Atlante di diagnostica oculare - Pierro

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Fabiano Editore

ATLANTE DI

DIAGNOSTICA OCULARE

Luisa Pierro

ATLANTE DI

DIAGNOSTICA OCULARE Guida alla interpretazione delle immagini: Ecografia, OCT, OCTA, Fluorangiografia

Luisa Pierro e i suoi collaboratori

Volume 1

Fabiano Editore

Volume 1



Luisa Pierro

ATLANTE DI DIAGNOSTICA OCULARE Guida alla intepretazione delle immagini (Ecografia - OCT - OCTA - Fluorangiografia)

Volume 1

Contributors: Alessia Amato, Alessandro Arrigo, Michele Cavalleri, Anna Crepaldi, Federico Fantaguzzi, Giorgio Lari, Matteo Pederzolli, Carlotta Senni, Chiara Viganò

Fabiano Editore


Copyright FGE srl FGE srl Sede Legale e Operativa: Reg. Rivelle, 7/F – 14050 Moasca (AT) Redazione: Strada 4 Milano Fiori, Palazzo Q7 - 20089 Rozzano (MI) Tel. 0141 1706694 – Fax 0141 856013 info@fgeditore.it – www.fgeditore.it Gli Autori e l’Editore declinano ogni responsabilità per eventuali errori contenuti nel testo. Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione totale o parziale. Grafica e stampa: FGE srl Reg. Rivelle 7/F – Moasca (AT) ISBN 978-88-31256-40-7 Febbraio 2022

FGE srl – Reg. Rivelle 7/F – 14050 Moasca (AT) Tel. 0141 1706694 – Fax 0141 856013 info@fgeditore.it – www.fgeditore.it


Indice

Pag. Presentazione

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Capitolo 1.

Tecniche di imaging 1.1. Introduzione 1.2. Fluorangiografia 1.3. Autofluorescenza 1.4. UWF 1.5. OCT 1.6. OCTA 1.7. ECOGRAFIA 1.8. Campo visivo 1.9. Bibliografia

9 9 9 11 13 16 20 21 25 28

Capitolo 2.

Patologie congenite e dell’età pediatrica 2.1. Introduzione 2.2. Persistenza della circolazione fetale 2.3. Cisti vitreali 2.4. Retinopatia del prematuro (ROP) 2.5. Sindrome di Marfan 2.6. Sindrome di Peters 2.7. Sindrome di Wolfram 2.8. Sindrome di Alagille 2.9. Sindrome di Charge 2.10. Sindrome di Alport 2.11. Sindrome di Kleefstra (o sindrome da delezione subtelomerica di 9q34.3) 2.12. Sclerosi tuberosa 2.13. Maculopatia Torpedo 2.14. Benign Foveal Depigmentation (BFD) 2.15. Aplasia foveale 2.16. Fibre mieliniche 2.17. Anomalie vascolari in età pediatrica 2.18. Acromatopsia asse blu-giallo 2.19. Persistenza della membrana pupillare (PPM) 2.20. Bibliografia

29 29 29 31 33 34 36 38 42 43 45 47 50 51 52 55 59 61 67 69 71

Capitolo 3.

Distrofie corioretiniche ereditarie 3.1. Introduzione 3.2. Rod-Cone Distrophy 3.3. Malattia di Stargardt 3.4. Malattia di Best e Pseudo-BWest 3.5. Retinoschisi X-linked 3.6. Coroideremia 3.7. Atrofia girata 3.8. Bibliografia

73 73 74 80 89 102 108 112 118

Capitolo 4.

Maculopatie acquisite 4.1. Introduzione

119 119

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Atlante di diagnostica oculare

4.2. 4.3. 4.4. 4.5. 4.6. 4.7.

Degenerazione maculare legata all’età Corioretinopatia sierosa centrale Unilateral idiopathic maculopathy Neuroretinopatia maculare acuta (AMNR) Maculopatia Torpedo Bibliografia

120 144 157 160 162 166

Capitolo 5.

Malattie vascolari della retina 5.1. Introduzione - Vascolarizzazione retinica 5.2. Retinopatia diabetica 5.3. Occlusione venosa 5.4. Occlusione arteriosa 5.5. MacTel o Telengectasie Perifoveali (TPI) 5.6. Perifoveal Exudative Vascular Anolmalous Complex (PEVAC) 5.7. Malattia di Coats 5.8. Peripheral Exudative Hemorrage Chorioretinopathy (PEHCR) 5.9. Macchie di Roth 5.10. Macroaneurisma 5.11. Wybur-Mason Syndrome 5.12. Bibliografia

169 169 170 188 196 206 215 218 224 231 233 240 244

Capitolo 6.

Retinopatie iatrogene e secondarie a malattie sistemiche 6.1. Introduzione 6.2. Maculopatia fototossica 6.3. Maculopatia da Popper 6.4. Retinopatia secondaria a radioterapia 6.5. Maculopatia da idrossiclorochina 6.6. Maculopatia da tamoxifene 6.7. Maculopatia da preeclampsia 6.8. Maculopatia in glomerulonefriti 6.9. Retinopatia da anemia megaloblastica da abuso alcolico 6.10. Retinopatie secondarie a farmaci antitumorali 6.11. Bibliografia

247 247 247 249 250 258 260 263 264 267 269 274

Capitolo 7.

Patologie del vitreo e dell’interfaccia vitreoretinica 7.1. Introduzione 7.2. Sindrome dell’interfaccia vitreoretinica 7.3. Rottura retinica 7.4. Retinoschisi periferica 7.5. Distacco di retina 7.6. Emorragie sottoretiniche 7.7. Emorragie intraretiniche 7.8. Emorragie preretiniche 7.9. Emovitreo 7.10. Sindrome di Terson e Shaken-baby syndrome 7.11. Opacità vitreali 7.12. Endoftalmite 7.13. Bibliografia

275 275 275 288 291 298 308 311 313 319 322 325 330 333

Capitolo 8.

