Contattologia Medica_modulo 03

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Formazione a Distanza Contattologia medica

Numero di Accreditamento Provider: 77 Data di Accreditamento Provvisorio: 22/04/10 (validità: 24 mesi) Questa attività ECM è stata predisposta in accordo con le regole indicate dalla Commissione Nazionale ECM dalla Fabiano Group. La Fabiano Group è accreditata dalla Commissione Nazionale a fornire programmi di formazione continua per Oculisti e Ortottisti e si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di queste attività ECM. Iniziativa FAD rivolta a Medici Oculisti e Ortottisti. Obiettivo formativo: Contenuti tecnico/professionali (conoscenze e competenze) specifici di ciascuna professione, specializzazione e attività ultraspecialistica. Modulo didattico n. 3 del Percorso Formativo “Contattologia medica” (Rif. 77-5361), della durata complessiva di 12 ore. Numero di crediti assegnati al programma FAD una volta superato il test di apprendimento: 12

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Ortocheratologia contattologica e LAC dopo chirurgia corneale e rifrattiva Responsabile Scientifico: Prof. N. Pescosolido

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• Ortocheratologia contattologica − Introduzione …………………………………………………………………………...…..…….

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− Ortocheratologia contattologica semplice ………………………………...........……………

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− Rimodellamento dopo chirurgia ……………………………..………………….....………….

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− Rimodellamento di cornee patologiche ……………………………………….......…………

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− Conclusioni …………………………………......................……………………………………

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• Lenti a contatto dopo chirurgia corneale e rifrattiva − Introduzione …………………………………………………………………............................

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− Lenti in idrogel di silicone …………………………………………………............................

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− Dopo chirurgia incisionale …………………………............................................................

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− Diagnostica intraoperatoria ……………………………..……………...................................

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− Residui irregolari dopo trattamenti fotoablativi …………………………............................

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− Ripristino visivo dopo trapianto di cornea ………………………………….........................

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− Conclusioni ……………………………………….………………………...............................

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Ortocheratologia contattologica

INTRODUZIONE L’ortocheratologia contattologica, da qui in avanti siglata con OC, è un ramo della contattologia che tratta la programmazione di modifiche della morfologia della cornea mediante LAC opportunamente disegnate. È chiamata in vari modi: AOK - Accelerated Orthokeratology CRT - Corneal Refractive TherapyTM, marchio depositato della ditta Paragon CCC - Corneal Corrective Contacts EZM - Eccentricity Zero MoldingTM GVSS - Gentle Vision Shaping SystemTM o nella terminologia usata dall’American Academy of Ophthalmology[1]: Precise corneal molding (PCM) o Controlled kerato-reformation (CKR). Alcune di queste definizioni sono marchi depositati di lenti costruite da ditte e indicano procedure di applicazione ed uso diverse sia nella geometria della lente sia nel tipo di materiale. Negli U.S.A. la OC può essere praticata sia da Optometristi che da Oftalmologi. La discussione su questa metodica correttiva è aperta ed accesa nel senso che alcuni, specie nella categoria degli optometristi ed ottici anglosassoni ed europei, la considerano una tecnica validissima che convincerà sempre più contattologi ed oculisti, altri soprattutto nella categoria degli oculisti e molti ottici la considerano una terapia che non ha solide basi per durare nel tempo e soprattutto temono tardive alterazioni corneali. Alcune pubblicazioni dell’ultimo decennio confermarono che, dopo sospeso l’uso delle LAC la cornea ritornava alla conformazione originaria senza danni permanenti[2-4], ma si trattava di pubblicazioni obsolete per quanto riguarda geometria e materiali e riferite a correzioni limitate a 1 o 1,5 dt. Per dare l’idea dell’interesse che questa tecnica suscita nel mondo ottico ed oftalmologico, aprendo un motore di ricerca su Internet, si trovano 3700 siti web sull’ortocheratologia, per la verità la maggior parte a carattere commerciale. Il termine deriva dal greco “orthos” che significa dritto, giusto e “keratos” che significa cornea e l’aggiunta dell’aggettivo “contattologico” limita la programmazione all’uso di LAC escludendo quindi le regola-

rizzazioni programmate ed ottenute mediante fotoablazione. A stretto rigore solo in certi determinati casi l’uso delle LAC è finalizzato a regolarizzare una cornea deformata per cause congenite, patologiche o iatrogene, negli altri casi il termine viene usato, forse impropriamente, per significare la correzione di un difetto di refrazione che può anche non aver origine sulla cornea. È noto ad esempio che per certi gradi lievi il difetto di refrazione risulta da un squilibrio diottrico nell’associazione dei diversi componenti ottici. Ma il chirurgo refrattivo ha scoperto che è possibili modificare solo il primo, in ordine di entrata dei raggi, di questi componenti, cioè la cornea, per correggere l’intero difetto. L’OC, punta allo stesso effetto solo che la modifica avviene mediante una pressione opportunamente graduata e localizzata della LAC sulla cornea. La modifica ortocheratologica avviene nella parte centrale della cornea perché è quella deputata alla formazione dell’immagine sulla retina, anche se la pressione modulante può esercitarsi anche più perifericamente. La OC deve essere distinta in settori a seconda della patologia oculare di origine, per la diversità dell’applicazione, ovvero della geometria della lente: – l’OC propriamente detta per la correzione della miopia, (ipermetropia e l’astigmatismo ipermetropico misto non sono correggibili), – il rimodellamento corneale per la correzione di aberrazioni indotte dalla chirurgia refrattiva incisionale o fotoablativa (RK, PRK, LASIK), – il rimodellamento corneale per la correzione di astigmatismi irregolari indotti da ferite, da patologie corneali (cheratoconi), da cicatrici iatrogene (trapianti). Il campo d’interesse sembrerebbe essere vastissimo ma in realtà solo difetti di grado leggero possono essere corretti perché il meccanismo d’azione si basa su una modellazione della struttura tissutale della cornea, dell’architettura delle lamelle, sfruttando una sua limitata plasticità. Oltre questi limiti, in realtà ancora non ben definiti e forse variabili da individuo a individuo, possono subentrare alterazioni permanenti con compromissione della trasparenza. Ma alcuni interrogativi sorgono: – a quanto può arrivare la quantità correggibile? – la deformazione della cornea, che come effetto è


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cercato soprattutto nella superficie anteriore, quali alterazioni provoca negli strati superficiali, epitelio e Bowman, nell’architettura del tessuto stromale, e nella morfologia e funzionalità degli strati profondi? – quanto dura l’effetto correttivo dopo la sospensione dell’uso delle LAC? – qual è il vero meccanismo d’azione del rimodellamento? Sono interrogativi che attendono una risposta che serviranno anche a migliorare le indicazioni, le controindicazioni ed i risultati. Questo capitolo quindi si suddividerà in tre parti: – ortocheratologia contattologica semplice per la correzione della miopia lieve, – rimodellamento corneale dopo chirurgia refrattiva, – rimodellamento corneale per patologie o cicatrici.

Ortocheratologia contattologica semplice In realtà quello che è semplice è solo il difetto perché la geometria e le LAC finalizzate non sono semplici. Per correggere una miopia bisogna appiattire la cornea almeno nella zona refrattiva centrale, per l’astigmatismo, spesso associato, bisogna incurvare il meridiano più piatto, e l’altro meridiano automaticamente si appiattirà. Al paziente sono applicate diverse lenti progressivamente più piatte che vanno indossate molte ore al giorno, oppure anche solo di notte fino ad arrivare, dopo 3-6 mesi, all’appiattimento desiderato. Ovviamente il numero delle lenti cambiate incide sensibilmente sul costo totale. Recentemente sono state proposte nuove geometrie che limitano il numero delle sostituzioni delle lenti. In certi casi diventa sufficiente una sola lente. Raggiunto questo risultato le lenti definitive dovranno essere portate un minimo giornaliero che può essere sia di uso di giorno che di notte, affinché la cornea non riprenda la sua curvatura originale. La geometria delle LAC correttive normali è molto diversa da quella delle LAC per OC. Nelle prime la geometria della superficie posteriore deve adattarsi alla superficie della cornea modificandola il meno possibile mentre la correzione del difetto refrattivo è delegata alla superficie anteriore. Nelle seconde la geometria della superficie posteriore della lente è tale da indurre una variazione della curvatura della

cornea mentre il difetto viene corretto con il menisco di lacrime limitato anteriormente dalla superficie posteriore della lente che dovrà avere la stessa curvatura che si desidera ottenere dalla cornea. La superficie anteriore dovrebbe essere tale da non modificare la correzione fatta dalle lacrime e dalla superficie posteriore della LAC.

Storia Le LAC corneali, successive a quelle sclerali, furono brevettate da Kevin Tuohy nel 1948. Essendo in PMMA, materiale non gas-permeabile, la respirazione corneale poteva avvenire solo attraverso le lacrime che si rinnovavano sotto la lente. Per facilitare l’apporto di ossigeno ed evitare la sindrome da lente stretta, per “ipossia corneale”, si pensò di applicare LAC più piccole della cornea e più piatte. Con l’uso di queste LAC piatte molto spesso venne notata una deformazione piatta della cornea che per un certa quantità correggeva il difetto se miopico. Questa deformazione, denominata “warpage”, nell’uso ha assunto il significato, in lingua anglosassone, di qualsiasi alterazione della superficie corneale causata dall’uso di LAC. Ovviamente era più intensa con LAC non flessibili ma poteva presentarsi, pur in grado minore, anche con lenti flessibili. Si trattava sempre di un appiattimento che se non avveniva in una zona perfettamente concentrica con l’asse visivo, causava un astigmatismo irregolare spesso poco correggibile con occhiali. Questo appiattimento induceva un miglioramento della miopia ma nei difetti positivi, ipermetropia, afachia e astigmatismi ipemetropici, un aggravamento. Se invece questo appiattimento era centrato, la correzione della miopia era regolare e molti pazienti riuscivano a vedere senza occhiali se la miopia non era elevata. Si osservò inoltre che questo appiattimento era tanto più centrato, e quindi meno astigmogeno, quanto meno la LAC si muoveva sulla cornea a causa dell’ammiccamento e nelle posizioni secondarie e terziarie di sguardo quando la pressione della palpebra superiore non era molto elevata. Chi scrive osservò una paziente, che portava LAC rigide di –6 dt da oltre 20 a., alla loro rimozione per la determinazione di nuovi parametri corneali e refrattivi, venne trovata una correzione completa del difetto di vista con visus naturale di 8/10. La topografia allora non esisteva per cui non poté essere studiata a fondo la curvatura della cornea. Questa correzione della miopia andò lentamente attenuandosi facendo ricomparire la refrazione originaria di –6,5 in

