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>> Intubazioni "alte" del sistema lacrimale >> Cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri topolinkata (ETLK) nel cheratocono >> Descemet’ Stripping Automatized Endothelial Keratoplasty: nostra esperienza >> Cheratoplastica perforante con Laser a Femtosecondi: la tecnica “a cielo coperto” >> Il profilo del taglio corneale nelle IEK (Intralase Enabled Keratoplasty) >> Studio del profilo aberrometrico in pazienti sottoposti ad impianto di IOL torica >> IOL asferiche: cosa sono e perché usarle >> Calcolo della IOL dopo chirurgia rifrattiva: come risolvere il problema >> Terapia combinata con Macugen e PDT-V per l’AMD essudativa >> Studio preliminare microperimetrico in pazienti affetti da CNV neovascolare sottoposti a terapia intravitreale con anti-VEGF


Accomodativa. Priva di aberrazioni. Asferica.

Lente intraoculare accomodativa da camera posteriore Crystalens® BREVE DICHIARAZIONE Solo su prescrizione medica. Indicazioni per l’uso: Crystalens® è progettata per impianti primari nel sacco capsulare dell’occhio per la correzione visiva dell’afachia secondaria alla rimozione di una lente catarattosa in pazienti adulti affetti o meno da presbiopia. Crystalens® fornisce circa una diottria di accomodazione monoculare che consente una visione da vicino, intermedia e da lontano senza l’ausilio di occhiali. Avvertenze: Prima di impiantare una lente in un paziente, è responsabilità del chirurgo stabilire il rapporto rischi/benefici dell’intervento sulla base di un’accurata valutazione e del proprio giudizio clinico. Alcuni eventi avversi associati all’impianto di lenti intraoculari sono: ipopion, infezione intraoculare, decomposizione corneale acuta ed intervento chirurgico secondario. Precauzioni: Non risterilizzare; non conservare a temperatura superiore a 45°C. ATTENZIONE: Per informazioni complete sulle modalità di prescrizione, fare riferimento alle Informazioni per il medico.


Editoriale

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Vittorio Picardo

Un premio alla carriera – Intervista a Leonardo Mastropasqua

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Intubazioni “alte” del sistema lacrimale

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Walter Calcatelli, Vito Gasparri

Cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri topolinkata (ETLK) nel cheratocono

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Paolo Bonci, Andrea Saitta, Paola Bonci

Descemet’ Stripping Automatized Endothelial Keratoplasty: nostra esperienza

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Marco Leto, Patricia Indemini, Raphaël Gallo, Agostino Salvatore Vaiano, Guido Caramello

Cheratoplastica perforante con Laser a Femtosecondi: la tecnica “a cielo coperto”

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Giuseppe Perone, Filippo Incarbone LE V I S C O INT E RVISTE

Intervista a... Stelvio Cipriani

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Il profilo del taglio corneale nelle IEK (Intralase Enabled Keratoplasty)

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Elisabetta Böhm T E C NIC A C HIR UR GICA

Quattro ferri... una cataratta!

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Patrizia Vincenti, Marco De Dominicis

Studio del profilo aberrometrico in pazienti sottoposti ad impianto di IOL torica

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Aldo Caporossi, Gianluca Martone, Leonardo Ciompi, Beatrice Bizzarri, Stefano Baiocchi

IOL asferiche: cosa sono e perché usarle

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Vincenzo Orfeo, Domenico Boccuzzi

Calcolo della IOL dopo chirurgia rifrattiva: come risolvere il problema

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Nicola Rosa, Maddalena De Bernardo, Michele Lanza

Terapia combinata con Macugen e PDT-V per l’AMD essudativa

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Rosalia Giustolisi, Nicoletta Fantozzi, Mariateresa Staltari, Jessica Marchiori, Olga Mastrangelo, Paola Mazzotta, Federica Mirra, Corrado Balacco Gabrieli

Studio preliminare microperimetrico in pazienti affetti da CNV neovascolare sottoposti a terapia intravitreale con anti-VEGF

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Sergio Zaccaria Scalinci, Lucia Scorolli, Giulia Corradetti, Daniela Domanico, Enzo Maria Vingolo, Paolo Limoli, Mario Bifani, Cristian Metrangolo C ASO C LINIC O

Risoluzione spontanea di pucker maculare in donna adulta

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Fabrizio Puce, Gino Perutelli, Paolo Lavezzari, Paola Pazienza, Maria Rosa Bertonati, Fabrizio Neri

www.oculisti.net ISSN 0349 - 61

Fabiano Editore Reg. S. Giovanni, 40 - 14053 Canelli (AT) Tel. 0141 827801 - Fax 0141 827830 e-mail: editore@fabianogroup.com - www.fabianogroup.com

Direttore Editoriale Vittorio Picardo

Anno XXVI N. 1 • 2011 contiene I.P.

Direttore Responsabile Ferdinando Fabiano

Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 335 del 14-06-1986

Segretaria di redazione Pierpaola Eraldi Tel. 0141 827836

Fabiano Group srl Reg. S. Giovanni, 40 - 14053 Canelli (AT) Tel. 0141 827801 - Fax 0141 827830 e-mail: editore@fabianogroup.com www.fabianogroup.com

Impaginazione Nicoletta Troncon

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Chiuso in redazione Marzo 2011 Norme per gli autori Consultare il sito www.oculisti.net Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana



Benvenuti! Il mondo di Viscochirurgia continua ad essere vitale, grazie alla simpatia che tutti Voi, Amici e Colleghi, nutrite per il nostro giornale che, ormai da alcuni decenni, ci accompagna, fornendo un aggiornamento professionale che noi speriamo sempre utile e di attualità. Il periodo di crisi economica e sociale ha investito anche il campo della Medicina, e così pure il nostro settore risente di alcune contrazioni nella gestione dei budget, da parte delle Aziende sia internazionali che nazionali. Da parte nostra, molte volte, invece, non percepiamo questo disagio reale, e continuiamo a organizzare congressi e convegni, certamente tutti interessanti, ma che spesso finiscono con il ripetere gli argomenti di discussione per la estrema vicinanza tra loro e per il ripetersi inevitabile di alcuni Relatori. Cui prodest? Continuo a ripetere orami da tempo, forse un po’ come Don Chisciotte, che dovremmo saperci guardare intorno, fare un attimo di autocritica, sapere riflettere anche su questa continua duplicazione di Società, cosa che finisce col creare gruppi e fazioni che potrebbero intaccare anche qualche volta i rapporti personali tra noi. In un momento così difficile, con tutte le negligenze che la politica continua a propinare al mondo della Sanità, non sarebbe meglio diventare una grossa forza compatta, per chiedere migliori regolamentazioni della nostra attività, sia che essa si svolga in una struttura universitaria, ospedaliera, convenzionata o privata; dovremmo riuscire ad abbattere quel muro di diffidenza verso certi tipi di strutture, liberalizzare ed equiparare l’assistenza sanitaria specialistica sul territorio nazionale; insomma poter dare il meglio a tutti i nostri pazienti, a prescindere dalla struttura dove si operi e dalla regione di appartenenza. Il federalismo della sanità, a mio avviso, può avere significato solo in senso organizzativo, ma la qualità non può avere differenze o barriere. Per motivi editoriali, in questo numero abbiamo dovuto omettere qualche rubrica come “Una giornata con…”, ma rimedieremo nel prossimo numero con due viaggi. Infine, mi fa piacere comunicare a Voi tutti che Roberto Bellucci è stato riconfermato per un altro mandato Segretario dell’E.S.C.R.S.: ciò testimonia il prestigio di cui gode l’Oftalmologia Italiana all’estero tra le Società che contano. Anzi, l’occasione delle prossime elezioni E.S.C.R.S. dovrebbe spingerci ad aumentare il numero di rappresentanti italiani in quella che è la più grande Società di chirurgia della cataratta e rifrattiva nello scenario internazionale. Vittorio Picardo

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Un premio alla carriera

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Intervista a Leonardo Mastropasqua

Leonardo Mastropasqua è stato insignito a novembre 2010 del premio Maestro di Oftalmologia 2010, a conferma cha la sua carriera Accademica è densa di attività clinica e soprattutto scientifica di grande qualità e rilievo. Non è stato difficile per me andarlo ad incontrare a Chieti, nella sua Università, perché la nostra amicizia e conoscenza risale al 1980 circa: Leonardo Mastropasqua era uno Specializzando iscritto a Roma alla Scuola del Prof. Scuderi perché, all’epoca, la struttura di Chieti era ancora una piccola Università, non dotata di tutte le attività accademiche, come le Scuole di Specializzazione. Che ricordi hai di quell’epoca? I ricordi che ho di quell’epoca, l’epoca del mio primo passo nel mondo dell’Oftalmologia, sono ancora molto vividi e forti. Rappresentano gli anni della mia giovinezza vissuti tra Roma, e l’Abruzzo ove lavoravo come medico interno universitario con funzioni assistenziali (Miuca) presso la Clinica Oculistica dell’Università “G. d’Annunzio”. Ancora più vividi sono i ricordi delle lezioni nelle aule dell’Università, dei pomeriggi di studio e delle notti insonni che annunciavano gli esami del giorno successivo, della soddisfazione liberatoria per un esame superato magari con una lode riportata sul libretto di profitto, dello spirito goliardico con cui si affrontavano le giornate, dei momenti di aggregazione passati con Colleghi allora specializzandi, oggi amici fraterni e grandi professionisti. Infatti, sin dai primi tempi, era ben radicata in me la convinzione che la dedizione profonda e completa alla materia, sotto ogni punto di vista, fossero le chiavi giuste per poter accedere al mondo Universitario, mia massima aspirazione. Proprio per questo, il senso di ammirazione e di emulazione, oltre che di profondo rispetto verso il Maestro, erano per me guida nelle scelte e nel comportamento professionale. Finita la scuola di specializzazione, inizia la carriera universitaria del prof. Mastropasqua che in pochi anni diventa Ricercatore, poi Associato, infine professore Ordinario e Direttore del Centro di Eccellenza in Oftalmologia dell’ Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara, Università che oggi annovera oltre 30.000 studenti ed un meraviglioso Campus tecnologico. La mia carriera si è delineata attraverso un lungo percorso, non privo di ostacoli, impegnativo, carico di sacrifici, specie nella vita familiare, ma alla fine appagante e in grado di gratificare anche i miei più ambiziosi obiettivi. I principi che hanno mosso il mio modo di lavorare sin dall’inizio sono stati quelli della qualità e della professionalità. Sono stato sempre cosciente che accanto la manualità chirurgica, che ritengo fondamentale, debbano esserci solide basi culturali e scientifiche, affinché l’approccio al paziente sia eticamente ineccepibile. Avere grande curiosità, come quella che ha un bimbo che si avvicina ad un gioco nuovo, rappresenta il motore ed allo stesso tempo il carburante, per entrare e percorrere i sentieri della ricerca scientifica: ogni novità nasce infatti da una intuizione e dalla capacità di tradurre praticamente, con i mezzi a disposizione, tale intuizione. Sin dai miei primi anni, in cui il mondo dell’Oftalmologia non era certamente così ricco di tecnologia come lo è adesso, avevo ben chiaro che solo se si hanno a disposizione strumenti in grado di cogliere “altro ed oltre” quel che empiricamente si osserva, si potevano tradurre proficuamente le intuizioni in termini di produzione scientifica ed avanzamento. Ed è questo l’ulteriore cardine su cui ho voluto costruire la mia idea di Clinica e di Scuola: avere sempre l’up to date nell’alta tecnologia in modo da poter offrire il meglio all’assistito nel pubblico. Ed infine, ma soprattutto, avere chiaro in mente che la prima arma per “edificare una Clinica ed una Scuola” nel senso più completo del termine era indubbiamente

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Con te è nata la nuova Clinica Oculistica di Chieti nelle nuove strutture del Campus. Che ricordi ti tornano nella mente e nel cuore? Ho avuto la fortuna, circa 20 anni fa, di poter fondare una Clinica Oftalmologica completamente nuova assumendomi la responsabilità nella scelta di uomini e strategie e ho costruito il mio curriculum, con le mie idee, la voglia di aggiungere quanti più tasselli possibili al vastissimo mondo della ricerca, con l’abnegazione, con la collaborazione dei miei Colleghi-Allievi, con l’assidua partecipazione a congressi e corsi di aggiornamento in Italia e all’estero per portare ovunque e con orgoglio il nome ed il logo della mia Università di appartenenza. In tutto ciò conoscere bene l’inglese è oggi fondamentale. Gli uomini scelti, la condivisione del progetto, l’orgoglio di appartenenza, il gioco di squadra e l’altissima tecnologia voluta ed ottenuta in tutti i settori ci hanno consentito di poter ottenere nel 2010 un attrazione extra regionale di oltre il 50%, di effettuare oltre 4.000 interventi chirurgici e una produzione scientifica documentata da un impact factor di oltre 250. Allora… Maestro o allenatore? Forse direi meglio manager: il team è composto esclusivamente dai miei Allievi che lavorano in perfetta sintonia senza mai risparmiarsi; sono bravissimi! E io tra loro vivo lo stesso entusiasmo di un ricercatore che ha appena iniziato la propria esperienza lavorativa. Insieme a tutti loro abbiamo raggiunto riconoscimenti e certificazioni di Eccellenza in campo scientifico, clinico-chirurgico e didattico sia in ambito nazionale che internazionale. La nostra Università Gabriele d’Annunzio, infine, vanta grandi strutture agganciate al Policlinico come il CeSI (Centro di eccellenza Europeo per le Scienze dell’Invecchiamento) per la ricerca di base e l’ITAB (Istituto di Tecnologia Avanzate biomediche) per la ricerca in bioimmagini. Il tutto inserito in un vasto ed ameno Campus universitario ove è possibile intercalare momenti di svago ed aggregazione all’attività di studio. Il tuo ingresso nel mondo della ricerca oftalmologica corrisponde ad un passaggio epocale: extra verso faco, chirurgia rifrattiva incisionale verso laser, e oggi non un laser ma vari laser, per le differenti tipologie cliniche e per i differenti usi. Ho cominciato con l’intracapsulare e sono stato fortunato a vivere questi periodi di transizione nelle varie branche della nostra Disciplina. Questo perché ritengo che chi ha la possibilità di vivere il passaggio evolutivo di una tecnica o di una disciplina chirurgica, riesce ad immagazzinare una esperienza più completa, direi a 360°. La chirurgia della cataratta della precedente generazione, l’extracapsulare appunto, ha permesso di formarci come chirurghi completi del segmento anteriore e tutt’oggi, nell’era dei faco più moderni, nell’era degli approcci mini-invasivi e delle micro-incisioni, rappresenta un bagaglio utile in casi selezionati e complicati che la sola curva di esperienza con le tecniche moderne non può fornire.

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la scelta esclusivamente meritocratica di ogni singolo Allievo. L’onesta intellettuale di un Maestro si desume infatti dalla qualità degli Allievi che devono essere selezionati attraverso una trasparente meritocrazia, se vogliamo che l’Università italiana possa essere fortemente competitiva in Europa e nel mondo.

Stesso discorso per i laser? Un discorso analogo può essere fatto per la chirurgia laser, sia rifrattiva che corneale in senso lato. Non solo le incisioni manuali sono un ricordo del passato nel campo della correzione dei difetti di rifrazione da ormai un ventennio, ma anche nel campo dei trapianti di cornea, ormai, il concetto di trapanazione con lame sarà sempre più sostituito da dissezioni robotizzate mediante l’utilizzo di laser a femtosecondi sempre più sofisticati. Addirittura ci siamo spinti, pionieri in Italia, verso la chirurgia intrastromale pura, basata sulla estrazione con laser a femtosecondi di lenticoli di stroma corneale di forma e geometria desiderata, senza necessità di interrompere la continuità della membrana di Bowman e dell’epitelio corneale. L’evoluzione in tali campi è talmente rapida che già è diventata realtà la possibilità di utilizzare una nuova generazione di laser per la chirurgia semi-robotizzata della cataratta, per realizzare incisioni corneali, capsulo ressi e faco-frammentazione, proiettandoci verso il futuro della invasività minima, standardizzazione massima e iol iniettabili. Leonardo ovvero il Professore Mastrapasqua vorrebbe parlarmi ancora di tante altre cose, con il suo entusiasmo e la sua mimica, ma siamo già alla seconda tazza di caffè e bussano alla porta della sua Direzione: gli “Allievi” lo riportano all’ordine: iniziare a lavorare. E allora: ciao Leonardo, grazie dell’intervista per Viscochirurgia. Buon lavoro e complimenti: mantieni sempre questo spirito giovane e entusiasta! Vittorio Picardo

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Intubazioni “alte” del sistema lacrimale ®

Walter Calcatelli ® Vito Gasparri

Unità Operativa Complessa di Oculistica, Ospedale Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma

RIASSUNTO L’intubazione è una tecnica importante per conformare le vie lacrimali e facilitare il deflusso delle lacrime. La prima porzione del sistema lacrimale, cioè il tratto formato dai punti e i canalicoli lacrimali, può essere intubato autonomamente (intubazione alta) senza interessare necessariamente il dotto naso-lacrimale. In questo articolo sono esaminate le diverse tecniche e i più recenti tipi di intubazione alta. In modo particolare viene presentata l’intubazione bicanalicolare autostabile e sono riportati i risultati di una casistica di 45 casi sottoposti a questo tipo di intubazione per stenosi dei punti lacrimali superiori e inferiori. Conclusioni: l’intubazione autostabile si è rivelata molto efficiente per intubare e mantenere pervio il tratto canalicolare delle vie lacrimali. La tecnica è eseguibile anche in regime ambulatoriale per la semplicità di esecuzione e per la ridotta traumaticità. ABSTRACT Intubation is an important technique to adapt the lachrymal tract and to facilitate the downflow of tears.The first portion of the lachrymal system, that is the stretch made up of points and lachrymal canaliculi, can be autonomously intubated (high intubation) without necessarily affecting the tear duct. Different techniques and the new kinds of high intubation are examined in this article.In particular, the self-retaining bicanaliculus intubation is presented and the results of a casuistry of 45 cases subjected to this kind of intubation for stenosis of lachrymal superior and inferior points are reported. Conclusion: self-retaining intubation has proven itself to be very efficient to intubate and maintain pervious the canaliculus stretch of lacrimal tract. The technique is feasible also in an out’ patients department because of the simplicity of execution and the reduced traumaticity.

PAROLE CHIAVE intubazione stenosi canalicolo epifora KEY WORDS intubation stenosis canaliculi epiphora

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>> Introduzione L’intubazione parziale o completa delle vie lacrimali rappresenta spesso un’integrazione di un precedente intervento di ricanalizzazione, mentre meno frequentemente viene utilizzata come unico tempo chirurgico. In passato, sono stati impiegati diversi materiali per lo stent come il polietilene, il nylon,il teflon; tuttavia il silicone (Gibbs 1967) si è poi rivelato il migliore per la ottima tollerabilità biologica e per la ridotta traumaticità. Un’intubazione temporanea in silicone agisce come conformatore delle strutture lacrimali e garantisce un drenaggio per capillarità, molto importante in occasione di sepsi del sistema lacrimale. La patologia delle vie lacrimali che si avvale più frequentemente di una intuba-

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zione comprende le stenosi dei punti lacrimali,le stenosi e le lacerazioni dei canalicoli lacrimali e la ostruzione congenita del dotto naso lacrimale. Inoltre viene utilizzata anche nell’intervento di dacriocistorinostomia, sia che l’intervento venga eseguito ab externo, per via endonasale e per via transcanalicolare. Riportiamo volentieri la nostra esperienza sulle diverse tecniche di intubazione del tratto presaccale delle vie lacrimali (intubazioni alte), senza coinvolgere necessariamente il canale naso-lacrimale, come avviene nelle già conosciute intubazioni mono e bicanalicolari (Crawford, Bika, Ritleng, Fayet-Bernard). I punti lacrimali possono presentare stenosi più o meno complete per patologie congenite, per


Intubazioni “alte” del sistema lacrimale

malattie cutanee limitrofe, per abuso di farmaci topici e talvolta per abuso o uso improprio di lenti a contatto. Così anche il tratto canalicolare può essere interessato da patologie congenite, infettive, neoformative e iatrogene (tossicità di numerosi farmaci, radioterapia per tumori cantali, ecc.) che ne ostacolano la pervietà. Inoltre questo tratto del sistema di deflusso, per conformazione anatomica, è soggetto a lacerazioni traumatiche sia dirette, che più spesso per stiramento palpebrale.

>> Materiali e Metodi Il sistema d’intubazione del tratto canalicolare più datato e conosciuto, ancora praticato da molti, prevede l’utilizzo della sonda di Worst (Figure 1a e 1b) con la quale, dopo aver percorso tutto il tratto canalicolare si passa un filo in prolene (Figure 2a e 2b) che farà poi da guida al tubicino in silicone (Figura 2 c). Con altre tecniche più recenti, quando è necessario intubare un solo canalicolo, vengono impiegati tutori in silicone con fissaggio al punto lacrimale. Uno di questi è il monostent della Eagle Vision (Figura 3a), interessante perché il tubicino della lunghezza di 50 mm è premontato in una cannula rigida (Figura 3b), che ne

facilita l’introduzione e la progressione lungo la via canalicolare (fino al dotto naso-lacrimale se necessario). Altro stent, sempre in silicone, utilizzato spesso per le lacerazioni del canalicolo è il mini-monoka della FCI Ophthalmics (Figura 4a), che differisce dal precedente per la diversa conformazione della porzione prossimale, che si blocca sul punto lacrimale con un inseritore come nei più comuni punctal plugs (Figura 4b). È inoltre più corto e non si avvale di una struttura rigida di supporto. Un ulteriore e interessante dispositivo per intubazione dei canalicoli lacrimali,sul quale ci soffermiamo particolarmente per l’esperienza positiva fatta negli ultimi mesi, è la sonda bicanalicolare autostabile della FCI Ophthalmics (Figure 5a, 5b e 5c) costituita da due ancore in silicone collegate da un tubicino, sempre in silicone, e pre-montate su due tutori, che ne rendono agevole l’introduzione. Le ancore prossimali sono formate da due linguette che entrano parallelamente e distese lungo il tutore, per poi aprirsi in senso orizzontale dopo aver superato il canalicolo comune e quindi essere penetrate nel sacco lacrimale. Esistono sonde di lunghezza varia: 25-30-35 mm, che vengono scelte dopo la misurazione

Figura 1

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Figura 2

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Walter Calcatelli, Vito Gasparri

Figura 3 A

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eseguita con un misuratore commercializzato sempre dalla stessa Ditta (Figura 6). Noi abbiamo impiantato intubazioni autostabili nelle stenosi dei punti lacrimali superiori e inferiori (45 casi), nelle stenosi canalicolari (18 casi), in pazienti dopo asportazione di neoformazioni del punto lacrimale (2) e in casi di lacerazioni canalicolari (3). Riportiamo i risultati ottenuti nelle stenosi dei punti lacrimali perché più significativi per nu-

mero di casi trattati. I pazienti non avevano altra patologia delle vie lacrimali salvo la stenosi dei punti lacrimali. Presentavano epifora con menisco lacrimale lungo il margine della palpebra inferiore, fastidioso soprattutto nella lettura. La loro età era compresa tra 24 e 87 anni (media 63 anni). È stata praticata una modesta infiltrazione di carbocaina sottocutanea intorno ai punti lacrimali interessati, con ago a 30 gauge.

Figura 4 A

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Figura 5

A

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Figura 6

Figura 7

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Intubazioni “alte” del sistema lacrimale

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L’inserimento della sonda era preceduto dal reperimento e allargamento del punto lacrimale, sia superiore che inferiore, con un divulsore (Figura 7) in dotazione nella confezione dell’intubazione e che abbiamo apprezzato per la giusta misura e conformazione. Le due ancore prossimali erano poi spinte nei tratti canalicolari superiore e inferiore con l’aiuto del sottile tutore, che funge da mandrino (Figura 8). Sono stati sottoposti allo stesso protocollo terapeutico: antibiotico con cortisonico in collirio tre volte al dì per sette giorni dopo l’impianto. La sonda è stata rimossa dopo un periodo compreso tra 8 e 12 settimane. Soltanto in tre casi (1.3%) si è verificata l’estrusione della sonda nelle prime due settimane, e in due casi (0.9%) iperemia della congiuntiva con prurito (probabilmente per intolleranza dei pazienti al silicone). La pervietà dei punti lacrimali è stata ripristinata nel 92% dei pazienti e nel 78% dei casi i pazienti hanno manifestato soddisfazione per la successiva scomparsa di epifora (Tabella 1).

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Figura 8

B

Tabella 1

>> Conclusioni Considerata la semplicità di esecuzione (anche in ambulatorio), la traumaticità della tecnica e i buoni risultati ottenuti, riteniamo che la sonda autostabile possa rappresentare un valido ausilio in molte patologie alte delle vie lacrimali. Una maggiore esperienza e un numero di casi più ampio, soprattutto di patologie traumatiche del sistema canalicolare, saranno sicuramente utili per una migliore valutazione di questo re® cente tipo di sonda per intubazione.

Bibliografia

1. Gibbs DC. New probe for the intubation of lacrimal canalicoli with silicone rubber tubing. Br. J. Ophthalmol. 51:198,1967. 2. Spinelli D, Gambaro S, Formenti F. Trattamento chirurgico delle lesioni traumatiche delle vie lacrimali. Atti del Convegno di Schio 23-24 febbraio 1990. Ed. Ghedini pag. 97. 3. Reifler DM. Management of canalicular laceration. Surv. Ophthalmol.1991 Sept-Oct; 36(2):113-32. 4. Kersten RC, Kulvin DR. ”One stich”canalicular repair. A simplified approach for repair of canalicular laceration. Ophthalmology. 1996 May; 103(5):785-9. 5. Smit TJ, Mourits MP. Monocanalicular lesions. To reconstruct or not. Ophthalmology 106(7):1310.1999. 6. Jordan DR, Gilberg S, Mawn LA. The round-tipped,eyed pigtail probe for canalicular Intubation: a review of 228 patients. Ophthal. Plast.Reconstr. Surg. 2008 May-Jun; 24(3):176-80. 7. Liang T, Zhao GQ, Li YL, Yang SS, Zhang LY, Wu Y. Efficency and therapeutic effect of modified pigtail probe in anastomosing lacerated lacrimal canaliculus. Chin. J. Traumatol. 2009 Apr;12(2):87-91. 8. Eo, SuRak MD, PhD; Park, JiUng MD; Cho, SangHun MD, PhD; Azari, Kodi K. MD. Microsurgical reconstruction for canalicular laceration using monostent (R) and mini-monoka (R). Annals of Plastic Surgery: April 2010 - Vol. 64 – Issue 4 – pp. 421-427. 9. Leibovitch I, Kakizaki H, Prabhakaran V, Selva D.Canalicular lacerationd: repair with the mini-monoka (R) monocanlicular intubation stent. Ophthalmic. Surg. Lasers Imaging. 2010 Jul-Aug; 41 (4):472-7.

