Il calderone samhain 2016

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09/Samhain 2016 Magazine dellâ€&#x;OBOD


Idee e proposte per ospitare il cammino dell‘Anno.

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di Monica Zunica

di Luisa Lovari

Miti, Leggende e Divinità.

p. 08

p. 14

di Daniela Ferraro Pozzer

p. 22

Attraverso la Storia della Creatività. di Alessia Mosca Proietti

di Markus Juniper

Foto di Laura Villa

p. 26 p. 32

Howard Campbell Claudio Bongiorno Marta Cassinelli Antonella Turchetti

p. 40

p. 46 di Ilaria Pege

p. 44

p. 56

Monica Antonello Margherita Tocci Paolo Veneziani Daniela Albero Lujanta Ilaria Pege


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na passeggiata nel bosco. I piedi affondano nel muschio umido. Affondare, scendere dentro la Terra, questo è il Sentiero che la parte oscura dell‘anno ci offre: un sentiero accogliente e misterioso allo stesso tempo… dove camminano immaginarie ombre, accompagnate dalle parole di Shakespeare e del suo Macbeth. Un Sentiero sulle orme degli Avi, dei ricordi, della ricerca di noi stessi… dei semi della prossima e nuova Creatività. Zucche, magie, fuochi e tenebre, festeggiano gioiosamente l‘Inizio del Nuovo Anno celtico. Mabon ci ha salutati, affondando nel grembo del Mondo, insieme a personaggisimbolo di tante culture diverse, festeggiati e salutati in questo Tempo incantato in molte zone d‘Italia, ciascuna nel proprio caratteristico modo ma tutte unite dallo stesso sentire: ed ora la Notte cala. La seconda parte degli articoli del nostro precedente numero concluderanno questo altro giro di ruota, potremo ‗assaporarli‘, insieme ai muffin alla zucca ed a una buona tisana alla rosa canina, al caldo del camino nuovamente acceso. Che sia l‘Inizio di un Tempo ricco e pieno, che le Benedizioni della Vita accompagnino i nostri primi passi di questo nuovo ‗anno‘!

Daniela Ferraro Pozzer La partecipazione a questo Magazine dell‘OBOD è sempre aperta a chiunque voglia condividere una propria, preziosa… scintilla di Awen! Scriveteci a ilcalderoneredazione@gmail.com

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Idee e proposte per ospitare il cammino dell‘Anno. di Monica Zunica |

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Foto di Natalie Veken


n estate quando ogni cosa intorno a noi è verde e fertile, quando frutti e bacche si presentano sui nostri cammini senza che ci sia da parte nostra uno sforzo per cercarli, quando il sole riscalda il corpo e dona ai nostri pensieri il torpore di una felicità appena toccata ma costante, allora una sorta di incantesimo spinge a sdraiarsi al sole e a dimenticare qualunque tipo di ombra oscura.

Quando il vento cambia, il sole inizia a non essere più così caldo, le foglie lentamente disadornano le chiome alte e maestose degli alberi, allora nei nostri cuori prende vita una malinconia leggera. Ci rammarichiamo del tempo andato ma ci prepariamo, anche inconsapevolmente, a quello che arriva. Anticamente questo era il tempo dell‘ultimo raccolto, degli ultimi frutti, quelli più dolci e duraturi nel tempo. I pensieri, un tempo intorpi-

diti e storditi dalla bellezza del calore estivo tornano a far capolino nell‘animo di tutti noi. Persino gli animali sembrano tornare sui loro passi, misurano maggiormente i loro movimenti e raccolgono scorte per l‘inverno. Ecco il tempo di Samhain è proprio questo: raccogliere tutto quello che può esserci utile quando il sole non potrà più venire in nostro aiuto, quando i frutti non si presenteranno più sul nostro cammino, quando le foglie

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saranno cadute e tra noi e il cielo non ci sarà più alcun confine ma solo una trasparenza difficile da supportare. In quel tempo di passaggio sappiamo che di lì a poco i nostri animi saranno messi a nudo così come accade ai nostri amici alberi. Niente più fronzoli nella nostra vita, solo l‘essenziale. Allora sarà naturale per noi fare quello che fanno tutti gli altri esseri viventi. Ritirarci nelle nostre radici, nei luoghi più oscuri e inesplorati del nostro animo e vivere pienamente ciò che siamo per essere in grado di affrontare una nuovo giro del tempo, una nuova ruota dell‘anno. Per essere pronti ad ospitare e rivedere

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i nostri cari defunti che in quella occasione è possibile incontrare ancora una volta. Non a caso nella tradizione celtica l‘anno muore e rinasce proprio a Samhain. E quando il portale tra ciò che è visibile e ciò che non lo è sarà aperto una volta per tutte allora è il momento di incontrare la Cailleach. A lei potrete affidare tutto quello che volete lasciare andare; pensieri, dolori, preoccupazioni… Grazie a lei potrete alleggerire la zavorra e passare nel nuovo tempo con un animo diverso. Nel frattempo credo possa essere molto utile raccogliere quante più mele possibile e, perché no, ingrassare un

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pochino per affrontare il freddo inverno. In ultimo vorrei suggerire qualche festa in Italia che ricorda le tradizioni del nostro Samhain. In Molise, a Carovilli, in goni casa si organizza ―r cummit‖. Si tratta di una cena da condividere con parenti e amici, con un piatto di tagliatelle bianche condite con la verza. A fine cena, fuori da porte e finestre si lasciano porzioni abbondanti per le anime dei cari defunti. In Campania, da qualche parte c‘è ancora chi mantiene viva la tradizione ―U tavutiello‖ una cassetta di cartone a forma di bara. Si va in


giro per le strade con il tavutuiello gridando: ―Fammi del bene per i morti: in questo grembiule che ci porti? Uva passa e fichi secchi porti e fammi del bene per i morti!‖. In Puglia la sera precedente il 2 novembre, si usa ancora imbandire la tavola per la cena con pane, acqua e vino, appositamente per i morti che verranno a far visita ai vivi. Tradizione vuole che la loro visita si prolunghi almeno fino a Natale o alla Befana. A Orsara invece, la festa viene chiamata Fuuc acost e coinvolge tutto il paese. Si decorano le zucche chiamate Cocce priatorje, si accendono falò di rami di ginestre agli incroci e nelle piazze e si cucina sulle loro braci; gli avanzi vengono riservati ai morti, lasciandoli disposti agli angoli del-

le strade. In Sardegna, Nel giorno dei morti , i bambini vanno in giro per il paese a bussare alle porte, dicendo ―Morti, morti‖ e ricevendo in cambio dolcetti, frutta secca e in rari casi, denaro. Si intaglia una zucca e dopo cena non si sparecchia. Ogni cosa sulla tavola deve essere lasciata intatta perché gli spiriti durante la notte verranno a banchettare. In Sicilia il 2 novembre è una festa con molti riti per i bambini. Se i più piccoli hanno fatto i buoni, riceveranno dai morti i doni che troveranno la mattina sotto il letto: si tratta di giochi ma soprattutto di dolci, come i pupi di zuccaro (le bambole di zucchero). Si preparano anche gli scardellini, dolci fatti di zucchero e mandorle (o nocciole) a forma di ossa

dei morti e si mangia la frutta marto rana , fatta di pasta di mandorle colorata Anche in Piemonte si mette un piatto in più a tavola e si aspetta che le anime dei cari defunti vengano a fare visita. In Abruzzo, in alcuni paesi, è tradizione decorare le zucche. I bambini poi, vanno di casa in casa domandando offerte per le anime dei morti (frutta di stagione, frutta secca e dolci). In alcuni paesi la questua è accompagnata da una canzone. A Pettorano sul Gizio, la canzone suona, su per giù, così: ―Oggi è la festa di tutti i Santi, fate del bene a queste anime in pena. Se farete del bene col cuore, nell‘altro mondo vi ringrazieranno‖.

Monica Zunica

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di Luisa Lovari

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-PARTE SECONDA-

cco qua…. Ma ancora sto dormendo? Era un sogno o era realtà quella che ho appena raccontato e nella quale ero ed eravamo immersi? Apriamo gli occhi insieme: ora siamo svegli e cominciamo l‘esplorazione di questa Magia e di questa Natura così viventi e reali…. Si parte da Reykjavik, la capitale dell‘Islanda e la città più grande dell‘isola. Si estende attorno ad una penisola a metà strada tra la montagna ed il mare ed è una città moderna, ricca di locali, caffetterie, arte e design. Ma è bello anche tuffarsi nel passato e pensare alla leggenda legata alla sua fondatore, Ingolfur Arnarson, re di una tribu‘ vichinga che, nel IX secolo, la chiamò Reykjarvik (Baia Fumosa), per via dei vapori che salivano dal terreno (erano quelli sprigionati dalle sorgenti geotermiche, le stesse che oggi forniscono energia alla città). E ancora, da vivere l‘esperienza dell‘incontro con le balene, con una bella escursione in nave fino in mare aperto. Si prosegue per quello che sarà un breve giro ma molto intenso e ricco… io già l‘ho fatto e rifarlo insieme sarà un piacere! Da Reykjavik si parte alla volta della zona termale dei Geyser (esperienza unica…aspettare dal profondo della terra l‘acqua che ribolle piano piano e che si innalza in un getto altissimo verso il cielo! E farsi bagnare dalle goccioline di vapore caldo è un‘esperienza assolutamente da provare!!!) e poi verso le cascate di Gullfoss ( che ti aspetti di vedere, man mano che ti avvicini ed il rumore dell‘acqua si fa sempre piu‘ intenso, e sempre più aspetti l‘acqua che cade dall‘alto… ed invece no!

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L‘acqua cade sì ma verso il centro della terra. Fantastico!!!). Dopo una notte trascorsa nella zona di Fludir si riparte verso Vik, fermandosi lungo la strada per ammirare la prorompente natura, con montagne che si stagliano verso il cielo all‘improvviso con la cima ricoperta da nuvole, lunghe distese di pietra lavica nera dove avventurarsi con la macchina (mi raccomando con un bel fuoristrada… anche se, credetemi, si può bucare una ruota pur essendo ben corazzati!!) e dove si incontrano tanti, ma tanti, cumuli di sassi (i cairns), messi dai viaggiatori per indicare il cammino e per avere la protezione di Odino lungo la via. In un campo di questi cumuli un grande cartello raccomanda di rispettare i cairns altrui e di non prendere i sassi per costruire i propri da quelli già impilati e assicura, inoltre, che costruirne uno porterà la benedizione di Odino sul viaggiatore!