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un arco di tempo di 6 mesi. Le lenti erano molto piatte, quasi monocurve, ma non tanto piatte da avere la superficie posteriore con una curvatura tale da aumentare il raggio corneale di circa 1 mm, modifica necessaria per correggere una miopia del genere. Purtroppo non vennero registrati altri dati riguardanti le cornee e la refrazione di quella paziente per cui il vero meccanismo di questo miglioramento rimase sconosciuto. Sicuramente anche molti altri oculisti od optometristi che si interessavano di contattologia, riscontrando fenomeni analoghi a questo, pensarono di utilizzarli per la correzione incruenta della miopia. Nel 1960 George Jessen (fondatore della WesleyJessen Contact Lens Corporation) tentò di utilizzare in modo programmatico e scientifico la modificazione corneale indotta da LAC con un sistema chiamato “ Ortofocus”[5]. Per molti anni l’OC si limitò alla prescrizione di LAC più piatte per creare un appiattimento della cornea però molto limitato per non indurre astigmatismi. Il metodo più usato fu quello di Grant e May[6] che consigliavano LAC di ampio diametro, fino a 10 mm con una zona ottica più ampia di quello usato per LAC normali, anche oltre 8 mm. All’epoca si studiava la morfologia corneale anche nei minimi dettagli e si prescrivevano lenti che riproducessero, nella superficie posteriore, lo stesso profilo della cornea, cioè si cercavano le LAC corneoconformi. Le lenti per OC erano invece più piatte del raggio corneale maggiore di quel tanto che serviva a modellare la cornea con la stessa geometria. Per evitare l’irregolarità, e quindi l’astigmatismo, il diametro totale doveva essere grande in modo da ridurre i movimenti e soprattutto il decentramento stabile indotto dalla palpebra superiore. Il miglioramento si otteneva con una pressione apicale con tutti i pericoli di alterazioni quando questa pressione diveniva eccessiva. Ma un primo passo venne fatto nel capire che solo una centratura della lente associata ad una minima mobilità poteva indurre un appiattimento regolare. Un secondo importante passo in aventi avvenne quando nel 1980 Wlodyga e Stoyan[7] idearono e brevettarono la geometria inversa, vale a dire una curva periferica che era maggiormente centripeta rispetto al prolungamento della curva della zona ottica. Si tratterà più avanti in dettaglio su questa geometria. Le prime lenti riuscivano a correggere miopie di –1/–1,5 dt. Alcuni studi multicentrici di Polse e Coll.[8-11] indica-

rono che era possibile correggere fino a 1 dt di miopia ma questi studi erano di circa 20 anni fa e da allora numerosi progressi sono stati fatti sia nella geometria che nei materiali. Con LAC a geometria inversa i ricercatori si resero conto che le modificazioni della curvatura corneale poteva avvenire in un tempo più breve e con maggiori correzioni. Venne denominata “ortocheratologia accelerata”[12-14]. Queste lenti avevano un raggio base molto più grande del raggio medio centrale ed una prima curva periferica a raggio molto più piccolo (geometria inversa)[15,16]. All’inizio erano LAC tricurve, poi le curve periferiche aumentarono a 4 e recentemente a 6 nella lente ideata e brevettata da Calossi[17]. Nel 1998 la FDA approvò la lente Contex per OC, una lente rigida gas-permeabile (RGP) costruita in siflufocon A. Il suo uso è stato consentito fino alla correzione di –3 dt. Successivamente, nel 2000 la FDA approvò anche le lenti per OC Paragon HDS-OK e Fluoroperm 60-OK sempre per miopie fino a –3. Altre lenti ricevettero l‘approvazione dell’FDA sia per uso diurno che per uso notturno per la correzione di miopie fino a –6 dt anche in pazienti di età inferiore ai 18 anni. Un brevetto italiano è stato depositato da Calossi A. nel 2002 per una lente multicurva a porto notturno denominata ESA ortho-6 di cui si tratterà in seguito[17]. Oggi l’OC è un settore molto importante e queste lenti partite dagli Stati Uniti dilagarono rapidamente in tutto il mondo specialmente da quando furono messi a disposizione dei costruttori materiali ad elevato Dk ed in tale modo consentire che il modellamento della cornea avvenisse per porto notturno liberando di giorno i pazienti dall’uso delle LAC.

Indicazioni Ad una impressione superficiale la correzione di una miopia lieve, fino a –6 dt, potrebbe essere ottenuta agevolmente, con sicurezza, prevedibilità ed in modo definitivo da una fotoablazione con i moderni laser ad eccimeri di IV generazione che correggono anche l’aberrazione di sfericità. Ma l’OC è una alternativa alla chirurgia refrattiva quando per questa è presente una controindicazione. Per le miopie lievi fino a –6 dt ed un astigmatismo fino a –1,75 dt l’indicazione si presenta nei seguenti casi: a) in un paziente con miopia lieve non ancora stabi-


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lizzata per cui è controindicata la correzione fotoablativa e che necessita per motivi di sport, lavoro o altro, di avere una visione naturale sufficiente, b) in un paziente che deve sottoporsi ad esame medico per l’idoneità a qualche lavoro per il quale non è accettata la correzione fotoablativa né la correzione con occhiali o LAC, c) in un paziente affetto da miopia lieve nel quale per ambiente di lavoro polveroso ed inquinato non sono tollerate le LAC a porto diurno e non desidera o non è indicata la chirurgia fotoablativa, d) in ogni altro caso nel quale il paziente rifiuta sia la correzione fotoablativa che con LAC ad uso diurno, e) pazienti affetti da anisometropia nei quali l’uso diurno di LAC o la chirurgia refrattiva è controindicata e la OC applicata all’occhio più difettoso, può ridurre l’ametropia monolaterale o almeno ridurre l’anisometropia ad un valore tollerato con occhiali. Le indicazioni limite per la correzione approvate dall’FDA sono state fino a –6 dt ed un massimo di 1,5 di astigmatismo ed anche al di sotto dei 18 anni di età. Induce perplessità, anche perché non validate da ricerche statisticamente significative, opinioni e dichiarazioni che queste lenti fermano o rallentano l’evoluzione della miopia (Children and adults can be treated with Ortho-K because the principle of flattening the cornea is effective for both. Myopia control is used to slow or stop the increase in axial length of the eye that occurs in growing children who are becoming more nearsighted each year. This may result in a lower prescription, so the child won't have to wear the thick lenses he might otherwise require by the time he/she is a teenager)[18]. Evidentemente si tratta di affermazioni pubblicitarie che però creano discredito e incredulità su tutta questa attività. Sicuramente l’arresto od il rallentamento di una miopia progressiva legata all’età della crescita o di una miopia progressiva maligna allo stadio iniziale, anche se iniziale non costituiscono un indicazione per applicazione di LAC OC se non per scopi diversi da quelli detti al paziente. Altre pubblicazioni si trovano in letteratura su questo ipotetico effetto di rallentamento o arresto della miopia con LAC ma, o non sono statisticamente significative o sono impostate in modo non attendibile per una moderna ricerca. In attesa di ricerche statisticamente attendibili su questo argomento il risultato esiste ma temporaneo

e condizionato all’uso giornaliero delle LAC OC come verrà illustrato nelle successive pagine.

Controindicazioni Le controindicazioni sono le stesse che per le LAC rigide gas-permeabili. L’FDA pose come limite di età quella superiore a 18 anni ma in tale modo elimina tutti i possibili utilizzatori di queste lenti di età inferiore in attesa di una stabilizzazione della miopia. Altre controindicazioni sono l’astigmatismo superiore a 1,5 dt. Nelle miopie superiori il risultato sarà quello previsto dalla lente applicata più un residuo miopico. Altre controindicazioni possono emergere dall’esame con le prime lenti di prova e possono derivare da una conformazione anomala della periferia della cornea o del solco limbare, da una eccessiva tensione della palpebra superiore, astigmatismi elevati, esoftalmi ecc. Comunque in ogni caso in cui da un esame contattologico fluoresceinico sia simulato con topografo che reale non si riesce ad ottenere un buon alone di appoggio periferico.

Meccanismo dʼazione Per capire il meccanismo d’azione è necessario riprendere alcuni concetti di base principalmente sulla conformazione della cornea normale e sul concetto di eccentricità ed una descrizione sommaria della geometria delle LAC per OC. La cornea normale tende ad appiattirsi verso la periferia e questo comportamento è stato paragonato a curve derivate dalla geometria analitica. Il profilo della cornea in qualsivoglia meridiano è stato paragonato alla curva di una ellisse. L’elisse può essere prolata se si prende in considerazione la parte più curva ed oblata sa si prende in considerazione la parte più piatta (figura 1). Altri tipi di scarto rispetto al cerchio sono l’iperbole e la parabola e tutte rientrano nelle curve “conoidi” perché derivate dall’intersezione di un piano a diversa inclinazione con un cono. Lo scarto della curvatura rispetto alla curva di un cerchio, è stata definita “fattore di forma”. Uno dei modi per esprimere lo scarto è detto “eccentricità” indicata con il simbolo “e” che per l’ellisse. va da 0 a 1[19]. La cornea normale ha un fattore di forma tipo ellisse prolata, più curva al centro con tendenza all’appiattimento verso la periferia. Per rappresentare graficamente il comportamento di una qualsiasi curva conoide nella formula di Baker vi sono due variabili,

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Figura 1. Un piano che taglia un cono darà luogo, nel bordo esterno della sezione, a figure geometriche diverse a seconda dellʼinclinazione del piano: se perpendicolare allʼasse sarà un cerchio, se parallelo allʼasse sarà una iperbole, se parallelo al bordo del cono (detto generatrice) sarà una parabola, se obliqua si formerà una figura detta “ellisse” con due diametri. Lʼellisse è quella che si avvicina di più al profilo di una cornea normale se la si considera nella parte più curva detta “prolata” con il raggio che aumenta verso la periferia, cioè la curva si appiattisce. Lʼaltra parte più piatta è detta “oblata” ed è il profilo della cornea che si forma dopo chirurgia refrattiva per la miopia.

Però il valore “e” di eccentricità della cornea normale, se rimane quasi uguale nella parte centrale per un’area di circa 4-5 mm di diametro, tende verso la periferia ad aumentare. La parte centrale ha un valore di eccentricità positivo di 0,2-0,4 mentre verso la periferia può arrivare in certe cornee anche fino a 0,8. Per avvicinarsi a questo appiattimento, specie nella fase costruttiva delle LAC, alcune zone periferiche sono rappresentate da curve aventi il raggio di curvatura aumentato rispetto a quello centrale (figura 2). Per semplificare la costruzione delle LAC il centro di queste curve periferiche è localizzato nell’asse centrale. Aumentando il raggio alla periferia si ottiene un sollevamento della superficie della LAC che in tale modo si avvicina all’appiattimento periferico della cornea. Le lenti corneo-conformi avevano più curve periferiche con raggio in progressivo aumento. Poi con i torni comandati da computer, furono create anche superfici periferiche con appiattimento asferico con diversi fattori di forma.

il raggio della circonferenza “osculatrice”, cioè quella che corrisponde alla curvatura apicale, e la distanza dall’asse ottico di un punto della curva. Quindi il valore “e” si riferisce ad un solo punto della superficie in un determinato emimeridiano ed ad una determinata distanza dal centro. È possibile parlare di media sia in senso meridionale, che in senso parallelo. Vale a dire la media dei valori di eccentricità di tutti i punti posti in un determinato emimeridiano ovvero di tutti i punti posti alla stessa distanza dal centro. Figura 3. Quando si applica una LAC con raggio base più piatto di quello della cornea lʼappoggio diventa prevalentemente apicale e la lente si decentra.

Figura 2. Una variazione di curvatura verso la periferia può trovare una corrispondenza con un arco di cerchio, aumentando o diminuendo il raggio, con il centro nellʼasse centrale.

La correzione di miopie con LAC di OC si ottiene con superfici più piatte di quella cornea ma per evitare il decentramento della lente, inevitabile se l’appoggio è solo apicale (figura 3), e causa di astigmatismi irregolari (warpage) (figura 4), è stato pensato di continuare la curva centrale più piatta con una curva che riavvicini la superficie della LAC alla cornea. Questo è possibile inserendo una curva intermedia di riavvicinamento in due modi: o creando una “curva a raggio minore assiale” (figura 5a) o una curva a raggio anche maggiore di quella della zona centrale ma con il suo centro fuori dall’asse in area opposta alla zona di curvatura per un “ incurvamento extrassiale” (figura 5b).


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sa, consente il salto del gradino dal punto dell’estrema periferia della zona ottica all’inizio dell’anello di appoggio (figura 6). Oltre questa zona di maggiore incurvamento è costruita una zona anulare di appoggio o “zona di allineamento”. Questo anello di appoggio non solo deve essere corneo-conforme alla periferia della cornea ma deve avere un’ampiezza tale da evitare fenomeni di decubito da contatto. Una lente classica corneo-conforme ha in genere un’area di appoggio di 38,45 mm2 con 7 mm di diametro, una LAC di OC non dovrebbe avere un appoggio apicale. Sono infatti calcolati 10 µ di clearance ma basta un lieve edema epiteliale od una pressione lievemente aumentata della palpebra superiore di giorno o la pressione del cavo congiuntivale superiore durante il sonno (l’occhio va il elevazione durante il sonno) perché questi 10 µ scompaiano. Ma l’anello di appoggio funziona da freno per cui la pressione apicale non aumenta più di tanto. L’area dell’anello di appoggio è all’incirca calcolabile in oltre 30 mm2 supponendo che il bordo interno di questo anello abbia un diametro di 7,4 ed il bordo esterno di 9,8. L’area di appoggio quindi è simile a quella largamente sperimentata delle LAC corneo-conformi. Oltre questa zona di appoggio od allineamento è costruita una zona di “disimpegno”, molto svasata per favorire il ricambio di lacrime sotto la lente. Quindi in sintesi le attuali LAC per OC hanno una geometria posteriore costituita da 4 zone: – una zona ottica centrale sferica o debolmente asferica di un diametro variabile da 6 a 8 mm, – un anello di curva “inversa” di avvicinamento di raggio diverso a seconda del laboratorio con un’ampiezza da 0,4 a 0,6 mm, – una zona anulare di appoggio con eccentricità il

Figura 4. Un appoggio di una lente prevalentemente apicale causa una deformazione della cornea detta “warpage”. La figura mostra una marcata deformazione che tende a ridursi nei mesi successivi eliminando lʼagente deformante. Questo sta a significare che esiste una memoria del tessuto che riporta la curvatura alle origini.

