iNBiCi magazine anno 10 - 5/6 Maggio-Giugno 2018

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PERIODICO IN DISTRIBUZIONE GRATUITA ANNO IX - N. 5/6 MAGGIO-GIUGNO / 2018

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FROOME CONQUISTA IL GIRO D’ITALIA L’Italia ha scoperto che il “robot” sa vincere anche con il cuore

NEL MONDO DI GIOVANNI SAVIO

“L’ammiraglia mi emoziona ancora, perdonatemi ma la pensione può attendere”

LA SVIZZERA SUI PEDALI

Il re del triathlon non lascia il trono “Ho ancora stimoli”




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SCATTO D’AUTORE GIRO D’ITALIA 2018 - EILAT ISRAEL by Bettiniphoto

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MONDO ACSI

a cura della redazione

Prime coccarde tricolori 4

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Pedalate da campioni per ACSI Ciclismo nel mese di giugno, a partire dal “Rally di Romagna” a Riolo Terme (RA) in programma dal 31 maggio al 4 giugno per sognare sulle ruote artigliate. Domenica 3 giugno 90 chilometri con 2900 metri di dislivello condiranno la prima Ultra Marathon della Romagna dopo essere partiti nella giornata di giovedì con 15 km e 500 metri di dislivello in direzione “Cava di Monte Tondo”, proseguendo nelle giornate successive con - nell’ordine - 47 km e 1700 metri di dislivello, 55 km e 1900 metri di dislivello, gli spettacolari 90 km della tappa regina che assegnerà la maglia tricolore di Campione Nazionale ACSI ed i 40 km e 1000 metri di dislivello della quinta prova di lunedì 4 giugno.


A Riolo Terme si assegna la maglia di campione nazionale. Ma giugno propone anche fantastiche emozioni tra Camerino, Auronzo di Cadore e Bagno di Romagna

Davvero un evento da non perdere, che vanta il “tutto esaurito” anche dal punto di vista alberghiero. Duemila i visitatori previsti, un aumento esponenziale degli iscritti all’evento ACSI, tra i primi d’Europa in materia di ruote grasse, giornate sensazionali da vivere con la passione per le due ruote nella testa e nel cuore. Dagli sterrati all’asfalto, ACSI Ciclismo non fa mancare nulla ai propri corridori proseguendo a spron battuto con il Campionato Nazionale granfondo-mediofondo, giunto ad affrontare la Granfondo Terre dei Varano del 3 giugno a Camerino (MC), con tre percorsi dedica-

ti sia agli agonisti che ai cicloturisti, di 154 km e dislivello totale di 3.300 metri, di 102 km e 2.000 metri di dislivello, chiudendo con il non agonistico di 75 km e 1.100 metri di dislivello, “ripartendo” più forti che mai dopo gli eventi sismici che hanno colpito queste terre. Il 10 giugno largo agli scenari dolomitici con ACSI a compiere un vero e proprio viaggio culturale in lungo e in largo nel Belpaese. La 3Epic Cycling Road ad Auronzo di Cadore (BL) porterà alla luce la bellezza delle Tre Cime di Lavaredo e le arrampicate verso il cielo sui tratti Passo di Sant’Antonio – Danta di Cadore, superando i tornanti che apriranno la vista verso il sottostante Lago di Auronzo, senza dimenticare il Comelico e le Dolomiti di Sesto, Val Visdende – Forcella Zovo, alla scoperta degli ampi e scenografici spazi e di un ambiente incontaminato, Costalissoio, scalata per veri grimpeur nel consueto contesto ambientale da brividi, Passo di Sant’Antonio, breve ma allo stesso tempo aspra ed irregolare, fra prati, boschi ed un ambiente rustico, chiudendo con la Misurina da passisti e la Tre Cime di Lavaredo – Rifugio Auronzo a consegnare agli atleti un’ascesa ai confini del cielo. Nella medesima giornata ci sarà anche la Granfondo del Capitano a Bagno di Romagna (FC), tra Toscana ed Emilia-Romagna nel cuore del Parco delle Foreste Casentinesi, riserva naturale patrimonio mondiale UNESCO. Qui i percorsi proposti saranno due:

un tracciato medio di 75 km per 1700 metri di dislivello e un tracciato lungo di 140 km per 3100 metri di dislivello. Tra l’agonismo e il cicloturismo, il mix è perfetto per regalarsi una competizione adatta sia al corridore “assetato di vittoria” come al tranquillo amatore. Il soggiorno è “garantito” anche dal comitato organizzatore, il quale propone all’interno del pacco gara degli atleti un buono utilizzabile dal 10 giugno al 31 dicembre 2018 per soggiornare a prezzi agevolati in uno degli hotel convenzionati.Per la fine del mese di giugno si tornerà in altura, con la Granfondo Gavia e Mortirolo a proporre un itinerario rigorosamente “all’insù” di 80 km, un “medio” di 150 km ed un “lungo” di 170 km e 4200 metri di dislivello, giungendo solo dove le aquile sono in grado di osare. Start ad Aprica (SO), alla volta dei Passi Santa Cristina, Gavia e Mortirolo, sulle erte che hanno fatto la storia del Giro d’Italia e che rappresenteranno uno dei punti clou del Campionato Nazionale ACSI, mentre nel frattempo, ad Urbino (PU), si svolgerà la Granfondo Straducale lungo i tracciati di 136 e 90 km, anche in questo caso in modalità agonistica e cicloturistica, poiché ACSI sforna competizioni ardite sia per gli agonisti che per i semplici pedalatori della domenica, i quali avranno a propria disposizione la consueta esemplare organizzazione e interessanti assaggi di ciò che il Belpaese su due ruote è in grado di offrire. LIFESTYLE INBICI

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Sommario Maggio / Giugno 2018 // Numero 5-6

Chris Froome

Marino Vigna

Il robot sa vincere anche con il cuore

Marco Velo

MONDO ACSI

a cura della redazione

INBICI TOP CHALLENGE a cura della redazione

COSMOBIKE 2018 a cura della redazione

ASMA, DUBBI E VERITÀ di Carlo Gugliotta GF CHARLY GAUL

a cura della redazione

GF GAVIA-MORTIROLO a cura della redazione GF DEL CAPITANO a cura della redazione

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“Perdonatemi, ma non ho voglia di andare in pensione”

Bike-economy

La Svizzera in bici

“Il maglificio Rosti “Oltre i nostri sogni”

“Le vittorie più belle? Quelle dei miei capitani”

04 22 34 46 53 58 64

Giovanni Savio

“Ho insegnato a Merckx ad andare piano...”

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NEL REGNO DI COPPI a cura della redazione LA MOSERISSIMA a cura della redazione

MENTE IN SELLA di Claudia Maffi FOCUS SUL PRODOTTO di Maurizio Coccia

FOCUS SULLE AZIENDE di Maurizio Coccia GIRO DELLE MINIERE a cura della redazione

DONNA INBICI di Ilenia Lazzaro

Il nuovo Eldorado dei ciclisti europei

98 112 116 120 128 142 146

FOCUS SUL PRODOTTO di Maurizio Coccia

IL LABORATORIO SHIMANO di Maurizio Coccia

TRENTINO MTB

a cura della redazione

BENVENUTI A TRENTO a cura della redazione

BIKE FESTIVAL 2018 di Roberto Diani

GRANFONDO DI TORINO a cura della redazione

TILIMENT MARATHON BIKE a cura della redazione


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GRUPPO EDITORIALE INBICI Direzione e Amministrazione Viale della Repubblica, 100 - 47923 Rimini (RN) Direttore Generale Maurizio Rocchi Direttore Responsabile Mario Pugliese Vice Direttore Carlo Gugliotta

In Redazione Mario Pugliese, Dr. Roberto Sgalla, Riccardo Magrini, Wladimir Belli, Gian Luca Giardini, Silvano Antonelli, Prof. Fabrizio Fagioli (Equipe Velosystem), Paolo Mei, Claudia Maffi, Nicola Zama, Dr. Alexander Bertuccioli, Silvano Antonelli, Carlo Gugliotta, Manuela Ansaldo, Ilenia Lazzaro, Eleonora Pomponi Coletti, Davide Pegurri In Redazione Tecnica Maurizio Coccia, Roberto Diani Fotografi Playfull, Bettini Photo, Newspower, Archivio fotografico selezione fotografica a cura di Gianni Rocchi Distribuzione Italian Business Management LTD Progetto Grafico Roberta Piscaglia Responsabile Marketing Sara Falco Responsabile Facebook Gianni Rocchi Stampa La Pieve Poligrafica Editore Per la tua pubblicità Maurizio Rocchi +39 393.9838319 Giorgio Puppi +39 346.0823300 Mauro Scovenna +39 345.6339615 Ufficio Marketing 0541.395102 Website www.inbici.net E-mail info@inbici.net Diritti e proprietà GRUPPO EDITORIALE INBICI Sara Falco Editore Reg. imprese n° REA FO 323603 Iscrizione Registro Tribunale di Forlì nr. 3/2013 del 5 aprile 2013. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale di articoli, foto e disegni senza autorizzazioni del GRUPPO EDITORIALE INBICI.

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EDITORIALE

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Lo sport più bello del mondo Ci lasciamo alle spalle un primo scorcio d’estate esaltante in cui il ciclismo, fedele alla sua imprevedibilità, si è divertito a stravolgere gerarchie e a dissolvere certezze. Da oggi sappiamo che Froome non è un robot spento e inespressivo, bensì un campione ardente e profondo, di quelli capaci di lasciare il segno anche nei cuori dei tifosi, oltre che negli albi d’oro dei grandi giri.

Sappiamo che Dumoulin non è una meteora ma un degno antagonista, che Aru non è ancora un fuoriclasse e che Viviani è finalmente diventato uno sprinter di livello mondiale. Questo e molto altro ci ha detto un Giro incerto ed emozionante che, ancora una volta, ha dimostrato la bellezza di questo sport capace di esaltare le folle e di mettere a tacere i soliti detrattori. Una scia di passione che avevano già assaporato sulle strade della Via del Sale e della Nove Colli, le celebrazioni più solenni e partecipate del ciclismo amatoriale, eventi popolari che sembrano fatti apposta per ricordarci che, da Roma a Cesenatico, il ciclismo resta - oggi come ieri - lo sport più bello del mondo.

Maurizio Rocchi

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IL GIRO D’ITALIA 2018 Capolavoro

Froome a cura di Carlo Gugliotta e Davide Pegurri

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Il Giro d’Italia più bello degli ultimi anni è stato vinto da Chris Froome. Un’edizione bellissima perché non c’è mai stato un padrone assoluto: solo Simon Yates sembrava sul punto di essere il vero dominatore di questo Giro, ma la situazione si è rovesciata completamente proprio quando i giochi sembravano fatti. Il #Giro101 sarà ricordato nei prossimi anni come il Giro d’Italia delle “grandi crisi” che hanno colpito tutti i protagonisti. Gli unici corridori che sono riusciti ad essere sempre in forma, lungo tutti i giorni delle tre settimane di gara, sono stati Tom Dumoulin e Chris Froome.

Il keniano vince la sua prima corsa rosa, conquista i tifosi italiani ed entra nella storia del ciclismo. Dalla conferma Dumoulin alle “grandi crisi” di Yates e Aru, ecco cosa resterà di questa meravigliosa edizione

Il bolero di Froome In realtà il keniano bianco non aveva iniziato proprio nel modo migliore la corsa rosa, alla quale mancava dal 2010, anno in cui fu squalificato per essersi attaccato ad una macchina mentre affrontava una salita. Da quel giorno, il corridore del Team Sky non ha più pedalato sulle strade della corsa rosa, ma è anche vero che nel frattempo sono cambiate un bel po’ di cose: Froome diventa prima il gregario più forte di Bradley Wiggins, poi inizia a vincere. Prima il Tour, nel 2013, nel 2015, nel 2016 e nel 2017. Lo scorso anno, dopo aver vinto per la quarta volta in Francia, decide di andare in Spagna, e fa sua anche la Vuelta. La decisione di partecipare al Giro d’Italia 2018 è stata quindi naturale, così come lo sarà anche quella di partecipare al Tour, visto che già lo scorso anno Chris è riuscito a mettere a segno la doppietta in due grandi giri. La corsa rosa inizia con due cadute: una molto brutta a Gerusalemme, durante la ricognizione della cronometro inaugurale, poi sulla salita di Montevergine di Mercogliano. Il giorno dopo, mentre il duo della Mitchelton Scott, formato da Simon Yates ed Esteban Chaves, dominava la tappa con arrivo in salita sul Gran Sasso, Froome soffriva e perdeva terreno. Una prima settimana non facile per il capitano del Team Sky, ma la squadra non si è mai persa d’animo. “Il Giro d’Italia è una corsa pazza, è una corsa nella quale le cose possono cambiare da un giorno all’altro”, diceva tutti i giorni Salvatore

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L’attacco di Chris Froome sul Colle delle Finestre

Il primo capolavoro di Froome è sul Monte Zoncolan Puccio a Chris Froome. Ed effettivamente è stato così. Il primo capolavoro di Froome è sul Monte Zoncolan. Dopo uno splendido lavoro di Wout Poels, il keniano bianco decide di attaccare. Simon Yates, che veste la maglia rosa, decide di rispondere, ma gli manca qualcosa. Chris ottiene la vittoria e il Giro sembra riaperto, ma le speranze di vittoria sembrano naufragare il giorno dopo a Sappada, quando Yates si inventa un attacco a 15 km dall’arrivo e tutto solo ottiene il trionfo con la maglia di leader. Il Giro d’Italia, che era appena stato riaperto, sembra chiudersi di nuovo anche con la cronometro, in quanto la maglia rosa, pur non essendo fortissima a cronometro, riesce a 14

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difendersi in maniera egregia dagli attacchi di Froome e Dumoulin. Gli ultimi quattro giorni del Giro d’Italia mettono in mostra tutta la forza di Froome e tutti i problemi di Simon Yates, che fino a quel momento sembrava imbattibile. Il capitano della Mitchelton Scott perde 28” a Pratonevoso, frazione nella quale l’olandese e il keniano bianco attaccano frontalmente la maglia rosa. Poi, il giorno seguente, Froome fa letteralmente impazzire tutti i tifosi del Giro d’Italia, anche quelli che non vedevano di buon occhio la sua presenza. Siamo sul Colle delle Finestre, Cima Coppi del Giro. Yates si è già staccato per via di una bruttissima crisi. Mancano 80 km al traguardo: Chris Froome attacca,

Dumoulin non riesce a rispondere, così come Pozzovivo e Pinot. Froome ha più di tre minuti da recuperare se vuole conquistare la maglia rosa. Ottanta chilometri in avanscoperta, tutto solo, superando il Colle delle Finestre, Sestriere e Jaffreau, arrivo in quota. Il capitano della Sky vince ed è maglia rosa. Un attacco bellissimo, qualcosa che non si vede più nel ciclismo moderno. Soprattutto da Chris Froome, considerato da sempre un freddo calcolatore e non un corridore fantasioso. La fantasia c’è stata, ma l’azione non è stata improvvisata. Il piano e la follia. La sera prima della tappa dello Jaffreau, prima di far saltare il banco, Chris


Mancano 80 km al traguardo: Chris Froome attacca, Dumoulin non riesce a rispondere, così come Pozzovivo e Pinot. Froome ha più di tre minuti da recuperare se vuole conquistare la maglia rosa. chiama attorno a sè tutta la squadra, e tutti pianificano l’attacco considerando anche i rifornimenti (inserendo tanti massaggiatori lungo il percorso, pronti a passare borracce e barrette) e il dispendio energetico in vista della tappa di Cervinia. Tutto va alla grande, la gamba di Chris gira perfettamente. “Ero indietro più di 3 minuti rispetto a lui, quindi abbiamo deciso di fare qualcosa di straordinario, provare ad attaccare a 80 km dal traguardo. È stata una cosa pazza, la cosa più pazza che abbia mai fatto in bici”, spiega il keniano bianco. Il controllo nella tappa di Cervinia permette a Froome di conquistare il suo primo Giro d’Italia in carriera. Chris ottiene così la tripla corona, diventando il settimo corridore nella storia del ciclismo capace di

Il piano e la follia. La sera prima della tappa dello Jaffreau, prima di far saltare il banco, Chris chiama attorno a sè tutta la squadra, e tutti pianificano l’attacco considerando anche i rifornimenti (inserendo tanti massaggiatori lungo il percorso, pronti a passare borracce e barrette) e il dispendio energetico in vista della tappa di Cervinia.

Nella foto in alto e in basso, gli attacchi di Tom Dumoulin a Chris Froome sul Cervinia


Domenico Pozzovivo

Per l’Italia resta il rammarico legato a Domenico Pozzovivo, il quale sperava di fare una bella gara sullo Jaffreau con l’obiettivo di conquistare il podio di Roma, e invece anche lui è andato in crisi dopo l’attacco di Froome. vincere tutti e tre i grandi giri. In questo club così ristretto ci sono anche Alberto Contador, presente a Roma alla cerimonia di premiazione finale, insieme a Vincenzo Nibali, Bernard Hinault, Eddy Merckx, Jacques Anquetil e Felice Gimondi. Froome è anche il terzo corridore nella storia capace di vincere 3 grandi giri consecutivi dopo Merckx e Hinault. Yates, il crollo dopo l’illusione Ma questo sarà ricordato anche come il Giro delle grandi crisi. In primis per Fabio Aru (di cui parleremo a parte). Ma anche per Simon Yates, in crollo verticale nella tappa con la Cima Coppi dopo 13 giorni in maglia rosa e tre vittorie di tappa. Secondo i tecnici

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della Mitchelton Scott, il britannico sarebbe andato in cisi dopo la cronometro, in quanto non è riuscito a recuperare dopo uno sforzo così intenso. Ma Yates è molto giovane, lo scorso anno è stato maglia bianca al Tour de France, quindi può ancora migliorare. Per l’Italia resta il rammarico legato a Domenico Pozzovivo, il quale sperava di fare una bella gara sullo Jaffreau con l’obiettivo di conquistare il podio di Roma, e invece anche lui è andato in crisi dopo l’attacco di Froome. Per non parlare di Thibaut Pinot, che non ha potuto concludere il Giro a causa di una brutta febbre che lo ha colpito dopo la tappa di Cervinia, insieme alla disidratazione.

Dumoulin, la conferma Paradossalmente, il corridore più continuo di questo Giro d’Italia è stato Tom Dumoulin, proprio lui che in genere è sempre vittima di una brutta giornata nei grandi giri. Ricordate la crisi dello scorso anno a Bormio, quando si fermò per espletare dei bisogni fisiologici? Ebbene, quest’anno non ha mai avuto problemi, però questo ottimo stato di forma non gli ha permesso di riconquistare la rosa. Sicuramente sarà un bel punto di partenza per Dumoulin, che sarà ancora più costante. “Non ho rimpianti”, ha spiegato l’olandese, nemmeno dopo la discesa del Colle delle Finestre, dove si era fermato ad aspettare Reichenbach insieme


Fabio Aru

Forse, mai come quest’anno, il Giro d’Italia avrebbe dovuto rappresentare il momento della verità nella carriera, fin qui invidiabile, del campione italiano Fabio Aru.

a Pinot. Ma ormai la storia è scritta. E ora, anche alla luce della vicenda salbutamolo che ha colpito Chris Froome, vediamo di non doverla riscrivere. Il rebus Aru Un Giro da dimenticare per Fabio Aru. Il sardo non è entrato mai nel vivo della corsa e ha deluso le attese dei tifosi italiani che confidavano in lui per tornare a sognare. Ora ci sarà tempo per capire i motivi di questo insuccesso e ripartire con una nuova consapevolezza. Forse, mai come quest’anno, il Giro d’Italia avrebbe dovuto rappresentare il momento della verità nella carriera, fin qui invidiabile, del campione italia-

no Fabio Aru. Il ciclista sardo, dopo essersi piazzato per ben due volte sul podio della Corsa Rosa - terzo nel 2014 e secondo l’anno successivo - in questo 2018 era chiamato a dare ulteriori segnali di crescita e maturazione. Ovviamente, essendoci corridori del calibro di Tom Dumoulin e Chris Froome, non era considerato il favorito numero uno per la vittoria finale, tuttavia, ci si aspettava di vederlo sempre davanti, quasi in un “testa a testa” con tutti i migliori; ma alla fine così non è stato e oggi possiamo affermare che la vera delusione di questo Giro è stata proprio la prestazione di Fabio Aru. Il capitano della UAE Team Emirates è partito fin da subito col piede sbagliato, perdendo secondi preziosi nella cronometro di Gerusalemme, e ha proseguito in maniera ancora più negativa, facendosi cogliere impreparato sulle prime salite e perdendo definitivamente ogni possibilità di podio nella frazione con arrivo a Sappada, dove ha accusato un ritardo superiore ai diciannove minuti. Nella sedicesima tappa invece, la cronometro da Trento a Rovereto, il campione italiano ha sorpreso tutti rendendosi protagonista di una prova superba, salvo poi essere penalizzato dal VAR, assieme

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La crisi di Thibaut Pinot

Fabio Aru ha già dimostrato di essere un campione e penso che, con la grinta che sempre l’ha contraddistinto, saprà ancora regalarci delle emozioni e dei grandi successi. ad altri due compagni di squadra (Diego Ulissi e Valerio Conti) per aver sfruttato la scia di una delle moto che lo precedevano. Dopo quella che per molti era stata una macchia alla reputazione del team, Fabio Aru era atteso da tutti ad un segnale di riscatto, magari nel tappone con la Cima Coppi, e invece, proprio mentre Chris Froome firmava un’impresa d’altri tempi, conquistando la maglia rosa, il ciclista sardo - dopo solo 41 km di corsa - decideva di mettere a terra il piede e concludere così la sua esperienza rosa. Il capitano della UAE Team Emirates, assumendosi le sue responsabilità, ha voluto commentare la decisione di ritirarsi con queste parole: “Avevo detto che avrei valutato giorno per giorno le mie sensazioni proprio perché sentivo di vivere qualcosa di anomalo della mia vita sportiva. Ho provato a reagire, onorare la maglia che indosso, esaltare i tifosi e la corsa Rosa, ma non ce l’ho fatta. Sono fortemente dispiaciuto per tutto questo, per la mia squadra, per gli sponsor che rappresento, per la mia famiglia, ma non aveva più senso andare avanti. Non faccio drammi, questo è lo sport e forse, anche se mi costa dirlo in questo momento, è il suo bello. Cercherò di resettare e di capire assieme alla squadra cosa sia successo, poi ripartirò pensan18

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do al resto della stagione, perché è questo quello che si deve fare nelle difficoltà”. Proprio come espresso dalle parole di Fabio, in questo sport è fondamentale cercare di far luce su ciò che non ha funzionato, per poter ripartire e migliorare. Le cause ipotizzate di questa debacle sono state molte: per alcuni il corridore sardo ha completamente sbagliato la preparazione al Giro correndo poche corse, per altri invece il clima che si respirava ultimamente in casa UAE era teso da giorni e ha destabilizzato la squadra,

compromettendo le prestazioni del loro capitano. Quello che però emerge da un’analisi più attenta, in riferimento al periodo precedente alla Corsa Rosa, è il fatto che il sardo ha corso più giorni rispetto a quanto fatto in passato. Forse allora, una delle motivazioni può essere legata a questo fatto, soprattutto se consideriamo che corridori come Chris Froome e Tom Dumoulin ci hanno abituato a preparare i grandi appuntamenti, centellinando le loro partecipazioni alle competizioni. In quanto al “clima teso”, penso che un vero campione, nel momento in cui si prepara a competere per la vittoria di qualsiasi corsa, deve essere capace di non farsi influenzare da aspetti esterni, concentrandosi solo sull’obiettivo. Sicuramente questa esperienza aiuterà il sardo a diventare mentalmente più forte e a resistere alle pressioni, legate alle alte aspettative nei suoi confronti. È quasi impossibile, per via degli innumerevoli fattori che sono intervenuti, sapere con precisione quale sia stato il motivo di questo insuccesso, tuttavia un vero campione si vede solo quando, di fronte a queste avversità, è capace di rialzarsi, combattere e tornare più forte di prima. Fabio Aru ha già dimostrato di essere un campione e penso che, con la grinta che sempre l’ha contraddistinto, saprà ancora regalarci delle emozioni e dei grandi successi. Credit Bettiniphoto

Simon Yates scortato dai compagni nel giorno della crisi


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in copertina

Il robot

ha un cuore Chris Froome si porta a casa, oltre al Giro, anche la stima della tifoseria italiana che, prima dello scatto epico sul Colle delle Finestre, non lo aveva mai amato In Italia - dove il campione di ciclismo per essere amato, oltre che vincere, dev’essere un martire della sofferenza il signor Christopher Froome non è mai stato l’idolo delle folle. A dispetto di quel palmares da fuoriclasse planetario (in bacheca quattro edizioni del Tour de France), del keniota non piaceva quel modo inespressivo di stare in bicicletta, di misurare lo sforzo con il software del cervello, senza concedere mai un sussulto, un palpito di eroismo al ciclismo del cuore. Froome, in Italia, era un campione rispettato, ma non amato. Troppo freddo e calcolatore per accendere il tifo di chi, nella sua vita, ha visto il sangue di Bartali, Coppi e Pantani. Poi è arrivato il Giro, che lo ha voluto e corteggiato, pungolandolo sugli stimoli di una “nuova sfida”. Froome è partito in sordina, correndo come sempre “al risparmio”, centellinando le energie, pedalando in maniera speculare, in linea con i pregiudizi di sempre. Poi sono arrivate le montagne, quelle che non ammettono i bluff. E Froome ha cambiato la storia. Con un’impresa d’altri tempi, studiata più col cuore che col cervello, è partito ad 80 chilometri dal traguardo, regalando una delle pagine più esaltanti del ciclismo moderno. Davanti alla tivù, incollati come ventose, i tifosi italiani, in un pomeriggio, hanno cambiato opinione. Wellcome in Italy, mister Chris, campione col cervello ma, da oggi, anche col cuore.

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a cura della redazione

INBICI TOP CHALLENGE

Ecco i leader dopo cinque prove Il leader della classifica Assoluti Granfondo Uomini è Wladimiro D’Ascenzo, tra le donne comanda, invece, Erika Paganini. Nel mediofondo in testa c’è Stefani Nicoletti, mentre tra le donne la regina è Marina Lari. E adesso tocca alle grandi montagne… 22

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Intanto, a margine dei motivi “agonistici”, prosegue anche la stagione dell’InBici Top Village, la grande carovana itinerante presente in tutte le tappe del Circuito 2018. Con la disputa della Gran Fondo Via del Sale di Cervia (6 maggio) e della Gran Fondo degli Squali di Cattolica e Gabicce (13 maggio), l’InBici Top Challenge ha ufficialmente archiviato altre due tappe del suo calendario, superando idealmente il giro di boa.

A questo punto, per decretare i vincitori dell’edizione 2018 mancano solo tre prove: la Gran Fondo 3Epic Ciclyng di Auronzo di Cadore (10 giugno), la Gran Fondo Gavia Mortirolo dell’Aprica (24 giugno) e la Gran Fondo La Leggendaria Charly Gaul di Trento (8 luglio). Si tratta, altimetria alla mano, di tre tappe tecnicamente molto impegnative, pensate in particolare per gli appassionati della montagna. LIFESTYLE INBICI

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Una grande vetrina per le aziende partner che hanno così l’opportunità di veicolare i loro messaggi promozionali verso un pubblico selezionatissimo di appassionati nelle “capitali italiane” del ciclismo amatoriale. Dunque, i giochi in tutte le categorie restano apertissimi perché, tra il 10 giugno e l’8 luglio, il banco potrebbe saltare più di una volta. Del resto, non sarebbe la prima volta che le montagne del Cadore, il Mortirolo e il Bondone si rivelassero decisive per l’esito di un grande Giro. È capitato tante volte ai campioni celebrati del professionismo e la storia potrebbe ripetersi quest’estate anche per gli irriducibili amatori dell’InBici Top Challenge. Ma vediamo quali sono, dopo la Gran Fondo degli Squali, a tre tappe dalla fine, i verdetti provvisori nelle classifiche assolute dove, rispetto alla Via del Sale, non si registrano avvicendamenti ai vertici: dopo cinque prove, il leader della classifica Assoluti Granfondo Uomini è Wladimiro D’Ascenzo (430 punti), portacolori del Gc Omm-Melania-Faleria. Tra le

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donne comanda, invece, la portacolori del Team Bike Innovation Focus Rosti Erika Paganini (345 punti). Nel mediofondo maschile, con 500 punti tondi, la leadership provvisoria è di Stefani Nicoletti (Asd Stemax Team), mentre

tra le donne la regina è Marina Lari (360 punti) del Team Bike Innovation Focus Rosti. Quattro leader ormai consolidati che detenevano, come detto, la maglia del primato anche dopo la Via del Sale.


photo : Marco BONOMO I Unsplash.com

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SCATTO D’AUTORE GIRO D’ITALIA 2018 - CATANIA CALTAGIRONE by Bettiniphoto

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Quello che non ho mai scritto

di Gianfranco Josti

Marino Vigna - ph. Guido Rubino

Marino Vigna

“Ho insegnato a Merckx ad andare piano”

Chi è Gianfranco Josti

Gianfranco Josti è uno dei più autorevoli giornalisti del mondo del ciclismo. Decano dei giornalisti italiani, penna pungente e fine conoscitore del mondo dello sport, per anni firma di punta del Corriere della Sera, autore di tanti libri di successo.

