LuogoComuneMagazine - Numero 5 - Arte

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Penn State University Sociologia di strada

La street-art di Ego e Hope Vessel Art Project

residenze per curatori

Nodo L’esperienza di

Mariantonietta Bagliato

Sonikasik Yes We Knit Cafè una mostra a uncinetto

Pierluca Cetera Contaminazioni fra arti visive e teatro

LuogoComuneMagazine

n. 5


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Fotoracconto

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Sociologia di strada: la street-art di Ego e Hope

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Street-art America: Penn State University

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Vessel Art Project - residenze per curatori

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Nodo: l’esperienza di Mariantonietta Bagliato

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Una personale su Francesca Corcetti in arte Sonikasik

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Contaminazioni fra arti visive e teatro: l’esperienza di Pierluca Cetera

Yes We Knit Cafè: una mostra a uncinetto

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LuogoComuneMagazine n. 5 LuogoComuneMagazine è una testata in corso di registrazione

Direttore Responsabile: Francesco Pasculli Redazione: Caporedattore: Antonella Ciociola Annarita Cellamare Mirko Patella Nico Andriani Michele Granito Valerio Vetturi Art Director: Daniele Raspanti Fotografia: Monica Falco Ufficio Stampa: Elisabetta Maurogiovanni Disegn e Illustrazioni: Francesco “Nobu” Raspanti Contatti: luogocomunemagazine@gmail.com


EDITORIALE Cari amici con il quinto numero di LuogoComuneMagazine continua il nostro lavoro di ricerca nei linguaggi espressivi dell’arte metropolitana. Dopo il cinema, il teatro, la musica è infatti la volta di uno speciale dedicato all’arte, esplorato attraverso i racconti di alcuni dei protagonisti del nuovo rinascimento culturale barese. Lo speciale è un focus sui più interessanti percorsi artistici attualmente in essere nella provincia barese e su alcune esperienze partecipate di arte collaborativa. Il tutto ovviamente da cornice ad una produzione di opere di qualità disseminate non solo negli spazi espositivi “convenzionali” ma anche in luoghi del comune vissuto urbano. L’esempio, in quest’ultimo caso, lo offre un viaggio nella street art barese, un percorso fisico da percorrere in un solo pomeriggio partendo dal Policlinico con destinazione corso Trieste, dove potrete scoprire, tra centraline elettriche e cabine telefoniche, i lavori di alcuni artisti come Ego ed Hope, con tanto di mappa per geolocalizzarli. Giusto pretesto questo, per spostare l’attenzione dall’altra parte dell’Atlantico, allargando la riflessione sull’arte di strada, con alcuni studenti americani della Penn State University, coadiuvati dal prezioso lavoro del Prof. Patrick Tunno.

Il magazine è anche un focus sul Vessel Art Project, uno spazio no profit dedicato all’arte contemporanea dove la partecipazione e la collaborazione diventano il trait d’union rispetto ad un modo di concepire la costruzione e il momento artistico, quasi fosse il risultato di una creatività sociale in continua evoluzione. Il tutto condito da un mix di fusioni mediterranee capaci di dar luogo alle prime esperienze baresi di residenze internazionali dedicate a giovani curatori. Il numero continua con due interviste di primo piano. La prima a Mariantonietta Bagliato con il suo progetto “NoDo”, uno spazio nel quale da anni continuano ad incontrarsi identità e linguaggi differenti, collegati, come descrive lucidamente la Bagliato, da una logica espositiva di fili e nodi intrecciati tra loro. La seconda invece a Francesca Curcetti, in arte Sonikasik, un’artista in movimento sull’asse Milano Bari e con il suo pensiero di “donna iperfemminile, forte ed indipendente”. Contaminazioni pittoriche ed ingranaggi teatrali è invece il lavoro dedicato a Pierluca Cetera, un artista visivo che ha fondato il suo linguaggio e parte delle sue opere, con l’incontro della drammaturgia e della rappresentazione di scena, utilizzando sapientemente il gioco di luci trasparenti e retro illuminate. Concludiamo il numero con uno

sguardo a “YES, WE KNIT”, una mostra a uncinetto frutto del lavoro di due giovani designer baresi, Angela Tomasicchio e Barbara Verri, con l’obiettivo di ridar vita ad oggetti di uso quotidiano, come una tazza da the o un complemento d’arredo, utilizzando esclusivamente il vecchio, caro ed intramontabile gomitolo di lana. Un ultimo cenno va infine alla riorganizzazione editoriale del nostro magazine che conoscerà nei prossimi mesi una graduale metamorfosi nel flusso comunicativo, non più limitato alla sola pubblicazione della rivista ma sempre più aperto a note redazionali, tweet, social networking sui principali canali della rete. Il tutto in attesa dell’apertura di uno nuovo spazio virtuale, una sorta di diario di bordo, nel quale pubblicare la nostra agenda di (contro)informazione culturale. Infine due ultime novità, a breve lanceremo un concorso aperto a giovani grafici e web designer per la creazione del nuovo logo di LuogoComuneMagazine e apriremo un bando per la ricerca di giornalisti e collaboratori per il magazine. In attesa delle novità, l’appuntamento è per tutti voi al Medimex, dove potrete trovarci insieme a tutto lo staff di RadioLuogoComune nell’ormai collaudato salottino della radio. Buona lettura Francesco Pasculli

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FOTO RACC ONTO


Angela Lomele, Polignano, 1969 “La maturità è bella fino ad un certo punto, perché non ti permette di trasgredire, e la trasgressione è il pane della creatività. Questa è la ragione per cui preferisco darmi ancora dell’immatura.” Angela è nata così, sapeva già che doveva fare l’artista, creava fin da piccola, fin dalla scuola materna, periodo in cui le hanno fatto notare che aveva questa propensione. Il suo percorso, però, è cominciato con gli studi da geometra, e così, dopo aver portato a termine la sua “missione”, si è iscritta all’Istituto d’arte. Ha proseguito iscrivendosi a scienze dell’educazione, ma non è riuscita a terminare gli studi per la gravidanza. Successivamente, è arrivato il momento tanto atteso dell’iscrizione all’Accademia di Belle Arti, al corso di pittura. Inizialmente i suoi lavori erano piuttosto complessi, morbidi, molto ricchi di linee e di colori. Non riguardavano solo la pittura, ma anche la scultura e la decorazione. Poi, quasi inavvertitamente, come fosse un’esigenza, Angela s’è ritrovata ad esprimersi attraverso simboli essenziali e le sue curve, da morbide son diventate solide. La sua espressione diventa così una figura geometrica: il cubo, e i suoi colori diventano il bianco, un singolo che li contiene tutti. Essenzialità. Il cubo, tutt’oggi presente nei suoi lavori, non è l’opera. L’opera è ciò che il cubo stesso contiene ma non svela. Perfezione esteriore e confusione interiore. Il cubo come emblema dell’essere umano. La mostra al NoDo, è coincisa con il punto di partenza del cubo. Si trattava di microinstallazioni fatte con dei cubi di diverse dimensioni, da 5cm a 1m di lato, inseriti nella dimensione del gioco, dal quale la mostra prendeva il titolo: “Sala giochi”. L’ultima mostra invece, inconsapevolmente più che riuscita, risulta quella tenutasi per la Biennale e conclusasi il 1 novembre 2011. Anche lì c’erano dei cubi, ma le opere non son mai state tirate fuori dagli imballaggi per disguidi tecnici. L’idea di Angela, per quell’occasione dunque, è stata quella di parteciparvi comunque, con un gesto di estrema coerenza involontaria, presentando le opere a livello concettuale: un’opera nell’opera. Tra le altre, Angela ha partecipato con trasporto, entusiasta e coinvolta dall’effervescenza giovanile, ad una mostra che porta nel cuore, a Corato, presentata da un giovanissimo critico d’arte, Alexander Larrarte col quale sta portando avanti altri progetti. Non attenderemo troppo per vederli. Nel frattempo, quel che per certo sappiamo è che Angela ha fame di spazi. Voglia di cubo. Facebook:http://www.facebook.com/profile. php?id=1050594392 Sito Internet: http://www.angelalomele.it/ (in allestimento)

