Sistema lacrimale

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Sistemi di ritenzione del deflusso lacrimale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Occlusione del puntino lacrimale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Occhiali a camera umida (moisture chamber) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Lenti a contatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Stimolazione lacrimale: i secretagoghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Sostituti lacrimali biologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Siero autologo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Plasma ricco di piastrine (PRP) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Gel piastrinico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Terapia antinfiammatoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Ciclosporina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Costicosteroidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Echinacea purpurea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Fitoestrogeni e fitoandrogeni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Tetracicline . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Acidi grassi essenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Igiene palpebrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Trattamento dei fattori ambientali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Trattamento chirurgico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Chirurgia palpebrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cisternoplastica Tarsoraffia Cantopessia laterale Blefaroptosi indotta 2. Trapianto di membrana amniotica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Autotrapianto delle ghiandole salivari sottomandibolari . . . . . . . . . . . . . . . 4. Trapianto di mucosa labiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Approcci alternativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Indicazioni di trattamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Sistemi di ritenzione del deflusso lacrimale

1. Occlusione del puntino lacrimale

gior parte delle tecniche di occlusione dei puntini lacrimali. I punctal plugs possono essere classificati in due categorie principali: assorbibili e non assorbibili. I primi sono fatti di collagene o polimeri e durano per periodi variabili (da 3 giorni a 5 mesi). I secondi non assorbibili e «permanenti» includono quelli del modello Freeman e sono composti da una fascetta che resta sull’apertura del puntino, un collo e una base più ampia. Al contrario, l’Herrick plug ha la forma di una mazza da golf ed è progettato per risiedere nel canalicolo. È blu per consentirne la visualizzazione, mentre altre variazioni sono radiopache. Uno Smartplug® cilindrico di nuova progetta-

La teoria del «punctal plug» è iniziata nel 1975 con il lavoro di Freeman (1975). Freeman descriveva l’uso di un tappo di silicone a forma di manubrio, che rimaneva nell’orifizio del puntino e si estendeva fino al canalicolo. La teoria dell’occlusione del puntino lacrimale ha aperto la strada per lo sviluppo di una varietà di tappi rimovibili a lunga durata per ritardare la clearance lacrimale nel tentativo di trattare la superficie oculare di pazienti con una scarsa produzione della componente acquosa del film lacrimale (Fig. 47). Il modello di Freeman resta il prototipo per la mag-

Figura 47. Metodica di trattamento con punctal plug

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N. PESCOSOLIDO, M. EVANGELISTA • I principi terapeutici nella sindrome da disfunzione lacrimale

mazione della superficie oculare prima di procedere all’inserzione del plug. Un’infezione acuta o cronica del canalicolo lacrimale o del sacco lacrimale è una controindicazione per l’uso di un plug. La complicazione più comune dei punctal plugs è l’espulsione spontanea, fenomeno particolarmente comune nel metodo Freeman. Nel tempo, è stato riportato un tasso di fuoriuscita pari al 50%, ma molte di queste espulsioni hanno avuto luogo a distanza di parecchio tempo dall’applicazione. Le complicazioni più problematiche includono uno spostamento interno del plug, la formazione e infezione del biofilm (Sugita et al., 2001) e la formazione di granulomi piogenici. La rimozione dei plug che si sono spostati può essere difficile e potrebbe richiedere un intervento chirurgico sul dotto naso lacrimale (Lee e Flanagan, 2001; Gerding et al., 2003). Molti recenti studi hanno suggerito che l’assorbimento delle lacrime attraverso i dotti nasolacrimali nei tessuti adiacenti e nei vasi sanguigni può portare ad un meccanismo di feedback sulle ghiandole lacrimali che regolano la produzione delle lacrime (Paulsen, 2003). L’installazione di punctal plugs nei pazienti con una normale produzione lacrimale ha causato una diminuzione significativa della produzione delle lacrime nelle due settimane successive all’inserimento del plug (Yen et al., 2001). Questo particolare dovrebbe essere considerato al momento di decidere l’inserimento dell’occlusione puntale nel piano di gestione della malattia dell’occhio secco.

zione si espande e aumenta in situ il suo diametro lungo il canalicolo, grazie alle proprietà termodinamiche della sua composizione acrilica idrofilica. Vari studi clinici sono stati effettuati (Tuberville et al., 1982; Willis et al., 1987; Gilbard et al., 1989; Balaram et al., 2001; Baxter e Laibson, 2004) per valutare l’efficacia dei punctal plugs. Il loro uso è stato associato al miglioramento oggettivo e soggettivo sia nei pazienti con occhio secco e sindrome di Sjögren sia con deficit della componente acquosa non associata a sindrome di Sjögren, cheratite filamentosa, intolleranza a lenti a contatto, malattia di Stevens-Johnson, tracoma acuto, cheratopatia neurotrofica, postcheratoplastica perforante, cheratopatia diabetica e post-PRK o postLASIK. Il 74-86% dei pazienti trattati con punctal plugs ha riportato degli effetti positivi sui sintomi dell’occhio secco. Indici oggettivi di miglioramento riportati grazie all’uso di punctal plugs includono il miglioramento della colorazione corneale, un aumento del tempo di rottura del film lacrimale (TFBUT), una diminuzione dell’osmolarità lacrimale e un aumento della densità delle cellule caliciformi. I punctal plugs possono essere indicati per i pazienti affetti da occhio secco che non ottengono giovamento da altri trattamenti (Baxter e Laibson, 2004). Le controindicazioni all’uso dei punctal plugs includono l’allergia ai materiali utilizzati nei plug da inserire, l’ectropion del puntino lacrimale e un’ostruzione del dotto nasolacrimale preesistente che presumibilmente negherebbero il bisogno di un’occlusione puntale. Inoltre, i plug possono essere controindicati nei pazienti affetti da occhio secco con un’infiammazione della superficie oculare, perché l’occlusione del flusso lacrimale verso l’esterno prolungherebbe il contatto della superficie oculare con lacrime ricche di citochine infiammatorie. È stato raccomandato il trattamento dell’infiam-

2. Occhiali a camera umida (moisture chamber) L’uso di occhiali che conservano l’idratazione è stato per anni considerato un metodo per alleviare il discomfort oculare associato all’occhio

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secco. Tuttavia, il livello di evidenza che supporta la loro efficacia per il trattamento dell’occhio secco è relativamente limitato. Tsubota (1989), utilizzando un sensore di idratazione, ha riportato un aumento dell’umidità perioculare in soggetti che facevano uso di tali occhiali (Fig. 48). L’aggiunta di coperture laterali agli occhiali ha dimostrato un ulteriore aumento dell’umidità (Tsubota et al., 1994). L’efficacia clinica di questi occhiali è stata citata in vari studi (Savar, 1978; Gresset et al., 1984). Kurihashi (1994) ha proposto un trattamento con l’apposizione di una mascherina umidificata per i pazienti con occhio secco. Sono stati elaborati molti studi con un livello relativamente alto di evidenza scientifica, circa la relazione tra l’umidità ambientale e l’occhio secco. Korb et al. (1996) hanno riportato che un aumento nell’umidità perioculare causa un importante aumento nello spessore dello strato lipidico del film oculare. I soggetti con occhio secco che portavano occhiali hanno mostrato degli intervalli di ammiccamento significativamente più lunghi rispetto ai pazienti che non portavano occhiali, la durata dell’ammiccamento (tempo di ammiccamento) era significativamente più lunga in questi ultimi soggetti (Korb et al., 1996). L’instillazione di lacrime artificiali ha causato un notevole aumento nell’intervallo tra un ammiccamento e l’altro e una diminuzione della frequenza di ammiccamento (Tsubota et al., 1996). Maruyama et al. (2004) hanno dimostrato che i sintomi dell’occhio secco peggiorano nei portatori di lenti a contatto morbide quando diminuisce l’umidità ambientale.

Figura 48. Occhiali a camera umida

3. Lenti a contatto Le lenti a contatto possono aiutare a proteggere e idratare la superficie corneale in condizioni di occhio secco acuto. Sono stati valutati molti materiali e tipi di lenti a contatto, incluse le lenti a contatto in gomma siliconica e le lenti a contatto rigide gas-permeabili con o senza fenestrazione (Bacon et al., 1994; Romero-Rangel et al., 2000; Rosenthal et al., 2000; Tappin et al., 2001; Pullum et al., 2005). È stato riscontrato un miglioramento dell’acuità visiva e del comfort, una diminuzione dell’epiteliopatia corneale e la guarigione di difetti dell’epitelio corneale (Bacon et al., 1994; RomeroRangel et al., 2000; Rosenthal et al., 2000; Tappin et al., 2001; Pullum et al., 2005). I materiali altamente gas-permeabili ne permettono l’uso durante la notte in determinate circostanze (Tappin et al., 2001). Esiste un piccolo rischio di vascolarizzazione corneale e un aumento di probabilità di infezione corneale associato all’uso di lenti a contatto nei pazienti con occhio secco.

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N. PESCOSOLIDO, M. EVANGELISTA • I principi terapeutici nella sindrome da disfunzione lacrimale

Stimolazione lacrimale: i secretagoghi

in quanto nei pazienti che ne hanno fatto uso la colorazione della superficie oculare è diminuita (Tauber et al., 2004). Uno studio simile ha dimostrato la sicurezza oculare e la tollerabilità al diquafosol in uno studio in doppio cieco, controllato con placebo e randomizzato (Mundasad et al., 2001). Questo agente è capace di stimolare la secrezione acquosa e quella mucosa in animali ed esseri umani (Li et al., 2001; Murakami et al., 2002, 2004). Gli effetti benefici sia sulla funzione di barriera dell’epitelio corneale e che sull’aumento della secrezione lacrimale sono stati dimostrati su un

Molti potenziali agenti farmacologici topici possono stimolare la secrezione acquosa, la secrezione mucosa o entrambe (Tab. 4). Questi agenti attualmente in studio sono: diquafosol (uno degli agonisti del recettore P2Y2), rebamipide, gefarnate, ecabet sodio (stimolante della secrezione mucosa) e 15(S)-HETE (stimolante di MUC-1). Fra questi, un collirio con diquafasol è stato valutato positivamente nelle sperimentazioni cliniche. Il diquafasol al 2% (INS365, DE-089) è risultato efficace nel trattamento dell’occhio secco, in una sperimentazione randomizzata sull’uomo in doppio cieco,

Secretagoghi

Azione

Diquafosol

Stimola la secrezione della MUC-5A5 Incrementa il trasporto di fluidi attraverso la congiuntiva Promuove l’idratazione della superficie oculare

Rebamipide

Aumenta la liberazione di mucine solubili

Ecabet sodio

Stimola la produzione di mucina

Gefarnate

Aumenta la secrezione della MUC-5A5 Aumenta il numero delle goblet cells Aumenta lo sfaldamento delle mucine associate alle membrane