Odino, il dio viandante Molte storie e miti sono ancora vivi in Islanda: sono scritti sui menù dei ristoranti, nelle vetrine dei posti di sosta, in luoghi inaspettati… ra tante storie molte riguardano Odino, naturalmente. Troppo ci sarebbe da dire di lui, ma voglio scrivere qui, quasi per ricordarlo anche a me stessa, le ‗leggende‘ che mi hanno colpita di più, ricercandone on line i dettagli che ho ormai dimenticato! Il Dio dai molteplici nomi fa ancora raccontare di sé… Con un cappellaccio in testa e un mantello sulle spalle, a volte reggendosi alla sua lancia come ad un bastone, Odino viene dipinto come un dio viandante, che cammina per le vie del mondo. Onde per cui egli è detto anche Vegtamr ("viandante"), Gagnráðr ("[colui che] conosce la via"), Kjalarr ("[colui che va in] slitta"). Egli si muove lungo le strade come un pellegrino, dissimulando il suo aspetto e la sua reale natura. Perciò egli è

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detto Grímnir ("mascherato"). Ma anche Höttr e Síðhöttr ("lungo cappuccio"), Lóðungr ("[colui che porta] il mantello"), Hrani ("trasandato"). Appare in genere come un uomo maturo, o anziano, con una lunga barba, per cui è detto Hárbarðr ("barba grigia"), Langbarðr ("barba lunga"), Síðgrani e Síðskeggr ("barba cadente"), Hengikjöptr ("gota rugosa"). Odino pertanto è il dio dei viaggiatori e di tutti coloro che si muovono lungo le strade del mondo. Nel corso dei suoi viaggi capita che egli chieda ospitalità per la notte tanto nelle regge dei sovrani quanto nelle case delle persone umili. Egli è anche detto Gestr ("ospite") e infatti in passato ogni straniero veniva accolto in casa in quanto poteva celarsi lo stesso dio sotto mentite spoglie. Sotto il nome di Grímnir, Odino giunse come ospite presso il re Geirrøðr, il quale, sospettoso, lo torturò crudelmente tenendolo incatenato tra due fuochi divampanti. Dopo avergli rivelato i segreti del


mondo liberarlo ma inciampò sulla sua spada e cadde trafitto. Le apparizioni di Odino sono un tema caro alla tradizione nordica. Nella "Saga di Hákon Guttormr e di Ingi" è riferito che, quattro giorni prima della battaglia di Lena (1208), un fabbro ricevette la visita del dio che voleva far ferrare il suo cavallo. Rendendosi conto di avere a che fare con un personaggio soprannaturale, il fabbro gli rivolse molte domande ma il dio, comprendendo di essere stato scoperto, saltò in sella e il suo cavallo balzò oltre un recinto altissimo. Nella "Saga di Bárðr" si racconta che egli comparve all'equipaggio di una nave, nell'aspetto

di un uomo guercio, con un mantellaccio azzurro, il quale disse di chiamarsi Rauðgrani. Costui cominciò a insegnare agli uomini il credo pagano e li esortò a fare sacrifici agli dèi. Alla fine un prete cristiano si infuriò e lo percosse con un crocifisso: l'uomo cadde fuori bordo e non tornò più. Si narra che, col nome di Gestr, Odino abbia visitato persino Óláfr Tryggvason, re di Norvegia (995-1000). Il dio si presentò nelle spoglie di un vecchio guercio e incappucciato, il quale, dotato di grande saggezza, poteva raccontare storie di tutti i paesi del mondo. Ebbe un lungo colloquio col re, poi, al momento di cori-

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carsi, se ne andò. Il mattino dopo, il sovrano lo fece cercare, ma il vecchio era scomparso. Tuttavia aveva lasciato una gran quantità di carne per il banchetto del re. Ma re Óláfr, che era cristiano, vietò di mangiare quella carne, perché aveva riconosciuto Odino sotto le spoglie dell'ospite misterioso. Con il medesimo nome di Gestr, Odino comparve ancora, alcuni anni dopo, al cospetto di un successore di Óláfr Tryggvason, re Óláfr II Haraldsson il Santo (1015-1028). Egli giunse alla corte del re sotto l'aspetto di un uomo borioso e scortese. Indossava un cappello a larghe falde che gli nascondeva il volto, e aveva una lunga barba. Nel corso di un colloquio, Gestr descrisse ad Óláfr la figura di un sovrano dei tempi passati, il quale era così sapiente che il parlare in poesia era altrettanto facile che per gli altri uomini il normale parlare; costui otteneva la vittoria in ogni battaglia e poteva concedere agli altri la vittoria così come a sé stesso, a patto che venisse invocato. Da queste parole, re Óláfr riconobbe Odino, e lo cacciò. (da Wikipedia.org) E ancora, piccoli ed antichi villaggi con le case ricoperte di erba e cascate che spuntano quasi dal nulla!! E si arriva a Vik, a sud dell‘Islanda, dove si fa tappa per la notte e dove la sera si DEVE assaggiare assolutamente una delle specialità culinarie del luogo: lo squalo putrefatto (Hakarl). Credetemi, è davvero un‘esperienza unica ..e irripetibile ( nel senso che nessuno, sano di mente, la ripeterebbe mai!) È da sapere che lo squalo non smaltisce mai l‘urina ma la immagazzina in sacche situate sotto la pelle. Mangiare la carne venuta a contatto con queste sacche sarebbe impossibile e quindi, nel corso dei secoli, gli islandesi hanno trovato un metodo per renderla commestibile: la lasciano marcire sei mesi sottoterra in modo che perda gli acidi di cui si era impregnata. L‘aspetto che ha

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quando viene servito a tavola è simile a quello di cubetti di zucchero bianco, ma l‘odore che emana è forte e ricorda molto l‘ammoniaca. Per questo viene conservato in vasetti ermetici dai quali viene tolto di volta in volta per essere consumato. Il sapore non è sicuramente dei migliori, ma a differenza di quanto si potrebbe credere è mangiabile, anche perché servito sempre accompagnato con il Brennevín, il liquore di patate tradizionale. Il tutto, alla fine, risulta quasi ―commestibile‖…… La mattina dopo, per smaltire gli eventuali brutti sogni dovuti all‘esperienza della cena la sera prima, una bella passeggiata sulle spiagge nere di Reynisfiara e tutto sembrerà meraviglioso! Il mare è nero, per la sabbia vulcanica del fondale così come è nera la spiaggia, sempre di origine vulcanica, e le sue formazioni rocciose di pietra levigata… E poi via verso il Parco Nazionale di Skaftafell, con il ghiacciaio di Vatknajokull. Da vivere assolutamente è navigare in mezzo agli iceberg nella Laguna Glaciale (Jokulsarlon) con un mezzo anfibio, dopo aver indossato giacche impermeabili fornite dall‘organizzazione locale… Dopo il riposo notturno, si riparte per tornare verso Reykjavik, fermandosi lungo la strada per un saluto ai simpatici cavalli islandesi, simili a piccoli pony, con una grande criniera e pelame molto lungo in inverno per proteggersi dal freddo, che magari si incontrano nel cortile di una fattoria lungo la strada, oppure lasciare la strada maestra per raggiungere, quasi facendo rafting con la macchina, un ghiacciaio visto in lontananza e scalarlo a piedi fino quasi in cima, sentendosi invincibili e sul tetto del mondo! E prima di arrivare di nuovo in città, un ultimo assaggio di natura immergendosi nelle calde acque della Laguna Blu, a circa 40 minuti da Reykjavik. Il colore reale dell‘acqua è un azzurro un po‘ lattiginoso per la presenza della Cyanobacteria, un'alga con grandi proprietà cosmetiche


e curative. Quest'alga, unita ai minerali e al fango di silicato bianco della laguna, aiuta la pelle a rigenerarsi rendendola luminosa e vellutata. Sparsi in vari punti della piscina ci sono cumuli di questo fango bianco per un peeling totale. Da fare assolutamente una foto completamente ―bianchi‖, immersi nell‘acqua calda sotto il cielo che si tinge di rosso al tramonto e senza sentire un minimo di freddo….. e lasciare andare i pensieri alla storia e alle leggende di questa terra dal volto di ghiaccio e dal cuore di fuoco….

L‘Islanda Vichinga, affascinante aspetto di quest‘isola…. C‘è un‘antica leggenda che narra come i Vichinghi scoprirono l'Islanda (chiamata Rabna Floki dal nome del suo scopritore) ….. ―Un giorno un certo Floki partì dalla Norvegia diretto a ovest, dove era sicuro di trovare nuove terre: aveva con sé tre corvi e, dopo aver navigato per una settimana, ne lasciò libero uno che volò subito a est, verso la costa d'origine: da ciò egli comprese di essere ancora molto lontano dalle terre ignote che sperava di scoprire, e continuò il viaggio per altri quattro giorni. A questo punto egli diede il via al secondo corvo, che roteò incerto sopra la nave e poi finì per tornare anch'esso indietro, verso le terre di partenza. Questo comportamento fece pensare al comandante della spedizione di essere a mezza strada. Dopo un'altra settimana di navigazione fu liberato il terzo corvo, il quale volò subito davanti a sé. L'uomo comprese che la terra non distava molto e, difatti, l'avvistò dopo altri quattro giorni. In complesso il viaggio durò dunque 22 giorni: la distanza fra Bergen e l'Islanda è poco più di mille chilometri.‖ La storia parla della prima esplorazione vichinga delle isole artiche intorno all'860, sebbene nel corso di due precedenti viaggi in alto mare gli scandinavi

avessero già avuto modo di raggiungere con i loro veloci drakkar l‘arcipelago delle Faroen, accorgendosi che i monaci irlandesi li avevano preceduti. Dai resoconti di quelle esplorazioni i vichinghi seppero che "il mare, ad appena un giorno di vela, dalla costa settentrionale di una grande isola (l'Islanda) è cosparso di numerosi, giganteschi blocchi di ghiaccio galleggianti (iceberg)". Nonostante queste allarmanti segnalazioni, pare che il gruppo di esploratori agli ordini di Floki Volgerdason ebbe comunque l'ardire di proseguire (a bordo di knorr, imbarcazioni più lente, ma molto più robuste e capaci dei sottili drakkar) verso nord ovest raggiungendo i grandi fiordi dell'Islanda nord-occidentale (Arnarfjord), che trovarono completamente ostruiti dal ghiaccio. Floki ,che diede il nome di Islanda "terra del ghiaccio" - alla nuova isola , attese l'estate e alla fine riuscì a sbarcare e a fondare una colonia nel Breidafjord (costa sud orientale). La colonizzazione dell'Islanda si ebbe tra il 900 e il 930, nell'ultima parte del regno di Harald Haarfagen (Aroldo dalla bella chioma) in Norvegia , quando molti nobili, dei quali Harald aveva occupato le terre, partirono verso l'Islanda e mandarono in patria notizie di buoni pascoli, di sorgenti calde nell'entroterra, di acque molto pescose nei mari circostanti; allora, altri numerosi coloni arrivarono sull‘isola ed alcuni assai colti portarono con loro gli antichi manoscritti, che furono poi ricopiati in islandese. Si potrebbe parlare ancora per ore di questa Terra, delle sue origini, tradizioni, leggende, natura… ma ….. qui mi fermo, a voi il compito di scoprirla di persona! Nel frattempo, mi riposo pensando al nostro prossimo viaggio…