Ignorato dalle biografie, ma determinante nella carriera del Cannibale, il tecnico milanese racconta in esclusiva la genesi e la maturazione del campionissimo fiammingo. Partendo dallo storico trionfo al Giro d’Italia di 50 anni fa 28

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L’appuntamento è in pieno centro: BIANCHI CAFFÈ, a pochi metri dal Duomo di Milano. Aperto dalla colazione alla cena, questo raffinato locale presenta una sequela di ampi spazi che ospitano anche un ristorante, un negozio di biciclette ed una ciclo-officina. Da qui, all’ombra della Madonnina, la gettonata coppia Luca Gregorio-Riccardo Magrini trasmette per Eurosport le fasi salienti del Giro d’Italia in un ministudio allestito in uno dei locali, grande attrattiva per gli appassionati di ciclismo perché di questi tempi è facile incontrare importanti personaggi del mondo delle due ruote. E ancor più facile è scambiare opinioni e battute con i due telecronisti. Al Bianchi Caffè, mentre scorrono sul maxi-schermo le immagini della corsa rosa, ho deciso di rivivere il Giro di cinquant’anni fa e del suo straordinario interprete, Eddy Merckx, con colui che l’ha guidato in quella fantastica esperienza. Molti, per non dire troppi, hanno dimenticato che a pilotare colui che nel volgere di un paio d’anni si sarebbe trasformato nel “Cannibale” era un tecnico milanese, Marino Vigna. Molti storici nel riproporre la straordinaria carriera del più forte ciclista di tutti i tempi non fanno alcun accenno a questo personaggio talmente riservato e schivo da essere completamente ignorato. Dopo varie esperienze come c.t. della pista, prezioso assistente del c.t. Martini, dirigente della Lega, degli Azzurri d’Italia, degli olimpionici, Vigna riveste in seno alla Bianchi il ruolo di “responsabile reparto squadre per i giovani” quindi mi pareva logico intervistarlo “a casa sua”. Ecco il suo racconto. “Avevo concluso la stagione 1967 in seno alla Vittadello con un buon piazzamento al Giro di Lombardia su un percorso non certo adatto alle mie caratteristiche. Avrei potuto e voluto continuare perché la cabala mi era favorevole, negli anni pari, infatti, erano sempre arrivati i migliori risultati. Ai Giochi di Roma ‘60, dilettan-

Tutti conoscevamo le doti di Merckx, ma tutti nutrivano dubbi sulla sua tenuta in una grande corsa a tappe come era emerso nel corso del Giro ’67 te, avevo conquistato la medaglia d’oro nell’inseguimento a squadre insieme con Arienti, Testa e Vallotto, mentre nel ’64 ho vinto la Tre Valli Varesine, una tappa del Giro di Romandia ed il Giro delle Tre Province. A trent’anni potevo fare ancora qualche cosa, ma Fiorenzo Magni mi ha convinto a smettere e a collaborare con Vincenzo Giacotto nella gestione della Faema che aveva deciso di rientrare nel ciclismo”. Piccola curiosità: dieci anni prima, il marchio della nota azienda di macchine da caffè campeggiava sulla maglia di Rik Van Looy, uno dei ciclisti fiamminghi più amati, due volte campione del mondo, vincitore delle classiche più ambite dalla Roubaix al Lombardia.Come siete riusciti ad ingaggiare Merckx?: “Merito di Vincenzo Giacotto che ha saputo dare al giovane corridore quelle garanzie che andava cercando. Mi spiego. Merckx nel 1964 si è laureato campione del mondo dilettanti, a Sallanches. Qualche tempo dopo a Tokyo ha fallito il traguardo olimpico, cosa che ha sempre rimproverato a Gimondi ‘hai impedito che io vincessi’, lo apostrofava e Felice

di rimando ‘ma io ho permesso ad un mio compagno, Zanin di conquistare la medaglia d’oro’. Nella primavera del ’65, non ancora ventenne, è approdato al professionismo nella Solo Superia che aveva come leader i due mostri sacri fiamminghi, Rik Van Steenbergen e Rik Van Looy. Chiaro che non potesse avere libertà d’azione, per questo la stagione successiva - su consiglio del suo procuratore Van Buggenhout - accettò l’ingaggio della Peugeot. Con quella maglia colse le prime importantissime vittorie: Milano-Sanremo per due anni consecutivi, campionato del mondo nel ’67 dopo essersi aggiudicato Gand-Wevelgem, Freccia Vallone e due tappe del Giro d’Italia. In quella formazione di tutti francesi c’erano solo tre stranieri, lui appunto, l’inglese Tom Simpson e lo svizzero Andrè Zimmermann. Ovvio che non si sentisse a proprio agio. A Heerlen, alla vigilia del mondiale che vinse entrando nella fuga propiziata da Motta fin dalle prime battute, sottoscrisse il contratto con la Faema. Giacotto, pur di averlo in squadra, aveva acconsentito ad ingaggiare otto fiamLIFESTYLE INBICI

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“Ho insegnato a Merckx ad andare piano” minghi: Lelangue, Van Schil, Swerts, Van den Bossche, Sercu, Spruyt, Reybrouck e De Fauw. Come è stata accolta la calata dei fiamminghi in una squadra italiana? “Tutti conoscevamo le doti di Merckx, ma tutti nutrivano dubbi sulla sua tenuta in una grande corsa a tappe come era emerso nel corso del Giro ’67. Per questa ragione era stato ingaggiato Vittorio Adorni, con un bello stuolo di gregari fidati perché offriva le più ampie garanzie dopo che aveva dominato il Giro ’65. Avevamo programmato una stage in Calabria e, su suggerimento di Adorni, avevo preparato un circuito molto impegnativo, per sottoporre i nuovi acquisti ad una sorta di test. I corridori italiani ci tenevano a far bella figura, Adorni soprattutto, tanto che si era presentato al raduno ben rodato. Invece Eddy era reduce da un inverno diciamo molto intenso. Si era appena sposato, aveva fatto qualche sei giorni ed era notorio che durante la sosta invernale i corridori del nord non facevano certo vita da atleti. Credit foto GettyImages

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Primo allenamento, i corridori italiani ci danno dentro, ma dopo alcune ore Adorni si avvicina all’ammiraglia e mi sussurra ‘per oggi basta così altrimenti questo qui ci stacca tutti’. È stato il primo impatto”. Lei che cosa ha fatto per inquadrare un corridore così estroso? “Gli ho insegnato ad andare piano” è la sorprendente risposta, che poi Marino Vigna articola meglio: “Come tutti i belgi, Eddy pensava che ogni corsa fosse da affrontare come una classica, ma soprattutto l’ho convinto ad alimentarsi correttamente in corsa e fuori corsa. I risultati si videro subito: concluso lo stage in Calabria ed il Giro di Sardegna aveva già perso qualche chilo. Ricordo che dopo aver vinto la sua prima Parigi-Roubaix mi disse ‘non avrei mai pensato che così magro avrei potuto affrontare il pavé’. Altra cosa su cui ho insistito molto: affrontare e sfruttare le discese. Con qualche opportuno accorgimento Eddy ha imparato ad essere pienamente padrone della bici e spesso ha sfruttato la sua abilità di disce-

sista. Ma forse il mio maggior merito è quello di avere accolto Merckx come un mio corridore, non ho mai pensato al suo passaporto e che parlava un’altra lingua. Si è stabilito un bel rapporto di amicizia e di reciproca stima. Da noi alla Faema, si è sentito a casa”. Veniamo al Giro. Ci sono stati momenti difficili? “La cosa più complicata era convincerlo a stare calmo e non attaccare tutti i giorni. Il percorso era abbastanza diverso dal solito, non solo perché il traguardo finale era fissato a Napoli ma anche perché le difficoltà più insidiose erano piazzate nella seconda settimana, con l’arrivo alle Tre Cime di Lavaredo (per cancellare la vergogna delle spinte dell’anno precedente) e la cronometro di San Marino. Bene, dopo il prologo prime due tappe, due vittorie: una in volata battendo Basso ed una per distacco a Saint Vincent. Abbiamo faticato non poco Giacotto ed io ma anche Adorni a convincerlo che era meglio che la maglia rosa passasse sulle spalle di altri per non logorare la squadra. Così per una settimana è stato Dancelli ad indossarla ed Eddy non era certo felice. Arriva la tappa delle Tre Cime e la tattica studiata a tavolino è che Eddy scatta quando la strada comincia a salire. Parte la solita fuga da lontano, noi siamo ben rappresentati da Casalini e da Armani ma Merckx scalpita. Dopo un po’ Radiocorsa annuncia che Eddy ha lasciato il gruppo, gettandosi tutto solo all’inseguimento dei battistrada. Arrivo all’altezza di Adorni e gli chiedo ‘gliel’hai detto tu di scattare?’ ‘no, ho cercato di tenerlo buono ma lui ha fatto di testa sua. Prova tu a fermarlo, io non ci sono riuscito’. Forzando il blocco della giuria l’ho affiancato, e l’ho convinto a desistere, minacciando di travolgerlo con l’auto se non ubbidiva. Ad Auronzo i fuggitivi avevano ancora dieci minuti di ritardo. Lì è cominciata la straordinaria rimonta di Merkcx in una giornata di pioggia, di neve, di vento gelido. In un primo tempo l’hanno seguito Zilioli ed Adorni, poi ha innestato il turbo e ha ripreso tutti i fuggitivi, l’ultimo, il povero Polidori se l’è visto sfrecciare a doppia velocità quando al traguardo mancavano trecento metri. Credo che in quel


giorno Eddy Merkcx abbia raggiunto il vertice del suo rendimento, è stato il giorno di tutta la sua carriera in cui è andato più forte”. Le ha chiesto perché aveva voluto scattare prima del previsto? “Mi ha confessato che due giorni prima era rimasto male perché puntava a vincere sul Monte Grappa ma non era riuscito a raggiungere Casalini, suo gregario, che faceva parte della fuga e che aveva tagliato per primo il traguardo. Non voleva che la cosa si ripetesse alle Tre Cime di Lavaredo”. Perché dopo il trionfo al Giro (maglia rosa, classifica a punti, miglior scalatore) non avete lasciato che Merckx disputasse il Tour? “Era giovane, aveva appena 23 anni e poi in Francia non avrebbe avuto una squadra all’altezza, visto che quell’anno si correva ancora per nazionali. Sicuramente in Italia aveva conquistato migliaia di tifosi, ma in Belgio la vecchia guardia capeggiata da Van Looy resisteva alla grande e mal sopportava di essere soppiantata da un ragazzino. Gli avevamo garantito che la stagione successiva avrebbe avuto l’intera squadra a sua disposizione e avrebbe potuto dare l’assalto alla maglia gialla con maggiori chances. Già, si passa al fantastico Tour del ’69 ma prima c’è il fattaccio di Savona, l’accusa di doping, l’espulsione dalla corsa, le polemiche le accuse, la riabilitazione. “Già, dopo il trionfo in Italia l’opinione pubblica in Belgio era pronta ad abbracciare il nuovo campione, ma ci voleva un uomo d’esperienza che lo tenesse lontano dalle polemiche, Per questa stagione nonostante il parere contrario di Giacotto, i responsabili della Faema d’accordo con Van Buggenhout decisero di inserire nello staff tecnico Guillaume Driessens, che aveva pilotato l’ammiraglia con Coppi, Van Steenbergen, Van Looy. Lui copriva le classiche del nord mentre io restavo l’uomo di fiducia di Giacotto. L’inizio di stagione fu travolgente, terza vittoria alla Sanremo con l’aggiunta del Giro delle Fiandre e della Liegi-Bastogne-Liegi. Eddy aveva preso il via al Giro ma con la testa era già al Tour, scortato dai suoi fedeli gregari fiamminghi non aveva avuto difficoltà a vincere tre tappe, lasciando ad altri l’onere della maglia

Eddy Merckx

Che Merckx fosse “pulito” lo sapevo e lo sapevamo bene perché il giorno dopo l’affare-Savona tutta la squadra fu sottoposta a controllo antidoping da parte della società e tutti risultarono negativi. rosa. L’aveva conquistata a San Marino, alla vigilia della cronometro che aveva dominato, lasciando a più d’un minuto quel Gimondi che dodici mesi prima, sullo stesso traguardo s’era concesso il lusso di batterlo. Insomma, il Giro d’Italia era incanalato nel migliore dei modi, ma dopo il giorno di riposo al termine della tappa Parma-Savona, fu trovato positivo al controllo antidoping. In quella vicenda c’erano tanti aspetti normativi poco chiari, io pensai subito che Merckx fosse vittima di una congiura, che qualcuno avesse manipolato le provette. Resta il fatto che la maglia rosa fu allontanata dalla corsa, rientrò in Belgio con l’aereo reale mentre in Italia c’era una vera e propria sollevazione a tutti i livelli a favore di Eddy. In base ai regolamenti non avrebbe potuto partecipare al Tour perché, oltre all’espulsione doveva subire un mese di squalifica fino 2 luglio, ma il presidente dell’UCI Adriano Rodoni convinto della sua innocenza, accolse il ricorso della Lega

Velocipedistica belga che ne chiedeva la totale riabilitazione. Furono giorni difficili per tutti, anche per me, perché Driessens, che non era al seguito del Giro, in ogni intervista non mancava di sottolineare che se ci fosse stato lui Eddy non avrebbe corso alcun pericolo. Che Merckx fosse “pulito” lo sapevo e lo sapevamo bene perché il giorno dopo l’affare-Savona tutta la squadra fu sottoposta a controllo antidoping da parte della società e tutti risultarono negativi. A distanza di anni intravvidi la possibilità di tornare sull’argomento e denunciare l’autore della macchinazione. Ne parlai con Eddy che non ne volle sapere di riaprire quella pagina per lui terribile ‘ho dimostrato con i fatti, a colpi di pedale, la mia innocenza’ era solito ripetermi. È andata così”. E al Tour ha sfogato tutta la sua rabia: “Già ero anch’io al seguito di quel Tour anche se ufficialmente figurava Driessens che pagava alcune scelte che io facevo e che avevano il pieno appoggio di Giacotto. A quell’epoLIFESTYLE INBICI

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Marino Vigna, festeggia uno dei suoi successi ca gli organizzatori si preoccupavano di tutto, dal mettere a disposizione delle varie squadre le ammiraglie e le auto di servizio l’alloggio pere tutti i partecipanti, i rifornimenti. Per partecipare al Tour de France le squadre dovevano sborsare fior di quattrini, però. Non sempre i corridori erano alloggiati nel migliore dei modi, capitava magari di finire a dormire in caserme o collegi. La prima volta che siamo finiti in un complesso scolastico ho fatto sapere a Levitan, responsabile dei rapporti con le squadre: noi siamo qui per correre, non per andare a scuola. La prossima volta che ci fissa come alloggio un posto simile io vado a cercare un albergo e le mando il conto da saldare. Cosa che puntualmente è accaduta. M’ero accorto che saremmo finiti in un collegio femminile, ho incaricato un massaggiatore di avvisare i corridori, a tappa ultimata di trovarsi in un dato punto per raggiungere poi l’albergo che avevo scovato. Ovviamente avevo infranto il ferreo

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regolamento che non ammetteva deroghe, le squadre dovevano dormire nei luoghi loro assegnati. Non essendoci traccia dell’intera Faema, gli organizzatori avevano mobilitato la gendarmeria per cercarci. Driessens s’è preso una lavata di testa, i corridori invece mi erano grati anche perché prima della conclusione del Tour avevano cambiato tre o quattro alberghi, ben più confortevoli d iquelli previsti in un primo tempo. E alla fine Levitan saldò il conto di quello che avevo trovato io”. Tour da incastonare, stagione salvata dopo il fattaccio di Savona, ancora un anno all’insegna di colui che era diventato il Cannibale, ovvero il 1970. “Vincenzo Giacotto minato da una grave malattia era riuscito a convincere i patron a restare nel ciclismo, con il nome Faemino. L’ossatura era la stessa, ormai era una squadra di fiamminghi che parlavano per lo più in italiano. Quell’anno Eddy centrò la prima accoppiata Giro-Tour. Un nitido ricordo del giorno in cui affrontò il Mont Ventoux. Alla partenza si era presentato con il lutto al braccio, molti ritennero che l’avesse fatto in ricordo di Tom Simpson, suo compagno di squadra alla Peugeot morto tra le pietre assolate di quella terribile monta-

gna tre anni prima. Invece Eddy voleva rendere omaggio a Giacotto, e per lui tagliò per primo il traguardo in perfetta solitudine. Subito dopo l’arrivo, non avendo alcuna voglia di concedere interviste, chiese agli infermieri di usare la bombola ad ossigeno, disse due cose alla televisione belga poi salì sull’ambulanza che lo accompagnò in albergo”. Eddy Merckx ha continuato a correre per squadre italiane, la Molteni dopo la Faema, ma lei non era più al suo fianco. “Vero, la morte di Vincenzo Giacotto ha lasciato un grande vuoto alla Faema, vuoto che io non sono stato il grado di colmare. Per questo patron Valente ha deciso di lasciare il ciclismo, cedendo la squadra alla Molteni. Io ero sotto contratto, avrei potuto continuare, ma c’erano Albani, Fontana, Di Lorenzo, io invece avevo una famiglia da seguire, avrei dovuto stare lontano da casa troppo tempo. Ho fatto altre scelte, tutto qui”. Vero, ma quello che ha fatto il cavalier Marino Vigna in quei primi tre anni alla corte di un giovane talento che lui ha contribuito a trasformare in fenomeno non lo si può certo cancellare. E soprattutto, per rispetto alla verità storica, non lo si deve dimenticare.



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Al Bike-Show di Verona una “B2B Lounge” per favorire i contatti di dealer ed agenti con le aziende. E intanto si amplia il padiglione delle biciclette elettriche Nella sfida alla per la crescita del mercato della bici, il negoziante gioca un ruolo decisivo. Interpretare le continue evoluzioni del prodotto e convincere il cliente a finalizzare l’investimento è, infatti, un compito tanto difficile quanto essenziale! Per questo CosmoBike Show, in programma a Veronafiere dall’8 al 10 settembre 2018, (www.cosmobikeshow.com), ha elaborato una serie di iniziative volte a supportare i dealer e gli agenti ottimizzando la loro presenza in Fiera. I dealer e gli agenti sono ospiti importanti ed è per questo motivo che CosmoBike Show realizzerà in Fiera una B2B Lounge esclusiva, ovvero un’area all’interno della quale potranno incontrare le aziende per gli appuntamenti e finalizzare contratti in un ambiente riservato e rilassato. Nel mese di luglio 2018 dealer ed agen-

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ti verranno contattati telefonicamente dallo staff di CosmoBike Show, che illustrerà loro tutte le facilitazioni pratiche a loro dedicate, a partire dall’ingresso gratuito fino agli eventi riservati, per organizzare al meglio ed ottimizzare appunto la presenza durante le giornate di manifestazione. E in una Fiera come il CosmoBike Show 2018, nata per intercettare e sviluppare le grandi novità della bike-economy, non poteva mancare “Bike Premiere”, l’anteprima delle migliori eBike sul mercato mondiale. La bici elettrica, come certificano tutti gli indicatori economici del settore, sta rivoluzionando il concetto stesso di bicicletta e di mobilità ciclabile. Sono molti i consumatori che ancora non hanno un’idea chiara né dell’uso né delle incredibili potenzialità offerte dall’eBike: proprio per offrire l’opportunità a tutti di avere una prospettiva chiara di tutto quanto

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SCATTO D’AUTORE GIRO D’ITALIA 2018 - ROMA by Bettiniphoto

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Domande a...

Gianni forever

Gianni Savio con il giovane Egan Bernal - by Bettiniphoto

“Rassegnatevi, non andrò mai in pensione” Fine conoscitore del movimento sudamericano, in più di trent’anni in ammiraglia si è regalato enormi soddisfazioni, come la vittoria al Tour de France con Cacaito: “Avevo detto che il Pro Tour avrebbe rovinato il ciclismo. Ho avuto ragione…”

Giovanni Savio, detto “Gianni”, general manager della Androni Sidermec e grande appassionato di ciclismo, pur non avendo mai corso in bicicletta, ha sempre avuto a cuore questo mera-

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viglioso sport. Un’enciclopedia vivente, fine conoscitore del movimento sudamericano, in più di trent’anni nel mondo delle due ruote ha saputo regalarsi enormi soddisfazioni, come la vittoria al Tour de France con Cacaito.

Prima di diventare team manager, come era il tuo rapporto con il ciclismo? “La mia famiglia ha sempre avuto nel sangue la passione per il mondo delle due ruote. Infatti mio nonno materno, Giovanni Galli, corse ai tempi di Co-


Gianni Savio

“La mia famiglia ha sempre avuto nel sangue la passione per il mondo delle due ruote” stante Girardengo. Ricordo che, su uno degli annali di ciclismo, lessi di un campionato piemontese, aperto a tutte le categorie, che mio nonno, allora sconosciuto, riuscì a vincere davanti proprio a Girardengo. Io son sempre stato un grande appassionato di ciclismo ma da giovane, quando ero più o meno alle medie, mi piaceva giocare a calcio, un po’ come a tutti i miei coetanei. Proprio in quegli anni iniziarono a chiamarmi Gianni, come il grande Rivera. L’unica volta che ho corso in bicicletta è stato una ventina di anni fa a un campionato

regionale giudici di gara…”. Come è iniziata la tua esperienza nel professionismo? “Nel 1985 feci un validissimo corso tenuto da Italo Allodi, ex dirigente sportivo di Juventus e Inter, e dal professor Piantoni, per diventare team manager. Nel 1993, quando ero alla ZG Mobili-Selle Italia, feci l’abilitazione per i professionisti. Penso di essere stato uno dei pochi diesse ad aver fatto tutti e tre i livelli in un anno solo; oggi, giustamente, non è più possibile”. Ora settant’anni, ma non hai mai pensato di smettere? “Prima di tutto ci tengo a dire che non andrò mai in pensione. A volte ho un rapporto di amore e anche di odio con il ciclismo, ma la passione mi spinge a superare le difficoltà e le delusioni. Sono ventidue anni che gestisco questa società e abbiamo creato una struttura al passo con i tempi. I legami creati nel tempo, in particolare con Ma-

a cura di Davide Pegurri

rio Androni, persona di poche parole ma molto concreta, mi spingono ad andare avanti ”. Ma come è cambiato, a tuo parere, il ciclismo in questi anni? “Una volta era molto più facile fare ciclismo e ritengo che oggi gli oneri superino gli onori. Sul piano dei budget, c’è un divario, oserei direi, stratosferico, tra squadre Professional e World Tour. Ricordo inoltre che quando arrivò il Pro Tour io dissi che sarebbe diventata una svolta epocale ma in senso negativo e alcuni fatti me l’hanno confermato. Questo cambiamento ha fatto sì che alcune squadre W.T. partecipassero, con corridori demotivati, ai grandi eventi come il Giro d’Italia o la Vuelta a Espana, solo per l’obbligo di esser presenti. Io non sono assolutamente contrario alle novità, ma bisognerebbe metter di nuovo al centro i valori sportivi”. Quali le gioie da direttore sportivo? “Di soddisfazioni ne ho avute tante ma LIFESTYLE INBICI

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10 DOMANDE A GIANNI SAVIO

credo che, tra tutte, la gioia più grande sia stata la vittoria di Nelson Cacaito Rodriguez al Tour de France del 1994 nella tappa regina, davanti a Pëtr Ugrumov e a Marco Pantani. Per me quello è stato anche un successo a livello personale perché ho creduto in questo buon corridore, nonostante altri l’avessero già giudicato inadatto al professionismo. Ricordo sempre con gioia anche i trionfi di Leonardo Sierra, primo venezuelano che portai in Italia, di Ivan Parra e di José Rujano. E i dolori? “Il momento più negativo è stato sicuramente la grande ingiustizia per la nostra esclusione dal Giro d’Italia dello scorso anno. Nel 2016 lo accettai, Rcs Sport mi parlò di un turn-over e quell’anno toccava a noi perché nelle edizioni precedenti eravamo sempre stati invitati. Noi, ogni volta, abbiamo onorato la Corsa Rosa e la delusione era tale che in quel periodo dissi che avremmo valutato se continuare con il progetto della squadra o smettere. La passione e la voglia di riscatto, con la vittoria della Ciclismo Cup, ha spinto me e Mario Androni a non mollare”. Da vero conoscitore del movimento ciclistico sudamericano hai sempre scovato dei giovani talenti, l’ultimo Egan Bernal, ora alla Sky. Come hai fatto a scoprirlo? “La storia di Bernal è molto bella. Suo padre era custode della Capilla de Sal a Zipaquirà, paese vicino a Bogotá. Ma

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io l’ho incontrato per la prima volta alla Coppa Agostoni di tre anni fa. Paolo Alberati venne a propormi un buon passista, ma in quel periodo avevo bisogno di uno scalatore. Il caso volle che proprio lì con lui ci fosse Egan e mi presentò questo ragazzo che in tono scherzoso chiamai subito niño. Parlai comunque con lui e vidi che era uno sveglio. Quando poi mi mandarono i suoi dati, decisi che doveva correre per noi. Il giorno dopo vinse al Piccolo Giro delle Fiandre e la sera stessa firmammo un contratto con un premio di valorizzazione, proprio perché io, a differenza di altre squadre, l’ho voluto ingaggiare subito”. Pensi che in futuro possa vincere un Grande Giro? “Ho sempre detto, e voglio ribadirlo anche ora, che Egan Bernal, nel giro di tre o quattro anni, riuscirà a salire sul podio di una grande corsa a tappe. Poi, essendo un vero talento, con valori fisici straordinari, potrebbe stupire tutti e anticipare i tempi. É un giovane con la testa sulle spalle, sa sempre cosa vuole e corre in maniera intelligente”. Tu hai creduto anche nel rilancio di Michele Scarponi. Ad un anno dalla sua prematura scomparsa, cosa ti ricordi di lui? “Con Michele avevo un rapporto amichevole, per me è stata una tragedia immensa e un dolore profondo. Mi è sempre stato riconoscente per avergli dato fiducia in un momento difficile della sua carriera e lui questa fiducia l’ha più che

ripagata vincendo molto con noi. Di solito non parlo di queste cose, ma voglio raccontarvi un aneddoto sul giorno dei sui funerali. Eravamo nel campo sportivo di Filottrano e c’erano questi bambini che paradossalmente davano un clima quasi festoso alla funzione. In quel momento per me era quasi come se lo spirito di Michele aleggiasse sopra di noi. Di lui non mi dimenticherò mai quel suo sorriso ironico e scanzonato, tipico del suo modo di fare”. Non solo Team Androni ma anche nazionale colombiana e venezuelana nella tua storia. Sei soddisfatto di quell’esperienza? “Il ruolo di commissario tecnico mi ha dato molto. Ho partecipato a tre olimpiadi , ad Atene 2004 con la Colombia, a Pechino 2008 e a Londra 2012 con il Venezuela. Santiago Botero, con la sua vittoria nella cronometro di Zolder 2002, è il corridore che sicuramente mi ha dato più soddisfazioni. Io sono attualmente - forse ancora per poco perché dico di far attenzione al percorso di quest’anno e ai colombiani - l’unico c.t. di un paese latino americano ad aver vinto un mondiale tra i professionisti. Tra l’altro, mi ricordo che alla Vuelta a Espana, Santiago non si sentiva in forma e sono riuscito a convincerlo a partecipare, chiamandolo quasi ogni giorno. Per concludere, se è vero che non andrò mai in pensione, è anche vero che non farò più il c.t. di una nazionale”.


