossens. Jamie Reid, God save the Queen, 1977

MUSEO CANTONALE, Lugano Il Museo Cantonale d’Arte di Lugano ospita, dal 12 marzo al 15 maggio, l’esposizione Collezione Christian Stein. Una storia dell’arte italiana. Selezione di circa cento capolavori dell’arte italiana del dopoguerra, in coproduzione con l’IVAM, Institut Valencià d’Art Modern di Valencia. In mostra opere selezionate tra le molte, raramente esposte, che evocano e ripercorrono la storia della Collezione, narrazione di un momento irripetibile della storia culturale europea grazie ad artisti come Anselmo, , Boetti, Calzolari, Castellani, Ettore Colla, De Dominicis, Fabro, Fontana, Kounellis, Lo Savio, Manzoni, Melotti, Mario e Marisa Merz, Paolini, Parmiggiani, Penone, Pistoletto, Salvadori, Uncini, Zorio. L’esposizione, a cura di Jean Louis Maubant, Francisco Ja-

Giulio Paolini, Saffo, 1981, due fotografie montate tra due sagome di plexiglas, collezione privata

rauta e Bettina Della Casa, è dedicata a Jean Louis Maubant, recentemente scomparso. Catalogo bilingue a cura di Bettina Della Casa, con testi di Jean Louis Maubant, Francisco Jarauta, Bruno Corà, Giulio Paolini e una ricca sezione di apparati.

In senso orario, dall’alto: Christian Stein con opere di Fabro e Kounellis, fine anni sessanta; Jannis Kounellis, Senza titolo, 1969, struttura in ferro, bilancine, metaldeide, cm.190x164x10, collezione Margherita Stein; Mario Merz, Igloo con albero, 1968-1969, tubolare in ferro, vetri, stucco, ramo, collezione Margherita Stein; Gino De Dominicis, Figura con stelle, 1995, tempera su tavoletta di legno, cm.51x37,5 collezione privata.

Lubiana

Aquì y Ahora

ACCADEMIA DI SPAGNA, Roma Accademia Reale di Spagna propone, fino al 15 marzo, il progetto collettivo Aquì y Ahora: tredici interpretazioni molto personali dei temi, antichi e moderni, che definiscono la Spagna contemporanea con parole d’ordine quali immigrazione, tori, turismo, acqua, territorio, gente, abitazioni, matrimoni, memoria familiare, terrorismo, moto, religione e bar. Fanno parte del progetto le esposizioni fotografiche: Extraños di Matìas Costa, Vìa de la Cruz di Iñaki Domingo, Mares de interior di Paco Gómez, Metro de Madrid di Jorquera, Tardes de toros di Carlos Luján, Península di Eduardo Nave e Juan Millás, Esposas di Tanit Plana, Letanía di Eva Sala, Naturaleza muerta di Juan Santos, 49 c.c. di Carlos Sanva, Nuevas familias di Marta Soul, Madre di Juan Valbuena, El Palentino di Jonás Bel.

L’

RadioArteMobile Roma presenta presso la Mestna Galerija dal 20 gennaio Compagni di viaggio, un progetto che si sviluppa in 4 parti: RAM LIVE, una radio via internet che dal 2001 trasmette dal sito www.radioartemobile.it materiali audio di artisti sotto forma di opere sonore, interviste, dialoghi (progetto realizzato in concorso con Radio Cona di Ljubljana) selezionati da Ilari Valbonesi e Irena Piska; l’opera del collettivo IRWIN appositamente realizzata per la mostra; decine di disegni, cartoline e lettere testimoniano l’attività di Dora Stiefelmeier e Mario Pieroni realizzata nel corso degli anni a stretto contatto con artisti ed esponenti della cultura contemporanea internazionale; l’installazione di Getulio Alviani - Transito 1967 - in sinergia con la musica algoritmica di Pietro Grossi rappresenta l’opera d’arte ambientale. La seconda stazione del progetto Il Treno dal titolo Landscapes on the Move a cura di Lorenzo Benedetti e Cecilia Casorati con opere di Donatella Spaziani, Liliana Moro, Mario Airò, Massimo Bartolini, Dario D’Aronco, Marco Fedele di Catrano, Valentino Diego, Donatella Landi, Eva Marisaldi, Alfredo Pirri. Ospiti d’onore della mostra sono Jannis Kounellis con l’opera s.t., 2010, parte di un’installazione creata per la stazione ferroviaria di La Paz, Bolivia e Alvin Curran con un estratto di un brano sonoro dedicato a John Cage. In visione inoltre il documentario di Ferdinando Vicentini Orgnani S.T. backstage degli artisti e il film di Jimmie Durham Pursuit of Happiness

Eduardo Nave e Juan Millás, Península

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Anteprima/News

Gabriel Kuri, Untitled (Parking Swirl 2), 2007 Courtesy dell’artista e Galleria Franco Noero, Torino.

New York The Armory Show

al 3 al 6 marzo al via uno degli appuntamenti D imperdibili per l’arte contemporanea negli Stati Uniti. Per la sua tredicesima edizione la direttrice Kate-

lijne De Backer presenta 274 gallerie d’arte moderna e contemporanea da 31 diversi paesi: (PIER 94) Arte Contemporanea: Australia: Anna Schwartz Gallery, Melbourne; Austria: Galerie Grita Insam, Vienna; Galerie Georg Kargl, Vienna; Galerie Krinzinger, Vienna; Galerie Nikolaus Ruzicska, Salzburg; Galerie nächst St. Stephan Rosemarie Schwarzwalder, Vienna; Belgio: Baronian Francey, Brussels; hoet bekaert gallery, Ghent; Stella Lohaus Gallery, Antwerp; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; Zeno X Gallery, Antwerp , Brasile: Luciana Brito Galeria, San Paolo; Canada: Art Dealers Association of Canada, Toronto; Corkin Gallery, Toronto; Clark & Faria Gallery, Toronto; Cile: Gonzalez y Gonzalez, Santiago; Cina: Boers-Li Gallery, Beijing; Repubblica Ceca: Jiri Svestka Gallery, Praga; Danimarca: Galleri Bo Bjerggaard, Copenhagen; Galleri Christina Wilson, Copenhagen; Francia: art: concept, Parigi; Bugada & Cargnel, Parigi; Cortex Athletico, Bordeaux; Galerie Anne de Villepoix, Parigi; Galerie Laurent Godin, Parigi; Galerie Hussenot, Parigi; Yvon Lambert, Parigi; Loevenbruck, Parigi; Galerie gabrielle maubrie, Parigi; Galerie Nathalie Obadia, Parigi; Praz-Delavallade, Parigi; Galerie Daniel Templon, Parigi; Galerie Thaddaeus Ropac, Parigi; Galerie Georges-Philippe & Nathalie Vallois, Parigi; Germania: Arndt, Berlino; Buchmann Galerie, Berlino; carlier | gebauer, Berlino; Galerie Crone, Berlino; Galerie EIGEN + ART, Berlino; Galerie Michael Janssen, Berlino; Galerie Ben Kaufmann, Berlino; L.A. Galerie - Lothar Albrecht, Francoforte; Galerie Giti Nourbakhsch, Berlino; Galerie Vera Munro, Amburgo; Galerie Parisa Kind, Francoforte; Peres Projects, Berlino; Produzentengalerie, Amburgo; Esther Schipper, Berlino; Galerie Thomas Schulte, Berlino; Galerie SFEIRSEMLER, Amburgo; Sies + Höke Galerie, Dusseldorf; Galerie Barbara Thumm, Berlino; Figge von Rosen Galerie, Colonia; Barbara Wien Wilma Lukatsch, Berlino; VOGES GALLERY, Francoforte; Galerie Zink, Monaco; Grecia: The Breeder Gallery, Atene; Islanda: i8, Reykjavik; Irlanda: Kerlin Gallery, Dublino; mother’s tankstation, Dublino; Israele: Noga Gallery of Contemporary Art, Tel Aviv; Italia: Cardi Black Box, Milano; Galleria

SCOPE New York

Dal 2 al 6 marzo per l’edizione 2011 a New York, SCOPE inaugura la nuova sede di 6000 metri quadri in West Side Highway, a pochi minuti da The Armory Show. La fiera presenta i lavori di singoli artisti e group show tematici selezionati da 50 gallerie internazionali da quattro continenti e 16 paesi tra i quali Cina, Messico, Giappone, Corea, Brasile, Italia, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Norvegia, Svizzera, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Canada.

Verge Brooklyn Art Fair

In contemporanea con Armory Show 2011 Verge torna a New York presentando dal 3 al 6 marzo la prima Fiera d’Arte internazionale tenuta a Brooklyn, che avrà luogo in diverse locations nella DUMBO area.

Pulse New York

Dal 3 al 6 marzo si svolge PULSE New York presso il Metropolitan Pavilion. Con circa 50 gallerie internazionali d’arte contemporanea che presentano le opere di artisti affermati ed emergenti. Il programma prevede una sezione per le sculture large-scale, ed una dedicata alle installazioni. Tra gli artisti selezionati: David Abir,
Alexandre Arrechea,Tim Bavington, Alberto Borea, Anthony Lister, Julian Lwin, Trevor Reese, Vadis Turner, 
Agustina Woodgate,

Diane Tuft.

VOLTA New York

Al via dal 3 al 6 Marzo la nuova edizione di VOLTA NY (la versione americana della fiera fondata a Basilea nel 2005) dedicata a gallerie che presentano progetti 10 -

Continua, San Gimignano; Galleria Raffaella Cortese, Milano; Massimo De Carlo, Milano; Galleria Franco Noero, Torino; MONITOR, Roma; Galleria Lorcan O’Neill, Roma; Giorgio Persano, Torino; Studio La Città, Verona; Giappone: Gallery Side 2, Tokyo; TARO NASU, Tokyo; Messico: Nina Menocal, Città del Messico; Paesi Bassi: Annet Gelink Gallery, Amsterdam; Galerie Ron Mandos, Amsterdam; Galerie Gabriel Rolt, Amsterdam; Upstream Gallery, Amsterdam; Portogallo: Filomena Soares Gallery, Lisbona; Russia: Regina Gallery, Mosca; XL Gallery, Mosca; Sud Africa: Goodman Gallery, Johannesburg; Michael Stevenson, Cape Town; Sud Corea: Kukje Gallery/Tina Kim Gallery, Seoul; Spagna: Oliva Arauna, Madrid; Nogueras Blanchard, Barcellona; Parra & Romero, Madrid; Galeria Senda, Barcellona; Svezia: Andréhn-Schiptjenko, Stoccolma; Galleri Magnus Karlsson, Stoccolma; Galleri Charlotte Lund, Stoccolma; Milliken, Stoccolma; Svizzera: Gallery Guy Bärtschi, Ginevra; Evergreene, Ginevra; Faye Fleming & Partner, Ginevra; Hauser & Wirth, Zurigo; Peter Kilchmann Gallery, Zurigo; Mai 36 Galerie, Zurigo; Galerie Urs Meile, Lucerna; Galerie Mark Müller, Zurigo; Galerie Bob van Orsouw, Zurigo; Turchia: Galerist, Istanbul; Regno Unito: Blain Southern, Londra; Corvi-Mora, Londra; greengrassi, Londra; Hales Gallery, Londra; IBID PROJECTS, Londra; Ingleby Gallery, Edinburgo; Institute of Contemporary Arts, Londra; Alison Jacques Gallery, Londra; Simon Lee Gallery, Londra; Josh Lilley, Londra; Lisson Gallery, Londra; Victoria Miro, Londra; Other Criteria, Londra; Pilar Corrias Gallery, Londra; ROKEBY, Londra; SEVENTEEN, Londra; Stuart Shave/Modern Art, Londra; The Modern Institute/Toby Webster Ltd, Glasgow; Timothy Taylor Gallery, Londra; White Cube, Londra; Whitechapel Gallery, Londra; Max Wigram Gallery, Londra; Workplace Gallery, Gateshead; Stati Uniti: 303 Gallery, New York; Angles Gallery, Los Angeles; Altman Siegel, San Francisco; Ambach & Rice, Seattle; Art Production Fund, New York; Marianne Boesky Gallery, New York; Peter Blum Gallery, New York; Bortolami, New York; Rena Bransten Gallery, San Francisco; CANADA, New York; Conner Contemporary Art, Washington DC; CRG, New York; DCKT Contemporary, New York; Catherine Edelman Gallery, Chicago; Eleven Rivington, New York; Derek Eller Gallery, New York; exhibit-E, New York; Kavi Gupta, Chicago; Ronald Feldman Fine Arts, Inc., New York; Zach Feuer Gallery, New York; Fredericks & Freiser, New York; MARC FOXX, Los Angeles; Gering & López Gallery, New York; Greenberg Van Doren Gallery, New York; Richard Heller Gallery, Santa Monica; Rhona Hoffman Gallery, Chicago; Honor Fraser, Los Angeles; Horton Gallery, New York; I-20, New York; International Sculpture Center, Hamilton; Paul Kasmin Gallery, New York; Sean Kelly Gallery, New York; Khastoo, Los Angeles; Nicole Klagsbrun Gallery, New York; Leo Koenig Inc., New York; David Kordansky Gallery, Los Angeles; Andrew Kreps Gallery, New York; Lehmann Maupin, New York; Yossi Milo Gallery, New York; Murray Guy, New York; MUSEUM 52 LONDON | NEW YORK, New York; Mihai Nicodim Gallery, Los Angeles; Carolina Nitsch, New York; Parkett Publishers, New York; Pierogi, Brooklyn; Rhizome, New York; Nicholas Robinson, New York; Jack Shainman Gallery, New York; Reed Seifer, New York; Fredric Snitzer Gallery, Miami; Richard Telles Fine Art, Los Angeles; Two Palms, New York; Untitled, New York; Rachel Uffner Gallery, New York; Ratio 3, San Frandi singoli artisti. Le gallerie selezionate dal direttore Amanda Coulson: Ada Gallery, Alejandra Von Hartz Gallery, Aspn, Barbarian Art Gallery / By Natasha Akhmerova Bca Gallery Bitforms Gallery Breenspace Carmichael Gallery Dodgegallery Eleven Espaivisor – Visor Gallery Fas Contemporary Fred [London] Limited Frederieke Taylor Gallery Fruehsorge Contemporary Drawings Galería Adhoc Galería Bacelos Galería Bickar Galeria Isabel Hurley Galería Juan Silió, Galerie Anita Beckers Galerie Baer Galerie Christian Lethert Galerie Heike Strelow Galerie Römerapotheke Galerie Van Der Mieden Gallery Diet Gallery Niklas Belenius Gallery Simon Ge Galería Hamish Morrison Galerie Helene Nyborg Contemporary Inda Gallery Jarmuschek + Partner Johansson Projects Jonathan Ferrara Gallery Jonathan Levine Gallery Katharine Mulherin Contemporary Art Projects | Mulherin Pollard Projects Kevin Kavanagh Krupic Kersting Galerie//Kuk Lamontagne Gallery Larmgalleri; Lyons Wier Gallery Ma2gallery Madder139 Magnus Müller Temporary Magrorocca Martin Asbæk Gallery Marx & Zavattero Mito Mixed Greens Nettie Horn Nora Fisch Arte Contemporáneo Number 35 Gallery Nusser & Baumgart One And J. Gallery P74 Gallery Parisian Laundry Pdx Contemporary Art Perugi Artecontemporanea Pierre-François Ouellette Art Contemporain Pobeda Gallery Pool Gallery Priska C. Juschka Fine Art Samsøn, Schuebbe Projects Sebastian Brandl Specta Stene Projects Steve Turner Contemporary Steven Zevitas Gallery Sue Scott Gallery Teapot The Cynthia Corbett Gallery The Pool Nyc V1 Gallery Valle Ortí Vane Whatiftheworld / Gallery Wilde Gallery Wolfe Contemporary Art Y Gallery Ybakatu Espaço De Arte.

cisco; Susanne Vielmetter Los Angeles Projects, Culver City; VSA Arts, Washington; Bryce Wolkowitz Gallery, New York. (PIER 92) Arte Moderna: Austria: Galerie Ernst Hilger - Modern, Vienna; Canada: Christopher Cutts Gallery, Toronto; Finlandia: Galerie Forsblom, Helsinki; Francia: A.L.F.A., Parigi; JGM Galerie, Paris; Yoyo Maeght, Parigi; Germania: DIE GALERIE, Francoforte; Levy Galerie, Berlino; Galerie Ludorff, Dusseldorf; Michael Schultz Gallery, Berlino; Springer & Winckler Galerie, Berlino; Galerie Thomas, Monaco; Italia: G.A.M. Galleria d’Arte Maggiore, Bologna; James Barron, Roma; Spagna: Oriol Galeria d’Art, Barcellona; Michel Soskine, Inc., Madrid; Svezia: Wetterling Gallery, Stoccolma; Regno Unito: Alan Cristea Gallery, Londra; HackelBury Fine Art, Londra; Sims Reed, Londra; Stati Uniti: Adler & Conkright Fine Art, New York; Armand Bartos Fine Art, New York; Babcock Galleries, New York; Jonathan Boos, Bloomfield Village; Simon Capstick-Dale Fine Art, New York; Chowaiki & Co., New York; Contessa Gallery, Cleveland; Betty Cuningham Gallery, New York; Danese, New York; DC Moore Gallery, New York; Cecilia de Torres, Ltd., New York; Andrew Edlin Gallery, New York; Fleisher/Ollman Gallery, Philadelphia; Francis M. Naumann Fine Art, New York; Frey Norris Gallery, San Francisco; Forum Gallery, New York; James Goodman Gallery, New York; James Graham & Sons, New York; Nohra Haime Gallery, New York; Hill Gallery, Birmingham; Hirschl & Adler Modern, New York; Hollis Taggart Galleries, New York; Nancy Hoffman Gallery, New York; Vivian Horan Fine Art, New York; Loretta Howard Gallery, New York; David Klein Gallery, Birmingham; Knoedler & Company, New York; Alan Koppel Gallery, Chicago; Lennon, Weinberg, Inc., New York; Marlborough Gallery, New York; Mary-Anne Martin/Fine Art, New York; Stephen Mazoh & Co. Inc., Rhinebeck; Jerald Melberg Gallery, Charlotte; Edward Tyler Nahem Fine Art, New York; Richard Norton Gallery, Chicago; Jonathan O’Hara Gallery, New York; Gerald Peters Gallery, New York; Ricco/Maresca Gallery, New York; Yancey Richardson Gallery, New York; Michael Rosenfeld Gallery, New York; Marc Selwyn Fine Art, Los Angeles; Senior & Shopmaker Gallery, New York; Susan Sheehan Gallery, New York; Sicardi Gallery, Houston; Bruce Silverstein Gallery, New York; Gary Snyder/Project Space, New York; Spanierman Modern, New York; Craig F. Starr Gallery, New York; Allan Stone Gallery, New York; Tasende Gallery/La Jolla & West Hollywood, La Jolla; Leon Tovar Gallery, New York; McCormick Gallery/Vallarino Fine Art, Chicago; Meredith Ward Fine Art, New York; Washburn Gallery, New York; D. Wigmore Fine Art, New York; Amy Wolf Fine Art And Elrick-Manley Fine Art, New York. Armory Focus: America Latina: A Gentil Carioca, Rio de Janeiro; Galeria Isabel Aninat, Santiago; Arroniz, Mexico City; Baro Gallery, San Paolo; Caja Blanca, Messico City; Lucia de la Puente, Lima; Faría Fábregas Galería, Caracas; Galeria Enrique Guerrero, Mexico City; Ignacio Liprandi Arte Contemporaneo, Buenos Aires; Galeria Leme, San Paolo; Galeria Laura Marsiaj, Rio de Janeiro; Galeria Nara Roesler, San Paolo; Nueveochenta Arte Contemporáneo, Bogota; Revolver Galeria, Lima; Galeria Casas Riegner, Bogota; Casa Triãngulo, San Paolo; Mendes Wood, San Paolo; and Galerie Vermelho, San Paolo. L’artista incaricato della cura dell’immagine della fiera per il 2011 è il messicano Gabriel Kuri.

George Kuchar, Sustenance (still from Vault of Vapors), 2009, video still ADA Gallery Laurina Paperina, Damien Hirst, 2009, photo on paper, 9,84 x 9,84 inch, edition of 3, Perugi Arte Contemporanea Padova.

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Atene

MoMa Andy Warhol

Fino al March 21 Il MoMa presenta la mostra Andy Warhol: Motion Pictures, una raccolta di ritratti cinematografici, film in bianco e nero muti, realizzati dalla metà degli anni Sessanta, che rivelano il fascino che l’artista subiva per il culto della celebrità. Dodici Screen Tests, dedicati ad alcune delle sue “Superstar” – tra le quali Edie Sedgwick, Nico, Baby Jane Holzer; il poeta Allen Ginsberg; il musicista Lou Reed; l’attore Dennis Hopper; l’autrice Susan Sontag – verrano proiettati sulle mura della galleria mentre per la pellicola “Kiss” è stata creata appositamente una sala cinematografica all’interno del MoMa.

Slater Bradley e Ed Lachman Production still from Shadow, 2010. High-definition video,color, five-channel surround sound; 13:30 minutes.

Whitney Slater Bradley

Fino al 10 aprile il Whitney presenta Shadow (2010), il nuovo video che l’artista Slater Bradley ha realizzato in collaborazione con il regista Ed Lachman (che ha ricevuto una nomination agli Oscar). Il video si ispira a Dark Blood (1993), film mai portato a compimento per la morte del protagonista River Phoenix, una sorta di prologo a diciassette anni di distanza. Charles LeDray Fino al 13 febbraio in mostra al Whitney la raccolta di opere dell’artista americano Charles LeDray: il curatore Carter Foster presenta una selezione dei suoi lavori realizzati dal 1980 ad oggi attraverso l’utilizzo per le proprie sculture di materiali che spaziano dalla stoffa, alla ceramica fino alla incisione di ossa umane. La Galleria Leo Castelli presenta Joseph Kosuth A short history of ‘Text/Context’ 1977‐1979 in mostra un frammento del cartellone pubblicitario originale – che l’artista concettuale aveva realizzato in Europa e America installando testi su due cartelloni e contrapponendoli creando un dialogo visivo – ed una serie di 19 fotografie in bianco e nero che documentano le installazioni storiche.

Laurel Nakadate (Moma PS1, New York)

Athens Video Art Festival 2011 festival delle arti digitali e nuovi media presenta in primavera per la sua settima edizione i lavori di artisti provenienti da più di 50 paesi di video installazione, installazioni, animazioni, video arte, immagine digitale, performance e Web art ad Atene e a seguire in tour in varie città in Grecia.

Barcellona

La Galleria Hartmann propone la mostra collettiva dei 10 finalisti del concorso MIMIC, al quale hanno aderito numerosi artisti di diverse nazio- Mario Loprete, Flight, nalità, come la Spagna, olio su tela 80x160 Australia, Argentina, Germania, Italia, Portogallo e Colombia. Nel giugno del 2010, una giuria specializzata composta da: Xavier Claramunt i Domenech (Architetto), Alberto Mejías (Presidente ristorante e albergo La Rambla de Catalunya), Jordi Pujol (collezionista, membro patrocinio MACBA), Claudia Fierro Vives (artista), Albert Camí (Imprenditore), Lorenzo Abascal (Imprenditore) - ha indicato i finalisti del concorso di pittura e fotografia MIMIC, per l’illustrazione della facciata del Hotel Acta Mimic in Ciutat Vella di Barcellona, con il titolo “Cosa c’è dietro la tela ? “. Questa mostra rappresenta la diversità della situazione attuale dell’ arte giovane internazionale . Questi gli artisti finalisti: Héctor Francesch, Rex Dupain, Gonzalo Elvira, Jorge Hernández, João Noutel, Xavi Muñoz, Santi Caralt, Alexandra Richter, Juan Rogrigo Piedrahita, Mario Loprete.

Berna/Witrach

Fino al 16 Aprile la Galleria Henze & Ketterer presenta “Opera al nero” di Giovanni Manfredini. La mostra raccoglie una selezione di suoi vecchi e nuovi lavori, accompagnati da un video e dalla musica di Alessandro Palladini, tema centrale è Giovanni Manfredini il fuoco.

Andy Warhol, Kiss. 1963–64. 16mm film (bianco e nero muto). 54 min. at 16fps. © 2010 The Andy Warhol Museum, Pittsburgh, PA, a museum of Carnegie Institute. All rights reserved. Film still courtesy of The Andy Warhol Museum

MoMa PS1 Laurel Nakadate

Dal 23 gennaio all’8 Agosto il PS1 presenta Laurel Nakadate con la mostra personale “Only the Lonely”, che raccoglie i lavori che l’artista ha realizato negli ultimi dieci anniu tilizzando il video, la fotografia e realizzando film. In mostra anche uno dei suoi primi lavori video, nel quale era invitata nelle case di uomini anonimi a ballare, posare o fingersi morta nelle loro cucine, camere da letto e soggiorni.

Bruxelles

Tentativo di esistenza. Estasi, 2003

Dal 28 aprile al 1 maggio si svolge la 29ima edizione di Art Brussels con 170 gallerie selezionate da più di 33 paesi.; saranno presenti le gallerie italiane Continua, Massimo De Carlo, Francesca Minini, Franco Soffiantino, Invernizzi, Tucci Russo.

Gagosian New York

[West 21st Street] Francesco Vezzoli Dal 5 al 12 Marzo “Sacrilegio,” la prima mostra monografica dedicata a Francesco Vezzoli a New York. L’artista trasformando la vasta galleria in una cappella rinascimentale ha allestito rappresentazioni giganti di dipinti del Cinque-Seicento rappresentanti Madonne con bambino di artisti quali Giovanni Bellini, Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli e altri e sostituito le Madonne con immagini di donne contemporanee, le top model Claudia Schiffer, Tatjana Patitz, Linda Evangelista, ed altre. In ogni opera le modelle e il bambino sono adornate da makeup, tatuaggi e lacrime oblunghe realizzate attraverso la tecnica del ricamo.

Colonia

La 45ima edizione di Art Cologne si svolge dal 13 al 17 Aprile presso il Cologne Exhibition Centre e ospita circa 200 gallerie internazionali; tra le italiane
presenti Federico Bianchi, g.a.m. galleria d’arte maggiore, Gentili Grossetti, Dr. Dorothea van der Koelen, Studio La Città, Luce.

Dubai

Francesco Vezzoli Larry Gagosian e Damien Hirst

Gagosian Hong Kong

Damien Hirst Dal 18 gennaio Gagosian inaugura il nuovo spazio espositivo ad Hong Kong con la mostra “Forgotten Promises” che raccoglie i nuovi dipinti e le nuove sculture dell’artista Damien Hirst che hanno per oggetto il tema della farfalla. Una serie di dipinti (2008-2009) tra i quali Age of Magnificence e Fading Magnificence contengono delle vere farfalle sepolte sotto brillanti strati di pittura metallica. Damien Hirst, Inachis io in Buddleja davidii, 2009-2010

La quinta edizione di Art Dubai, dal 16 al 19 Marzo, presenta più di 75 gallerie affermate ed emergenti provenienti da Medio Oriente, Asia, Europa e America. Tra le gallerie italiane, Cardi Black Box, Milano.

Innsbruck

Si svolge dal 3 al 6 febbraio la 15ima edizione di ART Innsbruck - fiera internazionale d’arte contemporanea. Numerose le gallerie partecipanti provenienti da Italia, Germania, Belgio, Austria, Svizzera, Francia e Spagna.

Grenoble

Il Centro Nazionale d’Arte Contemporanea Le MAGASIN, presenta dal 6 Febbraio al 24 Aprile “Japancongo” a cura dell’artista Carsten Höller, che compara la collezione di arte contemporanea africana del collezionista e fotografo Jean Pigozzi con la sua recente collezione d’arte

Maitre Syms, Rétrospective de la R.D.C., 2001 Acrylic on canvas, sequins. Courtesy CAAC - The Pigozzi Collection, Geneva

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Anteprima/News contemporanea giapponese facendo diventare essa stessa un’opera. In mostra su una parete diritta lunga quasi 40 metri i disegni, dipinti, fotografie e sculture di giovani artisti giapponesi, mentre una parete curva delle stesse dimensioni è dedicata alle opere di artisti della sola Repubblica Democratica del Congo. Sedici artisti Congolesi (tra i quali Pierre Bodo, Chéri Samba, Pathy Tshindele, Jean Depara, Cheik Ledy, e Bodys Isek Kingelez) a confronto, con lo stesso numero di opere, con 47 artisti giapponesi (tra i quali Natsumi Nagao, Nobuyoshi Araki, Akihiro Higuchi, Kazuna Taguchi, Teppei Kaneuji, Hiroki Tsukuda, e Keiichi Tanaami).

Londra

Fino al 27 Febbraio la Hayward Gallery Project Space presenta Erik van Lieshout How can I help you? Nel suo nuovo film-installazione Commission (2011) l’artista olandese documenta l’esperienza dell’apertura nell’estate del 2010 di un negozio temporaneo in uno spazio abbandonato all’interno dello Zuidplein mall a Rotterdam, occasione utile non tanto per vendere oggetti, ma piuttosto a riconnettersi con le persone del quartiere che ospita comunità di immigrati, avere divertenti e franche conversazioni sulle loro radici, il consumismo e la salita al potere della Destra olandese.

Londra

Fino al 6 marzo per la prima volta a Londra nella Galleria Whitechapel l’artista Mona Hatoum presenta l’installazione room-filling “Keeping It Real: Current Disturbance”. Terza di una serie di quattro installazioni dalla collezione D. Daskalopoulos, Grecia, “Current Disturbance” (1996) rempie la galleria con il suono della corrente elettrica che alimenta lampadine intermittenti contenute in una grande gabbia metallica. “Keeping it Real” è formata da una serie di 4 micro–mostre, ognuna delle quali costruite sulla memoria della precedente. La quarta e ultima mostra della serie, “Material Intelligence”– dal 18 Marzo al 22 Maggio – include artisti che utilizzano come materiale immagini preesistenti.

Lussemburgo

Casino Luxembourg – Forum d’arte contemporanea ospita nel 2011 la prossima edizione di project room @ aquarium, programma internazionale artistin-residency, che si svolge nel cosiddetto un Lussemburgo Casino Luxembourg “acquario”, padiglione di acciaio Forum d’arte contemporanea e vetro di 175 metri quadri, e che focalizza l’attenzione degli artisti residenti sullo scambio e dibattito in relazione al contesto locale e temi socio-culturali in Lussemburgo. In mostra le opere degli artisti in residenza primaverile dal 9 luglio al 11 settembre; per la residenza autunnale, dal 29 ottobre al 8 gennaio 2012.

Metz

Fino al primo maggio presso la galleria 49 NORD 6 EST Frac Lorraine la mostra “A Serpentine Gesture and Other Prophecies” raccoglie le opere degli artisti Benoît Billotte, Iñaki Bonillas, Antony Gormley, Monika Grzymala, Werner Herzog, Corey McCorkle, Pierre-Étienne Morelle, Pratchaya Phinthong, Ian Wilson.

Rotterdam

Dal 10 al 13 febbraio Art Rotterdam per la sua 12ima edizione presenta le opere degli artisti proposti da circa 70 gallerie internazionali (unica galleria italiana presente, Monitor, Roma). Segnalato da un comitato internazionale l’artista concettuale olandese Navid Nuur.

Sydney

La Biennale di Sydney 2012 ha annunciato la nomina di Catherine de Zegher e Gerald McMaster quali Direttori Artistici della 18ima edizione che si svolgerà dal 27 giugno al 16 Settembre 2012.

Catherine de Zegher e Gerald McMaster Direttori Artistici Biennale di Sydney. Foto di Sebastian Kriete.

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Madrid ARCO_2011

Al via dal 16 al 20 Febbraio la Fiera Internazionale di Arte Contemporanea ARCOmadrid, che presenta opere di quasi 200 gallerie da tutto il mondo, e celebra la sua trentesima edizione con nuove sezioni e una mostra dedicata ai suoi 30 anni. Il PROGRAMMA GENERALE accoglie 117 gallerie internazionali che propongono opere che spaziano dall’avanguardia storica, al moderno e contemporaneo mentre per la sezione ARCO 40 35 gallerie presentano le opere recenti di un massimo di tre artisti: Ad Hoc Vigo Adn Galería Barcelona Adora Calvo Salamanca Alarcón Criado (Full_Art) Sevilla Alejandra Von Hartz Gallery Miami Alejandro Sales Barcelona Alex Daniels Reflex Amsterdam Alfredo Viñas Málaga Altxerri San Sebastián Álvaro Alcázár Madrid Andersen´S Copenhagen André Simoens Gallery Knokke Angels Barcelona Barcelona Art Nueve Murcia Atm Contemporary / Galeria Altamira Gijon Bacelos Vigo Barbara Gross Galerie Munich Bärbel Grässlin Frankfurt Base Gallery Tokyo Beijing Space Beijing Benveniste Contemporary Madrid Blainsouthern London Brigitte Schenk Cologne Cais Gallery Seoul Canem Castellon Caprice Horn Berlin Cardi Black Box Milan Carles Taché Barcelona Carlos Carvalho- Arte Contemporânea Lisbon Carreras Mugica Bilbao Casado Santapau Madrid Catherine Putman Paris Cayón Madrid Charim Wien / Charim Ungar Berlin Vienna Christian Lethert Cologne Christine König Vienna Christopher Grimes Santa Monica Cristina Guerra Contemporary Art Lisboa (Lisbon) Da Xiang Art Space Taiwan Dan Galeria Sao Paulo Distrito 4 Madrid Dna Berlin Douz And Mille New York Edward Tyler Nahem Fine Art New York Eigen + Art Berlin Elba Benítez Madrid Elisabeth & Klaus Thoman Innsbruck Elvira González Madrid Espacio Líquido Gijón Espacio Mínimo Madrid Espaivisor - Galería Visor Valencia Estrany - De La Mota Barcelona Faggionato Fine Arts London Filomena Soares Lisbon Fonseca Macedo Ponta Delgada Formato Cómodo Madrid Forsblom Helsinki Fortlaan 17 Gent Fúcares Madrid Gabriele Senn Galerie Vienna Galeria 111 Lisbon Galeria El Museo Bogotá Gao Magee Gallery Madrid Georg Kargl Vienna Georg Nothelfer Galerie Berlin Gimpel Fils London Grita Insam Vienna Guillermo De Osma Madrid Hans Mayer Dusseldorf Heinrich Ehrhardt Madrid Heinz Holtmann Cologne Helga De Alvear Madrid Hilger Modern / Contemporary Vienna Horrach Moyá Palma De Mallorca Joan Prats Barcelona Jorge Mara Buenos Aires Juan Silió Santander Juana De Aizpuru Madrid Kai Hilgemann Berlin Kewenig Galerie Cologne Knoll Vienna Krinzinger Vienna Kuckei + Kuckei Berlin La Caja Negra Madrid La Fábrica Madrid Leandro Navarro Madrid Lelong Paris Levy Hamburg Leyendecker Santa Cruz De Tenerife Lisboa 20 Lisboa López-Sequeira Madrid Luciana Brito Galeria Sao Paulo Luis Adelantado Valencia Luis Campaña Berlin Mai 36 Galerie Zurich Maior Pollença Maisterravalbuena Madrid Mam Mario Mauroner Contemporary Art Vienna Marlborough Gallery Madrid Marta Cervera Madrid Masart Galería Barcelona Max Estrella Madrid Max Weber Six Friedrich Munich Max Wigram Gallery London Meessen De Clercq Brussels Mehdi Chouakri Berlin Michael Janssen Berlin Michael Stevenson Gallery Cape Town Michel Soskine Madrid Miguel Marcos Barcelona Mk Galerie Rotterdam Moisés Pérez De Albéniz Pamplona Moriarty Madrid Nächst St. Stephan Rosemarie Schwarzwälder Vienna Nadja Vilenne Liege Nf Nieves Fernández Madrid Nogueras Blanchard Barcelona Nusser & Baumgart Munich Oliva Arauna Madrid Oriol Galeria D’art Barcelona Palma Dotze Vilafranca Del Penedés Paragon Press London Parra & Romero Madrid Pedro Cera Lisbon Pedro Oliveira Palma De Mallorca Pelaires Palma De Mallorca Pilar Serra Madrid Polígrafa Obra Gráfica Barcelona Presença Oporto Projectb Contemporary Milan Projectesd Barcelona Prometeo Gallery Di Ida Pisani Milan Quadrado Azul Oporto Rafael Ortiz Sevilla Raíña Lupa Barcelona Raquel Ponce Madrid Riccardo Crespi Milan Sabine Knust Munich Scq Santiago De Compostela Senda Barcelona Soledad Lorenzo Madrid Sollertis Toulouse Stefan Ropke Colonia Studio Trisorio Naples Sue Scott Gallery New York T20 Murcia Taik Berlin Thomas Schulte Berlin Tim Van Laere Antwerp Toni Tàpies Barcelona Travesía Cuatro Madrid Trayecto Vitoria Valle Ortí Valencia Van Der Mieden Antwerp Vanguardia Bilbao Walter Storms Galerie Munich Xavier Fiol Palma De Mallorca Ybakatu Espaço De Arte Curitiba Zink Munich.

La sezione SOLO PROJECTS: FOCUS AMERICA LATINA raccoglie opere site-specific realizzate espressamente per l’occasione da una serie di singoli artisti selezionati da un team di curatori
internazionali per 15 gallerie latino-americane: Arróniz Moris (Israel Meza) Barbara Gross Galerie Carlos Garaicoa Baró Galeria Hélio Oiticica - Neville D’almeida Elba Benítez Lothar Baumgarten Faría Fábregas Margarita Paksa Faría Fábregas Terence Gower Ignacio Liprandi Tomás Espina KaBe Contemporary Sergio Vega La Central Galería Felipe Arturo Luciana Brito Rafael Carneiro Magnan Metz Alejandro Almanza Millan Thiago Rocha Pitta Palma Dotze Miralda Pepe Cobo Pepe Espaliú Vermelho André Komatzu. Per il programma FOCUS RUSSIA 8 sono le gallerie selezionate da Daria Pyrkina, curatore del National Centre for Contemporary Arts: Aidan Moscow Anna Nova Saint Petersburg Arka Vladivostok Gmg Moscow M & J Guelman Moscow Marina Gisich Saint Petersburg Paperworks Moscow Xl Moscow. Istituzioni: Stella Art Foundation Moscow Ekaterina Cultural Foundation Moscow Victoria Foundation Moscow Moscow Museum Of Modern Art (Mmoma) Moscow Iris Foundation (Garage Ccc) Moscow National Centre For Contemporary Arts Moscow Permm Museum Of Contemporary Art Perm Centre For Contemporary Art Winzavod Moscow. Opening: Giovani Gallerie Europee presenta una selezione di 21 gallerie europee con meno di otto anni di attività, ponendo l’accento sui paesi emergenti: Aanant & Zoo Berlin Alexandra Saheb Berlin Arcade London Arratia, Beer Berlin Crevecoeur Paris Heidi Nantes Jerome Zodo Milan Koch Oberhuber Wolff Berlin Lokal_30 Warsaw Mor.Charpentier Paris Nuno Centeno Oporto Peres Projects Berlin Nuno Centeno Oporto September Berlin Steinle Munich Tanya Leighton Berlin Tatjana Pieters Gent Vera Cortés Lisbon Viltin Budapest West The Hague.


 Art Madrid 2011 Dal 16 al 20 febbraio presso il Pabellón de Cristal de la Casa de Campo di Madrid si terrà la sesta edizione di Art Madrid, con 60 gallerie spagnole ed internazionali che presentano i lavori di artisti contemporanei spagnoli, la sezione Young Art dedicata a gallerie giovani ed artisti emergenti e la nuova sezione Art Show, che presenta otto installazioni. Galleria Elba Benitez Carlos Garaicoa Party, Not Tea Party è il titolo della mostra che l’artista terrà fino a febbraio presso la Galleria Elba Benitez. Per l’occasione l’artista presenta tutti lavori nuovi: una serie di dittici fotografici; Heads or Tails, una serie di monete d’argento appositamente coniate i cui lati ritraggono leader di opposte fazioni politiche, icone di religioni opposte; Prêt-à-porter, una installazione large-scale realizzata con objects trouvés combinati con disegni, quotidiani e memorabilia e una serie di cappelli espressamente prodotti a mano. Galleria Juana de Aizpuru Juana de Aizpuru festeggia il 40imo anniversario dell’apertura del suo primo spazio espositivo a Siviglia, seguito nel 1983 da quello a Madrid, con la mostra dedicata a Dora Garcia e Georg Herold dal 15 gennaio al 12 febbraio, seguita dal 19 febbraio al 20 marzo da quella degli artisti Wolfgang Tillmans e Franz West.

Franz West, Canale grande, 2010

Galleria Helga de Alvear, Madrid Fino al 5 Marzo la Galleria Helga de Alvear presenta le mostre “Amigos” degli artisti Elmgreen & Dragset, e “Transfer” di Ángela de la Cruz. Gallería Magda Bellotti Ángeles Agrela Dal 13 gennaio al 26 febbraio Magda Bellotti presenta “La profundidad de la piel” una collezióne di dipinti realizzati dall’artista reinterpretando opere di grandi maestri dal Rinascimento al XIX secolo – Piero de la Francesca, Robert Campin, Hans Holbein, Vermeer, Velázquez o Ingres. Nei suoi ritratti la Agrela strappa via letteralmente la pelle alle persone raffigurate, lasciando scoperti muscoli, vene e nervi quasi come una lezione di anatomia. Angeles Agrela La Gran Odalisca (Ingres) 2010

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Mater Studiorum e si è avvalso del supporto della Cineteca di Bologna, della Galleria Lia Rumma di Milano e dei contributi di UniboCultura, della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e di Illy.

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ome ogni anno, tocca a Bologna aprire la lunga stagione fieristica dell’arte contemporanea. Giunta alla trentacinquesima edizione, ArteFiera resta un appuntamento imprescindibile per galleristi, curatori, critici, artisti e appassionati italiani e internazionali, forte del proprio ruolo di vetrina del mercato d’arte mondiale e della propria identità di valorizzazione della ricerca artistica italiana e internazionale. Oltre 200 gli espositori partecipanti quest’anno, suddivisi in tre settori dedicati rispettivamente all’arte moderna, contemporanea e alle nuove tendenze, inquadrando tra queste ultime le gallerie internazionali con non più di 5 anni di attività. Potenziata la sinergia con le istituzioni locali, grazie a un programma di eventi collaterali di pregevole livello, in fiera troviamo diverse novità e appuntamenti, a partire dalla scelta di IACCCA - International Association of Corporate Collections of Contemporary Art di presentarsi qui al pubblico italiano, con la tavola rotonda Art Education Programs su attività promosse da aziende con collezioni d’arte e rivolti ai loro dipendenti. Due i premi dedicati ai giovani talenti: la quinta edizione del Premio Euromobil Under 30, sponsor principale di Arte Fiera Art First, riservato ad artisti delle gallerie presenti in fiera e selezionati da una giuria di critici e operatori del settore; l’ottava edizione del Premio Furla, che ha quest’anno l’artista Christian Boltansky come padrino d’eccezione. Molto ricco il programma di incontri e presentazioni di libri e cataloghi d’arte nello spazio Art Cafè, gestito quest’anno in collaborazione con Corraini Edizioni.

Bologna città Bologna Art First

a sesta edizione di Bologna Art First è L affidata a Se un giorno d’inverno un viaggiatore, progetto a cura di Julia Dragano-

Marina Abramovic, Lady Performance

stato realizzato per il Guggenheim di New York e vede l’artista reinterpretare cinque celebri performance storiche di Vito Acconci, Joseph Beuys, Valie Export, Gina Pane e Bruce Nauman, più due realizzate dall’Abramovic stessa. L’evento, organizzato da Renato Barilli affiancato dal gruppo di ricercatori del Dipartimento delle Arti Visive (Alessandra Borgogelli, Silvia Grandi, Paolo Granata), è stato promosso da Alma

vic che si sviluppa come un percorso nella città e i suoi dintorni. Tra il 28 gennaio e il 27 febbraio, una serie di installazioni sitespecific di artisti che lavorano con le gallerie presenti in fiera crea una unica grande collettiva che si dipana tra il Palazzo del Podestà in Piazza Maggiore, il Palazzo Re Enzo, la sala Borsa a Piazza Nettuno, il cortile di Palazzo D’Accursio, il Museo della Sanità e dell’Assistenza, il Museo Archeologico, l’Archiginnasio, la galleria Cavour, Piazza Calderini, il Museo della Musica, il Museo Civico Industriale, i Musei Universitari di Palazzo Poggi, l’Accademia di Belle Arti e Pinacoteca Nazionale, il Museo Civico Medievale e l’aeroporto Marconi. Tra i protagonisti Anna Galtarossa, Paolo Icaro, Luca Pancrazi, Antony Gormley, Vittorio Messina, Marlon De Azambuja e Silke Rehberg.

Shozo Shimamoto e Achille Bonito Oliva

Marina Abramovic Lady Performance

ell’Aula Magna di Santa Lucia, all’UniN versità di Bologna, Marina Abramovic, Lady Performance, propone il suo ultimo lavoro dal titolo Seven easy Pieces. Il film prodotto dalla Sean Kelly Gallery (New York), con la regia di Babette Mangolte, è

INTERVISTA A SILVIA EVANGELISTI i sembra utile chiedere a Silvia C Evangelisti, direttore di ArteFiera di Bologna, le sue impressioni sul decen-

nio appena trascorso e gli andamenti del mercato dell’arte contemporanea Il mercato dell’arte nel primo decennio degli Anni 2000 è stato caratterizzato da mutamenti repentini, da vette vertiginose e precipizi profondi… C’è stato da far girare più di una testa! All’inizio del decennio, l’arte contemporanea ha vissuto momenti di esaltazione, in cui sembrava che i prezzi salissero senza sosta. Sono nate nuove gallerie, nuove fiere d’arte e il collezionare arte contemporanea è diventato davvero molto trandy. Poi, repentinamente, si è presentata la crisi finanziaria mondiale, che dagli Stati Uniti è dilagata in tutto il mondo (occidentale), coinvolgendo – e non poteva essere altrimenti, anche il mercato dell’arte che, negli ultimi due decenni appare sempre più legato all’andamento della finanza internazionale.Come è comprensibile, l’instabilità dei mercati provoca una certa diffidenza negli investitori, che si muovono con maggior prudenza, e così è avvenuto anche nel mondo dell’arte, anche se tutto sommato con meno dissesti di quanti non si siano verificato nella finanza durante la pesante crisi economica mondiale che ha caratterizzato gli ultimi due anni. Andamento ondivago, quindi, ma tutto sommato, per quanto riguarda le quotazioni, si può dire che, rispetto alla crisi dei primi anni ‘90, oggi ci sia stata una maggior tenuta, alla luce di un innegabile rallentamento delle vendite. A parte i casi di eclatanti speculazioni, infatti, le quotazioni delle opere non hanno subito un tracollo, e il calo si è aggirato intorno al 20 %, fatti salvi gli esempi di opere (in particolare di artisti viventi) super quotate, che negli anni d’aro di inizio millennio avevano decuplicato le quotazioni in pochi mesi. In questo senso, si potrebbe dire che la crisi ha fatto da calmiere.

