relazione SOI 2020

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LA VALUTAZIONE DELL’APPARATO VISIVO PER L’INVALIDITA’ CIVILE Edizioni SOI 2020 ISBN 978-88-31256-20-9

LA VALUTAZIONE DELL’APPARATO VISIVO ` PER L’INVALIDITA CIVILE

Edizioni SOI 2020



Relazione Ufficiale SOI 2020

Edizioni SOI 2020


Copyright 2020 SOI – Società Oftalmologica Italiana Associazione Medici Oculisti Italiani Via dei Mille 35 – 00185 Roma Tel. 06 4464514 – Fax 06 4468403 – e-mail: sedesoi@soiweb.com – www.soiweb.com Gli Autori e l’Editore declinano ogni responsabilità per eventuali errori contenuti nel testo. Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione totale o parziale Grafica e stampa: FGE srl

ISBN 978-88-31256-20-9 Prima Edizione: Novembre 2020

FGE srl – Fabiano Gruppo Editoriale Redazione: Via Petitti 16, Milano Sede Operativa: Reg. Rivelle 7/F – 14050 Moasca (AT) – Tel. 0141 1706694 – Fax 0141 856013 info@fgeditore.it – www.fgeditore.it


Coordinamento scientifico Filippo Cruciani Oftalmologo - Referente Scientifico e Componente Direzione Nazionale IAPB Italia - Roma

Roberto Perilli Dirigente Responsabile UOS Oculistica Territoriale AUSL Pescara Componente Specialista Commissione Cecità AUSL Pescara

Matteo Piovella Presidente SOI – Società Oftalmologica Italiana Presidente Fondazione “Insieme per la Vista” Direttore Medico Piovella Global Center for Ophthalmology

Pasquale Troiano Direttore Oculistica Ospedale Fatebenefratelli “Sacra Famiglia” - Erba (CO)


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RELAZIONE SOI 2020

Elenco Autori Basile Stefania Ortottista Assistente di Oftalmologia - Libero professionista, Catania

Brusini Paolo Responsabile Servizio di Oculistica - Policlinico “Città di Udine”, Udine

Corradi Raffaella Oftalmologo - Medico convenzionato esterno INPS CML Teramo

Costa Maria Carmela Dirigente Medico del Reparto di Oculistica del Presidio Ospedaliero Vito Fazzi di Lecce e Responsabile del Centro di Ipovisione Riabilitazione Visiva, Lecce

Cruciani Filippo Oftalmologo - Referente Scientifico e Componente Direzione Nazionale I.A.P.B. Italia Onlus, Roma

Fortunato Michele Dirigente medico - Divisione Pediatrica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma

Graceffa Luciano Ortottista Assistente di Oftalmologia - Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna

Grigioni Mauro Ingegnere - Dirigente di Ricerca, Direttore del Centro Nazionale per le Tecnologie Innovative in Sanità Pubblica - Istituto Superiore di Sanità, Roma

Marmo Federico Oftalmologo - Tenente Generale (ris.) del Corpo Sanitario dell’Esercito

Mauro Santo Oftalmologo - Specialista Ambulatoriale ASP Crotone - Coordinatore di Branca

Migliorini Raffaele Oftalmologo - Coordinatore Centrale Medico Legale INPS


LA VALUTAZIONE DELL’APPARATO VISIVO PER L’INVALIDITÀ CIVILE

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Orazi Lorenzo Oftalmologo - Polo Nazionale Ipovisione I.A.P.B. Italia Onlus

Paliotta Silvia Oftalmologo - Polo Nazionale Ipovisione I.A.P.B. Italia Onlus - Policlinico Gemelli, Roma

Papi Luigi Professore aggregato di Medicina Legale - Università di Pisa

Parisi Vincenzo Responsabile f.f. UOC Ricovero e Cura - IRCCS Fondazione G.B. Bietti, Roma

Perilli Roberto Dirigente Responsabile UOS Oculistica Territoriale AUSL Pescara e Componente Specialista Commissione Cecità AUSL Pescara

Piegari Ester Medico Legale - U.O.S.D. Medicina Pubblica Valutativa ASL Napoli 1 Centro

Ricci Daniela Neuropsichiatra Infantile - Polo Nazionale di Servizi e Ricerca per la Prevenzione della Cecità e la Riabilitazione Visiva, I.A.P.B. Italia Onlus - Fondazione Policlinico Gemelli, IRCCS, Roma

Sangiuolo Mario Dirigente di primo livello Azienda USL, Latina - Ospedale di Terracina UOSD Oculistica

Sangiuolo Raffaele Presidente Fondazione Italiana di Oftalmologia Digitale e Robotizzata

Simonetta Simona Ortottista Assistente di Oftalmologia, Milano

Venuto Francesca Neurologo - Medico Esterno Inps, Roma



LA VALUTAZIONE DELL’APPARATO VISIVO PER L’INVALIDITÀ CIVILE

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Indice Capitolo 1.

La funzione visiva e i suoi parametri ..........................................................................................15

Capitolo 2.

Recente evoluzione del concetto di disabilità visiva.................................................................23

Capitolo 3.

Cenni di epidemiologia e classificazione OMS della disabilità visiva.....................................29

Capitolo 4.

Legislazione italiana in tema di disabilità visiva e sue criticità ..............................................37

Capitolo 5.

Quantificazione dell’acutezza visiva ...........................................................................................45

Capitolo 6.

Quantificazione del campo visivo................................................................................................55

Capitolo 7.

Cecità assoluta...............................................................................................................................61

Capitolo 8.

“Non organic visual loss”: la simulazione dei deficit visivi......................................................65

Capitolo 9.

Correlazione morfo-funzionale Semeiotica e prospettive future............................................................................................. 77

Capitolo 10.

Valutazioni funzionali con sistemi digitali.................................................................................115

Capitolo 11.

Valutazione funzionale ortottica in età pediatrica per l’invalidità civile...............................127

Capitolo 12.