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Claudia Giannuli, Bari, 1979 Inizialmente ero terrorizzata dal confronto con l’argilla, con la scultura, con “ciò che adesso sono”. Nel periodo delle scuole elementari, Claudia barattava i suoi disegni con sacchetti di patatine. Seguendo questa passione, frequentò il Liceo artistico, scuola in cui ebbe la possibilità di conoscere colui che tutt’oggi considera il suo mentore: Giuseppe Samarelli. Con l’idea di approfondire in parallelo lo studio della scultura, concluso il liceo, Claudia si iscrisse all’università di Architettura di Bari ma, trovando questa facoltà troppo “tecnica”, dopo un anno la lasciò, prediligendo il lato artistico dell’Accademia di Belle Arti. La conclusione degli studi, però, le provocarono un rifiuto nei confronti dei circuiti artistici, una sorta di chiusura. Così, continuò a lavorare sì, ma solo per se stessa. Tutto ciò andò avanti per quattro anni, fino all’incontro con Mariantonietta Bagliato, che segnò la sua ripresa e rimessa in gioco. Con Mariantonietta ed intorno al NoDo, dunque, si era così creata un’atmosfera di aggregazione, amicizia e confronto. Energia positiva. “Parzialmente scremato” è stato il titolo della mostra personale che Claudia ha presentato al NoDo. Le sue bambole a tutto tondo giocavano con e parlavano del ruolo della donna nella società. Una poetica tutta al femminile che narra della costrizione delle donne, della maternità, dell’obbligo al legame affettivo-emotivo. Una sorta di racconto sui legami familiari ed i rapporti umani, di cui la lettura, molto spesso, è in chiave cinica, infatti, le sue opere, sono rappresentate da iconografie giocose che lanciano messaggi “soffocanti”. Ogni singolo elemento, ha un proprio significato, ogni dettaglio, è un riferimento a qualcosa o qualcuno. Ultimamente i suoi lavori sono cambiati, ma solo nella forma. Le sculture sono più piccole e racchiuse in teche che ricreano un ambiente familiare, non più bianche, ma colorate e riproducono delle scene come se fossero una serie di scatti fumettistici. Le opere di Claudia, potremo visionarle dal vivo a fine Gennaio 2012, presso Fabrika Fluxus, in una mostra personale che presenterà nuovi personaggi. Sito Internet: www.claudiagiannuli.com Facebook: http://www.facebook.com/profile. php?id=1543381126

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Giuseppe Sassanelli, Modugno 1980. But l’infante pensa che il mondo sia una grande mortadella. Lui è così. Prendetene una fetta tutti quanti. Disegna e dipinge da quando era bambino, seguendo la scia del nonno, che ha dipinto fino a 70 anni, e del padre. Crescendo si è legato alla cultura underground dell’hip hop e dei graffiti. Inizia col Writing per avvicinarsi ai Puppets, genere nel quale Giuseppe si specializza creando i Puppets One Line e così, coi suoi fumetti ed illustrazioni, collabora nella rivista underground “Pillole”. Inizia perciò da autodidatta e, dopo una serie di “strane” coincidenze, sceglie di iscriversi all’Accademia di belle Arti di Bari per approfondire la sua conoscenza. Appassionato della scena dei graffittisti Newyorkesi degli anni 80, Basquiat, gli incisori del Die Brücke e affascinato da Picasso, dal quale fa sua l’espressione: “Arte come fenomeno di espulsione”, Giuseppe crea le sue opere trasportato dall’entusiasmo del momento, nel momento. Una sorta di idea in divenire. Nel periodo più produttivo della sua vita, che va dal 2006 al 2010, Giuseppe si è concentrato su due tecniche specifiche: disegni in bianco e nero, a penna e disegni a colori con i pastelli ad olio. Una parte di questi suoi lavori la si può trovare in un libro autoprodotto: “Few Seconds” che include inoltre, storie a fumetti, illustrazioni, una serie di ultimi e nuovi soggetti e, ciliegina sulla torta, But L’Infante, personaggio fuori dagli schemi e protagonista di molte storie non sense. Al momento, sta concentrando le sue energie verso la musica. Sta realizzando il suo primo disco da solista, “Per Capita”, titolo tratto da un quadro di Basquiat, la quale uscita è prevista per dicembre 2011. Intanto possiamo avere un assaggio del video di Giuseppe, in arte Tensione: “Una parte infinitesima”, girato e montato dal giovane videomaker Fabio Colonna. Sito internet: http://fewseconds.blogspot.com/ Facebook: http://www.facebook.com/dottknap?ref=ts Video: http://www.youtube.com/watch?feature=player_ embedded&v=6YSquzWY1xY

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Jara Marzulli, Bari, 1977 Il corpo della donna, non rappresenta solamente la femminilità, rappresenta proprio l’universo. Jara coltiva la sua passione per l’arte fin da bambina. Nessun dubbio, quindi, riguardo al percorso didattico che è stato una sua precisa scelta, a partire dal liceo artistico per continuare con l’Accademia di Belle Arti. Ha lavorato in una bottega d’arte, collaborando col maestro Michele Ardito col quale s’è instaurato spontaneamente un rapporto di stima reciproca. Nel frattempo è nata l’esigenza di fondare un’associazione artistica che, assieme ad una collaborazione con un’agenzia di pubblicità e design, ha inevitabilmente sottratto del tempo al suo lavoro individuale. Questa consapevolezza l’ha portata ad abbandonare tutto il resto per dedicarsi interamente alla sua arte. Affascinata dall’espressionismo, influenzata da Egon Schiele, Jara è stata inizialmente molto attratta dall’utilizzo dei colori spinti e dalla deformazione della figura. Successivamente, sperimentando luci ed ombre, s’è avvicinata ad una corrente sempre più realistica, facendo proprio uno stile che richiama quello caravaggesco. Il periodo della sua prima gravidanza, tema affrontato anche nelle sue opere, è stato denso di partecipazioni ad eventi e mostre in Italia ed all’estero. La sua arte è ricca di oggetti simbolici che vanno a riscoprire dei valori antichi, quasi ancestrali, che si fondono con la comunicazione attraverso la rappresentazione della gestualità e del corpo della donna. Oggetti-simbolo di una femminilità che va contro l’abuso del corpo. Una sorta di ritualità degli universi femminili, descritta con nastri, lenzuola, cuciture, ricami e rossetti. Alcune opere di Jara le possiamo trovare nella nuovissima galleria “Le muse giovani” ad Adelfia, progetto in collaborazione con il centro di promozione culturale Le Muse di Andria. Sito Internet: http://www.jaramarzulli.it/ Video de “Il rito”: http://www.youtube.com/watch?v=HGfFOQg1knU&fe ature=player_embedded Galleria: http://lemusegiovani.altervista.org/Le_Muse_Giovani/Home. html

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Marco Testini, Bari, 1987

Subito dopo le scuole medie, avrebbe voluto scriversi all’istituto d’arte, però, per forza di cose, si ritrovò in una scuola per ragionieri. Non più d’un anno dopo, la lasciò per cominciare finalmente a seguire la sua passione. Ha così proseguito gli studi all’Accademia di Belle Arti, cominciando con quella di Roma, per finire il corso di decorazione in quella di Bari. Il merito della sua formazione artistica, Marco lo attribuisce ad un docente, ormai in pensione, Franco Menolascina col quale è riuscito, partendo dalla conoscenza delle varie tecniche scultoree e figurative, a giungere ad un’idea di arte più concettuale. La stessa mostra al NoDo, dal titolo “Autocritica”, trattava di un’installazione che prevedeva diverse dita che spuntavano dalle pareti della galleria e che quindi puntavano verso gli ospiti. Non solo autocritica quindi, ma anche critica. Nel frattempo, la necessità di spazi, ha portato Marco a cercare di svincolarsi dall’obbligo di una vetrina, quale può essere una galleria, ed è così che ha realizzato il progetto: “labbra magnetiche”. Questo lavoro è iniziato col mettere l’opera, numerata e siglata, in vendita online, documentando tutto, dalle richieste degli utenti, alle parti del mondo dalle quali provenivano, per finire con le domande che hanno accompagnato le richieste, dando un valore più concettuale che estetico a ciò che Marco, sulla base del proprio pensiero, definisce affettuosamente “feticcio”. Da quel momento in poi, ha cominciato ad affrontare tutte le tematiche riguardanti il web e tutte le possibilità di comunicazione per sintetizzare sempre di più la dimensione concreta delle cose e far così prevalere quella ideale. Ultimamente sta utilizzando il qr code, trovandolo molto interessante e vicino a quelle che sono le sue idee, data la sua semplicità e sintesi di comunicazione. I suoi progetti al momento sono in stand by causa studio, ma noi potremmo, utilizzando uno smartphone, non fermarci e seguire il suo consiglio in attesa di novità. Sito web: http://www.marcotestini.it/ Blog: http://marcotestini.blogspot.com/ Facebook: http://www.facebook.com/matestini?ref=ts