Dal 2010, pur persistendo la situazione di grave difficoltà, si è cominciato a vedere un po’ di luce in fondo al tunnel: qualche significativo segno di recupero è apparso recentemente sia nelle aste che nelle fiere d’arte, e seppure non si può pensare di ritrovare le quotazioni effervescenti degli anni precedenti, ci si può però aspettare una stabilizzazione del mercato. Spero che questi segnali si concretizzino sempre più e che nel prossimo futuro potremo contare su una certa ripresa del mercato dell’arte, sempre che il mercato stesso sappia far tesoro dell’esperienza passata e, con pragmatismo, abbandoni l’aspetto più strettamente speculativo in favore di un maggior equilibrio. Per questa via, credo che l’arte possa tornare ad essere un’ottima e valida alternativa agli investimenti tradizionali. Quali artisti - secondo te - cominciano ad affermarsi nel primo decennio del XXI secolo, e quali quelli di cui non si smetterà di parlare nel decennio che stiamo aprendo, mentre alcuni potrebbero piombare nel silenzio (domanda cattiva: chi?) Tra gli artisti che richiameranno sempre più attenzione da parte del collezionismo internazionale, metterei al primo posto alcuni artisti italiani e non solo per campanilismo! Artisti come Giulio Paolini, Enrico Castellani, Gilberto Zorio e Pier Paolo Calzolai, solo per fare qualche nome, sono tra i più bravi (si può dire “bravo” di un artista?) del mondo e hanno ancora quotazioni molto inferiori a loro coetanei stranieri. La qualità delle loro opere è indiscutibile ed indiscussa e sono certa che i collezionisti se ne renderanno conto sempre più. Sul versante internazionale, William Kentridge , Antony Gormley, Marina Abramovic, Gilbert&Geoge penso che potranno dare belle soddisfazioni ai collezionisti, citando anche in questo caso pochi nomi esemplificativi. Non credo, però, che ci siano rischi per un artista di valore di cadere nel dimentica-

toio, o per lo meno non per sempre. Altrimenti come farebbero gli storici dell’arte e i critici a “riscoprire” maestri dimenticati? Quali eventi speciali raccomandi quest’anno al visitatore di arte fiera a Bologna La prima raccomandazione che farei al visitatori di Arte Fiera 2011 è quello di prendersi qualche giorno: quest’anno le iniziative culturali in città sono, infatti, molto numerose e – mi sembra – anche particolarmente interessanti, con presenza originali e di alto spessore, dalla prima personale in Europa dell’americano Jackson al Mambo, al Premio Furla con Boltansky, dall’antologica di Shimamoto, alla bella mostra della Fondazione Golinelli Happy Tech, senza dimenticare le installazioni di Bologna Art First che proporranno opere side specific di artisti emergenti e affermati internazionalmente, come Antony Gormley. Da non perdere, poi, la serata di incontro con Marina Abramovic, promosso da Alma Mater Studiorum in collaborazione con Arte Fiera, nel quale l’artista, intervistata da Renato Barilli, commenterà la proiezione in anteprima italiana del filmato “Seven Easy Pieces” sette celebri performance storiche di famosi artisti contemporanei, che è stato uno dei principali appuntamenti della mostra recentemente dedicata all’artista al MoMA di New York. Se lo scorso anno il protagonista “visivo” fu Bill Viola, questa edizione di Arte Fiera celebra la più grande performer contemporanea. Ma la generosa partecipazione di Marina Abramovic a Bologna ha un significato particolare, sia per la città che per Arte Fiera: per la città è la memoria di un momento culturale, quello degli Anni 70, vivissimo e internazionalmente importante, del quale le “Settimane della performance”, curate da Renato Barilli e Roberto Daolio, sono state un epicentro d’eccellenza. Per Arte Fiera, che delle Settimane della performance fu l’organizzatore e lo sponsor. (a cura di Francesca Nicoli) 234 | GENNAIO/FEBBRAIO 2011

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Anteprima/News

Paolo Iacchetti, Piccoli Abissi, olio su tela, cm.55x45 ognuno (Studio G7) Paolo Iacchetti, Distanze, olio su tela, cm.47x53 - Ombra, stampa, cm.150x145 (Studio G7)

Eduard Habicher, Projektion, 2010, acciaio, legno combusto e vetro, cm.160x160x30 (Studio G7) Eduard Habicher, Die andeire seite, 2008, acciaio inox e vetro, cm.151x219x70 (Studio G7)

Pier Paolo Calzolari, Che ne è del sogno (Galleria de’Foscherari) Alessandro Bergonzoni, I Piegati, 2006, filo di ferro (OTTO Gallery)

14 -

Bologna città Arte Fiera Off

l programma di eventi collegati alla fiera Iesposizione è ricco e sfaccettato. Tra essi, l’eccezionale nella Basilica di Santo Stefano,

fino al 17 febbraio, di opere provenienti dalle ultime performance di Shozo Shimamoto, a cura di Achille Bonito Oliva, organizzata dall’Associazione Shozo Shimamoto in collaborazione con Fondazione Morra e Archivio Pari&Dispari; proiettata contestualmente anche la documentazione video con la regia di Mario Franco. Shimamoto, componente di spicco del Movimento d’Arte concreta Gutai incentra la sua ricerca sull’indagine del rapporto tra spirito e materia, dell’incontro/scontro tra filosofia zen e cultura occidentale. Le grandi opere in mostra conducono in un mondo di colore e materia, in cui dominano le variazioni di miscele colorate, la sapiente gestualità zen e la concretezza della materia. Altra occasione imperdibile è Happy Tech, macchine dal volto umano, mostra d’arte e scienza ideata e prodotta dalla Fondazione “Marino Golinelli” in partnership con La Triennale di Milano, che esplora il lato positivo del rapporto uomo-tecnologia attraverso le opere di artisti di fama internazionale come Tony Cragg, Cao Fei, Martino Gamper, Rainer Ganhal, Candida Höfer, Alfredo Jaar, Thorsten Kirchhoff, Armin Linke, Vik Muniz, Mark Napier, Tony Oursler, Pipilotti Rist, Thomas Ruff, Tom Sachs, Bill Viola. Ogni opera è ispirata a tecnologie a misura d’uomo ed è affiancata da un exhibit scientifico che consente di conoscere e provare una tecnologia a essa collegata. La mostra, a cura di Giovanni Carrada e Cristiana Perrella con la collaborazione di Silvia Evangelisti, è al Palazzo Re Enzo di Bologna fino al 13 febbraio, successivamente sarà a Milano, presso La Triennale Bovisa, dal 22 febbraio al 31 marzo. Da segnalare infine In search of…, anteprima europea della personale di Matthew Day Jackson a cura di Gianfranco Maraniello, fino all’1 maggio al MAMbo. In concomitanza con l’evento fieristico, numerosi sono gli eventi espositivi che gallerie private e istituzioni offrono agli amanti della contemporaneità. Cominciamo da Note Astratte, mostra che fino al 12 marzo vede esposte le opere di Paolo Iacchetti ed Eduard Habicher allo Studio G7. Entrambi molto legati al materiale utilizzato e al suo effetto sul piano percettivo, i due artisti si discostano molto nella componente poetica, basti pensare alla sinuosità delle forme di Habicher e alla vibrante monocromia di Iacchetti. Visitabile fino al 5 marzo Proporzioni occulte (gli antipodi), quarta personale di Alessandro Bergonzoni alla OTTO Gallery. Tema principale è “il nascosto in quello che si vede, l’antiassodato: la dismisura”, l’occulto svelato nel momento in cui si guarda oltre, sforzandosi di vedere e comprendere ciò che è in-apparente. Le opere esposte sono forme, fisionomie e figure che cominciano, proprio in questa occasione, nuove convivenze all’insaputa del visitatore; opere anagrammatiche, che materializzano gli antipodi di quello che è

inizialmente celato. Pier Paolo calzolari è protagonista di Che ne è del sogno, grande esposizione articolata in tre luoghi di Bologna: un’opera di grandi dimensioni campeggia, fino al 13 febbraio, nella sala ottagonale del Museo Morandi, nell’ambito della mostra/percorso Bologna Art First, mentre fino al 27 marzo è possibile assistere al MAMbo alle proiezioni di alcuni video dell’artista (che assai raramente è possibile visionare) ed è visitabile una mostra alla Galleria de’Foscherari, a cura di Pier Giovanni Castagnoli, in cui una decina di opere ripercorrono significativamente la produzione dell’artista tra il 1976 e il 2010. Singolare la video-installazione sonora Marie chante, i cui materiali (ferro,vetro,sughero, acqua) rendono particolarmente efficace il suono e danno spessore emotivo all’immagine che lentamente appare e si dissolve sullo schermo. La mostra è accompagnata da un catalogo, o meglio “libro-oggetto”, curato dallo stesso artista, Edizione Gli Ori, con introduzione critica di Luciana Rogozinski e una trentina di opere rappresentative accuratamente riprodotte. La galleria SPAZIO TESTONI, in collaborazione con la Galleria FABBRICA EOS di Milano, presenta invece Magnetismi, bi-personale di Fabio Giampietro e Troilo, a cura di Alberto Maria Martini, che espone fino al 26 febbraio opere accomunate, pur nelle differenze stilistiche, da una forza magnetica che attira a sé lo sguardo e dal risalto dato all’”umanità”, che in Troilo si declina attraverso la corporeità, con attenzione a proporzioni, struttura e fasci muscolari, mentre in Giampietro domina l’apparente assenza, nella vertigine di una città apparentemente disabitata.

Premio Furla a Palazzo Pepoli

adrino e presidente di giuria della ottava edizione del Premio Furla, è ChriP stian Boltanski, che ne ha ideato l’imma-

gine grafica e il titolo: Pleure qui peut, rit qui veut. La cinquina dei finalisti è la seguente: Alis/Filliol, nominati da Simone Menegoi e Marianne Lanavère; Francesco Arena, nominato da Vincenzo De Bellis e Philippe Pirotte; Rossella Biscotti, nominata da Cecilia Canziani e Vincent Honoré; Matteo Rubbi, nominato da Lorenzo Bruni e Carson Chan; Marinella Senatore, nominata da Alfredo Cramerotti ed Emily Pethick. In palio, oltre alla possibilità di studiare e lavorare all’estero in una residenza d’artista, l’invito a realizzare un’opera finanziata dalla Fondazione Furla e destinata alla fruizione pubblica attraverso la concessione in comodato al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna. I progetti dei finalisti e una selezione delle loro opere sono presentati al pubblico in una mostra allestita a Palazzo Pepoli, aperta in concomitanza con Arte Fiera Art First, fino al 6 febbraio. Ad affiancare Boltanski in giuria troviamo Stefano Chiodi (storico e critico d’arte), Vít Havránek (direttore Tranzit Display Gallery di Praga), Jörg Heiser (critico e associate editor di Frieze) e Miguel Von Hafe Pérez (direttore del C.G.A.C. di Santiago de Compostela, Spagna). Christian Boltanski, Pleure qui peut, rit qui veut

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Marinella Senatore, Jammin’ Drama-Project,2010, video

Rossella Biscotti, Il processo, 2010, performance, Open studio Rijksakademie, Amsterdam Francesco Arena, Senza Titolo (Bologna), 2010 marmo bianco perlino, cm.150x150x3 courtesy l’artista e Galleria Monitor, Roma

Arte Russa a Palazzo Zambeccari

l 2011 è l’anno della cultura e della lingua russa in Italia e della cultura e della lingua italiaIcontemporanea, na in Russia. In tale occasione lo Spazio Carbonesi presenta Svoboda - Mostra di arte russa a cura di Daria Khan. “Svoboda”, termine che in russo vuol dire “libertà”, nella

traslitterazione dal cirillico ai caratteri latini diventa una semplice parola, un involucro che ha perso il compimento del suo significato. Calzante metafora della percezione della libertà in Russia: la parola è sempre lì, ma il valore che trasporta è scivolato via. La mostra si svolge dal 28 gennaio al 27 febbraio nella cornice di Palazzo Zambeccari e si compone di opere site specific di dodici artisti appartenenti alla generazione che ha vissuto i recenti conflitti tra le élite artistica e la classe dirigente del paese: Yuri Avvakumov, Kiril Ass & Anna Ratafieva, Peter Belyi, Alexander Brodsky, Dmitry Gutov, Irina Korina, Maxim Ksuta, Misha Most, Roman Sakin, Rostan Tavasiev, Yulia Zastava, Anya Zholud.

Irina Korina, Plasticine, schizzo

Maxim Ksuta, Behind the mirror #1 installazione site-specific

Alis/Filliol, Ritratto di fantasma n°1, 2010, alluminio, rame e ferro, cm.230x180x150 Matteo Rubbi, The Gentlewoman, Issue n°1, Spring - Summer 2010, page 93, da Pomeriggio in cui fu tutto inutile, 2007-2010 Rostan Tavasiev, Homeland #2 progetto per Svoboda Alexander Brodsky, Rotunda installazione site-specific Kiril Ass+Anna Ratafieva, The block #1, installazione site-specific

Dmitry Gutov, Pencenez, metal Julia Zastava, Zeus, tecnica mista

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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< Aosta Al Museo Archeologico Regionale, La cultura dell’ospitalità, le collezioni d’arte degli albergatori in valle d’Aosta, fino al 25 aprile. Bologna Alla Galleria d’Arte Maggiore, dal 19 febbraio, Mario Nanni con Mappe. Da Fabio Tiboni Arte Contemporanea, fino al 31 marzo, Michelangelo Consani, La festa è finita. Benevento Al Palazzo Paolo V, Giovenale Vita…in frammenti. Bolzano Al Museion, dal 19 febbraio al 1 maggio, Valie Export con la personale Tempo e controtempo, a cura di Angelika Nollert e Letizia Ragaglia. Brescia Alla Galleria PaciArte, dal 12 febbraio al 22 marzo, bipersonale di Paolo Conti e Giovanni Lombardini dal titolo Match Point. Da Colossi Arte Contemporanea, dal 5 febbraio, A partire dal colore, personale di Pino Pinelli. Catanzaro Nel Complesso Monumentale di San Giovanni, dal 20 febbraio al 1 maggio, la collettiva La Costante Cosmologica con opere di G. Albanese, M. Basilè, S. Bergantini, S. Canto, G. Costa, M. Cuppone, A. Di Fabio, P. Febbraio, M. Galliani, V. Montanino, S. Ostapovici, T. Ottieri, Affiliati Peducci/Savini, L. Piovaccari, A. Tranquilli. Firenze Alla Galleria Poggiali e Forconi, dal 6 marzo all’8 maggio, Last New York di Davide Bramante. A cura di Marco Meneguzzo. Lucca Al Lucca Center of Contemporary Art, dal 12 febbraio al 15 maggio a cura di Stefano Cecchetto e Maurizio Vanni, la mostra Jean Dubuffet e l’Italia. Milano Alla Fabbrica Eos, dal 24 febbraio al 19 marzo, personale di Cristiano Petrucci dal titolo Emo/tional. A cura di

Alessandro Trabucco. Alla Galleria Giò Marconi, fino al 26 marzo Lunch Break, personale dell’artista californiana Sharon Lockhart. Da A Arte Studio Invernizzi, dal 17 febbraio al 1 aprile, personale di Bruno Querci che presenta il nuovo ciclo di opere Infinitotraccia. Alla Galleria Francesca Minini, fino al 5 marzo, Ritorno al Futuro, personale di Alessandro Ceresoli. Da Ca’ di Fra’ Arte Contemporanea, fino al 5 marzo, una mostra/omaggio a Mario Nigro. Alla Galleria Alessandro De March, fino al 15 marzo, Maura Biava con trinity, informing abstraction. Alla Galleria Milano, fino al 24 febbraio, A4 x 88 di Lisa Ponti. Da Grossetti Arte Contemporanea, dal 10 febbraio, Antonella Zazzera, Trame Mentali.

Valie Export, Aufprägung II, foto Augustin Ochsenreiter (Museion, Bolzano)

Modica (RG) Da Laveronica Arte Contemporanea (Modica), dal 1 marzo al 17 aprile, doppia personale di Moira Ricci e Amir Yatziv a cura di Gabi Scardi. Napoli Galleria Changing Role, dal 10 febbraio Arianna Carossa, Mi sei mancata fino a ieri. Pordenone (UD) L’Associazione Culturale La Roggia ospita, fino al 3 marzo, la personale A Ferri e fuoco di Marco Ferri.

Sharon Lockhart, Butch Greenleaf, Machinist, 2008, 2 stampe cromogeniche, cm.63x78 (Galleria Giò Marconi, Milano)

Roma Da Giacomo Guidi & MG Art Arte Contemporanea, dall’11 febbraio al 30 marzo, a cura di Ludovico Pratesi, Vittorio Messina con Se per caso una singolarità iniziale. Alla Gagosian Gallery, fino al 5 marzo, Sanctuary, nuova serie fotografica di Gregory Crewdson. Alla Federica Schiavo Gallery, dal 18 febbraio al 31 marzo, Shasta, personale di Salvatore Arancio. Torino Alla Galleria In Arco, fino al 12 marzo, Opere scelte del newyorkese trapiantato a Napoli Ryan Mendoza.

Fabio Mauri, Rebibbia, 2006 (Castello di Miramare, Trieste)

Trieste Alle Scuderie del castello di Miramare, fino al 27 febbraio, Un sognatore della ragione, mostra omaggio a Fabio Mauri.

Verbania Al Centro Ricerca Arte Attuale - Villa Giulia, dal 27 febbraio al 26 giugno, Paradisi Ritrovati, mostra antologica di Ettore Fico.

Sul rilievo

a cura di Marco Meneguzzo

Bonalumi Mainolfi Nunzio Dal 24 Febbraio al 26 Aprile 2011

Galleria Santo Ficara Via Nerino,3 - 20123 Milano tel. 02.89281179 - www.santoficara.it - info@santoficara.it 234 | GENNAIO/FEBBRAIO 2011

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Fondazione Pomodoro, Milano

La scultura Italiana nel XXI secolo opo cinque anni dalla precedente D esposizione sulla Scultura nel XX secolo, la Fondazione Arnaldo Pomodoro pro-

pone una mostra con l’intento di esprimere le forme della scultura nell’ultimo ventennio. La necessità di figurare una produzione, che indaga sulle complesse simmetrie tra comunicazione contemporanea e materia in arte, è una sfida complessa della quale si fa promotore il curatore Marco Meneguzzo. La reazione dell’arte al sistema comunicativo della società dimostra la necessità esistenziale di presentare la scultura, agli occhi del visitatore, come una conferma della propria realtà. Il percorso espositivo presenta, in maniera complessa e macchinosa, le tipologie più disparate di sculture con le relative tematiche, dando vita a creative dissonanze tra l’espressività materica e l’orizzonte d’attesa del visitatore. Il percorso espositivo è scandito dai lavori di circa ottanta artisti: Adalberto Abbate, Mario Airò, Francesco Arena, Stefano Arienti, Rosa Barba, Massimo Bartolini, Vanessa Beecroft, Carlo Bernardini, Bertozzi e Casoni, Nicola Bolla, Corrado Bonomi, Monica Bonvicini, Enrica Borghi, Paolo Brenzini, Bros, Pierluigi Calignano, Paolo Canevari, Gianni Caravaggio, Letizia Cariello, Alice Cattaneo, Maurizio Cattelan, Umberto Cavenago, Loris Cecchini, Fabrizio Corneli, Vittorio Corsini, Salvatore Cuschera, Paolo Delle Monache, Gehard Demetz, Gianni Dessì, Chiara Dynys, Bruna Esposito, David Fagioli, Diamante Faraldo, Lara Favaretto, Flavio Favelli, Giuseppe Gabellone, Michelangelo Galliani, Anna Galtarossa, Francesco Gennari, Dario Ghibaudo, Eugenio Giliberti, Maïmouna Patrizia Guerresi, Massimo Kaufmann, Filippo La Vaccara, Marco Lodola, Claudia Losi, Carla Mattii, Sabrina Mezzaqui, Liliana Moro, Nunzio, Adrian Paci, Luca Pancrazzi, Perino e Vele, Diego Perrone, Alessandro Piangiamore, Alex Pinna, Paolo Piscitelli, Paola Pivi, Luca Pozzi, Riccardo Previdi, Simone Racheli, Annie Ratti, Laura Renna, Antonio Riello, Giovanni Rizzoli, Milo Sacchi, Andrea Sala, Arcangelo Sassolino, Maurizio Savini, Francesco Simeti, Sissi, Luca Trevisani, Patrick Tuttofuoco, Nico Vascellari, Vedovamazzei, Fabio Viale, Velasco Vitali, Antonella Zazzera. Passando dal celebratissimo cavallo di Cattelan (Senza titolo, 2007), posto quasi come icona infallibile dell’esposizione, alle carpe in sacco di Claudia Losi (Dopo il Danubio / Le carpe del mercato / Guardia gambe, 2000), agli uccelli impagliati di Laura Renna (Stormo vulgaris, 2010) ed in fine al branco di pesci di Dario Ghibuado (550 pesci fuor d’acqua, tappeto sonoro: Marco Ragu-

sa, 2008), l’esposizione tende a reinventare la natura creando invenzioni spaziali che disorientano ed incuriosiscono. Le forme di vita, che animano il percorso espositivo, non trovano riscontro nella natura, ma è l’artista a concederne il respiro. Arcangelo Sassolino, nel suo lavoro, dona la vita ad un recipiente di pvc, il quale, con un respiro ritmico, ci fa riflettere sull’automazione degli esseri viventi (Piccolo animismo, 2009). L’impegno sociale, in altri lavori, diviene il principale stimolo e segna nell’opera una profonda riflessione sul mondo contemporaneo. A questo intento si lega il “brillante suicidio” di Nicola Bolla che, con un cappio ed una sedia in Swarovski, effettua una profonda riflessione critica sulla decadenza sociale, il medesimo declino celebrato dalle dorature di Klimt della Secessione Viennese (Vanitas suicide, 2006-07). In materia di scultura, quando si parla di emulazione della realtà, è complesso comprenderne la continuità negli intenti: l’attualizzato impiego di materiali classici, quali marmi e bronzi, denota un forte ancoraggio alla tradizione, ma mette in discussione la rigida distinzione della scultura per via di porre da quella per forza di levare. Il marmo si palesa prepotentemente dalla statuaria antica sino a toccare l’opera di Vanessa Beecroft (Gambe nere, VB. M. 03.2010), il marmo bianco di Fabio Viale (Linea schiacciata, 2006), quello nero del Belgio di Gianni Caravaggio (Dispositivo per creare spazio, 2007) e la mimesi dei materiali di Michelangelo Galliani (P.G.R, 2007). La scultura diviene ufficialmente a dimensione d’uomo, o anche molto meno, come nel lavoro di Luca Pancrazi, in cui prende forma una miniatura metropolitana realizzata con caratteri mobili, della quale andrebbe fiero anche il vecchio Johann Gutemberg (18h, 45’, 1997). L’interpretazione del mondo reale da parte di tali artisti è certamente eclettica. Il fine di estrarre idee dai materiali, indagando in un formalismo materiale, non è individuabile in un semplice ed immediato Ready-made, ma nel continuo mettere in discussione i rapporti che intercorrono fra massa e forma. L’artificiosità sperimentale che lega l’uso di una materia inconsueta alla figura, si trova perfettamente scandita nell’espressionismo di Maurizio Savini (Last Call, 2010), che plasma il chewing-gum come farebbe un plastificatore ferrarese del cinquecento. Echi di una scultura antica si fanno sentire, in maniera sprezzante, nell’opera di Giovanni Rizzoli (Donatella, 2008), che tinge di rosa, non solo in senso metaforico, il giovane Davide vittorioso del Bargello, oppure

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1. Claudia Losi, Dopo il Danubio / le carpe del mercato / guardano gambe, 2000 [military blankets, wool and rags; 10 pieces, appx cm 190x70] Courtesy l’artista and%26nbsp; Galleria Monica De Cardenas, Milano 2. Maurizio Savini, Last call 2010 [chewinggum, fiberglass, legno; cm 210x195x72] Foto Maurizio Valdarnini 3. Diego Perrone, Pendio piovoso frusta la lingua, 2010 [setole di nylon, vetroresina, ferro, finitura acrilica; cm 200x260x180] Courtesy Massimo De Carlo, Milano / Foto Korim 2010 4. Sabrina Mezzaqui, Braci 2010 [da Zhuang-zi, ed. Adelphi; 300 cubetti di carta stampata, 300 LED; cubetti cm 2,5] Courtesy Galleria Massimo Minini, Brescia / Foto Andrea Giliberti 5. Vanessa Beecroft, Gambe nere, VB.M.03.2010, 2010 [marmo; cm 113x121x93] Courtesy Galleria Massimo Minini, Brescia / Foto Reinhold Kohl 6. Antonella Zazzera, Armonico LXXVI Dittico 2007-08 [fili di rame, cm 90x120x4 ciascuno] 7. Perino e Vele, Don’t disturb 2000 [cartapesta, ferro, gel coat, lampadina; cm 129x420x180] Art Collection UniCredit 8. Francesco Arena, Testa di Lenin nella fodera

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di un cappotto, 2009 [cappotto di panno, argilla; cm 40x30x100] Courtesy Galleria Monitor, Roma 9. Paolo Piscitelli, If you fear something,%26nbsp;you’ll hear something, 2010 [stencil cm 550 x 550 ca.] Courtesy Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice - e/static, Torino 10. Riccardo Previdi, Grace Jones Modified Munari’s Aconà Biconbì 2008 [cartone, neon, lamina specchiante; cm 200x200x230] Courtesy Francesca Minini, Milano 11. Pierluigi Calignano, L’interminabilità e l’intollerabilità di ogni sforzo terrestre, 2009 [smalto su porte finestre, dimensioni variabili] Courtesy Galleria dell’Arco, Palermo / Foto Alessandro Di Giugno 12. Chiara Dynys, Più luce su tutto 2010 [vetro dipinto a mano, luci, 369 libri] Passage 2010 [videoproiezione mt 2,8x1,5] Courtesy Galleria Marie Laure Fleisch, Roma & Galleria Fumagalli, Bergamo 13. Fabrizio Corneli, Grande Volante VIII 2002 [alluminio verniciato, acciaio inox, lampada HIT, ombre mt 5x4,5] 14. Anna Galtarossa, Divinità Domestiche 2010 [pentola in alluminio, perline, spilli, bottiglia con nave, lana acrilica e altri materiali; cm 92x58x40] Courtesy Studio La Città, Verona 15. Vittorio Corsini, Short Story, 2010 [plexiglass, vetro, legno, vernice; cm 40x40x70] Courtesy Corsoveneziaotto Arte Contemporanea, Milano 16. Patrick Tuttofuoco, Isabelle 2009 [acciaio inox, legno, stoffa, resina, pittura spray; cm 238x120x120] Courtesy Studio Guenzani, Milano / Foto Roberto Marossi 17. Maurizio Cattelan, Senza titolo 2007 [tassidermia, struttura in vetroresina; cm 300x170x80] Courtesy Galleria Massimo De Carlo, Milano / Foto Axel Schneider 18. Carlo Bernardini, Campo organico di luce, 2010 [fibre ottiche e superficie elettroluminescente - misure ambientali] Courtesy Grossetti Arte Contemporanea, Milano & Delloro Arte Contemporanea, Roma 19. Nunzio, Attraverso 2005 [pigmento e combustione su legno; cm 266x233x50] Courtesy Galleria dello Scudo, Verona; Foto Claudio Abate 20. David Fagioli, In the ski 1, 2, 3 2006-10 [gesso, sci, dimensioni variabili] 21. Gianni Caravaggio, Dispositivo per creare spazio, 2007 [marmo nero del Belgio, polvere d’intonaco; cm 120x130x5] Courtesy Tucci Russo Studio per l’arte contemporanea, Torre Pellice / Collezione privata, Torino 24. Michelangelo Galliani, P.G.R. 2007 [marmo statuario di Carrara, piombo, legno; cm 30x200x100] Courtesy Bonelli Arte Contemporanea, Mantova 25. Francesco Gennari, Contrazione della Metafisica # 2; 2007 [marmo bianco Sivec; cm 74x94x80] Courtesy Tucci Russo Studio per l’arte contemporanea, Torre Pellice 26. Adrian Paci, Home to go 2001 [gesso, marmo, polvere, piastrelle, corda; cm 177x100x100] Courtesy Galleria Francesca Kaufmann, Milano

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le due bambole gonfiabili in pietra di nanto di Antonio Riello, (Use obbedir tacendo 1, 2002): due mezzibusti ieratici come sculture attiche posti su eleganti colonne doriche, una curiosa commistione tra stili e tematiche che rivisita con eccentrica ironia la statuaria antica. Altri spunti classici sono proposti dal lavoro di Enrica Borghi (Venere, 2008) con un singolare rivestimento di unghie finte ed asciugamano da doccia posto sul capo: un momento di poesia quotidiana senza tempo, come se la Venere di Milo fosse appena uscita dalla doccia consapevole della sua meraviglia eterea. Il legame alla materia può essere anche di natura interpretativa, veicolando l’attenzione del visitatore non su ciò che rappresenta la materia, ma su quello che ne deriva il suo sviluppo luminoso: Fabrizio Corneli gioca con luci ed ombre antropomorfe (Grande Volante VIII, 2002). Sempre alla luce è legato il gruppo statuario di Carlo Bonomi, che vede come protagonisti dei curiosi soldati con in testa delle lampade da giardino (Non ominis moriar, 1997). La luce rivela una dimensione esistenziale nella libreria vitrea di Chiara Dynys (Più luce su tutto, 2010) trovando una dilatazione spaziale in un’opportuna videoproiezione, mentre le interpretazioni spaziali delle fibre ottiche di Carlo Bernardini (Spazi permeabili,

2002) sembrano attualizzare la Struttura al neon di Lucio Fontana del 1951. I temi politici d’attualità trovano il massimo dinamismo nel monaco rivoluzionario di Massimo Bartolini (Revolutionary Monk, 2005), mentre un severo sguardo verso il passato è posto dalle due statue in bronzo di Gerard Demetz (Hitler Mao, 2010) ed alla loro austerità si contrappone il ludico, ma neanche tanto, dono ligneo che Abalberto Abbate concede ai politici d’oggi (For Policians only, della serie Rivolta, 2009). Unico nel suo genere è il lavoro di Paolo Brenzini, che scioglie una falce e martello ai piedi di un velo, sagomato da bottiglia di Coca Cola, come una sposa che procede solenne verso l’altare (Senza Titolo, 2010). Le opere presentate nell’esposizione “La scultura del XXI secolo” sono di grande interesse, ma vittime di una mancata capacità dialogica tra spazi ed opera, limitazione che, in alcuni casi, rischia di tramutare la piacevolezza della mostra in una sensazione di disorientamento tra le opere. Nonostante il complicato percorso della mostra, il visitatore ha comunque la preziosa possibilità di visitare una grande esposizione, che scandisce i ritmi della scultura contemporanea attraverso i lavori di alcuni tra i maggiori artisti italiani dell’ultimo ventennio.

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Galleria Giorgio Persano, Torino

Geografia senza punti cardinali La fotografia nell’arte degli anni ‘70 in Italia intervista a Elena Re a cura di Lucia Spadano on la mostra da te curata per la C galleria di Giorgio Persano a Torino, hai affrontato un tema senz’altro

nodale per l’evoluzione dell’arte nel nostro paese e non solo. Un tema delicato e complesso che potremmo forse inquadrare per sommi capi parlando di un divorzio e di un matrimonio che si consumano in contemporanea intrecciandosi tra loro. Per divorzio intendo il distacco sempre più marcato di tutto un filone della fotografia d’arte del secondo Novecento dal formalismo e dalla ricerca compositiva di una certa tradizione sia pure spiccatamente moderna, con la parola matrimonio intendo alludere invece all’assunzione sempre più decisa della ripresa fotografica documentativa ad elemento interno dell’opera, a fattore costitutivo di una processualità che prevede il coinvolgimento mentale del fruitore. Un intreccio all’interno del quale agisce un principio spesso difficile da cogliere per il pubblico non specializzato, quello della sintonia tra aspirazione alla pura denotatività dell’immagine e atteggiamento metalinguistico del progetto artistico complessivo. Visto che abbiamo a che fare comunque con un prima ed un dopo, ovvero con un percorso, mi piacerebbe saperne di più su quali sono stati i criteri regolativi, i distinguo, cui ti sei affidata per ricostruirlo. Sapere cioè quali limiti ti sei imposta e dove hai dovuto azzardare qualcosa sul piano dell’interpretazione. > Dalla seconda metà degli anni ’60 e per tutto il decennio successivo si manifesta nell’arte un momento di sperimentazione appassionante, il cui sviluppo coincide di fatto con lo svolgersi di una

Pierpaolo Calzolari, Senza titolo, 1972-75 [feltro, filo d’oro, rosa, proiettore di diapositive; 250 x 295 cm - 15 ex.]

stagione culturale, quella degli anni ’70. Protagonisti del sentimento di un tempo, gli artisti assumono un approccio analitico e – mettendo in atto ciò che tu giustamente definisci “un divorzio e un matrimonio” – si allontanano dal problema della rappresentazione ma al tempo stesso si tuffano a capofitto in quello della riflessione, affrontando un discorso sull’arte attraverso il loro stesso fare arte. Tralasciando in buona misura l’interesse per il manufatto, gli artisti cominciano dunque a “fotografare i pensieri” e così la fotografia si propone loro come un mezzo possibile, semplice e immediato per testimoniare un’azione o per fissare l’enunciato della propria poetica. Sicché, in occasione di questa mostra collettiva che ho curato per la galleria di Persano, i criteri regolativi che ho adottato nell’affrontare un possibile percorso all’interno di questi temi

sono stati logicamente molteplici e ora cerco di fartene qui una sintesi. Innanzitutto, l’idea di presentare esclusivamente il panorama italiano degli artisti che hanno usato la fotografia, un panorama estremamente ricco di sfaccettature ma non ancora abbastanza conosciuto, soprattutto da un pubblico internazionale per il quale in moltissimi casi ha costituito una vera scoperta. Altro punto, la volontà di rispettare una precisa cronologia. Le opere dei vari artisti dovevano attraversare una stagione culturale ben definita nel tempo. Per questo, mi sono basata sull’analisi dei fatti e dei documenti che hanno scandito tale periodo, dalla nascita del fenomeno (a seguito della Mec Art) al suo tramonto (con l’avvento della Transavanguardia). Ma dal punto di vista cronologico era altrettanto importante che riuscissi a presentare il “cuore” della ricerca espressiva

Geografia senza punti cardinali [veduta d’insieme della mostra / installation view]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE di ciascun autore, impegnandomi il più possibile per fare un’accurata selezione delle opere eventualmente disponibili. Così, insieme a Giorgio Persano, mi sono rivolta direttamente agli archivi degli artisti e ho pure coinvolto alcuni importanti collezionisti che avevano seguito il lavoro di questi autori, lo avevano scelto, acquistato. In questo modo è stato quindi possibile iniziare a costruire la mostra anche sulla base di un’atmosfera, nell’ottica di una condivisione con i vari attori della vicenda. Per esempio, anche la storia della galleria di Giorgio Persano è stato un punto di partenza assolutamente imprescindibile, nel suo rapporto con autori come Pistoletto, Zorio, Calzolari, De Maria, Prini o Bagnoli. E anche l’esperienza di Giorgio stesso legata alla produzione dei multipli dell’Arte Povera all’inizio degli anni ’70 è stata fondamentale, proprio per ritrovare un clima, un contesto. Altro criterio che ho adottato, la selezione degli artisti. L’idea infatti è stata quella di aprire lo spazio della galleria sia a nomi molto noti che a figure meno note, tuttavia con un lavoro di grande qualità. E per far questo ho certamente dovuto mettere in gioco tutto il mio lavoro ormai da tempo sviluppato. Infatti la mostra comprende ben 38 autori e avrei voluto includerne ancora altri come Adriano Altamira, Germano Olivotto, Claudio Parmiggiani, Bruno Di Bello, Gino De Dominicis o Vettor Pisani, per citarne alcuni. Ma nonostante lo spazio della galleria fosse davvero ampio, per ovvie ragioni mi sono dovuta fermare. Così, la galleria è diventata “incubatore” di un progetto che ora mi ripropongo di sviluppare ulteriormente, in occasione di una mostra in uno spazio pubblico. Per quanto riguarda la selezione degli artisti ho infine voluto azzardare qualcosa sul piano dell’interpretazione, inserendo ad esempio un autore come Luigi Ghirri, all’epoca considerato un fotografo ma di fatto artista che ha usato la fotografia. Nel 1980 è stato esposto al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris nella collettiva Ils se disent peintres, ils se disent photographes, a fianco di artisti come Penone e Zaza. Quindi di Ghirri ho voluto presentare un’opera come Atlante e anche quattro fotografie dalla serie Diaframma 11, 1/125, luce naturale, quelle con le persone riprese di schiena nell’atto stesso del guardare all’interno dei musei. Un lavoro del 1973, una bella anticipazione rispetto alla ricerca espressiva di un autore come Thomas Struth. Gli artisti da te presi in considerazione appartengono tutti più o meno ad aree di ricerca contigue: Minimalismo, Poverismo, Concettualismo, Body Art, Ripetizione Differente e via dicendo, ovvero alle direzioni di indagine più innovative e socialmente impegnate del tempo. Alcuni di essi però con il trapasso al decennio successivo saranno protagonisti di un ritorno all’immagine e ai mezzi espressivi tradizionali di matrice postmoderna. Al di la delle considerazioni più ovvie, come quelle sulla maggiore o minore propensione alla citazione anche in ambito ancora mentalistico e, per così dire, “freddo”, hai riscontrato qualche differenza significativa o premonitrice nell’uso della fotografia da parte di questi artisti rispetto agli altri?

In senso orario Luigi Ghirri, Amsterdam, 1973 [serie Diaframma 11, 1/125, luce naturale fotografia a colori vintage - 12,4 x 17,2 cm]; Hergiswill, 1973 [serie Diaframma 11, 1/125, luce naturale, fotografia a colori vintage - 12,6 x 17,5 cm]; Karlsruhe, 1975 [serie Diaframma 11, 1/125, luce naturale, fotografia a colori vintage - 16,7 x 24,8 cm]; Amsterdam, 1973 [serie Diaframma 11, 1/125, luce naturale, fotografia a colori vintage - 12 x 17,5 cm]

Mario Merz, L’isola della frutta, 1975 [8 fotografie + neon; misura variabile]

De Maria, Paladino e Clemente. A parer mio il lavoro fotografico di De Maria – un lavoro duro del 1974 intitolato Pezzi di ricambio – è assolutamente “insospettabile” rispetto a quelli che sarebbero stati gli umori della stagione a seguire. Mentre quello di Paladino, un lavoro del 1976 – una sequenza fotografica che traccia una grande spirale e dunque pone un “disegno” come guida complessiva nella lettura dell’immagine – svela in effetti quella differenza che di lì a poco lo avrebbe fatto appartenere a un mondo completamente nuovo. E

lo stesso dicasi del lavoro di Clemente – Le Pazienze, 1975 – un’opera con un gusto compositivo già anni ’80 e, in più, con un uso molto deciso del colore. Parlando però in generale di cultura postmoderna, in mostra ci sono due artisti che anticipano sottilmente il sentimento tipico di quella corrente. Questi sono appunto Marcello Jori, per la sua capacità di prefigurare con l’uso della fotografia quegli scenari, quelle ipotesi di mondo, che pochi anni dopo avrebbe sviluppato in un percorso eclettico attraverso i territori della pittura, della scrittura e del

Giulio Paolini, Suite n. 3, 1976 [2 fotografie b/n su tela emulsionata; 69 x 115 cm cad. intervento dell’artista a matita su parete]; Solitarie 1975 [litografia; 70 x 50 cm - p.a.]; Autoritratto, 1970 [fotografia b/n - 25 x 50 cm - 4/9]; Suite n. 2, 1975 [3 fotografie, collage; 35 x 35 cm cad. - 7/9]; Senza titolo, 1974 [collage su fotografia; 34 x 34 cm]

> Fra gli artisti che nel decennio successivo avrebbero fatto parte del ritorno alla pittura e dunque della Transavanguardia, in mostra ho appunto incluso 234 | GENNAIO/FEBBRAIO 2011

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fumetto. Ma anche Giorgio Ciam, per il suo utilizzo già pittorico di una fotografia con cui cerca la propria identità di fatto mai trovata, una sorta di Zelig ante litteram che “duro e puro” ha sempre espresso con la fotografia i mutamenti insiti in un pensiero nascente. Il titolo stesso della tua mostra ci parla di ciò che hai scoperto nel metterla assieme ovvero della possibilità di individuare per ogni artista, attraverso il suo modo di servirsi della fotografia, un universo aperto e propulsivo insospettabile e non riducibile esclusivamente alla temperie culturale del periodo, e semmai da essa in qualche modo celato. Di questi mondi che ti hanno fatto parlare di una “geografia senza punti cardinali”, a quale ti sei sentita più vicina e quale ti ha sorpreso di più? > Dici bene Lucia, questa “geografia senza punti cardinali” non rappresenta soltanto una geografia culturale ma propone innanzitutto una geografia umana. Un territorio fatto di tante singole identità capaci di creare mondi possibili. Tra questi mondi, come li chiami tu, è difficile dire a quale mi sono sentita più vicina perché tutti hanno esercitato su di me il loro fascino e la loro poesia, tanto da farmi ora sentire un po’ “custode” di questo valore nel suo insieme. In ogni caso, parlando a briglie sciolte, all’interno di questa geografia trovo particolare affinità con quella parte di ricerca in cui il tema delle proprie “radici” arriva ad astrarre da uno specifico contesto diventando espressione universale. Penso ad esempio al lavoro di Michele Zaza in cui le radici famigliari si propongono come matrice di un’identità spirituale che trascende da un’idea precisa di luogo e di somiglianza, e il luogo diventa allora l’essere nel mondo. Ma penso anche al lavoro di Giuseppe Penone e a questo suo rapporto con una natura su cui agire e da cui essere al tempo stesso attraversato, come il torrente delle Alpi Marittime, che trascende da un contesto e si proietta in una dimensione di fatto cosmica. Per quanto riguarda invece ciò che mi ha sorpreso di più in tutta questa

geografia, posso parlare piuttosto di ciò che penso non smetterà mai di sorprendermi. E allora parlo del concetto del “guardare”, del mistero della visione che – per vie diverse – ho ritrovato sia in Giulio Paolini che in Luigi Ghirri. Oppure parlo della forza generatrice della natura, di quella matematica sottesa all’arte e alla vita, e allora non posso che ricordare il lavoro di Mario Merz. Oggi rispetto al periodo da te preso in esame molte cose sono cambiate e l’uso della fotografia in un contesto di ricerca che affonda le sue radici non tanto nella tradizione autonoma di questa disciplina quanto in un filone evolutivo che parte dalla pittura e dalla scultura passando attraverso tutta una serie di sconfinamenti a noi ben noti, non sorprende più nessuno. Tuttavia qualche indizio della permanenza sotterranea di problematiche non risolte permane. Ad esempio io sono sempre stata incuriosita dal fatto che oggi nelle così dette nuove tecnologie che hanno rivoluzionato le tecniche a disposizione dell’artista si citi spesso anche la fotografia che in realtà è molto precedente rispetto al computer, alla videocamera o alla rete telematica. Non credi che dietro questa sorta di lapsus rivelatore ci sia ancora il vecchio mito dell’oggettività della fotografia e forse, per una sorta di coincidentia oppositorum anche qualche residuo delle suggestioni magico esoteriche legate alla cattura dell’immagine attraverso la luce? > Senza dubbio l’immaginario legato alla fotografia può essere causa di un simile “lapsus rivelatore”, quello che appunto la fa spesso annoverare nella schiera delle nuove tecnologie. Tuttavia, rispetto all’uso della fotografia da parte degli artisti, penso proprio che oggi si possa parlare nei termini di una problematica non tanto irrisolta quanto piuttosto aperta. L’esigenza di assottigliare la volontà di alleggerire il corpo fisico dell’arte per lasciare spazio al pensiero e quindi al progetto sono di fatto questioni essenziali, che si possono cogliere guardando la straordinaria attualità del lavoro degli artisti nella stagione culturale degli

Luigi Ontani, Trombettiere, 1970 [fotografia a colori; 211 x 126 cm]

anni ’70, ma che si devono ritrovare anche nel nostro presente. Questioni che attendono dunque nuove risposte, risposte basate sul valore umanistico e “immateriale” dell’opera. Quando si ricorda ciò che aveva scritto Filiberto Menna nel 1975 a proposito dell’Arte Concettuale, ossia: «ciò che conta è il procedimento mentale che sta a monte dell’operazione, mentre non è particolarmente rilevante che questo procedimento venga comunicato con parole pronunciate verbalmente, con parole scritte, con fotografie, film, oggetti, e così via», si richiama senza dubbio una ricetta che al di là dello specifico contesto risulta di grandissima utilità proprio per gli artisti della nuova generazione. E allora non importa se la magia della fotografia come “scrittura di luce” arriverà un po’ ad ammaliarli, oppure se si perderanno per un attimo nei meandri del vecchio mito dell’oggettività. Perché alla fine saranno comunque consapevoli di un’idea, quella di attraversare un possibile territorio. Uno di quelli anche oggi percorribili grazie al bagaglio costituito dal loro stesso pensiero.

Michelangelo Pistoletto, Il contadino, 1975 [8 fotografie su carta, coltello, lente di ingrandimento, pittura - 220 x 105 cm cad.