Luisa Lovari

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Miti, Leggende e DivinitĂ di Daniela Ferraro Pozzer

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Foto di Laura Villa


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empo di Samhain, la Natura si riveste di un abito di nebbia e lentamente si avvia verso l‘oscurità. I Miti si muovono seguendola e, al suono sempre più presente di una musica fatta di vento e di pioggia, scendono nel caldo e protettivo ventre della Terra, trascinando in quel ‗Dentro‘ tutto quello che vive, inconsapevoli coscienze e spiriti saggi . Proserpina ritorna da Plutone, la cui ciclica vicinanza le è vitale, affondando pian piano nel regno dell‘Oltre, e lasciando che tutto intorno la Regina dell‘Inverno, Cailleach l‘Antichissima, costruisca di nuovo il suo scintillante castello di ghiaccio scateni le tempeste e vaghi col suo bastone magico, sgranchendosi le vecchie ossa dopo il Tempo della Luce che ha vissuto in forma di pietra sotto un Sole trionfante. La Forza di questo periodo della Ruota dell‘Anno, la sua importanza ‗basilare‘, la sua Energia potente sono tutte rinchiuse nel tuonante splendore di questo personaggio affascinante come pochi… che spesso ‗è‘ la Terra in persona. Ma anche con Proserpina il Femminile non si nasconde, piuttosto si evolve proteggendosi nel ventre caldo e sicuro del Tempo del Buio, scende ad abbracciare le proprie radici, crea i germi delle nuove Possibilità, osserva se stesso, si affronta e… si conosce. Il tempo di una pacata e lenta Consapevolezza risveglierà i rischi che le Ombre portano con sé , ma proprio da questo conflitto rinascerà la nuova Energia al Tempo della Luce. Nella perfetta completezza della Natura il Maschile, Mabon farà la stessa cosa: trascorrerà questi ‗giorni‘ in un Luogo Altro, l‘Annwn, e ne emergerà come Nuovo Sole, ma anche con la completezza di una conoscenza di sé che ne faranno il ‗King of Otherworld‘, ed oltre al bambino di Luce, anche il Signore delle Tenebre (filone questo presente e parallelo nel ben noto Mito). Anche la Forza vitale dell‘energia Maschile quindi in questo Tempo è ‗dentro‘ protetta dal punto di vista materiale ma in cerca di

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se stessa fra le incognite dell‘Oscurità. In questo momento della Ruota, con lui anche Adone si muove verso l‘Ade, dove rimarrà per i ‗quattro mesi‘ durante i quali la sua amata Afrodite lo aspetterà, fra sonno e tristezza, per risvegliarsi con lui al suo ritorno. Un mito che rispecchia quello precedente, ma che ne sottolinea la ‗mancanza‘ esterna di Energia, piuttosto che la Forza nascosta all‘Interno della terra. L‘Ade non è un luogo felice per Adone, è solo un allontanamento dalla propria Vita, vissuto in un tempo di Attesa e sospensione. Questo Maschile esploderà comunque, con la nuova luce, in bellezza e Vita risvegliando Afrodite e la Natura. Mitologie che si intrecciano, personaggi scelti solo per caso fra i tanti che lo stesso potente Mito rappresentano: quello che è alla base del Ciclo delle Stagioni, quello che regala alla Vita la promessa di un ‗ritorno‘ di una ‗sopravvivenza‘ , quello che ci fa comprendere e sentire quanto, dentro di noi, soltanto dal confronto con la parte Buia possano nascere nuove scintille di Luce.

Dipinto di Mednyànszky

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LA CAILLEACH Dell‘ Antichissima Cailleach, la Prima Dea, creatura gigantesca e colei che conduce gli aironi, i lupi e i cervi… abbiamo parlato nel primo numero de Il Calderone – Samhain 2014 (https://issuu.com/ilcalderone/docs/ il_calderone-samhain_2014 ) ma un piccolo excursus sugli altri miti citati mi sembra piacevole e comodo:

PROSERPINA Un ‗racconto‘ tratto da http:// www.riflessioni.it che non ho voluto alterare, né snellire, perché ha in sè proprio il gusto della favola ed è molto piacevole da leggere: Demetra era una dea molto amata, proteggeva il lavoro dei campi, faceva maturare i frutti e biondeggiare il grano, ricopriva la terra di

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fiori e di erbe. E bionda come il grano era sua figlia Proserpina, sorridente come un raggio di sole al mattino. Un giorno, come al solito, mentre Proserpina si divertiva a correre sui freschi prati fioriti insieme alle ninfe, a intrecciare corone e a nascondersi nel fresco dei boschetti, un terribile boato lacerò l'aria. La terra si spaccò e dal baratro balzò fuori, su un cocchio d'oro trainato da quattro cavalli nerissimi, un dio bello e vigoroso ma dallo sguardo triste. Con le sue braccia possenti afferrò Proserpina e la trascinò con sé incitando i cavalli a correre velocemente. Era Plutone il dio delle tenebre che, preso dalla bellezza di Proserpina, si era innamorato perdutamente di lei. Aveva chiesto e ottenuto da Giove di poterla sposare, perciò era venuto sulla terra e l'aveva rapita. La fanciulla atterrita levò in alto terribili gri-


da, ma nessuno udì la sua voce. Implorò il padre Giove ma questi, avendo permesso il ratto, non poté aiutarla. I cavalli intanto galoppavano veloci. Proserpina, prima di entrare nel grembo della terra, rivolse alla madre un'ultima e disperata invocazione. Il suo grido fu così forte che montagne, boschi e prati fecero eco alla sua voce. Demetra l'udì dall'Olimpo. Sconvolta dall'ansia, scese volando in terra. Cercò ovunque l'adorata figlia, vagò per nove giorni e nove notti. Visitò gli angoli più nascosti e lontani senza mai assaggiare né ambrosia né nettare tanto era il suo dolore. La cercò persino negli antri marini, chiese notizie all'aurora, al tramonto, ai fiumi, ma nessuno volle dirle la verità. All'alba del decimo giorno, quando ogni ricerca risultò vana la dea, in preda alla più fol-

le angoscia, interrogò il sole. - Dimmi la verità - implorò - tu, che dal cielo tutto illumini, dimmi chi l'ha rapita e in quale luogo la vedesti. Il sole ebbe pietà di lei e volle rassicurarla: - È stato Plutone, il dio delle tenebre, a rapire la tua diletta figlia per farla sua sposa. Ora Proserpina è laggiù e con il suo sorriso rallegra quel tristissimo luogo. Demetra, sempre più disperata, si allontanò dall'Olimpo e si rifugiò ad Eleisi in un tempio a lei consacrato, dimenticandosi della terra che aspettava la sua protezione. Così a poco a poco i frutti marcirono, le spighe seccarono, i fiori e i prati ingiallirono e infine la terra divenne brulla e riarsa. Allora Giove ebbe compassione degli uomini, chiamò Iride e la mandò da Demetra perché l'invitasse a tornare tra gli dei. Ma la dea

Il Rapimento di Proserpina—PP Rubens

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messaggera non riuscì ad ottenere nulla. Tutti gli dei, uno dopo l'altro, andarono a supplicarla offrendole doni magnifici, ma Demetra non si lasciò convincere. Rispondeva che non avrebbe donato né messi né ricchezze ai campi se prima non avesse riavuto sua figlia. Giove mandò allora Mercurio dal re degli inferi affinché lo persuadesse a rendere la fanciulla alla madre. Plutone non osò disubbidire al volere di Giove, ma meditò in cuor suo di non restituire Proserpina per sempre. Esortò la fanciulla a salire sul carro che doveva ricondurla sulla terra. Prima che ella si allontanasse però le offrì alcuni chicchi di melograno. Proserpina li accettò, ignorando che per un'antica legge divina i rossi chicchi di quel frutto l'avrebbero per sempre legata agli inferi. Insieme a Mercurio la fanciulla ritornò nel mondo della luce e si recò nel tempio di Eleusi, dove trovò Demetra. Al solo vederla la dea si trasfigurò in volto, corse incontro alla figlia, l'abbracciò teneramente. Si consolarono a vicenda, parlando a lungo tra loro. Allora Demetra comprese che il legame tra la sua amata figlia e Plutone era ormai indissolubile e perciò chiese a Giove di poterla avere con sé almeno per una parte dell'anno.

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Il dio dell'Olimpo acconsentì, così Demetra ritornò finalmente fra gli dei e la natura si risvegliò. Da quel giorno, ogni volta che Proserpina torna nel mondo, i prati si coprono di fiori, i frutti cominciano a maturare sugli alberi e il grano germoglia nei campi. È la stagione della Primavera. Un‘altra piccola ‗gemma‘ che deriva dalle ‗notizie popolari‘ ci racconta che le origini del mito di Persefone hanno più antiche della leggenda del cosiddetto rapimento e si appoggia ai miti pre Olimpici i quali, infatti, affermano chiaramente che Persefone scelse di occuparsi del mondo degli spiriti perché nessuno si occupava delle anime. Prima di partire raccolse tre covoni di grano e prese con se un lanterna. Quando essa varcò le soglie di quel mondo la terra riposò all'esterno, ma l'interno s'illuminò e prese vita Divenendo Fertile! Questa versione è interessante perché, mentre in tutte le mitologie il passaggio dalla Luce all‘Ombra deriva inizialmente da una forzatura esterna, in questo caso si tratta di una scelta personale. C‘è da meditarci un po‘…

MABON Era il tempo in cui il seme fecondava la terra.

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Per creare un facile collegamento fra queste figure voglio citare l‘ipotesi di alcuni secondo i quali Mabon sarebbe associabile all'Apollo Maponus delle iscrizioni romanobritanniche e per questo definibile come l‘"Apollo celtico", il cui culto era praticato dai legionari romani di presidio al Vallo di Adriano. Alcuni lo ritengono accostabile a Demetra od a Persefone a causa delle forti analogie presenti fra loro. Il mito è ‗naturalmente‘ simile ma le infinite sfumature sono molto diverse, a cominciare dal sesso del protagonista che ne implica una attività simile a quella del ‗seme‘ piantato o nascosto nella terra… Narra la leggenda che Mabon, il ‗giovane figlio‘ di Modron, la Dea Madre celtica, fosse stato rapito alla madre tre giorni dopo la nascita. Si racconta che Il Signore degli Inferi, infatti, lo avesse portato con sé per fermare la sua luce risplendente sulla terra. Mabon fu poi savato da Culhwch, ma poiché avev a v i s s u t o nell‘Altromondo per un certo periodo di tempo rimase per sempre giovane. Il ‗Giovane Uomo‘ come il proprio nome lo definisce, rappresenta il Cerchio della vita: la parte luminosa dell‘anno che rinasce al Solstizio, pieno di speranze e di


Energia, come seme dalla terra, ma ha anche il suo ‗altro‘ aspetto, più legato a questo Tempo trascorso nel Buio… egli incarna infatti anche la forza della sopravvivenza e la saggezza acquisita affrontando le ombre che si conserva per tutta la vita.