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a cura di Davide Pegurri

Marco Velo con Adriano Malori e il ct. Davide Cassani

L’intervista

Marco Velo

“Le vittorie più belle? Quelle dei miei capitani” Prima fedele gregario di Pantani, poi ultimo uomo nel “treno” di Petacchi. Storia di un ciclista poliedrico che, pedalando nell’ombra, ha contribuito a scrivere alcune delle pagine più emozionanti del ciclismo moderno 42

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Marco Velo, ciclista umile e silenzioso, nella sua lunga carriera ha scritto pagine importanti della storia del ciclismo moderno, contribuendo – come pochi gregari al mondo - ai successi dei suoi capitani. Prima alla Mercatone Uno con Marco Pantani e poi nel leggendario treno di Alessandro Petacchi. A vent’anni dalla storica vittoria del Giro d’Italia del Pirata abbiamo colto l’occasione per condividere le sue emozioni e ripercorrere la sua storia da professionista. Marco, partiamo proprio dal 1998, un anno indimenticabile per molti appassionati di ciclismo: cosa ti è rimasto di quel Giro? “I ricordi sono tanti e tutti sicuramente positivi. Era la mia terza partecipazione al Giro ma, visto che ero al primo anno con la Mercatone Uno, essere già nella rosa per il Giro d’Italia è stato

un punto d’arrivo importante. Correrlo poi a fianco di uno dei pretendenti alla vittoria finale era motivo d’orgoglio per me. Con il senno di poi, quello è stato forse il più bell’anno della mia carriera”. Nella memoria di tutti i tifosi del Pirata rimane scolpita la vittoria di Montecampione. Hai qualche retroscena da svelarci di quel giorno? “Il momento più emozionante della mia storia da professionista l’ho vissuto proprio con Marco al termine di quella tappa. La cosa che mi rimane nel cuore, e che sono felice di raccontare per far capire che persona stupenda era Marco, è stato il fatto che lui, subito dopo che ho tagliato il traguardo, ha fermato il cerimoniale delle premiazioni, è sceso dal palco ed è venuto ad abbracciarmi, dicendomi che gran parte dei centimetri di quella maglia rosa erano anche miei. Aveva

grande rispetto per me e per tutti i compagni di squadra”. L’anno successivo uno dei momenti più bui della storia di Pantani, la squalifica a Madonna di Campiglio… “Il 1999 sembrava l’anno perfetto, almeno fino a quel fatidico 5 giugno. Quel giorno ci è crollato il mondo addosso perché ci siamo sentiti derubati, passami il termine che rende idea della delusione, di una maglia rosa che sentivamo di aver conquistato sul campo con sudore e impegno”. Come è stata la tua esperienza alla Mercatone Uno a fianco di Marco? “Di quelle quattro stagioni mi rimane soprattutto il ricordo dell’amicizia con lui e il rapporto che è continuato con la sua famiglia. L’unico rammarico è che, forse, gli sarei potuto stare più vicino nel momento del bisogno, ma Marco, come molti che son caduti nelle stesse difficoltà, tendeva a sfuggire. Nonostante tutto di lui ho solo ricordi belli, anche nei momenti negativi”. Successivamente gli anni con Alessandro Petacchi. Come ti trovavi nel ruolo di “ultimo uomo” del suo celebre treno? “Ho sempre considerato quelli che facevano le volate come dei pazzi e pensavo che non avrei mai partecipato alla bagarre prima di uno sprint. Poi, in una corsa in Spagna, dove in un paio di volte son rimasto lì davanti, Alessandro mi ha chiesto di dargli una mano nel pilotarlo prima del momento decisivo. A lui non piacevano quelli che davano strappi e io ero uno che andava in progressione. Da quell’esperienza è nato il feeling tra noi due e la squadra ha deciso di costruire intorno a noi il celebre “treno” per le volate di Ale-jet. Sia in Fassa Bortolo che in Milram ho sempre corso al suo fianco, facendo le sue stesse corse. C’era grande affiatamento, tanto che quelle vittorie le sento anche mie”. Ma torniamo agli inizi: come e quando hai scoperto il ciclismo? “Ho iniziato a pedalare a dodici anni, dopo aver capito che il calcio non era lo sport per me. Mi ha sempre affascinato il mondo delle due ruote e ho deciso di correre per la squadra del paese. Le vittorie sono arrivate da subito e, continuando, anno dopo anno, ho sempre migliorato. È arrivato poi LIFESTYLE INBICI

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un mondiale da juniores e ho avuto la fortuna di fare solo tre anni tra i dilettanti prima di passare professionista”. Qual è stato il tuo momento migliore e quello peggiore? “Ho fatto delle buone vittorie, campionati italiani e corse varie, tuttavia non ne ricordo una in particolare. Per assurdo mi viene più spontaneo ripensare al contributo che ho dato per i successi prestigiosi dei miei capitani. Penso comunque che il mio momento top, che coincide anche con un rimpianto, è stato il mondiale di Verona del 1999. Avevo in squadra gente più blasonata di me, ma andavo davvero forte quel giorno. Ero andato in fuga e, una volta ripresi, mi è toccato andare a chiudere su un tentativo successivo. Dopo aver tirato, mi sono reso conto che eravamo rimasti solo io e Francesco Casagrande. Magari, senza quello sforzo, avrei potuto giocarmi almeno il podio. Il periodo più brutto invece l’ho attraversato nel 2007 quando, a segui44

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to di una brutta caduta alla Gand-Wevelgen, ho pensato di dover concludere lì la mia carriera. Ad agosto dello stesso anno, grazie all’intervento del dottor Terragnoli, ero di nuovo in sella e ho corso sia la Vuelta che il mondiale”. Un Giro d’Italia concluso all’undicesimo posto, ultimo uomo di Petacchi, forte a cronometro e solido in salita. Ma che corridore eri? “Non lo so. Spesso anche Davide Cassani, con il quale collaboro per la nazionale, mi fa questa domanda. Lui non riesce ancora a spiegarsi come ho fatto ad avere questa evoluzione, cioè a passare da quasi scalatore a ultimo uomo di Alessandro. Diciamo solo che ho una buona capacità di adattamento e sono riuscito a costruire la mia carriera su due attitudini diverse. Come ciclista poi avrei certamente potuto vincere di più, ma essere stato a fianco di quei capitani mi ha gratificato molto”.

C’è chi dice che avresti potuto ottenere delle vittorie anche in pista: hai mai pensato a gareggiare anche in altre discipline? “Forse mi pento di essere nato in un’epoca dove non c’era ancora il concetto di multidisciplinarità. I più grandi corridori, che oggi fanno risultati, escono proprio dalla pista. A dir la verità c’era stato un progetto per le Olimpiadi che prevedeva di costruire un quartetto con il treno di Petacchi, però sono emersi dei contrasti, soprattutto di natura economica, che hanno subito fatto naufragare l’idea”. E oggi cosa fai? “Come accennato prima, collaboro con Cassani e anche con Rcs, come direzione di corsa. Ho trovato quindi il modo per partecipare ancora al Giro d’Italia, ma ora in sella ad una moto. Il mio pilota è un campione del mondo, Igor Astarloa. Per me è come un fratello perché l’ho conosciuto ancora da dilettante e mi fido molto di lui”.



Focus su una patologia che, debitamente curata, non pregiudica, in alcun modo, le prestazioni di un atleta. Parola di pneumologo

di Carlo Gugliotta

Il caso Froome

Credit Bettiniphoto

Asma, tra verità e falsi miti Ce lo svela il Dott. Marino De Rosa

Negli ultimi tempi, per via del caso di Chris Froome che appare continuamente sui vari organi di informazione specializzati in ciclismo, si parla di asma. Il corridore britannico è infatti risultato “non negativo” ad un controllo alla Vuelta di Spagna da lui vinta nel 2017, subito dopo aver conquistato anche il Tour de France. 46

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Il ciclismo è uno sport che implica un dispendio di energie fisiche particolarmente intenso e l’esercizio aerobico può scatenare un broncospasma. Il corridore del Team Sky, nello specifico, è risultato positivo al salbutamolo, sostanza che, secondo la versione ufficiale del team, avrebbe assunto per curare l’asma. I sintomi, nell’ultima settimana della Vuelta, “si sono intensificati - si legge nel comunicato stampa ufficiale - e, su suggerimento del medico, Froome ha aumentato il dosaggio di salbutamolo, pur rimanendo nei limiti”. Senza voler entrare nel merito della disputa legale, ci siamo posti una domanda molto più ad ampio raggio: come mai tanti ciclisti soffrono di asma? Anche in passato, infatti, sono tantissimi i corridori che hanno dovuto fare i conti con questa patologia. Ma non c’è solo questo aspetto: è normale per un asmatico praticare attività fisica ad un livello così alto? In altre parole, praticare il ciclismo è davvero una buona idea per le persone che soffrono di asma?

Per avere alcune delucidazioni in merito abbiamo deciso di chiedere l’opinione del dottor Marino De Rosa, appartenente all’unità operativa di pneumologia dell’ospedale San Filippo Neri di Roma. Professore, che cos’è l’asma? “L’asma è un disturbo che provoca delle difficoltà respiratorie. In linea generale, siamo abituati a distinguere tra asma intrinseca ed estrinseca: quest’ultima deriva da un allergene, ovvero da un qualcosa che fa scaturire in noi la reazione allergica. La prima, invece, è di tipo congenita. Abbiamo quindi due tipi diversi di cause scatenanti e, di conseguenza, varia anche la terapia farmacologica. In caso di asma estrinseca in un paziente giovane, nelle prime decadi di vita è possibile fare una terapia desensibilizzante attraverso dei vaccini:

in questo modo possiamo rendere il paziente meno sensibile all’organismo che provoca la reazione allergica. Nelle forme intrinseche, invece, si cerca di incoraggiare la persona ad uno stile di vita sano, evitando, per esempio, il fumo di sigarette”. L’asma può essere un effetto collaterale di chi pratica il ciclismo? “Può esserlo, ma non solo per il ciclismo. Il discorso, infatti, può essere esteso a tutti coloro che praticano sport all’aperto. Possono entrare in gioco diversi fattori. Prima di tutto, il ciclismo è uno sport che implica un dispendio di energie fisiche particolarmente intenso e l’esercizio aerobico può scatenare un broncospasma. Inoltre, lo sforzo viene fatto in diverse condizioni atmosferiche, che possono anche cambiare più volte in un giorno. Pensiamo, per esempio, alle corse a tappe: nelle gare che si svolgono in LIFESTYLE INBICI

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montagna si passa dalle vette, dove magari c’è molto freddo, alle zone a valle, nelle quali magari ci sono temperature più accettabili. Può anche capitare di correre al freddo per un giorno e al caldo estremo il giorno seguente: queste condizioni possono portare molto facilmente a una crisi asmatica. I ciclisti, inoltre, cambiano ogni giorno hotel: cambiare letto ogni notte e stare spesso a contatto con la moquette può incidere negativamente nel controllo della malattia asmatica”. Fino ad adesso abbiamo parlato dei corridori agonisti. Per chi pratica il ciclismo a livello amatoriale possono esserci dei problemi legati a crisi di asma? “Può succedere anche a chi va in bici per semplice divertimento e non per

fini agonistici, ma sottolineo e ribadisco che è l’esercizio fisico in sé che può portare a un broncospasma”. Lei rilascerebbe un certificato medico di sana e robusta costituzione ad un paziente che soffre di asma ma che vuole gareggiare in bici? “Certo che gli farei il certificato, non ci sono controindicazioni. Anzi: un soggetto che soffre di asma può e deve fare sport perché esistono delle terapie farmacologiche che sono in grado di prevenire l’asma da sforzo indotto. Chi si cura bene è in grado di fare qualsiasi tipo di attività, sia agonistica che amatoriale. L’unico consiglio che posso dare è quello di seguire una terapia che duri per lunghi periodi di tempo. Bisogna infatti sempre considerare che, anche se si soffre di

asma a livello occasionale, la patologia è cronica, e come tale deve essere trattata, perché gli episodi possono essere intermittenti ma l’infiammazione è cronica. Solo i bambini in fase di crescita possono guarire del tutto dall’asma”. Come si cura l’asma? Quali farmaci bisogna assumere? “Ci sono spray che hanno il principio attivo del cortisone e agiscono anche da broncodilatatore. Alcuni di questi riescono a funzionare anche per 24 ore dalla somministrazione. Le dosi di cortisone sono talmente basse che non portano a nessun effetto collaterale. Chiaramente sono farmaci che gli atleti devono comunicare alle autorità competenti perché, da soli, migliorano la capacità respiratoria”.

credit Bettiniphoto

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a cura della redazione

LA LEGGENDARIA CHARLY GAUL

Il mito

ha fatto “13”

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La tredicesima edizione de “La Leggendaria Charly Gaul – UCI Gran Fondo World Series”, dal 6 all’8 luglio in Trentino, propone la tradizionale sfida alla cima del Monte Bondone in onore dell’“Angelo della Montagna”, Charly Gaul. Tra natura e sport in sella ad una bicicletta, scoprendo tutta la bellezza di avere “una montagna in città” perché il Monte Bondone esprime, nel silenzio e nella pace dei boschi, la propria imponenza.

Tante sono le edizioni della grande classica trentina. Tra natura, sport e voglia di condivisione, ecco le novità salienti della manifestazione ciclistica più attesa di luglio

L’estate in Bondone appassiona le famiglie e attrae gli sportivi con sentieri escursionistici e vie di roccia, deltaplano e parapendio, percorsi con la mountain bike e trekking di ogni livello, ma il menù dell’APT Trento, Monte Bondone, Valle dei Laghi ed ASD Charly Gaul Internazionale è allettante anche quando si tratta di sfide ciclistiche di alto livello, prove UCI Gran Fondo World Series esaltando i personaggi che proprio sul Monte Bondone hanno fatto la storia, a cominciare dal


Tra natura e sport in sella ad una bicicletta, scoprendo tutta la bellezza di avere “una montagna in città” perché il Monte Bondone esprime, nel silenzio e nella pace dei boschi, la propria imponenza

lussemburghese Charly Gaul che qui s’impose proprio in maniera “leggendaria” nella tappa del Giro d’Italia del ‘56. Ad arrivare ci fu anche Aldo Moser, fratello di Francesco, impegnato nel realizzare “La Moserissima” del 7 luglio, revival ciclostorico che caratterizzerà la giornata di vigilia della Granfondo. Da non perdere nemmeno la cronometro di Cavedine di venerdì 6 luglio, sfavillante e veloce prova fra gli scenari mozzafiato della Valle dei Laghi, inforcando i pedali della propria

bici da “crono” e percorrendo 24 km e 442 metri di dislivello, un peccato non poter gustare appieno i paesaggi circostanti per la velocità della competizione. Le quote d’iscrizione entro e non oltre il 30 giugno sono così suddivise: 62 euro per la cronometro di Cavedine o per “La Leggendaria Charly Gaul”, 80 euro per entrambe e 50 euro per “La Moserissima”. La partenza della tredicesima edizione sarà da Piazza Duomo a Trento, raggiungendo l’abitato di Lavis dopo circa

7 km ed un lungo rettilineo. La parte decisiva e più impegnativa della corsa sarà proprio al termine, quindi è bene che ogni corridore conservi le proprie energie in vista dell’attacco finale. Sarà il Monte Bondone a decidere. Da Lavis a Palù di Giovo, paese natale dei più grandi corridori del Trentino, da Gilberto Simoni ad Aldo, Enzo, Francesco e Moreno Moser. Le fasi successive caratterizzeranno la contesa con discrete pendenze e recuperi pianeggianti, salendo verso Passo

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I primi 3 km della salita presentano rampe al 10% ed anche qui sarà bene non esagerare con l’andatura, mantenendo rapporti agili e buona concentrazione Santa Croce dove la vista spazia sulla Piana Rotaliana e sul Monte Bondone. Nella discesa successiva sarà bene tenere i pedali sotto controllo, affrontando in sicurezza anche le semplici curve. Rientrando a Lavis e tornando verso Trento si troverà poi il fatidico “bivio”, quello che porterà i corridori del mediofondo subito ad affrontare la salita “leggendaria” del Monte Bondone: 38 tornanti, 18 km di lunghezza, 1485 metri di dislivello, pendenza massima al 17% e pendenza media all’8.9%. Importante sarà alimentarsi a dovere onde evitare “crisi di fame”, i ristori messi a disposizione dagli organizzatori comunque non mancheranno. Lo spettacolo comincia. I primi 3 km della 54

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salita presentano rampe al 10% ed anche qui sarà bene non esagerare con l’andatura, mantenendo rapporti agili e buona concentrazione. Nel frattempo chi avrà scelto il tracciato lungo, una volta raggiunto il paese di Cimone, si troverà a percorrere una salita meno impegnativa e a Garniga Terme ci saranno 3 chilometri di pianura, iniziando a respirare aria di montagna. Da Garniga Vecchia la strada s’infila nel bosco, con pendenze all’8% salendo a tornanti per 10 km fino alla località Viote. Da qui si proseguirà in veloce discesa su strada larga, recuperando energie lungo un tratto vallonato di circa 20 km, costeggiando il Lago di Toblino verso la successiva erta, 4 km attraversan-

do le località di Vezzano, Lon, in lieve discesa verso Terlago e altra salitella con un tratto difficoltoso di 200 metri ma con pendenza superiore al 15%. La pendenza da Cadine a Candriai passando per Sopramonte è sempre sul 6-7%, ed i ciclisti bramanti di vittoria potranno iniziare il forcing per mettere in difficoltà i rispettivi avversari. A Candriai il percorso lungo si ricongiunge con il mediofondo, con gli ultimi 10 km di salita che condurranno in località Vason e decideranno “La Leggendaria Charly Gaul”. Chi farà 13? Credit Newspower


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SCATTO D’AUTORE GIRO D’ITALIA 2018 EILAT ISRAEL by Bettiniphoto

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Granfondo Gavia e Mortirolo

Soffri

di vertigini? a cura della redazione

Scenari da cartolina e due montagne leggendarie: la sfida in alta quota è fissata per il 24 giugno. Alla consolle organizzativa il Gs Alpi È la gara più dura, la più affascinante, la più suggestiva. Due i momenti salienti: il Passo Gavia, che in tante occasioni è stato Cima Coppi del Giro d’Italia con i suoi oltre 2600 metri di quota, e il Passo del Mortirolo, affrontato dal famoso versante di Mazzo di Valtellina, un’ascesa che presenta pendenze sempre a doppia cifra, che la fanno diventare una delle salite più dure d’Europa. Tutto questo è la Granfon58

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do Gavia e Mortirolo, appuntamento organizzato dal Gs Alpi che si terrà il 24 giugno 2018. Tanta salita, tanti percorsi bellissimi incastonati in un territorio tutto da scoprire, quello della Valtellina; una delle zone più attrezzate dal punto di vista del cicloturismo, in quanto da tanti anni questo territorio ha deciso di investire nel turismo sui pedali, permettendo ai ciclisti di tutto il mondo di cimentarsi sulle salite che hanno scritto la storia del Giro

d’Italia senza dimenticare i bellissimi paesaggi, l’ottima cucina e la grande ospitalità che caratterizza, da sempre, questo territorio. A disposizione degli amatori ci saranno ben tre percorsi, che saranno uniti dalla presenza di “sua maestà” il Mortirolo. Per gli amatori che decideranno di pedalare sul tracciato di 83 km, il menù prevede il passaggio da Edolo e da Monno prima dell’inizio della salita del Mortirolo. Una volta terminata l’ascesa, il gruppo


scenderà in picchiata verso il bivio di Santa Cristina per affrontare il passo prima dell’arrivo ad Aprica. 155 saranno i chilometri da affrontare per il percorso medio: in questo caso, dopo la partenza da Aprica, il gruppo sfilerà per le strade della suggestiva Ponte di Legno prima di salire sul Passo Gavia, ascesa che - come per le tappe del Giro d’Italia - fa da importante preludio al Mortirolo, che sarà affrontato dopo i passaggi a Bormio e a Mazzo di Valtellina. Dopo queste due terribili salite, il gruppo arriverà ad Aprica, sede di arrivo storica delle tappe della corsa rosa che si sono svolte su queste strade. Particolarmente impegnativo sarà il percorso lungo, che racchiude tutte

le salite fin qui citate: il gruppo affronterà il Gavia, il Mortirolo dal versante più duro e il Passo Santa Cristina per poi tornare ad Aprica. I chilometri da affrontare sono 170 per 4200 metri di dislivello totali. Una gara per uomini duri, perfetta per chi ama la salita, per chi predilige stare a stretto contatto con le montagne. Salire a 2600 metri di quota sul livello del mare sarà un’impresa importante, che farà diventare eroi tutti i partecipanti alla granfondo. Sarà anche un pretesto perfetto per conoscere queste zone turistiche, che fanno dell’ospitalità per i ciclisti il loro punto di forza nel periodo estivo, sulle alte vette dove osano le aquile. Come di consueto, si prevede una grande

giornata di festa, con tutte le località interessante dal passaggio della granfondo pronte ad applaudire i tanti corridori che si prevedono al via per il 24 giugno. Su e giù per le montagne, con un grande pubblico presente, proprio come avviene nelle tappe di montagna del Giro d’Italia, là dove sono state scritte imprese a dir poco epiche da coloro che hanno scritto la storia della maglia rosa. Tutto questo attende i corridori che affronteranno la Granfondo Internazionale Gavia e Mortirolo. Tutte le informazioni sulla Granfondo Internazionale Gavia e Mortirolo sono disponibili su www.granfondogaviaemortirolo.it . credit Bettiniphoto LIFESTYLE INBICI

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I protagonisti della bike-economy

ROSTI

oltre i nostri sogni a cura di Davide Pegurri

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Giovanni Alborghetti ci racconta il miracolo imprenditoriale del suo maglificio che, da quest’anno, vestirà gli atleti World Tour della AG2R: “Quarant’anni fa non avrei mai immaginato di partecipare a Giro e Tour…”

Il marchio Rosti è ormai conosciuto in tutto il mondo. Grazie alla passione di due fratelli, Maurizio e Giovanni, il brand si è affermato sempre di più, raggiungendo quest’anno anche il World Tour con la AG2R La Mondiale. Giovanni Alborghetti, fautore di questo successo, rappresenta l’originalità che questa azienda mette in tutto ciò che fa. Proprio con lui abbiamo parlato di come stanno andando le cose per la loro azienda.

Partiamo dai fatti più recenti: una nuova sponsorizzazione con la squadra della AG2R, sicuramente un ulteriore salto di qualità, ma anche un impegno non indifferente. Ma come si è creata questa occasione? “Principalmente è nato tutto dalla delusione dello scorso anno per la mancata convocazione della Androni Sidermec al Giro d’Italia. In quel periodo volevo puntare anche all’estero e, avendo dei validi collaboratori in Francia, ho pensato di sondare il terreno. All’inizio abbiamo cercato di allacciare dei contatti con la Cofidis, che sembrava più alla nostra portata, successivamente abbiamo trovato altri agganci, tra i quali l’amicizia con Matteo Montaguti. Abbiamo contattato per primi la squadra, che inizialmente ci ha fatto una proposta difficile da soddisfare ma ci ha lasciato la possibilità di una controproposta. Di conseguenza abbiamo avanzato la nostra offerta, ma senza avere una risposta nell’immediato. Poi improvvisamente, alla Parigi Nizza, non chiedermi in che modo e da chi, hanno saputo delle cose positive su di noi e hanno fissato per il lunedì successivo un appuntamento...” Immagino anche un po’ il tuo stupore… “Ma sì, anche perché quel giorno si è presentata buona parte del team e volevano quasi subito cominciare la collaborazione con noi. Ovviamente,

richiedendo loro parecchio materiale ed essendo già cominciata la stagione, ho dovuto rinviare l’incarico al 2018. Ho voluto comunque far testare il mio abbigliamento ai loro atleti per valutare il loro livello di gradimento rispetto ai prodotti Rosti. Nel frattempo la AG2R ha ricevuto anche altre offerte, magari anche migliori della nostra, ma i ciclisti si sono trovati talmente bene con il nostro materiale che hanno confermato la partnership. A luglio, nel giorno di riposo del Tour de France, mi sono recato a Le Puy en Velay a firmare il contratto.” Quando anni fa ho conosciuto sia te che tuo fratello Maurizio mi parlavate di un sogno. Vogliamo ricordarlo? “Il nostro sogno era quello di poter partecipare al Giro d’Italia. Finalmente quest’anno riusciremo a realizzarlo e con ben due squadre. Ma non solo! Siamo andati oltre, perché parteciperemo a tutte le Classiche e addirittura al Tour de France, una manifestazione che attira milioni di spettatori. Tutto questo è stato possibile anche perché non abbiamo pensato solo al guadagno, ma abbiamo messo il cuore coltivando la nostra passione.” Ormai siamo anche vicini ai 40 anni per questa azienda, ma quando e come è nato il maglificio Rosti? “L’azienda è nata nel 1979 e tutto è partito da mia mamma Anna Rosti. Mio padre, lavorando in un’altra


azienda, ora fallita, che trattava tutti gli sport, portava a casa del lavoro anche per mia madre che faceva la terzista in casa. Abbiamo iniziato nel ciclismo con solo quattro o cinque clienti. Maurizio si è buttato subito in questo lavoro, io invece cercavo di fare altro perché mi sembrava quasi un mestiere da donne. Quando mio fratello è partito per militare ho dovuto sostituirlo. Tutto, per mia fortuna, è cambiato verso la fine degli anni novanta, quando mi hanno dato in mano un computer. Grazie a quello ho dato sfogo alla mia creatività.” E oggi, nonostante vi siate spostati in un capannone industriale, vi sentite ancora un’azienda familiare… “Ma certo, nonostante dieci anni fa ci siamo trasferiti qui, anche per lavorare

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più comodamente, ci sentiamo sicuramente un’azienda familiare, ma non tanto perché siamo io e mio fratello, quanto perché tutti quelli che lavorano con noi si sentono parte della famiglia. Anzi, non solo, ti dirò che anche i nostri clienti si sentono parte di questa famiglia e lo dimostrano ogni giorno mostrandoci il loro supporto e facendo il tifo per noi.” Professionisti e strada, ma non solo… “Esatto molti campioni in molte discipline si servono da noi. Abbiamo vestito fuoriclasse come Peter Sagan e Bradley Wiggins, ma anche l’attuale c.t. della mtb Mirko Celestino quando era campione italiano. Forniamo il materiale alla Scott Racing Team di Juri Ragnoli e a varie squadre.

Abbiamo preparato le maglie per la sei giorni di Berlino e per quella di Fiorenzuola, siamo sponsor anche di molte manifestazioni e circuiti sul territorio, come per esempio l’Orobie Cup. Oltre il ciclismo, per pura passione, abbiamo fatto il completo dell’Atalanta. Per me vestire la squadra del proprio cuore è stato motivo d’orgoglio.” Il futuro di questa azienda invece? “Mi sento fortunato per i traguardi ottenuti. Abbiamo iniziato dai gradini davanti alle chiese di paese e siamo arrivati sul podio delle Strade Bianche. Abbiamo raggiunto l’apice delle nostre potenzialità. Ora dobbiamo fare un passo alla volta, vedere come va questa stagione e poi ragioneremo sul da farsi.”



Granfondo del Capitano

Il richiamo della

foresta

A Bagno di Romagna, nel parco delle Foreste Casentinesi, si rinnova l’appuntamento con la storica manifestazione valligiana. Tra percorsi enogastronomici e le meraviglie della natura dell’Appennino, un’imperdibile occasione per abbinare alla passione per la bicicletta una vacanza da sogno tra benessere e relax a cura della redazione Un evento cicloamatoriale aperto a tutte le famiglie: questa è la nona edizione della Granfondo del Capitano, manifestazione che si svolgerà il 10 giugno 2018 a Bagno di Romagna. Immersa nella natura più rigogliosa dell’Appennino, la località che sorge tra Toscana ed Emilia-Romagna è una location ideale non solo per gli amatori che vogliono prendere parte alla gara, ma anche per tutti gli accompagnatori, in modo particolare le famiglie, grazie all’ottima ricettività alberghiera e alla presenza del Parco delle Foreste Casentinesi. Il Parco, istituito nel 1993, ha ottenuto un grandissimo riconoscimento nel 2017, quando la Riserva naturale di Sasso Fratino è stata decretata patrimonio mondiale dell’UNESCO. Oltre 1300 sono le specie flora presenti nel Parco, mentre la fauna è contraddistinta soprattutto da cervi, gatti selvatici, cinghiali e numerose specie di uccelli. La Granfondo del Capitano si inserisce all’interno di 64

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questo meraviglioso contesto: tutti i corridori che vorranno prendere parte alla gara potranno conoscere da vicino una delle zone più belle della nostra nazione, e l’occasione sarà importante anche per gli accompagnatori, in quanto potranno visitare il Parco delle Foreste Casentinesi, partecipando anche alle numerose escursioni che vengono organizzate, senza dimenticare il relax, in quanto bagno di Romagna è famosa per la presenza di sorgenti di acqua termale.Non a caso, la nona edizione della Granfondo del Capitano sarà “Wild Edition”, con l’impegno principale verso la valorizzazione del Parco e di tutto il territorio. Tutto sarà wild, tutto sarà natural: dalle attività di sensibilizzazione ai temi green sino al materiale promozionale (stampato in carta riciclata), dal pacco gara realizzato con materiale ecologico agli alimenti derivanti da agricoltura biologica. Per celebrare questa nona edizione della gara di Bagno di Romagna, il comitato organizzatore ha deciso di far

realizzare da Factory Sport Wear una maglia tecnica celebrativa, che tutti gli iscritti alla manifestazione potranno acquistare a prezzo agevolato Saranno due i percorsi per i cicloamatori: un tracciato medio di 75 km per 1700 metri di dislivello e un tracciato lungo di 140 km per 3100 metri di dislivello. Il percorso medio è stato completamente rinnovato rispetto al passato e vede senza dubbio nel Monte Fumaiolo uno dei punti più suggestivi da affrontare. Il percorso lungo, sulla tradizione rispetto al passato, è stato ricalcato anche dalla centesima edizione del Giro d’Italia, nella tappa Firenze-Bagno di Romagna vinta da Omar Fraile. Nel pacco gara, tutti i partecipanti troveranno un soggiorno utilizzabile dal 10 giugno al 31 dicembre 2018 per soggiornare in uno degli hotel convenzionati. Per tutte le informazioni sulla gara e le convenzioni alberghiere è possibile consultare il sito www.granfondodelcapitano.it.