Ma questa differenza è solo costruttiva perché nei problemi di contatto nelle LAC a geometria inversa questo zona non va a contatto con la cornea se non nella sua parte distale. Al limite questa zona anulare potrebbe essere anche un tronco di cono. Noi ideammo nel 1968 una curvatura simile per applicazione di lenti dopo trapianto di cornea per cheratocono[20] ed ottenemmo la geometria inversa mediante una anello di curva periferica con centro extrassiale opposto. All’epoca, con torni a basso numero di giri, la difficoltà fu la lucidatura di questo anello ma i risultati furono buoni riguardo alla stabilità e correzione del difetto refrattivo. Non vi era allora nessuna finalità ortocheratologica anche perché l’unico materiale disponibile era il PMMA. Oggi si tende a costruire questo anello di raccordo con un raggio minore del raggio base e con centro assiale. Questo anello di raccordo tra la zona ottica e l’anello di appoggio che contiene la curvatura inver-

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Figura 5. Nel disegno lʼarco di curva in rosso raffigura la superficie posteriore di una lente troppo piatta. Se è necessario portare questa curva dal punto a al punto aʼ. Si può inserire un piccolo arco di un cerchio con raggio minore ed il suo centro nellʼasse centrale oppure, come nel disegno successivo, un arco di cerchio con il centro oltre lʼasse. Questa composizione di curve è detta “a geometria inversa”.


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Figura 6. Il disegno mostra il profilo di una LAC a geometria inversa essenzialmente costituita dallʼunione di 4 archi di cerchi diversi: la zona centrale, lʼarco di avvicinamento alla superficie corneale con raggio minore, un arco di “appoggio” o di “allineamento” ed un piccolo arco periferico di disimpegno.

più vicino possibile a quella corrispondente della cornea, – ed una quarta curva periferica molto aperta. Una geometria così disegnata causa una clearance di lacrime tipo menisco negativo quindi con accumulo nella parte distale della zona ottica ed in corrispondenza dell’anello di raccordo “inverso”. Viene detto “serbatoio” di lacrime per la respirazione e lo scambio dei prodotti del catabolismo dei tessuti superficiali. Altre lacrime si raccolgono per capillarità all’anello periferico di invito per favorire il ricambio. Il contatto è lievissimo all’apice, essendo calcolata una clearence di 10 µ, e totale nell’anello di allineamento. Il diametro totale varia da 10 a 10,8 mm a seconda del diametro corneale. Lo scopo di queste lenti è quello di appiattire la zona centrale. Una lente più piatta tenderà a modellare la superficie della cornea nella zona di maggior contatto in modo da portare la sua curvatura uguale a quella della sua superficie posteriore. Però questo comporterà anche un appiattimento della curvatura posteriore che potrebbe influire sulla refrazione finale. A parità di cambiamento del valore di saetta un cambiamento refrattivo della superficie anteriore provocherà un cambiamento opposto di un valore approssimativo dell’8%. Questo calcolo teorico, applicabile solo su cornee con parameri normali, ci indica che la variazione indotta è trascurabile e che comunque è all’incirca compensata dall’uso dell’indice di refrazione fittizio di 1,3375 anziché di quello reale della cornea di 1,376. Quindi per ottenere una determinata correzione sarà sufficiente modificare la superficie anteriore del valore in diottrie indicate dall’oftalmometro. Ad esempio per correggere 3 dt di miopia in un occhio con un raggio corneale di 45 dt (7,5 mm) sarà sufficiente portare il raggio a 42 dt (8 mm.) Un altro importante elemento da definire è quello

del diametro dell’area da modificare. L’esperienza derivata dalla chirurgia refrattiva ci ha insegnato che il passaggio dall’area appiattita e la curvatura originale comporta una aberrazione di sfericità che può causare la visione di aloni nella visione notturna quando la pupilla arriva al bordo, o lo supera, della zona modificata (figura 7). Ma questa aberrazione di sfericità indotta è in rapporto proporzionale con la quantità della refrazione modificata e per valori piccoli come quelli raggiunti in genere dall’OC non è avvertita se non in pazienti particolarmente sensibili ed esigenti. In questi casi una pupillometria sarebbe utile. Il diametro dell’area da modificare non è importante solo per il diametro della pupilla ma anche per il valore altimetrico della deformazione. Una variazione del raggio da 7,5 a 8 mm, che corrisponde ad una correzione di 3 dt di miopia, comporta una variazione di saetta di 0,042 mm per una corda di 6 mm e di 0,084 per una corda di 8 mm. Nelle LAC OK Contex il diametro della Z.O. è solitamente di 6 mm ma può variare da 5 a 8 mm. La variazione di saetta può essere quindi importante nei diversi diametri e questo potrebbe esser anche in relazione al risultato. Un conto è modificare un valore altimetrico di 42 µ ed un conto di 84 µ che, su una cornea di spessore medio di 550 µ corrisponde a 15,2%. In un discorso teorico dovrebbe avere importanza anche lo spessore della cornea che invece nei diversi studi non è citato come fattore di influenza nel risultato.

Figura 7. La mappa di una cornea sottoposta ad appiattimento con OC assomiglia a quella di una cornea sottoposta a fotoablazione miopica. Una zona piatta centrale, un anello di raccordo con la parte periferica non modificata. Questo anello di raccordo ha un raggio minore delle due superfici continue ed è processato con colori caldi.


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Probabilmente perché molti AA ritengono che il cambiamento di curvatura sia tutto legato a variazioni di spessore dell’epitelio[21]. Purtroppo mancano prove sia istologiche che in vivo con microscopio confocale che convalidano questa opinione. È poco probabile che la variazione sia solo limitata all’epitelio. Perché le variazioni di saetta sopraccitate provocherebbero un ispessimento epiteliale od un assottigliamento pari o superiore allo spessore epiteliale naturale che si aggira sui 40 µ. Un altro importante requisito per avere un risultato ottimale è l’assenza di irregolarità di curvatura nella parte centrale, refrattiva della cornea. È quindi essenziale la centratura della lente che si ottiene mediante due accorgimenti, uno è che la zona ottica centrale sia bene stabilizzata dall’anello di appoggio in media periferia, l’altra è che il diametro totale sia maggiorato rispetto alle LAC tradizionali arrivando fino a 10,8 mm, però in rapporto al diametro della cornea. Con le LAC tradizionali per aumentare la stabilità si prescrivevano LAC strette. La stabilità era ottenuta ma la tollerabilità era limitata sia perché mancava una determinata conformazione della lente alla periferia, sia per il materiale non gas-permeabile. Come si arriva all’appiattimento della zona centrale della cornea? Due possono essere le ipotesi. Una è che la parte di stroma ove è il contatto dell’anello di appoggio si infossi provocando uno scivolamento delle lamelle verso la zona di serbatoio quindi riducendo il valore di saetta centrale. Questa patogenesi ci deriva dall’osservazione del comportamento della cornea quando si modifica in qualche punto la sua curvatura: fenomeno di Gauss nella correzione dell’astigmatismo, variazione circostante della curvatura in senso opposto a quella primaria nel caso di ferite o lesioni stromali[22]. La seconda è che gradualmente l’appoggio apicale aumenti fino alla coincidenza della curvatura corneale con quella della superficie posteriore della lente. In questa seconda ipotesi la pressione lieve ma continua durante il sonno potrebbe far scivolare parte della lamelle centrali verso la zona di clearance riducendo così il valore di saetta e quindi arrivando all’appiattimento. Probabilmente sono entrambi i meccanismi che intervengono altrimenti la curvatura del raggio base della lente sarebbe ininfluente sul risultato ed invece è un parametro determinante. Forse vi è anche una ridistribuzione dello spessore dell’epitelio ma, a nostro parere, non può essere l’unico meccanismo. La zona di “serbatoio” è delimitata da due zone: quella apicale con pressione lieve e quella di appoggio a

pressione maggiore. È probabile che entrambe queste due zone spingano le lamelle verso la zona ove manca assolutamente pressione positiva, anzi probabilmente diventa negativa favorendo così, lo scivolamento delle lamelle stromali. L’altro importante problema risolto è quello della respirazione corneale. Con le lenti corneali piccole il movimento della LAC sulla cornea è più che sufficiente, se l’applicazione è corneo-conforme, a garantire un ricambio di lacrime sotto la lente e con esse un apporto di ossigeno. E tutti abbiamo osservato la “sindrome della lente stretta” che era prevalentemente un quadro da ipossia. I materiali usati in queste lenti da OC hanno in genere un Dk altissimo, anche superiore a 100 per cui la respirazione non è disturbata né dal diametro ampio, né da un disegno che sarebbe da considerare “stretto”, né dall’uso notturno.

Determinazione dei parametri di prescrizione Quello che serve per una corretta prescrizione di una LAC per OC sono alcuni elementi ricavati dall’esame refrattivo e topografico dell’occhio da correggere. 1. refrazione dell’occhio 2. diottrie da correggere 3. raggio oftalmometrico o topografico centrale medio 4. valore dell’eccentricità centrale e periferica 5. curvatura periferica della cornea ove andrà l’anello di appoggio 6. diametro della cornea 7. diametro della pupilla con scarsa luminosità Altri esami sono poi gli stessi che per ogni applicazione di LAC: a) test lacrimali, b) valutazione della mucosità delle lacrime, c) sensibilità corneale, d) frequenza di ammiccamento, e) apertura palpebrale. Altri esami utili per uno studio o per una valutazione post-applicativa possono essere: – spessore corneale centrale, – altimetria della superficie posteriore e anteriore (Orbscan), – microscopia endoteliale. Esistono due orientamenti per la determinazione dei parametri della LAC per OC, uno è usare cassette di LAC di prova e l’altra è quella di inserire i parametri di una cassetta di prova di LAC per OC nel topografo. Il secondo sistema di applicazione è più personalizzato anche se le lenti di prova soddisfano la geo-

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metria della maggior parte delle cornee normali. Ma lo studio con topografo non elimina la cassetta di prova che consente il giudizio finale sulla lente da prescrivere. Molti applicatori scelgono le lenti di una ditta convinti sulle caratteristiche delle loro lenti e le cassette di prova sono numerose. Esaminando i programmi di appiattimento corneale e le relative lenti consigliate abbiamo notato che gli orientamenti attuali sono due. Nel primo sono applicate lenti leggermente più piatte del raggio corneale, 1 o 2 dt, e queste hanno un lieve appoggio apicale, e queste sono poi sostituite da altre ancora più piatte fino al risultato desiderato. Nel secondo sistema l’applicatore parte subito con lenti aventi il raggio base desiderato, come modifica definitiva della cornea, e con questo sistema l’appoggio apicale non è previsto. Nel primo tipo i cambiamenti delle lenti nella fase di modellamento possono arrivare anche a 4, nel secondo tipo la lente di partenza diventa anche quella definitiva con notevole riduzione anche dei costi. Una lente recente ed interessante del secondo tipo è quella di Calossi[17] che prevede un clearance apicale di 10 µ, che indica lo spessore dello strato di lacrime a livello apicale, già presente alla prima lente applicata secondo i concetti espressi[22] che all’apice non vi deve essere un contatto vero. Il raggio di curvatura posteriore della lente è stabilito in base alla correzione che si vuole ottenere e poiché queste lenti devono avere anche un potere correttivo attuale il menisco di lacrime negativo deve entrare nel calcolo della refrazione in modo da dare

al paziente la massima correzione. Questo menisco di lacrime, che all’inizio è negativo come il difetto che si desidera correggere, se si fa il calcolo con l’indice di refrazione reale della cornea, progressivamente diminuirà il suo potere negativo ma parallelamente si ridurrà con l’appiattimento il potere positivo della superficie anteriore della cornea. Un calcolo più complesso è quello proposto da Mounforsd[15] che parte dal presupposto ottico che per ottenere la refrazione bisogna che la superficie della cornea, per l’area corrispondente alla zona ottica della lente, deve arrivare allo stesso valore di saetta della zona ottica posteriore della lente. La prima curva periferica, quella a geometria inversa, è stabilita dal laboratorio in base ai dati della lente di prova considerata giusta. La sua funzione è importantissima sia come serbatoio di lacrime sia per permettere di avvicinare la superficie posteriore dell’anello di appoggio alla superficie corneale per aumentare la stabilità e soprattutto la centratura. Un altro elemento importante per la zona anulare di appoggio è l’eccentricità della cornea della zona corrispondente. La figura geometrica rientra nelle coniche ma senza addentrarci in questo argomento per il quale si rinvia a testi dedicati questa eccentricità altro non è che l’appiattimento della superficie corneale verso la periferia. La cornea normale ha una eccentricità media, perché può essere diversa nei diversi meridiani, di 0,50 ed è stato dimostrato che è possibile ridurre facilmente la miopia di 1 dt ogni 0,20 di eccentricità[23].