ADONE Questo è un mito ricco di infinite variazioni ma lo schema centrale rimane lo stesso: Allevato dalle Naiadi con la sua bellezza straordinaria fece innamorare di sé la stessa Afrodite che se ne prese cura fino a che divenne più grande, e poi anche Persefone. ( una dea del fuori-Luce-VitaPrimavera ed un‘altra del dentro-Buio.MorteAutunno) alla quale la stessa dea Afrodite lo aveva inviato, a seguito

di un incidente, ‗in una cassa di legno‘ affinché a lo tenesse al sicuro in un angolo buio. Persefone, spinta dalla curiosità, aprì il cofano e vi scorse il bellissimo giovane. Se ne innamorò e lo tenne con sé nel suo palazzo. Afrodite fu informata della faccenda e si precipitò irata nel Tartaro per rivendicare Adone, ma Persefone rifiutò di restituirlo ad Afrodite, ed essa s'appellò allora al verdetto di Zeus. Zeus allora stabilì che Afrodite e Persefone meritavano pari autorità su Adone, perché la prima l'aveva salvato al momento della nascita, e la seconda in seguito, scoperchiando la sua bara: quindi ordinò al ragazzo di passare un terzo dell'anno con Afrodite, un terzo con Persefone e un terzo con la persona di sua scelta ( elemento

questo del tutto nuovo nei miti simili e che riafferma una ‗volontà‘ del soggetto e una sua, se pur minima, libertà di azione nei Tempi dell‘anno meno segnati dai ‗passaggi‘ forti ) Secondo altre fonti, fu la dea Calliope ad emettere questa sentenza! Adone, infatti, durante una battuta di caccia era stato ucciso da un cinghiale inviato dal geloso Apollo o da Ares amante della dea Afrodite. Dal sangue del giovane morente crebbero gli anemoni e da quello della dea, ferita tra i rovi mentre era corsa a soccorrerlo, le rose rosse. Quindi stavolta il mito rappresenta palesemente una morte de una resurrezione che danno il via alla ciclicità della Ruota dell‘Anno.

Daniela Ferraro Pozzer

La nascitta di Adone 09/Samhain 2016 |

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E’ il tempo di Samhain

“Approfondimento, Introspezione, Rifugio”

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L’Approfondimento crea

Conoscenza

Foto di Laura Villa

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L’Introspezione crea

Consapevolezza |

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Foto di Laura Villa


Il Rifugio crea

Protezione

Foto di Laura Villa

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ATTRAVERSO LA STORIA DELLA CREATIVITA‘

di Alessia Mosca Proietti

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i apprestiamo ad entrare nella parte dell‘anno che piĂš ci spinge a riflettere e a guardare in noi stessi nel buio riposo del seme interrato. Ăˆ il momento di valutare i trascorsi dai quali trarre le basi per i giovani progetti futuri, di ricordare, di prepararsi, di rendere

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sottile la percezione del mondo magico interiore, presente in ogni essere vivente. Avevo in animo di accompagnarvi come sempre nel mondo dell‘opera con la presentazione accurata di un celebre capolavoro verdiano, ma le circostanze e gli eventi che hanno profondamente segnato la nostra regione (il sisma del 24 agosto scorso) e gli


impegni che ho accolto come personale sanitario impegnato nella protezione civile hanno drasticamente occupato il mio tempo. È, quindi, con grande dispiacere che ammetto che non ho potuto lavorare ad un articolo pieno e dettagliato, ma non avrei mai rinunciato a lasciarvi con un vuoto nella rubrica! Così, in questi giorni umbri di attesa e riflessione, ricordo dei cari che non ci sono più e imminenti progetti di ricostruzione perfettamente conciliabili con Samhain, ho deciso di lasciarvi con un soffio di magia e mistero. Senza inoltrarmi nell’opera intera, voglio portare la vostra attenzione sulla figura delle streghe che, rimestando tutta la notte nel calderone fumoso, predicono al Conte di Cawdor un destino nel quale speranza e tragedia saranno allacciate indissolubilmente. Sebbene siano personaggi marginali, la loro predizione è il motore che muove tutti gli ingranaggi della storia ed incarnano il timore reverenziale ed il rispetto che l‘essere umano nutre per il soprannaturale. Nel suo ―Macbeth‖, rappresentato per la prima volta a Firenze al Teatro la Pergola il 14 marzo 1847 (libretto di Francesco Maria Piave basato sull‘omonimo dramma di William Shakespear), Verdi infonde la musica di toni lugubri e malevoli, nei quali i personaggi si muovono tessendo le oscure trame di destini tragici. Alla figura delle streghe, unico appiglio di Macbeth alla speranza che il proprio futuro si risolva per il meglio, Giuseppe Verdi dedica musica complessa e memorabile. Il Coro delle Streghe, prima scena dell‘ATTO III vede le tre sorelle megere riunite intorno ad un calderone ribollente, immerse nell‘oscurità di una caverna, mentre all‘esterno la notte è squarciata da lampi e tuoni. Le streghe, invocando l‘aiuto degli spiriti ed usando i classici ingredienti rivoltanti attribuiti nell‘immaginario collettivo alla preparazione di filtri magici, lavorano ad una pozione che le aiuterà a scorgere il futuro:

Streghe

I. Tre volte miagola la gatta in fregola. II. Tre volte l'upupa lamenta ed ulula. III. Tre volte l'istrice guaisce al vento. Tutte Questo è il momento. Su via! sollecite giriam la pentola, Mesciamvi in circolo possenti intingoli: Sirocchie, all'opera! l'acqua già fuma, Crepita e spuma. (gettando nella caldaia) I.

Tu, rospo venefico Che suggi l'aconito, Tu, vepre, tu, radica Sbarbata al crepuscolo Va', cuoci e gorgoglia Nel vaso infernal.

II.

Tu, lingua di vipera, Tu, pelo di nottola, Tu, sangue di scimmia, Tu, dente di bottolo, Va', bolli e t'avvoltola Nel brodo infernal.

III.

Tu, dito d'un pargolo Strozzato nel nascere. Tu, labbro d'un Tartaro, Tu, cuor d'un eretico, Va'dentro, e consolida La polta infernal.

Tutte (danzando intorno) E voi, Spirti Negri e candidi, Rossi e ceruli, Rimescete! Voi che mescere Ben sapete, Rimescete! Rimescete! https://www.youtube.com/watch? v=vH6Fa452v_U

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Una curiosità: il testo della pozione delle streghe ed il tessuto ritmico del brano hanno ispirato la canzone ―Double Trouble‖, che il coro della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwards canta all‘inizio di ―Harry Potter e il prigioniero di Azkaban‖ (terzo episodio della saga). Ecco il link per l‘ascolto ed un piacevole confronto https://www.youtube.com/watch?v=EMzrgXFeX_o Ed ora prepariamoci: sulle note accattivanti di questi brani magici prepariamo il fuoco, scriviamo nero su bianco in nostri desideri e, se siamo pronti, bruciamo i vecchi per cominciare il nuovo anno. Blessed Samhain!

Alessia Mosca Proietti

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Seek meadows where desire feeds Di Howard Cambpell

Cerca i prati dove si alimentano i desideri Abbandona le costrizioni... sii come sei giungi alla semplicitĂ della tua bellezza completa Vivi nel meleto del tuo spirito selvaggio Lascia crescere la Via Selvaggia nella fresca aria della Luna spingi le tue radici dell‘ amore profondamente fin dentro le ombre della tua Terra sogna con le tue foglie cadute che dormono al suolo Cerca prati dove si alimenta il desiderio Diventa il fiore selvaggio di maggio e lascia volare il fascino del tuo profumo di miele Medbh raccogli il nettare facilmente... delicatamente riempi la bellezza della sua tazza mescola Gioia con Celebrazione

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La Notte Magica Magica notte quella di Samhuinn Ove il tempo è sospeso tra cielo e terra Tutto tace, tutto si ferma Il silenzio si fa strada tra il turbine della vita. La porta si apre tra materia e spirito L‘unione tra i mondi si realizza Tempo propizio per tutte le creature di Dio Un attimo di eternità ove è reso possibile Un caldo abbraccio con cuore lieto e sincero. Accorrete Anime buone e festose Accorrete Custodi della Terra Accorrete Grandi Esseri di Luce Accorrete Grandi Maestri. Qui vi attende un clima d‘amore e letizia Dolci libagioni e sorrisi sinceri Donate a noi benedizioni e intuizioni Qui troveranno un cuore grato ad attenderle. Seme di un nuovo tempo, di una nuova era Ove gli uni e gli altri sederemo accanto Senza alcun timore ed in perfetta armonia Che pace via sia tra le creature di Dio.

