Confini 111

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Confini Confini

di prospezione sul futuro
111 Dicembre 2022 Gennaio 2023
Idee & oltre Web-magazine
Numero
NATALE ON E BU EF STE

Confini

Direttore e fondatore: Angelo Romano

Hanno collaborato:

Gianni Falcone

Roberta Forte Lino Lavorgna Sara Lodi

Antonino Provenzano Fausto Provenzano Angelo Romano Massimi Sergenti Cristofaro Sola

Contatti: confiniorg@gmail.com

www.confini.org www.confini.info
Web-magazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 111 - Dicembre 2022 - Gennaio 2023 Anno XXV Edizione fuori commercio
Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola
RISO AMARO 1
Per gentile concessione di Sara Lodi e Gianni Falcone

NON C’E’ “VERSO”

Col calo di natalità che c'é in Italia, probabilmente, tra qualche decennio non avremo più alcuna "Natività" da festeggiare. Ma l'orizzonte è forse peggiore se dovesse essere fondata la tesi di alcuni genetisti in base alla quale l'umanità starebbe per perdere il cromosoma "Y". D'altro canto, otto miliardi di individui pesano come non mai sul groppone del pianeta e questo deve pur difendersi in qualche modo, in assenza di guerre devastanti e stermini ed in presenza di vaccini e farmaci. Quindi evizione del cromosoma maschile che sa tanto di evirazione collettiva. Forse a difendersi, il pianeta, ci ha provato col Covid, posto che non sia stato distillato in laboratorio, ma ha fatto "fetecchia", con tutto il rispetto per le numerose vittime, a prescindere dagli pseudo-vaccini messi a punto in tutta fretta e venduti a caro prezzo.

A proposito sembrerebbe che il marito della Ursula, regina d'Europa, abbia a che fare con la Pfizer. Tanto se fosse vero nessuno ce lo direbbe.

Comunque rassegniamoci, in futuro si meta-copulerà solo nel meta-verso e lì sarà pieno di metabambini, meta partoriti senza dolore, che amorevolmente verranno accuditi nei meta-nidi messi a disposizione da Zukenberg a fronte di una modica retta. Anche albero di Natale e presepe saranno "meta" come le chiese e le funzioni religiose... Insomma tutto sarà possibile nel metaverso fuorché vivere la vita vera.

Immaginate un meta-funerale con tiro da 16 unicorni (altro che "casamonicate" capitoline) e meta-inumazione sulla luna o nel Duomo di Milano o sulla cima dell'Everest e poi banchetto rituale servito a domicilio, ai meta-intervenuti da un meta-ristorante a 5 stelle che, grazie ai prodigi della fisica quantistica, materializzerà pasti veri - ancorché sintetici - ai domicili di parenti ed amici al modico prezzo di qualche "Metacoin".

Domicili dove ciascuno, solo e munito di visore, ingurgiterà il suo pasto stampato in 3d, ottenuto impastando rigorosamente farina di scarabei stercorari e vespe giganti. Noi in simbiosi perpetua col nostro smartphone siamo già un'anticipazione del futuro prossimo: meta-idioti. E quando fingeremo di vivere attraverso un "avatar" che saremo?

Cose dell'altro mondo o meglio dell'altro verso.

EDITORIALE 2

NATALE

Non vorrei arrivare a dare ragione a Benedetto Croce che si dice affermasse che gli italiani sono strani perché, da pignoli, cercano in ogni cosa il proverbiale pelo nell'uovo e quando lo hanno trovato mangiano il pelo e buttano l'uovo. Nel senso che ragionare sul Natale fa correre il serio rischio a chi scrive di apparire come un'iconoclasta, blasfema e sacrilega, volta unicamente a sfoggiare fatua pseudo-erudizione e ad esternare inverosimili congetture nei confronti di un evento accreditato tra le ricorrenze più sacre della cristianità. Ma, di contro, astenermi dal farlo, sarebbe nascondere la testa sotto la sabbia; un atteggiamento neppure adottato dagli struzzi, i soggetti dell'infondato detto. Perciò, in premessa, vorrei fare alcune puntualizzazioni: avverto profondamente, nell'intimo, la 1 Natività del Figlio dell'Uomo e mai potrei adoperarmi per adombrarla o, addirittura, offenderla. Ma ciò non toglie che mi urtino, fino all'offesa, tutti quei contorni para-filosofici, pseudo-storici, materialistici e mercantilistici che l'evento ha assunto nel corso dei secoli fino a divenire una kermesse dell'effimero senza la quale non sembra che la 'festa' sia degna di tale nome. E questo è ciò che rifiuto, categoricamente. E, per rendere più specifica la mia concezione del Natale, si vorrà perdonare il sottostante parallelo, necessario solamente per visualizzare uno stato d'animo: un parallelo, chiedendo venia per l'accostamento, riguardante Padre Pio. Non credo che il Sant'Uomo abbia bisogno di presentazioni. Ha dedicato una vita alla preghiera, vivendo tra confratelli nella cella n.5 del convento di San Giovanni Rotondo, a contatto costante con una moltitudine di fedeli in cerca della sua parola, provenienti da ogni parte d'Italia e del mondo. Certo, i cospicui lasciti che gli sono stati destinati, soprattutto dalle 'figlie spirituali', tra denaro, valori, brevetti, saggiamente amministrati dall'improbabile amico Emanuele Brunatto, hanno reso possibile la nascita e l'attività dell'Ospedale 'Casa Sollievo della Sofferenza', tra i nosocomi più efficienti della Puglia.

Ma ciò non ha minimamente alterato la sua modestia, la sua bonomia, la sua elevata spiritualità checché ne possa aver relazionato il medico gesuita Padre Agostino Gemelli, su incarico del Vaticano.

Né, tantomeno, hanno scalfito la sua immagine di modesto frate i due procedimenti avviati dal Sant'Uffizio, uno alla fine degli anni '20 e l'altro negli anni '60, con l'interdizione di dire messa e di confessare, ambedue su segnalazioni diffamatorie persino di soggetti clericali, conclusi entrambi con un non luogo a procedere, dove però l'ultimo ha avuto come appendice, su esplicita richiesta del Papa Buono, Giovanni XXIII, il testamento del frate a favore del Vaticano.

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Comunque, neppure tali traversie hanno alterato il suo stato di umile servitore fedele della Chiesa e la sua incommensurabile carica di umanità. Tutto ciò posto, come può identificarsi con una tale figura la nuova chiesa dedicata a San Pio da Pietrelcina seppur costruita su progetto del mitico Renzo Piano? Un'architettura avveniristica tutta oro e argento al suo interno, a livelli persino stucchevoli che stride violentemente con la figura del monaco. E come risulta possibile concepire, attorno alla piazza e nelle vie circostanti, una miriade di negozietti di souvenirs che vendono pupazzetti da quattro al soldo raffiguranti il Padre di varie grandezze, abbigliato in modi alquanto disparati e persino incoerenti, quando non riprodotto su 'santini', su 'mattonelle', su crest, su copertine di libri e su quant'altro utile a testimoniare una 'visita' nella cittadina del Santo. E affanculo la spiritualità. Con ciò voglio dire che la misticità del Padre, giunta sino alle stimmate, non gli ha impedito di essere pratico e di usare la sopraggiunta disponibilità a fin di bene. Così, di rimando, i diffamatori del Padre non hanno certo sminuito il ruolo della Chiesa. Né il pragmatismo di Giovanni XXIII ha alterato il sentimento popolare verso quel Papa. Né, tantomeno, la mercificazione del Santo fa breccia nel cuore dei suoi estimatori. Ecco, questo è il mio stato d'animo nei confronti del Natale. Dicevo della kermesse dell'effimero. Ecco, per iniziare, qual è l'attinenza con l'Albero addobbato? Ooh! Non è che esso non abbia significati religiosi, tuttavia in nulla riguardanti il cristianesimo. Lo troviamo, infatti, nei passati credi mesopotamici, caro ad Ashera, dea della terra e degli alberi, sorella di Anata, dea del mare, in congiunzione trinitaria con la grande dea Ishtar. Ovviamente, non un abete bensì soprattutto tamerici e ulivi. Il vecchio Testamento, a latere, ce ne da contezza: Abramo piantò un tamerice in Bersabea, e lì invocò il nome del Signore, 2 Dio dell'eternità. Peraltro, l'aspetto benaugurale delle piante sempreverdi solleticò persino i 3 Romani che usavano scambiarsi rametti alle calende di gennaio. Ma, in tempi più recenti, i veri cultori degli alberi furono i Celti e i Norreni.

Per i primi, l'albero, il Vilagfa, era considerato l'Asse del Mondo, con le radici che affondavano nel terreno e la chioma che s'innalzava verso il cielo. Ma sebbene i loro sacerdoti, i Druidi, abbiano fatto dell'abete un simbolo di vita, la vera considerazione la rivolsero alla quercia. Al riguardo, si sostiene, tra l'altro, che il nome 'druido' derivi, appunto, da 'duir', quercia.

Per i Norreni, invece, la pianta sacra era l'Yggdrasill, un frassino che sorregge con i suoi possenti rami i nove mondi (che costituiscono l'intero universo), fonte della vita, del sapere e del destino. E, non a caso, Odino, dopo aver sacrificato un occhio alla fonte della conoscenza di Mimir, 4 s'immolò impiccandosi ad un ramo di quell'albero perché da lui scivolassero fuori le rune , lo strumento per conoscere al di là. L'aspetto curioso è che i cristiani, specie nel Centro/Nord Europa, presero a criticare fortemente l'addobbo degli alberi, soprattutto dopo la Riforma luterana, considerando quell'usanza tipica dei 'protestanti'. Ma, allora, da dove viene la consuetudine, soprattutto occidentale, di 'vestire' un abete con palle dorate e ammennicoli vari, ponendo come puntale, in un pot-pourri tra sacro e profano, una 'stella cometa' o, addirittura, un 'bambinello'? Si afferma che nel 1611, in 5 Germania, la Duchessa di Brieg nell'adornare il suo castello per festeggiare il Natale, si accorse

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che un angolo di una delle sale dell'edificio era rimasto completamente vuoto. Per questo, ordinò che un abete del giardino del castello venisse trapiantato in un vaso e portato in quella 6 sala e là decorato in coerenza Poi, le migrazioni e gli scambi di acculturati estetici hanno fatto il resto, portando l'abete adornato nel Vecchio e nel Nuovo Mondo, fino a giungere, gigantesco, sia in Piazza San Pietro (sic) sia in Piazza Venezia a Roma; quest'ultimo, prima con la Raggi che, comunque, per 'spelacchiotto', grazie agli sponsor non spese un soldo delle casse comunali; poi, con l'amministrazione attuale che pare abbia sborsato per l'albero illuminato da pannelli fotovoltaici, oltre 200.000 euro, senza bando. Per inciso, sono queste le incongruenze ipocrite, green, della cosiddetta 'sinistra' mentre il verde cittadino, il sistema dei trasporti, la rete viaria e il ciclo dei rifiuti urbani, avviati con la Raggi sulla 'via della perdizione', sono andati oggi definitivamente a perdersi. Chiuso l'inciso relativo all'albero, dicevo del canuto vecchione rossovestito, alla guida di un tiro di animali cornuti. E, per approcciarlo, saccheggerò un mini-saggio, scritto da un amico, Paolo Boccuccia, dall'intrigante titolo di 'Babbo Natale, la Befana ed il Diavolo ingannatoreLineamenti di una mitologia moderna'. Un saggio dove il protagonista è, appunto, un florido vecchione del quale se l'abbigliamento ne denuncia una origine nordica, il nome Santa Claus (contratto in Santa nell'uso universale) lo identifica con un personaggio meridionale, San Nicola, ossia Nikolaus di Mira, nato in Asia Minore nel IV sec. e divenuto vescovo di Mira nella Licia, il cui culto cominciò a diffondersi quando le sue reliquie furono trasportate a Bari nel 1087 divenendo così il patrono del capoluogo pugliese.

Il santo cristiano venne quindi trasformato in un vecchio dalla folta barba bianca che abita al Polo Nord e che nella notte di Natale ai bambini porta doni, trasportandoli con una slitta tirata da renne, e deponendoli accanto al camino, dalla cui canna egli scende col suo sacco ricolmo. Tuttavia, questa strana figura di nonno benefico, abbigliato con un costume rosso vagamente da lappone, non ha nulla da spartire con l'antico dignitario ecclesiastico della storia. Santa Claus (San Nicolaus) ed il vescovo di Mira hanno in comune solo il nome, Nicola, o meglio il suo abbreviativo Nick che fu rimosso dal personaggio nordico trasformandolo in Claus per aferesi. In realtà, Babbo Natale, alias Santa, è Nick o meglio Old Nick, Nick il Vecchio, altro nome di Old Horny, il vecchio dalle Corna della tradizione britannica. E che altro non è che il Diavolo.

Infatti, nelle leggende dei paesi settentrionali, il Diavolo viene dal Nord estremo (il Polo nord), il regno delle tenebre e del freddo; indossa un completo di pelliccia rossa (il colore del fuoco dell'inferno) e guida un tiro di renne, animali cornuti al pari del demonio. Scende dai camini sporcandosi di fuliggine e per questo è chiamato Black Jack o Black Man. Peraltro, porta con sé un gran sacco nel quale infila i bambini, che rapisce e confina all'estremo nord. E, in quanto Diavolo, egli è anche Pellegrino, per rovesciamento del significante positivo (il pio itinerante ad un santuario) in quello negativo.

Infatti, un tale ribaltamento nell'opposto (come Freud definisce il processo) venne operato nella prima metà del XIX sec.: così l'antico demone nordico divenne l'icona natalizia del vecchione

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7 benevolo: mito piccolo-borghese generatosi in seno alla cultura biedermeier E ciò per due diverse e concomitanti motivazioni. Da un lato, a seguito alla rivoluzione illuministica del secolo precedente, la pressione dell'ideologia religiosa ortodossa, sia cattolica che riformata, si allentò e la data del 25 Dicembre restò in parte svuotata del contenuto cristiano mentre si riempì del vecchio mito mitteleuropeo i cui contenuti angoscianti furono rimossi e, come detto, rovesciati nell'opposto. Dall'altro, in coerente con la situazione socio-politica del momento, si affermò un ceto medio, voglioso di dimenticare i fatti tumultuosi della Rivoluzione francese e del successivo impero napoleonico, e più attento all'avvento della Rivoluzione industriale che, nell'evoluzione dello stile, proponeva prodotti funzionali, dalle linee semplici e, quindi, facilmente industrializzabili.

Così, un bisogno generalizzato di quieto vivere depotenziò ed edulcorò le produzioni fantastiche medioevali in una prospettiva buonista, e perciò trasformò il diavolo in santo ed il rapitore di bimbi in munifico vecchio parente. L'antico contenuto fobico della figura demoniaca venne annullata in maniera radicale trasformando il Vecchio Nick, da spavento dei bambini, da Uomo nero, in San Nicola: operazione chirurgica estrema che, tuttavia, non poteva non lasciare un residuo irremovibile di negatività, un fondo di paura profondamente occultata dal grasso fantoccio del Santa Claus tutto bonomia e generosità della nuova mitologia natalizia. In tal modo, accanto al vecchione rubizzo e biancobarbuto venne posta l'icona della Befana, traslazione del termine 'Epifania', collegata nel mito cristiano all'arrivo dei 'tre Re magi' che portano doni al divino fanciullo. Ancora, quindi, un personaggio benefico e, chiaramente, un duplicato del San Nicola natalizio: stavolta, però, il Vecchio Nick si presenta al femminile e con un aspetto decisamente meno rassicurante. La vecchia Befana, simile in tutto all'aspetto della Strega medievale fattrice di malvagi incantesimi ed alleata del demonio, rappresenta nel suo aspetto esteriore quel fondo incoercibile di minaccia che non era stato possibile svellere dall'icona di Santa Claus. Il demonio, infatti, può assumere qualsiasi forma, mancandone di una propria specifica. Puro spirito nel mito, pura angoscia nella realtà, egli può assumere l'aspetto di ogni essere vivente, compreso quello di animale: perciò le renne del tiro di Santa rappresentano icone zoomorfiche del loro conduttore.

