Confini 96

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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

SCIENZA E SPIRITO

Numero 96 Giugno 2021


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Confini Web-magazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 96 - Giugno 2021 Anno XXIII Edizione fuori commercio

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato:

Gianni Falcone Roberta Forte Alfredo Lancellotti Lino Lavorgna Sara Lodi Stefania Melani Giuseppe Marro Antonino Provenzano Fausto Provenzano Angelo Romano Cristofaro Sola

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Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Sara Lodi e Gianni Falcone

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EDITORIALE

LO “SPIRITO” DELLA SCIENZA Se l'universo, come sembra probabile, si espande, non si espande in un vuoto preesistente ma con atto creativo. Sul suo confine, nel processo espansivo, si creano spazio, mondi, stelle, galassie, energie... Quarantasei miliardi di anni luce potrebbe misurare il raggio dell'universo. Questa sembra essere la sua grandezza attuale e, probabilmente, tale grandezza corrisponde anche alla metà della sua età. E se fosse vera la teoria del "Big Bang" - che è oggi tra le più accreditate - la "creazione" durerebbe da altrettanto tempo. Quindi più che di un Dio creatore si potrebbe parlare di una forza creatrice, una forza tanto intensa da superare, all'inizio, la velocità della luce. Una velocità che, per quanto grande, non ci consente di vedere il cosmo per come è, ma solo per come era nel momento in cui la luce è partita. Impossibile quindi portarsi sul confine dell'universo in espansione per osservare e capire come crea nell'espandersi. Impossibile, a meno che, nella nostra essenza energetica, non riuscissimo a scoprire, per poi padroneggiarla, la parte quantica della nostra mente. In tal caso potremmo, forse, "teletrasportarci" ovunque, anche sul confine dove grandezze e numeri nuovi diventano reali. Che sia questo il "dono" dei mistici, la conquista dei grandi iniziati, il potere della santità, l'eccezionalità di alcune menti straordinarie? La padronanza dei livelli energetici di corpo e mente, di quella "sensibilità sottile" che consente il presagio, la lettura del futuro, la trasposizione nel passato e di operare i cosiddetti miracoli, potrebbe essere questa la chiave? Non lo sapremo mai. Se, per ipotesi, riuscissimo ad osservare un tale fenomeno il nostro stesso ruolo di "osservatori" inficerebbe l'osservazione, come dimostrato da Heisemberg. Ed è qui, oltre ogni curiosità, che entra in gioco la fede, l'"io credo", l'incomprimibile volontà di cercare. Per ogni altro aspetto la scienza è sempre più connessa al nostro presente ed al futuro e se si osserva la storia da questa angolazione si può vedere che da Archimede con i suoi specchi a Piseo con i suoi rostri navali, dalle catapulte ai carri armati di Leonardo, dalla povere da sparo alle bombe a mano, dalle V2 alle bombe atomiche, dai laser allo scudo spaziale, dai gas asfissianti al Covid-19, dai droni ai robot d'assalto, la scienza applicata alla guerra prima, alla pace poi, è diventata sempre più presente ed essenziale. Al giorno d'oggi, senza tecnologia, probabilmente, non saremo più capaci di sopravvivere. Non lo saranno certamente le future generazioni man mano che si perderà la memoria di cosa si può fare con le mani e l'hobbysmo sarà diventato un lontano ricordo, grazie alle stampanti 3D


EDITORIALE

casalinghe che saranno in grado di produrre qualunque oggetto, persino cibo, a semplice comando vocale ed ai robot di servizio in grado di svolgere qualunque incombenza. Allora si uscirà la sera per fare un giro sulla Luna o su Marte o si andrà per musei ad osservare i miseri crani del "sapiens sapiens" ed a guardare le proiezioni olografiche su come vivevano quei poco evoluti progenitori. Angelo Romano

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SCENARI

SCIENZA E SPIRITO INCIPIT "Il gregge è gregge e ha bisogno dell'ovile". (Henry Louis Mencken). "Professore, è questa la Valle di Giosafat?" "Certo, Pasqualino!" "Porca miseria! Ma è piccolissima! Come faremo a riunirci tutti qui il giorno del Giudizio Universale?". (1968: conversazione tra uno studente di terza media e un parroco, sul Monte degli Ulivi, durante una vacanza-studio a Gerusalemme). "Le verità scientifiche non si decidono a maggioranza". (Galileo Galilei). "Ci sono nei fatti due cose: scienza ed opinione; la prima genera conoscenza, la seconda ignoranza". (Ippocrate da Coo). "L'ignoranza afferma o nega rotondamente; la scienza dubita". (Voltaire). "La scienza senza la religione è zoppa; la religione senza la scienza è cieca”. (Albert Einstein). "Rendi cosciente l'inconscio, altrimenti sarà lui a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino". (Carl Gustav Jung). "A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire". (Traduzione concettuale del principio metodologico noto come "rasoio di Occam": "Frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora". “Figlio mio, ti ho insegnato a non mentire e ciò è senz'altro un bene. Ora, però, devo insegnarti a comprendere subito quando sia il caso di rivelare una verità, che può essere più deleteria di una bugia se giunge con troppo anticipo rispetto ai tempi". (Il padre di Pasqualino, quando gli fu riferita la conversazione intercorsa con il parroco docente, in quel di Gerusalemme). LA DIFFICILE CONVIVENZA Nel divertente film "Harry a pezzi", Woody Allen, parlando di scienza con un amico, sostiene che tra il papa e l'aria condizionata sceglie l'aria condizionata. Battuta banale, ma solo apparentemente: un papa può anche sostenere delle tesi difficilmente digeribili, senza però che esse impattino in modo determinante sulla vita degli esseri umani; l'aria condizionata contribuisce sensibilmente al surriscaldamento del pianeta, a ingigantire il buco dell'ozono, all'incremento delle malattie respiratorie, alla diffusione delle polveri sottili e dei microrganismi patogeni: se ne potrebbe fare tranquillamente a meno, come accaduto per migliaia di anni, e solo la propensione a una malsana concezione del benessere personale ne può giustificare la massiccia diffusione.


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Vi è un altro film, però, che rappresenta in modo più compiuto il difficile rapporto tra scienza e fede: "Contact", diretto nel 1997 da Robert Zemeckis e magistralmente interpretato da Jodie Foster e Mattew McConaughey. In esso figurano tutti i personaggi che incarnano i limiti della natura umana e si confrontano quotidianamente, spesso con risultati devastanti, in quel meraviglioso gioco che si chiama vita: la scienziata "pura", intrisa di quel pizzico di sana follia che rende speciali le persone più dotate intellettualmente, elevandole non di poco al cospetto dei propri simili, capace di rinunciare a una fulgida carriera e a una cattedra ad Harvard pur di inseguire il sogno di entrare in contatto con gli extraterrestri; il teologo buono, ma integralista, per il quale tutto si nuove intorno a Dio, che non esita a impedire il viaggio interplanetario della scienziata pura, con la quale ha un difficile rapporto sentimentale, perché essendo atea non può rappresentare l'umanità, dal momento che il 95% della popolazione mondiale crede in qualche entità sovrannaturale; i politici e gli uomini di Stato cinici, sempre pronti a negare l'evidenza e a celare la verità per i loro sporchi giochi di potere; lo scienziato "impuro", per il quale conta solo la propria ambizione e non esita a vestire i panni del fervente cristiano per fare le scarpe alla collega e partire al suo posto, comportandosi né più né meno di come si comportò Enrico III di Navarra quando pronunciò la famosa frase "Parigi val bene una messa" per essere incoronato re di Francia (Enrico IV), o ancor più indecorosamente come si comportano i mafiosi e i camorristi quando fanno laute offerte alle parrocchie delle proprie zone di influenza, per ingraziarsi i Don Abbondio locali; l'integralista terrorista, che non esita a compiere un attentato pur di non far partire la navicella verso mondi sconosciuti, uccidendo equipaggio e tecnici (muore lo scienziato cattivo e così si lascia spazio anche a quella sorta di dicotomia tra caso e necessità, celebrata nei tempi moderni nel famoso saggio di Jacques Monod e nota nei tempi antichi come "nemesi": grazie a un evento senz'altro drammatico e da condannare senza indugio, si creano i presupposti per un atto di giustizia, ossia la partenza per il viaggio intergalattico della scienziata buona, che le spettava di diritto essendo stata la combattiva e determinata artefice del contatto con gli extraterrestri, al quale nessuno voleva credere, facendola soffrire non poco, soprattutto quando le furono negati i fondi per la ricerca). Il film lascia irrisolto il dilemma su chi abbia ragione, mischiando le carte fino al punto di far trionfare l'assioma che scienza e fede debbano necessariamente marciare a braccetto. Quando questo, poi, sia un implicito riconoscimento a quel 95% di esseri umani che crede in qualche Dio è un sospetto lecito, destinato però anch'esso a restare irrisolto. Un altro bellissimo film del 2009, "Agorà", ci porta alle radici antiche della difficile convivenza. Siamo nel IV secolo d.C. e ad Alessandria d'Egitto la filosofa, matematica e astronoma Ipazia confuta con decisione l'artificioso modello geocentrico promosso da Tolomeo, essendo più attratta dagli studi di Aristarco, che ponevano il Sole al centro del sistema solare. Considerata dedita "alla magia, agli astrolabi e agli strumenti di musica" e accusata di ingannare "molte persone con stratagemmi satanici", fece una drammatica fine, come ci tramanda Socrate scolastico nella Storia Ecclesiastica (VII, 15): "Un gruppo di cristiani dall'animo surriscaldato, guidati da un predicatore di nome Pietro, si misero d'accordo e si appostarono per sorprendere

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la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l'ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli. Questo procurò non poco biasimo a Cirillo (spregiudicato vescovo della Chiesa copta e navigato politico, proclamato santo e "dottore della chiesa" per aver escogitato lo stravagante dogma in virtù del quale Maria è anche "madre di Dio", in quanto madre di Gesù, cioè del "figlio" N.d.A.) e alla chiesa di Alessandria. Infatti stragi, lotte e azioni simili a queste sono del tutto estranee a coloro che meditano le parole di Cristo". A partire dal Medioevo furono decine di migliaia le persone che perirono sotto il giogo dell'Inquisizione, dedita alla persecuzione degli eretici e alla caccia alle streghe, accusate di aver stipulato un patto col demonio per ottenere particolari poteri. Nel XVII secolo Galilei pagò a caro prezzo la rivisitazione della teoria eliocentrica varata da Copernico in opposizione al geocentrismo tanto caro alla Chiesa cattolica, il cui fondamentalismo, almeno fino al XIX secolo, fu secondo solo a quello islamico, che purtroppo perdura anche ai giorni nostri con le terribili azioni non solo dei terroristi, ma anche dei cosiddetti "islamici moderati", che non si fanno scrupolo di trattare come schiave le loro donne, obbligandole a matrimoni forzati e lapidandole o uccidendole con qualsiasi altro mezzo se refrattarie a subire violenze orribili e infamanti. Nonostante l'evoluzione scientifica, che con Darwin e Einstein riceve un impulso tale da rendere davvero complicato accettare il creazionismo e di converso altre formule religiose che rispetto al cristianesimo non possono vantare pari forza condizionante, gran parte dell'umanità vuole credere a un'entità superiore e buona parte di essa, per quella entità, è disposta sia a sacrificare audacia temeraria igiene spirituale la propria vita sia a minacciare quella altrui. Il perché ciò accada ci porta nel campo della speculazione del comportamento umano, alla quale da secoli si sono dedicati fior di filosofi, letterati, scienziati, senza per altro riuscire a fornire una chiave di lettura anche solo parzialmente condivisa: le decine di migliaia di libri che affrontano il problema, infatti, possono essere paragonate ai rami di un albero che, partendo dal medesimo tronco, si spargono in mille diverse direzioni, per poi incrociarsi di tanto in tanto e dividersi ancora, e così via. Feuerbach senza ombra di dubbio è il filosofo che, più di ogni altro, è andato vicino a una chiara individuazione delle distonie esistenziali che hanno indotto l'uomo ad alienare la propria essenza a favore di un'entità intangibile dal punto di vista fisico. Nelle due principali opere che dedica all'argomento, "L'essenza del cristianesimo" e "L'essenza della religione", sviluppa tematiche solo in apparenza contraddittorie, essendo esse un unicum che prende in esame prima il cristianesimo e poi le altre religioni. L'uomo inventa Dio perché si sente debole e limitato e in lui, di fatto, personifica sé stesso. L'uomo crede in una divinità eterna ed onnipotente perché lui non è né eterno né onnipotente, mentre vorrebbe essere entrambe le cose. In un processo assurdo, poi, l'uomo tenta di controllare la natura, senza rendersi conto che tale desiderio è irrealizzabile perché dalla natura dipende totalmente. L'essenza della religione, quindi, altro non sarebbe che il bisogno del genere umano di assecondare i propri desideri


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altrimenti irrealizzabili, quali il dominio della natura e la perfezione divina. La natura umana delle religioni è dimostrata proprio da esse, nella misura in cui ciascuna accusa le altre di essere state inventate dall'uomo, escludendo sé stessa: se lo facesse, infatti, snaturerebbe automaticamente la propria essenza sovrannaturale, ma non facendolo si pone sullo stesso livello delle altre, che formulano la medesima accusa. È sì vero, tuttavia - conclude Feuerbach - che il cristiano è più vicino alla verità di quanto non sia possibile a qualsiasi altro credente, essendo per lui Gesù il Logos, Dio incarnato, Dio Figlio, vero Dio e vero uomo. L'errore che commette, quindi, è credere in un Dio che "trascende" l'uomo, mentre in realtà in ogni uomo vi è un'essenza infinita, che può essere assimilata a Dio. Il pensiero di Feuerbach verrà poi banalizzato da Marx con la semplice accettazione della religione come pura alienazione e servirà da base per costruire le sue teorie: è normale che il credente si sottometta a un Dio creato a propria immagine e somiglianza, ma non può esistere alcuna essenza divina nell'elemento umano; l'uomo inventa Dio solo perché oppresso e la religione è "l'oppio del popolo" che consente di sopportare lo sfruttamento. La zattera costruita da Feuerbach per offrire ai credenti un ricovero, sol che decidessero di salirvi a bordo, oltre ai colpi micidiali inferti da Marx, viene definitivamente affondata da Nietzsche e Schopenhauer, per i quali Dio è un'illusione creata per rendere più rassicurante la vita degli esseri umani, per sua natura caotica e crudele. Non può esistere un Dio così crudele da creare tanta sofferenza. "Se un Dio ha creato questo mondo, io non vorrei essere Dio; l'estrema miseria del mondo mi strazierebbe il cuore", scrive Schopenhauer nell'opera Il mio Oriente. Gli fa da eco Nietzsche, per il quale il caos e la crudeltà della vita sono prove più che sufficienti per negare l'esistenza di Dio. "Dio è morto e noi l'abbiamo ucciso", sentenzia il grande pensatore nelle opere La gaia scienza e Così parlò Zarathustra, volendo significare non già l'uccisione di Dio ma la scoperta da parte dell'uomo che Dio non è mai esistito e quindi va uccisa la sua idea per liberarsi del pesante fardello, anche se solo per sobbarcarsene altri, perché senza Dio l'uomo si sente smarrito e senza punti di riferimento. Da qui l'arrivo del superuomo, che accetta la vita terrena con tutte le sue contraddizioni, le angosce, i dolori. Agli altri, incapaci di reggere la morte di Dio (ovvero, "la scoperta che Dio non è mai esistito") non resta che sostituirlo con altri idoli: lo Stato, la scienza, il socialismo e, perché no, anche con un asino, come avviene nelle pagine finali del Così parlò Zarathustra e come del resto accade nella realtà, se si guarda al proliferare di sette intorno alle quali si raccolgono milioni di disperati e alla pura adorazione di autentici signor nessuno, capaci però di sedurre masse imbambolate facendo credere loro la luna. IL MURO CON TROPPE CREPE Alla luce di quanto sopra esposto, sia pure per sommi capi, si può concludere che il rapporto tra scienza e fede è destinato a durare con le stesse metodiche che lo hanno contraddistinto sin dalla sua origine, non essendo ancora pronta la maggioranza del genere umano a effettuare scelte radicali e ad accettare verità scomode. Ben altro discorso, invece, caratterizza il rapporto tra