La valutazione anatomo funzionale visiva nella pluridisabilità infantile: l’esperienza del Polo Nazionale di Riabilitazione Visiva.........................................................135

Capitolo 13.

La certificazione della menomazione visiva.............................................................................143

Capitolo 14.

L’accertamento della menomazione visiva e l’INPS................................................................149



Prefazione La Società Oftalmologica Italiana (SOI), fondata nel 1869 ed eretta ad Ente Morale nel 1924, è la Società Medico Scientifica Specialistica riconosciuta dallo Stato a cui fanno riferimento i 7000 Medici Oculisti italiani e, più in generale, tutto il mondo della visione. La SOI, infatti, rappresenta il Faro dell’Oculistica ed è Garante dell’accesso alla miglior cura da parte di tutti i Pazienti. Da sempre SOI scrive regole, indicazioni, linee guida e pubblicazioni di aggiornamento in oftalmologia, consentendo ai Medici Oculisti di conoscere le terapie più efficaci e di imparare ad eseguire gli interventi chirurgici più innovativi da offrire al servizio dei Pazienti: un enorme impegno di responsabilità che da sempre obbliga a coinvolgere i Colleghi maggiormente esperti e capaci che sono il prologo indispensabile per poter ottenere il meglio possibile. Così da oltre 150 anni hanno deciso, regolamentato e realizzato, i Padri Fondatori della SOI innescando un percorso virtuoso da sempre apprezzato e condiviso. Ma, purtroppo i tempi cambiano e i principi si vaporizzano: quello che eri era ritenuto poco presentabile, ora diviene non solo apparentemente accettabile ma, addirittura, per alcuni, vantaggioso. Ne consegue la necessità, per la Società Oftalmologica Italiana, di profondere energie nell’affermazione del proprio ruolo istituzionale indipendentemente (ed indifferentemente) dalle contraddizioni di chi, strumentalmente, sta tentando in ogni modo di “impadronirsene” per veicolare indicazioni e strategie di parte non condizionate da indiscutibili evidenze scientifiche ma solo (ed esclusivamente) da particolaristiche avidità economiche di chi li sponsorizza e di loro stessi. SOI è la prima, ed unica, Società Medico Scientifica che ha avuto il coraggio di evidenziare l’illegittimo intreccio di interessi esistente fra Medici Oculisti ed aziende farmaceutiche – si pensi, ad esempio, al caso Avastin Lucentis – palesando il tentativo delle Aziende a costruire dei pseudo-esperti da utilizzare come “riferimenti medico scientifici” attraverso lavori apparentemente scientifici realizzati dalle stesse aziende che poi venivano firmati da pseudoesperti al solo scopo di denigrare i farmaci concorrenti e promuovere i prodotti aziendali molto più costosi. Insomma: solo una questione di soldi. Niente scienza. SOI ha l’obbligo di ribadire il proprio impegno per diffondere le corrette indicazioni e le linee guida di riferimento. In questa prospettiva, la Relazione Ufficiale SOI 2020 si impegna su una realtà certificativa fondamentale per salvaguardare la giusta assistenza nei confronti degli ipovedenti e delle Persone Cieche. L’argomento trattato riguarda non soltanto i pochi addetti ai lavori che si occupano del riconoscimento dell’invalidità, bensì tutti gli oftalmologi che svolgono la loro attività sia in ambito pubblico che privato, chiamati non solo a redigere la certificazione della menomazione anatomo-funzionale dell’apparato visivo, ma anche a dare le giuste informazioni al paziente che si accinge a percorrere un iter burocratico molto complesso.


Il tema trattato nei suoi molteplici aspetti è oggi di grande attualità per tanti motivi. Innanzi tutto per la notevole incidenza e prevalenza dell’ipovisione dovute principalmente alla diffusione delle malattie degenerative oculari legate soprattutto all’età; poi alla necessità della riabilitazione visiva – da iniziare quanto prima possibile – che trova il suo primo e fondamentale momento proprio nella certificazione oculistica; inoltre per il potenziamento della diversa abilità creatasi e per la garanzia di una piena partecipazione alla vita sociale. Purtroppo una legislazione grossolana e carente ha finora creato non pochi problemi alla classe oftalmologica chiamata a classificare deficit visivi in modo categorico, avendo a disposizione quasi esclusivamente test di natura psico-fisica che richiedono la piena collaborazione del paziente. Ciò ha contribuito alla nascita di molti contenziosi e parzialmente al fenomeno mediatico dei falsi ciechi. Fare chiarezza in questo settore e dare indicazioni – come già espresso - è un compito istituzionale di SOI La Società Oftalmologica Italiana è grata e riconoscente a tutti gli Autori, che con grande impegno le hanno permesso di crescere nel rispetto della sua identità: un personale ringraziamento a Filippo Cruciani, Federico Marmo Roberto Perilli e Pasquale Troiano, senza di loro tutto sarebbe stato molto più complicato. Matteo Piovella Presidente Società Oftalmologica Italiana