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Pierpaolo Miccolis, Noci, 1985. L’uomo è da Coca Cola Light, la donna è da Grimbergen. Appassionato di moda e chimica del tessuto, Pierpaolo si è diplomato come Tecnico e Stilista di moda. Da ed attraverso questa passione e la naturale propensione al disegno, sono subentrati altri interessi concernenti l’arte in genere e contemporanea nello specifico. Guidato dall’istinto, s’è iscritto al corso di pittura dell’Accademia di Belle Arti presso la quale s’è laureato. Successivamente ha seguito un corso di perfezionamento con altri artisti di fama nazionale ed internazionale, curato da Lia De Venere ed in collaborazione con la fondazione “Pino Pascali”, ha esposto le sue opere con altri 8 artisti pugliesi tra il 2010-2011. I delicati acquarelli di Pierpaolo, spesso narrano della complessa relazione cibo-corpo. Di come e quanto i disturbi alimentari possano, non di rado, ledere anche un individuo fisicamente sano. Anoressia, bulimia e ribaltamento dei ruoli imposti dalla società sono ghiotte realtà che l’artista affronta in maniera ironica, cercando di essere quanto più possibile presente nella società. Il cibo e relazione col cibo stesso son stati inoltre i temi affrontati durante quella che lui considera la sua prima mostra, avvenuta, appunto, al NoDo. La performance prevedeva la realizzazione di peni di biscotto (da mangiare) che hanno svelato l’imbarazzo stesso che l’artista voleva sottolineare. La donna che gli ha trasmesso il senso di non pudore e coraggio necessari per la rappresentazione di un’arte totalmente libera è Carol Rama, considerata da Pierpaolo la “nonna della sua arte”, in quanto considera il suo lavoro come un riassunto del primo ed ultimo operato artistico di Carol. “Mi piace pensare di poter fare quello che voglio”. (C. Rama) Al momento, è impegnato in un progetto a lungo termine che vede egli stesso protagonista di un lavoro incentrato sulla minuziosa trasformazione giornaliera del proprio corpo. Inizierà nel gennaio del 2012 per concludersi esattamente dopo un anno. Attendiamo.

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Sito internet: http://pierpaolomiccolis.blogspot.com/ Facebook: http://www.facebook.com/pierpaolo.miccolis?ref=ts


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Sociologia di strada

La street-art

di Ego e Hope di Nico Andriani

In circa cinquant’anni, i ritmi dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione hanno radicalmente trasformato le nostre città. Sembrava che questa crescita entusiasta non avrebbe mai avuto fine: dagli anni ’90, invece, è nata una tendenza diametralmente opposta, in cui il declino urbano ha preso il sopravvento. Nei vecchi paesi industrializzati, nei quali principalmente si è riscontrato il fenomeno del ritiro urbano, le cause principali sono dovute alla suburbanizzazione, alla deindustrializzazione, al calo demografico e ai cambiamenti politici. E così, le aree metropolitane, che progressivamente anda-

vano svuotandosi, sono diventate oggetto privilegiato di interventi architettonici e urbanistici (ma non solo) che valorizzassero e restituissero alle persone tutto quel cemento abbandonato. In tal senso, uno dei progetti internazionali più interessanti degli ultimi anni è stato shrinking cities: coinvolgendo attivamente oltre 100 artisti, architetti, urbanisti, giornalisti e studiosi che hanno analizzato le regioni di Detroit (USA), Manchester/Liverpool (Gran Bretagna), Ivanovo (Russia) e Halle/Lipsia (Germania), shrinking cities ha proposto interventi artistici, di carattere architettonico, paesaggistico o mediatico,

Ulteriori approfondimenti: I muri di bari, i muri di ogni nostra città http://www.famefestival.it/ http://www.shrinkingcities.com http://www.shrinkingcities.com/it/

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fino ad arrivare ad indicazioni di nuove regole legislative e all’ideazione di progetti utopici, spesso in stretta collaborazione con i cittadini e con gruppi ed istituzioni locali. Uso questa premessa per tornare su un livello strettamente locale: Bari è al centro del programma strategico dell’area metropolitana BA2015, istituzionalmente “un atto volontario di pianificazione e condivisione di una visione futura del territorio”, per “mettere insieme una serie di interventi e di procedure finalizzate alla progettazione e al governo di processi di forte trasformazione sociale e territoriale”e l’urgenza di affron-


tare questi problemi parte dal basso: le persone, i cittadini ora richiamano attenzione e lo fanno nei modi più disparati, dalla parola, scritta o urlata, all’arte. Ora, prendiamoci del tempo fuori dai ritmi della città e camminiamo. Bari: una ideale lunga passeggiata che ci porti dal Policlinico fino a corso Trieste. Prestiamo attenzione ai dettagli che ci hanno lasciato due street artist, Ego e Hope. In zona parco Due Giugno, a ridosso della pista ciclabile, possiamo veder spuntare due bambini su una bicicletta fatta di girandole colorate. Arrivando al lido “Il trullo” due bambini giocano a rincorrersi

Ora, prendiamoci del tempo fuori dai ritmi della città e camminiamo. Bari: una ideale lunga passeggiata che ci porti dal Policlinico fino a corso Trieste. Prestiamo attenzione ai dettagli che ci hanno lasciato due street artist, Ego e Hope.

con dei secchielli sullo sfondo del mare. Il dettaglio è che il secchiello con cui i bambini giocano, in costume da bagno con la loro tipica spensieratezza d’estate, è un water. All’estremo opposto, idealmente e fisicamente, in zona Policlinico, su un muro vicino un’edicola siede un barbone a due dimensioni. Ci domanda attenzione, ci chiede di “taggarlo” nella vita reale. Dalle parti della Chiesa Russa, davanti alla panchina di un piccolo parco uno spazzino raccoglie delle banconote da terra (come diceva Majakovskij, il denaro è un ladro insaziabile per l’anima) e una ragazza unisce dei puntini su quello stesso muro e disegna un cuore. Nel cemento.

Sono piccole istantanee, tutte romantiche e tutte baresi, realizzate da Ego e Hope, due dei principali rappresentanti dell’arte di strada barese, dove si possono cogliere alcuni di quelli che sono i problemi che restano latenti in ogni amministrazione: l’inquinamento, la mobilità sostenibile, l’urgenza di ritrovare un senso di comunità e di realtà oltre della globalizzazione mediatica. Come singoli siamo sempre un po’ indietro e il dispositivo della rappresentanza democratica non è sempre (forse anche un po’ fortunatamente) in grado di rispondere in maniera pronta ai bisogni di tutti. Così si sono sviluppati alcuni piccoli movimenti di guerriglia arti-

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stica, e Bari sa raccogliere e unire in un unico scenario elementi che si urtano in maniera così perfetta tra di loro, tra l’incuria e lo sviluppo urbanistico. Bari è stato uno dei centri principali per l’arte di strada e il bombing negli anni ‘90, sui suoi muri raccoglie più di vent’anni di evoluzione, a partire da un carrello della spesa posto sopra alcuni cartelloni pubblicitari a Japigia, una specie di padre putativo degli stencil che possiamo vedere oggi. La mente elabora, la mente analizza la realtà, i bisogni che non vengono raccolti e agisce. Come in un processo onirico materializza quello che sarebbe la risposta, l’entusiasmo di un bambino, l’ “invisibilità” di chi vive ai margini della società. Ego e Hope ci hanno raccontato di come l’arte dello stencil sia un’arte recente e ascrivibile a pochi artisti (Blek le rat ne è stato il precursore, Bansky l’artista più conosciuto) e come il movimento della streetart sia diverso dalla scena dei graffiti presente a Bari da anni. La street-art è un’arte che diventa parte del tessuto urbano perché ci si muove su due modalità di ricerca: la ricerca del muro “giusto” e il legame tra il messaggio e il muro. La vita d’artista di Ego e Hope è l’esigenza di lasciare una traccia, un messaggio. Non è un approccio da professionisti dell’arte, anche perchè la street-art garantisce lo spazio ad una pluralità d’approcci. Ogni volta che fanno un pezzo c’è un messaggio intrinseco, a partire dalla richiesta di riappropriazione dello spazio pubblico per evitare di subire la cementificazione, c’è l’esigenza “politica” del messaggio, ora la città sta diventando una città di cemento più che delle persone, e c’è il messaggio legato al soggetto dell’opera , il suo contenuto puramente artistico. La politica è una scelta civica quotidiana. Certo, a livello di ricezione, il confine tra vandalismo e arte è molto