15(S)-HETE

Aumenta la secrezione di MUC-1 Aumenta lo spessore della mucina

Pilocarpina

Aumenta il numero delle goblet cells

Cevimelina

Aumenta la produzione della componente acquosa del film lacrimale

DA-6034

Aumenta la produzione di mucina

Galectin 3

Stabilizza le mucine di superficie Promuove la riparazione corneale

Moli 1901

Attiva i canali del Cl Mobilizza l’acqua nell’epitelio corneale

Nucleotidi UTP-ATP

Pruomuovono l’idratazione della superficie oculare agendo sul recettore P2Y2

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Tabella 4. Secretagoghi e loro azione


ci sulla secrezione di una glicoproteina mucinsimile da parte dell’epitelio corneale dei conigli (Jackson et al., 2001). Altri studi di laboratorio confermano l’effetto stimolante del 15(S)HETE (Azar et al., 2002; Ubels, 2002; Gamache et al., 2002; Jumblatt et al., 2002). Alcuni di questi agenti potranno in futuro risultare utili nella terapia dell’occhio secco. Due agonisti colinergici somministrati per via orale, la pilocarpina e la cevimelina, sono stati osservati in sperimentazioni cliniche per il trattamento della sindrome di Sjögren associata a cheratocongiuntivite sicca (KCS). I pazienti che sono stati trattati con una dose di 5 mg qid. di pilocarpina hanno registrato un miglioramento generale significativo rispetto ai pazienti trattati con sostanze placebo, sia nella capacità di mettere a fuoco durante la lettura che nei sintomi di offuscamento visivo (Vivino et al., 1999). L’eccessiva sudorazione è l’effetto collaterale più spesso riportato durante questo trattamento; si verifica nel 40% dei pazienti. Il 2% dei pazienti che assumeva pilocarpina si è ritirato dallo studio per effetti collaterali legati al farmaco. Altri studi hanno riportato l’efficacia della pilocarpina nei segni e sintomi oculari della sindrome di Sjögren KCS (Takaya et al., 1997; Tsifetaki et al., 2003; Papas et al., 2004), tra cui un aumento della densità delle cellule caliciformi congiuntivali dopo 1 e 2 mesi di terapia (Aragona et al., 2006). La cevimelina è un altro agonista colinergico orale che, somministrato in dosi da 15 o 30 mg TID (Petrone et al., 2002; Ono et al., 2004), sembra migliorare in maniera significativa i sintomi di secchezza, la produzione della componente acquosa del film lacrimale e i disturbi della superficie oculare rispetto ai gruppi placebo. Questo agente potrebbe avere minori effetti collaterali della pilocarpina orale. Un recente studio (Choi et al., 2009) ha valutato gli effetti del DA-6034 un potente secretagogo in modelli animali con malattia da

modello murino con occhio secco (Fujihara et al., 2001). Il diquafosol stimola inoltre il rilascio di mucine dalle cellule caliciforni nel modello di occhio secco di coniglio (Fujihara et al., 2001; Yerxa et al., 2002). Gli effetti del rebamipide (OPC-12759) sono stati valutati nelle sperimentazioni cliniche sull’uomo. Negli studi sugli animali, il rebamipide aumentava le sostanze simili alle mucine sulla superficie oculare degli occhi dei conigli trattati con N-acetilcisteina (Urashima et al., 2004). Il rebamipide, con il suo radicale idrossile, ha un’azione protettiva nel danno corneale indotto da raggi UVB nei topi (Tanito et al., 2003). L’ecabet sodio è stato studiato in sperimentazioni cliniche a livello internazionale, ma sono stati pubblicati solo dei risultati limitati. Una singola instillazione di soluzione oftalmica con ecabet sodio ha provocato un aumento statisticamente significativo della mucina lacrimale nei pazienti con occhio secco (Masuda et al., 2003). Il gefarnate è stato osservato in studi condotti sugli animali. Il gefarnate è in grado di stimolare la produzione di mucine dopo una ferita congiuntivale nelle scimmie (Toshida et al., 2002). Il gefarnate, inoltre, aumenta la densità delle cellule PAS-positive nella congiuntiva dei conigli e provoca la stimolazione di glicoproteine simil-mucine in colture di cellule dell’epitelio corneale di topo (Nakamura et al., 1997, 1998). Una sperimentazione in vivo sui conigli ha mostrato un risultato simile (Hamano et al., 1998; Toshida et al., 2002). L’agente 15(S)-HETE, una molecola unica, può stimolare l’espressione della mucina MUC-1 sull’epitelio della superficie oculare (Jumblatt et al., 2002). Il 15(S)-HETE in uno studio su un modello di coniglio con occhio secco, ha mostrato capacità protettive sulla cornea probabilmente stimolando la secrezione mucinica (Gamache et al., 2002). È stato dimostrato che questo agente ha effetti benefi-

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N. PESCOSOLIDO, M. EVANGELISTA • I principi terapeutici nella sindrome da disfunzione lacrimale

produzione di mucina, presentandosi come un potenziale agente terapeutico per il trattamento della disfunzione lacrimale.

occhio secco sperimentalmente indotta. I risultati hanno dimostrato che il DA-6034 non solo accellera la secrezione lacrimale, ma anche la

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Sostituti lacrimali biologici Alcune sostanze biologiche naturali, cioè prodotti non farmacologici, possono essere usati per sostituire le lacrime naturali e proprio perché naturali sono in genere senza conservanti. Possono essere di origini autologhe, in questo caso mancano di antigenicità e contengono molti fattori epiteliotrofici, come i fattori di crescita, neurotrofine, vitamine, immunoglobuline e proteine di matrice extracellulare coinvolte nel mantenimento del benessere della superficie oculare. È stato dimostrato che i sostituti lacrimali biologici mantengono la morfologia e supportano la proliferazione delle cellule dell’epitelio corneale nell’uomo meglio dei sostituti lacrimali artificiali (Geerling et al., 2001). Tuttavia, nonostante siano presenti somiglianze biomeccaniche e biochimiche, rispetto alle lacrime esistono importanti differenze nella composizione e queste hanno una certa rilevanza clinica (Geerling et al., 2000). Inoltre, per fornire un sostituto lacrimale naturale alla superficie oculare, si presentano ulteriori problemi pratici che riguardano la sterilità e la stabilità in quanto è necessario un lungo processo di produzione.

(2005). Secondo Swobota la preparazione consiste nel prelievo di 40 cc di sangue venoso, che viene poi centrifugato a 1500 rpm per 5 minuti, diluito in soluzione al 20% e diviso in 4 parti uguali. Il siero autologo contiene vitamina A e fibronectina e facilita la proliferazione, la migrazione e la differenziazione delle cellule epiteliali. L’uso del plasma e delle sue componenti in una preparazione farmaceutica è limitato in molti paesi da leggi specifiche. Infatti, per produrre colliri a base di siero e per utilizzarli, deve essere necessaria, in alcuni paesi, l’autorizzazione dagli appositi istituti nazionali. È stato pubblicato un protocollo ottimizzato per la produzione di colliri con siero che ne specifica anche la composizione e l’efficacia (Liu et al., 2005). Le concentrazioni di siero utilizzate variano tra il 20 e il 100% e l’efficacia sembra dipendere dalla dose. L’efficacia delle gocce a base di siero nei pazienti con occhio secco è stata diversa nei vari studi (Liu et al., 2005). Ciò è dovuto alle importanti differenze tra le popolazioni di pazienti, ai sistemi di produzione e conservazione e ai protocolli di trattamento. Sono stati pubblicati tre studi randomizzati con popolazioni di pazienti simili (con predominanza di sindrome di Sjögren). In uno studio basato su un trattamento con siero topico al 20% diluito in soluzione salina allo 0.9% con applicazione 6 volte al giorno Tananuvat et al. (2001) hanno riscontrato una tendenza al miglioramento dei sintomi e dei segni dell’occhio secco, Kojima et al. (2005) hanno riportato un notevole miglioramento dei sintomi, del tempo di rottura del film con fluoresceina

1. Siero autologo Il siero autologo è il risultato della componente liquida del sangue, plasma, senza fibrinogeno. È stato introdotto da Hamilton nel 1940, diluito in soluzione di Ringer al 10% e da allora è stato usato con diverse varianti fra cui da Tsubota et al. (1999) e recentemente l’applicazione topica del siero autologo per la malattia della superficie oculare è stata rivisionata da Geerling e Hartwig

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N. PESCOSOLIDO, M. EVANGELISTA • I principi terapeutici nella sindrome da disfunzione lacrimale

(FBUT) e della colorazione con fluoresceina e rosa bengala. Noda-Tsuruya et al. (2006) hanno ancora dimostrato che colliri di siero autogeno al 20% migliorano il TFBUT e diminuiscono la colorazione congiuntivale da rosa bengala e corneale da fluoresceina in un periodo di 1-3 mesi, rispetto ai trattamenti con lacrime artificiali, che non cambiavano questi parametri. Una sperimentazione clinica con cross-over ha messo a confronto colliri a base di siero al 50% con lubrificanti commerciali precedentemente usati da ciascun paziente. I sintomi sono migliorati in 10 pazienti su 16 e i risultati della citologia a impressione sono migliorati in 12 occhi su 25 (Noble et al., 2004). Altri studi sull’utilizzo del siero autologo per via topica nel trattamento di difetti epiteliali persistenti ne hanno dimostrato l’efficacia, dove l’efficacia è definita come «guarigione del difetto» confermando l’impressione che questa sia un’opzione terapeutica valida per la malattia dell’occhio secco (Schulze et al., 2006).

In seguito alla somministrazione di plasma ricco di piastrine, in sede di lesione oculare come collirio, c’è stata in tutti i pazienti una completa riepitelizzazione corneale in 3-5 settimane e al controllo dopo 90 giorni l’epitelio corneale risultava integro, con regressione delle opacità stromali e miglioramento visivo. La quantità di sangue lavorato permette un ciclo di terapia della durata massima di 15 giorni (Caruso et al., 2009). Questo approccio terapeutico, basato sull’azione dei fattori di crescita presenti in elevate concentrazioni nel lisato leucopiastrinico, si è rivelato prezioso nei diversi casi di deficit rigenerativo corneale. In assenza di effetti indesiderati, rappresenta un’utile ed efficace alternativa ad altri interventi di tipo invasivo in lesioni persistenti non settiche. Ciò spiega il razionale dell’utilizzo di questo trattamento nelle lesioni corneali in seguito a sindrome da disfunzione lacrimale di tipo grave.