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A sua volta, la Befana vola a cavalcioni del manico di una scopa, che altro non è che la trasposizione in chiave femminile del bordone del diavolo-pellegrino, il quale, in questo suo aspetto di pericoloso demone e di benevolo compagno di viaggio, in un capriccioso alternarsi di burle malevoli e di favori inaspettati, ci riporta all'arcaica, universale figura del trickster, l''imbroglione', il 'burlone' quale è espresso dalle leggende e dal folklore dell'intera umanità. Uno spirito senza sesso e senza età, persino senza una forma antropica propria, né propriamente cattivo né propriamente buono: capriccioso, ironico, allegro mascalzone che si diverte a spaventare i viandanti ma anche a beneficiarli.

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Per l'appunto, il kobold nel folklore tedesco, ma anche l'elfo, il goblin o il leprechaun in altre tradizioni, sono gli illustri antenati del mellifluo e banale Santa Claus vittoriano il quale nel tempo

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ha formato con Peter Pan la coppia coboldica vecchio-bambino, sintetizzabile nella figura solo apparentemente antagonista di Capitan Uncino. Ad ogni buon conto, i folkloristici antenati sono senz'altro più significativi ed interessanti dell'attuale Santa globalizzato, invasivo delle nostre giornate dicembrine; icona di mille iniziative commerciali e riprodotto in mille oggetti dozzinali, è stato reso tanto meschino dalla macchina della promozione pubblicitaria da perdere qualsiasi pur remoto valore per divenire solo un 'segno' insulso, ripetitivo e noioso. Concluso su l'ulteriore 'simbolo', sono stata tentata di non parlare del presepe. Poi, mi son detta, ma sì, perché no? Perché non dovrei esprimermi su questo diorama che dovrebbe rappresentare la Natività, in uno scorcio di Palestina? Non conosco le caratteristiche del primo presepe della 10 storia realizzato da San Francesco a Greccio, nel 1223, su autorizzazione di Papa Onorio III . Ma sono restia a credere che il Santo, peraltro allora da poco reduce dalla Terrasanta, abbia potuto inserire in quel modello originario, in riproduzione di una caverna e dintorni appunto in Palestina, del muschio, ruscelletti nonché vialetti che s'intersecano e staccionate che si snodano tra colline verdeggianti. Ma le mie perplessità non nascono solo da tali incongruenze perché, intanto, mi chiedo quale sia 11 12 il motivo che ha indotto a scegliere, tra gli evangelisti, Matteo e Luca dove, a differenza degli altri due che omettono l'evento, il primo parla asetticamente solo di Betlemme come luogo di nascita mentre il secondo aggiunge più specificatamente una stalla, per indisponibilità di un letto nelle locande. Come, del resto, Matteo, l'unico a citarli, non indica il numero e il nome dei Magi. Nella tradizione occidentale, il solo atto, ovviamente apocrifo, che li cita e ne indica i nomi 13 (Bithisarea, Melichior e Gathaspa) è 'Excerpta Latini Barbari (datato tra il 474 e il 518), definito dagli studiosi storicamente inaffidabile. L'ulteriore atto nella tradizione suddetta, apocrifo anch'esso, è il Vangelo di Nicodemo che ne da una stringata menzione, senza indicarne i nomi e il numero Poi, in altre tradizioni, abbiamo il Vangelo dell'infanzia arabo siriano che, addirittura li 15 rinvia alla predizione di Zaratustra , nonché il Vangelo dell'infanzia armeno che ne menziona tre, 16 li aggettiva persino come fratelli e ne indica i nomi in Melkon, Balthasar e Gaspar . Peraltro, nessuno dei due evangelisti cita un 'bue' ed un 'asino'. L'unico documento che li indica è il 17 cosiddetto Vangelo dello pseudo-Matteo , testo ancora una volta apocrifo e, quindi, non 18 ammesso nel canone, il quale, d'altra parte, è il solo a parlare di 'caverna' . Potrei proseguire con le incongruenze ma mi fermo qui per chiedermi come sia possibile che l'iconografia, la catechesi e la dottrina cristiane abbiano recepito rappresentazioni e figure a lei estranee? Be', mi verrebbe da dire 'in un modo abbastanza semplice'. Da un lato la fantasia degli amanuensi, dall'altro l'opportunità per i redattori di richiamarsi a contenuti profetici del passato per avvalorare eventi. Da un altro lato ancora, dalla creatività dei pittori: si pensi alla stella cometa. Nel 1301 d.C., quando nel cielo apparve quella di Halley, Giotto, nel dipingere in quell'anno 'l'Adorazione dei magi' e 'la Natività' nella cappella degli Scrovegni a Padova, realisticamente la inserì nel quadro. Ma, si potrà obiettare, c'è l'evangelista Matteo che accenna ad un fenomeno celeste e parla di 19 una 'stella' . Ebbene, da carte astronomiche storiche, l'unica brillantezza all'epoca è

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verosimilmente derivare dal pianeta Venere che ogni 769 anni si sovrappone a Giove acquisendo così una di gran lunga maggiore irradiazione solare e una particolare brillantezza. Ed un fenomeno del genere, è riportato, accadde in una notte a cavallo tra il 7 e il 6 paradossalmente avanti Cristo. Questo, peraltro, chiama in causa l'ennesimo aspetto inerente al Natale: la data di nascita del Figlio dell'Uomo.

Atteso che la nascita, convenzionalmente indicata nell'anno 1, è accertato frutto di un errore del monaco cristiano scita Dionigi il Piccolo che per primo la calcolò, oggi pressoché tutti gli esimi studiosi sono concordi nell'affermare che essa sia avvenuta in un range che va dall'8 al 4 a.C. Ma non è tanto l'anno quanto il giorno a destare maggiore interesse. Infatti, sul piano puramente storico, l''invenzione' del Natale per come noi lo conosciamo è abbastanza avanti nel tempo e nasce per motivi, più che religiosi, fondati in larga parte sull'opportunità di soppiantare altri credi.

Intanto, va detto che il 25 dicembre è valido per la maggior parte delle Chiese cristiane occidentali e greco-ortodosse. Per le Chiese ortodosse orientali la Natività cade invece il 6 gennaio, mentre è festeggiata il 7 gennaio per le Chiese ortodosse slave, che seguono il calendario giuliano. Non voglio entrare nel merito delle dispute dottrinarie ma la diversità di date tra chiese comunque cristiane ci da, intanto, la l'idea che essa, in quanto data di celebrazione, non sia assolutamente certa e che, a seguito di un ragionamento puramente dottrinario, sia stata assunta solo sul piano meramente simbolico, peraltro traendo a piene mani da dottrine 'pagane'. Difatti, alla domanda mai espressa da dove sia stata tratta la data di nascita di Gesù, la risposta sorprende perché fino al IV secolo d.C. nessuno si era mai posto il problema. 20 Non è presente nei primi elenchi di festività cristiane, è ignorata dal teologo Ireneo e pure dallo 21 22 scrittore romano e apologeta cristiano Tertulliano . Origene , addirittura, è contrario tout court al festeggiamento di ogni compleanno. In un'omelia egli assicurava ai suoi ascoltatori che 'fra i santi nessuno tenne mai una festa o un banchetto per il suo compleanno, né fece baldoria il giorno della nascita di suo figlio o di sua figlia. Ma i peccatori fanno baldoria e festeggiano in quei 23 giorni' Per avere la prima menzione della Natività di Cristo alla data del '25 dicembre' occorre aspettare il 354 d.C. perché, inopinatamente, la troviamo in un almanacco, edito in quell'anno, 24 25 chiamato 'Cronografo' , redatto dal letterato romano Furio Dionisio Filocalo . Secondo il ricercatore e scrittore Joseph F. Kelly " … nel 336 la chiesa locale di Roma proclamò il 25 dicembre 26 come dies natalis Christi." . Fermiamoci un attimo su tale affermazione dalla quale si deducono due importanti aspetti: il primo è la dizione 'la chiesa locale di Roma'. A quel tempo, infatti, la 'chiesa di Roma' era una tra le chiese che si dibattevano il primato papale generando, peraltro, un primo attrito con l'imperatore d'Oriente, geloso delle sue prerogative sulle chiese regionali. Solo nel 787 d.C., al secondo Concilio di Nicea, la sede apostolica romana - la locale Chiesa di Roma - sarà definita come 'capo di tutte le chiese'. Se ne può dedurre, pertanto, che la scelta del '25', intervenuta dopo quattro secoli di silenzio, riguardò solo una parte del mondo cristiano per altri quattro secoli e, per alcuni aspetti come sappiamo, non si è del tutto generalizzata.

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Il secondo aspetto concerne l'umano interrogativo di dove Filocalo abbia tratto l'indicazione o, meglio, sulla scorta di cosa la 'locale chiesa di Roma' decise per quella data. L'autore citato più che affermare che " … il documento contenente l'affermazione del 25 dicembre come 'dies Natalis 27 Christi' nel 336 si chiama "Il Cronografo del 354' non dice altro. E, del resto, lo sapevamo già. Alcuni studiosi hanno provato a formulare ipotesi circa possibili ragioni della scelta ma la verità è che le origini storiche della festa non sono note e sono state spiegate con varie ipotesi dove la più probabile è che essa, scientemente, sia stata indicata nel '25' per sostituire, peraltro in richiamo 28 ad una profezia di Malachia dove si cita il 'Sole' , la sentita festa del Natalis Solis Invicti, appunto. Ma, del resto, la scelta del '25' trova ulteriori riferimenti che cito unicamente per cronaca. Sempre il '25 dicembre', infatti, sono nati Horus, figlio di Osiride, Adonis, Mitra, Krisna, Dioniso, Attis e, persino Zoroastro ed Ercole, buona parte dei quali da madre vergine, in una stalla/mangiatoia. Le similitudini col quadro di riferimento della nostra tradizione sarebbero molte altre ma non è questo che, alla fin fine, importa quanto il significato, personale e generalistico. René Guenon nel suo 'Considerazioni sull'iniziazione' ebbe a citare la favola 29 dell'asino che porta le reliquie sottintendendo che quest'ultime sono precisamente un veicolo d'influenze spirituali; tale è la vera ragione del culto di cui sono l'oggetto, sebbene questa ragione non sia sempre cosciente nei rappresentanti delle religioni essoteriche, i quali sembrano talvolta non rendersi alcun conto del carattere molto 'positivo' delle forze che maneggiano; il che, del resto, - aggiunge Guenon - non impedisce a queste forze di agire effettivamente. Non so se i redattori della dottrina cristiana, via via succedutisi, abbiano avuto contezza degli elementi introdotti forzatamente nella rappresentazione della Natività, peraltro importandoli da testi gnostici: la caverna, la verginità di Maria, il bue e l'asino, i doni dei Magi. Ma certo è che tali elementi formano, nel contesto dove sono introdotti, un perfetto richiamo al processo alchemico: la fecondazione di Maria Vergine da parte dello Spirito Santo è il flusso alchemico mentre il parto del Regale Bambino, il Regulus, è l'Opera al Bianco, a mezzanotte ovvero a metà dell'Opera, in una grotta cioè nell'Athanor, dove lo zolfo incontra il mercurio ed è esposto al lavoro del Solve (Asino) e del Coagula (Bue). Analogamente, i 'doni' dove la mirra, l'unguento con il quale si imbalsamano i morti, sta a significare l'Opera al Nero, l'incenso, equivalente magico del sangue sacrificale e dell'Agnello Puro, l'Opera al Bianco ed infine l'oro, simbolo di regalità, l'Opera al Rosso; in sostanza, la formazione, la manifestazione e l'elevazione dell'Uomo Nuovo. Un processo augurabile per ognuno. Perciò, come ho specificato in premessa, avverto profondamente, nell'intimo, la Natività del Figlio dell'Uomo e se, per convenzione, la celebrazione dev'essere il '25', ebbene sia, consapevolmente, e ben venga. L'auspicio sarebbe non provare solo quel giorno il clima di bontà e di fratellanza puntualmente accompagnato dalle note sdolcinate di Silent Night, O Holy Night e Last Christmas per indurci agli acquisti. Bensì, tutto l'anno. Un auspicio, perciò, di costante commozione davanti allo stupore e alle risa di un bambino; di tenerezza che un ovattato manto di neve riesce a generare; di apprezzamento della ricchezza che la famiglia e l'amicizia sanno creare.

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Sono comunque convinta che qualcuno, dopo aver letto la parte soprastante, si segni e mi additi come blasfema e sacrilega. Nell'eventualità, significherebbe che ha capito poco o punto del mio scritto ma quest'aspetto non sarebbe importante né tantomeno preoccupante perché in tal caso all'indignazione di diritto dell'eventuale soggetto seguirebbe, nella mia incommensurabile pochezza, solo un sorriso mesto e uno scuotimento di capo; la parte rilevante, invece, sarebbe che quell'eventuale soggetto, insieme ad una moltitudine di attenti ed informati, probabilmente ignora che ben altri atteggiamenti in essere sono piuttosto allarmanti. Già il rifiuto di inserire nella carta costituzionale europea la menzione delle radici giudaicocristiane aveva suscitato un qualche, inefficace, scalpore. Infatti, l'ondata, spacciata per 'inclusiva', che ha teso a rimuovere crocifissi, presepi e immagini sacre dalle scuole e da altri luoghi pubblici è quasi passata sotto silenzio. Se non fosse stato per la levata di scudi a Bruxelles, la Commissione Europea, nella persona del commissario Helena Dalli, sempre a dichiarati fini 'inclusivi', lo scorso anno, avrebbe cancellato con un provvedimento formale la parola 'Natale' 30 per sostituirla con la generica 'Feste' . Ma c'è di più: un teologo ricercatore del Trinity College, uno dei college più famosi dell'Università di Cambridge, ha proclamato che, secondo la sua 31 ricerca, 'Gesù Cristo aveva un corpo trans ': peraltro, 'la ferita sul costato aveva la forma di una vagina', e 'poteva essere una donna'. Non basta: il filosofo del World Economic Forum, Yuval 32 Harari, ha recentemente affermato che Gesù è una fake news . E, ancora. Il think tank di Georges Soros, Open Society, ha proclamato che la crisi del coronavirus mostra che è ora di abolire la famiglia, descritta come prepotenza sessista. Ora, qui non si tratta di essere 'inclusivi' bensì di cancellare ogni diversità per realizzare scientemente non un'unione tra diversi, arricchente e stimolante, quanto piuttosto un insieme di individui senza personalità. In pratica, un complesso di … gonadi senza gameti, sostenuti da una visione progressista, appiattente e mortificante, in comunella con la grande finanza. E, onestamente, io di contro voglio continuare a cercare il pelo nell'uovo, attenta a non ingoiarlo per dedicarmi, una volta tolto, alla degustazione dell'albume e del tuorlo.

Roberta Forte

ciascun mese

calendario romano.

norrene furono il primo sistema di scrittura sviluppati e usati dai norvegesi e da altri popoli germanici Le rune funzionavano come lettere, ma erano molto più che semplici lettere nel senso in cui oggi intendiamo il termine. Ogni runa era un simbolo ideografico o pittografico di qualche principio o potere cosmologico, e scrivere una runa significava invocare e dirigere la forza per la quale rappresentava. Infatti, in ogni lingua germanica, la parola 'runa' significa sia 'lettera' che 'segreto' o 'mistero', e il suo significato originale, che probabilmente precedette l'adozione dell'alfabeto runico, può sono stati semplicemente 'messaggio (sotto silenzio)'.

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Note: 1. Mt 8,20 – Ap 1,9 – 1,13, 14,14 – At 7,56 – Ebr 2,6 2. Gn
3.
21,33-34
Il primo giorno di
nel
4. Le rune

5. Dorothea Sybille duchessa di Brieg, figlia di John George, principe elettore di Brandeburgo, nobildonna tedesca, nota per la sua inventiva.

7. Il Biedermeier è stato un movimento artistico e ornamentale sviluppatosi nel periodo storico che intercorre tra il 1815 ed il 1848. Molto in voga tra la borghesia tedesca e austriaca, viene spesso definito di genere 'romantico'.

8. Il termine deriva dal francese gobelin, che a sua volta deriva probabilmente dal greco kobalos, il nome di uno spiritello associato ai riti di Dioniso, o dal tedesco antico Kobold, da cui deriva anche "coboldo".