Miopia patologica 8.1. Introduzione 8.2. Punti gialli del miope - Patchy Atrophy 8.3. Conus PIT e Cavitazioni coroideali 8.4. Dome-shaped macula (DSM) 8.5. Retinoschisi 8.6. Humps dell’epitelio pigmentato 8.7. Artefatti - OCT/Angio-OCT del bulbo miope 8.8. Laquer cracks e perforating vessels 8.9. CNV miopica 8.10. Bibliografia

335 335 337 338 345 349 354 355 356 359 366

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A Violante, Lodovico, Sveva Angelica, Sole Luisa e...



Presentazione Non c’è piacere più grande dell’imparare.....

Questo Atlante ha lo scopo di mostrare il corretto impiego degli esami strumentali nella diagnosi delle patologie oculari. L’aver utilizzato nella mia esperienza clinica le più diverse tecniche diagnostiche mi permette di considerarne l’appropriata applicazione. Nel mio personale approccio non ho mai dimenticato di utilizzare anche l’Ecografia, tecnica con cui sono nata professionalmente, e attualmente sottostimata nella coorte dei nuovi test diagnostici, anche se apparentemente non necessaria. Nei 10 anni trascorsi dal mio ultimo libro sullo Spectral Domain OCT la diagnostica oculare ha raggiunto notevoli progressi che, nello studio della retina, includono l’Angio-OCT e l’Ultra-Wide Field. Si tratta quindi di un Atlante sui “segni”, cioè sulle Immagini attraverso cui comporremo la diagnosi. Partendo dall’esplorazione del fondo, accanto ai segni utili come “indizio”, sarà necessario associare altri esami (RMN-TAC- RX ed altri) o/e esami di laboratorio specifici. Le patologie descritte sono ricavate da casi clinici, che ogni giorno giungono alla nostra osservazione e per questo correlate da immagini esplicative. Alcuni di questi casi li troverete già pubblicati su riviste del settore, altri sono stati da me presentati a Congressi, altri ancora sono in corso di pubblicazione. Saranno illustrate situazioni in cui l’Ecografia sarà l’esame dirimente, altri dove la fluorangiografia (FAG) o l’Angiografia con verde di indocianina (ICG) o l’Ultrawidefield (UWF) ci aiuteranno a fare diagnosi, altri ancora in cui l’OCTA ci sorprenderà o in cui sarà sufficiente l’Ultrabiomicroscopia (UBM) a risolvere il quesito. Nella “risoluzione” di un caso clinico infatti l’utilizzo di un solo esame spesso non è sufficiente, anche se più esami possono risultare confondenti e a volte fuorvianti. In conclusione questo Atlante non ha la pretesa di essere un ennesimo compendio di malattie oculari, ma si propone come strumento utile per agevolare la diagnosi di situazioni cliniche semplici o particolarmente complesse, che richiedono un approccio mirato. Per questo motivo abbiamo scelto per ogni Capitolo i casi più rappresentativi. Starà al singolo, se lo vorrà, approfondire le varie patologie prendendo spunto da quanto letto. Di sicuro l’aver lavorato per tanti anni con giovani medici,” assettati di conoscenza” e pieni di entusiasmo mi ha spinto a realizzare questo progetto ambizioso. A loro va il mio più sentito ringraziamento. Non c’è piacere più grande dell’imparare..... Luisa Pierro

Hanno collaborato: Alessia Amato, Alessandro Arrigo, Michele Cavalleri, Anna Crepaldi, Federico Fantaguzzi, Giorgio Lari, Matteo Pederzolli, Carlotta Senni, Chiara Viganò

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Capitolo 1

Tecniche di imaging

1.1. Introduzione Presentiamo in questo capitolo il funzionamento e l’impiego delle principali tecniche di imaging attualmente utilizzate in Oftalmologia. Parleremo dell’Ecografia A-B- Scan per il segmento posteriore e dell’Ecografia Ultrabiomicroscopica (UBM) per il segmento anteriore, della Tomografia a Coerenza Ottica (OCT) e della sua evoluzione in OCT-Angiografia (OCT-A), dell’Ultrawidefield (UWF) per l’estrema periferia retinica, oltre alle classiche metodiche fluorangiografiche e di autofluorescenza. Infine includiamo anche un capitolo dedicato alla Perimetria Computerizzata (CV), che pur non essendo una tecnica di Imaging, viene spesso utilizzata a conferma o a corollario in molte patologie oculari. Mi preme sottolineare che gli Esami Strumentali per quanto utili e a volte essenziali non possono prescindere dall’esame oftalmoscopico, cardine fondamentale per una corretta diagnosi. Segnaliamo le abbreviazioni più usate Fluorangiografia FAG/FA Autofluorescenza FAF/AF Blue Autofluorescence BAF Green Autofluorescence GAF Near-Infrared Autofluorescence NIR-AF

1.2. Fluorangiografia Dalla sua introduzione nei primi anni ’60 la fluorangiografia (FAG) è rimasta la metodica di riferimento per le patologie retiniche e coroideali, entrando di diritto nella routine clinica di un reparto oftalmologico. Il fluorangiografo è composto da una fundus camera equipaggiata con filtri di eccitazione e filtri di schermatura. Il colorante, la fluoresceina, è iniettato in vena, nella maggior parte dei casi in una vena cubitale anteriore. Una luce bianca è inviata ad un filtro di eccitazione a luce blu e tale luce (lunghezza d’onda 465-490 nm), a sua volta, è assorbita dalle molecole di fluoresceina non legate. Queste ultime emettono una luce di lunghezza d’onda maggiore (520-530 nm), nello spettro del giallo-verde. Un filtro barriera equipaggiato nello strumento acquisisce solo lunghezze d’onda di 520-530 nm, cioè provenienti dalla fluoresceina eccitata dalla luce blu. Le immagini sono acquisite su un supporto digitale e solitamente le immagini ottenute nei tempi precoci e tardivi sono le più informative, anche se tale considerazione cambia in base alla patologia in oggetto. La FAG è ritenuta una procedura generalmente sicura, ma può portare con sé complicanze anche gravi. Le reazioni avverse più comuni sono nausea (2-20% dei pazienti), vomito (7%) e prurito. Sono possibili lesioni locali nel sito di iniezione, come rossore, edema, stravaso del colorante. Reazioni avverse più gravi (0,4%) come orticaria, ipertermia, tromboflebite, sincope sono rare. Reazioni avverse gravissime e che minacciano l’incolumità del paziente come anafilassi, broncospasmo, arresto cardiaco sono rarissime, ma possibili. Il rischio di morte è pari a 1:220.000. L’unica controindicazione assoluta alla FAG è una pregressa reazione allergica alla fluoresceina, mentre gravi reazioni allergiche per altre sostanze sono controindicazioni relative. Altre controindicazioni relative sono: insufficienza