3. Gel piastrinico Il gel piastrinico è un nuovo presidio terapeutico a uso topico per tutte quelle patologie corneali che si sono dimostrate refrattarie alle convenzionali terapie con lacrime artificiali o siero autologo. Il nuovo emocomponente, raccolto mediante prelievo di sangue venoso autologo, viene ottenuto dall’attivazione di una miscela del concentrato piastrinico e del crioprecipitato (Fig. 49). Il concentrato piastrinico contiene i fattori di crescita, mentre il crioprecipitato è ricco di fibrinogeno, fibronectina e altri fattori pro coagulanti che sono la base per la formazione della colla di fibrina. Il mix, attivato mediante enzima similtrombinico in presenza di calcio cloruro, viene ottenuto con sistema automatizzato di spin per 15 minuti a 900 giri/min. Il gel piastrinico ha l’importante proprietà di portare sulla superficie corneale i fattori di crescita di origine piastrinica (IL-1, TNF·, EGF, PDGF). Sembra evidente che tali fattori possano avere un impiego mirato alla

2. Plasma ricco di piastrine (PRP) Il plasma ricco di piastrine o PRP è da tempo utilizzato in odontostomatologia, ortopedia, chirurgia vascolare e in oculistica per il trattamento dei fori maculari. Uno studio di Troisi et al. (2009) ha valutato l’efficacia di un trattamento topico con PRP, contenente alte concentrazioni di fattori di crescita, su lesioni corneali persistenti di varia origine, con esami culturali negativi, non rispondenti alle terapie convenzionali. La soluzione è stata ottenuta a partire da un prelievo venoso di sangue autologo, centrifugato per 5 minuti a bassi giri (da 1000 a 1600 rpm), il plasma surnatante ricco di piastrine è stato aspirato con siringhe da insulina e conservato congelato a < 0°C. La concentrazione delle piastrine per ogni siringa da 0.6-0.7 ml era intorno a 500x103/ml.

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riparazione dei tessuti corneali danneggiati da insulti di tipo neurodistrofico. La crescita cellulare delle cellule corneali umane in risposta ai fattori di crescita piastrinici è stata testata in vitro; questi sudi hanno dimostrato l’evidente effetto promuovente la crescita cellulare a livello corneale, dei fattori di crescita piastrinici. Pertanto l’uso topico di tali sostanze adiuvanti e potenzianti i normali processi riparativi tissutali permette una più rapida ed efficace guarigione del tessuto corneale danneggiato (Antoniazzi et al., 2009). A dimostrazione di ciò, nel case report di Antoniazzi et al. (2009) viene applicato questo trattamento in un paziente con GvHD (Graft versus Host Disease), in regime di ricovero ospedaliero per 3 giorni, durante i quali si applica il gel piastrinico in sede limbare superiore 3 volte al dì tramite pinza corneale sterile e bendaggio occlusivo (Fig. 50). Al momento della dimissione il paziente ha mostrato un netto miglioramento dei segni (ulcera corneale) e dei sintomi di sofferenza corneale (Fig. 51). Se sottoposti a terapia convenzionale, la frequenza media di degenza è pari a 7-10 giorni e implica l’instillazione ripetuta giornaliera di pomate e colliri antibiotici e cicloplegici asso-

Figura 49. Gel piastrinico e sua preparazione (da Antoniazzi et al., 2009)

Figura 50. Applicazione del gel piastrinico in sede limbare tramite pinza corneale sterile (da Antoniazzi et al., 2009)

Figura 51. Superficie corneale prima e dopo il trattamento con gel piastrinico. A sinistra in alto: colorazione con fluoresceina che evidenzia l’ulcera corneale e presenza di filamenti di muco. A destra in basso: riepitelizzazione completa dell’ulcera corneale con riduzione dello staining della fluoresceina (da Antoniazzi et al., 2009)

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N. PESCOSOLIDO, M. EVANGELISTA • I principi terapeutici nella sindrome da disfunzione lacrimale

zione nel caso di ulcere corneali. La conta piastrinica nel siero autologo arricchito di piastrine supera le 800000/Ìl se in forma di collirio e le 4000000/Ìl se in forma di gel. La forma in gel permane nella sede più idonea per un tempo più prolungato, in quanto la sua componente gelificata non viene eliminata dalla clearance lacrimale (Antoniazzi et al., 2009). Quanto riportato spiega il razionale sull’utilizzo di questo trattamento nelle lesioni corneali gravi in seguito a sindrome da disfunzione lacrimale.

ciati a bendaggio occlusivo o a lenti a contatto terapeutiche. Attualmente il siero autologo arricchito di piastrine, sia in forma di collirio che in forma di gel, è l’unico presidio medico disponibile che contiene livelli così elevati di fattori di crescita utili al processo ripartivo. La differenza tra i due presidi terapeutici è dovuta al fatto che nel caso del gel piastrinico, mediante attivazione delle piastrine, si ottiene una dismissione continua dei fattori di crescita che trova la sua massima applica-

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Terapia antinfiammatoria oculare nei pazienti con occhio secco che porta ad alterazioni della superficie oculare (Fig. 56-

La disfunzione delle ghiandole lacrimali, come già riportato, induce dei mutamenti nella composizione lacrimale, primo fra tutti l’iperosmolarità, che stimola la produzione di mediatori infiammatori (IL-1, TNF·, INF-Á) e metalloproteasi (MMP) sulla superficie oculare per fosforilazione delle MAP chinasi (Luo et al., 2004, 2005) (Fig. 52-55). L’infiammazione può, a sua volta, causare la disfunzione o la morte delle cellule responsabili della secrezione o ritenzione lacrimale (Niederkorn et al., 2006). Inoltre, l’infiammazione può anche essere scatenata da uno stress irritativo cronico (es. lenti a contatto) e da una malattia sistemica infiammatoria/autoimmune (es. artrite reumatoide). Senza considerare le cause, si può sviluppare un circolo vizioso infiammatorio sulla superficie

Figura 52. Rappresentazione schematica del meccanismo infiammatorio indotto dall’iperosmolarità del film lacrimale

Figura 53. Fosforilazione/defosforilazione delle MAPK come attivazione della trasduzione o inibizione della trasduzione del segnale da cui seguirà liberazione o meno di TNF-·, IL-1, INF-Á e MMP

Figura 54. La pathway delle MAP chinasi (MAPK) attivata tramite recettori tirosin-chinasici da fattori di crescita quali HGF, KGF ed EGF

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1. Ciclosporina

57). Partendo dalla teoria che l’infiammazione è una componente chiave della patogenesi dell’occhio secco è stata valutata, in varie sperimentazioni cliniche, l’efficacia di un numero di agenti antinfiammatori per il trattamento di questa patologia. Tra gli antinfiammatori presi in considerazione descriveremo l’efficacia della ciclosporina, dei corticosteroidi, dell’estratto secco di Echinacea Purpurea, dei fitoestrogeni e fitoandrogeni e delle tetracicline.

La capacità curativa della ciclosporina-A (CsA) nel trattamento della malattia dell’occhio secco è stata inizialmente riconosciuta in modelli animali che sviluppavano KCS spontanee (Kaswan et al., 1989). L’efficacia terapeutica per gli esseri umani con KCS è stata documentata in molte piccole sperimentazioni cliniche randomizzate, in doppio cieco (Laibovitz et al., 1993; Gunduz e Ozdemir, 1994) (Fig. 58-59). Nello studio di Stevenson et al. (2000) sono state somministrate quattro concentrazioni di CsA (0.05%, 0.1%, 0.2% o 0.4%) due volte al giorno in entrambi gli occhi di 129 pazienti per 12 settimane e poi confrontate con un gruppo di soggetti trattato col veicolo. Nella sperimentazione clinica di Fase 2 gli Autori hanno evidenziato che il trattamento con CsA diminuiva in modo significativo la colorazione rosa bengala congiuntivale, la cheratite puntata superficiale e i sintomi di irritazione oculare come la sensazione di sabbia o di corpo estraneo, la secchezza oculare e il prurito in un sottogruppo di 90 pazienti con mode-

Figura 55. Famiglia delle metalloproteasi (MMP)

Figura 56. Circolo vizioso del meccanismo iperosmolarità/infiammazione

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rata o grave KCS. Non c’è stata una chiara indicazione riguardo alla dose in quanto la CsA 0.1% ha prodotto il miglioramento maggiore in termini di segni oggettivi, mentre la CsA 0.05% ha portato il miglioramento maggiore nei sintomi dei pazienti. A proposito di ciò, due sperimentazioni cliniche in Fase 3 indipendenti hanno messo a confronto il trattamento con CsA allo 0.05%, 0.1% o solo veicolo due volte al giorno in 877 pazienti con occhio secco moderato o grave (Sall et al., 2000). I risultati hanno evidenziato che i pazien-

ti trattati con CsA 0.05% o 0.1% hanno mostrato un notevole miglioramento (p<0.05) in due segni oggettivi di occhio secco (colorazione corneale con fluoresceina e valori del test di Schirmer con anestesia) rispetto ai pazienti di controllo. Un maggior valore del test di Schirmer è stato osservato nel 59% dei pazienti trattati con CsA, con un aumento di 10 mm o più nel 15% dei pazienti. Solo il 4% dei pazienti del gruppo trattati col veicolo ha registrato questo aumento nel valore del test di Schirmer (p<0.0001). Il trattamento con CsA 0.05% ha anche prodotto degli importanti miglioramenti (p <0.05) in tre misure soggettive della malattia dell’occhio secco (sintomi di vista offuscata, necessità di lacrime artificiali e risposta generale al trattamento). Entrambe le dosi di CsA hanno mostrato un eccellente grado di sicurezza senza effetti collaterali sistemici o oculari, esclusi i sintomi transitori di bruciore dopo l’instillazione che si sono verificati nel 17% dei pazienti trattati con CsA e nel 7% dei pazienti trattati col veicolo. Non è stata rilevata alcuna traccia di CsA nel sangue dei pazienti trattati per 12 mesi. I miglioramenti clinici dovuti alla CsA osservati in queste sperimentazioni sono stati accompagnati dal miglioramento degli altri parametri di malattia. Infatti, gli occhi trattati hanno riportato un aumento di circa il 200% nella densità delle cellule caliciformi congiuntivali (Kunert

Figura 58. Trattamento dell’occhio secco con ciclosporina A per via sistemica e locale

Figura 59. Meccanismo di azione della ciclosporina A nel trattamento dell’occhio secco

Figura 57. Circolo vizioso del meccanismo iperosmolarità/infiammazione

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N. PESCOSOLIDO, M. EVANGELISTA • I principi terapeutici nella sindrome da disfunzione lacrimale

verebbe da un incremento del flusso lacrimale riflesso. Inoltre, un ulteriore studio (Kim et al., 2009) ha messo a confronto l’efficacia della CsA allo 0.05% e della vitamina A nel trattamento della sindrome da disfunzione lacrimale. Le due formulazioni si sono dimostrate entrambe efficaci nel migliorare sia i sintomi come l’offuscamento della visione che il BUT e lo Schirmer test. Ulteriori farmaci immunosoppressivi, riportati nella figura 60, come il pimecrolimus e il tacrolimus, sono stati studiati durante delle sperimentazioni cliniche di KCS somministrati per via sistemica e/o topica (Ofri et al., 2009).