-Duirin-

(C. Bongiorno)

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Passa ggi di Marta Cassinelli Era un giorno come gli altri, uno di quelli in cui non ci si aspetta nulla di particolare, in cui ogni tassello è al suo posto e l'acqua scorre come se seguisse un corso preciso, veloce e costante. Lei era bella, come le foglie di nocciolo quando a primavera regalano il loro colore più vivido e intenso agli occhi di tutti gli osservatori; le creature della foresta si nutrivano di quel bagliore così meravigliosamente fresco e donato alla vista senza alcuna richiesta in cambio. L'abito un po' troppo lungo le impediva di raccogliere tutti i fiori che avrebbe voluto riportare a casa e, sebbene le fattezze delle pieghe suggerissero un cambio di forma, come a ricordare un cestino, ella non volle rischiare di rovinare la stoffa e si limitò quindi a cogliere soltanto alcuni steli. L'aria era sottile e pungente, il profumo della resina e della rugiada riempiva le narici in modo così intenso che talvolta pareva quasi potessero iniziare a sanguinare. Con gli occhi chiusi, quell'odore diventava un gusto, poi una sensazione ed infine un'idea. Lei sapeva che esistevano molti modi per comunicare e che ogni creatura possedeva un dono. Tutto ciò che andava imparato, era il modo. Leggere le note di colore nelle sfumature della corteccia degli alberi, interpretare il ronzio delle api, avvicinare l'orecchio ai boccioli per udirne il segreto movimento alla ricerca della luce del sole. Il muschio ricopriva le rocce attorno alla radura e non sembrava semplice riuscire a poggiare il piede senza scivolare. Amava correre e danzare, libera, restava sola per ore ad osservare i petali dei fiori mutare impercettibilmente, imitava il canto del grillo e scrutava i cieli in attesa del falco, che le portasse notizie di libertà o le insegnasse la via di casa. Il tempo, nella foresta, diventava relativo. Ogni essere vivente, ogni goccia d'acqua, ogni

filo d'erba, attraversava a suo modo i passaggi del reale, per diventare tutt'uno con l'energia dell'universo e creare una tela unica e perfetta. Lei non ritornava a casa, finché la luna non l'avvertiva, con un soffio di aria più fresca del previsto, che sarebbe arrivata presto e che i sentieri percorsi all'andata non sarebbero più stati gli stessi da percorrere al ritorno. Solo allora lasciava la foresta per rientrare al focolare, caldo ed accogliente, che la salutava con un dolce profumo di menta e salvia, assieme al pane croccante e ai racconti della sera. Accadde che un giorno, poco prima dell'inizio dell'inverno, il soffio di vento di luna non fu abbastanza fresco da essere percepito dalla fanciulla, la quale non si avvide dell'avvicinarsi della notte, intenta come era ad osservare la tela di un ragno, e restò nella foresta molto più a lungo di quanto le fosse concesso. Quando alzò lo sguardo, si accorse che il buio avvolgeva tutte le forme conosciute e che il sentiero che aveva percorso all'andata era svanito nel nulla o, quantomeno, non era più visibile. In principio restò immobile, un aspetto misto tra curioso e perplesso, come se una parte di lei fosse quasi felice di quella inaspettata condizione. Sorrise ed iniziò a guardarsi intorno, cercando una spiegazione ed una soluzione. Pian piano, il suo sguardo divenne più attento e la sua vista più acuta. Non fu il falco a venire a trovarla, bensì una civetta. Come attratta da una preda, scese in picchiata ma raggiunta la fanciulla, si posò di fianco a lei, osservandola. Quello sguardo così attento e gentile, ma anche fiero e costante, risvegliò qualcosa nei pensieri della giovane, che iniziò a ricreare nella sua mente l'immagine della casa alla quale ogni sera faceva ritorno. La gentilezza della luce fioca del camino, la tisana pronta sul vecchio tavolo di legno, il pane caldo. Una coperta lasciata a fianco al fuoco, una brocca d'acqua, scarpe calde e asciutte. Ma nessun altro ad attenderla. Non le veniva proprio in mente un volto. E

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nessun'altra luce se non quella della fiamma accesa. Si sforzò ancora un po' aiutata dalla sua nuova compagna ed iniziò a ricordare qualche sensazione. Acqua tiepida sulle caviglie, una mano gentile che accarezza la fronte ghiacciata, abiti nuovi, abbracci calorosi e calde lacrime. Sentì labbra premere sulle guance e capelli profumati sfiorarle il viso. Poi più nulla. Da allora, ogni giorno viveva nella foresta accanto a tutte le creature che amava e provava una gran gioia nello scoprire le meraviglie nascoste; poi, ogni sera, rientrava allo stesso focolare. Quella notte, però, prima che l'inverno regalasse i suoi doni ghiacciati alla terra, ultimi momenti prima del grande freddo, insegnò alla fanciulla una nuova via. Ella tornò indietro, verso casa, percorrendo un altro sentiero, guidata dalle impronte del lupo, che già in passato le aveva indicato la via. Dopo aver oltrepassato il fiume, oltre il campo di ginestre dove la grande quercia proteggeva ed osservava, giunse infine al luogo che tanto amava e dove era solita fare ritorno ma, questa volta, non era sola. Attraversò l'uscio con passo leggero: tisana e pane caldo erano sempre al loro posto, ma questa volta la figura di una donna si distingueva accanto al tavolo. Era alta, un bel portamento, curva sulla ciotola che conteneva il pane, restava in silenzio. Aveva i capelli grigi ma il suo aspetto rivelava un'antica bellezza, delicatezza e dolcezza tipiche di chi ha donato una parte del suo cuore nel creare qualcosa di nuovo. Improvvisamente una bambina ed un uomo entrarono nella stanza, portando con sé uova dure, qualche mela, delle noci e datteri fatti arrivare da terre lontane. La piccola fu la prima ad accorgersi di lei. Si fermò, attonita e interdetta, ma solo per un attimo. La osservava con lo sguardo di chi sapeva che quel momento sarebbe arrivato, come chi avesse atteso a lungo e si fosse adoperato con impegno, costanza e dedizione affinché il proprio obiettivo venisse raggiunto. Corse verso la donna, le prese il pane dalla ciotola e lo portò alla fanciulla, porgendolo con entrambe le mani. Ogni sera, veniva sfornato apposta per lei, perché non perdesse la strada di casa.

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L'uomo e la donna, assistendo alla scena, intuirono quello che stava accadendo e piansero lacrime di gioia. Essi non potevano vedere, ma potevano interpretare ed assecondare ed ascoltare. Restarono assieme tutta la notte, accanto al tepore del camino, a ricordare avvenimenti del tempo in cui tutti e quattro abitavano lo stesso luogo, a sorseggiare tisane assaporando pane caldo, mele e datteri. Quando le prime luci dell'alba entrarono dalle finestre, gli adulti avevano ceduto alle lusinghe del sonno, ma la piccola, prima di riposare, si assicurò di ricordare alla giovane di ritornare a trovarli presto e che avrebbero atteso con ansia di poterla rivedere. Quando il sole fu alto, la casa era nuovamente vuota. Lei respirò il profumo del nuovo giorno e riprese il cammino nella foresta, percorse il suo sentiero e ritrovò la sua radura. Era felice: giocò a rincorrere il falco e conobbe una famiglia di daini che non aveva mai visto prima. A sera, la luna si premurò di essere più decisa e questa volta la fanciulla si accorse della notte incombente e tornò al focolare, come sempre. Ricordò però le parole ed i volti e si assicurò di non dimenticarli mai. Da allora, ogni anno, quando il freddo fa capolino oltre i confini della foresta, avvisando del suo imminente arrivo, lei non ascolta il soffio del vento ed attende l'oscurità. E, per una notte, percorre un altro passaggio assieme al suo antico guardiano alla volta della sua nuova ed antica dimora.

Marta Cassinelli


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Samhain Samhain, Samhain…il giorno che non esiste… Le nebbie ci circondano! Danzano lenti barbagli di luce, si avvolgono pigri sulle colline In lunghe spirali d‘oro . Samhain, Samhain… è giunto il tempo… I veli si assottigliano fra i mondi! Lo scudo di Skathach è abbassato, sorgono le Pleiadi, stelle dell‘inverno, la notte regna sul giorno. Samhain, Samhain… la terra tace… Zucca e mele, buio e luce, vita e morte! Il mondo è pieno di sussurri lontani, il giro della ruota d‘argento è compiuto, un altro anno è passato. Samhain, Samhain, … si accende il gran fuoco… Sogni e ombre bruciano nell‘oscurità! Senti il Corvo gracchiare... ―Dov‘è il Dio?‖ Chiede con la sua voce stridula. Ha posato il capo stanco sul grembo caldo di chi gli dato la luce, ora un nuovo seme riposa nel silenzio mentre la cima del Tor è incoronata di fiamma. Samhain, Sauin, Samonion…il tempo dell‘attesa… Brilla nel buio la luna del lupo.

Antonella Turchetti

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di Markus Juniper

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bbiamo lasciato indietro le parti luminose dell'anno e l'autunno ha preso il suo spazio. Le foglie degli alberi cadono in terra e creano un tappeto colorato, muovendole con i nostri piedi fanno una musica meravigliosa che ragazzini e grandi amano. Una musica simile ai suoni delle onde del mare o del ruscello che corre sopra le pietre, ci dà una sensazione calmante ma molto viva. E lì, sotto le foglie, troviamo del verde brillante, sembra che una parte del mondo sta in pieno vigore, cuscini morbidi... e se guardiamo meglio qualcuno di essi sembra un piccolissimo albero.. Voglio guidarvi in un 'viaggio' per scoprire una parte dell' affascinante mondo dei muschi. Approfittando del aumento di umidità e della

luce nel interno del bosco (foglie cadute) molti tipi di muschi raggiungono, in questo periodo del anno, il massimo della loro sviluppo. Ci ricordano l'inizio della Vita e le prime piante pluricellulari che si sono divise dalle alghe verdi ca. 400-500 milioni di anni fa. Ancora oggi essi mancano di vere radici per trasportare acqua e nutrimenti dal suolo: hanno sviluppato infatti solo dei rizoidi che servono a tenere la pianta ben ancorata al proprio posto mentre assorbono con le foglie l'acqua e tutte le sostanze necessarie dalla pioggia e dall' aria. I muschi sono come spugne e cosi sono importanti anche per depositare acqua ed equilibrare l'umidità nell'aria. La loro capacità accumulare l'acqua è infatti fino a quattro volte più grande del loro peso. Questo tipo di piante è veramente arcaico: per la fecondazione hanno bisogno dell'acqua perché lo spermatozoo deve 'nuotare' all'archegonio (cellule uova) e può essere anche trasporta-

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to dagli spruzzi di acqua. Non producono semi ma come le felci e l'equiseto sviluppano spore che vengono distribuite dal vento.

Immagine - Archegone I muschi sono veri 'specialisti' per ambienti difficili, crescono su rocce, cortecce, vecchi tronchi degli alberi e su terreni molto poveri e acidi. Basta che ci sia umidità sufficiente almeno in una parte dell' anno. Cosi diventano importanti contro l'erosione e per creare habitat per numerosi altri organismi. Una volta, visitando una tomba antica in Cornovaglia, ero stupito dalle pareti verdi fluorescenti, quasi senza luce: tutto l'ambiente era intinto in una atmosfera magica. L'origine di questa magia meravigliosa era un muschio: la Schistostega pennata, che riesce a usare perfino un minimo di luce con i suoi cloroplasti per fare la fotosintesi....adattandosi così anche a posti con scarsa luce come grotte, crepe nella roccia e perfino l' interno di tronchi vuoti. Una parte della luce catturata viene riflessa e produce cosi questo effetto speciale. Su tutto il pianeta si distinguono ca. 16.000 specie che vengono divise in 3 Classi diverse. Alcune piante, chiamate ―muschio‖ (per esempio il muschio islandese) botanicamente non sono muschi, ma sono spermatofiti che assomigliano soltanto ad essi nella loro presenza. Troviamo i muschi in tanti posti diversi e anche la loro forma è molto variabile. Alcuni sembrano alberi in miniatura, altri creano un velluto morbidissimo su rocce e tronchi. Il muschio più alto raggiunge soltanto una altezza di 30-50 cm ma possono diventare vecchissimi, il muschio più vecchio trovato nel Antartide (Amblystegium) ha raggiunto i 10.000 anni!