Figura 8. Una opzione di un topografo disponibile in commercio mostra i valori di asfericità (eccentricità) nei due meridiani principali a 4,5 e 8 mm dallʼasse topografico. Indica anche lʼeccentricità media della zona pupillare.

Figura 9. Unʼaltra opzione dello stesso topografo indica come varia il valore di “e” nei punti di incontro tra i meridiani ed i paralleli a diverse distanze, in gradi, dal centro.


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Figura 10. Una mappa di curvatura ottenuta con un topografo. In basso a destra si legge il valore di eccentricità nei due meridiani principali in una circonferenza centrata di 6 mm diametro.

Figura 11. La stessa mappa ma con indicazione del valore di eccentricità con diametro di 8 mm.

In altre parole la parte centrale si appiattisce fino ad avvicinarsi al profilo della parte periferica. Quindi secondo la formula di Mountford[15] il grado di eccentricità definisce l’entità della correzione possibile per arrivare ad una cornea sferica: se una cornea ha una eccentricità di 0,40 si potranno correggere 2 dt, se 0,60 la correzione potrà essere di 3 dt. Ma questo dato è stato di gran lunga sorpassato con le correzioni attuali anche di 6 dt. Allora è necessario approfondire il concetto. La cornea normalmente è una ellisse prolata, cioè con l’apice più curvo, con la fotoablazione o con l’ortocheratologia prima si arriva ad una cornea non più ellittica ma sferica con eccentricità 0 e poi continuando l’appiattimento centrale si arriva ad una cornea oblata con una eccentricità negativa. Oggi non è più necessario per avere un dato sull’eccentricità fare una lettura oftalmometrica temporale secondo la formula di Wlodyga[16] sia perché è noto che le letture paracentrali o periferiche della cornea con il sistema a riflessione oftalmometrica non sono attendibili perché il dato risultante è la media della riflessione delle due mire che sono riflesse da punti della cornea a diversa curvatura, sia perché esistono alcuni topografi che offrono misure molto più valide e attendibili del metodo di Wlodiga, ormai sorpassato (figure 8 e 9). Occorre anche ricordare che il valore dell’eccentricità deve essere riferito al raggio centrale, della circonferenza oscuratrice ed alla distanza del punto in esame dal centro. Ne deriva che non è corretto usare un valore di eccentricità costante per la parte periferica della cornea come fosse una ellissi regolare perché l’eccentricità corneale aumenta verso la periferia. Se si applica la curva di appoggio seguendo un valo-

re fisso di eccentricità la lente in questa zona si presenta alla fluoresceina troppo stretta e questo conferma l’aumento del valore di eccentricità alla periferia[17]. Nelle opzioni di un topografo disponibile sul mercato (figure 10 e 11) è possibile ricavare i valori di eccentricità in punti a distanza prestabilita dal centro e comunque è importante ricordare che questo valore è calcolato lungo un emimeridiano, in questo caso nei due meridiani principali. Il valore di “e” quindi può variare non solo allontanandosi dal centro ma anche nei diversi meridiani. È più pratico allora usare la media nei due meridiani principali. Per questi motivi si deve ricorrere a delle medie per cui si può dire per esempio che il valore di eccentricità medio per un’area di circa 6 mm di diametro è inferiore a 0,30 e questo significa che la cornea è quasi sferica e che presenta un lieve appiattimento verso la periferia della zona considerata e poi si può trovare che l’eccentricità, per un anello più periferico distante dal centro da 3 a 4,5 mm l’eccentricità aumenta fino a 0,8 e questo significa che l’appiattimento diventa più consistente e traducendo in raggio di curvatura bisogna aumentare di molto il raggio dell’anello considerato. Ma non vi è nella cornea una esatta proporzionalità fra valore di eccentricità e appiattimento proprio perché il cambiamento è continuo e variabile da caso a caso, quindi non esiste una formula con la quale, conoscendo il valore di eccentricità di un segmento di arco alla periferia si possa arrivare al raggio di una curva assiale nella zona corrispondente. La tabella riportata da Calossi evidenzia questo fenomeno. Per cui valgono molto i valori desunti da calcoli statistici su un certo numero di individui sui quali empi-

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Figura 12. Questa è una mappa di curvatura ad algoritmo assiale di una cornea sulla quale si desidera applicare una LAC per OC e correggere 3 dt di miopia. Il raggio medio è dato dalla topografia.

ricamente, con lenti di prova o con quadri fluoresceinici simulati dal topografo si è arrivati alla definizione di questi incrementi di appiattimento verso la periferia. Questo anello di appoggio, detto anche “zona di allineamento”, ha un’ampiezza variabile a seconda delle lenti da 0,4 a 1 mm in rapporto anche al diametro totale della lente e questo a sua volta in rapporto al diametro della cornea. Oltre a questa è sempre costruita una zona di appiattimento periferico per facilitare un adeguato ricambio delle lacrime sotto la lente. L’esame refrattivo e fluoresceinico statico e dinamico fatto con lenti di prova è indispensabile per una sicurezza sulla lente da prescrivere sia come prima lente che come lente successiva. Se la lente si decen-

Figura 13. Questo è il quadro fluoerescinico di una LAC corneo-conforme tricurva di default.

tra verso l’alto occorre valutare la tensione della palpebra superiore e il tipo di appoggio. Il segno è indicativo per un appoggio apicale. Potrebbe essere indicato un aumento del diametro della zona ottica, una riduzione del raggio centrale od un aumento della curva inversa od anche utilizzare un prisma di bilanciamento[26]. Oltre alla diagnostica con cassette di prova è possibile avere utili indicazioni anche con quadri fluoresceinici simulati che è possibile creare e modificare con alcuni topografi. Nelle LAC per OC essenzialmente sono 4 le curve principali: la zona ottica, la curva a raggio inverso, la zona di appoggio, e la flangia di disimpegno periferico e per ognuna di queste va definita anche l’ampiezza. Altre curve fra queste servono a rendere più dolce il passaggio dall’una all’altra. Ma cercare un quadro fluoresceinico simulato ottimale con valori a caso diventa un lavoro lunghissimo perché le variabili sono infinite anche se si lavora con step di 0,1 mm per ognuna. Bisogna partire da valori base utilizzando quadri fluoresceinici con lenti tetracurve. Il percorso potrebbe essere il seguente: a) il raggio corneale maggiore è dato dal topografo in dt (figura 12); b) si cerca inizialmente il quadro fluoresceinico con una lente della cassetta normale tricurva (figura 13); c) per correggere la miopia di 3 dt bisogna applicare una LAC con raggio uguale a quello che dovrà assumere la cornea e si esegue un quadro fluo simulato con il raggio calcolato (r. corneale maggiore - miopia). Apparirà un quadro fluo con contatto solo centrale (figura 14). Si deve anche stabilire il diametro della zona ottica; d) si trasforma la lente da tricurva in tetracurva e si

Figura 14. Si modifica il raggio della zona ottica della lente precedente con valore di 8,5 mm il quadro fluoresceinico assumerà questo aspetto con contatto solo apicale.


21. Ortocheratologia contattologica

sibile ridurre le prove applicative soprattutto sul rapporto di contatto dell’anello di appoggio ma il controllo finale anche sul quadro fluoresceinico dinamico deve essere eseguito con LAC della cassetta di prova. Con questa poi si procede ad un test di tollerabilità e di innocuità sull’epitelio.

Figura 15. Si modifica il tipo di LAC da tricurva in tetracurva e si inserisce la prima curva periferica inversa con raggio minore di quello della zona ottica (in questo caso 7,12 con ampiezza di 0.7 trovato con prove fino a vedere un quadro fluoresceinico soddisfacente) apparirà subito il contatto della seconda curva periferica, (quella di appoggio).

inserisce la prima curva periferica con un raggio minore ed un’ampiezza da 0, a 0,8 (figura 15); e. si vede come appare il contatto della 2a curva periferica e si modifica il raggio in più o meno fino ad arrivare ad un anello scuro il più omogeneo possibile di una determinata ampiezza 0,8-1 mm (zona di appoggio o di allineamento). Si inserisce una curva periferica di disimpegno con raggio grande 10,5-11 mm ed ampiezza 0,4-0,6 mm (figura 16). Si modificano i diversi parametri fino ad arrivare ad un quadro fluoresceinico simile a quello reale con LAC per OC per –1,5 dt (figura 17) e per –3,5 dt (figura 18). Inserendo nel topografo i dati di queste curve è pos-

Figura 17. Quadro fluoresceinico reale di una LAC per OC per correggere –1,5 dt di miopia (gentilmente concessa da Calossi A.).

Figura 18. Quadro fluoresceinico di una LAC per OC per correggere –3,5 dt di miopia (gentilmente concessa da Calossi A.).

Decorso e risultati

Figura 16. Poiché il contatto di questa curva è troppo aderente verso la periferia si aumenterà il raggio dellʼultima curva da 9,5 a 10,5 con ampiezza di 0.5 ed il diametro totale diventerà di 10,4 mm. In tale modo compare anche una curva di disimpegno. Si arriva ad avere un quadro fluoresceinico come quello di una LAC reale.

Il decorso è un vero e proprio training tissutale nel senso che gradualmente la cornea assume l’appiattimento desiderato. In questa fase sono indispensabili controlli accurati e frequenti per due reazioni negative: edema corneale da ipossia e sofferenze epiteliali nelle zone di maggior contatto specie se la lente ha una certa mobilità. Una eccessiva mobilità iniziale non è sempre un segno di errata prescrizione, a volte è causata da eccessiva lacrimazione per una marcata sensibilità oculare.

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Già dopo alcuni giorni di uso, diurno o notturno, il paziente avverte un miglioramento del visus naturale. Ma tutti i contattologi concordano che la correzione della miopia è reversibile dopo sospese le LAC[27]. Le lenti devono essere portate per qualche ora ogni giorno od anche alcune ore alla settimana. Altri mostrano una regressione della correzione già alcune ore dopo la rimozione delle lenti. Evidentemente non è ancora nota l’inerzia della cornea dopo la deformazione o la memoria della struttura del tessuto. Probabilmente alcune caratteristiche anatomiche possono influenzare il risultato quali lo spessore della cornea al centro, il gradiente pachimetrico dal centro alla periferia, il diametro della cornea, l’età del paziente ed altre caratteristiche individuali. Comunque non è ancora definito il concetto di “risultato”. La mancanza di questa precisa definizione inficia alcune statistiche riportate. Per quante ore deve rimanere la correzione della miopia dopo rimosse le LAC perché si possa parlare di successo? Un risultato pieno potrebbe essere considerato quello di una correzione completa nelle ore lavorative dopo l’uso notturno o ancora meglio dopo qualche ora di applicazione alla settimana. Un risultato parziale al 50% quando la correzione si mantiene per almeno 6 ore dopo la rimozione. Al di sotto di questi valori non si può parlare di risultato positivo. Occorre però essere sicuri della compliance del paziente. L’entità della correzione è sicuramente legata alla conformazione della cornea, maggiore l’eccentricità maggiore la possibilità di correzione ma per una nostra considerazione teorica la deformabilità della cornea è favorita nelle cornee più sottili e più grandi. Questo deriva dall’osservazione dell’insorgenza di warpage. In certi casi, anche dopo anni di uso di LAC rigide con appoggio apicale, la cornea non si deforma e si trova uno spessore di oltre 600 µ. La stessa regola dovrebbe valere anche per l’OC. Alcuni contattologi riferiscono di correzioni di miopia fino a 6,25 dt ma senza aver ben definiti i termini di ciò che si considera “risultato”[28].