Figura 60. Altri farmaci, oltre la ciclosporina, coinvolti nell’immunomodulazione utilizzati per il trattamento dell’occhio secco

et al., 2002). Inoltre, è stata registrata una diminuzione dell’espressione dei marker di attivazione immunologica (es. HLA-DR), dei marker dell’apoptosi (es. Fas) e della citochina IL-6 infiammatoria nelle cellule epiteliali congiuntivali (Turner et al., 2000; Brignole et al., 2001). Inoltre, i linfociti T congiuntivali CD3+, CD4+ e CD8+ sono diminuiti negli occhi trattati con ciclosporina, al contrario gli occhi trattati col veicolo hanno mostrato un aumento delle cellule che esprimono questi marker (Kunert et al., 2000). Dopo il trattamento con ciclosporina 0.05% è stata riscontrata una significativa diminuzione del numero di cellule che esprimono i markers di attivazione dei linfociti CD11a e HLA-DR, il che indica una minore attivazione di linfociti rispetto ai pazienti trattati col veicolo. Recentemente, Toshida et al. (2009) hanno valutato gli effetti dell’instillazione di un collirio a base di CsA allo 0.1% sulla secrezione lacrimale in modelli animali (coniglio) con resezione del nervo petroso superficiale, il più importante per l’innervazione efferente parasimpatica della ghiandola lacrimale. I risultati di questo studio indicano che la CsA non ha un effetto diretto sulla secrezione lacrimale in quanto non ha un effetto stimolante sulle proteine di rilascio delle cellule acinari della ghiandola lacrimale in tutti i tempi testati. Infatti, l’effetto della CsA sulla lacrimazione deri-

2. Costicosteroidi I corticosteroidi costituiscono un’efficace terapia antinfiammatoria nella malattia dell’occhio secco. Ci sono molte pubblicazioni per diverse formulazioni di corticosteroidi (Fig. 61). In uno studio di 4 settimane in doppio cieco e randomizzato eseguito su 64 pazienti con KCS e ritardata clearence lacrimale è stato dimostrato che la somministrazione oftalmica con loteprednololo etabonato 0.5%, era più efficace rispetto al suo veicolo nel migliorare alcuni segni e sintomi (Pflugfelder et al., 2004) (Fig. 62). Il loteprednololo etabonato è contenuto in varie formulazioni in commercio a diverse concentrazioni (allo 0.2%, allo 0.5% e allo 0.5%) associato alla tobramicina allo 0.3%. In uno studio precedente eseguito su 32 pazienti con KCS, i soggetti trattati con fluorometolone e sostituti lacrimali artificiali (ATS) hanno riportato una minore gravità dei sintomi e una minore colorazione alla fluoresceina e rosa bengala rispetto ai pazienti trattati solo con ATS o con ATS e flurbiprofene (Avunduk et al., 2003). Una sperimentazione clinica randomizzata ha confrontato la gravità dei sintomi irritativi oculari e la colorazione con fluoresceina della cornea in due gruppi di pazienti, uno trattato con metil-

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Figura 61. Diverse formulazioni di corticosteroidi utilizzate per il trattamento dell’occhio secco

Figura 62. Rappresentazione della struttura del loteprednololo etaboato sovrapponibile a quella del prednisolone

prednisolone topico senza conservanti per due settimane seguito da occlusione dei puntini lacrimali (Gruppo 1), e un altro gruppo trattato solo con occlusione dei puntini lacrimali (Gruppo 2) (Sainz de la Maza Serra et al., 2000). Dopo 2 mesi, l’80% dei pazienti del Gruppo 1 e il 33% dei pazienti del Gruppo 2 hanno riscontrato una totale remissione dei sintomi irritativi oculari. La colorazione corneale con fluoresceina era negativa nell’ 80% degli occhi nel Gruppo 1 e nel 60% degli occhi nel Gruppo 2 dopo 2 mesi di trattamento. Non sono state osservate complicanze relative agli steroidi. In una sperimentazione aperta, non comparativa, la sospensione oftalmica di metilprednisolone 1% senza conservanti, preparata in maniera estemporanea, è risultata clinicamente efficace in 21 pazienti con KCS da sindrome di Sjögren (Marsh e Pflugfelder, 1999). Nella Regolamentazione Federale degli Stati Uniti, i corticosteroidi oculari sottoposti a «etichettatura di classe» sono indicati per il trattamento «...di condizioni infiammatorie della congiuntiva palpebrale e bulbare, della cornea e segmento anteriore del bulbo, come congiuntiviti allergiche, acne rosacea, cheratite puntata superficiale, cheratite da herpes zoster, iriti, cicliti, selezionate congiuntiviti infettive che

rispondono agli steroidi quando l’inerente rischio di uso di steroidi è accettato per ottenere una diminuzione dell’edema e dell’infiammazione ». Se ne deduce che la KCS è inclusa in questa lista di stati infiammatori che risponde agli steroidi. Numerosi studi su modelli animali suggeriscono l’efficacia di questi agenti. Infatti, i corticosteroidi sono gli agenti antinfiammatori più utilizzati nella ricerca di base sull’infiammazione e quindi anche sull’infiammazione in corso di KCS. In uno studio condotto sui topi, il metilprednisolone sembra preservare la regolarità dell’epitelio corneale e della funzione di barriera (De Paiva et al., 2006). Ciò è stato attribuito alla sua capacità di mantenere l’integrità delle giunzioni dell’epitelio corneale e di diminuire la desquamazione delle cellule apicali dell’epitelio corneale (De Paiva et al., 2006). Inoltre, il metilprednisolone previene l’aumento di proteina MMP-9 nell’epitelio corneale e l’attività di gelatinasi nell’epitelio corneale e nelle lacrime che si verifica in risposta all’occhio secco sperimentalmente indotto (De Paiva et al., 2006). Le preparazioni topiche di ormoni androgeni ed estrogeni steroidei sono al momento sotto osservazione in sperimentazioni cliniche randomizzate. Una sperimentazione sulla sommini-

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3. Echinacea purpurea

strazione di testosterone 0.03% ha notato un aumento della percentuale di pazienti che presentavano una viscosità normale delle secrezioni delle ghiandole di Meibomio e un miglioramento dei sintomi di discomfort dopo 6 mesi di trattamento rispetto al gruppo con veicolo (Schiffman et al., 2006). Si è osservato che il TFBUT e lo spessore dello strato lipidico sono aumentati in un paziente con KCS che era stato trattato con androgeni per via topica per 3 mesi (Worda et al., 2001). Gli androgeni topici si legano a recettori all’interno delle cellule delle ghiandole di Meibomio e agiscono sul genoma delle cellule epiteliali delle ghiandole sebacee influenzando la trascrizione di enzimi lipogeni che producono lipidi o enzimi sessuali. La ghiandola di Meibomio possiede tutti gli enzimi steroidogeni necessari per la sintesi degli ormoni steroidei sia androgeni che estrogeni. Nel modello murino è presente un incremento dell’attività funzionale della ghiandola lacrimale e una riduzione dell’infiammazione. Nell’uomo è stato dimostrato un alleviamento dei segni e dei sintomi e una stimolazione del flusso lacrimale. La produzione di film lacrimale e i sintomi di irritazione oculare sono migliorati dopo il trattamento con una soluzione con 17 beta-estradiolo per 4 mesi (Fig. 63) (Sator et al., 1998).

L’echinacea è una pianta della famiglia delle Composite Tubiflore dalle cui radici si ottengono estratti per la cura delle malattie da raffreddamento in quanto dotati di proprietà capaci di contrastare l’ingresso di batteri e virus nell’organismo. Ne esistono diverse specie che vivono spontanee nel Nord America (angustifolia, atrorubens, levigata, pallida, paradoxa, purpurea, simulata, tennessensis); quelle importanti dal punto di vista fitoterapico sono l’Echinacea angustifolia e l’Echinacea purpurea. L’estratto di Echinacea è considerato uno dei rimedi di origine naturale più potente ed efficace nei confronti delle infezioni batteriche e virali. Tale attività, ascritta principalmente alla componente polisaccaridica, è legata da un lato a un’azione diretta di distruzione dei microrganismi patogeni, dall’altro alla stimolazione del sistema immunitario e quindi delle difese naturali dell’organismo. I costituenti principali dell’estratto di echinacea purpurea sono: composti polifenolici come echinacoside e acido caffeico, olii essenziali come echinolone e umulene, glucosidi flavonoici come quercitina e apigenina, alcaloidi ed echinaceina, ai quali è riconosciuta un’attività: immunomodulatrice, antiialuronidasica, stimolante la riparazione delle lesioni tissutali. Più in dettaglio, l’estratto di echinacea purpurea è in grado di inibire l’enzima ialuronidasi responsabile della diffusione di batteri e virus all’interno delle cellule, di attivare la via alternativa del complemento e di inibire la replicazione virale attraverso un’azione interferone-simile. L’attività antisettica posseduta dall’estratto della pianta di echinacea purpurea è legata anche a un’altra azione molto importante, la stimolazione del sistema immunitario che si realizza tramite attivazione dei macrofagi, incremento dei neutrofili, eosinofili, monociti e linfociti B e delle loro proprietà fagocitiche. Inoltre, l’echinacea possiede un’azione antinfiammatoria in quanto è in

Figura 63. Rappresentazione schematica dell’azione dell’estradiolo17-beta

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grado di bloccare la ciclossigenasi e la lipossigenasi nella cascata dell’acido arachidonico e di diminuire l’infiltrazione leucocitaria nella regione lesa. La letteratura scientifica mondiale sottolinea anche un’azione positiva sulla riparazione delle lesioni tissutali per rigenerazione del connettivo e dell’epidermide. Una formulazione in collirio multidose contenente l’estratto di echinacea purpurea (0.05%) associato all’acido ialuronico (0.15%) è risultata più efficace, in pazienti in politerapia cronica antiglaucoma, rispetto a una soluzione contenente solo acido ialuronico, nel diminuire i sintomi clinici dell’occhio secco (secchezza, bruciore, fotofobia, prurito), nell’aumentare il BUT dopo 90 giorni di trattamento e nella diminuzione dello staining congiuntivale del rosa bengala e corneale della fluoresceina, espressione dell’effetto antinfiammatorio, antistaminico e di riepitelizzazione corneale dell’estratto di echinacea purpurea. Recentemente è stato introdotto sul mercato la stessa sostanza farmaceutica alla concentrazione dello 0.5%.

