LuogoComuneMagazine - Numero 2

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LuogoComuneMagazine è una testata in corso di registrazione

Direttore Responsabile: Francesco Pasculli Redazione: Caporedattore: Antonella Ciociola Mirko Patella Annarita Cellamare Nico Andriani Michele Granito Valerio Vetturi Impaginazione: Daniele Raspanti Hanno collaborato a questo numero: Vincenzo Gerri Monica Falco Elisabetta Maurogiovanni Contatti: luogocomunemagazine@gmail.com

INDICE

LuogoComuneMagazine n. 2 2

Editoriale

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I volti del teatro Made in Puglia

di Francesco Pasculli

Fotoracconto

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In marcia verso un teatro stabile a Bari

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Emergenze teatrali, teatri emergenti

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Storia del teatro in Puglia

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Il teatro che verra’

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A suon di schiaffi

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Intervista a Valentina Colella

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Il sindaco come “apripista” per i futuri talenti pugliesi

Reggimento Carri e Fibre Parallele a confronto

Il ruolo del TTP e il programma Teatri Abitati

Meridiani perduti. Delitti (quasi) perfetti

Gli Slogaritmo e l-arte del gesto sonoro

Dalla Puglia a Marsiglia, insieme alle sue marionette.

Luci e ombre degli Zen Circus

Intervista a Appino e Ufo prima del concerto all’Oasi di San Martino – Acquaviva delle Fonti (Ba)


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L’investimento culturale più importante per il teatro rimane il pubblico, rimaniamo noi stessi e la nostra abitudine a frequentarlo

EDITORIALE

Il secondo numero di LuogoComuneMagazine è un invito al teatro. E’ un invito che rivolgiamo anzitutto al pubblico, l’anticorpo più efficace in tempi di tagli alla cultura. Sarà pure una banalità, ma è utile non dimenticarlo. L’investimento culturale più importante per il teatro rimane il pubblico, rimaniamo noi stessi e la nostra abitudine a frequentarlo. E’ un invito che rivolgiamo alle istituzioni, soprattutto laddove possono, con spazi e palcoscenici, contribuire al successo delle compagnie stesse, in particolare le più giovani. E’ un invito che rivolgiamo direttamente agli attori e ai registi a sperimentare, innovare, esplorare nuovi linguaggi e non arrendersi nonostante le difficoltà.

SU IL SIPARIO, E’ TEMPO DI TEATRO Uno sguardo al presente, un pensiero per il futuro FRANCESCO PASCULLI

Il numero di marzo è un viaggio alla scoperta del teatro che più ci piace. Un viaggio costellato da compagnie emergenti, alcune giovanissime, altre più mature, alle prese con piccoli e grandi successi. Ovviamente senza tralasciare le difficoltà di una passione che guarda ad una professione. Compagnie che in Puglia sono già capaci di futuro, come Fibre Parallele, Reggimento Carri, Meridiani Perduti, Slogaritmo, ResExtensa. Esperienze di punta, non le uniche, ma sicuramente tra le più significative del nostro territorio. Il numero è anche una riflessione sulla proposta di costituire un teatro stabile a Bari. Nelle scorse settimane abbiamo seguito con attenzione l’inedito confronto tra Sindaco e operatori di settore sulle prospettive di una casa comune tra le compagnie teatrali cittadine. Un’idea che ci piace, soprattutto se riuscisse nell’impresa titanica di migliorare la gestione dei contributi senza trascurare la qualità prodotta. Ci sembra doveroso cominciare questo dialogo da chi fa teatro da oltre trent’anni e non solo per riconoscenza ma anche per rispetto nei confronti della città. Ci sembra giusto, tuttavia, ascoltare anche le altre opinioni, soprattutto i suggerimenti dei più giovani e i loro punti di vista. Ci piacerebbe che in questo confronto siano coinvolti davvero tutti, a maggior ragione se la fase in corso è ancora esplorativa e valutativa. Nel numero che sfoglierete abbiamo intervistato alcuni di questi protagonisti, in particolare Riccardo Spagnulo di Fibre Parallele e Roberto Corradino di Reggimento Carri, con cui abbiamo conversato di queste e molte altre questioni. Il viaggio prosegue con l’esperienza dei Meridiani Perduti a Brindisi con la loro serie di delitti quasi perfetti e con gli Slogartimo, compagnia alla continua ricerca di un equilibrio tra musica, corpo e teatro. Non potevamo trascurare alcuni interventi della Regione Puglia con il programma “Teatri Abitati”. E poi in “voci dell’altro universo” siamo andati a conoscere gli Zen Circus, rock band pisana con il loro punk cantautoriale. Buona lettura


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”Quante possibilità ha il teatro di esprimersi? Con quali linguaggi? Uno sguardo, una marionetta, un ritmo di danza, una maschera o una parola. In queste pagine alcuni esempi di come la Puglia accolga, cresca ed esterni la grande passione per il teatro. Noi della redazione non possiamo far altro che unirci al sospiro d’amore che si ode in questi scatti.”

SCATTI PUGLIESI

I volti “dietro le quinte” di un teatro in continuo fermento


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Riccardo Capozza, 31 anni, attore. Si

forma artisticamente a Milano studiando teatro, danza e yoga, incontrando attori quali Danilo Manfredini, Renata Palminiello. Nel 2006, mentre si laurea in Scienze dell’Educazione, incontra il regista Vincenzo Schino, e gli attori Marta Bichisao e Gaetano Liberti, con i quali entra a far parte per un periodo dell’Officina Valdoca con lo spettacolo Opera, che dal 2009 dà il nome al gruppo di ricerca artistica e teatrale. Con il gruppo prende parte al ciclo di Operette e agli spettacoli Voilà, Limite e Sonno (che debutta a giugno 2011). Gli spettacoli iniziano a farsi conoscere nel circuito nazionale, nei festival teatrali e nei teatri. A breve all’estero...? Basta tenerlo d’occhio e lo scopriremo.


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Anna Moscatelli

si laurea presso il Laban Center London in Danza Contemporanea. Approfondisce la sua formazione con numerose personalità di spicco tra cui Susanne Linke, Michele Abbondanza, Iris Erez (Jasmine Godder Company) Nicola Mascia (Sasha Waltz) e Matan Zamir (Matanicola Dance Company). Fin dal 2006 Anna avvia un’intensa attività professionale come danzatrice presso numerosi centri culturali tra cui il Teatro della Catena, dove è anche assistente tecnica. Segue i progetti fotografici di Wanda Perrone Capano in “W4AD”, di Dario Binetti in “Incognita dell’Altro” dove compare come modella d’arte. E’ performer ed assistente tecnica nel progetto dei CFF e il Nomade Venerabile, progetto musicale ispirato dalla scena indie italiana degli anni ’80-’90. Negli ultimi anni si è avvicinata al progetto della Compagnia di Danza ResExtenza dove è danzatrice ed assistente alla coreografia.


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Gianluca Caterina, 27 anni, produtto-

re musicale e organizzatore teatrale.