9. Il leprecauno è una sorta di gnomo tipico del folclore e della mitologia irlandesi. Il sostantivo è talvolta reso in italiano con gnomo irlandese o, più genericamente, folletto.

10. Tommaso da Celano, Vita di san Francesco, X, p.85 – tratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Presepe

11. Mt 1,25 – 2,1

12. Lc 2,1-5 – 2,6-7 -

13. L'Excerpta Latina Barbari è una traduzione latina di una cronaca greca composta ad Alessandria durante il regno di Zenone (474-491) o di Anastasio (491-518). La cronaca greca originale era una variazione della Chronica Alexandrina.

14. Nicodemo, Cap IX par.3

15. Vangelo dell'infanzia arabo siriano, Cap VII 16. Vangelo dell'infanzia Armeno, Cap XI par 3 17. Pseudo-Mt 14,1 18. Pseudo-Mt 2 19. Mt 2,1-12

20. Ireneo di Lione – (Smirne, 130 – Lione, 202) è stato un vescovo e teologo romano. 21.Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (Cartagine, 155 circa – 230 circa), conosciuto semplicemente come Tertulliano, è stato uno scrittore romano e apologeta cristiano, fra i più celebri del suo tempo 22.Origene, noto anche come Origene di Alessandria, detto Adamanzio; (Alessandria d'Egitto, 185 – Tiro, 254), è stato un teologo e filosofo greco antico. È considerato uno tra i principali scrittori e teologi cristiani dei primi tre secoli.

23.Origene - Omelia su Levitico xii 2 -

24. Calendario illustrato per l'anno 354, opera del calligrafo Furio Dionisio Filocalo e offerto a (o commissionato da) un aristocratico romano di nome Valentino. Composto a Roma negli ultimi mesi del 353 e probabilmente presentato a Valentino il 1° gennaio 354, oltre al calendario illustrato, per cui è maggiormente famoso, contiene una collezione di testi cronologici di tipo amministrativo, pagano e cristiano, non conservati altrove: tra questi, una serie di biografie dei vescovi di Roma, da cui ebbe origine il Liber pontificalis.

25. Furio Dionisio Filocalo (IV secolo; – ...) è stato un letterato e pittore romano. Fu il calligrafo di papa Damaso I e autore nel 354 di un calendario romano giunto fino ai nostri giorni.

26. Joseph F Kelly – Le origini del Natale - Liturgical Press, 2004 - p. 64

27. Op. cit.

28. Libro di Malachia – III, 20 - Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia e voi uscirete saltellanti come vitelli dalla stalla. 29. René Guenon – Considerazioni sull'iniziazione – Luni Editrice 2014 – p.52 3 0 . h t t p s : / / w w w . a d n k r o n o s . c o m / n a t a l e - c o m m i s s i o n e - e u r o p e a - r i t i r a - l e - l i n e eguida_4DyHuleglVHrpKhc3sOY8Z?refresh_ce31. https://www.maurizioblondet.it/universita-di-cambridge-gesu-poteva-essere-un-trans/ 32. https://www.maurizioblondet.it/rivelazione-del-world-economic-forum-gesu-e-una-fake-news/

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SCENARI
6 h t t p s : / / c o l l i n a d e i c i l i e g i w o r d p r e s s c o m / 2 0 1 4 / 1 2 / 1 4 / l a l b e r o - d i - n a t a l e / n o n c h é h t t p s : / / w w w f o c u s j u n i o r i t / s c u o l a / s t o r i a / n a t a l e - c h i - h a - i n v e n t a t o - l - a l b e r o - d inatale/#:~:text=Il%20primo%20vero%20albero%20di,edificio%20era%20rimasto%20completamente%20vuoto.

LE EUROTANGENTI

E I MINIMA MORALIA DELLA SINISTRA

Sono giorni che siamo costretti ad assistere al grottesco tentativo dei "giornaloni" italiani di nascondere l'imbarazzo nel trattare la notizia delle tangenti che si sospetta siano state pagate da rappresentanti del Qatar a esponenti della sinistra europea, allo scopo di attenuare la pessima fama rimediata dal Paese mediorientale in materia di diritti umani e dei lavoratori. Il fatto certo è che l'ex europarlamentare del Partito Democratico, passato ad Articolo 1, Antonio Panzeri, in rapporti con personaggi qatarioti, sia stato trovato in possesso di una grossa somma in contanti nel corso di una perquisizione disposta dall'autorità giudiziaria belga. Le ipotesi di reato contestate sono di associazione a delinquere, riciclaggio e corruzione. Insieme al Panzeri sono stati tratti in arresto con la medesima accusa Francesco Giorgi, assistente parlamentare dell'eurodeputato nelle passate legislature e oggi nella segreteria dell'europarlamentare del Pd, Andrea Cozzolino; Niccolò Figà-Talamanca, direttore della Ong No Peace Without Justice che opera a Bruxelles. Ai domiciliari, sono finite la moglie e la figlia del Panzeri. Nell'indagine è stato coinvolto anche il sindacalista Luca Visentini, segretario della Confederazione internazionale dei sindacati, di cui era stato disposto il fermo, poi rilasciato dal giudice istruttore belga che non ne ha confermato l'arresto. Ma non è finita. Sono stati perquisiti gli uffici di Federica Garbagnati, assistente dell'eurodeputata Alessandra Moretti; di Giuseppe Meroni, in passato assistente di Panzeri e oggi in forza allo staff di Lara Comi, eurodeputata di Forza Italia; di Donatella Rostagno, esperta di Africa sub-sahariana e di Medioriente, già collaboratrice di Panzeri e oggi assistente dell'europarlamentare belga di origine italiana, Maria Arena, inoltre componente del board della Ong "Fight Impunity", fondata da Panzeri e oggetto di indagini della procura di Bruxelles. Come si noterà, sono tutti personaggi di sinistra e sono tutti italiani. A dare un tocco di internazionalità vi è tra gli arrestati colei che per gli inquirenti belgi potrebbe risultare il "gioiello della collezione": la greca Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo, colta con un mare di banconote tra le mura domestiche. Peccato, però, che anche l'affascinante politica ellenica sia riconducibile all'Italian Connection per essere la compagna di uno degli indagati nell'inchiesta in corso. Fonti di Bruxelles sostengono che lo scandalo esploso sia solo la punta dell'iceberg di un'inchiesta destinata a travolgere la credibilità del Parlamento europeo. Inoltre, altri eurodeputati sarebbero nel mirino degli inquirenti. Tra costoro vi è l'eurodeputato belga Marc Tarabella, di evidenti origini italiane, che si è autosospeso dal gruppo al Parlamento europeo Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D).

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È una brutta storia, che macchia l'immagine del Paese e dà fiato ai nostri detrattori esteri, che potranno dire con perfido sarcasmo: sono i soliti italiani. Tuttavia, per quanto la faccenda sia in sé disgustosa, non sono loro, i presunti "mariuoli", a farci maggiormente del male. C'è una sinistra che per anni è stata campionessa del più servile filo-europeismo che ha portato l'Italia a essere un paria del consesso europeo. La nostra Patria, così bella e così fiera della sua millenaria storia, piegata e piagata dalla tracotanza del suo nemico più subdolo: la sinistra interna che da decenni sbandiera, a sproposito, la sua superiorità morale rispetto al nemico ontologico che sta a destra. Superiore un corno! Non facciamo che si caschi tutti dal pero. Alla superiorità morale della sinistra non abbiamo mai creduto. È stata una menzogna sulla quale i superstiti della stagione di Tangentopoli hanno costruito il loro diritto a impadronirsi dell'Italia. Al più, è stata scambiata per superiorità una naturale inclinazione all'arroganza ingiustificata che, tuttavia, ha funzionato da postulato alla pretesa impunità dei capi e dei quadri intermedi dell'ex Partito Comunista ai tempi di Tangentopoli e durante la Seconda Repubblica. La ricordate la stagione delle Mani Pulite? Il vento della giustizia spazzò via la classe politica dominante della Prima Repubblica. Tutti colpiti e abbattuti: Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Socialdemocratico Italiano, Partito Liberale Italiano, Partito Repubblicano Italiano e Primo Greganti. Non l'ex Partito Comunista Italiano che era diventato Pds, Partito Democratico della Sinistra, ma solo l'"eroico" compagno Primo Greganti, beccato con le mani nel sacco ma che ebbe il buon gusto di non tirare in ballo nessuno dei suoi. Eppure, salvare la faccia del partito non avrebbe dovuto corrispondere a certificarne l'innocenza in fatto di mazzette incassate. Come quella misteriosa valigetta con un miliardo di lire che il povero Raul Gardini aveva portato a Botteghe Oscure, sede del Pci. Di quella squallida vicenda non si è mai conosciuto il nome dell'elemosiniere di Palazzo che la ricevette in dono per la giusta causa. La maxi-mazzetta Enimont, benché regolarmente versata ai "compagni", non poteva essere attribuita penalmente a nessuno degli inquilini di Botteghe Oscure in ragione dell'assioma sulla superiorità morale della sinistra. Perciò, riguardo all'illibatezza della sinistra, niente di nuovo sotto il sole. Panzeri e soci, se dovessero essere confermate le accuse, sarebbero soltanto un particolare pittoresco di una lunga storia di illegalità compiute al riparo di una sfacciata menzogna. Ciò che infastidisce è la pretesa di alcuni commentatori al servizio dei "buoni", pur al cospetto dell'evidenza dei fatti, di gettare comunque la croce nel campo della destra. È il caso del politologo Piero Ignazi che, dalle colonne del Domani, li batte tutti. Cosa scrive Ignazi da far accapponare la pelle?

1) La destra non può cantare vittoria perché, in fatto di furfanterie, essa risulta ampiamente in testa. Il benchmark per misurare chi sia più "sporco" è la ripartizione per appartenenza politica degli inquisiti e condannati oggi presenti in Parlamento: 29 del centrodestra contro 5 del Pd.

2) La sinistra caccia o sospende i propri membri coinvolti in fatti illeciti mentre il centrodestra si chiude a riccio in difesa dei suoi inquisiti. Capite come funziona per questa razza di ipocriti? La pretesa censoria da peccato originale rende, agli occhi delle anime belle che la esercitano, irredimibili coloro che sono ontologicamente nemici Ignazi si fa interprete di una

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rappresentazione del Bene assoluto che non viene scalfito dai comportamenti delittuosi dei suoi assertori. Neanche quando il modo disinvolto dei "compagni" di accettare denaro spalanca le porte della nostra civiltà a mondi che restano distanti anni luce da essa. Come quello delle dinastie arabe del Golfo Persico. È una cosa orribile che si pretenda di fare di tutta l'erba un fascio.

Se le cose si mettono male per la sinistra, la si butta in caciara evocando un comodo, mozartiano, "così fan tutte". No, cari compagni e compagne, così non fanno tutti. Non lo fanno quelli di destra. Loro non danno via i sacri principi per gonfiarsi le tasche di denaro. E non l'hanno fatto quelli della Lega quando sono stati coperti di fango per aver parlato bene della Russia e del suo leader. Il teorema accusatorio contro Matteo Salvini e i suoi era basato, evidentemente, sull'esperienza maturata sul campo: se si parla bene di qualcuno inviso agli altri, lo si fa per denaro. Stavolta, la diversità morale la tiriamo fuori noi. Perché non c'è parificazione che tenga con chi svende i fondamenti della civiltà a cui appartiene per intascare un "pizzo". I qatarioti non ci amano. Se provano a comprarci è perché ci vogliono cambiare, ma non prima di aver lucrato abbondantemente sulle nostre debolezze. Ora, a sinistra ci sono "compagni" che vogliono riempirsi le tasche e fare vacanze da nababbi grazie al malaffare? Affaracci loro e della Giustizia che li deve stanare. Ma ci risparmino la lezioncina morale per pararsi le natiche quando vengono beccati con le dita nella marmellata. Cristofaro Sola

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M5S: QUALCUNO VOLO’ SUL NIDO DEL CUCULO

È credibile Giuseppe Conte come guida dell'opposizione al Governo Meloni? Per rispondere alla domanda è necessario prima capire quale opposizione intenda intestarsi il leader dei Cinque Stelle. E, soprattutto, bisogna chiedersi se la strada scelta per contrapporsi al centrodestra sia definitiva o invece corrisponda a una rappresentazione della postura che l'ex premier mette in scena, salvo a stravolgerla ove le circostanze politiche - e le convenienze elettorali - lo richiedessero.

Una tale volubilità per qualsiasi politico sarebbe un'onta. Non lo è per il deputato Giuseppe Conte che del trasformismo ideologico, il più odioso, ha fatto la sua cifra identificativa. L'ex premier si scopre capopopolo a difesa dei più deboli e brandisce il Reddito di cittadinanza come una spada con la quale trafiggere i nemici politici. Un tempo, un personaggio del genere lo si sarebbe definito opportunista. All'avvocato di Volturara Appula, invece, non dispiacerebbe essere inserito nell'albero genealogico della sinistra. Ma sarebbe un intruso. Conte, nel rapporto con la sinistra, vive la sindrome del cuculo, l'uccello parassita. Il cuculo, ancora implume s'insinua nel nido di un uccello di altra specie, ne elimina le uova presenti, scaccia i nati della nidiata e si fa nutrire dalla madre surrogata. Che poi non è diverso, in fatto di tecnica dello scrocco, da ciò che il leader cinquestelle ha fatto e continua a fare a spese della sinistra tradizionale. Prima si è inserito in un campo non suo, perché il grillismo di cui si è impossessato è nato sul presupposto intangibile della terzietà rispetto ai blocchi storici della destra e della sinistra. Dopo un periodo di coabitazione nell'area progressista, il "cuculo" Conte ha cominciato a strattonare il legittimo abitatore di quel nido, il Partito Democratico, fino a spingere il suo leader, Enrico Letta, giù nel vuoto. E adesso, stando ai sondaggi, il "cuculo" comincia a succhiare il nutrimento del campo largo progressista, nella forma di occupazione dello spazio politico, al punto che qualche esperto pronostica per il Pd una fine per prosciugamento uguale a quella del defunto Partito socialista francese.

Ora, il signor Conte potrà pure camuffarsi da cuculo e rubare il pane di altri, ma questo non farà mai di lui un erede della cultura politica della sinistra occidentale per l'evidente ragione che la somma di populismo e qualunquismo, che il deputato Conte ha stipato alla rinfusa nel suo bagaglio ideologico, mal si combinano con i valori e le finalità della visione socialista. La teoria socialista, riguardo al fenomeno della disoccupazione, fonda sull'analisi originaria di Karl Marx che per primo attribuisce una forte soggettività alla classe operaia quale agente della storia. A differenza della centralità della divisione tra oppressi e oppressori nella teoria marxiana, per

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Marx i disoccupati sono assimilati alla plebaglia, venale, sottoproletaria, della "terza classe". Essi rappresentano un pericolo per la lotta di classe del proletariato contro la borghesia, in quanto sono l'"esercito industriale di riserva" del capitale e pertanto possono allearsi indistintamente con ciascuna delle due parti in lotta. Per il padre del comunismo, la massa di diseredati privi di lavoro e di coscienza di classe è un'escrescenza della società che genera una condizione di "sovrappopolazione relativa", funzionale allo sviluppo dell'economia capitalistica. L'idea di tenere masse d'individui inoccupati a carico dell'assistenza pubblica con forme di sussidio slegate dall'obbligo di qualsiasi tipo di prestazione lavorativa non sarebbe mai potuta appartenere alla sinistra che, in una logica di evoluzionismo sociale di matrice positivistica, ha posto in connessione il riscatto del proletario con il recupero pieno della sua dignità di essere umano.