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Tecniche di imaging

Capitolo 1

renale (è consigliabile utilizzare una dose di fluoresceina), gravidanza, grave cardiopatia e asma moderato-severa. Per poter comprendere appieno la FAG può essere utile citare le due barriere emato-retiniche della retina: Barriera emato retinica esterna costituita dalle cellule dell’epitelio pigmentato adese tra loro da tight junctions: i vasi della coroide sono impermeabili alla fluoresceina libera e legata, mentre la coriocapillare, a causa delle ampie fenestrature presenti nelle pareti dei vasi che la costituiscono, porta ad una importante dispersione del colorante. Barriera emato retinica interna: costituita dalle tight junctions tra le cellule dell’endotelio capillare retinico. La rottura di questa barriera permette il leakage della fluoresceina nello spazio extravascolare. In sintesi, le principali cause di iperfluorescenza sono: Effetto finestra: atrofia o completa assenza dell’EPR, condizione che può verificarsi nella degenerazione maculare legata all’età o nella rottura dell’EPR. L’iperfluorescenza deriva dalla dispersione del colorante dalla coriocapillare il quale non viene schermato dall’EPR. Pooling: accumulo di fluoresceina in uno spazio anatomico dovuto alla rottura della barriera emato-retinica esterna. Esempi sono la corioretiopatia sierosa centrale, dove l’accumulo avviene tra il neuroepitelio retinico e l’EPR e tende, con il tempo dell’esame, ad aumentare di intensità e di area. Altro esempio è il distacco dell’EPR che causa iperfluorescenza precoce che aumenta di intensità ma non di area. Leakage: precoce iperfluorescenza a causa della rottura della barriera emato-retinica interna. Può avvenire o per disfunzione delle tight junction da stato infiammatorio (retinopatia diabetica, papilledema) o per assenza delle stesse come avviene nei neovasi (coroideali o retinici). Staining: è un fenomeno tardivo, dovuto alla permanenza della fluoresceina in drusen, tessuti fibrosi, normale papilla ottica. Le principali cause di ipofluorescenza, invece, sono: Mascheramento della struttura retinica in caso di alterazioni preretiniche come in emovitreo o mascheramento della struttura coroideale in caso di alterazioni intraretiniche (emorragie, essudati duri). Alterato riempimento di aree retiniche o della coroide dovuto ad occlusioni di vasi.

1.3. Autofluorescenza L’Autofluorescenza del Fondo (Fundus Autofluorescence, FAF) è una metodica non invasiva che permette di analizzare e quantificare i fluorofori presenti nel tessuto retinico. Per autofluorescenza, si intende la capacità di una molecola di essere eccitata da un fascio luminoso di una determinata lunghezza d’onda e di dare origine ad un nuovo fascio luminoso di lunghezza d’onda maggiore, cioè con un contenuto energetico ridotto. La principale fonte di AF attualmente valutabile è la lipofuscina (LF), pigmento che con il passare degli anni si accumula nelle cellule in fase post-mitotica e metabolicamente attive, con particolare riferimento a quelle dell’EPR, che attualmente costituisce il principale oggetto di indagine della FAF. Al di là del fisiologico processo di invecchiamento, l’accumulo di LF sembra essere coinvolto nella patogenesi di maculopatie più o meno prevalenti, tra cui la degenerazione maculare legata all’età (o Age-related macular degeneration, AMD), la malattia di Stargardt, la malattia di Best e le Pattern Dystrophies. Secondo quanto emerso da diversi studi, la LF conterrebbe almeno 10 fluorofori con diversi spettri di emissione che vanno dal verde, al giallo, al giallo-verde, all’arancione-rosso. In base alle specifiche lunghezze d’onda utilizzate per eccitare i fluorofori presenti nei tessuti in esame, si distinguono diversi tipi di FAF: Blue Autofluorescence (BAF). La BAF, il cui picco di eccitazione è a 488 nm, è la più utilizzata tra le FAF e si ritrova in dotazione su macchinari molto diffusi, come l’Heidelberg Spectralis. La BAF è molto utile nella valutazione

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e nel follow-up di aree atrofiche, ad esempio nella Dry-AMD e nella malattia di Stargardt. Schematicamente, le condizioni che portano ad alterazioni dell’autofluorescenza possono essere così classificate: • Iperautofluorescenza: accumulo di lipofuscina o perdita dello strato fotorecettoriale (con conseguente agevolazione del passaggio dell’autofluorescenza dell’EPR). • Ipoautofluorescenza: atrofia dell’EPR o effetto schermo generato da molecole senza potere fluorescente, come il sangue. Green Autofluorescence (GAF). In presenza di un’atrofia dell’EPR maculare, l’immagine visualizzata in BAF consiste in un’area centrale scura, fenomeno derivante dalla capacità dei principali pigmenti maculari (luteina e zeaxantina), presenti negli assoni dei coni foveali, di assorbire il blue peak. L’assorbimento della luce blu da parte dei pigmenti maculari rende difficoltosa la valutazione della regione foveale in BAF e costituisce un importante limite di questa metodica. Al contrario, la luce verde ha uno spettro di eccitazione che cade al di fuori del range di assorbimento massimo dei pigmenti maculari (518 nm) e alcuni studi sembrano suggerire che la GAF sia più accurata nello studio delle piccole aree di atrofia centrale e nella distinzione tra coinvolgimento e risparmio foveale. La GAF, inoltre, grazie una lunghezza d’onda maggiore, riesce a penetrare meglio in presenza di mezzi diottrici opacizzati.