cui dieta giornaliera è molto ricca di estratti della soia. Si ritiene che tali azioni siano mediate proprio dai fitoestrogeni, in particolare dalla genisteina e dalla daidzeina, che hanno una conformazione chimica simile a quella dell’estradiolo. Si ritiene inoltre che queste sostanze agiscano attraverso un effetto di modulazione selettiva sui recettori estrogenici (RE). Si legano alle SBP (proteine leganti gli steroidi sessuali) e all’α-fetoproteina (AFP) per entrare nella circolazione sistemica. I fitoestrogeni assunti con la dieta sono metabolizzati dai batteri intestinali, assorbiti dalla mucosa intestinale e coniugati nel fegato dalla sulfotransferasi e dall’UDP-glucoronil transferasi, immessi in circolo nel plasma e escreti con le urine. L’escrezione urinaria degli isoflavonoidi ha un range di 0.3-30 μM/giorno, ma la secrezione urinaria dei soggetti vegetariani può contenere valori di fitoestrogeni 1000 volte più alti rispetto al totale degli estrogeni steroidei urinari. Tra le quattro principali classi di fitoestrogeni, isoflavonoidi, lignani, cumestani e lattoni, solo i primi due sono dotati di dimostrata attività biologica nell’uomo, gli altri sono attivi solo negli animali (Fig. 65). Gli isoflavonoidi sono assunti con la dieta e contenuti soprattutto nell’olio di

4. Fitoestrogeni e fitoandrogeni I fitoestrogeni e i fitoandrogeni sono sostanze di origine vegetale, non steroidee, estratte dalle piante. Sono così chiamate perché hanno una struttura simile a quelle degli ormoni sessuali, infatti esplicano la loro azione legandosi ai recettori per gli estrogeni e per gli androgeni, seppure con una potenza 1000-10000 volte minore rispetto agli ormoni sessuali umani (Fig. 64). I fitoestrogeni sono estratti da molte piante, in particolare dalla soia, infatti l’interesse della ricerca scientifica nei confronti degli estratti naturali della soia si basa sulle osservazioni epidemiologiche che hanno evidenziato una minore incidenza dei disturbi climaterici, dei tumori mammari, uterini e intestinali nelle popolazioni orientali, la

Figura 64. Rappresentazione della formula chimica degli estrogeni naturali, degli estrogeni sintetici e dei fitoestrogeni

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genasi, sulla colesterolo7α-idrossilasi, modulazione dell’attività della topoisomerasi II e di alcuni enzimi coinvolti nel turnover del fosfoinositide (PI), modulazione della cascata del segnale del TGF-β e aumento dei livelli dell’EGF e dell’EGFR. I fitoestrogeni sono attualmente utilizzati nelle donne in menopausa con una riduzione del 30-50% degli episodi di vampate di calore con il consumo di 30 mg al giorno. Inoltre, l’assunzione di fitoestrogeni è utile nella prevenzione dell’osteoporosi nelle donne in menopausa in quanto aumentano la densità minerale dell’osso, mentre gli studi sull’effetto dei fitoestrogeni sulla prevenzione del cancro sono controversi. Utili anche nella prevenzione degli accidenti che interessano l’apparato cardiovascolare: in soggetti che assumono quotidianamente 47g di proteine della soia è stata dimostrata una diminuzione del 9% del colesterolo totale e del 13% delle LDL, inoltre la capacità degli isoflavoni di proteggere le LDL dall’ossidazione ostacola l’aggregazione piastrinica, poiché è stato dimostrato che le LDL ossidate favoriscono tale evento. Gli isoflavoni, in particolare la genisteina, ostacolano la vasocostrizione delle arterie coronarie indotta dall’acetilcolina e riducono l’accumulo di serotonina nelle piastrine, le cui proprietà vasocostrittive sono aumentate dal colesterolo alto e dall’aterosclerosi. Questi risultati sono stati confermati in uno studio su un gruppo di scimmie, che ricevevano una dieta molto ricca di grassi per un periodo di 6 mesi, addizionata con gli isoflavoni o con un placebo. In questi animali la riduzione del flusso sanguigno in risposta all’iniezione endovenosa di sostanze capaci di causare vasocostrizione era significativamente minore nelle arterie coronarie degli animali del gruppo che aveva assunto soia rispetto a quelli del gruppo placebo. Gli isoflavonoidi inducono ritardi del ciclo mestruale riducendo LH, FSH e progesterone e nei topi maschi esposti ai fitoestrogeni precocemente inducono malformazioni congenite e carcinoma testicolare.

soia e nei fiocchi di soia, mentre le fonti dietetiche dei lignani sono i semi di lino e in quantità minori l’avena, il frumento, i fagioli, le lenticchie, gli asparagi e le carote. I fitoestrogeni che derivano dal vino rosso sono il resveratrolo, la quercetina e le antiocianine. Essi possiedono un’attività antiossidante, antiapoptotica e antinfiammatoria, riducono l’ossidazione delle LDL e aumentano i livelli delle HDL. Inoltre, migliorano il danno neuronale dovuto all’etanolo, probabilmente grazie all’effetto antiossidante, inibiscono il rilascio di acido arachidonico indotto dall’etanolo e l’attività della ciclossigenasi. La genisteina, la daidzeina, l’equol, il cumestrolo e in generale i fitoestrogeni che derivano dalla soia, si legano e attivano entrambi i recettori degli estrogeni ERβ e ER‚ (0.1-10 μM), ma la genisteina ha un’affinità più alta per l’ER, inoltre quest’ultima inibisce la tirosin chinasi e ha sia un effetto estrogenico che antiestrogenico (Makela et al., 1999). Agiscono sulla differenziazione, sulla crescita e sulla progressione del ciclo cellulare, inoltre hanno attività antiossidante e antiangiogenica. In particolare la genisteina ha un effetto sull’inibizione del 17βsteroideossireduttasi, enzima necessario alla conversione degli androgeni in E2 (17βestradiolo). Gli effetti dei fitoestrogeni che derivano dalla soia possono essere così elencati: inibizione dell’aromatasi, azione sulla ciclossigenasi, sulla lipossi-

Figura 65. Rappresentazione della formula chimica delle principali classi di flavonoidi

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ni steroidei. La nuova scoperta riportata in questo studio aggiunge i fitoandrogeni alla lista di sostanze ormonomimetiche di origine vegetale. Tenendo conto degli effetti degli androgeni topici sulla sindrome da disfunzione lacrimale si può ipotizzare come i fitoandrogeni possono migliorare la sintomatologia di questa patologia, ma sono necessari nuovi studi clinici.

La superficie oculare viene considerata come un’unità ormono-dipendente e l’equilibrio tra androgeni ed estrogeni rappresenta un importante fattore trofico per la superficie oculare. L’effetto prevalente dei fitoestrogeni nel contesto della disfunzione lacrimale è quello di favorire la produzione lipidica delle ghiandole di Meibomio e di regolarizzare la distribuzione di lipidi polari e neutri facilitando la ritenzione della componente acquosa del film lacrimale e migliorando i sintomi di secchezza delle mucose in generale (Sullivan et al., 2002). A tale effetto si aggiunge la capacità di regolare la risposta infiammatoria mediante una down-regulation dell’attività citochinomediata (Beauregard et al., 2004; Oprea et al., 2004). In passato si è molto discusso su ipotetici effetti collaterali dei fitoestrogeni, ma recenti meta-analisi e ben 174 trial clinici randomizzati e controllati (Tempfer et al., 2009) riportano risultati assolutamente tranquillizzanti sull’apparato ginecologico (iperplasia endometriale, cancro endometriale), muscolo scheletrico, neurologico, polmonare e cardiovascolare che unitamente al riscontro di un effetto inibente la carcinogenesi attribuisce al trattamento con fitoestrogeni un ampio profilo di sicurezza (Qin et al., 2006). Un valido contributo alla soluzione degli aspetti patogenetici della sindrome da disfunzione lacrimale è dato dall’utilizzo di una razionale associazione tra fitoestrogeni (fieno greco estratto al 50%, 200 mg), acido lipoico (100 mg) e DHA (240 mg) presenti in un nuovo prodotto come dimostrato da uno studio clinico randomizzato (Avitabile et al., 2009). Lo studio di Ong e Tan (2007) ha posto l’attenzione sui fitoandrogeni, in quanto a differenza dei fitoestrogeni che sono stati ampiamente descritti in letteratura, gli androgeni di origine vegetale fino ad allora non erano stati studiati. Gli Autori hanno dimostrato che la corteccia dell’albero di Eucommia ulmoides contiene fitoandrogeni, sostanze che legandosi ai recettori per gli androgeni sviluppano un effetto simile agli ormo-

5. Tetracicline L’effetto antimicrobico del trattamento orale di tetracicline è stato riportato da Dougherty et al.(1991), Shine et al.(2003) e Ta et al. (2003). È stato ipotizzato che una diminuzione della produzione da parte della flora batterica di esoenzimi lipolitici (Shine et al., 2003; Ta et al., 2003) e un’inibizione della produzione di lipasi (Dougherty et al., 1991) con una conseguente diminuzione dei prodotti di derivazione dai lipidi di Meibomio (Shine et al., 2003) possa contribuire al miglioramento dei parametri clinici nelle malattie associate all’occhio secco. Le tetracicline hanno proprietà antinfiammatorie e antibatteriche che possono renderle utili per la gestione delle malattie infiammatorie croniche; questi agenti diminuiscono l’attività delle collagenasi, fosfolipasi A2 e di molte metalloproteasi e diminuiscono la produzione di interleuchina1 (IL-1) e di fattori di necrosi tumorale alfa (TNF-·) in un’ampia gamma di tessuti, incluso l’epitelio corneale (Solomon et al., 2000; Li et al., 2001, 2006). Ad alte concentrazioni le tetracicline inibiscono le citochine e le chemochine indotte da esotossine dello stafilococco (Krakauer et al., 2003; Voils et al., 2005). Le tetracicline e gli antibiotici simili sono efficaci nel trattamento della rosacea oculare (McDonald e Feiwel, 1972; Jansen e Plewig, 1997; Stone e Chodosh, 2004), per la quale una singola dose giornaliera di doxiciclina, derivato della tetraciclina, potrebbe essere efficace