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Introduzione La disabilità visiva – secondo l’OMS – è oggi una delle principali priorità oftalmologiche (insieme al glaucoma, alla maculopatia senile, alla retinopatia diabetica ed ai vizi di refrazione non corretti) che i Servizi Sanitari sono chiamati ad assolvere per l’elevata prevalenza ed incidenza che presenta specie nella popolazione anziana. Essa richiede interventi immediati, specialmente per quanto riguarda l’accesso a percorsi riabilitativi1-2. In verità la disabilità visiva è stata sempre, nel corso dei millenni, una piaga che ha afflitto l’umanità. In un recente lavoro in corso di stampa3 sono state ricostruite le tappe storiche che hanno portato i ciechi da una condizione di totale esclusione dal consorzio sociale – con la sola possibilità di sopravvivenza legata all’attività di mendicante – ad una condizione di un quasi pieno riscatto giuridico, sociale, politico, culturale, educativo, divenendo parte attiva nella società. È stata una lotta lunga ed irta di ostacoli – a volte apparentemente insormontabili – che ha visto protagonisti i ciechi stessi, frange della società civile, che avevano fatto del loro impegno assistenziale uno scopo prioritario della loro vita e, non ultimo, il mondo oftalmologico. Però, anche se il cieco è oggi inserito a pieno diritto nella società, la disabilità visiva – come si è detto – ha conservato tutta la sua drammaticità epidemiologica. Sono cambiati – è vero – i suoi connotati in maniera progressiva specie negli ultimi decenni. Si è registrata una certa riduzione della cecità assoluta secondo dati internazionali – ed è questo l’unico aspetto positivo – ma di pari passo si è avuto un fortissimo aumento di prevalenza ed incidenza dell’ipovisione, con interessamento preponderante della fascia d’età della popolazione oltre i 50 anni. Oggi abbiamo meno persone che vivono al buio assoluto, ma ne abbiamo tantissime che vivono una grave condizione di riduzione quantitativa e qualitativa fella funzione visiva, che non permette loro di avere una piena autonomia in una società che richiede continuamente alte prestazioni visive. Nel recente “World report on vision”4 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicato nel 2019 è emerso un quadro molto preoccupante delle condizioni visive della popolazione mondiale. Circa 2,2 miliardi di persone soffrono allo stato attuale di un serio problema visivo (people with vision impairment), di queste circa un miliardo hanno un vision impairment che poteva essere prevenuta o curata con successo. Le patologie oculari principali che determinano questa situazione sono stimate dall’OMS in queste cifre: 1. 196 milioni sono le persone di età compresa tra i 30 e i 96 anni affette da degenerazione maculare legata all’età (intervallo di credibilità al 95%, tra 140-261 milioni); 2. 146 milioni quelle affette da retinopatia diabetica (tale stima calcolata applicando la prevalenza globale della retinopatia diabetica di ogni forma stabilita in 34,6% – Yau et al, 2012 – al n° di adulti affetti da diabete, 422 milioni); 3. 76 milioni quelle affette da glaucoma di età compresa tra i 40 e gli 80 anni (intervallo di credibilità al 95%); 4. 2,5 milioni quelle affette da tracoma avanzato con trichiasi. Un dato veramente impressionante è il numero di miopi al mondo stimato in 2,6 miliardi di soggetti (intervallo di incertezza 1,97-3,43); 312 milioni di questi hanno un’età inferiore ai 19 anni. A parte la miopia che può essere nella quasi totalità dei casi corretta, tutte le altre patologie sono


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causa di una disabilità più o meno grave. Se poi si vuol far riferimento solo a coloro che risultano ciechi parziali o assoluti, le stime dell’OMS danno: – 65,2 milioni di soggetti ciechi per cataratta, – 10,4 milioni per degenerazione maculare legata all’età, – 6,9 milioni per glaucoma, – 4,2 milioni per opacità corneali, – 3 milioni per retinopatia diabetica, – 2 milioni per tracoma, – 123,7 milioni vivono una condizione di cecità solo perché portatori di gravi vizi di correzione senza la minima possibilità di usufruire di una qualche correzione ottica. Le cause di questo processo sono molte e complesse; esse si possono comunque compendiare nei seguenti tre punti: 1. nell’invecchiamento progressivo della popolazione; 2. nelle malattie invalidanti di tipo degenerativo legate all’età avanzata; 3. nei progressi della ricerca scientifica, nello sviluppo della tecnologia e nel miglioramento delle cure mediche e chirurgiche, che, pur riducendo sensibilmente i casi di cecità assoluta, hanno di pari passo incrementato quelli di ipovisione e cecità parziale. Questa è la situazione epidemiologica a livello mondiale. È chiaro che le condizioni oculari nei Paesi a basso reddito sono molto più gravi con aspetti di vera drammaticità; ma la situazione non si presenta meno grave nei Paesi più industrializzati. In Europa, sempre facendo riferimento all’ultimo rapporto dell’OMS4, ci sono circa 12 milioni di persone with severe vision impairment e circa 4 milioni di esse sono hanno sofferto di patologie che non potevano essere prevenute o curate. Il fattore che presenta maggiore drammaticità è il fattore età. Si pensi che solo per la degenerazione maculare legata all’età esiste una progressione impressionante nella prevalenza rispetto alla fascia di età. Si passa infatti da una prevalenza di 4,2% a 45-49 anni, ad una del 6,6% a i 50-59 anni, dell’11,6% a 60-69 anni, al 19,5% a 70-79 anni, per arrivare tra gli 80-84 anni al 27,1% 5. In questo contesto si capisce immediatamente che tutto il mondo oftalmologico non può rimanere insensibile davanti a questo dramma specie nei suoi risvolti psico-sociali. L’impegno non deve limitarsi cioè nella ricerca ed attuazione di programmi di prevenzione primaria e secondaria, nel mettere a punto percorsi di diagnostica e di terapia e nella sperimentazione di nuovi farmaci, ma deve anche affrontare il problema della disabilità sia nella sua definizione e quantizzazione sia nella sua riabilitazione, che resta sempre un problema multidisciplinare, ma che vede sempre l’oftalmologo come maggiore protagonista. Una delle problematiche che l’oculista è chiamato ad affrontare è la valutazione della menomazione anatomo-funzionale visiva ai fini dell’invalidità civile. Non è certamente un argomento di nicchia che sono chiamati ad assolvere solo coloro che si occupano di problematiche medico legali; esso invece coinvolge tutti gli oculisti, sia del pubblico e che del privato, nella loro attività clinica quotidiana con richieste sempre in aumento e alle quali non possono sottrarsi. Sono sempre più numerosi i cittadini che richiedono ai medici in generale, e nel caso specifico agli oftalmologi, certificazioni per valutazioni medico legali da utilizzare al fine di accedere alle provvidenze dell’invalidità civile. Il certificatore deve conoscere bene che cosa il paziente può richiedere chiarendo i limiti delle sue attestazioni. Esistono allo stato attuale tante e complesse criticità sulla determinazione e certificazione della menomazione visiva. Va subito detto che qualsiasi documento rilasciato al paziente datato e firmato dall’oculista può e viene normalmente utilizzato e presentato alla Commissione che stabilisce il grado di disabilità. E questo può rappresentare un momento di contenzioso in quanto la valutazione clinica non risponde alla rigidità, fissata per legge, di limiti netti nella classificazione