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SCATTO D’AUTORE AMSTEL GOLD RACE 2018 by Bettiniphoto

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a cura della redazione

Statale 12 Abetone Bike

Nel regno di Coppi

A metà giugno, sull’Appennino Modenese, una tre giorni dedicata ad una località che, grazie soprattutto al campionissimo, ha scritto la storia del nostro ciclismo

Abetone Bike è la nuova corsa amatoriale a tappe che si svolgerà dal 15 al 17 giugno 2018. Una bellissima iniziativa portata avanti dall’Associazione Sportiva

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Dilettantistica Statale 12, nome che rievoca proprio l’Abetone, in quanto è il nome della strada che collega Pisa con il Passo del Brennero passando per la vetta dell’Abetone, per il quale

funziona da principale arteria di comunicazione. Il mitico passo appenninico è una delle strade più frequentate dai ciclisti che vogliono sfidare una salita molto lunga, che ha permesso a tanti


corridori di scrivere pagine importanti della storia del ciclismo. Indimenticabile è l’impresa di Fausto Coppi, il quale, il 30 maggio 1940, si fece conoscere a tutto il mondo del ciclismo italiano. In quella giornata si disputava l’undicesima tappa del Giro d’Italia. la Firenze-Modena, sul cui traguardo Coppi si presentò tutto solo dopo aver scollinato in testa proprio sull’Abetone. In anni più recenti si ricorda senza dubbio la bella vittoria di Francesco Casagrande, che si impose nel 2000. In quella circostanza il corridore toscano conquistò anche la maglia rosa, che però perse nella penultima tappa a vantaggio di Stefano Garzelli, nell’anno in cui il varesino aveva come gregario di lusso nientemeno che Marco Pantani. La corsa rosa arrivò sull’Abetone anche nel 2015: in quell’anno la tappa partiva da La Spezia e ad imporsi fu lo sloveno Jan Polanc, che vinse per distacco. Abetone Bike sarà una tre giorni non solo sportiva, in quanto ci sarà una vasta area commerciale che attende tutti gli ospiti, sarà allestita un’area ospitalità e, ad ogni arrivo di ogni tappa, animazione e musica animeranno a festa fino a tarda serata. Del resto, le importanti strutture alberghiere dell’Abetone e la grande ospitalità offerta da questa zona non possono fare altro che incentivare di gran lun-

ga lo sviluppo del cicloturismo. La prima tappa di Abetone Bike si svolgerà venerdì 15 giugno: la partenza è fissata a Ponte Modino, mentre il traguardo sarà proprio in quota all’Abetone. Il giorno seguente si replica: stavolta si parte da Ponte Sestaione prima di arrivare ancora in cima alla salita dell’Abetone. Nella giornata di domenica 17 giugno si chiude la tre giorni con la cronoscalata. I chilometraggi non sono eccessivi, in quanto si percorreranno 62 km il primo giorno e 57 km il secondo, mentre la cronoscalata sarà di 8 km e mezzo. La partecipazione è quindi aperta a tutti coloro che vogliono pedalare su queste bellissime strade, in una delle località montane più belle dell’Appennino Tosco Emiliano. La corsa è limitata a 500 iscritti giornalieri; al termine di tutte le tappe ci sarà il pasta party, e l’ultimo giorno ci sarà anche la pizza. La prima edizione di Abetone Bike 2018 non sarà solo una gara ciclistica amatoriale ma un evento sportivo più ampio organizzato nel tempio del ciclismo e della natura. I premi per i primi classificati saranno molto ricchi e gustosi, in quanto saranno consegnati alcuni prodotti alimentari tipici locali. Tutte le informazioni sull’evento sono disponibili su www.statale12.it


La Moserissima

Un tuffo

nel passato a cura della redazione

Sabato 7 luglio a Trento si rinnova l’appuntamento con la ciclo-storica dedicata a Francesco Moser Francesco Moser e la regia organizzativa di APT Trento, Monte Bondone, Valle dei Laghi e ASD Charly Gaul Internazionale propongono una manifestazione che non ha nulla da invidiare agli altri due appuntamenti del weekend trentino dal 6 all’8 luglio, la cronometro di Cavedine e “La Leggendaria Charly Gaul” da Trento al Monte 70

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Bondone. Anzi, “La Moserissima” di sabato 7 luglio fungerà da dolce intermezzo ciclostorico fra le due competizioni. Un tuffo nel passato che, prima di onorare le gesta di Charly Gaul, celebrerà la lunga narrazione ciclistica della famiglia Moser, ricordando anche l’impresa di Aldo Moser, uno dei “superstiti” della tappa da tregenda del Giro d’Italia targata 8 giugno 1956 che

segnò un’epoca. L’Angelo della Montagna vinse sul Bondone in condizioni proibitive, ma chi tagliò il traguardo assieme a lui non fu certamente da meno. “La Moserissima” non è una passeggiata bensì un’impresa, questa volta dal punto di vista del vestiario e degli “attrezzi da gara”, con maglie di lana e biciclette d’acciaio a sfilare sulle strade bianche del Trentino e lungo


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“Ho trovato una bici del ’61, ci sarò sicuramente!” L’antica Via Claudia Augusta ed il gran numero di piste ciclabili animeranno la “singolar tenzone” dopo lo start da Piazza Duomo a Trento, pedalando fra vigneti, meleti e le scenografiche strade di campagna, affrontando tratti off-road come si faceva un tempo, “ascoltando” la pace e la tranquillità nei pressi degli argini del fiume Adige. le vie indicate da Francesco Moser in collaborazione con il comitato organizzatore. Due grandissimi del passato quali il lussemburghese Charly Gaul e il corridore italiano più vincente di sempre, Francesco Moser, verranno celebrati a dovere grazie alla passione dei cicloamatori nella tappa inserita nel “Giro d’Italia d’Epoca”, deliziandosi di prodotti tipici sulle colline del Trentino e fermandosi a casa Moser per gustarsi anche il “Museo del Ciclismo”, dove si potranno ammirare i trofei e le maglie indossate dallo “Sceriffo” sorseggiando del buon vino.

La storia della bicicletta è di lunga data: nel 1817 il barone Drais, in Germania, inventò il cosiddetto “velocipede”, composto da due ruote collegate da un asse in legno, coprendo una distanza di 14.4 km in un’ora, ma per vedere una “Draisienne” dotata di pedali bisognerà attendere fino al 1861, data di nascita del Regno d’Italia. Nel 1870 il “grande Bi” del francese Jules Truffault, con ruote e telaio in acciaio, guarda già alla realizzazione dei primi modelli da corsa. Il primo più vicino all’attuale apparve tuttavia nel 1880,

anche se le modifiche da effettuare per rendere “grande” la bicicletta devono ancora uscire allo scoperto. Ma è lo sviluppo stesso delle gare a permettere l’innovazione del ciclismo, ecco dunque la nascita del cambio e le prime sfide ai valichi alpini che porteranno la bicicletta ad evolversi divenendo ciò che è oggi, un oggetto “prezioso” con il quale divertirsi mantenendosi in forma. “La Moserissima” permetterà tutto ciò, sfilando nel “vintage” di Trento e dintorni, una tappa immancabile per il Giro d’Italia d’Epoca, l’unica dell’intero Trentino-Alto Adige. La tariffa d’iscrizione di 50 euro entro il 30 giugno propone un ricco menù composto da dorsale di gara, ristori sul percorso e all’arrivo, rivista ufficiale La Moserissima, assistenza medico-sanitaria, pacco gara con prodotti del territorio, lunch all’arrivo, servizio trasporto indumenti dalla partenza all’arrivo e, scrivendo all’indirizzo booking@discovertrento. it, si potrà usufruire di offerte vacanza personalizzate.“Ho trovato una bici del ’61, ci sarò sicuramente!”, “Pare che questo sia un evento imperdibile, cercherò di esserci e di visitare questa bellissima parte d’Italia”, i commenti degli appassionati di ciclismo vintage si sprecano e, pazientando ancora un po’, sabato 7 luglio potranno essere al via della quarta edizione de “La Moserissima”, un salto in bicicletta con la macchina del tempo. LIFESTYLE INBICI

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// MENTE IN SELLA

Training Autogeno:

i benefici per il ciclista a cura di Claudia Maffi

Messa a punto nel 1932 dal neuro-psichiatra Johannes Schultz, ancora oggi la tecnica del rilassamento mentale viene considerata efficacissima per compensare l’eventuale riduzione di sonno, migliorare la capacità di gestione delle emozioni e la concentrazione nei momenti decisivi della prestazione

Il training autogeno è una tecnica di rilassamento ideata da Johannes H. Schultz, neurologo e psichiatra, nel lontano 1932. Attraverso una serie di esercizi di autodistensione questa tecnica produce delle REALI modificazioni nel corpo e nella mente al fine di promuovere una diffusa e profonda sensazione di rilassamento. Per i suoi effetti benefici il Training autogeno è attualmente molto utilizzato 72

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anche in ambito sportivo. Negli atleti più ansiosi o stressati contribuisce, infatti, a COMPENSARE l’eventuale riduzione di sonno, migliora la capacità di gestione delle emozioni e la concentrazione nei momenti decisivi della prestazione. TRAINING AUTOGENO: UN ALLENAMENTO AL BENESSERE PSICO-FISICO Si definisce “Training” perché l’apprendimento di questa tecnica dev’essere

GRADUALE e richiede un vero e proprio programma di allenamento. Sono necessarie 6 SEDUTE in presenza di uno psicologo appositamente formato per apprendere la corretta sequenza degli esercizi. È altrettanto fondamentale la pratica quotidiana del training per godere appieno dei benefici della tecnica del dott. Schultz. Durante la pratica del Training Autogeno, l’atleta assisterà al realizzarsi di spontanee modificazioni corporee (per il principio dell’Ideoplasia il pensiero riesce a


Dott.ssa Claudia Maffi Laureata in Psicologia all’università Cattolica, specializzata in psicologia dello sport presso Psicosport di Milano. Conosciuta nel mondo sportivo come Psicologa dello sport e Mental Training per atleti.

mobilitare il sistema neurovegetativo nella sua dimensione parasimpatica) con effetti sul tono muscolare, sulla funzionalità vascolare, dell’attività organica, dell’equilibrio neurovegetativo e dello stato di coscienza. Il rilassamento profondo del corpo si tradurrà in distensione anche mentale. IL TRAINING AUTOGENO IN PRATICA Il TA si compone di 6 esercizi:

Esercizio della Calma. Ogni tecnica di rilassamento inizia con una regolazione del ritmo respiratorio che dovrà diventare calmo, lento e regolare. Esercizio della Pesantezza il cui obiettivo è raggiungere una distensione della muscolatura scheletrica a cui corrisponde una distensione anche mentale. La sensazione di pesantezza sperimentata dall’atleta durante il training deriva da un rilasciamento muscolare profondo che va al di sotto anche del tono normale dei muscoli in situazioni di riposo. Esercizio del Calore che va ad agire sull’apparato cardiocircolatorio provocando una dilatazione periferica dei capillari che consente un miglior ricambio energetico. Durante l’esecuzione dell’esercizio la temperatura cutanea può aumentare fino a 7,5° mentre la temperatura interna diminuisce e la pressione arteriosa si abbassa. L’ Esercizio del cuore va ad agire sulla

funzionalità cardiaca. L’Esercizio del respiro agisce sull’apparato respiratorio. Durante questo esercizio il ritmo respiratorio si avvicina a quello che accompagna il sonno fisiologico. L’ Esercizio del plesso solare agisce sugli organi dell’addome apportando una diffusa sensazione di calore. Il plesso solare è una struttura nervosa situata al di sotto del diaframma che si collega a numerosi organi interni quali stomaco, intestino, fegato. Agire sul plesso solare significa distendere gli organi collegati al plesso solare migliorandone la funzionalità. L’Esercizio della Fronte Fresca agisce a livello cerebrale, provocando una vasocostrizione che si traduce in una sensazione di fronte fresca.

Se sei interessato ad apprendere la pratica del training autogeno o se, semplicemente, desideri avere maggiori informazioni, scrivimi una mail ad info@claudiamaffi.it. Hai poco tempo a disposizione o difficoltà a raggiungermi in studio, NESSUN PROBLEMA! Ho la soluzione che fa per te! Contattami per saperne di più. Sul mio sito www.claudiamaffi.it puoi trovare maggiori informazioni anche sui miei corsi di Mental training; anche in questo caso sono disponibili consulenze e percorsi di Mental Training a distanza.

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SCATTO D’AUTORE GIRO D’ITALIA 2018 - ROMA by Bettiniphoto

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// FOCUS SUL SULLE PRODOTTO AZIENDE

REPENTE il nuovo concetto di sella a cura di Maurizio Coccia

Dotata di architettura modulare, la tecnologia Rls consente di avere più selle in una, scegliendo tra le tre diverse cover che si differenziano per caratteristiche ergonomiche, look ed imbottitura. Il livello qualitativo è altissimo, il peso una “piuma”

Più di ogni altro componente della bicicletta da corsa, la sella ha una struttura e un’architettura che sono cambiate pochissimo nel corso del tempo. 76

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Pensateci: guardando indietro negli ultimi trenta anni a cambiare – non poco, per carità sono state le forme dello scafo, sono cambiati i materiali impiegati su telaio e imbottitura, ma quasi mai sono stati aggiornati i “fondamentali” strutturali di questo componente così importante per la bici. A provare a modificare le cose, negli ultimissimi tempi, ci ha allora pensato un pool di tecnici e designer italiani - di Marostica


Il progetto Repente ha stravolto la modalità classica di concepire, intendere e strutturare la sella. È rivoluzionario non tanto per la possibilità di scegliere la cover più adatta ai vari casi, ma per la possibilità di “trasportare” quest’ultima sulle basi montate sulle secondo (o terze) biciclette che oggi molti amatori posseggono. per l’esattezza - che con il loro nuovo progetto di sella chiamato Repente hanno stravolto la modalità classica di concepire, intendere e strutturare il componente. È nata proprio così la loro sella con struttura modulare, sulla quale, cioè, la porzione destinata a interfacciarsi con il corpo è progettata in maniera intercambiabile, che può essere montata e smontata velocemente su una base unica, realizzata ad-hoc. Per essere precisi in un recente passato qualche altro produttore di settore aveva provato a sperimentare qualcosa di analogo, ma in quel caso la “cover” intercambiabile aveva una forma comune e si differenziava solo dal punto di cromatico. Sul prodotto del marchio Repente il concetto è completamente diverso: le cover disponibili sono tre, cambiano soprattutto nella forma e nei materiali, così da dare all’utente la possibilità di trovare la soluzione più adatta alle sue caratteristiche anatomiche o alle proprie esigenze personali. Un vantaggio ergonomico, insomma, cui si aggiunge quello pratico ed economico di avere una cover che si potrà montare e smontare velocemente per andarla ad utilizzare sulle altre basi che un praticante può installare sulle altre tipologie di bici: sulla bici da strada piuttosto che sulla mtb, sulla bici da crono o sulla gravel-bike. LIFESTYLE INBICI

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RC-BASE Materiale: Carbonio T700 (UD per telaio, 1K per la lastra superiore) Diametro telaio: forma ovale, 7x9 mm Peso rilevato: 74 grammi Prezzo indicativo: 199 euro

COME SI MONTA L’architettura delle selle Repente utilizza una tecnologia brevettata riassunta dalla sigla acronima Rls, che sta per Repente Locking System. Il supporto su cui si fissano le diverse cover è quello che il produttore chiama Rc-Base: è realizzato in un pezzo unico, che ingloba il classico telaio “a forchetta” e un supporto superiore sottile a forma di lastra. Sulle tre estremità della sua sagoma la Rc-Base presenta altrettanti fori, destinati ad ospitare i perni della cover che si è deciso di montare. Accoppiare le due parti è semplicissimo, basta solo ricordarsi di alloggiare gli O-Ring nei perni per ottenere in questo modo un accoppiamento ottimale e per avere anche una maggiore capacità di assorbimento delle vibrazioni. Sono poi tre anelli di tipo seeger ad assicurare la tenuta perfetta delle parti evitandone la fuoriuscita o lo sfilamento accidentale. DESIGN E MATERIALI DI ALTISSIMA GAMMA Repente si posiziona in una fascia qualitativa di altissima gamma: ce lo ricorda non solo il prezzo, ma più che altro lo testimoniano i materiali utilizzati: le componenti strutturali prendono corpo da una fibra di carbonio di classe T700, esattamente la stessa che viene impiegata per formare le

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tubazioni di molti telai di lignaggio elevato. Nella fattispecie di Repente il carbonio T700 è inoltre lavorato non attraverso la semplice laminazione su uno stampo, ma viene compattato in autoclave, per ottenere una resistenza del materiale finito superiore e ovviamente per avere tutta la leggerezza che contraddistingue questa tipologia di carbonio. Le fibre utilizzate sono inoltre continue, senza soluzioni di continuità, mai sottoposte a tensioni esterne, a garanzia di conservazione delle proprietà meccaniche iniziali della materia prima. Il carbonio di serie T700 e la successiva compattazione in autoclave sono impiegati sia per dar forma alla Rc-Base, sia per costruire il sostegno della cover. Nel caso della Rc-Base, inoltre, il tessuto utilizzato è unidirezionale per il telaio (con forma ovale compatibile con tutti i morsetti reggisella in commercio) e in tessuto 1K per la parte superiore. A corredo dei materiali pregiati che compongono il progetto c’è poi uno studio altrettanto curato del design, che viaggia di pari passo con i contenuti ergonomici di cui si è detto. La linea delle selle Repente è filante e snella ed è completata da un rivestimento in elegante Microfibra PU ad alta resistenza. Il rivestimento è, a sua volta, rifinito con una grafica essenziale, che rimane tale su tutte le cinque varianti previste,

che includono versioni con fregi lineari, curvilinei oppure con tinta monocromatica, bianca o nera. In ogni caso il look della cover non dimentica, sul margine inferiore sinistro, il nome del produttore e il tricolore che compone il logo-marchio. TRE COVER PER OGNI ESIGENZA La gamma delle cover Repente è composta dalla Aleena 4.0, dalla Comptus 4.0 e dalla Kuma 4.0. Delle tre la Aleena 4.0 è quella che più si distingue per leggerezza (130 grammi assieme alla Rc-base). Questa cover ha inoltre una fenditura che ne caratterizza tutto lo sviluppo longitudinale, con funzione di scaricare la pressione sul perineo, per un maggiore comfort soprattutto sulle lunghe distanze. Osservato di lato, il profilo di appoggio della Aleena 4.0 ha inoltre un andamento perfettamente rettilineo, che agevola lo spostamento in senso antero-posteriore del bacino per assecondare i diversi punti di seduta che il ciclista tende ad assumere in base al terreno su cui sta pedalano oppure in base all’intensità dello sforzo in quel momento. La zona anteriore o del “naso” è caratterizzata da uno sviluppo piuttosto pronunciato, che aiuta il ciclista anche nella pedalata cosiddetta in “punta di sella”. La stessa prerogativa caratterizza anche la Computs 4.0 che abbiamo avuto il modo di provare: in questo caso il peso è di 139 grammi (da noi rilevati, sempre assieme alla Rc-base) e in questo caso manca l’apertura longitudinale: il piano di appoggio è disegnato per assicurare la maggiore omogeneità possibile nella distribuzione della pressione. Così come sulla Aleena 4.0, anche sulla Computs 4.0 l’imbottitura è in Eva Superleggera, sottile ma resistente. Stesso discorso anche per la Kuma 4.0, soltanto che in questo caso lo strato di foam è maggiore e questo giustifica un peso complessivo leggermente superiore (145 grammi). La Kuma 4.0 è per questo una cover dedicata a chi mette il comfort in cima ai suoi ordini di priorità, è molto indicata per le lunghe distanze o per chi è solito pedalare su terreni non perfettamente levigati, che siano essi su strada o ancora meglio in fuoristrada.(assieme a Rc-base)


COVER ALEENA 4.0 Materiale: Carbonio T700 Rivestimento: Microfibra PU base acqua Imbottitura: Eva superleggera Dimensioni: 275x137 mm Peso dischiarato: 130 grammi (+/-5%) (assieme a Rc-Base) Colori/grafiche disponibili: cinque Prezzo indicativo: 129 euro

COVER COMPTUS 4.0 Materiale: Carbonio T700 Rivestimento: Microfibra PU base acqua Imbottitura: Eva Superleggera Dimensioni: 275x137 mm Peso rilevato: 65 grammi Colori disponibili: cinque

COVER KUMA 4.0 Materiale: Carbonio T700 Rivestimento: Microfibra PU base acqua Imbottitura: Eva Superleggera Dimensioni: 275x137 mm Peso dichiarato: 145 grammi(+/-5%) (assieme a Rc-base) Colori disponibili: cinque Prezzo indicativo: 119 euro

IN PROVA Larm, che dei prodotti Repente è il distributore, ci ha spedito per il nostro test una Rc-Base e una Comptus 4.0, ossia la cover che, sia per leggerezza, sia per caratteristiche dell’imbottitura può essere considerata una via di mezzo tra la Aleena 4.0 e la Kuma 4.0. Proprio le caratteristiche trasversali che ha questa cover ci hanno suggerito di sceglierla per la nostra prova, tanto più che la gamma Repente non prevede un sistema o un protocollo di definizione specifico per individuazione della cover più adatta alle caratteristiche ergonomiche personali. Iniziamo dunque con il montaggio della cover sulla Rc-Base: l’operazione è un gioco da ragazzi, richiede solo qualche attenzione nell’inserimento dei seeger che tutelano il fissaggio dei tre perni della cover. Quando la sella è montata l’impressione immediata è quella di avere in mano un componente compatto e solidale, non certo un accessorio con struttura componibile. L’impressione di resistenza e compattezza rimane tale quando si inizia a pedalare: il binomio tra le due parti rimane solido, non si sentono scricchiolii di sorta, tantomeno difetti di adesione tra le parti. Il feeling nel sedere sul rivestimento in microfibra Pu è quello di essere su una superficie levigata, che facilita gli spostamenti lungo lo scafo già di per sé agevolati da una morfologia del piano di appoggio che, almeno nel caso della Comptus 4.0 che abbiamo provato, si rivela molto adatta in questo senso. In realtà ci asteniamo dal dare giudizi più approfonditi sulle sensazioni di seduta, perché mai come per un componente così personale coma la sella queste sono valutazioni soggettive, legate alle preferenze e alle caratteristiche anatomiche di ciascun utente. Ciò che possiamo dire, però, è che il feeling di seduta percepito è peculiare, non è assimilabile ad altre tipologie/morfologie di sella che in passato abbiamo avuto il modo di testare e che, almeno nel caso specifico della Comptus 4.0 sotto i riflettori, il piano di seduta mostra anche una particolare sagoma a “schiena d’asino”, che agevola la libertà di movimento non solo in senso antero-posteriore ma anche in senso laterale. Infine una considerazione sul prezzo: i prodotti Repente hanno costi non bassi, per carità, ma che corrispondono al livello qualitativo del prodotto, ai materiali pregiati e ai sofisticati standard impiegati per lavorarli. Se, inoltre, si sposa e si fa propria fino in fondo la filosofia che sta dietro questa che, più che una sella, è un nuovo concetto di sella, questo articolo si rivela anche in tutta la sua convenienza economica: ci riferiamo ovviamente alla possibilità di cambiare solo la cover quando questa si usura e anche alla possibilità di “trasportarla” da una bici all’altra. Contatti Produttore: Repente, 0424/472347 www.repente.it - info@repente.it Distributore: Larm, 051/6053020, www.larm.it

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SCATTO D’AUTORE TOUR OF CROATIA 2018 by Bettiniphoto

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// FOCUS SUL SULLE PRODOTTO AZIENDE

ROTOR VEGAST

la guarnitura modulare a cura di Maurizio Coccia

L’ultima arrivata tra le guarniture della spagnola Rotor deve il suo nome all’acronimo delle tre salite più importanti dei tre grandi Giri. Ma non è pensata solo per gli scalatori…

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Nella configurazione che vediamo le pedivelle Vegast sono accoppiate allo spider e alle corone Rotor Q Rings. È inoltre possibile montare le corone in pezzo unico Q Rings Direct Mount, ossia quelle con standard di fissaggio diretto alle pedivelle

Le pedivelle Vegast sono disponibili in tre misure, 170, 172.5 e 175 mm

La genesi del nome è piuttosto bizzarra, non lo nascondiamo, ma il prodotto che è stato battezzato in questo modo è davvero innovativo, pratico e funzionale: Vegast è l’ultima arrivata tra le guarniture della spagnola Rotor. Il nome è acronimo e sintesi delle scalate più famose dei tre grandi Giro: “VE” sta per la subida Veleta della Vuelta a España, “GA” sta per Col du Galibier del Tour de France e infine “ST” sta per Stelvio, del Giro d’Italia. Evidentemente è agli scalatori che Rotor strizza l’occhio nel momento in cui introduce una pedaliera di questo tipo. Gli scalatori sì, ma non solo.

MASSIMA PERSONALIZZAZIONE Tecnologicamente parlando la Vegsat si ispira alla AlDhu 3d+, la guarnitura che Rotor aveva introdotto lo scorso autunno: anche in quel caso il nome è ispirato ad una salita, l’Alpe d’Huez (dove Rotor conquistò la sua prima vittoria al Tour del France con Carlos Sastre nel 2007) e anche in quel caso l’architettura del componente ha un’ingegnosa struttura modulare, esattamente come sulla nuova Vegast, che però utilizza materiali diversi che giustificano una posizione in gamma leggermente inferiore (e un prezzo più basso). In pratica, pedivella destra e spider sono disgiunti e si accoppiano in maniera modulare: l’interfaccia tra i due componenti si realizza attraverso un margine speculare dentato, che consente di ottimizzare e personalizzare l’orientamento delle corone ovalizzate della Rotor, le famose Q Rings. Il sistema di accoppiamento modulare è proprietario e si chiama tecnologia OCP e consente di regolare la posizione della corona con incrementi di un grado. Ora, sulla AlDhu 3d+ le pedivelle sono in alluminio 7055, mentre su questa Vegast troviamo lega leggera

forgiata di classe 6082. Comuni ad entrambe le pedaliere modulari della Rotor sono inoltre gli assali, con diametro da 30 millimetri, che conferiscono grande rigidità e leggerezza al componente.Il valore aggiunto del prodotto, però, è più che altro nella possibilità di selezionare ogni componente della pedaliera in base alla configurazione e alle caratteristiche fisiche della bici. Si può infatti scegliere l’assetto dalle corone fra Q Rings o Round Direct Mount di Rotor oppure le classiche “spider più corone ovali o rotonde” di altre marche. Inoltre, la costruzione con macchine a controllo numerico (Cnc) della Vegast include anche il sistema di foratura proprietario Trinity, con tre fori interni dall’asse al pedale, che consegnano una pedivella molto leggera e di una rigidità superiore, pronta a sfidare le sfide più impegnative. LA COMPATIBILITÀ La guarnitura Vegast è compatibile con tutti gli standard di scatola movimento oggi presenti in commercio. In particolare è adattabile a: BB30, BB386, BBRight, BSA, Ita, Press Fit 30, Press Fit 4130, Press Fit 4630.

Vegast è distribuito in Italia dalla Larm (www.larm.it).