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Cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri topolinkata (ETLK) nel cheratocono ®

Paolo Bonci ® Andrea Saitta ® Paola Bonci

Dipartimento di Oculistica, Ospedale S. Maria della Scaletta, Imola (Bologna)

RIASSUNTO Scopo: Questo studio ha come scopo quello di valutare l’efficacia della cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri topolinkata in pazienti con cheratocono, in grado di eliminare dal profilo corneale anteriore l’ectasia del cono e tutte le conseguenti aberrazioni da essa determinata mediante fotoablazione. Materiali e Metodi: Abbiamo arruolato nel nostro studio prospettivo 95 pazienti (68 maschi e 22 femmine) con un’età media di 23.0 ± 9.6 anni (range tra i 14 e i 35 anni). Lo studio è iniziato a gennaio 2000 e si è concluso a gennaio 2009 nell’ospedale S. Maria della Scaletta di Imola (BO). I criteri d’inclusione comprendevano cornee affette da cheratocono con spessore corneale ≥ 380 µm misurato con pachimetro ad ultrasuoni a 50 MHz (SP 2000P, Topcon, Japan), la migliore acuità visiva corretta (BCVA) ≤ 20/50, una più o meno evidente intolleranza alle lenti a contatto gas permeabili ed una evidente progressione topografica del cheratocono negli ultimi tre anni. Sono stati effettuati i seguenti controlli sia in fase preoperatoria che a 9, 12, 24 mesi dopo la chirurgia: la BSCVA (Best Spectable-Corrected Visual Acuity) con le tavole di Snellen, lo spessore corneale mediante la pachimetria ad ultrasuoni, la topografia corneale con il topografo Keratron scout (Optikon 2000 s.p.a., Roma, Italia) ed aberrometria con pupilla di 4,5 mm (area refrattiva), l’esame biomicroscopio, la conta delle cellule endoteliali con microscopio speculare (SP 2000P, Topcon, Giappone) e la microscopia confocale della cornea (ConfoScan 3, Nidek, Giappone). Risultati: Tutte le cornee a 12 mesi dall’intervento hanno presentato un valore pachimetrico minimo ≥ 459 ± 35 µm ed un valore massimo di 776 ± 55 µm in prossimità della tasca; dopo 24 mesi lo spessore centrale medio è stato di 466 ± 41 µm. Per quanto riguarda la topografia corneale, in tutti i pazienti dopo 24 mesi si è evidenziata la totale scomparsa di deformazioni cheratoconiche residue ed una forma corneale centrale fisiologica. Mediante l’elaborazione aberrometrica condotta con pupilla di 4,5 mm di diametro è stato possibile evidenziare astigmatismi di Zernike residui di 2,15 ± 1,95 diottrie a 9 mesi, ridottisi a 1,65 ± 0,95 diottrie dopo 24 mesi, coma di 0,855 ± 0,910 µm a 9 mesi, diminuitosi a 0,485 ± 0,820 µm dopo 24 mesi, ed aberrazione sferica di 0,586 ± 0,970 µm a 9 mesi, stabilizzatasi a 0,376 ± 0,790 µm dopo 24 mesi. La BSCVA media in fase pre-operatoria è stata di 0,35 ± 0,06 e dopo 24 mesi dall’intervento è salita a 0,77 ± 0,16. Discussione e Conclusioni: Nella ETLK, contrariamente a quanto accade in altre metodiche di cheratoplastica lamellare automatizzata, l’apposizione della lamella corneale non svolge effetti di schiacciamento meccanico sulla cornea già trattata con laser ad eccimeri, in quanto la cornea assume un profilo normale e senza più ectasie. Il follow-up di circa 10 anni, infine, non solo non ha mai evidenziato segni clinici né topografici di ricomparsa di ectasia corneale ma ha anche dimostrato la perfetta stabilità nel tempo della forma corneale e della rifrazione. Questa tecnica si è infine dimostrata essere di semplice esecuzione, eseguibile ambulatorialmente, sicura e senza rilevanti complicanze intra-operatorie. ABSTRACT Purpose: To prospectively evaluate the efficacy of the excimer topolinked lamellar keratoplasty (ETLK) in keratoconus. Materials and Methods: We selected 95 patients (68 male and 22 female) with surgical keratoconus, with a mean age of 23.0 ± 9.6 years (range 14-35). To be selected it was necessary a corneal thickness ≥ 380 µm measured by ultrasound pachymetry to 50 MHz (SP 2000P, Topcon, Japan), the best-corrected visual acuity (BCVA) ≤ 20/50 logMAR, intolerability to contact lenses and progressiveness of keratoconus in the last three years measured by computerized topography (Keratron Scout, Optikon 2000, Rome, Italy). The study period was from January 2000 to January 2009, at the S. Maria della Scaletta Hospital (Imola, Italy). We evaluated the following parameters preoperatively and postoperatively: BCVA with Snellen card; corneal thickness measured by ultrasound pachymetry to 50 MHz (SP 2000P, Topcon, Japan); endothelial density measured by specular microscopy (SP 2000P, Topcon, Japan); mean aberrometry

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Cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri topolinkata (ETLK) nel cheratocono

measured by computerized topography (Keratron Scout, Optikon 2000, Rome, Italy); and confocal microscopy (Confoscan 3, Nidek, Japan). The parameters were evaluated with a follow-up of 9, 12 and 24 months. Results: At the end of the follow-up (24 months) mean central corneal thickness was 466 ± 41 µm. After 24 months all the distortions measured by computerized topography in the corneal surface of all the patients disappeared. During the follow-up, residual Zernike aberration were 2,15 ± 1,95 diopters after 9 months and 1,65 ± 0,95 diopters after 24 months; coma aberration were 0,855 ± 0,910 µm after 9 months and 0,485 ± 0,820 µm after 24 months; and spherical aberration were 0,586 ± 0,970 µm after 9 months and 0,376 ± 0,790 µm after 24 months. The mean preoperative BCVA was 0,35 ± 0,06; after 24 months it was 0,77 ± 0,16 . Discussion and Conclusions: In the excimer topolinked lamellar keratoplasty application of corneal lenticules didn’t cause corneal deflection because the cornea with keratoconus acquired a regular surface after treatment with excimer laser topolinked. After 10 years corneal surface remained regular. This technique is safe, simple, outpatient and without particular intraoperative complications.

>> Introduzione Il cheratocono è una distrofia progressiva in cui la cornea assume una forma conica irregolare, secondaria all’assottigliamento stromale ed alla protrusione. Si ricorre alla chirurgia quando il paziente è giovane (15-30 anni) ed affetto da cheratocono con un progressivo peggioramento topografico dell’ectasia, quando non riesce a vedere bene con gli occhiali e/o non tollera le lenti a contatto, oppure quando, nonostante il loro utilizzo, non raggiunge un’adeguata acuità visiva. Mentre da decenni ormai vengono utilizzate tecniche di chirurgia lamellare manuale a scopo tettonico o ricostruttivo, a partire dagli anni novanta sono diventate oggetto di studio e sperimentazione tecniche lamellari profonde che hanno anche uno scopo ottico funzionale, cioè con finalità di ripristino di una migliore acuità visiva. A tal proposito, si è visto che per ottenere un buon risultato funzionale è molto importante riuscire a creare interfacce refrattivamente valide e mantenere così una morfologia corneale il più possibile fisiologica. In particolare, come dimostrano quei pazienti affetti da cheratocono molto avanzato, in cui un’adeguata lente a contatto rigida che compensi le irregolarità di forma della cornea riesce a fornire un’acuità visiva molto buona, la principale responsabile dell’acuità visiva è la superficie anteriore della cornea. Nel 1993 è stata introdotta da noi la cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri (ELLK) in cui si eseguiva uno scavo di profondità predeterminata in modalità PTK di diametro 7,5 mm centrata sulla pupilla: alla fine dell’asporta-

PAROLE CHIAVE laser a eccimeri topolink cheratoplastica lamellare cheratocono KEY WORDS excimer laser topolink lamellar keratoplasty keratoconus

zione, nonostante rimanesse ancora la deformazione del profilo del cheratocono, il letto stromale su cui appoggiava risultava molto assottigliato soprattutto all’apice del cono; a questo punto dopo la creazione di una tasca stromale veniva posizionata una lamella corneale disidratata di spessore tale da ricostituire uno spessore minimo di almeno 500 µm, allo scopo non solo di ripristinare buoni spessori corneali ma anche di schiacciare il cheratocono sottostante, così da riformare un profilo corneale anteriore regolare. Tuttavia, anche se l’interfaccia si presentava nel tempo sufficientemente trasparente, la presenza di pliche profonde determinate dall’effetto meccanico di schiacciamento da parte della lamella sul cono spesso causava recuperi della BSCVA non superiori a 0,6-0,7 e con qualità di visione talora scarsa. Per ridurre la presenza di pliche profonde era dunque necessario approfondire l’ablazione, in modo da lasciare la minore quantità di stroma possibile, minimizzandone così la compressione da parte della lamella: sono stati introdotti a tal scopo sistemi ablativi linkati di tipo pachimetrico interfacciati con le mappe dell’Orbscan sec.. Alessio e collaboratori della Scuola di Bari. Questa tecnica è stata poi ulteriormente modificata apportata noi con l’avvento di software fotoablativi linkati dalla topografia corneale e dalla sua elaborazione aberrometrica e ad essa è stato dato il nome di cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri topolinkata (ETLK), che si prefigge lo scopo di eliminare dal profilo corneale anteriore l’ectasia del cono e tutte le conseguenti aberrazioni da essa deter-

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minata mediante fotoablazione. Questa metodologia prevede un rilievo topografico accurato e l’analisi aberrometrica della cornea affetta da cheratocono, la quale evidenzia quasi sempre un’importante aberrazione da coma, tanto più accentuata quanto più eccentrico è l’apice del cono e quanto più importante è l’ectasia; poi, dopo l’elaborazione dello shot file ablativo, da inviare al laser ad eccimeri tramite un apposito programma, l’operatore deve decidere se concentrare l’ablazione sull’ectasia o distribuirla in varia misura alla periferia a seconda della curvatura finale ricercata. Quasi sempre la zona di massima ablazione corrisponde al centro dell’ectasia e quindi alla massima altezza rilevata dal topografo. Terminata la fotoablazione linkata, viene innestata una lamella corneale donante di spessore proporzionato a riottenere una cornea finale di spessore minimo di 500 µm e viene suturata, con punti singoli, con il duplice obbiettivo di ripristinare una buona acuità visiva e di arrestare la malattia.

>> Materiali e Metodi I pazienti operati e arruolati nel nostro studio prospettivo sono stati 95 (68 maschi e 22 femmine) con un’età media di 23 ± 9.6 anni (range tra i 14 e i 35 anni) nel periodo compreso tra gennaio 2000 e gennaio 2009. I criteri d’inclusione comprendevano cornee affette da cheratocono con spessore corneale ≥ 380 µm misurato con pachimetro ad ultrasuoni a 50 MHz (SP 2000P, Topcon, Japan), la migliore acuità visiva corretta (BCVA) ≤ 20/50, una più o meno evidente intolleranza alle lenti a contatto gas permeabili ed una evidente progressione topografica del cheratocono negli ultimi tre anni. Per ciascun paziente è stata eseguita una topografia corneale con il topografo Keratron scout (Optikon 2000 S.p.A., Roma, Italia) e si è poi considerata la differenza cheratometrica a 3 mm corrispondente all’astigmatismo cheratometrico. Infine si è misurato lo spessore corneale mediante pachimetria ad ultrasuoni. Tutte queste misure sono state effettuate sia in fase preoperatoria che 9, 12, 24 mesi dopo la chirurgia. Per l’ablazione topoaberrometrica è stato utilizzato il laser Schwind Esiris (Schwind eye-tech-

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solution GmbH & Co, Kleinostheim, Germania) e il programma linkato con il topografo Keratron scout. Le fotoablazioni linkate hanno raggiunto il massimo valore ablativo di 220 µm, mentre la media dell’ablazione è stata di 160 µm. Tutti i lenticoli utilizzati per gli innesti sono stati forniti dalla Banca degli occhi di Imola (filiale della Banca degli occhi dell’Emilia Romagna) e si trattava di bottoni corneali di 9 mm di diametro, posti in disidratazione in gel di silicio a cui preventivamente era stata asportata la membrana di Descemet.

Tecnica chirurgica La cornea affetta da cheratocono e studiata alla pachimetria ad ultrasuoni è stata considerata idonea al trattamento solamente se presentava uno spessore minimo di almeno 380 µm, il che ci consentiva di lasciare in sede un valore residuo di spessore di almeno 150 µm e di evitare così qualsiasi rischio di perforazione. La nostra esperienza ha altresì evidenziato come il valore pachimetrico minimo, misurato a livello dell’apice dell’ectasia, non sia del tutto affidabile, poiché quasi sempre esso risulta maggiore rispetto al valore reale; per tale motivo, onde evitare microperforazioni da eccesso ablativo, abbiamo considerato dei valori inferiori del 20% rispetto a quelli misurati. Ciascuna cornea è stata quindi sottoposta da parte dello stesso operatore a studio topografico e topoaberrometrico facendo estrema attenzione nell’eseguire topografie precise e ripetitive; poi i dati sono stati immessi nel software ablativo del laser ad eccimeri, che ha provveduto a costruire il profilo dell’ablazione. Nella correzione con il laser sono stati sempre inseriti anche i valori di defocus minimi di 3 diottrie sino a 6 diottrie di miopia in relazione alla curvatura media della cornea centrale, nonché i valori dell’astigmatismo calcolato con i polinomi di Zernike. Le aberrazioni di ordine elevato, corrette automaticamente prevedevano la correzione di aberrazioni sino al 5° ordine e sono state calcolate su una zona corneale di 4 mm. Il trattamento fotorefrattivo prevedeva una zona ottica di trattamento di 7,5 mm ed una transizione finale fino a 8,5 mm. Dopo l’applicazione di un’anestesia di superfi-


Cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri topolinkata (ETLK) nel cheratocono

cie (con oxibuprocaina 0,4% gocce) la cornea è stata scarificata al fine di asportare l’epitelio corneale su tutta la zona di trattamento, per essere poi sottoposta al trattamento linkato. È stato poi applicato sulla cornea un anello schermante metallico (costruito dalla ditta Janach) in modo da lasciare scoperta un’area centrale di 8 mm di diametro, ed è stato eseguito sempre con il laser un’ulteriore ablazione di 80 µm di profondità mediante tecnica PTK allo scopo di lasciare uno scalino periferico da utilizzare in seguito al microscopio operatorio per formare la tasca periferica. Al termine di questa fase con il laser, dopo aver posizionato una lente corneale monocurva protettiva ed avere instillato un collirio antibiotico, ciascun paziente è stato accompagnato nella sala operatoria attigua dove, previa anestesia peri-bulbare, è stato sottoposto dallo stesso chirurgo all’innesto della lamella donante con sutura a punti singoli allo scopo di ridare spessore e resistenza alla cornea trattata e di mantenere inalterato il profilo anteriore rimodellato. Ciascuna lamella corneale utilizzata è stata preventivamente preparata ed assottigliata con il laser Esiris sino al valore desiderato e calcolato per poter riottenere uno spessore corneale finale minimo di almeno 500 µm ; inoltre sempre mediante laser sono state assottigliate le parti terminali della lamella in modo da rendere più agevole la sua introduzione all’interno della tasca formata sulla cornea ospite.

Decorso post-operatorio Per le prime due settimane successive all’intervento è stata prescritta terapia locale con antibiotici e cortisonici. Nel 27% dei casi è stato necessario rimuovere e sostituire alcuni punti corneali singoli, perché diventati lenti. In 1 paziente è stato necessario sostituire la lamella in seguito a fenomeni necrotici verificatisi sul bordo dell’innesto; tale paziente è stato escluso dallo studio. In 7 pazienti si è verificato un ritardo di riepitelizzazione, senza ulteriori complicanze e per questo sono stati trattati con terapia specifica: 6 pazienti sono guariti nel giro di 10 giorni, mentre in 1 paziente si è formata una piccola erosione centrale guarita in 1 mese che ha poi causato la presenza di astigmatismo irre-

golare ed una ipermetropizzazione di 2 diottrie. In tutti i pazienti è stata applicata una lente corneale terapeutica, che è stata mantenuta in sede per il primo mese post-operatorio. Al terzo mese è iniziata l’asportazione selettiva dei punti singoli, nel caso fossero presenti astigmatismi importanti, partendo dai meridiani più curvi per minimizzare gli effetti di schiacciamento della lamella sul parenchima residuo; entro il quinto mese tutti i punti sono stati asportati. Nel 90% dei casi le lamelle corneali hanno recuperato una perfetta trasparenza entro la prima settimana ed il bulbo in perfetta quiete.

>> Risultati Tutti i pazienti operati sono stati sottoposti in sede pre-operatoria e dopo 9, 12 e 24 mesi dall’intervento ai seguenti controlli: n Pachimetria ad ultrasuoni n Esame biomicroscopio n Topografia e aberrometria con pupilla di 4,5 mm (area refrattiva) n Microscopia confocale della cornea (ConfoScan 3, Nidek, Giappone) n Conta delle cellule endoteliali con microscopio speculare (SP 2000P, Topcon, Giappone) n BSCVA (Best Spectable-Corrected Visual Acuity) con le tavole di Snellen. I dati riportati in Tabella 1 sono stati raccolti in fase post-operatoria ed inseriti in un foglio Excell (Microsoft, Corp.) per un’analisi successiva: sono stati registrati come la media ± SD (deviazione standard) e la loro significatività è stata elaborata col metodo “t-student per dati appaiati”; sono stati paragonati i valori del follow-up a quelli misurati pre-operatoriamente e sono stati considerati statisticamente significativi valori di p < 0.05. Tutte le cornee a 12 mesi dall’intervento hanno presentato un valore pachimetrico minimo ≥ 459 ± 35 µm ed un valore massimo di 776 ± 55 µm in prossimità della tasca; dopo 24 mesi lo spessore centrale medio è stato di 466 ± 41 µm. Inoltre tutte le cornee hanno presentato un’ottima trasparenza alla valutazione con biomicroscopio e nel 75% dei casi nella zona centrale di almeno 7 mm di diametro non è stata visibile alcuna interfaccia dopo accurata ricerca.

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Tabella 1 parametri

preoperatori

a 9 mesi

a 12 mesi

a 24 mesi

405 ± 32

456 ± 91 (p = 0.0002)

459 ± 35 (p = 0.0001)

466 ± 41 (p = 0.0003)

758 ± 98 (p = 0.0002)

776 ± 55 (p = 0.0001)

783 ± 29 (p = 0.0003)

Lettura cheratometrica (D)

52.33 ± 2.95

40.01 ± 4.44 (p = 0.0001)

42.31 ± 3.66 (p = 0.0001)

42.21 ± 1.57 (p = 0.0001)

Best Fit Sfere (D)

52.36 ± 2.66

41.22 ± 1.73 (p = 0.0001)

41.19 ± 2.67 (p = 0.0001)

42.02 ± 1.45 (p = 0.0001)

Astigmatismi di Zernike (D)

5.05 ± 2.95

2.15 ± 1.95 (p = 0.0002)

2.08 ± 1.85 (p = 0.0001)

1.65 ± 0.95 (p = 0.0001)

Coma (µm)

1.986 ± 1.251

0.855 ± 0.91 (p = 0.0002)

0.468 ± 0.93 (p = 0.0001)

0.485 ± 0.82 (p = 0.0003)

Aberrazione sferica (µm) in valore assoluto

0.803 ± 0.278

0.586 ± 0.97 (p = 0.0002)

0.383 ± 0.83 (p = 0.0001)

0.376 ± 0.79 (p = 0.0003)

Spessore dello stroma corneale residuo (µm)

111 ± 21 (p = 0.0003)

116 ± 29 (p = 0.0001)

119 ± 31 (p = 0.0002)

Densità endoteliale (n° di cellule per mm2)

2624 ± 133

2622 ± 83 (p = 0.0005)

2569 ± 110 (p = 0.0005)

2551 ± 136 (p = 0.0005)

Spessore corneale (µm) nel punto più sottile Spessore corneale (µm) a livello della tasca

C’è stato solamente un caso di difetto di cicatrizzazione epiteliale centrale che ha provocato una modifica dell’opacità centrale di 0,7 mm di diametro; tale paziente è stato escluso dallo studio. Per quanto riguarda la topografia corneale, in tutti i pazienti dopo 24 mesi si è evidenziata la totale scomparsa di deformazioni cheratoconiche residue ed una forma corneale centrale fisiologica. Inoltre in tutti questi la Best Fit Sfere già dopo 9 mesi è stata pari a 41,22 ± 1,73 diottrie stabili anche nei controlli successivi; infatti dopo 24 mesi è stata di 42,02 ± 1.45 diottrie. Dopo la rimozione di tutti i punti di sutura i valori di curvatura medi centrali si sono stabilizzati sia dopo 12 mesi sia dopo 24 mesi essendo stati rispettivamente pari a 42,31 ± 3,66 diottrie ed a 42,21 ± 1,57 diottrie. Mediante l’elaborazione aberrometrica condotta con pupilla di 4,5 mm di diametro è stato possibile evidenziare astigmatismi di Zernike residui di 2,15 ± 1,95 diottrie a 9 mesi ridottisi a 1,65 ± 0,95 diottrie dopo 24 mesi, coma di 0,855 ± 0,910 µm a 9 mesi diminuitosi a 0,485 ± 0,820 µm dopo 24 mesi, ed aberrazione sferica di 0,586 ± 0,970 µm a 9 mesi stabilizzatasi a 0,376 ± 0,790 dopo 24 mesi. È stato altresì possibile rilevare in tutti i casi la presenza dell’interfaccia alla microscopia confocale grazie all’aumento di riflettività a tale livello. Lo spessore dello stroma residuo al di sot-

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to dell’interfaccia è risultato pari a 111 ± 55 µm in sede centrale. La conta delle cellule endoteliali ha evidenziato, dopo 9 mesi, una perdita cellulare del 9,1% rispetto alla misura effettuata pre-operatoriamente, senza subire poi cambiamenti nei successivi controlli. La BSCVA media in fase pre-operatoria è stata di 0,35 ± 0,06 e dopo 24 mesi dall’intervento è salita a 0,77 ± 0,16. Nel 15% dei casi si sono registrate reazioni trofiche a livello della cicatrice della tasca che hanno provocato reazioni cicatriziali con alterazioni topografiche risoltesi nel giro di 2 mesi con terapia cortisonica topica.

>> Discussione e Conclusioni Nell’ambito delle chirurgie lamellari strumentali per cheratocono proposte e descritte sinora in letteratura (comprese quelle che prevedono l’uso del laser ad eccimeri) la tecnica ETLK si distingue nettamente per principi e scopi. Innanzitutto la sua finalità non è quella di assottigliare la cornea affetta da cheratocono né di omogeneizzare gli spessori, bensì è quella di eliminare tutte le aberrazioni della faccia anteriore indotte dall’ectasia mediante l’adozione di un pattern ablativo linkato derivato dall’elaborazione aberrometrica della topografia corneale malata. Per-


Cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri topolinkata (ETLK) nel cheratocono

tanto, lo scopo dell’applicazione laser sulla cornea affetta da cheratocono è quello di eliminare le aberrazioni di ordine elevato sino al 5° ordine, assieme all’astigmatismo calcolato con i polinomi di Zernike ricostruendo una superficie corneale anteriore priva di aberrazioni patologiche, senza prendere in considerazione le alterazioni di forma della superficie posteriore e le disomogeneità di spessore presenti nella cornea malata in quanto refrattivamente meno importanti. Infatti l’esperienza contattologica con lenti rigide ha ampiamente dimostrato come anche nei casi di cheratocono molto avanzato la regolarizzazione della faccia anteriore della cornea ottenuta con lente corneale abbia permesso il raggiungimento di elevate acuità visive. L’entità massima dell’ablazione effettuata è sempre stata inferiore ai 200 µm e quasi sempre la zona di massima ablazione è coincisa con l’apice del cheratocono; in questo modo si sono raggiunti spessori finali sull’apice che variano da 180 a 250 µm a seconda dello spessore di partenza. Poi con l’apposizione di una lamella corneale di 300 µm è stata ricostituita la zona più sottile con spessori di circa 500 µm e si è stabilizzata nel tempo la forma corneale ottenuta.

>>

È importante sottolineare che nella ETLK, contrariamente a quanto accade in altre metodiche di cheratoplastica lamellare automatizzata (compresa quella a link pachimetrico), l’apposizione della lamella corneale non svolge effetti di schiacciamento meccanico sulla cornea già trattata con laser ad eccimeri, in quanto la cornea assume un profilo normale e senza più ectasie. Il follow-up di circa 10 anni, infine, non solo non ha mai evidenziato segni clinici né topografici di ricomparsa di ectasia corneale ma ha anche dimostrato la perfetta stabilità nel tempo della forma corneale,e della rifrazione. Tuttavia questa tecnica non è ovviamente applicabile ai cheratoconi in stadio molto avanzato, in quanto per correggere le aberrazioni sarebbe necessario effettuare scarificazioni tissutali tali da rischiare perforazioni corneali. In conclusione la tecnica da noi proposta si è dimostrata essere di semplice e sicura esecuzione, eseguibile ambulatorialmente, senza rilevanti complicanze intra-operatorie. All’esame confocale, eseguito a distanza di 6 mesi dall’asportazione di tutti i punti di sutura, in nessun paziente si sono evidenziate pliche stromali. ®

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Descemet’ Stripping Automatized Endothelial Keratoplasty: nostra esperienza ®

Marco Leto ® Patricia Indemini ® Raphaël Gallo ® Agostino Salvatore Vaiano ® Guido Caramello

Struttura Complessa di Oculistica, Azienda Sanitaria Ospedale “Santa Croce e Carle”, Cuneo

RIASSUNTO Le cause di scompenso endoteliale rappresentano la maggiore indicazione per il trapianto di cornea. I trapianti lamellari posteriori permettono al paziente affetto da patologia endoteliale di evitare molte complicanze associate alla cheratoplastica perforante. La DSAEK rappresenta l’incarnazione delle tecniche lamellari posteriori. Con quest’articolo abbiamo voluto descrivere in maniera dettagliata la nostra tecnica DSAEK per chi volesse cimentarsi in questo nuovo tipo di chirurgia che rappresenta il presente e il futuro del trattamento chirurgico delle patologie endoteliali. ABSTRACT Taken together, causes of endothelial decompensation represent a major indication for corneal transplantation. Posterior lamellar grafts allow patients with endothelial failure to avoid many of the complications associated with the full thickness penetrating keratoplasty. Evolving over the last decade, Descemet’s Stripping Automated Endothelial Keratoplasty (DSAEK) represents the latest incarnation of posterior lamellar grafting techniques. With this article we want describe our DSAEK’s technique for those who want to try this new type of surgery which represents the present and the future of the surgical treatment of endothelial diseases.