Le alterazioni dopo cheratotomia radiale (RK) sono prevalentemente di tre tipi: ipocorrezione, ipercorrezione postoperatoria precoce o tardiva per appiattimento progressivo con refrazione ipermetropica, ectasia in corrispondenza di una o più incisioni, prevalentemente nella parte inferiore con astigmatismo irregolare. Il desiderio di rimodellare la cornea senza ricorrere a nuova chirurgia o fotoablazione non è recente. Ancora El Hager e Baker[29] e Karlin[30] nel 1986 riferirono di trattamenti con LAC dopo RK per ridurre l’ipermetropia dopo RK. Anche Lupelli e Coll. hanno applicato LAC da OC su occhi operati di RK con residuo di miopia con raggio inverso da 0,4 a 2,4 mm[31] ed hanno ottenuto un ulteriore appiattimento della zona centrale. Ma quando si è in presenza di una ipercorrezione tardiva per appiattimento progressivo o per astigmatismi irregolari per ectasie settoriali successive ad RK il concetto della geometria inversa non ha una spiegazione logica. In tali casi infatti con eccentricità negativa circolare o settoriale quello che si deve cercare di appiattire è la zona ectasica e non il centro. Casi curati con LAC per rimodellamento corneale sono stati pochi perché oggi con la fotoablazione customizzata i risultati sono buoni ma la terapia con LAC è una alternativa anche se richiede più tempo. In un caso operato di RK circa 14 a. prima, poi sottoposta ad ablazione personalizzata con broad beam per elevato astigmatismo e con difetto residuo e visus dopo questa ablazione di +1 +2 a 150° 6/10 (tabo), abbiamo cercato di applicare una lente RGP

Rimodellamento dopo chirurgia LAC dopo chirurgia incisionale L’applicazione di LAC dopo chirurgia refrattiva è trattata in un altro capitolo a cui si rimanda. In questa parte invece si desidera trattare la possibilità di rimodellare la cornea alterata dopo chirurgia refrattiva.

Figura 19. Un quadro fluoresceinico di una LAC per rimodellamento in un caso di astigmatismo ipermetropico composto di +1+2 a 150° con raggio base minore del raggio maggiore corneale. Sono evidenti le zone di ectasia in corrispondenza di alcune incisioni.


21. Ortocheratologia contattologica

Figura 20. Il quadro mostra una mappa differenziale prima e dopo 3 mesi di uso di LAC del caso precedente. Si nota la differenza tra le due mappe sotto lʼeffetto rimodellante della lente.

con marcato clearance centrale ed appoggio paracentrale ove appariva evidente l’appoggio nelle zone più ectasiche (figura 19). Solo dopo qualche mese di uso anche intermittente risultò evidente un certo effetto di rimodellamento (figura 20) con un visus corretto di 8/10 con occhiali +1 a 10°. In un altro caso di elevato astigmatismo comparso oltre 10 a. dopo RK (figura 21) una LAC RGP ad appoggio paracentrale nei settori verticali non solo ha migliorato il visus e ridotto gli aloni ma ha migliorato il visus corretto con occhiali da 4/10 a 7/10 (figura 22). A nostro parere in questi casi non è indicato cercare un allineamento della zona ottica della lente con la zona centrale della cornea ma va cercata una curvatura più stretta ed un appoggio paracentrale nelle zone ectasiche, cercando poi di aumentare l’area di contatto aumentando il diametro totale.

LAC dopo trapianti Il problema sorge soprattutto nei trapianti dopo cheratoconi. La decisione di ricorrere al trapianto avviene solitamente nei casi ad evoluzione IIIa, IVa e Va secondo la classificazione descritta nel capitolo sul

Figura 21. Un altro caso di marcato astigmatismo dopo RK. Si può vedere il diverso spessore delle cicatrici.

Figura 22. Il quadro fluoresceinico di una lente applicata a scopo rimodellante nella cornea della figura 21 indica le zone di contatto periferiche corrispondenti a ectasie localizzate. Usando questa LAC anche solo qualche ora al giorno il visus corretto con occhiali è migliorato da 4 a 7/10.

Figura 23. Il disegno illustra due possibili soluzioni per una LAC su un trapianto per cheratocono. Nella prima (a), lʼappoggio si esercita sulla cicatrice e quindi può servire a regolarizzare eventuali ectasie settoriali giunzionali, la seconda (b) a geometria inversa, consente una buona stabilità ed unʼampia area di appoggio ed è utilizzata prevalentemente per correzione di difetti preesistenti od acquisiti. In (a) lo scopo è rimodellante, in (b) lo scopo è solo correttivo.

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Figura 24. Un quadro fluoresceinico di una LAC rimodellante su un trapianto con una ectasia giunzionale soprattutto superiore.

Figura 25. Il caso precedente, già dopo 3 mesi di uso, pur intermittente, ha mostrato nella mappa differenziale una sensibile regolarizzazione della curvatura.

Figura 26. Interessante anche lo studio delle aberrazioni. Le mappe di Zernike mostrano con pupilla di 5 mm, le aberrazioni astigmatica, di sfericità, quella comatosa e quelle di ordine superiore prima dellʼuso della LAC mostrata nella figura 24.

cheratocono e quindi con una pendenza della cornea alla periferia tale che dopo il trapianto il profilo ricorda un cono tronco. In questi casi le LAC possono essere molto utili ripristinando un visus anche superiore alla correzione con occhiali ma l’approccio contattologico, vale a dire la geometria della lente, è diverso a seconda di quello che il contattologo si prefigge di ottenere. Una LAC può servire a rimodellare una superficie irregolare specie a livello della giunzione per ectasia della cicatrice o della cornea ospite in qualche zona più sottile. Dopo aver escluso una pseudoectasia da fibrosi sottoepiteliale giunzionale, nel qual caso è indicata una asportazione meccanica con spatola, la LAC va applicata con pressione sulla zona ectasica e zone di stabilizzazione alla periferia (figura 23 a). Oppure una LAC può servire a correggere un qualsiasi difetto di refrazione, preesistente od acquisito, ed allora va cercata la massima tollerabilità soggettiva e tissutale e una soddisfacente stabilità sia per la posizione sia per la visione. Quindi un’area di contatto ampia con alone di stabilizzazione periferico. (figura 23 b)[20]. In questo ultimo caso se la zona ottica della lente è allineata con il trapianto, è necessario inserire una curva di raccordo con raggio più piccolo, (geometria inversa) per arrivare ad una buona stabilizzazione. La figura 24 mostra un quadro fluoresceinico di una lente su trapianto applicata a questo scopo. Con opportuni controlli e dosando opportunamente il tempo d’uso si notano i risultati di rimodellamento (figura 25). Le figure 26 e 27 mostrano le variazioni aberrometriche prima e dopo alcuni mesi di uso della lente mostrata nella figura 24. Va programmato in questi


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21. Ortocheratologia contattologica

Figura 27. Dopo tre mesi lo stesso esame topografico mostra una netta riduzione delle aberrazioni.

Rimodellamento di cornee patologiche Cheratocono

Figura 28. In corrispondenza di una zona di ectasia giunzionale una LAC usata in eccesso di tempo dal paziente, dato il consistente miglioramento visivo, ha provocato una neovascolarizzazione con penetrazione di un neovaso nel trapianto. Si è dovuto sospendere lʼuso della LAC per 3 mesi e riprenderlo con uso limitato a qualche ora al giorno.

casi uno stretto controllo per evitare fenomeni di disepitelizzazione, infiltrazione o neovasi essendo l’area di appoggio più piccola (figura 28). Eventualmente la LAC può essere usata anche solo qualche ora al giorno fino alla regolarizzazione della superficie. Teoricamente l’effetto rimodellante potrebbe essere più efficace nel periodo plastico della cicatrizzazione ma in questo periodo in genere è presente anche la sutura che potrebbe superficializzarsi con la pressione della lente. Potrebbe essere indicata un’applicazione almeno dopo un mese dalla rimozione della sutura con stretta sorveglianza dell’epitelio che ricopre la cicatrice e il movimento di neovasi dal limbus.

L’esperienza riguarda soprattutto le forme ectasiche come il cheratocono ma lo scopo di una correzione contattologica non è solitamente quello di ortocheratologia ma quello di correggere l’astigmatismo irregolare che solitamente è miopico. Pure la OC trova una sua precisa indicazione anche nel cheratocono quando vi siano precisi requisiti : il cheratocono deve essere di tipo rotondo, con apice centrale o paracentrale e con evoluzione di grado I° o II° ed inoltre che l’ectasia sia stabilizzata da oltre un anno. Allora oltre a cercare il miglioramento visivo si può anche cercare un effetto ortocheratologico. I casi quindi sono rari. Questi requisiti hanno una loro giustificazione: 1. se il cheratocono è ovale verso la periferia una

Figura 29. Un quadro fluoresceinico di una LAC come descritta nel capitolo sul cheratocono con appoggio apicale e paracentrale.


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Figura 30. Due mappe di curvatura di un cheratocono rotondo, ad apice centrale localizzato a 1,1 mm asse 296°, con grado di evoluzione I°-II°. Il valore di eccentricità nei due meridiani a 6 mm è 1,27 e 1,43 ed a 8 mm 1,20 e 1,26. Le distanze alle quali è stato calcolato “e” sono già fuori dalla zona ectasica per cui, pur essendo più del doppio del normale, non hanno incremento verso la periferia ma tendono a diminuire.

Figura 31. Per lo stesso cheratocono viene mostrato un quadro fluoresceinico simulato con LAC classica a parametri soddisfacenti per una valutazione statica: sono indicati i raggi mentre le ampiezze sono tra parentesi: 7,5(6,5) / 8,5 (1) / 9,5 (0,3) / 11(0,2) / diam. 9,5. Ovviamente tali valori potranno essere cambiati dopo una accurata valutazione del rapporto di contatto dinamico. Lo scopo di questa lente è solamente di trovare una buona tollerabilità soggettiva e tissutale, con una buona stabilità sia nella posizione che nella visione.

Figura 32. Un quadro fluoresceinico simulato, per lo stesso caso precedente, con LAC a scopo OC e geometria inversa nella prima curva periferica. I parametri sono i seguenti : 8,25(6,6) / 7(0,6) / 8,6(1) / 10,5(0,4) / diam. 10,6. Anche questa lente è suscettibile di modifiche dopo test dinamico. Lo scopo è ottenere un appiattimento della zona centrale senza eccessiva pressione. Il valore di clearance nella zona centrale è di circa 30 mcr ma in corrispondenza allʼapice è di circa 10 mcr. La differenza con la precedente è una zona ottica molto più piatta, nonostante che il contatto dellʼapice sia minore, una curva inversa con raggio diminuito di 1,25 ed un diametro maggiore per aumentare la zona di allineamento e la centratura.

cornea torica impedisce un buona centratura della lente, 2. se l’apice è centrale o paracentrale è molto probabile che verso la periferia tenda ad avvicinarsi ad una conformazione sferica, importante per l’appoggio della zona di allineamento, 3. solo se l’evoluzione è nei primi stadi l’epitelio corneale è abbastanza spesso da resistere al contatto paracentrale ed in modo minore anche a quello centrale, 4. la stabilità impedisce che un aggravamento dell’ectasia favorisca un contatto apicale con possibili alterazioni da pressione. D’altra parte il cheratocono dovrebbe presentare una situazione favorevole ad un modellamento ortocheratologico sia perché la sua eccentricità è molto più elevata che nelle cornee normali ed inoltre per un minor spessore centrale che favorisce il cambiamento di forma. La ridotta pressione apicale risparmia il trauma di contatto e non favorisce l’instaurarsi di cicatrici. Il quadro fluoresceinico di una LAC a scopo OC non

è molto dissimile da una lente per cheratocono come descritta nel capitolo sul cheratocono (figura 29), la differenza sta solo per l’inserimento di una curva inversa per aumentare il contatto della zona paracentrale e ridurre quello apicale. È possibile anche in questo caso costruire una geometria inversa simulata mediante topografo. Le immagini delle figure 30, 31, 32 mostrano un cheratocono di I°, e la costruzione di una LAC per OC a geometria inversa. Nella letteratura si trova molto poco di applicazione di LAC per OC nel cheratocono. Calossi[29] riferisce sulla sua esperienza in questo settore. In un caso di intolleranza alla normale LAC è stata applicata una lente per rimodellare la cornea con appoggio lievissimo apicale, curva inversa ed una curva di allineamento. Il quadro fluoresceinico cambiò dopo qualche mese pur con un uso limitato di qualche ora al giorno la differenza con quello preapplicazione è evidente nella figura 33. Anche l’indagine aberrometrica, per lo meno per le principali aberrazioni ha evidenziato un netto miglio-


21. Ortocheratologia contattologica

Figura 33. Lʼimmagine mostra il confronto tra i due quadri fluoresceinici prima (sinistra) e dopo (destra) qualche mese di uso intermittente della lente. Lʼinteresse di questi due quadri fluoresceinici è che nel secondo lʼeffetto della pressione della lente sulla curva di allineamento ha aumentato la clearance apicale. Questo significa che il cheratocono ha ridotto la sua ectasia (gentilmente concessa da Calossi A.).

ramento (figura 34). La LAC rimodellante nel cheratocono è un’altra arma nella terapia e correzione di questa difficile malattia.