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// FOCUS SUL SULLE PRODOTTO AZIENDE

TUFO COMTURA 3TR a cura di Maurizio Coccia a cura di Maurizio Coccia

La proposta tubeless della Tufo utilizza una nuova tecnologia di protezione dalla forature. Il tutto unito a una grande facilitànell’installazione. E il liquido sigillante È IN REGALO


Anche la Tufo ha in gamma una copertura tubeless, che cioè non necessita di camera d’aria interna. È una novità della linea Tufo, ma ad essere precisi più che un tubeless puro è un tubeless ready, ossia può essere utilizzato come tubeless sui cerchi compatibili con questo standard oppure su quelli compatibili per essere “tublessizzati” con l’apposito kit di trasformazione. Ovviamente, nulla vieta di utilizzare il Comtura 3TR – così si chiama il nuovo pneumatico – sui cerchi tradizionali, adottando una camera d’aria interna. Certo è che i benefici maggiori il Comtura 3Tr li garantisce nella sua modalità di utilizzo nativa, ovvero quella di tubeless. In questo caso il distributore di Tufo per l’Italia Beltrami ci informa che, solo per questo mese, chi acquisterà un Comtura 3TR riceverà in regalo un flacone da 50 ml di liquido sigillante, necessario per garantire l’adesione ermetica di questa tipologia di gomma sui fianchi del cerchio e per prevenire perdite di pressione. Ultimo arrivato della serie Comtura Il Comtura 3TR rappresenta il passo più avanzato nello sviluppo della gamma Comtura. Con questo nome Tufo identifica una serie di prodotti perfetti per l’uso amatoriale evoluto, dotati di caratteristiche della carcassa e della mescola che assicurano un compromesso ottimale tra leggerezza, durevolezza, aderenza su tutti i tipo di fondo e soprattutto resistenza alle forature. Questo è probabilmente il fattore su cui il Comtura 3TR più eccelle: tra battistrada e carcassa Tufo ha infatti posizionato una fettuccia di Vectran, ossia quel polimero di cristalli liquidi le cui fibre sono cinque volte più robuste dell’acciaio. Il Vectran assicura non solo grande resistenza alla perforazione, ma regge benissimo anche i tagli e soprattutto è caratterizzato da un peso molto contenuto. Nella denominazione scelta da Tufo questa protezione è chiamata Vectran Puncture Barrier e, a detta del produttore, assicura anche maggiore stabilità in curva, visto che rende più coesa e omogenea l’adesione tra carcassa e battistrada e di conseguenza ha un’incidenza positiva anche sulla guidabilità. Installazione facile Come si conviene a una copertura di alta gamma come è questa i cerchietti sono realizzati in aramide, sono quindi pieghevoli e assicurano grande facilità nell’installazione sul cerchio. Passando alla mescola troviamo una soluzione alla base di silice, la Sls Silica Compound, adatta sia per l’asciutto che per il bagnato. In caso di pioggia forte, inoltre, le scanalature di cui sono caratterizzate entrambe le spalle provvedono ad evacuare velocemente l’acqua.

Sezioni, peso, prezzo Il Comtura 3TR è proposto nella duplice sezione 700x25c e 700x28c, con pesi rispettivamente di 270 e 300 grammi. Degna di nota è la menzione della pressione di esercizio utile a cui è possibile gonfiare questo tubeless: l’intervallo è 5-8 bar per il “25c” e 4-7 bar per il “28c”. Facciamo notare che il limite di pressione minima è molto basso rispetto a quel che accade per le coperture di tipo copertoncino, e sicuramente questo è una delle peculiarità e dei vantaggi che proprio questo tipo di gomma ha. Altrettanto interessante è il prezzo indicativo al pubblico: 49.90 euro, un costo relativamente basso se paragonato all’offerta analoga che nel segmento “tubeless” mettono in campo altre aziende.

Tufo, www.tufo.com Distributore: Beltrami tel. 0522/307803 info@beltramitsa.it www.beltramitsa.it

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Lazer Bullet Mips casco aero

con ventilazione on-demand a cura di Maurizio Coccia

Un casco di utilizzo professionale. Ha una porta anteriore scorrevole che consente di modulare in corsa le caratteristiche di ventilazione. Il design è compatto, la sicurezza è massima, anche grazie alla tecnologia Mips di cui è provvista questa versione al top che abbiamo provato. Bullet, ovvero in italiano “proiettile”: non può che essere dedicato alla velocità un casco che si chiama in questo modo. È infatti questo il nuovo casco aero della Lazer. Nella gamma del marchio belga il Bullet condivide il vertice della gamma con lo Z1, che è invece modello più caratterizzato per 90

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ventilazione e leggerezza. Non a caso, infatti, se andate a vedere le corse professionistiche di questo inizio estate, è più probabile che troviate lo Z1 sulla testa dei corridori del team equipaggiato da Lazer, la Lotto-NL Jumbo; al contrario il Bullet è stata la scelta privilegiata delle competizioni di inizio e di fine stagione, visto che oltre ad essere

più adatto a fendere l’aria un casco aerodinamico come questo è anche più protettivo rispetto al freddo. Questo, in teoria, è quel che suggerisce la regola per questa tipologia di caschi; in realtà il Bullet utilizza una tecnologia esclusiva ed inedita, in grado di renderlo sia aerodinamico, sia ventilato.


LA PORTA AIR SLIDE Il Bullet è stato presentato dalla Lazer a fine 2017. Da un lato la sua apparizione ha colmato la mancanza di un casco aero che fino a quel momento caratterizzava la gamma del marchio belga, dall’altro ha anche risolto un nodo per così dire normativo: fino allo scorso anno, infatti, l’opzione aero della Lazer era assolta dalla calottina aerodinamica Aeroshell, da montare sopra la calotta dello Z1. In realtà da qualche tempo l’Uci ha vietato in corsa l’utilizzo di caschi provvisti di accessori removibili: per Lazer è stato questo un ulteriore stimolo a realizzare un vero e proprio casco aerodinamico come è il Bullet. Il design filante che ha la calotta è quanto di meglio possa servire per vincere la resistenza all’aria, così come la linea compatta che questo casco mostra nella parte laterale è anch’essa la soluzione migliore per migliorare il CX e vincere anche le folate di vento laterale. Non è tutto: nella sezione centrale, e in particolare sulla parte che corrisponde la fronte e arriva fino alla sommità del cranio, la calotta del Bullet alloggia una sorta di sportello scorrevole, con una finitura superficiale forata, a nido d’ape. Lo sportello non a caso è chiamato Air

LAZER Bullet Mips Casco aero

Slide, perché permette di gestire, anche durante la marcia, i quattro spoiler orientabili sottostanti e lo fa in modo da aprire oppure da celare all’ingresso all’aria dalla voluminosa feritoia larga 6 centimetri e lunga 15. Per azionare l’Air Slide è sufficiente una sola mano: facendolo scivolare verso l’alto gli spoiler sottostanti si aprono e si attiva il flusso dell’aria, mentre portando l’Air Slide verso il basso gli spoiler si chiudono, il flusso si interrompe e il casco diventa meno ventilato ma più aerodinamico. VENTILATO O “TUTTO AERO” Lo sportello Air Slide è realizzato in plastica, si fissa sul casco con un meccanismo ad incastro, attraverso quattro perni che si fissano nella calotta del Bullet. Le sue caratteristiche removibili consentono anche di rimuovere anche l’accessorio previsto di serie nella confezione del Bullet: è una porta completamente chiusa, la cui superficie compatta si modella perfettamente sui limiti della calotta e rende il Bullet un casco al cento per cento aerodinamico (e molto meno ventilato). Lo stesso criterio di fissaggio ad incastro lo ritroviamo su un secondo sportello applicato subito dietro la posizione dell’Air Slide e anche questo posto in posizione centrale rispetto alla calotta. È dunque possibile optare

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per lo sportello areato con aperture a nido d’ape oppure montare lo sportello completamente chiuso, sempre in base alle necessità di ventilazione o di aerodinamica ricercate in quel momento oppure per adattare il casco alle differenti condizioni climatiche. In questo senso il Bullet è davvero un casco aero sì, ma personalizzabile al cento per cento. TECNOLOGIA MIPS Il casco Bullet che Shimano Italia ci ha dato l’occasione di testare (ricordiamo da due anni Lazer è un marchio di proprietà di Shimano) utilizza la collaudata e robusta costruzione In-Mold della calotta a cui viene accoppiato il sistema di sicurezza interno Mips. Mips è una tecnologia di parte terza è un azienda svedese - che consente di attutire la forza d’urto degli impatti più frequenti nelle cadute in bicicletta, quelli rotazionali. È in pratica una sorta di intercapedine tra porzione in Eps e calotta cranica, che, attraverso la sua struttura duplice costituita da una calotta a basso attrito e da elastomeri che la interfacciano alla struttura del casco, consente letteralmente di tra92

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slare, e quindi di ridurre, la forza d’urto in caso di impatto. Approfittiamo per dire che oltre a questa versione “Mips” il Bullet è proposto anche in versione standard, senza tecnologia Mips.

IN PROVA LA SICUREZZA ADDOSSO È uno di quei caschi, il Bullet, che appena lo metti alla testa ti dà subito l’impressione di avere addosso qualcosa di estremamente valido e protettivo. Questo probabilmente è dovuto anche all’adesione perfetta che con la calotta cranica assicura la calotta interna Mips e sicuramente è merito anche della personalizzazione fine che garantisce il sistema di regolazione Ats (Advanced Turnfit System): è possibile intervenire sia in senso laterale, con una rotella posteriore, che verticale. Per regolare la ritenzione in altezza basta intervenire sulla vite che fissa il punto di inserimento posteriore della cinta: in questo modo si riesce a far corrispondere al meglio la ritenzione posteriore con la nuca e a stabilizzare al meglio il casco. Il

resto lo fa la rotella posteriore, che cinge bene il sistema di ritenzione sul cranio. Unico appunto a detta di chi scrive, è che la rotella posteriore per la regolazione perimetrale è un po’ troppo piccola, probabilmente poco pratica da maneggiare ad esempio con i guanti invernali. La stabilità della calzata è comunque garantita: anche senza chiudere la fibbia sottomento, provando a scuotere vigorosamente la Bullet il casco rimane ben fermo sulla testa. Anche a livello estetico questo casco ha numeri da esibire: soprattutto nella osservazione laterale il design è compatto, non ingombrante rispetto alla testa, per il piacere di tutti quei praticanti (e sono la stragrande maggioranza) che di un casco considerano anche come appare quando indossato. Ma iniziamo a pedalare, più che altro per darvi il nostro giudizio sulla caratteristica peculiare di questo Bullet, ovvero la porta anteriore scorrevole Air Slide, che regola il transito dell’aria all’interno della calotta. Azionare il dispositivo in corsa è semplicissimo ed effettivamente la differenza di aerazione è notevole a utilizzare il Bullet con lo sportello Air Slide aperto oppure no.


Ancor più ventilato il casco lo diventa quando si sceglie di montare il pannello posteriore aperto, rispetto a quello chiuso previsto in dotazione. A questo aggiungiamo la soluzione diametralmente opposta, cioè quella di impedire completamente l’accesso all’aria montando tutti e due gli sportelli chiusi. Le possibilità di personalizzazione della aerazione sono insomma moltissime. Resta comunque il fatto che, anche utilizzandolo nella configurazione più areata, il Bullet è un casco meno ventilato dello Z1 (per la prova andatevi a vedere il nostro test pubblicata sul numero di Febbraio), che appunto è il casco della Lazer che più eccelle per ventilazione e leggerezza. A proposito di leggerezza, il Bullet in misura media che abbiamo testato ha fatto rilevare 379 grammi sulla bilancia elettronica. In assoluto non è un peso contenuto, ci mancherebbe, ma va sempre ricordata la categoria aero a cui questo casco appartiene (caschi del genere pesano naturalmente di più rispetto a quelli con più feritoie di ventilazione) e soprattutto va ricordato il fatto che ad aggiungere qualche decina di grammi in più c’è la calotta interna della tecnologia Mips: ci rimette qualcosa la bilancia, ma ci guadagna tantissimo la sicurezza, statene certi.

LA SCHEDA TECNICA Materiale calotta: Eps Fori di ventilazione: da 8 a 10 a seconda di come lo si configura Sistema di ritenzione: Advanced Turnfit System, con rotella posteriore, regolabile in altezza Tecnologia impiegata: sistema di protezione interno Mips Misure disponibili: XS (50-54 cm), S (52-56 cm), M (55-59 cm), L (58-61 cm) Peso rilevato: 379 grammi (mis. M) Colori disponibili: nero opaco, bianco, giallo-nero, rosso-bianco-nero Certificazioni di sicurezza: CE-CPSC-AS Prezzo indicativo al pubblico: 300 euro (250 euro in versione senza Mips) Note: compatibile con sensore per la rilevazione della frequenza cardiaca LifeBeam; compatibile con il sensore per la rilevazione dell’inclinazione Produttore Lazer - www.lazersport.com Contatti: Shimano Italy T 0331/936911

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GIRO DELLE MINIERE

Pedala con Massimiliano Lelli a cura della redazione re giorni che si svolgerà in Sardegna: iscritte anche tante squadre europee Il Giro delle Miniere 2018 si prospetta come un’edizione indimenticabile per tutti coloro che vi parteciperanno: la manifestazione si articola su tre giornate di gara, dal 2 al 4 giugno, e sarà presente come ospite d’onore Massimiliano Lelli, l’ex corridore capace di vincere tappe al Giro d’Italia e la classifica generale di un’edizione della Volta Portugal. Più in generale, per tutti gli amatori, ci sarà l’opportunità di pedalare in una delle zone turistiche più belle d’Italia, la provincia di Carbonia Iglesias, caratterizzata dalle tante miniere che è possibile ammirare anche dalla strada. Il 2 giugno, prima giornata di gare, si svolgerà la cronometro che decreterà i campioni d’Italia FCI. Il campionato italiano si disputerà su un tracciato molto

tecnico, su misura per specialisti, lungo 12 km, che si snoderà nel comune di Gonnosfanadiga. Il giorno seguente si svolgerà la Granfondo Giro delle Miniere su un percorso particolarmente impegnativo: 120 km per 1870 metri di dislivello, lungo paesaggi incastonati tra i monti e il mare, con alcune delle spiagge più belle del mondo. Un’occasione unica e irripetibile per unire il ciclismo alle vacanze, visto il clima caldo che offre la Sardegna già dagli ultimi giorni di primavera. L’ultima delle tre giornate di gara, prevista per il 4 giugno, prevede un circuito leggermente vallonato: 3 giri da percorrere per 94 km complessivi da coprire. In tutti e tre i giorni il comitato organizzatore metterà a disposizione di tutti i partecipanti il pasta party, che sarà compreso nei 70 euro della quota di iscrizione per tutte e tre le tappe. Molto ricche saranno le premiazioni,

Comune di Iglesias

Comune di Gonnosfanadiga

in quanto al termine di ogni tappa ci saranno non solo le premiazioni di giornata ma anche quelle riguardanti la classifica generale, che sarà suddivisa in fascia A e fascia B sia maschile che femminile. Nelle premiazioni per squadre sono previsti anche dei buoni benzina. Il fascino della Sardegna ha colpito anche gli appassionati provenienti dall’estero, in quanto ad oggi, al Giro delle Miniere, risultano iscritti anche team provenienti da Svizzera, Belgio, Inghilterra e altre nazioni europee. Il Giro delle Miniere è sostenuto dall’Assessorato allo Sport e al Turismo Tutti coloro che intendono partecipare avranno la possibilità di soggiornare a mezza pensione presso strutture ricettive dotate di ogni comfort: per prenotare è possibile contattare direttamente l’organizzatore Luigi Mascia al numero di telefono 348-9361032.

Comune di Pabillonis

Comune di Villamassargia


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DONNA INBICI

a cura di Ilenia Lazzaro

Liv Langma Advanced Pro Disc

la bicicletta

è donna

Il colosso di Taiwan Giant propone sul mercato una linea di telai interamente dedicata al gentil sesso. E finalmente il ciclismo abbandona la strada dell’unisex 96

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Chi è Ilenia Lazzaro Giornalista sportiva ed addetta stampa, commenta da circa 15 anni il ciclismo fuoristrada. Specializzata nel ciclocross, lo pratica da quasi 20 anni, prima come elite ora come master. Conduce con Nicola Argesi “Scratch”, programma tv nazionale su Canale Italia.

Anche chi professa la parità dei generi deve ammetterlo: le biciclette da donna, per tante ragioni ampiamente documentate, devono avere uno sviluppo ed un assetto diverso rispetto a quelle da uomo. Lo sviluppo antropometrico femminile, infatti, è diverso e la maggior parte delle atlete corrono e si allenano su bici con posture geometriche scorrette, spesso ripiegando su biciclette da uomo con misure piccole, non adatte alla conformazione femminile.

Ovviamente esiste sempre l’eccezione che conferma la regola: alcune donne possiedono infatti caratteristiche muscolo – scheletriche assimilabili a quelle maschili, soprattutto atlete di statura elevata, quindi le bici risultano troppo lunghe ed obbligano le atlete ad una posizione innaturale. Finalmente si comincia a dare la giusta importanza alle donne in bicicletta: alcune aziende così cominciano a costruire bici ed attrezzature specifiche. Tra queste c’è la Giant, uno dei primi colossi della bike-economy ad aver investito tempo e risorse nel confezionamento di una linea di telai completamente dedicata alla donna (un anno fa progettò anche le e-bike per il gentilsesso). Si chiama Liv e non si tratta solo di un riadattamento in rosa dei top di mercato della casa di Taiwan. In realtà, alla base del nuovo

Il telaio della Langma Advanced è aereodinamico e scattante (un giusto mix tra rigidità, aerodinamica e comfort): già testata in occasione del Giro Rosa dal team Sunweb, è una bici racing adatta a tutte le occasioni, sia per sprintare che per affrontare salite impegnative.

progetto industriale, c’è uno studio attento, soprattutto nelle geometrie che più si adattano alla corporatura femminile. Il telaio della Langma Advanced è aereodinamico e scattante (un giusto mix tra rigidità, aerodinamica e comfort): già testata in occasione del Giro Rosa dal team Sunweb, è una bici racing adatta a tutte le occasioni, sia per sprintare che per affrontare salite impegnative. Leggera (poco più di 8 kg e mezzo in totale), performante, in carbonio e montata Shimano Ultegra 11 Disc, è la giusta sintesi per chi cerca un prodotto top di gamma ad un prezzo più che ragionevole. Langma adotta delle soluzioni tecniche presenti anche sui modelli top di Giant, come ad esempio il bottom bracket PowerCore e la serie sterzo Overdrive2. Liv Langma ha in dotazione il sistema RideSense, un trasmettitore wireless integrato nel telaio per la trasmissione Ant+ delle informazioni relative a velocità e rpm, posizionato sul fodero basso non drive. La versione Disc permette la scelta di coperture da 25 fino a 28 cc. Prezzo al pubblico 3399 euro. Info https://www.liv-cycling.com/it LIFESTYLE INBICI

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// FOCUS SUL PRODOTTO

Briko Ventus e Superleggero a cura di Maurizio Coccia

Al vertice della collezione della linea caschi dell’azienda lombarda c’è il Gass, cioè il casco aero che i pro dalla Bardiani-Csf, cioè il team sponsorizzato da Briko, utilizzano tutto l’anno, sia nelle giornate fredde che con il caldo torrido. 98

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A seguire c’è proprio il Ventus che, a livello tecnologico, ha poco da invidiare al primo della classe e che propone una calotta dalla morfologia molto simile, con un profilo filante e compatto ma con ampie feritoie che consentono di veicolare l’aria all’interno. In particolare, nella parte frontale troviamo una feritoia a forma di “U” rovesciata accoppiata ai lati a due aperture più lineari; questa architettura frontale comunica con feritoie più numerose e

ampie che caratterizzano le due porzioni laterali, quella superiore e infine la parte posteriore, lì dove la teoria delle aperture caratterizza tutta la parte nucale con sei ampi “squarci” che delimitano la delicata area della nuca. Una canalizzazione di questo tipo produce un effetto aerodinamico assimilabile al famoso effetto Venturi, ossia quel fenomeno fisico per cui tipologia e sezione del condotto in cui è obbligato a scorrere un gas (in questo caso l’aria)


Sgomberate la vostra testa dall’idea che i moderni caschi aerodinamici siano inutilizzabili d’estate perché non lasciano passare l’aria. O almeno sgomberatela se vedete e provate l’offerta d’alta gamma della Briko.

Forma e architettura di ventilazione del Ventus sono mutate direttamente dal modello di altissima gamma Gass, utilizzato dai pro della Bardiani-Csf. La voluminosa feritoia frontale a forma di “U” rovesciata comunica direttamente con le aperture più numerose ma più piccole poste di dietro. L’effetto aerodinamico che ne risulta non solo refrigerante, ma produce anche una spinta propulsiva assimilabile a quello che in fisica è noto come “Effetto Venturi”

TECNOLOGIA PER LA SICUREZZA L’area soggetta ad impatto in caso di cadute in bicicletta è quella delle tempie, che tra l’altro è anche la porzione della testa meno protetta dalla calotta cranica. Non a caso è proprio in corrispondenza di questa parte che il reparto ricerca e sviluppo Briko ha deciso di posizionare il suo sistema protettivo proprietario utilizzato sui caschi di alta gamma. Neanche a dirlo, il sistema si chiama Protetto System e si presenta sotto forma di due aree ad alto assorbimento degli urti posizionate nella parte interna della calotta. Le aree hanno una forma riconducibile ad un triangolo e, al loro interno, alloggiano il Perfusion Shock Absorber, un materiale in grado di attutire e distribuire al meglio la forza d’urto di un eventuale impatto. Inoltre, la tecnologia Protetto System viene accoppiata al sistema Fluid, che si ispira alla funzione esercitata nel corpo umano dal liquido cerebrospinale:

producono una differenza di pressione tra l’aria in entrata e l’aria in uscita tale da produrre una vera e propria spinta propulsiva. Siamo sinceri: nel nostro test è stato difficile accorgerci di questo, ma di sicuro questo casco ci ha dato subito l’impressione di avere qualcosa di estremamente filante e, allo stesso tempo, compatto sulla testa. Tutto questo con un patrimonio tecnologico invidiabile, che prima di tutto investe sul requisito più importante per un articolo come un casco: la sicurezza.


Oltre a contenere il peso a soli 21 grammi la struttura frameless, cioè senza montatura, del Superleggero consente una vista periferica totale, sia in senso laterale che verticale.

esattamente come questo il Fluid esercita una protezione del cranio agendo tramite la matrice dei cinque Pods arancio fluo con struttura a “croce greca” che interfacciano la calotta del casco e la calotta cranica. I cinque Pods rappresentano non solo una protezione supplementare di protezione per il cranio, ma consentono di ridurre la forza d’urto lineare e quella rotazionale fino al 39 per cento, “traslando” letteralmente il colpo. Il tasso di sicurezza del Ventus si completa poi con la finitura posteriore riflettente, che aumenta la visibilità quando la luce del giorno diminuisce. Infine il sistema di regolazione: l’adattamento fine delle due misure disponibili, M e L, è assicurato da una regolazione micrometrica effettuabile sia in senso verticale che laterale.

In caso di caduta in bicicletta l’onda d’urto è orientata in direzione soprattutto tangenziale rispetto alla calotta, non perpendicolare. Proprio per attutire questo tipo di impatto entrano in azione i cinque pod del sistema fluid.

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CASCO VENTUS Materiale calotta: Eps Tecnologia di costruzione: In Moulding Full Fori di areazione: 22 Regolazione perimetrale: rotella Roll Fit X-Light con gestione laterale e verticale a tre step Colori: Black Orange-Fluo Taglie: M (53-58 cm), L (58-63 cm)

Certificazioni di sicurezza: CE EN 1078, Cpsc Peso rilevato: 375 grammi Imbottitura interna: con trattamento antibatterico Polygiene Stay Fresh Prezzo indicativo al pubblico: 150 euro Note: Disponibile anche in versione standard, senza Pods, a 120 euro

GLI OCCHIALI SUPERLEGGERO Gli occhiali Superleggero rappresentano l’accessorio perfettamente complementare al casco Ventus e questo non solo per l’accostamento ottimale garantito a livello cromatico. Oltre a questa sgargiante Fluo Orange-Yellow il Superleggero è proposto in altre sei finiture e in tutti i casi la sagoma superiore dell’occhiale si accoppia perfettamente con il margine inferiore del casco, così come le astine si adattano perfettamente al perimetro laterale del Ventus. Con quest’ultimo il Superleggero condivide anche l’appartenenza a un livello qualitativo di altissima gamma: stiamo infatti parlando di uno degli occhiali di punta della Briko e, come suggerisce il nome, si caratterizza per un design minimal e una struttura essenziale, che riducono il peso


OCCHIALI SUPERLEGGERO Lente: base 7 Materiale lente: policarbonato Materiale astine: Grilamid TR90 ad alta resistenza Nasello e terminali: in Megol, anallergici, nasello regolabile Peso rilevato: 21 grammi Colori disponibili: Shiny Fluo Orange Yellow, Shiny White, Matt black, White/black, White/Red, Yellow Flow. Lenti in dotazione: Silver, cat 3, Pink cat. 1 Prezzo indicativo al pubblico: a partire da 139,90 euro. Note: disponibile anche nella versione Superleggero XL, di maggiore larghezza, per visi più grandi

a soli 21 grammi. “Design minimalista progettato attorno alla prestazione” recita il claim con cui Briko promuove questo suo modello. Effettivamente, per un corridore ciclista non c’è niente di meglio di un occhiale leggero, che quasi si dimentica di indossare, per ottenere il massimo della performance e per ridurre al minimo la sensazione di ingombro che talvolta alcuni occhiali più pesanti procurano, in particolare sul dorso del naso. Con il Superleggero questo rischio non esiste. L’ergonomia è tra l’altro corredata dalle qualità anallergiche delle tre parti destinate al contatto con la pelle, appunto il nasello e i due terminali, che sono realizzati in materiale morbido Megol. LENTE FRAMELESS Alla base della leggerezza del Superleggero c’è soprattutto la sua struttura frameless, cioè priva della classica montatura che perimetra le lenti, che invece in questo caso sono rappresentate da una monolente che sorregge e tutto l’occhiale. La lente è realizzata in policarbonato ed è intercambiabile, ha una base di curvatura 7 sagomata in modo da non interferire con i lineamenti del volto e assicurare una visione perfetta su tutto il campo visivo, sia in prospettiva periferica totale, sia longitudinalmente, sia verticale. Come è logico aspettarsi da un occhiale di questo livello, la protezione dai raggi

UV è completa. La lente si sostituisce rapidamente, con un sistema di fissaggio e smontaggio intuitivo e veloce, sviluppato assieme ai professionisti del team Bardiani-CSF, che questo occhiale lo utilizzano correntemente assieme ad altri modelli forniti loro dallo sponsor Briko. Aggiungiamo inoltre che, in caso di caduta o di impatto, le aste si sganciano per garantire un tasso di sicurezza ancora maggiore.

Nella dotazione di serie il Superleggero è fornito di due lenti: quella specchiata chiamata Silver, appartenente alla categoria 3 di filtraggio della luce e adatta per condizioni di elevata visibilità. Presente inoltre la lente chiamata Pink, di categoria 1, ideale per la penombra o per condizioni di scarsa illuminazione. Contatti: Briko, www.briko.com

Oltre al sistema Fluid, che qui vediamo rimosso dall’interno della calotta, a garantire la maggiore sicurezza possibile al Ventus provvedono le due porzioni ad alto assorbimento degli urti Protetto System, posizionate in corrispondenza delle meningi.


Tessitura Fratelli Gelmi

Tessitura

Fratelli Gelmii Tecnologia in digitale sublimatica ad alta definizione e capacità di soddisfare tutte le esigenze del cliente. A Leffe, in provincia di Bergamo, una storica azienda conferma, anno dopo anno, il suo ruolo di leader sul mercato Quasi duemila clienti, cinquemila ordini evasi nel 2017 ed un milione di metri cubi di tessuto stampati mediamente in un anno. Questi i numeri della Tessitura Fratelli Gelmi, storica azienda di Leffe, in provincia di Bergamo, leader nella stampa digitale su tessuto e nel confezionamento di bandiere e striscioni.