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Lia Rumma, Milano

Joseph Kosuth a mostra, che la galleria Lia Rumma L presenta nella sua prestigiosa sede milanese, è dedicata ad uno dei maestri

indiscussi dell’arte concettuale: Joseph Kosuth. Il suo lavoro, celebrato nelle principali istituzioni internazionali, pone rilievo ad un’arte che cerca la radice stessa del suo essere; guarda a quel processo che sta al confine dell’idea più che ad un oggetto o un prodotto realmente determinati. La sua ricerca fin dagli anni ’60 ha quindi posto molta attenzione al significato del linguaggio e del comunicare e la stretta relazione con l’arte e i suoi strumenti, partendo da una chiara prospettiva che pone la totalità dell’opera al centro della comunicazione. Ogni lavoro illustra ciò che è: asserisce la tautologia dell’assunto dichiarativo della sua esistenza, che viene proposto dall’essere dell’opera stessa. Il nucleo centrale della mostra è costituito da un’installazione pensata per il grande spazio centrale, ridefinito per l’occasione, del piano terreno con una serie di 19 nuove opere in neon bianco. Questo insieme di lavori singoli costituisce la riflessione Texts for Nothing’ Samuel Beckett, in play che Kosuth compie su una parte particolare dell’opera del drammaturgo irlandese. Questi testi, poco considerati dalla critica, secondo l’artista sono parte centrale del pensiero del letterato e trovano una perfetta corrispondenza con la parte fondamentale della sua ricerca concettuale e dalle quali questa ha, in qualche modo, posto le proprie origini. Entrambe le espressioni fanno perno attorno all’analisi del potere del significato che, pur secondo coordinate differenti, porta alla costruzione di un linguaggio autodeterminante e non concluso, costantemente aperto al divenire, in cui la costante interrogazione sulla significazione rimane lo spunto di revisione del proprio cercare. Il comune carattere non narrativo risolve inoltre appieno quella dimensione puramente concettuale che Kosuth cerca in ogni suo lavoro. Con An Uneven Topography of Time, posta

Joseph Kosuth, Texts for Nothing’ Samuel Beckett in play [Courtesy Lia Rumma, Milano]

Joseph Kosuth, The Eighth Investigation, Proposition #4, 1971 [Notebooks, tables, clocks, vinyl text] - Courtesy Lia Rumma Milano

ai due piani superiori della galleria, si presenta al pubblico un’accurata selezione di opere che coprono un arco temporale di oltre quarant’anni e restituiscono una lettura generale più completa della poesia di Kosuth. Questi lavori, nove opere storiche, sono tutti accomunati da una comune riflessione sul tempo: si crea così una doppia indagine che si rivolge in un’auto-riflessione dell’artista stesso. Da una parte per Kosuth il richiamo rimane quello della beckettiana temporalità vuota, dall’altra si rivolge alla lunga ed

ininterrotta collaborazione con la stessa gallerista. Nel 1971 Lia Rumma inaugurò, infatti, la sua prima galleria napoletana esponendo proprio una personale dell’artista statunitense. La centralità del tema del tempo è quindi una presenza costante nel rapporto tra Joseph Kosuth e Lia Rumma che, per altro, lavora sempre in un dialogo stretto con gli artisti che promuove facendo di questo scambio reciproco la base fondamentale della collaborazione che ha con ciascuno di loro. Matteo Galbiati

Joseph Kosuth, Installation view [Courtesy Lia Rumma, Milano]

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Museo Carlo Bilotti all’Arancieria di Villa Borghese, Roma

Carla Accardi essant’anni di carriera di Carla AcS cardi vengono raccontati, al Museo Bilotti di Villa Borghese di Roma, in una

visione inedita. Spazio, ritmo e colore consacra l’artista siciliana, residente nella capitale da sempre, con opere dell’archivio personale, molte mai presentate al grande pubblico. Il lavoro di Accardi, immerso nella pratica astratta - il 1947 è l’anno della firma del manifesto del gruppo Forma – si aggancia tenacemente al pensiero vitale di segno, colore e materia. L’artista estrapola il senso etico dell’arte, come carattere del vivere nella libertà individuale. La scelta per l’astrazione è mantenuta, immutabile, lungo l’intera vita, cedendo gli ampi margini di reciprocità con la materia pittorica e non. La materia quotidiana è composta da tessuti, sicofoil, carta, colore luminescente: gli elementi concentrici del linguaggio. Le opere di Accardi hanno un stretto rapporto con lo spazio, e da questo dipendono le opere monumentali e i lavori di formato ridotto, su carta e tela. È lo spazio, nel suo significato più stringente, in relazione con la materia - legata alla connessione con l’ambiente e il tempo - che parla della realtà dell’artista che ha fatto della sua vita una trasposizione: l’arte è parte edificante di un intreccio esistenziale, agganciata alla contemporaneità. Pavimento in feltro (2010), realizzato per la sala centrale del Museo, scandisce il suolo in riquadri monocromi interrotti nella ripetuta distensione dalla firma segnica: timbri grigi e bianchi alternati nella distesa di fondo nero e cinereo. Al termine del pavimento sulla parete, in ottica grandangolare, Stendardo Don Chisciotte (2009), il vessillo verticale e sulla vetrata a emiciclo la serie di Lenzuoli (1972-2008) filtrano la luce esterna. Sperimentazione materica e linguaggio

articolato nella distinzione del medium. L’installazione Tuono reitera la flagranza della voce con l’avvicendamento della luce sul tessuto dipinto in segni fosforescenti, vividi nei momenti di buio: qui scivola e si aggancia il suono. La continuità cronologica non è ricercata. Dall’ambiente dedicato alle Lampade e gli Ombrellini di sicofoil e plexiglas, alle ceramiche invetriate lungo le scale, alcune in bianco e nero, di grafia orientale, altre di colore binato; alle carte di diversa datazione (a partire dai primi anni Cinquanta) che sostengono il medesimo linguaggio coerente, dal titolo essenziale, preso direttamente dal colore (Fondo bianco, Fondo nero). I lavori storici e attuali nascono da un unico principio – intellettuale, sociale, segnico - trasformato rispetto al prima, energicamente orientato sul poi. Ilaria Piccioni

Nelle tre immagini Carla Accardi, veduta delle installazioni / installation view - Courtesy Museo Carlo Bilotti, Roma - Foto Gino Di Paolo

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Mario Merz, Il fiume appare 1986 [Tecnica mista su tela e carta, strutture in ferro, vetri, tondini, guaina catramata, serie di Fibonacci al neon dall’ 1 al 233, serie di Fibonacci su giornali dall’1 al 6765 // Mixed media o canvas and paper, iron structures, glass, iron rods, tar, Fibonacci’s series] Courtesy: Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice. Foto: Archivio fotografico Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea

Tucci Russo, Torre Pellice (To)

Basico - Moto perpetuo “Basta un solo gesto per esprimere un enorme numero di concetti, poiché un moto perpetuo attraversa ogni opera d’arte” embra ieri, eppure sono già pasS sati sedici anni, da quando nel 1994 Antonio e Lisa Tucci Russo, de-

cisero di trasferire la sede della loro galleria dal capoluogo piemontese alla piccola cittadina di Torre Pellice,

a due passi dalle montagne, in uno splendido edificio ex-industriale tanto maestoso quanto sobrio. La scelta

Giovanni Anselmo, Mentre lungo il sentiero verso oltremare “Senza titolo” appare e la luce focalizza … 1992-2010 (vista d’insieme sala 3) Courtesy: Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice. Foto: Archivio fotografico Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea

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Giuseppe Penone, Senza titolo 1988 [serena stone, plaster / cm. 139x309x11,5] e vista d’insieme (sala 4) Courtesy: Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice. Foto: Archivio fotografico Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea Marisa Merz, Senza titolo 2010 [Tecnica mista su carta, plexiglas, cavalletto in ferro // Mixed media on paper, plexiglass, iron easel / cm. 182x55x93] courtesy Tucci Rucco studio per l’arte contemporanea, Torre Pellice, To

capitava in un momento di trasformazioni urbanistiche e in un clima di rinnovamento del dibattito intellettuale di cui l’arte era parte integrante. Mentre si discuteva su quale sarebbe stata la fisionomia dei musei del terzo millennio par rapport al nuovo concetto di città diffusa, senza più centro né periferia, assistevamo deliziati al recupero di intere porzioni della città e della provincia, avvilite da un passato industriale, e riconsegnate a una luminosa esistenza grazie a progetti culturali. Lo spazio di Torre Pellice, più simile ad una kunsthalle che a una galleria, sembrava perfetto per accogliere la storia e le opere – spesso di grandi dimensioni – dei numerosi artisti di peso internazionale con cui la galleria Tucci Russo aveva lavorato (e avrebbe in seguito)fino a quel momento a partire dal lontano 1975, anno in cui il gallerista aveva cominciato la sua avventura in solitaria nell’arte. Tante le mostre realizzate, tante le opere importanti viste in quel luogo dal quale (ricordo bene) ritornavi a casa pieno di soddisfazione e di interrogativi. Quest’anno Tucci Russo celebra i suoi 35 anni di attività e lo fa con una mostra il cui sottotitolo – Moto perpetuo – sembra quasi una lezione di filosofia minima. “Basta un solo gesto per esprimere un enorme numero di concetti, poiché un moto perpetuo attraversa ogni opera d’arte”. A illustrare per immagini questi concetti sono le opere di Giovanni Anselmo, Giuseppe Penone, Giulio Paolini, Marisa e Mario Merz, 42 -

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Pierpaolo Calzolari, Natura morta 2008 [tempera grassa al latte, struttura in ferro, cotone in filo, teli di cotone, uovo // milk tempera, cotton yam, cotton fabrics, egg, iron structure // cm. 182x55x93] Courtesy: Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice Foto: Archivio fotografico Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea Giulio Paolini, Quadri d’autore 2009 [Volumi di plexiglas, pedane in legno dipinto di bianco, cavalletti e tele in miniatura, matita su carta // Plexiglas cubes, wooden platforms, easels and canvases in miniature, lead / cm. 220x342x342] Courtesy: Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice. Foto: Archivio fotografico Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea

Pier Paolo Calzolari, ovvero il gruppo dell’Arte Povera con cui il gallerista ha intessuto un dialogo continuo e duraturo che negli anni è stato anche condivisione di esperienze umane. Di fatto, questa grande e museale collettiva, è costituita da sei personali che mettono in luce le differenti individualità artistiche accomunate però da un’intenzione estetica che riconosce nella materia uno dei principi fondamentali da cui scaturisce l’energia del pensiero. Le opere presentate ripercorrono un arco temporale lungo e hanno datazioni diverse ad evidenziare un continuum che le unisce pur nella loro diversità estetica e temporale. Nella sala dedicata a Mario Merz incontriamo un lavoro intitolato Il Fiume Appare, esposto alla galleria Tucci Russo nel 1986 nell’allora sede del Mulino Feyles a Torino. Ferro, vetro, catrame, sono i materiali che quasi alchemicamente Mario Merz mescola per realizzare l’idea dello scorrere imperituro dell’acqua. Dietro questa potente installazione, un’enorme tela sulla cui base compare la nota catena di Fibonacci troneggia nella stanza liberando da se stessa un’energia cromatica e organica che evoca la vitalità dell’universo naturale. La stanza di Giuseppe Penone è invece il fulcro dell’intima indagine dell’artista. Geometria nelle mani e la serie Pelle di marmo sono la sintesi della costante presenza di stati di simbiosi e partecipazione tra uomo e natura, tra realtà e materia. Il viaggio nelle profondità e nei segreti della materia continua nella sala dedicata ad Anselmo, le cui opere sono da sempre intrise di una poesia che si sprigiona dall’accostamento di materiali duri e teneri, a volte impermalenti come la sabbia. Così nell’opera Il sentiero verso oltremare (1992/2010), una striscia di terra attraversa lo spazio diretta verso il colore blu di una geometria semplice a parete. È l’esemplificazione visiva dell’incontro fra terra e cielo ma al tempo stesso il lavoro sottintende la tensione che produce l’incontro fra l’orizzontalità della visione e la verticalità del pensiero. Giulio Paolini, il più concettuale fra i Poveristi, viene rappresentato in mostra da una combinazione di opere utili ad esplicare la complessa sinergia di termini come Tempo, Desiderio, Materia e Linguaggio. A parete, una tavola scritta in inglese e tratta dall’Encyclopedia britannica chiarisce il senso della ricerca artistica, individuando nelle infinite possibilità di significati legati al termine di “concetto”, la varietà di sguardi possibili che legano l’opera allo spettatore. Unica donna in mostra, Marisa Merz propone due opere recenti su tela: si tratta di due lavori visionari in cui i cromatismi e la gestualità vibrante del disegno descrivono volti e figure animati da una speciale energia cinetica, quasi un volo che forse simboleggia la condizione estatica della creazione artistica. Di Pier Paolo Calzolari, ritroviamo in questo percorso Lago nel cuore, un’opera del 1968 che traduce magnificamente nell’essenziale e poetica visione di poche foglie di tabacco Virginia con sopra lettere di stagno che scrivono in stampatello il lirico titolo, il senso di una ricerca che oggi come ieri compenetra arte e vita in un movimento che è per l’appunto perpetuo. Gabriella Serusi

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Galleria Pack, Milano

Matteo Basilè lla galleria Pack, l’occasione di A godere dell’ultimo lavoro di Matteo Basilè, “Thishumanity”, un proget-

to a cui l’artista ha dedicato più di un anno, realizzando quella che si è rivelata come una delle migliori mostre di tutto il 2010. Da tempo Basilè risiede in India, dove il contatto con un vissuto così essenzialmente diverso da quello occidentale ha profondamente influito sul corso d’opera. Le tensioni, non solo su scala nazionale, ma anche all’interno del singolo villaggio, sono intense e sedimentate da un sistema sociale che divide, isolandoli, gli individui in caste. Divisione che crea delle crepe nel tessuto e inevitabilmente delle minoranze. La storia dell’umanità è costellata da lotte, spesso intestine, tra minoranze che emergono prepotentemente e mandano in tilt proprio quel sistema che ha sempre cercato di opprimerle e nasconderle.

Riflettendo su quadro così ampio, Basilè ha deciso di rappresentare 10 battaglie di cui le minoranze saranno le protagoniste. Il primo di questa serie di conflitti battaglie ha come interprete “la donna”, una lotta al femminile dunque. Donne che combattono con altre donne per far riemergere, con un atto di forza massimo, la propria identità : donna- femmina, donna-madre, donnaguerriera. L’incipit per la costruzione del progetto è stata la “Battaglia di San Romano” di Paolo Uccello, e non a caso. Il celebre pittore fiorentino è ricordato per l’interesse, quasi maniacale, per la costruzione prospettica, elaborata secondo rigorose leggi matematiche e analitiche. Basilè stravolge questa rigidità e pone come unica regola “Il caos”. Infatti, mentre nei dipinti di Uccello tutto è “sul punto di”, ovvero l’immagine racconta il momento prima dello scontro,nelle battaglie al femminile di Basilè, tre grandi cornici che costituiscono il corpus centrale della mostra, ci troviamo nel momento successivo, nello scontro vero e proprio, realizzato con tecniche fotografiche digitali di post produzione.

L’artista ha saputo impiegare, con grande maestria, alcuni espedienti prospettici che accavallano e rimandano differenti punti di vista all’interno della stessa immagine. Donne di età e razze diverse che si osteggiano l’un l’altra, ciascuna protagonista di una lotta “catartica” per tornare in possesso della propria identità. Basilè ha inoltre realizzato una serie di 140 ritratti (in mostra solo una parte) di queste protagoniste, ognuna col suo personale racconto, narrato attraverso i segni sulla pelle, lo sguardo, le rughe, la postura del corpo. Donne di razze, età e vissuti diversissimi fra loro, che nel complesso diviene quello che lo stesso artista definisce come un “omaggio alla femminilità”. Una femminilità che non risiede solo nel bello, ma è piuttosto una condizione intima, uno stato interiore che leggiamo nello sguardo di una ragazzina con gli occhi di chi ha visto molto per la sua giovane età, nelle rughe sul volto di una donna prostrata dalla fatiche della vita, nelle ferite e nel sangue sul corpo, come nell’anima, di queste amazzoni contemporanee. Rebecca Delmenico

Matteo Basilè, Thishumanity [courtesy Galleria Pack Milano]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Galleria dello Scudo, Verona

Eliseo Mattiacci

a mostra personale di Eliseo MattiacL ci si compone di fotografie, sculture e ambienti. Anziché presentare soltanto gli

ultimi esiti dell’artista marchigiano, la Galleria dello Scudo preferisce ricostruirne il percorso dagli anni settanta fino ad oggi. L’esposizione si apre con la grande scultura in ferro Carro solare del Montefeltro, essenziale versione di un’arcaica antenna parabolica rivolta verso l’alto, montata su ruote, in partenza sul suo binario. In questa seconda metà degli anni ottanta, Mattiacci manifesta con il suo Carro la necessità di simbolizzare la presenza di flussi e scambi di energie. L’artista individua dal cielo l’informazione emanante, che l’opera, nella sua visione, ha la capacità di ricevere e poi trasformare. In questo senso, più che un manufatto umano, la scultura diviene un talismano, un conduttore di energia psicofisica. Parimenti, il ruolo dell’artista qui, non è molto lontano da quello di sciamano identificato da Beuys. Le fotografie storiche di Claudio Abate a corredo, documentano performances come Esplorazione del 1981, in cui Mattiacci stesso, in luogo di delegare la capacità medianica ad un oggetto, cinque anni prima di realizzare il Carro, in una discarica di mattoni con tre ombrelli (che preannunciano la sagoma della scultura), è intento a ricevere segnali dalla sfera celeste. Partecipando inizialmente all’Arte povera e condividendo la disamina dell’energia, Mattiacci se ne distacca in seguito, preferendo, tra l’altro, volgere il proprio sguardo verso il cosmo piuttosto che intorno alla dimensione mondana. L’operazione dell’artista non si addentra nel fornire risposte, quanto intende mostrare la collocazione dell’uomo e del mondo all’interno di un sistema, propornendone nuovamente il mistero. In Ricerca intenzionale di meteoriti, Mattiacci costruisce un ambiente site-specific con una sofisticata scelta di pietre e luci, una porzione di spazio nell’universo, nel suo infinito e preannunciante silenzio. Una medesima intenzione l’aveva espressa ne La mia idea del cosmo del 2001, presentando pianeti anziché meteore, galleggianti su uno stesso luccicante pulviscolo di piombo, di cui Claudio Abate presenta gli scatti dell’installazione ai Mercati di Traiano. In Cosmogonia (una grande spirale in acciaio che collega pianeti), Mattiacci mostra l’ineludibile interrelazione spazio-temporale all’interno del sistema solare e la gravità di ogni oggetto nel micro e nel macro cosmo. Un’eco delle teorie dell’eterno ritorno risuona dalle opere che divengono spesso circuiti

Eliseo Mattiacci, Cosmogonia, 1985-1986 [acciaio nervato, alluminio, ferro e rame - altezza 300 cm, diametro 430 cm] Courtesy Galleria Dello Scudo, Verona

di rapporti di causa-effetto. I metalli spesso utilizzati, a loro volta sono potenti trasmettitori di energia. Mattiacci lavora negli anni Ottanta, in cui sente di dover trovare una nuova serietà, di porsi in maniera meno critica ma più contemplativa nei confronti del mondo, e ammette, come reazione alle precedenti avanguardie più o meno militanti, di non avere più la necessità di sovvertire il pensiero ma di porsi da spettatore, di ciò che non conosce ma sente. Una diecina di anni più tardi, l’artista raggiunge forme più sitematiche come in Collisione, in cui sintetizza equilibri più astratti. In mostra sono presenti anche alcuni lavori come Sole e Luna e Giorno e Notte degli anni Settanta, in cui Mattiacci passa anche per quella corrente verbo-visuale che in maniera letterale tendeva alla rappresentazione con minimi termini. La sua fede, il suo atteggiamento modesto e l’instancabile ricerca di un ineffabile senso ultimo non lo rendono distante, ma poeticamente necessario.

Eliseo Mattiacci, Carro solare del Montefeltro, 1986 prima versione [ferro; 278x500x145 cm] Courtesy Galleria Dello Scudo, Verona

Veronica Caciolli

Eliseo Mattiacci, Ricerca intenzionale di meteoriti [installazione alla Galleria Dello Scudo, Verona]

Eliseo Mattiacci, Collisione, 1995-96 [acciaio e ferro; ø 35 cm] Courtesy Galleria Dello Scudo, Verona

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Museo di Arte Contemporanea, Roma

Il nuovo MACRO on l’inaugurazione della nuova ala C del Museo di Arte Contemporanea di Roma, potrebbe esserci un capovolgimento

di termini e significato, perché non si parla di architettura spettacolare bensì di progetto culturale. Tutto cambia, evolve; cambia l’esperienza sulle cose, sullo spazio, sull’arte e le sue opere. Il MACRO cambia ed evolve nella forma e nella proposizione artistica; nel rapporto con la città. Il nuovo spazio progettato da Odile Decq comprova la rinnovata fase architettonica della Capitale, come era già avvenuto lo scorso maggio, e allo stesso tempo investe molti fattori complementari di progressione. Nasce da un cantiere durato dieci anni, costato 20 milioni di euro, che ha attraversato tre distinte amministrazioni. Cambia il perimetro interno, dell’originario involucro dell’ex Stabilimento Peroni, cambia l’ingresso al museo (da via Nizza, angolo via Cagliari), abbracciando circolarmente un perimetro che si fa sempre più aperto; cambiano gli orari, dilatando temporalmente l’ingresso al pubblico (dalle 11 alle 22). MACRO si trasforma e diventa Giano bifronte di Roma Capitale: costituendo il “guado”, il “passaggio” all’arte, dalla nuova porta, in una nuova prospettiva. La visione verso lo spazio pubblico godibile in libertà, che prende e carpisce interesse indirettamente, incidendo sulle trasparenze dei vetri. Sono concesse così visioni affrancate, su parti delle opere esposte. Il tramite: la trasparenza. E oltre, si circola fra le pareti scure e il centro rosso vermiglio, i piani inclinati; le trasparenze di superfici collimano con il vecchio, il “prima di sé”. ammette quel tanto che libera il desiderio di spingersi più avanti. I vetri-plexiglass del parallelepipedo contenitore – struttura dell’opera del duo Bik Van der Pol; vincitrice dell’Enel Contemporanea Award 2010 - rimettono l’andare oltre con lo sguardo, verso la luminosità, isolante, algida del vero ecosistema tropicale, di colore vitale; abitato da baluginanti battiti d’ali di farfalle vive. L’architettura moderna, vissuta fortemente dal pensiero di Mies Van der Rohe, da cui prende origine (esempio cardine, la Farnsworth House), è attualizzata in Are you really sure that a floor can’t also be a ceiling?. Titolo escheriano per l’installazione che accompagna il rinnovamento di MACRO, per capovolgere lo sguardo sulle cose: la realtà ci sorprende viva ogni volta che ne abbiamo certezza, la modernità richiede cautela. Gli artisti olandesi fermano il pensiero sui grandi cambiamenti climatici, sulla trasformazione che l’uomo impone alla Terra, con il tramite della vita delle farfalle, nate all’interno del “micro” ambiente artificiale, rivissuto dentro al “macro” contenitore del museo di Roma. Distogliersi e considerare che non si deve mai dare niente per scontato, è il messaggio sotteso. Le opere della collezione permanente campeggiano negli ambienti dedicati, bianchi e il nuovo ciclo espositivo MACRO fall 2010: Immagini in movimento - negli spazi “originari” - echeggia diversità fruibili. Al MACRO Testaccio la collettiva PLUS ULTRA, a cura di Francesco Bonami (direttore della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo), offre una panoramica delle opere della Collezione dagli anni Ottanta a oggi. Dal curatore la volontà di pensare lo spazio per mezzo e attraverso le opere; cambiando necessariamente l’esperienza del

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1A Gilbert & George, Skin, 1986 [Collezione Privata / Foto altrospazio, Roma] 2A Odile Decq, foto Joël Andriano Mearisoa. 3A Nick Cave, Soundsuit-NC 10.016, 2010 [opera sul tetto della sala conferenze del nuovo MACRO] Courtesy Studio La Città, Verona - Foto altrospazio, Roma. 4A Opere della Sala Bianca 2 [Foto altrospazio, Roma].

luogo espositivo, attivando una sfida intellettuale. La locuzione latina che richiama l’“andare oltre”, il superare i limiti, traduce la pianificazione dei lavori nei due padiglioni, con le sezioni Oltre il buio e Oltre la luce. I confini si aprono, a Roma sono a disposizione del pubblico le opere di trentotto artisti, italiani e stranieri (fra cui l’arazzo di Goshka Macuga), che tessono la storia più recente del collezionismo.

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Ilaria Piccioni

Plus ultra La collezione Sandretto al MACRO Testaccio

1B Cerith Wyn Evans, In Girum Imus Nocte et Consumimur Igni, 1999 [neon, ø cm 42] 2B Damian Ortega, Building, 2009 [scultura in mattone 215x160x130 cm] 3B Hugo Markl, Mamatschi – A Diamond, A Spade, A Club, A Heart; 2007 w[serigrafia su alluminio - 220 x 155 x 1 cm] 4B Paola Pivi, Have you seen me before? 2008 [scultura in schiuma di poliuretano e piume - 108 x 200 x 100 cm] 5B Angela Bulloch, Superstructure with Satellites 1997 [scultura in ferro, polyestere, panca, sfera, footpad circolare, ø 240x100 + 6 elementi 200x250x100 cm ca] 6B Jennifer Pastor, Ta-Dah 1995 [installazione mixed media / h 235 cm] 7B Damien Hirst, The Acquired Inability to Escape, Inverted and Divided, 1993 [scultura di vetro, acciaio, tavolo MDF, sedia, portacenere, accendino / 245x305x213 cm]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

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Galleria Vistamare, Pescara

Mimmo Jodice

e opere fotografiche di Mimmo Jodice L sono frutto di una passione mai domata e di una lunga ed approfondita ricerca

interiore. Trenta fotografie, tutte in bianco e nero, stampate per la maggior parte a mano dall’autore, sono esposte alla galleria Vistamare: fanno parte di due cicli le-

Mimmo Jodice, Cartagine, 1995 [stampa carbone su carta cotone - cm 75x80 - ed.6]

gati a temi molto cari all’artista, Mediterraneo e Mare. Il primo raccoglie una serie di fotografie della metà degli anni Ottanta, un viaggio nell’antica cultura greca, le sue fioriture ed i suoi innesti, un itinerario attraverso luoghi e tempi diversi con molte immagini scattate nei musei, che segnalano la tenace persistenza del passato nel tempo attuale. L’idea di tempo circolare, del cammino ciclico della natura, è alla

Mimmo Jodice, Amazzone da Ercolano, 2007 [stampa ai sali d’argento su carta baritata - cm 70x70 - ed.8]

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base anche della seconda serie, quella dedicata al Mare, che da oltre dieci anni si arricchisce di nuove immagini. Il mare è di solito osservato da Jodice dalla riva e da questa posizione lo si vede fluire e rifluire. L’autore, fermo davanti al mare, aspetta che l’onda sia in grado di disegnare una bella immagine, proteso verso il recupero di un tempo dilatato, rallentato, riflessivo, che vivifica quello dell’azione. L.S.

Mimmo Jodice, Marelux opera IV, 2009 [stampa carbone su carta cotone - cm 70x70]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Galleria Paludetto, Roma

in alto a sinistra: Elke Warth, Mädchen / Ragazze; a destra: Elke Warth, Ida Brau in basso: Elke Warth, Isi Bild [photo courtesy Galleria Paludetto, Roma]

Elke Warth anno qualcosa di familiare e qualcosa d’inquietante H i tre dipinti di Elke Warth presentati tra dicembre e gennaio nella “vetrina” romana di Franz Paludetto a San

Lorenzo. I riferimenti storici saltano subito agli occhi: da Munch ai Nabis, dai Preraffaelliti alla Secessione Viennese. Davvero troppi per chi voglia vedere nell’omaggio al passato la sola chiave di lettura dell’operazione. Si tratta semmai, ad evidenza, di un incastro di poetiche volutamente gestito in superficie, costruito attraverso un’esercizio ad un tempo minuzioso e fantastico come può esserlo l’esecuzione di un ricamo o l’elaborazione di un arazzo. Le giovanni donne che ci guardano dalla lontananza straniata di stagnanti interni borghesi, affollati di decorazioni e privi di profondità, appartengono sicuramente al presente, ma pensano e sognano in una sorta di dimensione intemporale come quella che si sforza di creare certa fotografia di moda destinata ad un consumo più meditato ed elitario. Si indovina allora che il tema è quello della condizione femminile nella società d’oggi. La bellezza è un obbligo, la giovinezza un’occasione che non si ripete, ma come evitare la nostalgia per ruoli e modelli di comportamento oramai improponibili? Come salvare sentimenti e illusioni dal naufragio della storia? Paolo Balmas

Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sapienza Università di Roma

Francesco Impellizzeri ’immaginario iconografico di FranceL sco Impellizzeri è vasto e multiforme. Vent’anni di nomadismo d’immagine, per portare molteplicità e ossigeno alla ricerca. Il trascorso è compendiato, al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università Sapienza di Roma, in un racconto diagrammatico, a ritroso. In spazi distinti girano i video delle per-

formance (dal 1990 al 2010), montati in due filmati dedicati ai due decenni, che riportano le immagini in una carrellata di sequenze. Oggetti e abiti sotto teche, disegni declinati e fotografie degli eventi, come “feticci” colorati, parlano di un lavoro squillante di segno pieno. Le opere di Impellizzeri ruotano attorno al paradosso, che sfalda i principi fondamentali della logica comune. Dileggio

Francesco Impellizzeri, Installation view [MLAC, Università La Sapienza Roma]

diretto e indiretto, ironia che costringe a ridefinire i parametri abituali del pensare e del vedere. Attraverso invenzioni canore e rappresentazioni di ordine teatrale performativo, sovraccariche di simboli e parodie, Francesco erige scene di genere bislacche. Riscrive la “human comedy” acuita nella gestualità, manierata e insistita, di personaggi che spesso si muovono in azioni ripetute circolarmente, che sottolineano un disagio quotidiano camuffato da belletti in multicolor. Impellizzeri insiste sull’esame dell’uomo, l’essere metropolitano che abita e agisce nella “cattività” della società del consumo e dell’immagine; la visione e lo sguardo sulle cose sono offuscati dalla consuetudine, affondati nella passività. Le azioni sono orchestrate sapientemente, organizzate con minuzia e dovizia di particolari, con accessori disegnati e realizzati dall’artista stesso. Il suo corpo diviene soggetto attivo, cardine tematico. La performance deve irrompere nel reale camuffato, l’immagine mutevole, moltiplicata in camaleontica androginia, è in bilico tra identità femminile e maschile. Lo sconfinamento di genere sottolinea l’ambiguità del principio di potere e di controllo della società dell’immagine, verso un immaginario collettivo (moda, pubblicità, musica, fumetti) scalfito da un percettibile incrinatura: il barlume della dimensione simbolica. Ilaria Piccioni

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kaufmann repetto, Milano

Gianni Caravaggio in dal titolo della mostra s’intuisce S la felicità poetica che accompagna il nuovo progetto espositivo di Gianni Caravaggio, autore collocabile senza dubbio tra i più significativi del panorama italiano: “Tessitore di albe” è anche il titolo di un’opera in mostra che, insieme a “Tessitore di tramonti”, segna gli ideali alpha e omega del percorso espositivo. Composte da un filo ocra e arancio teso tra due pareti, le opere suggeriscono l’intensità variabile della luce attraverso il diradamento graduale della tessitura del filo; a terra, porzioni di marmo dell’Iran trattengono i capi del tessuto, modellati sul volume delle sue mani. Ritorna qui uno dei temi cari allo scultore, ovvero il processo artistico interpretato come atto demiurgico, come incessante ricreazione di mondi. Caravaggio non è autore che si accontenti di fare bella figura, confezionando una mostra gradevole: la sua è una ricerca che chiede molto allo spettatore, imponendogli una partecipazione attiva. Imperniato sull’idea di immagine-seme, il lavoro dell’artista si innesta nello spazio mentale di chi guarda e lì germina, perseguendo poi una vita autonoma. Non a caso Caravaggio – che si avvale anche del medium della parola scritta, in maniera virtuosa, elaborando testi che sono complementari alla produzione scultorea – parla di “occhio interiore”, di quello spazio filosoficamente categorizzato come Inneres Auge, luogo misterioso dove si producono le immagini. Il tentativo, perseguito con coerenza, è quello di produrre

Gianni Caravaggio, Due lune con stupore 2010 [marmo bianco statuario - 35x42x35cm] courtesy kaufmann repetto, Milano

Galleria Lia Rumma Napoli

Hendrik Krawen uello dell’uomo al centro dell’uniQ verso è un assunto antico come il mondo. Un’ imposizione lanciata a par-

tire dall’età della pietra, rafforzata nel Rinascimento e ed andata avanti nei secoli come risultato estremo di un presunto e sfacciato protagonismo umano. Un dio minore sceso in terra per asservire a sé ogni cosa, capace di forgiare e plasmare la materia a sua immagine e somiglianza, ma allo stesso modo piccolo, indifeso, sproporzionato nella sua inadeguatezza allo spazio circostante. Questo l’uomo di Hendrik Krawen, riposizionato all’interno di quadri visivi, al cospetto con le reali dimensioni del mondo; indifeso a confronto con palazzi, insegne pubblicitarie e colossi dei tempi moderni da lui stesso introdotti e oramai fuori controllo. Nella opere in mostra 50 -

Gianni Caravaggio, Spargere le proprie ceneri 2009 [cenere, tubi di metallo cromato, marmo bardiglio nuvolato, dimensione variabile] courtesy kaufmann repetto, Milano

dei segni, degli enti che il fruitore possa recepire e “sentire” profondamente, tanto da portarne con sé l’immagine attiva, che prosegua la sua azione nel tempo anche dopo l’esperienza della mostra. Poche le opere esposte, perché non vi è nessuna ansia dimostrativa nel fare di Caravaggio; tra queste, “Due lune con stupore”, una delle creazioni dove la dualità tra lirismo e oggettività delle forme emerge in maniera più spiccata. Si tratta di una figura di marmo sferica, dall’aspetto vagamente antropomorfo e dalla superficie modellata trattenendo le tracce delle mani dell’autore, segnata da due concavità che richiamano le fasi lunari e che modificano la percezione di chi osserva ad ogni cambio di prospettiva. “Spargere le proprie ceneri” è, invece, un dispositivo composto da un cono di marmo alabastrino grigio, striato, dal cui vertice si irraggia un braccio estensibile di alluminio che sparge circolarmente delle ceneri, composte da materiale organico appartenuto all’artista (unghie e capelli). Il cono, disassato, suggerisce un movimento centripeto che si allarga nello spazio, un movimento suggerito e non esplicitato, senza soluzione di continuità temporale. Un tentativo di eternità, reso più umano dalla sottile ironia racchiusa nel progetto e che ripropone l’evocazione del movimento, altro aspetto chiave della ricerca dell’artista. Il mondo di Gianni Caravaggio è popolato da forme nucleari, che non hanno nulla di superfluo:

dalla scelta del materiale, sempre antispettacolare, alla lavorazione meticolosa, questi oggetti hanno perduto nel cammino che li ha portati alla luce tutto ciò che è ridondante. Se c’è spazio per il caos, è uno spazio concesso e abbracciato dall’artista come necessario al processo creativo, che rivendica una forza propria, anche al di là dell’intenzione dell’autore. Il prodotto che scaturisce da questa concezione è una forma depurata, in equilibrio tra tensione oggettiva e afflato intimo. Saltando a piè pari il confronto con contemporanei più o meno virtuosi, osservando le sue opere si è presi dall’azzardo di scomodare grandi nomi, e l’immaginazione si sposta verso Fontana e Brancusi: del primo, riecheggia la sapienza nel manipolare lo spazio, la rarefazione poetica, la ricerca spinta verso una figurazione scultorea totale, slegata dalla rappresentazione e votata alla materializzazione/rivelazione dell’idea; di Brancusi l’orizzonte nel quale si staglia la matrice orientale e il lavoro sul canone. Se, però, in Brancusi il modello è ripetuto sino alla trascendenza dello stesso, tanto da rivelarne l’essenza ultima, in Caravaggio la ripetizione diviene lavoro sull’idea, elaborata in un incessante viaggio di generazione e rigenerazione del pensiero e dell’immagine. La creazione di un mondo, sempre nuovo, sempre altro e, proprio perché lontano dal sensibile e dall’apparente, più vicino alla verità ultima delle cose.

alla Galleria Lia Rumma di Napoli, campiture monocromatiche abbracciano spazi estesi e sconfinati, sopraffatti da cieli vastissimi che contribuiscono a rimarcare la dose di squilibrio, l’ondeggiamento sull’abisso di un’agorafobia umana sussurrata ma presente. Le folle solitarie di Debord rivivono nelle tele dell’artista tedesco come vittime del proprio fare e disfare, del proprio agire e consumare,

in un disaccordo di fondo che le assimila al paesaggio circostante ricostituendo un rapporto di reciproca uguaglianza che riporta l’uomo al suo rapporto reale con le cose, annullandone la centralità. Uno stato di presenza intaccato dall’equiparazione nello spazio dell’individuo ad altri oggetti. Hendrik Krawen si interroga, come molti artisti della sua generazione, sul ruolo e la posizione dell’essere uma-

Silvia Bottani

Hendrik Krawen, Sonne scheint, 2009 [olio su tela 130x260 cm] Galleria Lia Rumma, Napoli

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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Alfonso Artiaco, Napoli

Darren Almond e Marco Neri a tendenza dell’inglese Darren AlL mond ad attingere alla memoria storica e personale si traduce, in occasione di

As It Is, la sua terza presonale presso Alfonso Artiaco in poco più di cinque anni, in una focalizzazzione sulla drammatica condizione lavorativa dei minatori del vulcano sulfureo sull’isola di Java in Indonesia, narrando, in un video di oltre mezz’ora, Bearing, la giornata di uno di essi, intento a trasportare pesanti blocchi di zolfo attraversando, protetto unicamente da un logoro brandello di tessuto, un’enorme nuvola di fumo denso e, presumibilmente, assai nocivo. Sullo sfondo, da una parte, l’immaginario dei gironi infernali danteschi, con le loro perpetue condanne alla sofferenza, una similitudine rimarcata dall’opera che, composta di tre placche rispettivamente in ferro, alluminio e bronzo sulle quali sono incise le parole “Inferno”; “Purgatorio”; Paradiso”, apre (o chiude) il percorso delineato da numerose altre placche tutte ossessivamente contrassegnate dalla scritta “Work”; dall’altra le origini dell’artista stesso, proveniente appunto da una famiglia di minatori e dunque particolarmente votato a compenetrarsi nelle loro sofferenze. Si sbaglierebbe però se si volesse tentare una lettura in chiave di denuncia esplicita, o, piuttosto, essa non risiede innanzi tutto che nella descrizione emozionale del percorso, sul quale lo stesso Almond pone infatti l’accento, né pare rinvenibile alcuna chiara connessione con quanto costituisce l’altra faccia della medaglia dello sfruttamento, alla stregua, per intenderci, di un Alfredo Jaar, che pure indaga la condizione dei minatori già negli anni ottanta. Tutt’altra atmosfera domina invece nella attigua project space, che accoglie i dipinti pressocché esclusivamente bianchi e neri, estremo approdo di un percorso condotto all’insegna di un progressivo riduzionismo cromatico, di cui si compone Underworld, la personale di Marco Neri (Forlì, 1968). Essi appaiono sospesi tra rigore costruttivista e libertà della pennellata, composizione

no nello spazio. Ma non solo. Egli osserva il progresso, la globalizzazione e la trasformazione del paesaggio tradotti in segni più o meno tangibili. Segni che l’artista traduce in paesaggi minimali, in dettagli urbani anonimi, potenzialmente simili e riposizionabili dappertutto, dove atmosfere dalle tinte innaturali si stagliano nette e incombenti su minuti personaggi. Uno spazio urbano pregno di agorafobia che negli ultimi lavori sfocia addirittura nell’astrazione, segnale estremo di straniamento collettivo ed emarginazione consapevole. In assenza di riconoscimento, al limite tra alienazione e scelta, Krawen pone il corpo umano in un’ottica ribaltata rispetto allo spazio intorno, ridefinendone il ruolo, per mostrare come il paesaggio, dall’uomo stesso organizzato e parcellizzato, abbia finito poi con l’agire sopra i corpi stessi, colonizzandoli e modificandoli nel loro stato esistenziale, limitandone la centralità e l’autonomia. Nella perdita di una condizione privilegiata, i personaggi delle opere di Krawen, anche quando estranei alla tela stessa ed immaginati

Darren Almond e Marco Neri, Veduta dell’installazione alla galleria Alfonso Artiaco di Napoli

astratta e referenzialità figurativa: se infatti certe irregolarità del tocco sono riequilibrate dall’organicità compositiva del complesso, sia pure nella risentita articolazione del rapporto tra le parti, ogni sua immagine di struttura architettonica pos-

siede un’indubbia valenza di analisi dei valori delle forme, mentre ogni combinazione di elementi geometrizzanti evoca inevitabilmente griglie ed elementi architettonici in genere. La sensazione di insieme è di carattere decisamente surreale, ma anche di una certa sobrietà di gusto.

come interlocutori esterni, diventano, semplicemente, lo schermo attraverso cui visualizzare lo scontro tra forze contrastanti, e riversare tale disfunzione

interna sul corpo sociale, all’interno del gigantesco, inquietante, contenitore urbano.

Stefano Taccone

Stefania Russo

Hendrik Krawen, Installation view [Galleria Lia Rumma, Napoli]

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Arte Studio Invernizzi, Milano

Lesley Foxcroft ’artista inglese Lesley Foxcroft torna L a dialogare con gli ampi ambienti della galleria milanese strutturando un nuovo grande progetto le cui opere sono state strettamente pensate per le specificità di questo spazio. La Foxcroft ricorre ad un’astrazione essenziale e priva d’interferenze o gestualità emotivamente fuorvianti: la sua concentrazione si rivolge integralmente alle potenzialità del materiale usato, capace di attivare percorsi del visibile verificati nello spazio dell’esistente. Tavole di MDF, sostanza in fibra legnosa di derivazione industriale, lasciate integre nella loro purezza formale e divise in lastre predeterminate, divengono l’elemento modulare con il quale l’artista s’inserisce, sollecitandole, nelle specificità architettoniche per potenziarne poi la visibilità. Questo agire non lascia mai inerte il luogo e riesce a mutarne radicalmente, in modo propositivo e attivo, anche la sua reale struttura e percezione. L’organicità dell’intervento di questa mostra si suddivide in 6 opere di dimensioni più contenute collocate nel piano superiore, mentre, nella sala al piano inferiore, grande ed ampia, trovano posto 9 opere di dimensioni maggiori. Nei grandi interventi, come nei piccoli, Foxcroft affida al colore e alle qualità sensibili della sostanza, apparentemente silenziosa, la possibilità di potenziare le proprie vibrazioni, catturando a sé le peculiarità del contesto che le circonda. La ricerca di Lesley Foxcroft, che dal 1974 espone in personali e collettive a livello internazionale con opere presentate nelle più prestigiose sedi espositive europee, coerentemente si inserisce nell’attenzione rigorosa che lo Studio Invernizzi da sempre riserva verso quegli artisti il cui lavoro cerca, nel luogo specifico dell’ambiente, la propria dimensione di senso in un dialogo stretto tra opera e spettatore nello spazio-tempo del loro reciproco verificarsi. La mostra viene accompagnata dalla pubblicazione di un catalogo bilingue con un saggio di Antonella Soldaini al quale si aggiungono un testo della stessa Foxcroft e una poesia di Carlo Invernizzi oltre alla documentazione delle opere e un completo e aggiornato apparato biobibliografico.

Lesley Foxcroft, Veduta parziale dell’esposizione, 2010 A arte Studio Invernizzi, Milano [Courtesy A arte Studio Invernizzi, Milano - Foto Bruno Bani, Milano]

Lesley Foxcroft, (da sinistra a destra) Centre Swing 2, 2010 [M.D.F. 200x200x5 cm] Bubble, 2010 [M.D.F. 25x224x28 cm] 2010 A arte Studio Invernizzi, Milano [Courtesy A arte Studio Invernizzi, Milano - Foto Bruno Bani, Milano]

Matteo Galbiati

Lesley Foxcroft, (da sinistra a destra) Embrace, 2010 [M.D.F. 25x180x1 cm] Just Resting, 2010 [M.D.F. 200x60x35,5 cm] 2010 A arte Studio Invernizzi, Milano [Courtesy A arte Studio Invernizzi, Milano - Foto Bruno Bani, Milano]

Lesley Foxcroft, Centre Swing 1, 2010 [M.D.F. 200x159x5 cm] Veduta parziale dell’esposizione - A arte Studio Invernizzi, Milano [Courtesy A arte Studio Invernizzi, Milano - Foto Bruno Bani, Milano]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Ex chiesa Madonna del Duomo, Arezzo

Oltre il sacro acconta Jean Clair nel suo libro La R crisi dei musei (Skira 2008, p. 17) di quando aveva riprodotto un quadro di

Matisse che il suo maestro elementare, in assenza all’epoca di riproduzioni d’arte, aveva dipinto per la classe: emozione e gioia avevano invaso l’ animo del ragazzo, un turbamento artistico che lo avrebbe accompagnato da allora in poi e che avrebbe determinato il suo cammino professionale. Quel primo stato d’animo, così intenso e commosso, lo avrebbe condotto poi a percepire inconsapevolmente quello che è il senso del sacro e la sua vera matrice, ancor prima di conoscerlo, ovvero che “esisteva un mondo invisibile, al di là delle apparenze sensibili, ma al quale le apparenze sensibili davano forma” (J.Clair cit. p. 20) e di come questo non fosse altro che “l’espressione del desiderio di circondare la divinità di immagini il più possibile rassomiglianti” (J. Clair, cit. p.20). Oggi diversamente il concetto del sacro nell’arte contemporanea ha subito una notevole evoluzione ed è mutato in profondità, comprendendo entro di sé ciò che in passato era considerato sacrilego o profano, le apparenze sensibili e immagini che prediligono lo scarto, il negativo a volte, e fanno vivere con esso la trascendenza. In tal senso pare proprio che la mostra aretina Out of the sacred, ideata da Igino Materazzi, con la cura dello stesso e di Susanna Buricchi, risponda a questa prospettiva, collocandosi in un territorio in cui emergono molteplici sensi, da una parte una forte tensione spirituale, dall’altra un ampliamento dei confini sia in rapporto al tema stesso sia al suo manifestarsi a livello espressivo, talora in inediti aspetti caratterizzanti. Sono nove efficaci stazioni di una nuova Via crucis dell’arte, una per artista, in un itinerario appunto di nove opere essenziali, altamente significanti, in cui sensibilità, approcci, tecniche, latitudini di provenienza e talora fedi differenti dialogano, segno di un mondo globale ma non omologato rispetto allo slancio verso l’assoluto e alle risposte che l’artista dà al dramma immanente nella condizione umana, di fronte al dolore, allo scacco e alla morte. Al contempo la mostra voluta negli intenti come viaggio oltre il sacro, del sacro comunemente inteso pare connotarsi ancor di più per via del contenitore che la ospita, la ex chiesa della Madonna del Duomo di Arezzo, con l’affresco della Madonna della Rosa attribuito a Spinello Aretino in posizione centrale, in uno spazio suggestivo e tradizionalmente votato al rito, alla devozione e alla preghiera. Nell’ambito quindi di un’architettura e di un’arte sacre, espressione della civiltà occidentale e attraverso varie rivisitazioni a livello iconologico e iconografico nelle opere esposte, Out of the sacred, non paradossalmente rispetto alle intenzioni e anche in modo provocatorio, rientra a pieno nei motivi legati al tema superandoli come già si è detto, e reinterpretandoli. L’antico sacer e l’attuale out of the sacred convivono qui in splendore, in una visione complessiva di reciproche influenze ed interazioni, laddove al raccoglimento del luogo dalla luce soffusa fanno da contrappunto esplosivi bagliori cromatici della pittura ad olio o della fotografia, fino ai colori virtuali ed ai suoni dell’immagine video: nuovo verbo della contemporaneità. Il potere delle immagini, singolarmente e

Andres Serrano, Father Frank 1991

nell’insieme, la loro varietà, la drammatica intensità di alcuni soggetti e altrove poesia, ironia o la riproposizione di modelli patrimonio dell’immaginario collettivo sono talmente forti ed evocanti da indirizzare e spingere lo spettatore verso una riflessione ancor più profonda e inevitabile sul come l’arte contemporanea si ponga rispetto al sacro e lo arricchisca concettualmente e a livello ideale. Si comincia con Women of Allah, 1995 di Shirin Neshat, stampa fotografica in bianco-nero, con segni calligrafici impressi, opera nella quale l’artista iraniana è protagonista, fattasi ritrarre con chador e vicino a sé il fucile, indicando incisivamente la grande complessità insita nella galassia islamica e la sua latente e reale tragedia. Con Fhater Frank, 1991 di Andres Serrano si ha il ritratto frontale di un uomo di chiesa, un prelato per eccellenza, dal volto luminoso che contrasta con il nero dello sfondo; la croce in rosso campeggia nell’abito anch’esso scuro, celebrando l’ apoteosi del potere ecclesiastico, ben lontano dal senso fraterno dell’ama il prossimo tuo come te stesso. Sanjie, 2003 di Cui Xiuwen è un’opera in cui è indagata la storia del reietto e del traditore, figure simboliche nel cuore di ogni uomo. L’opera, fotografia di un quadro dipinto ad olio, emula il modello leonardesco dell’ Ultima Cena, presentando gli apostoli e il Cristo, con Giuda seduto vicino, in sembianze femminili, in una ripetizione serrata del medesimo soggetto, sempre uguale nei tratti, nell’abbigliamento, ma diverso nelle pose. St. Francis of Assisi, 2005 di Kehinde Wiley, è un olio su tela dove il Santo emerge nei colori sfavillanti del fondo, dalle fattezze di un giovane africano, simbolo di un’umanità dolente, di ogni individuo che ha calpestati i diritti e metafora di un riscatto possibile e di un’auspicabile integrazione. 12na Istasyon, 1994

di Manuel Ocampo è un quadro complesso che ripropone la dodicesima stazione del martirio, contaminandola di vari motivi: altra e diversa è l’immagine della passione dell’uomo contemporaneo, ricca di elementi e di inediti codici espressivi, dove emerge un uomo che arranca senza più identità e radici in un mondo globalizzato e tinto di mali. Deposizione, 1989 di Bruno Zanichelli è una pittura di grande forza che riprende il modello caravaggesco esposto alla Vaticana e lo attualizza nei personaggi, diventati esseri crudeli, in cui il sentimento della pietà solidale è smarrito, quasi una scena di un film sulla quotidianità, nel quale, inoltre, il dolore non ha più la speranza della resurrezione. Madonna dell’Elvis, 2009 di Giuseppe Veneziano è un quadro ispirato alla Madonna Colonna di Raffaello, in cui il volto del bambino è quello di Elvis Presley, simbolo dei miti del contemporaneo che finiscono per essere gli unici ed esclusivi dei della società attuale, che crea valori e rapidamente li distrugge. Senza titolo, 2010 di Ciprian Muresan è una video installazione spiazzante e dissacratoria, quasi blasfema: un battesimo ortodosso celebrato da Babbo Natale, nel quale l’artista denuncia il vuoto ideale subentrato nei paesi con la caduta dei regimi, senza proporre altro se non la mercificazione e il consumo di tutto, anche del sacro. Antonym di Zoltan Bela è un olio su tela pressoché monocromatico, vago ricordo dei fantasmi e delle icone del passato, dimesso esempio di un mondo che fu, in un deserto di inquietudini e silenzio dove la speranza sembra aver perso le ali e ogni possibilità di salvezza sembra svanita nel nulla. Rita Olivieri

Shirin Neshat, Women of Allah 1995

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6 - 8 MAY 2011 –­­ MACRO TESTACCIO

ROMA

THE ROAD TO CONTEMPORARY ART

ORGANIZER: REVOLUTION SRL WWW.ROMACONTEMPORARY.IT / WWW.ROMARADIOARTFAIR.IT

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE mc2 gallery, Milano

Kazuo Ohno a Galleria mc2 dedica una mostra L alla leggiadra e leggendaria farfalla della danza giapponese, Kazuo Ohno