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“Che cosa è un atto creativo se non qu da un accostamento inedito, da un’ass pensata, dall’umorismo all’opera lette le o pittorica, ma anche alla costruzion movimento culturale o politico?” (Fr


uello che nasce sociazione imeraria, musicane di un nuovo

ranco Cassano)

labile e anche chi fa street-art è oggetto dell’attenzione dell’amministrazione locale; l’arte di strada è fatta di piccoli “raid”, manifestazioni pacifiche e dal forte contenuto simbolico. Lo dimostrano anche gli interventi del collettivo Paracity, duo che a Bari trasforma cartelli stradali e centraline elettriche in opere e messaggi unici sparse per tutta la città; per raccogliere il loro invito a non camminare con gli occhi bassi, vi segnaliamo tra i tanti una cabina elettrica trasformata in pacchetto di sigarette in corso Benedetto Croce e un cestino dei rifiuti trasformato in una lattina di coca-cola ma con il brand modificato in “coca-city”. Sono interventi artistici e spontanei ma essenzialmente fuori dal controllo comunale e a Bari si dibatte molto sulla proposta di un “albo”, una scelta che in qualche modo urta con l’essenza artistica della street-art: “Il Comune ha dato degli spazi per i giovani artisti ma questo sembra voler controllare il movimento, io la street art l’ho sempre vista come un movimento senza regole e più che dare questo tipo di controllo sarebbe meglio dare lo spazio disponibile per tutti”, ci dice Hope, a cui si aggiunge Ego: “Personalmente chiedo più attenzione al cittadino, rispetto a quella dell’istituzione.” La burocrazia è sempre dietro l’angolo ed è difficile dare un quadro istituzionale a una realtà che fa del suo essere immediato e fuori dalle regole la sua ragion d’essere. Istituzionalizzata, un’opera street diventerebbe un abbellimento, una riqualificazione di uno spazio. Un’opera street invece sta lì a stuzzicare una domanda, a cercare il senso degli spazi urbani in cui viviamo, i problemi del paese e pre(te)ndersi il proprio spazio. Per quanto l’arte sia riproducibile, uno stencil, un’opera street è unica nel suo senso originario del termine, non si può neanche fotografare senza comunque finire

per decontestualizzarla. L’arte, il suo messaggio, sfugge alle tentazioni di cercare di dare un senso alle cose solo “istituzionalizzandole”, e sia Ego che Hope ricordano come ogni artista debba sentirsi libero di esprimere quello che deve rappresentare, senza intermediari. Un ultimo spin-off ce lo offre un esempio pratico e pugliese: il 24 settembre a Grottaglie è giunto alla sua quarta edizione il Fame Festival, ideato da Angelo Milano (www.studiocromie.org), il festival di street art più famoso in Italia e probabilmente nel mondo, che ha riunito i più affermati artisti internazionali della street art, come gli italiani Erika il Cane, Blu, Cyop & Kaf, la polacca Nespoon, il tedesco Boris Hoppek e lo spagnolo Sam3. L’arte che entra negli spazi, gli spazi che prendono vita. Il pensiero che prende una forma e diventa tangibile. Gli artisti hanno lasciato le loro visioni, i lori messaggi sui muri della città. Il Comune non rilascia permessi per tutto questo, eppure gli esseri e le visioni che abitano i muri di Grottaglie hanno acquisito una cittadinanza di diritto che supera un permesso istituzionale: è come essere in un paese delle meraviglie, dove l’assurdo e la realtà si uniscono in una nuova dimensione. I muri di Ego e Hope, i raid di Paracity, il Fame Festival di Grottaglie: è come trovarsi di fronte a quello che Franco Cassano definisce la creatività mediterranea, una “mente sottile”, una mente “capace di scorgere o concepire delle relazioni inedite tra eventi o significati normalmente appartenenti a universi diversi”: “Che cosa è un atto creativo se non quello che nasce da un accostamento inedito, da un’associazione impensata, dall’umorismo all’opera letteraria, musicale o pittorica, ma anche alla costruzione di un nuovo movimento culturale o politico?”

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Penn State University

Street Art America A cura di Francesco Pasculli e Patrick Tunno

L’intervista che segue è il frutto di una collaborazione che LuogocomuneMagazine ha voluto avviare con la Pennsilvanya State University negli States. Penn State, fondata nel 1855 nel piccolo comune di State College, è una delle 10 università più presti-

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giose di tutti gli Stati Uniti. Oggi accoglie circa 40 mila studenti e ogni anno sono tantissimi quelli che si dedicano allo studio della lingua e della cultura italiana. Con la “Honors Italian 003” e il Professor Patrick Tunno, abbiamo provato ad intervistare alcuni gio-

vani studenti per riflettere anche un punto di vista nuovo sul tema della Street Art. All’intervista segue anche una descrizione del loro festival d’arte che ogni anno richiama visitatori da tutti gli Stati Uniti.


L’arte di strada è molto popolare in tutti gli Stati Uniti, dalla West alla East Coast, tuttavia è molto più comune nelle grandi città come New York e Los Angeles. Oggi le caricature, le etichette e l’arte mosaica rappresentano le forme più innodi Sofie Kohler, Javier Suarez e Wendi Falk vative, ovviamente i graffiti rappresentano quelle più di tendenza, con forme molto differenti da quelle più eleganti ed artistiche a quelle più grezze e territoriali delle bande. Un artista molto famoso è “Poster Boy” che usa un semplice rasoio per manipolare grandi poster pubblicitari. Ovviamente in tutto questo non possiamo dimenticare anche le caricature, la cui presa sul pubblico

L’arte di strada è un fenomeno metropolitano vecchio più di trent’anni, quali sono le nuove tendenze in atto nelle città americane?

Nella street art gli ingredienti più importanti sono in ordine il significato che si vuole esprimere e il luogo dell’esposizione. È necessario avere una visione ed uno scopo nella creazione dell’opera. L’arte dovrebbe essere piacevole, ma di Grace Rambo e Caroline DeFebbo soprattutto, dovrebbe stimolare la

Parliamo di riqualificazione e di recupero degli spazi. Secondo voi in un progetto di street art quali sono gli ingredienti più importanti?

è notevole. In particolare autoritratti che trasformano i volti in cartoni animati provocanti. Un’altra forma di arte di strada, che è anche una grande festa popolare americana, è la sfilata di Homecoming, che tradotto vuol dire ritornare a casa. È un grande evento, aperto a vecchi e nuovi studenti. Gli studenti e i cittadini organizzano solitamente una sfilata con automobili addobbate secondo un tema ricorrente. In questo sia i circoli universitari che le confraternite sono tra le più attive ad organizzare vere e proprie parate cittadine.

mente e dovrebbe parlare al cuore. La potenza dei significati attira la gente ad osservare l’opera, non il contrario. La posizione è l’altro aspetto fondamentale, dovrebbe essere collocata in posizioni strategiche, in aree dove le persone possano vederla e ammirarla.

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Qual è, secondo voi, la percezione dalla gente verso queste espressioni artistiche? Positiva? Indifferente? di Ally Miller e Kevin Medved

La città di Bari ha lanciato un progetto dal titolo CAP 100 - City Art Project. Il progetto vuole regolamentare la street art e la diffusione “organizzata” dei graffiti sui muri più degradati delle periferie. Avete qualche esperienza simile da raccontare in America? di Mary Ogilvie e Michael Valania

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Secondo noi la percezione continua ad essere variegata. Le espressioni illegali – per esempio, i graffiti – non piacciono agli adulti perché le vedono come atti di puro vandalismo. I giovani, però, sono più abituati. Non vedono i graffiti nega-

tivamente perché fanno già parte della loro cultura metropolitana. I murales che si trovano a State College, sono bellissimi, esprimono la storia e la cultura di Penn State.

Sì, abbiamo un’esperienza simile in America. Abbiamo vissuto vicino a Washington D.C. e quella città ha un programma dedicato ai ragazzi per prevenire graffiti illegali. Hanno luoghi particolari per creare la street art, così possono esprimere tutto ciò che vogliono in maniera legale e sicura. Pensiamo che que-

sto programma sia una buonissima idea per integrare l’espressione artistica di molti giovani con il resto della comunità, prevenendo atti di vandalismo. Migliora anche il rapporto tra la gente e gli spazi urbani creando affezione e familiarità in luoghi prima dimenticati.