>> Introduzione PAROLE CHIAVE trapianto endoteliale endotelio glide di Busin OCT Visante KEY WORDS DSAEK endothelium Busin’s glide OCT Visante

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La continua ricerca tecnica e la necessità di ridurre le complicanze della cheratoplastica perforante nel trattamento delle patologie endoteliali corneali ha portato Melles et al. nel 1997 ad introdurre la Cheratoplastica Lamellare Posteriore (PLK). Terry e Ousley hanno, in seguito, sviluppato nuovi strumenti e tecniche rinominando la PLK come Cheratoplastica Lamellare Endoteliale Profonda (DLEK). Tuttavia, queste modifiche non hanno ridotto né la difficoltà tecnica né il tempo necessario per le dissezioni stromali manuali su paziente e donatore. La successiva evoluzione della DLEK fu la Descemet Stripping Endothelial Keratoplasty (DSEK) che prevedeva l’introduzione dello stripping della Descemet. In questa procedura, invece di eseguire una dissezione lamellare, viene effettuata uno stripping della Descemet usando uno speciale stripper appositamente disegnato. Rispetto alla DLEK, la DSEK era più facile da eseguire e lo stripping della Descemet lasciava una

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migliore interfaccia sulla quale applicare il lembo del donatore. Questo portava a un migliore risultato visivo, ma nel contempo, persisteva una percentuale elevata di dislocazione precoce del lembo del donatore. La tecnica si è evoluta poi con la DescemetStripping Automated Endothelial Keratoplasty (DSAEK) che, oltre all’aggiunta della ressi della Descemet, sostituisce la dissezione stromale manuale della cornea del donatore con una dissezione automatizzata mediante un cheratomo utilizzato per le LASIK. Questa metodica permette un notevole miglioramento delle superfici delle interfacce diminuendo notevolmente il tempo di recupero visivo ed un aumento della qualità della visione riducendo le note complicanze della cheratoplastica perforante (PK), tra le quali si ricordano il lento recupero funzionale (1-2 anni), gli astigmatismi regolari e irregolari, il rischio a lungo termine della rottura traumatica della ferita, il rigetto del lembo e la ridotta percentuale di successo in caso di reintervento. Un’ulteriore


Descemet’ Stripping Automatized Endothelial Keratoplasty: nostra esperienza

evoluzione è rappresentata dalla DMEK (Descemet's Membrane Endothelial Keratoplasty) che prevede la sostituzione del lembo costituito dal solo Endotelio-Descemet.

>> Scopo del lavoro Con quest’articolo vogliamo descrivere la tecnica da noi utilizzata per fornire un approccio a quanti volessero cimentarsi in questo tipo di chirurgia, che ci ha regalato numerose soddisfazioni diventando, così, l’intervento di prima scelta nelle patologie corneali endoteliali primitive o secondarie.

>> Selezione dei pazienti I chirurghi che si apprestano a eseguire per la prima volta la DSAEK dovrebbero selezionare pazienti pseudofachici con una camera anteriore profonda e una CPIOL. Più indaginosa è, infatti, la procedura nei pazienti fachici o in quelli con una IOL in camera anteriore (AC). Molti pazienti necessitano sia di un trapianto endoteliale sia dell’intervento di cataratta. La Facoemulsificazione si può eseguire contestualmente alla cheratoplastica endoteliale, eseguendo una “procedura triplice” (FACO+IOL+DSAEK). Un potenziale problema della procedura triplice è la presenza di viscoelastico nell’interfaccia tra ricevente e foglietto donatore; per tale motivo alcuni autori eseguono in questi casi la faco senza uso di sostanze viscoelastiche. Noi utilizziamo solo viscoelastici coesivi.

sarà allargata a 4,1 mm) con un passaggio intrastromale breve di 1 mm circa, attraverso il quale l’operatore compirà le manovre principali come l’introduzione del lembo. Si esegue poi una paracentesi di 1,5 mm nel settore nasale, opposta alla temporale, che servirà a introdurre le pinze per trascinare il lembo all’interno dell’occhio avendo cura, per quanto possibile, di evitare l’ingombro del naso in modo da facilitare le manovre d’introduzione dello stesso. Nei settori inferiori si esegue una terza paracentesi di 1,2 mm per l’Anterior Chamber Manteiner (ACM) che si collega a un rubinetto a tre vie con la bottiglia d’infusione posta a circa 60 cm di altezza (verificarne l’erogazione prima di metterlo) e con il sistema di erogazione dell’aria di un modulo per vitrectomia. L’ACM riforma continuamente la camera, con la BSS o con aria, secondo le fasi della chirurgia. Con l’uso di un vitrectomo, introdotto dal taglio principale, si esegue un’iridectomia settoriale periferica a ore 6. L’incisione della Descemet è effettuata sui 360° con l’apposito uncino introdotto attraverso il tunnel temporale, seguendo la marcatura precedentemente effettuata, sotto acqua o sotto aria che permette una migliore visualizzazione della membrana (non viene usato colorante e/o sostanza viscoelastica). La rimozione della membrana di Descemet è facilitata da appositi strumenti come lo stripper (Figura 1a-b). Si procede poi alla preparazione del lenticolo del donatore, mentre sulla cornea del ricevente è posta una spugnetta in merocel umettata per protezione.

Preparazione del donatore

>> Tecnica chirurgica Anestesia I pazienti sono sedati con Propofol 2 ml (20 mg) intravenoso, immediatamente prima dell’iniezione peribulbare di anestetico locale con ropivacaina cloridrato 10 mg/ml (7 ml).

Preparazione del ricevente La procedura inizia con il chirurgo seduto temporalmente. La cornea è marcata con un marcatore circolare da 9 mm per evidenziare i limiti della successiva ressi della Descemet. Si esegue un’incisione temporale di 2,2 mm (che poi

Il lenticolo del donatore è preparato usando l’Automated Lamellar Therapeutic Keratoplasty System (ALTK-Moria SA). Si collega una bottiglia di BSS (posta a 90 cm di altezza) alla camera artificiale ALTK mediante un comune deflussore provvisto di roller di chiusura, posizionato a 15-20 cm circa dalla base della camera artificiale. Si permette, quindi, la fuoriuscita della BSS dalla sommità della camera artificiale evitando la formazione di bolle di aria lungo la linea d’infusione. L’anello corneo-sclerale del donatore viene posizionato sulla camera artificiale rivolgendo l’endotelio verso il basso, dopo averlo ricoperto con una piccola quantità di sostanza

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Figura 1 Tecnica chirurgica iniziale

Figura 2 Tecnica chirurgica: preparazione del lenticolo

viscoelastica. Una volta ottenuta una buona centratura del lembo corneo-sclerale, si strozza la linea d’infusione semplicemente piegando manualmente il tubo. Si dispone il cup cover sulla base della camera anteriore artificiale fino a serrarlo completamente, per bloccare correttamente il lembo corneale e creare una perfetta tenuta stagna tra lo stesso e la camera artificiale. Si riapre, quindi, la linea d’infusione e si serra ulteriormente la ghiera. Si procede in seguito alla chiusura del roller, verificando la corretta tenuta della camera artificiale. Lo spessore corneale viene misurato con pachimetria a ultrasuoni, mentre la camera anteriore artificiale è in pressione (circa 90 mmHg). Se lo spessore della cornea è superiore a 550 micron, si può decidere di eseguire una disepitelizzazione usando una Desmarres, ottenendo una riduzione dello spessore che ci permetterà di ottenere un lenticolo più sottile (Figura 2a). Il tono della camera artificiale deve essere alto, allo scopo di favorire la realizzazione di un bottone regolare e di diametro superiore a 9,0 mm Questo viene ottenuto con il cosiddetto “burst” che si realizza chiudendo il tubo dell’infusione con una forte pressione digitale sul roller, per agevolare l’entrata di una maggiore quantità di BSS nel sistema, e determinando una maggiore pressione all’interno della camera artificiale. Se la procedura è effettuata correttamente, si vedrà un lieve sbiancamento del lembo corneale. Si applica, quindi, l’anello guida sul cup cover, avendo cura di disporre il cilindro d’ingaggio del microcheratomo sullo stesso lato della mano che s’intende utilizzare per tenere la turbina che dovrà eseguire il taglio, per favorire la corretta

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procedura di taglio senza interruzioni nel movimento del microcheratomo (Figura 2b). Viene poi ingaggiato il microcheratomo, dopo avere provveduto all’assemblaggio tra lama, testina e manipolo a turbina, e si procederà con il taglio sotto infusione di acqua continua. La scelta della testina da utilizzare è condizionata dalla necessità di ottenere un lembo stromale/ endoteliale sottile, ma sufficientemente spesso per essere manipolato con facilità e sicurezza. Solitamente si utilizza una testina da 300 o da 350 micron. Nella fase di taglio si deve mantenere una velocità costante che consenta un taglio completo in 5-6 secondi. Una bassa velocità di avanzamento della testina comporterà un aumento dello spessore, mentre, al contrario, un’alta velocità di avanzamento produrrà un lembo di spessore simile a quello evidenziato sulla testina. Si deve evitare assolutamente di interrompere la fase di taglio per evitare la realizzazione di lembi di spessore disomogeneo. Una volta completato il taglio, bisogna verificare i margini del lembo corneale superficiale e quindi la correttezza del taglio (Figura 2c). Per evitare il collasso del lembo endoteliale ottenuto e, quindi, l’eventuale danneggiamento dell’endotelio stesso, procedere come segue: A. trozzare manualmente la linea d’infusione tra la camera anteriore e il roller (si eviti di aprire il roller poiché l’arretramento della rotella provocherebbe un immediato collasso della camera); B. aprire poi il roller e dopo aver fatto ciò rilasciare la linea d’infusione. Con la cornea ancora bloccata sulla camera artificiale è utile marcare i quattro punti cardinali esattamente sul bordo del taglio ottenuto, per permettere una facile centratura nella successiva fase di punzonatura con il punch. Sempre mediante l’utilizzo di una matita dermografica molto sottile, si disegni una “F” a circa 1 mm internamente al bordo del taglio ottenuto, che consentirà di riconoscere il lato stromale quando s’inserirà il lembo endoteliale in camera anteriore (in caso di rovesciamento del lembo la “F” apparirà come un “7”) (Figura 2d). Mantenendo aperta la linea d’infusione, svitare delicatamente la ghiera di serraggio della cornea e, dopo avere afferrato il limbus corneale mediante apposite pinze, svi-

tare ulteriormente fino alla completa estrazione del lembo corneale (lo si può estrarre dall’alto attraverso l’anello del cup cover). Disporre delicatamente il lembo ottenuto sulla base del punch a ghigliottina (Figura 3a). Verificarne la corretta centratura avvalendosi dei quattro punti cardinali in precedenza marcati (il diametro del lembo ottenuto dovrebbe essere compreso tra i 9.5 e i 10,0 mm). Si procede al taglio finale del lembo endoteliale, avvalendosi di un punch da 8.50/8,75 mm di

Figura 3 Tecnica chirurgica: completamento del lenticolo

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Figura 4 Tecnica chirurgica: introduzione di lenticolo endoteliale

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diametro scelto in base alle dimensioni della camera ricevente. Eseguito il taglio, si procede alll’asportazione della corona circostante (dopo aver verificato il corretto taglio afferrando con una pinza e facendo [[scorrere l’anello sclerale con movimenti circolari intorno al punzone centrale) (Figure 3 b-c-d).

Figura 5 Fine intervento

Introduzione del lembo in camera anteriore La procedura per i passaggi successivi è effettuata con il chirurgo seduto a ore 12. Si mantiene aperta l’irrigazione con BSS attraverso Figura 6 Controlli post operatori

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l’ACM in modo da mantenere formata la camera anteriore durante le manovre. Si prende delicatamente il lembo endoteliale e si trascina sulla piastra del glide disegnato da Busin (Moria SA) tenendo la faccia endoteliale rivolta verso l’alto (Figure 4 a-b). Il glide è poi invertito (up-down) e posizionato all’ingresso del tunnel temporale mentre con la pinza da microincisione si attraversa la camera anteriore, entrando dal lato opposto (Figura 4c). Afferrando il bordo del lembo, lo si trascina all’interno della CA, facendo attenzione che il lembo entri correttamente con il lato stromale verso l’alto. L’infusione continua dovrebbe favorire la completa apertura del lembo (Figura 4d). Si chiude l’infusione continua e si sfila l’estremità dell’ACM dalla camera anteriore. Dopo avere ulteriormente verificato il corretto posizionamento del lembo e, ovviamente, la marcatura effettuata precedentemente (deve apparire una “F”), si introduce una bolla d’aria in camera anteriore che favorirà l’adesione alla volta stromale. Una corona sui 360° e un riflesso argenteo del lembo (che apparirà attraverso la cornea come un tessuto“stropicciato”) sono sinonimo di una buona adesione. In caso con-

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Figura 7 Immagine OCT Visante post operatorio

trario, si riduce la bolla d’aria e si eseguono dei massaggi sulla superficie anteriore della cornea in modo da far scivolare il lembo per ottenere un corretto posizionamento. Si procede alla chiusura dell’incisione primaria mediante punti staccati in Nylon 10/0 (Figura 5). La posizione del paziente nel postoperatorio deve essere supina intervallata con brevi periodi di posizione seduta (Figura 6 a-b-c-d).

>> Conclusioni La DSAEK è una tecnica semplice ed efficiente (Figura 7) per il trattamento delle patologie endoteliali corneali. I pazienti hanno un veloce recupero visivo oltre che una migliore qualità. Tra gli svantaggi della tecnica dobbiamo anno® verare i costi del microcheratomo.

Bibliografia

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Cheratoplastica perforante con Laser a Femtosecondi: la tecnica “a cielo coperto” ®

Giuseppe Perone ® Filippo Incarbone

Centro Oculistico Giuseppe Perone, Saronno (VA)

RIASSUNTO Il laser a femtosecondi o laser intrastromale è uno strumento chirurgico in grado di produrre resezioni corneali. Ha ricevuto l’approvazione dall’FDA americana nel 1999. Grazie alla sua elevata precisione, sostituisce strumenti taglienti come bisturi, trapani e microcheratomi nelle procedure che hanno finora richiesto l’utilizzo di tali dispositivi. Dal Settembre 2006, esiste una procedura, denominata IEK (IntraLase Enabled KeratoplastyTM), che impiega il Laser a Femtosecondi per creare lembi da donatore e da ricevente allo scopo di eseguire una Cheratoplastica, dall’AMO. In questo lavoro vengono descritte alcune particolarità chirurgiche che abbiamo introdotto nel tempo, adattando le conoscenze e l’esperienza accumulata negli anni con la tecnica tradizionale con trapano alla tecnica di Cheratoplastica Perforante con laser a Femtosecondi con la quale, almeno in teoria, è possibile creare lembi dal profilo desiderato, una collimazione ottimale tra lembo del donatore e letto del ricevente, una migliore cicatrizzazione, un minor traumatismo chirurgico, una rimozione precoce delle suture ed un minore astigmatismo indotto. ABSTRACT The femtosecond laser (intrastromal laser) is a surgical instrument used in ophthalmic surgery to cut the corneal tissue. It received FDA approval in 1999. Due to its high precision, it replaces cutting devices like bistouries, trephine and microkeratomes in ophthalmic procedures. In 2006 it has been developed a standard procedure named IEK (IntraLase Enabled KeratoplastyTM) in order to perform both Lamellar and Penetrating KeratoPlasty (PKP), by AMO. In this paper we describe our way of performing PKP, translating the surgical skills and pearls that we learned through the past years in trephine PKP into a new laser experience, by which one can get design-fitting corneal flaps, exact matching donor/recipient corneal disks, better and faster scarring, besides reduced surgical injury, earlier suture removal and lesser astigmatism.

>> Introduzione PAROLE CHIAVE cheratoplastica perforante laser a femtosecondi laser intrastromale lembo corneale KEY WORDS penetrating keratoplasty femtosecond laser intrastromal laser corneal flap

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Il laser a femtosecondi Il laser a femtosecondi è un laser chirurgico per uso oftalmico in grado di produrre resezioni corneali. La denominazione è legata al fatto che la durata dell’impulso è dell’ordine dei femtosecondi (1 Femtosecondo = 10-15 sec). Per avere un termine di paragone, si può ricordare che 1 femtosecondo è il tempo necessario ad un elettrone per passare da un atomo all'altro o che le reazioni chimiche più veloci avvengono in circa 200 femtosecondi, mentre la luce impiega 1 secondo per compiere il giro del mondo 7,5 volte e 100 femtosecondi per attraversare lo spessore di un capello. Ricordando la formula che lega Potenza, Energia

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e Tempo (Potenza = Energia/Tempo), grazie ad una durata dell’impulso così breve, è possibile ottenere elevate potenze in cornea impiegando livelli di energia relativamente bassi. Ciò permette di utilizzare questo tipo di laser producendo un effetto di resezione nella cornea con minimo danno tissutale. Il laser a femtosecondi viene definito anche intrastromale, poiché agisce nello spessore dello stroma corneale, esclusivamente nel piano di focalizzazione, lasciando intatto il tessuto corneale attraversato. Ciò si spiega grazie al suo meccanismo di azione: il raggio laser, di lunghezza d’onda nell’infrarosso, seziona il tessuto mediante un’azione nota come photodisruption, termine che potrebbe essere tradotto in italiano


Cheratoplastica perforante con Laser a Femtosecondi: la tecnica "a cielo coperto"

Tabella 1 Evoluzione dei laser a Femtosecondi II generazione (dal 2001) • Procedura troppo lenta (+65 secondi)* • Problemi di cheratite lamellare diffusa e microstriae III generazione (dal 2003) • Procedura meno lenta (+35 secondi)* • Minori problemi di cheratite lamellare diffusa e microstriae IV generazione (dal 2006) • Procedura rapida (20 secondi)* • Ridotta incidenza di complicanze * per creare un lembo nella LASIK

con il termine ‘foto-disgregazione’. Il laser, focalizzato nello stroma corneale, in uno spot di 2-3 micron di diametro, attraversa gli strati corneali per raggiungere il piano di messa a fuoco e qui determina la formazione di un plasma che, espandendosi, produce un vero e proprio slamellamento della cornea. Un sistema ottico controllato da computer consente di portare in rapida sequenza migliaia d‘impulsi l’uno vicino all’altro, secondo una strategia ed un disegno programmato in modo da creare precise geometrie di taglio. In questo modo è possibile creare1 una lamella, un tunnel, un taglio e combinazioni di questi con una precisione ed una ripetibilità elevatissima2,3. Il laser intrastromale ha ricevuto l’approvazione dalla FDA (Food&Drug Administration, l’organo di controllo federale degli Stati Uniti) nel Dicembre 1999 ed è stato presentato per la prima volta all’American Academy of Ophthalmology nel meeting annuale dell’Ottobre 2000. È dunque possibile pensare al laser a femtosecondi come ad un’alternativa alle procedure che impiegano una lama4,5 quali il bisturi, il trapano, il microcheratomo. Nel caso di una LASIK, il laser a femtosecondi si sostituisce al microcheratomo, nel caso dell’impianto di INTACS al delaminatore corneale, nel caso della Cheratoplastica Perforante o Lamellare, si sostituisce al trapano corneale, al punch o al tagliente utilizzato per slamellare la cornea6,7,8. L’evoluzione nel tempo ha portato oggi al Laser a Femtosecondi di IV generazione9 (Tabella 1).

IntraLase Enabled KeratoplastyTM La IEK10 (IntraLase Enabled KeratoplastyTM), è una Cheratoplastica con taglio effettuato con laser a femtosecondi, e rappresenta la più avanzata metodica di impiego del laser a femtosecondi; la IEK ha ricevuto l’approvazione dell’FDA nel Luglio 2005 e la prima procedura su un occhio umano fu eseguita ad Indianapolis dal chirurgo Frank Price. Attualmente sono disponibili differenti modalità di creazione del lembo11: Top-Hat (a cappello a cilindro), Mushroom (a fungo) e Zig-Zag (Figura 1). La procedura di taglio ha un verso, cioè avviene dall’endotelio verso l’epitelio e ciò ha, come vedremo in seguito, particolari implicazioni pratiche. I vantaggi della procedura IEK sono rappresentati dalla possibilità, teoricamente infinita, di creare lembi personalizzati, dalla precisione nella collimazione tra lembo del donatore e letto del ricevente, dalla migliore cicatrizzazione, secondaria ad una più precisa e fine apposizione e collimazione dei lembi, da un minore traumatismo chirurgico, da una più precoce rimozione

Figura 1 Pattern di taglio con laser a femtosecondi

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Giuseppe Perone, Filippo Incarbone

Figura 2 Aspetto al microscopio elettronico del taglio con margini a zig-zag

della sutura e, dal punto di vista rifrattivo, da una minor induzione di astigmatismo, con conseguente ridotte problematiche di gestione dell’astigmatismo stesso nel postoperatorio.

(Cortesia del Dr. Marino Campanelli, Monza)

>> Descrizione della tecnica Gli Autori hanno già pubblicato una tecnica personale definita ‘a cielo coperto’, per ridurre i rischi intraoperatori e garantire una tenuta della camera anteriore nelle prime fasi di sutura del lembo corneale12. In questo lavoro, per descrivere le manovre chirurgiche che abbiamo introdotto nel tempo, per ottimizzare la tecnica di Cheratoplastica Perforante con laser a Femtosecondi, adattando le conoscenze e l’esperienza accumulata negli anni con la tecnica tradizionale con trapano, abbiamo seguito il criterio della sequenza dell’intervento. Ad ogni fase della procedura, ormai ben nota, abbiamo elencato e spiegato il nostro comportamento e le varianti maturate nel corso degli ultimi tre anni di esperienza.

Figura 3 Taglio con margini a zig-zag A. anteriore B. lamellare C. posteriore

>> Fase di creazione dei lembi Scelta del tipo di taglio

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Abbiamo creato differenti tipologie di taglio: a partire da quello a zig-zag (Figura 2) fino a quella di forma cilindrica. Taglio a zig-zag Quando si è scelto di creare un lembo a tutto spessore secondo la modalità a zig-zag, il laser ha agito in tre fasi: n taglio laterale posteriore (dalla camera anteriore verso lo stroma): diametro 8,9 mm, inclinazione 45°, fino a 320 micron di spessore (Figura 3a); n taglio lamellare a decorso orizzontale (parallelo alle superfici corneali): a 350 micron di profondità (media dello spessore corneale a 6-7 mm) da 7,4 a 9 mm (Figura 3b); n taglio laterale anteriore (dallo stroma fino alla superficie corneale): diametro 8,1 mm, inclinazione 45° (Figura 3c). Come si nota, si programma una sovrapposizione dei margini di taglio pari a 30 micron sull’asse antero-posteriore e pari a 0,1 mm nel taglio lamellare.

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Cheratoplastica perforante con Laser a Femtosecondi: la tecnica "a cielo coperto"

Taglio cilindrico Quando preferiamo eseguire un taglio cilindrico a tutto spessore, impostiamo il diametro anteriore a 7,5 mm nel ricevente e a 7,7 nel donatore, lasciando così uno scarto di 0,2 mm tra donatore e ricevente; l’angolo di taglio è di 60°. Ricordiamo qui che il laser inizia la procedura in profondità e la prosegue verso la superficie. Così, si deve programmare l’inizio della fase di taglio più profondamente all’endotelio, cioè in camera anteriore per evitare di avere strati interni non incisi. Al contrario, come vedremo in seguito, nel taglio del ricevente lasciamo appositamente negli strati superficiali 70 micron non incisi a 360° e ponti di tessuto intatto nei quattro punti cardinali.

Creazione del lembo del donatore La procedura viene eseguita appoggiando la camera di prova su di un tavolino da noi ideato che si incastra nel testale del letto del laser ad eccimeri WaveLight ALLEGRETTO che affianca il laser a femtosecondi (Figura 4). Questo accorgimento ha consentito di sfruttare la versatilità del lettino nei movimenti di traslazione, senza dover ricorrere all’impiego di ulteriori tavoli chirurgici. Uno dei primi problemi che abbiamo dovuto affrontare è stato il mantenimento di un’adeguata pressione all’interno della camera di prova. Infatti, la semplice bottiglia di BSS collegato con un deflussore alla camera anteriore artificiale di Barron non consentiva di adeguare puntualmente la pressione alle necessità intraoperatorie. Abbiamo così ideato un dispositivo appropriato (Figura 5). Esso è costituito da un alloggiamento per una siringa da 5 cc, collegata al tubo di infusione che si collega ad uno dei due connettori Luer-Lock della camera di prova. Lo stantuffo della siringa è pressato da una vite; la rotazione di questa vite aumenta la spinta sullo stantuffo e, quindi, la pressione nella camera di prova; la pressione viene mantenuta dalla posizione dello stantuffo, bloccato dalla vite. Il BSS deve uscire dall’altro connettore Luer-Lock e deve affacciarsi dai due fori della camera di prova; a questo punto si chiude la seconda uscita Luer-Lock della camera di prova. Il lembo sclerocorneale viene inserito su di una camera anteriore artificiale con il lato endoteliale appoggiato su una bolla di BSS. Può essere

Figura 4 Tavolino inserito nel testale del laser ALLEGRETTO WaveLight

utile riempire l’incavo della camera di prova con sostanza viscoelastica; ciò eviterà la formazione di una fastidiosa bolla d’aria che potrebbe disturbare tutte le successive fasi di applanazione, centratura e taglio. Inoltre, raccomandiamo di chiedere alla ‘Banca Cornea’ che fornisce il lembo del donatore di lasciare un anello sclerale di almeno 3 mm su tutta la circonferenza, per consentire la perfetta tenuta della camera di prova. Più volte ci è capitato che si verificasse una fuoriuscita di liquido tra una incisura del margine del lembo e l’anello della camera di prova, con un eccesso di manipolazione del lembo, una grande difficoltà nella preparazione al taglio ed un notevole allungamento dei tempi. Inoltre, le manovre per ricentrare il lembo possono obbligare a tagliare il lembo in posizione eccentrica fatto che, se non desiderato, può indurre ulteriori variabili nella refrazione post-operatoria. Il lembo, così preparato, è stato posto sotto l’apertura del laser intrastromale per effettuare l’applanazione, senza anello di suzione, la centratura ed il taglio (Figura 6). Al termine della procedura il lembo sclerocorneale è stato lasciato sulla camera anteriore artificiale, protetto da sostanza viscoelastica sul versante epiteliale, previa verifica al microscopio della bontà del taglio.