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Per le nostre piante nei vasi e nel giardino usiamo spesso il terriccio composto anche di torba. Questa sostanza organica deriva da grandi estensioni di una specie di muschio, lo Spagnum palustre. Questa piantina cresce in ambienti palustri alimentati da solo acqua piovana. Tante storie e leggende girano attorno a questi paesaggi chiamati 'Moors' in Inglese e 'Moor' in Tedesco. Camminando in questo tipo di palude, magari nelle nebbie di novembre, può succedere che si cada in buche di acqua non visibili. Questo muschio crea dei tappeti galleggianti e le buche nascoste sotto di essi possono essere profonde anche alcuni metri. Archeologi hanno trovato scheletri e mummie conservate perfettamente in queste paludi dove manca l'ossigeno e che sono ricche di acidi derivati dall'humus.

Immagine - Moorleiche I primi corpi trovati, chiamate 'Moorleiche' sono di 8000 anni fa e danno tante informazioni della vita in quel periodo, grazie alla buona conservazione. Ma i corpi ritrovati non appartenevano sempre a persone morte in incidenti, in alcuni casi c'è un' evidenza di riti di sepoltura e di sacrifici umani (Germanici). Questo tipo di muschio, che cresce di più nella emisfero nord della terra, produce una quantità di sostanza organica uguale alle foreste. Per il costante consumo della torba però, questo tipo di palude oggi è diminuito tantissimo. Li vivono tante specie di animali e piante specializzate a questo habitat che oggi purtroppo sono in via di estinzione. Possiamo contribuire alla protezione di questi 'Moors' usando terriccio derivato dal compostaggio e altre sostanze organiche come le fibre di cocco. Chi ha fatto una volta


una camminata in queste paludi nordiche si ricorderĂ per sempre della magia che le avvolge e della loro atmosfera caratteristica. Diversi tipi di muschio vengono usati come indicatori per la qualitĂ dell'aria e della purezza dell'acqua piovana: essi infatti reagiscono velocemente ai cambiamenti nel loro ambiente e chi sa leggere le 'informazioni' che danno, scopre un po la storia del posto ed i cambiamenti che si sono succeduti.

Quando siamo fuori, in giro per i boschi... regaliamo un po' della nostra attenzione ai muschi e sentiamo con le mani come sono morbidi, umidi e accoglienti, cosĂŹ potremmo anche fare un piccolo viaggetto indietro della storia della terra, quando queste piante dominavano una parte della superficie terrestre.

Markus Juniper

Alcuni muschi hanno un effetto sterilizzante verso batteri, funghi e altri microorganismi. In Toscana ancora oggi persone del posto fanno compresse e pomate per diversi tipi di ferite. Anche nella medicina cinese queste piante vengono ancora usate per la preparazione di una tintura madre allo scopo di sterilizzazione.

Climatum Dendroides

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di Ilaria Pege

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Muffin alla zucca Ingredienti : 250 gr di zucca 150 gr di farina 60 ml di latte di Riso o Orzo 2 mele grattugiate 1/2 cucchiaino di cannella 1 spolverata di noce moscata 1 bustina di lievito per dolci 2 cucchiai di olio di oliva 1 presa di sale Per la guarnizione: 2 cucchiai di malto d'orzo 100 gr di farina di nocciole 1 spolverata di cannella

Preparazione : Pulite la zucca. Tagliatela a pezzi e mettetela a cuocere a vapore per 10 minuti (in modo che il sapore della zucca non si perda). Una volta pronta versatela in un passatutto, in modo da ottenere una specie di purea. Frullare la Zucca e la polpa di mela assieme. In un a terrina mescolate la farina, il lievito, la cannella, la noce moscata e un pizzico di sale. Amalgamate e dopo aggiungete il latte e l‘olio. Poi versate in composto dove avete la purea di zucca e mela. Amalgamate bene. Amalgamare ingredienti per i Muffin alla Zucca. Mettete i pirottini negli stampi per muffin e riempiteli con il composto per 2/3 (in questo modo a fine cottura posso toglierli con molta più facilità ). Preparate la guarnizione. Sciogliete in un pentolino il malto e poi versate la farina di nocciole e la cannella. Mescolate fino ad ottenere un composto granulare e di colore bruno. Se vi sembra troppo duro ammorbiditelo con un po' di olio d'oliva. Mettetene un cucchiaio sopra ogni muffin e fate cuocere in forno preriscaldato a 200° per 20 minuti. Quando i vostri muffin sono cotti,lasciateli raffreddare su una griglia e gustateli tiepidi.

Ilaria Pege

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di Monica Antonello Il tempo cambia.... lo vedo dalle ombre che si allungano... la sera che incalza il giorno sempre più presto.... le foglie che ingialliscono...di solito sono le betulle che per prime sussurrano alla natura che è giunta l'ora di prepararsi. Arriverà a breve la stagione dell'oro e del rosso...del cremisi e del giallo...dell'arancione e dell'ocra. L'Autunno dipinge con toni infuocati ciò che l'Inverno coprirà di bianco. Il sottobosco profuma di odori caldi...e di funghi appena spuntati... I tronchi lentamente rallentano lo scorrere della linfa vitale e attendono pazienti...immobili il freddo e la bruma...le nebbie carezzevoli e i rigori del ghiaccio. Gli animali preparano alacremente i loro rifugi...li rendono caldi e confortevoli...e solo alla prossima primavera si desteranno e faranno capolino dalle tane... annusando l'aria nuova che porterà la fresca stagione. Il tempo è scandito dal ritmo delle stagioni...io passeggio in questi luoghi e ne respiro il ritmo...ne sento il suono appena percepibile....ne assaggio il sapore...deciso, ma non amaro...è come uno zuccherino, di quelli che mangiavo da piccola, da assaporare lungamente...ad occhi chiusi. E quando mi siedo, appoggio le mani sull'erba umida di rugiada e profumata di vita.

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di Margherita Tocci Non ho mai amato la festa di Halloween in modo particolare...anzi, ho sempre criticato le persone che la festeggiavano ritenendola una festa non nostra, o più propriamente non appartenente alla nostra cultura, ma pensavo ad un voler scimmiottare i paesi anglosassoni!! Questo perchè a suo tempo non ne conoscevo le origini e mi basavo solo su quello che vedevo durante questi festeggiamenti mascherati. In questi ultimi anni mi sono avvicinata a queste culture antiche che hanno affascinato e catturato la mia attenzione in modo particolare, ed ecco che Halloween ha assunto un aspetto diverso, e non solo, nelle mie ricerche personali ho anche scoperto le varie tradizioni per la festa dei morti che si svolgevano qui da noi, e non ho fatto altro che ritrovare moltissime analogie con "La notte dove il velo tra i due Mondi si assottiglia" e la comunicazione fra noi e le anime erranti dei morti si fa più facile. I fatati e gli spiriti sono particolarmente attivi in questa notte...e tutto è possibile.

elaborare nuovi progetti, di avere il tempo di creare cose nuove e coltivare amicizie e collaborazioni che a primavera potrebbero sbocciare come nuovi fiori più profumati che mai!!! E quindi, se adesso muoio un pò...non importa, il seme piantato darà i suoi frutti quando il Sole tornerà e la Terra lascerà le sue tenebre.

Improvvisamente il mondo celtico è diventato " il mio Mondo".

Samhain, capodanno celtico è passaggio, soglia, conclusione e inizio. E' il momento di raccogliere gli ultimi frutti e poi riposare nel buio che verrà. Per me questo non è il miglior periodo dell'anno, ma quello che mi rasserena è che quando c'è una fine c'è anche una rinascita, e dopo il buio dell'inverno tornerà un'altra primavera. Il fatto che il sole perda il suo calore e la Terra si richiuda in se stessa nelle profondità delle sue viscere, mi mette un pò di angoscia, anch'io mi chiudo in casa e come la Terra cerco rifugio nel calore della mia stufa. Spesso però questo periodo mi da modo di

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Compassione e Volontà nell'applicazione dell' etica Druidica -Parte Secondadi Paolo Veneziani Bisognerebbe considerare la compassione e l' empatia come elementi fondanti della nostra pratica, non limitandosi a lasciarli sedimentare ad un livello puramente intellettuale ma, al contrario, dovremmo cercare di generare tali indispensabili qualità attraverso l'esperienza e la pratica vera e propria. Nella concezione di giustizia della quale i druidi erano depositari, credo che, l' elemento legato alla capacità di provare empatia verso chiunque, fosse un concetto predominante e preponderante rispetto a qualsiasi altro elemento esterno. Certo, come dicevo sopra, i tempi erano diversi, il valore della vita umana era considerato, non meno importante di quanto lo sia adesso, ma forse era valutato sacrificabile se questo poteva, in qualsiasi modo, portare dei benefici alla comunità. Ad ogni buon conto, ora, nella nostra moderna e civilizzata società, i tempi sono cambiati e l' attuale druidismo è cambiato assieme a loro. La compassione e l' empatia, da soli, non portano a nulla, per poterci considerare veri e propri praticanti del sentiero verde dobbiamo unire a queste qualità il potere della bacchetta, Il potere della direzione che vogliamo dare alle nostre vite e alla nostra pratica. La bacchetta è un potente archetipo che rappresenta il nostro aspetto maschile, la nostra forza di volontà, la capacità che abbiamo di " puntare " una direzione e di perseguire un risultato, qualsiasi esso sia. Se il calderone ci insegna l' arte del sapersi aprire assieme alla capacità provare empatia, la bacchetta, a sua volta, ci indica la direzione da seguire e traccia il percorso verso le mete che decidiamo di perseguire. Vi sono vari ostacoli sul sentiero del pratican-