Nel vostro festival universitario avete una sezione dedicata alla street art? di Abigail Lipow e Brian Adams

Da noi c’è un festival dell’ arte che si chiama Artsfest. Al suo interno abbiamo una sezione dedicata alla street art nella quale gli artisti fanno pittura di strada con il gesso e disegnano capolavori sulla terra.

Quanto interesse richiama la street art per il vostro sistema accademico?

ARTSFEST

Anche se non hanno lo stesso significato alcune opere somigliano ai graffiti. Un murale fuori da un diner (tipo di trattoria americana) ci fa ricordare quanto sia importante di Abigail Lipow e Brian Adams il concetto di comunità studentesca. Un diner è un posto infatti che a prima vista potrebbe sembrare banale ma è un luogo d’incontro, di socializzazione, di lavoro per gli studenti. In più il nostro festival è molto legato alla nostra università e alla

ArtsFest (The Central Pennsylvania Festival of the Arts) è un festival datato 1967 il cui obiettivo è da sempre quello di mettere in mostra le forme d’arte più in voga nell’Università di Penn State e nella piccola città di State College. Sponsorizzato dalla Facoltà delle Arti dell’Università, il festival è nato come una manifestazione artistica locale, il cui successo è cresciuto anno dopo anno, divenendo in poco tempo un appuntamento internazionale. Oggi ArtsFest è un vivace evento della durata di 4 giorni, con oltre 125.000 visitatori. Nella piccola e tranquilla cittadina, circondata da colline e valli alberate,

Inoltre durante il festival, per le strade è possibile trovare sculture e statue, con uno spazio riservato uno spazio alle enormi sculture di sabbia.

cittadinanza. È una bellissima rappresentazione della diversità che la nostra l’università, Penn State, può offrire. La qualità degli espositori e la quantità delle persone che vengono al festival ogni estate lo rendono un evento molto importante. Oltre 40 mila studenti di Penn State con le loro famiglie, allievi da altre università, aspiranti artisti, musicisti, persone da tutto lo stato della Pennsylvania e forse anche da molte parti del mondo!

arrivano ogni anno più di 300 artisti da tutti gli States, esibendo quadri, sculture, fotografie, installazioni e prodotti legati all’antiquariato come ceramiche lavorate, pelli, gioielli e mobili d’epoca. Il festival vanta anche musicisti d’ogni genere, con un ricco cartellone concertistico distribuito tra il centro di State College e il campus dell’università. È un avvenimento molto atteso per la comunità, che inizia solitamente con una giornata interamente dedicata ai più piccoli e una corsa di 5 chilometri. Tipiche sono anche le bancarelle dell’agroalimentare dove si possono scovare golosità provenienti da tutto il mon-

do, famosi sono i chicken on a stick (arrosticini di pollo), i pierogi (ravioli polacchi), le salsicce italiane, lo strudel tedesco, il cibo tailandese. Un altro aspetto del festival è la tradizione, tutta italiana, di disegnare sui marciapiedi e sulle strade. Per terra gli artisti riproducono capolavori artistici rinascimentali o immagini moderne e astratte che attraggono visitatori in ogni angolo della città. ArtsFest è insomma un’opportunità davvero unica per immergersi nell’arte di strada americana ed una tappa obbligata in un viaggio in Pennsilavania.

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Vessel Art Project di Chiara Ciociola

la parola ai giovani curatori

vessel - contemporary art space Un progetto di Viviana Checchia e Anna Santomauro Via Guido de Ruggiero, 6 70125 Bari, Italy info@vesselartproject.org www.vesselartproject.org Artisti selezionati: Nico Angiuli, Fabrizio Bellomo, Lucia Leuci, Fabio Santacroce, Valentina Vetturi, Angela Zurlo. Curatori in residency: Anne-Mette Villumsen, Anna Smolak, Gerd Elise Mørland, Annette Schemme, Raluca Voinea, Pieter Vermeulen, Arzu Yayıntaş

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Varcando la soglia di Vessel, “spazio non profit dedicato all’arte contemporanea”, ci si aspetta di trovare una mostra. Si è invece stupiti dall’aria familiare dell’ambiente: è una casa, con stanze e scrivanie, sedie sparse e computer, e anche una cucina. Questa sensazione di accoglienza non è casuale. Vessel nasce infatti proprio come luogo non espositivo, ma d’incontro e di confronto. L’idea delle due curatrici pugliesi Viviana Checchia e Anna Santomauro (che con questa

idea hanno vinto il concorso Principi Attivi 2010) è di “dar vita a situazioni in cui il confronto, l’interazione e il processo creativo possano mettere in atto modelli di condivisione del sapere che permettano di superare il concetto di fruizione dell’arte, e che vedano nella partecipazione lo strumento chiave per la produzione di forme culturali inedite”. L’attenzione per il processo collaborativo è infatti oggi uno dei principali paradigmi e strategie creative all’interno dell’arte. L’idea


dell’oggetto artistico come manifestazione finale di un percorso individuale e prestabilito sta perdendo la sua densità: è il percorso di definizione stesso dell’oggetto, sono soprattutto i fattori molteplici che ne determinano l’andamento, a diventare arte. Con questa ottica è partito il primo step del programma di Vessel, denominato “Motore di Ricerca”. In parte realizzato nella primavera e nell’estate 2010, il suo obiettivo è stato quello di creare sul territorio locale occasioni di dialogo e scambio sull’arte contemporanea, interagendo con altre realtà dell’area mediterranea o dell’Europa dell’Est. Questo è avvenuto attraverso diverse iniziative: un centro di documentazione consultabile (fisico e digitale) per promuovere artisti locali precedentemente selezionati; un ufficio di supporto alla progettazione autonoma per i giovani artisti; una project room e una web radio. Nodo cruciale dell’iniziativa, si è poi svolta negli scorsi mesi una residenza internazionale per curatori. Giovani ma già affermati curatori provenienti da diverse zone d’Europa sono stati

Anna Smolak (1976) è una curatrice. I suoi progetti più recenti includono Follow the White Rabbit! Exhibition for children (2010) and Katarzyna Krakowiak. Panorama (2011). É particolarmente interessata alle nozioni di “trasgressione” e di “esclusione” che si collegano con i processi di trasformazione che può essere osservata sia livello locale che globale.

Anna Santomauro (1983) vive e lavora come curatrice tra Bari e Bologna. Collabora da alcuni anni con neon>campobase, associazione non profit per l’arte contemporanea, per la quale ha curato il programma di approfondimento dedicato al video (Playlist, Neon>focus on video artists e, insieme a Vincenzo Estremo, neon>video selection). Nel 2009 inizia la collaborazione con Viviana Checchia per i progetti 1h art, Festa del Migrante e Green Days.

invitati ed ospitati per due settimane negli spazi di Vessel, per condividere i loro progetti ed incontrare gli artisti pugliesi, curiosare nel nostro territorio e farsene suggestionare. Un’occasione inconsueta in una città come Bari. Chiacchierando con due delle curatrici ospitate, Anna Smolak e Gerd Elise Mørland, è stato perciò spontaneo chiedere, al di là della stimolante esperienza di Vessel, quale fosse stato il loro impatto istintivo ed immediato con la nostra città. Ne è venuta fuori una visione un po’ aspra ma dalle prospettive coraggiose. La prima impressione è stata infatta quella di una città non molto accogliente, poco avvezza se non quasi indifferente alle novità. Ma come ha suggerito Anna Smolak , al di là dell’impatto brusco, questa indifferenza di superficie permette invece di vivere la città in quella invisibilità positiva, lontana dai fronzoli dell’accoglienza turistica posticcia, che permette un’analisi più attenta e autentica di ciò che ci viene incontro. E di questo gli artisti che ci vivono dovrebbero doverosamente approfittarne.

Gerd Elise Mørland (1976) è una curatrice indipendente e critica d’arte che vive a Oslo. Nel 2010 ha co-curato il 4° numero della rivista on-line OnCurating.org: The Political Potential of Curatorial Practise insieme ad Amundsen Bale Heidi. Attraverso una serie di interviste, questa pubblicazione ha inteso ricercare il potenziale critico nella pratica curatoriale odierna, epoca in cui i curatori trasformano le strategie curatoriali in forme ricche di significato e politicamente attive a loro volta.