Figura 5 Camera di prova, basamento e dispositivo che alloggia la siringa per mantenere la pressione nella camera di prova artificiale

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Giuseppe Perone, Filippo Incarbone

Figura 6 Applanazione sul lembo del donatore; il lembo è alloggiato nella camera anteriore artificiale di Barron; la pressione nella camera di prova è mantenuta dal dispositivo da noi creato; il secondo connettore della camera di prova è chiuso

Creazione del letto del ricevente 1. Preparazione: il paziente è stato preparato con somministrazione topica di Lidocaina collirio 4%, Ofloxacina 0,3% collirio, Acido Jaluronico 0,4% collirio somministrati per 5 volte, ogni 5’ a partire da 30’ prima dell’intervento. 2. Anestesia: si è sempre scelto di evitare l’anestesia generale, indipendentemente dalle condizioni generali dei pazienti. Preferiamo effettuare l’infiltrazione peribulbare solamente dopo il taglio per evitare l’imbibizione dei tessuti molli prima della creazione del lembo con laser a femtosecondi (potenziale ostacolo alla suzione, alla centratura e mantenimento in sede dell’anello, possibile occlusione dei fori di aspirazione con conseguente perdita di suzione). In alcuni casi, si è scelto di eseguire l’intera procedura con la sola anestesia topica, evitando anche l’anestesia locale per infiltrazione che, dopo la creazione del lembo, avrebbe aggiunto un‘importante e deleteria spinta sul bulbo (possibile deiscenza dei piani corneali di taglio con conseguenze sulla integrità della camera anteriore e, quindi, del bulbo). La compliance dei pazienti e la presenza costante dell’Anestesista durante tutte le fasi della procedura ci hanno, ovviamente, consentito di svolgere l’intervento con questo tipo di anestesia13. 3. Suzione: preparato il campo operatorio e applicato il blefarostato, è stato apposto l’anello di suzione sull’occhio del paziente, effettuando l’opportuna centratura; mediante una siringa, che fa parte del set denominato ‘Patient Interface’ (insieme all’anello di suzione ed al cono di applanazione con lo scopo di mantenere solidale il laser all’occhio del paziente e

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di permettere una corretta focalizzazione del raggio laser all’interno dello stroma corneale), è stato creato il vuoto necessario a mantenere la suzione. Per creare un adeguato valore di vuoto, il pistone si deve arrestare a 3,2-3,4 cc. della scala di taratura della siringa. Questo valore corrisponde, nell’occhio del paziente, a circa 30-35 mmHg. Si è eseguita, quindi, la fase di applanazione e il perfezionamento della centratura del lembo. 4. Creazione del lembo: l’integrità del bulbo del ricevente nella fase di applanazione e, ancor più, al rilascio della suzione è sempre stato un obbiettivo nelle nostre procedure. Per avere le massime garanzie di conservarla, osserviamo la seguente procedura:

Risparmio tessutale (70 micron) Impostiamo un risparmio tessutale di 70 micron per aumentare la tenuta del lembo nelle fasi successive. Nella schermata nella quale si programmano le caratteristiche del taglio, si seleziona, tra le opzioni previste, il pulsante a video ‘More Parameters’. Nella videata che appare si seleziona la voce ‘Depth in Glass’ e si inserisce il valore –70 micron. Ciò significa che il laser viene programmato per arrestare la fase di erogazione degli impulsi a 70 micron dalla superficie di contatto con la cornea, ovvero il taglio, che avviene dall’endotelio verso l’epitelio, lascerà intatti i 70 micron di tessuto corneale più superficiale.

Ponti superficiali Inoltre a circa 2/3 del trattamento è stato inserito sulla faccia superiore del cono di applanazione un dispositivo a croce (Figura 7) che esercita un effetto di maschera (Figura 8); in considerazione del fatto che il taglio avviene dall’endotelio verso la superficie epiteliale lo scopo è quello di lasciare quattro ponti di tessuto superficiale per aumentare la tenuta del lembo nelle fasi successive. Al termine viene rilasciata la suzione.

Rilascio della suzione Questa fase è ad elevato rischio e richiede grande delicatezza. Il rilascio della suzione deve essere effettuato contemporaneamente al sollevamento del cono di applanazione; infatti, se si


Cheratoplastica perforante con Laser a Femtosecondi: la tecnica "a cielo coperto"

rilascia prima la suzione c’è il rischio che il cono di applanazione penetri in camera anteriore, se si solleva prima l’applanazione c’è il rischio che il bulbo si apra o si svuoti verso l’esterno. Delle due possibilità, la prima è la più reale dato che non è possibile sollevare il dispositivo di applanazione senza avere rilasciato la suzione. Si comprende così l’importanza del dispositivo a croce e del risparmio tessutale superficiale nella creazione del taglio sul ricevente. Infine, poniamo un tampone ed un guscio protettivo sull’occhio del paziente. È a questo punto che, quando indicato, eseguiamo l’anestesia peribulbare (Figura 9). Applichiamo poi un guscio rigido di protezione e spostiamo il paziente in sala operatoria, accompagnandolo su di una sedia mobile.

Figura 7 Dispositivo a croce salva-tessuto

Figura 8 Dispositivo a croce: veduta al microscopio del laser a femtosecondi

>> Fase di sostituzione del lembo Viene eseguita dopo la consueta preparazione del campo operatorio, l’apposizione del blefarostato e l’esposizione del bulbo e si articola in più fasi. 1. Scollamento del lembo del ricevente. Si è proceduto con la seguente sequenza: n la linea di taglio, anche se non raggiunge la superficie epiteliale, è facilmente identificabile al microscopio. In corrispondenza di essa, si esegue uno scollamento anteriore allo scopo di verificare presenza e qualità del taglio; si utilizza la spatola per dissecazione dell’epitelio (Storz E9071), normalmente impiegata nella tecnica LASIK per lo scollamento del lembo lamellare (Figura 10). Lo scollamento è, per ovvie ragioni, più profondo in corrispondenza dei quattro settori negli intervalli tra i ponti tessutali; questa manovra consente una contemporanea verifica della presenza dei ponti tessutali lasciati ai quattro punti cardinali. Nel caso di un taglio a zig-zag si esegue lo scollamento fino al taglio planare intermedio; n per agevolare le manovre di rimozione del lenticolo corneale del paziente, preferiamo applicare un punto di sutura temporale (ad ore IX in OD e ad ore III in OS) in seta vergine 8.0 sullo stesso.

Figura 9 Anestesia peribulbare

Figura 10 Scollamento del lembo in corrispondenza dei quattro settori negli intervalli tra i ponti tessutali

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2. Sovrapposizione e posizionamento del lembo del donatore a quello del ricevente: n si preleva il disco corneale del donatore isolandolo dal lembo sclerocorneale e lo si appoggia sulla superficie corneale del ricevente (Figura 11); quest’ultima viene lasciata a scopo tettonico (da qui scaturisce la denominazione di ‘tecnica a cielo coperto’). Poiché la sua faccia epiteliale è destinata a venire a contatto con l’endotelio del lembo donatore, essa viene ricoperta di sostanza viscoelastica, con lo scopo di evitare un effetto traumatico sull’endotelio del donatore; n ancoraggio del lembo del donatore con quattro punti staccati in seta vergine 8.0, collocati a metà dell’arco teso tra i due ponti tessutali lasciati dalla apposita programmazione di taglio sulla cornea del paziente; n dopo avere stretto i quattro punti (Figura 12), il bulbo del paziente è chiuso dalla cornea nativa, ancora in sede grazie ai ponti tessutali lasciati dal taglio con laser intrastromale a livello della porzione posteriore del taglio; sopra ad essa, con l’interposizione della sostanza viscoelastica, si trova la cornea del donatore, ancorata dai punti di sutura (Figura 13). 3. Rimozione del lembo del ricevente: n a questo punto, si possono tagliare i quattro ponti tessutali. La manovra può essere agevolmente eseguita con un tagliente. Ricordiamo che lo spessore di cornea non tagliata perché mascherata dal dispositivo a croce è sottile (circa 100 micron) ed ha un’ampiezza limitata a pochi gradi angolari; n grazie al filo di sutura in seta vergine posto temporalmente sul lembo del ricevente, si identifica e si mette in tensione il lembo nativo; n si estrae quest’ultimo con una delicata manovra (Figura 14). La camera anteriore, così esposta, rimane protetta dalla presenza del lembo del donatore, già in sede; n ulteriori quattro punti staccati in seta vergine 8.0 di ancoraggio per stabilizzare il lembo del donatore.

Figura 11 Lembo corneale sulla superficie corneale del ricevente

Figura 12 Lembo corneale sulla superficie corneale del ricevente: sutura a punti staccati

Figura 13 Lembo corneale sulla superficie corneale del ricevente

Figura 14 Estrazione del lembo nativo del ricevente

Figura 15 Lembo in sede con suture singole e sutura continua

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Cheratoplastica perforante con Laser a Femtosecondi: la tecnica "a cielo coperto"

4. Sutura. Utilizziamo di routine una sutura continua in Nylon 10.0 con ago spatolato 3/8 di cerchio; effettuiamo sedici passaggi (Figura 15). È bene ricordare che l’ago deve essere diretto verso il centro della cornea e che l’ingresso nello stroma corneale deve essere tra i 2/3 anteriori ed il 1/3 profondo dello stroma corneale, in una posizione predescemetica. Nel corso deIla sutura è bene provvedere ad un tensionamento progressivo del filo. Il primo passaggio viene effettuato ad ore XII, in senso centripeto, sul versante stromale del lembo; l’ultimo passaggio, sempre ad ore XII, inizia sul versante epiteliale del letto del ricevente e porta l’ago in senso centripeto ed il filo della sutura nell’interfaccia. In tal modo, quando si forma e si stringe il nodo, esso risulterà infossato nell’interfaccia. Dopo avere trazionato la sutura e serrato il punto, la procedura prosegue con la rimozione dei punti staccati in seta vergine e si conclude con l’applicazione di una lente a contatto terapeutica. La medicazione comprende Atropina 1% collirio, Desametasone 1% collirio ed Ofloxacina 0,3% collirio.

Figura 16 Aspetto postoperatorio a 6 ore

Figura 17 Aspetto postoperatorio a 2 settimane

Figura 18 Microscopia endoteliale: aspetto postoperatorio a 1 mese

>> Conclusioni La Cheratoplastica Perforante ha subito, nel corso degli ultimi anni, continui perfezionamenti che hanno riguardato sia la gestione del lembo del donatore, che la tecnica chirurgica, che il comportamento nel postoperatorio allo scopo di ottenere i migliori risultati funzionali. L’introduzione del laser a femtosecondi si inserisce in questo percorso poiché rappresenta uno strumento potenzialmente in grado di migliorare la tecnica chirurgica. In modo particolare, la IEK consente di pianificare geometrie di taglio con una puntuale ripetibilità del taglio sia sul donatore che sul ricevente e, quindi, una complementarietà tra innesto e letto ricevente, una maggiore stabilità del lembo sul letto del donatore, una maggiore prevedibilità dell’assetto del lembo trapiantato, una maggiore uniformità dei fenomeni cicatriziali e, in definitiva, migliori risultati funzionali (Figura 16, Figura 17).

Nella tecnica sopra esposta, a nostro parere, le particolarità sono rappresentate dall’anestesia locale o, come descritto precedentemente, dall’anestesia topica, dalla ripetibilità e complementarietà dei lembi preparati con il laser a femtosecondi, dalla tecnica ‘a cielo coperto’ che si è dimostrata, in grado di mantenere la camera durante la prima fase di sutura del nuovo lembo e, almeno per il follow-up fin ad oggi possibile, di salvaguardare l’integrità dello strato endoteliale (Figura 18), fatto di assoluto rilievo per conservare il lembo nel tempo, scongiurando il ® pericolo dello scompenso tardivo.

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Bibliografia

01. Juhasz T, Loesel F, Kurtz RM, Horvath C, Mourou G. Femtosecond laser refractive corneal surgery, IEEE Journal of Special Topicsin Qunatum Electronics 1999;5:902-910. 02. Krueger RR, Marchi V, Gualano A, Juhasz T, Speaker M, Suárez C. Clinical analysis of the neodymium:YLF picosecond laser as a microkeratome for laser in situ keratomileusis. Partially Sighted Eye Study. J Cataract Refract Surg. 1998 Nov;24(11):1434-40. 03. Ratkay-Traub I, Ferincz IE, Juhasz T, Kurtz RM, Krueger RR. First clinical results with the femtosecond neodynium-glass laser in refractive surgery. J Refract Surg. 2003 Mar-Apr;19(2):94-103. 04. Perone G. Il laser a femtosecondi - parte prima. La Voce AICCER - Anno 2007 – n.1; pagg.36-41 – Fabiano Editore. 05. Perone G. Il laser a femtosecondi - parte seconda. La Voce AICCER - Anno 2007 – n.2; pagg 42-48 – Fabiano Editore. 06. Slade SG. Application for the femtosecond laser in corneal surgery. Curr Opin Ophthalmol. 2007 Jul;18(4):338-41. 07. Sikder S, Snyder RW. Femtosecond laser preparation of donor tissue from the endothelial side. Cornea. 2006 May;25(4):416-22. 08. Hoffart L, Proust H, Matonti F, Catanèse M, Conrath J, Ridings B. Femtosecond-assisted anterior lamellar keratoplasty. J Fr Ophtalmol. 2007 Sep;30(7):689-94. 09. Knorz M. First European Experience with the 4th Generation IntraLase FS Laser. ESCRS meeting - 2006 9-12 September. 10. Buratto L. Use of Femtosecond Laser in Therapeutic Corneal treatements. ESCRS meeting - 2006 9-12 September. 11. Culbertson W. Bascom Palmer experience in IEK. ESCRS meeting - 2006 9-12 September. 12. Perone G, Incarbone F. Cheratoplastica perforante con Laser a Femtosecondi: tecnica ‘a cielo coperto’. N. 3-4, Anno 2008, Volume 60, pagg-45-5. 13. Rapisarda A, Savarino F, Rapisarda L. Anestesia nel trapianto di cornea in “Il Cheratocono” Cap. 13.3 – pag 343 – Edizioni SOI 2004.

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LE V I S C O INTERVISTE

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Intervista a... Stelvio Cipriani La musica accompagna la storia dell’uomo sin dall’antichità. Nel nostro lavoro molto spesso mettiamo della musica non solo nelle sale d’attesa, ma anche in sala operatoria, dove ho visto o meglio ho sentito parecchi Colleghi canticchiare il motivetto di sottofondo per stemperare la tensione e mantenere sereno l’ambiente di lavoro. La musica di Stelvio Cipriani è stata uno dei motivi che hanno caratterizzato gli anni 70 e 80, nella cinematografia italiana e internazionale. In occasione di un suo concerto, Viscochirurgia gli ha rubato la promessa di questa intervista. Vittorio Picardo

VISCOCHIRURGIA

la, la, do, mi. Poche note che lette non M i,signifi cano nulla, ma suonate sono l’inizio

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di… Anonimo Veneziano, un film degli anni ’70 che raccontava una storia d’amore, triste. L’Autore delle musiche era Stelvio Cipriani, un musicista all’epoca ancora non molto conosciuto, ma che con questa colonna sonora fece il gran balzo nel mondo della celluloide. La sua carriera era cominciata circa 10 anni prima in maniera diversa: il Maestro Cipriani era un giovane di talento che voleva inserirsi nel mondo della musica.

Maestro Cipriani, il Suo inizio è da pianista di piano bar? È vero; ero giovane, volevo conoscere il mondo, guadagnare qualche soldo, vivere e assaporare la linfa vitale del jazz americano. E così mi imbarcai sulle navi da crociera, che navigando nelle tiepide acque del Golfo del Messico, tra la Florida, Santo Domingo, lo Yucatan, offrivano vacanze spensierate ai ricconi americani. I motivi da suonare erano tanti e tra loro i pezzi di Glenn Miller, Stan Getz, Louis Armstrong, nonché i classici delle canzoni europee, da G. Becaud a Charles Trenet, e gli Autori italiani dell’epoca come Carosone, Modugno….

Per quanti anni ha fatto questa vita e a cosa Le è servito? Per oltre 6 anni, e mi ha permesso di capire gli umori del pubblico, le sue sensazioni, le capacità che ha la musica di comunicare emozioni differenti da persona a persona. Ogni tan-

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to scendevo a terra e cercavo di arrivare nelle grandi città americane per sentire (e… vedere) i grandi artisti del momento come D. Brubeck, L. Armstrong…

E poi tornato in Italia, Lei entrò nel mondo della musica leggera, arrivando addirittura ad arrangiare e dirigere il famoso pezzo “La pappa col pomodoro” colonna sonora del serial TV Giamburrasca, con Rita Pavone. Vero, tutto questo perché la Pavone in quel periodo viveva il momento d’oro della sua carriera ed io ero il pianista del suo gruppo. In quel tempo curavo tutti gli arrangiamenti dei pezzi per i concerti, specie quelli estivi.

E poi il cinema, quello impegnato, quello nazionale ed internazionale... Cambiai proprio genere e lasciai la musica leggera per le composizioni e le colonne sonore; più di 300 tra film italiani e stranieri.

Ma Lei è anche Autore di pezzi per cerimonie religiose tra cui un importante brano in onore di S.S. Giovanni Paolo II. Sì, e sono molto legato a questa parte della mia produzione perché mi ha consentito di esprimere un’altra dimensione della mia vena artistica e in particolare il pezzo da Lei citato, che ho registrato ed orchestrato a Praga e suonato in occasione del primo anniversario della morte di Sua Santità all’Auditorium di Roma. Mi la la do mi... il Maestro Cipriani si gira sullo sgabello del pianoforte, mette le mani sulla tastiera, e quelle note, inconfondibili, iniziano a riempire l’aria del suo studio. Vittorio Picardo


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Il profilo del taglio corneale nelle IEK (Intralase Enabled Keratoplasty) Vari disegni e razionale del loro utilizzo ®

Elisabetta Böhm

Unità Operativa Complessa di Oculistica, Ospedale dell’Angelo, Mestre

RIASSUNTO Scopo: Analizzare le possibilità offerte da tagli corneali a superficie di contatto ampliata eseguiti con il laser a femtosecondi nelle IEK (Intralase Enabled Keratoplasty). Materiali e Metodi: Valutazione retrospettiva di cheratoplastiche eseguite su 150 occhi. Si prendono in esame la facilità di esecuzione del taglio e della sutura, la correttezza dell’accostamento dei tessuti in funzione del risultato anatomico e plastico mirando a ottenere la più resistente struttura giunzionale possibile. Risultati e Commenti: Con frequenza di 60 kHz tutti i disegni di taglio si sono dimostrati efficaci nell’offrire una giunzione water-tight fra cornea ricevente e tessuto donato. Maggiore facilità di giustapposizione delle figure disegnate sembra esserci utilizzando tagli con angoli di 90° mentre più agevoli e meno astigmogene sembrano le suture poste sui disegni con angoli obliqui. Conclusioni: Il laser a femtosecondi offre la possibilità di personalizzare il disegno di taglio di una cheratoplastica che può agevolare non solo la sostituzione del tessuto patologico con un taglio estremamente regolare ma fornire una superficie di aderenza fra i tessuti più ampia, più solida, duratura e resistente. ABSTRACT Purpose: To study the different options offered by a personalized cut performed in a IEK (Intralase Enabled Keratoplasty). Materials and Methods: Retrospective study on 150 eyes who underwent a IEK. The attention was focused on the easiness in performing a particular cut, in suturing the wound and in the fitting of every particular cut design. Results and Comments: With a 60 kHz frequency laser all of the cuts achieved a water tight junction between host and donor tissues. The easiest tissue adhesion seems obtainable with right angle cuts, while the less astigmatic sutures seem to be put when oblique angle matches are used. Conclusions: IEKs with personalized cut’s design seem to offer a good opportunity not only in removing a tissue with great regularity but also in obtaining a wide, solid, regular scar.

l laser a femtosecondi produce una bolla

PAROLE CHIAVE laser a femtosecondi disegni di taglio top hat mushroom zig zag diamond KEY WORDS femtosecond laser cut design top hat mushroom zig zag diamond

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I di plasma all’interno del tessuto, lì dove il raggio è focalizzato. La microscopica area di distruzione del tessuto così prodotta, affiancata da altre lungo traiettorie preselezionate produce una linea di taglio definita. Nel nostro caso uno spot <3 µm produce una bolla di gas, di dimensioni variabili in funzione dell’energia impostata, che scolla i tessuti, venendo a contatto con la bolla prodotta dallo spot adiacente. La durata dello spot compresa tra 600 e 800 femtosecondi garantisce una potenza molto

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elevata, anche con energie dell’ordine dei microjoule. La frequenza dell’emissione è tipica dello specifico laser, mentre valori di energia emessa e distanza fra gli spots possono essere variati in funzione del tipo di utilizzo richiesto. Nei nostri interventi i tagli verticali sono stati eseguiti con energia di circa 2 µJ e distanza tra gli spot di 2-3µm. I tagli con resezione orizzontale per cheratoplastiche lamellari hanno raggiunto la qualità migliore, mantenendo una buona facilità di scollamento, con energia compresa tra 0,9 – 1,1 µJ e una distanza tra gli spots


Il profilo del taglio corneale nelle IEK (Intralase Enabled Keratoplasty)

Tagli ad angoli di 90°: top hat e mushroom

ridotta ad un massimo di 4 µm per le resezioni più profonde (oltre i 300 µm di profondità nello stroma corneale). Dal 2006 all’Ospedale di Mestre stiamo utilizzando un laser a femtosecondi a 60 khz di frequenza, per eseguire i tagli nei trapianti di cornea, sia perforanti che lamellari. La possibilità di variare il disegno di taglio evitando il taglio verticale puro, aumenta la superficie di contatto fra il tessuto ospite e il lembo corneale del donatore. Questo più ampio rapporto fra i due tessuti, oltre a prevedere una cicatrizzazione più omogenea, solida e resistente (ancora non dimostrata mancando per fortuna casi di trauma diretto al volto nei pazienti operati), dovrebbe permettere di personalizzare il tipo di cheratoplastica in base alla patologia da correggere. Il tempo di cicatrizzazione invece non sembra essere influenzato dal diverso contatto, perché l’estrema regolarità del taglio prodotto dal laser sembra ridurre la riposta fibroblastica dell’ospite, con una maggiore inerzia dei processi di wound healing (come da osservazioni personali sui pazienti operati). Il disegno del taglio è ottenuto dal sovrapporsi di linee verticali, orizzontali e oblique con differenti angoli di inclinazione. Per essere efficaci ed eseguire un taglio continuo, le singole linee di taglio debbono intersecarsi e sovrabbondare di 0,03mm verticalmente e 0,05 mm in orizzontale. Esaminiamo ora i diversi disegni, eseguibili con il laser Intralase della AMO. Il campione di casi da noi trattati, se pur non molto vasto, riguarda 150 occhi operati su diverse tipologie di pazienti,

Taglio ad angoli < 90°

per patologia corneale, età, sesso, occupazione. I primi disegni, cronologicamente proposti da Intralase, sono stati due tagli semplici ad angoli di 90°: “top hat” o cappello a cilindro, per la forma superiore di cilindro verticale, con base allargata come appunto la tesa di un cappello, e “mushroom” con cilindro verticale profondo e superficie allargata come la cappella di un fungo. Questi due tagli permettono un risparmio di tessuto dove questo non va sostituito e una più ampia superficie di sostituzione del tessuto patologico. Elettivamente venivano impiegati impiegati, rispettivamente, nelle patologie endoteliali e nelle ectasie (cheratocono, degenerazione pellucida, ectasie post lasik). Queste tipologie di taglio prevedono una su-

I vari disegni di taglio-base

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perficie di contatto orizzontale (shelf) che tipicamente abbiamo eseguito di dimensioni comprese tra 0,5 e 0,75 mm e ad una profondità pari al 50% dello spessore corneale del paziente, misurato tra i 7 e i 9 mm di diametro. L’inserimento delle linee oblique, intersecantesi ad angoli variabili, ha successivamente prodotto vari disegni, che ogni chirurgo poi modifica in base alla propria esperienza. I più utilizzati comunque sono: zig zag con profilo che prevede un maggior ricambio di epitelio e più limitata resezione di endotelio, “Christmas tree”, con, al contrario, una maggior sostituzione di endotelio (in pratica un “mushroom” e “top hat” con bordi a dente di sega), “diamond” (o “wedge” o cuneo, come l’abbiamo battezzato nella nostra pratica), con un solo angolo obliquo centrale, e altre figure intermedie come quella a chiodo. Le valutazioni teoriche sulla morfologia dei tagli lasciano, però, spazio a commenti legati all’esperienza clinica dei singoli operatori, perché alcuni disegni offrono una maggior difficoltà nell’apposizione dei punti di sutura. Anche se il disegno del taglio parrebbe offrire un accostamento “self sealing”, in realtà, trattandosi della giustapposizione di tessuti a diversa consistenza, spessore, plasticità legate anche all’imbibizione acquosa della cornea, la correttezza della sutura riveste una grande importanza, proprio per non vanificare, con la propria impostazione rigida, l’efficacia del disegno. Ogni angolo di tessuto del donatore va accostato esattamente al corrispondente angolo del ricevente, e l’ago del nylon 10/0 o 11/0 deve favorire tale posizione. Quando la consistenza e lo spessore del bottone corneale preparato sono molto diversi dal ricevente, la giustapposizione dello scalino è impostata temporaneamente dal chirurgo, con i punti di sutura. Questa necessità rende talvolta di maggiore difficoltà l’apposizione di punti in corrispondenza ad angoli di 90° rispetto agli angoli più acuti, che riescono più facilmente a collocarsi nel loro letto.