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scienza e potere, che condiziona l'esistenza con portata analoga o addirittura superiore rispetto a quanto non facciano le religioni. Che il progresso scientifico abbia migliorato la qualità della vita nessuno si sogna di metterlo in discussione e proprio questo dato, universalmente accettato senza nemmeno discuterlo più di tanto, rende difficile comprendere a miliardi di persone che, nello stesso tempo, l'ha peggiorata non solo a chi non sia ancora riuscito a beneficiarne (una bella fetta di umanità) ma anche a quella sparuta minoranza di miliardari, milionari e ricchi benestanti che possono permettersi tutto o quasi tutto sul fronte dei beni materiali. (Un recente report dell'ONG "OXFAM" rivela che 2.153 miliardari detengono una ricchezza superiore al patrimonio di 4,6 miliardi di persone, ossia circa il 60% della popolazione mondiale; l'1% della popolazione mondiale detiene il doppio della ricchezza posseduta dal 90%; in Italia: l'1% più ricco detiene più del 70% della ricchezza totale degli italiani). Perché? Se il 95% del genere umano crede in un'entità sovrannaturale, si deve accettare l'idea che la componente spirituale, magari in modo subliminale, abbia una marcata priorità rispetto a qualsivoglia altra formula esistenziale. Marx, non a caso, come già accennato innanzi, sosteneva che la religione fosse una droga diffusa dagli oppressori affinché gli oppressi si accontentassero di aspettare la felicità nell'aldilà, rinunciassero a combattere per difendere i propri diritti (porgere l'altra guancia) e attendessero la morte per elevarsi da ultimi a primi. Da qui la sua idea "rivoluzionaria" sull'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, fonte di ogni diseguaglianza. Non è proprio così, come sappiamo, e la storia ha giustamente condannato il velleitarismo social-comunista, che sopravvive solo in alcune aree del Pianeta con le conseguenze che non necessitano certo di essere ribadite in questo contesto. Le audacia temeraria igiene spirituale contraddizioni dell'essere e la complessità della vita, quindi, riguardano tutti, come dimostrano gli apparenti inspiegabili suicidi di persone ricchissime e ancor più il massiccio ricorso alla psicoterapia, appannaggio esclusivo dei ricchi che, pur potendo comprare tutto ciò che possa risultare utile a soddisfare il "desiderio di possesso", talvolta soffrono perché non riescono ad acquistare tante altre cose, intangibili sul piano materiale: sincero rispetto altrui, carisma, stima sincera per riconoscimenti effettivi e non per disgustoso leccaculismo, capacità di realizzare imprese che altri portano a compimento pur non disponendo degli stessi mezzi. Gli psicofarmaci aiutano a superare le frustrazioni e quando non bastano più, ci pensa la pistola, una buona dose di barbiturici o un bel salto nel vuoto. Una crepa ancora maggiore nel muro della scienza è rappresentata dall'uso scorretto delle varie scoperte, che ne inficia di molto la portata. Già nel 1935, Albert Einstein, nel saggio Scienza e società, elencava tre minacce per l'umanità scaturite da un cattivo utilizzo delle risorse scientifiche: la disoccupazione a causa della progressiva meccanicizzazione nei processi produttivi; la creazione di armi sofisticate e distruttive utilizzando scoperte utili soprattutto per migliorare la qualità della vita; la riduzione della libertà grazie alla manipolazione delle informazioni da parte di chi ha tutti gli interessi a disorientare l'opinione pubblica. Le sue previsioni, purtroppo, non solo si sono rivelate esatte ma, decennio dopo decennio,


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hanno assunto una consistenza ancora più pregnante rispetto all'originaria elaborazione, in virtù del crescente gap tra progresso tecnologico (che marcia a velocità sostenutissima) e progresso umano (che invece marcia molto lentamente o addirittura registra pericolose regressioni). La disoccupazione, per esempio, è sempre meno conseguenza del processo di meccanicizzazione e sempre più ancorata all'affermazione di una sub-cultura che spinge milioni di persone a indirizzarsi verso fasce occupazionali ristrette e sature, invece di considerare l'offerta nel suo complesso, che vede consistenti settori in forte affanno per carenza di risorse. Il secondo punto ha reso ancora più stupida e devastante, se possibile, la cosa che in assoluto è la più stupida e devastante partorita dal genere umano: la guerra. Le armi scaturite dalle scoperte sulla fissione nucleare sono in grado di distruggere l'intera umanità in pochi attimi; le armi biologiche, nate nei laboratori scientifici dove si dovrebbe operare esclusivamente per migliorare la qualità della vita, non sono da meno; tutta l'industria bellica, comunque, si avvantaggia delle scoperte che, se correttamente utilizzate, risulterebbero estremamente positive. Allo strapotere delle multinazionali e al loro cinismo nel perseguire interessi miliardari, infischiandosene delle conseguenze, questo magazine ha dedicato molto spazio nei numeri pregressi. Qui basterà ricordare, anche in considerazione del particolare momento, lo squallido comportamento delle case farmaceutiche, che immettono sul mercato medicinali inutili, e purtroppo a volte dannosi, conferendo loro proprietà illusorie, impresse nelle fragili menti dei consumatori con pubblicità ingannevole. Nessuno interviene perché il potere politico, a livello planetario, è ad esse asservito e non è in grado, quindi, di partorire quella rogatoria internazionale dei farmaci, bramata da tutte le persone di buon senso, che consentirebbe di togliere dalle mani delle multinazionali i processi produttivi, in modo da avere farmaci mirati per le singole patologie, identici in tutto il mondo, da diffondere con costi contenuti. Alle tre distonie individuate da Einstein, comunque, ne va aggiunta una quarta: la stupidità del genere umano. Sarà anche vero che minoranze occulte e potenti condizionano negativamente la vita di miliardi di persone, ma la moltitudine del genere umano dà loro consistente aiuto grazie a comportamenti semplicemente assurdi. Anche i bambini delle elementari, per esempio, sanno che la plastica sta distruggendo gli ecosistemi; nondimeno si continua perentoriamente a disperdere plastica dappertutto, con un menefreghismo che andrebbe represso a norma di legge, ma non quelle attuali, del tutto inefficaci. Quanto inquinamento in meno si avrebbe se solo si sostituisse con il vetro la plastica utilizzata per le bibite e l'acqua minerale? Non solo. Che senso ha vendere il dentifricio in tubetti di pochi grammi, che in una famiglia di 3-4 persone durano non più di un paio di giorni? Quanto sarebbero da preferire delle confezioni di almeno 500 grammi o addirittura un chilo, utilizzabili con dispenser ricaricabili? Quanti milioni di tonnellate di plastica in meno si otterrebbero con questi semplici accorgimenti, che tra l'altro servirebbero anche a ridurre i costi del prodotto?

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Perché ciò non accade? Perché non conviene ai produttori, certo; ma ciò è possibile soprattutto perché nessuno conduce una seria battaglia in merito. Da anni si parla con termini allarmanti dei gas di scarico prodotti dalle automobili alimentate dal diesel, che però continuano a essere prodotte, munite di accorgimenti tecnologici in grado di alterare i dati delle emissioni e farli risultare compatibili con i parametri indicati dalle autorità, già di per sé insufficienti a tutelare la salute pubblica. Quando parte una seria battaglia contro le auto a diesel? La capacità autodistruttiva del genere umano, sia detto senza tanti giri di parole, è molto più nociva di quella posta in essere dai burattinai che governano il mondo. SCIENZA E SPIRITO NEL FUTURO "La fede si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l'ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità". Così si esprimeva papa Benedetto XVI nella lettera apostolica del 2011, con la quale indiceva l'anno della fede. La fallacia di tale asserzione è così evidente da non necessitare di particolare confutazione, essendo la verità un concetto relativo sulla cui natura nemmeno Gesù seppe rispondere (o non volle rispondere) quando Pilato gli chiese, appunto: "Che cosa è verità". Lo scopo ultimo della scienza è comprendere i fenomeni naturali sviluppando modelli che ne consentano una rappresentazione razionale, senza alcuna pretesa di dare una risposta a qualsiasi domanda dell'uomo, né una soluzione a qualsiasi problema. La scienza, quindi, non può né dimostrare né produrre verità assolute: può solo indicare, di volta in volta, gli errori commessi in precedenza e denunciare le falsità proposte per fini oscuri, ben distinguendo lo spirito critico dallo scientismo dogmatico, caro tanto ai mistificatori quanto agli assolutisti in buona fede, che esistono e sono tanti nonostante Einstein abbia chiaramente illustrato come tutto sia relativo, a seconda del punto di osservazione delle cose. Bisogna dare atto alla Chiesa cattolica, tuttavia, di essere l'unica a comprendere l'importanza di definire in modo "razionale" il confronto tra scienza e fede e ciò, come meglio vedremo in seguito, risulta di fondamentale importanza per il futuro dell'umanità. Non importa se alcune tesi appaiono palesemente insostenibili ad alcuni: sono molti milioni coloro che hanno bisogno di un qualche Dio e per loro è facile accettarle. Ritorniamo ancora a papa Benedetto XVI, che il 6 aprile 2006, parlando con i giovani, dopo una lunga dissertazione sulla matematica che, "inventata da noi ci dà realmente accesso alla natura dell'universo e lo rende utilizzabile per noi", così conclude il suo intervento: "Alla fine, per arrivare alla questione definitiva, direi: Dio o c'è o non c'è. Ci sono solo due opzioni. O si riconosce la priorità della ragione, della Ragione creatrice che sta all'inizio di tutto ed è il principio di tutto - la priorità della ragione è anche priorità della libertà - o si sostiene la priorità dell'irrazionale, per cui tutto quanto funziona sulla nostra terra e


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nella nostra vita sarebbe solo occasionale, marginale, un prodotto irrazionale - la ragione sarebbe un prodotto della irrazionalità. Non si può ultimamente "provare" l'uno o l'altro progetto, ma la grande opzione del Cristianesimo è l'opzione per la razionalità e per la priorità della ragione. Questa mi sembra un'ottima opzione, che ci dimostra come dietro a tutto ci sia una grande Intelligenza, alla quale possiamo affidarci". Sono le parole di un papa e non potrebbero essere diverse, soprattutto se rivolte a dei giovani, e costituiscono solo una goccia nel ricchissimo oceano della dottrina sviluppatasi in duemila anni di storia. Il cristianesimo ha nel mondo circa 2.300milioni di seguaci, seguito dall'Islam, con 1.800milioni di seguaci. Il buddhismo ne ha 1.500milioni; l'induismo 1.100milioni. Circa un miliardo di cinesi segue la religione popolare cinese, non meglio definita, che consiste nel culto degli shen, dèi o spiriti che possono anche essere divinità cosmiche della natura o del luogo, progenitori deificati dei linguaggi gentilizi, eroi immortali, dèi dei villaggi o delle città. Sempre in Cina il taoismo raccoglie circa 170milioni di fedeli, mentre in Giappone è diffuso lo shintoismo, con poco più di 100milioni di fedeli. Altre religioni indiane (sikhismo, giainismo), coreane (ceondoismo), abramitiche (ebraismo, fede Bahá'í), giapponesi (tenriismo); vietnamite (hoahoismo), raccolgono complessivamente altri 80-90 milioni di individui. Sorvoliamo sulle religioni locali presenti in Africa e in alcune zone dell'Asia, sulle sette e sulle varie distorsioni delle principali religioni, per non finire al manicomio. Si può immaginare un mondo senza religioni? Nessuno ha la bacchetta magica per prevedere il futuro, ma è lecito ritenere che per molto tempo ancora il genere umano non farà a meno dei suoi dèi, nel caos concettuale che traspare da quanto sopra esposto e con i tanti rischi connessi alla follia dei fondamentalisti, che invocano il loro dio anche quando bevono un bicchiere d'acqua. Se si dà per scontato questo principio, pertanto, si deve anche sostenere che tra tutte le religioni terrestri quella più "vicina" all'uomo è proprio il cattolicesimo, nonostante il paradosso che si registra da oltre mezzo secolo, ben individuato in un buon saggio del sociologo Sabino Acquaviva, scritto nel 1979 ed edito da Rusconi: "Il seme religioso della rivolta". Il saggio affronta in modo egregio - quarantadue anni fa! - tematiche attualissime: crisi dei valori in una società senza volto, crisi della religione, decadenza della credibilità sociale della Chiesa, perdita di contatto fra Chiesa e società in virtù della radicale mutazione dei costumi, contestazione sempre più marcata dei princìpi sanciti dalla Chiesa, rifiuto dei sacramenti, crisi della famiglia, crisi del matrimonio. Paradossalmente, però, nonostante la radicale trasformazione della società intercorsa nell'ultimo mezzo secolo, la "Chiesa cattolica" resiste, solo in parte adeguandosi, senza perdere mai di vista il limite oltre il quale non è né lecito né opportuno spingersi. Non a caso "Chiesa cattolica", che va estrapolata dal cristianesimo al fine di sancire le sostanziali differenze e la "superiore valenza dottrinaria" rispetto alle consorelle ortodosse e alle varie fazioni del protestantesimo. Discorso aspro e duro, certo, e sicuramente offensivo per milioni di persone.

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Quando le opzioni, però, prevedono solo di offendere senza volerlo e non offendere mistificando, la scelta è obbligata. Se è vero come è vero, infatti, che il gregge è gregge e ha bisogno di un ovile, cerchiamo quanto meno di costruirne uno che, con i suoi precetti, offra delle prospettive accettabili. Una generosa illusione è sempre da preferire a qualsivoglia negazione preconcetta e, soprattutto, alle illusioni nefaste, talune seminatrici di odio, morte e distruzione e altre asservite alle losche forze occulte, che da sempre costituiscono la minaccia più pericolosa per le sorti dell'umanità. Lino Lavorgna


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SCIENZA INFANTILE E PROFONDITA’ DELLO SPIRITO E' sconcertante lo spettacolo che stanno fornendo gli scienziati e gli specialisti (virologi ed epidemiologi su tutti) nella interminabile infodemia derivante dal virus cinese. Hanno detto tutto e il suo contrario, si sono scontrati senza esclusione di colpi, spesso contraddicendosi dalla sera al mattino e dimostrando un stato di totale confusione mentale che ha prodotto - quale risultato della lunga reclusione forzata - masse di psicolabili, divisi tra terrorizzati (in stragrande maggioranza) e negazionisti, oltre al record mondiale di morti nelle terapie intensive in rapporto alla popolazione. Ecco, la mente. La massima autorità spirituale vivente - il XIV Dalai Lama - ha affermato dinanzi a consessi di scienziati, senza esitazioni e senza essere contraddetto, che la scienza occidentale moderna è qualcosa di infantile rispetto alle profondità gnoseologiche della scienza della mente buddhista. Il rapporto tra scienza della mente, fisica quantistica, neuroscienze e buddhismo vede protagonista il Dalai Lama fin dai suoi pionieristici dialoghi con l'astrofisico tedesco e filosofo heideggeriano Carl von Weizsacker, col fisico quantistico americano David Bohm e con Francisco 1 Varela, celebre neuroscienziato cileno divenuto praticante della meditazione buddhista . Il dialogo è diventato materia di studi accademici dapprima presso alcuni atenei d'oltreoceano 2 e da diversi anni anche all'Università di Pisa , dove nel 2016 è stato siglato un protocollo di collaborazione con l'Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia, ente religioso facente capo al lignaggio Gelupa del buddhismo tibetano. Intervenuto alla presentazione dei corsi, il Dalai Lama ha sottolineato che "la psicologia buddhista è di una tale profondità che, in confronto a quella occidentale, è come quella di un adulto accanto ad un ingenuo bambino", in quanto "c'è più nell'esistenza umana e nella realtà di quanto la scienza attuale possa mai far conoscere"3. Sono diversi i protocolli accademici che hanno dimostrato i benefici in ambito clinico della pratica contemplativa (la cosiddetta mindfulness) nella cura dello stress, della depressione, delle dipendenze e nella terapia del dolore. Invitato quale ospite d'onore al corso della assemblea annuale della Society for Neuroscience del 2005, a Washington, l'Oceano di Saggezza4 dichiarò: "La tradizione contemplativa buddhista può aiutare a espandere questo campo di ricerca scientifica proponendo tipi di addestramento mentale che possono avere un impatto sulla neuroplasticità. Se dovesse emergere, così come proposto dalla tradizione buddhista, che la pratica mentale può avere un effetto osservabile in termini di cambiamento a livello sinaptico e 5 neurale, questo potrebbe avere implicazioni di vasta portata" .