Viviana Checchia (1982) è una curatrice indipendete, critica e PhD candidate presso la Loughborough University (UK). Ha lavorato come assistente curatrice presso Eastside Projects, non for profit space a Birmingham (UK) dove si è occupata di varie mostre tra cui un solo show by Liam Gillick (Two Short Plays). I suoi progetti come curatrice indipendente includono Back to Rome, solo show by Angelo Castucci (2010); There’s something to this (but I don’t know what it is), solo show by Helen Brown alla Nitra GallerySlovakia (2010) e Twist, curatorial project co-curato con Eleonora Farina presso uqbar, 91mQ, Golden Parachutes e l’Hungarian Institute of Culture a Berlino (2011).

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Classe ’85, Mariantonietta Bagliato è una delle figure chiave nel contesto artistico barese. Il suo lavoro artistico è influenzato da un immaginario che trae le sue origini dal teatro di figura. Nel campo delle arti visive la sua ricerca, sperimentando varie discipline tra performance, installazioni, illustrazioni e azioni di arte pubblica, volge a creare un connubio tra questi settori. In tutti questi campi, l’indagine è ossessivamente orientata sui temi dell’identità fluida in cui l’io diventa un flusso frammentato della coscienza, un’entità difficile da bloccare. Dal 2007 inizia il progetto NoDo: un luogo di incontro, di scambio e di confronto volto alla promozione di giovani artisti nella città di Bari.

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Intervista a Mariantonietta Bagliato THE

NoDo EXPERIENCE a cura di Annarita Cellamare


Come e quando nasce il progetto “NoDo”? Il NoDo è nato nel 2007. La nascita del progetto è coincisa con il trasferimento di tutta la mia famiglia dalla periferia al centro di Bari. Mia madre è una marionettista e aveva bisogno di un locale come laboratorio e come deposito del teatro e delle marionette e così cercò uno spazio. Il luogo prescelto aveva una grande sala in disuso così pensai di sfruttarla per organizzare esposizioni con i miei colleghi dell’Accademia di Belle Arti. Da qui nasce il progetto NoDo. L’idea non era quella di organizzare delle semplici mostre. L’idea era quella di dare occasione ai giovani artisti di realizzare progetti che avvolgessero lo spazio, un laboratorio sperimentale in cui mettersi alla prova. Il progetto curatoriale è un’azione artistica processuale incentrata sul concetto di spazio volto ad accogliere in divenire identità (metaforicamente i “fili”) differenti che si prolungano per modellare l’atmosfera del contenitore, lo spazio NoDo. Difatti la programmazione delle esposizioni contiene solo mostre personali o mostre di collettivi che hanno lavorato per un progetto comune.

Proviamo a scandire il tempo di attività del NoDo: quali sono stati i momenti più importanti del progetto? Ci sono stati molti momenti importanti. Di certo quelli che più hanno segnato una crescita per il mio percorso sono state le collaborazioni con Intramoenia Extra Art a cura di Giusy Caroppo. La prima volta in occasione della mostra di Michelangelo Pistoletto “IL TERZO PARADISO” e MAMA scultura sonora di Gianna Nannini al Castello Svevo di Bari. La seconda occasione è stata la collaborazione con l’artista napoletana Betty Bee per la realizzazione della scultura “Effetto Serra” in filo spinato zincato nel 2009. In seguito il NoDo ha creato una partnership con l’Associazione Culturale “Carotide”, progetto vincitore di Principi Attivi nel 2009/2010. Con Carotide il NoDo ha potuto ospitare un importante seminario sull’Animazione Stop-motion con l’artista praghese Šárka Ziková, oltre che collaborare per la programmazione delle mostre degli artisti selezionati nel 2010.

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Parlando del contesto nel quale operate, ovvero la città di Bari, qual è la situazione allo stato attuale? quali sono le difficoltà che incontrate come spazio culturale?

Hai dato occasione a tanti giovani artisti di poter realizzare la loro prima mostra personale, facendo diventare il progetto NoDo un’importante vetrina per gli artisti nella città. Qual è stata l’esposizione che avete ospitato della quale sei particolarmente soddisfatta? Tutte le esposizioni che ho ospitato sono state sottoposte a una selezione, per cui è difficile indicare mostre di cui non sono stata soddisfatta. Tra le tante soddisfazioni ricordo “Parzialmente scremato” di Claudia Giannuli, “(Auto)critica” di Marco Testini, “Sala giochi” di Angela Lomele, “Sotto-pelle” di Jara Marzulli, “La nouvelle cuisine” di Pierpaolo Miccolis, “You know you’re right” di Giuseppe Sassanelli.

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Bari sta sicuramente cambiando. I contenitori per l’arte contemporanea negli ultimi anni sono aumentati. Dalla nascita della galleria Fabrica Fluxus alla galleria Art Core per esempio. Sono delle realtà che attirano tantissima gente accomunata dalla voglia di vivere queste esperienze culturali e di condividere e confrontarsi sulle tematiche attuali dell’arte. A ogni inaugurazione questi luoghi sono stracolmi di persone di ogni età confermando la fame dei cittadini, baresi e non, di vivere questi eventi. Il problema è la sostenibilità di questi contenitori, tra cui ovviamente c’è anche il NoDo. Ciò che manca in questo territorio è una sensibilizzazione al mercato dell’arte che non è vero sia così inaccessibile, soprattutto per quanto riguarda i lavori dei giovani artisti. Se non c’è mercato le energie e la passione che confluiscono nel lavoro e nel tempo dedicato all’organizzazione di eventi di arte contemporanea nella dimensione locale rischiano di spegnersi. Purtroppo l’arte è da sempre una “cosa da ricchi”. Le gallerie che riescono a sostenersi sono quelle che per prime possono permettersi di collezionare e investire in artisti già affermati per poi investire su quelli da lanciare. E questo non è solo a Bari.


Cosa c’è nel presente, ma soprattutto nel futuro del NoDo? Nel presente il NoDo è fermo, in uno stato di ibernazione. È difficile far convivere nella stessa persona l’identità del curatore e l’esigenza interiore del “fare arte”. La mia personale ricerca artistica mi ha portato in questo ultimo anno a fare una scelta. Come dicevo prima, organizzare e curare degli eventi di arte contemporanea assorbe molta energia. Nel 2011 ho deciso di fermarmi e dedicarmi alla mia ricerca artistica. In questo ultimo percorso ho viaggiato molto e ho avuto modo anche di conoscere e confrontarmi con molti artisti in giro per il mondo. Il mio obiettivo ora è quello di riuscire a portare le mie esperienze e questi artisti a Bari, al NoDo. Ma, per il momento, sto pensando a vivere e ad accrescere il mio percorso personale confrontandomi con la realtà esterna.

Secondo le istituzioni, l’avvento del BAC a Bari permetterà di far confluire in un unico spazio le realtà artistiche e culturali della città, permettendo a ognuna di esse di crescere. Cosa ne pensi? L’avvento del BAC sinceramente lo vedo come un obiettivo molto lontano. Se mai realmente accadrà e nascerà mi auguro che diventi realmente, come hai detto tu, una realtà che metta in rete e che sostenga le realtà artistiche del territorio. Ma questo per ora è solo un proposito.

www.mariantoniettabagliato.blogspot.com

Le politiche comunali e regionali adottate negli ultimi anni sembrano “strizzare” l’occhio alla cultura e alla sua promozione, o almeno così sembra. E’ realmente così? Si, è vero. In questi ultimi anni la politica regionale ha permesso a tante piccole organizzazioni di avere uno start up per avviare una attività culturale. Il punto rimane sempre lo stesso: la sostenibilità indipendente una volta finito il fondo iniziale.

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UNA STORIA TUTTA AL FEMMINILE La sua innata capacità di riportare su tela storie straordinarie tutte al femminile l’ha resa piuttosto famosa nell’ambiente artistico, in qualità di talentuosa e visionaria pittrice ed illustratrice, sensibile a ciò che accade alle donne di oggi, eroine romantiche del XXI secolo. Ma Francesca Curcetti, in arte Sonikasik, è anche una donna forte e sensibile allo stesso tempo, capace di vivere le emozioni e suscitarle in chi ammira le sue opere. In esse racchiude veri e propri racconti sull’amore, in ogni sua forma, che sia per un uomo o per una donna, per la musica, o amore per la vita. Ispirata dal gioco fiabesco de “Il favoloso mondo di Amelie” di Jean-Pierre Jeunet, dalla “chimicità” delle pagine dei romanzi di Isabella Santacroce, dalla crudele carica erotica delle donne di Milo Manara, dalla malvagità originale e profonda dei manga giapponesi di Osamu Tezuka e Go Nagai, dalle visioni crude e viscerali di “Oldboy” o “LadyVendetta” di Park Chan Wook, le opere di Sonikasik hanno i connotati della Pop Art, fatta di colori forti e brillanti, linee definite e marcate, e un tratto distintivo unico – le sue prime opere non le firmava, forte proprio di questi tratti unici e riconoscibili. L’abbiamo intervistata per voi, scoprendo quanto sia labile il confine tra artista e donna, e quanto questa labilità influisca magicamente sulle sue opere.