Taglio “zig zag”

Taglio “top hat”

Taglio “mushroom” in PK e LK

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Il profilo del taglio corneale nelle IEK (Intralase Enabled Keratoplasty)

Taglio “nail”

Secondo la nostra esperienza, il taglio “mushroom” è più facile da appoggiare con precisione, ma più difficile da suturare senza indurre distorsioni o misalignement dei tessuti, mentre i più semplici, perché in qualche modo prescindono da spessore e consistenza degli strati di collagene corneale, sono i tagli che offrono un cuneo di incastro, al centro del quale si colloca la punta dell’ago e la tensione del filo può essere lieve per favorire la più armoniosa posizione dell’ angolo di contatto. È nella chirurgia lamellare che si offrono i massimi vantaggi dell’accostamento a superficie maggiorata e specialmente con disegni a cuneo o cunei multipli opportunamente disegnati, perché si potrà, più velocemente, arrivare all’utilizzo delle colle, evitando le suture rigide e quindi svincolando il trapianto dalle complicanze indotte dalla sutura: astigmatismo da torsione, neovascolarizzazione da ansa lassa del filo o infezione lungo la stessa, oltre al disagio di un accesso urgente a una struttura attrezzata, in caso di improvvisa apertura di un punto. Alcuni esempi tratti dall’esperienza personale. I peggiori, anche perché legati alla learning curve, furono i due tagli iniziali eseguiti con un laser a frequenza di 30 kHz. Avevamo scelto il disegno “mushroom” per cheratocono, con sutura singola a sopraggitto: abbiamo assistito a un ritardo di cicatrizzazione per mesi, con la sorpresa di verificare una diastasi della linea di ferita anche dopo 8 mesi dall’intervento. Importante fu l’effetto distorsivo del punto di sutura, con astigmatismo elevato, che richiese la sostituzione del sopraggitto con punti staccati. Con le stesse frequenze si raggiungevano, invece, risultati assai migliori nelle cornee a curvatura regolare di partenza, che richiedevano la cheratoplastica per patologie diverse dall’ectasia e in cui si era scelto il taglio a top hat. Con le frequenze maggiori e potenze inferiori non si sono più verificate deiscenze della linea di ferita e i risultati refrattivi sono nettamente migliorati, inizialmente con valori di cilindro

Cuneo in PK a spessori irregolari, l’angolo di incastro offre una buona aderenza

Taglio “diamond”; il filo al centro del cuneo

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Taglio ad angoli retti (mushroom e top hat): aspetto del bordo

del letto, perché, nell’osservazione dei nostri pazienti, la grande regolarità del taglio sembra ridurre in modo importante la congestione bulbare e la proliferazione di possibili nuovi gettoni vascolari, che invece regrediscono fino a scomparire nella totalità dei casi trattati. Naturalmente con numeri piccoli di casistica non se ne possono trarre delle valutazio-

Regressione dei neovasi dopo 1 mese (taglio top hat)

refrattivo e topografico sovrapponibili a quelli dei tagli eseguiti con i trapani. Risultati ancora migliori con astigmatismi inferiori si sono avuti negli incastri ad angolo più acuto, che sembrano dipendere meno dalla nostra sutura. Sempre in relazione al taglio con il laser, questo sembra meritare una posizione privilegiata nelle patologie con neovascolarizzazione importante

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38

ni di certezza, ma i primi esempi sono così positivi da essere francamente incoraggianti. Il futuro a cui stiamo lavorando è: cheratoplastiche lamellari stromali o profonde con taglio a cuneo lungo (es. angolo di 30° 1 mm di flangia) con colla di fibrina sul bordo superiore del cuneo e 4-8 punti di puro accostamento ® temporaneo.

Bibliografia

n

Buratto L, Böhm E. The use of the femtosecond laser in penetrating keratoplasty, Am J Ophthalmol. 2007 May;143(5):737-742. Epub 2007 Mar 19.

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Eyeducation Centro Educazione al paziente Il nostro Centro di Educazione al Paziente è stato progettato appositamente per il Medico Oculista! È dinamico, accessibile e completamente personalizzabile. Potrete scegliere tra più di 30 Video e Animazioni in lingua italiana riguardanti diversi argomenti educativi e renderli fruibili direttamente nella vostra sala d’attesa o sul sito web.

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Quattro ferri... una cataratta! ®

Patrizia Vincenti ® Marco De Dominicis

Unità Operativa di Oculistica, Casa di Cura “Nuova Itor”, Roma (Responsabile: Dott. V. Picardo)

La chirurgia della cataratta diventa ogni giorno sempre più tecnologica e sofisticata, per ottenere i migliori risultati anatomo-funzionali. Unità faco, a breve anche laser, fanno la loro parte, ma le mani del chirurgo hanno comunque un ruolo fondamentale, mediato ancora oggi da alcuni essenziali strumenti. Del resto, l’etimologia della parola chirurgo viene dal greco e significa “colui che agisce con le mani”. Può venire bene allora una facomulsificazione … anche con quattro ferri? Vittorio Picardo

ell’era

modove tutto quello che riguarda l’intervento di cataratta si è rinnovato, anche i ferri chirurgici hanno subito via via delle modifiche: sempre più sottili, sempre più leggeri, ma anche sempre più costosi e con una necessità di manutenzione sempre più frequente e delicata. A questo c’è da aggiungere che nel mondo della chirurgia oftalmica è sempre più di moda l’“usa e getta” per varie motivazioni. Si butta il telo paziente e il copriservitore, si buttano siringhe, taglienti e aghicannula, si buttano tubi e punte del

VISCOCHIRURGIA

N derna,

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faco, iniettori delle IOL e loro cartridge, cannule per l’I/A ma i ferri fino ad oggi ... no. Oggi però, sempre più di frequente, le ditte che si occupano di chirurgia oftalmica stanno cercando di venir incontro anche a questa nuova esigenza e forniscono, così, set disposable anche di ferri chirurgici, composti addirittura a richiesta del singolo chirurgo, e quindi con un numero variabile di pezzi. Negli anni passati ne avevamo provati vari tipi, prodotti anche da ditte importanti, con risultati favorevoli. Ultimamente abbiamo sperimentato anche noi quelli della ditta

Set completo per faco

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TECNICA CHIRURGICA

di SUPRAMED (Marseille – France), che unisce ad una buona qualità degli strumenti, la praticità della confezione “personalizzabile”. Ci siamo così accorti che, in fondo, per un intervento di routine bastano “quattro ferri” nel vero senso della parola! Il set scelto è infatti composto da: n 1 blefarostato a vite n 1 pinza di Bonn (con denti) n 1 pinza da ressi (Corydon o Utrata a scelta) n 1 manipolatore del nucleo (di varie forme). Gli interventi eseguiti hanno dato ottimi risultati, senza complicanze legate ad eventuali imperfezioni di tornitura dei ferri stessi. Il peso e la maneggevolezza sono apparsi consoni alle necessità. Anche per chi usa la tecnica bimanuale o la coassiale da 1.8 mm esiste, sempre della stessa ditta, un set con pinza da ressi per piccola incisione. Un’ultima considerazione va fatta sicuramente per la spesa, che incide sul budget totale dell’intervento di cataratta. Sui grandi numeri, però, il vantaggio del risparmio dell’uso dell’autoclave, la migliore utilizzazione del personale di sala operatoria, che potrà dedicarsi ad altre mansioni anziché alla pulizia e manutenzione dei ferri, nonché il preservare il personale medico ed infermieristico e, perché no, i pazienti da possibili contagi (epatite, AIDS, etc.), può sicuramente controbilanciare la spesa, tanto che esistono reparti ospedalieri che li usano abitualmente. In conclusione, rimanendo sempre consapevoli che ogni intervento, anche il più semplice, può nascondere le sue insidie, possiamo sicuramente dire che oggi per eseguire una buona facoemulsificazione serve una unità faco e “quattro ferri” chirurgici perchè il gesto chirurgico è sempre più semplificato e limitato a pochi passaggi. Ma quando arriverà il femtosecondi nel mondo della cataratta (ed è già alle porte!) il chirurgo ® sarà “disposable”?

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Apertura del kit

Panno sintetico poggia ferri

Rimozione dei ferri dal kit monouso

Disposable vs riutilizzabili

Bibliografia

1. Buratto L. et al. Comportamento di sala operatoria in oculistica. Collana di Oftalmologia pratica vol. 3 Fogliazza Editore 1994. 2. Buratto L. et al. Chirurgia della cataratta. Vol 1-2-3 Fogliazza Editore 1994. 3. Buratto L. et al. Phacoemulsification principles and techniques. Editore Slack Incorporated 2003.

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Studio del profilo aberrometrico in pazienti sottoposti ad impianto di IOL torica ®

Aldo Caporossi ® Gianluca Martone ® Leonardo Ciompi ® Beatrice Bizzarri ® Stefano Baiocchi

Unità Operativa Complessa di Oculistica, Dipartimento di Scienze Oftalmologiche e Neurochirurgiche Università di Siena

RIASSUNTO Scopo del lavoro: Valutare la stabilità nel sacco capsulare della IOL torica Acrysof (Alcon Laboratories, Inc., Fort Worth, TX) in pazienti con cataratta e astigmatismo corneale preoperatorio e l’entità delle aberrazioni oculari di alto ordine in rapporto all’allineamento della IOL rispetto al planning chirurgico. Tipo di studio: Studio prospettico comparativo. Materiali e Metodi: In questo studio abbiamo esaminato pazienti sottoposti ad impianto di IOL torica Acrysof. Sono stati selezionati 10 pazienti con il follow-up più lungo e ciascun paziente è stato sottoposto a misurazione dell’acuità visiva non corretta e corretta, della cheratometria, dell’astigmatismo residuo postoperatorio, della topografia corneale (CSO, Italy), aberrometria totale oculare (Zywave II, B+L, USA) e della rotazione della IOL a 3 mesi di follow-up. Risultati: I pazienti presentavano un visus preoperatorio corretto medio di 0,5 con un valore di correzione sferica di 0.77 D e di astigmatismo medio di -2.02D. A 3 mesi di follow-up, l’acuità visiva media non corretta era di 0.84, corretta di 0.97, con un difetto refrattivo sferico di 0.19 D e astigmatico di -0.16D. All’analisi attraverso fotografia digitale tutti i pazienti presentavano un rotazione inferiore a 10 gradi rispetto al planning chirurgico. Sono stati creati due gruppi a seconda dell’entità della rotazione della IOL torica: nel primo gruppo la rotazione della IOL era inferiore a 5 gradi, nel secondo gruppo invece la rotazione era compresa fra 6 e 10 gradi. Dall’analisi aberrometrica totale nei due gruppi, non sono state evidenziate differenze significative sulla base della rotazione ad eccezione del trifoglio verticale (Z331). Discussione e Conclusioni: In questo studio la IOL Acrysof torica ha mostrato un’ottima stabilità rotazionale. Inoltre una rotazione della IOL inferiore a 10° rispetto al piano chirurgico non comporta importanti conseguenze nel profilo aberrometrico. ABSTRACT Aim of the study: To investigate rotational stability of the AcrySof Toric IOL (Alcon Laboratories, Inc., Fort Worth, TX) in subjects with cataracts and preexisting corneal astigmatism and to correlate the IOL rotation respect of surgical planning with total high order ocular aberrations. Type of the study: Prospective, comparative.

PAROLE CHIAVE IOL toriche astigmatismo aberrazioni rotazione asse KEY WORDS toric IOL astigmatism aberrations axis rotation

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Matherials and Methods: Ten eyes underwent uncomplicated phacoemulsification and were implanted with an Acrysof toric IOL. Uncorrected visual acuity (UCVA) and best-corrected (BCVA), keratometry, postoperative residual astigmatism, corneal topography (CSO, Italy), ocular aberrometry (Zywave II, B+L, USA) and postoperative rotation of the IOL were estimated after three months after the surgery. Results: Preoperative BCVA was 0,5 with a spherical correction of 0.77D and mean astigmatism of -2.02. Three months postoperatively, UCVA was 0.84, BCVA was 0.97 with a spherical correction of 0.19D and mean astigmatism of -0.16D. The digital photography showed a rotation inferior to 10 degrees in all patients. Regard IOL rotation, the patients were divided in two groups: first group with a rotation less of 5° and second group with a IOL rotation between 5° an 10°. No statistically significant differences among the two groups in terms of total high order aberrations except vertical trefoil (Z331). Discussion and Conclusion: This study demonstrates that Acrysof toric IOL shows a good rotational stability. Besides a rotation inferior to 10° doesn’t produce significant effects on aberrometric values.

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Studio del profilo aberrometrico in pazienti sottoposti ad impianto di IOL torica

ttualmente un obiettivo della chirurgia

Figura 1 Foglio di calcolo per il potere sferico, modello ed asse della IOL da impiantare

A della cataratta è quello di consentire un risultato refrattivo sempre più preciso, correggendo oltre al difetto sferico anche l’astigmatismo preoperatorio. Diversi studi statistici hanno evidenziato come il 15-30% dei pazienti che devono sottoporsi ad intervento di cataratta presenta più di 1 D di astigmatismo corneale1,2. Il trattamento ideale per correggere l’astigmatismo in un paziente da operare di cataratta deve essere preciso, non troppo complicato per il chirurgo e deve fornire risultati prevedibili. La valutazione del grado di astigmatismo pone una gamma di strategie chirurgiche da valutare bene, sulla base dell’entità dell’astigmatismo corneale preoperatorio. Con la nascita delle IOLs toriche, il panorama strategico chirurgico si è ben ampliato. L’uso delle IOL toriche dei chirurghi ASCRS è salito dal 36% nel 2007 al 83% nel 20093. Sono presenti in commercio diversi modelli di IOL toriche che si differenziano oltre che per i materiali e la forma, anche per la capacità di correggere l’astigmatismo sul piano corneale. Il corretto allineamento e la stabilità rotazionale è un elemento cruciale nell’impianto della IOL torica. È stato infatti evidenziato come ogni grado di rotazione della lente faccia perdere il potere correttivo cilindrico del 3,3%, tanto che una rotazione ≥30° comporta una perdita completa della capacità correttiva della lente. Per questo, nell’impiantare una IOL torica è necessario porre attenzione su tutte le fasi (preoperatoria, chirurgica e postoperatoria) per ottenere un allineamento finale della IOL il più possibile corrispondente all’asse dell’astigmatismo programmato. In questo studio abbiamo esaminato pazienti sottoposti ad impianto di IOL torica Acrysof, valutando la stabilità nel sacco capsulare della IOL nel tempo e l’entità delle aberrazioni di alto ordine, in rapporto all’allineamento della IOL rispetto al planning chirurgico.

>> Materiali e Metodi Sono stati arruolati 10 pazienti, con follow-up più lungo, affetti da cataratta sottoposti ad intervento di facoemulsificazione ed impianto di IOL torica per correggere l’astigmatismo corneale.

In fase preoperatoria, i pazienti sono stati sottoposti, oltre che ad un’attenta valutazione oftalmologica, a biometria e cheratometria mediante IOL Master (Carl Zeiss, Germania) valutando e confrontando i valori cheratometrici con i dati manuali e topografici ottenuti mediante Oftalmometro di Javal e mediante Topografo corneale Eye Top (CSO, Italy). I criteri di inclusione sono stati, oltre che la cataratta, un astigmatismo corneale regolare > di 1 D. Sono stati invece esclusi pazienti che presentavano astigmatismi asimmetrici, astigmatismi > di 5 D, con lassità zonulare, già sottoposti a chirurgia refrattiva o altre chirurgie oculari, con complicanze intraoperatorie, con maculopatie o storia di infiammazione oculare pregressa. Dopo aver arruolato ed esaminato il paziente, è stato utilizzato il programma di calcolo della IOL torica on-line nel sito www.acrysoftoriccalculator.com (Figura 1) per calcolare quale IOL (modello e potere equivalente sferico) impiantare e l’asse di posizionamento della IOL stessa nel sacco, basandosi sul potere dell’astigmatismo (K readings) e sui valori biometrici. Oltre ai dati cheratometrici è stato inserito il sito d’incisione ed il SIA (Surgical Induced Astigmatism), calcolato effettuando alcuni calcoli su delle tabelle di Excel grazie ad un lavoro di Hill5. Le formule biometriche utilizzate sono state la SRK/t

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Aldo Caporossi, Gianluca Martone, Leonardo Ciompi, Beatrice Bizzarri, Stefano Baiocchi

Figura 2 Lente Acrysof torica

e la Holladay 2, con la refrazione target che era l’emmetropia. Tutti gli interventi sono stati effettuati dallo stesso chirurgo (AC). Prima dell’intervento è stata effettuata la prima marcatura di riferimento a livello del limbus corneale a 0° e a 180° mediante il Pendolo di Elies (Janach, Italia) con il paziente seduto alla lampada a fessura. Ciascun paziente è stato poi sottoposto ad una facoemulsificazione della cataratta attraverso un’incisione di 2.75 mm, facendo particolare attenzione alla centratura della capsulo ressi. Dopo la facoemulsificazione è stata inserita la IOL torica Acrysof nel sacco, attraverso l’iniettore Monarch II e, dopo il dispiegamento, ruotata fino a circa 20-30 gradi dalla posizione finale di allineamento previsto, dopo aver marcato intraoperatoriamente mediante l’anello di Mendez (Janach, Italia) il corretto asse di posizionamento della IOL come programmato nel precedente calcolo, prendendo come riferimento la prima marcatura. È stata poi effettuata accuratamente la rimozione della sostanza viscoelastica e infine la IOL è stata ruotata fino al preciso allineamento con l’asse prestabilito, applicando una leggera pressione sul corpo ottico verso la capsula posteriore per permetterne l’aderenza. La IOL torica Acrysof (Alcon, USA) è una lente monopezzo con ottica di 6 mm, composta di

acrilico idrofobo, che presenta la caratteristica di toricità nella faccia posteriore dell’ottica e si estende per tutt il corpo ottico (Figura 2). Sono stati sviluppati 7 modelli con un potere cilindrico dal 1.50 a 6 D in grado di correggere un astigmatismo sul piano corneale da 1.03 a 4.11 D. Nel follow-up postoperatorio tutti i pazienti sono stati sottoposti oltre che ad una misurazione dell’acuita visiva corretta e non corretta, dell’astigmatismo mediante cheratometria e topografia corneale per dimostrare l’assenza di variazioni di entità e di asse dell’astigmatismo indotte chirurgicamente. Inoltre, per ciascun occhio è stata calcolata la rotazione della IOL rispetto al planning chirurgico, mediante documentazione fotografica digitale. Infine è stata effettuata una misurazione aberrometrica oculare totale a 5 mm con l’aberrometro Zywave II (B+L, USA) per studiare le varie componenti aberrometriche totali, in particolare le aberrazioni di alto ordine (HO), il trifoglio orizzontale (Z330) e verticale (Z331), la coma orizzontale (Z310) e verticale (Z331) e l’astigmatismo secondario (Z421).

>> Risultati I pazienti arruolati nello studio presentavano un visus preoperatorio corretto medio di 0,5 con un valore di correzione sferica di 0.77 D e di astigmatismo medio di -2.02D (Tabella 1). Non sono state segnalate complicanze intraoperatorie. A 3 mesi di follow-up i pazienti arruolati avevano un’acuità visiva media non corretto di 0.84, corretta do 0.97, con un difetto refrattivo sferico di 0.19 D e astigmatico di –0.16 D. Non sono stati evidenziati casi di decentramento o tilt della IOL nei controlli postoperatori tali da necessitare un riposizionamento della lente. Non abbiamo inoltre avuto evidenti opacizzazioni della capsula posteriore in nessun caso.

Tabella 1 Dati funzionali pre e post-operatori Difetto sferico

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Difetto cilindrico

k1

k2

AV AV non corretta corretta

Pre-op

0.77

–2.02

43.54

45.68

0.2

0.5

Post-op

0.19

–0.16

43.67

45.49

0.84

0.97

P<.05

P<.05

P>.05

P>.05

P<.05

P<.05

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Lunghezza Potere assiale IOL 23.78

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Studio del profilo aberrometrico in pazienti sottoposti ad impianto di IOL torica

Figura 3 Esempio di 2 pazienti con rotazione postoperatoria della IOL torica di 5 (A) e 10 (B) gradi rispetto al planning chirurgico. Freccia azzurra: asse di posizionamento indicato dal piano chirurgico; freccia gialla: asse della lente nel sacco; freccia rossa: asse di riferimento 0/90°

A

B

All’analisi attraverso fotografia digitale, tutti i pazienti presentavano un rotazione inferiore a 10 gradi rispetto al planning chirurgico. Abbiamo quindi suddiviso la popolazione operata in 2 gruppi a seconda dell’entità della rotazione della IOL torica: nel primo gruppo la rotazione della IOL era inferiore a 5 gradi, nel secondo gruppo invece la rotazione era fra 6 e 10 gradi (Figura 3). In termini di acuità visiva non corretta e corretta e di astigmatismo residuo postoperatorio, non sono state evidenziate differenze significative fra i due gruppi. Nella Tabella 2 sono evidenziati i valori ottenuti

dall’analisi aberrometrica totale nei due gruppi. Non sono state dimostrate differenze significative sulla base della rotazione ad eccezione del trifoglio verticale (Z331).

>> Discussione Ad oggi i candidati ideali all’impianto di IOL torica, sono tutti quei pazienti con cataratta ed astigmatismo corneale regolare preoperatorio ≥ 1 D, con una topografia corneale che mostri un astigmatismo simmetrico e che presentino un’integrità del sacco capsulare e dall’apparato zonulare,

Tabella 2 Aberazioni alto Trifoglio vert. ordine totali (HO) (Z331)

Coma vert. (Z311)

Coma orizz. (Z310)

Trif orizz. (Z330)

Secondo astigm. (Z421)

<5°

O,61

0,16

-0,04

0,08

0,02

0,015

>10°

0,63

0,39

-0,2

0,07

-0,1

-0,02

>.05

<.05

>.05

>.05

>.05

>.05

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Aldo Caporossi, Gianluca Martone, Leonardo Ciompi, Beatrice Bizzarri, Stefano Baiocchi

naturalmente escludendo coloro che presentano anomalie oculari o sistemiche concomitanti in grado di interferire con la capacità visiva. Un’accurata cheratometria manuale e la misurazione dell’astigmatismo tramite topografia corneale o IOL Master (Zeiss, Jena, Germania) è necessaria per programmare correttamente l’impianto di una IOL torica. Secondo uno studio recente i valori di curvatura corneale (K1, K2) sono risultati molto simili e confrontabili fra una cheratometria manuale, un topografo e lo IOL Master. Una lieve variazione fra i 3 strumenti di analisi è stata invece evidenziata per quanto riguarda l’asse dell’astigmatismo, anche se la differenza fra i valori ottenuti è risultata all’interno di valori di 5° nel 54% dei casi ed all’interno di 10° nell’81% dei casi6. Comunque, nel caso in cui si misuri una discrepanza maggiore di 5°, è consigliabile l’utilizzo di un cheratometro manuale per la conferma dell’asse dell’astigmatismo. Nel trial clinico FDA sulla IOL torica Acrysof è stata utilizzata la cheratometria manuale, anche se attualmente è consigliato l’uso di strumenti computerizzati, anche per evidenziare ed eventualmente escludere pazienti con astigmatismo irregolare. Le IOL toriche sono in grado di correggere le aberrazioni di secondo ordine come il defocus (Z2,0) e l’astigmatismo semplice (Z2,-2;2,2). Le aberrazioni di alto ordine, invece, sono correggibili solamente attraverso un trattamento laser a eccimeri customizzato. È noto che errori di posizionamento delle IOL toriche riducono l’effetto correttivo nei confronti dell’astigmatismo. Una deviazione di 10° rispetto all’asse programmato determina una riduzione del 30% del potere correttivo della IOL7. L’ottimo risultato finale e la prevedibilità dell’impianto di una IOL torica è influenzato da 3 fattori fondamentali che possono essere fonti di errore e di disallineamento: la corretta marcatura dell’asse programmato e di inserimento, il corretto impianto della IOL ed infine la stabilità rotazionale della IOL nel tempo8. Per quanto riguarda la fase preoperatoria, marcare accuratamente l’asse in previsione di un impianto di IOL torica è una fase cruciale per il corretto orientamento della IOL nel sacco capsulare. È innanzitutto consigliato fare una marca-

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tura preoperatoria sul meridiano orizzontale (0180) mentre il paziente è seduto alla lampada a fessura, per evitare la possibile ciclotorsione che può presentarsi in posizione supina sul letto operatorio. È importante inoltre evitare che il punto di marcatura limbare abbia un segno di dimensioni troppo grosse. Infatti l’uso di una penna dermografica può essere una fonte di errore per cui è consigliato in questo senso di non premere troppo la penna e di andare oltre il limbus all’interno della periferia corneale. Inoltre questo segno può allargarsi o cancellarsi durante l’intervento chirurgico a causa dell’irrigazione della superficie oculare. Non sempre può essere utilizzata la vascolarizzazione perilimbare come punto di repere in quanto ci possono essere delle modificazioni legate ai colliri preoperatori (anestetici, midriatici) ed alla chirurgia. È stato proposto come aiuto un piccola marcatura in cornea periferica, con un’ago da 30G, per aumentare la precisione. In alternativa è possibile creare immediatamente prima della chirurgia, dei markers corneali a livello della membrana di Bowman sul meridiano dove la IOL torica dovrebbe essere posizionata utilizzando il Nd:Yag laser9. Questa fase di marcatura preoperatoria può comunque creare dei piccoli errori di allineamento finale in quanto l’orientamento complessivo dello strumento di marcatura, è determinato da fattori che non sono legati allo strumento di marcatura fra cui i micromovimenti oculari, la non corretta posizione della testa del paziente, l’imprecisione dell’innesto del marcatore sul tonometro con conseguente imprecisione nella marcatura dell’asse orizzontale ed infine l’imprecisione nell’avvicinamento del pendolo al paziente. In questo senso, nuovi strumenti chirurgici e sistemi di imaging dovrebbero aiutare il chirurgo a ridurre gli errori di marcatura, che inducono, poi, una deviazione dal corretto meridiano sul quale la IOL torica dovrebbe essere impiantata. Una nuova precisa tecnica di marcatura utilizza un sistema di imaging (Micron Imaging System) che cattura l’immagine ad alto ingrandimento dell’iride sulla quale, in fase preoperatoria, identifica i punti di repere (cripte, vasi, pigmento, pattern stromali, etc.) per ricostruire i meridiani e l’asse su cui impiantare la lente. Per quanto riguarda la fase intraoperatoria, quan-


Studio del profilo aberrometrico in pazienti sottoposti ad impianto di IOL torica

do impiantiamo una IOL torica è fondamentale un corretto allineamento della IOL sul meridiano corneale più curvo. Una fonte di errore può derivare dal fatto che i marcatori più frequentemente utilizzati e attualmente in commercio per la marcatura intraoperatoria presentano delle variazioni di rotazione in steps di 5 o 10 gradi. Inoltre uno step chirurgico fondamentale in termini di accuratezza dell’allineamento finale della IOL, in quanto può causare rotazione tardiva della IOL, è la rimozione attenta del viscoelastico dal sacco capsulare, soprattutto quello situato posteriormente la IOL. È necessario poi fare molta attenzione, mentre si riforma la camera anteriore, a non creare un flusso importante in camera stessa che può indurre una rotazione della IOL. La IOL Acrysof torica ha presentato una stabilità rotazionale importante grazie alle sue caratteristiche tecniche che prevedono un’elevatissima capacità di adesione alla capsula posteriore nell’immediato postoperatorio, alle anse di tipo Stableforce, ed al materiale di tipo acrilico idrofobo. Lo studio FDA ha dimostrato che l’81,9% presenta una rotazione inferiore a 5 gradi, mentre il 97,1% inferiore a 10 gradi4. Numerosi studi hanno valutato la rotazione postoperatoria della IOL torica Acrysof dimostrando una rotazione maggiore di 10° dallo 0 al 9%10. Questi risultati sono confermati dalla nostra casistica, che ha evidenziato un’assenza di rotazione oltre i 10 gradi per tutte le IOL toriche impiantate. In questo studio abbiamo evidenziato, che sebbene sia importante il corretto posizionamento

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della IOL torica lungo l’asse dell’astigmatismo, una rotazione della IOL inferiore a 10° rispetto al piano chirurgico non comporta conseguenze nel profilo aberrometrico. Infatti dall’analisi aberrometrica totale nel gruppo con rotazione < di 5° e quello con rotazione < di 10° non sono state dimostrate differenze significative ad eccezione del trifoglio verticale (Z331). È necessario attraverso altri studi con una maggiore casistica e un follow-up più lungo approfondire questo aspetto e in particolare valutare la correlazione fra la rotazione della IOL torica rispetto al planning chirurgico con la variazione delle aberrazioni di alto ordine. Inoltre sarà importante valutare l’influenza dell’opacizzazione capsulare posteriore sulle performance funzionale ed aberrometrica della IOL torica. I nostri risultati iniziali sono incoraggianti per quanto riguarda la stabilità e dal centraggio della IOL valutata mediante confronto nel tempo con foto digitale e con studio aberrometrico. Nuove tecnologie e strumenti chirurgici dovrebbero migliorare ulteriormente il corretto allineamento della IOL torica. Comunque è possibile affermare che, malgrado il corretto posizionamento della IOL torica sia fondamentale, una rotazione di 10° può considerarsi accettabile in termini di significativa riduzione del cilindro residuo assoluto refrattivo e con conseguente miglioramento dell’acuità visiva non corretta. In attesa di un follow-up più lungo, possiamo affermare che i risultati ottenuti dimostrano, con evidenza, come l’affidabilità ed il risultato rifrattivo sia garantito dall’utilizzo di ® una IOL torica.