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te che possono distrarci dal conseguimento di una pratica consapevole ed equilibrata. La pigrizia è uno di questi. Sopraffatti da mille impegni giornalieri tendiamo a rimandare a domani quello che invece dovremmo fare oggi. Meditare, creare una sorta di pratica giornaliera da eseguire come abitudine acquisita, dedicare del tempo per comprendere e sperimentare la connessione che ci lega con ogni aspetto della natura, sono validi antidoti che ci possono aiutare a combattere questa forma di pigrizia che, dal canto suo, inficia ogni sforzo verso il raggiungimento di una qualsiasi meta spirituale. Un fattore ancora più subdolo è legato alla poca fiducia che diamo a noi stessi, quali esseri compartecipanti della sacralità che possiamo scorgere dentro e fuori noi stessi . La ricerca della trascendenza è una componente che non può essere scoperta se non abbiamo compreso a fondo che noi stessi siamo quella stessa trascendenza che andiamo ricercando fuori di noi. Per giungere a questa conclusione dobbiamo necessariamente abbandonare la disistima e la mancanza di fiducia che a volte ci pervade e ci rende esseri totalmente ordinari in un mondo che è invece più che straordinario. La fiducia in noi stessi è quella che io chiamo " buon ego " ed è una costituente essenziale per procedere sul nostro cammino di ricercatori spirituali. La mancanza di volontà nell' affrontare un cammino di ricerca basato sullo studio e sulla pratica sono anch' essi fattori che possono decelerare la nostra comprensione e minare il raggiungimento di una saggezza che non è frutto di elucubrazioni mentali ma di esperienza diretta, vissuta in prima persona. La bacchetta è un indispensabile strumento direttivo che, come dicevo sopra, può fungere da bussola sul piano sia materiale che spirituale. Essa ci permette di canalizzare le nostre "intenzioni spirituali" rendendo quest'ultime reali anche sul piano fisico. La bacchetta ci offre quella qualità puramente paterna, capace di indicarci la via, di suggerirci la strada migliore da intraprendere. Similmente al bastone di un pastore essa ci guida lungo gli impervi sentieri che caratte-


rizzano il paesaggio interiore che ogni buon praticante deve necessariamente percorrere. L' uso della bacchetta ci esorta a riscoprire i nostri scopi più nobili, conferendoci nel contempo, l' autorevolezza tipica di chi si pone, per spirito di servizio, alla guida di chiunque richieda aiuto. Possiamo tranquillamente definire la nostra bacchetta una sorta di albero della vita, capace di connetterci con noi stessi, con i nostri valori e, non per ultimo, con i mondi ultraterreni che visiteremo. Come per il calderone, anch'essa però deve essere usata con cura e attenzione. Un uso squilibrato del potere del calderone ci porterà ad essere troppo aperti e vulnerabili, preda delle nostre stesse emozioni. Un uso imprevidente della bacchetta, potrebbe risvegliare in noi un ego sconsiderato, non più fonte di accrescimento e di consapevolezza ma, al contrario, al servizio dei soli nostri desideri impedendoci di vedere le nostre vite da una giusta prospettiva. Per queste ragioni è necessario concentrarci sull' etica quale mezzo per poter bilanciare e utilizzare appieno le qualità intrinseche proprie del calderone e della bacchetta. L' etica e la morale, quest'ultima intesa non come un fardello imposto dalla società, ma piuttosto come la riscoperta degli antichi valori rappresentati, per esempio, dalle varie saghe cavalleresche, sono i fondamenti solidi sui quali poter costruire una realtà basata sull' onestà intellettuale e sulla forza interiore capace, per la sua stessa potenza, di smuovere le montagne stesse. Un comportamento etico, sia ben chiaro, non preclude la possibilità di ingaggiare una lotta a difesa dei nostri propri principi ma ci fornisce la motivazione e un intento probabilmente più allineato con quello che è il piano divino. Comprendere profondamente, visceralmente, che siamo noi stessi i creatori della realtà che ci circonda ci permette di spalancare la nostra visione al regno degli Dei ma, per far si che questo accada, dobbiamo saper padroneggiare il nostro ego, trasformando le nostre azioni in pura etica e onestà. Solo quando comprenderemo davvero che siamo immersi nel mondo, con uno scopo

ben preciso ma un tempo limitato per svolgerlo, allora e solo allora, comprenderemo che il tempo che ci viene donato deve essere utilizzato al meglio. Per farlo dobbiamo bilanciare le nostre qualità affinché esse siano messe realmente al servizio degli altri. Noi siamo un recipiente ( il calderone ) e siamo pure la direzione che decidiamo di prendere ( la bacchetta ). Escludendo l' una o l' altra noi neghiamo al mondo la nostra responsabilità individuale e collettiva e di questo poi, forse, un giorno, dovremmo rendere conto agli Dei. Vostro nel Fuoco della Compassione che arde al centro della Sacra Radura

Bran Paolo Veneziani /|\ http://www.druidry.org/library/moderndruidry/cauldron-wand-compassion-and-will -application-druidic-ethics

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solo santuario ma anche luogo di aggregazione come testimoniano le parecchie dediche pubbliche che, da parlano di una teuta , ovvero una comunità organizzata istituzionalmente , dimostrando che il luogo fu anche fervente ritrovo per la vita politica locale.

di Daniela Albero Lujanta -Parte SecondaL‘inizio delle scoperte archeologiche fu fra il 1949 ed il 1952 , a Lagole, fu riportata alla luce una stipe votiva, ricca di materiale sia figurativo che epigrafico, ad opera di Giovan Battista Frescura, operaio di un‟occhialeria di Calalzo, che lavoro‟ poi come assistente della Soprintendenza. I reperti, piu‟ di 600 oggi sono visibili al MARC Museo Archeologico Cadorino , ospitati presso il Palazzo della Magnifica Comunità di Cadore a Pieve di Cadore. Lo studio portato avanti da Enrico De Lotto, che aiuto‟ il Frescura in prima battuta, e poi da Giulia Fogolari, massima studiosa della Civiltà dei Veneti Antichi, oltre che da Giovanni Gambacurta della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, ha permesso di collocare il santuario all‟interno di un sistema di relazioni culturali fra la zona padano- adriatica ed il versante alpino orientale. Inoltre sempre negli anni ‟50 Alessio De Bon, libero studioso di topografia antica , dedico‟ un particolare studio alla sua terra, scoprendo che Lagole si trova lungo un asse viario che correva da Feltre all‟Alta Pusteria (uno dei punti di riferimento fu l’antica Littamum, oggi San Candido) sino al Norico. Le prime testimonianze votive, che risalgono alla seconda metà del VI° sec. a.C. sono costituite da un gruppo di oggetti della Cultura di Hallstatt, che erano comuni in tutta la zona alpina orientale e che ebbero modo di diffondersi anche in area venetica. Ma anche panoplie sempre di foggia celtica, relative ad un periodo fra il IV° ed il II° sec. a.C. segnalano una probabile presenza celtica di probabile provenienza carnica. Questa ipotesi supportata dalla presenza di numerosi nomi celtici nelle dediche votive e nello stesso toponimo Cadore che secondo il linguista Giovan Battista Pellegrini deriva dal Gallico „Katubriga‟ identificato come il colle della battaglia, insediamento celtico fortificato sul Monte Ricco a Pieve de Cadore, nome poi esteso a tutta la zona . Lagole fu non

Riproduzione di elmo celtico Trumusiate ( o Tribusiate in Latino ) Sainate è la Divinità celebrata a Lagole, ed al potere salutifero delle sue acque, confermato anche da analisi medico-chimiche . Il tutto in una località disegnata fra torrentelli, polle, e sorgenti. Le sue acque provengono dal bacino meridionale del Monte Antelao. Troviamo tre laghetti, fra cui il piu‟ grande è il laghetto delle Tose (delle ragazze, in dialetto Veneto). L‟odore dello zolfo è subito percepibile e la vegetazione è rigogliosa e accogliente. Il Santuario si trova lungo la Via che collegava il nord alla pianura e i monti al mare. Era quindi frequentato dalla popolazione locale, ma anche da militari come abbiamo visto sopra, oltre che da pastori e mercanti. Il luogo di culto come in tutta la cultura venetica era scelto con grande attenzio-


ne dalla comunità e doveva avere requisiti ben precisi, era sempre situato in un bosco e vicino a corsi d‟acqua, delimitato da mura o cippi iscritti in venetico che ne disegnavano il perimetro (l’alfabeto della zona di Calalzo utilizzava sia lettere vicine all‟alfabeto di Este che a quello di Bolzano). Fra i rituali venivano anche sacrificati animali (ovini, caprini e suini) di cui poi venivano usate le ossa come offerte, insieme ad altri oggetti rituali. Il nome di Trumusiate ha nella radice il numero tre „tr‟ ed anche l‟unità „mus‟ descrive il legame con l‟umidità e con l‟acqua di quest‟area. Indicata come la Triforme, la Triplice o la Tre volte invocata. Alla Divinità ci si rivolgeva per grazie e favori, per sanare le ferite dei soldati di ritorno dalla battaglia e anche per propiziare una nascita. La stipe votiva ritrovata attraverso i suoi numerosi reperti ci parla di offerte di vario tipo, a cominciare dai „simpula‟ o „simpuli‟, mestoli rituali di origine etrusca, che trovarono ampia diffusione nelle Alpi Centrali ed Orientali nell‟Epoca del Ferro, e per le libagioni, e con cui si beveva l‟acqua guaritrice e con cui ci si bagnava il corpo partendo dalla testa, l‟acqua veniva raccolta in situle o situli, tipici contenitori a secchio in bronzo che caratterizzavano la produzione venetica . Le donazioni alle divinità dell‟acqua erano fatte anche perché l‟acqua era portatrice di vita ma anche di morte. Le „sortes‟ erano piccole ossa di maiale o piccole monetine che venivano usate per l‟attività divinatoria. Le donne chiedevano quanti figli avrebbero avuto , gli uomini se sarebbero tornati vittoriosi da una guerra. Le offerte votive come i simpuli appunto o spade ed armi venivano incise con iscrizioni di dedica alla Divinità e prima di essere affidate all‟acqua sacra, defunzionalizzate, cioè spezzate, affinchè non potessero essere utilizzate da altri. Ma l‟acqua sanante di Lagole non era solo per guarire il corpo e lo spirito delle persone e per gli intenti di vita o di battaglia, ma anche per l‟animale che rappresento‟ l‟antica civiltà Paleoveneta: il cavallo. Animale totemico ; in particolare quello veneto era robusto e veloce. Veniva venduto in tutta la zona del Mediterraneo e conosciuto ovunque per le sue caratteristiche peculiari che lo rendevano estremamente apprezzato. Per cui un animale che era anche fulcro dell‟economia, oltre che mezzo di trasporto e compagno di imprese guerresche, non poteva che meritare anch‟esso di ricevere cura e guarigione. Per questo fra le offerte troviamo lamine con dediche per cavalli, le

stesse lamine pero‟ potevano anche essere sostituite al sacrificio del cavallo.