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La stessa fisica quantistica è giunta a riconoscere, dopo quasi due millenni dalla esegesi 6 dell'insegnamento del Buddha da parte di Nagarjuna , la differenza tra realtà convenzionale (sanscrito, samvrtisatya) e realtà ultima (paramarthasatya), ovvero che la realtà non è così come appare in termini di entità solide e immutabili ma è costituita da qualcosa che i fisici moderni chiamano quanti, ovvero energia allo stato potenziale (onde, particelle, fotoni ), che è costituente sia della mente che dell'universo. Con oltre un millennio d'anticipo sulla fisica atomica occidentale, i pandhita buddhisti indiani avevano già indagato lo stato più sottile della materia grazie alla percezione profonda della realtà realizzata in assorbimento meditativo in quanto nessun fenomeno è indipendente, come aveva indicato 27 secoli fa il Buddha Shakyamuni nell'insegnamento sui dodici anelli di originazione interdipendente (pratityasamutpada). E nulla quantisticamente è solido come appare, dunque i fenomeni (e la mente, compreso il sé della persona), sebbene convenzionalmente esistenti, nella realtà ultima sono vuoti d'esistenza intrinseca (scr. sunyata, jp. ku), come il Buddha aveva 7 indicato dal picco dell'avvoltoio col secondo giro della ruota del Dharma : "… la forma è vuota, la vacuità è forma, la vacuità non è altro che forma e anche la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sensazioni, discriminazioni, fattori di composizione e coscienze sono vuoti .… tutti i fenomeni sono vacuità…" E' la Natura di Buddha (Tathagatagharba), non manifesta e seme del Risveglio (bodhi), quale potenziale di tutti gli esseri una volta superate le afflizioni mentali e le oscurazioni cognitive, al di là delle concettualizzazioni che proiettano l'immagine della realtà apparente d'esistenza intrinseca dei fenomeni e dello stesso sé. Si tratta del massimo livello di realizzazione, come vedremo, molto al disopra della erudizione o della conoscenza scientifica e che presuppone lo studio e la pratica graduale di metodi e di insegnamenti trasmessi ininterrottamente dal Buddha 8 ai giorni nostri . Nella iconografia tibetana il percorso evolutivo della mente è rappresentato in un tankha dove l'elefante simboleggia la mente, la scimmia l'agitazione mentale causata dai pensieri incontrollati, il coniglio il torpore mentale sottile, l'uomo è il meditante, la corda con la quale questi afferra l'elefante-mente è l'attenzione. Al termine dei primi nove livelli della meditazione l'uomo realizza il calmo dimorare o stabilizzazione meditativa (scr. shamata, tib. shiné), riuscendo finalmente a cavalcare l'elefante divenuto bianco come la chiarezza della mente dominata. Al dodicesimo stadio della meditazione, grazie all'energia simboleggiata dalla spada fiammeggiante, il meditatore si affaccia alla visione profonda della realtà (vipassana). Shamata (che è la meditazione concentrativa su di un oggetto, dal quale non bisogna essere catturati) e vipassana (che è la meditazione analitica) sono le due condizioni basilari per giungere alla meditazione della vacuità e di superiori livelli della mente (samadhi). La Mindfulness e le moderne psicologie analitiche possono condurre ad una relativa stabilizzazione mentale, che corrisponde alla parte propedeutica del primo dei dodici livelli della meditazione buddhista. Proprio grazie alla sua esperienza di meditazione in ambiti buddhisti, il medico e biologo Kabat-Zinn fondò presso il Medical Center dell'università del Massachussests -


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negli anni Settanta del secolo scorso - la "Clinica per la Riduzione dello Stress". Si tratta comunque di un livello atto a curare i problemi clinici citati, ma molto lontano da quello proprio degli Uditori (shravaka) e dei Realizzatori solitari (pratekyabuddha) del piccolo veicolo Hinayana, ed ancor più dal grande veicolo Mahayana. La realizzazione vera e propria della vacuità è la condizione basilare per la liberazione individuale (nirvana) propria degli Uditori e dei Realizzatori solitari, i quali prendono coscienza della vera natura della realtà convenzionale e di quella ultima, dell'origine interdipendente dei fenomeni e di conseguenza della vacuità. Qui si esaurisce il piccolo veicolo (Hinayana) mentre per accedere al grande veicolo (Mahayana), proprio del Bodhisattva9, terza e più elevata tipologia di esseri superiori, ovvero colui che rinuncia alla liberazione individuale per essere di beneficio a tutti gli esseri e guidarli verso lo stato di Buddha e il Grande Risveglio, attraverso la realizzazione della compassione (karuna), della saggezza suprema (prajna) che realizza la vacuità e dello sviluppo della mente volta all'Illuminazione (bodhicitta). Il metodo per sviluppare bodhicitta - e dunque il 10 potenziale della mente d'Illuminazione - fu sistematizzato da Asanga nel IV secolo . Solo una volta realizzato vacuità (sunyata) e mente dell'Illuminazione (bodhicitta) si potrà accedere al veicolo diretto verso il Grande Risveglio, insegnato dal Buddha a pochi discepoli nel terzo e ultimo giro della ruota del Dharma, ovvero il Tantra Segreto del Vajrayana più esoterico riformato nel XIV secolo da Lama Tzog Khapa e trasmesso in purezza fino ai nostri giorni dai tibetani11. Su tale pratica sono sorte svariate leggende, fantasie morbose, applicazioni patologiche da parte di sedicenti maestri - occidentali e non solo - che continuano a creare una serie infinita di mistificazioni occultistiche, controiniziatiche e new age. Giuseppe Marro

Note: (1) Dalai Lama, L'abbraccio del mondo. Quando scienza e spiritualità si incontrano, Segrate (MI), Sperling & Kupfer, 2008; C. von Weizsacker, I grandi della fisica. Da Platone a Heisenberg, Roma, Donzelli, 2002 e Lo sviluppo della meccanica quantistica in Onde e particelle in armonia - Alle sorgenti della meccanica quantistica, Milano, Jaca Book, 1991; D. Bohm et alii, Quantum Theory, New York, Prentice Hall, 1951; D. Bohl con J. Krishnamurti, Dove finisce il tempo, Roma, Astrolabio Ubaldini, 1981; F. Varela, Autopoiesi e cognizione, la realizzazione del vivente, Venezia, Marsilio,1985 e La via di mezzo della conoscenza. Le scienze cognitive alla prova dell'esperienza, Milano, Feltrinelli, 1992. (2) Master universitario di primo livello in Neuroscienze, Mindfulness e Pratiche Contemplative; corso specialistico su Applicazioni pratiche della mindfulness in ambito clinico e lavorativo; corso di perfezionamento in Epistemologie Comparate. Docenti dei corsi Ghesce Tenzin Tenphel e Ghesce Jampa Gelek, dell'ILTK. (3) https: //tessere.org/tibet-le-frontiere-della-scienza/

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(4) Secondo la Tradizione il Dalai Lama è la manifestazione vivente del bodhisattva della compassione (scr. Avalokitesvara, tib. Cenresig, jp. Kannon). In ordine invece ai risultati clinici conseguiti dalla Mindelfulness si vedano i testi del citato J. Kabat-Zinn: Guida alla meditazione come terapia, RED Edizioni, e Vivere momento per momento, Corbaccio, 1990. (5) Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama, La scienza a un bivio, in https: //it.dalailama.com/messages/buddhism/scienceat-the-crossroads/ (6) Mulamadhyamakakarica (Strofe del Cammino di Mezzo) di Nagarjuna è disponibile in italiano col titolo Le Settanta Stanze della Vacuità, Pomaia, Chiara Luce Edizioni, 2019. Piuttosto che le varie versioni accademiche, spesso imprecise e superficiali, dei cinque testi radice della tradizione monastica (Abhisamayalamkara, Madyamakavatara, Abhidharmakosha, Vinaya, Pramanavartika) e dei relativi commentari, si consigliano le pubblicazioni indicate dall'ILTK, che garantiscono una traduzione accurata grazie alla supervisione di qualificati lama e ghesce del lignaggio Gelupa e dunque della più raffinata tra le scuole filosofiche buddhiste, la Madyamika Prasankika. (7) Cit. parziale dal Sutra del Cuore (Prajnaparamitatahrdayasutra), nella traduzione a cura dell'ILTK; fondamentale il commentario del Dalai Lama, Il Sutra del Cuore della saggezza, Pomaia, Chiara Luce, 2018. Sulle scoperte scientifiche degli eruditi indiani è stato finalmente pubblicato in italiano, nella traduzione dell'ottimo Fabrizio Pallotti, il primo dei quattro volumi del Dalai Lama dal titolo Scienza e Filosofia nei classici Buddhisti Indiani, Ubaldini, 2021. (8) Gli Stadi del Sentiero verso l'Illuminazione (Lam Rim), testo del XIV secolo di Tszong Khapa, fondatore del lignaggio Gelupa (berretti gialli). E' stata di recente pubblicata in italiano, con lo stesso titolo - a cura dell'Associazione La Ruota del Dharma e distribuito da Chiara Luce Edizioni - una raccolta organica degli insegnamenti tenuti da Ghesce Yesce Tobden presso l'ILTK, basati sul Commentario al testo di Dagpo Nawang Dragpa. (9) Su tale eminente tipologia di essere il testo radice più profondo fu composto in India nell'VIII secolo da Shantideva, si tratta del Bodhisattvacharyavatara, Impegnarsi nella condotta del bodhisattva, Pomaia, Chiara Luce, 2008; essenziale è il Commentario al testo di Shantideva di Ghesce Yesce Tobden, Pomaia, Chiara Luce, 1997. (10) Mahayanottaratantrasastra è un testo di Asanga disponibile solo in cinese e tibetano; in italiano esistono traduzioni parziali e commentari ad uso interno dell'ILTK. (11) Per chiarirsi le idee sulla reale portata dell'argomento si rimanda a Lama Yesce, La Via del Tantra - Una visione di totalità, e a Vita e Insegnamenti di Lama Tzong Khapa, entrambi editi da Chiara Luce. Sulla critica delle mode neospiritualiste, occultiste e new age rimangono insuperati gli studi di Rene Guénon dal titolo Errore dello Spiritismo, (1921), Milano, Rusconi, 1974, e Le téosophisme, histoire d'une pseudo-religione, (1921), oltre all'opera di Julius Evola dal titolo Machera e Volto dello Spiritualismo Contemporaneo, Roma, Edizioni Mediterranee, 1971.


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LA BELLEZZA DELLA VITA Una volta, un anonimo fisico, di fronte all'accusa di non riuscire ad ammirare la bellezza della vita, tutto preso com'era a capirne gli aspetti materiali, si risentì e al suo interlocutore rispose con veemenza che non solo ammirava la bellezza ma sapeva del perché di una notte stellata, dell'arcobaleno su una cascata, del ruscellare dell'acqua, dei moti ondosi, del volto rugoso della luna, dell'effetto caldo e benefico del sole, della neve che ammanta le montagne, di un campo di grano ondeggiante sotto la brezza aprilana, del volo di uno stormo d'uccelli, della variazione cromatica di un fiore. Quindi, sottolineò, non solo ammirava la bellezza: la comprendeva. Questo per dire che non è detto che l'evoluzione scientifica debba avvenire solo ed esclusivamente a danno dello spirito, quasi in una sorta di rapporto inversamente proporzionale. L'aridità spirituale ritengo sia un fatto soggettivo oggi come ieri. Il primo a catalogare gli elementi basilari della vita, addirittura a livello cosmogonico, fu Empedocle, nel V° secolo ante Cristo: quattro elementi ravvisati in fuoco, aria, acqua e terra. Quattro elementi che egli definiva 'radici' perché, precisava anticipando la fisica moderna di due millenni e mezzo, che nulla si crea e nulla si distrugge bensì tutto si trasforma attraverso separazioni e fusioni dove, nel primo caso, gioca l'odio mentre nel secondo caso interviene l'amore. "Ma un'altra cosa ti dirò: non vi è nascita di nessuna delle cose mortali, né fine alcuna di morte funesta, ma solo c'è mescolanza e separazione di cose mescolate, ma il nome di nascita, per queste cose, è usato dagli uomini."1 Come a dire (cinquecento anni prima di Cristo) che sono gli uomini a dare un 'nome' alle cose, è vero, ma la 'regia' del rimescolamento non può non incontrare un intervento divino: se vogliamo, è la cosiddetta Quintessenza di concezione aristotelica o, meglio, è lo Spirito, il Pneuma del pensiero greco o l'Ein Sof della cultura ebraica. O, oggi, il Dio di concezione cristiana. Pitagora, del resto, non era da meno: nel Quaternario, usato per comunicare ai discepoli l'ineffabile Nome di Dio, egli ravvisava la Monade come Ente dal quale discende la Diade indeterminata e, dalla loro unione, i numeri e poi i punti, indi le linee, dopo le superfici, quindi i solidi e, infine, i corpi, la Decade o l'Universo. Di contro, ammesso che si possa identificare tout court una spiritualità con la fede (cosa che non credo), l'illustre fisico Carlo Rovelli ha affermato di essere ateo perché 'credere in Dio non gli piace'. In pratica, spiega il proprio ateismo derivandolo dal fatto che non gli piacciono quelli che si comportano bene per timore di finire all'inferno, ma quelli che si comportano bene perché amano comportarsi bene; né gli piacciono quelli che sono buoni per piacere a Dio ma quelli che

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sono buoni perché sono buoni. E così via: non gli piace sentirsi in comunione con chi sta zitto in chiesa ma sentirsi in comunione guardando negli occhi gli amici, non gli piace emozionarsi perché Dio ha creato la bellezza della natura ma emozionarsi perché la natura è bella, non gli piace chiudersi nel silenzio e pregare Dio ma chiudersi nel silenzio e ascoltare le profondità infinite del silenzio, non gli piace chi si rifugia fra le braccia di una religione ma chi accetta il vento 2 della vita . Considerazioni, da un lato quelle di Empedocle e di Pitagora e dall'altro quelle di Rovelli (alla faccia dell'ateismo), ci segnalano che lo scienziato può avere un duplice antitetico approccio alla sua materia: ravvisare nelle sue 'scoperte' l'inesprimibile mano di Dio oppure cogliere in esse gli obiettivi della sola Ragione. In realtà, proprio le posizioni apparentemente antitetiche dei tre studiosi, due ante e uno postea, ci dimostrano l'esistenza di altre due categorie, di scienziati nel caso di specie: coloro che giungono alla 'scoperta' in forza della sola elaborazione del 'noto' e coloro che, invece, atteso il 'noto' lo compenetrano con un'ottica che non è scientifica bensì 'umanistica': Einstein, per esempio, per giungere alla sua celebre formula E=mc2, fece ricorso alla filosofia. Ma, del resto, non credo che a Max Plank e a Niels Bohr sia bastata la sola fisica per arrivare a comprendere la meccanica quantistica e per delineare la teoria dei quanti. E, comunque, ammesso che quel quid pluris, quel guizzo d'ingegno possa arrivare a definirsi spiritualità, mi sento di affermare che, qualunque sia la premessa, la 'conquista' scientifica derivata è di per sé generalmente neutra. Il nostro direttore, nel delineare il 'tema' del numero, indicava la fusione nucleare di Cina e Corea e i viaggi interplanetari. Pensiamo ai benefici effetti ambientali ed economici della fusione nucleare in grado di generare temperature superiori addirittura di dieci volte quella del Sole senza la produzione di scorie radioattive, ma solo atomi di elio ad elevata stabilità nucleare; e, già che ci siamo, pensiamo alle opportunità offerte dai viaggi interplanetari non solo per una maggiore e migliore conoscenza dell'universo e della meteorologia ma anche per sperimentazioni fisiche, chimiche e mediche in assenza di gravità o con una gravità diversa da quella della Terra. Di contro, pensiamo ad uno strumento bellico e a migliori strumenti d'indagine e di intelligence. Semmai, solo quale inciso, c'è da rilevare mestamente che la Cina e la Corea hanno realizzato la fusione, l'una attraverso il suo Tokamak e l'altra a mezzo del suo Kstar, anticipando almeno di un decennio l'Unione europea. Questa, solo alla fine dello scorso anno ha assunto la decisione di partecipare al progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), insieme al Giappone, alla Russia e alla stessa Cina. Una partecipazione che, a esser buoni, vedrà riscontri al minimo tra un quinquennio. Almeno, sul piano della conoscenza del Cosmo, i vecchi europei si sono dimostrati un po' più preveggenti con la presenza dell'ESA e con il sistema Galileo: scherzandoci su, sarà merito sicuramente del fascino tardoromantico delle stelle. Comunque, chiuso l'inciso, si diceva che la scienza è neutra: è indubbio il suo ruolo nel progresso dell'umanità, nel sostenere le umane aspirazioni ad un sempre maggiore benessere fisico e mentale. Ed è sempre stata la scienza a rendere edotto l'uomo del mondo nel quale vive, a


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presentargli i meccanismi del suo funzionamento e della sua preservazione, a indurlo a conoscere sempre più e sempre meglio l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, in una sorta di necessario, utile parallelo. Si potrebbero fare cento esempi ma, in sostanza, l'essere umano deve alla scienza la possibilità di ottimizzare costantemente la sua presenza nel creato e volendo, senza tema di stupire, di accrescere la sua spiritualità, in presenza di una fede o meno. Ma, purtroppo, se come dicevo la scienza è di per sé neutra, possono non esserlo da un lato coloro che si avvalgono (o dovrebbero avvalersi) della scienza stessa e, dall'altro, gli scienziati che la praticano e/o i loro datori di lavoro. A volte, per alcuni di costoro, parlare di spiritualità, è come professare l'astinenza sessuale in un bordello. Cinque anni fa, sul n. 44 della rivista dal tema 'Scienza e coscienza' l'editoriale del nostro direttore 'Il Muro del Sapere' fotografava la realtà: l'intelligenza resa avida e scriveva: Dalle università pubbliche e private, ai laboratori di ricerca delle aziende o a quelli improvvisati di qualche intuitivo praticone, tutti coloro che "ricercano" sognano la "scoperta", non più per amore della scienza o per il piacere di assecondare un impulso creativo, per la gioia di arricchire la loro nazione o l'umanità, ma per arricchirsi brevettando un nuovo ritrovato e godere, in esclusiva o in maniera condivisa, delle agognate "royalties".[…]. Sono lontani i tempi dove le Università, a prescindere dagli antagonismi degli Stati, si scambiavano esperienze, immissarie del fiume della conoscenza, seppur sotterraneo. Come sono altresì lontani i tempi del munifico mecenate che sosteneva i meritori ingegni. È curioso notare che, in quei contesti, il rapporto tra mecenate e scienziato era, come potremmo dire, di pari dignità, nonostante lo scambio di vile pecunia. E, peraltro, un rapporto di tal specie si è protratto fino ad epoche recenti, sostituendo il mecenate con l'istituzione universitaria la quale, al pari di un museo con i reperti, cercava di accaparrarsi lo scienziato, pressoché libero da condizionamenti, da esporre in organico ad attrazione dei discenti e, soprattutto, delle loro famiglie. Poi, prendendo a prestito da un articolo del collega Sergenti in quel numero della rivista sopra citato, quella relazione ideale si è rotta, soprattutto a causa di due antitetiche dottrine: da un lato, il liberal capitalismo e, dall'altro, il comunismo. Nella fase iniziale della rivoluzione bolscevica, la scienza ebbe una controversa considerazione, addirittura con risvolti filosofici, in quanto si trattava di interpretare il pensiero marxiano circa le connessioni tra conoscenze scientifiche, capitale e produzione, nonché stabilire le sue relazioni con le leggi naturali. Ma una volta esaurita la spinta rivoluzionaria e insediato il regime, la scienza assunse, nel nome del popolo, una sorta di deificazione, soprattutto ad opera di una corrente filosofica dai risvolti esoterici e occultisti chiamata Cosmismo. Può apparire una contraddizione in termini asserire che nella patria del materialismo storico si sia affermato, e produca riflessi sino ai giorni nostri, un movimento di pensiero dal contenuto spirituale con in testa il primo commissario del popolo alla pubblica istruzione Anatolij Lunaèarskij, ma ciò venne reso possibile dalla identificazione di Dio con il regime comunista e da una intervenuta cieca fiducia nella scienza, da un lato, e nell'onnipotenza umana, dall'altro, spinta addirittura nel credere di poter vincere la Morte: siamo al socialismo scientifico, 'la quinta