Giuseppe Conte questa cosa non l'ha capita. Gioca a fare l'intellettuale organico al popolo su parole d'ordine e obiettivi, come la perpetuazione a tempo indeterminato del pubblico sussidio, che allontanano la filosofia del Reddito di cittadinanza dal socialismo mentre l'avvicinano a quella delle Power Laws del Medioevo anglosassone. Conte sceglie di farsi riprendere dalle telecamere mentre arringa i disperati che vivono la marginalità delle periferie. Ma anche in questo caso la superficialità del suo messaggio incrocia l'insufficienza delle sue analisi politiche. È accaduto di recente. L'ex premier si è concesso ai media dalla piazza di Scampia, per l'occasione affollata da una massa di questuanti desiderosi di rassicurazioni sulle future erogazioni del Reddito di cittadinanza. Cosa c'era di sbagliato in quelle immagini? Tutto. A cominciare dalla riproposizione di un vecchio cliché che vuole il quartiere napoletano di Scampia, insieme allo Zen di Palermo e al Corviale di Roma, paradigma del degrado economico, sociale e morale annidato nelle viscere della nazione. Uno stigma che ha fatto la fortuna di molti ciarlatani camuffati da intellettuali e di venditori di fumo in stile "Gomorra". Sebbene innegabili, la marginalità e i processi segregativi indotti da una errata interpretazione del Piano Straordinario di Edilizia Residenziale (Pser) per Napoli, varato dopo il terremoto del 1980, si associano alla presenza di realtà socio-economiche del ceto medio borghese, presenti in loco a seguito degli interventi di edilizia sovvenzionata e di cooperative abitative private. Scampia la si può definire un modello di urbanizzazione stratificata che rispecchia la periferia europea. Se ne ricava che solo una parte del quartiere può essere ricondotta allo stereotipo di "fabbrica della marginalità". È vero che la fama di piazza dello spaccio di stupefacenti più pericolosa d'Europa Scampia l'abbia guadagnata con la costruzione delle sette Vele le quali, per le caratteristiche della popolazione lì alloggiata, si sono trasformate ben presto in un microcosmo criminale all'interno di un macrocosmo del disagio. Ciò, tuttavia, non fa di Scampia un quartiere di tutti disperati o, peggio, di tutti delinquenti. Un'indagine sociologica svolta per individuare i profili ricorrenti delle categorie socio-produttive della generalità dei residenti nel quartiere tratteggia un quadro sorprendente per eterogeneità. Scrive al riguardo Fabio Amato in "Periferie plurali: il caso di Scampia oltre gli stigmi": "lavoratori dipendenti di industria e servizi, assegnatari di alloggi Iacp provenienti da altre periferie; assegnatari senza tetto; proprietari degli alloggi negli edifici delle cooperative provenienti da

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zone urbane ed extraurbane; occupanti abusivi in edifici di edilizia pubblica, soprattutto quelli non completati; abusivi che occupano i piani terra seminterrati, perciò chiamati 'scantinatisti'; infine Rom nel campo nomadi di Cupa Perillo, sito in un'area posta al di sotto del cavalcavia dell'Asse perimetrale Melito-Scampia".

Di tutta questa varia umanità, Giuseppe Conte chi intende rappresentare? Vi è un segmento di popolazione residente che vive dei proventi delle attività illegali e criminali. Costoro, risultando nullatenenti alla fiscalità generale, sono in prevalenza percettori del Reddito di cittadinanza. Attenzione, però. Nel caso specifico, non parliamo di un sostegno vitale offerto dallo Stato a individui totalmente indigenti. Traendo profitto da attività illegali, il sussidio per costoro va classificato come integrazione al reddito di provenienza illegale. È questo mondo che Conte vuole tutelare? E quando insinua che un eventuale taglio della misura assistenziale potrebbe provocare una violenta reazione sociale, a cosa allude? Alla capacità delle organizzazioni criminali di fare massa critica allo scopo di alimentare spinte eversive e ribelliste? L'avvocato in pochette sta scherzando col fuoco. Nella sua strategia si scorge l'illusione di replicare il trionfo del primo grillismo, nel 2013, generato dall'intuizione che fu di Gianroberto Casaleggio di canalizzare la protesta sociale e gestirla nell'alveo dell'ordine costituzionale. Ma non è detto che ciò che funzionò dieci anni orsono funzionerebbe oggi allo stesso modo. Sono cambiati i tempi ed è peggiorato il contesto generale. Se a muovere le piazze di domani dovessero essere soggetti provenienti da mondi antitetici alla società ordinata dalle leggi, Conte si troverebbe stretto tra due fuochi: la difesa dello Stato da una parte e, dall'altra, la tentazione di guidare contro le istituzioni democratiche quella che Marx ed Engels definivano la plebaglia dei lazzaroni. Per le dissennate parole pronunciate da Conte in questi giorni qualcuno ha evocato la figura, drammatica per la storia d'Italia, del "cattivo maestro". Dissentiamo. A noi, il Conte visto in azione ricorda le fattezze, goffe e pasticcione, di un apprendista stregone. Comunque, non ci piacciano entrambe.

C.S.

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I REGALI INATTESI

In verità, avrei voluto attendere il prossimo anno per scrivere sul 'nuovo' governo perché il breve tempo trascorso dal suo insediamento, a mio sommesso avviso, non era sufficiente per cominciare una seria opera di analisi (ovviamente, secondo le mie possibilità e capacità). Ma sono stato costretto a ricredermi perché dalla stampa ho appreso l'intenzione del reggitore del dicastero degli Interni di riformare il Codice della Strada e di introdurre delle novità restrittive. Un 'regalo' (seppur da ricevere nel prossimo futuro) che sotto le Feste non può essere ignorato senza i dovuti 'ringraziamenti'.

La motivazione sembra nascere dalla vetustà del predetto Codice, trent'anni, incentivata dai recenti, tragici fatti che hanno visto coinvolti giovani in stato di ebbrezza quando non sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. E, peraltro, il recente rapporto Dekra sulla sicurezza stradale sembra dare ragione all'atteggiamento del governo nell'affermare che nell'Unione Europea gli incidenti stradali nella fascia d'età 18-24 anni causano nel 64% dei casi la morte del guidatore o del passeggero al suo fianco, rispetto al 44% nella popolazione complessiva. Una situazione, quindi, che postula una necessaria riforma.

Non ci sono ancora le linee dei cambiamenti. Tuttavia, le esternazioni sia del ministro che del sottosegretario deputato lasciano un po' perplessi. Non discuto sull'esame circa l'uso del cellulare alla guida o in merito alla guida spregiudicata in monopattino elettrico. Nel contempo, non voglio far la parte del povero padre sempre pronto a giustificare il figliol prodigo ma qualcuno, intanto, potrebbe chiedersi perché una consistente parte giovani è oggi così fatua? Potrebbe domandarsi perché avverte la necessità di bere e di sballarsi? Non voglio certo avviare un'indagine sociologica, ma è innegabile che nei trent'anni trascorsi è stato posto in essere un dannato sistema altamente competitivo e specializzato dove o si corre, anche a danno del prossimo, o si è degli inetti.

Un sistema che non ha lasciato spazio a valori e a tradizioni, che non ha ammesso ideali, sentimenti e passioni, che ha elevato la precarietà come condizione di vita cancellando la speranza, determinando, per conseguenza, laddove le condizioni e i contesti non sono stati benigni, una latente insoddisfazione e una voglia di 'fuga', fisica e metaforica, accompagnata da vasta superficialità quando non da rabbia. E così, oggi, a distanza di trent'anni dalla posa della prima pietra dell'avvento del 'Progresso', nel costatare i risultati l'unico atteggiamento che, come rumore di scopa nuova ci viene in mente, è quello di inasprire le sanzioni. Non basta l'omicidio stradale, relativamente nuovo conio legale, come se la configurazione

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giuridica del delitto, nelle tipologie e nelle modalità di esecuzione, possa assumere una forma diversa dal volontario, colposo, preterintenzionale o premeditato: condizioni tutte applicabili in una casa, in un luogo pubblico o su una strada. Ma lasciamo stare. Nelle recenti esternazioni si parla del ritiro della patente a vita. Per l'amor di Dio, non sono un garantista ma ciò significherebbe che la legge (e i suoi principi) non è uguale per tutti. Togliamo pure definitivamente la patente a chi ha falciato pedoni o altri automobilisti sotto l'effetto dell'alcool o della droga ma, nel contempo, dobbiamo necessariamente adeguare la legislazione per gli altri 'omicidi', comunque avvenuti sotto sostanze che, appunto, hanno alterato la coscienza. Altrimenti, è becera demagogia perché a fare la differenza sarebbe solo lo strumento del delitto, l'auto.

Mi verrebbe da dire che ben più stringenti sanzioni andrebbero varate per altri reati a prescindere per un attimo dalla droga e dall'alcool ma stavolta correrei io il rischio di scadere nel populismo. Passiamo, quindi, anche sopra la ventilata proposta di avere obbligatoriamente in auto il test per l'auto-misurazione del tasso alcolemico perché ci sarebbe da fare un gesto che avrebbe il sapore dell'irriverenza. Speriamo che, perdurando l'ipotesi, i rappresentanti delle prestigiose cantine italiche facciano quadrato e spieghino al responsabile del dicastero che un bicchiere di vino a tavola, oltre a far bene alla salute e all'economia del Paese, non ha mai ucciso nessuno.

Il fenomeno deprecabile dell'ubriachezza alla guida è sorto proprio quando la società ha iniziato a sfaldarsi, peraltro non a causa del vino bensì dei superalcolici, fenomeno tipico dei Paesi del Nord Europa. Lì, la società non si è sfaldata come da noi ma non ha stimoli, paga un 'botto' di tasse e ai bisogni provvede lo Stato. Non come da noi che paghiamo ugualmente nu sacch'e renar per non avere alcunché. Così, almeno abbiamo quelle esortazioni compensative che ci fanno apprezzare la tavola, pur smadonnando per le bischerate governative.

L'ulteriore esternazione, tuttavia, non può passare sotto silenzio: l'entità della contravvenzione, della multa, variabile in base al reddito del reo. Be', questa è roba da gatti fradici, si direbbe a Pisa. Ed il bello è che da quel dicastero si sono affannati a dire che un tale sistema è in essere da tempo in Germania, Danimarca, Svezia, Francia, Svizzera, Belgio e, da ultimo, in Gran Bretagna. Non ho grandi risorse, vivo di pensione, quindi non è per me che parlo né, tantomeno, ho a cuore le sorti dei 'dotati' economicamente ma ciò significa che di nostro non abbiamo più niente. Prima, quando è iniziato lo 'smantellamento' sociale, il faro di riferimento, la luce guida, erano gli States. La competizione, la flessibilità, la velocità di reazione, l'adattamento all'andamento del mercato, e via dicendo. In pratica, abbiamo fatto inchinare (purtroppo, non solo noi) uno Stato all'economia, una collettività nazionale prona ai voleri di un ristretto gruppo di persone (sempre più rimpicciolito), dopo aver distrutto tutti quegli strumenti che consentivano una ripartizione equa del reddito prodotto. Così, in nome degli States e al pari di questi, le disparità, i baratri sociali, sono di tutta evidenza. Ma, almeno là, la mobilità ha un senso. Da noi, si può pensare che spostandosi da Roma, da Napoli, da Bari, da Palermo a Milano il lavoro si trovi checché ne dica l'ISTAT che si affanna a dichiarare incrementi a tutto spiano?

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Adesso, da noi, il riferimento sociale ed economico degli States è andato scemando e, ora che ci penso, abbiamo trascorso un periodo dove l'obiettivo era l'elemosina e la depressione sociale. Non vorrei che adesso altri punti di riferimento sorgano all'orizzonte, tipo appunto i Paesi nordici europei. Perché, a volerli davvero considerare, avremmo di che 'saccheggiare' con gusto e a iosa e non solo citarli quando serve la pezza a colore. Ma, a voler restare nel campo dell'auto e della strada, intanto, in Germania non ci sono limiti di velocità e i pochissimi che sussistono è bene rispettarli perché le sanzioni sono alquanto dure, a prescindere dal reddito. Da noi, un po' come l'inferno italiano paragonato a quello tedesco nella barzelletta: una volta manca il martello per schiacciare i cabasisi e una volta manca la cacca per coprire. Dalla sentenza che di fatto ha abolito i tutors autostradali, nessun altro sistema automatico di rilevazione è stato introdotto. Ma, poi, a dirla tutta, nei restanti Paesi è vero che l'entità della multa è commisurata al reddito ma, generalmente, essa ha un tetto che quasi sempre si attesta attorno ad un sedicesimo dell'introito mensile. In pratica, tradotto in Italia, significherebbe che con uno stipendio medio di 1.500 euro, il massimo della sanzione verrebbe posto a 240 euro. Qualcuno può dire al sottosegretario deputato che qui da noi per superamento dei limiti di velocità, ad esempio, la sanzione per chi ha e per chi non ha, ammonta già attorno ai 250 euro che si raddoppiano (costume italiano) se non si comunica il nome del guidatore?

A meno che, i responsabili del dicastero non pensino a sanzioni ben più aspre. Allora, alla bischerata si sommerebbe l'ingiustizia perché lo scopo ravvisabile sarebbe solo quello di fare 'cassa'. Nel qual caso, i riferimenti non sono i Paesi del Nord bensì alcuni Comuni italiani i cui vigili sembra abbiano l'abitudine di appostarsi dietro gli angoli, a ridosso di un cespuglio o alla fine di una larga curva per cogliere in fallo il contravventore. Le casse comunali languono. Comunque, per ora, sono solo esternazioni. Vedremo in appresso ma è certo che con la sola demagogia non si è mai governato un Paese. Servono idee che facciano sistema strutturale. La campagna elettorale è finita e prima della prossima dovrebbero trascorrere cinque anni.

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RAZZISMO O CLASSISMO?

Il caso Soumahoro, con l'inevitabile cicaleccio politico/mediatico di contorno, in concomitanza con il prosieguo di sbarchi illegali dall'Africa, ha ri-attualizzato - caso mai ce ne fosse stato bisogno - la perenne questione di un presunto atteggiamento razzista da parte degli italiani. Non essendo sociologo, non esprimo valutazioni al riguardo, ma, da cittadino e limitatamente alla mia modesta persona, mi arrogo il diritto di avere qualche mio convincimento in merito. Credo, per prima cosa, che in Italia si faccia una confusa sovrapposizione tra "razzismo" e "classismo". Cosa intendo dire? Mi si consenta in proposito una breve digressione: Un giorno un amico mi pose in modo brusco la seguente domanda: "ma tu, caro Antonino, ti consideri, o no, razzista?" La mia risposta fu: "no, non potrei mai essere razzista in quanto mi reputo profondamente classista, ma" - continuai - "nei limiti di una sorta di classe dell'animo, del sentimento, del comportamento, dell'educazione, della cultura, cose tutte che poco o nulla hanno a che vedere col colore della pelle, con lo status sociale o con il censo. Anzi, denaro e potere appaiono spesso in controtendenza con il livello della classe" di spirito degli interessati. Una per tutte? La mia personale memoria di alcuni braccianti agricoli nei feudi della Sicilia occidentale del secondo dopoguerra che, pur disponendo di quasi nulla di materiale avevano, nella loro povertà, una autocoscienza della propria dignità di esseri umani come parte di un consorzio di pari, che li rivestiva, appunto, di una "classe" in aperto contrasto con la modestia della loro condizione socio-economica". In tutt'altro contesto e dimensione, ma in modo altrettanto pertinente, giova anche ricordare come la stucchevole dialettica di "razza versus classe" venga rappresentata in modo molto efficace nell'ottimo film "Indovina che viene a cena" con Spencer Tracy, Sidney Poitier e Katharine Hepburn. Il perdurante sguardo interrogativo del mio interlocutore mi costrinse a dover elaborare ulteriormente il concetto con paio di esempi del tutto teorici affinché, esasperandolo, essi potessero aiutarmi a delineare le caratteristiche di un ipotetico "razzista", diciamo, perfetto, purissimo, di natura quasi iperuranica. Ed altresì evidenziare come tali presunti razzisti "duri & puri", siano in realtà molto pochi e che colui che di tale atteggiamento si riempia la bocca, confonda in realtà la "razza" con la "classe". Equivoco questo alimentato in parte anche dal fatto che la massa di disperati che sbarca sulle nostre coste si presenta, in forma e sostanza, come composta da persone appartenenti alla categoria degli ultimi e dunque posizionati al gradino più basso della scala sociale. Data, ahimè, la natura umana e facile che essi vengano guardati con una sorta di sprezzante superiorità.