Lavora per anni come fonico e light designer presso una grande struttura di servizi allo spettacolo che opera al sud Italia. Gli studi universitari e un master in management dello spettacolo lo avvicinano sempre piĂš al mondo della produzione musicale. A febbraio del 2010 pubblica il suo primo album con i MedianaÂŽ. A marzo del 2010 apre la Sfera Records, l’etichetta discografica di cui oggi è direttore artistico-produttore e si dedica alla ricerca di talenti musicali da destinare al mercato discografico. Attualmente la Sfera Records sta portando avanti tre diverse produzioni destinate al mercato anglosassone.


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Marco Cardetta, 28 anni, specializzato

in management e organizzazione teatrale. Si laurea in Scienze della comunicazione con una tesi su Carmelo Bene, poi in Filosofia.

Nel 2003 scrive, dirige e interpreta il cortometraggio surreale “Amsterdam” che partecipa al festival internazionale di Siena. Tra il 2008 e il 2009 frequenta il Master in Event Management presso Palazzo Spinelli di Firenze, dove conosce Gianluca Caterina con il quale decide di fondare in Puglia la Yuppi du No profit, associazione di management artistico. La Yuppi du è un vero e proprio progetto culturale di osmosi tra la Puglia e il resto del mondo, e si occupa di valorizzazione dei talenti del Sud Italia nel Centro-Nord e all’estero e importazione e scouting di artisti stranieri verso il Sud Italia. La Yuppi du vanta la distribuzione tra gli altri, di Satiriasi, unico gruppo di stand-up comedy all’americana in Italia, con il quale sta impostando un network di club per rassegne sul genere.


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Nicola Eboli si laurea in lettere moderne, con una tesi in Letteratura Teatrale sul futurismo e cubofuturismo, dai manifesti all’azione scenica.

Dopo alcune esperienze laboratoriali sul tema dell’espressività corporea e di teatroterapia, di recitazione e costruzione di maschere, inizia le prime esperienze attoriali, con diversi spettacoli tra cui ricordiamo Come un Cane per la regia di Vincenzo Diglio. Nicola si specializza negli anni anche in ruoli scenici e più tecnici. E’ direttore di scena per “Storie di ordinaria follia” di Petr Zelenka per la regia di Juan Diego Puerta Lopez con gli allievi della scuola nazionale di cinema, spettacolo andato in scena nell’ambito della manifestazione I quartieri dell’arte di Viterbo. Negli anni è stato Assistente di produzione e Direttore di palcoscenico per Elio (delle Storie Tese) con “Figaro il Barbiere”. E’ stato Direttore di palcoscenico presso il teatro comunale Van Westerhout di Mola di bari, per il Centro di produzione Djaghilev. E’ nuovamente Direttore di Scena per “Le religiose alla moda” (di Gioacchino Dandolfi) regia di Paolo Panaro. Negli ultimi anni ha avviato un’intensa collaborazione con ResExtensa con una serie di spettacoli che lo hanno portato in tour per l’Italia e anche all’estero.


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Caterina Firinu, attrice, autrice e speaker, si è diplomata giovanissima presso la scuola del Piccolo Teatro città di Merano, formandosi con il metodo brechtiano che affianca l’attività attoriale e di speaker, a quella dell’insegnamento del teatro e delle arti performative applicate alle tecniche di comunicazione. Tra gli ultimi spettacoli teatrali, ricordiamo “La Casa di Bernarda Alba” di F.G. Lorca adattamento e regia G.Ciardo, “Il Vizzietto” con due Zeta di C.Firinu e G. Ciardo regia G.Ciardo. A livello cinematografico è autrice di “Tilt”, cortometraggio di cine teatro finalista al LauraFilmFestival di Levanto. In “Tilt” è sia autrice che attrice protagonista. Premiata come miglior attrice al festival Movieract di Bari e al FNAM, Festival delle arti di Montepulciano 2011. Tra le altre attività ricordiamo anche l’esperienza in ambito televisivo come doppiatrice e acting coach presso il gruppo Telenorba.


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Leonardo Vasile, 33 anni, attore. Pur

avendo frequentato diversi corsi e stage con insegnanti anche internazionali come Anna Strasberg, la sua formazione risulta essere piuttosto autodidattica. Ora vive a bari e lavora in giro per l’Italia. Tra i suoi ruoli preferiti quelli drammatici anche se risulta essere un attore molto versatile. Ricordiamo alcuni dei suoi lavori con “Applausi e… Amore” di Fioretta Mari (Teatro Comunale Fonte Nuova - Roma), “La magia della Danza” di Federico Garcia Lorca con la regia Fioretta Mari, coreografie Massimiliano Martoriati (serata di gala per Daniel Swaroski al Teatro Brancaccio Roma) e “Il cimitero degli elefanti” regia Nicola Valenzano – con Leonardo nel ruolo Omero.


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Andrea Ferrante, 25 anni, nato e vis-

suto in provincia di Milano. Si trasferisce a Bari dove inizia gli studi di recitazione.

Diplomato presso l’accademia del cinema di Enziteto nel 2009. Nel 2009 si trasferisce a Roma. Prima esperienza lavorativa è nel film “Galantuomini” di Edoardo Winspeare, subito dopo nella sitcom “Piloti”, in onda su Rai Due, al fianco di Max Tortora ed Enrico Bertolino. Lavora poi per il regista Alessandro Piva nella fiction “La scelta di Laura” su canale 5, e nel film drammatico “Henry”, premiato quest’anno al festival internazionale del cinema di Torino. Arriva anche il primo film da protagonista “Non te ne andare”, vincitore al Tropea Film Festival nel 2010 e l’esperienza internazionale coi film “Angeli e Demoni” di Ron Howard e Five Hours South di Mark Bacci, prossimamente al cinema. A teatro invece viene chiamato per portare in scena: “Vita di Galileo” di Brecht, “Il malato immaginario” di Moliere, “Le avventure di Don Chisciotte” di Cervantes e prossimamente “Notte di guerra al museo del Prado” di Rafael Alberti per la regia di Caterina Firinu.


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Francesco Zenzola nasce a bari 1987, inizia il suo percorso artistico all’età di 17 anni.

Si diploma all’accademia ”Obiettivo Primo Piano” di Lecce diretta da Franco Alberto Cucchini ma in contemporanea segue diversi laboratori e stage. Le sue prime esperienza sono di tipo cinematografico, successivamente debutta in teatro con lo spettacolo “Il malato immaginario” di Moliere e lo spettacolo “Vita di Galileo” di Bertolt Brecht , regia di Alfredo Vasco. Attualmente è impegnato con lo spettacolo “Io non tacerò”, regia di Vito D’ingeo, spettacolo sulla camorra, ed è impeganato con la preparazione dello spettacolo ”Notte di guerra al museo del Prado” di Rafael Alberti con la regia di Caterina Firinu.