Acque rosse solforose

Riproduzione della lamina che ritrae un cavallo con iscrizioni venetiche - entrata del santuario di Trumusiate Ma Trumusiate Triplice, chiaramente ci riporta al culto di un‟altra divinità venetica; la principale divinità paleoveneta: Reitia, divinità chiaramente femminile nota anche lei, con gli appellativi di Sainate quindi sanante e Pora, cioè delle fonti delle acque. Governatrice dell‟Acqua quindi, ma anche della Terra e del Cielo, definita anche „Potnia Theron‟ (Greco) cioè „Signora degli animali‟. Le affinità quindi fanno presumere ad un‟omogeinità di culto, con nomi della Divinità diversi ma dallo stesso significato, anche se ad oggi non abbiamo assoluta certezza che Trumu-


siate fosse una divinità femminile, sebbene la cultura dalla quale venne essendo di chiara matrice matriarcale, fa desumere questo anche in merito ad una rara lamina che reca al centro una decorazione a sbalzo con tre teste. Nelle primissime battute delle ricerche, fu associata ad Ecate ed ai suoi tre poteri, vita, salute e morte, ma ben presto questa tesi non trovò conferma. In epoca romana alla Dea sanante pero‟ subentro‟ il culto di Apollo, anche lui Dio della Medicina che ando‟ a sostituirsi anche nelle dediche dei pellegrini. Del resto la romanizzazione del comparto alpino orientale, iniziata con la fondazione della colonia di Aquileia nel 181 a. C. e terminata nel I° sec. d.C. fece sì che i Romani integrassero pacificamente le genti locali e con loro i culti che assimilati vennero poi sostituiti anche nelle divinità a cui offrire dediche . In merito abbiamo già testimonianza di culti variati dal femminile al maschile, basti pensare Delfi, che inizialmente dedicato a culto di una Dea fu poi dedicato, anche in quel caso, al culto di Apollo. Ed a coloro che contestarono che a Lagole non si trovo' statua dedicata alla divinità in forma femminile, salvo la placchetta a tre teste, si ribattè che con forte probabilità gli abitanti del luogo trassero il mito da forze della natura che vennero personalizzate e divinizzate. Comunque sia, anche in epoca romana, il simpulum venne mantenuto e considerato come oggetto piu‟ rappresentativo dei riti offertori. Un‟altra tesi invece asserisce che il culto legato a Trumusiate fosse quello di un Dio e che i numerosi ritrovamenti offertori di statuette legate a soldati, ma anche arti singoli come braccia e gambe, a ricordare il problema in essere, affinchè la Divinità non dimenticasse il malato, lo confermerebbero. Ma visto che i Romani sono arrivati per ultimi nella zona e le genti Paleovenete erano legate a Reitia, come già scritto, propendo personalmente per la prima ipotesi, di una divinità sanante femminile, ipotesi confermata anche dalla guida del Museo Archeologico del Cadore. Un‟altra richiesta che veniva fatta a Trumusiate era la fertilità, numerose statuine itifalliche, e di corni di montone e cervo ci confermano questo tipo di ritualità, in quanto il corno era assimilato al fallo in erezione , ed anche in questo caso Reitia aveva le stesse prerogative. -Fine Seconda Parte-

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Riproduzione di spade defunzionalizzate ed affidate all’acqua

Riproduzione di simpoli con incisioni


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La questione della definizione tra Esperienza ed Ego di Ilaria Pege Ho sempre pensato che non ci fosse nulla di male nel definire me stessa Druida nella pratica di questa mia spiritualità e cammino di vita. Esprimo qualcosa che in essenza ha la mia approvazione, per cui nutro aspettative di realizzazione e che mi fa sentire al posto giusto in relazione a persone e luoghi, che sono memoria di una specifica tonalità del tutto. Ma non ignoro mai quella parte di me, che nel momento in cui parlo, tremola e mi ricorda lucidamente, la fragilità della mia affermazione. Una fragilità che si confronta con la realtà di ogni giorno, con l'assenza di una tribù per cui svolgere un ruolo riconosciuto per cui io sono nutrita e sostenuta nel proseguire il mio cammino, in quanto i miei studi e le mie esperienze, fanno parte del tesoro e della ricchezza di cui tutta la comunità beneficia e si sente beneficiaria. Nutro la consapevolezza che la mia tribù è cambiata, ha sia legami di sangue che legami di amicizia, ma anche simpatie da affidare allo stesso vento che le ha ispirate, quando, l'eccessiva importanza personale rischia di creare nel rapporto relazioni di potere. Ma si deve temere questo potere personale, questo ego in espansione e la pura affermazione di se e dei propri risultati? Dal canto mio, temerlo è utile solo per una certa parte del cammino, perché come la forza in espansione dell'adolescenza porta i giovani alla realizzazione del proprio percorso, così l'Ego, per un certo tempo, serve a sostenere scelte di cui difficilmente ci si assumerebbe la responsabilità. Ma ogni cosa continua a cambiare e se ci si ferma solo allo slancio iniziale, anche l'impresa migliore o l'intento più illuminato perde di forza e capacità realizzativa. Serve che l'Ego muoia nel limite. Ma non nel limite esterno, dettato da condizioni inaccettabili, serve che si confronti con il personale

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limite nel non riuscire ad abbracciare pienamente gli stessi ideali sposati all'inizio dell'impresa. Ad esempio il Druidismo ama la terra ed è ecologia, lo so, ma non ho le risorse oggi per comprarmi un'automobile elettrica, oppure essere Druida significa mirare ad essere Madre o Padre Universale per tutte le donne e uomini, giovani e bambini. Ma non ho, in cuor mio questa apertura, per accogliere soprattutto chi mi fa specchio delle mie difficoltà; pur sapendo che questa è la mia meta per la vita, ribadisco amare ampiamente e liberamente, oggi non ci riesco e non ho nemmeno più voglia di fare finta che sia così. E ancora visto gli esempi che ho riportato, perché definirsi Druida se le mete del percorso sono umanamente condivisibili? Quale utilità ha creare separazione, quando la realtà è una per tutti e pure il Principio d'Unità, quello in cui si vede in profondo collegamento tra tutti i piani d'esistenza, è ampiamente sostenuto nella pratica e nella filosofia druidica? Perché unità e differenza coesistono nello stesso tempo, contemporaneamente. Contemporaneamente il mio respiro è mio e parte di quello più grande della terra, contemporaneamente gli ambienti naturali in cui sono immersa, nutrono e mi caratterizzano. Le lingue umane ad esempio sembrano un'estensione del paesaggio; la dolcezza dell'italiano ed il francese che si sciolgono verso il mare, come le pianure ed il corso dei grandi fiumi. L'intensità dello spagnolo o del portoghese e delle altre lingue iberiche, che scivolano sudate ad imperlare la fronte nel calore estivo, o la durezza del tedesco, forza e determinazione umana, che si è fatta spazio tra montagne e foreste. Dentro la parola unità c'è il numero uno, che segno dell'unione e nello stesso tempo, in un bellissimo gioco di specchi e simboli, essere unici. Quindi alla domanda sulla sensatezza della definizione, la mia risposta è si; è utile che si crei separazione e si sostenga anche la specifica unità a cui diamo il nome di Druidismo. Mantenendo una sostanziale attenzione verso le culture tribali, che hanno una memoria anche più recente della nostra, come quelle americane o o-


rientali, oggi il Druidismo, rappresenta e non mi stuferò mai di dirlo, la spiritualità tradizionale europea. Certo si potrebbe obiettare che Stregoneria, Paganesimo e Sciamanesimo, abbiano la stessa origine, soprattutto nel loro fulgore recente, e non ho nulla da obbiettare infatti la mia stessa ricerca ha toccato questi ambiti, lo affermo senza remore. Ma il Druidismo è e sarà sempre una spiritualità tribale oltre che individuale. Rinasce nei circoli bardici, con la funzione di fissare lingua e poesia, musica e tradizione orale, si organizza sempre in gruppi grandi o piccoli e sostiene la crescita del singolo in

relazione non solo al proprio potere personale, ma soprattutto alla capacità di mantenersi in relazione con le forze della propria realtà, che sono sostanzialmente famiglia d'origine, amicizie, lavoro e più in grande comunità umana. La o il Druida è anche una Strega solitaria che se ne gira per le lande o i boschi, ma è soprattutto la voce che riecheggia tra le ere, a ricordare la memoria del viaggio a chi? Beh oggi a chi trova sul cammino, domani...chissà.

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Quando il pilota delle forze aeree Hermann Kaestner si innamora di un chiaroveggente francese, sarà costretto a tradire - il proprio paese, la propria amante, o la propria anima? Il mondo ha ormai dimenticato la Druidessa di Brocéliande, ma al culmine della sua fama predisse il destino delle nazioni e l'esito della guerra a migliaia di persone sedute alla Salle Pleyel di Parigi. Nelle strade fuori di lì, la polizia francese intanto ‗rastrellava‘ gli ebrei, mentre gli ufficiali tedeschi si intrattenevano nei bordelli e dormivano nei migliori alberghi della città. Un libro basato sulla vita di Geneviève Zaepffel e di Abbé Henri Gillard, creatore di una chiesa dedicata al Santo Graal.

Author: Philip Carr-Gomm – Publisher: The Oak Tree Press – in e-book and paperback versions – Publication Date: August 2016 – ISBN: 1903232031 http://www.philipcarr-gomm.com/book/the-prophecies/

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Cinque incontri tematici, propedeutici a intraprendere il proprio cammino di vita, nel paganesimo e nel Druidismo. Pensati per quelli che vogliono avvicinarsi per la prima volta a questa sensibilità e modo di vedere se stessi nel rapporto con la natura. Gli incontri si svolgeranno in parte all'aperto, camminando i Colli Euganei nei punti che possono ispirare e sostenere il tema della serata. Nello specifico il percorso si svolge attraverso gli elementi che vengono chiamati " GLI SPIRITI DEL CERCHIO ". I 5 temi saranno: Venerdì 30 Settembre " LO SPIRITO DEL VIAGGIO" Serata di apertura che approfondisce il tema dell'essere Druida, della sostanza dell'esperienza umana tra una vita e molte, della ricerca di coscienza-presenza e contatto con le Divinità. Giovedì 27 Ottobre "LA VOCE DEGLI ANTENATI: Il nostro lignaggio in sangue e spirito". L'importanza biologica della nostra personale storia, in ottica di evoluzione; talenti e sfide, ricevuti in eredità. Ricordare e onorare le proprie radici e stringere un'alleanza con gli antenati. Venerdì 25 Novembre "LO SPIRITO DEL TEMPO E LA RUOTA DELL'ANNO: ciclo lunare e ciclo solare. Il rituale si dipana attraverso la trama del tempo, in cui il corpo e tutti i suoi sensi riconoscono il cambiamento. Il calendario arboreo, soli-lunare celtico. Venerdì 30 Dicembre "LO SPRIRITO DEL Clan" la famiglia dell'anima. È qui che si svolgono gli apprendimenti in fatto di crescita ed esperienza, è il contesto umano per eccellenza, sono i patti, le alleanza, i riconoscimenti attraverso lo spazio ed il tempo di anime amiche, che insieme vivono l'esperienza di confronto con il divino. Venerdì 27 Gennaio 2017 "LA TERRA SACRA" Essere nel proprio corpo, come essere nella propria casa, in relazione con il mondo. L'altare, il Nemeton, il corpo della Dea. Saper trovare la strada oltre le nebbie. Info doronb3th@gmail.com Ilaria 347/4119612

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