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Al riguardo, e tornando alla provocazione, immaginiamo dunque che il presunto razzista senza se e senza ma di cui sopra si veda recapitare un ipotetico, elegante cartoncino in cui si legga qualcosa del tipo: "Il Presidente degli Stati Uniti d'America e la Signora Obama si pregiano di invitare il Signor Tal de Tali e Signora al Pranzo di gala che avrà luogo alla Casa Bianca il giorno X alle ore Y. R.S.V.P." Con coerenza "razziale" il nostro eroe dovrebbe limitarsi a rispondere con convinzione: " io per principio non frequento neri e, men che meno, mai mi siederei a tavola con uno di loro!" . Molto improbabile, nevvero!? Credo piuttosto che il nostro amico si precipiterebbe subito a Washington per potersi assidere a cotanto desco con buona pace del suo…. conclamato razzismo, evaporatosi all'istante di fronte alla "classe" di appartenenza dell'augusto invitante! Su un livello molto più pedestre, potremmo anche immaginare una seconda e più verosimile fattispecie:

C'è il rischio di rimanere bloccati per un itero fine settimana, a causa di un improvviso guasto, nella cabina dell'ascensore di un palazzo di trenta piani ed al nostro iperuranico razzista viene data l'ipotetica possibilità di scegliere, come casuale compagno di sventura, tra un ingegnere nucleare giapponese (di cosiddetta "razza" gialla) ed un ragazzotto nostrano spacciatore di stupefacenti (di perfetta "razza" bianco-lattea) per trascorrere insieme 36 ore da coatti in quattro metri quadri. Lascio al gentile lettore la risposta circa quale potrebbe essere la più verosimile scelta del nostro amico iper-razzista. Quanto sopra al semplice scopo di sostenere un mia convinzione secondo la quale qui da noi in Italia si confonde il razzismo con il classismo e per cui ci si scaglia contro coloro che hanno la pelle diversa, non in quanto "colored", ma in quanto di classe sociale, economica e culturale percepita (e spesso, di per se stessa, effettiva) come inferiore. Non dunque per motivi di principio o di sentire razzista, quanto piuttosto in considerazione del loro attuale stato di fatto (che, in puri termini di lettura"spot" del fenomeno è spesso più che evidente), ma che potrebbe ben modificarsi in una prospettive di più lungo periodo. Un esempio a sostegno di tale tesi? La mia lunga esperienza di vita australiana che mi consente di testimoniare come i primi emigranti italiani, giunti in massa in quel continente tra i due conflitti mondiali e poi nel secondo dopoguerra, vennero accolti da quei bi-secolari residenti di origine nord-europea ne più ne meno come qui da noi l'attuale immigrazione di colore a Lampedusa. Dal mondo "aussie" di provenienza britannica quei nostri connazionali venivano infatti considerati "razza" inferiore, pretta manovalanza per i lavori più umili e chiamati in modo dispregiativo "diegos" (pronunciato "daigos"); essi costituiscono oggi la primaria classe dirigente di origine non anglosassone del paese ed il connazionale Anthony Albanese è l'attuale capo del governo federale. Quindi la "classe" di quei nostri vecchi italiani ha fatto, a lungo andare, premio sul presunto disdoro della loro appartenenza alla "razza mediterranea" un tempo considerata colà come inferiore. " Mutatis mutandis", lo stesso discorso varrebbe, tenuto conto della sua storia imperiale, per l'attuale Gran Bretagna ed il suo nuovo Primo Ministro di origine indiana. Certo i nostri emigranti, ovunque essi siano sbarcati, negli Stati Uniti, in Sud America, in Oceania

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e nell'Europa del nord hanno saputo riscattare, col valore del proprio lavoro e con l'intelligenza del duttile adattamento alle nuove realtà ospitanti, il gravoso handicap iniziale costituito da caratteristiche locali, costumi e pregiudizi avversi nei loro confronti, mai ponendosi come antagonisti al sistema che li accoglieva, ma, al contrario, adeguandosi alle nuove differenti realtà trovate di volta in volta, senza mai considerare il paese ospitante come una sorta di rifugio per "zattere" ove su ciascuna di esse possano accomodarsi liberamente le più diversificate "enclavi" di culture esotiche, nonché dei più diversificati usi e costumi, ciascuno dei quali libero di manifestarsi senza remore o come meglio aggradi: dallo spacciare droga, all' assalire donne nei parchi cittadini o addirittura nello strangolare e seppellire figlie adolescenti ribelli (il caso della giovane pakistana Saman, barbaramente assassinata dalla famiglia, "docet"). Non è dunque questione di razzismo. Qui si tratto di rispettare uno Stato di diritto a cui Storia, tradizione e scelte politiche hanno dato un fisionomia, con norme e costumi, che va accettata e condivisa senza eccezioni o sotterfugi. La partita tra razzismo e classismo nell'Italia di oggi è dunque del tutto nelle mani degli immigrati che sbarcano sulle nostre coste. Qualora essi si considerino vittime "a priori" di immeritate stigmate di inadeguatezza, illegalità, discriminazione o rigetto, l'eventuale riscatto da tutto ciò non potrà che dipendere soltanto dagli stessi interessati. Sorveglino, isolino e stigmatizzino chi tra i propri connazionali giunga in Italia per delinquere con forme di illegalità più o meno gravi, più o meno impattanti o più o meno appariscenti. Controllino, come comunità etniche, le componenti anomale delle loro stesse genti e stiano certi che allora non vi saranno più giudizi sommari, discriminazioni o forme di rigetto nei confronti di chi è "diverso" soltanto per il colore della pelle. Ed ecco spiegato anche quell'arcano secondo cui, anche il più becero tra i cosddetti "razzisti" nostrani, non abbia difficoltà alcuna a cogliere, tra le varie comunità straniere qui immigrate, le lampanti differenze che diversificano quelle dedite per lo più a spaccio, prostituzione e truffe "on line" da quelle che contribuiscono invece, con i loro umili e silenziosi lavori domestici, al quotidiano benessere delle nostre famiglie.

Roma, 5 dicembre 2022

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CASAMICCIOLA: PIOVE SUL BAGNATO

Attribuire colpe a chicchessia per le conseguenze di un cataclisma, quando la ricerca delle vittime è da poco terminata, è inopportuno. Sarebbe più salutare tacere e attendere tempi migliori, prima di imbarcarsi in fumose discussioni su possibili responsabili da colpire con l'implacabile scure della giustizia. È un invito rivolto a tutti, media compresi, perché castronerie e giudizi sommari non aiutano la causa della verità. La frana che ha colpito il Comune di Casamicciola Terme, sull'isola d'Ischia, ha cause complesse la cui individuazione non può essere affidata alla "tuttologia" di coloro che nel volgere di alcuni mesi si sono presentati all'opinione pubblica prima da esperti virologi, per dire la loro sul Covid, poi si sono trasformati in strateghi militari, pur di pontificare sulla guerra russo-ucraina. E oggi, con immutata sicumera, strologano da consumati idrogeologi sulle cause della frana.

Un po' di senso del pudore, no? Neanche il tempo di capire cosa fosse accaduto, che gli "esperti" mediatici hanno puntato il dito contro l'abusivismo edilizio di cui l'isola flegrea è vittima. Ora, che il problema esista non v'è dubbio. Stavolta, però, l'abusivismo non c'entra. Almeno non è la causa diretta della frana che si è generata dal crollo di un costone del Monte Epomeo, alla quota di 700 metri, dove case e manufatti umani non ci sono. I morti vi sono stati perché la valanga d'acqua, massi e fango nella sua corsa verso il basso ha travolto delle abitazioni. La domanda è: quelle case potevano stare lì o erano abusive? Prima di sparare sentenze, occorrerebbe consultare gli atti in possesso delle autorità comunali per verificare se le licenze edilizie fossero state concesse o meno. Bisognerebbe accertare se sulle costruzioni pendessero istanze di condono e se le medesime fossero ubicate nella cosiddetta "zona rossa", cioè a più elevato rischio sismico e idrogeologico.

Ribadiamo: erano o no in zona rossa? In effetti, lo si scopre consultando la piantina allegata all'ordinanza comunale numero 102 del 5 febbraio 2018 che definisce la nuova perimetrazione della "zona rossa" del Comune di Casamicciola Terme, rielaborata in seguito agli eventi sismici del 2017. Per non tirare a indovinare, c'è un responsabile della procedura, che l'ordinanza comunale individua nel capo dell'Area tecnica del Comune di Casamicciola Terme, a cui chiedere per avere la risposta giusta. Capirete bene che non è irrilevante stabilire se le case sepolte dal fango fossero a norma con i regolamenti edilizi e se, quindi, fossero fuori dalla famigerata zona rossa. In caso affermativo, la critica sguaiata di queste ore avrebbe sbagliato bersaglio. A ingarbugliare la matassa è intervenuto l'ex premier Giuseppe Conte, che con sorprendente vigliaccheria ha tentato di allontanare da sé ogni responsabilità per l'emanazione del decreto

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legge del 28 settembre 2018, numero 109, meglio noto come "Decreto per la ricostruzione del ponte Morandi a Genova". Il provvedimento prevede, al capo III, "Interventi nei territori dei Comuni di Casamicciola Terme, Forio, Lacco Ameno dell'Isola di Ischia interessati dagli eventi sismici verificatisi il giorno 21 agosto 2017". In particolare, i fari dei media sono stati puntati sul contenuto dell'articolo 25 del decreto, poi convertito in legge, che reca in rubrica "Definizione delle procedure di condono". Apriti cielo! Qualcuno avrebbe detto: ma che c'azzecca Ischia con la ricostruzione del ponte caduto a Genova? Nulla. Gli opinionisti da bar dello Sport ci sono andati a nozze: trovato il colpevole dei morti della frana ischitana. È lui, Giuseppe Conte, il responsabile dell'odierna tragedia, avendo consentito, a esclusivo beneficio degli ischitani dei Comuni di Casamicciola Terme, Forio e Lacco Ameno, di riaprire di fatto i termini del condono edilizio tombale del 1985. Quale gigantesca idiozia! Per quanto del signor Conte, capo dei Cinque Stelle, pensiamo tutto il male possibile, questa volta non sarebbe leale gettargli la croce addosso, anche se lui con il pusillanime tentativo di svignarsela ha fatto di tutto per apparire colpevole. In primo luogo, quella norma - surrettiziamente introdotta in un decreto d'urgenza riguardante tutt'altra vicenda - fu un escamotage della politica per dare risposta a un problema concreto che, se non risolto tempestivamente, avrebbe tagliato fuori dal pacchetto di aiuti - stanziati dal Governo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 2017 - la stragrande maggioranza delle abitazioni private e delle strutture imprenditoriali presenti nel Comune di Casamicciola. Il provvedimento comprensivo del contestato articolo 25 fu approvato da tutto il Movimento Cinque Stelle, con qualche insignificante eccezione. E non solo. Ebbe il voto della Lega che, in sede regionale, aveva combattuto la battaglia per l'applicazione delle norme sul condono edilizio del 2003, non riconosciuto in Campania dall'allora Giunta regionale guidata da Antonio Bassolino. Sulla stessa posizione si schierarono Forza Italia e Fratelli d'Italia. Unica forza a opporsi fu il Partito Democratico, tenuto a difendere la decisione di Antonio Bassolino. Ma l'abusivismo a Ischia si rappresenta alla stregua di una matrioska. Esiste una singolarità isolana che s'inserisce in una più ampia specificità campana che, a sua volta, s'inquadra nella generalità del fenomeno nazionale. L'abnorme presenza di domande di condono su un territorio delimitato, quale quello dell'isola d'Ischia, rispecchia la volontà degli isolani di sentirsi padroni della loro terra, anche a dispetto delle normative che imporrebbero vincoli stringenti all'esercizio del diritto alla proprietà privata. Chi conosce la psicologia dell'isolano, sa che la percezione che gli ischitani hanno dell'istituto del condono edilizio è l'opposto della realtà: l'atto sanatorio non è vissuto come un'occasione straordinaria per mettersi in regola con le normative vigenti. Al contrario, è inteso come l'opportunità che lo Stato concede a se stesso di riconciliarsi con la legittima pretesa degli ischitani di godere, pienamente, di ciò che gli appartiene in via esclusiva per diritto di nascita. La ragione dell'esasperata lentezza nell'evadere le istanze di condono non va ascritta alla burocrazia, ma alla necessità di garantire l'equilibrio tra gli interessi degli isolani, i doveri delle istituzioni pubbliche e la cogenza delle norme dell'ordinamento giuridico. Ne è prova la difficoltà nel procedere alla ricostruzione dopo il sisma del 2017, non per

audacia temeraria igiene spirituale

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la farraginosità della Pubblica amministrazione ma per la pretesa dei danneggiati dal terremoto di non subire alcuna delocalizzazione e di poter ricostruire le abitazioni distrutte esattamente dov'erano situate prima dell'evento catastrofico, indipendentemente dal fatto che quelle aree fossero insicure. Come mostrano le immagini, le case travolte non erano baracche abusive coperte da lamiere ma abitazioni di pregio, il cui valore di mercato è decuplicato dalla presenza di un panorama tra i più belli al mondo. Gli ischitani lo sanno da sempre e per questo si oppongono con ogni mezzo al cambiamento dello status quo, anche se ciò dovesse comportare un rischio mortale. Un imprenditore isolano della logistica, in auge alcuni decenni orsono, era solito affermare che, nascendo a Ischia, si diventava di diritto azionista di una grande spa. Aveva ragione. L'economia del luogo ha funzionato secondo logiche del tutto avulse da quelle che governano l'economia nazionale. È stato giusto consentire che si coltivasse un sentimento di separazione dal contesto nazionale così forte? No, e la politica ha le sue colpe. Avere assecondato nel tempo la natura monotematica dell'economia isolana, totalmente vocata al comparto turistico e al suo indotto, ha creato i presupposti perché i fenomeni catastrofici potessero abbattersi sulla popolazione. Il vero colpevole della frana dei giorni scorsi è rappresentato dall'incuria riservata alle terre alte dell'isola. La necessità di cristallizzare, come in un'oleografia ottocentesca, la natura selvatica dei luoghi, per accrescere il fascino esotico dell'isola, ha distolto le istituzioni pubbliche dal dovere di garantire la pulizia continua del sottobosco, la sistemazione degli alvei, la creazione di vasche d'espansione per contenere le acque pluviali e di canaloni per consentirne il regolare deflusso verso il mare. La necessità di intensificare l'urbanizzazione delle zone costiere dell'isola ha tolto spazio ai rii e ai ruscelli, funzionali alla decongestione della montagna. Più grave ancora è stata la scelta di abbandonare l'agricoltura collinare che, se tempestivamente pianificata e sviluppata, avrebbe offerto maggiori possibilità di cura e di governo al territorio. Ora, padronissimi gli ischitani di rischiare le proprie esistenze e quelle dei loro figli per continuare a vivere a modo loro. Ma se volessero cambiare verso, pensando meno a cosa mettere a reddito per fare denari e riflettendo più sul dotarsi di una solida tranquillità esistenziale, riprovino a fare ciò che portavano avanti i loro avi, coltivando la terra e manutenendo i terreni incolti. Potranno maggiormente godere di buon vino e di buona frutta. E temere meno la furia devastatrice delle acque alluvionali.

CS

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LA CATTEDRALE DI PALERMO

Di fronte allo studio giace da mille e più anni la cattedrale.

Enorme e statica

Dalle possenti mura, e merlate, essa è anche una cinta muraria che difende una città nel deserto. Non so dirvi se mi trovo al di qua o al di là del proseguimento delle sue mura. Infatti la cattedrale è dimorfica e può farti sentire dentro o fuori la città. Quale città?

Propendo per un regale avamposto del regno di un emiro: potremmo essere in Afghanistan o più probabilmente in Marocco, comunque in un luogo ai limiti di un deserto che continua oltre, del quale la muraglia segna al contempo l'inizio e la fine.

Le mura possenti e alte, costruite con la nostra pietra arenaria che ha conosciuto lo sciabordio del mare, la sua risacca primordiale (ne sono segno i fossili che ancora ingloba: le grandi conchiglie, diremmo noi profani, che sembrano segnali del camino di san Jago), le piccole finestre timorose di assalti, il ricamo di fastigi e ricorsi che ingentiliscono la sua possanza. Dai merli potrebbero apparire punte di frecce, e certo questo avvenne.