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50 mg al giorno per 2 settimane seguita dall’assunzione di 100 mg giornalieri per un periodo totale di 3 mesi ha diminuito sensibilmente la flora batterica (p=0.0013). Sono stati notati dei miglioramenti clinici in tutti i pazienti affetti da meibomite (Ta et al., 2003). A causa del miglioramento notato in una piccola sperimentazione clinica di pazienti affetti da meibomite, l’American Academy of Ophthalmology raccomanda l’uso cronico di doxicilina o tetraciclina per la gestione della meibomite (McCulley et al., 1982). Sono necessarie delle sperimentazioni cliniche più vaste, controllate da gruppo placebo, randomizzate e volte alla valutazione del miglioramento dei sintomi, per chiarire il ruolo di questo antibiotico nel trattamento per la blefarite (Voils et al., 2005). I derivati della tetraciclina (es. minociclina, doxiciclina) sono stati raccomandati come eventuali opzioni di trattamento per la blefarite cronica a causa della loro alta concentrazione nei tessuti, bassa eliminazione renale, lungo periodo di assimilazione, alto livello di legame alle proteine del siero e diminuzione del rischio di fotosensibilizzazione (Hoeprich e Warshauer, 1974). Molti studi hanno descritto gli effetti benefici della minociclina e di altri derivati della tetraciclina (es. doxiciclina) nel trattamento della blefarite cronica (Hoeprich e Warshauer, 1974; Gulbenkian et al., 1980; Dougherty et al., 1991; Shine et al., 2003). Gli studi hanno dimostrato dei cambiamenti significativi nei parametri delle lacrime, come il volume lacrimale e il flusso lacrimale, a seguito del trattamento con i derivati della tetraciclina (es. minociclina). Uno studio ha dimostrato una diminuzione della produzione della componente acquosa lacrimale che si verificava insieme al miglioramento clinico (Aronowicz et al., 2006). Uno studio randomizzato, prospettico condotto da Yoo et al. (2005) ha messo a confronto le differenti dosi di doxiciclina in 150 pazienti (300 occhi) affetti da disfunzione cronica delle ghiandole di Meibomio che non risponde-

(Frucht-Pery et al., 1989). Sebbene le tetracicline siano state usate per la gestione di questa malattia non sono state fatte delle sperimentazioni cliniche randomizzate, controllate con placebo, per valutare la loro efficacia (Voils et al., 2005). Oltre agli effetti antinfiammatori e antibatterici le tetracicline possiedono proprietà antiangiogenetiche che possono essere utili nei disordini correlati alla rosacea. I fattori che promuovono l’angiogenesi sono: proteasi della matrice extracellulare, l’inattivazione dell’inibitore del fattore di crescita endoteliale e il rilascio di fattori angiogenici da parte di macrofagi attivati (Wilkin, 1994; Sapadin et al., 2006). Analogamente, è stato dimostrato che la minociclina, derivata della tetraciclina, diminuisce la produzione di digliceridi e di acidi grassi nelle secrezioni di Meibomio. Questo può essere dovuto all’inibizione delle lipasi da parte dell’antibiotico o ad un effetto diretto sulla flora oculare (Shine et al., 2003). Una sperimentazione clinica controllata, randomizzata effettuata sulle tetracicline nella rosacea oculare ha messo a confronto i miglioramenti dei sintomi in 24 pazienti trattati con tetraciclina o con doxiciclina (Frucht-Pery et al., 1993). Tutti i pazienti meno uno hanno riportato un miglioramento dei sintomi dopo 6 settimane di terapia. Non è stato effettuato nessun gruppo placebo in questa sperimentazione. Una sperimentazione randomizzata, in doppio cieco, controllata con gruppo placebo e con cross-over parziale ha messo a confronto l’effetto dell’ossitetraciclina sui sintomi di blefarite con o senza rosacea. Solo il 25% dei pazienti con blefarite senza rosacea ha risposto all’antibiotico, mentre il 50% ha risposto laddove si riscontrava la presenza di entrambe le malattie (Seal et al., 1995). In un’altra sperimentazione clinica effettuata su 10 pazienti sia con acne rosacea e concomitante meibomite che con acne rosacea senza implicazioni oculari concomitanti o blefarite seborroica, l’assunzione giornaliera di minociclina

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In definitiva la somministrazione sistemica delle tetracicline è ampiamente riconosciuta per la sua capacità di eliminare l’infiammazione e migliorare i sintomi della meibomite (Esterly et al., 1984; Browning e Proia, 1986). Non è stata stabilita però una tabella del dosaggio ottimale, tuttavia sono stati proposti dei dosaggi che includono la doxiciclina 50 o 100 mg una volta al giorno (Gilbard, 2005) o una dose iniziale di 50 mg al giorno per le prime 2 settimane seguita da una dose di 100 mg una volta al giorno per un periodo di 2.5 mesi, in maniera alternata (Dougherty et al., 1991; Shine et al., 2003; Ta et al., 2003; Aronowicz et al., 2003). Sono stati proposti altri programmi a basso dosaggio di doxiciclina (20 mg) per il trattamento della blefarite cronica a lunga scadenza (Yoo et al., 2005). Uno studio ha suggerito che l’assunzione di minociclina 100 mg/die per tre mesi potrebbe essere sufficiente a tenere sotto controllo importanti meibomiti, nello studio è stato effettuato un controllo per almeno tre mesi dopo la fine della terapia (Aronowicz et al., 2003). La questione della sicurezza associata alla terapia a lungo termine di tetracicline orali, tra cui la minociclina, è stata ampiamente dibattuta. Molti protocolli terapeutici consigliano l’uso di tetraciclina e suoi derivati, tuttavia bisogna considerare un’adeguata e sicura gestione del farmaco a causa delle nuove informazioni riguardo gli effetti potenzialmente pericolosi dell’uso prolungato di antibiotici orali.

vano all’igiene palpebrale e alla terapia topica per più di 2 mesi. Ogni terapia topica è stata interrotta almeno 2 settimane prima dell’inizio dello studio. Dopo aver determinato il TFBUT e i valori del test di Schirmer, i pazienti sono stati divisi in tre gruppi: un gruppo trattato con alto dosaggio (doxiciclina, 200 mg, due volte al giorno), un gruppo trattato con basso dosaggio (doxiciclina, 20 mg, due volte al giorno) e un gruppo di controllo (placebo). Dopo un mese il TFBUT, il punteggio di Schirmer e i sintomi sono migliorati. I gruppi trattati con basso e alto dosaggio hanno registrato un miglioramento statisticamente significativo nel TFBUT dopo il trattamento. Questo significa che una terapia a basso dosaggio di doxiciclina (20 mg due volte al giorno) può essere efficace nei pazienti affetti da disfunzione cronica delle ghiandole di Meibomio. In un esperimento condotto sui topi con occhio secco, la doxiciclina topica si è dimostrata utile per preservare l’integrità dell’epitelio corneale e la regolarità della funzione di barriera (De Paiva et al., 2006). Ha anche preservato l’integrità delle giunzioni dell’epitelio corneale nell’occhio secco e ha portato ad una marcata diminuzione della desquamazione delle cellule epiteliali corneali apicali (De Paiva et al., 2006). Questo corrispondeva ad una diminuzione della proteina MMP-9 nell’epitelio corneale e ad una riduzione dell’attività delle gelatinasi nell’epitelio corneale e nelle lacrime (De Paiva et al., 2006).

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N. PESCOSOLIDO, M. EVANGELISTA • I principi terapeutici nella sindrome da disfunzione lacrimale

Acidi grassi essenziali eicosapentaenoico o EPA (20:5 ω-3), l’acido docosapentaenoico (22:5 ω-3) e l’acido docosaesaenoico o DHA (22:6 ω-3). EPA e DHA sono i più importanti acidi grassi a lunga catena della serie omega-3 e svolgono nell’organismo umano funzioni strutturali e funzionali. L’acido α-linolenico deve essere trasformato in EPA e DHA per esercitare gli effetti biologici determinanti per l’ottimale funzionamento del cervello, della retina e delle gonadi esplicando un’azione protettiva nei confronti del processo aterosclerotico e dell’insorgenza di malattie cardiovascolari. I principali acidi grassi omega-6 sono: l’acido linoleico (18:2 ω-6), l’acido γ-linolenico (18:3 ω6), l’acido diomo-γ-linolenico (20:3 ω-6) e l’acido arachidonico (20:4 ω-6). Gli acidi grassi omega6 sono precursori dell’acido arachidonico e di alcuni mediatori lipidici pro-infiammatori (PGE2 e LTB4) mentre alcuni acidi grassi omega-3 (es. l’EPA che si trova nell’olio di pesce) inibiscono la sintesi di questi mediatori lipidici e bloccano la produzione di IL-1 e TNFα (Endres et al., 1989; James et al., 2000) (Fig. 66-67). Nella tipica alimentazione occidentale si consumano quantità di omega-6 maggiori di 20-25 volte rispetto alle quantità di omega-3 (Fig. 68). In uno studio prospettico, controllato con gruppo placebo su acidi grassi essenziali, l’acido linoleico e l’acido gamma linoleinico sono stati somministrati oralmente due volte al giorno, i risultati hanno evidenziato un significativo miglioramento dei sintomi dell’irritazione oculare e della colorazione della superficie oculare con verde di lissamina

Tra gli acidi grassi essenziali ci sono gli acidi grassi polinsaturi, omega-6 e omega-3, così detti a causa del fatto che la loro catena comprende vari doppi legami. Il nome di questi composti deriva dalla posizione del primo doppio legame iniziando il conteggio dal carbonio terminale (carbonio ω ovvero carbonio n), contando dal carbonio ω il primo doppio legame che si incontra occupa il sesto rango nel caso dell’omega-6, il terzo rango nel caso dell’omega-3. Questi vengono riportati con il numero degli atomi di carbonio (es. 18, 20...) e con il numero dei doppi legami (es. 3, 4, 5...). L’acido linoleico e l’acido α-linolenico, rispettivamente precursori degli acidi grassi omega-6 e omega-3, sono acidi grassi essenziali, in quanto l’organismo umano non è in grado di sintetizzarli da altri acidi grassi. Gli acidi grassi omega-3 più comuni sono: l’acido αlinolenico (18:3 ω-3), l’acido stearidonico (18:4 ω-3), l’acido eicosatetraenoico (20:4 ω-3) l’acido

Figura 66. Effetto degli acidi grassi essenziali omega3 e omega6

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(Barabino et al., 2003) (Fig. 69). È stata anche osservata una diminuzione dell’espressione di

HLA-DR congiuntivale. È stato prospettato un suo utilizzo nella sindrome da disfunzione lacrimale.

Figura 67. Rappresentazione dell’azione degli acidi grassi essenziali omega3 e omega6

Figura 68. Rapporto omega3 / omega6 nell’alimentazione occidentale (SSO: Sindrome di secchezza oculare)

Figura 69. Riduzione del rischio di occhio secco con l’assunzione di acidi grassi omega3 (SSO: Sindrome di secchezza oculare)

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N. PESCOSOLIDO, M. EVANGELISTA • I principi terapeutici nella sindrome da disfunzione lacrimale

Igiene palpebrale assumono notevole rilevanza in questo processo a cui deve seguire una spremitura ghiandolare della rima superiore e inferiore intervallati da impacchi di soluzione salina calda (circa 45 °C) per 3-4 minuti. La durata del trattamento è di 20 giorni/mesi a giorni alterni. Per ulteriori indicazioni si fa riferimento al paragrafo sulle tetracicline.