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Tecniche di imaging

Capitolo 1

Near-Infrared Autofluorescence (NIR-AF). Nella NIR-AF, utilizzando un fascio luminoso della lunghezza d’onda di 787 nm (la stessa lunghezza d’onda utilizzata per eccitare il verde di indocianina nell’ICGA), si eccitano i fluorofori, che rispondono emettendo un fascio luminoso con lunghezza d’onda >800 nm. La NIR-AF, che in virtù della sua lunghezza d’onda maggiore rispetto alla BAF e alla GAF penetra più in profondità nei tessuti, viene utilizzata principalmente per studiare la distribuzione di melanina e melanofuscina di EPR e coroide e si è dimostrata superiore alle altre metodiche precedentemente descritte nel valutare lesioni prettamente coroideali, come i laquer cracks negli occhi miopici o le angioid streaks nei quadri di pseudoxanthoma elasticum. Altro importante ambito di applicazione è quello della valutazione dei nevi coroideali, che appaiono iperautofluorescenti in NIR-AF.

1.4. Ultrawide-Field Imaging L’imaging retinico continua a progredire di anno in anno. Fino a poco tempo fa le tradizionali fundus camera erano in grado di fotografare tra i 30° e i 60° del polo posteriore. Negli ultimi anni, invece, grazie alla progressione tecnologica, gli oftalmologi hanno la possibilità di raccogliere immagini fino a 200° del polo posteriore con un solo scatto, circa l’80% dell’intero fundus oculare. La storia del Wide-Field imaging parte da una intuizione di Lotmar, il quale, utilizzando uno specchio ruotabile ed una fixation lamp è stato capace, nel 1977, di creare una mappa a 96° grazie al montaggio di 19 fotografie del fundus oculi. Con l’implementazione di nuove tecnologie oggi siamo in grado di ottenere immagini Wide-Field anche con un singolo scatto. Inoltre gran parte delle nuove fundus camera sono device multifunzione e permettono di eseguire FAG, Angiografia con verde d’indocianina (ICGA) del fondo (FAF). Alcuni dispositivi particolarmente all’avanguardia come l’OPTOS™ Silverstone SS-OCT permettono di acquisire scansioni OCT utilizzando come guida la foto del fondo. Elenchiamo in seguito alcuni dei dispositivi più utilizzati ad oggi. RetCam3: questo dispositivo è utilizzato in ambito neonatale per la valutazione e stadiazione della retinopatia del prematuro. Si serve di una fonte di luce ottica esterna a contatto con la superficie oculare. 5 lenti interscambiali garantiscono diverse ampiezze, fino a 130°.

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Heidelberg Spectralis UWF module: si tratta di un modulo aggiuntivo della nota piattaforma di imaging prodotta da Heidelberg Engineering. Richiede l’utilizzo di una lente aggiuntiva che garantisce un’ampiezza di 105°. Permette l’acquisizione in UWF di diverse tipologie di immagine tra cui FAF, FA e ICGA. OPTOS UWF™: ad oggi l’OPTOS UWF™ è il dipositivo che permette lavisualizzazione più ampia della retina (200°) grazie ad uno specchio ellissoide. L’optos non fornisce una immagine in veri colori ma in pseudocolori, utilizzando le lunghezze d’onda del rosso e del verde. La componente verde raffigura la retina e la sua vascolarizzazione, mentre la componente rossa evidenzia le strutture più profonde. Le due lunghezze d’onda vengono utilizzate simultaneamente fornendo una rapida acquisizione dell’immagine. Anche questo dispositivo permette di eseguire diverse tipologie di immagine tra cui FAF, FAG e ICGA. Attualmente l’UWF è utilizzato in diverse patologie retiniche, soprattutto in quelle dove c’è la necessità di esplorare e monitorare la periferia retinica. Riportiamo le principali malattie retiniche dove l’UWF ha trovato ampio spazio.

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Tecniche di imaging

Capitolo 1

Retinopatia diabetica (RD): fino ad ora, l’imaging di riferimento per la diagnostica e il monitoraggio della RD è stato il pannello di foto proposte dall’EARLY TREATMENT OF DIABETIC RETINOPATHY STUDY (ETDRS) che, tramite il montaggio di 9 foto, garantiva una valutazione del 75% del campo retinico. Alcuni studi hanno confermato la superiorità dell’UWF nel diagnosticare il giusto grado di severità della RD. L’utilizzo della FA in device UWF ha garantito inoltre una più adeguata ricerca di aree ischemiche periferiche e di leakage, segno di neovascolarizzazione retinica. Trombosi venose retiniche: sia la trombosi della vena centrale che delle sue collaterali sono patologie che colpiscono la periferia. Per questo, l’UWF sta trovando ampio utilizzo in queste condizioni nella diagnosi, monitoraggio e trattamento grazie al target laser therapy. Altre Vasculopatie Retiniche: beta-talassemia, sindrome da anticorpi antifosfolipidi, arterite di Takayasu, distrofia muscolare di Duchenne, retinopatia di Valsalva ecc. Uveiti: nella valutazione delle malattie infiammatorie l’UWF sta trovando sempre più spazio, soprattutto devices che garantiscono FA, ICGA e FAF. Rilevanti studi hanno evidenziato come, ad esempio nella retinite da CMV, l’UWF Optos permettesse una maggiore valutazione delle lesioni retiniche totali rispetto alle 9 foto standard. Distrofie corioretiniche: l’UWF è attualmente in uso in distrofie ereditarie come la Malattia di Stargardt, Retinite Pigmentosa, distrofia di Best, Cone Dystrophy. Nonostante gli inevitabili artefatti, la fattibilità e semplicità di esecuzione soprattutto in pazienti poco complianti o poco fissanti come i bambini hanno fatto dell’UWF una preziosa risorsa per la diagnosi e il monitoraggio delle distrofie retiniche. Il modello più recente di OPTOS™ Silverstone SS-OCT combina le doti di una fundus camera UWF con quelle di un OCT Swept Source. Una volta acquisita la foto del fondo è possibile utilizzarla come guida per acquisire scansioni OCT. Questo permette di ottenere scansioni di lesioni anche in estrema periferia, difficilmente raggiungibili con altri OCT. Riportiamo una carrellata di immagini OCT ottenute con questo dispositivo.

