Confini 91

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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

GOVERNARE

Numero 91 Dicembre 2020 Gennaio 2021


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Confini Web-magazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 91 - Dicembre 2020/Gennaio 2021 Anno XXIII

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato:

Roberta Forte Lino Lavorgna Pietro Lignola Sara Lodi Emilio Petruzzi Antonino Provenzano Angelo Romano Cristofaro Sola Tomaso Vialardi Di Sandigliano

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Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Covalbero

Per gentile concessione di Sara Lodi

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EDITORIALE

CERCASI ABILE TIMONIERE Più che di governo, nell'Italia attuale, si potrebbe parlare di "sgoverno". Un Presidente del Consiglio che cerca di regnare, un Parlamento supino ed arroccato nella difesa delle poltrone ad ogni costo, una Magistratura debordante e impune, nonostante lentezza, errori ed orrori. Leggi sempre più affastellate quanto incomprensibili. Cittadini sempre più vessati, incerti, impauriti, debilitati, indebitati oltre misura. Depressi al punto che hanno perduto persino la voglia di perpetuarsi, forse perché sentono il peso del fardello di debiti con il quale asfissiare ogni nascituro. Giovani in cerca d'autore, sbandati, precarizzati... A questo fosco quadro si aggiunge una pandemia virulenta, aggressiva, mutagena, sfuggente e mortale, tanto che la "provedenza" dantesca ha smesso di governare il mondo. Un'Italia "disarmata di vele e di governo" al punto da costringere Mario Draghi ad uscire dal suo tradizionale riserbo per lanciare il suo grido d'allarme sul futuro prossimo che ci aspetta. Un futuro fatto non solo di problemi di natura economica, di disoccupazione, di povertà crescente ma anche di ingovernabilità dovuta ad uno stato elefantiaco che non ce la farà più ad alimentare sé stesso, dovuta allo squilibrio crescente tra spesa ed entrate, ad assetti istituzionali logori che garantiranno sempre meno l'efficacia decisionale e la stabilità, anche e soprattutto per eccesso di domande insoddisfatte, in particolare di natura sociale. Un'efficacia le cui vistose falle già si scorgono oggi. Il futuro è fosco davvero e rischia di travolgere tutto e tutti. Come uscirne? Congelando la democrazia per il tempo necessario a che un'Assemblea costituente riscriva le regole del patto sociale, ridisegni, snellendoli robustamente, lo Stato e l'architettura istituzionale e affidando ad un Consiglio di saggi l'ordinaria amministrazione oppure trovando un timoniere fuoriclasse cui conferire pieni poteri per un tempo definito, l'equivalente moderno del "dictator" della Repubblica romana che, in tempi di eccezionale pericolo per la patria, era investito di pieni poteri politici e militari. Altrimenti non ne usciremo sani, anche se, forse, vaccinati. Angelo Romano


SCENARI

GOVERNARE Viviamo tempi oscuri. E non dipende solo dalla nostra carente capacità di osservazione, dalla nostra insufficiente applicazione o dalla nostra lacunosa formazione culturale: l'oscurità ci avvolge, più fitta che mai, senza che un barlume di luce riesca a forare la coltre opprimente. Se fossimo in altri contesti, potrei trovare in tutto questo una speranza: il buio foriero di luce, l'origine del tutto, contenente l'Essere e la sua potenzialità. Ma quei contesti sono lontani e silenti e gli unici balbettii che si avvertono non lasciano ben sperare perché come echi schizofrenici non danno indicazioni di direzione; nelle loro cacofonie, accrescono soltanto lo spessore della coltre oscura mentre, tra la nebbia, giganteschi iceberg vagano alla deriva. Il tema del mese è 'governare' la cui lettura, com'è ovvio, si presta ad un'infinità di declinazioni, a cominciare dalle forme di 'governo' sparse nel mondo che, in una grossolana riassunzione, ammontano a circa una decina. Ora, va da sé che nel caso di specie non ci interessano le monarchie assolute e nemmeno le dittature: quelle che ci riguardano invece sono quelle forme dove la volontà popolare, espressa attraverso la libera elezione di rappresentanti, determina l'agire di una monarchia costituzionale, di una Repubblica parlamentare o di una presidenziale; forme democratiche che si fondano sulla politik? con la sottintesa téchnç per dare vita a tecniche di governo accettate e condivise dalla società civile. Ebbene, a mio sommesso avviso, oggi, nel mondo mancano i parametri per parlare propriamente di un qualsivoglia atto di governo mosso dalla sola volontà democratica e agente su un piano squisitamente politico; nel senso che se per 'azione di 'governo' è da intendersi quella mossa da un principio o da un programma frutto delle sole congetture e delle sole forze interne, ebbene questa, tutt'al più, la possiamo riferire alla conduzione di una barca, di un cavallo, alla gestione di una famiglia e a poco altro. In pratica, un'azione, quella di un tal governo, che si fonda pressoché esclusivamente su aspetti tecnici ed esperienziali che riguardano il soggetto responsabile delle scelte e i pochi altri soggetti che lo affiancano. Il governo di uno Stato, invece, è ben altra cosa come sappiamo perché le scelte che l'ente deputato deve compiere nell'azione di amministrazione investono una pluralità di soggetti altamente differenti tra loro in quanto a formazione culturale e professionale, a disponibilità economica ed a collocazione geografica. All'acume dell''amministratore' spetta l'opera di mediare tale pluralità d'interessi perché, attraverso politiche mirate, si possa conseguire una qual sorta di bene comune. E nell'ambito di