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Elisa Barucchieri

si è laureata presso il Middlebury College, Vermont, USA, in Antropologia Culturale e Danza Contemporanea. Formatasi sotto la guida d’importanti maestri di danza come Andrea Olsen, Penny Campbell, Peter Schmitz. Nel 2002 è stata selezionata per l’Accademia Isola Danza, La Biennale di Venezia, diretta da Carolyn Carlson, esperienza che le ha permesso di rappresentare l’Accademia in varie manifestazioni in Italia e all’estero. Danzatrice, assistente e traduttrice per Susanne Linke e Carolyn Carlson, dal 2004 presenta il proprio lavoro coreografico sotto il nome di ResExtensa e in collaborazione con Studio Festi. Nel 2002 vince il premio “Pegaso d’Oro” al talento artistico dalla Federazione Italiana Danza, ricevendo anche il riconoscimento quale insegnante di danza contemporanea, livello Oro. Negli anni Annalisa ha danzato ed è stata assistente di Jacques Heim con Diavolo Dance e Cirque du Soleil, ed ha collaborato con i catalani di La Fura Dels Baus. Tra gli altri successi ricordiamo anche le performance in qualità di danzatrice solista durante la Cerimonia di Apertura XX Olimpiadi Invernali, Torino, nella Cerimonia di Apertura Mondiali di Nuoto, Roma, all’Inaugurazione dell’Anno della Cultura Italiana in Cina, Beijing, alla Notte dell’Agorà, Loreto, alla Cerimonia di Apertura delle Special Olympics, Roma, alla Cerimonia di Apertura dei Campionati del Mondo Ciclismo su Strada, Varese.


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“La crisi va affrontata prendendo atto della nostra forza in una terra popolata di grandi potenzialità e risorse uniche - parlando in termini di luoghi, produzioni, nuovi scenari, compagnie emergenti, formazione dei teatranti (aspiranti e non)”

Siamo in un periodo critico per la cultura, caratterizzato da tagli ai fondi e numeri passivi. A risentirne tutte le forme d’arte ed ovviamente anche il mondo del teatro, che più di altri subisce gli effetti di questo momento negativo. La crisi va affrontata prendendo atto della nostra forza in una terra popolata di grandi potenzialità e risorse uniche - parlando in termini di luoghi, produzioni, nuovi scenari, compagnie emergenti, formazione dei teatranti (aspiranti e non).

Una delle soluzioni prospettate è quella della costituzione di un teatro stabile, ovvero di una grande istituzione che raccolga le principali compagnie della città. Ad affrontare l’argomento sono state alcuni dei principali protagonisti della scena barese in un recente forum nella redazione di Repubblica Bari, appositamente istituito per discutere del futuro teatrale barese. Presente all’iniziativa anche il sindaco della città di Bari, Michele Emiliano, che ha dialogato con

IN MARCIA VERSO UN TEATRO STABIL Il sindaco come “apripista” per i futuri talenti pugliesi

di Annarita Cellamare


16 che raccolga il risultato culturale di questo tipo di attività, finanziata con denaro pubblico ponendoci l’obbligatorietà di ottenere un adeguato ritorno d’immagine per la città”. E quindi ripartire dal riconoscimento del Teatro Kismet come punto di riferimento per il teatro di innovazione, e trasformarlo in centro che raccolga le altre realtà teatrali della città. “Certo non sarà facile mettere insieme talenti e storie diverse, ma auspico che dello stabile faranno parte tutti i teatri convenzionati col Comune.

gli operatori dei teatri e che ha dimostrato in tale sede di voler fortemente la rinascita del Teatro barese. Il sindaco ha dichiarato: “Siamo partiti da una serie di riflessioni sulla necessità di ristrutturare il settore dinanzi, da una parte, all’emergenza dei tagli imposti dal governo e, dall’altra, constatando lo scarso ritorno d’immagine per la città ottenuto dal sistema teatrale barese. Tutto ciò accade perché manca un’istituzione identitaria, un teatro stabile appunto,

Lo stabile potrà dare lavoro soprattutto ai giovani, visto che il sistema delle convenzioni strozza il nuovo perché, nel momento stesso in cui sosteniamo l’esistente non possiamo sostenere ciò che non c’è ancora. In questo cammino, il ruolo del Teatro Pubblico Pugliese - con il quale potremo in futuro tuttavia ridefinire il nostro rapporto - sarà indispensabile: non si può immaginare di avviare un percorso di questo genere senza il confronto con la principale istituzione culturale della regione”. Ha concluso così il sindaco, augurando a tutti gli operatori presenti al forum buon lavoro, e chiedendo loro di operare al fine della creazione di una bozza di atto costitutivo per il teatro stabile.

LE A BARI

Foto Fondazione Petruzzelli - Cofano Iesseppi


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“In questa intervista proveremo a curiosare un po’ nel mondo del teatro pugliese cogliendo i punti di vista di due compagnie emergenti: Reggimento Carri e Fibre Parallelle. Lo faremo con Roberto Corradino, fondatore di Reggimento Carri e Riccardo Spagnulo, cofondatore di Fibre Parallele. La loro esperienza ci testimonia anzitutto la vitalità del nostro teatro e un modo di interpretarlo, lontano da stereotipi ma denso di richiami e legami ad una cultura che guarda a sud. Con loro parleremo anche della proposta, emersa nelle settimane scorse, di costituire un teatro stabile a Bari.”

EMERGENZE TEATRALI, TEATRI EMERG Reggimento Carri e Fibre Parallele a confronto Antonella Ciociola: Che significato ha per voi fare teatro qui a Bari, in Puglia, nei vostri luoghi d’origine?

di Antonella Ciociola

Reggimento Carri: In questo momento storico lavorare in Puglia è una bella congiuntura, tante delle nostre produzioni hanno avuto un sostegno istituzionale. Quello che però non si riesce a capire è che nessuno crea una squadra di 25 persone e c’investe solo perché lo spettacolo deve girare, ma perché prima di tutto quella è la sua scommessa di vita. Quello che un po’ mi fa specie è che spesso anche fra gruppi giovani è molto difficoltoso lo sguardo reciproco, il confronto… Siamo in crisi… Ma quando non lo siamo stati? Forse è proprio la terra dei Borboni che si porta dietro queste


18 Per realizzare questa intervista siamo stati accolti e ospitati negli spazi dell’Istituto Vittorio Emanuele a Giovinazzo gestiti da Res Extensa, giovane ma affermata compagnia di teatrodanza. Res Extensa nasce nel 2001 con Elisa Barucchieri, Victoria Sogn e Francesco Catacchio, ai quali si è poi aggiunta Anna Moscatelli. Nel 2002 Elisa e Victoria sono selezionate per l’Accademia Isola Danza della Biennale di Venezia. Nello stesso anno vincono il premio internazionale “Pegaso d’Oro” della Federazione Italiana Danza. Nel 2004 inaugurano Dansens Hus Oslo, centro nazionale per la danza contemporanea della Norvegia, con il loro spettacolo Soliloquy!. Con Le terre rovesciate sono finalisti fuori concorso per Premio Scenario 2005. Con Studio Festi hanno inaugurato l’Anno di Cultura Italiana in Cina a Beijing e danzato nella cerimonia di apertura delle Olimpiadi. Fra i progetti recenti “Il teatro nudo”, tre giorni di laboratorio sull’arte della scena inserito nel progetto “Teatri abitati: una rete del contemporaneo” finanziato dal Fesr e affidato al Teatro Pubblico Pugliese.

Ospiti per un pomeriggio

Fibre Parallele Attualmente composta da due persone, Riccardo Spagnulo e Licia Lanera, la compagnia Fibre Parallele nasce nel 2005 dalla passione di un gruppo di amici per il teatro. Del 2006 è Zio Vanja cartoline di campagna sintetica, da Checov, opera ancora acerba ma sentita. Mangiami l’anima e poi sputala è selezionato invece nel 2007 per il premio Scenario. Nel 2008 2.(DUE) viene selezionato alla finale del concorso EXTRA. Nel 2009 debutta Furije de sanghe, spettacolo che permette alle Fibre di arrivare fino alla piazza di Parigi. In cantiere, tra repliche varie in Italia e all’estero, ci sono due nuovi progetti.