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IOL asferiche: cosa sono e perché usarle ®

Vincenzo Orfeo ® Domenico Boccuzzi

Clinica Mediterranea, Napoli

RIASSUNTO Scopo: Questo studio rappresenta una nota tecnica, in cui sono descritte le caratteristiche delle differenti tipologie di IOL asferiche, e le loro specifiche indicazioni di impianto. Materiali e Metodi: Sono stati confrontati i valori di aberrazione sferica di tre differenti tipologie di lenti asferiche, approvate dalla FDA (Food and Drug Administration) americana: la SofPort AO (Bausch+Lomb), la Tecnis Z9000 (Abbott Medical Optics), e la Acrysof IQ (Alcon). Conclusioni: In previsione di impiantare una IOL asferica, è indispensabile effettuare una topografia e valutare l’aberrazione sferica positiva corneale (calcolata a 6 mm). Sulla base del risultato ottenuto, è possibile scegliere tra tre differenti lenti asferiche-iperasferiche, cercando di puntare ad un risultato lievemente positivo, con un valore che si avvicini il più possibile ai +0.10 µm, solo se c’è la sicurezza di un’ottima centratura della IOL. ABSTRACT Purpose: This study represents a technical note, describing the characteristics of different types of aspheric IOLs, and their specific implant indications. Methods: We compared the values of spherical aberration of three different types of aspherical lens, FDA approved (Food and Drug Administration): SofPort the AO (Bausch+Lomb), the Tecnis Z9000 (Abbott Medical Optics) and the AcrySof IQ (Alcon). Conclusions: In anticipation of setting up an aspheric IOL, it is essential to evaluate the topography and corneal positive spherical aberration (estimated at 6 mm). Based on the results, you can choose between three aspherical lens, trying to aim at a slightly positive result, with a value that is as close as possible to +0.10 microns, only if there is a security of good centering of the IOL.

PAROLE CHIAVE lenti asferiche lenti iperasferiche aberrazione sferica positiva aberrazioni di ordine elevato polinomi di Zernike KEY WORDS aspherical lenses hyper-aspheric lenses positive spherical aberration high order aberrations Zernike polynomials

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lcuni pazienti, dopo un intervento di cacondotto senza complicanze, si dichiarano insoddisfatti del risultato funzionale perchè lamentano la visione di aloni in certe condizioni di luce. Le IOL standard, non asferiche, che si impiantano più comunemente durante un intervento di cataratta inducono, infatti, soprattutto con una midriasi medio-elevata, una aberrazione sferica positiva determinata dal fatto che il fuoco della luce incidente sulla parte periferica della IOL non cade nello stesso punto del fuoco dei raggi che incidono sulla lente più centralmente. Questa non coincidenza dei fuochi induce un fenomeno di alone o glare di cui talvolta il paziente si lamenta. Le IOL asferiche, invece, sono delle lenti intraoculari che presentano un profilo dell’ottica in gra-

A taratta

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do di modificare l’aberrazione sferica positiva. L’analisi di Wavefront del sistema visivo ha incrementato le nostre conoscenze sulle aberrazioni ottiche che condizionano la visione. I polinomi di Zernike (Figura 1) hanno consentito di caratterizzare e descrivere le aberrazioni ottiche. Oltre al difetto sferico e cilindrico (aberrazioni di basso ordine), esistono infatti aberrazioni di ordine elevato di vario tipo, che descrivono le alterazioni che il fronte d’onda luminoso può subire attraversando dei mezzi diottrici: in questo caso il sistema “occhio”. Normalmente le aberrazioni di basso ordine sono correggibili con occhiali, mentre ciò non è possibile per le aberrazioni di ordine elevato. L’aberrazione sferica è un’aberrazione di ordine elevato (Z40 secondo i polinomi di Zernike), che


IOL asferiche: cosa sono e perché usarle

è caratteristica di tutte le lenti positive. Si genera in quanto i raggi luminosi periferici, che colpiscono la lente, non convergono nello stesso punto in cui convergono i raggi luminosi centrali. Quando i raggi luminosi periferici sono messi a fuoco davanti ai raggi luminosi centrali, allora si parla di aberrazione sferica positiva (Figura 2). Viceversa, quando sono messi a fuoco dietro i raggi luminosi centrali si parla di aberrazione sferica negativa (Figura 3). Il fronte d’onda si modifica passando da un fronte piano a formare una “caustica”, una figura geometrica solida, simmetrica rispetto all'asse ottico. Questa aberrazione si traduce nella visione di un cerchio luminoso centrale, circondato da anelli scuri e luminosi (Figura 4). In termini di visione per il paziente, l’aberrazione sferica positiva è responsabile della visione di aloni attorno alle luci. Tale fenomeno risulta tanto più evidente quanto maggiore è il diametro pupillare. L’aberrazione sferica positiva è una caratteristica della cornea e non si modifica nel tempo. Importanti variazioni dell’aberrazione sferica si ottengono in seguito a chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri. Un trattamento miopico induce un’aberrazione sferica positiva, mentre un trattamento ipermetropico induce un’aberrazione sferica negativa. Molti studi hanno valutato che l’entità dell’aberrazione sferica (SA) è strettamente correlata alla sensibilità al contrasto; infatti all’aumentare dell’aberrazione sferica si ha una progressiva riduzione della sensibilità al contrasto1-3. Una seconda importante aberrazione è la “coma” (Figura 5). La coma si manifesta quando i raggi rifratti sono deviati da un solo lato del fuoco principale della lente, determinando una distorsione luminosa simile ad una cometa. Anche la coma può essere positiva o negativa, in base alla direzione in cui sono deviati i raggi luminosi. La coma è prodotta quando i vari elementi di un sistema ottico sono decentrati (Figura 6). Le aberrazioni di ordine elevato (HOAs) dell’occhio fachico derivano dalle varie strutture coinvolte nella visione, ovvero dalla superficie anteriore e dalla superficie posteriore della cornea, dal cristallino e dalla retina. Nell’occhio afachico, il 98.2% delle aberrazioni derivano dalla superficie anteriore della cornea4. Quindi negli occhi pseudofachici, si può intuire come le aberrazioni corneali siano di grande importanza e pos-

Figura 1 Polinomi di Zernike

sono essere considerate rappresentative di tutto il “sistema occhio” afachico. I coefficienti di Zernike delle aberrazioni di ordine elevato della cornea, possono essere derivati dalla topografia corneale. Numerosi studi hanno dimostrato che l’intervento di cataratta, con la microincisione, non modifica le aberrazioni di ordine elevato della cornea, che si possono considerare uguali a quelle del preoperatorio5. In questo modo un attento studio delle aberrazioni di ordine elevato della cornea, ed in particolare dell’aberrazione sferica, può consigliare la scelta di una IOL asferica che possa compensare le aberrazioni corneali, in modo tale da ottenere un risultato che garantisca la migliore acuità visiva e sensibilità al contrasto. Attualmente esistono in commercio, in Europa,

Figura 2 Aberrazione sferica positiva

Figura 3 Aberrazione sferica negativa

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Figura 4 Aberrazione sferica

Figura 5 Coma

numerose lenti asferiche; la FDA (Food and Drug Administration) americana ha approvato tre lenti per la correzione delle aberrazioni sferiche positive: la SofPort AO (Bausch+Lomb), la Tecnis Z9000 (Abbott Medical Optics), e la AcrySof IQ (Alcon) (Figure 7-8-9). Le tre lenti presentano tre differenti strategie per la correzione dell’aberrazione sferica. La SofPort AO presenta un‘aberrazione sferica positiva uguale a zero, perché è stata concepita con lo scopo di correggere esclusivamente l’aberrazione sferica positiva della lente, lasciando invariato il fattore proveniente dalla cornea; la Tecnis Z9000 presenta un’aberrazione sferica negativa di –0.27 µm, per andare a compensare completamente l’aberrazione sferica positiva della cornea; la AcrySof IQ, invece presenta un’aberrazione sferica negativa di –0.20 µm, andando a compensare solo parzialmente l’aberrazione sferica positiva della cornea (che è di Figura 6 IOL decentrata

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circa +0.27 µm valutata a 6 mm).6,7 Pertanto, per la precisione, solo la lente Bausch+Lomb potrà definirsi asferica, mentre le altre saranno definite iperasferiche (perché dotate di aberrazione sferica negativa). Differenti studi hanno dimostrato che esiste una correlazione tra l’aberrazione sferica positiva e la “supervisione” (considerata come un’acuità visiva naturale uguale o superiore a 13/10). Levy e col.7 hanno quantificato l’aberrazione sferica positiva totale in pazienti con pupille dilatate, con un diametro superiore o uguale a 6 mm, in 70 occhi di 35 soggetti con un’età media di 24.3 ± 7.7 anni con una visione supernaturale (≥ 13/10) tramite un aberrometro OPD Scan Nidek (Nidek Co, LTD, Gamagori, Japan). L’RMS medio (root-mean-square) dell’aberrazione sferica di questa popolazione di soggetti era di +0.110 ± 0.77 µm. Per cui, secondo i risultati di questo studio, si può ritenere che avere una lieve aberrazione sferica positiva induca i vantaggi della “supervisione”. Altri studi hanno quindi cercato di riprodurre le stesse condizioni di aberrazione sferica positiva totale in soggetti pseudofachici, constatando che la sensibilità al contrasto era più elevata nei soggetti che presentavano nel post-operatorio un’aberrazione sferica positiva di +0.10 µm. Allora come regolarsi per la scelta della IOL asferica da impiantare? Perchè tre differenti tipologie di lenti? Ovviamente per poter comprendere le scelte tecniche di ogni singola Azienda è necessario conoscere la distribuzione dell’aberrazione sferica nella popolazione. In uno studio effettuato su 696 occhi8, è stato appunto valutato che il valore medio di aberrazione sferica positiva corneale è di 0.274 ± 0.095 µm in una curva Gaussiana normale. Secondo questa considerazione, la IOL che è in grado di riprodurre le condizioni post-operatorie di aberrazione sferica positiva di 0.10 µm è la Alcon AcrySof IQ (SA –0.20 µm), che determina un‘aberrazione sferica residua lievemente positiva. Ma è necessario fare un’altra importante considerazione. Quando si combina la sfericità della cornea con una IOL iperasferica, il centro ottico della cornea e quello della IOL devono necessariamente essere coincidenti, per non rischiare di indurre “coma”. L’occhio non è un sistema visivo centrato, in funzione del fatto che l’asse ottico e l’asse visivo sono differenti. Così anche se la IOL è perfettamente centrata nel sacco capsulare,


IOL asferiche: cosa sono e perché usarle

Figura 7 Sofport AO B+L

Figura 8 Tecnis Z9000 AMO

sarà allora decentrata sull’asse visivo, inducendo inevitabilmente una piccola coma. Questa potrà aggiungersi o sottrarsi alla coma fisiologica della cornea. Pertanto possiamo concludere che le IOL iperasferiche possono determinare la comparsa di coma come le normali IOL sferiche9. Con decentramenti di maggiori dimensioni, invece, le aberrazioni indotte dalle IOL iperasferiche possono superare quelle delle normali IOL sferiche, che sono a loro volta maggiori di quelle indotte dalle IOL asferiche. Per questa ragione, in sistemi visivi in cui sia presente una coma corneale (soggetti con cheratocono o degenerazioni marginali pellucide etc.) oppure nei casi in cui c’è il rischio di un maggior decentramento della IOL (es. zonule deboli oppure dopo trauma) è preferibile impiantare una IOL asferica con aberrazione sferica uguale a zero (neutral aspheric IOL, Bausch+Lomb AO) (Figura 6). In conclusione, in previsione di impiantare una IOL asferica, è indispensabile effettuare una topografia e valutare l’aberrazione sferica positiva corneale (calcolata a 6 mm). Sulla base del risultato ottenuto, è possibile scegliere tra tre dif-

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Figura 9 Acrysof IQ AMO

ferenti lenti asferiche-iperasferiche, cercando di puntare ad un risultato lievemente positivo, con un valore che si avvicini il più possibile ai +0.10 µm, solo se c’è la sicurezza di un’ottima centratura della IOL. Ma quando in realtà è maggiormente indicato l’impianto di una IOL asferica? Sicuramente uno dei fattori che condiziona maggiormente la decisione di impiantare questa tipologia di lenti, oltre all’aberrazione sferica positiva corneale, è il diametro pupillare. Per diametri pupillari di grandi dimensioni, che raggiungono i 5-6 mm ed oltre, il ruolo dell’aberrazione sferica inizia ad avere un discreto peso nel sistema visivo, e può essere responsabile della comparsa di aloni e glare. Quindi, soprattutto nei pazienti non troppo anziani, con pupille di dimensioni medio-grandi, dobbiamo “seriamente” valutare la possibilità di impiantare una IOL asferica. Molti sono infatti ancora oggi i pazienti che si lamentano della qualità della loro visione pur raggiungendo i 10/10, con inevitabili effetti psicologici che possono far giudicare “erroneamente non riuscito” l’intervento chirurgico ® per la rimozione della cataratta.

Bibliografia

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Calcolo della IOL dopo chirurgia rifrattiva: come risolvere il problema ®

Nicola Rosa ® Maddalena De Bernardo ® Michele Lanza

Seconda Università di Napoli, Dipartimento di Oftalmologia

RIASSUNTO Scopo: Verificare quale formula potrebbe essere più opportuno utilizzare con un metodo che abbiamo pubblicato nel 2002. Questo metodo permette di calcolare il potere della lente intraoculare (IOL) in occhi sottoposti a fotocheratectomia rifrattiva (PRK) quando i parametri preoperatori sono sconosciuti. Metodi: 76 occhi sottoposti a facoemulsificazione ed impianto di IOL nel sacco dopo chirurgia rifrattiva sono stati inclusi in questo studio. Un fattore di correzione del raggio corneale che abbiamo descritto in precedenza, applicato alle formule SRK T e SRK II è stato utilizzato per calcolare retrospettivamente il potere delle IOL che avrebbero dato gli stessi risultati di rifrazione ottenuti in questi pazienti. Risultati: La differenza tra le IOL impiantate e quelle calcolate con la SRK T modificata dava un errore refrattivo di: -0.74 ± 0.79 (p<0.001) D; con la SRK II modificata di +0.36 ± 0.93D (p=0.001); utilizzando la media tra le IOL ottenute con queste due formule, si sarebbe ottenuto un errore refrattivo di -0.19 ± 0.74 D (p=0.025). Conclusioni: Le IOL calcolate con la media tra le formule SRK T e SRK II modificate hanno fornito i risultati migliori. ABSTRACT Purpose: To check which formula could be more appropriate to use with a method we published in 2002. This method allows to calculate the IOL power in eyes that underwent photorefractive keratectomy (PRK) when the history are unknown. Methods: 76 eyes that underwent phacoemulsification and in the bag implantation after previous refractive surgery were included in this study. A corneal radius correcting factor we previously described, applied to SRK T and SRK II formulas was used to back calculate the IOLs that would have given the same refractive results obtained in these patients and the differences were used to calculate the residual refractive error. Results: The difference between the implanted and calculated IOLs gave a refractive error of -0.74 ± 0.79 D (p<0.001) with the modified SRK T; and +0.36 ± 0.93D (p=0.001) with the modified SRK II; utilizing the mean between the IOLs obtained with these two formulas the mean difference was -0.19 ± 0.74 D (p=0.025) Conclusions: The IOLs calculated with the average between modified SRK T and SRK II formulas gave the best results.

alcolare il potere della lente intraoculare

PAROLE CHIAVE calcolo della IOL chirurgia rifrattiva miopia KEY WORDS IOL power calculation refractive surgery myopia

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C (IOL) da impiantare in occhi precedentemente sottoposti a chirurgia refrattiva corneale quali la cheratotomia radiale (RK), la fotocheratectomia rifrattiva (PRK) e la LASIK può dare risultati inaspettati. Il motivo principale di ciò è che i dispositivi solitamente utilizzati per misurare il potere corneale non sono attendibili dopo questo tipo di chirurgia, poiché tendono a sovrastimare il potere corneale1-3. Questa sovrastima si tradurrà in una sottostima della IOL da

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impiantare, con un elevato rischio di ipermetropia post-operatoria, che può rendere necessario uno scambio di IOL o l’impianto di una lente piggyback4-7. Nel 2002, abbiamo pubblicato uno studio teorico8 in cui abbiamo descritto un fattore di correzione del raggio corneale (CRCF), collegato alla lunghezza assiale, da utilizzare in questi casi. Successivamente, lo abbiamo chiamato fattore R, a sottolineare che esso deve essere moltiplicato per il raggio e non per il potere corneale.


Calcolo della IOL dopo chirurgia rifrattiva: come risolvere il problema

Questo metodo non richiede né la conoscenza dei parametri preoperatori né l’entità del trattamento, il che risolve un problema importante, poiché purtroppo, questi parametri sono spesso indisponibili.

>> Materiali e Metodi In questo studio retrospettivo sono stati valutati 76 occhi sottoposti a estrazione di cataratta e impianto di IOL dopo RK, LASIK, o PRK. La ricerca ha seguito i principi della Dichiarazione di Helsinki ed il consenso informato è stato ottenuto da tutti i pazienti. La facoemulsificazione in questi pazienti è stata effettuata da chirurghi diversi, in centri diversi; le misurazioni pre e post-operatorie dei pazienti sono state inviate ad un unico Centro, il nostro, per l'analisi dei dati. Di tutti gli occhi erano disponibili i seguenti dati: la cheratometria e la lunghezza assiale (AL) prima della facoemulsificazione, la costante A della IOL impiantata, ed il risultato rifrattivo almeno ad 1 mese dall’intervento chirurgico. Il potere della IOL impiantata è stato calcolato utilizzando il CRCF pubblicato precedentemente8,9. In breve, il raggio corneale è stato modificato in base alla seguente formula di regressione:

>> Risultati Il CRCF applicato alla formula SRK / T avrebbe dato un errore rifrattivo medio di -0,74 ± 0,79 D (da -2,95 D a +0,50 D), con 37 occhi (49%) nel range di ±0,50 D dall’emmetropia, 55 occhi (72%) nel range di ±1,00 D dall’emmetropia, e 69 occhi (91%) nel range di ±2,00 D dall’emmetropia (p<0.001) (Figura 1). Il CRCF applicato alla formula SRK II avrebbe dato un errore rifrattivo medio di +0,36 ± 0,93 D (da -2,11 D a +2,74 D), con 36 occhi (47%) nel range di ±0,50 D dall’emmetropia, 55 occhi (72%) nel range di ±1,00 D dall’emmetropia, e 74 occhi (97%) nel range di ±2,00 D dall’emmetropia (p=0.001) (Figura 2). Il CRCF applicato alla media delle formule SRK / T e SRK II avrebbe dato un errore rifrattivo medio di -0,19 ± 0,74 D (da -2,53 D a +1,03 D), con 47 occhi (62%) nel range di ±0,50 D dall’emmetropia, 69 occhi (91%) nel range di ±1,00 D dall’emmetropia, e 74 occhi (97%) nel range di ±2,00 D dall’emmetropia (p=0.025) (Figura 3). Utilizzando i dati grezzi, senza il fattore di correzione, si sarebbe ottenuto un errore rifrattivo me-

Y = 0,0276 * AL + 0,3635,

Figura 1 Errore rifrattivo ottenuto applicando il metodo CRCF alla formula SRK/T per calcolare il potere della IOL

dove Y è il CRCF. Il potere della IOL impiantata variava da 13,00 a 25,00 diottrie (D) (media 19,75 ± 2,46 D) con una costante A fornita dal produttore che andava da 118 a 120 (media: 118,60 ± 0,45). L'errore rifrattivo ottenuto con le IOL impiantate è stato utilizzato come target da immettere nelle formule SRK/ T ed SRK 2. Sono state quindi valutate le differenze fra le IOL calcolate e quelle effettivamente impiantate e l’errore rifrattivo a tempiale. Nello specifico, abbiamo stimato che per ogni diottria di cambiamento nel potere della IOL, si ottengono 0,70 D di cambiamento nella rifrazione a livello della lente a tempiale. Per eseguire questi calcoli, è stato utilizzato un biometro Axis II, versione 3.02 (Quantel Medical, Clermont Ferrand, Francia). La differenza tra la rifrazione finale ottenuta con la IOL impiantata e quella che si sarebbe ottenuta utilizzando le formule SRK / T e SRK II e la media tra queste ultime è stata valutata con il T test di Student per dati appaiati.

Figura 2 Errore rifrattivo ottenuto applicando il metodo CRCF alla formula SRK II per calcolare il potere della IOL

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Nicola Rosa, Maddalena De Bernardo, Michele Lanza

Figura 3 Errore rifrattivo ottenuto applicando il metodo CRCF alla media delle formule SRK/T e SRK II per calcolare il potere della IOL

Figura 4 Errore rifrattivo ottenuto non utilizzando alcun fattore di correzione per calcolare il potere della IOL

dio di +2,28 ± 1,54 D (da -2,25 a +7,04 D), con 5 occhi (7%) nel range di ± 0,50 D dall’emmetropia, 15 occhi (20%) nel range di ±1,00 D, e 32 occhi (42%) nel range di ±2,00 D (p<0.001) (Figura 4).

>> Discussione La difficoltà nel calcolo del potere della IOL negli occhi sottoposti a chirurgia rifrattiva è un problema emergente che sarà sempre più frequente in futuro, considerato il numero crescente di pazienti che si prevede si sottoporranno a questo trattamento. Ad oggi, sono stati pubblicati diversi metodi per superare questo problema, ma la maggior parte è costituita da lavori teorici o basati solo su risultati limitati.10-31 Per questo motivo, è difficile capire quale metodo fornirà i risultati migliori. Inoltre, i metodi possono essere suddivisi in due categorie: la prima richiede la conoscenza della storia del paziente (cioè l’entità del trattamento, la cheratometria preoperatoria etc.)8,15,20,21,23-28, mentre la seconda è indipendente da queste informazioni10,11,14,16,17,19,29,30.

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Siamo stati i primi, tempo fa, a descrivere un fattore di correzione indipendente dai dati preoperatori, ma facilmente correlato con i consueti dati disponibili in un paziente che deve sottoporsi ad estrazione di cataratta ed impianto di IOL, vale a dire la lunghezza assiale.8 Successivamente, altri Autori hanno sviluppato altri fattori di correzione, correlati alla lunghezza assiale10 o al potere corneale11,19. Diversi Autori sostengono che i metodi che richiedono la conoscenza della storia del paziente siano i più precisi21,22,32-35, ma purtroppo, nella maggior parte dei pazienti, le informazioni necessarie per applicare questi metodi non sono sempre disponibili. Non siamo completamente d'accordo con l'affermazione che i metodi che richiedono la conoscenza della storia del paziente siano i più precisi. Infatti, in uno studio precedentemente pubblicato, abbiamo dimostrato che il nostro metodo, anche se in un numero limitato dei pazienti, era superiore per precisione al metodo descritto da Aramberri che da alcuni viene considerato il metodo “gold standard”9. Inoltre, la maggior parte di questi metodi presuppone che la chirurgia rifrattiva corneale modifichi soltanto la superficie anteriore della cornea, e questo non è sempre vero.36 Infatti è stato dimostrato che dopo chirurgia rifrattiva corneale, avvengono dei cambiamenti nella lunghezza assiale37 e nella profondità della camera anteriore38, che potrebbero condurre ad errori nel calcolo del potere della IOL, basandosi solo sui parametri preoperatori. Quando abbiamo iniziato ad utilizzare il nostro metodo con la formula SRK / T, abbiamo riscontrato che la maggior parte dei pazienti presentava una rifrazione miopica, soprattutto in occhi con elevate lunghezze assiali, per cui, in un successivo lavoro39, abbiamo suggerito di utilizzare, in pazienti con lunghezza assiale <30 mm, la formula SRK / T, mentre nei pazienti con lunghezza assiale > 30 mm la media delle formule SRK / T e SRK II. I risultati ottenuti nel presente lavoro ci suggerisco di utilizzare la media tra queste due formule anche nei pazienti con lunghezza assiale <30 mm. Se confrontiamo i risultati ottenuti in questo lavoro con quelli che, secondo la Letteratura più re-


Calcolo della IOL dopo chirurgia rifrattiva: come risolvere il problema

cente40, dovrebbero essere ottenuti in occhi non sottoposti a chirurgia rifrattiva, non si osservano grandi differenze. Infatti secondo Olsen40, negli occhi senza precedente chirurgia, utilizzando gli ultrasuoni il 45,5% è compreso tra ± 0,50 D dall’emmetropia, il 77,3% è compreso tra ± 1,00 D, e il 98,4% è compreso tra ± 2.00 D.