CONCLUSIONI L’ortocheratologia, pur essendo nata come idea e proposta commerciale nel 1962[5] è una tecnica molto più recente perché la sua diffusione è stata

Figura 34. Lʼindagine aberrometrica prima (quadro superiore) e dopo lʼapplicazione di LAC rimodellante (quadro inferiore) nel cheratocono del caso precedente mostra con grafica evidenza il miglioramento delle aberrazioni, in particolare dellʼastigmatismo e della coma.

favorita dai nuovi materiali gas-permeabili ancora oggi in evoluzione. Questi materiali hanno ancora alcune elementi negativi come la carica di superficie che favorisce l’adesione di sostanze lipidiche e proteiche, l’inomogeneità del polimero e l’instabilità dimensionale[30] cui si può aggiungere la facilità alla scalfittura. Ma sicuramente la strada aperta offre interessanti applicazioni anche nei casi difficili.

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Lenti a contatto dopo chirurgia corneale e rifrattiva

INTRODUZIONE I requisiti essenziali di una lente a contatto terapeutica dopo chirurgia LASEK[1-4] o PRK riguardano: • la geometria, che deve essere adeguata alla curvatura corneale del paziente al fine di stabilizzare il flap epiteliale: la lente cioè non deve essere né troppo stretta né troppo piatta; • il materiale della lente, in particolare la sua trasmissibilità all’ossigeno, che deve essere sufficiente a garantire un normale metabolismo cellulare corneale, dovendo la lente permanere sull’occhio almeno 4-5 giorni.

CARATTERISTICHE FISICO-CHIMICHE DELLE LENTI A CONTATTO Il DK, ove D è il coefficiente di diffusione e K quello di solubilità dell’ossigeno attraverso un dato materiale correlata ad una determinata temperatura, è un valore assoluto che definisce la permeabilità all’ossigeno di una lente a contatto, in particolare dell’ossigeno che, discioltosi nella fase acquosa del materiale, diffonde attraverso il polimero della lente dalla superficie anteriore verso quella posteriore. Quindi il valore di DK è funzione del contenuto d’acqua di una lente. Tuttavia il DK, poiché va correlato allo spessore “t”

della lente stessa, non rappresenta un valore reale della trasmissibilità di ossigeno di una determinata lente, meglio definita quindi dal rapporto DK/t. Le unità di DK sono 10–11 (cm2/sec.) (ml. 02/ml x mm Hg) o “barrer” e le unità di trasmissibilità di ossigeno sono 10–9 (cm/sec.) (ml. 02/ml x mm Hg) o barrer/mm. Come riferimento, il DK dell’acqua è di 80 barrer. Quindi, nella migliore delle ipotesi, una lente basata sulla trasmissibilità di ossigeno legata all’acqua non potrà superare il valore di 80[5]. Perciò le lenti in idrogel convenzionale, a causa del loro basso DK/t, provocano sempre un certo grado di ipossia corneale, con conseguente consumo di glicogeno corneale, accumulo di acido lattico e comparsa di acidosi tissutale (tabella 1)[7-11]. Poiché il consumo corneale di ossigeno aumenta con l’acidosi metabolica indotta dall’uso di lenti a contatto, i requisiti antianossici medi, intesi come soglia di sicurezza, che una lente morbida terapeutica deve avere per un uso permanente, senza provocare edema corneale, sono[12]: • Occhio aperto: DK/t = 35 x 10-9 barrer/mm • Occhio chiuso: DK/t = 125 x 10-9 barrer/mm È risultato inoltre che il minimo DK/t che consente apporto d’ossigeno alle cellule basali dell’epitelio corneale (occhio aperto: DK/t = 23; occhio chiuso: DK/t = 89), equivale a quello necessario ad evitare l’edema corneale. Le lenti in idrogel convenzionale hanno un massimo DK/t di 34 (DK = 36), mentre le lenti in idrogel di silicone (che sono la nuova classe di materiali che

Lac a basso DK/t Ipossigenazione corneale Acidosi Consumo 02 corneale Ipossigenazione

Sullʼepitelio: Inibizione Mitosi Assottigliamento degli strati

Rallentamento desquamazione cellulare Ridotta funzione di barriera Aumento adesività batterica e fungina Riduzione di adesione ai tessuti sottostanti Strie e microcisti epiteliali Pieghe stromali

Riduzione di sensibilità Possibile assottigliamento dello stroma

Aumento permeabilità (Edema)

Tabella 1. Modificazioni biochimiche e fisiopatologiche indotte dalle lenti a contatto a basso DK/t sulla fisiologia corneale.


22. Lenti a contatto dopo chirurgia corneale e rifrattiva

abbiamo studiato) possono arrivare ad un massimo DK/t di 175 (DK = 140), quindi 6 volte superiore alle lenti in idrogel convenzionale, perché l’ossigeno si lega alle molecole di silicone e non solo a quelle dell’acqua. Una approssimazione clinicamente utile è quella di considerare i valori di DK delle lenti a contatto in idrogel convenzionale in tre gruppi[5]: Acqua 38±% 55±% 75±%

DK 9± 18± 36±

La FDA statunitense divide le lenti a contatto in idrogel convenzionale (il cui nome generico termina con il suffisso “Filcon”) in quattro gruppi: Gruppo 1

Basso contenuto d’acqua (< 50% H2O) Polimeri NON ionici

Gruppo 2

Alto contenuto d’acqua (> 50% H2O) Polimeri NON ionici

Gruppo 3

Basso contenuto d’acqua (< 50% H2O) Polimeri IONICI

Gruppo 4

Alto contenuto d’acqua (> 50% H2O) Polimeri IONICI

Un materiale viene definito IONICO quando contiene una carica ionica maggiore dello 0,2%, conferitale in particolare dall’acido metacrilico, monomero idrofilo che, insieme all’NVP (N-vinylpirrolidone), viene aggiunto all’Hema per aumentare il contenuto d’acqua della lente a contatto stessa. Questa classificazione è utile per descrivere il modo in cui i materiali interagiscono sia con le soluzioni per lenti a contatto che con il film lacrimale. Ad esempio cambiamenti ambientali di temperatura (da quella della stanza a quella dell’occhio) esitano in una caduta del contenuto d’acqua degli idrogel e quindi della loro trasmissibilità di ossigeno. Mentre questa caduta è relativamente minore per le lenti a contatto del gruppo 1, può essere invece significativa per quelle del gruppo 4. Ancora: un aumentato contenuto d’acqua e/o di ionicità del materiale causa un forte incremento di depositi proteici, con un tasso importante di lisozima riscontrabile sulle lenti a contatto del gruppo 4 dopo appena un minuto di utilizzo. Invece le lenti a contatto del gruppo 2 contenenti Vinylpirrolidone hanno tendenza a provocare depositi lipidici.

Lenti in idrogel di silicone Sono ad elevato DK e DK/t, quindi non inducono ipossigenazione corneale e conseguentemente sofferenza epiteliale e acidosi corneale[13]. Perciò migliorano la funzione della barriera epiteliale, riducendo in tal modo l’adesività batterica. La componente in idrogel facilita il trasporto dei fluidi ed il movimento della lente a contatto, permettendo così sia il passaggio di acqua e ioni sia l’eliminazione di detriti cellulari ed inorganici sottostanti la lente stessa. Riducono i depositi proteici grazie al basso contenuto d’acqua ed all’elevato contenuto in silicone[14]. Hanno un’umettabilità simile a quella degli idrogel convenzionali, ma si disidratano meno sull’occhio. Tutto ciò comporta, insieme alla riduzione dei depositi ed all’aumentata permeabilità all’ossigeno, un miglioramento del comfort del paziente. La lente a contatto terapeutica dopo LASEK va studiata con un giusto raggio di curvatura (stretto o corneo-conforme) in base al raggio corneale medio preoperatorio del paziente e con un materiale adeguato. Le lenti che abbiamo utilizzato sono (tabella 2): a) in idrogel convenzionale PRECISION UV: preferibile in caso di cornee più piatte o quando il flap epiteliale è sicuramente integro; PROTEK T&S: più rigida a causa del contenuto acquoso medio (55%) e più stretta, quindi preferibile con cerniere epiteliali poco integre. Indispensabile nei trattamenti ipermetropici; PROCLEAR COMPATIBLES (Biocompatibles Ltd., UK; Biocompatibles Eyecare Inc., USA): preferibile nei pazienti con problemi di pregressi depositi lipidici sulle lenti a contatto, perché non contiene NVP (N-vinylpirrolidone). Va sottolineato che l’impiego dei valori di DK/t, da parte delle ditte produttrici, per descrivere le differenze fra i materiali può essere fuorviante a causa di una mancanza di standardizzazione. I materiali sono spesso presentati come dotati di alti valori di DK ed i valori di spessore usati sono di solito riferiti ad un determinato spessore centrale su una lente a contatto da –3.0 diottrie. Ciò fornisce poche informazioni utili sulla performance individuale di una lente a contatto convessa o molto negativa[15]. Le lenti a contatto ad alto contenuto d’acqua devono essere fabbricate con spessori più elevati di quelle a

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Nome

Gruppo Materiale FDA

Precision UV (Wesley Jessen) Protek T&S (Ciba Vision) Proclear Compatibles (Biocompatibles Eyecare) Focus Night&Day (Ciba Vision) Pure Vision (Bausch&Lomb)

Curva base mm

DK

Potere

Diametro mm

Spessore centrale mm

DK/t

Vasurfilcon A (74% acqua) Vifilcon A (55% acqua) Omafilcon A (62% acqua)

8.40 8.70 (medio) 8.40

31,5

0.00

14.4

0,140

22,5

22

Plano

14.0

0,1

34

8.60

19,6

0.00

14.2

0,065

30,2

1

Lotrafilcon A (24% acqua)

8.40 8.60

140

0.00

13.8

0,08

175

3

Balafilcon A (36% acqua)

8.60

99

0.00

14.0

0,09

110

2 4 2

Tabella 2. Lente a contatto terapeutica dopo LASEK.

Figura 1. LASEK dopo trapianto corneale: impronta limbare della lente a contatto Protek T&S.