GENTI tare ataviche… Reggimento e Fibre si frequentano, come persone, ma questo non è l’inno all’amicizia, è l’inno al confronto, è l’invito alle relazioni. Quello che mi dispiace è che, a fronte di un sostegno istituzionale, non sia ancora partito lo scambio fra le giovani generazioni. Fibre Parallele: Non ho mai conosciuto un teatrante che non ponga delle lamentele prima di fare delle richieste. Il teatro è in crisi, ma lo è da quando l’hanno inventato. E il retaggio “borbonico” si accompagna anche ad un retaggio gerontocratico. In più, a Bari si chiudono i teatri, ne nascono di nuovi ma mancano gli spazi, e questo affligge tutte le spinte innovative e i fermenti giovanili. Di questo la politica dovrebbe tener conto. Lavorare a Bari sicuramente è importante perché, nonostante il nostro orizzonte di riferimento sia internazionale, ci sentiamo parte di una comunità, e

anche in alcune scelte artistiche o linguistiche abbiamo privilegiato tale appartenenza. A.C.: Esiste una certa identità meridionale, anche solo come modo di guardare il proprio territorio, che emerge nei lavori che si fanno. Vi chiedo quanto questo sia reale e quanto invece funzioni come maschera, nel modo in cui vi esprimete sul palcoscenico. R.C.: Se è vero che le radici ti nutrono, è vero anche che il teatro per vocazione è nomade, è incontro, non può stabilizzarsi; confonde, contamina, è una contaminazione. Nel 2010 abbiamo proposto un percorso di formazione per l’attore, il Censimento dell’attore del polo sud. Per noi Sud era veramente “temperatura”: era sangue cuore polmoni in ebollizione, un lavoro veramente umano, non un disegno, non l’idea, non l’installazione di un concetto.


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Nello stesso anno Fibre parallele ha fatto Furje de sanghe, in cui il lavoro sul dialetto è lavoro sulla musica. Nel 2009, interrogandoci sulla questione dell’identità, insieme a Fibre parallele, Kismet, Nodo e Radice Quadrata abbiamo organizzato Irruzione pubblica, festival di tre giorni con tre compagnie già affermate, tre compagnie giovanissime, un laboratorio di scrittura critica con Graziano Graziani di Rialto Santambrogio, spazio ormai chiuso dal quale è passata la “meglio gioventù” teatrale italiana. L’identità è sempre una questione da discutere, non è mai una maschera da mettersi per risolvere delle cose. F.P.: Sud è calore, non arretratezza, non cose raffazzonate e spettacoli fatti male. Ma forse anche povertà: è deleterio però fare di questa povertà un fine, calcarla per descrivere dei mondi un po’ irreali, delle “cartoline”: mare, trullo, pizzica… sì, sud è una temperatura. A.C.: Dato che, soprattutto negli ultimi anni, avete girato molto, in Italia e fuori, ci raccontate un’esperienza positiva, una buon modello di gestione e organizzazione, da riproporre o a cui ispirarsi? F.P.: L’anno scorso siamo stati a Verona, presso Interzona, centro sociale e associazione culturale. Fino a qualche tempo fa l’associazione gestiva una stanza nel mercato della città, un’ex-cella frigorifera ricoperta di alluminio, dove ha ospitato compagnie del calibro di Raffaello Sanzio o Motus. Poi il sindaco di Verona ha gentilmente messo alla porta quest’associazione. È successo poi che un ragazzo si sia inventato un format: un laboratorio settimanale di un anno per adolescenti in una villa dei Benetton, i cui partecipanti erano cooptati a vedere gli spettacoli di Interzona. Un laboratorio e una rassegna,

quindi: e funzionava, non tanto per la novità dell’idea quanto per il calore che si avvertiva. Non era uno spazio per acquisti, ma un luogo intessuto di rapporti. Ci siamo sentiti a casa, insomma. R.C: Spesso i luoghi esemplari sono i luoghi marginali, con una storia caparbiamente laterale, con una natura ibrida, non soltanto teatrale. Teatri di vetro per esempio è un festival teatrale romano che raccoglie davvero emergenze e spinte nuove, senza neanche fare un discorso troppo di mercato. Ma situazioni così sono o teatri piccolissimi, in cui veramente si fa resistenza, o realtà ormai ampiamente istituzionalizzate, come il teatro delle Albe, da cui sia Reggimento Carri che Fibre Parallele sono stati benedetti. Posso citare Castel dei Mondi di Andria, unico festival produttore in Puglia: Reggimento è stato sostenuto per ben due volte, le Fibre lo saranno quest’anno. È un festival che mette confronto il teatro-circo con delle esperienze veramente di rottura, con delle figure magari acclarate che vengono dal teatro visivo, dal teatro-immagine degli anni ’70, e ormai sono prosa: è un festival vivo, un po’ come è stata in piccolo anche Primavera dei diritti a Bari. A.C: Dall’inizio dell’anno a Bari si parla della possibilità di istituire un vero e proprio teatro stabile, unendo tutte le realtà già attive in città sotto una sorta di “gestione comune”. Ci piacerebbe conoscere il vostro punto di vista, come “piccole compagnie”. R.C: Ben venga, con un pensiero concreto, però. Per Cuore la nostra compagnia, pur non avendo proposto affatto un Pirandello in giacca e cravatta, ha avuto un gran successo di pubblico: in tre pomeridiane abbiamo avuto 1000 studenti. Questo significa che il pubblico a

“Il Sud è calore, non arretratezza, forse anche povertà, ma non solo quello. Sud non è una cartolina, è una temperatura”


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teatro ci va. Chiaramente la gente vuol vedere un certo tipo di teatro, e vuole che un teatro stabile pensi anche alla formazione del pubblico giovane. Quindi questo teatro stabile avrà anche un compito, pensare alle compagnie giovani che girano e riscuotono successi come interlocutori effettivi. Se è questo il progetto, se un teatro stabile è un ente di produzione, se è una mente che allarga le prospettive attraverso una gestione comune, allora è necessario, perché ce n’è bisogno. C’è bisogno di menti aperte che abbiano uno sguardo largo sulla questione. Se il teatro è una cosa viva, va fatto così. F.P: Io penso che essere contro, a prescindere dal valore di quello di cui si parla, sia un’etica sbagliata. Per essere contro bisogna avere delle ragioni forti, per cui essere contro questa proposta senza aver avuto la possibilità di valutarla è sbagliato. Staremo a vedere. Ci tengo alla riflessione sui bisogni delle realtà e degli operatori che lavorano in questa città e che graviterebbero nell’orbita del teatro stabile. Il sindaco Emiliano ha più volte espresso nelle dichiarazioni di questi giorni che una delle ragioni che porterebbero alla creazione di un teatro stabile è la volontà di inserire i giovani in questa nuova realtà istituzionale. Io me lo auspico e mi piacciono molto queste parole. Finora in riunioni e dibattiti nessuno ha chiesto un’opinione, neanche i giornalisti, di una compagnia giovane, che dovrebbe o vorrebbe entrare a far parte di questo teatro stabile. Voi siete i primi, e non siete certamente una realtà istituzionale. Ben venga il teatro stabile, ma che sia fatto bene, che sia aperto, che sia un ente di produzione, soprattutto. Una preoccupazione: i teatri stabili di solito sono delle realtà molto legate alla politica e con il turn over post elettorale si assiste al cosiddetto “spoil system”, anche nelle realtà teatrali. Gli organismi dirigenti di un teatro vengono rimossi e sostituiti da altri più graditi al potere. Io penso che bisognerebbe preservare l’autonomia artistica. La cultura non è ancella della politica, sono due binari che viaggiano paralleli nella stessa direzione. R.C: Visto che c’è veramente una cosiddetta primavera pugliese, noi siamo certi che un interesse al fatto che la situazione teatrale abbia davvero un rilancio ci sarà. Noi ci aspettiamo questo. A.C: Tre consigli che dareste ad un giovane teatrante che ci vuole intraprendere questa strada… F.P.: Andare a teatro, andare a teatro, andare a teatro, per scoprire nuovi mondi, nuove idee, contaminarsi. Non siamo per l’ortodossia… R.C: No, assolutamente, questa è la cosa che ci accomuna. Andate a vedere spettacoli. I consigli fateveli dare solo dalle persone che scegliete, che vi diranno solo ciò che non volete sentirvi dire. Fate teatro e non v’aspettate niente, non c’è niente da aspettarsi.