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del deficit, che non permettono alcuna discrezionalità, come vedremo nel proseguo. Normalmente l’oftalmologo non incontra grosse difficoltà nel formulare la diagnosi, a stabilire la gravità della forma patologica, il suo stadio evolutivo e la sua capacità invalidante. Le difficoltà insorgono nel quantificare il danno funzionale, dovendo far ricorso a test soggettivi ed oggettivi che implicano la piena collaborazione del paziente e che non sempre rispondono a criteri di attendibilità e di riproducibilità Anche per questo motivo la quantificazione del residuo visivo è divenuto un argomento di grande attualità mediatica definito “fenomeno dei falsi ciechi” che ha coinvolto molti disabili visivi portandoli alla ribalta dell’opinione pubblica, determinando revisioni, denunce, indagini, processi in sede civile, amministrativa e penale, coinvolgendo oculisti, uomini di legge, forze di Polizia, commissioni e, spesso in maniera penosamente aggressiva, i disabili visivi proprio quelli veri ed onesti. Purtroppo quando si parla di cecità, tutti, esperti e comuni cittadini, la rappresentano in modo dicotomico: o il buio assoluto o la visione normale. Tutte le estesissime zone di grigio, più o meno intenso, tra i due estremi non vengono mai immaginate e prese in considerazione. Solo l’ipovedente e il cieco parziale vivono sulla propria pelle le enormi difficoltà nella vita quotidiana. La loro disabilità non appare, o appare poco o viene facilmente simulata da chi proprio non vuol passare per handicappato. Nell’immaginario comune il grave disabile visivo è soltanto colui che porta occhiali neri e agita il bastone bianco. Anche tra gli addetti ai lavori, che dovrebbero conoscere molto bene le gravi ripercussioni nella vita quotidiana delle patologie oculari, non sempre si riscontra una percezione della disabilità in tutta la sua gravità. Lo dimostra uno studio di Brown MM, Brown GC, Stein JD6: i pazienti con Degenerazione Maculare Legata all’Età riportano una disabilita dal 96% al 750% maggiore rispetto a quanto stimato dagli oculisti stessi. Ha detto August Colenbrander, M.D, Smith-Kettlewel Eye Research Institute, San Francisco: “L’uso diffuso del termine “cecità (legale)” è un grave impedimento per una corretta interpretazione del quadro, in quanto suggerisce una dicotomia bianco-nero tra “vedere” e “non vedere”. In realtà, esiste una scala continua di grigi, con un’ampia gamma di gradi di perdita visiva, tra la visione “normale” e la cecità. I numeri che esprimono l’acutezza visiva sono solo delle pietre miliari lungo questa strada. Definire una persona con una perdita visiva grave “legalmente cieca” è tanto assurdo quanto definire una persona affetta da una patologia cardiaca grave “legalmente morta”. Così nella maggior parte die casi nel giudicare il grado di disabilità visiva si è fatto ricorso alla ripresa filmata del soggetto in momenti della sua vita quotidiana. I motivi per cui tali filmati hanno scarso valore nel giudicare la condizione di cecità di un soggetto sono tanti. Ne elenchiamo alcuni: 1. Sono eseguiti da persone completamente a digiuno delle possibilità di orientamento e mobilità di un cieco. 2. Non sono programmati secondo criteri precisi, ma cercano di rubare l’attimo compromettente come si si spiasse un truffatore. 3. Sono eseguiti nella maggior parte dei casi in ambienti che il cieco conosce bene. 4. Sono eseguiti non conoscendo la malattia invalidante, vale a dire se trattasi di una cecità centrale, periferica o mista. 5. Non tengono mai conto della riabilitazione visiva, di orientamento e mobilità a cui il soggetto si sia sottoposto; se utilizza ausili e di che tipo. 6. Neppure tengono conto se trattasi di una forma congenita o acquisita (il fissare un oggetto non vuol dire che lo veda: così se usa il cellulare o l’orologio è normale che, utilizzando la sintesi vocale – ma chi fa la ripresa non lo sa – fissi là dove proviene il suono). 7. Il disabile visivo fa di tutto per nascondere la sua disabilità (la maggior parte si rifiuta ad esempio di usare il bastone bianco perché diventa la carta di identità della sua condizione di cieco).