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1.5. OCT La ricostruzione delle immagini all’OCT si basa su un meccanismo analogo a quello dell’ecografia; al posto delle onde meccaniche ultrasoniche, l’OCT utilizza radiazioni luminose che vengono inviate, assorbite dalle diverse strutture retiniche, e poi riflesse dal campione analizzato in funzione delle caratteristiche di assorbimento. La detezione e l’interpretazione di questi echi luminosi è affidata ad un interferometro. A seconda del ritardo di ciascun eco, le informazioni ricevute possono essere risolte in base alla profondità di ciascuno strato studiato, ottenendo delle immagini A-scan monodimensionali (parallelamente a quelle dell’ecografia). Combinando insieme gli A-scan per punti adiacenti di tessuto, si ottengono delle immagini B-scan bidimensionali.

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Tecniche di imaging

Capitolo 1

Una sorgente luminosa a banda larga e a bassa coerenza, con una lunghezza d’onda pari a 820 nanometri, genera un raggio che viene separato in due da uno specchio semiriflettente. Una parte del raggio è diretta verso il tessuto oggetto di esame; l’altra parte è indirizzata a uno specchio di riferimento. I tessuti dal campione esaminato producono echi luminosi retrodiffusi con diverse lunghezze d’onda, che si combinano con il fascio luminoso riflesso dallo specchio di riferimento, generando un pattern di interferenza (interferogramma) che viene rielaborato digitalmente. A seconda dell’interferenza che si crea, si ottiene il profilo di riflettività della retina: il segnale è più forte a livello dell’interfaccia vitreoretinica, che rappresenta per convenzione il punto di zero-ritardo (zero-delay) da cui partono gli echi riflessi e diventa più debole, man mano che penetra negli strati più profondi (fenomeno del roll-off). Perciò, un aumento della profondità va a discapito della risoluzione di immagine che viene ricostruita. Al roll-off, si sommano anche l’effetto schermo e lo scattering da parte dell’EPR e dei vasi sanguigni nell’ostacolare la detezione dei raggi luminosi riflessi. I primi modelli di OCT disponibili sul mercato sono stati i Time-Domain OCT (TD-OCT), che usano uno specchio di riferimento in movimento, e quindi danno una ricostruzione delle immagini in funzione del tempo impiegato dalla luce per raggiungere lo specchio ed essere riflessa. Questa tecnologia, relativamente lenta, limita i TD-OCT sia nella quantità di dati sia nella qualità delle immagini: infatti, sono capaci di acquisire scansioni alla velocità massima di 400 A-scan al secondo, con una risoluzione di 8-10 μm e una capacità di penetrazione limitata all’EPR.

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Atlante di diagnostica oculare

A) Principi di funzionamento dei SD-OCT convenzionali; B e C) Principi di funzionamento di un EDI-OCT, con la coroide più vicina al punto di Zero Delay (HJF Ho J. et al. Clinical Assessment of Mirror Artifacts in Spectral-Domain Optical Coherence Tomography. Retina).

Profilo maculare con SD-OCT (sinistra) e con EDI-OCT (destra).

1.5.1. EDI-OCT La ricostruzione digitale dell’interferogramma di fatto produce due immagini speculari, ma per convenzione una sola viene mostrata, con la retina nella parte più alta dell’immagine e l’EPR verso il basso. Gli Spectral-Domain OCT (SD-OCT) con modalità enhanced depth imaging (EDI), invece, mostrano l’immagine al contrario (con la retina e il vitreo verso il basso), permettendo una visualizzazione più precisa della coroide e della lamina cribrosa. Questa metodica di OCT quindi permette di ottenere immagini ad alta definizione a profondità maggiori (circa 500-800 μm in più) rispetto agli OCT convenzionali.

1.5.2. SS-OCT Gli Swept-Source OCT (SS-OCT) usano una sorgente di luce a lunghezza d’onda molto maggiore degli OCT tradizionali (1000-1300 nm) e soffrono di un minore effetto di sensitivity roll-off. Con un SS OCT è inoltre possibile raggiungere velocità di scansione molto più elevate (dell’ordine di 80.000236.000 A-scan/s), e perciò si riesce ad acquisire una B-scan in 0.01 sec, invece dei 0.02 sec necessari abitualmente, e una ricostruzione 3D in 0.9 sec contro gli 1.9 s di uno SD-OCT. Gli SS-OCT sono uno strumento promettente nella valutazione della giunzione sclero-coroideale, che con gli OCT tradizionali risulta pressoché invisibile, e nella visualizzazione volumetrica della coroide.

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Tecniche di imaging

Capitolo 1

Differenza tra le immagini di fovea e disco ottico ottenute attraverso la tecnologia SD-OCT (a sinistra) e SS-OCT (a destra), in cui si nota una più chiara visione di sclera e coroide, quasi invisibili con lo SD-OCT. Nonostante l’immagine SS-OCT sia stata ottenuta con un minor numero di immagini mediate, l’intera struttura retinica risulta molto più nitida rispetto a quella del SD-OCT. Infine mostriamo la più recente evoluzione dell’OCT, ultrawide OCT che consente di ottenere non soltanto la regione maculare, ma anche le aree più periferiche.