(Hakodate, 1906 – Yokohama, 2010 ) che con la danza butoh il grande performer creò l’emozione di un corpo, che danzando nelle tenebre dell’anima, ricerca un contatto con la natura, la vita e la morte. In questa mostra troviamo una serie di fotografie e video, esposte grazie alla collaborazione del Dipartimento di Musica dello Spettacolo dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna e alla cura di Toshio Mizohata. Documenti che illustrano la vita del grande maestro della danza butoh insieme agli attimi che Eikoh Hosoe rubò alla scena e ai momenti in cui testimoniano Ohno alla costante ricerca di se tesso. Tra questi, l’immagine maggiormente evocativa scattata dal grande fotografo, in cui osserviamo tutta la passione del performer, l’estenuante sofferenza e il coinvolgimento vitale che egli dedica alla danza. Lo scatto ricorda la passione di Cristo la stessa passione che Ohno mette nella danza. Questo scatto è trattatto dal libro/opera “ the butterfly dream” che il grande fotografo dedica al maestro in occasione dei suoi cent’anni. La danza butoh di Kazuo Ohno è detta anche danza delle tenebre, in quanto l’anima entra in contatto con l’interiorità più profonda dell’Io, illuminando l’oscurità e comprendendone l’essere interiore. Questa filosofia è figlia di quella generazione “post bomba atomica” , quella generazione intenta a ritrovare la cultura e i rituali giapponesi, quegli antichi cerimoniali andati repressi con i sei anni di occupazione americana, ma il nuovo nazionalismo di questo ceto culturale mantenne l’essenza e il profumo del Giappone, espandendolo però con una ribellione culturale in nuove moderne realtà. La vita per Kazuo Ohno è la sua danza, quindi una vita legata all’emozione, all’espressività, entrambe date dal congiungimento del corpo e della mente. Il corpo è qualcosa su cui imprimere emozioni imparate dall’arte di vivere, un’arte in cui sono racchiusi i sentimenti più vari, contro i quali si dovrà lottare e convivere, trasportando questa fatica del’ essere nella danza. Questa filosofia , è la base della genialità di Kazuo Ohno, che nell’identificazione tra mente e corpo, nella leggerezza che viene percepita grazie all’interpretazione sembra volare, nella fragile minutezza, del suo corpo. La mostra ci dona la possobiltà di conoscere tramite le immagini fotografiche e i video, i suoi più grandi capolavori. L’incantevole Argentina, da cui rimase folgorato poco più che ventenne, molti anni dopo con la sua danza la reinterpretò e ne fece il suo cavallo di battaglia. Altro grade capolavoro che ritrae la sua personalità è my mother, legato profondamente alla figura della madre; la peformance è commovente e lirica, Ohno rieevoca la sofferenza e il lacerante distacco dalla madre e tramite un piccolo tavolo da thè cerca di riallacciare il rapporto con essa, un rapporto originato nel ventre materno, nel ventre di colei che trovò la morte nel momento della sua nascita. Qui iniziò la sua danza nel momento in cui vita, morte e ricordi s’intrecciano. Ohno, con il butoh dona libertà e vita che si rigenera . Diceva“ Se desideri danzare un fiore puoi mimarlo e sarà un fiore qualunque, banale e privo di interesse; ma se metti la bel-

Kazuo Ohno, Argentina 1977 [photo by Eikoh Hosoe]

lezza di quel fiore e l’emozione che esso evoca nel tuo corpo morto, allora il fiore che crei sarà vero e unico e il pubblico ne sarà commosso.” Parole di un grande maestro, che ha fatto della danza poesia, il cui segreto fu la leggerezza dell’amore e dell’essere di un corpo e di un’ anima che vivono e piangono nell’umiltà di essere uomo: in questo fu la sua genialità. Leda Lunghi

Leo Galleries, Lugano

Cesare Galluzzo, Arturo Vermi a doppia mostra personale, che L inaugura i nuovi spazi della seconda sede di Leo Galleries (la principale è

a Monza), si presenta come una dichiarazione d’intenti rispetto la linea e le finalità che s’intendono dare a questo nuovo spazio. Se nella galleria in Italia il lavoro si svolge attorno la proposta di giovani artisti emergenti, in questa si vogliono creare mostre che offrano un confronto-dialogo e uno scambio tra gli artisti della nuova generazione ed altri ormai storicizzati, il cui percorso è riconosciuto e consolidato. Il raffronto avviene accostando affinità poetiche e

di ricerca che lasciano emergere quelle consonanze che restituiscono una condivisione di sguardo e sensibilità benché gli intenti, le storie siano differenti. Si cerca di ricostruire un percorso, un tessuto tra quello che è stato compiuto nel passato e quello che avviene oggi, intrecciando, secondo sinergie diverse, un unico filo che si dipana nella storia. La prima ha visto protagonisti il grande e compianto Arturo Vermi e il giovanissimo Cesare Galluzzo: terreno di dialogo è la poetica del segno nella sua restituzione di più nitida purezza formale. Il segno di Vermi si sovrappone alla scrittura concisa di Galluzzo restituendo agli occhi dello spettatore brani di forte intensità lirica, in cui un’astrazione controllata e pulita apre la visione su un universo profondo e insondabile. Di Cesare Galluzzo – come ben evidenziato dalla curatrice della mostra Simona Bartolena nel suo puntuale testo critico – si apprezzano, in questo nucleo recente di lavori, la grande maturità formale e la forte concentrazione nel fare, indice di uno scrupoloso riflettere del pensiero che viene poi condensato in una corretta e corrispondente esattezza della pratica formale. Cementi, grafiche, collages, installazioni e sculture si sviluppano con un andamento ritmico-musicale che ritrova l’eco del segno alfabetico minimo lasciato nei Diari di Vermi. Si deve segnalare che le opere di Vermi sono state suddivise in due tempi; ci sarà una seconda inaugurazione che vedrà accostato, ad un altro nucleo di lavori del maestro, quelli di Nicola Magrin nella ricerca di una riflessione che parta da un modo diverso di intendere una pittura in cui la figura si riappropria della scena rappresentata. Ciascuna mostra, nonostante il progetto nasca in modo unitario, è accompagnata da un catalogo monografico bilingue italiano e inglese dedicato a ciascun artista, completo di testo critico specifico redatto dai curatori per l’occasione. Matteo Galbiati

Installazione in studio: Cesare Galluzzo Percorso per occhi, 2010 [cemento e legno, 121 elementi ciascuno da 10 x 10 cm, spessore variabile] Courtesy Leo Galleries, Monza-Lugano e Manuale d’armonia, 2010 [grafite su carta, 5 elementi ciascuno da 33,2 x 25 cm] Courtesy Leo Galleries, Monza-Lugano

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Studio Vigato, Bergamo

Vettor Pisani e è vero, come dice Socrate , che S chi è “poeta tragico, secondo l’arte, è anche poeta comico”, allora la presen-

za del mito e del comico muta la natura dell’elemento tragico nella ricerca ultima di Pisani, nello stesso modo in cui la presenza del tragico muta quella del comico. Questa peculiarità di tragico e comico che contrassegna lo spazio formale di Pisani, è ancora una volta la conferma della fertile tensione, dell’erotica dinamicità che percorre da molto tempo ormai il sui pensiero. Questa personale allo Studio

Vettor Pisani, Macchina anatomica di Isidore Ducasse

Vettor Pisani, La ruota del destino

Vettor Pisani, Ermes Vettor Pisani, Pupazzo di Paracelso

Vigato Arte Contemporanea di Bergamo, presenta collage, disegni colorati, sculture, i quali in molti casi ostendono sia un pupazzo (alter ego di se stesso) che si riposa nella tazza di un bidet, sia una serie di citazioni prese dalla storie dell’arte (compresa l’ormai onnipresente “Isola dei Morti” di Bocklin, la Santa Teresa di Bernini, posata su un frigorifero, la “Ruota di bicicletta“ di Duchamp , la testa di Hermes trapassata dal sui stesso nome scritto col neon). L’impulso dell’artista è quello di infrangere, retrocedendo la fissità degli oggetti, di non opporsi al trascinamento temporale, con un’inversione del presente verso il passato. Ci troviamo davanti lavori che come uno specchio deformante fanno rimbalzare 56 -

verso di noi le sue ideologie culturali: quindi da Freud all’alchimia. Molte opere sono assimilabili a delle pratiche magicoiniziatiche, esse rappresentano la sostanziale volontà dell’artista di sconfiggere il male, la morte, il dolore, attraverso rituali di una magia intesa a realizzare la vittoria della vita e del bene. Le opere sottendono un bisogno di “teatro” che non può non servirsi, per potersi veramente soddisfare, di codici e significati “segreti”, di regole comportamentali insensate, poichè non facili alla decifrazione razionale. Ma come negare l’ineludibilità di un approccio magico all’esistenza? Come non comprendere la necessità di inscriversi in una dimensione rituale che, imitando simbolicamente la vittoria delle forze avverse,

la rendesse visibile e concreta, e quindi secondo i principi della magia “analogica” veramente realizzata? Si sente che Pisani è preda di un intenso desiderio di affondare nell’ebbrezza dionisiaca, ma pure di entrare in sintonia con le figure della leggerezza, dell’innocenza sublime del fanciullo, per raggiungere una forma di creatività che sarebbe piaciuta Nietzsche, il quale amava un’arte “ondeggiante, danzante, irridente, fanciullesca e beata”. L’humour surreale, ininterrotto, di Pisani, sottolinea l’inadeguatezza dell’uomo moderno a convivere con l’odierna società dello spettacolo, un’inadeguatezza che non presume di guidare il filo degli eventi, e ancora meno di controllarlo. Marisa Vescovo

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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Edicola Notte, Roma

Huang Yong Ping & Shen Yuan ’incertezza dell’attuale, profonda crisi L economica, l’instabilità della politica, i problemi della scuola e la precarietà del

lavoro trasmessi continuamente dai media, fanno inevitabilmente pensare che i “tempi migliori” non arriveranno mai. Tutti i settori stanno subendo una crisi a 360°, ma l’arte? L’arte per fortuna regge. La comunità dell’arte lavora con estrema tenacia in un settore che sta facendo di Roma una tappa obbligata a livello internazionale. In questi anni di crisi la strategia di Edicola Notte è quella di vivere da protagonista il suo tempo, trascinando a Roma artisti di fama internazionale come Yan Pei Ming, Wang Du , Yan Lei e Yang Jiechang, ecc.; in tal modo rifacendosi al detto: “Tutte le strade portano a Roma” . Con l’opera Garofalo, in mostra alla galleria Edicola Notte, gli artisti Huang Yong Ping e Shen Yuan hanno, per la prima volta, dato vita ad un lavoro insieme. Il titolo si riferisce ad un tipico prodotto della cultura italiana: la pasta. Garofalo è un marchio che è diventato sinonimo di pasta di qualità per antonomasia. Nato nel 1789 questo prodotto viene oggi esportato in tutto il mondo. L’opera è un’installazione che si articola in due parti differenti e distinte, frutto ognuna del lavoro di entrambi gli artisti i quali interagiscono nel piccolo spazio offerto dalla galleria. Una confezione di pasta Garofalo dal packaging trasparente è fissata alla vetrina di Edicola Notte dopo essere stata sistemata in modo da permettere allo spettatore di spiare l’interno dello spazio espositivo da un unico punto: un rigatone che fa da spioncino. Infatti solo attraverso l’opera di Shen Yuan è possibile osservare quella di Huang Yong Ping, che all’interno della galleria ha sistemato su una sedia le ossa delle gambe di uno scheletro di cavallo indossanti un pantalone, immergendo lo zoccolo di una delle ossa in una

bacinella con dentro dell’acqua. Nella lingua e nella cultura cinesi mostrare i piedi significa esporre la propria debolezza e vulnerabilità. I due artisti creano un ponte di congiunzione tra il mondo orientale e quello occidentale, mettendo in relazione un elemento proveniente dalla tradizione cinese con un simbolo tipico della cultura italiana. L’opera costringe l’osservatore a colmare le distanze linguistiche superando la barriera comunicativa tra le diverse culture. Huang Yong Ping e Shen Yuan in prevalenza realizzano opere monumentali per spazi altrettanto monumentali; qui, per la prima volta, con un’inedita esperienza hanno progettato un’opera da inserire in un minuscolo spazio come la galleria Edicola Notte. Attraverso quest’opera Huang Yong Ping e Shen Yuan , che sono una coppia anche nella vita, hanno dato vita a un profondo dialogo tra le loro personali riflessioni sull’arte. L’utilizzo della metafora, che caratterizza l’esperienza artistica di entrambi, permette allo sguardo di lei di vedere le fragilità di lui e nello stesso tempo, entrambi rendono partecipe lo spettatore di questa loro intimità. Uno spettatore alla volta, infatti, può avvicinare l’occhio allo “spioncino” per guardare dentro, vivendo, in tal modo, un rapporto individuale e intimo con l’opera d’arte. L’opera di Huang Yong Ping contiene una forte severità mistica mentre Shen Yuan, con sguardo ironico, ha costruito un insolito punto d’osservazione attraverso la sua opera. Tutta l’installazione è incentrata su rimandi simbolici dove la perfezione fa da padrona. Il modo in cui tutto è perfettamente calcolato al fine di riuscire nell’intento permette all’opera di prendere forma dialogando a tu per tu con il suo fruitore curioso. Lo sforzo di colui che guarda è innanzi-

Shen Yuan, Garofalo 1, 2010 [courtesy Edicola Notte, Roma]

tutto quello di percepire l’opera attraverso una visione difficile e anche un po’ sfocata e in un secondo momento di ricreare dentro di sé una realtà intrisa di riferimenti simbolici. Huang Yong Ping e Shen Yuan sono due tra i maggiori esponenti dell’avanguardia artistica cinese. Entrati in contatto con la tradizione artistica occidentale hanno sviluppato il loro percorso attraverso la libera sperimentazione, coniugando elementi e concetti propri delle diverse culture, entrando così in aperto contrasto con l’ordine costituito del proprio paese. Dal 1989 vivono e lavorano a Parigi. Il lavoro di Yong Ping si articola mediante l’utilizzo dell’allusione e della metafora, dell’incontro e dello scontro tra tradizione e presente, della provocazione politica, religiosa e sociale. Le sue opere maestose manifestano le simbologie insite nel mito e offrono una meditazione sul futuro delle società in un mondo globalizzato. In un momento storico in cui in Cina la censura è ancora viva Huang Yong Ping sfida l’ordine estetico costituito e lo libera dalla tradizione. Shen Yuan fa del suo percorso artistico un’indagine sul significato di ciò che ci circonda, trasponendo oggetti di uso quotidiano in un magico mondo immaginifico e lasciando che essi vivano di vita propria. Entrambi gli artisti concentrano il proprio interesse sull’idea del confronto tra essenze individuali regalandoci punti di vista inediti che fanno di loro due tra le maggiori personalità del panorama artistico internazionale. Shen Yuan ha partecipato alla 52 Biennale di Venezia per il Padiglione Cinese curato da Hou Hanru ed ha esposto nella Galerie Kamelle di Parigi. Il viaggio espositivo di Huang Yong Ping si è inaugurato a Torino la settimanadopo l’opening di Edicola Notte, con un’opera monumentale presentata alla Pinacoteca Agnelli e una ancora in esposizione alla collezione di François Pinault a Punta della Dogana a Venezia. Edicola Notte presenta a Roma per la prima volta, non solo un’installazione inedita ma un importante confronto tra due artisti di tale spessore. Viviana Guadagno

Huang Yong Ping, Garofalo, 2010 [courtesy Edicola Notte, Roma]

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Castel Nuovo, Napoli

Sergio Sorgini isitando, tra la Sala Carlo V e la V Sala della Loggia, Archeologia ATemporale, la nuova mostra antologica

di Sergio Sorgini a cura dal gallerista napoletano Franco Riccardo, l’impressione che se ne trae è quella di una personalità fortemente eclettica, tanto sul piano stilistico quanto sul piano tecnico. Nato oltre settant’anni fa a Roma, ma ormai veronese d’adozione, esordisce giovanissimo ma non come artista, per cosi dire, tout cuort, bensì come “artista applicato”, illustrando dapprima racconti e quindi anche manifesti cinematografici per le versioni italiane di film prodotti da case quali la Paramount o l’Universal. È proprio da quest’ultima attività che derivano i sui primi lavori artistici in senso stretto, dall’esigenza di riempire in qualche modo gli spazi dei bozzetti destinati ai titoli, non ancora tradotti. È così che Sorgini scopre il fascino intrinseco delle lettere, slegate dalla funzione di associarsi per comporre parole di senso compiuto, e comincia ad eseguire, all’inizio degli anni sessanta, tutta una serie di dipinti, intitolati non a caso Omaggio al cinema, ove lettere di differenti dimensioni e colori si stagliano su di uno sfondo assai pittoricisticamente vibrante. La fascinazione per le lettere tornerà di tanto in tanto successivamente, ma ciò che costituisce la parte più ampia e rappresentativa dell’opera di Sorgini, come sia l’antologica in esame sia quella ospitata poco più di quattro anni fa dal Palazzo dei Sette di Orvieto non mancano di testimoniare, è senz’altro riconducibile alle sue figure di donne, i “femminoni”, come li chiama, adoperando un termine tanto audace quanto aderente all’oggetto, Enrico Mascelloni, curatore della mostra di Orvieto, che ricorda come esse esordiscano in un numeroso gruppo di opere già alla fine degli anni sessanta, per poi ritornare con forza a partire dell’ultimo venticinquennio. Se al picassismo ingresiano iniziale si sostituisce, nei dipinti più recenti, un fare più rapido e gestuale, l’autentica costante è data, che si tratti di pittura o scultura, dal momento che Sorgini trapassa in tale frangente con notevole disinvoltura dall’una all’altra, dalla tipologia femminile che assurge preminentemente a protagonista: una tipologia di carattere innanzi tutto fisionomico, con le loro matronali possenza e monumentalità che le fanno assomigliare a dee-madri, ma anche psicologica, in quanto, stando a ciò che rivela lo stesso artista, «ingrandite ed impietrite dall’accumulo di tragedie individuali e collettive di questi tempi e più in generale di ogni tempo». Una valenza pienamente drammatica possiede parimenti la frammentarietà alla quale sono improntate le sue figure bronzee, fuse in più pezzi poi assemblati, che, costituendo la più compiuta visualizzazione del concetto quasi ossimorico dal quale la mostra trae il titolo, giungono a suggerire una violenza di natura persino carnale. Eppure, sottolinea Olga Scotto di Vettimo, autrice del testo in catalogo edito dalla Effeerre, cogliendo un tratto fondamentale, la donna di Sorgini rimane «pur sempre, anzi nonostante tutto, dignitosa, austera, compita […] consapevolmente espressiva, ma silente, non vaticina, non urla vendetta, ma si propone solo come monito per chi ne sa cogliere l’insegnamento e la morale».

Sergio Sorgini, Senza titolo [acrilico su tela]

Museo di Capodimonte, Napoli

Marisa Albanese l dialogo con lo spazio. L’intreccio di Imale. materiali differenti. La pulizia forLa sottile e precisa intersezione

di forme e figure. Attraverso una serie di opere recenti installate a Capodimonte, negli spazi della Sala Causa (che ospita il progetto Spyholes) e nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampa del Museo (seconda tappa denominata Grand Tour 2.0), Marisa Albanese invita lo spettatore a percorrere un viaggio nella percezione che l’artista formula per evidenziare un discorso evolutivo che dalla sensazione oftalmica del singolo si dirama nel campo di lavoro per interloquire con le cose e configurare un attraversamento che da fisico si fa metaforico. Dal video alla fotografia, dall’installazione alla scultura diffusa, Marisa Albanese aziona, via via, un sillabario intimo scandito da uno sguardo che fruga foglia a foglia la quotidianità per trasportarla e metamorfosarla in uno scenario estetico che taglia e sceglie, seziona e reinventa, recide e riforma. Sa una parte con Spyholes – termine mutuato dal dizionario freudiano – l’artista

crea una tappa immaginifica con un palinsesto di opere che varcano le regioni dello sguardo e le legioni della visione (Spyholes è, appunto, foro attraverso il quale spiare, orizzonte d’uno sguardo segreto, preverbale, inconscio) per azionare una personalissima riflessione sul contrappunto percettivo, sul pericolo di un rimosso che ritorna, mansueto, nello sguardo degli altri, dall’altra, con Grand Tour 2.0 attraversa e reinventa i luoghi – i passi – del grand tour, appunto, per costruire un dialogo inevitabilmente interrotto, gustosamente impossibile, con il tempo, con cose lontane che ritornano sbocconcellate dalla memoria. La rivisitazione del Vesuvio, una serie di videoquaderni o videolibri, lingue di luce, una cassettiera che richiama alla memoria la meraviglia della scoperta. E poi, ancora, frammenti di oggetti comuni, casalinghi, familiari. Il tutto ricalibrato secondo uno scavo antropologico, psicologico, archeologico, che tesse un seducente e leggero racconto ad arte. Morbide, vellutate e silenziose, le opere proposte da Albanese in questo suo nuovo progetto non solo recuperano alcuni brani della cultura orientale, ma spingono lo spettatore ad interrogarsi sulla fragilità della natura umana, sul suo essere incanto e disincanto, irresistibile metafora di ricerca continua in un bianco – spazio asettico della mente, della poesia – che impera. Antonello Tolve

Marisa Albanese, installation view [courtesy Museo di Capodimonte, Napoli]

Stefano Taccone

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Fondazione Studio Carrieri Noesi, Martina Franca

Giuseppe Chiari l maestro fiorentino Giuseppe A Chiari, artista multiforme e compositore eclettico, è dedicata una signifi-

cativa mostra presso la Fondazione Studio Carrieri Noesi di Martina Franca, che riesce – come nelle intenzioni di Lidia Carrieri – a ripercorrere efficacemente tappe importanti del percorso creativo dell’instancabile ricercatore. Mediante la proiezione di cinque video (alcuni degli anni settanta: “Il Suono”, “Suonare l’acqua”, “Studio sui capelli”, “Concerto Spoleto”, e “Improvvisazione libera” del 1990), e numerosi lavori prodotti quasi tutti tra gli anni cinquanta e gli anni ottanta, il progetto espositivo documenta con cura il lavoro di uno degli artisti italiani più sperimentali e poliedrici. Ne sono testimonianza autorevole anche le ‘musiche’ di Chiari suonate dal maestro Giancarlo Cardini in occasione dell’inaugurazione (“Il Do” da “Intervalli” del 1950-56, “Gesti sul piano” del 1962, “Canto” del 1964, estratti da “PCA 1-8” del 1997-98 e da “Le foglie. I numeri” del 1998). Convinto sostenitore dell’interazione tra suono e immagine, tra gesto e linguaggio, Chiari si occupa sin dai primi anni sessanta di musica visiva, interessandosi attivamente alle esperienze di Cage e collegandosi al Gruppo Fluxus di New York, lavorando con Sylvano Bussotti, con Steve Lacy, con Frederic Rzewsky; in tal modo mette in atto strategie espressive differenziate per rinnovare senso e significato del fare arte, ed esaltandone i paradigmi dell’indeterminazione. Con innumerevoli azioni gestuali, musicali e visuali, produce accadimenti concettuali ed interventi emotivi, tutti di coinvolgente e rarefatta suggestione. Difatti, nei suoi documenti e spartiti, frammenti a stampa e fogli manoscritti, pièces e performances, veicola un personalissimo pensiero sulla sinesteticità delle arti strettamente interconnesso ad una altrettanto originale visione del mondo. Tra gli statements più noti di Chiari (grandi scritte a carattere stampatello, tracciate con pennarelli o chine su carte o su tele), alcuni, come ad esempio “L’arte è facile” ci introducono alle metodologie del paradosso e della contraddizione, utilizzate per dare vita a nuove definizioni dell’arte declinata in tutte le proprie molteplici identità. “L’arte è finita smettiamo tutti insieme” scrive il primo gennaio del ‘74, invitando in modo provocatorio ad un fare arte che sconvolga ogni regola e stravolga ogni rituale. Della musica, che “non è l’arte dei suoni, (...) (ma) l’intima qualità formale e musicale degli oggetti, degli strumenti, così da poterli suonare, sfruttando tutte le loro peculiarità morfologiche”, cerca impensate possibilità, sperimenta la percussione di oggetti e strumenti musicali, inventa esperienze plastiche e visive partendo da gesti inconsueti, combina movimenti e rumori, annulla stili tradizionali, realizza interventi trasgressivi e azioni liberatorie. Come spiega nel testo in catalogo Enrico Pedrini, per Chiari “la musica e l’arte si esprimono in modo ‘totale’, perché totale è la visione che l’artista ha del mondo”. E l’arte si fonda ‘sul differente, sul costantemente variabile, così da risultare viva’, mentre la musica ‘diviene confronto fra dei corpi e dei gesti”. La profondità del suo modo di vedere

in alto Giuseppe Chiari. L’arte è finita smettiamo tutti insieme, 1-1-1974 [courtesy Fondazione Noesi Studio Carrieri]

al centro Giuseppe Chiari. Tutte le opere sono opere, 1972 (cm. 96x71) [courtesy Fondazione Noesi Studio Carrieri]

Giuseppe Chiari. il pianoforte come carro, 1982 (cm. 78x89) [courtesy Fondazione Noesi Studio Carrieri]

le cose “che si esplica nella distruzione delle tecniche della musica, della poesia , della pittura, per favorire e visualizzare gli aspetti complementari della realtà e la loro interdisciplinarietà” mette in luce un’acuta analisi portata avanti per veicolare un nuovo sapere. D’altronde, nel novembre del ‘75 – in maniera profetica – l’artista scrive su un cartoncino “Tutto deve diventare facile o niente sarà stato fatto”.

A pochi anni dalla morte di Chiari, il suo lavoro appare un tassello prezioso ed essenziale per la definizione di un panorama della nostra più recente storia culturale (dell’arte e della musica insieme) per certi versi ancora inesplorato, eppure già appartenente a quella complessità globale che coniuga con la necessaria spregiudicatezza multimedialità e postcomunicazione, arte e new media.

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Maria Vinella

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136contemporaryART, Taranto

Lucis: un silenzioso spazio sacro aranto: luce in scena. È questo T l’epicentro da cui si dipartono le multiformi visioni degli artisti invitati

nel neonato spazio espositivo 136contemporaryArt, per dialogare sul sacro attraverso i molteplici linguaggi dell’arte di nuova generazione. “LUCIS: un silenzioso spazio sacro” è il titolo della mostra. Un nuovo spazio di ricerca contemporanea a Taranto, il cui obiettivo precipuo è la creazione di eventi volti a sensibilizzare l’attenzione per l’arte contemporanea e a vivacizzare ulteriormente il dibattito culturale della regione Puglia. Con la mostra, curata da Simona Caramia, la contemporaneità assume vesti mutevoli la cui narrazione è fatta di fili di culture, linguaggi e generazioni differenti, un disegno singolare e muto che ha per protagonista l’evocazione del sacro. Cruz di Carlos Anzola è una struttura composita e polimaterica in cui l’assemblaggio ossessivo di materiali poveri origina una nenia monocroma di ricordi e lacrime. Caterina Arcuri rivisita, invece, il volto e la mano della Vergine caravaggesca - figura insieme popolare e divina

- pervasi da una luce algida e immateriale. Pietro Coletta mira alla sovversione di senso attraverso un’opera su carta in cui verità e apparenza si scontrano senza sosta, mentre Toni Ferro compone una sorta di ex-voto incentrato sulla perdita del lume della ragione e sul conseguente dramma del vivere. Di altro tono sono i lavori sull’effimero di Riccardo Dalisi e Antonio Paradiso: il primo dà forma all’immateriale con una nuvola originata da una caffettiera napoletana in rame, il secondo collega il cielo alla terra attraverso un materico volo aureo, legame tra cielo e terra e spirale scomposta di tacita preghiera. Giulio De Mitri coinvolge il visitatore in un percorso di sensi e anima in cui l’installazione di un corpo celeste e la sua proiezione su una superficie specchiante mescolano l’Essere umano e l’Essere luminoso in un intreccio di simbolici triangoli. Se da una parte Vincenzo Franza, con il video, mescola atti maniaci e ossessivi a uno squittio acuto e stridulo intriso di grigi, luci e alienazione; dall’altra Nunzio, descrive la sinfonia della luce attraverso il gesto ritmato, estemporaneo e vigoroso di pennellate vibranti. Gabriela Mora-

Giulio De Mitri, Percorso di Origene, 2010 [smalto, legno, led, specchio installazione ambientale]

Danilo De Mitri, Antonella, 2010 [fotografia su MDF / cm 70x100]

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Caterina Arcuri, Aqua sancta, 2009 [fotografia, plexiglas e conchiglia cm 100x60x13]

wetz l’artista che con una fotografia su seta, riflette sul concetto di bidimensionalità e trasparenza: in un indefinito spazio onirico, con un meditato cromatismo di piani, tale da generare quasi un illusionismo ottico, una moderna Eva è alla ricerca di un precario equilibrio. Sovrapposizioni e disvelamenti dominano ancora la visione surreale del corpo di giovane donna incorniciato da Danilo De Mitri, quasi fosse una statua eburnea, mentre, la struttura cruciforme di Pietro Fortuna proietta un fascio di luce su un quadrifoglio di abbacinante platino. Si riconducono direttamente all’iconografia cristologica e sacra Piero Di Terlizzi e Lucilla Catania che, rispettivamente con un nimbo e un chiodo, evocano la santità e la Passione. Il candore puro del colore acromatico è scelto da Iginio Iurilli per la sua rosa, sinuosa e morbida resa iridescente dal potere dell’ossidazione dell’alluminio. Di contro Nuccia Pulpo unifica in caleidoscopici frammenti stratificazioni a cavallo tra il sacro e il profano, l’attualità e la tradizione, in un dualismo creativo. Con questa mostra la galleria avvia “un laboratorio d’idee, un luogo d’incontro, uno spazio aperto al dialogo, animato dall’antico segno mediterraneo”. Un porto del dire e del vedere distante da qualsiasi localismo, in cui il gioco di forme, elaborazioni astratte e profondamente spirituali hanno pari cittadinanza. E LUCIS fu. Carla Masciandaro

Antonio Paradiso, Il volo, 2009 [ottone cm 80x30]

Iginio Iurilli, Senza titolo, 2009 [ossido di alluminio, tempera su terracotta / cm 42x40x8]

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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Open Space, Catanzaro

Silenziose complicità ilenziose complicità è il titolo “S con il quale viene qui evocato quell’insieme di corrispondenze che si

possono instaurare tra capolavori indiscussi della storia dell’arte e opere di artisti contemporanei. In questa prospettiva che intende superare ogni forma di dialettica tra antico e moderno si tenta di seguire quel filo rosso che attraversa opere d’arte di epoche tra loro lontane rivelando il ritorno ciclico dei grandi temi che da millenni affascinano l’artista». Così afferma Angela Sanna, curatrice della mostra al Centro per l’arte contemporanea Open Space di Catanzaro. Le complicità latenti sono, in questo caso, quelle di Caterina Arcuri con Caravaggio, di Giulio De Mitri con Antonio Canova, di Alfredo Maiorino con Piero della Francesca, di Umberto Manzo con Leonardo. Lungi dall’essere un mero citazionismo, rielaborando temi sacri e profani, l’evento dimostra una sorta di continuità tra artisti di epoche diverse, che quindi si avvalgono di linguaggi completamente differenti. Soprattutto rivela come tematiche e domande che hanno da sempre affascinato l’uomo, coinvolgendone e suscitandone le sensibilità esteticoartistiche, siano universali e al contempo soggettive, mutevoli nelle rispettive “risposte” al variare del contesto sociale e culturale. Caterina Arcuri reinterpreta La morte della Vergine di Caravaggio, in un labile confine tra vita e morte: il dettaglio della mano rosea e vitale, che poggia su un cuscino, nella fotografia dell’artista calabrese rappresenta il superamento della morte stessa. Traspare una tensione vitale, auspicio di una nuova vita ultraterrena. Giulio De Mitri mostra quanto La bellezza – di Adone e Venere di Canova – corrompe, umanizzando lo sguardo della dea con occhi femminili. Il blocco marmoreo ha lasciato il posto alla luce blu del tecno-light-box, conservando la perfezione classica dell’originale: un trittico di forme nitide, ripartite nei frammenti dei corpi dei due modelli di cui si serve l’artista. Posture reiventate tra purezza e sinuosità. Le Sospensioni di Alfredo Maiorino omaggiano Piero della Francesca, focalizzando l’attenzione sulla coppa, oggetto archetipale, del Battesimo di Cristo: lo spazio del sacro è tangibile in entrambi i lavori, veicolato da una perfetta geometria compositiva. Tra sacralità e trascendenza, la rosa e la ciotola rivelano le loro valenze spirituali. Umberto Manzo evoca il leonardiano canone aureo dell’Uomo Vitruviano: restano un cerchio ed un torso di uomo, in un ribaltamento visibile delle forme, nello spazio dell’opera di Manzo. In una rinnovata concezione antropocentrica, il corpo umano è ormai unica unità di misura perfetta.

Caterina Arcuri, Indignata sub umbras, 2007 [fotografia in teca di plexiglas; cm 93x110x10] Alfredo Maiorino, Sospensioni, 2004 [tecnica mista su tavola; cm. 72x71]

Simona Caramia

Giulio De Mitri, La bellezza corrompe II, 2009 [tecno-light-box; cm 55x150x13]

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Francesco Guerrieri, Ritmostruttura B. N. R. 1, 1964, [acrilico su tela, cm 100x150]

Valmore Studio d’Arte, Vicenza

Lia Drei & Francesco Guerrieri ome ogni vera opera d’arte si definiC sce tale perché eterna, unica, poiché si distingue in ogni tempo e in ogni dove,

così oggi il successo dello Sperimentale P, annoverato dai numerosi e continui riconoscimenti di pubblico degli ultimi anni, aiuta a spiegare la grandezza di questa coppia artistica che vive ancora, dopo sedimentate critiche, un momento di intenso revival tale e quale al primo successo vissuto negli anni ’60.

Amati ma anche odiati e invidiati, i due artisti, Lia Drei e Francesco Guerrieri seguirono pionieristicamente la “linea analitica” “strutturalista”, andando non solo contro le tendenze estremizzanti del momento dell’astrattismo, dell’informale privo di poetica e di sostanza percettiva, ma ponendosi persino contro le vicine scelte familiari di lei, figlia del noto scultore e pittore figurativo Ercole Drei. I due artisti preferirono vivere nel quartie-

re giovane di Monte Mario piuttosto che respirare l’atmosfera ormai soffocante del centro della capitale, in cui avevano il loro primo studio nel parco di Villa Strohlfern. La scelta coraggiosa del distacco fu un’esigenza che portò ad una capacità introspettiva notevole, camminando “a braccetto”, percorsero insieme, sempre uno affianco all’altra, uno stesso sentiero artistico, pur lasciando orme diverse ben distinte tra loro. Si appoggiarono l’un l’altro, lei disincantata ed impulsiva, lui più consapevole, sempre sostenuto da un innato colto pragmatismo. La loro attività di ricerca inizia dal 1962 anno in cui formarono il Gruppo 63 insieme a Di Luciano e Pizzo proponendo al pubblico “visioni” gestaltiche, analisi di una realtà percettiva di sintesi cromatiche e formali. In poco tempo i due svilupparono un linguaggio autonomo dagli altri, approdarono con Sperimentale p. nel ‘64 fino agli anni Settanta, ad una teoria ed una pratica con cui diedero risposta a tutte le precedenti ricerche e a tutte le domande con un’unica soluzione: la “purezza”. La soluzione migliore diviene la “regola”, quindi il modulo base, ovvero ciò che basta a se stesso nell’universo di forme e di colori, diviene strumento di comunicazione, di quei meccanismi visivi scaturiti dall’analisi percettiva filtrata dalla sensibilità artistica. E’ questo il punto saliente

Lia Drei, Operazione modulare spaziocromatica, 1963 [acrilico su tela, cm 130x150]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Lia Drei, Operazione spaziocromatica 010, 1963 [acrilico su tela, cm 90x120]

Lia Drei, Quadrati triangolati, 1972 [acrilico su tela, cm 80x100]

della loro poetica, lo sguardo d’artista è la differenza, l’intelligenza artistica che guarda solo ciò che può emozionare visivamente perché pilota su realtà attuali presenti e future, nuove. La forza dei due artisti è stata anche il coraggio di esprimere le proprie idee teoriche, le proprie emozioni interiori e la convinzione delle loro espressioni, la loro chiarezza ne suggella l’ importanza. Trovo interessante rileggere a tal proposito le parole dei due artisti nello storico Quaderno 64, con premessa di Giulio Carlo Argan, in cui tra testi critici importanti, vi è la loro preziosa “Dichiarazione di poetica”. Qui Lia Drei suggerisce con spontaneità poetica un punto saliente della comunione d’intenti con il marito e compagno in arte Guerrieri, dialogando con Rosario Assunto dice: “…penso, secondo la mia esperienza, che s’impara anche a vedere gli uomini, gli esseri viventi, a capirne gli Francesco Guerrieri, Continuità n. 21, 1963 [acrilico e fili di nylon su tela, cm 100x150]

atteggiamenti, i movimenti, il ritmo significativo della loro esistenza…”. Si spiega qui la “intersoggettività” delle opere del binomio Sperimentale p., i due artisti in quanto esseri sensibili osservano ed interagiscono con gli altri, si fanno portavoci di emozioni “modulari”, quelle emozioni che accomunano tutti gli osservatori del loro tempo, che producono visioni estetiche di forme e colori di attualità. Il ritmo di cui parla la Drei ritorna nella serie di opere intitolate Continuità e poi Ritmo strutture di Francesco Guerrieri, in cui vi è il dinamismo futurista ma in una chiave nuova, è la sintesi del movimento “puro”, non di un momento sfuggente, ma il ritmo base sentito nella profondità delle cose. Le sintesi pittoriche di Lia Drei e Francesco Guerrieri sono la traduzione dei colori dei sensi, sono visioni artistiche, luci di sentimenti umani, d’interazioni con il

mondo, cose, persone, parole del presente. Questo è stato il segreto del successo dello Sperimentale p. sin dai suoi primi anni di vita, il bersaglio centrato in pieno è stata “l’intersoggettività” la possibilità di leggere lo sguardo contemporaneo dei loro tempi, caratterizzati fortunosamente da forti slanci vitali ed economici, immedesimandosi in essi, l’arte della Drei e di Guerrieri da subito si è riflessa nella vita quotidiana della gente. Le loro forme e i colori squillanti divennero momenti di moda, di costume, furono tradotti nelle fantasie dei tessuti a pois e strisce, nelle superfici della carta da parati (quindi nell’architettura): senza quasi rendersene conto e senza avere nulla in cambio, Drei e Guerrieri entrarono nel meccanismo della produzione industriale. In un momento di forte fermento culturale solo un’arte immediata e concisa ma piena di contenuti come la loro “Op Art” poteva colpire un vasto pubblico. Nel Quaderno 64 Guerrieri preannuncia il rapporto della loro arte con il linguaggio industriale, leggiamo qui l’inconsapevolezza di dinamiche che erano innescate intimamente negli spiriti “moderni” dei due artisti e sulle quali lo stesso Guerrieri s’interroga: “…sarebbe necessaria una maggiore diffusione o circolazione dell’opera, per esempio attraverso un inserimento strutturale in architettura o nella produzione industriale?”. La percezione, la ricerca ma anche il necessario rapporto dell’arte con la scienza e l’industria erano i punti salienti della dichiarazione di poetica dello Sperimentale p.: “… i nostri prodotti non possono assumere altra funzione che quella di “proposta” a livelli di proposta estetica. (…) i nostri “quadri” sono sufficientemente teorizzati e riproducibili industrialmente, ma essi hanno di per se vita autonoma in funzione di linguaggio, di scoperta o recupero dell’autenticità e intersoggettività della “forma”. Si dichiararono dunque autonomi dai linguaggi industriali, e di fatto lo furono, come è dimostrato dalla difficilissima riproduzione dei meravigliosi colori della Drei, frutto di studi gestaltici e delle sperimentazioni strutturali di Guerrieri tutt’altro che spensierati stralci di realtà. Il merito del successo di allora dunque fu nel dialogo con il pubblico con cui seppero parlare e da cui si fecero “eleggere”. Il perché sia tornato così in auge nei nostri giorni lo stile di Lia Drei e di Francesco Guerrieri, come attesta l’entusiasmo del pubblico che accorre negli ultimi anni con numerose presenze ad esempio nelle fiere d’Arte Contemporanea di Milano e di Verona e nell’attuale mostra al Valmore Studio d’Arte di Vicenza, non è facile dirlo ma probabilmente la risposta è che lo Sperimentale p. propone certezze, certezze visive di chiarezze interiori di cui oggi credo si abbia molto bisogno. Chiara Ceccucci

Francesco Guerrieri, Continuità n. 22, 1963 [acrilico e fili di nylon su tela, cm 100x150]

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Studio d’Arte Raffaelli, Trento

Donald Baechler onald Baechler torna ad esporre a D Trento con una ventina di nuove opere. Il suo stile ormai inconfondibile prende spunto da una sua prima serie di opere dell’inizio degli anni novanta in cui l’artista, dopo una serie di figurazioni che intrecciavano Basquiat, Dubuffet e il disegno infantile, inizia a dare maggiore importanza allo sfondo rispetto al soggetto. Caratteristica questa, che denota un’indiretta attitudine polica nei confronti del mondo. Nella attuale pittura di Baechler si possono rintracciare ulteriori eco di passate esperienze, come la Pop Art e le poetiche del rimescolamento degli anni ottanta. D’altronde, la sua produzione si fonda esattamente sul tentativo di ridurre al minimo la soggettività dell’artista. Per-

Donald Baechler, Brown Cone, 2010, gesso e collage di carte su carta, 132,1 x 101,6 cm, courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

Studio Trisorio, Napoli

Raffaela Mariniello l 2006, l’anno in cui intraprende il proIdubbio getto Souvenirs d’Italie, segna senza una svolta nel percorso di Raffa-

ela Mariniello (Napoli, 1961). Se infatti a partire dai primi anni ottanta, allorché ella, appena ventenne, muove i primi passi nella Napoli del dopo terremoto, un periodo in cui la città risulta costantemente al centro della cronaca, collaborando con un’agenzia di fotogiornalismo, la fotografia in bianco e nero, con tutte le opzioni linguistiche e le implicazioni poetiche che ne derivano, costituisce il suo medium privilegiato, negli ultimi quattro anni, volgendosi ad esplorare le più note città d’Italia, con la pregevolezza dei loro centri storici, sui quali però si innestata inevitabilmente tutto l’apparato kitsch del turismo massificato, il passaggio al colore appare necessario al fine di descrivere incisivamente tale condizione. Ai raffinati chiaroscuri che plasmano l’incanto dei suoi paesaggi industriali dismessi (celeberrimo il ciclo sull’ex Italsider di Bagnoli) si sostituiscono ora ambienti a dire il vero altrettanto surreali, ma anche più cromaticamente chiassosi. Lo sciame di variopinti palloncini ad elio che si staglia sul candore e sulla politezza dello sfondo neoclassico dato dalla chiesa di San Francesco di Paola; lo sgargiante pub a quattro ruote che disturba la vista della facciata del 64 -

tanto, i grandi soggetti che nuovamente appaiono come le rose, i coni gelato, volti fumettistici e teschi, non sono

altro che catalizzatori dell’attenzione per farci concentrare sullo sfondo. Uno sfondo che si pone come contesto, sia

Maschio Angioino; la fiumana neofuturista che affolla la piazza della Fontana di Trevi; l’abbagliante giostra con cavalli a dondolo di Piazza Navona: tutto ci parla del pernicioso slittamento del concetto di cultura verso quello dell’intrattenimento, della neutralizzazione della storia a beneficio di ciò che Guy Debord avrebbe definito “eterno presente spettacolare”. Con la personale in esame, Bellevue, una delle tappe più recenti di Souvenirs d’Italie, il cui titolo deriva dal nome dell’hotel ritratto in un light box, la Maraniello abbandona le consuete ambientazioni delle città storiche per concentrarsi su

luoghi forse ancora più emblematici della dimensione consumistica del turismo: il paesaggio montano delle Dolomiti, tra le Tre Cime di Lavaredo e Cortina d’Ampezzo, una meta tanto invernale (come viene ora presentata), tanto estiva (come sarà analizzata in una nuova personale, I nuovi dei, che l’artista terrà nella medesima galleria il prossimo giugno). A dominare è la consueta atmosfera straniante, che raggiunge il suo acme nell’estrema ripetitività dell’ipnotico video costituito dal loop del tipico atto di discendere dallo skilift una volta risalita la pista. Stefano Taccone

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Donald Baechler, Skull, 2010, gesso e collage di carte su carta, 132,1 x 101,6 cm, courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

Donald Baechler, Horse, 2010, acrilico e collage di tessuti su tela, 152,4 x 121,9 cm, courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

opera. La stratificazione di multi layers di stoffe, ritagli di giornale, colore e fotografie sembra in effetti tradurre la ridondanza di informazioni verbo-visive che non riescono ad essere smaltite dal cervello. (Un lavoro non dissimile è quello recentemente sviluppato da Peter Schuyff, presentato proprio nella stessa galleria). La successiva frustrazione dell’artista, eccessivamente caricato di stimoli, è chiarificata dall’inserimento di numerose immagini sessuali, sintomo dell’erotizzazione operata dai media. Se per le sue caratteristiche formali, Donald Baechler è considerato a pieno titolo una delle personalità più caratterizzanti degli anni ottanta, è certamente contemporaneo per i suoi contenuti entropici.

pittorico che della memoria. In questo, la sua operazione richiama il flusso di coscienza di Joyce e le libere associa-

zioni surrealiste con la scrittura automatica, aspetto forse non ancora reso particolarmente esplicito nella sua

Sudlab, Portici

spazio di oltre 500 mq configurantesi quale «centro di Ricerca e Sviluppo G-Locale attraverso le Arti contemporanee e le Nuove Tecnologie della Comunicazione e dell’informazione applicate alla Cultura» ove si professa e si pratica «la libera cooperazione e condivisione di conoscenza», con il primo dei tre momenti espositivi del progetto Mediamorfosi 2.0 - Contributo alle lingue dell’arterità, a cura di Gabriele Perretta, che, ponendosi come «luogo di indagine delle contaminazioni e delle relazioni generatesi nell’ultimo decennio tra la produzione artistica ed i (mass)media», esemplifica subito con estrema eloquenza la vocazione specifica del contenitore. Per Perretta, già teorizzatore all’inizio degli anni novanta del Medialismo, si tratta invece senz’altro di una nuova tappa in piena continuità con

il proprio percorso. Nel corso di questo primo appuntamento e dei due successivi (il secondo è inaugurato il 20 novembre 2010, mentre il terzo ed ultimo sarà inaugurato il 29 gennaio 2011) si dipana così, partendo dal presupposto che «il pensiero mediale “all’opera”» non va inteso, sostiene Perretta, «come un’appendice alla dottrina o all’ambito dei sistemi del fare artistico, bensì come una vocazione precoce sviluppatasi molto prima che si potessero concentrare o esaurire le attitudini della ricerca dei singoli artisti coinvolti», un’articolata e complessa riflessione sull’apporto fornito dai linguaggi mediali alla produzione di senso in ambito artistico attraverso le opere di italiani (numerosi i campani) e stranieri e di differenti generazioni: dalle immagini tra ricordo e realtà della sudafricana Doris Bloom, connesse alle vicende dell’apartheid, con il suo portato di brutalità e violenze vissute in prima persona dall’artista, alla figuratività simbolica di Antonella Mazzoni, perseguita per mezzo della pittura acrilica ad aereografo su tela; dall’operazione dello svelamento delle cose in sé condotta

dall’austriaco Christian Rainer all’indagine sulle forme di vita aliene della tedesca Karin Andersen, dalle riflessioni sulla storia delle religioni condotte a partire dalla sovversione degli equilibri compositivi del loro immaginario visivo (dipinti di artisti rinascimentali tedeschi come Grunewald, Cranch, Altdorf, ad esempio) da Matteo Cremonesi agli incongrui scenari descritti dalla pittura fotografica dello statunitense Jeffrey Isaac, tra gli esponenti più emblematici del Medialismo, dalle contaminazioni tra strumenti della tradizione (pittura) e tecnologie avanzata messe in atto da Fabrice De Nola alle allusioni alla “bellezza da passerella” nei dipinti del duo birmano-canadese Sawan Yawnghwe, dall’interattività perseguita con l’ausilio del web proposta dal greco Miltos Manetas alla spiccata vocazione sociale del discorso di Rosaria Iazzetta, declinata per l’occasione in senso multimediale al fine di detournare una celebre pala d’altare di Luca Giordano inserendo volti di camorristi al posto di quello della Madonna e volti di politici al posto di quelli dei santi adoranti.