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8. È addestrato ad usare al massimo la sua percezione di ombra-luce o di percezione di cose in movimento. Da quanto sopra si comprende la necessità di fare chiarezza sia sul piano clinico che medico legale. Questa ampia premessa ci è sembrata opportuna per inquadrare il problema nei suoi aspetti principali. Scopo del nostro lavoro è quello di soffermarci esclusivamente sul percorso della valutazione della menomazione anatomo funzionale dell’apparato visivo, prescindendo dai passaggi successivi per la definizione dello stato di disabilità, per quantificarlo e per elargire benefici secondo legge. Infatti, secondo una classificazione dell’OMS – in seguito più volte aggiornata e migliorata, come vedremo nel proseguo – il percorso medico legale che porta al riconoscimento di uno stato di disabilità è rappresentato sostanzialmente da tre momenti: 1. Menomazione anatomo funzionale: si identifica nel danno alla funzione visiva: è la perdita totale o parziale di specifiche funzioni visive valutabili attraverso test clinici. 2. Disabilità: è la perdita totale o parziale derivante dalla menomazione di normali capacità visive con compromissione dei normali atti della quotidiani. 3. Handicap: l’impedimento che la disabilità visiva comporta all’individuo sul piano sociale e psichico nello svolgimento del ruolo che normalmente gli compete. Il secondo e terzo momento sono competenze delle Commissioni all’uopo costituite e non rientrano nella certificazione medica. Sulla determinazione della menomazione e sulla sua certificazione però le criticità che esistono allo stato attuale sono tante e complesse, come dimostra il fenomeno mediatico dei “falsi ciechi”, che le ha messe in evidenza e le ha portate alla ribalda dell’opinione pubblica, determinando revisioni, denunce, indagini, processi in sede civile e penale, coinvolgendo oftalmologi, commissioni, disabili. Il problema si può affrontare in duplice maniera: 1. stabilire il percorso in termini teorici come procedimento ottimale universamente proponibile sulla base delle evidenze scientifiche; 2. cercare di adattare il più possibile alla normativa vigente nel nostro Paese quanto emerge dalla letteratura oftalmologica internazionale. E nel proseguo si perseguirà questo secondo obiettivo. Il problema sarà affrontato esaminandone il quadro generale normativo e diagnostico, e proponendo un percorso volto alla quali-quantificazione della capacità visiva residua in termini il più possibile oggettivi e riproducibili, come procedimento ottimale universalmente proponibile sulla base delle evidenze scientifiche, cercando di adattarlo al meglio alla normativa vigente nel nostro Paese. Prof. Filippo Cruciani

1. Prevention of Blindness and Visual Impairment. Priority Eye Diseases [internet]. World Health Organization;© WHO 2017 [cited 2017 nov 19]. Available from: http://www.who.int/blindness/causes/priority/en/ 2. Vision impairment and blindness. Fact sheet. Updated October 2017 [internet]. World Health Organization; © WHO 2017 [cited 2017 nov 19]. Available from: 3. Filippo Cruciani, Storia SOI-UIC, Fabiano Editore, in corso di pubblicazione 4. https://www.who.int/publications-detail/world-report-on-vision 5. Wong WL, Su X, et al, Global prevalence of age-related macular degeneration and disease burden projection for 2020 and 2040 a systematic reviewand meta-analysis, The Lancet Global health2014,2(2):el106-16 6. Brown MM, Brown GC, Stein JD, Ophthalmol. 2005;40:277-287


1 Roberto Perilli

Filippo Cruciani

La funzione visiva e i suoi parametri

Raffaella Corradi

La visione è un fenomeno molto complesso in cui intervengono ed interagiscono funzioni diverse, che assolvono il compito di dare le migliori e più complete informazioni sullo spazio e sul suo contenuto. Ma non solo: è anche un termine con implicazioni psichiche e filosofiche “ricco di dubbi, ambiguità, con sottesi almeno due differenti significati: uno oggettivo (che potrebbe definirsi “percezione”, “osservazione”, “chiarificazione”, “oggettivazione”) ed uno soggettivo (a cui fanno riferimento i termini “sensazione”, “illusione”, “inganno”, “fascinazione”, “meraviglia”)”1. Fechner nel 1860, nel suo “Elemente der Psychophysik”, introdusse il principio dello studio comportamentale della percezione visiva, affermando che la ricerca nella psicofisica della visione tende ad una “teoria esatta delle relazioni funzionalmente dipendenti… dei mondi fisico e psicologico” (ed. 1966, pag. 7). Ne consegue che volendo o dovendo quantificare il fenomeno di una perdita parziale o pressoché totale, temporanea o permanente, della visione, insorgono tante ed ardue critici-


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tà. In passato, per molto tempo – forse per una maggiore semplificazione – si è identificato con l’acutezza visiva (AV) – e quindi con la visione centrale – tutto il processo visivo, con piena affermazione in ambito sia di medicina legale che di opinione pubblica, tanto che anche le classificazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità facevano riferimento ad esso. In seguito, si è data anche importanza sempre maggiore al campo visivo. Recentemente è sorta la necessità di considerare anche i tanti aspetti della funzione visiva, non solo in medicina legale, ma anche nella pratica clinica. La società moderna esige molto dall’organo visivo, sia in termini di efficienza, sia – e soprattutto – di qualità. Si è assistito infatti nell’ultimo secolo, nelle normali attività di vita quotidiana, ad un proliferare di richieste di prestazioni visive sempre più sofisticate, che il sistema cognitivo deve eseguire con grande velocità. Inoltre, l’invecchiamento progressivo della popolazione ha portato ad una maggiore prevalenza ed incidenza delle patologie degenerative oculari, con inevitabili ripercussioni negative sulle prestazioni visive. Ne è conseguito che oggi non sia più possibile prescindere dalla massima “qualità” della visione, oltre che dalla sua “quantità”. Molto spesso troviamo soggetti che diagnostichiamo visivamente sani, ma che sono insoddisfatti soggettivamente - rispetto ad esigenze di vita e/o di lavoro - di “come vedono”.

Da qui lo sforzo di individuare nuove tecniche per la valutazione di tutti i parametri della visione. Purtroppo, la situazione attuale, che vede distinta e separata la ricerca di base da quella clinica – facilitata in ciò dalla crescente specializzazione in ogni settore dell’oftalmologia –, ha portato alla messa a punto di tante tecniche che non hanno poi trovato applicazione nell’attività quotidiana. E così permane la prassi comune nella clinica ambulatoriale quotidiana di fare affidamento solo sui due parametri principali: l’acutezza visiva e (in misura minore) il campo visivo. Ciò lo si riscontra anche in campo medico-legale, specie nella valutazione del danno visivo; anzi è la Legge stessa che lo prevede. Altre valutazioni, relative agli altri parametri visivi, vengono ritenute più consone a centri di secondo livello, o a diagnostica più “sofisticata”, o alla ricerca. Parzialmente diverso è il panorama negli USA, dove Colenbrander2,3, sin dagli ultimi anni dello scorso secolo, ha introdotto il concetto di “visione funzionale” ad integrazione di quello di “funzione visiva” (Figura 1), aprendo la strada ad una serie di documenti2 che hanno posto le basi di un moderno approccio, più olistico, alla valutazione del sistema visivo ed alla sua riabilitazione. Questo capitolo vuole proprio fornire spunti di riflessione sui rapporti tra l’aspetto strettamente anatomico e quello comportamentale.