“Il teatro per vocazione è nomade, è incontro, non può stabilizzarsi”

Reggimento Carri Reggimento Carri nasce nel 1999, per volontà e testardaggine di Roberto Corradino, allora fresco di scuola di teatro. Lavorando quasi sempre a riscritture da classici, Reggimento produce nel 2003 Piaccainocchio, finalista al Premio Scenario dello stesso anno e, nel 2005, Perché ora affondo nel mio petto, dalla Pentesilea di von Kleist. Del 2006 è lo spettacolo Conferenza / Nudo e in semplice anarchia, dal Riccardo II di Shakespeare, in coproduzione con il Festival Es.Terni. Dal 2009 Reggimento Carri inizia a essere non più solo Roberto Corradino ma una vera e propria compagnia. Ultimo lavoro è Cuore come un tamburo nella notte, rilettura da De Amicis, che porta in scena ben 25 giovani attori, con altrettanti giovani corpi, voci, menti, immaginari, storie.


21 “...tanti buoni propositi, molte le potenziali azioni per riportare il teatro ai suoi antichi splendori, rinvigorito da innovazione e giovani realtà pugliesi, volgendo sempre uno sguardo al passato, ma certamente guardando al futuro: questa è la sfida che si è posto il TPP”

Su scala regionale le attività certo non mancano. In particolare per la realizzazione di una vasta rete regionale di soggetti che dialoghino tra loro, lavorando sulla creatività e sulla capacità degli operatori culturali. E’ questa un po’ la mission del Teatro Pubblico Pugliese, un organismo che dovrà attivare flussi di risorse, contribuendo allo sviluppo del territorio e favorendo azioni per la crescita del settore spettacolo nei vari livelli di produzione, distribuzione, promozione. In 10 anni lo spettacolo pugliese si è trasformato in un sistema organizzato, una vera e propria filiera produttiva: partiti da una legge regionale sulla Cultura e sullo Spettacolo, nata a favore degli operatori dello spettacolo, si è riusciti ad avere risultati innovativi, lavorando

STORIA DEL TEATRO IN PUGL Il ruolo del TPP e il programma Teatri Abitati

di Annarita Cellamare


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con una strategia atta sì alla ricerca di fondi, ma soprattutto all’attivazione di soggetti organizzatori. Il risultato è il TPP, in quanto network che dovrebbe mettere in rete le amministrazioni socie (i 52 comuni, le 5 province e la Regione Puglia), tutte le forze produttive, le maestranze, le professionalità e la creatività di una regione che ancora si sta realizzando. Infatti sono tantissimi i teatri o i siti teatrali riattivati e riaperti grazie a due APQ (Accordo di Programma Quadro): si è costituita la Rete dei Teatri Storici di Puglia, al fine di studiare e analizzare lo stato qualitativo dei luoghi, e quindi di recuperarli ed implementare il loro utilizzo; sono stati costituiti i Teatri Abitati, ovvero i suddetti luoghi “abitati” dalle compagnie teatrali

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locali, così da incentivare l’incontro tra strutture produttive e le rispettive amministrazioni del territorio, e da far rivivere spazi in disuso. Quindi tanti buoni propositi, molte le potenziali azioni per riportare il teatro ai suoi antichi splendori, rinvigorito da innovazione e giovani realtà pugliesi, volgendo sempre uno sguardo al passato, ma certamente guardando al futuro: questa è la sfida che si è posto il TPP. Ora, non ci resta che aspettare i concreti risultati di tali azioni, non ci resta che ascoltare le voci degli addetti ai lavori, coloro i quali stanno vivendo questo cambiamento che ci auguriamo sia completamente positivo. Ai posteri l’ardua sentenza.


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IL TEATRO CHE VERRA’

Meridiani Perduti. Delitti (quasi) perfetti

di Nico Andriani


24 Intervista a Daniele Guarini e Sara Bevilacqua dell’associazione Meridiani Perduti di Brindisi “Era scemo. Gli spiegai e rispiegai tre volte la strada da fare, in modo chiarissimo. Era molto semplice, non aveva che da attraversare il Viale della Riforma all’altezza della quinta traversa. E tutte e tre le volte si confuse nel ripetere la spiegazione. Gli feci una piantina chiarissima.

“Restò là a guardarmi con aria interrogativa. E poi: Oddio, non ho capito. E si strinse nelle spalle. C’era da ammazzarlo. E io lo feci. Se mi dispiace o no, è un’altra faccenda” (Max Aub). (continua...)