Su una superficie di 3.000 metri quadrati, l’azienda dispone di quindici plotter per stampa continua, cinque calandre di fissaggio ed un’officina meccanica per la lavorazione di strutture e alluminio. Inoltre, tra i sui servizi, è prevista la confezione sartoriale per realizzazioni su misura. Al grido di “100% prodotto italiano”, la Gelmi si distingue sul mercato per la garanzia di qualità e disponibilità nei tempi richiesti dal cliente. Per accorciare la filiera produttiva, infatti, tutte le stampe vengono realizzate all’interno degli stabilimenti aziendali con l’ausilio dei macchinari tecnologicamente più evoluti. Con processi produttivi di altissima qualità, la Gelmi confeziona tessuti Jacquard filigranato, striscioni, bandiere, gagliardetti e gonfaloni, stampa in grande formato, nastri in Tnt segna-percorso e copri-pallet, stendardi, poster, espositori rollup, gonfiabili, pettorine, tappeti, gadgets e

qualsiasi altro articoli da stampare. Il suo “core business” è la stampa digitale da carta transfer ad altissima risoluzione in quadricomia, un sistema all’avanguardia che offre i massimi standard di definizione. A differenza delle normali stampe, infatti, in cui l’inchiostro non penetra nel tessuto e quindi crea una scarsa definizione della stampa ed una pessima resistenza del colore, con la stampa in digitale sublimatica ad alta definizione da carta transfer, l’inchiostro stampato, per effetto della sublimazione, si trasforma in gas e la grafica si trasferisce in modo permanente ed indelebile nella fibra sintetica del tessuto, conferendo al prodotto finale un aspetto inimitabile. Tessitura F.lli Gelmi propone una vasta gamma di tessuti concepiti ed ingegnerizzati nei propri stabilimenti per garantire, attraverso processi ormai collaudati, la miglior durata e qualità di stampa su ogni tessuto.



// FOCUS AZIENDE FOCUS SULLE SUL PRODOTTO

Shimano RP9 a cura di Maurizio Coccia

Le nuove RP9 hanno subito un aggiornamento importante sul piano tecnico e del design. Il family feeling è quello del top di gamma S-Phyre: rispetto a queste hanno una suola meno rigida e allo stesso modo hanno tanto da offrire sul piano del comfort, dell’ergonomia e della personalizzazione. Sono scarpe trasversali, adatte per l’agonista di vertice, per il granfondista e l’amatore. 104

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LE RP9 SONO SCARPE TRASVERSALI, ADATTE SIA PER L’AMATORE EVOLUTO CHE PER L’AGONISTA. IL TAGLIO DELLA TOMAIA È IN PEZZO UNICO, CONSEGNA UNA CALZATURA ELEGANTE E SOPRATTUTTO FASCIANTE NEI CONFRONTI DEL PIEDE.

Se dicendo “Shimano” vi vengono soltanto in mente i gruppi e i componenti della trasmissione, di sicuro, cari amici, è il caso di aggiornarvi: guardate allora le foto o le immagini delle gare del ciclismo World Tour e guardate cosa calzano moltissimi pro rider. In moltissimi casi ai loro piedi troverete scarpe blu in tutto simili a queste che vi andiamo a presentare, appunto scarpe della Shimano, che da più di venti anni investe parte importante del suo patrimonio tecnico ed economico per sviluppare scarpe da ciclismo dedicate non solo agli agonisti, ma anche agli amatori o ai neofiti, che siano essi praticanti della strada o della mountain bike. LA SUOLA È IN CARBONIO ED HA UN INDICE DI RIGIDITÀ DI “10”, SECONDO UNA SCALA INTERNA CHE HA NEL 12 IL SUO VALORE MASSIMO. IN REALTÀ NELLA PROVA DA NOI EFFETTUATA LA ROBUSTEZZA DELL’APPOGGIO È STATA TOTALE…

RP9 il paio pesa solo 488 g

In particolare, le calzature che Shimano Italy ci ha spedito in redazione sono le ultime arrivate nella linea Footwear Road della Casa giapponese: sono la nuova versione delle RP9, in ordine di gamma seconde solo al al top chiamato S-Phyre, che è appunto il modello più gettonato dai corridori. Non è l’unico in realtà, proprio perché qualche big del pedale – uno su tutti Boasson Hagen - preferisce utilizzare scarpe simili a queste RP9 per gareggiare. Spiegare il perché di tutto questo è importante per capire a che tipo di utente sono destinate queste elegantissime scarpe blu che abbiamo avuto la fortuna di provare. UN LUOGO COMUNE DA SFATARE Un malinteso piuttosto frequente tra i praticanti di ciclismo è quello per cui i corridori professionisti necessariamente utilizzino gli articoli più costosi tra quelli messi a disposizione loro da-


SHIMANO ITALY CI HA INVIATO UN PAIO DI RP9 IN TAGLIA 44: COMPRENSIVO DELLA SOLETTA INTERNA IL PESO AL PAIO DA NOI RILEVATO È STATO DI 488 GRAMMI. PRATICAMENTE DUE PIUME AI PIEDI…

gli sponsor tecnici. Il malinteso è così diffuso che i praticanti di casa nostra, che notoriamente sono quelli che più orientano le loro scelte con l’obiettivo di emulare l’equipaggiamento del campione, mettono sempre il “top di gamma” in cima alle loro proprietà di acquisto. La recensione di queste belle scarpe RP9 ci è propizia per sfatare questo luogo comune, un luogo comune che tra le altre cose è declinato non solo sulle scarpe ma anche su molte altre categorie merceologiche della filiera “ciclo”, primi tra tutti i telai. Vi diciamo allora che il norvegese Boasson Hagen ha deliberatamente chiesto a Shimano di utilizzare scarpe speciali, dove la tomaia è quella delle S-Phyre, mentre la suola è quella delle RP9 che vediamo. Il corridore norvegese ha infatti una pianta del piede

delicata ed ha caratteristiche anatomiche che poco si adattano alla rigidità estrema della suola delle S-Phyre. Questo è un messaggio importante per i praticanti amatoriali, proprio loro che a rigor di logica non dovrebbero necessitare delle caratteristiche prestazionali che più occorrono ai corri-

dori e proprio loro e che, tra l’altro, le scarpe le pagano e non le ricevono in uso gratuito dagli sponsor… Insomma, l’articolo più adatto – in questo caso la scarpa più adatta – per i ciclisti non necessariamente è quella che costa di più, ma piuttosto quello che più si addice alle caratteristiche anatomiche dei vari soggetti, al loro livello e alla loro frequenza di pratica. FAMILY FEELING S-PHYRE Rispetto all’omonimo modello precedente le RP9 introdotte da Shimano nella sua linea Footwear 2018 sono migliorate sia dal punto di vista dei materiali che del design: quest’ultimo è in tutto simile al look affusolato e filante che contraddistingue la tomaia delle S-Phyre. In effetti, se queste ultime sono il modello di riferimento della categoria Road Competition, le nuove RP9 si collocano subito al di sotto, sono l’articolo di vertice della

IL SISTEMA DI CHIUSURA SUL COLLO DEL PIEDE È CON IL COLLAUDATO ROTORE BOA. NELLA VERSIONE IP1 UTILIZZATA SULLE RP9 LA GESTIONE DELLA TENSIONE È MICROMETRICA, SIA NELL’AUMENTO CHE NELLA RIDUZIONE DELLA TENSIONE DI ALLACCIO.

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RP9

Rispetto all’omonimo modello precedente le RP9 introdotte da Shimano nella sua linea Footwear 2018 sono migliorate sia dal punto di vista dei materiali che del design.

LA SUOLA È CORREDATA DA UN TACCO IN GOMMA, UTILISSIMO QUANDO SI SCENDE DI SELLA. LA COMPATIBILITÀ È CON TUTTI I PEDALI CON TACCHETTE TRE FORI.

classe Road Performance, che negli intenti di Shimano è appunto una classe trasversale, dove trovano spazio scarpe adatte sia per la pratica agonistica sia per quella amatoriale e granfondistica (e nel caso delle RP9 amatoriale evoluta). Sempre in

un’ottica comparativa rispetto al top di gamma aggiungiamo che anche la suola delle RP9 ha le medesime caratteristiche morfologiche, anche questa è realizzata in carbonio, ma ha un indice di rigidità leggermente inferiore (valore 10 rispetto al valore 12 attribuito alla suola delle S-Phyre). Identica è anche la morfologia della suola, ispirata alla forma della tecnologia proprietaria Dynalast, che Shimano ha sviluppato nel corso degli anni per ottenere la sagoma più adatta sia per trasmettere la maggiore energia possibile sui pedali, sia per rispettare l’anatomia della pianta del piede nel momento in cui questa è obbligata al gesto (non naturale) del pedalare.

I MATERIALI USATI Al rigido carbonio impiegato sulla suola le RP9 abbinano una morbida tomaia realizzata in microfibra. Nonostante la sua essenza sintetica la microfibra ha fattezze e caratteristiche simili alla vera pelle ma diversamente da questa è molto più leggera e impermeabile: la microfibra delle RP9 assorbe meno acqua e si asciuga velocissimamente in caso di uscite “bagnate”. La tomaia è inoltre realizzata in pezzo unico, senza sormonti di materiale interno potenzialmente sfavorevoli per il comfort percepito sulla pelle. Lungo LIFESTYLE INBICI

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RP9 BLACK

RP9 NAVY

Al rigido carbonio impiegato sulla suola le RP9 abbinano una morbida tomaia realizzata in microfibra. Nonostante la sua essenza sintetica la microfibra ha fattezze e caratteristiche simili alla vera pelle ma diversamente da questa è molto più leggera e impermeabile tutta la sua superficie la tomaia risulta poi microforata secondo una teoria che facilita l’aerazione interna. Approfittiamo per dire che con lo stesso obiettivo dell’areazione è impiegato il voluminoso foro posto nella sezione anteriore della suola. Tornando alla tomaia, sulla punta è accoppiata a una porzione di materiale protettivo in gomma, mentre nella parte posteriore, è rivestita esternamente da un cupolino in plastica che ha la funzione di trattenere meglio il tallone e di impedire ogni possibilità di scalzata accidentale. IL SISTEMA DI CHIUSURA E LA SOLETTA INTERNA Il sistema di chiusura fa del rotore micrometrico Boa IP1 il suo elemento principale: il Boa è in questo caso posto sul dorso del piede, ed è vincolato

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ad una la cinghia ad alta resistenza che sviluppa tutta la sua area di chiusura sulla parte alta del collo del piede, fin quasi sulla punta. Proprio qui troviamo un secondo sistema di chiusura con fascetta in Velcro, che serve a personalizzare ulteriormente il grado di ritenzione. Tornando al rotore Boa, con una rotazione in senso orario questo incrementa la tensione di allaccio micrometricamente, mentre il verso opposto gestisce il rilascio, sempre in maniera micrometrica. Per il rilascio totale, invece, ovvero per sfilare la scarpa, è sufficiente sollevare tutto il rotore con due dita. Terminiamo la descrizione tecnica con la soletta interna: non una soletta come tutte le altre, perché per customizzare ulteriormente la calzata in base alle esigenze personali la Silvadur utilizzata sulle RP9 utilizza dei supporti sostituibili

da applicare nella zona del metatarso, per variare l’altezza dell’arco metatarsale in base alle diverse anatomie del piede. LA SCHEDA TECNICA Materiale tomaia: microfibra sintetica Materiale suola: Carbonio monoscocca, ind. rigidità 10 Compatibilità pedali: con tacchette a tre fori Sistema di chiusura: fibbia micrometrica Boa IP1 e fascetta Velcro Peso rilevato: 588 grammi (paio 44) Colori disponibili: Blue, Black, Navy, White Misure disponibili: da 36 a 52, senza mezze misure Prezzo al pubblico: 259 euro


Shimano RP9

RP9 WHITE

LA NOSTRA PROVA

Scarpe piuma, con la massima ergonomia

Non capita spesso di calzare scarpe da 488 grammi al paio (sì, avete capito bene, quattrocento ottantotto) provviste di un sistema di chiusura micrometrico. È esattamente quel che è successo alle RP9 in taglia 44 che ho testato. Aggiungo pure che utilizzo abitualmente un paio di scarpe S-Phyre, per questo posso dare anche un giudizio comparativo di queste belle scarpe che mi ha fornito Shimao Italia. Sì, davvero bella la tonalità di blu prevista sulla linea colori delle RP9 (quattro colori in tutto disponibili) e aggiungo che anche se questa tonalità non è facile da abbinare ai colori dell’abbigliamento o della bicicletta (l’estetica, si sa, vuole la sua parte) in questo caso il blu scelto per le RP9 è un blu pastello, più discreto e sobrio del blu acceso impiegato sulle S-Phyre. Ma passiamo alle più importanti sensazioni di calzata: il feeling è esattamente quello, fasciante e avvolgente, che caratterizza il modello top di gamma: ai piedi le RP9 sono un vero e proprio guanto e, sempre in un’ottica comparativa con le S-Phyre, la sola cosa in meno è che in questo caso l’assenza di un doppio rotore di chiusura Boa rende la personalizzazione della calzata meno rapida da attuare. La suola? Per me è stato davvero difficile percepire un livello di rigidità inferiore rispetto a quello che dichiarano avere le S-Phyre: la trasmissione di potenza è stata sempre efficace e pronta, così come la distanza con il piano di appoggio del pedale si percepisce essere ridotta, sempre a tutto vantaggio della maggiore efficienza possibile nella pedalata. Davvero comodo si è rivelato poi il sistema di personalizzazione della soletta interna attraverso i supporti in gomma intercambiabili forniti in dotazione. Io ho utilizzato gli inserti rossi, con uno spessore maggiore: sostituirli è un gioco da ragazzi, visto che si applicano con un sistema Velcro sotto la soletta. Infine l’aerazione: l’estate piena ancora non è arrivata, per carità, ma credo proprio che, sia i tantissimi microfori praticati strategicamente sulla tomaia, sia lo spessore molto ridotto di quest’ultima, creano un piacevole flusso refrigerante per affrontare le giornate più torride.

Shimano Italy T 0331/936911 www.shimano.com


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SCATTO D’AUTORE DOLOMITI SUPERBIKE

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// IL LABORATORIO SHIMANO FOCUS SULLE AZIENDE

SHIMANO nasce il Tech Lab a cura di Maurizio Coccia

La filiale italiana di Shimano ha da poco inaugurato un’area dedicata alla formazione e all’aggiornamento dei dealer e dei meccanici sulle tematiche legate alla sua componentistica. Lo abbiamo visitato. 112

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Che vi piaccia o meno oggi la bicicletta è uno strumento tecnico “serio”, che richiede competenza, preparazione e altissima professionalità per essere montato, revisionato, manutenuto. Non ce ne vogliano i nostalgici o i tradizionalisti, ma sono lontani, anzi lontanissimi, i tempi in cui per montare o riparare la “specialissima” piuttosto che la mountain bike si poteva anche andare dalla bottega dell’amico o dell’artigiano di quartiere, che, forte di un’esperienza maturata con la solida – ma sola - pratica, sapeva mettere le

mani su sistemi, tecnologie e materiali che fino a qualche lustro fa erano sostanzialmente gli stessi per tutte le marche e per tutte le tipologie di biciclette. Oggi l’approccio tecnico alla bicicletta è radicalmente cambiato: da una parte l’impiego di nuovi materiali, dall’altra lo spettro di possibilità tecniche sempre più variegate e sempre più numerose offerte dal mercato hanno ristretto moltissimo le tolleranze di lavoro, di conseguenza hanno incrementato in modo notevole la precisione richiesta per operare sulle parti. La “ciliegina” sulla torta è stata poi l’arrivo dell’elettronica applicata al ciclismo, quella che con l’ingresso dei gruppi trasmissione di tipo elettromeccanico ha ulteriormente ampliato il divario tra

chi sa effettivamente padroneggiare le nuove tecnologie e i tanti tradizionalisti (o nostalgici che dir si vogliano) a cui tutto ciò che è nuovo risulta negletto, semplicemente perché del nuovo hanno paura e non lo riescono a fare proprio. Non ci riferiamo tanto agli utenti finali, ma più che altro ai negozianti di casa nostra, ai tanti punti vendita sparsi per l’Italia che – ahinoi – storcono il naso quando vedono un cambio elettronico o, peggio ancora, mal digeriscono l’idea che oltre ai classici utensili, sul loro banco di lavoro debba esserci lo spazio per un computer. Un computer? Sì, a chi ancora non lo sapesse ricordiamo che oggi il computer è un accessorio fondamentale per la migliore fruizione possibile della

Oggi l’approccio tecnico alla bicicletta è radicalmente cambiato: da una parte l’impiego di nuovi materiali, dall’altra lo spettro di possibilità tecniche sempre più variegate e sempre più numerose offerte dal mercato..

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La “ciliegina” sulla torta è stata poi l’arrivo dell’elettronica applicata al ciclismo.. componentistica elettromeccanica delle biciclette. «A malincuore ti posso dire che qui in Italia siamo davvero indietro rispetto a quel che accade in tanti altri Paesi del mondo, tanti negozianti di biciclette non sanno neanche cosa sia un computer e come lo si possa usare per far funzionare una trasmissione... Esattamente come accade da anni per le officine delle automobili, il computer deve necessariamente essere presente nelle moderne officine di biciclette». A parlarci così è Marco Cittadini, responsabile della comunicazione di Shimano Italia, mentre ci apre le porte del nuovo Tech Lab che la filiale italiana della nota Casa Giapponese ha aperto lo scorso gennaio in un’area adiacente la sede di via Jucker, a Legnano. Noi di “InBici” siamo stati tra i primi ad andarlo a visitare. 114

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UN POLO TECNICO ALL’AVANGUARDIA L’area occupa in tutto circa trecento metri quadrati, organizzati su più ambienti. C’è uno spazio accoglienza, ma soprattutto c’è un’officina superattrezzata, con sei postazioni fisse con altrettanti stand per le biciclette. Il Tech Lab è un polo di avanguardia, la sua missione è proprio la formazione del corpo meccanico dei fabbricanti, delle organizzazioni sportive e prima di tutto dei negozianti, che in questa nuova area della Shimano Italia possono frequentare corsi di formazione e di aggiornamento. Il Tech Lab, tra l’altro, è anche punto di riferimento per il meccanici del servizio neutrale delle corse professionistiche della Rcs, che da quest’anno sono appunto gestite Shimano. Non da ultimo il Tech Lab Shimano è un luogo

dedicato anche a noi della stampa specializzata, che qui abbiamo il modo di approfondire tutte le tematiche tecniche legate alla complessa, ricca e sofisticata componentistica siglata Shimano. Oltre a Marco Cittadini, che nel Tech Lab cura i rapporti con i media, responsabile tecnico del centro è Andrea Bazzi, che si occupa direttamente dei corsi di formazione e che in meno di mezza giornata è stato capace di montarci, regolarci e poi mapparci un intero gruppo elettromeccanico Ultegra Di2 su un telaio Argon18 che testeremo a breve sulla nostra rivista... Nel Tech Lab di Shimano Italia si fa formazione, ci si aggiorna e si acquisiscono gli strumenti per padroneggiare le supertecnologiche biciclette moderne. Che vi piaccia o meno la direzione è questa. Chi si ferma, si sa, è perduto.



a cura della redazione

Trentino Mtb

Partenza da Cavareno 10a ValdiNon Bike

Subito gli acuti di Longo e Burato Lo spettacolo della “ValdiNon Bike” ha aperto ufficialmente il circuito 2018. Ecco i primi verdetti Trentino MTB ha aperto la propria stagione sulle ruote grasse nella “valle delle mele e dei canyon”, lungo i consueti 43 km e 1220 metri di dislivello con start a Cavareno della “ValdiNon Bike”, manifestazione scenografica e seducente, l’ideale per salire in sella tirando fuori i muscoli dopo il torpore invernale. 116

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Una sfida nella sfida, come quella tra i due quasi omonimi Tony Longo e Mattia Longa, quest’ultimo passato vincitore del circuito e fra le stelle più lucenti anche di quest’anno, a puntare deciso verso un prestigioso bis dal sapore di storia. Il Centro Sportivo di Cavareno ha dato il via alla prima contesa del circuito, una bella struttura al cui esterno spiccano verdi prati ed imperiose montagne, le Dolomiti di Brenta. Il terzetto che ha composto il podio della “ValdiNon Bike” ha condotto le danze fin dall’inizio: Tony Longo, Mattia Longa e Uwe Hocenwarter se le sono “date di santa ragione”, in località Waldheim, staccando di circa 1 minuto due “storici” pedalatori, quali Martino Fruet e Andrea Zamboni. Johannes Schweiggl è compagno di team del livignasco Longa, il quale necessiterebbe di un aiuto stretto nella morsa di Longo e del biker austriaco, ma l’altoatesino non riesce a rimontare, facendo gara con Pallaoro. Tra le donne, sempre in località Waldheim, si nota la figura di Chiara Burato, davanti a Cristiana Tamburini e Veronica Di Fant, giunta terza lo scorso anno nella tappa nonesa. Tony Longo allungava sul compagno di squadra Hocenwarter e su Longa, quando i leader si apprestavano a scendere

verso l’abitato di Fondo prima di “risalire” verso Sarnonico, con Zocca segnalata in netto recupero fra le donne. Longo è un biker trentino, ma anche Mattia Longa, pur essendo livignasco doc, conosce a menadito questi luoghi, avendo inoltre già vinto alla nona edizione proprio davanti allo stesso Longo. Tony è però un biker di livello, in una condizione atletica a dir poco smagliante, e fin dalla prime fasi pare destinato alla “rivincita”, partendo in fuga dalla prima salita, in solitaria come Don Chisciotte contro i mulini a vento, e Hocenwarter nel ruolo di Sancho Panza fidato scudiero: “Il Trentino è la mia regione e qui ci tengo sempre a dare il meglio di me”, dirà Longo, mentre Longa ha dovuto inchinarsi alla schiacciante superiorità del collega. La strada per il successo assoluto di Trentino MTB è tuttavia ancora lunga, ma Longa la conosce bene anche se pagava l’assenza del compagno di squadra Roel Paulissen, ex campione del mondo marathon, assente in Val di Non a causa di una indisposizione. L’abilità nell’impennare della giovane Chiara Burato ha invece fatto la differenza nella contesa femminile,al primo anno a vedersela con le élite, incredula al traguardo la giovane vicentina anche a causa della caduta della catena al tredicesimo chilometro

che le avrebbe potuto togliere la gioia più grande. L’atleta di San Bonifacio ha affrontato a tutta il tracciato, ma va sottolineata anche la bella prova della biker ledrense Cristiana Tamburini che a metà gara si è avvicinata pericolosamente alla leader, mentre Lorena Zocca, segnalata in netto recupero, è salita dalla quarta alla terza posizione alla distanza, nonostante un periodo abbastanza lungo di riposo. Tony Longo e Chiara Burato indossano provvisoriamente la maglia oro di Trentino MTB, mentre in testa nelle rispettive categorie figurano alcuni “nomi nuovi”, nel segno di un challenge che si sta pian piano rinnovando: Enrico Marietti è il “capitano” degli junior, e via tutti gli altri Tony Longo (Open m.), Chiara Burato (Open f.), Marco Rosati (Elite Sport), Francesco Vaia (Master 1), Andrea Zamboni (Master 2), Ivan Pintarelli (Master 3), Stefan Ludwig (Master 4), Michele Di Geronimo (Master 5), Piergiorgio Dellagiacoma (Master 6) e Andrea Zamboni e Lorena Zocca a primeggiare nella classifica degli scalatori, una consuetudine per i due. Trentino MTB proseguirà ora con le tappe: “Passo Buole Xtreme”, “100 Km dei Forti”, “Dolomitica Brenta Bike”, “Val di Sole Marathon”, “La Vecia Ferovia dela Val de Fiemme” e “3TBIKE”.

Foto newspower.it Chiara Burato

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SCATTO D’AUTORE SÜDTIROL DOLOMITI SUPERBIKE


a cura della redazione

Benvenuti a Tr l’eldorado dei ciclisti Fondato su uno sperone roccioso, l’antico capoluogo presenta scenari naturalistici ideali per gli amanti delle due ruote. Tra antiche vestigia e scorci dolomitici, ecco quattro percorsi mozzafiato per ciclisti esperti e neofiti 120

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Paradisi bike-friendly

Sorta in epoca romana ai piedi dello sperone roccioso del “Doss Trento”, sulla riva destra del fiume Adige (su cui oggi troneggia il Mausoleo dedicato a Cesare Battisti), Trento è conosciuta nel mondo per il suo inestimabile patrimonio architettonico ed artistico, per i numerosi musei e – soprattutto – per la splendida natura che la circonda.Capoluogo di provincia e della regione autonoma, questa città del Trentino Alto Adige vanta una lunga e ricca tradizione che la lega ad alcuni dei momenti più importanti della storia d’Italia. La zona offre il duplice piacere di una vacanza alla scoperta dell’arte e dell’archeologia, ma anche l’opportunità di una “full immersion” nella natura più incontaminata. Le fanno da contorno le Alpi che, nel corso dei millenni, hanno custodito le antiche tradizioni dei popoli trentini. Per questo, passeggiare tra le vie del centro equivale a camminare su secoli di storia, vestigia custodite nel sottosuolo archeologico, spigolando tra gli affascinanti stili architettonici lungo i portici di via del Suffragio, l’antico quartiere dove si ritrovavano gli artigiani e i commercianti di lingua tedesca. Assolutamente da non perdere la visita a Piazza Duomo con la Basilica di San Vigilio, il Palazzo Pretorio e la Torre Civica, con le montagne alle spalle. Poi ci sono musei importanti dentro e fuori città, come il Muse e il MART di Rovereto; imperdibili anche le visite ai Castelli della Provincia di Trento che, assieme al Castello del Buonconsiglio, rendono questa zona del Trentino Alto Adige un territorio quasi fiabesco: Castello di Stenico, Castel Thun e Castel Beseno. Tutti sono sedi del complesso museale provinciale del Castello del Buonconsiglio. PER I BIKERS Per gli amanti dei pedali, Trento e l’intera provincia offrono una vacanza ecosostenibile, attraverso una natura straordinaria, antichi vigneti e luoghi d’arte ricchi di storia e tradizioni.L’intera provincia di Trento, infatti, grazie ai suoi affascinanti percorsi, rappresenta la meta ideale per chi ama pedalare; i suoi paesag-

rento, a cura Eleonora Pomponi immagini Archivio Trentino Alto Adige

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Per questo, passeggiare tra le vie del centro equivale a camminare su secoli di storia, vestigia custodite nel sottosuolo archeologico, spigolando tra gli affascinanti stili architettonici lungo i portici di via del Suffragio, l’antico quartiere dove si ritrovavano gli artigiani e i commercianti di lingua tedesca. gi caratteristici fanno da cornice ad itinerari che portano il cicloturista alla scoperta di luoghi unici.Abbiamo selezionato alcuni dei moltissimi percorsi presenti nelle immediate vicinanze della città, adatti sia agli amanti della bici da corsa che agli appassionati di MTB. MONTE CELVA (MTB) Un itinerario in MTB a Trento per scoprire le fortificazioni presenti tra Valle dell’Adige e Valsugana. La meta è il monte Celva sulle cui pendici si trovano numerose testimonianze della Grande Guerra, dal forte Roncogno all’ex-osservatorio passando per il sentiero dei 100 scalini scavato nella roccia. Il forte di Roncogno è uno dei forti austriaci che faceva parte della fortezza di Trento e che aveva il compito di sbarrare la via agli italiani provenienti

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dalla Valsugana. Costruito tra il 1879 e il 1881, al momento dello scoppio della guerra era già obsoleto e per questo fu abbandonato e gli armamenti furono spostati in apposite caverne di cui vi parlerò più avanti. Nel 2009 la provincia di Trento ha disposto una ristrutturazione del forte che oggi presenta una sala espositiva. Una volta completata la visita, si prosegue verso la cima del monte Celva (1010m), dove sono ancora presenti manufatti della Grande Guerra. Il panorama a 360° che si gode da quassù ripaga della fatica fatta per raggiungere la vetta: Trento, la valle dell’Adige chiusa ad ovest dalla catena del Brenta; Pergine, il lago di Caldonazzo e la catena del Lagorai ad est.