Mediamorfosi 2.0, Vernissage

Timothy Geragthy, Wolf Head

Rosaria Iazzetta, Mutamenti storici (particolare)

Mediamorfosi 2.0 o scorso 30 giugno a Portici, cittadiL na vesuviana a sud di Napoli, prende il via l’esperienza di SUDLAB Italia, uno

Veronica Caciolli

Stefano Taccone

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MARCA, Catanzaro

Una Community di artisti al Museo delle Arti di Catanzaro

l MARCA è in corso Community. La A ritualità collettiva prima e dopo il web. Curata da Luca Panaro e Alberto Fiz

la mostra presenta i lavori di artisti che si avvalgono della moderna teknè e dei nuovi linguaggi nelle rispettive poetiche, ma che al contempo si interrogano sull’idea di comunità sociale, in un’epoca di radicali trasformazioni in cui la tecnologia ha assunto un ruolo prioritario. Attraverso opere fotografiche, video, progetti web e installazioni interattive, la rassegna permette una lettura trasversale sulle possibilità di una comunità, che ai nostri giorni si delinea sempre più come multimediale e virtuale. Priva di un luogo “fisso” di riferimento, questa nuova società delocalizzata si fonda sull’immagine. Lo sguardo degli artisti in mostra trasla in immagini d’arte i frammenti di vita a cui assistono e di cui sono parte o quelli di un passato non troppo lontano, cui sono legati. La mostra è anche un incontro tra generazioni differenti: tra chi si è “formato” nella multimedialità e chi si è adattato ad essa, registrando i continui sviluppi della nuova società. Primo tra tutti, il gruppo dei Flatform che nei giorni precedenti all’inaugurazione ha documentato le reazioni dei pas-

santi alla vista di due video ubicati tra le strade di Catanzaro. Il progetto interattivo, intitolato Flatcase, è un espediente di arte pubblica che permette di coinvolgere uno spazio innovativo e persone differenti per età, condizione sociale e culturale. In mostra, al museo, è riportato il risultato di tale intervento. Anche Nino Migliori racconta La Gente, anche in questo caso i soggetti scelti sono eterogenei: Gente dell’Emilia e Gente del Sud sono colti nell’atto di vivere la quotidianità. Le sue fotografie ci riportano indietro nel tempo di circa sessant’anni. I molteplici aspetti degli anni settanta sono raccontati da Gabriele Basilico e Mario Cresci. Entrambi si avvalgono del linguaggio fotografico: l’uno rappresenta il senso comunitario hippy durante la Festa del Proletariato Giovanile al Parco Lambro di Milano del 1976; l’altro nei suoi Ritratti reali, rappresenta piccole comunità familiari lucane, mostrandone i disagi. La città di appartenenza o in cui si vive può spesso essere considerata luogo di aggregazione, comunità allargata, come dimostrano Il Parco di Marina Ballo Charmet e Framing the Community di Paola Di Bello. Oliviero Barbieri propone nel suo video la convivenza di

una comunità cinese, colta durante un bagno notturno al chiaro di luna. Perfino lo sport funge da collante sociale: soprattutto la passione per il calcio, rito collettivo recuperato nelle sue origini da Cristian Chironi. Le ritualità contemporanee sono indagate da Vanessa Beecroft che nel suo lavoro propone un gruppo di donne nude, spersonalizzate, costrette al silenzio, mere icone della “società dell’apparire”. Un’altra tematica calda è affrontata dalla comunitàesclusa di Adrian Paci: una fila di extracomunitari sospesi sulla scaletta di un aereo effettivamente inesistente, che non potrà mai partire verso un nuovo futuro. La comunità di Franco Vaccari è da leggere in chiave tecnologica: in mostra sono esposti lavori realizzati dal 1969 al 2009, che rivelano la volontà dell’artista di celare se stesso, lasciando il posto alle sole testimonianze fotografiche di uomini, la cui collaborazione e comunicazione spontanea ha creato un progetto unitario. Dunque Vaccari “fonda” quasi una comunità virtuale, a cui ambisce anche Naomi Vona. Nel suo video si susseguono migliaia di volti auto-pubblicati su YouTube - imbarazzati e disgustati per la visione di un video proibito. Infine, Carlo Zanni e Alterazioni Video si muovono nell’ambito delle nuove tecnologie: Zanni realizza un copyright di gruppo, permettendo alla comunità del web di intervenire direttamente, quindi modificare il proprio lavoro; il collettivo Alterazioni Video si serve del motore Google Earth per realizzare un video, che rivela il labile confine tra censura e libertà d’informazione nella società contemporanea. Simona Caramia

La ritualità collettiva prima e dopo il web, Catanzaro [opere di: Alterazioni Video, Marina Ballo Charmet, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Vanessa Beecroft, Cristian Chironi, Mario Cresci, Paola Di Bello, Flatform, Nino Migliori, Adrian Paci, Franco Vaccari, Naomi Vona, Carlo Zanni]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Galleria Placentia Arte, Piacenza

Annamaria Tina l centro della ricerca di Annamaria A Tina vi è la riflessione sul rapporto tra l’individuo e la società, i confini sempre

più labili tra spazio privato e pubblico. I suo lavori si possono considerare come dei generatori di dubbi e scardinatori di sicurezze. Lo studio della formazione dell’individuo e di come questo processo sia condizionato dalla società è alla base di “My favourite game”. Progetto in cui sono svelati i meccanismi invasivi della società all’interno della casa, luogo tra i più intimi, in cui si esprime la nostra individualità, specchio di noi stessi e dei nostri desideri. Partendo dal proprio io Tina ha trasformato il suo corpo in uno strumento di misurazione per creare spazi e ambienti, realizzando le

tre installazioni che compongono la mostra. Segmenti separati ma ricomponibili per creare un modulo abitativo minimo e funzionale, che costringerà il suo utilizzatore a rapportarsi forzatamente con l’individualità dell’artista. Dispositivo di riflessione sulle concezioni abitative contemporanee, che tendono a creare spazi sempre più piccoli e non a dimensione d’uomo, è il primo elemento composto da una struttura architettonica in tubulare dove tutto è rapportato all’altezza di Tina: m. 1,73. Significativo è qui il richiamo alle teorie architettoniche di LeCorbusier pensate per un uomo ideale e standardizzato. La seconda installazione ci parla del tentativo di creare un’ergonomia personale, ricostruendo una stanza, un ipotetico monolocale, con un’atmosfera di serenità domestica violata dal gesto di Annamaria che taglia e sega i mobili per forzarli alla propria dimensione corporea. Simbolo di come la

società, e quindi l’altro, irrompe nel nostro privato, e insieme denuncia dell’ipocrisia dei moderni oggetti di design ergonomici, in realtà, anch’essi standardizzati. Un’omologazione visibile anche nel terzo segmento: un poster dove sono assemblati una serie di test della personalità, utilizzati nelle aziende, nella legione straniera e nelle scuole. L artista mette in crisi l’attendibilità di questi quiz proponendoci i risultati di un test valutativo della personalità dei cuccioli ma che, in maniera generica, sono validi anche per misurare l’uomo. Ma come ci dice il titolo della mostra “My favourite game”, la vita è sì un gioco serio con possibilità di scelta spesso obbligate, ma è anche un gioco che l’artista ci invita a giocare con ironia, come sottende la frase inserita nel cassetto del tavolo: “I just playing my game”, io ho fatto solo il mio gioco. Katia Baraldi

Annamaria Tina, My favourite game [veduta dell’intallazione / installation view] courtesy Galleria Placentia Arte, Piacenza

White Project, Pescara

Filippo Minelli o spazio White Project di Pescara ha L proposto come ultimo evento espositivo la motra personale di Filippo Minelli. L’artista propone per questo evento un progetto site specific, una panormica del lavoro degli ultimi anni che prende le mosse dal concetto di viaggio, da qui il titolo della mostra. Vipassana è infatti una antica tecnica di meditazione orientale, un percorso intimo e personale alla scoperta di sé stessi. Così il viaggio diventa il cardine di un percorso artistico in cui lo spostamento fisico e mentale

da un capo all’altro del pianeta rappresenta un percorso di auto-indagine, di profonda presa di coscienza su sé stesso e sulla società. E proprio questi viaggi vengono testimoniati attraverso le Polaroid, scattate come fugaci appunti di viaggio, che vengono descritte nel testo critico di Stefano Verri, che accompagna la mostra come:“[...], scatti che si consumano velocemente quanto una biro che scorre le pagine di un taccuino, diventano gli appunti, il ricordo, la documentazione di luoghi visitati di persone conosciute, frequentate, o solo viste per qualche istante. Un modo per riportare a casa le suggestioni dei posti, ed aiutare la memoria in quel processo di ri-creazione mentale che va sotto il nome di ricordo. Una sorta di mappa per

immagini delle cose che, anche solo per un istante, lo hanno colpito per la loro labile unicità, flash estetici che poi si trasformano in opere d’arte o location ideali per azioni di raro impatto sociale.” Un linguaggio ironico, a volte dissacrante, che riesce attraverso pochi elementi a riportare, in maniera straordinariamente intelligente, l’attenzione su grandi temi della contemporaneità. Così non solo le fotografie ma anche i materiali di diverso genere raccolti durante i suoi viaggi diventano opere d’arte, Collages risultato di carte fatte a mano, di giornali e oggetti raccolti durante i soggiorni, di poster musicali e altro ancora raccontano le storie di popoli e genti che spesso non hanno voce. (L.S.)

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Galleria Artra, Milano

Pavel Braila

a galleria ARTRA di Milano presenL ta la mostra personale Kick-Off di Pavel Braila, artista poliedrico nell’uso

dei mezzi e dei linguaggi, dal video alla performance, dal neon alla pittura. L’artista rende visibile attraverso le sue opere la realtà individuale e collettiva della Moldavia nell’era post sovietica, fino a toccare molteplici letture, dal contesto socio-politico della città di Chisinau a situazioni personali che raccontano la realtà familiare dell’artista. La prima sala della galleria milanese ospita una serie di dipinti My father’s Dreams (2008) – nei quali Pavel Braila mette in mostra l’immaginario, i desideri e le ambizioni fallite del padre per il suo futuro. Le opere esposte, infatti, ci raccontano non solo una cronistoria familiare-autobiografica, ma anche una rappresentazione che racchiude le speranze e i sogni di una generazione che deve fare i conti con un passato scomodo e un presente d’incertezza. I lavori pittorici non sono stati realizzati da Braila, ma commissionati ad un pittore professionista per rendere visibili attraverso l’immagine, i sogni del genitore per suo figlio, che pur avendo condiviso la sua scelta di diventare artista, nutriva un sentimento di scetticismo nei confronti del suo lavoro - “che tipo di artista sei se non sai dipingere un ritratto?”. Un esempio è il dipinto (Spaceman, 2008) raffigurante un cosmonauta che mostra l’ambizione del padre che sperava che un giorno suo figlio diventasse il primo cosmonauta della Moldavia. In altri lavori, la storia collettiva fa eco a quella personale: tra questi Il video sulla capitale della Moldavia, paese d’origine dell’artista. Il lavoro dal titolo Chisinau City Difficult to Pronounce (2010) è parte del progetto in progress Odyssey MD2010 che l’artista sta portando avanti sulle vicende di un paese in profonda trasformazione. L’intento di Braila è

Galleria Minini, Brescia

Luigi Ghirri, Mario Rondero e Franco Piavoli

a Galleria Massimo Minini, ha proL posto un viaggio nella storia della fotografia con l’esposizione dei lavori di Luigi Ghirri, Mario Rondero e Franco Piavoli. Un percorso eterogeneo ed originale che narra l’arte di fotografare. I Project Print di Luigi Ghirri, esposti nello spazio maggiore della galleria, sono dei

Pavel Braila, Want [50x150x25 cm. / neon 1/ 3; 2008]

testimoniare attraverso una memoria visiva legata all’immagine, la storia di un paese il cui Archivio Nazionale, preposto a questa funzione è stato chiuso ed è quindi attualmente privo di una “narrazione ufficiale”. Il lavoro diventa così una documentazione di una realtà che muta e progredisce in un mondo sempre più globalizzato. Anche nel video Recalling Events (2001) Braila narra attraverso la scrittura, la storia della sua vita e del suo paese, sottoponendo attraverso i segni grafici tracciati con un gesso bianco su una lavagna nera un ritratto personale-collettivo. La scrittura per Pavel Braila diviene il mezzo per catalogare e mostrare gli eventi di un territorio per poi cancellarli sfregandosi e dimenandosi con il suo corpo sulla superficie, generando un gioco di riferimenti tra passato, presente e futuro. L’identità individuale e la storia del paese s’intrecciano di continuo anche nelle opere: Fear is shorter than Fervour (2008), Want (2008) e Kick Off (2010) presenti in mostra. Giovanni Viceconte

formati in miniatura che sintetizzano il lavoro del celebre fotografo dagli anni ottanta fino al 1992. Una vera e propria rieducazione visiva con atmosfere metafisiche che trascendono l oggettualità. Un gioco vincente accolto con successo nell’anticipazione ad Art Basel. Il rapporto simbiotico tra uomo e macchina ci accompagna negli ambienti che accolgono i lavori di Mario Dondero e Franco Piavoli. Sono due mondi a confronto: da una parte l’arte di scoprire l’animo dell’artista, dall’altra la capacità di costruire una realtà meditativa. Le foto di Mario Rondero risalgono ai primi anni cinquanta e mani-

Mario Rondero e Franco Piavoli, [Courtesy Galleria Minini, Brescia]

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Pavel Braila, Chisinau “City Difficult to Pronounce” [Camera Radu Zara, Editing Denis Bartenev; 18 min]

festano l originale capacità del fotografo di esporsi all arte. Rappresentativo un inconsueto Francis Bacon sorridente nel suo studio. Atmosfere studiate, penetrazioni metafisiche ed immagini riflessive, rappresentano il percorso fotografico di Franco Piavoli, un approccio che trova riscontro nella sua apprezzata attività cinematografica. Un appuntamento imprescindibile per gli appassionati di fotografia che potrebbe essere riassunto dalle parole di Mulas: Al fotografo il compito di individuare una sua realtà, alla macchina quella di registrarla nella sua totalità . Andrea Fiore

Luigi Ghirri, Project print [Courtesy Galleria Minini, Brescia]

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Art Studio Françoise Calcagno, Venezia

Corrispondenze

on sensata efficacia, si intitola C “Corrispondenze” il dialogo visivo a quattro mani messo in atto da Teresa Pollidori e Salvatore Giunta presso l’Art Studio Françoise Calcagno di Venezia. Entrambi operanti in area romana, gli artisti svelano l’appartenenza linguistica ad un contesto creativo assai simile, per quanto animato da logiche differenti. Teresa Pollidori ha – da sempre – individuato quale tema conduttore del proprio percorso di analisi estetica la spazialità costruita geometricamente, analizzata nelle sue forme pulite ed essenziali. Lo spazio è, per l’artista, piattaforma emotiva sulla quale l’immagine cresce e assume corpo sensibile; così, scorci e prospettive, vuoti

Salvatore Giunta, Incisioni [Courtesy Francoise Calcagno Art Studio, Venezia]

e pieni, superfici e volumi, ‘accolti’ e ‘salvati’ in ampie visioni e in sintetici dettagli cambiano – mediante l’obiettivo fotografico – sostanza fisica ed evolvono dall’essere universi del reale all’essere universi del pensiero. Salvatore Giunta dopo i sapienti sperimentalismi connessi ai vari linguaggi (scultura, installazione, video), in quest’ultimo periodo ha finalizzato la propria ricerca sull’elemento segnico che, attraversando la plasticità volumetrica delle forme, diviene traccia fisica in costante tensione dinamica, scrittura formale primaria che definisce lo spazio con le sue matrici mentali. Nell’intrigante e prezioso dialogo veneziano, i due autori presentano sei lavori ciascuno, quadrangolari, accostati in dittici generatori di un incontro tra fotografia e incisioni o meglio ‘compressioni’ (tecniche miste su base calcografica). Come scrive nel testo critico Ivana D’Agostino, nel confronto tra le emozioni visive e le sensazioni percettive, le composizioni lineari e i contrasti luminosi, le opere trovano adeguawta corrispondenza l’una nell’altra. “Un risultato raffinato e cerebrale costitu-

ito di sinfonie di grigi, di stacchi netti tra chiari e scuri, di equilibri lineari all’improvviso dissonanti che rendono quasi impercettibile la soglia di passaggio tra le foto della Pollidori e le incisioni di Giunta”. Difatti, nei dittici concepiti con meditato rigore concettuale, coerentemente si fronteggiano le rigorose geometrie di interni architettonici, le sequenze verticali di grate e finestre, le ombre spigolose di volumi squadrati, i ritmi regolari della luce (nelle fotografie) e gli equilibri instabili, i mobili campi visivi, le dinamiche astrazioni figurali, i misteriosi scarti di diagonali veloci e di piccole sfere indecise (nelle compressioni). Rettangoli oscuri e profondi come buchi di finestre, da un lato. Finestre spalancate come rettangoli oscuri che ingoiano la luce solare, dall’altro. E, ancora, superfici chiare e nette – o all’opposto – intonaco pulito e muri bianchi. L’ambito del mondo della vita e l’ambito mentale si fondono e si con-fondono, ricordandoci che – in ogni caso – sono i nostri occhi interiori a generare il mondo. Maria Vinella

Teresa Pollidori, Fotografie [Courtesy Francoise Calcagno Art Studio, Venezia]

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Galleria Tiziana Di Caro, Salerno

Valerio Rocco Orlando na serie di ritratti, due panorami U che richiamano alla memoria alcuni fotogrammi di film romantici, una scritta

al neon – Il n’y a pas d’existence sans coexistence – tratta dal saggio Essere singolare plurale di Jean-Luc Nancy. Scandita da una parabola estetica che elogia l’uomo come orizzonte, come luogo in cui si compie l’epifania del pensiero, come comunitarietà che muta l’individuale in necessaria avventura plurale, Coexistence, la prima personale di Valerio Rocco Orlando negli spazi della Galleria Tiziana Di Caro, propone una sequenza di lavori legati all’installazione video a 2 canali Lover’s Discourse (2010) in cui l’impostazione classica dell’inquadratura cinematografica lascia il posto ad uno schema eteroromantico secante nei confronti del mondo e tangente nei riguardi dei personaggi che entrano a far parte della sua traiettoria. Presentata per la prima volta da Momenta Art a New York e ricalibrata nella versione monocanale a parete, Lover’s Discourse si pone, ora, come pietra miliare di una riflessione che si dilata, con linguaggi differenti, lungo tutta l’area della galleria per creare un sottile rapporto di comparteciValerio Rocco Orlando, Il n’y a pas d’existence sans coexistence, Gall. Di Caro, Sa

Studio La Città, Verona

Luigi Carboni n linguaggio ricco di suggestioni, U quello di Luigi Carboni, che si sviluppa in più di trent’anni di carriera, che

dalla pittura approda alla scultura ed all’installazione con soluzioni sempre nuove ed inaspettate. La mostra di Ve-

Luigi Carboni, Muto per lungo tempo, 2010 [resina, polvere di alluminio, legno; 60x60x78 cm] - Courtesy Studio La Città, Vr

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pazione tra opere, pubblico e contesto. Puntuali e precise, cromaticamente suadenti e squillanti, le impalcature visive formulate da Valerio Rocco Orlando sviluppano, in questo modo, un tempo coesivo che evidenzia e scandisce l’importanza del plurale e, nel contempo, di un singolare pluralizzato o di una pluralità singolare (Nancy) che è possibile reperire all’interno di una molteplicità, di una cooriginarietà dell’essere-con (Mitsein), dell’esser-ci (Dasein). Antonello Tolve

Joseph Beuys, Vestito terremoto, 1981

Ex Convento di Santa Scolastica, Bari

Il giardino segreto

Bari presso l’ex Convento di Santa A Scolastica nella città vecchia, fino al 20 febbraio è visibile la mostra Il giar-

dino segreto. Opere d’arte del secondo Novecento nelle collezioni private pugliesi. La mostra promossa dall’Accademia di Belle Arti di Bari, è curata da Lia De Venere con la collaborazione di Antonella Marino e di Giustina Coda. Il progetto nasce alcuni anni fa con l’intento di mappare la presenza di opere d’arte del secondo Novecento nelle collezioni private pugliesi e di realizzare una mostra con una selezione di quelle più interessanti. La ricognizione effettuata su oltre una decina di collezioni ha portato all’individuazione dei lavori di circa 70 artisti italiani e stranieri – dipinti, sculture, foto, disegni – che offrono una campionatura significativa di opere realizzate dagli anni 60 del Novecento a oggi da artisti italiani e stranieri, molti ormai di fama internazionale, appartenenti a diverse generazioni e tendenze. E’ la prima volta in Puglia che opere di proprietà privata e in numero così consistente vengono presentate in un sede pubblica, attestando l’attenzione dei proprietari nei confronti dell’arte contemporanea, che in molti rona ospita una serie di grandi tele ed alcune installazioni inedite, in un tessuto espositivo in cui si percepisce l’anima della sua poetica, quella sublime tensione tra lirismo e quotidianità che solo le sue tele riescono a rendere così magistralmente tangibile. Come sapientemente definisce Ludovico Pratesi nel testo che accompagna la mostra: “Le grandi tele rettangolari riprendono la proporzione aurea dei teleri rinascimentali dipinti da Carpaccio per le confraternite di Venezia e come questi ultimi si propongono in quanto luoghi di silenziosi racconti senza parole. Non epici né mistici, bensì intimi e mentali, animati da traiettorie semantiche che Carboni mantiene sapientemente in una dimensione ambigua ed indefinita, senza mai cadere nella trappola della narrazione.” Così gli elementi perlopiù circolari e perfetti, applicati con la sapienza degli antichi decoratori animano le grandi campiture di colore dai riflessi preziosi frantumando l’unitarietà dell’opera in un’esplosione di microcosmi in cui ogni elemento rimane indissolubilmente parte di un tutto, elemento minimo di un sistema complesso. Spiragli grafici che si aprono sulla dimensione mentale dell’artista e ci lasciano intravedere la sua fantasia, i suoi momenti di ispirazione, le sue suggestioni. Gli insetti, i reticoli delle foglie, con le loro forme perfette ed affascinanti costruite dal lavorio millenario della natura, la sensualità dei petali carnosi dei fiori, le pure forme della geometria che riportano

Nelle foto le opere di Carl Andrè (in alto) e Giuseppe Spagnulo (in basso)

casi è acuta interprete delle inquietudini del nostro tempo e spesso feconda creatrice di mondi alternativi. In mostra, opere di Lida Abdul, Carla Accardi, Vincenzo

Luigi Carboni, La forma del mondo, 2010 [acrilico su tela 200x150 cm]

al moto dei pianeti ed alle costellazioni, tutto sta a testimoniare un’armonia insita nel quotidiano una sacralità indiscutibile dell’universo che ci circonda. C’è un rapporto quasi mistico tra le grandi tele e gli oggetti installati nella mostra, qui l’elemento grafico si alleggerisce, le applicazioni si fanno discrete per lasciare spazio all’estrema potenzialità comunicativa dei materiali in quanto tali, le trasparenze, le superfici piatte e lucide o rudi nella loro naturalezza diventano protagoniste di una assoluta evoluzione di linguaggio. Stefano Verri

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Agnetti, Giovanni Albanese, Carl Andre, Franco Angeli, Stefano Arienti , Arman, Gabriele Basilico, Vanessa Beecroft, Ben, Joseph Beuys, Bianco-Valente, Mel Bochner, Alighiero Boetti, Botto&Bruno, James Brown, Günther Brus, Stefano Cagol, Biagio Caldarelli, Pietro Capogrosso, Mario Ceroli, Sandro Chia, Andrea Chiesi, Mimmo Conenna, Tullio De Gennaro, Nicola De Maria, Franco Dellerba, Piero Di Terlizzi, Jan Dibbets, Jiri Georg Dokoupil, Dormice, Dubossarsky&Vinogradov, Weng Fen, Tano Festa, Fischli&Weiss, Keith Haring, Mona Hatoum, Damien Hirst, Emilio Isgrò, Jannis Kounellis, Sol LeWitt, Paolo Lunanova, Urs Lüthi, Robert Mapplethorpe, Carlo Maria Mariani, Gianmarco Montesano, Yasumasa Morimura, Giovanni Ozzola, Mimmo Paladino, Antonio Paradiso, Pino Pascali, Perino&Vele, Michelangelo Pistoletto, Piero Pizzi Cannella, Jaume Plensa, Marc Quinn, Rammelzee, Mimmo Rotella, Salvo, Tomas Saraceno, Mario Schifano, Iolanda Spagno, Giuseppe Spagnulo, Alessandra Spranzi, Giuseppe Teofilo, Joe Tilson, Marco Tirelli, David Tremlett, Michele Zaza. Galleria Claudio Poleschi e Chiesa di San Matteo, Lucca

Pino Deodato ’intitola il Circo dell’arte, la mostra S che Pino Deodato ha concepito come un’unica grande installazione dislocata tra

lo spazio espositivo della galleria Claudio Poleschi e la Chiesa di San Matteo, in cui pittura e scultura giocano in una girandola di rimandi al mondo contemporaneo. La scultura, in questo caso e secondo l’artista, rappresenta la via dell’arte ed appare nelle sembianze di un clown, connotato non dai vestiti (di cui è privo), ma dal solo naso a ciliegia, “una figura chiave che metaforicamente rappresenta colui che si spoglia di tutto per dare forza all’atto cre-

Galleria Marconi, Cupra Marittima

Roberto Cicchinè settembre 2010 la Galleria MarcoA ni di Cupra Marittima ha inaugurato la nuova rassegna di mostre per la

stagione 2010-2011, dal titolo “Troppo! La Galleria Marconi esagera!”, ad aprire la rassegna è stato Roberto Cicchinè con la sua personale Piùmenoinfinito, nel mese di ottobre è seguita la collettiva La gaia età, retrospettiva sull’arte siciliana che ha proposto i lavori di Roberto D’Alessandro, Marco Incardona, Francesco Insinga, Lidia Tropea, e Fabrizio Spucches; Marco Incardona si è avvalso della collaborazione del performer Salvatore Di Gregorio. “Troppo! La Galleria Marconi esagera!” raggruppa le mostre del sedicesimo anno di attività della galleria Marconi, una galleria che si è riproposta completamente rinnovata nella sua struttura, ma sempre coerente con il suo percorso di ricerca artistica. La rassegna è stato Roberto Cicchinè con la personale fotografica Piùmenoinfinito, curata da Simonetta Angelini ha proposto una riflessione sull’infinito e sull’esistenza umana attraverso un’operazione di addizione e sottrazione che ne segnava

ativo e torna bambino con il gioco” - scrive il curatore Enrico Mattei ma che potrebbe anche essere “il critico messo a nudo” o “l’artista che si copre della sua sola spiritualità”. La pittura di Diodato, infatti, narra spazi metaforici e tensioni contrapposte: per un verso la concentrazione spirituale, riparo nell’intimità domestica, tra gli ogetti e le cose familiari, raccontate in un tempo rallentato e in un magico silenzio; per l’altro, il bisogno evasivo nel sogno e nella memoria. Sia che si tratti dell’atmosfera intima e raccolta della casa, che di paesaggi, la pittura del nostro artista ha l’incanto della fiaba e la cognizione della memoria. L.S.

Gli allestimenti di Pino Deodato nella ex chiesa di San Matteo e alla Galleria Poleschi di Lucca

il percorso. All’ingresso è stata posta la foto di un bicchiere. Mezzo pieno? Mezzo vuoto? La prospettiva in effetti cambia a seconda di come ci si sente e di chi osserva. Seguono tre opere che si concentrano sul simbolo dell’infinito, una pista per auto, una mascherina e un fiocco. In fondo alla galleria ci sono poi le opere della mancanza, la bocca della

Nelle due fotografie: Roberto Cicchinè, La maschera (in alto) e Pesci (in basso). Courtesy Galleria Marconi, Cupramarittima

figlia senza un dentino, la mano della madre senza la fede, il gioco del quindici ed altre opere. A concludere questo percorso c’è un aquilone che con la sua forma a croce propone un’ideale ricongiunzione con l’infinito. Lo scambio di idee e suggestioni tra curatore e artista hanno dato lo spunto a un processo interattivo a cui hanno partecipato anche i visitatori attraverso un computer, con un percorso virtuale proseguito poi su facebook. La personale di Cicchinè ha mescolato mirabilmente ricordi, sogni, paure, giochi andando a scavare intorno al senso dell’uomo, dove assenza e presenza possono convivere per completarne l’esistenza. La gaia età, curata da Renato Bianchini, è invece una collettiva che si è strutturata su più livelli, coinvolgendo anche strutture e spazi esterni alla Galleria Marconi, come la proiezione dei video di Roberto D’Alessandro e Fabrizio Spucches al Cinema Margherita di Cupra Marittima e una performance nella piazza del paese che ha coinvolto anche i passanti. La mostra è stata costruita attraverso le foto, di Francesco Insinga, Marco Incardona e Lidia Tropea e un video, sempre della Tropea, giocando sui temi dell’Arcadia e della mitologia classica, un luogo ideale in cui emerge il superamento delle costrizioni sociali per dare voce ed energia alla libertà e alla gioia di vivere. Dario Ciferri

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Castel Sant’Elmo, Napoli

Marco Fantini

astel Sant’Elmo è una fortezza, delle C più massicce, che domina Napoli, un monstrum architettonico eretto da una

razionalità ossessionata dai “barbari”, che rappresentarono per le nazioni europee l’altro da sé, l’irrazionale. La mostra di Marco Fantini s’insinua nelle sale degli Ambulacri (le pieghe più recondite di questo apparato di difesa) con la forza perturbante dei suoi dipinti recenti (circa 60 opere dal 2004 al 2010, catalogo Charta), alcune sculture (tra cui un grande teschio di Pulcinella) e due video, di cui uno inedito (Bubbles, 2010). La frizione tra il portato inconscio della sua pittura e il desertico razionalismo rappresentato da queste enormi segrete, dona un mood particolare a tutto l’insieme, come se la pittura potesse diventare “site specific”. Tra le opere, popolate da personaggi di un universo post-human che si fonde con Mickey Mouse (Felix e citazioni alte prese da una pittura pop virata in dark), emerge il pezzo forte della mostra, rappresentato da Platau Royale, un collage inedito di sei grandi tele (dimensione 6x3,7 metri) che costituisce un murales o un grande affresco, una sorta di definitiva “dichiarazione”sulle stragi dell’inconscio, sui traumi dell’infanzia, sulla sopravvivenza del dolore nelle caverne dell’Io. Il lavoro di Fantini è uno degli apici di un modo di fare pittura rivolto all’esternazione e all’esorcismo del lato recondito di una psiche che non conosce ostacoli nel suo rapportarsi al mostruoso, al deforme, al distorto. Popolata da figure demoniache, questa pittura può avvicinarsi alla forza viscerale delle visioni più scabrose di un David Lynch, mentre Francis Bacon fa capolino nelle “gabbie” compositive usate come strumenti per “mettere ordine” in un mondo che procede per libere associazioni di idee e per narrazioni sospese su simbolismi e su grafismi turbinosi. Come i sogni per Freud, queste pitture procedono con il linguaggio dei rebus, dove l’immagine, slittando, si “somma” ai segni e dove gli oggetti sono direttamente parole-concetti-affetti-traumi e delineano una lingua che ha una logica propria e può aprire un varco tra il mondo razionale, in chiaro, e quello criptato e crepuscolare del subconscio. Da qui, il valore di una proposta che richiama quell”immediatezza sprezzante di un Basquiat, i cui riverberi s’intendono come effetto di una consanguineità tra Fantini e molta altra arte “maledetta”: quella che scava più a fondo, con perseverante ossessione.

Elio Cavone, Nuvole nere 2010 [cm. 70x100; legno, camera d’aria, acciaio]

Moma Design Teatro del Loto, Campobasso

Elio Cavone ateria allo stato puro e nell’acM cezione classica del termine. Elio Cavone decide così di plasmare i suoi

quadri trasformandosi in un artigiano dell’arte. Arte che diventa arte-percorso, arte-sentiero, arte-pensiero. Un pensiero che non si ritrova tra le pagine delle

enciclopedie ma nel libro della vita, nel libro di chi ancora riflette su quelle due ancestrali domande: chi siamo e dove stiamo andando? Elio Cavone se lo chiede e si dà anche una risposta ma senza cadere nel già sentito o già visto. Affina lo spirito, percepisce tutte le metamor-

Elio Cavone, Condivisioni 2010 [cm. 24x24; camera d’aria, porcellana] Elio Cavone, Mappa 2010 [cm. 100x120; legno, camera d’aria]

Nicola Davide Angerame

Marco Fantini, Sorrow 2007 [74x103 cm - olio e t.m. su carta]

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attività espositive DOCUMENTAZIONE

fosi e crea il suo ‘concettuale impuro’. I pezzi di copertone, anzi di camera d’aria, vengono ritagliati e sovrapposti sapientemente fino a formare una mappa che indica la strada a chi non si ritrova in un mondo divenuto un pantano letale, perennemente in bilico tra una politica distante dalle esigenze della gente e la voglia di tanti di voltare pagina. Di guardare un po’ più in là del proprio naso, di pensare al futuro. Un futuro fatto di nuvole nerissime che prendono le sembianze della gomma e che si scontrano con i ritagli di rigidi fogli d’acciaio. Lucido o grezzo, brillante o coperto dalla ruggine. Cavone ricerca e riesce a trovare l’equilibrio tra la materia e la forma, mentre il colore diventa solo una sublimazione della sostanza. Intanto il nero elastico della camera d’aria si allarga a macchia d’olio sul supporto ligneo, è lì a contrastare l’avanzata dell’acciaio che

Ascoli Piceno

Arte astratta nella raccolta Fiocchi Il Forte Malatesta ospita 230 opere delle 500 sull’astrattismo raccolte in oltre cinquant’anni da Serafino Fiocchi. La mostra, visitabile fino al 6 Marzo, è curata da Armando Ginesi e propone opere che vanno da Balla a Licini a Mirò, ma anche Burri, Fontana, Veronesi, Crippa, Capogrossi, Scanavino che declinano la componente informale e Vedova, Accardi, Perilli e Parmeggiani per quella gestuale-segnica, non dimenticando il panorama internazionale con lavori di artisti quali Masson, Beuys e Sol Lewitt.

Bari

Il giardino segreto. Opere d’arte del secondo ‘900 nelle collezioni private pugliesi La mostra, ospitata nell’ex Convento di Santa Scolastica e curata da Lia De Venere con la collaborazione di Antonella Marino e di Giustina Coda, nasce da un progetto di alcuni anni orsono con l’intento di mappare la presenza di opere d’arte del secondo Novecento nelle collezioni private pugliesi. Circa 70 gli artisti di rilevanza internazionale esposti, tra i quali: Abdul, Accardi, Agnetti, Albanese, Andre, Angeli, Arienti, Arman, Basilico, Beecroft, Ben, Beuys, Bianco-Valente, Bochner, Alighiero Boetti, Botto&Bruno, Brown, Brus, Cagol, Caldarelli, P. Capogrosso, Ceroli, Chia, Chiesi, Conenna, De Gennaro, De Maria, Dellerba, Di Terlizzi, Dibbets, Dokoupil, Dormice, Dubossarsky&Vinogradov, Weng Fen, Festa, Fischli&Weiss, Haring, Hatoum, Hirst, Isgrò, Kounellis, LeWitt, Lunanova, Lüthi, Mapplethorpe, Mariani, Montesano, Morimura, Ozzola, Paladino, Paradiso, Pascali, Perino&Vele, Pistoletto, Pizzi Cannella, Plensa, Quinn, Rammelzee, Rotella, Salvo, Saraceno, Schifano, Spagno, Spagnulo, Spranzi, Teofilo, Tilson, Tirelli, Tremlett e Zaza.

Elio Cavone, 24 Ore 2010 [cm. 31x42; vilpelle, camera d’aria]

nelle opere interpreta la fermezza, la mancanza di malleabilità, ciò che meglio di ogni altra cosa rappresenta il pensiero di chi siede nelle stanze dei bottoni, oggi cabine di regia. L’acciaio per interpretare chi non si piega alle esigenze del suo prossimo, chi vuole restare concentrato solo su se stesso. Cavone prova a fermare il nero della gomma che invade i palazzi della politica, copre le città, finisce sui piatti dei loschi pranzi d’affari e sulle borse piene di carte che poco hanno a che fare con il bene comune. Con le sue nuove opere l’artista è come se facesse un viaggio nel futuro, come se prevedesse il cupo destino dell’umanità sopraffatta dagli sporchi interessi personali. Un viaggio per niente piacevole ma che a Cavone serve per inaugurare una nuova era: quella del compromesso tra politica e società, almeno sui quadri. Missione compiuta: su una tela l’oceano di gomma viene interrotto dal candido marchio della casa produttrice, si riesce a leggere persino la serie e una scritta ormai in via d’estinzione: Made in Italy. Una rarità in un mondo dove tutto si fabbrica alla luce delle lanterne rosse. Uno spiraglio di luce? Forse, ma l’artista alla fine si intenerisce e percependo tutto il malessere dell’umanità fa intravedere su una tela una valvola per prendere ossigeno. L’unica speranza per restare in vita. Giancarlo Carlone

Giuseppe Spagnulo, Cerchio, 1992, ferro, diametro cm. 190 Carl Andre, Four elements, 1960-71, legno, 4 pezzi cm.30x30x90 ognuno. Michelangelo Pistoletto, Frattale, 1999-2000, specchio, cm.70x85 Joseph Beuys, Vestito terremoto, 1981, giacca, camicia, cravatta, canotta, rete e 4 elettrocardiogrammi, teca cm.120x110x15

Elena Arzuffi La Galleria Muratcentoventidue propone una personale di Elena Arzuffi, a cura di Antonella Marino, dal titolo Evaporazione di segni, le cui chiavi di lettura possiamo individuare nei termini “fragilità, intimità, densità, fluidità, impotenza, quotidianità, esilio, silenzio, semplificazione, evaporazione”. La mostra si compone di un’ambientazione, una serie di foto e alcuni video coi quali l’artista lombarda ci porta nel suo delicato universo poetico, lontano dalle grandi narrazioni e tutto concentrato sulla sfera delle emozioni.

Bergamo

Correspondances Lo Studio Vigato propone, a cura di Gabriele Perretta, un viaggio nella mente e nella mano di un gruppo di artisti italiani tra i più rappresentativi del secondo dopoguerra. In esposizione un’ampia selezione di lavori, un’asciutta raccolta di opere composta da sei coppie di artisti in sequenza. Queste le “corrispondenze”: Barbieri e di Leo Ricatto, Bendini e Olivieri, Coletta e Mainolfi, Di Stasio e Mariani, Galliani e Serse, Manai e Schifano.

Bitonto (BA)

OLEUM. Tracce nei linguaggi del contemporaneo. Omaggio a Mimmo Conenna Si articola tra il foyer del Teatro Comunale Traetta, SpaziViaGiandonatoRogadeo, il cenacolo atrio San Nicola, Palazzo Sisto e l’antico frantoio Mancazzo il progetto, a cura di Massimo Bignardi, che accosta cultura e agricoltura attraverso opere di Bianco, Casciello, Ciocia, Delhove, Di Muro, Maggi, Staccioli, Cinque, De Cunzo, Lunanova, Marchegiani, Marrocco, Petrizzi, Tricarico, De Palma, Di Fiore, Fienga, Gasparri, Pellizzola, Rapio, Salvatore, Avellis e, naturalmente, Mimmo Conenna, storico “cantore dell’olio”, del suo valore di essenza del patrimonio culturale pugliese e mediterraneo. Catalogo con testo critico del curatore e interventi di Francesco Lofano, Annamaria Restieri, Claudia de Vanna e Mimmo Ciocia.

Bologna

Terenzio Eusebi Galleria Spazia di Marco Bottai. Il Non-Finito, modalità esecutiva molto frequente nell’arte moderna, specie nel ‘900, trova in Eusebi un protagonista assoluto. Venti i lavori proposti, tra opere in cui la carta è il medium prevalente, a creare reticoli, fratture, increspature, e sculture in marmo e ceramica alle quali le forme architettoniche sembrano dare concretezza e sostanza, ma non fanno che svelare il non-finito che si trovano ad avvolgere.

Brescia

Rosa Menkman Fabio Paris Art Gallery ha proposto Order and Progress, prima personale italiana dell’artista olandese. Il titolo della mostra, curata da Domenico Quaranta, è mutuato dalla bandiera brasiliana ed è un riferimento cinico e ironico all’ideologia che da sempre guida lo sviluppo delle tecnologie. Le opere della Menkman esplorano le conseguenze estetiche, poetiche e culturali dell’errore, concentrandosi su artefatti visivi creati sfruttando gli incidenti di visualizzazione frequenti nei media digitali. INNOCENTE La ricca antologica dedicata dalla Fondazione Berardelli a INNOCENTE, a cura di Melania Gazzotti e Nicole Zanoletti, propone bozzetti, dipinti, assemblage, sculture in lamiera o bronzo e installazioni di grande Innocente, Giotto, 1997, formato che vanno dalamiera smaltata, barchetta gli anni ’80 a oggi, riin latta, sgabello, cm.128x45 portando l’attenzione (Fondazione Berardelli) su uno dei più eclettici protagonisti del Nuovo Futurismo. Per l’occasione la Fondazione ha pubblicato una monografia introdotta da un saggio di Achille Bonito Oliva, corredata da un’ampia antologia di testi critici e illustrata da più di trecento lavori dell’artista.

Caserta

Nicola Pedana Arte contemporanea È stato inaugurato il 27 novembre, a pochi passi dalla Reggia vanvitelliana, questo nuovo spazio espositivo. L’opening è stato affidato a una collettiva di artisti di rilievo internazionale: Accardi, Bianchi, Alighiero Boetti, Bonalumi, D. Bramante, Chia, Chiari, Cingolani, De Maria, Donzelli, Dorazio, Fioroni, Frangi, Francis, Gilardi, Gioielli, Kounellis, Lodola, Nitsch, Pistoletto, Schifano, Stefanoni, Turcato e Vedova.

Catanzaro

Artist’s Box: il luogo dell’anima Alla Biblioteca Comunale e al Centro per l’arte contemporanea Open Space, 56 artisti partecipano alla II edizione di Un augurio ad arte, progetto che sintetizza la capacità dell’arte di nuova energia nella società e sensibilizzare le coscienze. Opere di Agrimi, Alviani, Andersen, Anelli, Arcuri, Berlingeri, Cagol, Caira, Carone, Casciello, Catania, Ceccobelli, Cicchinè, Coletta, Corbascio, CORPICRUDI, Cresci, Dalisi, De Filippi, Del Pezzo, D. De Mitri, G. De Mitri, Diaco Mayer, Di Ruggiero, Di Terlizzi, Ellepluselle, Fanelli, Fiorella, Fortuna, Franza, Giliberti, Gilardi, Guerrieri, H. H. Lim, Limoni, Iazzetta, Iurilli, Lotito, Lunanova, Maiorano, Maiorino, Maraniello, Paradiso, Parentela, Passa, Peill, Pellegrini, Pinelli, Pistoletto, Spagnulo, Staccioli, Turco, Vaccari e Violetta. Hanno offerto il loro sostegno al progetto i critici e curatori P. Aita, R. Barilli, G. Bonomi, L. Caccia, S. Caramia, M. Cristaldi, A. Saba Didonato, L.P. Finizio, G. Gigliotti, M. Iiritano, A. Iori, Janus, C. Masciandaro, A. Romoli Barberini, A. Sanna, R. Simongini e B. Tosi.

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ANNA SECCIA DA BENEDETTO XVI

L’artista abruzzese Anna Seccia da anni promuove happening durante i quali vengono realizzate opere collaborative. Nel 2009, subito dopo il tragico terremoto che ha sconvolto la comunità aquilana, per iniziativa dell’Associazione Culturale Kaleidos di Pescara (di cui è fondatrice), con la collaborazione del Centro Museale Angelus Novus de L’Aquila, ha realizzato un happening nella “Tenda del colore”, issata dalla Croce Rossa, in cui sono state dipinte a più mani (da artisti del territorio e terremotati delle tendopoli) due tele monumentali di circa 22 mq ciascuna. Prima di regalarle alla Comunità aquilana, Anna Seccia ha chiesto a Sua Santità Papa Benedetto XVI di benedirle e, per ringraziarlo, il 1° dicembre scorso si è recata, con una rappresentanza di artisti in Vaticano, portando in dono l’opera “Evocazione”: un ritratto in tecnica mista su tavola di Sua Santità da lei realizzato. Nella foto un momento dell’udienza e della consegna dell’opera.

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attività espositive DOCUMENTAZIONE

Cava de’ Tirreni (SA)

Luigi Pagano Nello showroom Tekla, come terzo appuntamento espositivo del ciclo Prefigurazioni: una parete per l’arte, si è tenuta una personale dell’artista campano. Presentate opere legate a momenti diversi della sua produzione: un’installazione composta da sedici lastre combuste di alluminio di forma quadrata, una tela di medie dimensioni e alcuni disegni su carta.

Cittadella (PD)

LET’S PLAY – 25 videoartisti contemporanei L’esposizione a Palazzo Pretorio, a cura di Alessandra Borgogelli, Paolo Granata, Silvia Grandi e Fabiola Naldi, è nata dalla riflessione su come l’avanzare delle più sofisticate tecniche di manipolazione video imponga un’analisi sistematica sulle modalità con cui un complesso insieme di fattori influenza le forme espressive della sperimentazione artistica. In mostra lavori di Y. Ancarani, S. Avveduti, R. Benassi, D. Bertocchi, Bianco-Valente, B. Brugola, S. Camporesi, R. Casdia, C. Chironi, G. Ciancimino, L. Coclite, R. Crispino, M. Fliri, R. Giacconi, M. Morandi, B. Muzzolini, M. Nazzi, C. Niccoli, D. Pezzi, M. Putortì, G. Ricotta, Rivola-Stanovic, N. Saurin, M. Strappato e D. Zuelli.

Michele Putortì, Luce, 2009, 6’, frame da video Giovanna Ricotta, Fai la cosa giusta, 2010, 9’, frame da video Barbara Brugola, A Bunch of Finger Tips, 2009, 3’, frame da video

Faenza (RA)

Latina

Firenze

Lecce

Enzo Cucchi Al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza per la prima volta un’esposizione, a cura di Franco Bertoni, ha raccoglie esclusivamente l’opera ceramica di Cucchi. Da sempre, l’artista inserisce elementi ceramici nelle sue opere pittoriche, trovando via via più spazio fino a raggiungere una dimensione scultorea; ora questo aspetto della sua produzione, un repertorio iconografico mutuato dai ricordi della terra d’origine, fatto di cani, galli, cipressi, colline, grotte, nuvole, teschi, cimiteri di campagna, campane, grotte, croci, pecore, case e tori viene raccolto e analizzato come probabilmente da anni meritava. Catalogo edito da Umberto Allemandi. Robert Gligorov La Corte Arte Contemporanea ha proposto, col titolo Nepente, una serie di installazioni dell’eclettico artista macedone, illustratore, pittore, fotografo, videomaker e performer. La libertà di linguaggio di Gligorov, unita alla forza quasi violenta di certe sue immagini, spingono l’opera a Robert Gligorov, Elvis, 2010, varcare i suoi confini, tassidermia e mixed media, a svelare l’invisibile e cm.130x100x100 (La Corte Arte aprire nuove strade Contemporanea) percorribili dall’arte. Non più mera creazione di oggetti artistici, ma riconoscimento all’arte della capacità di renderci più coscienti dei nostri sentimenti. PAR ERREUR. Mimmo Rotella Artypo Frittelli Arte Contemporanea propone, con la curatela di Federico Sardella, l’esposizione di circa cinquanta opere realizzate da Mimmo Rotella tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta, tutte riconducibili al famoso gruppo degli Artypo. Si tratta di quadri creati con prove di stampa recuperate in alcuni stabilimenti tipografici a Parigi, Milano e Roma; fogli di avvio dei macchinari con sovrapposizioni casuali di colori e immagini, successivamente selezionati e riportati su tela o laminato. Catalogo bilingue, coedizione Carlo Cambi Editore e Centro d’Arte Spaziotempo, con presentazione di Carlo Frittelli, testi di Federico Sardella, Raffaella Perna, Sandro Petti e un’intervista di Federico Sardella a Oliviero Toscani.

Foggia

Luca Spano e Angela Loveday La Galleria Paolo Erbetta espone i recenti lavori di due giovani artisti dalla grande forza comunicativa. La mostra, a cura di Simona Cresci e Paolo Erbetta e arricchita da un catalogo con un testo di Simona Cresci, ospita dieci stampe fotografiche del progetto dal sapore metafisico Help me I’m in hell di Angela Loveday e quindici fotografie dal titolo One, che Luca Spano dedica alla sua amata Sardegna.

Luca Piovaccari Romberg arte contemporanea propone Mentali fragili equilibri, esposizione a cura di Italo Bergantini e Gianluca Marziani che nasce da una estenuante ricerca di Piovaccari sulla natura, riflessione tra conferme e spostamenti lungo traiettorie concettuali che l’artista romagnolo traccia da anni. Troviamo interventi installativi, disegni, fotografie, suoni e un video, in una spesante polifonia linguistica che concorre a ridisegnare il nostro quotidiano; la difformità si fa così strumento per completare la visione e aiuta Piovaccari a interrogarsi sui modelli percorribili del paesaggio figurativo ampliando la prospettiva spaziale dei suoi riferimenti pittorici. La storia siamo noi perché ci raccontiamo Primo PianoLivinGallery apre il nuovo anno con una mostra, curata da Dores Sacquegna, che si snoda tra opere fotografiche, dipinti, video e installazioni di artisti internazionali che affrontano le tematiche dell’esistere, del recupero delle radici, della memoria, dell’identità e dell’etnia. Troviamo opere di Alee Peoples, P. Barbor, Jang Soon Im, I. Herteg, S. Powell, M. Petterson Oberg, A. Lindsay, M.G. Carriero, P. De Boer, E. Serafim, R. Dada, A. Galan, T. Köhler e Gruppo Sinestetico. Durante il vernissage si è svolta NTARTEI: Metafora dell’attesa, performance dell’artista salentino F. Schiavano sul rapporto tra ospite e ospitante.