Figura 2. LASEK dopo trapianto corneale: disepitelizzazione, sotto lente Protek T&S, colorata con fluoresceina macromolecolare.

basso contenuto d’acqua, per prevenire la pervaporazione e facilitarne la manipolazione, esitando in valori relativamente bassi di DK/t paragonati ai loro valori considerevolmente più alti di DK, come nel caso della PRECISION – UV che ha un DK di 31,5 ma un DK/t di soli 22,5. Perciò le lenti a contatto più spesse ad alto contenuto di acqua e quelle ultrasottili a basso contenuto d’acqua apportano circa la stessa quantità di ossigeno alla cornea centrale in una prescrizione di lente negativa[5].

materiale ma anche della geometria della lente in quanto una lente troppo stretta tiene fermo il flap epiteliale, ma determina un’impronta limbare estremamente fastidiosa in 2ª - 3ª giornata che, nella figura 1, si nota sotto forma di indentazione del profilo limbare della fessura luminosa specialmente nei trapianti che hanno geometrie particolari. La conseguente ipossia corneale fa sì che il neoepitelio che si forma abbia una scarsa vitalità e si colori in maniera marcata come si vede nella figura 2. Una lente ideale potrebbe quindi essere a geometria inversa: stiamo sperimentando lenti della ditta Soleko (Soleko), più piatte in centro e più curve in periferia, che sembrano dare buoni risultati in questo senso (figure 3-4-5-6). Si noti la periferia della lente, più curva nella Soleko, più piatta nella Protek. Nella figura 7 si osserva come con la lente Soleko l’epitelio è più uniforme perché non abbiamo quell’aspetto stretto, con sofferenza ipossica realizzato da

b)Ai fini di migliorare il metabolismo cellulare abbiamo pensato di utilizzare lenti che, pur avendo un basso contenuto di acqua, come la Focus Night and Day (Ciba Vision) e la Pure Vision (Bausch&Lomb – Iom), hanno un DK/t molto alto in quanto l’ossigeno si lega al materiale siliconico che compone la lente stessa. È evidente che dobbiamo tenere conto non solo del


22. Lenti a contatto dopo chirurgia corneale e rifrattiva

Figura 3. Lente Soleko 980 a geometria inversa vista di profilo.

Figura 7. Lente Soleko 980 OS: fluoresceina macromolecolare in terza giornata dopo LASEK.

Figura 4. Lente Soleko 980 a geometria inversa vista di fronte.

Figura 8. Lente Protek T&S OD: fluoresceina macromolecolare in terza giornata dopo LASEK.

Figura 5. Lente Protek T&S vista di profilo.

Figura 9. Rottura della lente terapeutica con micropinza.

Figura 6. Lente Protek T&S vista di fronte.

Figura 10. Lente terapeutica in posizione corretta (diritta).

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Grafico 1. Percentuale di perdita di vari tipi di lenti a contatto dopo chirurgia LASEK.

una lente Protek T&S (figura 8), proprio perché la Soleko è a geometria inversa e quindi ha un appoggio ideale. Le lenti quando vengono manipolate in sala operatoria con pinze si possono rompere e questo può causare poi una rottura o una perdita del flap epiteliale (figura 9). Bisogna infine porre attenzione al verso della lente, in quanto una lente rovesciata diventa automatica-

Grafico 2. Percentuale di dolore con vari tipi di lenti a contatto dopo chirurgia LASEK.

Grafico 3. Percentuale di infiltrati corneali con differenti tipi di lenti a contatto.

mente più larga per la forma a catino che assume, quindi è più facile perdere contemporaneamente sia la lente a contatto che il flap epiteliale (figura 10). Nella nostra esperienza le lenti utilizzate sono state analizzate sotto il profilo della perdita della lente e, talvolta, anche del flap epiteliale sotto la lente stessa. Nel grafico 1 si vede come le Precision UV, che sono le più larghe come geometria in quanto dotate di sviluppo periferico ellittico, hanno una più alta probabilità di essere perse a causa del movimento, della lacrimazione etc., mentre le Protek T&S, che sono a curva unica (Plano) e le Focus Night and Day rimangono più saldamente fissate all’occhio. Per contro, il fatto che le Protek T&S e le Focus Night and Day rimangano più saldamente attaccate all’occhio comporta un maggior fastidio da parte del paziente, cioè una minore tollerabilità della lente stessa. Nel grafico 2 vediamo in questo grafico come le Protek T&S (monocurve, molto strette) sono le lenti percentualmente che, pur in bassa misura, hanno determinato un elevato dolore (tipo 4) in alcuni pazienti, cosa mai verificatasi con le Precision UV e con le Focus Night and Day. Ciò costituisce un limite della Protek T&S. In particolare il dolore elevato (tipo 4) nell’ambito delle sole Protek T&S è stato percentualmente maggiore nel gruppo delle Protek ipermetropiche. Le Focus Night and Day, che ci sembravano le più interessanti per i loro DK e DK/t molto elevati, non hanno in definitiva mostrato vantaggi significativi, per quanto riguarda il dolore, rispetto alle Precision UV. Per quanto riguarda gli infiltrati corneali, è interessante notare come le Focus Night and Day, a differenza di quanto riportato da altri Autori[16], hanno mostrato un 17% di casi con infiltrati (su 24 occhi), mentre le Protek T&S 0,5% e le Precision UV 0,6%. (grafico 3). Questi infiltrati infiammatori (figure 11 e 12), descritti per la prima volta dal CCLRU (figura 13) (Cornea and Contact Lens Research Unit)[17] sono stati in tutti questi pazienti tipicamente: focali, piccoli, singoli e rotondi, periferici o semi-periferici, localizzati nello stroma anteriore (sottoepiteliale), caratterizzati nella loro fase attiva da escavazioni epiteliali focali, infiltrazione e necrosi della stroma anteriore[18]. L’eziologia dimostrata è da tossine rilasciate da colonie batteriche di Stafilococco Aureus presenti sulla superficie della lente a contatto[19], mentre non sono stati rilevati batteri in biopsia o scraping. Normalmente guariscono rapidamente senza tratta-


22. Lenti a contatto dopo chirurgia corneale e rifrattiva

Figura 11. Due ulcere periferiche indotte da lenti a contatto in idrogel di silicone Focus Night and Day dopo LASEK. Figura 12. Ulcera periferica da lente Focus Night and Day dopo LASEK. Figura 13. Descrizione clinica dellʼulcera periferica indotta da lenti a contatto (tratto da: “Guida alle reazioni corneali con infiltrati” della CCLRU/LVPEI – 2002).

mento previa sospensione dell’uso delle lenti a contatto sino alla risoluzione. Richiedono frequenti controlli e talvolta una profilassi antibiotica topica se non ne è possibile un frequente monitoraggio. Si risolvono con cicatrice. L’incidenza significativa di infiltrati corneali in corso di impiego di lenti in idrogel di silicone Focus Night and Day[20] contrasta in teoria con i dati finora raccolti dalla Letteratura secondo la quale le lenti in idrogel convenzionale, inducendo sempre una ipossigenazione corneale, provocano tipicamente una aumentata adesività batterica verso Stafilococchi e miceti[11]. Ciò porterebbe le lenti in idrogel convenzionale ad essere più candidate all’adesività batterica

rispetto a quelle in idrogel di silicone. Inoltre, essendo le Focus Night and Day di tipo NON IONICO avrebbero dovuto essere meno soggette ai depositi rispetto alle lenti di tipo IONICO. Tuttavia gli unici risultati pubblicati in Letteratura non depongono per una riduzione dei depositi lipidici rispetto all’idrogel convenzionale[5]. Quindi si ipotizza che questo giustifichi, associato ad altri fattori in corso di studio, la presenza di questi infiltrati che non hanno però determinato danni permanenti alla visione dei pazienti. In particolare l’accumulo di lipidi, formando aree di idrofobicità sulla lente, potrebbe favorire l’attecchimento dei germi.

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APPLICAZIONI

PRATICHE PARTICOLARI IN CHIRURGIA RIFRATTIVA

Dopo chirurgia incisionale Paziente con aumentata esposizione del bulbo oculare per un lieve esoftalmo da morbo di Basedow In seconda giornata (figura 14), subito dopo l’intervento, manifestava uno sfiancamento dell’incisione inferiore con pieghe della membrana di Descemet. Fu quindi applicata (figura 15) una lente a contatto Janus[21] (parte centrale rigida gas-permeabile, parte periferica morbida in idrogel convenzionale) per 4-5 giorni in modo che l’incisione avesse tempo di cicatrizzare. A distanza di due anni (figura 16) non è evidenzia-

bile alcuna alterazione nella sede del pregresso sfiancamento. L’incisione aperta rende edematosa la cornea e ciò mantiene l’apertura dell’incisione stessa; quando vi applichiamo sopra una lente a contatto, si riforma l’epitelio, si riduce l’edema e si riappianano i

Figura 14. Cheratotomia radiale, in seconda giornata, in paziente con lieve esoftalmo tireotossico: sfiancamento dellʼincisione inferiore con pieghe trasversali secondarie della membrana di Descemet.

Figura 17. Cheratotomia radiale in paziente con lieve esoftalmo tireotossico a distanza di tre anni: ricomparsa delle pieghe trasversali della membrana di Descemet per edema della zona che causa uno sfiancamento.

Figura 15. Cheratotomia radiale, in terza giornata, in paziente con lieve esoftalmo tireotossico: riduzione delle pieghe trasversali della membrana di Descemet da sfiancamento dopo applicazione di lente corneale Janus.

Figura 18. Ulcera corneale settica da esposizione, con captazione fluoresceinica, in paziente con lieve esoftalmo tireotossico operato di cheratotomia radiale tre anni prima.

Figura 16. Cheratotomia radiale in paziente con lieve esoftalmo tireotossico a distanza di 2 anni: scomparsa delle pieghe trasversali della membrana di Descemet da sfiancamento.


22. Lenti a contatto dopo chirurgia corneale e rifrattiva

due delle quattro incisioni radiali di ciascun occhio (figura 19). Fu applicata una lente idrofila ad uso permanente, prima in idrogel convenzionale poi in idrogel di silicone: quest’ultima, essendo più rigida, si posizionava a cupola sopra la zona oblata della cornea ed il paziente ritornava miope pur essendo la lente a contatto di potere neutro. Nella cheratoscopia, sopra la lente a contatto, si vede l’aumento di curvatura nella parte centrale (figure 20 e 21). Figura 19. Paziente operato di cheratotomia radiale nel 1993: occhio destro.

tessuti, come si può vedere nella figura 16. Tuttavia questo paziente continuava nel tempo ad avere piccoli problemi di esposizione nel settore inferiore della cornea a causa di una incompleta chiusura palpebrale notturna: a distanza di tre anni dall’intervento (figure 17 e 18) si è creata prima un’erosione poi un’ulcera settica da eccessiva esposizione (si vede la zona positiva alla fluoresceina), curata con Iodopovidone e l’applicazione di una lente a contatto morbida monouso per circa 1 mese.

Lente a contatto in idrogel di silicone in paziente operato di cheratotomia radiale nel 1993 (quattro incisioni radiali in OO) Questo paziente fin dai primi giorni post-operatori lamentava dolore, che è continuato nel tempo. Giunto alla nostra osservazione dopo 9 anni, si evidenziò una colorazione positiva alla fluoresceina in

Diagnostica intraoperatoria Specialmente all’epoca in cui non esistevano i topografi quantitativi computerizzati intraoperatori, poteva essere necessario a volte valutare le modifiche indotte dall’intervento chirurgico. In un caso particolare bisognava effettuare una sutura a “lazoo”, che è una sutura circolare da praticare negli interventi di Cheratomia radiale in caso di ipercorrezione quando queste incisioni si presentano particolarmente epitelizzate o sfiancate. Questa sutura viene ancora oggi impiegata, specialmente quando c’è una progressione dello shift ipermetropico (e quindi dello sfiancamento): il filo di sutura in Mersilene passa da una incisione radiale all’altra e alla fine viene annodato. In questo caso la tensione del filo viene regolata dovendo realizzare una ipercorrezione del 50% circa: se il paziente aveva per esempio un +5 sfero, bisogna portarlo a –2,50 sfero. Per fare ciò, viene calcolato il raggio medio di curva-

Figura 20 (in alto). Topografie di paziente operato di cheratotomia radiale OO nel 1993. Figura 21 (in basso). Topografie di paziente operato di cheratotomia radiale OO nel 1993 con lente a contatto morbida che causa un aumento di curvatura.

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leggero accumulo di fluoresceina in corrispondenza delle incisioni radiali sia perché la fluoresceina, passando, vi si infila dentro sia perché in quel punto il filo di sutura crea un leggero infossamento.