Questo studio suggerisce che il CRCF è affidabile nel predire il potere della IOL in occhi che hanno subito precedentemente chirurgia rifrattiva corneale. Tuttavia, ulteriori studi, su una serie ampia di pazienti, saranno necessari per confrontare i vari fattori di correzione, per mostrare ® quale sia il più accurato e preciso.

Ringraziamenti

Prof. Teresio Avitabile, Avitabile Catania Avvisati, Napoli Dott. Michele Avvisati Bifani Napoli Prof. Mario Bifani, Buratto Milano Dott. Lucio Buratto, Capasso, Napoli Dott. Luigi Capasso Cerbella Pozzuoli Dott. Roberto Cerbella, Ciampa, Napoli Dott. Nicola Ciampa Costantino Benevento Dott. Angelo Costantino, Cotticelli, Napoli Prof. Luigi Cotticelli Crisci Roma Dott. Maria Tecla Crisci, Cusati Telese Dott. Giorgio Cusati, Corte Napoli Dott. Michele Della Corte, Nardo, Atri Dott. Concetta Di Nardo Cappuccini Reggio Emilia Dott. Luca Cappuccini,

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Falco Firenze Dott. Leonardo Falco, Hughes Usa Dott. Matthew Hughes, Kolodziejczyk Polonia Dott. Wojciech Kolodziejczyk, Iuliano Napoli Dott. Giovanni Iuliano, Mancino Matera Dott. Alessandro Mancino, Mastursi Napoli Dott. Beniamino Mastursi, Mazzilli S. Giovanni Rotondo Dott. Emilio Mazzilli, Mollo Pompei Dott. Gioacchino Mollo, Montesarchio, Napoli Dott. Alfredo Montesarchio Orfeo Napoli Dott. Vincenzo Orfeo, Paolercio Vico Equense Dott. Franco Paolercio, Pascotto Napoli Dott. Fabrizio Pascotto, Pellegrino, Nocera Inferiore Dott. Francesco Pellegrino Picciocchi Napoli Dott. Stefano Picciocchi, Polisena Larino Dott. Paolo Polisena,

Sabetti L’aquila Dott. Lelio Sabetti, Sammartino, Napoli Dott. Alfredo Sammartino Savastano Cassino Dott. Silvio Savastano, Sbordone Pozzuoli Dott. Mario Sbordone, Scorcia, Catanzaro Dott. Vincenzo Scorcia Stanislawska Legionowo, Polonia Dott. Anna Stanislawska, Stella Foggia Dott. Andrea Stella, Tarallo, Napoli Dott. Giorgio Tarallo Teramo Napoli Dott. Paolo Teramo, Thielsen Trondheinen, Norvegia Dott. Trond Thielsen, Toni Napoli Dott. Federico Toni, Tortori Napoli Dott. Achille Tortori, Trotta Battipaglia (SA) Dott. Elio Trotta, Zeppa Avellino Dott. Lucio Zeppa,

Bibliografia

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Terapia combinata con Macugen e PDT-V per l’AMD essudativa Rosalia Giustolisi ® Nicoletta Fantozzi ® Mariateresa Staltari ® Jessica Marchiori ® Olga Mastrangelo ® Paola Mazzotta ® Federica Mirra ® Corrado Balacco Gabrieli ® Dipartimento di Oftalmologia, Facoltà di Medicina, Università “Sapienza” di Roma

RIASSUNTO Scopo: Lo studio confronta la sicurezza e l’efficacia, in termini funzionali ed anatomici, della terapia combinata, definita come terapia fotodinamica con verterporfina (PDT-V) a fluenza standard e pegaptanib 0.3 mg somministrati nello stesso giorno in un gruppo di pazienti affetti da neovascolarizzazione coroideale (CNV) a componente prevalentemente classica, secondaria a degenerazione maculare senile (AMD) in pazienti non trattabili con ranibizumab. Tipo di studio: Lo studio è un case series prospettico, open-label, monocentrico. Materiali e Metodi: 5 occhi di 5 pazienti con CNV sono stati consecutivamente arruolati e trattati con terapia combinata definita come PDT-V a fluenza standard e pegaptanib 0.3 mg per via intravitreale. Il follow-up è stato eseguito con visite ogni 6 settimane comprendenti la misurazione della Best corrected visual acuity (BCVA), la tomografia a coerenza ottica (OCT) con valutazione dello spessore maculare centrale (CMT) e la fluorangiografia (FA). La durata totale dello studio è di sei mesi. Discussione e Conclusioni: Alla baseline la BCVA media è 21.6 lettere (LogMar 0.68) con ± SD 17.12, al sesto mese dal trattamento la BCVA media è 19.8 (LogMar 0.72) con ±SD 14.7 (p=0.508). Per quel che riguarda la CMT il valore medio alla baseline è di 286.6 µm con ± SD 62.15 µm, al sesto mese è 187.2 µm con ± SD 12.7 µm (p=0.015). In conclusione il trattamento non comporta un significativo guadagno funzionale ma si dimostra efficace in termini anatomici e di sicurezza. Questo tipo di terapia può essere riservata a pazienti con reperti anamnestici sfavorevoli al trattamento con ranibizumab. ABSTRACT Purpose: To compare the efficacy and safety of the combination of Photodynamic Therapy (PDT) with standard fluence verteporfin and pegaptanib 0.3 mg administered on the same day, in patients with choroidal neovascularization (CNV) due to AMD untreatable with ranibizumab. Methods: 5 eyes of 5 patients were consecutively enrolled and treated with combined therapy defined as standard fluence PDT and intravitreal pegaptanib 0.3 mg on the same day. Best corrected visual acuity (BCVA), central macular thickness (CMT) on optical coherence tomography (OCT) were examined before and after treatment every 6 weeks. Patients were followed-up for six months. Discussion and Conclusion: The mean baseline BCVA (± standard deviation, SD) was 21.6 letters (± 17.12 LogMar 0.68), at 6 months after treatment mean BCVA was 19.8 (±14.7 LogMar 0.72) (p=0.508). The mean CMT at baseline (±SD) was 286.6µm (± 62.15 µm), at 6 months was 187.2 µm (± 12.7µm) (p=0.015). In conclusion the treatment there is not a functional improvement but it showes its antomical efficacy and safety. This type of therapy can be reserved to patients with adverse clinical history for the treatment with ranibizumab.

>> Introduzione L’AMD è la principale causa di cecità legale e di disabilità visiva nella popolazione ≥60 anni nel Nord America e in Europa, mentre a livello mondiale è la terza causa dopo cataratta e glaucoma.1 Lo spettro clinico dell’AMD comprende due forme: la forma secca o dry AMD e la forma umida o wet AMD, la prima è la più diffusa ed è responsabile dell’85% dei casi, mentre la secon-

da è meno frequente (15%) ma è causa dell’80% dei casi di perdita severa della visione2. L’evento chiave alla base della patogenesi della forma umida è dato dallo sviluppo della CNV, caratterizzata dalla presenza di neovasi che, attraverso delle deiscenze della membrana di Bruch, penetrano nello spazio al di sotto dell’epitelio retinico (EPR) e/o al di sotto del neuroepitelio, determinando emorragie e perdita di

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PAROLE CHIAVE CNV AMD Ranibizumab PDT KEY WORDS CNV AMD Ranibizumab PDT

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liquido (leakage) alla fluorangiografia retinica ed edema sub-intraretinico alla tomografia a coerenza ottica3. L’ampliamento delle conoscenze inerenti la patogenesi e il decorso clinico dell’AMD essudativa ha permesso, nel corso degli anni, lo sviluppo di vari modelli di trattamento4. La terapia fotodinamica con verteporfina combina l’iniezione endovenosa di un farmaco fotosensibilizzante con la sua attivazione, ottenuta mediante un’irradiazione laser a bassa potenza5-7. Recentemente la terapia con fattori antiangiogenetici (anti-VEGF) come il pegaptanib sodico, approvato dall’FDA (Food and Drug Administration) nel 2004 e il ranibizumab, (approvato dall’FDA nel 2007) per via intravitreale, è diventata il gold standard per il trattamento delle forme essudative8-12. Una recente strategia, che migliora il trattamento delle CNV, è data dalla terapia combinata che consente di trattare la neovascolarizzazione colpendo in più punti la cascata dei fattori che ne induce la progressione. L’utilizzo della PDT-V determina infatti l’ablazione dei neovasi, e l’associazione con l’anti-VEGF ne impedisce la ricrescita grazie all’azione antiangiogenetica13-16. Il nostro studio confronta la sicurezza e l’efficacia in termini funzionali ed anatomici della terapia combinata con PDT a fluenza standard e pegaptanib 0.3 mg somministrati nello stesso giorno.

>> Materiali e Metodi Il nostro è uno studio case series prospettico, open-label, monocentrico designato a valutare l’efficacia e la sicurezza della terapia combinata, definita come PDT-V a fluenza standard e pegaptanib sodico 0.3 mg per via intravitreale somministrati nello stesso giorno. Il gruppo di pazienti selezionati è costituito da pazienti affetti da CNV a componente classica o prevalentemente classica, secondaria all’AMD, in soggetti non trattabili con ranibizumab a causa della storia anamnestica sfavorevole. Da gennaio a dicembre 2009 cinque occhi di cinque pazienti con CNV secondaria a AMD sono stati consecutivamente arruolati e trattati. Tutti i pazienti risultati eleggibili per lo studio hanno firmato il

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consenso informato. Questo studio non ha specifiche limitazioni circa il numero di pazienti arruolati ed è in linea con le Good Clinical Practice e Declaration of Helsinki. I criteri d’inclusione sono stati: n età pari o superiore ai 55 anni; n presenza CNV subfoveale in pazienti con AMD, evidenziabile alla FA come presenza di leakage e all’OCT come presenza di edema in zona foveale; n greatest linear dimension (GLD) dell’intera lesione ≤ 5400 microns. I criteri d’esclusione sono stati: n precedenti trattamenti per CNV; n presenza di patologie oculari quali glaucoma, strie angioidi, traumi, coroiditi, pregressa chirurgia vitreo retinica. La presenza di reperti anamnestici, come precedente storia di trombosi venosa profonda, ischemia miocardica e storia clinica di stroke, non sono stati considerati quali criteri d’esclusione. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a visita oftalmologica completa alla baseline e ogni 6 settimane, per un totale di 6 mesi di follow-up. La misurazione della Best Corrected Visual Acuity (BCVA) in entrambi gli occhi è stata attuata tramite la tavola Early Treatment of Diabetic Retinopathy Study (ETDRS) a tre metri da un ortottista in cieco valutando il numero di lettere che il paziente riesce ad apprezzare. Un miglioramento della visione è definito come un aumento pari o superiore a 10 lettere (2 linee ETDRS), un peggioramento da una riduzione di 10 o più lettere. La tomografia a coerenza ottica è stata effettuata con STRATUS OCT (V4.01 Zeiss Meditec, Dublin, CA) con valutazione dello spessore maculare centrale usando il protocollo Radial Lines e il programma d’analisi Retinal Thickness Map. L’attività della CNV è definita dalla presenza all’esame fluorangiografico e tomografico di emorragie e/o edema intraretinico. Un aumento dello spessore centrale ≥10% rispetto al CMT alla baseline è definito come un peggioramento, una riduzione ≥10% è definito come un miglioramento. L’esame fluorangiografico è stato effettuato da uno specialista esperto in retina usando HRA2 FA (Heidelberg Engineering). La presenza di leakage dovuto alla CNV è stato


Terapia combinata con Macugen e PDT-V per l’AMD essudativa

esaminato in fase precoce (1-2 minuti) e in fase tardiva (3-5 minuti). Il leakage è stato valutato prima e dopo il trattamento e descritto come assente (chiusura della CNV) o persistente. L’esecuzione e la valutazione di tutte le scansioni OCT e delle immagini fluorangiografiche è stata effettuata da due specialisti in patologia retinica in modo non mascherato. La terapia fotodinamica con Visudyne (PDT) è un processo che si svolge in due fasi: n la prima fase consiste in una infusione endovenosa di Visudyne della durata di 10 minuti alla dose di 6 mg/m2 di superficie corporea, diluito in 30 ml di soluzione per infusione; n la seconda fase prevede una fotoattivazione di Visudyne 15 minuti dopo l’inizio dell’infusione. Per la fotoattivazione di Visudyne, si usa la luce rossa non termica (con lunghezza d’onda di 689 nm ± 3 nm) generata da un laser a diodi attraverso un dispositivo a fibre ottiche montato su una lampada a fessura e una lente a contatto appropriata. Si raccomanda un’intensità della luce pari a 600 mW/cm2, per un periodo di 83 secondi per l’erogazione di una quantità di luce pari a 50 J/cm2. Il trattamento con Macugen 0.3 mg è stato effettuato, in condizioni asettiche attraverso un’iniezione intravitreale da un oftalmologo esperto in patologia retinica. Prima di iniziare la procedura per l’iniezione intravitreale, è stata attentamente valutata la storia clinica del paziente, per rilevare eventuali precedenti reazioni di ipersensibilità, indotta un’adeguata anestesia e somministrato un antibiotico topico ad ampio spettro. Il ritrattamento è stato riservato solo ai pazienti con criteri di attività della CNV quali perdita di visione pari ad almeno 5 lettere ETDRS, presenza di liquido subretinico e/o intraretinico all’OCT ed evidenza di leakage alla FA. Gli occhi con questi requisiti sono stati trattati dopo sei settimane con pegaptanib e/o al mese 3 con terapia combinata pegaptanib e PDT-V.

>> Risultati Cinque occhi di cinque pazienti di cui quattro donne e un uomo, sono stati consecutivamente arruolati e trattati. L’età media è 78.8 anni (± Stan-

dard Deviation [SD] 6.22). Tutti i pazienti hanno completato il follow-up di sei mesi. Alla baseline la BCVA media è 21.6 lettere (LogMar 0.68) con ± SD 17.12, al sesto mese dal trattamento la BCVA media è 19.8 (LogMar 0.72) con ±SD 14.7 (p=0.508). Tutti gli occhi sono stabili (100%). La differenza media è di –1.8 lettere ETDRS. Per quel che riguarda il CMT il valore medio alla baseline è di 286.6 µm con ± SD 62.15 µm, al sesto mese è 187.2 µm con ± SD 12.7 µm (p=0.015). La differenza media fra la baseline e il mese 6 è di 100.4 µm. Comparando i risultati del mese sei rispetto la baseline possiamo osservare una riduzione dello spessore ≥10% in 4 occhi (80%) mentre rimane stabile 1 occhio (20%). Dei 5 occhi trattati 4 non hanno necessitato di ritrattamento (80%) mentre uno (20%) al mese 4 ha mostrato i criteri di attività della membrana e ha necessitato di ritrattamento con terapia combinata pegaptanib e PDT. In seguito al trattamento il leakage al mese 6 è scomparso e l’edema è stato riassorbito. Il numero di iniezioni richieste a paziente in media è di 1.2 (Range 1-2).

>> Conclusioni Fin dal 2000 la terapia fotodinamica con verterporfina è stata il gold standard approvato dall’FDA per la CNV correlata all’AMD. Il trattamento PDT-V, somministrato ogni 3 mesi, si è dimostrato sicuro ed efficace in diversi trials clinici. Il TAP study valuta l’efficacia della PDT-V nei pazienti con CNV di tipo prevalentemente classico. La percentuale di pazienti con una perdita di acuità visiva inferiore a 3 linee rispetto alla baseline nel periodo di studio a 2 anni è stata del 59% dei pazienti trattati rispetto al 31% dei controlli. 7 La PDT-V è stata attuata inoltre nel VIM study in pazienti con CNV di tipo minimamente classico e nel VIP study in pazienti con CNV di tipo occulto, in entrambi i casi con riscontro positivo rispetto ai controlli. La PDT-V realizza il maggiore effetto terapeutico a livello delle lesioni subfoveali di tipo classico o prevalentemente classico, con minori vantaggi per quel che riguarda le lesioni a componente prevalentemente occulta17-18. Recentemente il progredire della ricerca scien-

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tifica ha portato alla ribalta una nuova categoria di farmaci approvati per il trattamento delle CNV subfoveali, costituita dagli inibitori selettivi del VEGF, ad azione antiangiogenetica, somministrati tramite via intravitreale. È assodato infatti che le cellule dell’EPR secernono VEGF, fattore vasoproliferativo il cui legame ai recettori VEGFR1 e VEGF-R2 porta ad una proliferazione delle cellule endoteliali della neovascolarizzazione e ad un aumento della permeabilità vasale, tutti fattori che si ritiene contribuiscano alla progressione della forma neovascolare della degenerazione maculare senile19-21. Farmaci “on label” attualmente utilizzati per questo tipo di terapia sono il Pegaptanib sodico approvato dall’FDA nel 2004, e il Ranibizumab approvato dall’FDA nel 200722. Farmaco “off abel” utilizzato per lo stesso scopo è il Bevacizumab23. Il pegaptanib sodium (Macugen; OSI/Eyetech, Inc., Melville, New York, USA) è un oligonucleotide peghilato modificato che si lega con elevata specificità ed affinità al fattore di Crescita Vascolare Endoteliale extracellulare VEGF165 bloccando in maniera specifica l’attività di questa isoforma. Viene somministrato in iniezione intravitreale (0.3 mg) ogni 6 settimane24. La sicurezza e l’efficacia del trattamento sono state valutate da un trial multicentrico, randomizzato, controllato e in doppio cieco (VISION) condotto da D’Amico et al (2006). I risultati pubblicati dopo 12 mesi di terapia evidenziano che il pegaptanib sodium mantiene o migliora la funzione visiva nel 33% dei pazienti, a confronto con il 23% dei controlli. Inoltre il 71% dei pazienti trattati (0.3 mg) non ha manifestato un calo visivo superiore a tre linee ETDRS, a confronto con il 55% dei controlli11. Il ranibizumab (Lucentis; Genentech, Inc., South San Francisco, California, USA) è un frammento di un anticorpo monoclonale umanizzato, che lega con un’elevata affinità le isoforme del VEGFA (per es. VEGF110, VEGF121 e VEGF165), prevenendo così il legame del VEGF-A ai suoi recettori. La sicurezza e l’efficacia clinica di Lucentis sono state valutate in trials clinici quali il Marina, l’Anchor e il Pier12,25-26. Una recente strategia che migliora il trattamento delle neovascolarizzazioni è data dalla terapia

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combinata. La terapia combinata consente di trattare la neovascolarizzazione colpendo in più punti chiave la cascata di fattori che ne induce la progressione. Infatti l’utilizzo della PDT-V determina l’ablazione dei neovasi, e l’associazione con l’anti-VEGF ne impedisce la ricrescita grazie all’azione antiangiogenetica13-15. Inoltre in un recente studio che valuta i livelli di VEGF presenti nell’umor acqueo prima della terapia e ad un mese da essa, ne dimostra un significativo decremento, positivamente correlato con una riduzione dello spessore retinico centrale valutato tramite OCT16. Lo studio FOCUS condotto da Antoszyk AN et al (2008) valuta l’efficacia della terapia con Lucentis combinato con la PDT-V (un’applicazione di PDT con tre applicazioni di Ranibizumab nell’arco di tre mesi) in comparazione con un gruppo di controllo che ha ricevuto PDT-V più un’iniezione sham mensile. A 12 mesi il 90.5% dei pazienti trattati con combinata e il 67.9% dei controlli hanno perso meno di 15 lettere.27 Uno studio condotto da Calvo-Gonzalez et al (2008) valuta l’efficacia della terapia combinata con Macugen e PDT rilevando un decremento medio di 5 lettere nei soggetti trattati e un incremento delle dimensioni della GLD da 1280.3 µm a 2065.7 µm28. Non ci sono trials su larga scala che valutino l’efficacia di questo tipo di terapia. Questo studio ha valutato anch’esso l’efficacia della terapia combinata con pegaptanib sodico per via intravitreale associato a PDT-V nello stesso giorno considerando oltre al risultato funzionale, inteso come variazione della BCVA, anche il risultato anatomico inteso come variazione del CMT misurato tramite OCT. Dal punto di vista funzionale tutti i pazienti restano stabili (100%) e la variazione BCVA media è di -1.8 lettere all’ETDRS. Dal punto di vista anatomico si ha una riduzione del CMT ≥10% in 4 occhi (80%) mentre rimane stabile 1 occhio (20%). La riduzione media è di –100.4 µm. Quindi è possibile affermare che mentre dal punto di vista funzionale si confermano i dati dello studio effettuato da Gonzalez, dal punto di vista anatomico si ha un successo statisticamente significativo con riduzione del CMT e quindi riassorbimento dell’edema intraretinico e sub retinico e ripristino del-


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la normale morfologia foveale (Figure 1 e 2). In tutti gli occhi (100%) la FA al mese 6 mostra la scomparsa del leakage e regressione della CNV. Solo in un caso al mese 4 si ha avuto la riattivazione della membrana ed è stato necessario un secondo ciclo di combinata. Per quel che riguarda la sicurezza del trattamento, non ci sono stati effetti collaterali maggiori né a livello oculare, come endoftalmiti e distacco di retina, né a livello sistemico (quali stroke e infarto). In conclusione il trattamento non comporta un significativo guadagno funzionale, ma si dimostra efficace in termini anatomici e di sicurezza. I limiti del nostro studio sono il numero di pazienti arruolati e la durata del follow-up, pari a sei mesi. In conclusione questo tipo di terapia può essere riservata a quelle categorie di pazienti con storia anamnestica sfavorevole per il

Figura 1 A. Esame fluorangiografico, fase tardiva: due aree di leakage con componente emorragica (prima della terapia combinata) B. Esame fluorangiografico, fase tardiva: sei mesi dopo il trattamento si nota assenza di leakage e risoluzione della componente emorragica C. OCT prima del trattamento: area di iporeflettività intraretinica corrispondente ad edema associata ad aree di iper-reflettività, corrispondenti alla neovascolarizzazione D. OCT dopo il trattamento: completa risoluzione dell’edema intraretinico, con ripristino della normale morfologia strutturale. Figura 2 A. Esame fluorangiografico, fase tardiva: prima della terapia combinata si notano due aree di leakage B. Esame fluorangiografico, fase tardiva: sei mesi dopo il trattamento si evidenzia la completa risoluzione del leakage C. OCT prima del trattamento: area di iporeflettività intraretinica corrispondente a neovascolarizzazione intraretinica, associata a distacco sieroso del neuroepitelio D. OCT dopo il trattamento: completa risoluzione sia del distacco del neuroepitelio che dell’edema intraretinico con ripristino della normale morfologia foveale

ranibizumab, ad aumentato rischio di complicanze, ad esempio con storia di stroke, ischemia e precedenti eventi tromboembolici. Questo è possibile in quanto il pegaptanib è un’isoforma specifica per il VEGF165, e quindi non andrebbe ad inibire le restanti isoforme presentando, quindi, una sicurezza maggiore rispetto al trattamento con ranibizumab che invece si lega a tutte le isoforme di VEGF e può andare ad interferire con le funzioni biologiche sistemiche del VEGF, quali la rivascolarizzazione in aree ischemiche e la funzionalità neuronale. Il trattamento elettivo con ranibizumab deve essere riservato alle categorie di pazienti con fattori di rischio CV nella norma, in quanto ha mostrato, in numerosi trias, un’efficacia maggiore nella stabilizzazione e miglioramento dell’acuità ® visiva.

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Studio preliminare microperimetrico in pazienti affetti da CNV neovascolare sottoposti a terapia intravitreale con anti-VEGF Sergio Zaccaria Scalinci¹.² ® Lucia Scorolli¹.² ® Giulia Corradetti¹.² ® Daniela Domanico³ ® Enzo Maria Vingolo4 ® Paolo Limoli5 ® Mario Bifani6 ® Cristian Metrangolo¹ ® 1. Università degli Studi di Bologna, Centro per lo studio dell’Ipovisione e del Glaucoma, Bologna 2. Ospedale S. Orsola-Malpighi, Dipartimento di Oftalmologia, Bologna 3. Ospedale S.M. Goretti, Dipartimento di Oftalmologia, Latina 4. Università degli Studi di Roma “Sapienza”, Dipartimento di Oftalmologia, A. Fiorini Polo Pontino, Roma 5. Resp. Scientifico Centro Studi Ipovisione, Milano 6. Seconda Università degli Studi di Napoli, Dipartimento di Oftalmologia, Napoli

RIASSUNTO Introduzione e Scopo: Scopo dello studio è stato quello di descrivere un innovativo approccio terapeutico della degenerazione maculare senile (DMS) neovascolare, basato sull’associazione della tradizionale terapia intravitreale con anti-VEGF al trattamento riabilitativo microperimetrico mediante MP-1 (Nidek Techonologies, Italia). Materiali e Metodi: Sono stati selezionati 92 pazienti con età media di 74,75 ± DS 2,54 anni, affetti da degenerazione maculare senile neovascolare, con un residuo visivo <1/10, mai sottoposti ad altri interventi di chirurgia retinica, né ad altri trattamenti intravitreali. Tutti i soggetti sono stati suddivisi in due gruppi, 1 e 2. I pazienti in gruppo 1 sono stati sottoposti alla terapia intravitreale-riabilitativa associata. È stata effettuata un’iniezione intravitreale mensilmente. Gli stessi, dopo due giorni dall’intervento chirurgico, sono stati sottoposti a 15 sedute riabilitative con MP-1 della durata di 15 minuti ognuna, a giorni alterni, ripetute mensilmente. I pazienti di Gruppo 2 sono stati sottoposti soltanto alla terapia intravitreale. Risultati: Tutti i pazienti in Gruppo 1 hanno evidenziato un netto miglioramento sia dell’acuità visiva, che della fissazione e della sensibilità retinica, nonché hanno mostrato una riduzione soggettiva ed oggettiva dello scotoma centrale, rispetto ai pazienti di Gruppo 2. Conclusioni: Sono evidenti i vantaggi del trattamento riabilitativo dei pazienti affetti da DMS neovascolare in associazione alla terapia intravitreale. La valutazione della mappa microperimetrica potrebbe essere assumere in futuro un importante ruolo nella valutazione quantitativa dello scotoma centrale nel pre e nel post trattamento con anti-VEGF. Sarà necessario approfondire il ruolo di questa terapia riabilitativa con studi successivi. ABSTRACT Introduction and Purpose: To describe a challenging therapeutical approach for the treatment of the neovascular age-related macular degeneration (AMD), based on the association of the traditional intravitreal therapy anti-VEGF based to the rehabilitative treatment, using the microperimeter MP-1 (Nidek Technologies, Italy). Materials and Methods: 92 patients, with mean age of 74.75 ± SD 2.54 years old, affected by neovascular AMD, with a best corrected visual acuity (BCVA)~ 20/200 or less, never treated with retinal surgery or other intravitreal therapy. All patients enrolled in the study were divided into two subgroups, 1 and 2. Patients in group 1 underwent both the intravitreal treatment with bevacizumab at dose of 0.3 mg and the rehabilitative treatment with MP-1. They received a bevacizumab injection monthly and in the postoperative, two days from the surgery, they began the rehabilitative cycle (15 times, 15 minutes each, every other days, monthly). Patients in group 2 were treated with intravitreal injection of bevacizumab only. Results: All patients in group 1 showed a great improvement either in the BCVA, or the fixation and the retinic sensibility. Plus, in this group, we remarked a reduction both subjective and objective in the central scotoma evolution, while in patients in group 2 this did not occurred. Conclusions: From the analysis of the results, clear are the advantages patients with AMD could take of undergoing an intravitreal-rehabilitative associated treatment. In the future, the evaluation of the microperimetric map could gain a primary role on the follow-up of the central scotoma in patients with AMD. Further studies are needed in order to confirm these results.