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delle grandi religioni nate dall'ebraismo'; una religione senza Dio nella quale questo venga plasmato dall'uomo stesso. In quell'ottica, la religione divenne 'l'insieme di quei sentimenti e di quelle idee che rendono l'uomo partecipe della vita dell'umanità e ne fanno un anello della catena tesa verso la vetta del superuomo, verso un'esistenza magnifica e potente, verso un organismo perfetto in cui vita e ragione celebrano la loro vittoria sugli elementi naturali'3 . Quindi, se nel comunismo la concezione della scienza fu alquanto alta essa, tuttavia, non venne intesa come progresso civile e sociale di un popolo bensì come perseguimento di una conoscenza sempre più elevata che asseverasse sia la dottrina che le ossessioni escatologiche del credo leninista, dimenticando le validissime parole del vecchio Engels contenute nel suo manoscritto 'Dialettica della natura': "….Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di 4 sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato …" . Ma, se del comunismo non abbiamo oggi che un lontano ricordo anche come antagonista della dottrina capitalistica, dobbiamo costatare che da quel confronto quest'ultima è la sola vincente e imperante: una dottrina dove la scienza è pesantemente condizionata dai rapporti di produzione, avida e largamente 'inquinata' dall'ideologia scientista-borghese ad essi connessa, che la fa intendere, paradossalmente al pari del comunismo, come lo strumento pratico onnipotente della trasformazione e del dominio, preteso illimitato, della natura. Si pensi, tanto per ridere, al cosiddetto Sviluppo Sostenibile Strategico. Fino alla fine degli anni '80, era accettato, anche se maldigerito, il fatto che talune applicazioni scientifiche dovessero essere poste al bando perché il loro uso, al momento o nel tempo, avrebbero potuto comportare danni ambientali. In quel periodo, però, l'oncologo svedese KarlHenrik Robèrt coordinò un ampio processo di creazione di consenso nella comunità scientifica per dare una definizione sistemica-globale e operativa di 'sostenibilità', le Condizioni di Sistema, che comprendono sia aspetti ecologici che sociali. Nel senso che alcune pratiche scientifiche avrebbero potuto essere impiegate, nonostante la loro pericolosità, a certe condizioni o in un certo lasso di tempo. Era stato così creato lo Sviluppo Sostenibile Strategico; un modello adottato dai primi anni '90 (neppure a farlo apposta) da migliaia di organizzazioni e istituzioni nel mondo. Può capitare, comunque, che una disinvolta applicazione di quel modello, o la sua trascurata applicazione, crei problemi ambientali. Ebbene, a tutto c'è rimedio: i privati con applicazioni scientifiche provvedono con soldi pubblici a riparare i danni causati dallo spigliato uso delle applicazioni scientifiche dei privati. Non è da ridere? Ora, in una concezione ultraliberista di tal fatta che ha reso merce persino il lavoro dell'uomo, quale importanza può mai avere la scienza (e lo scienziato) se non è foriera di egoistico guadagno per il capitalista di turno? Si pensi, ad esempio, al grave problema della fame nel mondo e alle crociate dell'Occidente (più che altro, nominalistiche) per debellarla: tra i vari soggetti che hanno


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dichiarato la loro sensibilità e la loro disponibilità vi è indubbiamente la scienza, rappresentata da grandi gruppi industriali multinazionali. Abbiamo molto sentito parlare degli OGM; ebbene, attraverso i semi geneticamente modificati è possibile avere più raccolti durante l'arco dell'anno e una produzione agricola con maggiori difese per resistere agli attacchi degli agenti climatici e dei parassiti. Insomma, una panacea per la fame nel mondo. Peccato che i semi OGM siano sterili. Nel senso che la semina o la piantumazione successiva non può avvenire usando i semi del raccolto bensì solo altri semi OGM, da acquistare di volta in volta. E sempre a proposito dell'egoismo capitalista, è illuminante l'esempio dell'Accordo di Doha, nel Qatar di quasi una ventina d'anni fa: una conferenza del WTO si interrogò sulla possibilità di adottare soluzioni flessibili per garantire l'approvvigionamento dei principali medicinali a paesi in via di sviluppo; in quel contesto si prospettò anche l'opportunità che i paesi membri avessero la possibilità, dietro incentivi, di accordare licenze per la produzione di medicinali protetti da brevetto. Così, un anno dopo, lo stesso Consiglio generale del WTO arrivò a contemplare il trasferimento di impianti produttivi. Bene, sarei lieta di essere smentita se affermo che, fino a non molto tempo fa, gli unici impianti trasferiti sono stati quelli per la produzione dell'aspirina. Un analoga situazione e un analogo percorso oggi in presenza del Covid e, con ogni probabilità, un'analoga conclusione. La politica, per alcuni decenni, ha cercato di inseguire la ricerca privata e, attraverso la ricerca pubblica, di socializzare i risultati conseguiti ma le ristrettezze economiche da un lato e, dall'altro, la progressiva affermazione della dottrina liberalcapitalista che ha comportato continue ristrutturazioni degli ordinamenti sociali, hanno fatto sì che la scienza e i suoi frutti siano divenuti prerogativa di investimento e, quindi, di arricchimento di pochi. Basti leggere i dati percentuali del PIL destinati alla ricerca da parte pubblica e da quella privata nei maggiori Paesi del G20: siamo ad un rapporto pressoché generale di 1 a 3 a sfavore di parte pubblica. Né, generalmente, c'è più la forza di 'stabilire' la soglia di un giusto guadagno né, tantomeno, di trattenere 'in patria' giovani menti valenti. Perciò, gli effetti di un tale sbilanciamento comportano che l'approccio ai risultati della scienza siano onerosi per il comune cittadino. L'alimentazione migliore presuppone una maggiore spesa, così come un miglior riparo dal freddo, dal caldo o dalla pioggia; per cure più efficaci le famiglie arrivano a dissanguarsi; raggiungere le destinazioni più velocemente ha un costo, come lo ha interloquire con quelle località. Ne consegue che, oggi più che mai, il progresso dei popoli è legato alla loro disponibilità economica per usufruire di servizi, strumenti, cure; una disponibilità senza la quale l'uomo regredisce verso gli stati più brutali della sua esistenza. C'è da notare, peraltro, che, con l'abbattimento totale dei sistemi di ripartizione del reddito e l'ampliamento costante della fascia di povertà, la regressione è assicurata. Ma c'è di più. Oggi, la scienza è sempre più ancorata alla tecnologia digitale e una tale evidenza sta dando luogo ad un nuovo tipo di capitalismo: quello cognitivo, come menzionava il nostro direttore cinque anni fa, perché la conoscenza è senz'altro un bene immateriale, ma è anche un

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bene molto particolare nel senso che è facilissimo da riprodurre (con i moderni mezzi di comunicazione il costo tende a zero), ma è difficile e costoso da produrre la prima volta. Ne deriva che, se da un lato l'approccio ai risultati scientifici è oneroso, il possesso delle conoscenze scientifiche sta divenendo monopolistico; un monopolio alla costituzione del quale paradossalmente contribuiscono le stesse Università, coinvolte nello sviluppo di parte di un progetto senza essere in grado di risalire alla sua interezza. E, del resto, se per la scuola pubblica, Università comprese, ai fini di una 'sana' competizione, è auspicata la ricerca di finanziamenti da privati, è ovvio dedurre che quei privati potranno influire sui pro-grammi didattici in esito alle loro esigenze formative e, previa benaccetta integrazione pecuniaria, avvalersi dei ricercatori e dei laboratori universitari in estensione dei loro. Così, paradosso nel paradosso, una pubblica istituzione, con la giustificazione di ricercare un migliore aggancio con il mondo del lavoro, perde gli effetti sociali subordinandosi all'interesse privato. Come si vede, la scienza di per sé è neutra mentre possono non esserlo gli 'artefici' del risultato scientifico e sicuramente non lo sono i 'padroni' degli 'artefici' e dei 'risultati'. Per cui, avviando la conclusione della prima parte del discorso, direi che di spiritualità da quelle parti ce ne sia rimasta ben poca, in parte per avidità e in altra parte perché è un lusso riservato a pochi. Sotto certi aspetti, invece, per la religione in via specifica il ragionamento può assumere contorni e soggetti più articolati; in pratica, proprio muovendo dalla ricerca scientifica, possono derivare questioni che rischiano di compromettere l'intero impianto dottrinario creando non pochi problemi proprio di spiritualità, stavolta nei fedeli credenti. Come sappiamo, la coesistenza di scienza e religione ha avuto nel corso dei tempi un andamento discontinuo dove, l'una, di solito, ha dovuto chinarsi all'altra dopo scontri anche altamente drammatici. Eppure, a puro titolo di cronaca, possiamo dire che spesso, nel lontano passato, notevoli impulsi all'evoluzione scientifica sono pervenuti proprio da autorità religiose. Anzi, da reperti archeologici si è potuto accertare che la 'carriera' di un religioso fosse intimamente legata al suo sapere scientifico, fatto di osservazioni, di comparazioni e di deduzioni: un vero e proprio processo epistemologico dei giorni nostri. Un sapere che si tramandava da 'maestro' spirituale ad 'allievo' con l'impegno di comprenderlo prima e di ampliarlo poi. D'altro canto, non è da credere che un simile rapporto sia stato relegato in qualche ristretto ambito territoriale essendo invece un must della formazione spirituale sia in Occidente che in Oriente. Certo, nel tempo, i cammini dell'una e dell'altra sono andati sempre più 'specializzandosi' ma questo non ha comportato un loro conflitto: soprattutto in Oriente, del resto, è generalmente proseguita l'identificazione dello 'scienziato' col 'sacerdote'. L'Occidente, invece, si è articolato in maniera più diversificata, comunque sempre nel massimo reciproco rispetto. Riconosciuto per circa un millennio con l'impero romano, possiamo dire che in quell'Occidente la convivenza tra scienza e religione sia stata quanto di più permissivo si possa immaginare. Nel senso che nella sola Roma coesistevano templi dedicati ad oltre trenta culti differenti i cui officianti si 'limitavano' ad agire nella sola sfera spirituale del fedele lasciando alla scienza ogni


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libertà d'azione nell'interesse collettivo. Peraltro, i campi erano piuttosto marcati non tanto da normative, leggi e quant'altro quanto dal rispetto intimo degli uni verso l'impegno degli altri. E non è che i confini della spiritualità fossero solo delineati dalla fede: parte integrante della formazione di un giovane destinato successivamente a cariche pubbliche era certo la pratica della dura scienza militare ma anche e soprattutto l'elevazione dello spirito attraverso il costante rispetto del mos maiorum, il nucleo della morale della civiltà romana. Però, ad un certo punto entrò in scena un credo, definito poi 'paolino', che non aveva (né ha) eguali nel mondo: nel senso che alla sua formulazione avevano concorso sia dottrine greche che orientali, vicine e lontane, senza che tuttavia vi fosse una totale identificazione sia nelle prime che nelle seconde. Un credo che prometteva 'vita eterna' nel rispetto di norme contenute in un decalogo, contemplava i peccati uno dei quali definito 'originale', e la maggiore tra le azioni riparatrici, elevate a sacrificio, era l'astinenza sessuale. Un credo dogmatico, peraltro avverso alla Scienza e lontano dalla Natura. La storia ci informa che, appena promosso a Credo di Stato, i suoi fedeli posero in essere forti atteggiamenti d'intolleranza nei confronti di altri credi e della scienza, giungendo persino a manifestazioni violente. E qui è facile andare con la mente alle azioni repressive del vescovo Ambrosio, alla soppressione fisica delle cosiddette 'eresie', al concorso del vescovo Cirillo nella morte di Ipazia, la grande matematica, astronoma e filosofa alessandrina, alle motivazioni speciose delle crociate, alla brutale repressione degli albigesi, ai roghi dell'Inquisizione santa, alla disattenzione nello spopolamento e nella spoliazione dell'America Latina, al concorso nella strage degli Ugonotti, all'eclatante persecuzione di Galileo Galilei. Ho lasciato per ultimo l'episodio del noto astronomo perché la meccanica di quell'evento ci mostra un ulteriore aspetto di quel credo: durante il processo a Galileo, tenutosi a Roma nel 1633, il verdetto fu aspramente combattuto tra i cardinali non tanto sulla tesi eliocentrica, che oramai sapevano essere più semplice e veritiera rispetto alla tesi geocentrica (del resto, lo stesso papa Gregorio nel 1582, cinquant'anni anni prima del processo, aveva riformato il calendario basandosi sull'eliocentrismo), ma perché la fazione del cardinale Bellarmino, ostile a Galileo, pretendeva che lo scienziato ammettesse di parlare 'ipoteticamente e per supposizione'. Questa ammissione avrebbe dato alla Chiesa la possibilità di salvare capra e cavoli rimanendo ancorata al famoso versetto biblico ' … E il sole si fermò e la luna rimase al suo posto …'5, ma al tempo stesso avrebbe potuto ammettere l'ipotesi che la Terra girasse attorno al Sole. Peraltro, novantasette anni prima, un altro astronomo, Copernico, aveva pubblicato il De Revolutionibus, avendo però l'accortezza di far scrivere una prefazione al furbo ecclesiastico Andreas Osiander il quale, ben sapendo quanto gli aristotelici fossero potenti all'interno della Chiesa cattolica scrisse che: "Non è affatto necessario che queste ipotesi siano vere, e neppure che siano verosimili: piuttosto, è sufficiente una sola cosa: che diano luogo a calcoli che 6 concordano con le osservazioni" . Il risultato fu che le tesi eliocentriche di Copernico furono accettate senza grossi problemi (almeno da parte cattolica; i luterani furono meno indulgenti), mentre Galileo venne condannato.