Peter De Boer, Bottle (Primo Piano) Gruppo Sinestetico, Homage to J.Beuys, 2010, video performance (Primo Piano) Ana Galan, Viv (r) e la vie! (Primo Piano)

Livorno

Carlo Zauli Alla Galleria Peccolo si è svolta, grazie alla collaborazione del Museo Carlo Zauli di Faenza, Sculture in grés, mostra-omaggio a una delle grandi figure della scultura italiana del dopoguerra. Zauli lavora col grés già dagli anni ’50, ma è nei ’60 che il rapporto con la materia e il volume della ceramica si fa più aperto. Lo veiamo nelle serie dei Vasi sconvolti e delle Zolle, ma anche nelle grandi opere in spazi pubblici. Catalogo con introduzione di Angela Madesani.

Messina

Attraversamenti Villa Pace ospita una mostra, a cura di Giuseppe Frazzetto, che cerca di contribuire alla riflessione sullo stato attuale di alcuni linguaggi, considerati specie nei loro incroci. Opere di G. Asdrubali, R. Boero, S. Bracchitta, Cane Capovolto, F. Carlisi, G. D’Alonzo, A.-C. De Grolée, P. Echaurren, A. Parres, N. Platania e G. Vicentini.

Diego Zuelli, Diversa proiezione, 2010, 5’, frame da video Christian Niccoli, Untitled #1, 2009, 3’, frame da video Bianco-Valente, Entità risonante, 2009, 4’, frame da video

Cosenza

Un bisbiglio lungo il cammino - Omaggio a Lorenzo Calogero Il Museo Civico dei Brettii e degli Enotri ospita, come secondo appuntamento della quarta edizione della rassegna itinerante Tornare@Itaca, una mostra organizzata da Vertigo Arte e curata da Franco Gordano, Mimma Pasqua e Angela Sanna, dedicata a Lorenzo Calogero nel centenario della nascita e nel cinquantenario della morte. Opere di Accarrino, Aligia, Anelli, Arcuri, Baglivo, Bassiri, Berlingieri, Boschi, Carmentano, Catania, Cattaneo, Ceccobelli, Correggia, Corsini, Curcio, Lucedelhove, De Mitri, De Palma, Diotallevi, Ferrando, Ferri, Flaccavento, Fogli, Foschi, Guaricci, Guerrieri, Innocenti, Ioannou, Lambardi, Maggi, Maiorino, Miriello, Monaci, Noia, Patella, Pepe, Pignotti, Pingitore, Veneziano, Puppo, Ricciardi, Rizzo, Saluzzo, Salvatori, Sergio, Moghaddam, Telarico, Verdirame e Violetta.

Alberto Parres, Luce Continentale, 2008

Angela Loveday, Help Me I’m In Hell #02, 2009, c-print digitale, cm.110x110, courtesy Paolo Erbetta Luca Spano, One Seires #13, 2010, stampa fine art si dibond, cm.50x50, courtesy Paolo Erbetta

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Milano

Dadamaino La galleria Dep Art di Milano rende omaggio, con Movimento delle cose, alla figura e all’opera di Dadamaino attraverso una ventina di opere, di medio e grande formato. L’esposizione, curata da Alberto Zanchetta e visitabile fino al 30 aprile, mette a fuoco un “macrocosmo” metafisico e rarefatto dove minutissimi tratteggi si aggregano e si disperdono in un andamento leggero e fluttuante. Catalogo in galleria.

Dadamaino, Movimento delle cose, 1993, mordente su poliestere, cm.120x380 (Dep Art)

In Soffitta. Crisi e mutamento Nel Ristorante al Garibaldi, una collettiva a cura di Milli Gandini dedicata a un musicista capace di silenzi e di urla, Alberto Fortis, autore di In soffitta, canzone dolce e amara sull’emarginazione ricevuta, presente anche come artista con un disegno creato per l’occasione. La soffitta è il luogo appartato per antonomasia, fresco, asciutto e silenzioso, preserva tutto, ma la malinconia può essere insopportabile. Esposte opere di Balestrini, Barbato, Barberis, Beuys, Joans, Filippelli, Fortis, Galante, Galvani, Lasic, Garau, Mannarelli, Mattoni, Michelangelo Jr, Monti, Munari, Nieddu, Pagliari, Palombi, Parietti, Santos, Secol, Tagliaferri, Ritzow, Alberto Tognola, Toche, Vasseur, Andrea Winkes e Xerra. Elena Monzo Lo Studio d’Arte Cannaviello presenta fino al 5 Marzo Forever blowing bubbles, una serie di lavori inediti di Elena Monzo, tra calcografie e installazioni. Il recente percorso di ricerca si concentra sull’effimero, come suggeriscono le bolle di sapone del titolo, con una particolare attenzione alle manie femminili sottolineando la decadenza di una società ormai schiava di un’estetica dell’apparire. Nicola De Maria La Galleria Cardi espone cicli di lavori di De Maria appartenenti agli anni ’80, presentati unitamente a opere più recenti, un ciclo di 29 lavori a tecnica mista e collage su carta e 5 opere olio su tela.

Andrea Marescalchi, senza titolo, 2010 (Galleria Seno)

Box(e) La galleria Jerome Zodo Contemporary, con la curatela di Gabriele Tinti, presenta una collettiva che accoglie sei artisti internazionali per esplorare il mondo del pugilato esibito al margine dell’espressione artistica. Il titolo suggerisce chiavi di lettura diverse: boxe, privata della e assume il significato di box, scatola, semplice involucro che rimanda all’identità semantica della galleria d’arte. I protagonisti: B. Grasso, S. Diaz Morales, D. Rathman, D. Rouvre, W. Vaccari e Li Wei. Gabriele Basilico Lo studio Guenzani ha ospitato un’esposizione che, attraverso la selezione di 26 vintage prints, ha riscoperto tre progetti fotografici di Basilico di grande rilievo: Bord de mer 1984-85, realizzata sulle coste di Normandia, Picardia e Nord-Pas de Calais su mandato governativo per rappresentare la trasformazione del paesaggio francese; Beirut 1991, nuovamente su incarico internazionale a testimoniare la devastazione subita dalla città alla fine della guerra civile; Porti di mare 1982-88 testimonia, invece, una ricerca personale sulle principali città portuali europee. Deimantas Narkevicius All’ARTRA, a cura di Marco Scotini, la prima italiana di Deimantas Narkevicius, uno dei maggiori esponenti attuali dell’arte dell’Est europeo. Insieme a cinque proiezioni monumentali create dall’artista lituano nell’ultimo decennio, presentato anche l’ultimo lavoro, Ausgeträumt (traducibile pressappoco come “momento prima del risveglio”), in cui seguiamo una band di teenager alle prime armi, con la speranza di un futuro ipotetico successo. Winfred Gaul La Galleria Bianconi propone DIE LINIE. Dire tutto in un’unica linea, personale di uno dei più poliedrici artisti tedeschi del dopoguerra. In mostra i Markierungen, opere dei primi ‘70 che rappresentano la fase di adeAlberto Martini, The Green March, 2010, olio su tela, cm.90x30 (Maria Cilena)

Alberto Martini Da Studio Maria Cilena presentate col titolo A Dream, una decina di oli su tela inediti, di medio formato, nei quali troviamo visioni urbane accostate ad atmosfere di luce sospese. Presentati anche alcuni recentissimi disegni e un video dedicato alla mostra, ispirato anch’esso alla luce nelle sue molteplici forme ed espressioni, nel quale Martini si occupa anche della parte sonora scrivendo ed eseguendo la musica di commento.

SIENA E L’ARTE CONTEMPORANEA UNITE NELLA DIVERSITÀ lettera di Ursula Valmori

el corso dei secoli, l’ambiente senese, molto ricco N di artisti, si è sempre mostrato assai fertile per l’affermarsi di nuove arti e di nuove visioni artistiche.

Il “gioiello del gotico italiano”, com’è stata più volte definita Siena, è ora candidata a Capitale Europea della Cultura per il 2019, anno durante il quale potrebbe avere la possibilità di manifestare il suo sviluppo culturale. Ma qual è lo stato dell’arte contemporanea in una città così ricca di testimonianze medioevali? Siena e l’arte contemporanea non prescindono l’una dall’altra, anzi sono unite nella divergenza degli opposti. Nonostante l’attuale ambiente culturale senese appaia un po’ devastato e desolante, non manca in città un gruppo di persone che porta avanti con grande entusiasmo una serie di iniziative culturali molto interessanti, step necessario in un momento di crisi profonda (si legga rinascita) che la città sta attraversando. A gennaio 2010 nasce, da un’idea della collezionista Lucia Cresti e dell’arch. Andrea Milani, il Centro per la ricerca e la cultura contemporanea Brick con l’obiettivo di dare un contributo significativo a migliorare ed innovare il settore della cultura contemporanea; la sua fondatrice, in occasione della sesta edizione della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI, ha aperto Casa Cresti a quanti hanno voluto visitare la sua collezione privata, che annovera opere di importanti artisti, quali Carla Accardi, Enrico Castellani, Jannis Kounellis, Emilio Vedova. Nella scorsa primavera sono stati inaugurati due nuovi spazi espositivi per l’arte contemporanea, la inner room© of contemporary art e la Galleria ZAK. Inner room© of contemporary art è uno spazio un-

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derground di sette metri quadrati sotto il livello stradale, all’interno di uno storico negozio ubicato nel centro di Siena, che ospita ciclicamente mostre ed incontri di arte contemporanea. L’ideatore del progetto è l’artista Federico Fusi, che ha pensato di mettere a disposizione il “grottino” o “stanza interna” del negozio fusi&fusi (la inner room, appunto) per ospitare delle mostre con temi specifici, uno spazio dove esporre liberamente ed in maniera anticonvenzionale le opere di cui viene messo in evidenza il significato più profondo (“inner”) che esse portano. In pochi mesi di attività, sono state organizzate le personali di Marco Acquafredda, di Pietro Capogrosso, di Carlo Alberto Severa, di Marco Antonio Tanganelli (Siena, 1948-1993), oltre ad un’innovativa mostra di canzoni, “from sensation to presence”, da vedere con gli occhi del cuore, ascoltando una particolare musica chiamata soaking music (musica immersa) ed

Alberto Scodro, Cardine 2009. Galleria Zak, Siena

sione di Gaul alla Pittura Analitica: monocromi in cui la linea, come indica la scelta del titolo della mostra, diventa protagonista assoluta. A cura di Angela Madesani. Catalogo in italiano e tedesco. Claudia Losi Alla galleria Monica De Cardenas esposti i nuovi lavori dell’artista piacentina Claudia Losi, tutti giocati sulla trama formale legata all’astronomia e all’osservazione del paesaggio. Il cuore dell’esposizione, una grande sfera di filo ricamata (a rappresentare la luna) è il punto di origine di un work in progress partito durante l’inaugurazione (lo scorso 18 novembre) a contatto col pubblico; filo e ricamo come metafora delle relazioni umane e tra uomo e natura. Peter Schlör Da Zonca & Zonca presentata Walk on Air, un’inedita serie di lavori fotografici di Peter Schlör, di medio e grande formato, dominata da paesaggi aerei (delle isole Canarie), caratterizzati dal bianco e nero e da un magistrale uso della luce, capace di trasmettere l’emozione dell’interazione dell’uomo con la natura. Andrea Marescalchi La Galleria Seno ha ospitato quadri di Marescalchi dipinti a inchiostro, caratterizzati da una luce morbida e diffusa dalla quale sbucano figure atte solo a definire l’ambiente di un determinato periodo dell’anno. Figure “stagionali”, figlie di una precisa casualità.

Modica (RG)

Moving Show LAVERONICA arte contemporanea ha inaugurato la nuova sede espositiva, situata poco distante da dove nel 2007 l’avventura della galleria ha avuto inizio, in un palazzo di primo ‘800 recentemente rinnovato, e lo ha fatto con una eterogenea collettiva che ha visto come protagoniste le opere di D. Bramante, G. De Lazzari, A. Husni-Bey, F. Lauretta, M. Ricci e C. Viganò.

Napoli

Valentina Vetturi La Galleria Franco Riccardo Artivisive dedica la sala FLY PROJECT a L’arte in crisi, progetto volto a indagare attraverso una serie di personali che si snoderanno lungo tutto il 2011, la crisi dell’arte e di altri ambiti, sempre per mezzo del linguaggio artistico. Il progetto, curato da Stefano Taccone col contributo del poeta Gabriele Frasca e del musicologo Carlo Mormile, ha avuto come primo appuntamento la presentazione della performance La Pendolare di Valentina Vetturi, realizzata nell’ambito di Living Layers, progetto di domicilio per artisti curato da Wunderkammern in collaborazione con il MACRO, in cui l’artista ha condiviso per otto ore al giorno per un’intera settimana la condizione “palindrouna collettiva intitolata “deliverance” (liberazione) in cui è stato affrontato, per mezzo delle opere d’arte di Marco Acquafredda, Pietro Capogrosso, Bruna Esposito, Federico Fusi, Marco Fedele di Catrano, Romeo Giuli e Kazuya Komagata, il tema della liberazione dell’uomo da tutto ciò che limita o blocca l’espressione piena del suo potenziale, trattenendo in lui l’ignoranza. A conclusione del 2010 è stata inaugurata “epokè”, una personale di Alessandro Bellucci (Siena, 1963), artista che ha avuto i suoi esordi nel clima artistico dei primi anni Ottanta del Novecento e che si è affermato in ambito nazionale con un lavoro grafico innovativo di grande valore iconico. Il nuovo ciclo del 2011, affronterà il tema dello scopo dell’arte: considerare l’artista come un uomo, il talento come un dono di servizio e l’opera come un arricchimento per la collettività. La Galleria ZAK , il cui nome rimanda esplicitamente al suono di un taglio netto, nasce a maggio 2010 come una vera e propria scommessa – ci spiega Gaia Pasi, curatrice della galleria - “per fornire al gioiello del gotico una finestra affacciata sulla cultura internazionale”. Gaia Pasi, fiorentina di nascita e senese d’adozione, è cresciuta in mezzo all’arte, essendo lo zio del padre un collezionista ed un promotore di artisti e mostre. Oggi ritiene doveroso tentare di fare qualcosa per fare uscire la città da una situazione di ristagno: ZAK nasce con questo intento, come spazio aperto all’arte, spazio di incontro e crescita nei confronti dell’arte contemporanea, per diventare una vera e propria galleria quando Gaia incontra Esther Biancotti e Gabriele Chianese, gli attuali galleristi, fedeli alla linea della buona qualità e dell’internazionalità, con l’obiettivo di non peccare neppure di “provincialismo al contrario”, coinvolgendo dunque nelle varie iniziative anche le migliori creatività del territorio . ZAK è trasversale alla sua epoca e di questa presenta i frutti che reputa più interessanti. “I

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attività espositive DOCUMENTAZIONE

ma” di coloro che sono obbligati ad affollare quotidianamente il trenino della Casilina a Roma.

Valentina Vetturi, La Pendolare, 2010 (Franco Riccardo)

Francesco Jodice Alla Galleria Umberto Di Marino so far, so long, personale in cui Jodice presenta la trilogia di video Citytellers e una serie di lavori fotografici, formalmente e stilisticamente complementare ai video: se in questi traspare una profonda riflessione sulla geopolitica attuale, nelle foto l’artista trasporta gli “scarti di pensiero”, la zona grigia che non obbliga al punto di vista unico, ma spinge lo spettatore a interpretare.

Palermo Per Barclay

Palazzo Costantino è la location dell’ultima oil room dell’artista scandinavo. Per questa prima personale in terra sicula, a cura di Laura Barreca e Francesco Pantaleone, Barclay ha scelto di confrontarsi con ambienti barocchi ricchi di fascino, ma allo stesso tempo simbolo di abbandono e decadenza (all’indomani dell’ulPer Barclay, Palazzo tima guerra mondiale) Costantino, 2010, stampa di significativi elementi lambda cm. 208x133, courtesy Francesco Pantaleone, Palermo di un prestigioso centro storico. Attraverso i suoi specchi liquidi veniamo proiettati verso l’alto e, come per assurdo, arriviamo a scoprire la dimensione della reale profondità di un luogo.

Parma

Paolo Scheggi La Galleria d’Arte Niccoli propone una monografica su un’artista che ha rappresentato un’autentica meteora degli anni ’60. A cura di Franca Scheggi e Giuseppe Niccoli, la mostra racconta Paolo Scheggi attraverso 22 opere dalle quali traspare la costante coloristica, tema principe della sua ricerca. Dalle accese cromie dei primi ’60, alle alternanze di bianco e nero di fine decennio, nostri artisti più giovani, nati nella seconda metà degli anni Ottanta – dice Gaia Pasi – come Andrea Barzaghi, Alberto Scodro, Huy Ying, Siedlecki, la Ladilowa, James Harris, sono in giro per residenze e accademie nel mondo, partecipano a workshops, incontrano altri artisti e partecipano a mostre di alto livello. Sono selezionati attraverso premi, scambi di opinioni con curatori, esposizioni in spazi alternativi o nei musei sperimentali e più vicini ai giovani talenti e ovviamente attraverso i visiting studio. Zak infatti si avvale oltre che del mio lavoro, anche della collaborazione di curatori internazionali”. Alla recente mostra “formes&desformes”, una collettiva di tre artisti latino-americani, Randall Weeks, Moran, Apostol, a cura di Antonio Arévalo, è seguita “Traceble”, a cura di Fabio Migliorati, una breve rassegna sul segno e sul disegno alla quale sono presenti nove artisti internazionali: Manon Bellet (Basilea, 1979); Huber & Huber (Zurigo, 1975); Andreas Marti (Zurigo, 1967); Christian Niccoli (Bolzano, 1976); Jorg Nittenwilm (Coblenza, 1967); Nakis Panayotidis (Atene, 1947); Martin Skauen (Fredrikstad, 1975); Esther Stocker (Schlanders, 1974); Heike Weber (Siegen, 1962). Tutti, secondo il critico aretino, lavorano per celebrare le tracce, più o meno evidenti e transitorie, dell’arte di oggi. Nel frattempo Gaia Pasi ha fondato anche un’associazione culturale in uno spazio molto suggestivo e a lei molto caro, all’interno del castello di Monteriggioni, un antico borgo murato medioevale a pochi chilometri da Siena. L’associazione si chiama MURAVIVE, inizierà la sua attività a marzo 2011 ed ha già in programmazione quattro mostre, due personali (una di Dimitry Gutov e l’altra di Bruna Esposito) e due collettive “CIRCE” ed una ricognitiva di giovani artisti internazionali a chiusura della stagione. Michelina Eremita, invece, è impegnata a diffondere la cultura artistica nel mondo dell’infanzia. E’ infatti

ripercorriamo le tappe di un percorso che parte dalle avanguardie storiche per incrociare le parabole di artisti come Fontana, Klein, Manzoni, Castellani e Bonalumi.

Massimiliano Sbrana ha raccolto opere di pittura, grafica e fotografia di numerosi artisti provenienti da tutta Italia ed anche dall’Europa con particolare attenzione al primo e secondo Novecento toscano e all’evidenza contemporanea italiana ed europea odierna. Opere di Adinolfi, Aiello, Arcidiacono, Avanzi, Balzano, Battaglia, Bertoni, Bonfanti, Cavedon, Consorti, Falconio, Giocondo, Liberatore, Lunardi, Mammana, Marchi, Marongiu, Meucci, Michelozzi, Natali, Pagano, Pavlenko, Schinasi e Vittorini.

Paolo Scheggi, Intersuperficie curva dal giallo, 1965, acrilico su tele sovrapposte, cm.120x80x6 (Niccoli)

Polignano a Mare (BA)

Pescara

Donato Di Zio All’ex Aurum, la città di Pescara dedica una grande antologica al pittore, scenografo, grafico e costumista abruzzese Donato Di Zio. Con la curatela di Gillo Dorfles, presentate oltre duecento opere, tra disegni a inchiostro e china, incisioni, piatti in porcellana, servizi da tè e da caffè, più cinque progetti per gioielli, il tutto realizzato dal 1995 a oggi. Il catalogo, edito da Mazzotta, contiene testi critici di Dorfles, Giovanni Pallanti, Franco Grillini, Ornella Casazza e Annamaria Cirillo (a cui si deve anche una ricca biografia), nonché numerose testimonianze tra cui spicca quella di Rita Levi Montalcini e una poesia di Sergio Scatizzi. Legami di sangue Il Museo di Arte Contemporanea di Nocciano (Pe) propone una riflessione sul rapporto che, per forza di cose, si è instaurato tra Abruzzo e Lombardia. Il sistema galleristico abruzzese non permette la sopravvivenza degli artisti, cosa al contrario possibile a Milano, ragion per cui questa viene vista e vissuta come la città delle grandi opportunità. La mostra mette a confronto 10 artisti delle due regioni allo scopo di stimolare la discussione sul sistema arte e sui legami tra le diverse realtà. Per l’Abruzzo A. Berardinucci, I. Cascella, C. Federico, A. Rietti e G. Sabatini; per la Lombardia L. Dalfino, I. De Luca, L. D’Eugenio, V. Garbagnati e gli U.S.O. + Selfish (G. Antignano, M. Milani e F. Placidi).

Pievasciata (SI)

Budi Ubrux La Fornace Art Gallery, inserita nel contesto del Parco Sculture del Chianti, ha ospitato la prima personale al di fuori dell’Asia del pittore indonesiano Budi Ubrux. I quadri esposti, 12 oli su tela di grandi dimensioni, mostrano persone e oggetti nascosti, o avviluppati, da giornali (in cui ogni dettaglio è accuratamente dipinto a mano); discorso nato dalla constatazione di come l’eccessiva offerta informativa porti, per contrasto, la gente alla completa indifferenza.

SUD GENERATION Nell’ambito della rassegna annuale Il Museo e il suo territorio, la Fondazione Pino Pascali ha invitato quest’anno nove artisti, rigorosamente pugliesi, ognuno espressione di un linguaggio e di una poetica differente per interpretare un concetto di Sud al di fuori degli stereotipi e delle convenzioni. Protagonisti G. Milella, C. De Gaetano, C. Bari, G. De Gennaro, P. Piarulli, D. Corbascio, F. Schiavulli e i più giovani R. Fiorella e P. Miccolis.

Reggio Emilia

ARTE SVELATA A Palazzo Magnani l’ARTE SVELATA. Realismo e astrazione dagli anni ‘50 ad oggi. La mostra ripercorre, attraverso una selezione di dipinti, sculture, grafiche e fotografie appartenenti alla ricca collezione della Provincia di Reggio Emilia, il cammino dell’arte italiana e reggiana dal secondo dopoguerra ai nostri giorni. Una prima sezione è dedicata alla presentazione delle opere del secondo Novecento italiano, tra le quali figurano lavori di Scanavino, Ossola, Accardi, Luzzati, Tadini, Tilson, A. Pomodoro, Pozzati, Savinio, Adami, Del Pezzo, Vago, ma anche Benati, Catellani, Cavicchioni, Ferri, Galliani, Gandini, Giorgi, Leonardi, Pompili, Poli, Tamagnini e Tedeschi per quel che riguarda la realtà reggiana. Importante anche la collezione di opere fotografiche di grandi artisti come F. Fontana, Savelev, Kenna, Migliori, Scianna, Lucas e di fotografi reggiani come Ghirri, Farri, Ascolini, De Pietri, Cattani e Codazzi. La seconda sezione è dedicata a Palazzo Magnani con una parte dedicata alla storia del palazzo e un’altra dedicata alla sua ricca attività espositiva. Budi Ubrux, Happy Tea Time, 2008, olio su tela, cm.150x203 (La Fornace)

Pisa

Dalla Macchia al Contemporaneo Al GAMeC l’edizione 2011 di Arte in Toscana, a cura di direttrice del Museo d’arte per bambini, nato nel 1998 per volere dell’Amministrazione Comunale di Siena, dove si svolgono tantissime attività: dalla raccolta di opere, utile a formare una collezione dedicata all’infanzia all’attività didattica, da un’attività espositiva ad un’attività di ricerca nel settore. “Una ricerca – spiega Michelina Eremita – che non è fine a se stessa, ma che diventa continua sperimentazione e pratica, perché si basa sull’osservazione della risposta dei bambini, sia nell’immediato che nel lungo periodo”. La collezione del museo è costituita da opere, raggruppate a tema, appartenenti a diversi periodi storici, dall’antico al contemporaneo, in modo tale da permettere ai bambini di avere una visione sullo stesso argomento rappresentato in modi diversi nel corso del tempo. La differenziazione delle attività che vengono svolte in questo spazio museale permette un’offerta completa in cui coesistono attività creative ed attività di confronto con opere d’arte del passato e del presente in cui l’educazione al luogo museo è sempre costante. “Il museo – continua la direttrice – ha programmi, progetti e sguardi che vanno lontano. La speranza è che altri sguardi vadano altrettanto lontano e che gli orizzonti non siano alterati da strabismo o da miopia. Si parla tanto, purtroppo, di tagli alla cultura, mentre sarebbe necessario investire sulle nuove generazioni per creare consapevolezze in crescita. Rendere abitudine la frequentazione dei musei fin da piccoli porta infatti, nel tempo, ad avere cittadini alfabetizzati al linguaggio dell’arte. Tutto questo permetterebbe di non dover discutere sulla necessità dell’arte contemporanea e della possibilità di eluderla o metterla in discussione, in quanto sarebbe come dire che non dobbiamo conoscere e guardare il nostro presente ed esserne testimoni o attori consapevoli. L’arte contemporanea non è un episodio, bensì un continuo flusso del presente. Bisogna esserci dentro”.

Spazio Galleria Inner Room, Siena

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BLEME, prima di una serie di mostre sulle arti applicate che si svolgeranno durante tutto il 2011 negli spazi espositivi delle Officine Farneto sotto la direzione artistica di Luca Modugno. Giangrande ha presentato alcuni lavori degli anni scorsi basata su reinterpretazioni concettuali di oggetti d’uso comune, in più ha realizzato per l’occasione un oggetto di design, sempre decontestualizzando materiali di riciclo, affidando la realizzazione pratica ai detenuti del carcere di Rebibbia, come avviene per ogni prodotto dell’Associazione Artwo. Raphäel Zarka La Fondazione Pastificio Cerere ha inaugurato la serie Postcard from…, progetto a cadenza bimestrale in collaborazione con A.P.A. - Agenzia Pubblicità Affissioni, che si dipanerà lungo il 2011. A cinque artisti viene chiesto di ideare un manifesto di dimensioni 400x300 cm., come quelli usati nella cartellonistica pubblicitaria. Il primo intervento è di Zarka, che ne “approfitta” per riflettere su un’opera che ha fortemente ispirato il suo lavoro, il Grande Cretto di Burri, scultura ambientale realizzata negli anni ’80 a Gibellina.

Cristian Raduta, Rinoceronti (The Office) Maurizio Savini, Senza titolo, chewing-cum (The Office) Silvano Tessarollo, Senza titolo (The Office)

Raphaël Zarka, Pianta del Cretto e altri lavori, 2011, manifesto (Fondazione Cerere)

Roma

Alla galleria Cortese & Lisanti, fino al 19 marzo, Rigor Paradisi-Rosanna Lancia scultrice, esposizione che comprende un’arco temporale di oltre un trentennio e sintetizza un continuo esercizio di fabbricazione di elementi e suppellettili per un fantomatico tempio della Natura, in ferro e acciaio. Si configura una pratica artistica utopica in cui, in previsione di nuovi cieli e nuove terre dove si verificheranno “primavere metalliche” e l’acciaio crescerà nei prati come erba, Rosanna Lancia, la rigidità dei materiali viene Lustrale messa a dura prova. Metallo (Cortese & Lisanti) trattato come fosse vegetale, per una verifica estetica sulla tortura della lacerazione, sulle curve di tensione e sui limiti della scultura.

La Genetica degli Animali The Office - contemporary art propone, in un mondo contaminato dalla manipolazione genetica, la provocatoria re-interpretazione della zoologia da parte di cinque artisti. Si tratta di creazioni giocose e pop, di certo non inquietanti, ma che invitano a un attimo di riflessione. Con la curatela di Graziano Menolascina e in collaborazione con A&G Gallery, hanno partecipato Savini, Tessarollo, Raduta, Agrimi e Battaglia. Il paesaggio (dipinto) La Galleria V.M.21, con questa collettiva a cura di Antonio Arévalo, ha effettuato una ricognizione sugli artisti attuali, selezionati per la capacità di fare un’arte “energetica” e una ricerca autenticamente personale nel campo del paesaggismo. Protagonisti gli idilli e i paesaggi perduti di J. Forbici, le terre colorate, impastate e spennellate di M. Mauri, i quadri genuinamente “veri” (non paesaggi, ma natura essi stessi) di N. Pallavicini.

Maddalena Mauri, Paesaggio Rosso, 2008, grafite e anilina su carta, cm.180x180, courtesy coll. privata (V.M.21)

Michele Giangrande L’Associazione Artwo e le Officine Farneto, con la collaborazione della Galleria Paolo Erbetta, hanno presentato IL N’Y A PAS DE SOLUTION PARCE QU’IL N’Y A PAS DE PROMichele Giangrande, Gears (ingranaggi), 2011, cartoni da imballaggio, courtesy Artwo, Roma

Rosanna Lancia

Giuseppe Caccavale L’Istituto Nazionale per la Grafica e Calcografia ha offerto a Giuseppe Caccavale la possibilità di graffitare i testi d’amore del grande poeta novecentesco Alfonso Gatto, trascritti su lastre di rame sul soffitto del Salone della Calcografia, detto “Sala delle Adunanze Artistiche”. L’artista coglie l’opportunità di sviluppare il lavoro secondo la propria esperienza e sensibilità, tornando alle antiche tecniche che fa proprie per raggiungere l’essenza del gesto. Oltre alle due poesie graffite sul soffitto, Caccavale realizza una cartella con sei poesie incise a puntasecca, nella storica stamperia dell’Istituto. Le articolate fasi del lavoro sono documentate da un video e da un diario di lavoro a stampa, edito dalla Electa, con note dell’artista e testi di Laura Cherubini, Erri De Luca, Maria Antonella Fusco e Antonella Renzitti. Cristiano Petrucci Lo Studio Soligo - 999 Gallery propone Emozioni Connesse, progetto site specific, a cura di Gianluca Marziani, che usa il potenziale della galleria in un gioco micro/ macro tra elementi hardware e software del vivere; l’hardware rappresentato dal luogo è disseminato di elementi software come quadri che si fanno finestre. Petrucci analizza la semantica delle emoticon, “portatrici sane di emozioni”, attraverso palline da ping pong umanizzate con innumerevoli espressioni. Konstantin Grcic L’Istituto Svizzero di Roma ha proposto, nella sala Elvetica, Black², mostra che analizza, attraverso una selezione di cinquanta prodotti più o meno noti, la presenza della forma squadrata di colore nero nella produzione dell’oggetto contemporaneo. Grcic sottolinea che, a partire dal Quadrato nero su fondo bianco (1913) di Malevic, il Novecento è attraversato e segnato dalle Black Box, fino a giungere all’attuale invasione di oggetti tecnologici, in special modo gli onnipresenti microchip.

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Alessandro Ciffo, Led Monolight, lampade (Paola Verrengia) Andrea Salvetti, Totem Tronchi, contenitore con sportelli (Paola Verrengia)

EMMEOTTO NEXT Nella storica cornice di Via Margutta, lo scorso 25 novembre è stato inaugurato un nuovo spazio espositivo, nato dalla partnership della galleria Emmeotto con Filippo Restelli per promuovere e divulgare pratiche e poetiche dei giovani artisti. Il primo intervento è stato del fotografo pugliese Nicola Vinci, che per l’occasione ha presentato l’inedito ciclo Transfert, fatto di visioni trasposte che, nell’assenza dell’individuo, narrano un ritratto dello stesso, svolto attraverso luoghi dislocati nel tempo e nello spazio, ma il cui immaginario ci rimanda per metafora al protagonista. Giuseppe Cavalieri La galleria PIOMONTI arte contemporanea ospita Number One, personale di Giuseppe Cavalieri a cura di Filippo Rosati. In esposizione 9 collage a tecnica mista in cui troviamo sottolineata l’armoniosa unione tra più linguaggi visivi e la parola, essendo i lavori accompagnati da frasi/poesie che l’artista associa a ogni opera.

Salerno

Crossover Design La Galleria Paola Verrengia ha offerto, con la mostra Crossover Design, a tre designer italiani, A. Ciffo, DumDum (M. Stefanini) e A. Salvetti, l’occasione di inserirsi nel dibattito sul rapporto tra arte e design proponendo opere-oggetto in cui “la funzione non è scindibile dalla visione”. In mostra pezzi unici, non riproducibili industrialmente, “figli” di tecniche e materiali sperimentali e dotati di qualità estetiche inedite.

San Cataldo (CL)

Viaggio al centro della Terra Cine-Teatro Marconi. La mostra, a cura di Miriam La Rosa, ha avuto per protagonisti i sette artisti de “La Scuola di Caltanissetta”: C. Barba, L. Giuliana, M. Lambo, G. Riggi, S. Salamone, F. Spena e A. Tulumello. Attraverso l’esposizione di un complesso di materiali documentaristici e quattordici opere particolarmente significative, specie nell’ottica della poetica comune dell’“espressione per mezzo del segno”, si è messa in risalto la storia della quarantennale esperienza del gruppo e, come nel romanzo di Jules Verne ha condotto i visitatori nel cuore dell’arte siciliana, per scoprirne i meccanismi e svelarne le possibilità.

San Severo (FG)

Segni del Novecento Il MAT (Museo dell’Alto Tavoliere) propone Segni del Novecento. Disegni italiani dal Secondo Futurismo agli anni Novanta, dedicata all’esercizio del disegno nella molteplicità di espressioni che ha caratterizzato la scena artistica nazionale; esercizio inteso come esperienza viva e autonoma della pratica creativa. Con la curatela di Massimo Bignardi e il coordinamento di Elena Antonacci, sono esposte opere di settantasei artisti di generazioni e ambiti molto eterogenei, dell’astrattismo classico al concretismo, al realismo del secondo dopoguerra, alla nuova Figurazione, alla transavanguardia e al citazionismo.

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attività espositive DOCUMENTAZIONE

Schio (VI)

Elda Cecchele Il Lanificio Conte ospita la mostra In forma di tessuto, mo- Elda Cecchele, Senza titolo, foto di stra-omaggio dedi- Francesco de Luca (Lanificio Conte) cata a Elda Cecchele, tessitrice veneta che tra gli anni ’50 e ’70 ha contribuito all’affermazione di stilisti come Roberta di Camerino, Salvatore Ferragamo, Franca Polacco, Jole Veneziani. La mostra, a cura di Maria Luisa Frisa e Gabriele Monti, nasce a partire da tessuti, campioni, materiali, abiti, accessori, quaderni e fotografie conservati presso l’archivio Elda Cecchele.

Kateřina Šedá La Galleria Franco Soffiantino ha aperto i suoi spazi all’esposizione di due progetti dell’artista ceca. Al piano superiore il progetto No Light del 2009, che testimonia la trasformazione del territorio della cittadina rurale di Nošovice in area industriale. Al piano inferiore, Mirror Hill: sorta di “griglia” che tesse relazioni tra gli abitanti di una zona periferica di Budapest in cui abitazioni tradizionali sono state affiancate, e soffocate, da nuove villette unifamiliari, formata dai disegni in cui ogni singolo abitante ha disegnato ciò che vede dalla porta di casa.

Siracusa

Sicilia sopra tutti La Galleria Civica d’Arte Contemporanea Montevergini tenta di ribaltare uno dei più radicati luoghi comuni, quello della “Sicilia come terra di subalternità culturale”, in “terra di elaborazione culturale e pittorica”. A cura di Duccio Trombadori, la mostra è un vero e proprio manifesto della pittura siciliana contemporanea, con opere di grande formato di G. Anastasio, A. Bazan, M. Beninati, M. Ciacciofera, F. De Grandi, F. Di Piazza, A. Di Marco, D. La Rocca, P. Parisi, F. La Vaccara, E. Rovella, W. Marc Zanghi e P. Zuccaro. Catalogo in cinque lingue con testi critici di Laura Francesca Di Trapani, Marina Giordano, Giovanni Iovine, Filippo La Vaccara, Massimo Maugeri, Marco Meneguzzo, Ida Parlavecchio, Anna Maria Ruta, Carmelo Strano e Alberto Zanchetta.

in scena” oggetti d’affezione di ogni genere (cappelli, cinture, scarpe, collane) accomunati dalla matericità e dalla capacità di creare un contatto con lo spettatore che genera reminiscenze. Attraverso i percorsi più diversi, gli oggetti giungono a ridursi ad archetipi e la materia si fa addirittura feticcio.

Verona

Daniele Girardi La Giarina arte contemporanea, nella personale che dedica a Daniele Girardi, segue una volontà che è il filo conduttore della ricerca dell’artista: la strada come itinerario, ma soprattutto come l’essere dell’artista nel suo percorrere e cercare una sintesi pittorica. L’esposizione I ROAD trova il suo centro in una grande installazione multimediale, in cui centinaia di immagini scorrono in un flusso ininterrotto all’interno di un tubo catodico. Catalogo con un testo di Elena Forin.

Kateřina Šedá, No Light, 2010, tecnica mista, dimensioni variabili, veduta dell’installazione, courtesy Franco Soffiantino

Claudio Rotta Loria Palazzo Lascaris, sede del Consiglio Regionale del Piemonte, ospita Mutuo soccorso e solidarietà. Immagini grafiche, opere, installazioni e una fontana. 1989 – 2011, in cui Rotta Loria espone una selezione delle opere realizzate nel corso di una collaborazione che dura da oltre venti anni con la realtà del Mutuo Soccorso e con la Fondazione Centro per lo Studio e la Documentazione delle SOMS, tra copertine di volumi, creazione di spazi allestiti, marchi, manifesti, installazioni e perfino monumenti-fontana. Catalogo a cura di Carlo Gaffoglio.

Daniele Girardi, I ROAD, installazione ambientale, 2011; Sketch I ROAD books, 2011 (La Giarina)

Gianfranco Anastasio, Porte eretiche Andrea Di Marco, Defile, olio su tela, cm.190x145 Enzo Rovella, Metrolopis, acrilico su tela, cm.140x140

Trento

Torino

Silvio Porzionato La Galleria d’Arte Paola Meliga presenta col titolo Matricis i recenti lavori del promettente artista piemontese SIlvio Porzionato. Esseri imprigionati in un “corpo-matrice” che, isolato e spersonalizzato, può giungere a rappresentare ognuno di noi: Silvio Porzionato, Sensoggetti manipolati dal za titolo, acrilico su tela, Sistema, tutti alla ricerca cm.140x200 (Paola Meliga) della propria identità. Laura Pugno La Galleria Alberto Peola ha ospitato Ricordo di esserci stata, esposizione delle ultime opere dell’artista, nate da visite in Val di Susa, nei luoghi dei lavori della Tav e delle Olimpiadi invernali del 2006, per registrare quasi momento per momento i profondi mutamenti inflitti al territorio e fissare sulla tela i fotogrammi della trasformazione. Esposti anche lavori sulle dighe e le miniere a cielo aperto e la serie Percorrenze, tele in cui l’artista tenta di superare la bidimensionalità del quadro ed esperire il paesaggio. Laura Pugno, Percorrenze 07, 2010, pellicola adesiva, spray, carta, vetro e legno, cm.85,5x65,5x3,5; Percorrenze 03, 2010, pellicola adesiva, spray, carta, vetro e legno, cm.102x83x3,5 (Alberto Peola)

Nebojša Despotovic La galleria Arte Boccanera Contemporanea ha proposto Velvet Glove, personale del giovane artista serbo Nebojša Despotovic, a cura di Daniele Capra. I lavori su tela in mostra sono nati dalla volontà di recuperare la memoria individuale riportando in superficie immagini, situazioni, odori e atmosfere che altrimenti sarebbero rimaste sepolte per sempre. Le opere, dai colori cupi e dalle tinte smorzate, nascono da un’incessante caccia alle immagini, a partire da libri di storia, vecchie foto, vecchi volumi di enciclopedie e testi scolastici trovati ai mercatini delle pulci. Catalogo con testi di Luigi Meneghelli e del curatore.

Günther Förg La Galleria Salvatore + Caroline Ala presenta nove tele di grande formato e due lavori su piombo dell’artista tedesco. Si tratta di opere di grande formato realizzate negli ultimi vent’anni. In mostra gli acrilici Ohne titel 1992, opere in cui Förg distribuisce la pittura con uniformità, a ricoprire con una doppia valenza cromatica le metà in cui la superficie viene a trovarsi suddivisa, oppure pare misurarne la “cangiante opacità” mediante strisce parallele di colore. Vediamo in una sorta di rassegna i punti salienti del suo percorso artistico, dai gessetti acrilici su lino di fine anni ’90, alle “griglie segniche” del 2005/2007, ma anche la ricca serie di Quaderni pubblicati dalla Galleria nel volume Felder – Ränder, a suggello dei primi dieci anni di collaborazione (19972007) e dedicato alla memoria del comune amico, artista e critico scomparso Johannes Gachnang.

Nebojša Despotovic, Senza titolo (Boccanera Contemporanea)

Trieste

Wolfgang Petrick Alla Galleria LipanjePuntin, The painting of Disaster, personale dell’artista tedesco tra gli storici fondatori del gruppo Großgörschen 35. L’opera di Petrick ruota attorno alla figura umana, offesa, ferita e sopraffatta dalla brutalità del mondo, l’unica via di salvezza pare essere nella capacità di alienazione.

In alto: Günther Förg, Ohne Titel, acrilico su tela, cm.260x960 Sopra:Günther Förg, Ohne Titel, acrilico su tela, cm.195x230 Sotto: Ohne Titel, acrilico su tela, cm.260x600 (Galleria Salvatore + Caroline Ala)

Venezia

Ylenia Deriu

Artlife Gallery ha proposto la personale Nuovo design, in cui la Deriu ha “messo Ylenia deriu, Senza titolo (Artlife Gallery)

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Carlo Aymonino, Autoritratto realizzato per la mostra “Autoritratti. Artisti e architetti all’A.A.M. 1978-1984”, tenutasi presso la A.A.M. Architettura Arte Moderna nel 1983. Olio su tela, 50,5x40,5 cm.

Carlo Aymonino

CORRESPONDENCES

Una storia intrecciata con il percorso dell’A.A.M. Architettura Arte Moderna dal 1980 ad oggi di Valentina Ricciuti

ievocando le numerose occasioni di confronto tra la A.A.M. ArR chitettura Arte Moderna e la figura di Carlo Aymonino, chi scrive intende rendere omaggio alla straordinarietà della sua multifor-

me attività di architetto, teorico dell’architettura, docente, politico, a breve distanza temporale dalla sua improvvisa scomparsa. La storia trentennale dell’A.A.M. infatti, che fin dalla sua fondazione ha saputo ricondurre sempre le proprie iniziative culturali all’ambizioso progetto di registrare e documentare gli “sguardi incrociati”, le complesse sovrapposizioni disciplinari all’interno del sistema dell’arte, è costellata di episodi, di momenti di interferenza con la personalità aymoniniana, a partire dalla prima personale “Alcuni disegni per l’America”, tenutasi nel 1980 presso gli spazi della galleria di via del Vantaggio. A questa occasione, che vedeva l’esposizione di disegni in cui, come fece osservare Achille Bonito Oliva dalle pagine del Corriere della Sera, «il senso di una geometria monumentale è neutralizzato dall’ironia di sfondi atmosferici che incorniciano la presenza statica di forme ferme, di aperture e passaggi che portano verso una direzione astratta», avrebbero fatto seguito la pubblicazione del volume sul progetto per il Campus scolastico di Pesaro e la partecipazione di Aymonino alla collettiva “Un’idea di teatro”, anch’essa allestita negli spazi dell’A.A.M.. Tre anni dopo, l’avvio di una serie di importanti manifestazioni culturali, conosciute con la sigla “Laboratorio di progettazione 83” e coordinate da Francesco Moschini in collaborazione con l’Assessorato per gli interventi sul centro storico di Roma di cui proprio Aymonino era a capo, ufficializzò la sovrapposizione tra il pensiero e l’opera dell’architetto e l’attività dell’A.A.M.. Per volere di Francesco Moschini e dello stesso Carlo Aymonino le iniziative del Laboratorio si orientarono, in principio, sulla rilevazione della situazione culturale e professionale romana, per assumere, negli sviluppi successivi, un carattere maggiormente scientifico, rivolgendosi più specificamente alla conoscenza della storia e del patrimonio architettonico della città. I due cicli di incontri “Storie di edifici” e “Itinerari di Roma moderna” diedero inizio alla prima fase del Laboratorio, proponendosi in un caso di rileggere alcune architetture realizzate a Roma tra gli anni Venti e Settanta nel tentativo di divulgarne la conoscenza fino a quel momento limitata agli studiosi, nell’altro costruendo un dibattito esteso a più interventi sulla città, raccontati attraverso il ripercorso di un ideale itinerario conoscitivo. Il ciclo “Storie di edifici” costituì una sorta di viaggio all’interno dell’architettura, condotto attraverso l’analisi approfondita e dettagliata di singole opere, sostenuto da un’esigenza di rivendicazione della disciplina e della progettazione come campo di indagine e di lavoro con dei margini strettamente autonomi. Rivendicare agli strumenti dell’architettura il proprio ruolo specifico, evitando la mera applicazione di teorie prese in prestito da altre discipline come l’economia, la sociologia e la linguistica, per “spiegare” il fare architettonico. Concentrare l’attenzione sull’opera e sulla problematica della progettazione architettonica, tenendo presente che un edificio non rappresenta soltanto una struttura compiuta, autonoma, con una propria logica interna, ma è da considerarsi come una delle unità, una delle tessere che compongono la compagine, più ampia e com-

plessa, della città. Le conferenze organizzate da Francesco Moschini nell’ambito di questo ciclo affrontarono il senso del progettare, il rapporto, spesso conflittuale, intercorrente tra visione teorica e pratica architettonica. Indagarono l’evoluzione storica di posizioni teoriche, culturali ed estetiche, oltre a spiegare come queste abbiano prodotto, coniugate con l’apporto autografico del progettista, l’opera di architettura. Cercarono di comprendere la logica che intercorre tra i primi schizzi, le prime idee, i disegni intermedi e la stesura finale del progetto, sino alla soluzione dei dettagli, oltre ai vincoli ed agli indizi dati dalla localizzazione dell’area di progetto, dal programma economico e dal livello tecnologico. Individuarono il ruolo svolto dalle riflessioni sulla storia nell’elaborazione progettuale, l’analisi funzionale e la ricerca tipologica, le scelte formali, la conoscenza tecnica e l’uso dei materiali, la geometria ed il disegno, considerato quale strumento fondamentale del processo conoscitivo in cui si riconosce la progettazione architettonica. Gli edifici furono presentati a gruppi di tre, individuando la presenza in essi di un parametro comune: la diversa soluzione di un medesimo tema architettonico, la compresenza ed il rapporto di figure che animarono il dibattito architettonico di un determinato periodo, le differenti risposte ad un tema fondamentale come la progettazione di un edificio a scala urbana, il mutamento che una tipologia ha avuto in un arco storico abbastanza lungo da consentire di individuarne l’evoluzione, le differenze in rapporto ai cambiamenti culturali e politici. Non diversamente il ciclo “Itinerari di Roma moderna”, si propose di allargare la conoscenza della città, articolandosi in una serie di conferenze costruite come ideali itinerari architettonico-urbanistici. Questi interventi si fondarono soprattutto su relazioni critiche di carattere generale intorno ai fatti più salienti del dibattito architettonico nell’area romana, dalla fine del secolo fino agli anni Ottanta, ponendo particolare attenzione su frammenti della città storica, progettati durante tale periodo, e su alcune opere realizzate, molte delle quali presentavano un carattere culturalmente emblematico, oltre che esplicite qualità architettoniche. Nell’organizzare questo ciclo di conferenze e di seminari si offrirono le condizioni per una verifica delle conoscenze acquisite sulle problematiche riferite a tale contesto, fornendo un’importante occasione per porre l’accento su ragioni e condizioni operative proprie della prassi architettonica e urbanistica, entrando, talvolta, nel vivo di polemiche, attraverso le testimonianze dei protagonisti del dibattito. Architetti e studiosi di diverse tendenze e di diversa formazione si alternarono, di volta in volta, sezionando gli avvenimenti dell’architettura romana degli ultimi cento anni operando uno scavo stratigrafico che riportò alla luce le diverse politiche di gestione del territorio, costituendo l’occasione, quindi, per una riflessione, ma anche lo spunto per ulteriori ipotesi di lavoro su temi che, ancora oggi, dovrebbero essere al centro dell’attenzione. Perseguendo la tesi che la pluralità della narrazione storica, ampliandosi su più piani, potesse rilevare la complessità delle tecniche che hanno segnato le tappe della trasformazione della città di Roma, da Capitale del nuovo Stato unitario al moltiplicarsi delle strategie nella metropoli moderna. L’idea sottesa dal Laboratorio di progettazione ‘83 di Francesco Moschini e Carlo Aymonino, che può senza dubbio essere ricordato come una delle più importanti e complete iniziative per la diffusione della cultura architettonica nella Roma dell’ultimo trentennio, era quella di attraversare, trasversalmente, apparati culturali, politiche di gestione del territorio, esperienze professionali, esiti di tali esperienze, in un continuum storiografico da cui far emergere nodi problematici e possibili soluzioni, ricercate sempre nell’ambito dell’accezione più alta della disciplina. A questo scopo il colloquio internazionale “Le città del mondo”, organizzato nella stessa occasione, vedeva il confronto, presentato nella suo significato di “convivenza” e rilevato per città diverse, tra la dimensione architettonica e quella urbana. A parlarne furono convocati architetti e critici stranieri selezionati non soltanto per il fatto di essersi lungamente dedicati allo studio di quelle città ma anche e soprattutto per aver contribuito alla loro modificazione ricoprendo la duplice veste di progettisti e responsabili di importanti programmi di gestione. All’apparato teorico impostato dal Laboratorio si affiancò anche l’invito, rivolto ad alcuni gruppi di progettisti formatisi nell’ambiente romano e non solo -tra cui andrebbero ricordati Ignazio Gardella, Ludovico Quaroni, Maurizio Sacripanti, Alessandro Mendini, Franco Purini- a elaborare proposte per aree specifiche della città di Roma, a conferma dell’interesse di Carlo Aymonino per il progetto

Dettaglio dell’allestimento della mostra “Carlo Aymonino. Arte, Architettura e Città: nel segno di Carlo”, tenutasi presso la A.A.M. Architettura Arte Moderna nel 2005. Foto di Giampiero Ortenzi. Carlo Aymonino, Manifesto per la mostra “Carlo Aymonino. Arte, Architettura e Città: nel segno di Carlo”, tenutasi presso la A.A.M. Architettura Arte Moderna nel 2005. Tecnica mista su carta, 80x70 cm.