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I tempi moderni sono caratterizzati da delitti nati per i motivi più futili. Trovarci di fronte qualcuno porta inevitabilmente a scontrarci con i nostri difetti e le nostre paure. A volte la violazione dei nostri spazi ci suona quasi come un delitto. Tal volta l’incontro con lo “straniero” ci porta ad esasperare i nostri difetti e le nostre paure. Come citava Aub, la realtà è molto più semplice. Uccidere è molto più semplice rispetto a tutti i motivi e le giustifazioni morali o mistiche che dovrebbero portarci a non farlo: “Uccidere, è come bere un bicchiere d’acqua!”. Abbiamo avuto bisogno di giustificare gli omicidi di Stato in una colpa a Dio, in un peccato morale come per le streghe e gli eretici. Poi in una colpa al concetto stesso di Stato, come nei casi di alto tradimento; fino ad avere il coraggio di guardare in faccia la miserabile essenza quotidiana dell’uomo-animale. Ne ha parlato Edgar Allan Poe, ne ha fatto un film Tim Burton parlando del barbiere Sweeney Todd, mentre Oliver Stone in Natural Born Killers ha romanzato il gusto del sadismo (così come Tarantino o Haneke), di guardare a un delitto come se si guardasse la televisione, arrivando quasi a riconoscersi. Almeno nelle intenzioni nessuno di noi può considerarsi innocente; si uccide per antipatia, insofferenza, per gli incontri e gli scontri di una giornata o di un incrocio al semaforo. E’ questo il tema portato in scena dall’associazione Meridiani Perduti, compagnia brindisina fondata da Daniele Guarini e Sara Bevilacqua con la serie di “Delitti (quasi) perfetti” ispirato ai “Delitti esemplari “ di Max Aub, opera edita da Sellerio. Meridiani Perduti è una compagnia teatrale “atipica” con una criticità comune a tante realtà del territorio: la mancanza di uno spazio fisico dove poter portare in scena i propri spettacoli. Ad ovviare a questo per ora ci ha pensato la rete, grazie ai corti teatrali raccolti nel loro canale di Youtube. Ovviamente la sfida dell’associazione è ambiziosa: diventare una compagnia teatrale stabile su Brindisi. Di tutto questo né abbiamo parlato con Daniele Guarini e con Sara Bevilacqua. Come nasce l’idea di delitti quasi perfetti? (Sara Bevilacqua) Anni fa una mia amica mi fece leggere il libro di Aub e rimasi affascinata da questi “mostri” che confessavano i loro delitti. L’anno scorso, per la produzione estiva, con i nostri 14 attori, abbiamo deciso di dar vita ai “mostri” di Max Aub. Di sicuro oltre che dal libro di Aub avrete colto spunto anche dalla cronaca quotidiana: quale rapporto avete avuto con le notizie di cronaca quotidiane? (Sara Bevilacqua) Certo, il nostro lavoro per la creazione dei personaggi, è partita da un’analisi del malessere, delle fobie dei protagonisti dei racconti di Aub, e i ragazzi sono stati molto bravi ad iniziare questo processo di trasformazione (voce e corpo). Successivamente abbiamo approfondito lo studio della cronaca nera che ogni giorno ci bombarda di notizie agghiaccianti (vicini di casa insospettabili, compagni di banco e persino parenti). Guardando alle radici del vostro lavoro qual è la vostra idea di teatro? Quale quella del corpo e della persona? Il teatro, per noi, è prima di tutto un mezzo di comunicazione, è strumento d’incontro tra gli esseri umani. Ma l’incontro deve, ai nostri occhi, essere speciale, deve essere autentico e intenso, dal momento che tutto ciò che ci circonda oggi non lo è: siamo individui spaesati, persi, nomadi spaventati, oggetti di consumo, frastornati. Ogni uomo ha bisogno di autenticità e intensità, ora più che mai. Cosa rende un’esperienza intensa e autentica, un’esperienza anche di qualità? Sicuramente una delle caratteristiche della qualità è la durata. Un bell’oggetto, un grande amore, un libro toccante, un dolore grave durano, a volte per sempre, nella nostra vita fisica e interiore. Perchè un’esperienza teatrale duri, deve essere organica: mente, cuore, ventre connessi nello stesso istante, nel qui e ora dell’incontro, in un


unico flusso che non si domanda il perchè della propria esistenza, semplicemente perchè esiste e basta. Un teatro che sia esperienza, che lasci il segno nell’anima. Che faccia, ridere, piangere, pensare insieme, che sia divertente e mai noioso. Da quanto è attiva la vostra associazione e di cosa si occupa? (Daniele Guarini) Meridiani Perduti opera dal Luglio del 2009, è nata da un’idea mia, di Sara Bevilacqua e Giammarco Bevilacqua con l’obiettivo di formare la prima compagnia stabile sul territorio di Brindisi. L’esperienza di Sara e la grande voglia di fare di giovani allievi, attori professionisti si coniuga per dare vita a questo sogno. Non ci occupiamo, però, solo di teatro. Io nasco come cantante e musicista e quindi abbiamo deciso di portare avanti progetti che fondono insieme musica e teatro (vedi delitti quasi perfetti). Quali produzioni state portando avanti? (Daniele Guarini) Il 26 febbraio nell’ambito di una rassegna per le giovani compagnie, organizzato dalla Fondazione Nuovo Teatro Verdi di Brindisi, abbiamo debuttato con “Invito a cena con delitto” - gioco teatrale ispirato alla piece teatrale di Neil Simon. Il 15 aprile, invece, debutterà Revolution!, spettacolo di narrazione con musica dal vivo con la drammaturgia di Emiliano Poddi, autore brindisino finalista del Premio Strega 2008. La regia di tutti gli spettacoli è di Sara Bevilacqua. In più con i corti stiamo partecipando a tutti i concorsi più importanti a livello nazionale (abbiamo vinto il Premio Sardegna Teatro In. Corto 2010 con “Ferita”). Siete riusciti ad ovviare al problema degli spazi creandovi un canale in rete e grazie alle vostre produzioni di corti teatrali? Siamo la più giovane compagnia tutorata dalla residenza “Teatri Abitati” di Maccabeteatro e cooperativa Thalassia a Torre S. Susanna (Brindisi). Non abbiamo uno spazio fisico tutto nostro ma stiamo cercando di fare rete con le altre realtà presenti sul territorio. Un esempio meraviglioso di rete è proprio l’esperienza nella rete di “Quante Storie...” che ci ha portato in giro per la Puglia. Credo che per un attore sia essenziale poter avere a disposizione uno spazio stabile: qual è la situazione degli spazi a Brindisi? La situazione non è certamente delle migliori. C’è un grande teatro comunale (gestito da una fondazione) ma non esistono spazi alternativi come anche spazi off per dare voce alle compagnie giovani. Siamo riusciti ad avere uno spazio in concessione da una scuola per continuare la nostra attività laboratoriale. Qual è il vostro rapporto con la città a tal proposito? Abbiamo avuto una discreta disponibilità di concessione gratuita (ma limitatissima nel tempo) di spazi dal Comune. Ora la rassegna organizzata dalla Fondazione Nuovo Teatro Verdi ci offre la possibilità di confermare quanto di buono stiamo facendo anche nella “vetrina” più importante della nostra città. A questo punto non ci resta che darvi appuntamento a teatro oppure iniziare a conoscerli sul loro canale di youtube. Per informazioni e contatti sito internet: www.meridianiperduti.it E-mail: meridianiperduti@libero.it Canale Youtube:http://www.youtube.com/user/sfranketunzen

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A SUON DI SCHIAFFI Gli Slogaritmo e l’arte del gesto sonoro

di Michele Granito


28 “Il ritmo è un battito e senza battito un corpo non può sopravvivere”. Questa citazione, tanto concreta quanto impossibile da smentire, ci offre l’opportunità per un’interessante riflessione sul rapporto tra musica e corpo. “Scoprire

cosa riesce a provocare una combinazione di suoni o una frequenza di pulsazioni sulla gestualità di chi ascolta, catalizza da alcuni anni l’attenzione di studiosi che, attribuiscono a questa dinamica, un valore oltre che spettacolare, a volte anche terapeutico.”