Ai suoi piedi un patetico giardinetto geometrico vuol contrastare, a chi proprio lo vuol fare, lo spettacolo indecente appena fuori le mura della città. Fatto di sterpi e concime, radi cespugli, carogne, buttate giù dalle mura per non appestare l'aria: ma siamo quindi all'esterno. Se invece vogliamo sentirci entro le mura, nella città che esse difendono, siamo in un camminamento di armigeri pronti all'estrema difesa delle mura. Antichi archi murati indicano come il tempo e le astuzie progressive abbiano potuto sovrapporsi con naturalezza, senza complessi e pentimenti.

Ogni emiro o generale ha voluto lasciare il segno della sua presenza, così resa meno effimera.

Uno realizzando un grande camminamento aereo, un altro operando un enorme foro rotondo in alto, buono per apprestare le prime salve di cannone, un altro ancora ricamando una infinita serie di archetti lanceolati intervallati da colonnine esili, come fanciulle offerte al nemico per impetrarne la rinuncia all'assedio.

Questo costruire per essere menzionati nel futuro, dalle future generazioni, in molti casi appare esercizio futile e distratto di chi non vuol ammettere che l'opera resta, non la memoria del suo fortuito autore.

Per questo l'architettura non sempre perdona, in virtù della sua stessa durata, le ambizioni memoriali.

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Quattro torri da minareto sorvegliano poi il paesaggio per ampio tratto. Esse vedono più lontano, come il popolo riconosce al generale della guarnigione; hanno campane e banderuole per conoscere il percorso del vento e avvertire di quel polverone che si intravede in lontananza. Questo fortilizio è irregolare per altimetria delle sue parti, ciascuna tesa a dissimulare, si direbbe, con inadeguati artifici decorativi, la reale portata difensiva dell'avamposto.

La Santa Romana Chiesa, impadronitasi della città, con adeguato ritardo di tempo - lunga riflessione imposta dalla stessa gravità della materia - collocò sopra il maschio centrale un cilindro sormontato da una ogiva.

Questo enorme proiettile a retrocarica era poi richiamato da altri simili ordigni ma di minore calibro, che, in numero di otto per lato, costituivano l'ulteriore armamento della Controriforma: una cartucciera da mitraglia che si ripeteva per ogni chiesa della città antica. L'antico muro si trasformò così in una santabarbara contro le eresie.

Fausto Provenzano

Le quattro torri angolari, per quanto in anticipo sui tempi, preannunciavano ingenuamente missili da venire.

Fausto Provenzano

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A NATION ONCE AGAIN

LA LOTTA FRATRICIDA CONTINUA

Le continue stragi e i feroci scontri tra le due fazioni in lotta spinsero il Governo britannico a individuare una soluzione ritenuta accettabile per tutti. Con l'abolizione del Parlamento di Stormont si stabilì che i cittadini nord-irlandesi avrebbero avuto una loro Assemblea (Northern Ireland Constitution Act, 1973). Ai cittadini coinvolti nella guerriglia, nonostante l'opposizione di molti parlamentari, fu riconosciuto lo status di prigionieri politici, come da loro fortemente richiesto. Fu anche stabilito che, per qualsivoglia cambiamento dello status costituzionale, si rendeva necessario il consenso della maggioranza dei cittadini nord-irlandesi, tenendo conto, per quanto possibile, anche del punto di vista dell'EIRE. In un articolo dell'atto parlamentare si legge testualmente: "Con la presente [legge, N.d.R.] si dichiara che l'Irlanda del Nord resta parte dei domini di Sua Maestà e del Regno Unito, e si afferma che in nessun caso l'Irlanda del Nord o parte di essa cesserà di far parte dei domini di Sua Maestà e del Regno Unito senza il consenso della maggioranza del popolo dell'Irlanda del Nord, che vota in un sondaggio tenuto ai fini della presente sezione in conformità con l'Allegato 1 alla presente legge".

L'intento era quello di placare gli animi dei militanti dell'Ira e dei fiancheggiatori e non a caso fu anche stabilito che i rappresentanti della minoranza cattolica partecipassero al potere esecutivo. Come già anticipato nel capitolo precedente, anche tra i cattolici nacquero dei dissensi e i moderati ostili all'Ira diedero vita al Partito Socialdemocratico e Laburista (SDLP), che rifiutava la lotta armata come strumento per ottenere l'indipendenza. Il 9 marzo 1973 i nord irlandesi furono chiamati a scegliere, con un voto referendario (nella nota succitata definito "sondaggio"), se restare provincia del Regno Unito o riunificarsi con l'Eire e formare un'Irlanda unita. Il referendum fu giudicato dai cattolici una presa per i fondelli in quanto era chiaro che avrebbero vinto gli unionisti, più numerosi: (più o meno il 60% contro il 40%). Fu deciso di boicottarlo, pertanto, lasciando ai soli protestanti il compito di recarsi alle urne. Va detto, tuttavia, che anche alcuni cattolici, per lo più elettori del SDLP, votarono per il remain, nonostante il chiaro appello al boicottaggio lanciato anche dai dirigenti del loro partito. Su un totale di 1.029.544 votanti, quindi, si ebbe un'astensione di circa il 42%, che consentì agli unionisti di vincere con il 98,2%. I militanti dell'Ira manifestarono il loro disappunto con numerosi attentati, sia nel Nord Irlanda sia a Londra, dove due autobombe provocarono un morto e duecento feriti. Lo scontato risultato referendario portò alla creazione di un esecutivo formato da sei membri degli Unionisti Ufficiali e cinque membri del Partito Socialdemocratico e Laburista.

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Questo atto politico, alla pari di tanti altri descritti in precedenza, consente una considerazione molto importante, che la dice lunga sul perché il processo di riunificazione non è mai andato in porto: il Partito dei cattolici moderati, che aveva boicottato legittimamente il referendum, non ci pensò due volte a governare con gli unionisti. ? si vero che era nato proprio con quello scopo, 1 concettualmente definibile, come in effetti da tanti definito, "un nobile proposito ", ma a quel punto era anche chiaro che gli unionisti non avrebbero mai lasciato vero spazio operativo ai cattolici e che l'unica opposizione seria era quella effettuata dal Sinn Féin. Si andò avanti a tentoni, pertanto, e fu concordata con il governo dell'EIRE una conferenza che si tenne nel piccolo villaggio di Sunningdale, una cinquantina di chilometri a ovest di Londra. (Sunningdale 2 Agreement, 9 dicembre 1973 ). Fu stabilita l'istituzione di un Consiglio d'Irlanda che avrebbe dovuto consentire una cooperazione tra l'entità giuridica nord-irlandese e l'Eire, riunendo collegialmente rappresentanti della nuova Assemblea nordirlandese e rappresentanti del parlamento irlandese. Il Consiglio era composto da trenta membri della nuova Assemblea nordirlandese e da trenta membri del Dail di Dublino, ossia la camera bassa dell'Oireachtas (Parlamento) della Repubblica d'Irlanda. I socialdemocratici irlandesi in buona fede (perché ovviamente non tutti erano come quelli descritti nella nota nr. 1) confidavano, ingenuamente, che il Consiglio potesse rappresentare il primo passo verso l'unità dell'isola. I protestanti, infatti, temendo che con il Trattato si sarebbe potuto realmente coronare il sogno unitario dei cattolici, formarono l'Ulster Unionist Council, organismo di contrasto composto dagli eletti nell'Assemblea, che subito firmarono una mozione di sfiducia nei confronti dell'Esecutivo, guidato da Brian Faulkner, anch'egli unionista ma convinto sostenitore dell'accordo sottoscritto a Sunningdale e per questa ragione inviso alla maggioranza dei colleghi di partito. La mozione fu respinta e l'Ulster Workers Council indisse uno sciopero generale, cui aderì anche l'Ulster Defence Association, che mise in ginocchio le Contee e sancì il completo fallimento del Trattato nel maggio 1974. Il successo galvanizzò i protestanti, che ripresero una feroce campagna di attentati contro inermi cittadini cattolici e i militanti dell'Ira. La risposta non si fece attendere e ancora una volta fu la violenza ad avere il sopravvento. Nell'ottobre 1974, a Guildford, cittadina a sud-est di Londra, due bombe, collocate in due pub frequentati prevalentemente da militari inglesi, provocarono cinque vittime (quattro militari e un civile) e sessantacinque feriti. Il 21 novembre 1974 si replicò in due pub di Birmingham, con un bilancio più grave: ventuno vittime e 182 feriti. Gli attentati alimentarono il già abbondante odio nei confronti dei nord-irlandesi cattolici, grazie anche alla stampa che non perse tempo nel gettare benzina sul fuoco: l'essere umano è portato a vedere il male solo negli altri, senza rendersi conto di quello proprio e senza mai chiedersi il perché di certe azioni.

Le masse inferocite avevano bisogno di colpevoli da crocifiggere, ma i guerriglieri dell'Ira non erano certo degli sprovveduti e non avevano lasciato alcun elemento che consentisse la loro identificazione. Il Parlamento di Westminster, però, varò in fretta e furia il Prevention of Terrorism Acts (Legge di prevenzione contro il terrorismo), che prevedeva il fermo dei cattolici per sette giorni, senza assistenza legale, sol che fossero sospettati di simpatizzare per l'Ira -

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accusa che praticamente era possibile imputare al 90% dei cattolici - ed essere processati senza una giuria. Le pressioni sulle forze dell'ordine affinché trovassero subito "dei" colpevoli s'intensificavano giorno dopo giorno e alla fine, in mancanza di meglio, furono presi undici poveracci che con l'Ira non avevano nulla a che vedere e sbattuti in prigione. Bisognava indurli a confessare, però, per rendere credibile l'arresto, cosa che fu ottenuta facilmente con i pressanti interrogatori, la tortura psicologica, la privazione del sonno e la minaccia di uccidere i familiari. A uno di loro, Paul Hill, dissero che avrebbero ucciso la moglie incinta se non avesse "confessato". Alle confessioni estorte con la tortura furono allegati falsi verbali dai quali risultava la positività alla nitroglicerina, che i poveretti manco sapevano cosa fosse. In un processo farsa furono comminati quattro ergastoli; due condanne a 14 anni; tre condanne a dodici anni; due condanne a 5 e 4 anni per due fratelli minorenni. Un vero incubo per due famiglie imparentate, che in prigione subirono pesanti vessazioni. Nei testi e nei media che si sono occupati della vicenda si parla dei "quattro di Guildford" (Gerry Conlon, Paul Hill, Carole Richardson e Paddy Armstrong) e dei "sette Maguire", creando un po' di confusione. Tra i sette Maguire, infatti, vengono inseriti 3 anche Giuseppe Conlon (padre di Gerry e cognato di Anne Smith, che aveva sposato suo fratello Patrick), e Patrick O'Neill, amico di famiglia. In pratica i membri della famiglia Maguire arrestati furono cinque: Anne e il marito Patrick; il primo figlio diciassettenne Vincent; il secondo figlio quattordicenne Patrick; Sean Smith, fratello di Anne, 37enne.

I membri dell'Ira rivendicarono ufficialmente l'attentato e nel dicembre 1975, quattro militanti catturati a Londra per altri fatti, dichiararono che degli undici se ne ignorava addirittura l'esistenza e pertanto andavano scarcerati subito. I giudici, però, fecero orecchie da mercanti: con la riapertura del processo avrebbero perso credibilità agli occhi dell'opinione pubblica. Dopo tutto si trattava solo di undici poveracci irlandesi: marcissero pure in carcere, anche se innocenti. Per l'attentato di Birmingham accadde esattamente la stessa cosa: altri sei irlandesi innocenti (Hugh Callaghan, Patrick Hill, Gerard Hunter, Richard McIlkenny, William Power e John Walke) furono condannati all'ergastolo nel 1975.

Giuseppe Conlon inviò numerosi appelli ai media, ai politici, ai giudici, chiedendo che si riaprisse il processo, facendone chiaramente percepire la natura farsesca e strumentale, ma fu tutto inutile: si ammalò, non fu curato e morì tra le sbarre il 23 gennaio 1980, senza aver potuto mai rivedere il figlio. La sua tragica morte, però, diede linfa ai tanti appelli rimasti inascoltati, e qualcosa iniziò a muoversi.

Vi è un dato importante su questo punto che, come per tante altre fenomenologie sociali più o meno analoghe, non viene preso sufficientemente in considerazione, pur essendo fondamentale per inquadrare il problema. Gli inglesi che "bramavano" sangue irlandese sapevano benissimo che il processo era una farsa e che gli attentati erano imputabili a "veri" militanti dell'Ira: bastava guardarli anche senza che aprissero bocca, gli imputati, per capire che manco alle giostre sarebbero stati capaci di imbracciare un fucile e men che mai di destreggiarsi con gli esplosivi e organizzare attentati impeccabili. La farsa giudiziaria, tuttavia, risultava

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appagante in virtù di particolari processi mentali e quindi scambiata per un legittimo processo. Attenzione: non si faccia confusione tra gli esponenti del potere (magistrati, politici, giornalisti) e le masse: i primi mentivano sapendo di mentire e con spietato cinismo mandavano innocenti in galera, esponendoli al pubblico ludibrio; il popolo "si convinceva realmente" della colpevolezza degli imputati, anche di fronte a un'evidenza che avrebbe dovuto e potuto consentire di aprire gli occhi. La psicologia spiega questa distonia dell'essere con il termine "scotoma", mutuato dalla scienza oculistica: l'occhio vede solo ciò che la mente vuole vedere. Allo scotoma spesso si associa una seconda distonia mentale che affligge una consistente fetta del genere umano: ridurre il proprio livello di frustrazione, per qualsivoglia motivo insorto, praticando atti di violenza contro chi non si possa difendere. Anche la manifestazione di odio verso soggetti con in quali non si entrerà mai in contatto, infatti, è una forma di violenza. Si rendono necessari eventi davvero straordinari o sconvolgenti affinché l'effetto di offuscamento mentale cessi e sentimenti diversi affiorino - parliamo sempre "esclusivamente" delle masse aduse a ragionare di pancia e a conferire valore assoluto al proprio pensiero - facendo cambiare completamente le prospettive analitiche, tra l'altro a volte sostituite da altre non meno fallaci delle precedenti. Nella fattispecie, la stampa iniziò ad attenuare la linea aggressiva nei confronti degli irlandesi ingiustamente imprigionati; a livello di opinione pubblica si iniziò a parlare sempre più insistentemente della loro innocenza e dell'atroce morte provocata al povero Giuseppe Conlon; Amnesty International (che quando non esagera nella difesa di chi si renda colpevole di crimini efferati, fa cose buone) intervenne drasticamente, denunciando le decisioni strumentali dei giudici e diffondendo gli articoli della stampa irlandese, che evidenziavano punto per punto le discrasie processuali e la chiara volontà persecutoria. A poco a poco, persone che fino al giorno precedente sputavano fuoco e fiamme contro gli irlandesi, si trovarono a marciare a favore dei detenuti, chiedendone la scarcerazione. ? a questo punto che entra in gioco l'avvocato inglese Gareth Peirce, nota per la sua straordinaria abilità nella tutela dei diritti civili. (Vi invito a guardare il film "Nel nome del Padre", diretto da Jim Sheridan, con lo straordinario Daniel DayLewis che interpreta Gerry Conlon ed Emma Thompson nei panni della Peirce, la cui struggente colonna sonora è stata composta da Bono degli U2 - già citati per il brano sul Bloody Sunday - e dal cantante irlandese Gavin Friday). La Peirce si mise al lavoro sommando furore civile a razionale metodo professionale e ben presto riuscì a dimostrare che le prove erano state manipolate e la pubblica accusa aveva nascosto ogni elemento in grado di scagionare gli imputati. Negli archivi della polizia trovò documenti che riportavano la scritta: "da non mostrare alla difesa". Vinse la sua battaglia e il 19 ottobre 1989, dopo ben quindici anni dietro le sbarre, "i quattro di Guildford" furono finalmente scarcerati. Per i cinque Maguire e l'amico di famiglia, invece, l'innocenza fu riconosciuta solo nel 1991, quando ormai avevano finito di scontare le proprie condanne. Il riconoscimento valse simbolicamente anche Giuseppe Conlon, che come abbiamo visto morì in carcere. Gerry Conlon, dopo la terribile esperienza, non riuscì più a reinserirsi nella vita civile: depresso, sfiduciato, ferito nel profondo dell'animo per essere stato, sia pure senza colpa diretta, causa

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delle sofferenze e della morte del padre, si diede all'alcool e morì di cancro il 21 giugno 2014, a sessanta anni. Paul Hill, invece, s'impegnò subito nella causa dei diritti umani e scrisse il libro "Anni rubati" (Dalai Editore, 1995), che funse da soggetto per il film "In nome del padre". Nel 1993 si sposò con Courtney Kennedy, figlia del senatore Bob (assassinato nel 1968) e nipote dell'ex presidente John (assassinato nel 1963). La coppia si separò nel 2006 e la loro unica figlia, Saoirse Rosin, morì a soli 22 anni, nel 2019, per overdose. Paddy Armstrong si trasferì a Dublino con la moglie, che gli ha dato due figli. Nel 2017 ha scritto un bellissimo saggio (purtroppo non disponibile in italiano): "Life after Life" (Edito da Gill Books), nel quale esprime una toccante testimonianza sulla capacità di resistenza dello spirito umano, sul potere del perdono e sulla ritrovata libertà che funge da balsamo in grado di guarire le profonde ferite causate dall'ingiustizia più selvaggia. "Questo libro mette in luce la dolce anima di Paddy", esclamò commosso il regista Jim Sheridan, dopo averlo letto. Nel 2014, quando morì Gerry Conlon, Paddy volle mettersi al posto di uno dei portatori di bara a spalla, per accompagnare l'amico fino alla tomba, nel Miltown Cemetery di Belfast, dove riposano tanti eroi della resistenza irlandese. Carole Richardson si ritirò a vita privata dopo essersi sposata e aver messo al mondo una figlia. ? morta di cancro, a 55 anni, nel 2013. I figli di Anne e Patrick, ai quali fu negata la loro adolescenza, continuano a raccontare la tragica storia in conferenze e convegni celebrativi. Il 14 marzo 1991 furono scarcerati anche i sei di Birminghan, con il pieno riconoscimento della loro innocenza.