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attività espositive DOCUMENTAZIONE

Manifesto per la mostra “Carlo Aymonino. La bella architettura: opere scelte dalla Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna”, curata da Francesco Moschini e Alessandra Fassio, tenutasi presso la Cittadella dei musei di Cagliari nel 2005. Carlo Aymonino all’inaugurazione della mostra “per Aldo Rossi dieci anni dopo”, curata da Francesco Moschini, tenutasi presso l’Accademia Nazionale di San Luca nel 2007. Carlo Aymonino, Musei Capitolini in Campidoglio, progetto per la sala del Giardino Romano, “Copertura e sistemazione del Giardino Romano dei Musei Capitolini, 1999”. Inchiostro su carta da lucido, 72x102 cm. Copertina del volume “La zona Dantesca e Largo Firenze: 60 anni di progetti”, curato da Francesco Moschini. Il volume raccoglie i materiali elaborati in occasione delle mostre tenutesi presso Palazzo Corradini a Ravenna nel 1988 e all’A.A.M. Architettura Arte Moderna nel 1989. Edizioni Essegi, Ravenna 1988. Copertina del volume “Carlo Aymonino. Progettare Roma capiotale”, curato da Paolo Desideri e Fulvio Leoni. Editori Laterza, Roma / Bari 1990. Carlo Aymonino e Francesco Moschini nello studio di via Marmorata a Roma, 2008. Dettaglio dell’allestimento della mostra “Autoritratti. Artisti e architetti all’A.A.M. 1978-1984”, tenutasi presso la A.A.M. Architettura Arte Moderna nel 1983 (tutte le immagini courtesy A.A.M. Architettura Arte Moderna Roma).

quale processo risolutivo della complessità e contraddizione dell’architettura come parte della città. Un interesse manifestato già dalla fine degli anni Cinquanta con l’intervento residenziale a Matera e ribadito da quello del Gallaratese della fine degli anni Sessanta e che, evidentemente, trova pieno riscontro nelle attività promosse nel periodo del suo ruolo di assessore, a testimonianza di una continuità di pensiero che rende merito all’importanza del suo contributo alla storia dell’architettura italiana del secolo appena trascorso. Articolati in cinque sezioni tematiche, i progetti del Laboratorio si identificarono nella risoluzione architettonica, seppur presentata nelle diverse connotazioni poetiche, di alcuni problemi posti dalla città, quali margini di aree archeologiche, residenza, grandi attrezzature urbane e memoria della “produzione” ottocentesca, vuoti urbani del centro storico. Tra questi si ricordano, per l’intensità espressiva e il carattere di visionarietà piranesiana, la proposta di Franco Purini per l’area della Moretta, un “buco” del tessuto tutt’ora irrisolto, il “Ritrovamento del centro di Roma” di Franco Pierluisi, la “Piazza del fuoco” al Porto Fluviale di Mario Seccia. Con il Forum conclusivo “Consulto si Roma” si raccolsero le fila della straordinaria “macchina teorica” cui il Laboratorio di Francesco Moschini e Carlo Aymonino aveva dato vita e che confluirono in breve tempo nella pubblicazione del volume “La capitale a Roma. Città e arredo urbano 1945-1990”. Il Consulto si identificò, più precisamente, con un bilancio necessario affinché tutte le idee e le proposte per la nuova architettura a Roma potessero essere discusse e valutate come scelte culturali oltre che tecniche, facendo emergere il lavoro di un gruppo di architetti che, coerentemente con il pensiero aymoniniano, aveva come presupposto il problema della città inteso in termini di forma urbana. Nello stesso 1983, altre due importanti iniziative promosse dall’A.A.M. videro coinvolto Carlo Aymonino, questa volta nel suo ruolo di progettista. Con la collettiva “Lo sguardo indiscreto”, Francesco Moschini mostrò per la prima volta i disegni, gli appunti, le riflessioni e le note private, aprendo taccuini e quaderni di viaggio di una ventina di architetti italiani, selezionati per l’essere stati tra i più attivi protagonisti della cosiddetta stagione dell’architettura disegnata. Scorrendo le immagini dell’allestimento della mostra si scorgono, tra fogli e cartoncini, appunti misteriosi, ridondanti o estranei, popolati di improvvise connessioni con architetture costruite o pensate, in grado di stabilire con esse un’onda di ricche risonanze, rivelando spessori emotivi turbolenti e magmatici destinati a placarsi in un linguaggio visuale codificato soltanto successivamente, attraverso la stesura delle tavole di progetto propriamente dette. Tra questi, quelli di Carlo Aymonino sono diari visivi di viaggio che mescolano l’attrazione per un paesaggio visualizzato in un disegno con un’annotazione relativa ad uno stato d’animo, scrittura simile a grafia trasportata nell’immagine. La mostra “Autoritratti”, di poco successiva, esibisce invece il lavoro critico svolto dall’A.A.M. Architettura Arte Moderna nell’arco dei primi sei anni di attività, coinvolgendo artisti ed architetti selezionati da Francesco Moschini, nella realizzazione di un autoritratto, costringendoli a rivelarsi non in quanto persone ma, in una condizione di saviniana “iperlucidità”, in qualità “personaggi”. Alla fine degli anni Ottanta risale l’esposizione “Ravenna. Largo

Firenze e la zona dantesca”, dedicata ai progetti per l’area del sepolcro di Dante succedutisi nell’arco di sessant’anni. Tra questi, quello del gruppo guidato da Carlo Aymonino si distingue per la volontà di non ricercare un’immagine urbana fluida, una continuità capace di assorbire le differenze che le presenze simboliche impongono al luogo, quanto piuttosto sottolinearne il carattere di diversità, declinando un inconsueto elenco in cui i materiali della storia, come la vicina Chiesa di S. Francesco o la tomba di Dante, vengono enunciati senza proporne la sintesi, assumendo il progetto urbano come contenitore di memorie, di storie, di oggetti, quindi come parafrasi della città stessa. Anche il progetto “Barialto”, dei primi anni Novanta, costituisce una tappa importante del rapporto intrecciato tra Carlo Aymonino e la A.A.M.. Ideata dall’Onorevole Giuseppe De Gennaro allo scopo di realizzare, secondo un nuovo modello insediativo che corrisponda a nuove esigenze qualitative dell’abitare, progetti residenziali affidati a gruppi di architetti italiani rispettivamente guidati da Carlo Aymonino, Antonio Acuto, Guido Canella, Gianfranco Di Pietro, Carlo Ferrari, Onofrio Mangini, Aldo Rossi, Paolo Ventura, Luigi Vietti, selezionati perché rappresentativi di uno spaccato della migliore cultura architettonica italiana, secondo un’idea di confronto generazionale e metodologico, che a partire dall’unicità del progetto di partenza, potesse configurare e confrontare nuovi modelli di città, riconnesse tra loro attraverso un sapiente disegno d’insieme. Due nuove personali, a Cagliari e Roma, riaprono nel 2005 la rassegna di mostre dedicate da Francesco Moschini a Carlo Aymonino. “Arte, architettura e città nel segno di Carlo”, si inaugura in concomitanza con l’apertura del nuovo spazio museale, progettato dallo stesso architetto, nel Giardino Romano dei Musei capitolini. In questa occasione la A.A.M. presenta una selezione di disegni originali, in un ripercorso antologico dell’opera aymoniniana dalla metà degli anni Quaranta a oggi. In questo caso i disegni figurativi, che datati all’inizio della sua attività sottolineano il realismo d’influenza guttusiana, si affiancano agli elaborati dei suoi progetti più rappresentativi, dal complesso Monte Amiata al quartiere Gallaratese al Campus scolastico di Pesaro, al Bacino Marciano di Venezia. L’ultima, recente iniziativa dedicata da Francesco Moschini a Carlo Aymonino riguarda il rapporto culturale, professionale e di amicizia tra quest’ultimo, Guido Canella e Aldo Rossi. A partire dal titolo “Guido, i’vorrei che tu Carlo ed io fossimo presi per incantamento...”, che nel rievocare le oniriche frequentazioni stilnoviste di Dante riconsegna i termini del discorso alla sfera dell’intimità, del rapporto esclusivo riservato a “pochi spiriti eletti”, la situazione immaginata per la mostra si identifica non soltanto con il ritratto, dei primi anni Ottanta, delle tre figure di Aymonino, Canella e Rossi, quanto piuttosto con il sistema di relazioni, di scambi di idee, di occasioni condivise di cui quell’immagine non rappresenta che un’istantanea, fugace apparizione, con l’intenzione di presentare testimonianze di un’inedita dimensione privata e pubblica del lavoro dei tre autori. Di Carlo Aymonino viene tracciato un percorso attraverso alcuni disegni autografi e inediti, quali il progetto per Mestre elaborato con Costantino Dardi, il Quartiere Gallaratese di Milano, i progetti per Bolzano e Pesaro, per la Giudecca di Venezia con Aldo Rossi, il Campidoglio di Roma. 234 | GENNAIO/FEBBRAIO 2011

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Massimiliano Fuksas

Sublimi Scribi del Caos

A.A.M. Architettura Arte Moderna Extramoenia / Nel Segno del Progetto di Francesco Maggiore

ell’introduzione al volume “Fuksas architetto” pubblicato nel N 1988 dall’editore Gangemi, Paolo Portoghesi definisce le architetture di Massimiliano Fuksas come “autoritratti” in cui si manife-

sta la personalità dell’autore: “l’impeto, che in certi casi raggiunge la veemenza, la volontà di stupire e destare meraviglia, il desiderio di scavare in profondità”. Proprio questi tratti e quest’attitudine è stato possibile cogliere in occasione della Lectio Magistralis tenuta da Massimiliano Fuksas nell’aula magna del Politecnico di Bari (ora consultabile nella sezione “Video” del sito/archivio A.A.M. Architettura Arte Moderna all’indirizzo web www.aamgalleria.it). La Lezione intitolata “Sublimi Scribi del Caos”, che ha seguito a distanza di pochi giorni la Lezione “Massimiliano e Doriana Fuksas: introduzione e presentazione dell’intero percorso progettuale dagli anni ’70 ad oggi” tenuta da Francesco Moschini, ha infatti permesso di comprendere e svelare, attraverso la testimonianza autobiografica di M. Fuksas, resa non solo in forma di racconto ma anche illustrata su un grande telero per mezzo di schizzi e disegni, il rapporto di reciprocità che lega l’indole dell’architetto con il carattere delle sue architetture. Un carattere dirompente dal quale scaturisce una progettualità coraggiosa e imprevedibile, colma di sorprese. Come accade fin dai primi anni ‘80 con il progetto e la realizzazione della palestra di Paliano (1979-1985) e della Nuova sede

del Comune di Cassino (1980-1990), dove nelle rispettive “facciate che cadono” è possibile rinvenire la memoria della “casa inclinata” del Sacro bosco di Bomarzo e quindi ritrovare la “manifesta finzione” di un’architettura che sorprende alludendo alle tematiche della vertigine e del collasso visivo, all’idea di spiazzamento. Ma in questo gesto inatteso sembra esserci anche l’intenzione di instaurare un filo rosso di continuità con l’opera di James Stirling soprattutto nell’idea di un’architettura pensata come “oggetto ansioso”. La stessa idea di spiazzamento di memoria duchampiana, come sottolinea Francesco Moschini nella Lezione introduttiva, ovvero degli “oggetti che si strutturano tra di loro in una sorta di rapporto di contrapposizione, di rapporto d’urto”, si ritrova nel cimitero di Civita Castellana (1985-1992). Quest’opera nell’insieme si compone di piccoli episodi, di frammenti architettonici pensati come relitti disseminati secondo una logica paratattica, la cui fruizione è scandita nel tempo in maniera “processionale” senza concedere mai una lettura unitaria e d’insieme. Lo stesso principio paratattico è alla base del progetto di ampliamento del cimitero di Orvieto (19841991), dove la relazione con la rocca di Orvieto è affrontata con un linguaggio classico che riprende, nel carattere stereometrico dei volumi, la dimensione dell’architettura fortificata, in particolare sembra mutuare i baluardi e i bastioni di Francesco di Giorgio Martini. I riferimenti con la storia, nell’opera di M. Fuksas, non mancano eppure il suo rapporto con essa non è sempre privilegiato, almeno non tanto quanto l’attenzione che egli rivolge nei confronti della realtà. Come egli stesso ammette nel libro “Caos sublime”, dove in maniera molto diretta raccoglie alcune riflessioni “a caldo” sulla propria poetica, il suo rapporto con la realtà e con il presente è di tipo cleptomane. “Essere pronti a cogliere, a rubare, non certo a “copiare”: il furto nei terreni non architettonici è consentito. È eticamente corretto rubare una vibrazione, un riflesso di luce, un sistema di aggregazione. In questo caso rubare per un architetto significa riuscire a vedere non con i tuoi occhi ma con quelli di chi non fa il tuo lavoro” un atteggiamento che può riferirsi all’”io non cerco, trovo!” di Pablo Picasso. E all’arte di Picasso, alla sua dimensione “primitiva”, sembra rifarsi il Museo dei Graffiti di Niaux (1988-1993) dove è possibile ritrovare un’attenzione verso la cultura figurativa e in particolare avvertire l’influenza delle frequentazioni di M. Fuksas con artisti come Giorgio De Chirico e Mario Schifano. Da quest’ultimo sembrano prendere le fila molti dei suoi progetti realizzati in Francia; ad esempio il progetto del Centro culturale e mediateca a Rezé (1986-1991), dove negli schizzi di progetto si ritrova proprio una gestualità “alla Schifano”: il gesto veloce e immediato da pittura spontanea, da riflessione momentanea e folgorante che dalla tela si traduce in un’opera pensata come scollamento statico che mette in crisi, con grande disinvoltura e abilità, le questioni tettoniche. Nel volume inclinato vi è la memoria del “concio di chiave” di Giulio Romano, tributo alla caduta dei giganti e quindi all’ordine infranto. Una smentita matericità sembra invocare il progetto delle Twin Towers di Vienna (1995-2001), memoria dei grattacieli di vetro di Mies van der Rohe e in particolare del Seagram Building di New York, rappresentando un canto alla leggerezza e alla smaterializzazione.

Massimiliano Fuksas, 2010. Acrilico su tela 2x3 m. Serie “Nel Segno del Progetto. Tra invenzione, gestualità, memoria e tempo del progetto”; Opera realizzata durante la Lectio Magistralis tenuta al Politecnico di Bari. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Allestimento della mostra “Architettura versus arte. Disegni epocali e di attraversamento di architetti romani dagli anni ‘60 ad oggi” curata nel 1993 da Francesco Moschini per A.A.M. Architettura Arte Moderna nell’ambito dell’evento “Tridente Otto”. In primo piano due disegni di Massimiliano Fuksas. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Francesco Moschini e Massimiliano Fuksas al termine della Lezione “Massimiliano Fuksas: Sublimi Scribi del Caos” tenuta nell’aula magna del Politecnico di Bari. Fotografia di Gaetano Albino Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Massimiliano Fuksas mentre disegna sul grande telero durante la Lezione “Massimiliano Fuksas: Sublimi Scribi del Caos” tenuta nell’aula magna del Politecnico di Bari. Fotografia di Gaetano Albino. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna.

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Massimiliano Fuksas mentre disegna sul grande telero durante la Lezione “Massimiliano Fuksas: Sublimi Scribi del Caos” tenuta nell’aula magna del Politecnico di Bari. Fotografia di Gaetano Albino. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Locandina della Lectio Magistralis “Massimiliano e Doriana Fuksas: Sublimi Scribi del Caos” tenuta al Politecnico di Bari nell’ambito del Progetto T.E.S.I. Tesi Europee Sperimentali Interuniversitarie. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna.

E di memoria miesiana sembra essere anche il Centro direzionale Ferrari di Maranello (2000-2003) dove una grande lastra sottesa su una piastra basamentale contrappone la pesantezza del coronamento al vuoto del basamento. Un gesto liberatorio genera il Centro espositivo e auditorium Nardini a Bassano del Grappa (2002-2004), dove nella tensione aerodinamica di cultura figurativa e memoria futurista delle strutture in vetro c’è la volontà di folgorare e di rappresentare un’apparizione. Folgoranti appaiano anche le voragini di vetro e acciaio che irrompono lungo la “stuoia” di copertura della Nuova Fiera di Milano (2005), che sembra generata, come sottolinea F. Moschini “da un sommovimento tellurico”. Una dimensione mistica caratterizza l’interno della chiesa di San Giacomo di Foligno (2009) dove il volume che incombe dall’alto rievoca l’idea della “grande immersione” dell’architecture ensevelie e dove le “infiltrazioni” di luce, generate dai “canon à lumière”, appaiono un omaggio a Le Corbusier. Infine, il progetto del Palazzo dei Congressi di Roma, in corso di realizzazione, rappresenta il tentativo di confrontarsi con la migliore tradizione di matrice razionalista che caratterizza il quartiere EUR di Roma. L’azzardo della forma, raggiunto attraverso complesse elaborazioni al computer, restituisce alla cosiddetta “nuvola” un senso di assoluta e sublime libertà geometrica che si contrappone al rigido involucro dalla grande teca di ferro e vetro che la contiene. La Lezione di M. Fuksas rappresenta un importante tassello all’interno dell’enciclopedico mosaico del Progetto T.E.S.I. Tesi Europee Sperimentali Interuniversitarie, un programma promosso e ideato al Politecnico di Bari dal Fondo Francesco Moschini Archivio A.A.M. Architettura Arte Moderna per le Arti, le Scienze e l’Architettura, con lo scopo principale di costruire e rafforzare un dialogo tra Università instaurando un sistema di relazioni tra i diversi Paesi della Comunità Europea; fuoriuscendo dal consueto accademismo delle tesi di laurea, si auspica un dialogo critico tra laureandi appartenenti a diversi luoghi e ambiti disciplinari, promuovendo lo studio e la partecipazione come fondamentale principio formativo. L’obiettivo è quello di organizzare studi e ricerche contraddistinti da un valore multidisciplinare, umanistico, scientifico e progettuale a partire da un unico argomento di tesi così da costituire, in forma tematica, una raccolta enciclopedica ed eterogenea di contributi. Il primo tema, che in via sperimentale segna l’avvio del Programma T.E.S.I., ha come titolo “Il Palazzo delle Biblioteche: Teoria, Storia e Progetto. Ipotesi per il Campus Universitario di Bari”, oggetto dell’omonimo libro curato da Vincenzo D’Alba e Francesco Maggiore con il coordinamento scientifico di Francesco Moschini e pubblicato dall’editore Mario Adda con il soste-

gno di Formedil-Bari (Ente Scuola Provinciale per la Formazione Professionale in Edilizia) e il patrocinio di A.A.M. Architettura Arte Moderna, Fondazione Gianfranco Dioguardi e Fondo Francesco Moschini. In linea con questo primo tema è stato avviato un ciclo di lectiones magistrales dedicate al tema “Libro e Biblioteca” all’interno del quale si colloca la Lezione di Massimiliano Fuksas. La serie di incontri, suddivisa in filoni tematici, è stata inaugurata per la sezione “Nel Segno della Storia” da Luciano Canfora (“Per la storia delle Biblioteche”) ed è proseguita, per la sezione “Nel Segno della Letteratura” con Gianfranco Dioguardi (“Il piacere del testo”) e con Ruggero Pierantoni (“E, se scomparissero i Libri?”), per la sezione “Nel Segno del Progetto” con Franco Purini (“Le parole dello spazio”), con Antonella Agnoli e con Marco Muscogiuri (“La Biblioteca e l’Architettura”), per la sezione “Nel Segno della Filosofia” con Massimo Cacciari (“Idea di Progetto”), per la sezione “Nel Segno della Fotografia” con Mario Cresci (“Raccogliere con lo sguardo”). I docenti fino ad oggi coinvolti nel Programma, dimostrano il tentativo di organizzare un modello interdisciplinare e internazionale di esperienze didattiche. Una rosa di ulteriori ospiti è stata ipotizzata con l’auspicio di poter presto ospitare, tra gli altri: Dino Borri, Manlio Brusatin, Francesco De Gregori, Vittorio Gregotti, Guido Guidi, Claudio Magris, Pedrag Matvejevic, Renzo Piano e Salvatore Settis. La Lezione è stata anche un’occasione per vedere Massimiliano Fuksas disegnare dal vivo. L’architetto, infatti, è stato invitato da Francesco Moschini a improvvisare su un grande telero (di dimensioni 2 x 3 m) schizzi e riflessioni che ripercorressero le tappe progettuali più significative della sua opera; così a partire dalla sezione del Museo di Niaux e arrivando fino al vortice scultoreo del nastro-scala del New Concept Store Armani di New York, M. Fuksas ha delineato in pochi tratti i caratteri peculiari dei suoi progetti. Questa iniziativa, che inaugura la serie “Nel Segno del Progetto” è promossa da A.A.M. Architettura Arte Moderna con l’obiettivo di mettere in evidenza e sottolineare il rapporto tra invenzione, gestualità e progetto, ma soprattutto il “tempo del progetto”. Il risultato dà conto della vocazione pittorica di M. Fuksas e riannoda le fila di un discorso sul disegno di architettura che ha visto proprio M. Fuksas autore, tra gli altri, di una mostra del 1993 promossa da A.A.M. Architettura Arte Moderna nell’ambito dell’evento “Tridente Otto”; intitolata “Architettura versus Arte” si poneva come obiettivo, come scrive Francesco Moschini, il riscoprire attraverso le opere esposte: “il sovente abbandono ai temi letterari, la scoperta di una possibilità di andare oltre il racconto, oltre il sogno e l’immaginario senza per questo uscire dai precisi limiti del reale, anzi conquistando, attraverso questo viaggiare, una maggior consapevolezza per lavorare”.

Francesco Moschini durante la Lezione “Massimiliano e Doriana Fuksas: introduzione e presentazione dell’intero percorso progettuale dagli anni ’70 ad oggi” tenuta nell’aula magna del Politecnico di Bari. Fotografia di Gaetano Albino. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Francesco Moschini e Massimiliano Fuksas durante la Lezione “Massimiliano Fuksas: Sublimi Scribi del Caos” tenuta nell’aula magna del Politecnico di Bari. Fotografia di Gaetano Albino. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna.

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Oliviero Toscani (ph L. Marucci)

Intervista a OlivierO Toscani a cura di Luciano Marucci

- Toscani, dove va ricercata la vera bellezza nell’arte e nell’esistenza? Perché dividere l’arte dall’esistenza? Cosa vuol dire? L’arte è quella che si attacca sui muri e l’esistenza un’altra cosa? L’arte non è ciò che è attaccata sui muri o a ciò che è nei musei. L’arte è l’espressione più alta della comunicazione. - Quale tipo di comunicazione voleva promuovere “Fabrica” e quali le finalità della sua scuola attuale? Io lavoro con la comunicazione. È la comunicazione che mi interessa. Dopo “Fabrica” per Benetton, adesso ho uno studio, una bottega dell’arte moderna. Funziona benissimo, fatta di giovani superselezionati, sicuramente orfani, senza padre e madre, perché se ci sono i genitori è un disastro, specialmente se italiani. Quindi, bisogna togliere le raccomandazioni, cosa difficilissima in questo Paese. - Un consiglio importante per diventare bravi fotografi. Per diventare bravi in qualsiasi cosa, ci vuole impegno, intelligenza, talento. - L’abilità tecnica del mezzo fotografico è tutta in funzione del significato ideologico dell’immagine? Uno pensa di fare una certa immagine e utilizza i mezzi per poterla realizzare. Se poi sono la macchina fotografica, il computer, la matita, il pennello, lo scalpello o non so cosa, va tutto bene. Questa è l’arte! - L’aspetto documentaristico è da evitare? Perché da evitare? Tutto è documentaristico. - Il suo obbiettivo fotografico è sempre puntato sugli aspetti più scottanti del contemporaneo? No, ci sono anche gli aspetti non scottanti: le foto di famiglia, le foto per strada… - Più che offrire contemplazione, vuole provocare reazioni positive? Mi propongo di provocare reazioni su cui discutere. - Di che tipo? Non tutti hanno le stesse reazioni. Non ci sono due reazioni uguali. - Quale potrebbe essere il museo ideale per le sue opere fotografiche? Il Museo? Io non voglio andare nel museo. Le mie fotografie stanno bene sui quotidiani. - Intendi favorire la presa di coscienza di realtà emergenti mostrandone la crudezza? Non si mostra la crudezza. Si può mostrare solo ciò che c’è. La fotografia non è altro che la documentazione dei fatti che ci circondano. - Nella sua produzione c’è la proposta di un’estetica dell’etica? Tutte le estetiche hanno un’etica e tutte le etiche hanno un’estetica. - Gli scatti sono più pensati o occasionali? Io sono un immaginatore, non un dilettante. Non è che giro con la macchina fotografica e, quando va bene, ci guardo dentro e scatto la foto. - Quindi, le foto sono un riflesso dell’esistente e una riflessione su di esso… 84 -

La foto è un mezzo di comunicazione. Qualsiasi mezzo di comunicazione è una riflessione sulla realtà. Anche la fantasia è una realtà. Anche sognare è una realtà. Mentre uno sogna può benissimo guidare l’automobile. Sognare appartiene alla realtà. - Tende a captare situazioni che possono avere una valenza più generale? Una valenza sì, più generale no. - Agisce volentieri anche attraverso la comunicazione verbale per complementare le realizzazioni visive? Non mi interessa. Quando pubblico su un giornale, non parlo. La fotografia è fatta per essere interpretata da chi la guarda. - La rivista “Colors” era un buon veicolo di idee… “Colors” ha aperto tutto un nuovo modo di fare editoria. - I suoi ‘ritratti sociali’ colgono fenomeni nascenti o sono indotti da comportamenti collettivi diffusi? Il ritratto sociale è il comportamento di espressioni collettive diffuse. - Non c’è il rischio che una produzione così intenzionale e iperrealistica venga percepita come opera troppo soggettiva ed elitaria? Qualsiasi opera deve essere soggettiva ed elitaria, se no non è un’opera. - Oggi un fotografo per meravigliare deve solo saper individuare gli accadimenti senza preconcetti? Ognuno vede le cose dal suo punto di vista che è unico e irripetibile. - Avverte il pericolo che possa esserci assuefazione anche alle rappresentazioni scioccanti come accade per molte problematiche del quotidiano? Ci può essere assuefazione anche alla musica di Mozart. - Ha mai pensato di fare cinema? Perché dovrei fare cinema, quando faccio il fotografo che è molto meglio? Con un’immagine posso fare un film, mentre con un film faccio un’immagine. Non è che con il cinema uno passa di grado. Questa è una strana mentalità di provincia. - Il suo impegno civile non la sollecita a scendere in politica? In questo Paese scendere in politica non è assolutamente un impeOliviero Toscani, Nuovo paesaggio italiano, 2010 installazione (© olivierotoscanistudio)

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osservatorio critico OPINIONI / INTERVISTE

gno civile, ma un modo per rubare i soldi al popolo. - Verso quali obiettivi dovrebbe tendere la formazione delle giovani generazioni? L’Arte! - Ma questo è scomodo per la governance, mentre l’istituzione scolastica da sola non riuscirebbe a superare gli ostacoli… Abbiamo il sistema scolastico più scarso d’Europa. Abbiamo i ragazzi che vengono mandati a scuola dai genitori non tanto perché imparino ma perché portino a casa la laurea. Siamo tutti dottori e il nostro è tra i paesi più ignoranti del mondo.…Poi c’è l’interferenza della Chiesa che, nonostante i propositi di affermare i valori umani, frena il progresso… - Allora cosa fare concretamente per promuovere pensiero libero e spirito critico? Essere così, indipendentemente da dove si è. Smettere di essere dei provinciali, dei campanilisti, dei fanatici teleidioti, dei coglioni che votano Berlusconi. - Vuole dire che c’è molto da dissacrare? C’è da fare una rivoluzione, qui. Spero che arrivi in fretta. - Le sue conferenze e gli incontri nelle scuole, oltre a insegnare a leggere la realtà, tendono a indicare modelli creativi e comunicativi contro gli stereotipi e il conformismo? Se insegno a capire cos’è la realtà, chiaramente questo è implicito, perché non insegno ad essere conformisti, ma a non esserlo. - Come considera i movimenti del Popolo Viola e No-global? Il Popolo Viola mi sta sui coglioni, perché non sa fare altro che lamentarsi di Berlusconi senza proporre nient’altro. I “Global” non hanno ancora capito che il loro non è il vero problema. - Secondo lei ci sono valori ideali del passato che andrebbero riscoperti? Non si riscoprono; i valori ci sono. Dovremmo solo metterli in atto. - Quali tematiche va affrontando in questo momento? Il problema del Nuovo Paesaggio Italiano per il fatto che gli italiani hanno dimenticato cos’è la bellezza e s’accontentano di vivere una vita da mediocri, da schifosamente imbecilli. Questa è la tematica

Oliviero Toscani, Chirurgia Estetica, 2010 (© Oliviero Toscani)

vera. Abbiamo cagato e sputato sul nostro Paese. - Ha abbandonato il tema della guerra? Questa è una guerra. La guerra non si presenta solamente sotto forma di bombe. - In Afghanistan chi vincerà… Hanno già perso sicuramente i soldati e i civili, anche quelli non morti... Non so se si vincerà.…Gli Afghani dovranno passare attraverso vari problemi, ma non vinceranno. Anche loro dovranno diventare civili… L’Europa settant’anni fa ammazzava milioni di Ebrei e ci consideriamo un continente civile. Pensi alla gente che è stata uccisa da francesi, inglesi, tedeschi, italiani, fascisti, nazisti. Pensi all’Europa che merda di paese è stato. Altro che Afghanistan! I fatti della Iugoslavia sono accaduti solo vent’anni fa. Quindi, non diamoci tante arie! - Concludo: l’antropologia del contemporaneo resta una costante delle sue investigazioni? Beh, io sono un situazionista. Mi interessa la situazione…

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AMACI, l’ Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani, alla luce dei tagli alla cultura previsti dalla Finanziaria 2011, ha promosso una campagna di sensibilizzazione pubblica a sostegno dell’arte contemporanea, attraverso la realizzazione di “manifesti” proposti da undici artisti italiani.

Carla Accardi, Stefano Arienti, Maurizio Cattelan, Enzo Cucchi, Marisa Merz, luigi Ontani, Giulio Paolini, Mimmo Paladino, Michelangelo Pistoletto, Paola Pivi e Francesco vezzoli hanno risposto all’invito mettendo le loro creazioni a sostegno dell’arte del nostro tempo.

Luigi Ontani, Panontale

“COSA vOSTRA

L’arte del presente è l’anima del futuro: nutriamola” “COSA VOSTRA. L’arte del presente è l’anima del futuro: nutriamola”. Questo è il titolo scelto per la campagna promossa dall’AMACI con la quale i musei associati hanno voluto ribadire al pubblico la natura collettiva del patrimonio e della produzione artistica nazionale. l’arte contemporanea è l’anima del futuro perché, con la sua capacità di offrire nuovi scenari e nuove prospettive, rappresenta uno stimolo costante alla creatività degli italiani e all’innovazione sociale ed economica. l’arte contemporanea è un modo attraverso il quale, anche grazie alle relazioni costruite con i più importanti musei internazionali, il nostro Paese consegna all’estero un’immagine di sé fatta non di stereotipi bensì di intelligenze creative e dinamiche. l’arte contemporanea è motore attivo della nostra economia, poiché fonda la propria attività su una catena del valore che è costituita da

ricercatori, conservatori, piccoli artigiani, editori locali e nazionali, restauratori, assicuratori, trasportatori, architetti, professionisti, nonché dal sistema di ristoratori, albergatori, commercianti, che, anche nelle realtà più piccole, beneficiano dell’indotto economico e turistico generato dalle realtà museali. Un patrimonio collettivo di opere, di relazioni, di immagine, di sapere e di stimolo all’innovazione, portatore di un valore aggiunto agli investimenti pubblici che lo sostengono. Di fronte alla riduzione dei finanziamenti pubblici, che si inserisce in una politica generale di decurtazioni già registrate negli ultimi anni e in un contesto di stanziamenti pubblici alla cultura considerevolmente inferiore rispetto agli altri Stati europei, AMACI vuole sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto alla centralità che l’arte del nostro tempo assume per lo sviluppo culturale, sociale ed economico del nostro Paese.

Francesco Vezzoli

Paola Pivi

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osservatorio critico Michelangelo Pistoletto

I MUSEI ASSOCIATI DEllA RETE AMACI Castello di Rivoli - Museo d’Arte Contemporanea (Rivoli – Torino), Centro Arti Visive Pescheria (Pesaro e Urbino), Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci (Prato), CeSAC - Centro Sperimentale per le Arti Contemporanee Caraglio (Cuneo), Fondazione Galleria Civica - Centro di Ricerca sulla Contemporaneità di Trento (Trento), Fondazione Torino Musei - GAM, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino (Torino), Galleria Civica di Modena (Modena), GC.AC - Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (Monfalcone - Gorizia), GAMeC - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo (Bergamo), Galleria d’Arte Moderna Palazzo Forti, (Verona), GNAM – Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (Roma), MACRO Museo d’Arte Contemporanea di Roma (Roma), MAGA – Museo Arte Gallarate (Gallarate - Varese), MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna (Bologna), MAN _ Museo d’Arte Provincia di Nuoro (Nuoro), Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (Rovereto - Trento), MAXXI - Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo (Roma), Merano arte (Merano - Bolzano), MUSEION - Museo d’Arte Moderna e Contemporanea (Bolzano), Museo del Novecento (Milano), Museo Marino Marini (Firenze), PAC - Padiglione d’Arte Contemporanea (Milano), Palazzo Fabroni / Arti Visive Contemporanee (Pistoia), PAN - Palazzo Arti Napoli (NaEnzo Cucchi poli), SMS Contemporanea (Siena), Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Napoli (Castel Sant’Elmo Napoli), Villa Giulia - CRAA Centro Ricerca Arte Attuale (Verbania).

Maurizio Cattelan, Toilet paper Stefano Arienti

Carla Accardi Marisa Merz

Mimmo Paladino

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Giulio Paolini

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Recessioni del lavoro di conoscenza

cui in gran parte proviene in maniera quasi retoricamente epigonica, rincorre il successo come arte che realizza una “vita d’artista” ricca di soddisfazioni e… soprattutto di superomismo.

di Gabriele Perretta

Vi siete mai sentiti sovrastati dalla sconfinata varietà della produzione di arte contemporanea? L’attenzione (intesa come fama) del mondo culturale è un’economia che funziona sulla falsariga del capitalismo.

L’

arte contemporanea ha ottenuto un peso via via maggiore nell’ambito del sistema culturale, diventando un economic factor rilevante, come si può vedere sia dalle eccessive quotazioni raggiunte durante le aste internazionali, sia dal crescente numero di manifestazioni, che riescono ad incrementare l’affluenza di pubblico. Negli ultimi vent’anni si è sviluppato un vero e proprio settore economico dell’arte, con proprie regole e un network altamente speculativo. Gli artisti penetrano in un sistema competitivo, che mette in concorrenza tra loro prodotti provenienti da realtà diverse, ma che chiedono un linguaggio amabile e mercantile.

Data la crescente domanda verso una produzione sempre nuova ed emozionante, non solo vengono abbreviati sempre più i tempi di produzione e i cicli di commercializzazione, ma le esigenze di spettacolarizzazione fanno sì che l’arte si trovi spesso in regime di concorrenza con altre espressioni culturali e logiche economiche. L’arte di oggi cerca di affermare il proprio valore soprattutto attraverso prezzi elevati, al punto da autostimarsi. Questi crescono tanto da pervenire sempre a nuovi record, raggiunti nelle aste ove le opere battute, nella maniera più spettacolare, conquistano le prime pagine dei grandi quotidiani e dei TG. Si dice che sia la finanza creativa quella che oggi dispensa money for nothing. Così c’è chi fa l’arte per passione e chi per soddisfazione personale; chi lo fa per la gloria, qualcuno per passatempo; in tanti, però, nel sistema attuale, lavorano soprattutto per i dannatissimi soldi. Anzi è il sistema stesso che lo impone! Partendo da questo presupposto, dunque, secondo l’organizzazione del sistema artistico attuale è bene conoscere le strade migliori – o le scorciatoie migliori - per guadagnare il più possibile e farsi rispettare. Lasciate perdere chi vi consiglia di affidarvi alla professionalità, o chi vi dice che senza genialità non andrete da nessuna parte, la dote indispensabile per avere successo nel lavoro artistico è l’astuzia e il cinismo sfrenato, che consentono di osservare gli altri e sfruttare l’altrui lavoro. E non si tratta di una boutade, se lo afferma la pratica artistica innescata dal sistema internazionale degli ultimi anni! Ci sono tanti tipi di successo: economico, considerato dai più l’elemento fondamentale per un’esistenza piena di benessere; relazionale, che permette di avere splendidi rapporti interpersonali nel campus di interesse intellettuale; professionale, che aumenta a dismisura tutto il sé. C’è poi il successo psicologico, che favorisce la formazione di una personalità di potere nei confronti del comando e della strategia di legittimazione della propria rete. C’è infine il successo filosofico che conduce il proprio io nella dimensione in cui il pensiero diventa più strategico e la propria interiorità più insidiosa. Nella svolta neo-liberista, l’arte ha creato una miscela composta nello stesso tempo da tutti e cinque i tipi. L’artistar non considera questo genere di successo un semplice mestiere da apprendere, ma un’arte a cui occorre dedicare buona parte del proprio tempo e delle proprie energie. L’artistar, in controtendenza con l’educazione estetica e con i codici dell’avanguardia (attivismo, antagonismo, nichilismo, lucidità, prevalenza della poetica sull’opera, rivoluzionarismo, terrorismo e agonismo), da 88 -

Il comportamento capitalista è fondato sul concetto di proprietà, di prestito e di interesse applicato. Il curatore (allo stesso modo del direttore di museo e del gallerista) agisce come un investitore finanziario. Il curatore/investitore presta le sue proprietà (il suo spazio espositivo e la sua fama) ad un artista, dal quale si aspetta un ritorno del suo investimento in termini di maggiore attenzione (reputazione, fama, etc.) volti a concretizzarsi in un risultato economico. L’investitore impiega i suoi soldi nelle compagnie da cui si aspetta di ottenere una guadagno. E qui si entra nel campo delle possibilità, nel quale alcuni hanno successo e sono ripagati mentre altri non hanno risultati e vengono relegati nel sistema interclassista, a volte subendo le peggiori umiliazioni di prepotenza e di speranza mai appagata. Sorprendentemente, i risultati dell’osservazione sulle condizioni dell’arte e il suo stato rivelano tale formula: in arte come nella vita, per avere successo bisogna copiare e non arrendersi mai di fronte alla scalata arrivista. Più si ha potere e più si ha successo. Lo ha capito sia il critico di turno cresciuto nelle file della sinistra che quello che lavora per il settimanale di centro destra e scalpita per raggiungere le prime pagine dei giornali più reazionari della sua area. Ancora una volta destra e sinistra si danno la mano, anzi l’estrema destra e l’estrema sinistra, per scalare le vette più alte del presenzialismo culturale, adottano lo stesso metodo e sono furibondi con chi non esegue il comando. Questa logica, che vale in Italia così come vale all’estero e in qualsiasi parte del mondo, è accompagna dall’alibi che una volta che abbiamo fatto fuori i pregiudizi ideologici, siamo liberi di imparare un solo mestiere, quello di fregare il prossimo, magari col dito ben eretto, probabilmente alla Cattelan, quello che sfodera l’ennesima provocazione di Piazza Affari. Nel complesso di una di quelle ricerche delle riviste americane di Neuroscienze, infatti, per l’aim for success sono risultate più efficaci le strategie basate sull’emulazione e sull’affermazione della norme di vita che, per paradosso, sono identificabili con Cetto La Qualunque. La “copiatura” si è dimostrata il comportamento più efficace, superando tutte le altre strategie. Particolarmente nocivo, invece, in termini di successo individuale, si è svelato l’istinto geniale all’invenzione: innovare e sperimentare in prima persona, a meno che non ci sia proprio nessuno da copiare, che secondo la ricerca pubblicata su Science, non paga mai. «Ci siamo fatti l’arte, ora ci facciamo gli artisti», direbbe Cetto La Qualunque. Allora, perché far passare i premier politici denunciati da WikiLeaks come i primi scurrili dell’arte di governo internazionale? Perché attribuirgli tutte le scelleratezze, tutte le porcherie e tutte le volgarità di questo mondo? In altre parole, perché farli sfilare come macchiette e buffoni della commedia dell’arte, quando poi c’è una folta schiera di sistemisti dell’art business che fa a gara per raggiungere le vette dei Guiness della Cialtroneria? Diciamo che tra politici ed artisti di successo si distinguono solo piccole strategie di trionfo! Dopo la performance di Cetto La Qualunque a Che tempo che fa, molti dovrebbero andare alla radice del fenomeno. Da dove viene Cetto? Chi sono i suoi antenati? E chi sono le ARTIstar, le Curatorship o le merchandisingship di oggi? A chi si è ispirato? Cetto è allo stesso tempo un pagliaccio e un mostro, un’allucinazione e un incubo. Cetto, che è in perenne campagna elettorale, rappresenta politica e art system così com’è, ma anche come temiamo possano definitivamente diventare: rozzi, arroganti, invasivi, totalizzanti. «Un demagogo tele-populista e un arte non mediale ma media-popist», che illustra le

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osservatorio critico OPINIONI / INTERVISTE

strategie di mercato e di quella elite culturale che riempie i rotocalchi compilati da Taschen a mo’ di elenchi telefonici. Solo in Italia, mentre gli impavidi collezionisti scorrono per i corridoi della sempre più omologata ArteFiera di Bologna, ci sono oltre due milioni e mezzo di famiglie che non possono spendere più di 900 euro al mese - è il cosiddetto indice di «povertà relativa» - e addirittura un milione e 162mila classificate secondo gli indici della «povertà assoluta». Si tratta, cioè, di persone che hanno a disposizione meno di 680 euro al Nord e di 512 al Sud. Insomma, tra “quasi” poveri e poveri conclamati, solo in (made ) Italy, siamo al di sopra dei 10 milioni di persone. Secondo quanto riferisce l’ultimo dossier Istat, questa cifra negli ultimi anni risulta in lieve, ma costante aumento. Tra questi indici sono compresi anche vasti strati di lavoratori della conoscenza che hanno studiato discipline artistiche e che da circa un ventennio aspirano ad essere assorbiti dall’industria del simbolico, senza mai aver raggiunto una dimensione a dir poco discreta! Quindi, anche nel sistema artistico e culturale c’è chi sta bene e chi sta male o malissimo. L’ultima ondata di liberismo ha abolito qualsiasi ascissa o ordinata che potesse congiungersi sul punto di fuga del sistema medio di qualsiasi ortogramma politico.

Con il termine “nuove povertà culturali”, si fa riferimento ad una miseria non più intesa come condizione economica oggettivamente misurabile, ma come zona grigia sempre più ampia dove indigenza e fragilità di relazioni vengono dominati dalla competitività e dalla produttività dispotica. Nel marzo del 2000, nell’incontro Europeo di Lisbona, i capi di Stato dell’Unione Europea, si sono accordati per un obiettivo molto ambizioso: «fare dell’UE, al termine del 2010, la società della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, generando nel contempo una crescita economica sostenibile, maggiore coesione sociale, migliori livelli di occupazione”. A tal fine, la Strategia di Lisbona avrebbe dovuto incoraggiare la promozione di investimenti da parte dei Governi, delle Università e delle Imprese. Uno dei suoi principali assiomi è quello che gli obiettivi di crescita e di occupazione saranno maggiormente conseguiti mediante nuovi investimenti nel settore delle NTIC, favorendo in tal modo l’innovazione, lo sviluppo e la crescita dell’economia della conoscenza. Si dice che in Europa i lavoratori della conoscenza siano quasi il 40% della forza lavoro. Sono la chiave dello sviluppo eppure per troppi di loro non c’è la possibilità di usare quel che sanno e quasi mai di avere promozioni. Quasi sette su dieci non hanno modo di lavorare da casa e meno della metà di loro pensa di raggiungere un buon equilibrio tra professione e vita privata. Il lavoratore della conoscenza pare essere libero di dare il meglio di sé in un lavoro che gli chiede competenza, capacità cognitive, prontezza nel valutare le scelte e disposizione alla flessibilità. Quando però lo si va a cercare, soprattutto nell’Europa del Sud, se ne trova solo un pallido riflesso. Dai servizi finanziari alla comunicazione e all’arte. Dall’alta tecnologia alla formazione. Dall’intrattenimento alla cultura. In Svezia i lavoratori della conoscenza sono quasi il 60% del totale della forza lavoro, nel Regno Unito e in Danimarca raggiungono il 50 %. Da noi solo il 37%, superati da Germania (il 44 %) e Francia (43%). È proprio nell’Europa del Sud che il lavoratore della conoscenza risulta un sembiante sbiadito del suo modello letterario. A stare peggio sono Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, dove il “good job index” tocca il punteggio di 12,76 su un valore totale di 19 punti. Meglio stanno anche i lavoratori dell’Europa dell’Est con 13,05. Valori superiori anche per chi lavora nell’Europa continentale (13,48). Sopra a tutti stanno, come quasi sempre, quelli che hanno un impiego in Scandinavia e in Olanda (14,53) davanti al Regno Unito

e Irlanda (13,85). Manager, tecnici informatici, professionisti, operatori culturali, artisti e intellettuali diffusi sono, a sorpresa, legati alle produzioni da cui dipendono. Più del 55% non ha opportunità di carriera e viene sottoutilizzato. Quasi altrettanti sono quelli che lamentano di non esser pagati abbastanza per quello che fanno. Sono soprattutto gli italiani, insieme a spagnoli e portoghesi, a lamentarsi del mismatch tra le competenze e i compiti che vengono loro assegnati. Intanto, in questi giorni l’Italia civile, proprio in materia di arte cultura e articolo 9 della Costituzione, parla il linguaggio delle macerie. Le macerie sono un simbolo del degrado in cui versa lo Stato. Le macerie nascoste sono un simbolo dell’inganno della propaganda, dell’attitudine a omettere dai riflettori ciò che non va: quasi tutto. Con 161 voti a favore, 98 contrari e 6 astenuti la maggioranza riesce nell’impresa di approvare, prima di Natale, la riforma Gelmini. La legge sacrificherà 60 mila ricercatori precari sull’altare di quella che è stata ribattezzata «la prepotenza di Cetto! o della Repubblica di Scilipoti» e metterà 26 mila studiosi ed intellettuali sul binario morto. L’autoritarismo del governo ha, dunque, riscritto le più elementari procedure liberali di funzionamento del parlamento, festeggiando in questo modo la nascita dello stato di diritto ad personam. Uno stato di diritto che coincide perfettamente con le nuove regole reazionarie del tutto ai pochi privilegiati e niente ai tanti sfigati che non ce la faranno mai. Questa è l’ultima vendetta dei ricchi contro i poveri, prima di precipitarli nell’abisso di un presente e di un futuro che saranno peggiori, anche se oggi sono ancora in molti a fingere di non sapere e di non vedere.