Partenza/Arrivo: Villazzano di Trento Durata: 3-4 ore Dislivello: 800 m circa Lunghezza: 14 km Tipologia di strada: Sterrato 75% Asfalto 25% Difficoltà: Impegnativo PISTA CICLABILE VALLE DEI LAGHI La pista ciclabile inizia nell’area del Lago di Garda, per l’esattezza ad ovest di Torbole, presso Linfano, dove il fiume Sarca sfocia nel lago. Direttamente collegata alla pista ciclabile Riva – Torbole – Mori si sviluppa lungo il fiume, ai piedi del Monte Brione sul lato opposto rispetto alla località di Arco. La bella cittadina con l’omonimo castello merita senza dubbio una deviazione dal percorso ed è anche l’ideale per fare una sosta. La pista


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ciclabile prosegue in direzione nord fino a Ceniga e Dro. Il percorso conduce direttamente nel centro di entrambe le località per proseguire attraverso meravigliosi uliveti e vigneti. Sulla parte est della valle si erge Castel Drena, la pista ciclabile ci conduce fino ad un paesaggio roccioso, le Marocche di Dro ed attraverso un’area boscosa. Oltrepassato il bosco, ci ritroviamo tra i vigneti di Pietramurata ed in seguito presso la località Sarche, dove ad ovest inizia la stretta gola che porta a Ponte Arche ed a Tione. Qui inizia un tratto non ancora terminato della pista ciclabile e bisogna percorrere un tratto di strada della Gardesana oppure una strada secondaria. Presso la località Vezzano, che raggiungiamo dopo una piccola salita, la pista ciclabile riprende il suo regolare tragitto fino ai Laghi di Terlago, dove termina la pista ciclabile (è presente un progetto di prolungamento della pista ciclabile fino a Trento). Percorso: Pista ciclabile Valle dei Laghi (Nr. 9) Durata: da 2 a 2,5 ore Lunghezza del percorso: ca. 38 km Dislivello: 400 m Punto di partenza: Linfano (Torbole) Punto d’arrivo: Terlago Possibilità d’accesso alla pista ciclabile: Arco, Torbole, Dro, Calavino, Padergnone, Vezzano, Terlago

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PISTA CICLABILE VAL D’ADIGE: TRENTO BOLZANO La pista ciclabile lungo il fiume Adige, si sviluppa da Trento in direzione nord, fino in Alto Adige attraverso vigneti e frutteti. Si dipana lungo il fiume Adige ed è un facile percorso adatto ad ogni appassionato di ciclismo sia esperto che neofita, perfetto per allenarsi oppure per godersi una semplice scampagnata. Inizia nel centro di Trento sulle rive del fiume Adige per dirigersi verso la parte est del fiume in direzione nord. Lasciandosi la città alle spalle ci si trova circondati da un paesaggio decorato da bellissimi meleti. Presso il biotopo Foci dell’Avisio, il percorso ciclabile passa accanto ad un terreno paludoso e si raggiunge il paese di Zambana, località molto famosa per la produzione degli asparagi. Passata Zambana ci attende la bella zona vinicola della Piana Rotaliana, con le località di San Michele e Mezzocorona. Ancora qualche chilometro e la pista ciclabile raggiunge la Chiusa di Salorno e di conseguenza il confine tra il Trentino e l’Alto Adige, confine territoriale e linguistico (italiano/tedesco). Da qui in poi si può proseguire attraverso la Bassa Atesina fino a Bolzano e Merano. La pista ciclabile, infatti, segue principalmente il corso del fiume Adige. In bicicletta è possibile raggiungere anche il Lago di Caldaro oppure Appiano. Per il ritorno a Trento è possibile utilizzare i treni regionali con deposito per le biciclette. Percorso: Pista ciclabile Val d’Adige / percorso Trento – Cadino – Bolzano (nr. 1) Tratto di ciclabile interregionale: Via Claudia Augusta, Pista ciclabile Val d’Adige Durata: ca 2,5 - 3,5 ore Lunghezza del percorso: ca. 59 km Dislivello: 60 m suddivisi sull’intero percorso Tipologia di percorso: strada asfaltata sull’argine del fiume Punto di partenza: Trento centro Punto d’arrivo: Bolzano centro Possibilità di accesso alla pista ciclabile: Trento, Lavis, Zambana, Nave S. Rocco, Mezzocorona, Faedo, Rovere della Luna. Treno e bici: treni regionali con trasporto bici

La pista ciclabile lungo il fiume Adige, si sviluppa da Trento in direzione nord, fino in Alto Adige attraverso vigneti e frutteti. Si dipana lungo il fiume Adige ed è un facile percorso adatto ad ogni appassionato di ciclismo sia esperto che neofita.

IL GIRO DEL BONDONE E DEL PASSO SANTA BARBARA La salita del Monte Bondone, proposta anche in diverse edizioni del Giro d’Italia, è una delle ascese più famose del Trentino e deve la sua popolarità in gran parte a Charly Gaul, vincitore della mitica tappa del 1956 sotto la neve. Da qualche anno sui suoi tornanti si svolge anche la granfondo Charly Gaul. Il giro che proponiamo parte da Trento, dove si inizia a pedalare guadagnando quota fino a Vason, valico del monte Bondone. Qui inizia la discesa verso la Valle dei laghi passando da Lagolo. Si supera Cavedine con il lago omonimo, Ceniga con il vecchio

ponte e poi ci si ritrova ad Arco, a due passi dal lago di Garda. Dalla località si raggiunge Bolognano per iniziare l’ascesa al Passo di Santa Barbara. Dal valico si pedala verso Bordala e poi Cimone per tornare infine a Trento dopo 117 km circa. Partenza: Trento Chilometri: 117 km Punto più alto: 1650 m circa (Vason) Pendenza massima: 9% circa Difficoltà: Impegnativo

Immagini: Archivio APT Trento


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// RIVA FOCUS DEL SULLE GARDA AZIENDE

Bike Festival 2018 La bici che verrà a cura di Roberto Diani

Giunto alla sua venticinquesima edizione, la kermesse di Riva del Garda continua a crescere nel numero di aziende e visitatori. Ecco in anteprima tutte le novità presentate dalle aziende Schwalbe, Assos, Shimano e Felt 128

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mente pensati per le mountain-bike a pedalata assistita. “Scott Junior Trophy” è dedicato a bambini e ragazzi dai 3 ai 14 anni su percorsi con lunghezze diverse a seconda della fascia d’età, fino ad un massimo di 3500 m. “Ghost City Eliminator” si è svolta invece su una pista lunga 500 metri, alla partenza di ogni manche 4 atleti si sono sfidati per evitare l’eliminazione degli ultimi due arrivati, fino alla finalissima tra i 4 rimasti in gara. Ecco una selezione delle novità presentate a Riva del Garda:

Il Bike Festival di Riva del Garda continua a crescere, attirando un numero sempre maggiore di espositori e visitatori.

Mountain Bike Marathon” capace di attrarre più di 2000 partecipanti che si sono confrontati su 4 diversi tracciati: Ronda facile (28,63 km 702 m di dislivello), Ronda Piccola (44,24 km 1.523 m), Ronda Grande (73,94 km 2.831 m) e Ronda Extrema (90,43 km 3.838 m). Il “Bosch eMTB Challange” propone, per il secondo anno, un format originale a metà strada tra l’enduro e l’orientamento su sentieri espressa-

SCHWALBE Il marchio tedesco ha presentato il nuovo Hans Dampf, il leggendario pneumatico da enduro che si è evoluto, grazie all’utilizzo di un nuovo disegno del battistrada, alle mescole Addix e a un numero maggiore di sezioni che arrivano fino a 2,80”. Il disegno del battistrada, pur non stravolgendo quello della prima versione, è stato rivisto in ogni suo particolare al fine di migliorare l’espulsione del fango, la resistenza al rotolamento, il controllo in curva, la durata in rapporto alla mescola scelta e il grip su terreni allentati e argillosi. La carcassa è disponibile nelle versioni Super Gravity e Apex, adatte, perciò,

Promossa e gestita dalla rivista tedesca BIKE, inizialmente ad “uso e consumo” dei suoi lettori, la manifestazione negli anni si è trasformata in un evento che ha coinvolto anche addetti ai lavori e appassionati italiani. Oltre a proporre competizioni Off-Road di ogni tipo, questa kermesse è diventata l’occasione per anticipare le novità del mercato. Ecco i numeri del Bike Festival 2018 che si è svolto dal 28 aprile al 1 maggio: 150 espositori in rappresentanza di 300 marchi, 45.000 visitatori, 1000 bike-test, 3000 atleti di diverse specialità e livello. L’evento principale, per quanto concerne le competizioni, rimane la “Rocky

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anche per l’utilizzo su e-mtb, oltre che su bici da enduro e all mountain. Il nuovo Hans Dampf è disponibile per diametri di 24”, 26”, 27,5” e 29” e sezioni che coprono un range da 2,35” a 2,80”. Per quanto concerne le mescole Addix, abbiamo a disposizione le versioni “Soft” e “Speedgrip”. Hans Dampf sarà commercializzato a partire da Luglio 2018 in molte versioni tra le quali abbiamo selezionato le seguenti: ADDIX SOFT 27,5x2,35” Super Gravity 1.065 g 27,5x2,35 Evo TLE 850 g 29x2,35” S,G. 1.150 g 29x2,35 EVO TLE 850 g ADDIX SPEEDGRIP 27,5x2,60 APEX 900 g 27,5x2,75” APEX 1.000 g 29x2,60” APEX 970 g Il prezzo di listino è fissato in 32,90€ per la versione Performance e 57,90€ per la versione Evolution. FELT Allo stand allestito da Felt erano esposti, oltre ai modelli di punta del catalogo 2018 come Doctrine, Edict e Decree, la nuova Compulsion, una enduro di ultima generazione con telaio in fibra di carbonio. DOCTRINE è la front in fibra di carbonio, dotata di ruote da 29”, dedicata espressamente alle competizioni xc: 130

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la versione di punta può contare su una Sid RL con 100 mm di escursione, una trasmissione Sram XO1 Eagle a 12 rapporti e su ruote DT Swiss

X1750 gommate Schwalbe Rocket Ron/Racing Ralph 29x2,25”. EDICT è la biammortizzata in fibra di carbonio da competizioni marathon La sospensione posteriore FAST (Felt Active Stay Tecnology) assicura 100 mm di escursione mentre la forcella è dotata di 100 mm di escursione sulle due versioni di punta che aumentano a 120 mm sulle Edict 3, Edict 4 e Edict 5. Edict FRD, la versione top può contare su componenti di altissima gamma come la Sid W.C., l’ammo Deluxe RT, la trasmissione XX1 Eagle e le ruote DTSwiss XRC 1.200 gommate Schwalbe Rocket Ron/Racing Ralph 29x2,25”. DECREE è la classica mtb polivalente dedicata al trail. Grazie al sistema “Flip Chip” che permette di variare l’inclinazione dell’angolo di sterzo di 1° e l’altezza del movimento centrale di 10 mm è in grado di assicurare prestazioni elevate sia in salita sia in discesa. Il telaio full carbon è dedicato allo standard 27,5”. La versione top Decree


FRD è montata con una Pike RCT3 con 150 mm di escursione, un ammo Super Deluxe RCT che assicura 140 mm di escursione alla ruota posterio-

re, la trasmissione XX1 Eagle dispone di dentature 34x10/50, le ruote Race Face Next-R sono gommate Schwalbe Fat Albert 27,5”x2,35”. COMPULSION la prossima Compulsion potrà fare leva su un telaio in fibra di carbonio dotato di 165 mm di escursione alla ruota posteriore abbinato ad una forcella con 170 mm di escursione. Dotata di una geometria di ultima generazione che può essere ampiamente variata grazie all’utilizzo del sistema “Flip Chip” che permette di scegliere l’inclinazione dell’angolo di sterzo tra 64,5°, 65° e 65,5° e di modificare l’altezza del movimento centrale da 340 a 350 mm; la quota di carro posteriore è contenuta in 429 mm, il reach è pari a 430 mm (M) e 455 mm (L). Anche l’intero sistema “equilink” è realizzato in fibra di carbonio, mentre la parte inferiore del tubo obliquo è predisposta per accogliere la batteria Shimano Di2. La versione di punta dichiara un peso contenuto in 13,300 kg. Le ruote semiplus da 27,5 sono gommate Maxxis Minion DHF con sezioni pari a 2,60”. ASSOS Il marchio svizzero si dedica da oltre 40 alla progettazione di abbigliamento di qualità per il ciclista, im-

piegando tessuti innovativi e deisign differenziati in funzioni dei diversi tipi di utilizzo: road, mtb e urban. Assos dispone di un catalogo smisurato che contiene pantaloncini, pantaloni, calzemaglie, intimo, giacche, antivento, antipioggia, calzini, guanti, copriscarpe manicotti e gambali. Non mancano i prodotti originali come lo Spider Bag, uno zaino leggero da città realizzato con tessuti leggeri, morbidi e traspiranti. SHIMANO Lo stand del colosso giapponese metteva in bella mostra una serie di mountainbike ed e-mtb montate con gruppi XTR o XT con cambio elettronico Di2 e motori e batterie Steps E8000. Si potevano, inoltre, toccare con mano componenti, scarpe, occhiali e caschi. Shimano organizza, inoltre, la seconda edizione di Shimano E-Mountainbike Experience che attraverserà l’Altoadige da Ovest a Est in 4 tappe dal 29 maggio al 2 giugno. Gli e-Biker saranno selezionati in tre gruppi di livello, tali da permettere a tutti di apprezzare i percorsi differenziati per difficoltà tecniche. crediti: HLMPHOTO /Martina Folco Zambelli

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SCATTO D’AUTORE INTERNAZIONALI D’ITALIA SERIES 2017 Ph. Michele Mondini

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La Svizzera In bici

La natura ti rivuole

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Oltre ventimila chilometri di itinerari per ciclisti, un’articolata rete di percorsi, sterrati e asfaltati, adatti per tutte le esigenze. Ecco cinque proposte esperienziali per pedalare nello stato piÚ bike-friendly del pianeta

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Imponenti montagne, boschi, laghi e borghi senza tempo: la Svizzera è un paradiso per chi ama la natura. Sono oltre ventimila i chilometri di itinerari per ciclisti recensiti in tutta lo stato elvetico. Un’articolata rete di percorsi, sterrati e asfaltati, adatti per tutte le esigenze. E per i meno sportivi, l’opzione e-bike è sempre disponibile grazie ai numerosi centri noleggio. Punti di forza dell’offerta elvetica sono inoltre l’integrazione con i trasporti pubblici, la presenza di una segnaletica uniforme e capillare e la disponibilità di informazioni dettagliate per pianificare il proprio viaggio. Il Monte Bar, ad esempio, è diventato il riferimento dei biker del Canton Ticino per almeno due valide ragioni.

Dalla cima si gode un panorama straordinario sul lago di Lugano e sulle montagne del Malcantone, mentre sullo sfondo si stagliano il Monte Rosa e il Mischabel. Inoltre, proprio in vetta, è stato costruito un rifugio di design particolarmente invitante per i criteri costruttivi, per i servizi bike-friendly e per la qualità della cucina. Sono numerosi gli itinerari per le due ruote sul monte Bar. I cultori della mountain bike possono, per esempio, contare sul percorso che parte da Bidogno, sale al punto panoramico del Motto della Croce e poi lungo un’agevole sterrata arriva sulla vetta del monte Bar. Da qui si prosegue fino a Piandanazzo dove si imbocca la discesa che riporta al via. I più fortunati, ovvero quelli che hanno quattro giorni a disposizione, possono cimentarsi nel cosidetto anello della Val Colla: sono 120 km sulle creste e sulle vette del Malcantone. Si parte dal Monte Brè raggiungibile anche in funicolare, poi si pedala con un divertente carosello che porta anche sul monte Bar e sul monte Tamaro prima di concludersi a Ponte Tresa. Anche la regione del lago di Lucerna offre territori ideali non solo per gli amanti delle due ruote ma anche per chi gli appassionati di trenini panoramici. Ecco di seguito cinque proposte che abbinano alla bellezza dei paesaggi il fascino di una storia millenaria. 136

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La Svizzera in bici

L’impegnativa salita al passo del Gottardo che fa parte del tour ad anello che da Andermatt si snoda su tre leggendari passi svizzeri. Percorso e altimetrie disponibili su Svizzera.it INCONTRO AL VERTICE DELLE LEGGENDE. Bruno Risi era un campionissimo del ciclismo su pista, non aveva quindi dimestichezza con le salite. Era però soprannominato “Il toro di Uri” per la sua incredibile forza che una volta in sella traduceva in sonanti vittorie. Quella stessa energia oggi la impiega per pedalare lungo il severo

Gotthard Challenge, un anello di 106 km interamente su strada, che è diventato il banco di prova di tutti i salitomani. Si parte da Andermatt e si affronta subito il Passo della Furka, 11 chilometri di salita per raggiungere la vetta (2.436 metri). Dal colle si entra in Vallese e ci si rilassa lungo la discesa verso Ulrichen. Quindi è la volta dell’ascesa al Passo

della Novena (2.478 metri) lunga 13 chilometri e con infiniti rettilinei dalle pendenze superiori al 10%. Ci si tuffa poi verso Airolo, nel Canton Ticino, dove inizia l’ultima salita del circuito. È la leggendaria Tremola che con 24 tornanti accompagna fino al Passo del San Gottardo (2.091 metri). Da dove rimane solo la discesa che riporta ad Andermatt. LIFESTYLE INBICI

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Bauen, pittoresco villaggio sul lago, e Altdorf con il momumento di Guglielmo Tell: due tappe del Percorso Nord-Sud che costeggia il Lago di Lucerna e prosegue in direzione di Andermatt.

INSEGUENDO GUGLIELMO TELL Il selfie che tradizionalmente dà il via a ogni giornata speciale si scatta accanto al Kapellbrücke, il ponte di legno coperto e interamente affrescato, simbolo di Lucerna. Ma appena oltre il manubrio della bici si distende il Lago di Lucerna, ampio e dal profilo tormentato, nel quale sembrano precipitare alcuni dei monti più amati della Svizzera Centrale: il Rigi e il Pilatus, primi fra tutti. I segnavia marroni contrassegnati dal numero 3 - che indicano il percorso ciclabile nazionale Nord-Sud accompagnano, però, il ciclista su strade pianeggianti e quasi sempre a filo d’acqua. Non di rado corrono accanto ai vigneti da cui nascono alcuni tra i migliori Pinot Nero e Müller Thurgau della Svizzera. All’inizio si segue la costa meridionale del lago su strade tranquille che a Stansstad sfiorano lo specchio d’acqua dell’Alpnachsee. Si abbandona per qualche chilometro la costa pedalando nell’entroterra fino a tornare sul lago all’altezza di Buochs. Subito dopo, a Beckenried, si prende il traghetto che porta sulla riva opposta a Gersau, storica stazione di villeggiatura chiamata la Riviera della

Svizzera Centrale che, ancora nel XIX secolo, si poteva raggiungere solo in battello. Da qui a Brunnen si percorre un tratto particolarmente suggestivo. Quindi, superata un’ansa del lago, si affianca l’Urnersee che accompagna fino a Flüelen, la meta dell’escursione posta 50 chilometri dopo il via e appena prima della città di Altdorf, capoluogo del Canton Uri. Prima di arrivare si sosta alla Cappella di Tell, il piccolo edificio sacro riccamente affrescato, che celebra Guglielmo Tell, nativo proprio di questa zona. RIGI, LA REGINA DELLE MONTAGNE La storia del bien-vivre è passata da qui. Sulla straordinaria balconata panoramica del Monte Rigi - che domina dall’alto dei suoi 1.798 metri i laghi di Lucerna, Zugo e Lauerz -, il primo albergo è stato aperto nel lontano 1816. Era il tempo dei Grand Tour e gli ospiti provenivano da tutta Europa, calamitati dal luogo e convinti dall’entusiastico passaparola dell’alta società del tempo. Il successo fu così clamoroso che nel 1871 si rese necessario facilitare l’accesso al plateau sotto la cima costruendo la prima ferrovia alpina LIFESTYLE INBICI

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d’Europa. Oggi si raggiunge il Rigi anche in funivia da Weggis o sui treni a cremagliera che partono da Vitznau e Arth Goldau. Gli straordinari panorami si godono anche passeggiando lungo sentieri comodi e senza eccessivi dislivelli. Infine, ci si ritempra approfittando dei 30 ristoranti e rifugi in quota come quello di Franz-Toni Kennel che, nel suo piccolo caseificio sull’Alp Chäserenholz, produce formaggio aromatizzato con le erbe del suo giardino. E per chi non vuole farsi mancare niente, sosta obbligata a Rigi Kaltbad, soleggiata stazione di villeggiatura a 1.450 metri di altitudine. Le benefiche acque minerali

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che sgorgano dalla montagna alimentano Spa di lunga tradizione, in particolare lo stabilimento Mineralbad & Spa Rigi-Kaltbad disegnato dall’architetto ticinese Mario Botta. STOOS, FORMAGGI E ALTA INGEGNERIA Per arrivarci si deve salire sulla funicolare più ripida del mondo, che supera pendenze del 110%. Ma non ci si ribalta, visto che le cabine compensano le inclinazioni e il pavimento è sempre in orizzontale. L’esperienza da record dura tre minuti, tanto occorre per superare un dislivello di 743 metri e raggiungere Stoos, incantevole villaggio chiuso

al traffico. Posto sopra il Lago di Lucerna, è un paradiso per famiglie e propone innumerevoli attività sportive, così come panorami incantevoli: dal Fronalpstock si possono osservare addirittura dieci laghi, numerose vette alpine e il prato del Rütli, ovvero il mitico luogo in cui fu fondata la Confederazione elvetica. Camminare a Stoos è bello ma anche gustoso. L’escursione sul sentiero BergbeizliWeg riserva non solo ampie vedute su vette e laghi ma, grazie alla tessera Alpkäse-Pass, consente di degustare formaggi locali presso sei tra ristoranti e rifugi. Tra questi c’è l’Alpwirtschaft Tröligen, che trasforma il latte delle proprie mucche nel caseificio privato.


La Svizzera in bici

Una giornata speciale? Regalati un anello d’oro. Meglio se è quello che cinge la montagna appena sopra Lucerna. Da maggio a ottobre, il cosiddetto Anello d’oro del Pilatus permette di scoprire in tutta comodità le mille sfaccettature della montagna sia con gite di un’intera giornata che di poche ore. PILATUS, I MILLE RIFLESSI DELL’ANELLO D’ORO Una giornata speciale? Regalati un anello d’oro. Meglio se è quello che cinge la montagna appena sopra Lucerna. Da maggio a ottobre, il cosiddetto Anello d’oro del Pilatus permette di scoprire in tutta comodità le mille sfaccettature della montagna sia con gite di un’intera giornata che di poche ore. Si raggiunge Kriens in bus, quindi si prendono in successione una cabinovia e la funivia Dragon Ride. Giunti in vetta, a 2.132 metri di quota, si approfitta della perizia degli chef dei numerosi ristoranti siti nell’area del Kulm per godersi un pranzo ultrapanoramico scegliendo tra proposte gourmet,

sfiziosi grill ed economici buffet. E come dessert regalatevi la breve passeggiata sul Sentiero dei fiori -corredato da esaurienti pannelli esplicativi - che racconta la lotta di specie botaniche spesso rare con l’alta quota, le rocce e il vento.

Per tornare a valle si utilizza la cremagliera - la più ripida del mondo - che si tuffa su Alpnachstad, da dove si rientra a Lucerna in battello. L’anello ora è vostro. Ed è davvero tutto d’oro.

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Granfondo Internazionale Torino

Ruote e Gianduia a cura della redazione

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Dal borgo medioevale alla basilica di Superga, il 9 settembre si rinnova l’appuntamento con la grande manifestazione piemontese. Il tracciato? Chiedete a Nibali e Contador… 9 settembre 2018: questa è la data ufficiale della Granfondo Internazionale di Torino, ultimo appuntamento del calendario organizzato dal Gs Alpi, manifestazione inserita in maniera strategica all’inizio del primo mese d’autunno che dà il via al gran finale di stagione per tutti gli amatori. La partenza e l’arrivo della gara sono posizionati in due dei luoghi più suggestivi della città: si partirà dal Borgo Medievale, un museo a cielo aperto che sorge lungo le rive del fiume Po, nel Parco del Valentino, riproduzione alquanto fedele di una tipica cittadella del Medioevo. L’arrivo sarà collocato in salita sulla basilica di Superga, storica sede di arrivo della Milano-Torino e location che, in passato, ha visto l’assegnazione anche della maglia tricolore di campione d’Italia. La storia di Superga, recitano gli annali, è legata al grande Torino e alla sua basilica, inaugurata nel 1731. La sua maestosità e la sua bellezza la rendono uno dei monumenti più belli e importanti d’Italia. I due percorsi sono lunghi rispettivamente 100 e 130 chilometri. Non c’è vera e propria pianura sul percorso, in quanto ci sono molti saliscendi prima del gran finale, sulla salita di Superga.Chi si aggiudicherà il successo potrà dire di aver vinto su un traguardo storico e tecnicamente molto probante sul quale si sono imposti diversi corridori di prestigio, come - tra gli altri - Vincenzo Nibali e Alberto Contador. Numerosi saranno anche gli eventi collaterali a questa manifestazione, la quale si apre senza problemi anche a tutte le famiglie e a tutti gli accompagnatori, che avranno la possibilità di visitare Torino e la basilica di Superga, un tesoro del patrimonio artistico italiano che sarà possibile ammirare in tutta la sua bellezza anche dai corridori nel momento in cui termineranno la loro prova. Fino al 31 maggio c’è la possibilità di iscriversi al prezzo agevolato di 50 euro; di sicuro quella di Torino è una granfondo alla quale è difficile mancare per il fascino, il prestigio e per le tante bellezze da poter visitare nell’ex capitale d’Italia.



Team Matteoni

Rocchi

sfiora la top ten a cura della redazione

a cura della redazione

Alla Gran Fondo degli Squali brillante prestazione di squadra con tante soddisfazioni e qualche rimpianto… Prosegue la stagione ricca di successi del Team Matteoni che, alle prese per la prima volta con un vero e proprio team racing, sta mantenendo fede – vittoria dopo vittoria – alle grandi ambizioni della vigilia. Dopo i brillanti risultati alla Gran Fondo Via del Sale, sono arrivate ottime notizie anche dalla Gran Fondo degli Squali di Cattolica e Gabicce che – sotto lo sguardo vigile di Vincenzo Nibali – ha regalato grandi soddisfazioni per i colori del Team Matteoni. Nella classifica Gran Fondo Assoluta da segnalare il prestigioso 28° posto di Daniel Rocchi, che ha concluso

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le sue fatiche in 3h, 48’ e 34’’ a 16 secondi dal vincitore (quarto nella sua categoria). Un risultato di grande rilievo tecnico che, con un pizzico di fortuna in più, avrebbe potuto essere ancora migliore (la top ten era ad appena cinque secondi). Tra i primi cinquanta della gran fondo rivierasca anche Iuri Vanuzzo giunto anche lui nel gruppone dei migliori, a poco meno di 20 secondi dal vincitore di giornata. A qualche secondo, in 55esima posizione, ha tagliato il traguardo anche Matteo Cappelli (3h53’06’’). Da segnalare anche, nella categoria Super Gentlemen, il quinto posto di Fernando Alessi, che ha tagliato il

traguardo in 4h06’47’’. Nella classifica donne, da copertina anche il sedicesimo posto assoluto di Maria Teresa Mondaini, che ha tagliato il traguardo dopo 4 ore e 29 minuti, a poco più di trenta secondi dalla vincitrice. Poco più distante di lei, ottimo anche il 21° posto di Valeria Ravegnani (4h41’ e undicesima di categoria). Nelle varie classifiche di categoria, segnaliamo anche l’11° posto di Aureliano Lanzoni, il 27 di Claudio Abbondanza, il 5° di Davide Mazzotti nella Medio fondo Junior, l’11° di Alex Merlari, il 16° di Roberto Matteoni ed il 63° di Alessandro Paci.



a cura di Ilenia Lazzaro

TILIMENT MARATHON BIKE

Medvedev e Dahle uber alles 

I Campionati Europei Marathon si son corsi a Spilimbergo. Brinda l’Italia del CT Celestino che piazza Porro e Rabensteiner sul podio. A completare il trionfo azzurro il quarto posto 146

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di Chiarini, l’8° di Mensi ed il 10° di Ragnoli. Tra le donne Gunn Rita Dahle stacca alla fine la polacca Maja Wloszczowka, terza la svizzera Arianne Luthi. Più di 1300 gli atleti al via, assegnati anche i titoli master

Con la Tiliment Marathon Bike del 22 aprile è andato in scena il primo grande appuntamento internazionale in Italia dedicato alle lunghe distanze marathon. Il 2018 sarà l’anno della nostra penisola: oltre a Spilimbergo (PN), i fari sono puntati anche sulle tappe di Marathon Series a Capoliveri (Isola D’Elba), Selva Val Gardena (BZ), Etna (CT) e sul Campionato Mondiale ad Auronzo-Tre Cime di Lavaredo (BL). Giornata


estiva e soleggiata, in una primavera un po’ stramba, per la decima edizione della Tiliment Marathon Bike che assegnava il titolo di Campione Europeo Elite maschile e femminile. La prova sui 104 km al maschile ha visto un gruppo con i migliori atleti al via (tra di loro anche il Campione del Mondo Alban Lakata e il detentore del titolo continentale, il portoghese Tiago Ferreira) transitare pressocchè compatto fino alla lunga salita di Monte Pala, dove è cominciata la cavalcata in solitaria del russo Alexey Medvedev che - con un vantaggio che ha toccato quasi i 4 minuti - è riuscito ad amministrare al meglio il vantaggio, giungendo in Piazza Duomo a braccia alzate e vincendo il titolo Europeo Elite. Dietro l’Italia, guidata dal CT Celestino, ha fatto la parte del leone, con Samuele Porro che conquista una pesante medaglia d’argento, staccato da Medvedev di 1 minuto e 35

secondi e Fabian Rabensteiner ottimo bronzo in volata sull’ex pro su strada Riccardo Chiarini (gap di 3 minuti e 11 secondi dal vincitore). Chiude la top 5 lo svizzero Urs Huber ( gap 5’14’’ dal neo campione europeo) che precede l’iridato Alban Lakata. La festa italiana è completata dall’8° posto di Daniele Mensi e dal 10° di Juri Ragnoli. Tra le donne, gara d’attacco della pluricampionessa norvegese, Gunn Rita Dahle, alla cui ruota per buona parte del tracciato è rimasta solo la specialista del cross country Maja Wloszczowska. La Dahle d’esperienza è riuscita a prendere un vantaggio sufficiente da permetterle la vittoria di questo Campionato Europeo Elite, una maglia voluta nonostante i numerosissimi trionfi nella sua bacheca. Ottimo secondo posto per la Wloszczowska a 24 secondi, mentre si deve attendere più di dieci minuti per vedere la terza classificata, la svizzera Arianne Luthi.