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SONIKASIK a cura di Annarita Cellamare


Nata a Milano, di origini foggiane, trapiantata a Bari, dove hai vissuto la maggior parte della tua vita, e rientrata a Milano, città che senti fortemente vicina e con influenze positive sulla tua arte e sulla tua persona. Quanto ha influito questo meltin’ pot di luoghi, tradizioni e costumi sulla tua arte? Quanto forti sono state le radici pugliesi? Quando mi viene chiesto “di dove sei?“ ho sempre qualche secondo di esitazione, e puntualmente mi ritrovo a raccontare che sono nata a Milano, successivamente trasferitami a Bari con la mia famiglia, composta da mamma lucana, papà foggiano e fratello, unico vero barese! Credo di avere dentro di me tutte queste terre ma io ancora non sento di appartenere a un luogo preciso. Quando vivevo a Barcellona credevo sarei rimasta lì, lo stesso dicesi per il Brasile. Insomma credo di non appartenere a nessun luogo fisico, ma di appartenere a me stessa, libera nel mondo, poiché viaggiare mi trasmette energia e vitalità.

Ogni tua opera è una storia, tutta al femminile, e in alcune di esse ci sono riferimenti autobiografici: raccontaci la tua storia, scegliendo tre quadri, quelli che senti più rappresentativi della persona che sei stata, che sei e che diventerai. Le mie opere che possono al meglio raccontare di me sono: Giocattoli (2005), è stata la mia prima tela esposta alla prima mostra collettiva alla quale ho partecipato e apparsa su un catalogo e riviste del settore, quindi la cito per un valore affettivo; L’immortalità (2007) è la mia opera più controversa poiché essendo davvero molto critica nei confronti del mio lavoro, avevo decisamente scartato questa tela tra le possibili da esporre: ma ciò nonostante è stata l’opera che mi ha fatto conoscere e che mi ha dato più gratificazioni e notorietà; Gola, Invidia, Superbia… (2010, 2011) è la serie di opere che ho creato per una mostra collettiva sui sette peccati capitali, dove in collaborazione con Paola Aloisio e Luca La Vopa, entrambi fotografi, partecipo con un’opera composta in parte dalla tela, in parte dalla fotografia, in cui il peccato viene espresso materialmente realizzato con la foto e astrattamente immaginato con la tela. E’ un lavoro a cui giungo dopo anni di ricerca e che mette in luce completamente Sonikasik.

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Prova a focalizzarti sui momenti cruciali della tua vita: quando hai capito che la tua vita sarebbe stata una vita piena di colori, di emozioni e sentimenti che avresti impresso su tela? Dipingo da sempre. Da bambina forse è più corretto dire che pasticciavo, ma ho sempre letteralmente messo le mani nel colore per sentirlo, capirlo, annusarlo e farlo mio. Il colore è parte di me.

Parlando di Bari, e della Puglia in genere, come è stato il tuo percorso artistico nel contesto di questa regione che, solo ora, sembra porre la giusta attenzione nei confronti delle arti? La mia prima mostra è stata una collettiva organizzata dall’Accademia di Belle Arti di Foggia presso il palazzo della Provincia di Foggia, ormai molti anni fa. Successivamente, ho iniziato ad esporre e lavorare in altre città e soprattutto all’estero. Sono poi ritornata a esporre a Bari per il GAP presso la sala Murat e con mie personali organizzate da gallerie e giovani realtà locali, in cui credo fortemente – fra le quali anche la galleria “NoDo”. Ritengo che si debba investire molto, più che nelle istituzioni pubbliche, nelle nuove realtà che pian piano stanno prendendo piede anche in Puglia, con ottimi risultati.

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Recentemente sei stata protagonista di molte pagine di famose testate giornalistiche e servizi televisivi come vincitrice del concorso internazionale “The Red Door - Design Special Project”, indetto da Elizabeth Arden Italia e da Vogue Italia, storico brand di cosmesi, per festeggiare i suoi 100 anni di attività, per cui hai proposta una tua rielaborazione della famosa porta rossa. Cosa è cambiato nella tua vita e come hai vissuto questa importante vittoria grazie all’opera “Go and open the safe door, please!”? Il concorso “The Red Door“ è stata una fantastica esperienza che mi ha permesso di potermi affacciare allo scenario artistico milanese, realtà estremamente rapida ed efficace, sempre innovativa. Qui ci sono stimoli ovunque, ma come in ogni luogo bisogna saperli riconoscere e afferrare, ed io lo sto facendo! La mia opera per questo concorso è come sempre legata a un concetto di donna iperfemminile forte ed indipendente e, perché no, anche attratta dalla moda e dai suoi comandamenti da cui, anche se non lo ammettiamo sempre, tutte noi siamo affascinate.

Progetti per il futuro: sei una donna dalle mille risorse, non solo artista ma anche counselor, con spiccata sensibilità nei confronti della tematica cibo e rapporto col proprio corpo. Cosa c’è nel tuo futuro di artista e di donna? Il mio futuro è un punto interrogativo. Ho imparato che la vita può cambiare in cinque minuti e ogni cambiamento è sempre positivo per la crescita artistica, professionale e personale di ognuno di noi. Sicuramente continuerò a dipingere e ad aiutare gli altri col mio lavoro di counselor artistico terapeutico. Far disegnare qualcuno, attraverso il lavoro dei colori e delle forme, permette di poter sciogliere nodi che imprigionano una splendida ragazza o un brillante uomo a una propria immagine distorta, e questa è la cosa che più mi rende felice e mi gratifica!

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Contaminazioni pittoriche e ingranaggi teatrali Il lavoro di Pierluca Cetera a cura di Antonella Ciociola

Può un dipinto diventare il punto di origine di una rappresentazione scenica? Può un quadro essere non più solo un oggetto “da salotto”, ma un cuore pulsante in grado di “vivere e morire”, ogni volta, secondo i tempi di una performance teatrale? Nel segno di queste domande, il lavoro di Pierluca Cetera, artista visivo di origini tarantine, ha incontrato la drammaturgia di Vincenzo Schino, barese di origine,

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regista del gruppo di ricerca teatrale Opera. Da questo incontro è nato Limite, spettacolo realizzato nel 2009 in coproduzione con il Teatro e Officina Valdoca. Cetera per l’occasione realizza il dipinto Date il pane al pazzo cane, date il pane al cane pazzo, un’opera di 4mx6m, impossibile da esporre in una normale galleria d’arte; Schino ci lavora su con gli attori, e insieme creano una sorta di tableau vivent. Per fare in modo che il quadro non si trasformasse in fondale scenico, ma fosse in qualche modo “protagonista” dello spettacolo insieme agli attori, i due artisti progettano insieme un sapiente gioco di luci: illuminando e retroilluminando porzioni sempre diverse del dipinto, si evidenziano le singole

pennellate e la “trama” della tela, come in una sorta di “radiografia”. Nella tela, in cui sono rappresentati da un lato uomini smagriti ed emaciati che reggono a pancia all’aria un cane, dediti forse a pratiche incestuose e bestiali, dall’altro una figura umana gigantesca, resta un grande spazio vuoto: lì si svolge la scena. Limite ha aperto la strada allo studio del rapporto tra la pittura e la luce, più precisamente alla possibilità di utilizzare “attivamente“ la luce per interagire col dipinto. Da questo risultato è nata poi l’installazione “Il Bosco – I mostri della ragione generano sonno”, presentata nel 2010 al teatro Magnolfi Nuovo di Prato.