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Come dicevo, la meccanica di quell'evento ci mostra una prerogativa del credo in parola, l'ambiguità, che gli ha consentito di superare indenne due millenni, aiutato in questo da un concomitante timor di Dio e dalle scarse comunicazioni. Comunque, dopo la sentenza romana, scienza e religione sembra abbiano avviato un rapporto meno conflittuale, a volte persino conciliante, per giungere nell'ultimo secolo ad una pacifica coesistenza, punteggiata perfino da generosi reciproci slanci: si pensi, ad esempio, all'ossequio ultimo della scienza nel targare il bosone di Higgs come 'di Dio'. E, di rimando, sempre ad esempio, si consideri l'atteggiamento di George Lemaître, gesuita e grande fisico, nostro contemporaneo, che si è ben guardato dal considerare il Big Bang come una questione metafisica o religiosa. Anzi, ha lasciato esplicitamente libero il materialista di negare l'intervento di un Essere trascendente. In genere, comunque, il credo 'paolino' ha (volutamente) scantonato dalle scienze naturali evitando di impegolarsi in spinose faccende che avrebbero comportato uno slalom teologico. Ma un aspetto, ulteriormente citato dal nostro direttore nell'esemplificazione del tema, può rappresentare lo scoglio insormontabile dove la 'nave di Pietro' potrebbe schiantarsi: la presenza di vita extraterrestre. La scienza, almeno negli ultimi settant'anni, ha fortemente intensificato la ricerca di altre fonti di vita nel cosmo: centri d'ascolto selettivo, invio di messaggi codificati, addirittura contatti telepatici. Per non parlare, poi, della mitica Area 51, base sperimentale e militare nel Nevada, parte di una vasta zona militare operativa di 26.100 km² (poco più della superficie della Sicilia), tirata in ballo a più riprese a proposito degli studi su UFO. Ed il fatto che la scienza creda fortemente in quell'esistenza è ulteriormente suffragato dal celebre Radiomessaggio di Arecibo del '74, trasmesso verso l'Ammasso Globulare di Ercole distante 25.000 anni-luce, contenente informazioni sulla Terra e i suoi abitanti tradotte in 1679 cifre binarie. Un'iniziativa bissata con le cosiddette Placche dei Pioneer e, poi, con il disco del Voyager: supporti che contengono simboli riguardanti l'essere umano e nozioni scientifiche. Ora, al di là del cinismo o della blasfemia, che non mi appartengono, ritengo possa essere quello l'argomento degli argomenti col quale il 'papa nero' (o uno dei suoi successori) potrebbe essere costretto a cimentarsi, fino all'apposizione del cartello 'tutti a casa'. Perché qui il problema non è giustificare la presenza di vita aliena sul nostro mondo in epoche remote: il Vecchio Testamento, 7 peraltro, contiene numerose citazioni in merito : presenze menzionate anche da altri impianti culturali, dottrinari e religiosi e di volta in volta definite Nefilim, Giganti, Abitanti di Nibiru, Angeli Caduti, Annunaki, ecc. Ma il problema, come dicevo, per quanto complesso, non è certo compromissorio del cattolicesimo 'paolino'; infatti, nel più assoluto non cale ecclesiale, quelle pittoresche presenze animano trame letterarie fantascientifiche, storie televisive e filmografiche e perfino gli intrecci elettronici dei videogiochi. No. Il vero problema è ammettere l'esistenza di una vita extraterrestre in presenza del Nuovo Testamento, in relazione o meno col Vecchio. Un busillis che non appartiene ad altri credi. E la questione non è poi di lana così caprina: approfonditi studi scientifici sono arrivati ad ipotizzare nell'Universo la presenza di ben trentasei forme di vita intelligente. È vero che serie analisi, ugualmente scientifiche, ci dicono di contro che la ripetizione della vita


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nello stesso Universo è impossibile ma se così fosse sarebbe stato inutile, e continuerebbe ad esserlo, proseguire nell'inviare messaggi nello spazio e tenere in piedi megagalattiche strutture d'ascolto e di comunicazione. Altri ancora, da autorevoli studiosi, ci 'tranquillizzano' col fatto che le distanze in anni-luce dissuadono dal propendere per viaggi intergalattici da parte di presunte civiltà extraterrestri. Ma altri ci intrigano nell'ipotizzare che la cosiddetta 'curvatura dello spazio-tempo' renderebbe possibile percorrere immani distanze in tempi 'umani'. E, del resto, che 'civiltà progredite' sarebbero se non si potesse presumere che sul piano scientifico siano un tantino più avanti di noi? Quindi, nella mia profanità, propendo per l'esistenza di vita extraterrestre. E se così fosse, mi ripeto, il credo 'paolino' ritengo possa incontrare penose ambasce. Lungi da me avventurarmi in dissertazioni teologiche ma alcune fondamentali questioni mi paiono ineludibili. E se la configurazione biologica degli alieni non corrispondesse alla nostra, visto che Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza? E, ancora. Visto che Dio ha sacrificato il suo unico figlio per salvare l'umanità, cosa succederebbe se non fossimo soli nell'universo? Chi salverebbe gli altri? Be', si potrebbe pensare che l'umanità sia il popolo 'eletto' e il suo scopo sia quello di portare la parola divina ad altri esseri intelligenti. Ma, se così fosse, la 'salvezza' sarebbe da concedere di volta in volta? Perché, altrimenti, sarebbe un 'pieno' per 'vuoto' a priori che vanificherebbe ogni percorso di fede. Diversamente, l'idea che un Dio viaggi da un pianeta all'altro sacrificando suo figlio non mi pare efficace. Concludoaudacia qui la carrellata sul secondo aspetto del tema col dire che altre professioni di fede, che temeraria igiene spirituale altri cammini spirituali non incontrerebbero tali difficoltà dottrinarie in collisione con l'avanzare scientifico ma è dato il caso che la loro portata non è certo paragonabile a quella del credo paolino. Ignoro se nelle alte sfere ecclesiali vi sia la convinzione di una vita oltre alla Terra ma sembra certo che l'organizzazione di quella confessione tenga funzionanti notevoli impianti d'osservazione astrale e, essendo passati i tempi dello studio sciamanico sui movimenti degli astri, non vedo razionale motivo perché indagini del genere vengano svolte. A meno che gli 'addetti ai lavori' di quel credo non avvertano una certa, pregnante assonanza tra 'katolicos' e l'Universo. Ma se così fosse, dottrina e catechesi sarebbero carenti se non fallaci, in grado comunque di far crollare l'impianto. E, se crollasse, quasi due miliardi di persone, saprebbero di non essere sole nell'Universo ma si ritroverebbero senza una guida spirituale. Lo so, una guida che è controversa e ambigua e i suoi officianti non perdono occasione per manifestare le loro fallacità come, tra l'altro, dimostrano le recenti 'scoperte' nella canadese Kamloops Indian Residential School. Ma è la sola che hanno, per quanto moribonda, e prima che la psiche umana ne possa elaborare un'altra passerebbe tanto di quel tempo che l'oscurità arriverebbe a stendersi su tutta la Terra di Mezzo. E questo, comunque, non è certo auspicabile. Perciò, da laica, spero fortemente che lo Spirito possa divenire un efficiente alleato della Scienza; e, già che c'è, spero che possa stendere una sua pietosa mano sul capo dei più eminenti teologi

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paolini perché, per tempo, aggiornino dottrina e catechesi. E se lassù qualcuno ascoltasse davvero le parole di una vecchia bisbetica, potrei anche arrivare a comprendere (ma non a giustificare) il supplizio di Giordano Bruno. Roberta Forte

Note: 1. Empedocle, D-K 31 B 8, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.I, Milano, Laterza, 2009 2. Antonio Gurrado – Il Foglio - Rovelli, scienziato ateo perché credere in Dio non gli piace – 28.11.2016 3. Jutta Scherrer, La ricerca filosofico-religiosa in Russia all'inizio del XX secolo, in AA.VV., La storia della letteratura russa: il Novecento - Tomo 1, Einaudi, Torino, 1989-1990, p.227 4. Dialettica della natura, Opere Complete Marx – Engels, Editori Riuniti, vol. XXV, p.468 5. Giosuè 10,12-13 6. Andrea Osiander - Ad lectorem de hypothesibus huius operis, Praefatio, in N. Copernici, De revolutionibus orbium coelestium – tratto da La rivoluzione scientifica: da Copernico a Newton, a cura di Paolo Rossi, Loescher, Torino, 1973, pp. 186-188 7. Gn 6,1-8 – Nm 13,33 – Ez 32,27


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L’UOMO MODERNO Interrogarsi sull'uomo odierno significa svolgere un'indagine che abbraccia diversi ambiti che spaziano da quelli che sono riferibili alla sua sfera personale a quelli che riguardano l'uomo all'interno del suo contesto sociale. Ma interessante sarebbe anche volgersi un attimo verso il secolo appena concluso in modo da poter usufruire di ulteriori chiavi di lettura, col fine di avere maggiore comprensione sulla direzione intrapresa dall'umanità in quello che possiamo immaginare come un viaggio di cui il presente ne rappresenta solo una tappa. Posto questo come punto di partenza, guardiamo al penultimo passo nella prospettiva di inquadrare meglio lo scenario nel quale ci muoviamo oggi. Incontro possono venirci due figure carismatiche dell'ambito scientifico e religioso (Albert Einstein e Giovanni Paolo II) e significativo sarà scoprire come "scienza e spirito" si muovano sullo stesso binario, come "conoscenza scientifica" e "verità" rappresentino lo stesso traguardo a cui l'uomo tende in un permanente stato di tensione verso ciò che sfugge. Einstein pone in principio l'uomo come stupito di fronte all'universo, sovrastato dalla complessità e dalla magnificenza del cosmo che appare intellegibile, ma che nel corso del tempo, quando si è giunti ad una visione più attenta si scopre si muova secondo delle leggi ordinate. A suo modo di vedere è in questo spazio che s'inserisce la scienza, come la componente razionale di una spiritualità che finalmente può definirsi matura e che potrebbe permettere all'uomo di spingersi verso il traguardo cui è teso. Non è importante cosa nella testa dello scienziato potesse intendersi per Dio, quanto piuttosto come il percorso verso l'Assoluto, in altre parole verso la conoscenza, fosse una componente fondante dell'uomo e del suo essere a questo mondo. Di questa "religione cosmica" l'uomo odierno è senz'altro debitore e ne è influenzato. Questo stato di tensione è continuo e non può fermarsi neanche di fronte a delle ipotesi plausibili ma non del tutto dimostrabili. Ad esempio sembrava quasi un assunto che la nascita dell'uomo prendesse il via dal "brodetto primordiale" ovvero in un ambiente dalle particolari caratteristiche in cui componenti inorganiche per effetto di reazioni chimiche formassero composti organici. Oggi invece, e sempre più nel mondo accademico, riprende piede un'ipotesi diversa sull'origine dell'uomo, la panspermia, ovvero che la vita non fosse nata sul nostro pianeta ma che giungesse a noi dallo spazio utilizzando come veicolo comete o meteore (è immediato immaginare come le attuali evidenze circa la capacità di resistenza dei batteri e di altri microorganismi favoriscano questa ipotesi). Anche dei tabù come quelli della presenza (o del prossimo arrivo) degli alieni sul nostro pianeta

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sembrano sfidare dei paletti posti proprio dalla teoria di relatività di Einstein (nulla può superare la velocità della luce e dunque la distanza in essere fra noi ed un possibile pianeta abitato da forme di vita intelligenti diventa impercorribile viste le distanze siderali) e quindi sempre meno di rado vengono proposte teorie che fino a poco tempo fa potevano essere accolte con favore solo dai registi di film di fantascienza: pensiamo alla teoria degli universi paralleli o alla generazione di portali interstellari, che dovrebbero spiegare come superare i limiti che la scienza ci pone. Del resto proprio lo spaziotempo, la struttura dell'universo stabilita dalla teoria della relatività è soggetta a curvature dovute all'effetto di una massa, e quindi essa stessa favorisce le ipotesi più ardite. Tutto questo ci fa riflettere su un dato e cioè che questo sforzo verso l'inconoscibile fa tornare l'uomo attuale a vestire di nuovo i panni dell'uomo primigenio. Ricco di stupore a colmo di fantasia. E' opportuna una precisazione: fantasia qui è intesa come immaginazione produttiva, creatrice di senso. Che probabilmente è una delle maggiori potenzialità di cui dispone l'essere umano e che abbraccia anche altri ambiti, ad esempio attraverso l'analogia trova sbocco nell'arte. In tal senso possiamo dunque considerare il nostro secolo come massimamente prolifico in quanto a progresso scientifico e questo perché si arricchisce di una componente non propria (la fantasia) che spesso è peculiare di altri ambiti. Ma continuiamo nei rapporti che intercorrono fra scienza e spirito. Giovanni Paolo II fin dall'apertura dell'Enciclica Fides et Ratio pone subito l'accento sulla sinergia che sussiste fra le due: "La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso (cfr Es 33, 18; Sal 27 [26], 8-9; 63 [62], 2-3; Gv 14, 8; 1 Gv 3, 2).". Significativo è il passaggio in cui esplicitamente si dice che la verità religiosa non è in contrasto con la verità che si raggiunge con la scienza: "I due ordini di conoscenza conducono anzi alla verità nella sua pienezza. L'unità della verità è già un postulato fondamentale della ragione umana, espresso nel principio di non-contraddizione. La Rivelazione dà la certezza di questa unità, mostrando che il Dio creatore è anche il Dio della storia della salvezza. Lo stesso e identico Dio, che fonda e garantisce l'intelligibilità e la ragionevolezza dell'ordine naturale delle cose su cui gli scienziati si appoggiano fiduciosi". In qualche modo dunque l'uomo moderno si pone da un punto di osservazione in cui le due visioni non si annullano, anzi agiscono in modo cooperante in questo stato di tensione continuo che è la ricerca della verità. Dicendo questo però non ci si sottrae dall'esprimere quali possono essere i pericoli insiti dello scientismo, infatti nell'Enciclica si legge esplicitamente :"Questa concezione filosofica si rifiuta di ammettere come valide forme di conoscenza diverse da quelle che sono proprie delle scienze positive, relegando nei confini della mera immaginazione sia la conoscenza religiosa e teologica, sia il sapere etico ed estetico.".


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Probabilmente il positivismo del XIX secolo tronfio dei successi ottenuti in campo tecnologico non ha saputo intendere ciò che non rientrasse in ambito strettamente scientifico come facente parte di un processo di conoscenza autentico ed ecco che "l'immaginazione produttiva" a cui abbiamo fatto accenno in precedenza diventa solamente "mera immaginazione" ovvero un semplice prodotto dell'emotività, appartenente al dominio dell'irrazionale. Si può leggere: "Ciò porta all'impoverimento della riflessione umana, alla quale vengono sottratti quei problemi di fondo che l'animal rationale, fin dagli inizi della sua esistenza sulla terra, costantemente si è posto. Accantonata, in questa prospettiva, la critica proveniente dalla valutazione etica, la mentalità scientista è riuscita a fare accettare da molti l'idea secondo cui ciò che è tecnicamente fattibile diventa per ciò stesso anche moralmente ammissibile.". Si apre dunque un problema non da poco, che appare quasi come un monito, quello della troppa fiducia nella scienza. Molti a tutt'oggi si chiedono perché il XX secolo ha prodotto le più grandi nefandezze della storia umana nonostante fosse anche il secolo in cui si facevano proprie le più grandi scoperte della scienza fino ad allora. Ebbene, una risposta abbiamo tentato di darla. L'uomo saprà imprimere un cambio di passo decisivo alla propria storia quando saprà approcciarsi alle cose in modo pieno, in un processo in cui la scienza si muove in sinergia con la religione ed i suoi valori fondanti e con la conoscenza filosofica artistica per il sguardo a tutto tondo sull'essere. In conclusione possiamo dire che siamo giunti ad un livello di consapevolezza che può permettere all'uomo odierno di avanzare più speditamente in questa sua ricerca, difficile dire se avrà fatti propri gli errori del passato e saprà sempre volgersi alle cose con questo suo nuovo sguardo. Alfredo Lancellotti

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ANATOMIA DI UN MUTANTE "La fantasia al potere" era il grido di battaglia del Sessantotto e dell'utopica rivoluzione progressista. A cinquanta anni e passa da quei giorni tumultuosi e carichi di false speranze cosa è rimasto? Alla sinistra, che avrebbe dovuto incarnare l'anima profonda del processo di destrutturazione della società eviscerata dei contenuti valoriali tradizionali, è toccato il potere. Agli altri, a quelli che c'erano e volevano restare aggrappati con le unghie e con i denti al sistema politico e a quelli che non c'erano ma che nell'arena impastata di sangue e melma prima o dopo sarebbero entrati grazie alle bizzarre combinazioni della Storia, è rimasta la fantasia. Venendo ai giorni nostri: cos'è se non fantasia al potere l'idea di partito che sta elaborando l'ex premier, Giuseppe Conte? Risolto con una transazione commerciale il contenzioso finanziario tra l'Associazione Rousseau di Davide Casaleggio proprietaria della omonima piattaforma digitale e il Movimento Cinque Stelle, il professore Conte si ritrova tra le mani: una lista di iscritti al Movimento grillino dei quali non conosce nulla, un gruppo (affollato) di parlamentari pentastellati bisognosi di una guida e di una rotta da seguire, un logo "Cinque Stelle" divenuto troppo ingombrante, un Beppe Grillo, il "pantocrate" di un Movimento che a sua volta vorrebbe emarginarlo, perché non ci sta più a prendere ordini da lui. Con questi improbabili ingredienti il professore Giuseppe Conte deve tentare di far lievitare una forma-partito che prenda il posto nel cuore di molti italiani del vecchio Cinque Stelle, ormai ridotto a simulacro di se stesso. In bocca al lupo, mister Conte! Perché a tirare fuori un intruglio minimamente commestibile per l'elettorato ci vorrà tanta fantasia. Non si tratta di fare i menagramo. Ma ci domandiamo: come sarà possibile convincere un popolo che appena tre anni orsono li aveva votati sicuro di cambiare faccia e sostanza alla politica? Un popolo che si è dichiarato, sull'onda dei "Vaffa!" del "pantocrate", graniticamente anti-sistema. Un popolo che ha creduto di poter partecipare al Governo della cosa pubblica attraverso i "portavoce" pentastellati e che si è illuso di mettere all'angolo i poteri forti impregnati di uno stantio odore di massoneria (l'espressione è di Ferruccio De Bortoli). Un popolo al quale è stato promesso che si sarebbe potuto decrescere felicemente facendo a meno di petrolio, gas, officine, fonderie e altiforni per divenire un giorno non lontano tutti bucolici a lume di candela. Oggi a quella gente che si era scoperta ribelle, sebbene di un ribellismo rimasto dormiente dagli Anni di piombo del post-Sessantotto, il professore Conte prepara una pozione rilassante a base di moderatismo.