Residui irregolari dopo trattamenti fotoablativi Ipermetropia con “nocciolo” Figura 22. Cheratotomia radiale in shift ipermetropico. Sutura a “lazoo” non serrata e lente a contatto di prova con raggio di curvatura corrispondente a quello centrale della cornea: risulta essere piatta, cioè appoggia in centro ma galleggia in periferia (ove vi è accumulo di fluoresceina). Questa immagine mostra che forma ha la cornea: in questo caso estremamente piatta al centro e sollevata in periferia.

tura della cornea iniziale ed il raggio che dovrà avere la cornea dopo questa realizzazione di incurvamento del 50% in più: si applica quindi una lente a contatto rigida che abbia questo raggio di curvatura e si tira la sutura fino ad avere un appoggio uniforme della lente. Nella figura 22 vediamo la sutura ancora lassa (si vede l’accumulo di fluoresceina in periferia e l’appoggio centrale uniforme in quanto la lente a contatto di prova applicata è troppo piatta): la lente a contatto appoggia in modo uniforme al centro e quindi è sollevata in periferia. Successivamente (figura 23), viene applicata la lente a contatto con la giusta curvatura che deve avere alla fine la cornea per realizzare una ipercorrezione del 50% e quindi si tira la sutura: si vede un appoggio uniforme della lente a contatto, tranne un

Figura 23. Cheratotomia radiale con sutura a “lazoo” serrata: appoggio uniforme della lente a contatto con raggio di curvatura corrispondente alla necessaria ipercorrezione.

Questo è uno dei problemi che si poteva presentare fino a 4-5 anni fa quando si effettuava un trattamento ipermetropico troppo spinto con zone ottiche piccole di 5.5 mm: l’asfericità della cornea era eccessiva[22] ed a volte si poteva creare un nocciolo apicale subepiteliale. In questi casi anche reinterventi miopici, preceduti da una PTK, molto spesso non risolvono il problema e la visione del paziente è scadente per la presenza di queste irregolarità centrali.

Figura 24. Ipermetropia con nocciolo iperplasico apicale, rioperata più volte.

Figura 25. Topografia corneale su lente a contatto morbida terapeutica in fotoablazione corneale ipermetropica con nocciolo.


22. Lenti a contatto dopo chirurgia corneale e rifrattiva

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Il problema è stato risolto in un paziente (figure 24 e 25), nonostante due o tre reinterventi che miravano a riportare la cornea alla curvatura preoperatoria, applicando una lente morbida terapeutica con lo scopo non solo di regolarizzare la superficie ma anche di proteggere questo “nocciolo” iperplasico epiteliale e subepiteliale, evitando così che la palpebra andasse di continuo a sollecitare meccanicamente l’apice, provocandone conseguentemente una sofferenza.

Paziente con cheratocono operato molti anni prima di cheratotomie curve per regolarizzare lʼapice, poi con laser ad Eccimeri

Figura 27. Topografia corneale di cheratocono operato prima con cheratotomie curve poi con laser ad Eccimeri.

Il paziente manteneva una refrazione miopica di 6-7 diottrie perché, essendo la curvatura corneale di partenza molto marcata, pur venendo questa regolarizzata l’occhio persisteva miope. Questo caso (figura 26) utilizza dall’epoca in cui fu

Figura 28. Aberrometria corneale della figura 27. Figura 26. Cheratocono operato con cheratomie curve poi con laser ad Eccimeri.

operato nel 1994 una lente morbida permanente per correggere lo sfero-equivalente: il visus è di 6 - 7/10 e la tollerabilità della lente a contatto è eccellente. Tuttavia la qualità della visione è modesta: infatti nella aberrometria corneale (figure 27 e 28) è presente una coma maggiore senza lente che con lente (figura 29). Smussando la superficie si riducono inoltre le aberrazioni di elevato ordine (figura 30). L’aberrazione sferica longitudinale aumenta perché la lente a contatto è negativa. Ciò che è importante è la riduzione della coma, testimoniata dalla riduzione dell’intensità del colore rosso centrale, che ci indica così che la lente a contatto in basso smussa la superficie.

Figura 29. Topografia corneale della figura 27 con lente a contatto morbida ad uso permanente.


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Figura 30. Aberrometria corneale della figura 27 con lente a contatto morbida ad uso permanente.

Utilizzo della lente a contatto Compo dopo LASEK ipermetropica • parte periferica morbida (PoliHema) (DK 16, acqua 38%) con incavo tornito centralmente fino ad ottenere uno spessore centrale di 0,11 mm; RB 830/860 oppure 890; • parte centrale gas-permeabile SP 40 (DK 22, acqua 2%); RB 560/860 oppure SP 50 in fluorosilicone

acrilato (Dk/t 49,5, acqua 4%) oppure SP 60-UV in fluorosilicone acrilato (Dk/t 99,5, acqua 5%, filtraggio degli UV-B con abbattimento dai 400 nanometri); • diametro parte morbida = 14.0/diametro parte gaspermeabile = 8,0 oppure 14,5/8,1. Questa lente consiste di un guscio morbido che ha un incastro centrale del diametro di 8.1 mm. dentro al quale viene ad essere alloggiata una lente a contatto gas-permeabile (figure 31 e 32). Nella figura 33 si vede la colorazione fluoresceinica del guscio morbido ed al centro l’incavo che ha la funzione di tenere ferma una lente a contatto gas-permeabile e di ammorbidirne l’appoggio sulla cornea. La Compo consente un buon ricambio lacrimale quindi non dà problemi di ipossia, perché si applica corneo-conforme (raggio di curvatura maggiore della cornea), per cui il grosso vantaggio di questa lente è che può correggere cheratoconi ed irregolarità corneali rimanendo stabile sull’occhio senza irritare e senza creare sofferenze, quindi rappresenta la nostra lente a contatto di 1ª scelta nei cheratoconi. L’unico possibile problema di questa lente è costituito raramente dalla formazione di depositi mucolipidici e proteici nell’interfaccia. La LASEK ipermetro-

Figura 34. Lente corneale Compo colorata con fluoresceina.

Figure 31 e 32. Lente corneale Compo.

Figura 35. Lente corneale Compo dopo Lasek ipermetropica.


22. Lenti a contatto dopo chirurgia corneale e rifrattiva

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Figura 35. Lente corneale Compo dopo Lasek ipermetropica: quadro fluoresceinico. La lente è scelta con lo stesso raggio di curvatura della cornea centrale. Lʼappoggio è solo in periferia, con un accumulo minimo di colorante.

pica fu fatta con il laser Nidek (Nidek Co., Ltd.) che, facendo una zona ottica stretta, determinava una cattiva qualità della visione. Nelle figure 34 e 35 vediamo il buon appoggio della lente a contatto ed è interessante osservare come cambia la topografia in questo paziente. Senza lente a contatto (figura 36) la zona ottica è estremamente piccola pur essendo di giusta curvatura, con la lente si realizza lo stesso raggio di curvatura generato dal laser però su una zona ottica molto più ampia. Nella figura 37 vediamo la topografia effettuata sopra la lente a contatto che ha lo stesso raggio di curvatura della cornea della topografia precedente, però con la lente a contatto si ottiene una zona ottica talmente larga da permettere al paziente una qualità visiva eccellente, in quanto la lente ha una curvatura unica per 8.1 mm, mentre il laser faceva una zona ottica di 5.5 mm. Quindi a parità di raggio di curvatura la correzione centrale è buona in condizioni fotopiche con e senza la lente, ma in condizioni scotopiche il paziente, senza lente, vede poco e male per la comparsa di aloni, mentre con la lente vede bene.

Figura 36. Topografia corneale, senza lente a contatto, di Lasek ipermetropica effettuata con laser.

Figura 37. Topografia corneale, sopra lente Compo, di Lasek ipermetropica effettuata con laser.

Caso di LASEK per astigmatismo ipermetropico In questo tipo di astigmatismo c’è molto spesso un decentramento dell’asse morfologico rispetto al centro pupillare, con un angolo K importante, quindi una situazione molto difficile da correggere: con zone ottiche molto piccole si ottiene una scadente qualità visiva del paziente (figura 38). In questo caso (figure 39 e 40) è stata applicata una lente rigida che appoggia in periferia e nel nocciolo apicale al centro.

Figura 38. Topografia corneale di LASEK per astigmatismo ipermetropico: zona ottica molto piccola.


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Figura 39. Appoggio fluoresceinico di lente a contatto rigida su LASEK per astigmatismo ipermetropico.

Questo è un paziente gestito così da cinque anni in attesa di un prossimo link topoaberrometrico. La lente a contatto è quasi una monocurva, o meglio una bicurva con una piccolissima flangia periferica. L’accumulo di fluoresceina è legato allo scavo effettuato dal laser. Il paziente aveva un astigmatismo preoperatorio anche periferico: si vede che la lente a contatto ha due punti di appoggio sull’asse 10 gradi in periferia. L’aberrometria corneale mostra che c’è una grossa componente di coma legata al fatto che il punto di bisezione dell’asse morfologico dell’astigmatismo[23] è diverso dalla zona trattata con il laser a causa di un angolo K molto marcato (figura 41).

Ripristino visivo dopo trapianto di cornea Trapianti perforanti e lamellari Nei trapianti perforanti e lamellari, finché la sutura è in sede, il paziente ha un visus molto basso. Nel caso scelto il paziente era monocolo, aveva un cheratocono e portava una lente a contatto Compo. Tale lente è stata riapplicata sopra il trapianto lamellare.

Figura 40. Topografia corneale, con lente a contatto rigida di LASEK per astigmatismo ipermetropico: con la lente avente lo stesso raggio di curvatura della cornea centrale si ottiene una zona ottica pari al diametro dellʼottica della lente, quindi un allargamento della zona ottica corneale utile per la visione.

Figura 42. Lente a contatto Compo dopo trapianto corneale lamellare: quadro fluoresceinico.

Figura 41. Aberrometria corneale di LASEK per astigmatismo ipermetropico (stesso caso della figura 39).

Figura 43. Lente a contatto Compo dopo trapianto corneale lamellare.


22. Lenti a contatto dopo chirurgia corneale e rifrattiva

Nella figura 42 si osserva un accumulo fluoresceinico centrale perché la cornea trapiantata è più piatta per la presenza dei punti di sutura, però la lente a contatto era perfettamente tollerata ed il paziente arrivava ad 8/10 di capacità visiva dopo venti giorni dal trapianto lamellare (figura 43). Quindi si è riusciti a gestire tutti i quattro mesi in cui la sutura è rimasta in sede ottenendo una capacità visiva eccellente (figura 44).

Caso di trapianto lamellare, con punti in sede, cui è stata applicata una lente a contatto morbida in idrogel convenzionale In questo caso non c’era astigmatismo per cui è stata applicata una semplice lente morbida da –5 diottrie (figura 45). Nella topografia corneale della figura 46 (con lente a contatto), a differenza di quella della figura 47 (senza lente a contatto) si osserva una superficie regolare buona, senza astigmatismo; anche in questo caso la paziente è riuscita a gestire molto bene la situazione visiva.

Figura 46. Topografia corneale, con lente a contatto morbida, di trapianto corneale lamellare con punti in sede: la lente regolarizza la superficie (area supero-temporale di cornea non processata dal topografo per marcato enoftalmo).

Figura 47. Topografia corneale di trapianto corneale lamellare con punti in sede: importante multifocalità della zona ottica con irregolarità della superficie.

Figura 44. Topografia corneale di trapianto corneale lamellare con i punti in sede: pattern molto regolare.

Figura 45. Lente a contatto morbida in idrogel convenzionale applicata su trapianto corneale lamellare con punti in sede.

CONCLUSIONI Il concetto fondamentale e l’implicazione più attuale che può riguardare l’Oculista che ha a che fare con le lenti a contatto in chirurgia rifrattiva è l’utilizzo della lente a contatto giusta. Questo è un elemento che non va banalizzato: va studiata una lente con un raggio di curvatura giusto ed un materiale adeguato, al fine di ridurre ogni fenomeno ipossico. Per questo motivo la conoscenza di base della chimica dei materiali delle lenti a contatto è indispensabile per comprenderne il comportamento clinico. • Gli idrogel di silicone sono una soluzione attuale per la loro elevata trasmissibilità di ossigeno. • Per contro il loro utilizzo continuo presenta a tutt’oggi alcune incognite.

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• La nostra esperienza clinica mantiene per ora un atteggiamento prudenziale su questi nuovi materiali. • Gli idrogel di silicone, per i loro elevati tassi di trasmissibilità di ossigeno, avranno un futuro sicuro, mentre si prevede che gli idrogel convenzionali diventeranno obsoleti entro i prossimi dieci anni.

Un promettente filone di ricerca è costituito dalle lenti a contatto in gel di collagene, che ha dimostrato[7]: • una permeabilità doppia all’ossigeno rispetto alle lenti in idrogel convenzionale; • la capacità di conservare le cellule epiteliali corneali in vitro; • la capacità di lubrificare, assorbire collagenasi ed attirare neutrofili, favorendo la guarigione tissutale


NOTE





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