Tony Blair, così come fece il suo predecessore Cameron nel 2010 per il Bloody Sunday (vedi la terza parte, Confini nr. 109), si scusò per i quattro di Guildford, riconoscendo "l'errore giudiziario" in una lettera inviata a Courtney Kennedy e resa pubblica durante un programma della BBC: "Credo che sia un atto d'accusa contro il nostro sistema di giustizia e motivo di grande rammarico quando qualcuno subisce una punizione a causa di un errore giudiziario. Ci sono stati errori giudiziari nel caso di suo marito, e nei casi di coloro che sono stati condannati insieme con lui. Sono davvero molto dispiaciuto che ciò sia accaduto". In questo caso, però, la toppa fu peggiore del buco, come si suol dire: parlando di "errore giudiziario" svilì "artatamente" la vera essenza di un dramma umano, civile e politico. Non dimentichiamo che Blair fa parte del primo gruppo succitato (i potenti spietati), non delle masse ballerine, e il suo cinismo avrebbe raggiunto vette apicali nel 2003, quando passò a Bush Junior le informazioni sulle presunte armi di distruzione di massa possedute da Saddam, pur sapendo che erano false. Ben altro avrebbe dovuto fare, invece, per dare un effettivo segnale di vero rincrescimento: riconoscere l'azione strumentale dell'autorità giudiziaria e mettere sotto accusa il giudice che emise la sentenza, il feroce e squallido John Donaldson, che si permise anche di lamentarsi per non aver potuto comminare la pena di morte, come avrebbe desiderato, impedendogli di proseguire la brillante carriera, culminata col prestigioso incarico di Master of the Rolls, il secondo giudice più importante d'Inghilterra dopo il Lord Chief Per tutti pagarono i tre poliziotti che avevano occultato le prove, come se fossero stati loro i registi della messa in scena e non dei timorosi e forse non consenzienti esecutori di ordini.

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detto "Bobby", nacque a Belfast il 9 marzo 1954, in un quartiere

protestanti, confessione abbracciata dai suoi avi. I genitori, John (deceduto nel 2014) e Rosaleen (deceduta nel 2018), invece, erano cattolici e ben presto furono costretti a trasferirsi in una nuova dimora nella zona sud di Belfast, amorevolmente messa a disposizione dai genitori di Rosaleen, per sfuggire alle continue intimidazioni dei lealisti. Bobby era il maggiore di quattro figli: Marcella, nata nel 1955; Bernadette, nata nel 1958, importante membro della causa indipendentista, fondatrice del County Sovereignty Movement e moglie di Michael McKevitt, a sua volta importante membro dell'Ira (deceduto nel gennaio 2021); Sean, nato nel 1962.

L'infanzia di Bobby è stata segnata dalla continua visione delle angherie subite dai cattolici. Una vicina offendeva sistematicamente la madre, mentre il papà era al lavoro. Rosaleen subiva in silenzio, per evitare guai peggiori alla famiglia. Anche dopo il trasferimento, però, i problemi non si risolsero del tutto e la casa fu quasi distrutta dai lealisti. La famiglia, pertanto, preferì trasferirsi in un altro quartiere, più protetto, nella zona ovest della città. Bobby, nel 1970, iniziò un apprendistato come carrozziere, ma le continue vessazioni subite lo costrinsero ad abbandonare il percorso formativo. La goccia che fece traboccare il vaso si ebbe nel 1971, quando i colleghi lo affrontarono armi in pugno, dicendogli che la zona dove sorgeva l'istituto era interdetta ai "sporchi feniani" e che se si fosse fatto rivedere lo avrebbero ucciso. Nel 1972, a diciotto anni, entrò nel 1° Battaglione della Brigata "Belfast" dell'Ira, citata in un 4 precedente articolo per motivi strettamente personali Nello stesso anno sposò Geraldine Noade e nel 1973 nacque il loro unico figlio, Gerard.

Arrestato più volte e condotto nel terribile carcere di Long Kesh, si batté ripetutamente affinché ai combattenti dell'Ira fosse riconosciuto lo status di prigionieri politici. Con i compagni di prigionia, nel 1978, diede vita alla dirty protest: spalmavano gli escrementi sui muri delle celle e buttavano l'urina sotto le porte per evitare di essere picchiati duramente dai secondini quando andavano a svuotare i buglioli. Dopo quattro anni di trattamenti disumani, i detenuti decisero di dare seguito a proteste più incisive e il 27 ottobre 1980 iniziarono il primo sciopero della fame. Bobby Sands, che già fungeva da portavoce del gruppo, fu scelto come ufficiale comandante della rivolta. Lo sciopero della fame durò 53 giorni e fu interrotto a seguito delle promesse della Thatcher sull'accoglimento delle loro istanze. Promesse mai mantenute. Il 1° marzo 1981, pertanto, Bobby Sands decise che si sarebbe dovuto iniziare un secondo sciopero della fame, coinvolgendo più detenuti, in modo che subentrassero a coloro costretti a fermarsi avendo raggiunto condizioni critiche. Poco dopo l'inizio dello sciopero morì Frank Maguire, un repubblicano indipendente non affiliato all'Ira, membro del Parlamento del Regno Unito per il collegio di Fermanagh and South Tyrone. Per le elezioni suppletive Bobby Sands fu scelto come candidato del Sinn Féin, ma con una lista denominata Anti H-Blocks/Armagh Political Prisoner (HBlocks erano gli otto edifici tristemente famosi del carcere di Long Kesh; nel carcere femminile di Armagh erano rinchiuse le detenute dell'IRA e dell'INLA- Irish National Liberation Army).

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ANNI OTTANTA: BOBBY SANDS E I MARTIRI DI LONG KESH Roibeard Gearóid Ó Seachnasaigh, alias Robert Gerard Sands, popolato prevalentemente da

Nonostante fosse impossibilitato a dialogare con gli elettori, sia per lo stato detentivo sia per le condizioni pietose in cui si era ridotto, Bobby Sands strapazzò il rivale dell'Ulster Unionist Party, diventando, a 27 anni, il più giovane membro del Parlamento del Regno Unito. Come rabbiosa vendetta, il Governo varò subito una legge che vietava ai detenuti di partecipare alle elezioni politiche. Il cinque maggio 1981, dopo sessantasei giorni di digiuno, il grande cuore dell'Eroe cessò di battere. La sua morte generò sdegno in tutto il mondo e su Londra piovvero miglia di richieste da parte di governanti, politici, associazioni, semplici cittadini, affinché si creassero le condizioni per far interrompere lo sciopero della fame agli altri detenuti. Quella perfida donnaccia alla guida del Regno Unito, però, non diede ascolto a nessuno e lasciò morire, uno dopo l'altro, i compagni di sventura dell'Eroe, ivi compresi alcuni militanti dell'Inla (Irish National Liberation Army, organizzazione parallela dell'Ira, ma politicamente più orientata a sinistra) di seguito citati mentre la gola prende a bruciare e gli occhi luccicano, come sempre accade quando devo rievocare le tragedie scaturite dall'umana crudeltà: Francis Hughes, di Bellaghy, contea di Derry, 12 maggio; Raymond McCreesh, di Camlough, contea di Armagh, 21 maggio; Patsy O'Hara (membro dell'Inla) di Derry,21 maggio 1981; Joe McDonnell, di Belfast, 8 luglio 1981; Martin Hurson, di Cappagh, contea di Tyrone, 13 luglio 1981; Kevin Lynch (Inla), di Dungiven, contea di Derry, 1º agosto 1981; Kieran Doherty, di Belfast, 2 agosto 1981; Thomas McElwee, di Bellaghy, contea di Derry, 8 agosto 1981; Mickey Devine (Inla) di Derry, 20 agosto 1981. Riposano tutti nel cimitero di Miltown, a Belfast. A Derry, nel quartiere del Bogside, dove si trova il Free Derry Corner, è stato eretto un memoriale a forma di H. Sotto i nomi delle vittime - è proprio il caso di dirlo una volta tanto non in senso figurato: scolpita sulla pietra - vi è una delle tante stupende frasi lasciate in eredità al mondo da Bobby Sands: "La nostra vendetta sarà la risata dei nostri figli". I memorial e i murales di Belfast e Derry meritano di essere visti almeno una volta, nella vita.

Durante lo sciopero della fame gli scontri tra le due fazioni crebbero notevolmente. L'Ira colpiva prevalentemente le guardie carcerarie che maltrattavano i detenuti; i lealisti colpivano indiscriminatamente tutti i cattolici. Il Segretario di Stato per l'Irlanda del Nord, presumendo di allentare la tensione, nel 1982 propose un progetto di legge per la creazione di un'Assemblea elettiva cui delegare gli affari interni dell'Ulster, sulla base di una devoluzione progressiva. Le elezioni si tennero il 20 ottobre e cinque dei 78 seggi furono conquistati dal Sinn Féin che, nelle successive elezioni generali del 9 giugno 1983, incrementò sensibilmente il consenso elettorale (da 64.191 a 102.701 voti) eleggendo al parlamento di Westminster quel gigante della causa indipendentista che risponde al nome di Gerry Adams L'Assemblea varata nel 1982 ebbe vita breve e fu sciolta nel 1986, senza esercitare alcun peso sulla politica nordirlandese: i protestanti, infatti, non avevano nessuna intenzione di condividere il potere con i cattolici. Allarmato dal crescente successo del Sinn Féin, ma soprattutto dal soverchiante carisma di Gerry Adams, John Hume (rimando ancora alla nota nr 1), si recò a Dublino per chiedere l'aiuto del

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Primo Ministro dell'EIRE, Gerry Fitzgerald. I due leader organizzarono un convegno passato alla storia come "New Ireland Forum", al quale parteciparono i delegati dei principali partiti nordirlandesi (Fianna Fáil, Fine Gael, Labour e SDLP) che, seppure avversari tra loro, trovavano sempre una salda unione quando si trattava di andare contro il Sinn Féin. Il Forum si svolse dal 21 settembre 1983 al 9 febbraio 1984, suscitando l'ilarità degli esponenti del Sinn Féin, che lo bollarono come una "lunga chiacchierata senza costrutto", come di fatto si rivelò realmente. Quasi cinque mesi di discussioni infinite, cui parteciparono anche importanti esponenti della società civile, docenti, accademici, scrittori, religiosi di varie confessioni, per redigere due stringate proposte da sottoporre alla Thatcher, per le quali non serviva alcuna discussione, rappresentando esse un obiettivo secolare, e una misera opzione: un'Irlanda unita con il consenso dei cittadini delle trentadue Contee, la creazione di uno Stato federale oppure la creazione di un'autorità congiunta.

Cinque mesi di inutile lavoro bruciati in cinque secondi, ossia il tempo necessario alla Thatcher per dire, durante una conferenza stampa: "questo è fuori; questo è fuori; questo è fuori".

Dopo la fase tragica, diceva qualcuno che non mi va di citare, la storia si ripete come farsa e così, ancora una volta, fu stipulato l'ennesimo inutile trattato tra i rappresentanti del Regno Unito e della Repubblica d'Irlanda che prevedeva il consenso della maggioranza della popolazione nordirlandese per la modifica dello status costituzionale. Il Trattato prese il nome dal castello di un piccolo villaggio non lontano da Belfast, dove fu sottoscritto il 15 novembre 1985: "Trattato di Hillsborough". Esso prevedeva anche una Conferenza intergovernativa, presieduta dal Ministro degli Esteri irlandese e dal Segretario di Stato dell'Irlanda del Nord, il cui compito consisteva nella gestione dei problemi giuridici, politici e di sicurezza comuni alle due entità irlandesi. Si auspicava, infine, la creazione di un governo nord-irlandese che fosse compatibile con gli interessi della minoranza cattolica.

Come sempre accaduto per qualsivoglia concessione ai cattolici, anche di infima importanza, i protestanti si opposero con determinazione al Trattato, dichiarando addirittura di "sentirsi traditi" dal Governo inglese. Manco a dirlo, gli attentati contro i cattolici ripresero, impetuosi, in tutte le Contee. Furono anche organizzati scioperi e manifestazioni di vario tipo per far giungere a Londra un chiaro messaggio di disaccordo. Per rendere il messaggio ancora più eloquente si effettuarono sistematici attacchi agli agenti della RUC (già citata nei capitoli precedenti: il Corpo di polizia al servizio del Governo inglese), molti dei quali ebbero le case incendiate e finirono all'ospedale per le botte ricevute durante gli scontri, che li vedevano in forte difficoltà, non potendo certo usare contro i protestanti le maniere forti solitamente usate contro i cattolici. Il messaggio fu ben recepito da Londra e, nel 1988, il Governo emanò un provvedimento in pure stile talebano, il Broadcasting Ban, in base al quale fu vietato agli esponenti di dieci organizzazioni politiche nord-irlandesi di parlare in trasmissioni televisive e radiofoniche. Per salvare la faccia nell'elenco furono inseriti anche un paio di gruppi unionisti, ma era chiaro a tutti che s'intendeva colpire precipuamente il Sinn Féin. Il ministro dell'Interno Douglas Hurd, rivolgendosi ai membri della Camera dei Comuni, affermò testualmente: "I terroristi traggono

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sostegno e sostentamento dall'accesso alla radio e alla televisione; è giunto il momento di negare questa facile piattaforma a coloro che la utilizzano per propagare il terrorismo". Gli fece da eco la donnaccia a capo del Governo, che a sua volta dichiarò: "Negherò ai terroristi l'ossigeno della pubblicità". Per la cronaca: il Broadcasting Ban è stato revocato solo nel 1994, grazie anche alle continue proteste dei giornalisti, in particolare della BBC, che contestarono sin dall'inizio l'assurdo provvedimento, che tra l'altro contemplava anche l'abominio della "retroattività": le emittenti televisive non potevano trasmettere nemmeno i documentari, i film, i reportage realizzati in precedenza, se in essi figuravano esponenti dei gruppi sanzionati con l'oblio mediatico. (continua, i

capitoli precedenti sono stati pubblicati nei numeri 106, 107, 109 di Confini: www.issuu.com/confini)