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1.6. OCT-A Il panorama della diagnostica e delle patologie retiniche è stato profondamente rivoluzionato dall’introduzione dell’OCT-A, che sta assumendo un posto di rilievo rispetto alla FAG, gold standard in questo ambito. Nuovi sviluppi tecnologici potrebbero, in pochi anni, far pendere l’ago della bilancia verso la nuova metodica, relegando la FAG ad una nicchia diagnostica. L’OCT-A spectral domain (SD-OCT-A) o Swept source è una metodica che permette la visualizzazione dei vasi retinici in maniera non invasiva. L’OCT-A utilizza come sorgente di luce un diodo a luce near-infrared di lunghezza d’onda di circa 840 nm. Lo strumento esegue una serie di scansioni B-scan centrate nella stessa sezione e attraverso una analisi del segnale di decorrelazione di ritorno, generato dal passaggio delle cellule ematiche all’interno dei vasi, ricostruisce il network vasale fino alle suddivisioni capillari. Dall’analisi di questi ultimi, è possibile individuare tre plessicapillari: il plesso capillare superficiale, il plesso capillare profondo e il plesso coriocapillare. Una delle più importanti limitazioni dell’OCT-A è la necessità di una buona fissazione da parte del paziente, poiché la perdita di fissazione genera facilmente artefatti e difficoltà nell’interpretazione degli stessi. Inoltre l’opacità dei mezzi diottrici è un altro fattore limitante per questa tecnica. Con il progresso tecnologico si è mirato a superare, anche se parzialmente, queste problematicità, aumentando la velocità e il numero delle scansioni eseguite nell’unità di tempo.

1.6.1. FAG e OCTA tecniche a confronto in diverse patologie retiniche Sebbene la FAG ha avuto una diffusione capillare, rimane una tecnica invasiva e non priva di rischi, che richiede un lungo tempo dedicato. Inoltre fornisce immagini bidimensionali, senza la possibilità di individuare i singoli plessi vascolari o le lesioni coroideali10. Queste caratteristiche mal si confanno con il routinario management di patologie croniche complesse che necessitano di imaging ripetuto, come la AMD complicata da neovasi11. In aggiunta, alcune lesioni neovascolari subcliniche possono risultare mascherate da accumuli di pigmento nell’epitelio pigmentato retinico12. L’OCT-A, invece, è una metodica non invasiva che fornisce immagini altamente dettagliate in tre dimensioni della vascolarizzazione retinica con la possibilità di individuare una eventuale alterazione nei diversi plessi capillari retinici e sottoretinici.

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Tecniche di imaging

Capitolo 1

L’OCT-A permette una valutazione non solo qualitativa ma anche quantitativa delle caratteristiche vascolari e non risente dell’oscuramento da leakage capillare, come nella fluorangiografia. Dati interessanti sono derivati dall’applicazione dell’OCT-A in numerose patologie, come retinopatia diabetica, occlusioni vascolari, retinopatia a cellule falciformi, paracentral acute middle maculopathy13,14,15. Da numerosi recenti studi, è emersa ad esempio una ottima correlazione tra la misurazione della zona foveale avascolare (FAZ), un sostanziale indice della salute della fovea e della visione centrale, ottenuta sia con fluorangiografia e OCT-A7. Tuttavia la valutazione della FAZ, aumentata di dimensioni eseguita con OCT-A è considerato un importante dato predittivo di peggioramento della retinopatia diabetica Inoltre la valutazione con OCT-A può essere ripetuta facilmente in corso di follow-up pin molte patologie croniche come la AMD. Un limite tuttavia dell’OCT-A è l’impossibilità di visualizzare aree vascolari in cui il flusso è lento o turbolento come appunto succede nelle neovascolarizzazioni polipoidali o nei macroaneurismi. Al contrario la fluorangiografia e l’angiografia con verde indocianina non lasciano quasi mai dubbi sulla diagnosi. Inoltre quest’ultima risulta superiore in riferimento all’ampio campo di acquisizione, anche considerando solo la macula, in quanto anche i più moderni prototipi di OCT-A usati per ora solo per ricerca arrivano ad un massimo di 45° di campo 23. Altro limite dell’OCT è la qualità delle immagini OCT-A, che diminuisce aumentando le dimensioni dell’area di acquisizione. Una stimolante applicazione dell’OCT-A riguarda la visualizzazione della vascolarizzazione del nervo ottico. E in particolare del circolo radiale peripapillare. Già Spaide ha dimostrato nel 2015 come sia molto più facile valutare il tessuto microvascolare di tale circolo rispetto alla fluorangiografia. L ’OCT-A permette una puntuale analisi dei plessi capillari papillare e radiale peripapillare6. In questo ambito tale metodica si è confermata di gran valore nell’analisi di quadri di neuropatia glaucomatosa, in cui è stata osservato, accanto ad una riduzione dello spessore dello strato delle fibre nervose, un correlato danno alla microcircolo del nervo ottico17. Alterazioni vascolari nel plesso peripapillare sono state osservate anche in quadri OCT-A di neuropatie ottiche demielinizzanti18, come ad esempio nella sclerosi multipla, nell’Alzheimer o nelle neuropatia ottiche ischemiche anteriori non arteritiche e arteritiche19, nelle atrofie ottiche, cosi come nei papilledema e pseudopapilledema20. Inoltre alterazioni dovute a patologie retiniche con interessamento del nervo, come neovascolarizzazioni della papilla ottica in corso di retinopatia diabetica10 o circoli di compenso nelle occlusioni di vena centrale retinica21, possono essere studiate con precisione. Da queste osservazioni, risulta chiaro che l’OCT-A ha rappresentato un importante passo avanti nella diagnostica e nella comprensione di numerose patologie retiniche con coinvolgimento vascolare ed offre un’alternativa importante al classico esame fluorangiografico. Appare sorprendente come una tecnica giovane come l’OCT-A abbia già fornito una quota di risultati scientifici così importanti, ma il momento in cui potrà totalmente sostituire l’angiografia con fluoresceina appare ancora lontano. Infatti l’acquisizione di immagini nella periferia retinica, la quota di artefatti e la complessità di interpretazione delle scansioni risultano ancora degli importanti svantaggi.