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PAROLE CHIAVE microperimetria degenerazione maculare senile anti-VEGF bevacizumab locus retinico preferenziale KEY WORDS microperimeter examination A.R.M.D. anti-VEGF bevacizumab preferred retinal locus

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>> Introduzione e Scopo La degenerazione maculare senile (DMS) rappresenta oggi, la principale causa di cecità legale nella popolazione di età superiore ai 65 anni, soprattutto nei paesi industrializzati¹,²,³. La perdita della funzione visiva è il risultato di processi degenerativi che comportano l’accumulo di materiale tra la lamina basale dell’epitelio pigmentato retinico (EPR) e lo strato collageno interno della membrana di Bruch, dovuto ad un deficit locale di smaltimento dei residui metabolici4,5. Tale deficit nelle fasi precoci della malattia implica la formazione di drusen. Il processo degenerativo danneggia progressivamente e in modo irreversibile la macula, deputata alla visione distinta dei dettagli visivi per lontano e per vicino, alla visione cromatica e alla sensibilità al contrasto6. Si distinguono due forme di DMS7: n forma “secca o atrofica”: rappresenta il 90% di tutte le maculopatie ed è caratterizzata da una progressiva ed irreversibile atrofia dei fotorecettori, dell’EPR e della coriocapillare, dovuta alla deposizione di materiale giallastro che altera la funzionalità delle cellule deputate alla visione centrale8; n forma “umida o essudativa o neovascolare”: più rara ma più rapida, è aggressiva ed è caratterizzata dalla comparsa di una neovascolarizzazione coroideale (CNV) che ha origine dalla coriocapillare e cresce attraverso i difetti della membrana di Bruch. Tali neovasi lasciano trasudare del liquido che danneggia le cellule fotosensibili della macula o possono rompersi causando emorragie retiniche. Sembra che questo sia il risultato di uno squilibrio tra il VEGF (Vascular Endothelial Growth FactorFattore di crescita endoteliale vascolare), che stimola la crescita vascolare, ed il PEDF (Pigment Epithelial Derived Factor), che ne sopprime la crescita. La sintomatologia d’esordio della patologia, generalmente, è caratterizzata da metamorfopsie e da un progressivo e graduale annebbiamento della visione. La fase tardiva, invece, comporta la comparsa di uno scotoma centrale positivo per cui i pazienti non sfruttano il punto di fissazione foveale per visualizzare un’immagine10,11. Attualmente il trattamento di questa forma di-

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spone di un approccio medico, di un approccio parachirurgico e di un approccio chirurgico. La terapia medica, seppur con scarsi risultati, si basa sull’utilizzo di composti vitaminici o di sostanze antiossidanti, con lo scopo di arrestare il processo degenerativo a carico della macula12,13,14,15,15. Il trattamento parachirurgico include la terapia fotodinamica (PDT)17 e la terapia antiangiogenica18,19. La terapia antiangiogenica implica sia l’utilizzo di steroidi intravitreali, quali il triamcinolone acetonide, sia i fattori antiangiogenici (anti-VEGF), quali il bevacizumab20, il ranibizumab ed il pegaptanib sodico. Il trattamento con steroidi intravitreali può essere associato alla PDT. Negli ultimi anni, numerosi studi hanno posto la propria attenzione sull’efficacia terapeutica di tali fattori, steroidi intravitreali e fattori antiangiogenici, nel trattamento di diverse patologie retiniche, caratterizzate da processi di neoangiogenesi, quali la forma proliferante di retinopatia diabetica (RDP), la forma essudativa di degenerazione maculare senile. Recenti studi hanno enfatizzato l’importanza del trattamento riabilitativo nei pazienti affetti dalla forma umida di DMS21,22,23. Scopo del nostro studio è stato quello di aiutare il paziente affetto da degenerazione maculare senile neovascolare a trovare e mantenere il locus retinico preferenziale di fissazione (PRL) e di insegnare loro a seguire la direzione della fissazione, acquisendo la capacità di mantenerla anche durante il movimento24. Tale trattamento riabilitativo è stato effettuato mediante la tecnica del biofeedback microperimetrico (MP-1, Nidek Technologies - Italia)25, che consente all’operatore di disegnare una mappa della fissazione, nonché della sensibilità retinica del paziente in esame e di confrontarla alla precedente ad ogni follow-up successivo. La tecnica del biofeedback microperimetrico26 sta ad indicare una tecnica di autoregolazione, pertanto il paziente ipovedente svolge un ruolo “attivo” durante le diverse sedute. Il vantaggio di tale tecnica è quello di permettere al paziente di acquisire la capacità di controllare, volontariamente, la sua risposta corticale agli stimoli. L’MP1 permette all’operatore di poter impostare e/o modificare l’intensità dello stimolo visualizzato al paziente in esame in qualsiasi momento della


Studio preliminare microperimetrico in pazienti affetti da CNV neovascolare sottoposti a terapia intravitreale con anti-VEGF

Figura 1 Retinografia + mappa microperimetrica A. Caso di paziente con DMS neovascolare nel preoperatorio. Viene mostrata a destra la mappa di fissazione che risulta instabile B. Caso di paziente con DMS neovascolare al termine della sperimentazione. A destra viene mostrata la mappa di fissazione che risulta stabile entro i 2° centrali

seduta riabilitativa, in relazione alla risposta del paziente stesso e con lo scopo di ottenere la miglior performance auspicabile. Altra finalità del nostro studio è stata quella di valutare e documentare il miglioramento di efficacia del trattamento intravitreale con anti-VEGF, qualora associato alla riabilitazione microperimetrica del paziente affetto da degenerazione maculare senile neovascolare. È stata quindi, esaminata l’entità della progressione e/o riduzione dell’area scotomatosa centrale ad ogni successivo follow-up, mediante un’attenta valutazione della mappa microperimetrica. Dall’analisi dei dati ottenuti è risultato che la terapia intravitreale anti-neongiogenica in associazione con la tecnica riabilitativa ha contribuito ad una maggior riduzione dello scotoma centrale, rispetto ai pazienti non sottoposti a tale trattamento riabilitativo.

Criteri di inclusione 1. pazienti con età = 65 anni; 2. acuità visiva < 1/10 (< 20/200), valutata con le tavole di Snellen (acuità visiva media = 1,2 logMAR ± DS 0,3); 3. diagnosi di DMS neovascolare all’esame oftalmoscopico del fundus oculi, confermata dalla tomografia a coerenza ottica (SD-OCT)27,28 e dall’esame fluorangiografico (FAG); 4. Test di Amsler positivo29; 5. pazienti affetti da DMS neovascolare e non precedentemente sottoposti a trattamenti anti-neoangiogenici per via intravitreale; 6. pazienti affetti da DMS neovascolare non responder alla terapia medica basata sull’utilizzo di anti-ossidanti e complessi vitaminici; 7. pazienti sottoposti precedentemente alla chirurgia della cataratta.

Criteri di esclusione

>> Materiali e Metodi 92 pazienti affetti da degenerazione maculare senile neovascolare, con età compresa tra i 65 ed i 81 anni (età media = 74,75 ± DS 2,54 anni) sono stati inclusi in questo studio sperimentale prospettico di tipo randomizzato. La selezione dei pazienti è stata effettuata sulla base dei seguenti criteri di inclusione ed esclusione.

1. pazienti affetti da DMS atrofica; 2. pazienti affetti da DMS precedentemente sottoposti a trattamenti con anti-VEGF o altri trattamenti basati sull’utilizzo della fotodinamica o terapia con steroidi; 3. pazienti con evidenza clinica di emorragia retinica massiva; 4. pazienti sottoposti a precedenti interventi di chirurgia retinica nell’occhio in esame.

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Figura 2 Test della fissazione Vengono mostrati i test della fissazione a cui è stato sottoposto un paziente incluso nello studio prima e dopo il nostro studio. Prima del trattamento intravitreale e del processo riabilitativo la fissazione risulta relativamente instabile nei 2° centrali, mentre al termine del trattamento la fissazione risulta essere stabile

Tutti i soggetti inclusi nello studio sono stati suddivisi in due gruppi: a. Gruppo 1 - Gruppo di studio (41 pazienti): pazienti sottoposti a trattamento anti-neoangiogenico intravitreale in associazione a cicli di riabilitazione microperimetrica con MP-1; b. Gruppo 2 - Gruppo controllo (41 pazienti): pazienti sottoposti a trattamento anti-neoangiogenico tradizionale mediante utilizzo di anti-VEGF per via intravitreale. Tre giorni prima dal trattamento chirurgico con anti-VEGF tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un esame oculistico completo, con misurazione dell’acuità visiva con le tavole di Snellen, esame biomicroscopico del segmento anteriore, esame tonometrico ad applanazione di Goldmann, esame del fundus oculi con lente +90D di Volk. Inoltre, sono stati effettuati l’esame retinografico, tomografico a coerenza ottica (SD-OCT)30, l’esame fluorangiografico (FAG) e l’esame microperimetrico mediante il microperimetro MP-1 (Nidek Technologies, Italia), che ci ha permesso di valutare sia la mappa di fissazione del soggetto in esame, sia quella della sensibilità retinica. Tutti i pazienti sono stati valutati da un punto di vista anestesiologico, al fine di escludere eventuali allergie a farmaci, in particolare allo Iodopovidone. La preparazione pre-operatoria ha previsto la sottoscrizione, da parte di tutti i pazienti candidati all’intervento chirurgico, di un consenso informato, precedentemente consegnato al paziente con congruo anticipo rispetto alla data dell’intervento. A tutti i pazienti è stata richiesta la somministrazione, a casa, di un collirio topicoantibiotico per 3 giorni antecedenti all’intervento. Tutti i pazienti di Gruppo 1, dopo 3 giorni dal controllo pre-operatorio, hanno ricevuto un’iniezione intravitreale di bevacizumab alla dose di

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0,3 mg che è stata ripetuta mensilmente³¹. A partire da 2 giorni dopo il primo trattamento intravitreale, questi pazienti sono stati sottoposti a 15 sedute di trattamento riabilitativo con biofeedback, ognuna della durata di 15 minuti, a giorni alterni, ripetute mensilmente. Questo ciclo (iniezione intravitreale di bevacizumab alla dose di 0,3 mg e biofeedback microperimetrico) è stato ripetuto 4 volte. All’inizio di ogni seduta di riabilitazione e a 30 giorni dal termine del quarto ciclo sono stati eseguiti l’esame microperimetrico ed il test della fissazione al fine di valutare la sensibilità retinica, le aree scotomatose, la localizzazione e la stabilità del PRL, nonché la scelta della miglior stategia riabilitativa per la localizzazione di un PRL il più funzionale possibile per il paziente. Tutti i pazienti di Gruppo 2 sono stati invece sottoposti ad iniezione intravitreale di bevacizumab mensilmente, ma non alle sedute di riabilitazione con il biofeedback. Procedura chirurgica Iniezione intravitreale di bevacizumab L’intervento chirurgico è stato sempre effettuato in sala operatoria in regime di Day Surgery: dilatazione pupillare con midriatici, pulizia della cute perioculare e periorbitaria con Iodopovidone al 10%, alla quale segue l’anestesia topica mediante collirio monodose di ossibuprocaina cloridrato. Si prosegue con un ulteriore instillazione di gocce di iodopovidone al 5% sulla superficie oculare e sul sito di iniezione. In questo studio, sono stati utilizzati aghi delle dimensioni di 27 G. L’iniezione intravitreale di bevacizumab alla dose di 0,3 mg è stata effettuata in tutti i casi via pars plana nel quadrante infero-temporale a circa 3,5 mm dal limbus,considerando che tutti gli occhi trattati sono pseudofachici. Dopo aver iniettato


Studio preliminare microperimetrico in pazienti affetti da CNV neovascolare sottoposti a terapia intravitreale con anti-VEGF

il farmaco, alla fuoriuscita dell’ago, si esegue nel sito di entrata una compressione mediante un bastoncino imbevuto di iodopovidone al 5% e successivamente si instillano due/tre gocce di acido jaluronico al fine di creare nell’immediato postoperatorio una barriera cicatriziale a livello congiuntivale. Al termine di ogni iniezione intravitreale è stata valutata la pressione intraoculare, la pervietà dell’arteria centrale della retina e sono stati instillati antibiotici topici ed ipotonizzanti oculari per 15 giorni. Follow-up postoperatorio Nell’immediato postoperatorio è stato chiesto a tutti i pazienti si eseguire a domicilio la profilassi antibiotica per via topica. Dopo due giorni dall’iniezione intravitreale è stato effettuato il primo controllo, al fine di controllare la pressione oculare, valutare la distribuzione del farmaco, verificare l’assenza di emorragie intraoculari, rotture retiniche o distacchi retinici. Analisi statistica I 92 pazienti inclusi nel nostro studio sono stati seguiti complessivamente per un periodo di 6 mesi. L’analisi statistica è stata effettuata median-

te il Software XLSTAT 2010 e tutti i dati ottenuti sono stati elaborati con il Test t-Student (t-Test) per dati appaiati. È stata quindi valutata la significatività statistica dei risultati, considerando risultati statisticamente significativi per p < 0,05. L’analisi statistica ha valutato inoltre il t generale al fine di valutare l’omogeneicità dei due gruppi, 1 e 2, per quanto riguarda lo stadio di DMS neovascolare nella fase 0 dello studio. Ne è risultato un valore di p gen < 1,25, pertanto i due gruppi sono risultati vantaggiosamente comparabili.

>> Risultati Dall’analisi dei risultati, è emerso un netto miglioramento dell’acuità visiva espressa in termini di logMAR, della fissazione e della sensibilità retinica espressa in termini di riduzione soggettiva ed oggettiva dell’area scotomatosa centrale, nei pazienti di gruppo 1 rispetto ai pazienti di gruppo controllo (Gruppo 2). I pazienti di gruppo 1 hanno infatti mostrato un miglioramento dell’acuità visiva, passando da valori di 1,2 logMAR ± DS 0,3 (~ 20/320) a valori di 0,45 logMAR ± DS 0,2 (~ 20/50) al termine della sperimentazione (p< 0,05).


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Anche i pazienti di gruppo 2 hanno mostrato un miglioramento dell’acuità visiva in seguito ai 4 cicli di iniezioni intravitreali con bevacizumab, ma di entità minore rispetto al gruppo precedentemente valutato. Questi soggetti infatti, in fase 0 presentavano valori di acuità visiva di 1,2 logMAR ± DS 0,3 (~ 20/320), mentre in seguito al quarto ciclo di iniezione intravitreale hanno raggiunto valori di 0,7 logMAR ± DS 0,1 (~ 20/100) con p < 0,05. Nei pazienti sottoposti a riabilitazione microperimetrica è stato evidenziato un netto miglioramento della fissazione, sia nel controllo che nel mantenimento del PRL nei 2° centrali. L’esame microperimetrico a cui sono stati sottoposti tutti i pazienti prima del trattamento chirurgico con bevacizumab mostra una relativa instabilità di fissazione (49% ± DS 1,3). Questi pazienti (gruppo 1) hanno presentato un miglioramento della stabilità di fissazione nei 2° centrali: da valori di stabilità del 13% ± DS 1.8 al tempo 0 a valori di stabilità del 59% ± DS 2,1 al termine del processo riabilitativo (p < 0.05). I restanti pazienti hanno mostrato per un 25% ± DS 3,3 una fissazione relativamente instabile nei 2° centrali e soltanto per un 16 % ± DS 1,1 una fissazione instabile. La valutazione della sensibilità retinica, valutata mediante analisi quantitativa della mappa perimetrica ha messo in evidenza un notevole ampliamento dell’area retinica responsiva agli stimoli visivi ed una riduzione dello scotoma, maggiormente accentuata nei pazienti di Gruppo 1. Nel corso dello studio non stati evidenziate né reazioni avverse locali e/o generali né effetti collaterali. La compliance dei pazienti è risultata ottimale, tale che nessuno dei pazienti ha abbandonato lo studio prima del termine della sperimentazione.

>> Discussione e Conclusioni Dalla valutazione dei risultati, possiamo affermare che la terapia intravitreale con bevacizumab associata al trattamento riabilitativo con MP-1 garantisce un continuo e significativo migliora-

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mento dell’acuità visiva, della fissazione e della sensibilità retinica, nonché una riduzione soggettiva ed oggettiva dello scotoma centrale in pazienti affetti da DMS neovascolare, maggiore rispetto ai pazienti sottoposti soltanto alla terapia anti-neoangiogenica per via intravitreale. Pertanto, la mappa microperimetrica potrebbe essere assumere in futuro un importante ruolo nella valutazione quantitativa dello scotoma centrale nel pre e nel post trattamento con anti-VEGF. Inoltre, è emerso che la maggior efficacia del trattamento intravitreale-riabilitativo associato si ottiene qualora il trattamento con MP-1 viene eseguito in concomitanza delle iniziezioni intravitreali a cicli alterni come descritto precedentemente. Il miglioramento della sensibilità retinica ottenuto nel nostro studio può essere rapportato al fatto che durante il trattamento riabilitativo le cellule della corteccia corrispondenti allo scotoma amplificano i propri campi recettivi alle aree adiacenti, potenziando le connessioni intercellulari orizzontali. Si parla dunque di “filling in” dello scotoma ed il miglioramento della visione è attribuibile alla capacità del paziente di spostare l’oggetto interessato immediatamente al di fuori dello scotoma, sulla retina integra (remapping). Ulteriore vantaggio del training è dovuto all’associazione di uno stimolo visivo ad uno sonoro; in tal modo la percezione del suono incrementa l’attenzione cosciente del paziente su una variabile, che normalmente non viene percepita e così facilita il “lock-in” del bersaglio, aumentando i tempi di permanenza dello stesso sulla retina. In questo modo si riesce a facilitare la trasmissione dello stimolo sia a livello intra-retinico, nei primi neuroni del sistema, che tra retina e cervello dove avviene l’elaborazione più elevata delle afferenze. Affinché i risultati ottenuti possano essere mantenuti stabili nel tempo, riteniamo necessario ripetere un ulteriore ciclo riabilitativo di 15 sedute di 15 minuti ognuna a giorni alterni a distanza di 6 mesi dal termine del precedente training. Studi successivi a lungo termine potranno confermare i risultati ottenuti in questo studio preli® minare.


Studio preliminare microperimetrico in pazienti affetti da CNV neovascolare sottoposti a terapia intravitreale con anti-VEGF

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CASE REPORT

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Caso clinico Risoluzione spontanea di pucker maculare in donna adulta Fabrizio Puce ® Gino Perutelli ® Paolo Lavezzari ® Paola Pazienza ® Maria Rosa Bertonati ® Fabrizio Neri ®

Ospedale S. Bartolomeo, Struttura Complessa di Oculistica, Sarzana (SP) (Direttore: Dr. Fabrizio Neri)

I Colleghi di Sarzana ci riferiscono su un caso clinico di fisiopatologia maculare con esiti favorevoli, ma spontaneo. Qualche volta attendere per l’eventuale scelta chirurgica... ripaga.

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Vittorio Picardo

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Donna di 72 anni, G. L, ad aprile 2008 si reca a visita oculistica per comparsa di metamorfopsie in OS. All’atto della visita usa occhiali solo per lettura e presenta un’acuità visiva pari a 7/10 per lontano, non migliorabili né con lenti né con foro stenopeico, mentre per vicino, pur riuscendo a leggere il I° carattere, lamenta una distorsione delle immagini (Test di Amsler: ++–) in OS. L’esame obbiettivo del segmento anteriore evi–– denzia un’iniziale sclerosi del cristallino in OO, una tensione oculare di 14 mm/Hg in OD e 15 mm/Hg in OS. L’esame oftalmoscopico del fundus oculi, invece, mostra la presenza di un pucker maculare nell’occhio sinistro (Figura 1). A seguito di tale riscontro alla paziente è consigliato di eseguire un esame OCT, per poter valutare più dettagliatamente la patologia diagnosticata. L’esame è eseguito in data 09/06/2008 con l’apparecchio 3D OCT-1000 di Topcon e conferma la presenza del pucker maculare in OS che risulta in gran parte adeso alla retina sottostante causando l’ispessimento della retina (310 µm) e l’attenuazione della fisiologica depressione foveale con alcune pieghe superficiali (Figura 2). Inoltre si apprezza anche un distacco posteriore di vitreo incompleto che, appare aderente in

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parte alla membrana epiretinica (Figura 3). Le immagini OCT relative all’occhio destro, invece, non mostrano alterazioni patologiche. In considerazione dell’acuità visiva e dell’entità della sintomatologia, viene deciso, d’accordo con la paziente, di monitorare l’evoluzione del quadro, riservandosi di ricorrere alla rimozione chirurgica del pucker qualora la situazione clinica e anatomica possa peggiorare, come peraltro indicato anche dalla Letteratura in proposito1. Purtroppo la paziente non si presentava ai successivi controlli programmati, finché ritorna alla nostra attenzione, spontaneamente, il giorno 13/01/2011 riferendo una progressiva riduzione delle metamorfopsie nel tempo intercorso dall’ultima visita. Nuovamente visitata, l’acuità visiva per lontano di OS risulta stabile, ma migliorabile con foro stenopeico, mentre per vicino la paziente non avverte più la distorsione delle immagini riferita in precedenza (Test di Amsler:– – –). L’opacità del cristallino risulta aumentata, il tono oculare –– appare nei limiti in OO. All’esame del fundus oculi non vi è più evidenza del pregresso pucker maculare in OS (Figura 4), come confermato dall’esame OCT eseguito subito dopo: il profilo retinico appare regolare, non si osservano pieghe della superficie e la depressione foveale, normo-


CASE REPORT

Figura 1

Figura 3

Figura 2

conformata e di spessore normale (228 µm), mostra solo una lieve irregolarità sul bordo superotemporale (Figura 5). Il distacco posteriore del vitreo, parziale nella precedente osservazione, appare ora completo (Figura 6). Poiché al tempo della prima osservazione non era ancora disponibile l’implementazione software dell’OCT per la scansione tridimensionale, è stata eseguita una scansione in modalità radiale, al fine di poter confrontare le immagini (Figura 7).

>> Discussione Presumibilmente la risoluzione del quadro sopradescritto è da attribuire all’avvenuto distacco posteriore del vitreo che risultava solo parziale nella prima osservazione e completo nell’ultima. Casi analoghi sono già stati descritti in Letteratura2,3,4 ma sempre in soggetti giovani, 15-30 anni3, dove, s’ipotizza, che la forza di contrazione delle membrane, immature, sopravanzi la forza

Figura 4

Figura 5

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CASE REPORT

Figura 7

A

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d’adesione alla retina provocandone il distacco spontaneo da quest’ultima3. Non sono riportati casi simili in persone adulte. Nel caso specifico pensiamo che l’adesione al corpo vitreo della membrana epiretinica fosse maggiore dell’adesione alla retina e pertanto, quando il distacco posteriore del vitreo ha coinvolto la regione maculare, abbia provocato la separazione tra la membrana e la macula, che ha ripreso la sua conformazione anatomica in maniera simile a quanto può avvenire dopo peeling chirurgico del pucker5,6. Il mantenimento di una buona acuità visiva, che potrà essere ulteriormente incrementata con l’estrazione della cataratta, è da attribuirsi, oltre

>>

che alla separazione della membrana preretinica e al ripristino della regolare anatomia maculare, anche al mantenimento dell’integrità della giunzione IS/OS dei fotorecettori, documentata all’OCT7. Certamente l’intervento chirurgico rimane il gold standard nei casi di forte riduzione dell’acuità visiva, ma quando quest’ultima è conservata può essere utile tenere sotto osservazione il paziente, per osservare l’evoluzione della patologia mediante l’esame oftalmoscopico e l’OCT. In futuro, al termine dei necessari trias clinici, potrà essere presa in considerazione la cosiddetta “vitrectomia enzimatica”, anche in ® casi come quello in esame8.

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Accomodativa. Priva di aberrazioni. Asferica.

Lente intraoculare accomodativa da camera posteriore Crystalens® BREVE DICHIARAZIONE Solo su prescrizione medica. Indicazioni per l’uso: Crystalens® è progettata per impianti primari nel sacco capsulare dell’occhio per la correzione visiva dell’afachia secondaria alla rimozione di una lente catarattosa in pazienti adulti affetti o meno da presbiopia. Crystalens® fornisce circa una diottria di accomodazione monoculare che consente una visione da vicino, intermedia e da lontano senza l’ausilio di occhiali. Avvertenze: Prima di impiantare una lente in un paziente, è responsabilità del chirurgo stabilire il rapporto rischi/benefici dell’intervento sulla base di un’accurata valutazione e del proprio giudizio clinico. Alcuni eventi avversi associati all’impianto di lenti intraoculari sono: ipopion, infezione intraoculare, decomposizione corneale acuta ed intervento chirurgico secondario. Precauzioni: Non risterilizzare; non conservare a temperatura superiore a 45°C. ATTENZIONE: Per informazioni complete sulle modalità di prescrizione, fare riferimento alle Informazioni per il medico.


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