Da tutto il mondo ci arrivano testimonianze di come la componente ritmica sia strettamente legata al contesto storico e culturale di un popolo. Dall’Africa all’America meridionale, dall’Asia ai Balcani, dalla Puglia al Medio Oriente, ogni realtà sociale è portatrice di una tradizione che concede al ritmo un ruolo fondamentale, spesso religioso per via della sua valenza emotiva. Negli ultimi decenni, il risvolto magico del ritmo, quasi fosse un rapimento inconscio, ha subito un’evoluzione. L’interesse di un’avanguardia di musicisti internazionali ha portato alla nascita di gruppi che in poco hanno conquistato l’interesse del grande pubblico. Gradualmente ha preso forma un nuovo percorso che vede come elemento principale il corpo. Un corpo non più inteso come mezzo con cui suonare gli strumenti musicali ma inteso come strumento stesso di sfumature musicali, spesso ignorate o sottovalutate. Questa disciplina ha un nome ben preciso, si tratta della “Body Percussion”, componente fondamentale del vasto mondo chiamato “Teatro del Ritmo”. Un pianeta all’interno del quale il gesto diventa musica in funzione della riscoperta e della sperimentazione di un linguaggio primordiale ed istintivo. Ormai celebri sono gli inglesi Stomp che dal 1991


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girano il mondo trascinando il pubblico in teatri sold out. Dall’altra parte dell’oceano non si possono dimenticare i Barbatuques, gruppo di San Paolo che attraverso il corpo ripropongono in chiave moderna la coloratissima cultura brasiliana. Sulla scia di queste esperienze internazionali e in un contesto italiano che non dedica molto spazio a questa operazione artistica, anche a Bari c’è chi ha compiuto un percorso analogo.

Loro sono gli Slogaritmo, gruppo giovanissimo ma con il merito di aver importato nel nostro “panorama” artistico un lin-

guaggio sconosciuto ai più che ha già attirato l’attenzione di molti. Si tratta dell’esempio a noi più

vicino. L‘esempio degli Slogaritmo mostra come la quotidianità dei gesti e la semplicità di piccoli movimenti, possa generare una musicalità insolita, simpatica e coinvolgente, senza l’utilizzo di strumenti musicali. Il tutto servendosi esclusivamente della profonda familiarità del proprio corpo. Un mix di spontaneità e coordinazione che sicuramente sorprenderà gli scettici. Non resta che provare a conoscerli, ascoltando le sonorità che sono in grado di riprodurre e apprezzando una musicalità ignorata forse per troppi anni!


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Edizione 2011 Per ulteriori info: www.radioluogocomune.com


31 “...qualsiasi forma di espressione artistica avverte il bisogno di essere in continua evoluzione...�

Intervista a Valentina Colella

Dalla Puglia a Marsiglia, insieme alle sue mario

di Mirko PAtella


a

onette.

“Qui in Francia l’arte di strada, come tutte le forme d’arte, è riconosciuta legalmente e socialmente”

Qual’è stato il tuo percorso formativo e come sei diventata burattinaia? Sai quando si dice che gli eventi ti vengono incontro? Non sono stata io a cercare le marionette, loro hanno trovato me! Il mio percorso parte a Bari, dalla “Casa di Pulcinella” di Paolo Commentale, dove ho seguito le lezioni di Gabriele Ferrari, da cui ho appreso tecniche di drammaturgia, e ho assistito agli spettacoli del marionettista argentino Horacio Peralta. Proprio il connubio di questi due personaggi mi ha dato lo slancio per tuffarmi nel mondo del teatro di animazione. Fu Gabriele Ferrari a sostenermi e darmi fiducia nel credere in quest’arte, attraverso cui ho trovato la mia forma espressiva. Poi ho studiato a Cervia, presso la scuola di teatro di figura “Arrivano dal mare”, dove ho avuto modo di apprendere e sperimentare diverse tecniche di manipolazione e costruzione. L’esperienza di Cervia è durata circa un anno e mezzo e mi ha permesso di acquisire uno stile di manipolazione che è una fusione di diverse tecniche. Ho cominciato i burattini a guanto della tradizione della commedia dell’arte, quindi con canovacci classici, per poi passare

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alle marionette a filo dei Monticolla (antica famiglia di marionettisti le cui origini risalgono all’800). Infine sono arrivata all’eliminazione di fili, guanto, bastone, parola volti caratterizzati, per concentrarmi soltanto sulla poetica del “puro movimento”. Un semplice gesto può comunicare più di tante parole. E partendo da questo assioma, durante le mie performances io sono in completa simbiosi, in un rapporto corpo a corpo con la marionetta… Il mio percorso, comunque, non può certo dirsi terminato, perché qualsiasi forma di espressione artistica avverte il bisogno di essere in continua evoluzione.

Italia o Francia? C’è differenza tra i due ambienti culturali e c’è differenza su come viene vista la tua forma d’arte? Questa domanda mi suscita un cinico e triste sorriso. Sì, c’è molta differenza! Quello che dirò è una mia personale visione. In Italia come in Francia ci sono molti bravi artisti, ma in Francia un artista trova molti più stimoli nell’evoluzione personale e culturale: soprattutto, in Francia un artista ha la serena consapevolezza di poter avere un ruolo sociale riconosciuto, come accade normalmente per gli altri mestieri. Certo, non è tutto roseo, ma difficilmente ho conosciuto artisti che fanno un secondo mestiere per vivere! Siamo, insomma, meno alienati!! Qui in Francia l’arte di strada, come tutte le forme d’arte, è riconosciuta legalmente e socialmente: esiste “l’intermittent du spectacle”, vero e proprio ufficio di collocamento per gli artisti, che offre sia possibilità di lavoro con la propria arte, sia finanziamenti per formazioni, stage e master, sia sussidi di disoccupazione. Per quanto riguarda invece il teatro di figura, la differenza fra Italia e Francia è sostanzialmente culturale: il pubblico francese ne è da sempre educato… La mia esperienza personale? 90 euro per uno spettacolo a cappello con un massimo di 30 persone non sono elemosina, ma indice di apprezzamento e coinvolgimento del pubblico.

In passato ho assistito ad alcuni tuoi spettacoli e sono davvero rimasto impressionato dal tuo livello di coinvolgimento emotivo. Ce ne vuoi parlare? Il mio coinvolgimento e la mia capacità di comunicare sono tanto più intensi quanto più il pubblico è disposto a lasciarsi coinvolgere e a regalarmi le

sue sensazioni. Nel momento della messa in scena di uno spettacolo si crea liberamente un flusso di emozioni che orbita tra il pubblico e me e ci unisce in un continuo scambio emozionale.

Qual’è il tuo messaggio, cosa vorresti che le persone cogliessero nelle tue performances? In realtà è il pubblico che spesso mi suggerisce dei messaggi. Non ho mai pensato di dover essere una sorta di messia, per me è fondamentale èlasciare che il pubblico dia una sua libera interpretazione e, perché no, un suo personale messaggio. In sintesi… l’arte per me è soggettiva…come suggeriva qualcuno…

Da quale burattinaio ti senti più ispirata? Philip Genty è stato per me un maestro di ispirazione e continua fonte di stimoli. Ha portato in scena marionette e danzatori, fondendoli in un poetico e armonioso movimento.

Qual’è il tuo personaggio a cui sei più affezionata? La mia prima marionetta fuori dai canoni tradizionali, con un ovale bianco come testa, senza volto, con una vecchia federa del cuscino della mia culla come corpo. È un sognatore cronico capace di innamorarsi di qualunque cosa, come per esempio della Luna. Anche il pubblico resta da sempre affascinato dalla sua semplicità e poesia…

Affascina tanto anche me, vecchio sognatore incallito… Grazie, Valentina.