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Già, perché il Cinque Stelle che verrà sarà una formazione partitica a vocazione centrista. Insomma, la copia anastatica della renziana Italia Viva. Capperi, che novità! Il futuro del grillismo 2.0 è lastricato di cemento e asfalto al posto dell'ambientalismo tout court. Il partito targato "GC" (Giuseppe Conte) in politica estera corteggerà Emmanuel Macron, del quale non dirà più che è il capo di uno Stato imperialista che schiavizza, in forza del controllo della moneta, una moltitudine di Stati africani. Sarà ipereuropeista e filotedesco, laddove il vecchio Cinque Stelle è stato filo-cinese e terzomondista. Coprirà le tracce lasciate sulla Via della seta per imboccare la via francigena. E Luigi Di Maio non chiamerà più il potente leader cinese Xi Jinping confidenzialmente "Ping", come faceva un tempo. Il Cinque Stelle nella versione aggiornata e corretta si rivolgerà con sdegno e riprovazione al feroce dittatore venezuelano Nicolás Maduro, del quale non dirà più "è uno di noi", e farà linguacce ai gilet gialli francesi smarrendo la memoria dell'antica fratellanza transalpina. Sarà per l'economia sociale di mercato con qualche accento liberista, dimenticando le sbornie dirigiste del passato. Sarà accogliente e aperturista con le masse di migranti in cammino verso l'Italia. Sarà "umanitario" come lo è George Soros. E come lo sono i soci del Club Bilderberg. Amerà il prossimo allo stesso modo dei frequentatori assidui dei salotti radical-chic e dei loro beniamini: Gino Strada, Roberto Saviano, Michela Murgia, Laura Boldrini e altra varia umanità sovrabbondata di comici, nani e ballerine. E sarà generoso con se stesso, il nuovo Cinque Stelle. Agli ex portavoce del celodurismo pentastellato Giuseppe Conte non comanderà di rispettare la regola dei due mandati all'interno delle istituzioni politiche. Il nuovo partito sarà per il diritto, che discende dal richiamo ancestrale del "Tengo famiglia", di ciascun parlamentare di perpetuare negli anni la presenza in campo, elettori permettendo, perché, si dirà a giustificazione, l'esperienza maturata vale più di desueti criteri etici e di fastidiose regole preconcette. Ma l'ex-premier non deve solo preoccuparsi di coloro che troverà parcheggiati nei box del vecchio Cinque Stelle. C'è il problema di quelli che non ci sono ma che potrebbero esserci. Il primo è Alessandro Di Battista: l'uomo dalla vita sospesa in attesa di decisione. Il descamisado grillino potrebbe e non potrebbe stare con Conte: la sentenza al momento è rinviata sine die. La telenovela Di Battista, ovvero: il mito dell'eterno ritorno. Ma l'avvocato di Volturara Appula non è Friedrich Nietzsche. Come se la caverà con la condizione posta dal movimentista: "Torno se il nuovo Cinque Stelle molla Mario Draghi"? E a tutti i creativi, i no-vax, gli apologeti delle scie chimiche, che hanno costellato in questi anni il firmamento grillino, cosa dirà per convincerli a restare? Sulla riforma della giustizia, a dare ascolto ai mea culpa di Luigi Di Maio la nuova creatura nascerà sotto il segno del garantismo. E cosa si racconterà a tutti quelli che dal 2013 con la fascia pentastellata al braccio hanno fatto dell'Aula (parlamentare) sorda e grigia un bivacco di manipoli per giustizialisti?

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E cosa ne sarà della corrispondenza di amorosi sensi con quelli della redazione de "Il Fatto Quotidiano"? Se è tramite un parto della fantasia che vedrà la luce nei prossimi giorni il nuovo soggetto politico di Giuseppe Conte, ci sia consentita una poco lusinghiera profezia che, per essere a tono con le parole ribelli dei sessantottini, riprende un motto anarchico di fine Ottocento fatto proprio dai rivoluzionari figli-di-papà della seconda Contestazione, quella del 1977: "Una risata vi seppellirà". Cristofaro Sola


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CHE CORAGGIO! Di solito, i parenti attendono la fine delle esequie prima di accapigliarsi sul lascito del defunto. Nel caso di Silvio Berlusconi politico gli ex cuccioli allevati nelle tante nidiate in Forza Italia non hanno avuto il dovuto riguardo verso l'anziano leader. Nel fuggi-fuggi generale, stimolato dalle cattive condizioni di salute del vecchio leone di Arcore, le tribù da tempo accampate all'interno di quella che è stata la casa dei liberali e riformisti (Forza Italia) stanno togliendo le tende per migrare verso lidi incogniti, non prima di aver rastrellato il possibile. Molta paccottiglia e poca argenteria (quella è già sparita da un pezzo). Mentre il capo lotta per sopravvivere (e non in senso figurato), in Parlamento nasce un nuovo gruppo politico. Si chiama "Coraggio Italia". Il promotore è il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. A dargli una mano Giovanni Toti, governatore della Liguria e fondatore del movimento "Cambiamo" il cui appeal elettorale è da prefisso telefonico. Sappiamo bene che la politica, come la rivoluzione, non sia un pranzo di gala. Lealtà e spirito cavalleresco non si combinano con la difesa di interessi smaccatamente egoistici, tuttavia Brugnaro ci consentirà ugualmente un appunto sullo stile. La sua mossa politica, riguardo ai tempi, è stata inelegante. Attendere di avere un colloquio chiarificatore con Silvio Berlusconi per spiegargli a viso aperto il perché della decisione di provocare un trauma (l'ennesimo) alla già claudicante formazione azzurra avrebbe conferito diversa dignità all'iniziativa (legittima). Di certo, non avrebbe lasciato negli osservatori quel retrogusto sgradevole da pugnalata alla schiena che l'annuncio della costituzione del nuovo soggetto politico indubbiamente lascia. E quando si comincia con il piede sbagliato, non si va lontano. Ma c'è anche una questione di sostanza che va indagata. Berlusconi, nonostante i suoi tanti meriti in politica e nelle istituzioni, un po' se l'è cercata. Il vecchio leone ha avuto a disposizione un quarto di secolo per far maturare una classe dirigente e una leadership autorevole e condivisa che avesse potuto raccogliere, al momento debito, la sua eredità e conferirle nuova linfa. Purtroppo, il "Cav" non ha lavorato per prepararla. Coloro che, di volta in volta, venivano individuati come possibili delfini del "re Sole" di Arcore o sono stati ammazzati (politicamente) nella culla, seguendo una tradizione che da Erode in poi non è mai passata di moda, oppure erano tanto inetti di loro che si sono autoeliminati senza che Berlusconi muovesse un dito. Risultato? Ciò che resta di Forza Italia è un rassemblement disarmonico di figure scarsamente dotate di carisma che si guardano in cagnesco, pronte a darsi battaglia per contendersi uno strapuntino sulla scena della prossima legislatura. Spettacolo poco edificante. Ma tant'è.

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Prendiamo atto del nuovo gruppo in Parlamento che ha messo insieme 23 deputati alla Camera e 7 membri al Senato. L'apporto maggiore viene dall'emorragia verificatasi in Forza Italia alla quale si aggiunge la pattuglia di "Cambiamo". Ai due filoni si sommano i (pochi) rappresentanti del Centro Democratico con un tocco di Cinque Stelle - la deputata Martina Parisse - che di questi tempi non guasta. Che dire: auguri e figli maschi (legge Zan permettendo). Fatta la manovra di Palazzo, ora i "coraggiosi" devono convincere gli italiani della bontà del progetto. L'idea forte non è il non plus ultra dell'originalità: ridare voce a una vasta area di moderati e liberali che non si riconoscerebbero nella radicalizzazione della politica a destra dopo l'avvento dei "sovranisti" Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Ritorna la sindrome della corsa verso un mitico centro che possa riequilibrare i rapporti all'interno della coalizione del centrodestra. É il viaggio fantastico alla scoperta del nuovo El Dorado, luogo leggendario dove starebbero nascoste le masse moderate in attesa di un David Livingstone voglioso di ritrovarle. Nella realtà, l'intenzione di Brugnaro e compagni si riduce a una competizione tutta interna alla destra nel tentativo di recuperare consensi approdati stabilmente sia nella Lega, sia in Fratelli d'Italia. Ma non esiste alcuna Atlantide del moderatismo. Morta la Democrazia Cristiana, il prorompere sulla scena del bipolarismo ha prodotto negli italiani una mutazione antropologica nell'approccio ai codici comunicativi della politica. Lo stare di qua o di là della linea di demarcazione tra due schieramenti plasticamente riconoscibili - la destra e la sinistra - non è stato un fattore transitorio, congiunturale, come invece è stato l'abbaglio ottico del tripolarismo a seguito della comparsa del Cinque Stelle, ma un elemento di trasformazione strutturale dell'ethos comunitario non reversibile mediante il ricorso ad anacronistici avventurismi. La prova? Chi per mestiere racconta o commenta i fatti della politica può esserne testimone. C'è un'opinione pubblica che si esprime attraverso i canali social utilizzando linguaggi urticanti, talvolta ruvidi quando non sfrontatamente volgari. Tocca proprio ai cronisti e agli opinionisti responsabili, che non ammiccano alla violenza verbale per meschino tornaconto personale, farsi carico del non facile compito di tenerli a bada attraverso un dialogo improntato al ragionamento e alla moderazione nella comunicazione. La gente, brutto termine per indicare l'opinione pubblica, sovente motivata dalle pessime condizioni in cui versa il Paese, dalla drammatica crisi economica che, complice la pandemia, continua a colpire soprattutto i più deboli e i meno difesi dallo Stato, non va per il sottile. Di moderazione, e soprattutto di politica come arte del compromesso, non vuole sentire parlare. Pretende piuttosto che i politici si esprimano con parole dure se necessario, ma che parlino linguaggi di verità e di coerenza. Perché Giorgia Meloni cresce nei sondaggi? La linearità della sua posizione le dà credito. Quand'è che i leader (veri o fasulli) del centrodestra sono calati nei consensi? Quando hanno cominciato a confondere le acque sul posizionamento in campo; quando hanno promesso di stare da una parte e poi si sono buttati dall'altra. È pura bizzarria credere che vi siano tanti italiani disponibili ad accordare fiducia a formazioni neo-centriste le quali, soprattutto nel caso di una riforma in senso proporzionale della legge elettorale, una volta approdate nel nuovo Parlamento siano pronte a darsi al migliore offerente,


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tra la destra e la sinistra. Resta in piedi la questione del lascito liberale. Spiace comunicarlo agli interessati ma anche su questo fronte arrivano in ritardo. Fintantoché fosse stato in circolazione un Salvini iper-sovranista e anti-europeista, una zona franca del pensiero liberale avrebbe avuto piena cittadinanza all'interno di una destra egemonizzata da popolari, conservatori, populisti e sovranisti. Ma la pandemia lo ha cambiato. O meglio, ha dato la spallata decisiva a un processo evolutivo da tempo in atto nella Lega. Il mondo dei media, malato di superficialismo, ha trascurato un evento significativo sul quale avrebbe dovuto puntare i riflettori anziché prendere a irridere il leader leghista. Era l'ottobre del 2020 quando si diffuse la notizia che Matteo Salvini aveva avviato un dialogo sul liberalismo con il "maestro" Marcello Pera. Era il segnale della svolta. La Lega, abbandonando le barricate della resistenza ai poteri forti, all'eurocrazia e la lotta contro la moneta unica, deviava in direzione del recepimento delle istanze liberali provenienti da una parte consistente del proprio blocco sociale di riferimento. Il primo effetto del riposizionamento strategico: la ridefinizione della categoria concettuale, fino ad allora sostenuta, di "sovranismo". Il secondo: l'appoggio convinto a Mario Draghi, già banchiere centrale dell'Unione europea. Specularmente, anche Fratelli d'Italia ha corretto la rotta. Dal nazionalismo tout court si è riposizionato su visioni proprie del pensiero conservatore anglosassone. La virata leghista ha convinto molti liberali a convergere su Salvini e, nel contempo, ha silenziato la componente dell'anti-europeismo intransigente della sua constituency. Pensate che i liberali, una volta accasati nel perimetro leghista, siano disposti a tornare sui propri passi solo per il fatto che un pur bravo sindaco e un capace governatore di regione dicano loro: "Eccoci qua"? Comunque, da sostenitori della libera impresa in libero mercato non possiamo che guardare con curiosità a ciò che combineranno d'ora in avanti i "coraggiosi", nella consapevolezza che un insieme caotico di cespugli non facciano una foresta. Riguardo a Forza Italia, dopo quest'ultimo scossone è bene che si dia una regolata e decida cosa essere da grande. Che possibilmente non sia di somigliare alla sala d'aspetto di una stazione ferroviaria con tanta gente in procinto di squagliarsela. Valigie in mano e masserizie in spalla. Cristofaro Sola

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COMPLOTTO Doverosa premessa : dicesi complotto un " intrigo rivolto "c-o-p-e-r-t-a-m-e-n-t-e " a danno di enti o persone". Copertamente (nella dissimulazione, appunto). Tra carissimi amici di una vita o tra più recenti conoscenti di un vecchio pensionato quale io ormai sono da anni e con i quali esiste comunque vicendevole scambio di stima personale e cortese dialettica di opinioni, un particolare fenomeno sembra ricorrere sempre più spesso quando, in una qualsiasi conversazione sull'attualità pandemico-politico-culturale dei giorni nostri (e relativa, eventuale genesi), a qualcuno degli astanti sfugga malauguratamente di bocca la parola "complotto". Nel sentire tale vocabolo, in più d'uno degli interlocutori scatta infatti - parafrasando analoga azione da parte di nefasto gerarca nazista (o di chi per lui) la cui mano correva subito alla pistola non appena egli udiva la parola "cultura" - una subitanea reazione di infastidito rigetto: "complotto" ? al giorno d'oggi? ma non scherziamo, non c'è alcun complotto! pandemia, disastro economico, crisi politico-istituzionale? le cose succedono perché debbono succedere con l'unica conseguenza del dover tentare di porvi rimedio nel modo meno maldestro possibile!" Amen. In buona sostanza l'attuale tourbillon sanitario, economico, sociale e politico nazionale ed internazionale innescato, di punto in bianco, dal Covid 19 sarebbe un semplice frutto dell'evolvere della storia nella suo più erratica casualità. Complotto organizzato? Ma non scherziamo e soprattutto non diciamo idiozie! Sapete cosa io pensi di tutto quanto sopra? Che sia assolutamente vero! I miei amici abbiano perfettamente ragione: dal loro punto di vista il vedere nel tutto un complotto è cosa assurda, se non ridicola. E sapete perché? Perché i miei cari e bravi interlocutori non riescono ad immaginare il fenomeno complotto se non che nelle forme più iconografiche della relativa, secolare tradizione: individui incappucciati, sguardi sfuggenti in tetre oscurità, piccoli usci misteriosi che si aprono e si richiudono furtivamente in anonimi vicoli, silenzi, messaggi in codice, simboli allusivi… . E ci sarebbe anche da domandarsi : " Il tutto a quale scopo?" Per accordarsi, direi, in modo riservato nell'ambito di un'intesa non esplicitata comunque in modo formale, i cui effetti avrebbero poi dovuto auspicalmente dipanarsi tra la gente comune ed alla luce del sole. Massoneria, Beati Paoli, Carboneria, Mano nera, Ndrangheta, Mafia, Loggia P2 e chi più ne ha, più ne metta, hanno tutte seguito nei secoli similari percorsi di una qualche forma di liturgia:


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pochi individui ben selezionati in grado di poter poi disseminare, nei relativi consorzi esterni, verbo e determinazioni prese nel segreto consesso e condizionare poi estranei all'organizzazione che, benché ignari della genesi del "diktat", ne avrebbero poi eseguito, appunto, i "dettati". E ciò, senza essere in grado di risalire al vertice della catena decisionale e di comando ove tali "diktat" sarebbero stati appunto ideati ed elaborati. In sostanza un oggettivo quadro di: 1) occulta logistica decisionale, 2) passaparola individuale di tipo "one-to-one" per veicolare l'idea/azione tra la variegata popolazione esterna. E' evidente che così come è rischiosa la logistica per la genesi , diciamo, "creativa" della iniziativa/azione, altresì erratica, segmentata ed incerta ne è la diffusione organizzativa e realizzativa. Immagino quindi che sarebbe stato molto interessante il poter osservare dal di fuori i preliminari momenti complottistici e decisionali di, chessò, la presa della Bastiglia del luglio 1789, nonché i vari, successivi passaggi implementativi da parte dei sans culottes parigini. Oppure, ed in modo analogo, poter visionare il percorso di un omicidio "eccellente" dal suo momento "decisionale", in seno ad una cupola mafiosa, alla sua successiva esecuzione materiale. Di conseguenza, ove il concetto di complotto lo si volesse intendere come percorrente gli schemi iconografici di cui sopra, i miei amici avrebbero perfettamente ragione: parlare infatti di complotto (nell'attuale situazione socio-economico-sanitario globale in cui si trova oggi una società del tutto interconnessa) nel senso classico del termine non avrebbe senso, non sarebbe pertinente ai tempi. Nel passato infatti i cosiddetti complottisti dovevano conoscere in modo diretto almeno un "qualcuno", recarsi fisicamente presso un determinato luogo segreto, individuare ed acquisire, in pratica uno per uno, i possibili accoliti/seguaci attraverso una sorta di pesca all'amo, lunga, defatigante, dispersiva e pericolosa. Oggi invece c'è … la rete, il Web, l'onnipresente ed onnipotente INTERNET, i diversificati "social". Il "luogo" di incontro-contatto è la "nuvola elettronica" che tutto sovrasta e pervade, ove si è tutti, al contempo, "cospiratori" pre complotto e parte "esecutiva" esterna dell'azione post complotto. Non è più necessaria la lenza, ormai si pesca a… strascico. Modo facile, sicuro, efficace e, soprattutto, redditizio, questo. L'odierna Internet (rete, appunto) è, infatti e paradossalmente al contempo, sia camera occulta di congrega che immensa platea esecutrice e, per di più, alla luce del sole. I due ben distinti momenti fondanti del complottismo del tempo che fu (il nucleo di ideazione, ristretto, e la massa esecutrice, ampia) si sono ora fusi in un'unica entità ideatrice/esecutrice di cui è spesso difficile distinguere chi guidi e chi esegua, chi proponga e chi si adegui. Le parti a volte si scambiano e, in tempi brevissimi, i ruoli invertono le relative posizioni. Una sorta di veloce gioco elettronico delle tre carte che confonde funzioni e priorità, ma con il costante risultato finale che - a condizione che colui che gestisce la partita controlli costantemente la dinamica dell'evento, tenga gli occhi aperti e sia molto reattivo - detto gioco andrà a concludersi nei modi desiderati ed opportunamente predisposti dal controllore stesso.