La filosofia del Governo italiano coincide perfettamente con le logiche di una società che vuole tirare a vivere favorendo la morte e l’abolizione dei disagiati, dei ricercatori e dei creativi che danno seguito al cognitorato diffuso. Nell’articolo 9 della Costituzione Italiana si afferma che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Ebbene, come si può tutelare tale patrimonio se non se ne conoscono le contingenze storiche e culturali che hanno portato alla sua nascita e al suo sviluppo e, soprattutto, come si fa se si parte dal presupposto di abolire l’insegnamento della storia dell’arte? Pomigliano e Mirafiori sono le indicazioni indispensabili per l’uscita dallo spettacolarismo post … . Non si può uscire da questo ciclo rimanendo neutrali sul rapporto tra democrazia e lavoro. Gli operai Fiat, i precari della piccola e media impresa, suggeriscono una parola chiara su questa modernità arcaica, che considera i lavoratori solo carne da macello e col plauso del governo nazionale (e la subalternità del centrosinistra) scendono a nozze col competitor affiliato al liberismo dell’archistar. Marchionne vuole far ricadere la responsabilità della situazione sui lavoratori e pretende che accettino di sparire, di non avere più diritti, di non avere più le pause, di essere licenziati, di non essere pagati se si ammalano, di non aver diritto a scegliere il sindacato che ritengono più opportuno. Cioè vorrebbe portare in Italia un modello che non c’era neanche nel 1800. Se vogliamo che i cittadini di domani difendano i principi dell’art.9 della Costituzione, occorre che conoscano o che disconoscano la consapevolezza? Alla fine dello scorso anno al Teatro Regio di Torino prima dell’inizio del balletto La Belle, dalla fiaba di Perrault su musica di Cajkovskij, come forma di protesta contro i tagli, l’orchestra ha suonato l’inno nazionale cantandolo insieme al pubblico, mentre una voce fuori campo leggeva gli articoli della Costituzione. Questa coesione di fronte ai simboli della Nazione che celebra un’Unità sgretolata dalla catastrofe della cultura e che non è riuscita a Calamandrei, Parri e molti altri, è stata ottenuta dalla coppia Bondi-Tremonti, in sintonia con il nuovo sistema dell’arte liberista che legittima le artistar contro la cultura dell’autovalorizzazione. 234 | GENNAIO/FEBBRAIO 2011

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COL SEGNO … DI POI / 2000-2010 Ursula Valmori Appassionata d’arte, Siena È deludente notare che ci sono alcuni intermediari d’arte che vivono organizzando mostre a pagamento, vivendo sulle spalle di artisti dilettanti; così come è deludente vedere che, in alcuni casi, l’opera d’arte viene considerata un prodotto finanziario tout court, ovvero si trattano le opere d’arte come se fossero delle azioni, o meglio dei junk bonds, cioè titoli con elevati rendimenti, ma basso merito creditizio e ad alto rischio per l’investitore. Senza dubbio il mercato dell’arte, in particolare dell’arte contemporanea, è legato ai corsi della Borsa ed al mercato economico-finanziario, tuttavia non bisogna dimenticare che si tratta di un mercato dipendente anche e soprattutto da cause storiche, culturali e sociali. Passando alle attese, spero che sempre più gallerie/galleristi siano in grado di uscire dalla logica di mercato, sviluppando una seria vocazione per quanto riguarda la ricerca, il sostegno degli artisti e la collaborazione con le istituzioni culturali. E’ un compito molto difficile, perché spesso viene svolto operando su margini economici precari ed in un sistema giuridico caratterizzato in certi casi da lacune, in altri da ipertrofie legislative e fiscali che penalizzano fortemente il settore: mi riferisco, per esempio, all’aliquota Iva del 20% applicata in Italia contro una media europea del 6/7% che, ovviamente, disincentiva gli investimenti in opere d’arte; oppure alla quasi totale mancanza di contratti di garanzia che dovrebbero regolamentare i rapporti tra artisti e galleristi. In Italia manca un vero e proprio sistema di relazione tra i vari operatori del mercato dell’arte contemporanea; manca una rete sistematica di sinergie tra artisti, galleristi, musei, accademie, istituzioni, critici, giornalisti ed editori. Noto una mancanza di coordinamento e spesso uno scambio di ruoli, se si esclude una minoranza di eccellenze. Credo che sarebbe necessario un maggior coinvolgimento delle Accademie e delle Università, una maggior collaborazione ed una minor rigidità nei rapporti tra le gallerie e le fondazioni private, che conducono un’opera di promozione e sostegno dell’arte contemporanea di grande rilevanza. Riguardo a nuovi artisti emersi o emergenti, anche nel mondo dell’arte esistono le “mode” ed è meglio starne alla larga; non comprerei mai opere di un artista solo perché di moda sul mercato, anche perché il prezzo delle sue opere sarebbe falsato. Mi concentrerei piuttosto su artisti liberi da influenze e condizionamenti di ogni tipo, le cui opere, magari, costano poco, il che non vuol dire che valgano poco. I nuovi mezzi di comunicazione (web, email, ecc…) hanno influenzato l’uomo in tutte le sue attività, compresa l’arte. Nel settore dell’arte, in particolare, è importante distinguere la tecnologia intesa come strumento per la diffusione dell’arte dalla tecnologia intesa come linguaggio vero e proprio, come espressione stessa della forma artistica. Nel primo caso, è senza dubbio vero che, grazie ad internet, si sono aperte frontiere ed abbattuti muri e sono stati sconvolti alcuni assiomi storici propri dell’opera d’arte, quali il concetto di autorialità e di unicità. La rete, grazie alla sua struttura, favorisce nuove forme di collaborazione e continue possibilità di scoperta e di ricerca; la tecnologia è un utilissimo strumento per un sempre mag90 -

giore ampliamento della fruibilità dell’opera al pubblico. Basta pensare ai cosiddetti musei virtuali, che costituiscono una rappresentazione digitale dei musei reali, che si dotano di un apposito spazio sul web per diffondere informazioni ed immagini relative alle proprie collezioni. Grazie alla tecnologia, dunque, si è verificato un vero e proprio scavalcamento di tutti gli anelli della fruizione dell’opera d’arte in senso tradizionale; tuttavia, a mio avviso, non deve scomparire il tipo di approccio tradizionale. Intendo dire che le nuove tecnologie le vedo in maniera complementare ed accessoria rispetto ad una concreta realtà museale. Se invece intendiamo la tecnologia come espressione artistica, il digitale e la rete non sono più solo mezzi di fruizione dell’arte, bensì veri e propri mezzi di produzione. Se si intende l’arte non come invenzione, ma come visione, come qualcosa che non ha a che fare col “nuovo”, ma con un nuovo modo di mettere insieme cose che già esistono, allora l’uso della tecnologia permetterà di allargare le possibilità di espressione, di avere nuove visioni, di creare nuovi linguaggi, di produrre espressività e non perdita di creatività. Rosanna Fumai Critico e storico d’arte Nell’ottobre scorso, si è tenuta a Milano, nella sede della Triennale, la terza edizione di Art for Business Forum: bello, giusto ed efficace, che sottotitolava Trasformare le organizzazioni attraverso le arti. L’evento si basava sulla convinzione che l’arte è in grado di offrire, tra le tante, una straordinaria opportunità di istituire una nuova relazione tra i concetti di bello, giusto ed efficace, senza la quale nessun business può risultare davvero ben fatto. E a caldeggiare e spiegare questa convinzione, nella tre giorni milanese, fitta di incontri trasversali, si sono succeduti nomi di grande rilievo nel settore, tra workshop, seminari e convegni. Howard Gardner, professore pluripremiato presso la Harvard Graduate School of Education di Cambridge, Marino Sinibaldi, direttore di Radio 3, Alberto Toffoletto, professore ordinario di Diritto Commerciale all’Università Statale di Milano, Maurizio Maggiani, scrittore, Severino Salvemini, direttore del corso di laurea in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi e molti altri tecnici. E tutto per affermare, dopo secoli di lotte intestine, che il bello ed il giusto si possono finalmente riconciliare col concetto di efficacia, cui sono stati disgiunti per decenni. L’economia moderna può funzionare solo se si crea una vera sinergia all’interno del business, riscoprendo l’importanza della relazione esistente tra questi fattori uniti nel raggiungimento di un unico obiettivo: il concetto di reciprocità, che esalta l’organizzazione moderna e scientifica del lavoro. Dunque un altro passo verso il superamento dell’antica antinomia arte-economia, che per decenni ha visto impossibile rendere produttivo il settore artistico, stagnante per definizione, solo perché sembrava non trovare nella logica del profitto, l’elemento centrale del proprio significato. Ma questo per l’Italia è un vecchio problema che ancora fa discutere, forse perché non gli viene attribuita la giusta importanza da parte della classe dirigente. Eppure,

basterebbe ricordare che in Europa il Pil, Prodotto Interno Lordo, creato dall’industria culturale, è più che doppio rispetto a quello del mercato delle auto. E questo solo per fare un esempio. Dunque bisognerebbe sentir parlare non di tagli, ma di sostegno alla cultura, restauro, ordinaria manutenzione, valorizzazione, finanziamento, oltre che urgente necessità di individuare modelli concreti finalizzati allo sviluppo di un business culturale sostenibile, fortemente improntato dall’idea di un’impresa e di una economia etiche. Ma è difficile parlare di etica in un momento storico che sembra aver dimenticato da tempo la più ordinaria etica delle responsabilità e del buon senso collettivo. E a pagarne le spese non sono stati solo i beni culturali in quanto tali, artistici, librari, archeologici (non dimentichiamo i recenti crolli: Pompei, Colosseo, etc.), ma anche tutti coloro che cercano onestamente ed ostinatamente di aprirsi un varco nel mondo del lavoro. Il risultato è un numero impressionante di laureati a spasso, senza soldi e senza molte speranze. La temuta crisi ha dunque colpito e travolto un settore, quello artistico, che la letteratura sull’argomento ci ha insegnato essere in deficit permanente, ma che gli studi scientifici degli ultimi anni ci avevano fatto considerare fonte possibile di risorse. La cultura, se ben utilizzata, può essere altamente produttiva. E se l’economia, come dicono i testi, è la scienza dei mezzi e non dei fini, bisogna assolutamente coniugare questa sua specificità con il sapere in generale e con l’arte in particolare, eccellenza precipua del nostro Paese, abbracciando le peculiarità del settore. Settore appunto che ha subito negli anni profonde modificazioni. Lo Stato e gli Enti locali sembrano fare sempre più fatica a mettere a disposizione le risorse ed i mezzi necessari per il sostentamento di una serie di strutture ed attività ad esse correlate, necessarie al perseguimento degli interessi e delle finalità accademiche, artistiche o culturali insite nelle stesse. Lentamente l’idea della pratica del management ha completamente sostituito l’antica più banale amministrazione, intesa come regolare conduzione, delle moderne imprese culturali. Modelli evoluti di management sono ormai considerati essenziali per assicurare la qualità del servizio offerto, nonché per sviluppare la creatività del pubblico e degli addetti ai lavori. In Italia per incentivare le aziende era stata proposta ed utilizzata la leva fiscale che rappresenta ancora oggi una opportunità di grande interesse. Ma nonostante alcune convenienti agevolazioni come le erogazioni liberali (che poi sono sinonimo di mecenatismo delle imprese private) e la destinazione del 5x1000 (detratto dall’Irpef) lo Stato sembra ancora non fare abbastanza a proposito della defiscalizzazione delle imprese e più in generale dei privati, così poco motivati a sostenere grandi eventi. Ma l’idea di mecenatismo, appena varcato il terzo millennio, risulta già superata. Nella società attuale il sostegno alla cultura diventa una operazione altamente strategica e fortemente qualificante, vista proprio la natura “meritoria” dei beni culturali. Lo sforzo da sostenere deve essere in direzione della possibilità di creare una nuova filiera del valore, la cui competitività non sia solo legata a fattori di costo. E’ assolutamente necessario investire nelle capacità di creazione simbolica, vero tesoro di questi

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osservatorio critico LETTERE E OPINIONI

anni, e nella produzione di contenuti di alta qualità scientifica, per determinare con fermezza ciò che sappiamo da tempo e cioè che la cultura è un sicuro volano per l’economia e non un settore marginale del nostro sistema socio-economico, anche se le politiche pubbliche, soprattutto per quanto riguarda l’allocazione delle risorse, sembrano denunciare una situazione di fatto completamente opposta. Complice, naturalmente, il grave periodo di crisi finanziaria e di recessione economica globale che stiamo vivendo. E, come già detto, è proprio il comparto della cultura a pagare pesantemente il prezzo delle difficoltà contingenti. Un segno evidente di quanto ancora sia sottovalutata la dimensione culturale del nostro Paese. Antonella Cattani Galleria d’arte, Bolzano

Antonella Cattani

Nell’ultimo decennio molte delle professioni, fra cui quella del gallerista e di conseguenza i luoghi dove si professano, hanno avvertito l’esigenza di attualizzarsi e ridefinire il proprio profilo, non solo acquisendo nuovi sistemi tecnologici ma soprattutto consolidando ed ampliando le proprie funzioni. La qualità dei programmi offerti dalla galleria, la capacità di comunicare e coinvolgere il pubblico come pure quella di relazionarsi a istituzioni e musei possono costituire alcuni dei parametri per valutare l’utilità di questa attività che a tutt’oggi, in un mondo globalizzato, detiene il privilegio di potersi differenziare mostrando identità di scelte e conduzione molto particolari. Il risultato a cui concorrono le singole identità è quello di un panorama vivace, nella maggioranza dei casi non omologato. All’origine di tutto rimane, a mio avviso, la galleria, luogo dove si realizzano progetti sempre più specifici che presuppongono un lavoro in tutti i sensi meditato e non superficiale al quale, successivamente, si potrà attingere per mettere a punto progetti esterni come ad esempio una presentazione in fiera. Ad una evoluzione del concetto di galleria non corrisponde purtroppo, almeno per quanto riguarda l’Italia, un’adeguamento in materia fiscale; basti pensare alle diverse aliquote IVA , in alcuni paesi europei molto più basse tanto da favorire gli scambi. Ci si auspica che ai diversi tentativi ,purtroppo falliti, si possa a breve ottenere un trattamento fiscale omogeneo fra tutti i paesi. Stabilire delle relazioni con musei e istituzioni è parte del lavoro; ciò significa intrattenere rapporti con le figure professionali in cui sono attive ed ave-

re quindi azioni propositive e di scambio non necessariamente ed esclusivamente di natura mercantile. Musei ed istituzioni devono funzionare come punti centrali all’interno di una rete più complessa, alla quale ovviamente partecipano anche le gallerie, volta ad offrire un panorama sempre aggiornato della situazione artistica. In tale maniera vengono automaticamente segnalati gli artisti che si intendono proporre al collezionismo. Infine è indubbia l’utilità dei nuovi mezzi di comunicazione anche se ne consegue una non del tutto corretta educazione al “guardare”; il rapporto che si stabilisce attraverso i media con un opera non può essere in alcun modo esaustivo e personale. Il contatto visivo, non frettoloso, genera – oltre ad un’altra specie di piacere - un opinione più corretta. Camilla Valsecchi Galleria Valsecchi, Milano Essere collezionista per me significa non solo comprare opere d’arte ed avere il grande privilegio e gioia di vivere in loro compagnia, ma anche, e forse soprattutto, avere modo di scoprire giovani artisti e stabilire con loro un legame che nutre ed informa il loro lavoro ed il mio modo di vivere il panorama artistico. Per questo motivo colleziono in particolare Arte Contemporanea, e traggo grande gioia dai rapporti che stabilisco con gli artisti. Oltre ad essere un amico, Francesco Vezzoli occupa un posto speciale nella nostra collezione ed il suo mischiare vita ed arte ed ‘essere’ le sue opere non finisce mai di affascinarmi. La grande giostra della arte e piena di splendidi appuntamenti come fiere, aste, mostre, ed e importante per me rimanere sempre informata e scambiare opinioni con chi come me ama questa disciplina. Questo e reso piu facile e spontaneo dalle infinite tecnologie moderne, che hanno completamente cambiato il modo di

vedere e comprare opere d’arte, rendendo tutto molto accessibile ed immediato. Una delle piu piacevoli scoperte dell’ultimo anno e stato uno splendido lavoro di Nicholas Hlobo alla Fiera di Bologna. E stato amore a prima vista e sono molto felice di vedere che questo promettente artista Sud Africano (che e stato esposto alla Tate Modern a Londra) e stato di recente nominato Rolex Visual Arts Protege per il 2010/2011 e scelto da Anish Kapoor come artista con il quale collaborare. Un altro momento ‘si’ dell’ultimo anno e stato trovare dopo tanto tempo un lavoro di Maurizio Cattelan perfetto per la nostra collezione. Dopo aver aspettato tanto ed esaminato molti dei suoi lavori, abbiamo avuto accesso ad un lavoro che dialoga splendidamente con il resto della nostre opere, in particolare i quadri di Arte Povera di Manzoni e Fontana che sono il punto di partenza del nostro percorso artistico. Non vedo l’ora di vedere la nostra opera al Guggenheim di New York nell’importante mostra che vedra presto Cattelan protagonista! Camilla Valsecchi

Francesca Tulli, Arco lieve, 2010 Piazza Foce Verde, lungomare di Latina Una scultura in bronzo di Francesca Tulli è stata collocata sul lungomare di Latina a Piazza Foce Verde. L’opera, posizionata all’ interno della vasca di una fontana, rappresenta una figura umana più grande del reale che poggiando solo sulle mani si inarca all’indietro lasciando i piedi sospesi nel vuoto. In linea con una serie di lavori realizzati dalla Tulli, questa figura, sperimentando le potenzialità del proprio corpo, tende ad un equilibrio che è soprattutto mentale e trasmette armonia in modo efficace quanto inusuale. La scultura, è stata posta in opera a seguito di un progetto di riqualificazione della piazza realizzato dall’Amministrazione Comunale di Latina.

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Monografie d’arte

DANIELA PEREGO “Livrets du Salon”, antenati deIpoco gli odierni cataloghi d’arte, erano più che delle guide per il visita-

tore. Contenevano l’elenco numerato delle opere esposte, i nomi dei loro autori con la segnalazione di titoli e onoreficienze, e solo in alcuni casi, qualche approssimativa incisione che poteva aiutare a leggere la struttura compositiva di un dipinto. Di strada da allora se ne è fatta molta non soltanto sul piano dell’informazione visiva (che ha superato di gran lunga il mero compito documentativo) ma anche su quello dell’apporto testuale che, col tempo, (e l’affermarsi della critica come disciplina autonoma) è approdato a forme d’interpretazione sempre più sofisticate. Va da se che oggi possiamo contare su diverse tipologie consolidate di interazione fra testo e immagine e su un ventaglio aperto di possibili nuove combinazioni per chi voglia sperimentare strategie di fruizione sempre più adeguate ai mutamenti dell’arte. Tuttavia non si può fare a meno di osservare che i risultati più incisivi si son fin qui registrati sempre in concomitanza con una qualche presa di distanza dallo schema piuttosto usurato secondo cui l’opera è un messaggio in se concluso, il pubblico un destinatrio che dovrà giungere a decriptarlo in maniera corretta e il critico un mediatore che ha il compito di indirizzarlo sulla giusta via. In quest’ottica è sicuramente dalla temperie culturale degli anni ‘70 che si dipartono le due pratiche che ancor oggi meglio di altre evidenziano l’apporto determinante che il catalo-

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go può fornire ad un agire artistico ben deciso a non riprodurre al proprio interno le strutture inibitorie del sociale. Intendo riferirmi a quella che tende ad azzerare la distanza tra immagini riprodotte e immagini esposte e quella che vede il testo critico, affiancarsi all’opera come creazione parallela e indipendente. L’idea che sta alla base della raffinata pubblicazione apparsa in concomitanza di due mostre di Daniela Perego (da Allegretti a Milano e da Pino Casagrande a Roma) è proprio quella di provare a fondere queste due pratiche in un unico catalogo che in quanto dotato esso stesso della forza comunicativa di una esposizione diviene catalogo di se stesso e dunque non più strumento utilitario ma oggetto prezioso. Quanto al critico che ha condiviso l’operazione, Achille Bonito Oliva, non si poteva chiedere di meglio anche sul piano storico, trattandosi proprio di colui, al quale va riconosciuto il merito di aver sbloccato a suo tempo l’impasse operativa di quegli anni ‘70, da noi più sopra evocati, con un’impennata teorica che ancor oggi non cessa di stupirci per la sua lungimiranza e il suo coraggio. Intendo riferirmi alla sua presa di posizione in favore della creatività della critica in un momento in cui tutti erano d’accordo nel dichiarare esaurito il metodo interpretativo allora in uso, ma nessuno riusciva a proporre, in maniera convincente, qualcosa che lo sostituisse senza ricadere ancora una volta in una qualche forma di ancillarità. Venendo alle immagini della Perego potremmo dire che esse configurano per fotogrammi sintetici, ma in qualche modo anche sontuosi, il viaggio iniziatico di una donna, l’artista, che

ripercorre le sue esperienze più intime e formative per consegnarsi, pura e forte come una giovane sposa, al rumore della società opulenta, ma al culmine dell’operazione, quando le nozze tra natura e civiltà, ovvero tra sguardo interiore e immagine pubblica, sono finalmente celebrate, finisce per perdere la propria visibilità e morire al mondo. Il testo di Bonito Oliva, intitolato, “Il Tesoro di Daniela Perego”, è, invece, una riflessione sull’arte stessa definita attraverso metafore non prive di vigore analitico, che riparte, nello specifico, in maniera quanto mai opportuna proprio da termini e considerazioni che caratterizzarono l’importante svolta critica di cui si è detto. Se l’analisi diretta delle immagini dell’artista è evitata, il contatto con il loro valore è ristabilito attraverso un serrato discorso sull’arte come ricchezza cui l’artista attinge in maniera dissimmetrica rispetto al pubblico e alla critica garantendosi un possesso che non è appagamento ma semmai eterna tensione e dunque energia che può essere donata agli altri ma mai pienamente condivisa. Echi, rimandi, sintonie, ma anche pause, silenzi, interruzioni e interrogazioni non possono che essere sperimentati de visu, con il catalogo tra le mani, noi possiamo solo aggiungere che il loro insorgere è sobriamente incoraggiato e salvaguardato dal progetto grafico di Franz Paludetto, il gallerista che ha editato l’opera in questione e ha messo a disposizione il Castello di Rivara, sede del suo Centro Documentazione, per girare il video che in qualche modo costituisce la struttura portante delle due mostre più sopra citate. Paolo Balmas

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osservatorio critico

LIBRI, MONOGRAFIE & LETTERE

LIBRI Achille Bonito Oliva Enciclopedia delle arti contemporanee. I portatori del tempo, Electa 2010 Poeta visivo, acceleratore e costruttore di mode e modi, figura nomade e tangenziale, ideologo della transfuga e critico di ogni forma d’attualità, Achille Bonito Oliva è nome centrale d’un discorso critico e teorico che prolunga l’io nello spettacolo dell’arte e trasferisce l’esigenza del singolo verso un discorso e un’identità globale. Totista solitario della storia – e nella vita –, figlio unico d’una generazione che ha trasformato la critica d’arte in azione protoartistica e transartistica e il discorso sull’arte in sistema delle arti, Achille Bonito Oliva, segna un ulteriore punto sul bersaglio della contemporaneità con un lavoro enciclopedico che attraversa i luoghi, le avventure e le figure più pungenti del panorama artistico d’oggi. Con l’Enciclopedia delle arti contemporanee – l’enciclopedia è spazio d’istruzione circolare, enkyklos paideia (Plutarco), vuol dire, difatti, letteralmente, stare nel cerchio del sapere –, primo volume di un lavoro che non solo attraversa l’avventura del contemporaneo ma ritrae anche alcune stagioni e ragioni del presente dell’arte, Bonito Oliva arma un plotone di filosofi, critici e teorici dell’arte, studiosi di teatro, di musica, di letteratura e di cinema, di fotografia e di new media, per erigere un discorso dedicato integralmente ad un tempo, quello della comicità, che investe con calori e colori differenti i linguaggi e le imprese del mondo contemporaneo. «Il tempo comico», suggerisce Bonito Oliva nella postfazione, «è il tempo dell’irrilevanza, della fine del valore e della cosa in sé, è il tempo della vita immediata invece del tempo dello spirito assoluto (sulla linea di Nietzsche e della sua critica del valore, della cosa in sé e della verità)». E ancora: «Il tempo del comico è il rifiuto di prendere sul serio il mondo, la relativizzazione dell’essente. Il tempo del comico è perdita dell’assolutezza e avvento del relativo, come distruzione della serietà e del tragico e affermazione dell’effimero, dell’illusorio, del divertente (de-verto)». Musica, Architettura, Arti visive, Cinema, New media, Teatro, Fotografia e Letteratura. Queste le sezioni organizzate per attraversare, appunto, il tempo comico, un tempo imprevedibile, imprendibile, double-face che spazza via il perbenismo e spiazza lo spettatore per inserirlo in un circuito che altera la realtà e elogia, dunque, il «tempo antropico della comicità» (ABO), la durata della vita, il processo creativo, lo scorrere sghembo delle cose, le corse frenate dell’immaginazione. Creatore d’un pensiero indomabile e di una metodologia trasversale, Bonito Oliva propone così uno straordinario mammut riflessivo – il volume comprende ben quarantatre interventi per un totale di 520 pagine racchiuse in un involucro cartonato – che ridisegna i grandi portatori del tempo e trasporta il lettore in un mondo, contingente e fragile, che si chiama vita. (Antonello Tolve) Stefano Taccone, a cura di, Hans Haacke. Il contesto politico come materiale Plectica, Salerno 2010 Dall’estetico al politico, dalla riformulazione di statuti visivi alla costruzione di segni eversivi, dalla continuità tra sistemi fisici e biologici al prefisso ecologico e sociale, Hans Haacke è figlio d’una generazione che ha fatto dell’ideologia il materiale del proprio lavoro intellettuale e artistico, per porsi come un artista scomodo che lavo-

ra sull’attualità, su grandi problematiche configurandosi quasi come un reporter esclusivo della quotidianità. Con Hans Haacke. Il contesto politico come materiale, Stefano Taccone, critico d’arte e curatore indipendente che si occupa delle manovre artistiche legate all’estetica relazionale e allo sconfinamento dell’arte nelle maglie della politica e del sociale, propone la prima importante monografia italiana dedicata, appunto, ad Hans Haacke, artista che ha trasformato la problematica sociale e quella politica in materiale dell’arte e ha saputo «reintegrare arte e vita ad un grado pressoché senza precedenti nel Ventesimo secolo». Dallo scandalo del Guggenheim al favoloso Progetto Manet, dalle Figure dell’autorità, cifre della regressione alla Ricostruzione della memoria, il lavoro proposto da Stefano Taccone, evidenzia non solo il tragitto etico ed estetico proposto e prodotto da Haacke ma anche un gusto che scansa ogni tipo di compromesso per pungere lo sguardo dello spettatore (carattere integrante dell’opera) e mostrare, senza transazioni, la verità effettiva delle cose. Diviso in otto capitoli – otto stanze che rappresentano i luoghi cruciali del lavoro artistico di Haacke –, il volume proposto da Taccone mette a fuoco un percorso stilistico e linguistico che salta il fosso del concettuale per approdare ad una attività che elabora il presente a partire dal presente e sfrangia ogni tipo di velina per riflettere e far riflettere sulle questioni più brucianti dell’arte e della vita. (Antonello Tolve) lev Tolstoj, Che cos’è l’arte? Donzelli, Roma 2010 L’etico e l’estetico. E poi l’artistico, visto, questo come cifra indispensabile per riconnettere l’uomo ad una completa e autentica esperienza della vita. Attorno a questi nuclei tematici Lev Nikolaevič Tolstoj (1828-1910), una delle più importanti figure morali e artistiche della modernità, ha ragionato per proporre un discorso che si sofferma sul dato esperienziale con lo scopo di trovare nel genuino e nel popolare il leit motiv di ogni esperienza sensibile e di ogni processo di spiritualizzazione. L’arte «è», per lo scrittore russo, «un mezzo di comunicazione che riunisce gli uomini accomunandone le sensazioni, ed è necessario alla vita e al progresso verso il bene del singolo uomo e dell’umanità». Con Che cos’è l’arte?, - introduzione di Pietro Montani - apparso per la prima volta nel 1897, dopo due grandi capolavori quali Guerra e pace e Anna Karenina, Tolstoj calibra la riflessione sul concetto di �uvstvo – di aisthesis, estetica, appunto –, per ritrovare proprio nell’arte il territorio di comunicazione e congiunzione tra l’umanità dell’uomo e la collettività (Montani): questo perché l’arte è, per Tolstoj, «una delle condizioni della vita umana», «uno dei mezzi attraverso i quali si attuano le relazioni tra gli uomini». L’arte. Che cos’è l’arte? Per Tolstoj è, appunto, ritrovo fe-

lice, incontro, dialogo oltre il pensabile, condivisione di qualcosa. Ma anche condizione espressiva, anello d’un discorso che trova nell’esistenza, nell’infinito intrattenimento con il quotidiano il nucleo e il grumo del proprio racconto e della propria apertura ad un mondo fragile e incerto che si chiama vita. (AntonelloTolve) Angela vettese Si fa con tutto Il linguaggio dell’arte contemporanea Editori Laterza 2010 Non è vero che l’arte contemporanea non richieda più alcuna competenza tecnica e che si fondi sul principio provocatorio del ready-made. Al contrario, «mai come oggi non soltanto a un artista, ma a chiunque svolga un’attività inventiva, è concesso, anzi decisamente richiesto, di slittare tra competenze diverse: si dà forma a un pensiero con il continuo sovrapporsi di fattori. Il contraltare a questa libertà, tuttavia, è che si disponga di competenze varie e che si agisca in maniera precisa, progettata, realizzando le ipotesi di lavoro più varie con abilità specifiche». Anche per fare una crepa nel pavimento, un sole finto che abbronza davvero, una scatola nera nella quale il nostro corpo si disperde come nel vuoto (per citare tre opere gigantesche presentate alla Tate Modern di Londra, nell’ordine, di Doris Salcedo, Olafur Eliasson, Miroslaw Balka) occorre avere una coscienza e una dimestichezza dei propri mezzi che non è possibile improvvisare. Le nuove tecniche sembrano però avere almeno un aspetto in comune, quello del bricolage, che mette insieme materie e approcci differenti e che non mira alla durevolezza dell’opera. In ciò si rispecchia un’epoca in cui declina l’idea di storia come insieme sensato e in cui tendiamo a percepire il tempo come un flusso elastico, molteplice, dominato dal frammento e dal caso. A partire da questi presupposti, Angela Vettese riflette su come sono cambiati i materiali e i linguaggi dell’arte contemporanea, il rapporto di interazione con il pubblico e il ruolo dell’autore, che sovente non opera più da solo ma insieme ad altri, non centrando la sua attività solamente sull’attività manuale ma operando come un architetto o un regista.(a cura di Laterza) Mario Diacono Iconography and Archetypes. The form of Painting 1985-1994 Silvana editoriale In occasione di Artelibro Festival del Libro d’Arte, a Palazzo Re Enzo di Bologna, la Collezione Maramotti ha presentato il volume di Mario Diacono, Iconography and Archetypes. The Form of Painting 1985-1994 edito da Silvana Editoriale. La presentazione è stata proposta in una conversazione fra l’autore e i critici Bruno Corà e Demetrio Paparoni che hanno approfondito sia l’operato dell’autore come gallerista -aspetto sotteso all’intero volume- in rapporto

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al panorama delle gallerie nazionali e internazionali fra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, sia la sua attività di critico rispetto ad altre forme di critica attive in quegli anni. Il volume raccoglie gli scritti che hanno accompagnato le mostre tenutesi nelle sue gallerie di Boston e New York dal 1985 al 1994 e afferiscono ad oltre trenta artisti, americani, italiani e tedeschi, quasi tutti pittori, il che motiva il sottotitolo del libro. La decisione dell’autore di privilegiare la pittura era in parte dovuta alla centralità che questo medium—decostruito e riplasmato— aveva assunto dopo gli anni del Minimalismo, Concettualismo, dell’Arte Povera, del PostMinimalismo e della Body Art. Ma era radicata soprattutto nel fatto che l’evoluzione dell’arte nel Novecento, almeno fino alla metà degli anni Sessanta, era stata determinata dalla pittura la quale poi, negli anni Ottanta, era divenuta la forma attraverso cui l’artista si interrogava nel momento stesso in cui l’arte veniva percepita in un suo compimento storico. La pubblicazione si pone inoltre come approfondimento critico su parte delle opere americane della Collezione Maramotti; molte opere presentate nel volume, infatti, sono state acquisite dal collezionista Achillle Maramotti per un particolare interesse sull’ evoluzione del linguaggio pittorico.(uf.st)

CATALOGHI Pino Chimenti. Microcosmi Editore Mazzotta. 2010 Pino Chimenti si contraddistingue per una pittura astratto-geometrica che negli anni ha saputo dar prova di grande costanza: il suo linguaggio si struttura per un’armoniosa risoluzione di segni, forme e colori che si dispongono nello spazio pittorico secondo solo un’apparente indeterminazione che cela, in verità, una precisa intenzionalità narrativa. Nelle sue opere densamente iconiche nulla è lasciato mai al caso, nulla è accessorio o insignificante: ogni piccolo e più minuto elemento si carica sempre di contenuti evocativi, di lirica poesia e di costanti rimandi ad altre storie. La sua pittura piena di colori, forme, soggetti ed immagini diventa un avvicendarsi surreale di vicende, di dichiarazioni, di mondi e di universi immaginifici che sottintendono infinite citazioni, espressione efficace e lucida di un dipingere colto ed elegante. I microcosmi pullulanti di queste storie fanno riferimento ad un universo intellettualistico di raffinatissima cultura che mostrano come l’artista sia sempre fedele ad un’espressione autonoma e personale. Chimenti, fuori da ogni moda, efficace e coerente con sé stesso, le proprie idee e i propri pronunciamenti, dichiara un’arte fatta di entità dilatate nel tempo, di richiami e rimandi che catturano lo spettatore proiettandolo in un’esplorazione attenta e misurata delle sue immagini che aprono l’opera a luogo di esperienze ritrovate e condivise. Oggi abbiamo modo di apprezzare ulteriormente il lavoro svolto da Pino Chimenti attraverso il volume recentemente pubblicato che raccoglie una selezione antologica di opere che riassumono gli ultimi venticinque anni della sua ricerca. La pubblicazione non è il consueto catalogo edito in occasione di una mostra, ma si presenta come un vero e proprio saggio, un’analisi riassuntiva approfondita della sua lunga storia artistica. A conferma dell’impegno e del riscontro del suo lavoro è la ricca documentazione data dai testi critici con saggi firmati da Paolo Balmas, Luca Beatrice, Giorgio Cortenova, Valerio Dehò, Gillo Dorfles, Francesco Gallo, Flaminio Gualdoni, Janus, Tommaso Trini, alcuni tra i più autorevoli studiosi, storici e critici dell’arte del panorama contemporaneo. Il catalogo, per un suo compimento scientifico, è corredato anche da un completo e aggiornato apparato bio-bibliografico. (Matteo Galbiati)

CONVEGNI Esposizioni. Il ruolo delle mostre nella critica contemporaneaLa mostramania che invade il panorama contemporaneo delle arti, la domanda di prodotto artistico che supera l’offerta, la figura complessa del curatore e quella del collezionista. Gli spazi dell’arte e la ricerca di una linea meditativa e magari anche di un pensiero critico indispensabile a definire la riflessione sul prodotto estetico. E poi, la figura dello spettatore, irrinunciabile parte integrante di un discorso che ne ridefinisce i ruoli. Saggio visivo o mera azione spettacolare, l’esposizione (con tutto il mondo che la riguarda) è stata, di recente, al centro di un incontro tenuto a Salerno alla Fondazione Filiberto Menna, per evidenziare da una parte la fine di un atteggiamento organizzativo, quello della grande exhibition trasformata in appuntamento e, molte volte, in business di multinazionali artistiche, dall’altra i fini da raggiungere o quantomeno le linee da seguire per riconquistare una padronanza critica utile a scansire personaggi, luoghi, impressioni, occasioni e qualità di un sistema determinato da un circolo economico che orienta i modi e le mode del presente dell’arte. Di un presente che si trova a fare i conti con nuovi spazi d’azione, «le fiere e le aste che», del nuovo millennio, lo ha puntualizzato Angelo Trimarco nella riflessione introduttiva all’incontro, «sono i luoghi principali delle esposizioni». Esposizioni. Il ruolo delle mostre nella critica contemporanea, questo il titolo, è «un’occasione», ha suggerito Stefania Zuliani, curatrice dell’evento, «che nasce da una mostra (La mostra è aperta. Artisti in dialogo con Harald Szeemann) legata ad una figura significativa della critica d’arte, Harald Szeemann, per riflettere su come è cambiato il modo di intendere il momento espositivo a partire dalla consapevolezza che la storia dell’arte del Novecento è una storia delle mostre». Ma cosa si nasconde dietro una mostra? Come si organizza un programma espositivo? E qual è il ruolo della critica d’arte all’interno di questo progetto? A questi e ad altri temi, una serie di professionisti – Stefano Chiodi, Roberto Pinto, Gabi Scardi – ha legato forme e figure riflessive per dar vita ad un dibattito aperto e ad una serie di scansioni sul presente dell’arte e della vita culturale d’oggi. Puntando l’indice sulle problematiche legate alla curatela, Gabi Scardi, ha posto la propria riflessione sull’interpretazione dell’opera e sulla scelta dell’artista per rilevare, così, un discorso curatoriale che non solo tende ad «impaginare quello che abbiamo pensato attraverso le opere degli artisti scelti per l’eventuale collettiva» ma mira anche a realizzare e a «coprire un percorso» visivo utile allo spettatore per muoversi e assaporare le opere. Un momento inquietante dell’arte legato all’uniformità e all’allineamento di prodotti artistici pronti ad essere esibiti, è, d’altro canto, la relazione proposta da Roberto Pinto per sottolineare il bisogno primario di ritornare alla riflessione e frenare il mostrificio messo in campo dal sistema dell’arte contemporanea per dar luogo ad una nuova importante e necessaria intenzione critica. A chiudere la frusta di ipotesi e viaggi, la relazione finale di Stefano Chiodi, ha messo a fuoco, dal canto suo, una cultura delle esposizioni la cui prospettiva si spenge in un circuito biennalistico e fieristico, in «straordinarie figure che si replicano» a livello globale grazie a curatori («vigili del traffico») che non dormono mai. Dalla mostra come spazio di un progetto curatoriale (Scardi), all’esibizione come spazio allarmante teso all’omogeneità e alla piattezza di prodotti artistici (Pinto), per giungere, infine al collasso dell’offerta, a volte, sulla massiccia domanda e, forse, al termine della stagione delle mostre (Chiodi), Esposizioni. Il ruolo delle mostre nella critica contemporanea, ha tracciato dei

punti cardinali sul tavoliere del contemporaneo, per rimarcare non solo la storia delle mostre e i suoi cambiamenti radicali, ma anche un discorso pungente su una situazione perniciosa, ambigua, complessa. (Antonello Tolve) Giulio Carlo Argan Alla Sapienza Università di Roma un Convegno internazionale su “Giulio Carlo Argan intellettuale e storico dell’arte”, ha visto ripercorrere alcuni punti nodali del magistero di Argan come docente universitario e critico militante, dagli studi su Rinascimento e Barocco, fino a quelli sull’arte moderna dall’Illuminismo al contemporaneo, con interventi di Paolo Venturoli, Paolo Portoghesi, Giovanna Curcio, Bianca Tavassi, Silvia Bordini, Giovanna Perini, Elisa Debenedetti, Jolanda Nigro Covre, Caterina Zappia, Enzo Bilardello, Claudio Zambianchi, Luigi Ficacci, Simonetta Lux, Carla Subrizi. Sono seguite le relazioni sul tema “Argan nella cultura del suo tempo”, con interventi di Arturo Carlo Quintavalle, Silvana Macchioni, Elio Franzini, Marina Righetti, Italo Insolera, Laura Iamurri, Claudia Cieri Via, Massimo Carboni, Maria Ida Catalano, Rosalia Varoli Piazza, Silvia Danesi Squarzina e testimonianze di Tullio De Mauro, Christoph Liutpold Frommel, Andreina Griseri, Marisa Volpi. Sul tema “Riletture e nuove ricerche” sono stati presentati i risultati dei seminari di studio tenuti alla Sapienza con le importanti novità che stanno emergendo dal carteggio conservato presso l’Archivio privato di Argan (con interventi di Claudio Gamba, Katiuscia Quinci, Paola Bonani, Nadia Marchioni); i lavori del convegno sono stati conclusi per riflettere sulla attualità/inattualità dell’opera arganiana, con interventi di Carlo Bertelli, Olivier Bonfait, Enrico Castelnuovo, Cesare de Seta, Michela di Macco, Roberto Nicolai, Orietta Rossi Pinelli, Bruno Toscano. I lavori delle diverse sezioni, nelle tre intense giornate, sono stati coordinati da Martine Boiteux, Claudia Cieri Via, Marisa Dalai Emiliani, Marcello Fagiolo, Maria Grazia Messina, Augusta Monferini, Antonio Pinelli, Orietta Rossi Pinelli. Nelle prime due giornate sono stati proiettati: il filmato “Argan nelle Teche RAI” (presentato da Tommaso Casini e Anna Maria Cerrato) e un’inedita intervista ad Argan sull’opera di Giorgio Morandi. Ezio Martuscelli La Fondazione Plart a Napoli ha presentato in un “incontro con l’autore”, l’ultimo saggio di Ezio Martuscelli dal titolo “ The chemistry of degradation and conservation of plastic artefacts of pre-synthetic “era” based on natural or artificial polymers”. Un’approfondita indagine attorno ai temi della conservazione e del restauro delle opere d’arte in materiali plastici. Scritto in lingua inglese e pubblicato dall’editore Paideia (Firenze, 2010), il saggio rappresenta un’occasione di confronto con esperti e studiosi sulle ultime ricerche nell’ambito della tutela dei Beni Culturali e degli artefatti realizzati con i primi polimeri semi-sintetici. Problematiche di grande attualità che documentano come i patrimoni di molte istituzioni museali, costituiti da collezioni di oggetti in plastica riconosciuti universalmente come Beni Culturali debbano essere conservati e protetti permettendo la fruizione alle future generazioni. Il saggio di Ezio Martuscelli, docente di Chimica Applicata ai Beni Culturali dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli contribuisce in maniera significativa alla diffusione e conoscenza scientifica di un universo materico poco indagato ma di grande rilevanza.

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Parallelo42 Raccolta 2005 01_05 "Spazio" Ettore Spalletti - Paolo Desideri 02_05 "Spiritualità" Enzo Cucchi - Ettore Sottsass. 03_05 "Comunicazione" Maurizio Cattelan - Alessandro Bergonzoni Parallelo42 Raccolta 2006 01_06 "Manipolazione mediatica" Vanessa Beecroft - Antonio Galdo 02_06 "Art e & economia" Michelangelo Pistoletto - Pier Luigi Sacco 03_06 "Esilio" Gian Marco Montesano - Moni Ovadia Parallelo42 Raccolta 2007 01_/07"Linea di confine" Silsej Xhafa - Pier Luigi Celli 02_07 "La città ideale" Oliviero Toscani - Giacomo Marramao 03_07 "Tra Bonito e Oliva" Achille Bonito Oliva

Parallelo42 Raccolta 2008 01_08 "ABO e l'Architettura" Achille Bonito Oliva - Oscar Niemeyer Massimiliano Fuksas - Mario Botta - Fulvio Irace 02_08 "tra pensiero e azione" Jan Fabre - Giacinto Di Pietrantonio 03_08 "Quijote" Mimmo Paladino - Sergio Givone Parallelo42 raccolta 2009 01_09 "la maschera" Luigi Ontani - Elio Franzini 02_09 “Love Therapy” Gillo Dorfles - Elio Fiorucci - Giovanni Allevi 03_09 "astrazioni" Ettore Spalletti - Anna Cascella Luciani Robert Mapplethorpe 04_09“cosa è per Te” Giacinto Di Pietrantonio - Daniele Puppi Pietro Roccasalva

nuova raccolta Parallelo42 01_010 "Africa, oltre l’estetica un’altra cultura" Achille Bonito Oliva – Serge Latouche 02_010 “Tra fotografia e filmato” Ferdinando Scianna – Toni Capuozzo 03_010 "Vuoto per pieno" Alfredo Pirri – Giorgio Barberio Corsetti 04_010 “Milano Anchorage: andata e ritorno nel pensiero dell’arte” Giacinto Di Pietrantonio - Paola Pivi

Parallelo42 Edizioni Speciali 2010 - ABO '70 Achille Bonito Oliva 2011 - Nord Sud Mari dell’Est Mari dell’Ovest di Mimmo Paladino

Parallelo42 Multipli d'Autore 2011 Nord Sud Mari dell’Est Mari dell’Ovest di Mimmo Paladino

per informazioni - abbonamenti e sponsorizzazioni Parallelo42 contemporary art - A.S.T. - Via Marinelli, 20 - 64029 Silvi (TE) ITALIA Info. + 39 338 97 44 591 e-mail: info@parallelo42.it web: www.parallelo42.it

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Art|42|Basel|15–19|6|11

Vernissage | giugno 14, 2011 | unicamente su invito Art Basel Conversations | giugno 15 a 19, 2011 | dalle ore 10 alle 11 Ordinazione del catalogo | Tel. +49 711 44 05 204, Fax +49 711 44 05 220, www.hatjecantz.de Follow us on Facebook and Twitter | www.facebook.com/artbasel | www.twitter.com/artbasel The International Art Show – La Mostra Internazionale d’Arte Art 42 Basel, MCH Fiera Svizzera (Basilea) SA, CH-4005 Basel Fax +41 58 206 26 86, info@artbasel.com, www.artbasel.com

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segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910 00 in libreria

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Anno XXXVI

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Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

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Lady Performance

MARINA ABRAMOVIC

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Seven Easy Pieces

ELISEO MATTIACCI

MATTEO BASILè

Intervista a OLIVIERO TOSCANI Nuovo Paesaggio Italiano

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Arte Fiera Bergamo [14-16]

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Art Palm Beach [20-24]

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Vip Art Fair [22-30]

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Arte Fiera Bologna [28-31]

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Art Rotterdam [10-13]

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Arco - Art Madrid [16-20]

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MARZO

The Armory Show New York [3-6] 28

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Volta - Pulse - Scope New York [3-6] 07

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Art Paris [31-3]

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Zona Maco Mexico DF [6-10]

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MiArt Milano [8-11]

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Art Cologne [13-17]

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Art Brussels [28-1]

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Next - Art Chicago [29-2]

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Viennafair [6-9]

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Loop Barcellona [20-22]

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Art Amsterdam [26-30]

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Hot Art Basilea [14-20]

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Art 42 Basilea [16-20]

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Liste Basilea [15-20]

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Scope Basilea [15-19]

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Volta Basilea [16-20]

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Art Platform Los Angeles [30-3]

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Art Forum Berlino [30-2]

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Art Verona [6-10]

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Frieze Londra [13-16]

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FIAC Parigi [20-23]

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TIAF Toronto [28-31]

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Art Basel Miami Beach [1-4]

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Pulse Miami Beach [2-5]

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Scope Miami Beach [1-5]

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Nada Miami Beach [1-5]

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01

Art Dubai [16-19]

APRILE

MAGGIO

GIUGNO

LUGLIO

Road to contemporary Roma [27-30] 30

AGOSTO

SETTEMBRE

OTTOBRE

NOVEMBRE Artissima Torino [4-6]

DICEMBRE

Segno 234 copertina.indd 2

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