Nel trattamento dell’occhio secco assume rilevanza anche l’igiene palpebrale in quanto la disfunzione delle ghiandole di Meibomio può essere causa di questo processo. Il paziente va quindi educato alla pulizia del bordo palpebrale, alla spremitura delle ghiandole di Meibomio e a un’adeguata alimentazione. I detergenti palpebrali

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Trattamento dei fattori ambientali I fattori che possono ridurre la produzione lacrimale o aumentarne l’evaporazione, come l’uso di farmaci anticolinergici sistemici (es. antistaminici e antidepressivi) e le condizioni ambientali sfavorevoli (p.es. scarsa umidità e ambienti con aria condizionata) dovrebbero essere minimizzati o eliminati (Seedor et al., 1986; Mader e Stulting, 1991; Moss et al., 2000). I terminali video dovrebbero essere inclinati sotto il livello

degli occhi per diminuire l’apertura interpalpebrale e i pazienti dovrebbero essere incoraggiati a prendersi delle pause chiudendo gli occhi durante la lettura o il lavoro prolungato al computer (Fig. 70) (Tsubota e Nakamori, 1993). Si raccomanda un ambiente umidificato per ridurre l’evaporazione lacrimale che è di 0.1 μl al minuto, circa l’8% delle lacrime prodotte che corrispondono approsimativamente a 1,2 μl al minuto. Ciò è particolar-

Figura 71. Importanza del trattamento dei fattori ambientali, in specie l’aria, per l’occhio secco

Figura 70. Importanza nel trattamento dei fattori ambientali per migliorare le condizioni nella sindrome da disfunzione lacrimale

Figura 72. Diversi tipi di occhiali protettivi per il trattamento dell’occhio secco

Figura 73. Trattamento del lagoftalmo notturno per la protezione dell’occhio secco

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N. PESCOSOLIDO, M. EVANGELISTA • I principi terapeutici nella sindrome da disfunzione lacrimale

Figura 74. Chiusura palpebrale forzata e massaggio palpebrale per il trattamento dell’occhio secco

Figura 75. Circolo vizioso innescato dalla mancata risoluzione dei sintomi dell’occhio secco

mente utile in paesi con clima secco e ad alte quote. A questo proposito è importante che l’aria sia pulita, priva di fumi e inquinanti, umida e tranquilla, con un flusso basso evitando di aprire le finestre (Fig. 71). È utile l’uso di occhiali protettivi contro il calore, contro il freddo e soprattutto quando si cammina infatti, camminare a 6 Km/h equivale a ricevere una corrente d’aria sugli

occhi di 1,6 m/s (Fig. 72). Infine, Il lagoftalmo notturno può essere trattato con l’applicazione di occhialini di protezione, con bendaggio occlusivo o con tarsoraffia (Fig. 73). È anche usata la chiusura forzata delle palpebre o il loro massaggio (Fig. 74). Da non sottovalutare la sofferenza del paziente e il circolo vizioso che si innesta quando non si riesce a placare i sintomi (Fig. 75).

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Trattamento chirurgico volmente migliorata, le lacrime siano contenute nel fornice congiuntivale inferiore e il sistema lacrimale possa funzionare in modo adeguato. La cantopessia si esegue facendo un’incisione cutanea a livello del canto esterno, tagliando il tessuto muscolare e il legamento laterale, successivamente viene esposto il periostio nella sua porzione zigomatica, la palpebra inferiore viene tagliata con una incisione verticale a tutto spessore a livello del canto esterno e la parte mediale del tarso viene agganciata con un filo non riassorbibile al periostio. Vanno solitamente eseguiti due punti di ancoraggio per ottenere una maggior tenuta, la ferita viene poi suturata sia nei piani profondi che nei piani cutanei. Questa procedura chirurgica aumenta notevolmente i vantaggi sia soggettivi che oggettivi e in molti casi rappresenta da sola un valido ed efficace presidio chirurgico. A completamento della cantopessia laterale, in alcuni casi di gravità severa, vi è la possibilità di inserire una protesi d’oro, di diverso peso, a livello della palpebra superiore ancorandola saldamente al tarso. In questi pazienti è necessario inoltre eseguire una chiusura ermetica del muscolo orbicolare onde evitare una possibile estrusione della placca. L’immissione della placca può essere eseguita contemporaneamente alla cantopessia laterale, aumentando così la pesantezza e di conseguenza la capacità passiva della palpebra di chiudersi in posizione prona. L’associazione della cantopessia e dell’immissione della placca d’oro porta a un miglioramento del meccanismo volontario di chiusura della palpebre e conseguentemente si può notare una regressione delle alterazioni corneali con scomparsa della cheratite e una riduzio-

1. Chirurgia palpebrale Gli interventi di chirurgia palpebrale sono eseguiti a seconda della gravità della patologia. Nei casi di lieve gravità può essere praticata una cisternoplastica dell’angolo esterno tenendo conto che la cisterna naturale contiene 1μl di lacrime. Mentre, nei casi più gravi, si consiglia la blefaroraffia o tarsoraffia e la cantopessia. La tarsoraffia, completa e parziale, viene praticata quando il paziente non è più collaborante e non è in grado di autosomministrarsi la terapia, mettendo a grave rischio l’integrità della cornea. Nei casi in cui le condizioni del paziente migliorino, la tarsoraffia può essere riaperta, ripristinando la classica conformazione palpebrale. In alcuni casi è difficile però poter regolarizzare perfettamente la palpebra provocando in questo modo dei danni estetici al paziente, in altri casi, invece, una volta aperta la tarsoraffia, può persistere un fastidioso ectropion della palpebra inferiore, determinato dalla lassità cutanea, con un conseguente lagoftalmo cronico. In questi casi e in quelli in cui vi è un lagoftalmo cronico primitivo con presenza di un marcato ectropion, la cantopessia laterale ed eventualmente l’immissione di una placca d’oro a livello della palpebra superiore rappresenta il trattamento di elezione. La cantopessia laterale è un intervento poco conosciuto e poco diffuso. Rispetto alla classica tarsoraffia rappresenta un approccio più idoneo ed esteticamente migliore con vantaggi soprattutto funzionali. Con questo tipo di chirurgia la palpebra viene innalzata e messa sotto tensione in modo tale che la chiusura palpebrale risulti note-

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ne dei sintomi soggettivi di lacrimazione e bruciore. Un ulteriore correzione dinamica detta anche blefaroptosi indotta (1 mm riduce la superficie di 30 mm2), si pratica con il posizionamento di un pesino d’oro nello spessore della palpebra superiore di adeguate dimensioni e peso al fine di consentire un buon recupero della dinamica palpebrale. Questi pesini d’oro vengono confezionati su misura dopo una attenta valutazione del peso migliore e la presa di un calco della palpebra superiore in modo da avere una protesi aurea perfettamente conformata alla palpebra che la dovrà ospitare. L’intervento viene eseguito in anestesia locale, si fissa la protesi aurea al tarso dopo aver preparato una tasca cutaneo–muscolare, si appongono dei piccoli punti di sutura cutanei che verranno asportati dopo una settimana, a distanza di 20-30 giorni non residuano evidenti cicatrici.

2. Trapianto di membrana amniotica La membrana amniotica è lo strato più interno del sacco amniotico, istologicamente è composta dall’epitelio, da una spessa membrana basale e da uno stroma avascolare. Viene ottenuta da madri sieronegative (per i virus dell’epatite B e C, per la sifilide e l’AIDS) sottoposte a parto cesareo. Dopo essere stata separata dal sottostante corion, la membrana amniotica viene preparata e conservata in modo da poter essere utilizzata successivamente (Fig. 76). L’epitelio è costituito da un unico strato di cellule variabili da piatto a cubico, a cilindrico. La variabilità è in relazione al periodo di sviluppo fetale e alla localizzazione e infatti le cellule cilindriche sono osservate vicino al margine della placenta, mentre le cellule piatte nelle parti più periferiche. Le cellule epiteliali sono ricoperte da numerosi microvilli la cui superficie è ricoperta

Figura 76. Prelievo e conservazione della membrana amniotica per il trattamento delle complicanze indotte dalla sindrome da disfunzione lacrimale

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membrana amniotica sono accertare la natura non infettiva della lesione e l’integrità del limbus dove sono contenute le cellule staminali dell’epitelio corneale. L’applicazione della membrana amniotica sulla cornea può essere effettuata dopo aver rimosso l’epitelio danneggiato e in sfaldamento secondo due tecniche: la “graft” e la “patch”. Mediante la tecnica graft si innesta la membrana amniotica con l’epitelio rivolto verso l’alto, utilizzando così la membrana basale come substrato per la crescita dell’epitelio, mentre con la tecnica patch si innesta con l’epitelio rivolto verso il basso, dal momento che l’epitelio deve migrare sulla cornea e non sulla membrana amniotica. La membrana viene fissata alla cornea sottostante con punti singoli in nylon 10/0 e al termine dell’intervento si applica una lente a contatto (Fig. 77). Nelle ulcere corneali stromali e nelle piccole perforazioni la base e le pareti dell’ulcera vengono detersi con asciughini di cellulosa. L’epitelio lasso viene rimosso sino a raggiungere la zona in cui l’epitelio sano è aderente alla membrana di Bowman. L’area esposta serve da base solida per l’adesione della membrana e stimola la sua riepitelizzazione da parte dell’epitelio sano limitrofo. La membrana viene distesa e posizionata in modo da coprire l’ulcera (epitelio rivolto verso l’alto) e a seconda della profondità e della configurazione del difetto uno o più strati vengono sovrapposti l’uno sull’altro per riempire la cavità. Se l’ulcera è profonda si può riempirla con piccoli frammenti di membrana e ricoprire poi tutta la cornea con un unico strato di membrana (tecnica multistrato). Gli strati inferiori rimangono liberi, senza suture, coperti dallo strato superiore della membrana. Le complicanze riguardo l’utilizzo della membrana amniotica riportate in letteratura sono rare. È stato riportato da Gabler et al. (2000) un caso di ipopion dopo ripetizione dell’innesto di membrana amniotica in una paziente di 78 anni con un’ulcera corneale trofica profonda. Componenti immunologiche, tossiche e di ipersensibilità pos-

da glicocalici con un’alta concentrazione di siti di legame anionici. All’interno delle cellule è stata dimostrata la presenza di un citoscheletro che mantiene l’integrità della forma cellulare, formato da actina, spectrina, citocheratina, vimentina e desmoplachina. Un sistema specializzato di filamenti gli conferisce un ruolo nell’integrità strutturale, nella modulazione della forma cellulare e nella permeabilità giunzionale. La membrana basale su cui poggiano le cellule epiteliali è costituita da collagene tipo IV, V e VII, contiene laminina, fibronectina e proteoglicani eparan solfato e ha perciò una struttura molto simile alla membrana basale della congiuntiva. Lo stroma sottostante alla lamina basale è invece formato da uno strato compatto di fibrille collagene tipo I e III di 18 e 50nm intrecciate tra loro e connesse da fibronectina, secrete dalle cellule epiteliali. Al di sotto dello stroma vi è poi uno strato di fibroblasti. L’applicazione della membrana amniotica si è rivelata efficace nel migliorare il grado di infiammazione e il danno della superficie oculare (Barabino et al., 2003). In particolare, l’applicazione di una patch di membrana per le sue proprietà di tessuto ricco di fattori di crescita è stata in grado di diminuire in maniera significativa sia l’espressione di HLA-DR sulle cellule congiuntivali, sia il grado di colorazione con verde di lissamina, oltre ai sintomi dei pazienti. Gli effetti sulla superficie oculare sono numerosi, favorisce la riepitelizzazione della cornea e della congiuntiva, ha un’attività antiinfiammatoria, inibisce la proliferazione del tessuto fibroso e i processi di neovascolarizzazione. Il trapianto di membrana amniotica si è dimostrato una tecnica efficace per la ricostruzione della superficie oculare nel trattamento di difetti epiteliali persistenti, ulcere corneali sterili, condizioni di deficit parziale delle cellule staminali, cheratopatia bollosa e numerose altre patologie della cornea. Condizioni indispensabili al trapianto della