1.7. Ecografia Fino a circa 20 anni fa nel campo dell’Oftalmologia, l’ecografia oculare assieme alla FAG e l’ICGA rappresentavano gli strumenti leader nel campo della diagnostica. Negli ultimi anni, l’avvento dell’OCT prima e dell’OCT-A poi ha modificato il nostro approccio diagnostico alle patologie retiniche e maculari. L’Ecografia tuttavia, nonostante non ci siano stati reali sviluppi tecnici negli ultimi anni, ha conservato una sua rilevanza e autonomia per le diverse caratteristiche che la contraddistinguono dagli altri esami strumentali. Innanzitutto, è l’unico strumento diagnostico che, senza mezzo di contrasto sia in grado di valutare aree oculari altrimenti inesplorabili per la presenza di situazioni patologiche che impediscono l’esplorazione del fondo oculare. Parliamo ad esempio di opacità dei mezzi diottrici quali cataratta, alterazioni corneali, tipo opacità, emorragie e cellularità in cavità vitreale. Inoltre, in presenza di traumi bulbari e orbitari, l’ecografia rappresenta il presidio diagnostico di prima scelta, in quanto non invasivo, rapido e immediato, senza bisogno di radiazioni ionizzanti. Con l’ecografia inoltre si esplora non solo la regione maculare come fa l’OCT, ma anche l’estrema periferia retinica come fa la fluorangiografia, e in più l’orbita e la regione retrobulbare fino all’apice del cono muscolare. Altrettanto importante è il ruolo dell’ecografia nell’approfondimento diagnostico, in caso neoformazioni sia bulbari che retrobulbari. Le differenze con l’OCT sono quindi molte, ma la principale è sicuramente determinata dal fatto che l’ecografia, a differenza dell’OCT, necessita di una valutazione “in vivo”, quindi di una diagnosi in Real Time, operatore dipendente.

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Per questo motivo il training di apprendimento dell’esame ecografico può risultare lungo e complesso. È necessario pertanto partire da alcune precise considerazioni sui principi fisici.

1.7.1. Ecografia: cenni di fisica

Le onde ultrasonore prodotte da un cristallo piezoelettrico, posto in una sonda, vanno a colpire le superfici bulbari od orbitarie che, tornando indietro alla sorgente, creano un segnale elettrico visualizzato sullo schermo dell’ecografo. Il segnale viene elaborato e processato. Le onde sonore si comportano come la luce, per cui quando l’ultrasuono colpisce una superficie può essere riflesso, rifratto o diffuso a seconda del tipo di superficie che viene colpita. Il meccanismo è sovrapponibile a quello utilizzato per seguire l’OCT, con la differenza che, nel caso della Tomografia Ottica, al posto degli ultrasuoni, si impiega un raggio laser a luce coerente. Tornando all’ecografia, quando l’eco di ritorno arriva al ricevitore, il segnale viene processato, elaborato ed amplificato. Esistono diversi modi di amplificazioni: amplificazione Lineare, Logaritmica e Amplificatore ad S. La curva di amplificazione ad S, sviluppata da Ossoinig, permette una differenziazione tissutale di cui si parlerà dopo. Nell’esame ecografico vengono utilizzate sonde di diversa frequenza e con diversa risoluzione, a seconda dei distretti oculari da esplorare. È importante ricordare che, maggiore è la Frequenza, maggiore è il potere di risoluzione. Inoltre, più alta è la Frequenza, minore è il potere di penetrazione tissutale. Le sonde a disposizione di un ecografo sono le seguenti: B-Scan, B-Scan ad alta frequenza, A-Scan Standardizzato. B-Scan: il nome deriva da Brightness (luminosità) e corrisponde all’aspetto biancastro e iper riflettente dell’immagine ecografica, formata da piccoli punti bianchi bidimensionali la cui intensità luminosa è basata sull’altezza del picco. La sonda che produce il B-scan è una sonda focalizzata di circa 10-12 mHz di frequenza. La penetrazione all’interno dell’occhio è di circa 25 mm e la risoluzione di circa 150 micron. L’ultrasuono generato da queste sonde riesce a penetrare fino all’orbita. Le sonde B-Scan ad Alta risoluzione hanno una frequenza di circa 20 Mhz e penetrano all’interno dell’occhio, ma non all’interno dell’orbita. Permettono di visualizzare con grande precisione e alta risoluzione quanto esplorato, ma solo a livello retinico, non vitreale.

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B-scan

B-scan ad alta risoluzione

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A-Scan Standardizzato L’A-Scan standardizzato: utilizza una sonda di tipo non-focalizzato con frequenza pari a circa 8 Mhz. Per ottenere risultati ottimali bisogna che il picco prodotto sia perpendicolare alla superficie anteriore della lesione. Un picco dentellato non è perpendicolare. Si tratta di una rappresentazione lineare monodimensionale, non puntiforme come sono il B-Scan e l’UBM, rappresentata da picchi più o meno alti a seconda del tipo di interfaccia incontrata. Si tratta della traduzione grafica degli echi di ritorno dall’interfacce incontrata. Questa sonda diagnostica permette di valutare la struttura cellulare dei tessuti, utilissima soprattutto nella diagnosi di tumori. Per esemplificare, la struttura tissutale di una lesione dipende dal tipo di densità acustica di cui è composto. Pertanto, se il tessuto ha una densità acustica regolare senza interfacce si avrà un certo tipo di reflettività, a carattere omogeneo. Se i tessuti presentano diversi tipi di densità acustica e quindi una struttura irregolare, la reflettività sarà eterogenea. La reflettività interna è espressa con un valore percentuale ottenuto paragonando l’altezza dei picchi della lesione all’altezza massima degli altri picchi. Una reflettività bassa o media (5-60%) si ha ad esempio nel melanoma coroideale, una reflettività alta (80-100%) invece nella maggior parte degli altri tumori. Per UBM, si intende una Biomicroscopia ad altra risoluzione. Utilizza la tecnica B-scan con la frequenza di sonda che può variare dai 30 ai 50 Mhz. Per questo motivo l’ultrasuono può penetrare nell’occhio solo per circa 5 mm e pertanto questo tipo di Ecografia viene utilizzata per esplorare il segmento anteriore, il corpo ciliare e l’ora serrata Per approfondimento si rimanda al Capitolo SEGMENTO ANTERIORE.