“Nel momento della messa in scena di uno spettacolo si crea liberamente un flusso di emozioni che orbita tra il pubblico e me e ci unisce in un continuo scambio emozionale”


34 “La mia prima marionetta fuori dai canoni tradizionali, con un ovale bianco come testa, senza volto, con una vecchia federa del cuscino della mia culla come corpo. È un sognatore cronico capace di innamorarsi di qualunque cosa”

Valentina Colella, 32 anni, burattinaia. Si diploma presso la scuola di teatro di figura “Arrivano dal mare” di Cervia.

Continua la formazione con numerosi stage e corsi di specializzazione in arte terapia, scolpitura del legno e della gommapiuma, marionette. Valentina attualmente vive e lavora a Marsiglia. Oggi conduce numerosi laboratori di costruzione di marionette e maschere per ragazzi disagiati della periferia marsigliese. All’attivo anche numerose performance teatrali, non ultime quelle presso l’Equitable Cafè e il Centre Baussenque di Marsiglia.


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LUCI E OMBRE DEGLI

ZEN CIRCUS

Intervista a Appino e Ufo prima del concerto all’Oasi di San Martino – Acquaviva delle F

di Valerio Vetturi Foto di Monica Falco Assistenza tecnica: Mirko Patella, Vincenzo Gerri


Fonti (Ba)

36 Gli Zen Circus sono una band punk-rock cantautorale che ha invaso la scena musicale italiana con il suo ultimo album, Andate tutti affanculo. Il loro cinismo nel raccontare alcuni dei luoghi comuni, dei vizi e delle abitudini italiane lascia il segno, fa riflettere, induce a quel sorriso amaro che ormai contraddistingue il quotidiano del Paese. All’Oasi l’atmosfera è subito accogliente, distesa e amichevole, e così inizia la nostra intervista.

Valerio: Un tour lunghissimo il vostro, di oltre 130 date; avete vinto anche

il premio al PIMI (Premio Italiano della Musica Indipendente) come miglior tour. Come ci si sente, sempre in giro?

Zen: Beh, bisogna esserci un po’ “trombati”. Deve piacerti prendere una

macchina, un furgone, un camerino, un albergo come la tua casa: se superi questo… Il facchinaggio è peggio! Il nostro, però, non è un mestiere che nasce solo per la sussistenza, ma per una passione forte, viscerale, grazie a cui tutto diventa leggerissimo. Inoltre questo Grand Tour ci permette di tastare il polso del paese, di vedere le cose come sono. Neanche un agente di commercio con il più grande portafoglio clienti può farlo!Tutto è nato così: da una parte la passione per la musica, che spinge ogni quindicenne a metter su un gruppo, dall’altra la curiosità estrema di vedere com’è fatto ‘sto Paese. Siamo stati anche all’estero, ci è venuta ancor più voglia di capire l’Italia.

Valerio: Infatti, il vostro tour vi ha condotto anche in Europa e Australia. Cosa vi ha portato a tornare in Italia e rimanerci?

Zen: Quando siamo atterrati in Italia dall’Australia, dopo l’estate

australiana, era gennaio e a Milano c’erano -2 gradi, neve da tutte la parti. Scesi dall’aereo, abbiamo incontrato una “pletora” di suore, che in Australia non avevamo visto per niente, i Carabinieri e un pullman, il cui autista parlava al cellulare, faceva manovra e mandava tutti a quel paese… Ci siam detti: “C’è bisogno di noi in Italia, che si fa? Si torna indietro lì, che è il Paradiso, tutti che stanno bene?! C’è bisogno di noi, come i supereroi, c’è bisogno degli Zen Circus!” Ce n’è bisogno anche perchè io (Appino, n.d.r.), cresciuto con la musica straniera, non mi riconosco nella musica italiana degli anni ‘90; penso ci sia bisogno di un percorso nuovo. La scena attuale è meno ricca di lirismo, è più diretta. Ad esempio, gli artisti collegati alla Tempesta (etichetta discografica indipendente), come Le luci della centrale elettrica, i Tre allegri


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ragazzi morti, Enrico Berto e il Teatro degli orrori hanno una certa propensione ad uno stile più anni ‘70, che a noi non dispiace.

Valerio: Ma voi vi sentite anni ‘70? Zen: No, noi siamo anni 2010, ma riscontro negli

anni ‘70 un certo modo di affacciarsi alla realtà diverso da quello degli anni ‘90, molto più intimista, più lirista. Noi ci sentiamo più legati ad esperienze punk collettivistiche, mentre negli anni ‘90 c’è stata una dimensione più “ombelicale”, più solipsistica. Penso però che questo sia un momento in cui ci sia bisogno di entrambe le cose.

Valerio: Vi rispecchiate nel “luogo comune” del

pusher marocchino nella Canzone di Natale?

Zen: Nella “Canzone di Natale” la telefonata

ha un senso ironico, ma comunque è vero che negli ultimi quindici anni c’è stato un incremento notevole di pusher extracomunitari. Tra l’altro la canzone non parla di hashish, ma d’eroina, e il commercio d’eroina è stato gestito, fin dagli anni ‘80, dai tunisini. Noi si è ragionato tantissimo sui luoghi comuni: Andate tutti affanculo è un luogo comune, l’album è pieno di luoghi comuni. “Andate tutti affanculo” è l’offesa più qualunquista che c’è: i titoli di alcuni pezzi dell’album sono vizi, è di quello che si parla.


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Noi ci sentiamo più legati ad esperienze punk collettivistiche, mentre negli anni ‘90 c’è stata una dimensione più ‘ombelicale’, più solipsistica...” Ufo: Il luogo comune che mi fa andare su tutte le furie è: “sputi nel piatto in cui mangi”.

Appino: A me sta sul culo la presa di coscienza

malata che sta nella frase: “Sono buono e caro, ma quando mi arrabbio...” O sei buono e caro, o ti incazzi, non rompere i coglioni!

Valerio: Cito: “Leggendo tutti gli epitaffi,

sembravan tutti dei santi”. Un esempio lampante di morto stronzo e santificato in lapide?

Appino: Beh, ce l’avete in casa: Padre Pio.

Comunque quella frase venne fuori quando andai a trovare mia nonna al cimitero con mia madre. Ci sono vari esempi di luoghi comuni, a tal proposito: “I bimbi sono tutti santi”, “Non si scherza sui morti”… Io vorrei che fosse scritto sulla mia lapide: “Pijatemi pe’ culo a vita”.

Valerio: Come nascono le vostre canzoni? Zen: Nel bagno di casa di mia madre parole e accordi, poi tutti insieme si cerca di farne venir fuori quello che ascoltate voi.

Valerio: Un’anteprima sul nuovo album Nati per subire?

Zen: Esce a ottobre, è il giusto seguito di Andate

tutti affanculo, va però più a illuminare quella categoria lì: i cattivi pagatori, i nati per subire. Il cinismo è lo stesso di Andate tutti affanculo. Durante il concerto abbiamo avuto il piacere di ascoltare in anteprima due pezzi del nuovo album: vi dirò, vale la pena aspettare ottobre per l’uscita del nuovo lavoro!

“...non mi riconosco nella musica italiana degli anni ‘90; penso ci sia bisogno di un percorso nuovo. La scena attuale è meno ricca di lirismo, è più diretta...”



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