Figura 1. Dalla funzione visiva alla visione funzionale. Da Colenbrander3


La funzione visiva e i suoi parametri

Dagli spunti offerti da Colenbrander è nato negli USA, nel 2002, un corposo volume4 dedicato alla costruzione dei parametri utili a definire i criteri valutativi per le disabilità visive per l’accesso ai benefici previdenziali, ed è a questo testo che ci appoggeremo nel descrivere brevemente alcuni aspetti, nel sistema italiano non (ancora) valutati, ma comunque fondamentali, dell’esperienza visiva. In conclusione, nel presente capitolo non verranno presi in considerazione i due parametri visivi principali, vale a dire visus e campo visivo, che saranno trattati diffusamente in capitoli successivi, bensì gli altri – purtroppo erroneamente considerati minori – che dovrebbero essere parte integrante della valutazione della funzione visiva.

Sensibilità al contrasto Nella vita quotidiana, la misurazione dell’AV, come viene normalmente annotata nella pratica clinica, non rispecchia fedelmente la vera condizione visiva. La tavola optometrica presenta stimoli neri su fondo bianco (almeno finché

Figura 2. Tavola di Pelli-Robson per la misurazione della sensibilità al contrasto. In Lennie3

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lampadine e schermo mantengono buone condizioni), cioè creano un contrasto massimale, vicino al 100%; dal momento che la discriminazione avviene per una variazione di luminosità tra un punto ed un altro di un oggetto - ciò che rappresenta anche la definizione del termine “contrasto” (Figura 2) -, se la variazione è massimale (bianco/nero), il riconoscimento sarà facilitato. È ovviamente difficile riscontrare nella vita quotidiana condizioni di contrasto così elevato (si pensi alla differenza minima tra la luce riflessa da un manto stradale e da un marciapiede, che costituisce un frequente ostacolo nella vita quotidiana dell’ipovedente). A tal proposito, va tenuto presente che anche la separazione spaziale tra due stimoli contigui ha importanza nella valutazione dell’AV, e differenze emergono con l’utilizzo di ottotipi diversi: è stato rilevato5 che l’uso di un ottotipo ETDRS, con progressione logaritmica e distanziamento tra le lettere proporzionale alla loro grandezza, fornisce, a parità di condizioni cliniche e di luminanza, un risultato più alto in termini di AV rispetto ad un ottotipo standard. Quando gli stimoli sono troppo vicini, se la visione non è ottimale i circoli di confusione relativi, che si creano sulla retina, tendono facilmente a sovrapporsi, riducendo le possibilità di identificazione corretta. E quando la luminosità di due punti contigui tende alla similitudine, le differenze saranno meno riconoscibili, e si tenderà a fondere i dettagli dell’oggetto. Pertanto, la valutazione della sensibilità al contrasto riprodurrebbe con maggiore fedeltà le condizioni reali di visione, soprattutto in condizioni patologiche. Le differenze di contrasto tra particolari dell’oggetto visto sono dovute fondamentalmente a: – Caratteristiche di contrasto variabile proprie dell’oggetto – Alterazioni nella proiezione dell’oggetto sulla retina. È noto che la straylight (dispersione di un raggio luminoso all’attraversamento dei mezzi diottrici, che è alla base della perdita di nitidezza delle immagini) è un fenomeno dipendente dalla purezza della trasmissione ottica: considerato il lungo percorso del raggio luminoso per arrivare al fotorecettore (film lacrimale, faccia anteriore e posteriore della cornea, umor


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acqueo, faccia anteriore e posteriore del cristallino, umor vitreo, strati pre-fotorecettoriali della retina), è prevedibile che la variazione di trasparenza ed omogeneità di ciascuno di questi possa influenzare il corretto raggiungimento del “bersaglio” fotorecettore. Si calcola6 che nei giovani sani circa il 10% della luce che entra nel bulbo vada soggetta a fenomeni distorsivi; dopo i 50 anni, la percentuale aumenta velocemente, così come in presenza di opacità o variazioni di densità ottica. Dal momento che la misurazione standard dell’AV, oltre ad essere eseguita (idealmente) in condizioni di massimo contrasto e di luminosità univoca, riguarda soltanto la dispersione di luce in un angolo ristretto, i fenomeni di straylight endobulbari globali hanno un impatto contenuto sulla definizione finale dello stimolo: essa, pertanto, non rende conto del reale comfort visivo del paziente in una scena di vita quotidiana, dove l’immagine è ampia, la luminosità ed il contrasto variabili, e gli elementi di disturbo circostanti il punto di attenzione possono essere tanti. Pertanto, non stupisce che ad una stessa AV possano corrispondere diverse sensibilità al contrasto7. Ad esempio, ad una variazione della sensibilità al contrasto più che dell’AV sono stati correlati disturbi della lacrimazione8, cataratta6,9 e glaucoma10. Nella cataratta, è stato autorevolmente riportato11 che, nelle fasi precoci, può rimanere invariata non solo l’AV, ma anche la sensibilità al contrasto per le lettere più grandi, mentre, col rimpicciolirsi degli stimoli, si fa sempre più marcata la differenza in negativo della riduzione della sensibilità al contrasto rispetto a chi non ha la cataratta; con l’avanzare dell’opacità, la perdita si fa progressivamente maggiore anche con lettere più grandi; inoltre, le cataratte nucleari e corticali fanno perdere sensibilità al contrasto su stimoli grandi meno delle sottocapsulari posteriori12. Tale parametro può essere utile anche nella valutazione della Sclerosi Multipla, e si accompagna ad una perdita assonale nello strato delle fibre nervose peripapillari e degli elementi cellulari nello strato delle cellule ganglionari13. La sensibilità al contrasto può, nella vita pratica, creare ad esempio grossi problemi nel riconoscere ostacoli se c’è nebbia: anche se essa non è, attualmente, valutata in ambito medicolegale previdenziale, lo è, invece, per il con-