UBM

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Capitolo 1

1.7.2. Modalità di scansioni ecografiche Riportiamo uno schema esemplificativo delle modalità di uso e scansione dell’ecografia A-B- Scan.

1.8. Campo visivo (CV) Lo studio del CV tramite perimetria computerizzata è un esame fondamentale per la diagnosi e per il monitoraggio del paziente affetto da patologie del nervo ottico, in particolare nella malattia glaucomatosa. Solo con questo esame è possibile stimare la gravità della malattia e avere prova dell’efficacia della terapia somministrata. La maggior parte delle informazioni presenti nei prossimi paragrafi fanno riferimento alla perimetria automatizzata standard (SAP) e, in particolare, al perimetro universalmente riconosciuto come gold standard, l’Humphrey Field Analyzer (HFA). Nella pratica clinica vengono impiegati anche altri dispositivi per l’esecuzione della SAP e tra questi dispositivi il più utilizzato è l’Octopus. Nella SAP il paziente è posto di fronte al perimetro, appoggiato alla mentoniera. Nell’apposito spazio possono essere inserite le lenti per la correzione dei difetti refrattivi. Sullo sfondo cupoliforme di colore bianco compaiono gli stimoli luminosi. Il paziente è istruito a fissare una mira centrale e premere un pulsante ogni volta che “con la coda dell’occhio” vede comparire uno stimolo luminoso. Generalmente nella pratica clinica non viene esplorata l’intera “collina della visione”, ma solo la parte centrale (24° o 30° dalla fissazione). Questa regione è quella dove sono concentrate la maggior parte delle cellule retiniche ganglionari (RGCs) Nel HFA queste regioni sono esplorabili con i programmi 24-2 e 30-2. In caso di danni avanzati può essere utile ricorrere a programmi che studino in maniera più dettagliata la regione entro i 10° gradi dal punto di fissazione con il programma 10-2. La SAP valuta il CV con metodologie statiche. La sensibilità soglia viene stimata variando la luminosità di uno stimolo luminoso caratterizzato da luce bianca su sfondo bianco e mantenendo costante posizione e dimensione dello stimolo per tutta la sessione di test. L’algoritmo svedese Interactive Thresholding Algorithm (SITA) è considerato il gold standard. In genere vengono utilizzate due strategie SITA: SITA Standard e SITA Fast. Risulta fondamentale capire quanto i risultati di un esame siano affidabili. Vengono in soccorso del clinico alcuni indicatori di attendibilità. Nelle strategie SITA i più importanti sono i falsi positivi (FP), falsi negativi (FN) e le perdite di fissazione (PF).

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Capitolo 1

Il printout del CV eseguito con HFA fornisce al medico una serie di informazioni. I valori della sensibilità punto per punto vengono mostrati in tramite un display numerico e una scala di grigi. Nel display numerico sono presenti i valori in dB; nella scala di grigi ogni variazione di 5 dB di sensibilità in una data posizione corrisponde ad una variazione di tonalità di grigio. Tonalità più scure indicano regioni a sensibilità più bassa. Altri quattro display sono presenti nella parte bassa del printout. Sulla sinistra è presente la rappresentazione numerica della deviazione totale dei valori di sensibilità rispetto al database normativo di riferimento corretto per età. Sulla destra è presente la rappresentazione numerica della deviazione dal pattern, una misura utile a rilevare i difetti localizzati del CV. I valori mostrati in questo secondo grafico sono aggiustati secondo qualsiasi riduzione generalizzata del CV, dovuta per esempio ad errori refrattivi o cataratta. Il display della deviazione dal pattern rende pertanto più evidenti gli scotomi localizzati. Sotto le rispettive rappresentazioni numeriche vengono mostrati i grafici di probabilità della deviazione totale e della deviazione dal pattern. In questi grafici 4 simboli progressivamente più scuri indicano rispettivamente una probabilità di meno del 5%, 2%, 1% o 0.5% che tale difetto sia presente nella popolazione normale corretta per età. Sul printout vengono mostrati anche degli indici globali. • La mean deviation (MD) rappresenta la differenza media tra i valori normali corretti per età e i valori misurati nel corso dell’esame. Un CV normale si caratterizza per valori di MD prossimi allo 0 dB. Nell’HFA un peggioramento del CV si caratterizza per uno spostamento dell’MD verso valori negativi. • La Pattern Standard Deviation (PSD) è un indicatore più specifico di danno glaucomatoso rispetto all’MD. Questo indice globale esclude gli effetti di una depressione generalizzata della sensibilità, rappresentando quindi una stima della disomogeneità del CV rispetto alla popolazione di riferimento corretta per età. • Il visual field index (VFI) è un indice pesato centripetamente, in cui le alterazioni centrali o paracentrali sono maggiormente influenti rispetto a quelle periferiche. In ogni punto, la sensibilità misurata è espressa come percentuale della sensibilità attesa in un osservatore sano della stessa età. Il CVI è calcolato come media ponderata di tutte le località. I fattori di ponderazione dipendono dalla posizione del punto e variano da 0.45 per le posizioni più periferiche a 3.49 per le quattro posizioni paracentrali170. • Nel printout è mostrato il Glaucoma Hemifield Test (GHT), una analisi basata sul confronto di 5 aree simmetriche del CV rispetto al meridiano orizzontale. La simmetria nel CV si perde con il progredire della malattia. Il GHT rappresenta un ottimo parametro per lo screening precoce.

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