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Figura 77. A) Il verde di lissamina evidenzia il difetto dell’epitelio congiuntivale e corneale in una paziente affetta da sindrome dell’occhio secco in cui la terapia con sostituti lacrimali e antinfiammatori non aveva prodotto un miglioramento del quadro clinico. B-C) La membrana amniotica viene applicata sulla superficie oculare e le estremità tagliate prima del posizionamento di una lente a contatto ad alta permeabilità per l’ossigeno. D) Dopo 48 ore vengono rimosse membrana amniotica e lente a contatto e la superficie oculare si presenta migliorata (da Barbarino et al., 2003)

tomandibolari è in grado di compensare l’insufficienza delle mucine e della componente acquosa del film lacrimale. Con un’appropriata anastomosi microvascolare, l’80% dei trapianti va a buon fine. Nei pazienti con una totale deficienza della componente acquosa nel film lacrimale, i trapianti di ghiandole sottomandibolari, nel lungo periodo, forniscono un notevole miglioramento del FBUT, del test di Schirmer, della colorazione rosa bengala, con una riduzione del discomfort oculare e inoltre riducono la necessità di sostituti lacrimali artificiali. Questo intervento è indicato solo per i pazienti affetti da occhio secco in stadio finale della malattia con totale deficit della compo-

sono avere contribuito all’irite con ipopion comparsa dopo i ritrattamenti, ma non immediatamente dopo l’impianto. In caso di ripetute procedure, l’uso di membrana amniotica da donatori diversi può aiutare a minimizzare il rischio di un’immediata infiammazione intraoculare. Quanto riportato spiega il razionale dell’utilizzo di questo trattamento nelle lesioni corneali gravi a seguito della sindrome da disfunzione lacrimale.

3. Autotrapianto delle ghiandole salivari sottomandibolari L’autotrapianto delle ghiandole salivari sot-

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4. Trapianto di mucosa labiale

nente acquosa (test di Schirmer di 1 mm o meno), un epitelio di superficie congiuntivalizzato e dolore acuto persistente malgrado l’occlusione dei puntini e almeno un’applicazione l’ora di sostituti lacrimali senza conservanti. A causa dell’iposmolarità della saliva, rispetto alle lacrime, un’eccessiva lacrimazione salivare può portare ad un edema corneale microcistico, che è temporaneo, ma può determinare difetti dell’epitelio (Geerling et al., 2000). Alcuni studi hanno evidenziato come per questi pazienti questo tipo di operazione chirurgica sia in grado di ridurre il discomfort in maniera sostanziale, ma spesso non ha alcun effetto sulla difficoltà visiva che questi pazienti lamentano (Geerling et al., 1998; Schroder et al., 2002).

Lo studio recente di Gomes et al. (2009) ha valutato l’efficacia del trapianto della mucosa labiale nel trattamento del simblefaron e dell’occhio secco in pazienti con sindrome di StevensJohnson. I pazienti sottoposti al trapianto hanno effettuato prima e dopo l’intervento lo Schirmer test. Tutti i pazienti dopo l’intervento chirurgico hanno subito un miglioramento del quadro clinico, nel 90% dei casi lo Schirmer test è aumentato di 0.5 mm, in un solo paziente è aumentato di 6 mm. In questo studio preliminare, il trapianto di mucosa labiale ha presentato buoni risultati nel trattamento dei pazienti con simblefaron severo e con occhio secco secondario alla sindrome di Stevens-Johnson.

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Approcci alternativi della produzione lacrimale (metodica usata a scopo sperimentale in modelli animali per indurre l’occhio secco) migliorando l’epifora. Inoltre, potrebbe avere effetti benefici positivi l’agopuntura, l’elettroterapia e la terapia erboristica cinese.

In discussione è l’uso di trattamenti alternativi come l’iniezione di tossina botulinica (Botox), di cui l’iniezione della palpebra può in alcuni casi, ma non in tutti, migliorare i sintomi mentre l’iniezione nella ghiandola lacrimale induce una riduzione

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Indicazioni di trattamento Per le indicazioni di trattamento sono stati rivisti da Matoba et al. (2003) e Behrens et al. (2006) il Dry Eye Preferred Practice Patterns dell’American Academy of Ophthalmology e l’International Task Force (ITF) Delphi Panel sul trattamento dell’occhio secco prima di formulare le linee guida a questo riguardo. È stato preferito tra i due metodi quello scelto dall’ITF, che si basa sul livello di gravità della malattia ed è stata elaborata una revisione dello schema di classificazione del ITF che così contiene 4 livelli di gravità basati sui segni e i sintomi (Tab. 5) (Fig. 78). Per ciascun livello di gravità viene scelto un trattamento tra le varie terapie che

Figura 78. Rappresentazione dei 4 livelli di gravità della sindrome da disfunzione lacrimale basati sui segni corneali e congiuntivali

Livelli di gravità

1

2

3

Discomfort, gravità e frequenza

Lieve e/o sporadico sotto stress

Moderato, episodico o cronico, con o senza stress

Grave, Grave e/o frequente o costante disabilitante senza stress e costante

Sintomi visivi

Nessuno o lieve fatica sporadica

Fastidioso e/o episodico con limitazione attività

Fastidioso, cronico e/o costante con limitazione attività

Costante e/o possibilmente disabilitante

Nessuna - lieve

+/-

+/++

Iniezione congiuntivale Nessuna - lieve

4

Colorazione congiuntivale Nessuna - lieve

Variabile

Moderata marcata

Marcata

Colorazione corneale

Variabile

Marcata centrale

Gravi erosioni puntate

Segni lacrimali/corneali Nessuna - lieve

Lievi detriti, ↓menisco

Cheratite filamentosa, Cheratite filamentosa, grumi di muco, grumi di muco, ↑detriti lacrimali ↑detriti lacrimali, ulcerazioni

Ghiandole palpebrali/ MGD presente di Meibomio in maniera variabile

MGD presente in maniera variabile

Frequente

Trichiasi, cheratinizzazione, simblefaron

TFBUT (sec)

Variabile

≤ 10mm

≤ 5mm

Immediato

Punteggio Schirmer (mm/5min)

Variabile

≤ 10mm

≤ 5mm

≤ 2mm

Nessuna - lieve

Tabella 5. Segni e sintomi della sindrome da disfunzione lacrimale divisi per 4 livelli di gravità

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hanno presentato efficacia scientificamente dimostrata (Tab. 6). Le indicazioni di trattamento per livello di gravità sono presentate nella tabella 7. Va notato che queste indicazioni possono essere modificate dagli specialisti secondo il pro-

Indicazioni di trattamento per livelli di gravità Livello 1 Modifiche comportamentali, ambientali/alimentari Sospensione di farmaci sistemici scatenanti Sostituti lacrimali artificiali, gel/pomate Igiene palpebrale Livello 2

Se i trattamenti del livello 1 sono inadeguati aggiungere: Antinfiammatori Tetracicline (rosacea e meibomite) Punctal plug Secretagoghi Occhiali a camera umida

Trattamenti per la sindrome da disfunzione lacrimale Sostituti lacrimali artificiali Gel / pomate Occlusione del puntino lacrimale

Livello 3

Occhiali a camera umida

Se i trattamenti del livello 2 sono inadeguati aggiungere:

Lenti a contatto Siero

Siero autologo topico Lenti a contatto Occlusione del puntino lacrimale permanente

Agenti antinfiammatori

Livello 4

Immunosoppressori sistemici

Se i trattamenti del livello 3 sono inadeguati aggiungere:

Acidi grassi essenziali

Agenti antinfiammatori sistemici Chirurgia (chirurgia palpebrale, trapianto di membrana amniotica, trapianto di ghiandole salivari)

Secretagoghi

Chirurgia (chirurgia palpebrale, trapianto di membrana amniotica, trapianto di ghiandole salivari)

Tabella 6. Trattamenti per la sindrome da disfunzione lacrimale

Tabella 7. Indicazioni di trattamento per livelli di gravità della sindrome da disfunzione lacrimale

Figura 79. Meccanismi principali della sindrome da disfunzione lacrimale. In rosso: analisi di laboratorio proposte per un profilo C lacrimale (da Versura, 2009)

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Gruppi

Tabella 8. Classificazione della sindrome da disfunzione lacrimale per livelli di gravità (da Chen et al., 2009) SDL: sindrome da disfunzione lacrimale. Punteggio dei sintomi calcolato con il questionario OSDI (Ocular Surface Disease Index)

Punteggio sintomi

BUT (sec)

Punteggio colorazione congiuntivale

Punteggio colorazione corneale

No SDL

≤ 20

>7

0

0

SDL 1

> 20

≤7

≥3

≤2

SDL 2

> 20

≤7

≥3

≤8

SDL 3

> 20

≤7

≥3

> 8, inclusa cornea centrale o filamenti

SDL 4

> 20

≤7

≥3

≥ 12

trattare o prevenire complicazioni corneali che possono mettere a rischio la funzione visiva. Un ulteriore classificazione della sindrome da disfunzione lacrimale per criteri di gravità è descritta nella tabella 8.

filo del paziente e l’esperienza clinica e dopo opportune analisi di laboratorio diagnostico (profilo C lacrimale) (Versura, 2009) (Fig. 79). Le indicazioni terapeutiche per il livello di gravità 4 includono interventi chirurgici per

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N. PESCOSOLIDO, M. EVANGELISTA • I principi terapeutici nella sindrome da disfunzione lacrimale

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