seguimento delle patenti speciali (per il quale sono stati validati apparecchi che propongono dei risultati accettati come standard dalla Motorizzazione Civile); la trattazione dettagliata della sua misurazione esula dallo scopo del presente capitolo, ma può essere consultata in un esauriente articolo di Pelli e Bex14, che fornisce anche consigli pratici per la sua valutazione. Si tratta, comunque, di un parametro spesso inteso più come qualitativo che quantitativo. Va comunque tenuto in debito conto in tutti quei casi in cui l’impatto pratico della qualità visiva acquista un’importanza nella vita quotidiana esempio cardine ne è la cataratta - pari a quello della quantità visiva. Ciò vale anche nell’esame standard del campo visivo, che prevede attualmente solo la perimetria convenzionale bianco su bianco, con valori di differenza di luminanza (contrasto) preordinati. Per chiamare in causa la visione funzionale nella sua componente comportamentale, il contrasto è un elemento determinante della performance visiva, come si vedrà anche più avanti a proposito della velocità di lettura, ed è considerato un elemento che può limitare l’accesso all’informazione scritta nei Paesi sviluppati15.

Abbagliamento Si tratta di un parametro strettamente legato a quello precedente. In realtà, l’esame della sensibilità al contrasto verifica la differente sensibilità visiva a differenti intensità di grigio, mentre i test di abbagliamento verificano come questa sensibilità si comporta con diversi livelli di illuminazione. L’abbagliamento è definito come “la perdita di capacità visiva o di visibilità, o il fastidio o il disagio, prodotti da una luminosità nel campo visivo superiore a quella alla quale gli occhi sono adattati”10; in tali condizioni, l’effetto della luminosità della scena sulla percezione visiva si esprime diversamente in dipendenza dal contrasto dell’immagine: in condizioni di abbagliamento, l’AV può essere poco influenzata, ma la sensibilità al contrasto si riduce16,17. Come sopra citato, la misurazione del visus è eseguita su un angolo ristretto, pertanto la accentuata diffusione intraoculare di luce (straylight), che è alla base della sensazione di abbagliamento, e che può riconoscere sia cau-


La funzione visiva e i suoi parametri

se esterne (polvere, occhiali o finestre sporchi) che oculari (cataratta, opacità corneali), può avere un impatto sull’AV non proporzionale al fastidio soggettivo. L’abbagliamento può essere diretto (da una fonte eccessivamente luminosa) o riflesso (da una superficie non emettente); dovuto a una illuminazione troppo forte in assoluto, ma anche ad una differenza di luminosità (contrasto di luminanza) eccessiva; funzione della luminanza, della dimensione e della posizione nel campo visivo di un oggetto (da ciò dipende anche l’organizzazione degli ambienti lavorativi); è di diverse entità10, potendo essere solo distraente, e risultare in un affaticamento visivo; o disagevole, provocando astenopia e, il più delle volte, costringendo il soggetto a strizzare gli occhi o a distogliere lo sguardo; fino alle forme inabilitanti e accecanti (classica quella dovuta alla neve). Può essere utile, ai fini della presente trattazione, ricordare che ad alti livelli di luminosità un abbagliamento di grado elevato può essere associato a patologie retiniche prevalentemente dei coni, e retinite pigmentosa18,19; pertanto, può essere utile raccogliere anche questo dato, in sede di anamnesi e alla lampada a fessura, nella valutazione morfo-funzionale delle patologie retiniche. Anche in questo caso, una trattazione completa esula dallo scopo del volume, e si rimanda ad Aslam et al18 per approfondimenti.

Visione a bassa luminosità Si tratta di un campo estremamente ampio, racchiudendo esso la bassa luminosità in assoluto (es, notte, stanza poco illuminata) e quella relativa alle capacità visive del soggetto. Infatti, è noto4 che tale capacità si deteriora fisiologicamente con l’età, e patologicamente con alcune patologie eredodegenerative come classicamente la retinite pigmentosa e la cecità notturna stazionaria, con neuriti ottiche, glaucoma e diabete; da tempo, il suo declino è stato studiato nella degenerazione maculare, tanto da essere stato proposto come predittore del peggioramento dell’atrofia geografica nella forma secca20. Pur se trascurato nella valutazione medico-legale a fini previdenziali, questo aspetto conserva una grande importanza nella vita quotidiana,

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in quanto, nei casi patologici, anche piccole riduzioni di luminosità possono provocare marcati cali dell’AV, della velocità di lettura della sensibilità al contrasto.

Senso cromatico Rappresenta “la capacità di un organismo di distinguere oggetti sulla base delle lunghezze d’onda (o frequenze) della luce che essi riflettono, emettono o trasmettono”21. I soggetti normali, definiti tricromati, hanno tre tipologie di coni, sensibili a lunghezze d’onda corte, medie e lunghe, e sono in grado di percepire uno spettro luminoso compreso tra 380 e 700 nanometri. La mancanza od il cattivo funzionamento di una o più classi di coni determina l’incapacità di distinguere le lunghezze d’onda relative e, quindi, la cecità ai relativi colori, che vengono confusi con altri. I difetti sull’asse rosso-verde sono i più frequenti (nel Nord Europa attorno ad l maschio su 12 ed 1 femmina su 200; altrove inferiore), e comportano difficoltà nel riconoscere sfumature più o meno intense di rosso, verde e giallo; seguono quelli sull’asse giallo-blu (equamente distribuiti tra maschi e femmine), che causano problemi con le sfumature di blu e verde, e nel distinguere il blu scuro dal nero. Entrambe queste forme di discromatopsia non affliggono l’AV. La forma più rara (1 su 100,000, prevalente nei maschi) è il monocromatismo dei coni blu, ed è associato a problemi visivi e possibile nistagmo, fotofobia e miopia; è molto vicino all’acromatopsia completa, nella quale il soggetto distingue solo bianco, nero e sfumature di grigio, e sono presenti i segni clinici prima citati22,23. Una alterata percezione dei colori impedisce al soggetto di intraprendere alcune professioni o mestieri (controlli di qualità di tessuti, critica d’arte, catalogazione di pietre preziose…), e ciò dovrebbe risultare dall’anamnesi; notizie a riguardo possono esserci utili, per lo scopo della presente trattazione, in quanto le discromatopsie sono il più delle volte su base genetica ed irreversibili, ma possono essere anche acquisite, e molto spesso reversibili (la più classica è quella relativa al blu, assorbito dal giallo della cataratta; ma anche traumi, patologie locali o sistemiche vascolari o metaboliche e tossicità da farmaci vanno ricercati); l’aspetto che maggiormente riguarda l’applicazione medico-