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Domandiamoci allora : coloro che controllano il Web e, di conseguenza, i più disparati mezzi di comunicazione di massa, sono in grado di: 1. Indirizzare il flusso delle informazioni? Risposta : "Si!" 2. Inserirsi in tale flusso con spunti, suggerimenti o suggestioni mirate ad uno specifico fine? Risposta : "Si!" 3. Fornire modelli valoriali e comportamentali tali da spingere una massa amorfa ed acritica a riconoscersi ed allinearsi a modelli, idee, congetture e "forma mentis" gradevolmente indotte se non addirittura inculcate in modo subliminale e controllarne le risultanze? Risposta : "Si!" Ed inoltre: 1. Costituiscono tali monopolisti un numero molto ristretto rispetto alla sterminata massa di umani che nella sua stragrande maggioranza non ha altra fonte di "scibile" se non che i social, i telefonini, il web e la televisione? Risposta :"Si!" 2. Possono coloro che vogliano perseguire un tal genere di finalità agire nella più assoluta riservatezza ed oscurità (la luce azzurrognola dei propri computer nel buio di una moderna stanza invece degli archiviati usci segreti e cappucci calati sugli occhi per occultare fisionomie ed identità)? Risposta :"Si!" 3. Può il destinatario finale di ogni sorta di indotto convincimento venire efficacemente raggiunto - nell'intimità della propria cameretta o nel luminoso soggiorno di casa davanti ad un bel televisore) da ogni notizia, indicazione, suggerimento, valutazione o minaccia che, da un ristretto centro di irradiazione possa raggiungere tutti in modo chiaro, semplice, comprensibile e soprattutto non contraddittorio? Risposta : "Si!" 4. Ed infine, può l'interconnessione planetaria del Web fare in modo che un semplice spunto propositivo partito da un unico punto di origine possa produrre il famoso, e classico, effetto del battito d'ali della farfalla tropicale che scatena il tornado in Florida ? Risposta: "Si!" Mi sentirei di allora di poter affermare che l'immagine di un popolo, Montanelli dixit, di "pecore anarchiche", indotto, senza colpo ferire e senza un regime di conclamata dittatura poliziesca, a chiudersi spontaneamente in casa per mesi, indossare acriticamente mascherine, anche se all'aperto e distanziati, e diventare ciascuno l'occhiuto controllore/delatore del proprio vicino, la dica lunga sull'efficacia e capillarità di un tale condizionamento di massa. E se volessimo inoltre indicare un esempio molto significativo, che dire dell'ormai consolidata vulgata universale del cosiddetto "politicamente corretto a prescindere", il cui trasgredire (in pensieri, parole, opere od omissioni - ci si è messo persino Erdogan col suo divano! -) pone ormai l'individuo occidentale in una condizione peccaminosa definibile ormai di natura morale per non parlare dell'ormai consolidato disagio comportamentale di tipo sociale? In quale specifico ambiente, locale, congrega o parrocchia il credo cogente della predetta correttezza politica è stato formalmente concepito e quindi diffuso sotto forma di un vero e proprio obbligo socio/culturale? Direi proprio in nessuno luogo fisicamente identificabile o da parte di alcun individuo singolarmente preso. Eppure il complotto/dittatura del politicamente corretto, pervade ormai strati sempre più ampi della società e trova convinti sostenitori nonostante i


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relativi "ideatori" e "propugnatori" non siano mai stati identificati per nome e cognome così come non lo è mai stato la localizzazione di un qualche "centro" logistico di natura propositiva. La correttezza politica, tanto per restare nell'esempio, è dunque una vera e propria figlia dell'elettronica in senso lato, di quel misterioso, impalpabile "BIT" che è, al contempo, causa ed effetto, origine e fine, genitore e figlio di se medesimo, una circolare, autosufficiente, monadica realtà, un'ALFA ed un OMEGA di natura autoreferenziale in cui tutti, indistintamente e nel medesimo dramma, si interpreti sia il ruolo di carnefici che di vittime (e viceversa). Che dire allora? Risponderei: "cari amici miei, si tratta ormai di una sorta di "Complottismo tipo 4.0"; di un capitalismo globale della sorveglianza individuale ; che per i manovratori di tale odierno fenomeno, l'operatività, l'influenza ed i risultati/conseguenze di tale agire stanno al complottismo d'antan (fatto di cappucci e segreti) come le carrozze a cavalli stanno all'automobile". Va inoltre sottolineato come il complottismo di iconografica memoria, da un lato, e l'odierno, sottile, ma pervasivo convincimento/condizionamento mass-mediatico, dall'altro, condividano comunque l'analoga genesi data dall'azione di pochi mirata ad influenzare il comportamento di molti. Ed infine, se in tempi passati tali azioni richiedevano di doversi ammantare di oscurità e prudenza dato che esse potevano ben dare un qualche fastidio al potente di turno, oggi, nella totale assenza anche di quest'ultimo elemento di tipo, direi, personificabile (intendendo per tale l'individuazione di un uno specifico depositario del potere nelle nostre cosiddette democrazie occidentali) si dovrebbe ormai meglio definire il termine complotto , di cui all'incipit di questa breve nota, nel modo seguente: "dicesi complotto un intrigo rivolto "a-p-e-r-t-a-m-e-n-t-e " a danno di enti o persone". Apertamente (alla luce del sole,appunto). Antonino Provenzano Roma, 26 maggio 2021

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LA DIFESA E’ SEMPRE LEGITTIMA Programma televisivo "Diritto e rovescio" trasmesso da Rete4 il dieci giugno 2021, condotto dal giornalista Paolo Del Debbio. Tra gli argomenti trattati spicca quello sulla legittima difesa, reso attuale per l'ennesima volta in virtù di quanto avvenuto nel corso della notte a Piossasco, in provincia di Torino, dove due malviventi hanno ucciso l'architetto quarantanovenne Roberto Mottura. Penetrati nell'abitazione, i ladri incappucciati sono stati sorpresi in cucina dalla moglie dell'architetto che, scioccata, ha obbedito alla loro intimazione di ritornarsene in camera da letto, al piano superiore, dove ha riferito al marito la presenza degli estranei. L'architetto istintivamente si è precipitato in cucina ed è stato freddato a bruciapelo nonostante fosse disarmato. Nello studio televisivo discutevano della vicenda la bella e dolce parlamentare leghista Silvia Sardone, il vicedirettore de "La Verità", Francesco Borgonovo, due loschi figuri della sinistra più becera (ammesso e non concesso che ne esista una diversa), dei quali decenza impone non siano citati i nomi e, mi duole dirlo, Alessandro Cecchi Paone, mio direttore quando fungevo da inviato del settimanale "Sì", che ai due loschi figuri ha tenuto bordone. La Sardone si è espressa in modo chiaro, semplice e lineare: "Quando un ladro entra in casa tua non lo fa per rimboccarti le coperte e quindi chi si difende proprio non dovrebbe andare a processo, in alcun modo. Quello che mi dà fastidio è che la sinistra sembra avere sempre questo atteggiamento di quasi difesa del delinquente, [asserendo frasi del tipo] "noi non vogliamo il Far West", "vediamo fino a che punto si è difeso, se c'era un eccesso, se si è difeso un po' più di quanto avrebbe dovuto". Mai, e dico mai, una parola nei confronti delle tante persone che muoiono, che rimangono ferite, che subiscono violenze in casa propria. Io questa roba non riesco proprio a digerirla. Non ho sentito parole da parte della sinistra per quanto accaduto a Torino (si riferiva ai fatti di Piossasco, che fa parte della città metropolitana di Torino, N.d.R.), le sento, invece, ogni volta che qualcuno si difende e magari spara al ladro. In tale circostanza ogni volta la sinistra [si esprime con frasi come] "Eh no, perché si è difeso, ma era di spalle, era davanti, era di fianco". Fino a che punto era legittimo il comportamento messo in atto da chi si è semplicemente difeso, perché questa persona (l'architetto Mottura, N.d.R.) è rimasta uccisa per difendere la moglie, in casa propria! Questo comportamento va considerato per quello che è (ha dimenticato di dire, essendo visibilmente agitata e indignata per quanto asserito prima da Paone, che l'architetto è sceso "disarmato" e nonostante ciò gli hanno sparato, N.d.R.).


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Possiamo dire che chi entra in casa mia sbaglia e quindi io mi posso difendere sempre e senza limiti?" La riproduzione testuale di un discorso, pronunciato in diretta televisiva, in presenza di ben tre ospiti ostili che si producono in smorfie di dissenso durante l'intervento, con il tipico atteggiamento di chi vuole far trasparire che chi stia parlando sia un cretino, necessita di una cesellatura per evitare fraintendimenti. La Sardone si è sforzata di esprimere concetti forti con parole non eccessivamente forti e questa è impresa non facile, che riesce bene solo a chi abbia una eccellente proprietà di linguaggio, scaturita da una profonda cultura umanistica e, nel caso di specie, anche giuridica. Per correttezza informativa va comunque detto che la Sardone è un avvocato con master in Business administration. Nondimeno, per evitare di apparire aggressiva, ha penalizzato l'esposizione, utilizzando, per esempio, un verbo non certo appropriato, "sbagliare", per caratterizzare l'azione di un ladro, invece di sostenere con veemenza che chi entra in casa per compiere un crimine non può essere trattato con i guanti bianchi e quindi ogni cittadino, per tutelare la propria famiglia, quanto prima gli spara tanto meglio fa, perché non può prevedere le azioni e reazioni. Dopo di lei hanno parlato i due loschi figuri, ribadendo come un mantra il solito stupidario sinistrorso, che obbliga gli ascoltatori di buonsenso o a cambiare canale o ad assumere una bustina di Buscopan per evitare i crampi intestinali. Il giovinastro di "Potere al popolo", con voce quequera e dizione approssimativa, tipica degli studentelli modello 4 meno meno, sforzandosi di sciorinare un'aria da cattedratico che lo ha reso ancora più ridicolo, ha esordito asserendo di ritenere "che la questione sia talmente seria, troppo seria, per fare questa demagogia spicciola", per poi continuare, lamentoso, con i cittadini che non vanno armati perché tocca allo Stato difenderli. Nell'attesa che lo Stato si attrezzi per impedire ai delinquenti di entrare nelle case, pertanto, i cittadini si facciano derubare, picchiare e ammazzare impunemente, lascino che drogati e criminali di ogni specie violentino mogli e figlie e soprattutto facciano attenzione a non arrecare loro alcun danno fisico per evitare di essere processati e magari condannati a lauti risarcimenti, come purtroppo è successo a Mirco Franzoni, che ha dovuto risarcire i familiari del ladro sorpreso nella casa del fratello con 125mila euro. Sorte ancora peggiore è toccata a Ermes Mattielli, che sparò a dei malviventi mentre rubavano in un suo locale, provocando loro "lievi ferite". Nonostante ciò, dopo un lungo calvario giudiziario, è stato condannato a cinque anni e quattro mesi di carcere per duplice tentato omicidio e a versare 135mila euro a titolo di risarcimento. Era un semplice robivecchi e la disperazione per la terribile condanna lo ha portato alla morte per crepacuore. I suoi beni e la casa sono finiti allo Stato per essere destinati ai malviventi che, curate le lievi ferite, hanno potuto riprendere serenamente la loro attività delinquenziale. La lista in tal senso è davvero lunga e l'ingiustizia di Stato ha colpito anche il benzinaio di Bari Enrico Balducci, che si è visto richiedere un milione di euro di risarcimento dai familiari del rapinatore ed ha avuto subito un sequestro di 170mila euro da parte del giudice; Franco Birolo, tabaccaio padovano, è stato condannato a risarcire un bandito moldavo con 325mila euro. Analoghe vicende hanno

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riguardato Mirco Basconi, Mauro Pelella, Marco Dogvan, Antonio Monella e chissà quanti altri ancora. Dopo l'esponente di "Potere al popolo" è toccato a un cupo napoletano della banda renziana, il quale ha ribadito gli stessi concetti, aggiungendo che, contrariamente a quanto auspicato dalla Sardone, chiunque si permetta di difendersi dall'aggressione di un malvivente va sempre processato perché solo il processo può stabilire la verità. Abbiamo visto come. COSA PREVEDE LA NUOVA LEGGE SULLA LEGITTIMA DIFESA Con le modifiche apportate nel 2019, la legge sulla legittima difesa "dovrebbe" consentire di difendersi più adeguatamente in caso di illecita introduzione nella proprietà privata, sempre, però, che la difesa sia proporzionata all'offesa. Di fatto è possibile reagire con la forza solo se la difesa costituisca l'unica scelta per preservare un diritto proprio o altrui e se sussista il pericolo attuale (cioè, ancora in corso) di subire un ingiusto danno. Va precisato che se un tizio, per esempio un gioielliere al quale siano stati sottratti articoli di ingente valore economico, spara al ladro mentre lascia la gioielleria per recuperare la refurtiva, sarà processato e condannato per tentato omicidio o omicidio, oltre a risarcire con ingenti somme il delinquente, come abbiamo visto innanzi. La legge prevede due modi di interpretare la proporzionalità tra difesa e aggressione. Il primo lega la nozione ai mezzi utilizzati per difendere e offendere e ciò vuol dire che la difesa è legittima se Tizio, aggredito, reagisce con la "stessa arma" di Caio, aggressore. Interpretazione insulsa: Caio, di fatto, se intento a svaligiare la casa di Tizio con la pistola in pugno, potrebbe essere ucciso solo se Tizio possedesse una pistola. Se gli spara con un fucile o lo colpisce con qualsiasi altra arma, passa lui dalla parte del torto. Il secondo modo collega la proporzionalità ai beni giuridici in gioco. Se Caio svaligia la casa di Tizio, quest'ultimo non può ferirlo o ucciderlo, anche se brandissero la stessa arma, perché il bene giuridico aggredito da Caio, ossia il patrimonio di Tizio, è meno importante, nella scala dei valori costituzionali, della vita di un rifiuto umano. Pazienza se la refurtiva riguardi beni che abbiano ingente valore economico e ancora più ingente valore affettivo: prego signor ladro, faccia con comodo e se vuole si serva pure da bere. Per quanto concerne l'aggressione all'interno dell'abitazione o in ogni altro luogo dove sia esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale, la legge si differenzia rispetto all'intrusione protesa al furto perché il giudice non dovrà verificare se il proprietario di casa, nel tutelarsi, abbia utilizzato mezzi proporzionati all'offesa, né che vi fosse necessaria proporzione tra i beni giuridici in gioco. L'arma utilizzata per difendersi deve però essere legittimamente detenuta e la minaccia per la propria incolumità deve essere reale. La legge, infine, ha inteso correggere la disciplina dell'eccesso colposo di legittima difesa, che prevedeva l'imputazione se, per esempio, sparando in aria per allontanare un ladro, a causa della concitazione del momento, lo si colpiva accidentalmente. Questa eventualità oggi è regolata dal "grave turbamento", che esclude ogni sorta di imputazione. Che si può dire di questa legge?