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La sua ricerca pittorica parte dall’analisi profonda della realtà, con particolare attenzione alle reazioni inconsce dei soggetti rappresentati. Vive e lavora a Gioia del Colle. Fra le mostre personali ricordiamo: 2011 – “emiCRANIA (con aura)” studio d’arte Fedele, Monopoli. 2011 - “ le Cavie” nell’ambito della rassegna “senso plurimo” a cura di Marinilde Giannandrea presso i Cantieri Teatrali Koreja di Lecce. 2010 – “il Bosco ( i mostri della ragione generano sonno)” al PIM-OFF di Milano. 2010 – “la Pensée du Dehors” a cura di Roberto Lacarbonara e Luca Arnaudo, associazione culturale Entropie, presso la masseria Mavù di Locorotondo (BA) 2008 – “ La cena delle beffe” (doppia personale) a cura di Claudia Giordano, galleria Nodo di Bari 2007 – “Trilogia vol.1” (tripersonale) galleria delle Battaglie di Brescia a cura di Alberto Zanchetta; 2003 –“REPLAY”, personale presso la galleria “Biz-art” di Shangai, a cura di Monica Demattè; testi di Maurizio Giuffredi e Monica Demattè.

Il percorso installativo comprende una serie di otto ritratti di persone addormentate costruiti dal fronte esasperando le parti materiche in alcune zone e la totale trasparenza in altre: illuminando e retroilluminando le tele, si crea un movimento continuo di luce in lentissime dissolvenze incrociate che sgranano e poi ricompongono le figure. Ultimo (per ora) capitolo di questa delicata contaminazione trasversale al linguaggio pittorico e a quello drammaturgico è “Sonno”, ultima creatura di

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Numerosissime e prestigiose partecipazioni a mostre collettive, fra cui ricordiamo: 2011 – “affinità elettive” a cura di Luigi Meneghelli , presso la galleria ArteBoccanera Contemporanea di Trento. 2011 – “ They hate us for our freedom” a cura di Claudia Giordano, CSOA-mercato occupato di Bari. 2011 – “Ferro e Sale” presso lo Spazio Mil – Archivio Sacchi di Sesto San Giovanni (Milano); 2009- “SINGOLARI” a cura di Monica Demattè, ex-convento di Santa Chiara a Castellaneta (TA); 2008- “Il Sapore delle cose- the Taste of thing” a cura di Vito Caiati, Ospedaletto dei Crociati, Molfetta (BA); 2008 – “Il cuoco, l’architetto, l’artista e il suo curatore” a cura di Grazia De Palma, Plenilunio alla Fortezza di Mola di Bari (BA)

Opera, che ha debuttato a giugno 2011 al Festival delle Colline Torinesi e a settembre è andato in scena al Theatre Center Na Strastnom di Mosca. In questo lavoro i dipinti svolgono un ruolo “da dipinti”, però grazie ai giochi di luce e ombra sembra che si muovano, quasi in scena ci sia un attore fatto non di carne, ossa e voce, ma di tela, colore, luce. Nei primi minuti dello spettacolo, infatti, la scena è priva di attori, e il racconto viene affidato alle luci, che illuminano alcune porzioni del “fondale”. Come per Limite, Cetera dipinge una tela enorme, divisa


O PER A

Opera è un gruppo di ricerca artistica nato da un progetto di Vincenzo Schino, il cui nucleo stabile è formato da Marta Bichisao, danzatrice, Gaetano Liberti, attore, Riccardo Capozza, attore, Emiliano Austeri, scenografo e Marco Betti, organizzatore. Il gruppo ha fatto parte dei progetti di Officina Valdoca, che ha ospitato e prodotto artisti emergenti legati al teatro. Dal 2010 il gruppo si chiama Opera, dal nome del loro primo spettacolo. Opera approfondisce problemi che riguardano differenti arti in relazione al teatro, collaborando con: h.e.r.(erma castriota) cantante, violinista, compositrice; Pierluca Cetera, artista visivo, pittore; Federico Dal Pozzo, musicista, compositore; Leonardo Cruciano Workshop, laboratorio di effetti plastici e pittorici; Ernaldo Data, videomaker.

in tre zone, in cui rielabora e rilegge la figura di Saturno, dio della potenza, dell’abbondanza e della fecondità, che secondo il mito divora i suoi figli per evitare di essere detronizzato. Nella prima zona, Saturno è seduto su una sedia e si masturba, ha un gallo in mezzo alle gambe e intorno ci sono delle galline che scappano via; nella seconda, grazie a effetti di luce, di colori e giochi scenici si passa a un disturbante primo piano del Saturno; nella terza, l’attenzione dello spettatore viene completamente soggiogata dall’enorme, gigantesco dettaglio

sull’occhio del dio. In maniera graduale, con effetti di luce l’occhio diventerà trasparente: il dipinto scompare, lasciando la scena agli attori. Far diventare la pittura parte creativa dell’ingranaggio teatrale è, insomma, la “sfida” proposta in questi lavori, e il risultato non sono risposte ma suggestioni, sperimentazioni di possibili contaminazioni e collaborazioni tra le diverse arti: un possibile, fertile terreno di innesti e ibridazioni creative per l’arte e la drammaturgia contemporanea, sempre alla ricerca di nuovi linguaggi contaminati e trasversali.

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YES, WE KNIT

www.yesweknit.wordpress.com

Moderni intrecci tra arte e societa’

a cura di Mirko Patella

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Due passi in centro, in una grande città: nessuna meta in particolare, palazzi grigi tutt’intorno, incroci rumorosi, sguardi frettolosi e distratti. Niente di nuovo, è la solita frenesia quotidiana che ci investe, ci lascia tramortiti, inebetiti all’incrocio di una via che non riusciamo più ad attraversare facilmente. Il vortice della produttività ci inghiotte quotidianamente, e insieme a noi fagocita anche una serie di mestieri e consuetudini tipiche di tempi non troppo lontani, ma diversi dai nostri. Molti di noi probabilmente ricordano distintamente la nonna, o la zia, forse già anziane, sedute alla finestra della sala da pranzo, con in mano i ferri da maglia o l’uncinetto, a intrecciare un maglione nuovo o una sciarpa, per bisogno o anche solo per piacere. Era consuetudine creare, donare qualcosa di personale, di unico. Il “segno dei nostri tempi”, invece, sembra essere la serialità, magari abbinata alla funzionalità, ma spesso senz’anima. A volte, però, quello che sembra lo stato incontrovertibile delle cose può essere modificato da alcune idee, apparentemente semplici, che improvvisamente ci si presentano davanti agli


occhi; da una di queste idee ha visto la luce, qualche anno fa, un singolare laboratorio d’arte nascosto tra le “maglie” di un nuovo luogononluogo, la rete. L’idea di base di Angela Tomasicchio e Barbara Verri, giovani designer creatrici del brand “Yes, we knit”, è stata quella di riscoprire le tecniche della lavorazione a uncinetto per applicarle alla creazione di oggetti d’arte, seguendo una tendenza già sviluppata negli Stati Uniti (knit, in inglese, significa appunto “sferruzzare”) . Il loro progetto è basato sulla ricerca e la riscoperta di aspetti della nostra tradizione, ma con uno spirito assolutamente rinnovato. Il risultato di questa ricerca sono delle vere e proprie “poesie di lana, piccole magie decorative. Oggetti dall’aspetto un po’ fiabesco reinterpretano morbidamente tutto ciò che è di uso quotidiano, dando vita ad oggetti di design colorati e accattivanti, dai servizi da the ai dolci, dalle piante ai giocattoli, sino ai gioielli e ad ogni tipo di accessorio e complemento d’arredo. Tutti oggetti che trasmettono allegria e spensieratezza”. La direzione di questo lavoro è chiara: si tratta di “sovvertire le forme note attraverso nuove regole di leggerezza, come in un sogno”. Realizzare una mostra di presentazione di questi bizzarri oggetti è stato il passo successivo: il lavori delle due designer sono stati quindi ospitati, lo scorso aprile, nella Galleria d’arte e design Fabrica Fluxus di Bari, spazio espositivo multidisciplinare e fluido di ricerca e sperimentazione. Il riconoscimento non è affatto tardato ad arrivare: “Yes, we knit “ è infatti apparso su Vogue Bambini per un servizio sul ritorno delle arti manuali. Da lì in poi sono nate una serie di collaborazioni importanti, tra cui la partecipazione allo Sm-Art Lab (una carovana di creativi in viaggio nelle località più suggestive della Puglia) e la realizzazione di oggetti di scena per lo spettacolo “Favola” di Filippo Timi, per il video promozionale “Girano le pale” dei Folkabbestia e per il promo del lungometraggio “Mozziconi”. Aspettando nuove favolose creazioni possiamo tenerci in contatto con Angela e Barbara attraverso il loro blog.

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