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Figura 3. Tipologie di difetti nella visione dei colori e patologie associate. Da Hasrod21

legale è la corretta attribuzione (e la possibile utilità come complemento diagnostico, come ad esempio si dirà più avanti a proposito del glaucoma) a patologie che possiamo trovarci a valutare nella correlazione anatomo-funzionale (Figura 3). Ad una completa trattazione dell’esame del senso cromatico (valutabile grossolanamente con le tavole pseudoisocromatiche di Ishihara ed il Farnsworth panel D-15, più analiticamente con il Farnsworth-Munsell 100 Hues) ed ai suoi correlati clinici è dedicato il volume di Pokorny24.

Stereopsi La visione tridimensionale25 dipende dall’acquisizione da parte del cervello visivo, nei primissimi anni di vita, della nozione correlata all’esperienza per la quale piccole differenze nelle immagini proiettate dall’oggetto su ciascuna retina a diverse distanze (differenze tanto maggiori quanto più l’oggetto è vicino) corrispondono ad una diversa posizione dell’oggetto stesso nello spazio. È ben noto che il cervello può vicariare la mancanza della stereopsi binoculare con una pseudo-stereopsi monoculare, ac-

quisendo con l’esperienza visiva dati (grandezza relativa, posizione relativa, ombre, velocità angolare di spostamento...) che permettono di supplire alla maggior parte delle applicazioni pratiche della stereopsi nativa. Tale parametro – nonostante la sua prevalenza: secondo Richards26 fino al 30% della popolazione adulta è portatrice di un qualche deficit di stereopsi - non è attualmente valutato nella medicina legale previdenziale; lo può essere per la guida o per circostanze nelle quali soprattutto la perdita improvvisa della stessa (bendaggio, opacizzazione monoculare dei mezzi diottrici di recente insorgenza) possono condizionare la capacità di un soggetto a compiere determinati atti della vita quotidiana.

Velocità di lettura Chiudiamo il capitolo con questo parametro, anch’esso fondamentale per la vita quotidiana: la velocità con la quale si legge, ma, più in generale, con la quale si riconoscono in rapida successione stimoli visivi diversi. Nella pratica clinica normalmente si confonde l’acutezza visiva con la “capacità minima di


La funzione visiva e i suoi parametri

lettura”. Già esistono differenze tra visus per lontano e per vicino, anche se entrambi sottendono lo stesso angolo visivo di 5 primi di grado. Infatti, alcuni fattori possono rendere le due misure leggermente differenti: 1. Accomodazione, convergenza e miosi nell’attività da vicino 2. Difficoltà a mantenere stabile la distanza della tavola optometrica 3. Contrasto, illuminazione ed affollamento della tavola stessa 4. La possibile presenza di alcune patologie con opacità dei mezzi diottrici. Ma tra acutezza visiva per vicino e “capacità minima di lettura” esistono differenze sostanziali. La “capacità minima di lettura” (MRS “Minimal Reading Size” degli Autori Anglosassoni) può essere definita come la capacità di leggere un testo costituito di parole senza errori significativi, e quindi non corrisponde al riconoscimento del più piccolo carattere-simbolo che un soggetto riesce a riconoscere. Cambia quindi l’ottotipo: non più un simbolo ben strutturato, ma invece una parola dal senso compiuto. Inoltre, diventano fondamentali: – le saccadi (puntamento, fissazione, inseguimento); – l’ampiezza del campo di lettura; – la sensibilità ed integrità di tutta l’area maculare; – la posizione di eventuali scotomi; – l’assenza di disturbi cognitivi; – la scolarità; – le difficoltà del testo.

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Oggi, nella pratica clinica, si esegue il visus da vicino ad una distanza di 25 cm o di 40 cm usando un ottotipo di parole di senso compiuto oppure di parole con senso scollegato con un determinato corpo di stampa (cp) spesso variabile a seconda del Paese. Per quantizzare la velocità di lettura si ricorre al test di velocità massima di lettura dato dal numero di parole lette senza errori entro un tempo definito (1-3 minuti) sulle tavole MNREAD27. Un adulto normale ed istruito possiede una velocità di lettura di circa 200 e fino a 400 parole per minuto28; partendo da questo presupposto si può entrare in un mondo di visione funzionale che è legato, ad esempio, alla sensibilità al contrasto più che all’AV29, all’utilizzo per la lettura della fovea o della periferia retinica30, ed alla stabilità dell’immagine31. Sulla base di questi parametri, è intuitivo (e dimostrato dalla letteratura) immaginare che uno scotoma centrale - classico il caso della Degenerazione Maculare Senile32 - oltre all’AV riduca la velocità di lettura, costringendo la fissazione ad allontanarsi dalla fovea; a rafforzare il principio che la periferia retinica contribuisce poco alla velocità di lettura è la constatazione che il glaucoma influenza la stessa anche senza una importante compromissione del campo visivo periferico, ma quando comporta una contrazione dell’ampiezza del campo di lettura centrale (numero di lettere viste a sinistra e, soprattutto, a destra del punto di fissazione)33.

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