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Al netto dell'ultima parte, risulta evidente che si sia tentato di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, cosa che, ovviamente, non è mai risolutiva. Non si è tenuto conto di ciò che realmente accada quando si subisca un'aggressione, per strada, nel posto di lavoro, nella propria abitazione, di giorno, di notte. Non si è tenuto conto di cosa si provi quando si avverta una minaccia per sé stesso, che può anche indurre a una reazione "ragionata", se si possegga la giuste dose di freddezza, e quando invece si vedano minacciati i propri affetti: moglie, figli, genitori. Non si è tenuto conto delle innumerevoli circostanze che possano impedire di valutare, in meno di un secondo, quale debba essere la reazione più adeguata a non incorrere nei rigori della legge. La Sardone si sarà anche espressa con un linguaggio semplicistico, ma a volte la spiegazione più semplice è quella più valida. La difesa è sempre legittima, perché nessuno ha il diritto di minacciare l'incolumità altrui. La difesa è sempre un dovere, quando serve a salvaguardare la vita di una persona cara, in particolare i figli. Nessuno deve essere processato se si difende in casa propria, nel posto di lavoro o in qualsiasi altro luogo, perché è impossibile stabilire in pochi attimi la proporzione tra offesa e difesa. Qualcuno si può trovare anche al cospetto di un malvivente che impugni una pistola giocattolo così ben fatta da renderla irriconoscibile: l'effetto è lo stesso e pertanto, se legittimamente possessore di un'arma, valutando l'opportunità di una reazione al momento opportuno, deve avere la possibilità di difendersi senza doverne patire le conseguenze. A differenza di quanto sostenga il babbeo napoletano della banda renziana, un processo da imputato, per una vittima innocente, è un evento devastante che sconvolge la vita, senza considerare che una persona per bene, costretta a difendersi e magari a ferire gravemente o a uccidere qualcuno, già per questo avrà la vita cambiata, e non certo in meglio. Si cambi la legge pertanto, e si correggano le troppe antinomie che in essa si riscontrano, perché solo il giorno in cui sapremo tutelare le persone per bene più di quanto non si tutelino i delinquenti potremo definirci un Paese civile. Con buona pace dei sinistrorsi e delle loro masturbazioni mentali: vadano pure a quel paese e ci restino il più a lungo possibile. Lino Lavorgna

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CARROZZE L'organo si adatta alla funzione che lo modifica e, a sua volta, trasforma la funzione e così all'infinito. La natura non sta mai quieta e così gli uomini. Vedi il caso della collezione di carrozze costituita da mio padre intorno agli anni 70 del secolo scorso (quanto inquieta questo modo di dire) che venne da lui creata per destinare un grande magazzino, da tempo ormai in disuso, riempiendolo di oggetti adeguatamente grandi e conformi. Era un locale con un grande tetto in legno, lascito della occupazione da parte dell'US Army dopo lo sbarco in Sicilia, ubicato nella proprietà proprio lungo la direttrice per Palermo nella corsa campestre ingaggiata tra Patton e Montgomery che si rincorrevano in compagnia di qualche milione di soldati. Mai si seppe per quale oscuro motivo vennero realizzati questi ed altri simili edifici all'interno della tenuta, presto fatti e presto abbandonati, mentre si capiva benissimo essere a causa della loro ignoranza - degli americani si intende - che erano stati distrutti i pavimenti in maiolica settecentesca della villa e data una mano di calce sugli affreschi della villa e della cappella, trasformata in centrale radiotelegrafica. Ma procediamo. Fu dunque per un horror vacui che si imponeva di attribuire una funzione a quel grande ambiente e fu dopo aver ricevuto in dono un calessino e un Pony addestrato che venne la voglia di estendere questo pezzo, dando origine ad una collezione più corposa. Si cominciò con l'adocchiare il calesse del lattaio che, a ben vedere, nascondeva sotto stracci e pareti di cartone un "Duc des dames" di discreta fattura, continuando, con scoperte successive in altre proprietà ed a volte sotto secoli di paglia, all'emersione di "scappa cavalli" del bisnonno e "domatrice" di prozii. Si aggiunsero, verso il limite raggiunto della capienza del locale, anche due carrozze per bambini di ottima fattura, del tipo che si vedono nel film Barry Lyndon, tirate da una pecorella. Come per magia, ma noi diciamo per Serendipity, emersero anche finimenti, collane da traino a quattro, tutto l'armamentario di cuoio rinsecchito che completava la dotazione di quei legni dimenticati da quasi un secolo di meccanizzazione. Fin qui si verificò come il collezionista crei col suo stesso desiderio gli oggetti che vogliono entrare a far parte della collezione e come sia dovuto solamente ad una mera mancanza di


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desiderio se dal fondo dei cassetti e dai cuscini delle poltrone di casa non vengano fuori a profusione marenghi e sterline d'oro. Questo processo però si arrestò di fronte alla ricerca del "complemento biologico" delle carrozze : i cavalli . Per quanto ci si pensasse con insistenza queste bestie però tardavano a manifestarsi, anche perchè nel breve lasso di tempo di un mezzo secolo esse erano state del tutto sostituite dai motori, relegando all'oblio esseri senzienti che si erano sacrificati per noi nell'arco di centinaia, migliaia di anni. La ricerca si orientò allora verso l'immondo mercato dei cavalli destinati alla macellazione provenienti per lo più dai Paesi Bassi o dalla Romania e trasferiti a Napoli o a Palermo, la loro Auschwitz, per esservi macellati. Ora si sa che i cavalli più sono monumentali più si atteggiano a mucche, placide e obbedienti e infatti papà si innamorò di due di queste giumente: una baia e una grigia, incontrate allo scalo di Palermo, le più dolci e grasse del gruppo. Fu con vera commozione che l'acquirente le scelse cosciente della salvezza che regalava loro, fu con altrettanta commozione che le due prescelte lasciarono le compagne senza guardarle quasi vergognandosi della loro fortuna. Più agevole fu l'attribuire loro un nome: alla grigia per le enormità dei suoi fianchi e l'ampiezza del petto generoso fu attribuito il nome di la "Tabaccaia" tratto dal personaggio di Amarcord, tanto apprezzato da mio padre; all'altra non ricordo. Alle prime prove la Tabaccaia si dimostrò essere un vero trattore che procedeva con un trotto lento ma costante tirando un "Dogkart" per niente leggero. Nel frattempo la collezione si arricchiva di nuovi legni fino alla completa saturazione dello spazio del capannone che allora venne correttamente denominato "la rimessa". Le carrozze erano tutte scelte con il criterio di essere del tipo a guida padronale, senza cioè cocchiere, al fine di non dover costringere alla sua ricostruzione filologica riproponendo livree, tube, eccetera. Seguirono alla Tabaccaia altri cavalli, ultimo fu Nettuno, proveniente dal mondo delle corse al trotto, radiato da quell'ambiente mafioso causa le modeste performance e quindi anche lui destinato alla macellazione. Nettuno era una bella bestia, dal pelo lucido e la testa piccola, le forme e gli appiombi da manuale e papà se ne innamorò immediatamente. Non crediate esagerato usare il termine innamorarsi riferito ai cavalli: essi sono animali che riempiono il cuore al solo guardarli, seguono, per chi li sa apprezzare, solo le donne nella classifica della bellezza del mondo; per gli uomini poi anche gli stalloni alteri e sospettosi incarnano la potenza degli dei. Per le donne non so, vedete voi. Un triste giorno papà decise di attaccare Nettuno per fare una passeggiata e, vedendolo avviarsi per la stradina di campagna, pensai fosse più prudente che mi unissi a lui, ormai in età avanzata. Ma ora si cambia registro e si impone un inciso al racconto. Nell'affrontare la discesa si ruppe una tirella e la carrozza andò a sbattere sul posteriore di Nettuno. In preda al panico il poveretto aveva già abbassato le orecchie in segno di terrore ed io

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mi resi conto che, vedendo papà in grande difficoltà per trattenere il cavallo, dovevo scendere in corsa dalla carrozza per fermarlo attaccandomi al morso. Fu un tutt'uno. Nettuno arrestò la sua corsa sfrenata ma mise le zampe in una profonda cunetta ribaltandosi addosso a me. Il suo ragguardevole peso causò immediatamente gravi danni al mio bacino, aggravati dagli aiuti improvvisati di vicini accorsi che, con la aggravante delle migliori intenzioni, mi vollero mettere in piedi. Seguirono diagnosi di immediata amputazione della gamba sinistra, quindi volo a Bologna, intervento operatorio, ingessatura per due mesi, pendente al contempo da parte dell'Esercito italiano una ricerca del fante Provenzano sospettato di renitenza alla leva per non essere più tornato dalla licenza, nonchè mesi di riabilitazione, stampelle e il resto lo potete immaginare. Ma teniamo in sospeso ancora per un po' questo racconto e continuiamo a rovistare tra i ricordi che ormai si ammantano di universalità adeguata a scrivere addirittura una frazione della storia mondiale. Mi riferisco al mio servizio militare. Dopo due mesi di gironzolare nella Piazza d'Armi del centro addestramento reclute in preparazione del fatidico giorno del giuramento, esito cui tendeva tutto quel agitarsi inutile di circa 2000 uomini interrotto a scadenza fissa dallo svilupparsi di incendi distruttivi sulle pendici dei monti intorno, mi era ormai apparso chiaro che al battere del tamburo della fanfara del reggimento che ci accompagnava per le prove dell'agognata cerimonia, si dovesse mettere a terra, dei due, il piede destro, fatto questo che non tutti quanti ostentavano. Rassicurati da tanto addestramento venne il giorno fatidico del giuramento. Sveglia alle quattro del mattino, adunata sul molo del porto, schieramento sull'attenti dopo alcuni svenimenti di commilitoni insofferenti all' elmetto, distribuzione dei guanti bianchi( almeno una volta lo erano) e, alle ore 11:00, inizia la cerimonia. Il generale addetto a simili eventi tesse il panegirico del 60º reggimento fanteria Calabria, che si era distinto nella presa di Gorizia, notizia questa che ci colse soddisfatti mentre altri commilitoni continuavano a cadere come pere cotte per stanchezza e disidratazione. Ancora pensosi del favore che ci aveva riservato Gorizia di distare migliaia di chilometri dal nostro luogo, dopo il fatidico "lo giuro", che onestamente commosse tutti, inclusi i più cinici toscanacci , ebbe inizio lo "sfilamento" sotto il palco delle autorità gremito dai maggiorenti locali, si vociferava perfino di un ministro, non pervenuto, e l'immancabile cardinale che presenziava simili manifestazioni con il favor dei. Il primo colpo di tamburo della banda mi vide partire col piede giusto, cosa che verificai anche con i successivi, con grande mia soddisfazione. Ora devo aggiungere che non essendo di struttura idonea al volley ero stato piazzato in prima fila della prima compagnia primo plotone, in posizione quindi esposta e riconoscibile. Alla fine del primo miglio mi si accosta il capitano comandante la compagnia con la sciabola sguainata che, a mezza bocca, mi intima di cambiare passo, ma io, sicuro del fatto mio, risposi, a mezza bocca, che io ero giusto: che cambiassero passo gli altri 1999. All'udirlo il capitano prese in volto tutte le nuance del viola e mi disse "te ne pentirai" frase che


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attribuì ad un 'atavica avversione agli architetti, come risultavo dalle mie note personali, oltre che alla fermezza che manifestavo nella mia disobbedienza. Terminata la manifestazione, tornati tutti alla caserma, vidi il capitano con famigliola che tornava a casa propria e questo mi rassicurò. L'indomani il caporale di giornata si avventò sulla porta della camerata e a gran voce mi chiamò aggiungendo che ero richiesto con urgenza dal colonnello comandante del reggimento. Questa ferale notizia significò per me riaccendersi in un lampo la malcelata minaccia del capitano e mestamente mi avviai verso il comando. Dopo lunga attesa mi presento al colonnello che mi dice che il mio comportamento alla sfilata del giuramento era stato notato dal comandante generale della regione militare che mi aveva proposto per una licenza premio. Sollevato per il mancato rimprovero mi recai in campagna dove i miei trascorrevano l'estate. Fu proprio in quell'occasione che un cavallo, appunto Nettuno, mi rovinò addosso incolpevolmente, procurandomi gravi lesioni ossee. Ecco come si legarono i destini miei, del cavallo, di mio padre e naturalmente delle carrozze. Se volessimo ora ripercorrere quanto finora raccontato alla vana ricerca di un motore immobile della concatenazione degli eventi, di un possibile originario colpevole di questa vicenda del tutto irrilevante nel bilancio della storia dell'uomo, ma centrale per me e per le sue conseguenze negative potrei così elencare i soggetti cui eventualmente attribuire colpe specifiche e distinte. Nell'ordine: la follia dello smargiasso tedesco che scatena una guerra mondiale, e per giunta la seconda; la conseguente necessità di sbarcare in Sicilia di un esercito alleato che insegua i tedeschi fino a Messina; la fortunosa ubicazione del magazzino da costruirsi da parte dell'esercito americano; sicuramente lo zampino di Patton nel decidere di realizzare quello stesso magazzino; la sua ampiezza che suggerì di riempirlo di carrozze e non per esempio di automobili antiche o di trichechi impagliati; la mia ostinazione nel non voler cambiare passo; la utilissima specializzazione dell'ospedale bolognese nel riaccorciare ossa rotte etc.,etc.. In ambito familiare però questo lungo e incongruo elenco è collassato, da allora, nel detto, usato nelle più inusitate occasioni: " avessi dato retta al capitano !" Fausto Provenzano

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RIFLESSIONI SU CARAVAGGIO (Nella foto: Caravaggio, Deposizione di Cristo, 1602/1604, Olio su tela 300x203 cm, Pinacoteca Vaticana) MICHELANGELO MERISI detto IL CARAVAGGIO , Milano - 29 settembre 1571 - Porto Ercole - 18 luglio 1610. La vita di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio è stata una vita sempre in fuga, molto disordinata e violenta, vissuta senza pace ne' leggi. Egli ha inteso la propria esistenza con uno spirito di libertà totale fino ad un senso autodistruttivo. Negligente nel portamento, vestiva drappi e velluti nobili per adornarsi, finché non gli cadevano in cenci.... volto aggressivo e severo, con la spada sempre pronta ad essere sfoderata. Perennemente in conflitto col mondo, nonostante la sua dissolutezza, l'artista lascia un'eredità così potente da rivoluzionare il tranquillo ambiente artistico romano e da lasciare alle generazioni future. Le opere del Caravaggio sono state e sono un riferimento da cui non si può prescindere. La grande arte del CARAVAGGIO …Forma- Luce- Colore- Movimento In poche parole una grande arte di forte grinta e personalità indiscusse, una cosa unica nel grande panorama della pittura. Questo artista e' passione, violenza, dramma, partecipazione e verità. Nelle sue opere troviamo il gioco infinito del chiaroscuro e della luce. Opere come scene teatrali di grande meravigliosa drammaticità. Purtroppo il Caravaggio morirà molto giovane, vittima del suo troppo focoso temperamento e della sua arte. La sua personalità artistica estraeva dalla strada modelli estremamente veri ed efficaci…che trasferiva sulle sue tele riproducendo una vissuta realtà! Così arriva a ritrarre prostitute per fare soggetti sacri. Anche per queste sue decisioni e scelte avrà da scontrarsi con molti nemici e benpensanti, ma niente cambierà il suo concetto di bellezza autentica e pura. La sua arte è una poesia continua che nulla ha da dimostrare, il suo tocco lo rende sempre immediatamente riconoscibile fra altri infiniti pittori, un tocco di pura magia, un flusso emotivo determinato, legato a situazioni di luminose atmosfere che risaltano nei forti contrasti di ombre. Lascia nell'arte un "autentico magistero" anche se muore prima del compimento dei suoi trentanove anni, avendo regalato alla pittura la sua dimensione straordinaria.


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" IL CARAVAGGIO NON APPREZZAVA ALTRI CHE SE STESSO, CHIAMANDOSI EGLI FIDO, UNICO IMITATORE DELLA NATURA", Giovan Pietro Bellori (1672 ) Sull'opera. LA DEPOSIZIONE DI CRISTO fu probabilmente commissionata all'artista da Gerolamo Vittrice, e terminata circa nel 1604. È uno dei suoi dipinti più famosi e conosciuti, già molto ammirati dai contemporanei, fu copiato da molti grandi artisti. Famosissima è la copia che lo stesso Rubens fece del quadro. Lo sfondo è completamente nero, dell'ambientazione si vedono solo alcune rocce, una pianta verde a sinistra del quadro e lo straordinario angolo del coperchio sepolcrale che con la sua realtà luminosa sembra uscire dalla tela. Il corpo di Cristo, bellissimo, di una bellezza classica, al centro, mentre lo si depone nel sepolcro è sorretto dall'apostolo Giovanni e da Nicodemo il cui volto dovrebbe rappresentare il ritratto di Michelangelo Buonarroti nonostante qualcuno lo avvicini a Pietro Vittrice, dedicatario dell'opera. L'apostolo Giovanni è il personaggio che indossa la veste verde ed il mantello rosso, con la destra circonda le spalle di Cristo e abbandona la sinistra sul suo corpo. La figura della donna con le braccia tese in alto è Maria di Cleofa, accanto Maria Maddalena che si asciuga il pianto con il fazzoletto e poi, non certo meno importante, la figura della Madre fra Giovanni e Nicodemo. La pietra sepolcrale sembra incunearsi nello spazio dello spettatore per poterlo coinvolgere …e poterlo emozionare più profondamente. Il braccio di Cristo senza vita ricorda la Pietà di Michelangelo. Grande opera…che ci lascia incantati ad ammirare, a lasciar andare il tempo oltre… mentre noi possiamo perderci incuranti di tutto il resto che ci circonda affascinati nel vedere tanta e tale meraviglia! Un felice cammino di arte e serenità a tutti voi. Stefania Melani

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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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