Nella top 10 due italiane: Jessica Pellizzaro 7° (gap 20’07’’ da Dahle) e Maria Cristina Nisi 10° (gap 29’40). Alexey Medvede (Campione Europeo) “Sono partito con numero alto, ma poi ho recuperato nei primi colli. Avevo pianificato di provarci al primo strappo e l’ho fatto. Ho avuto un problema al freno, non riuscivo a governare la bici in discesa, ma poi sulla salita più impegnativa ho dato tutto e ho fatto il vuoto. È dall’anno scorso che volevo partecipare alla Tiliment. Avevo i crampi nel finale perchè era la mia prima gara lunga e con il primo vero caldo. È andata super bene.” Samuele Porro “Arrivo da un mese senza gare non è stato un inizio fortunato per me ma l’appuntamento della Tiliment era importante dal rientro dal Sud Africa. Non sapevo cosa aspettarmi, ma è andata bene. Io

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e Fabian ci siamo dati una mano, poi ho provato ad andare avanti perché ne avevo di più ma è andata con il secondo posto. Diciamo che sono stato il primo dei battuti, ma Alexey aveva una gran gamba”. Mirko Celestino CT Nazionale “Complimenti ai ragazzi perché si sono difesi fino all’arrivo conquistando un argento ed un bronzo, anche un quarto posto per Chiarini e altri corridori nei primi dieci. Sono felicissimo ma purtroppo abbiamo trovato un russo davanti a noi,

è uno dei più forti, e lo ha dimostrato. Gli italiani oggi hanno corso uniti e collaborato tra di loro, quindi i consigli che gli ho dato questa settimana sono serviti e sono contento che hanno portato i frutti. Il parterre era importante, più che un campionato europeo mi è sembrato un campionato del Mondo, non mi aspettavo che riuscissero a fare questo filotto di piazzamenti; sono doppiamente felice perché quando trovi dei ragazzi così in gamba e determinati è bello guidarli portando casa delle medaglie; pure io sono stato corridore e posso percepire e capi-

re benissimo la loro soddisfazione.” Gunn Rita Dahle-Campionessa Europea “Questo risultato è stata in primis una vittoria di squadra (del mio staff e di tutte le persone che mi seguono) resa ancora più significativa dalla bellezza di correre su un tracciato favoloso, sia dal punto di vista tecnico che dei panorami. Tutti questi fattori hanno fatto sì che raggiungessi questo importante risultato.”

Chi è Ilenia Lazzaro Giornalista sportiva ed addetta stampa, commenta da circa 15 anni il ciclismo fuoristrada. Specializzata nel ciclocross, lo pratica da quasi 20 anni, prima come elite ora come master. Conduce con Nicola Argesi “Scratch”, programma tv nazionale su Canale Italia. 148

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LA PROVA SUI 104 KM AL MASCHILE HA VISTO UN GRUPPO CON I MIGLIORI ATLETI AL VIA (TRA DI LORO ANCHE IL CAMPIONE DEL MONDO ALBAN LAKATA E IL DETENTORE DEL TITOLO CONTINENTALE, IL PORTOGHESE TIAGO FERREIRA) TRANSITARE PRESSOCCHÈ COMPATTO FINO ALLA LUNGA SALITA DI MONTE PALA, DOVE È COMINCIATA LA CAVALCATA IN SOLITARIA DEL RUSSO ALEXEY MEDVEDEV CHE - CON UN VANTAGGIO CHE HA TOCCATO QUASI I 4 MINUTI - È RIUSCITO AD AMMINISTRARE AL MEGLIO IL VANTAGGIO, GIUNGENDO IN PIAZZA DUOMO A BRACCIA ALZATE E VINCENDO IL TITOLO EUROPEO ELITE.

CAMPIONATI EUROPEI MASTER Incetta di maglie tra gli Italiani che hanno gareggiato per il titolo Europeo Master. Sono stati più di 1300 gli atleti partecipanti ai vari percorsi della Tiliment Marathon Bike, ben 500 quelli che si son contesti i titoli master UEC sulla prova marathon. Questi i vincitori: Master Women 30-34 Scipioni Silvia Cicli Taddei Master Women 35-39 Guidolin Nicol Gruppo Vulkan Mtb Master Women 40-44 Zocca Lorena S.C. Barbieri Master Women 45-49 Lippi Cristiana Ciclissimo Bike Team Master Men 30-34 Vanni Tommaso Cicli Taddei Master Men 35-39 Busto Ramos Javier Extol-La Gramola Team Master Men 40-44 Cía Apezteguia Patxi Izquierdo Ibañez-Orbea Esp Master Men 45-49 Rovera Luca Wr Compositi Racing Master Men 50-54 Parodi Alfonso Pb Carbobike O’clock Master Men 55-59 Ball Matthias Katrin Schwing Trek Team Master Men 60-64 Milanetto Massimo Atheste Bike Master Men 65-69 Zanasca Adriano MX Project Master Men 70-74 Del Zotto Gianalberto Bandiziol Cycling LIFESTYLE INBICI

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// IL PUNTO DI VISTA

Al bando

i “portoghesi” a cura di Gian Luca Giardini

Nelle gran fondo dilaga il malcostume di “imbucarsi” nelle corse senza pagare iscrizione e polizza assicurativa. Un espediente che va combattuto con ogni mezzo. Per ragioni etiche ma anche di sicurezza I “portoghesi” non amano la bici. Naturalmente non ci riferiamo all’iridato di Firenze Rui Costa oppure ai suoi compagni lusitani, bensì al popolo degli “imbucati”. Nel mondo delle granfondo si sta ormai diffondendo un malcostume che mi infastidisce alquanto, quello dei ciclisti (ma così non li vorrei definire) che si imbucano alle manifestazioni senza avere alcun titolo di iscrizione. Si immettono astutamente 150

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sui percorsi delle Gran Fondo o dei Raduni, senza pagare la loro quota, senza alcuna copertura assicurativa da parte della manifestazione ed a volte nemmeno personale. I più scaltri e spregiudicati addirittura bivaccano con estrema noncuranza ai ristori, magari lamentandosi delle bevande “poco fresche”, disquisendo poi addirittura sulla validità del percorso e suggerendo anche valide alternative... Tutto questo mi irrita molto, al pari di coloro che in auto saltano le code o parcheggiano negli spazi riservati a chi ne ha diritto. Educazione a parte, questo atteggiamento espone chi è regolarmente iscritto ad una serie di disagi: dalla mancata sicurezza alla tutela assicurativa, per non parlare del ristoro depredato! Andreste ad un matrimonio di sconosciuti a baciare la sposa e a gustare la torta? Una giacca blu non basta, ci vuole una gran faccia di bronzo! Osserviamo poi il fenomeno dal punto di vista dell’organizzatore. Gente che lavora mesi con passione per farci divertire e vede gran parte dei suoi sforzi

vanificati da un drappello di incoscienti che mette a repentaglio la sicurezza e la buona riuscita della manifestazione. Anche quella economica. Infatti al giorno d’oggi per un organizzatore è molto complesso far quadrare i bilanci e se ci vogliamo divertire tutti in compagnia, è necessario che qualcosa guadagnino o almeno pareggino i conti. Anche perché, soprattutto ai raduni cicloturistici, spesso i proventi sono destinati a sostenere società che vivono dì volontariato. La soluzione? Non la conosco, infatti non è possibile educare al senso civico adulti che tengono atteggiamenti tanto cafoni ed asociali. Un antidoto però ci sarebbe: isoliamoli! Tutte le volte che qualcuno vi propone una “imbucata”, infamateli faccia a faccia, fateli sentire quello che sono: dei ladri! Quando li trovate nei gruppi, invitateli a staccarsi, ditegli che se vi fanno cadere non sono assicurati! Insomma, fateli sentire sgraditi. Non so se produrrà risultati, ma io dopo mi sento molto meglio. Ragazzi, uniti siamo una forza!


, gno biso i a ih i cu o‘ d i c o Tu tt d i p i u ‘. O N GT . l a TH on te nien e MARA ature c GT per i r r o f e ON La s ti dalle AT H I l R A t o. M te P r o a r d . I l d i m a n i c t u tt e l e u r G a l e t Dua ile di vi 365, p ourt F T s uno HON G escola N GT T m A HO la M A R i , c o n M A R AT s u ion à: gio stag . Novit a suo a n o s te Sea Si sen reni. . R ter TO U t u tt i i si) (qua


312 Mallorca

Molto più di una

granfondo Bastano poche pedalate per dissolvere tutti i timori della vigilia. Nell’isola più bella delle Baleari, una giornata indimenticabile sui pedali. Con ottomila amici al fianco dall’inviata Ilenia Lazzaro

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Alcùdia, Isola di Maiorca. Scordatevi classifiche, guazzabugli in zona partenza per prendere la posizione migliore, rischi nei tratti di pianura. Scordatevi strade dissestate, traffico aperto dopo il passaggio dei primi, stress. Chiudete gli occhi prima di partire e lasciatevi cullare dalla brezza marina che soffia all’alba. Lasciatevi entusiasmare dai percorsi splendidi che si affrontano, dalle discese veloci ma con manto stradale perfetto, dalle salite lunghe ma abbordabili. Prendetela come un viaggio, una giornata in bici… per fare qualcosa che non avete mai fatto. Tutto questo è Mallorca 312. Lo slogan recita “More than a Granfondo”; solo partecipandovi ne capirete il motivo. 312 Mallorca non è una granfondo. Non è nemmeno una ultrarace. È un viaggio – in compagnia di altre 8000 persone - alla scoperta dell’Isola, una delle più famose dell’arcipelago delle Baleari, meta preferita di famiglie e sportivi. Quest’anno ho avuto il privilegio, grazie al Press Camp di Giant/ Liv (main sponsor dell’evento), di vivere “da dentro” questo mega evento, che richiama nella parte nord dell’Isola più di

8000 partecipanti e altrettanti accompagnatori. Tanto famosa in Spagna e Nord Europa, quanto sconosciuta in Italia: dei 59 paesi rappresentati infatti, la nostra nazione non sfiora nemmeno lo 0,5%. Come mai vi chiederete? Me lo son chiesto anche io, forse il calendario cicloturistico italiano è talmente saturo che pensare di andare altrove in aprile è un’utopia o forse questo evento non ha la storia di altre randoneé del Nord Europa (tipo Fiandre o Roubaix), ma vi assicuro che merita. Non faccio più gare in bici con continuità da anni. Se escludiamo il ciclocross, partecipo a pochissimi altri eventi durante la stagione estiva. È per questo che ero un po’ preoccupata dalla lunghezza dei tre percorsi proposti: 312 km e 5050 mt di dislivello, 225 km e 3973 mt disl e il ‘corto’ di 167 km e 2475 mt disl. Solo il corto valeva una gara lunga da noi in Italia, ho optato per questa scelta, io che a mala pena arrivo a 100 km di allenamento a settimana. Le preoccupazioni che avevo in partenza però, sono scemate appena ho parlato con alcuni ex professionisti nei giorni precedenti l’evento. Pedro Horrillo (ve lo ricordate? Cadde rovinosamente al Giro 2009, rischiò anche la vita) mi ha subito rincuorato: “Non è una gara Ilenia, è una giornata diversa. Parliamo così poco

tra di noi, mettiamola così… è un giorno dove al telefono sostituiamo la bici, facciamo nuove amicizie o coltiviamo le vecchie. In 10 ore ne hai da raccontarti. Per me, Mallorca 312 significa rinascita. Ho ripreso proprio qui la mia vita in bicicletta dopo quella bruttissima caduta al Giro. Non posso che essere testimonial di questa grande giornata di sport”. Partiamo alle 7 da Playa de Muro che si trova nella parte settentrionale della grande baia di Alcudia, nella parte nordorientale di Maiorca. Capisco subito che Horrillo ha ragione. Io parto davanti, ma anche nelle griglie delle retrovie c’è un ordine imbarazzante. Nessuno che spinge, nessuno che urla. Tutti tranquilli nonostante i chilometri e le fatiche da affrontare. I primi 20 km sono pianeggianti in riva al mare, Purito Rodriguez, Joseba Beloki, Pedro Horrillo, Enric Mas e il campione europeo madison Albert Torres tirano il gruppo ad andatura controllata. Nessuno sorpassa, nessuno cerca di saltare dai marciapiedi per prendere posizione. Inspiegabilmente solo una caduta, di un concorrente poco attento. Le rotonde da affrontare sono parecchie per uscire dalla zona costiera, ma il clima è disteso, tutti segnalano i vari tratti ostici, l’asfalto è perfetto. Le strade completamente chiuse. Nessuna LIFESTYLE INBICI

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“Non è una gara Ilenia, è una giornata diversa. Parliamo così poco tra di noi, mettiamola così… è un giorno dove al telefono sostituiamo la bici, facciamo nuove amicizie o coltiviamo le vecchie. In 10 ore ne hai da raccontarti. Per me, Mallorca 312 significa rinascita. Ho ripreso proprio qui la mia vita in bicicletta dopo quella bruttissima caduta al Giro. Non posso che essere testimonial di questa grande giornata di sport”.

macchina in sosta a lato strada. Pedalo vicino a Sir Dave Brailsford, team manager del Team Sky. È molto affezionato a quest’isola, l’ha scelta come centro di preparazione anche per la sua squadra. Farà il lungo, con molta calma mi dice. Cominciamo a lasciare il mare ed affrontare le prime salite. Tutti e tre i percorsi affrontano alcuni dei colli più belli dell’Isola: Coll de Femeina, Coll Puig Major e la manifestazione passa per alcune delle riserve naturali patrimonio dell’Unesco (Serra de Tramontana e Riserva Naturale Salbufereta). Salgo tranquilla chiacchierando con Santos Gonzales, scopro che è stato un ex prof, mi chiede di salutare alcuni amici in comune in Italia. Osservo la natura spettacolare davanti a me e la salita non mi pesa. Mi fermo al primo rifornimento quando ho già fatto 50 chilometri senza rendermene conto. Ai rifornimenti c’è un’isola per le carte dei gel e delle barrette. Tu consegni loro

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quello che hai in tasca già utilizzato e loro te ne danno di nuove. Ad ogni ristoro ci sono bagni chimici e ogni ben di dio da mangiare. Qui non esistono i ristori volanti. La gente si ferma. C’è chi scatta foto, chi fa video, chi mangia, chi semplicemente si riposa. Poi si riparte, senza stress. I chilometri passano più veloci di quanto pensassi. Mi trovo al bivio tra il corto e il medio che neanche me ne accorgo. Sono già in bici da 4 ore e mezza e mi sembra di essere partita da 10 minuti. Sto aspettando la crisi, quella prima o poi deve venire mi dico… ma intanto trovo un mega gruppone che va verso l’arrivo e - dopo 6h42 dalla partenza - la finish line è lì. In mezzo ho visto scorci mozzafiato, cattedrali romane in paesini dispersi, mare azzurro, oliveti, vigneti, rocce brulle e campi verdi. Non stanca, prendo la bici e vado ad Artà, l’ultimo rifornimento del percorso lungo di 312 km. Arrivo lì e mi pare di stare ad una sagra: l’intero paese è in

festa lungo la strada. La birra scorre a fiumi e tutti i partecipanti si fermano a berla. Seduti ad un tavolino c’è Horrillo, con Purito e Beloki: mancano ancora 25 km all’arrivo, ma non c’è fretta, il tempo massimo è di 14 ore. Quattordici ore con strade interamente chiuse al traffico. Quattordici ore in bicicletta. Un viaggio dentro di sé. A chiudere le fila, le maglie verdi: in Italia non le ho mai viste. Diciamo che l’organizzatore Xisco Lliteras ha copiato un po’ dalle maratone a piedi: le maglie verdi altro non sono che i pacer per arrivare entro il tempo massimo. Viaggiano a circa 22 km/h di media e spingono chi non ce la fa. In tutti i sensi. Sono le 21 e l’ultimo concorrente arriva a Playa de Muro, il tifo è quello tipico dell’Ironman. Tamburi, musica e la medaglia di finisher. Perché tutti hanno vinto, tutti hanno superato i loro limiti. Donne, uomini, giovani ed anziani. Questa è Mallorca 312, molto più di una granfondo.



// COME NUTRIRSI

Lo stress OSSIDATIVO a cura del dott. Alexander Bertuccioli

Le sostanze anti-ossidanti sono alleati preziosi del nostro sistema metabolico. Ma ci sono altri modi per potenziare la naturale risposta dell’organismo Sostanze antiossidanti e stress ossidativo: siamo sicuri che è sempre fondamentale supportare l’organismo “dall’esterno”? Domanda difficile, ma fortunatamente la risposta non è così complicata. Da anni è ben noto il benefico effetto di sostanze ad azione antiossidante, siano esse vitamine (come ad esempio Vitamina C,

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E, A ecc), minerali (come ad esempio il selenio), proteine (come ad esempio quelle ricche in aminoacidi solforati) o sostanze di estrazione vegetale (come ad esempio la curcumina, le catechine del te verde, il licopene del pomodoro e i vari flavonoidi estratti da diversi altri vegetali). Tutte sostanze efficaci nel supportare le difese antiossidanti dell’organismo sia nel soggetto sedentario che, in particolare, nell’atleta. Ma perché il bilancio dello stress ossidativo ricopre proprio tutta questa importanza? In sostanza perché i pro-

cessi metabolici con cui produciamo energia e quelli con cui metabolizziamo diverse sostanze (sia utili che dannose) tendono a produrre delle molecole con una peculiare caratteristica: quella di poter facilmente reagire, per stabilizzarsi, con l’ambiente circostante danneggiando a loro volta altre molecole facenti parte di altre strutture che, in questo modo, inizieranno a funzionare con minor efficienza ed efficacia e, a loro volta, danneggeranno altre strutture e così via. Questo fenomeno (estremamente ba-


Dr Alexander Bertuccioli Biologo nutrizionista Perfezionato in Nutrizione in Condizioni Fisiologiche DISB - Scuola di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” Comitato scientifico Associazione Italiana Fitness e Medicina – Comitato scientifico Federazione Italiana Fitness.

nalizzato e semplificato) viene definito “Stress ossidativo”, ovvero tutta quella serie di danni perpetrati a catena, in grado di compromettere, a diverso livello, l’integrità dell’organismo. Va da sé che maggiore è la richiesta dell’organismo in termini di produzione di energia o di metabolizzazione di sostanze dannose (a esempio l’alcool), maggiori saranno i livelli di molecole ad azione ossidante che l’organismo dovrà affrontare.Oltre ai naturali meccanismi di difesa dell’organismo, basati sull’azione di particolari enzimi (ovvero proteine che svolgono una specifica azione comportandosi come “operai specializzati” nell’eliminare molecole ossidanti), le sostanza accennate in precedenza, assunte in genere mediante l’alimentazione, contribuiscono nel migliorare l’efficienza e l’efficacia dei meccanismi di difesa dell’organismo. Ma oltre a questa modalità di intervento, è possibile potenziare la

naturale risposta dell’organismo? In pratica è possibile incrementare la produzione di enzimi (“operai”) che intervengono nella difesa antiossidante ? Sì, è possibile farlo, esistono infatti degli alimenti, assumibili anche sotto forma di integratori alimentari in grado di stimolare la produzione della stragrande maggioranza degli enzimi deputati alla difesa dell’organismo dallo stress ossidativo. In pratica come funziona? Queste sostanze creano un micro-danno di natura ossidativa a livello dell’apparato digerente, micro-danno che non è in grado per la sua entità di avere conseguenze negative sull’organismo ma che si rivela in grado di “attivare” i sistemi di emergenza deputati a potenziare la risposta dell’organismo ai fenomeni ossidativi. Quali sono questi alimenti? Questi effetti si riscontrano con l’assunzione di crucifere , ovvero cavoli, cavolfiori, cavoletti di Bruxelles, rape ecc, oppure mediante l’assunzione di papaya fermentata. Interessanti lavori riportati in letteratura scientifica dimostrano infatti come l’utilizzo sia con finalità alimentare che sotto forma di estratti sembra mostrarsi in grado di stimolare una più efficiente risposta dell’organismo allo stress ossidativo, incrementando la produzioni di enzimi con funzionalità antiossidante tra cui: • NAD(P)H quinone oxidoreductase 1

(esercita quenching su chinoni reattivi) • Glutamate-cysteine ligase (sintesi di GHS) • Sulfiredoxin-1 and Thioredoxin reductase-1 (azione anti-perossidi) • Heme oxygenase-1 (protezione verso sepsi, ipertensione, aterosclerosi, malattie del polmone e del rene, dolore) • Glutathione S-transferase (formazione addotti con GSH per eliminazione sostanze nocive) • UDP-glucuronosyltransferase (addotti con acido glucuronico per eliminazione sostanze nocive) • Multidrug resistance-associated proteins (ABC) (pompe estrudenti sostanze citotossiche) In pratica viene potenziata con effetto ad ampio spettro la capacità dell’organismo di eliminare le sostanze nocive e/o gli effetti da esse derivati, con meccanismi interni che per essere evocati richiedono comunque l’assunzione di alimenti e/o integratori. Questa nuova modalità di procedere può rappresentare un ottimo modalità per integrare quanto già correttamente fatto in precedenza nel supportare l’organismo nel bilancio dello stress ossidativo che – ricordiamo - se importante per il sedentario è fondamentale per l’atleta!

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La mia Roubaix

Da Magreglio con ardore a cura di Stefano Martignoni

Un sogno, il progetto e poi la partenza. Così, dal mitico pavé al legno del velodromo, abbiamo emulato i grandi del ciclismo. Con ambizioni diverse, ma le stesse emozioni Ci sono cose che un ciclista deve fare almeno una volta nella vita. E prendere parte ad una Classica del Nord è sicuramente una di quelle cose che sta nelle primissime righe dell’elenco. La scelta, in questo caso, è quasi obbligata: Fiandre o Roubaix? Scegliere è un bel dilemma e le due alternative hanno ciascuna

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ottime ragioni. Così spesso va a finire che nell’elenco si mettono entrambe. Se però capita di abitare al Ghisallo, un luogo intimamente immerso nella mitologia del ciclismo, decidere di pedalare alla Roubaix è quasi scontato perché – come si dice – “mito chiama mito”. Il problema è che se, oltre ad abitare a cento metri dalla

chiesetta della Madonna del Ghisallo, fai anche parte della NUVI*, le avventure diventano due, una dentro l’altra: pavé, chilometri e meteo a parte, la Parigi-Roubaix si pedala su macchine Anni 20… “Macchine”, così si chiamano le biciclette vecchie e quella di Natale da Magreglio è del 1924.


Tutta originale a eccezione dei cerchi, ovviamente quelli in legno del Cermenati di Guello, gli storici cerchi Ghisallo e le gomme, da 28”, lasciate invecchiare al sole. La sua macchina è una Roler’s, una bici francese artigianale con telaio ispirato a quello delle Labor, anch’esse transalpine. Negli Anni ‘20 le Labor erano celebri per la grande resistenza torsionale dovuta al particolare disegno a ponte del tubo orizzontale, caratteristica che ne faceva l’arma perfetta per le corse sul pavé (infatti nel 1920 la vittoria sorrise a Paul Deman e due anni dopo toccò ad Albert DeJonghe). L’avventura è cominciata il giovedì prima della Roubaix, quando Natale e i suoi 38 compagni di pedale

(fra cui anche due ragazze e un certo “Gibo” Simoni) hanno caricato le loro “macchine” su un furgone e hanno puntato il cofano verso Nord, destinazione Compiegne, Francia. Il programma era gustoso: venerdì sgambata nella campagna intorno al paese, al ritorno il sacro rito della punzonatura, insieme agli altri seimila appassionati che avrebbero preso parte il giorno seguente alla Parigi-Roubaix Challenge. Sabato gara, con dieci ardimentosi in partenza alle tre di mattina sul percorso da 260 km (quello dei Pro) e tutti gli altri in sella alle 8:30, a Busigny, per unirsi agli impavidi e proseguire sullo stesso tracciato fino al velodromo di Roubaix.

Le sezioni di pavé cominciano subito dopo: sono 29, per un totale di 54 chilometri. Il segreto è affrontarle davanti, a centro strada (ai bordi il pavé è molto sconnesso e tagliente come un rasoio), gomiti larghi per non farsi passare ed evitare così di fare gimcane fra chi è scivolato, con il rischio di essere coinvolto in qualche carambola e rischiare di rompere la bici. La strada prosegue in un continuo “mangia e bevi”. Se in salita le macchine dei velocipedisti segnano il passo rispetto alle pronipoti, in discesa si rifanno con gli interessi. La Ruler’s di Natale pesa 16 chili, monta un 46x18 e i pattini dei freni sono ricavati da due tappi di Champagne - la soluzione

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Foto di Elisa Romano

migliore per frenare sui cerchi in legno, grazie all’attrito regalato dalla colla contenuta nell’impasto. Ogni 50 chilometri c’è un ristoro e i ragazzi dell’assistenza non sono mai con le mani ferme: una gomma da sostituire, una galletta da stringere, portaborracce e manubri da fissare. Chissà se sono più vecchie le macchine dei velocipedisti o le pietre della pavimentazione. Uno a uno, scorrono sotto le ruote i famosi settori di Orchies, Mons en Pevele, Templeuve, Camphin en Pevele… La temuta Foresta di Aremberg è affrontata “pancia a terra”, fra lo stupore e l’incitamento del pubblico ai lati della

strada. E proprio il pubblico, più ancora del tracciato, è stato l’elemento più emozionante dell’avventura. Parola di Natale, che pur abituato alle centinaia di persone che incontra ogni sabato e domenica al Ghisallo, dice che sono un nulla al confronto delle ali di folla festosa che applaude e grida al passaggio dei corridori e dei velocipedisti. L’ultimo spauracchio è il Carrefour de l’Arbre e i nostri lo aggrediscono con il coltello fra i denti, a tutta velocità ma senza mai perdere il rispetto per le pietre. Ora, a separarli dal portone del velodromo, ci sono solo 20 km; li affrontano come una cronometro, con

NOVA UVI (NOVA UNIONE VELOCIPEDISTICA ITALIANA)

le gambe che girano veloci e spingono sui pedali, il cuore che batte sempre più forte per l’emozione. E quando, dopo un’ultima curva a destra, si passa sotto le tribune e si sbuca sul parquet del velodromo la gioia esplode silenziosa e ruba le parole per lasciare spazio solo ai pensieri. Ci vogliono dieci minuti prima che Natale torni ad aprire bocca, non è facile digerire emozioni così forti. Ma tanto c’è il lungo viaggio di ritorno e tutto il tempo che verrà, per parlare di ricordi e per decidere la prossima sfida. Anche se un Lombardia con scalata al Ghisallo sembra quasi certo…

Nasce nell’autunno del 2016, dopo diverse avventure fra cui tre Classicissime e una Lucca-Roma (rievocazione della più lunga tappa della storia del Giro d’Italia), complice un appostamento al tunnel del Turchino che instilla in uno dei padri fondatori la convinzione che, oltre a praticarlo, il verbo debba essere diffuso: “l’associazione ha per scopo la promozione, la tutela, lo sviluppo e la diffusione del ciclismo storico con particolare riferimento ai primi anni del ‘900, incentivandone lo studio, la cultura e la pratica…”, recita lo statuto. Ma per capire fino in fondo quale sia lo spirito che muove i polpacci degli ardimentosi basta leggere pochi punti del Manifesto: “Noi vogliamo praticare l’amore per la fatica e per il sudore; cerchiamo l’abitudine all’energia e alla temerarietà. Il coraggio, l’audacia, la solidarietà, saranno elementi essenziali delle nostre pedalate. Non v’è più bellezza se non nella lotta contro gli elementi. Il correre deve essere concepito come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo”. E c’è anche un vero inno… Per info, www.novauvi.it

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