NOTE

1. John Hume ha vinto il premio Nobel per la pace, è stato nominato Cavaliere Comandante dell'Ordine Pontificio di San Gregorio Magno e addirittura "Il più grande d'Irlanda" in un sondaggio pubblico. Leviamoci il cappello e facciamogli un bell'inchino, pertanto, per il doveroso rispetto che si deve non solo a lui ma anche agli alti dignitari della Fondazione Nobel, a Sua Santità Benedetto XXI e al popolo irlandese, che da sempre porto nel cuore, insieme con i luoghi magici di un'isola realmente "fantastica", nella quale si sogna ad occhi aperti, fino al momento in cui (purtroppo in lassi di tempo sempre troppo brevi) non t'imbatti in uno dei mille simboli che spezzano il cuore, facendone riaffiorare la tormentata storia. Detto questo, per quel poco che può valere il mio pensiero, mi corre comunque l'obbligo di precisare che non ho mai creduto alla sua "purezza d'intenti" e ancor meno a quella dei suoi successori. Mi è capitato di parlare con alcuni sostenitori del partito e mi hanno sempre dato l'impressione, tanto per rendere l'idea, che in Italia danno soggetti come Berlusconi e Renzi o ancora meglio i loro servi, pronti a spararle grosse pur di tutelare esclusivamente i loro interessi, magari dicendo oggi il contrario di ciò che dicevano ieri. Posso sbagliarmi io, ovviamente, ma ricordo che anche di Costantino si dice ancora che sia stato un "grande" imperatore (per mantenersi al potere fece uccidere il suocero, la moglie Fausta, il figlio Crispo, il marito della sorella Costanza, il cognato e s'inventò la favoletta della croce in cielo per galvanizzare i suoi soldati nella battaglia di Ponte Milvio, comportandosi come un Berlusconi qualsiasi che alterna le promessi di milioni di posti di lavoro a promesse di pensioni sostanziose pur di gabbare un po' di creduloni). In quanto alla nomina papale, ricordo che la Chiesa cattolica (tacendo su altro) ha nominato santo Carlo I d'Asburgo, che autorizzò le armi chimiche durante la battaglia di Caporetto, adducendo come prova della sua santità "la guarigione delle vene varicose di una suora in Sudamerica che pregava per lui". Alfred Worm, considerato uno dei giornalisti austriaci più importanti del XX secolo, dichiarò testualmente: "La beatificazione di Carlo I è una presa per i fondelli dei fedeli. Centinaia di migliaia di persone sono morte come martiri nei campi di concentramento. Loro non vengono fatti santi. La lobby dei monarchici ce la fa con le vene varicose. E l'Austria ufficiale applaude. Penoso" (Frase tratta da un articolo de "Il Piccolo" di Trieste del 3 ottobre 2004, a firma di Flavia Foradini, citata nel saggio sulla Grande Guerra "Il Piave mormorava", pubblicato a puntate su Confini da gennaio a dicembre 2018). Ciò premesso, a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Sul comportamento delle masse presumo di aver scritto già abbastanza e quindi faccio solo riferimento a tanti pregressi articoli pubblicati in questo magazine e altrove, aggiungendo solo, per dovere di cronaca, che anche in Irlanda del Nord si stanno rendendo conto, sia pure con molto ritardo, che forse hanno preso un grande abbaglio con la "beatificazione" dei furbastri socialdemocratici, ridimensionandoli progressivamente politicamente, a vantaggio di chi veramente il consenso se lo merita per il suo passato, per il presente e sicuramente per ciò che farà anche in futuro, nel commosso ricordo di chi alla causa indipendentista ha donato la propria vita.

2. A pag. 176 un mio articolo sul "Secolo d'Italia" del 12 dicembre 2017: www.issuu.com/linolavorgna/docs/lino_lavorgna__raccolta_articoli_2

3. Giuseppe, operaio in una fabbrica di vernici a Belfast, si era recato a Londra per chiedere informazioni sul figlio, ben sapendo che era innocente. Fu subito arrestato anche lui, invece, perché il semplice tentativo di voler scagionare il figlio lo rese complice.

4. www.ondazzurra.com/attualita/samhain-quella-terra-magica-chiamata-irlanda/

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SECONDA RASSEGNA MULTIMEDIALE CITTA’ DI CASERTA

Dopo il successo della 1^ edizione, nonostante fosse stata varata in piena pandemia (di seguito il link al video della cerimonia di premiazione: www youtu.be/55Y3XbvbLiQ) è stato diffuso a livello nazionale il bando della seconda edizione, con importanti novità contemplate nelle aree tematiche dedicate alle problematiche giovanili, ai terribili venti di guerra che spirano sul cielo d'Europa e all'ottantesimo anniversario dei tragici eventi dell'autunno 1943. (Il bando nelle pagine successive)

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Le associazioni culturali Europa Nazione ed Excalibur Multimedia, con la collaborazione del l’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia (U N U C I – sezione di Caserta), del Cenacolo Accademico “Poeti nella Società” e dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci (federazione provinciale CE), organizzano la II edizione della RASSEGNA MULTIMEDIALE CITTÀ DI CASERTA, concepita per valorizzare i talenti nell’ambito dell’arte e della cultura residenti nel territorio italiano, indipendentemente dalla loro nazionalità La rassegna è insignita del patrocinio concesso dal Comune di Caserta

REGOLAMENTO

Art 1 – Sezioni ordinarie

Adulti (18 anni compiuti in data antecedente al 1° gennaio 2023)

Sezione A: Poesia

Max tre poesie a tema libero

Sezione B: Silloge Raccolta di poesie inedite o edite in data non antecedente al 1° gennaio 2019

Sezione C: Racconto

Max dieci pagine formato A4 – Font Times New Roman – Corpo 12

Sezione D: Narrativa Romanzi inediti o editi in data non antecedente al 1° gennaio 2019

Sezione E: Fotografia

Sezione F: Video reportage effettuato nell’ambito del continente europeo

Max tre fotografie 30x40 cm, formato JPG Peso: max sei Mb

Documentario di max trenta minuti , professionale o amatoriale (per esempio realizzato durante una vacanza o un viaggio di lavoro), che illustri le peculiarità d el luogo: piccolo o grande agglomerato urbano, capitale di uno Stato , area particolarmente inte ressante per motivi storico -archeologici o di altra natura Ai ventisette Stati aderenti a ll’UE vanno aggiunti: M ontenegro, Serbia, Macedonia (inteso per tale lo Stato definito ufficialmente Macedonia “del Nord”) , Albania, Moldavia, Ucraina, Bosnia ed Erze govina, Kosovo, Georgia, Groenlandia, Islanda, Isole Faroe, Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del Nord, Norvegia, Svizzera, Liechtenstein, Lussemburgo, Principato di Monaco, Andorra, Malta, San Marino, Città del Vaticano

Studenti delle scuole medie e istituti superiori (Il comitato organizzatore preferisce la vecchia denominazione dei livelli di studio, ritenendola più appropriata, sintetica ed elegante di quella attuale)

Sezione G: Poesia

Max tre poesie a tema libero

Sezione H: Racconto Max dieci pagine formato A4 – Font Times New Roman – Corpo 12

Sezione I: Componimento

“La spirale che uccide e spegne il futuro dei giovani: droga, alcool, rifiuto della cultura come valore primario, accettazione e pratica di formule proprie del degrado sociale promosse in campo musicale e in alti settori Analisi del fenomeno e riflessioni sulle azioni da adottare per uscire dal tunnel” Max dieci pagine formato A4 – Font Times New Roman – Corpo 12

Sezione L: Fotografia Max tre fotografie 30x40 centimetri, formato JPG Peso: max 6Mb

Art. 2 – Sezioni tematiche.

Adulti (18 anni compiuti in data antecedente al 1° gennaio 2023)

Sezione M: Componimento inedito o edito

“Venti di guerra Riflessioni sull’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e sul ruolo che dovrebbe esercitare l’Europa per creare i migliori presupposti di pace e tutelare i propri confini dalle altrui mire espansionistiche”

Nessun limite di pagine – Formato A4 - Font Times New Roman – Corpo 12

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Sezione

“Slava Ukraïni Riflessioni sull’invasione dell’Ucraina da parte della Russia” Nessun limite di pagine Formato A4 – Font Times New Roman – Corpo 12 Per i componimenti inediti possono essere allegate max dieci foto, da stampare su fogli A4 secondo le modalità di composizione preferite (una o più per ogni pagina) Ferma restando la massima libertà espressiva, il candidato potrà raccontare episodi vissuti in prima persona o appre si da connazionali; esporre il proprio pensiero sul presidente Zelensky, rimasto a coordinare la resistenza del suo popolo pur potendo scegliere di mettersi subito in salvo con la famiglia; descrivere come meglio ritenga opportuno il triste momento che si trova a vivere il popolo ucraino Il componimento può essere presentato in lingua ucraina, con versione in italiano; nella sola versione in italiano; nella sola versione in ucraino qualora non si fosse in grado di tradurlo adeguatamente in italiano (In qu est’ultimo caso la traduzione sarà effettuata a cura dell’organizzazione)

Adulti (18 anni compiuti in data antecedente al 1° gennaio 2023) Sezione O (Suddivisa in due sottosezioni: Traccia 1 e Traccia 2) Saggio edito in qualsiasi data o inedito Il candidato può scegliere la traccia preferita o svolgerle entrambe I premi saranno assegnati ai primi tre classificati di ogni sottosezione

Traccia nr 1 : “Quel terribile autunno di ottanta anni fa: per non dimenticare Riflessioni sulle stragi perpetra te, in provincia di Caserta, dai soldati tedeschi in ritirata, dopo l’annuncio dell’armistizio firmato a Cassibile con i rappresentanti delle Forze Alleate” Traccia nr. 2 : “Mortui ut patria vivat”

Riflessioni sull’attività del 1° Raggruppamento Motorizz ato, incaricato di facilitare l'avanzata delle truppe Alleate per lo sfondamento delle linee nemiche nel settore di Cassino, soffermandosi in modo particolare sulla battaglia di Montelungo e sugli aspetti reconditi che ne segnarono la sorte, nel bene e nel male”

Nessun limite di pagine per i componimenti brevi e i saggi inediti Formato A4 –Font Times New Roman – Corpo 12 I componimenti e i saggi inediti possono essere integrati da documenti storici e foto d’epoca, riprodotti su fogli A4 secondo le modalità di composizione preferite

Art 3 – Struttura delle opere e modalità di invio ? possibile presentare opere già premiate in altri concorsi Poesie, romanzi, racconti e componimenti dovranno pervenire in formato Word o Pdf, in copia singola Per le sezioni “fotografia” e “video reportage” è preferibile utilizzare una casella abilitata all’inoltro dei file voluminosi (Jumbo Mail, sistemi equivalenti, dropbox com, etc )

? possibile utilizzare i suddetti strumenti anche per inviare le opere delle event uali altre sezioni scelte ai fini della candidatura In alternativa, esclusivamente per le sezioni fotografia e video reportage , è possibile spedire il materiale (formato cartaceo e supporto magnetico) al seguente indirizzo: “Excalibur Multimedia – C/O Sepi S r.l – Via Ernesto Rossi 18 – 81100 Caserta”, preferibilmente con modalità che consentano la tracciatura del plico

Art 4 – Contributo

di partecipazione

Per ogni sezione è previsto un contributo di dieci euro ed è possibile candidarsi a più sezioni effettuando un unico versamento cumulativo Per i soli candidati

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Cittadini ucraini residenti in Italia, senza limiti di età N: Componimento inedito o edito
della sezione “ N” la partecipazione è gratuita Per la sezione “O” il contributo resta fissato a dieci euro anche in caso di svolgimento di entrambi i componimenti Il versamento del contributo potrà essere effettuato con una delle seguenti modalità: 1) Ricarica presso ufficio postale su carta Postepay Nr. 4023601025185232 intestata a Pasquale Lavorgna –C F. LVRPQL55E07H955Z – Causale: “Rassegna Multimediale Città di Caserta – Seconda edizione” 2) Bonifico su conto Bancoposta intestato a Pasquale Lavorgna IBAN: IT82M0760103400000010645828 –Causale: “Rassegna Multimediale Città di Caserta – Seconda edizione”

Art. 5 – Scadenza invio opere.

Le opere devono essere inviate all’indirizzo di posta elettronica rassegna@europanazione.eu entro il 6 maggio 2023

(o spedite entro tale data, limitatamente all’opzione prevista all’art. 3 ), insieme con i seguenti allegati:

a) Scheda di partecipazione debitamente compilata e sottoscritta. Qualora non fosse possibile produrre il file PDF si dovrà optare per il formato immagine; b) Copia della ricevuta del versamento; c) Copia del documento di identità; d) Curriculum vitae quanto più esaustivo possibile, sotto qualsivoglia punto di vista

Art. 6 – Giuria

La giuria sarà composta da eminenti personalità del mondo dell’arte, della cultura, delle professioni.

Art. 7 – Premi.

Ogni sezione prevede premi per i primi tre classificati, come di seguito specificato a) Premio in denaro per i vincitori delle singole sezioni . L’importo sarà quantificato entro la data di scadenza per la presentazione delle opere , in funzione delle sponsorizzazioni che saranno acquisite , e comunicato a tu tti i partecipanti con formula work in progress . In ogni caso il premio in d enaro non potrà essere inferiore al 50% dell’importo proveniente dai contributi versati dai candidati, al netto delle spese organizzative.

b) Coppa e pergamena con indicazione del risultato conseguito per i vincitori delle singole sezioni.

c) Pergamena con indicazione del risultato conseguito ai secondi e terzi classificati di ogni sezione.

Ai succitati premi , stabiliti nella fase organizzativa , potranno aggiungers ene altri in funzione delle sponsorizzazioni acquisite, la cui entità sarà tempestivamente comunicata ai candidati e pubblicizzata tramite gli organi mediatici di riferimento.

Art. 8 – Cerimonia di premiazione

La cerimonia di premiazione avrà luogo a Caserta, in una data da stabilire, nel mese di settembre 2023

La sede prescelta (nel centro di Caserta) sarà comunicata entro la fine del mese di giugno 2023. Chi volesse pernottare a Caserta potrà beneficiare dell’assistenza dell’organizzazione per il reperimento di una struttura alberghiera o di una casa vacanza. Nel caso in cui un vincitore fosse impossibilitato a partecipare alla cerimonia di premiazione pot rà delegare una persona di fiducia. La cerimonia di premiazione sarà interamente registrata e il video sarà pubblicato su YouTube

Articolo 9 – Privacy

Ciascun candidato autorizza l’organizzazione della rassegna al trattamento e alla tutela dei dati perso nali inseriti nella scheda di partecipazione e negli altri documenti inviati, ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali” e dell’art. 13 del Regolamento generale sulla protezione dei dati (Regolamento UE 2016/679) Autorizza, altresì, l’invio di messaggi “esclusivamente” in posta elettronica da parte delle strutture che collaborano a vario titolo con la rassegna, ben identificabili in questo bando attraverso la denominazione ufficiale o attraverso il logo pubblicato nella parte alta o in calce del medesimo. Ogni comunicazione conterrà la formula prevista dalle vigenti norme in materia di privacy per l’immediata cancellazione dal database del mittente.

Art. 10 – Accettazione del regolamento.

L’organizzazione si riserva la facoltà di apportare variazioni al presente regolamento entro la data di scadenza fissata per la presentazione delle opere , eccezion fatta per l’aggiunta di ulteriori premi, che potranno essere inseriti anche nel periodo che separa la succitata data dalla cerimonia di premiazione, impegnandosi a comunicarle tempestivamente ai candidati e ad aggiornare il bando nei portali on line di riferimento. La partecipazione alla rassegna implica l’accettazione di tutti gli articoli del presente regolamento. Implica, altresì, l’autorizzazione, senza nulla pretendere, a lla pubblicazione nell’antologia dedicata alla rassegna delle opere premiate e degli abstract di quelle non pubblicabili integralmente, ivi comprese le opere che, pur senza classificarsi nei primi tre posti, dovessero essere ritenute valide e degne di promozione

Art.11 – Infoline

E-mail: excalibur@europanazione.eu; Concorsiletterari.net; Pagina Facebook: Rassegna Multimediale Città di Caserta ; Blog: Excalibur Multimedia

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CULTURA

Confini Confini

Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org

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