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quelle scelte operative, di quelle politiche, rientra la valutazione di fattori esogeni al 'governato/Paese' i quali, altrimenti, avrebbero la capacità di influenzare fino ad annullare ogni migliore intenzione. Quale inciso, c'è chi afferma, con sicumera, che la complessità sempre crescente della società deve portare ad una evoluzione più stringente delle forme di governo 'democratico' ma, ad onor del vero, al di là dell'ossimoro, in tale tesi vedo solo uno dei diversi grimaldelli per arrivare in via surrettizia ad accrescimenti arbitrari di autorità. E ciò perché ha una relativa importanza l'accrescimento della complessità della società purché la concezione di Stato e i poteri dei 'governanti' restino intonsi; infatti, crescerebbe solo la complessità della mediazione che, tra l'altro, attraverso forme più estese di 'partecipazione', può 'giocare' tra l'immediato e il mediato soddisfacimento d'interessi. Chiuso l'inciso e tornati ab ovo, questo è stato il quadro di modalità politiche, ancor prima della codificazione giuridica dell'Ente da governare, che l'uomo 'governante' nel corso della sua storia ha sempre osservato. Un comportamento questo che possiamo tranquillamente considerare in atto da quando l'essere umano è sapiens sapiens e cioè da oltre 35.000 anni; infatti, l'ethos, in tutto questo tempo, è risultato pressoché immutato mentre cambiavano, in uno con l'evoluzione scientifica e tecnica, solo gli strumenti e il campo d'indagine nonché i modi di manifestazione. Nei tempi odierni, invece, siamo arrivati a ribaltare il concetto, nel senso che, ad eccezione di due curiosi aspetti che tra poco toccherò, intendiamo per 'governare' la mera esecuzione di scelte operate in altri luoghi da altri soggetti; scelte che hanno certamente riverberazioni sociali in cui segno, tuttavia, esula dall'intento del 'governatore'. Per un attimo e al solo fine esemplificativo, pensiamo al lavoro del Parlamento nazionale italiano che, per oltre l'80%, si basa sulla traduzione nell'ordinamento legislativo nostrano di normativa di provenienza comunitaria alla cui determinazione, tuttavia, l'Italia concorre marginalmente: il management della Commissione Esecutiva, alla quale spetta la promozione legislativa, vede una scarsissima presenza italiana mentre la delegazione italiana al Parlamento Europeo al quale spetta di emendare, osserva un turnover di oltre il 75% dei suoi componenti, disperdendo così competenze ed esperienze, a causa di una legge elettorale demenziale, unica nel suo genere. Non dimentico certo il commissario europeo all'Economia Gentiloni che, comunque, è solo e, peraltro, la sua 'formazione' non lo spinge certo a provare a forzare in chiave 'interpretativa' europea problematiche economiche la cui soluzione tra l'altro, per effetto di trattati, esula completamente dalla sua competenza. L'economia, infatti, è demandata alla gestione dei singoli Stati. Inoltre, in quanto interlocutore (naturale, afferma la declaratoria delle competenze) della BCE è di fronte ad un soggetto che, istituzionalmente, osserva una ferrea autonomia. A volte, la luce di un proiettore è così forte da far risaltare lustrini e paillettes impedendo di vedere le smagliature delle calze e la cellulite sui glutei. Comunque, dicevo dell'economia demandata ai singoli Stati: il che sembra lasciare una parvenza di 'governabilità' nazionale. Tuttavia, già in partenza, assistiamo all'agire di un governo 'monco'


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perché non disponendo della gestione monetaria a sostegno in un mercato globale, ogni scelta è depotenziata già in fase d'avvio. In pratica, ogni qualsivoglia politica economica dovrebbe basarsi sulla sola capacità di intraprendere delle singole imprese. Il che, relativamente all'Italia, è problematico in partenza perché il nerbo produttivo del Paese si basa sulla Piccola e Media Impresa e, comunque sul Terziario che, da solo, contribuisce alla formazione del PIL per 2/3. Ne consegue, perciò, la difficoltà intrinseca delle imprese, peraltro alle prese con la stitichezza, ormai endemica, degli Istituti di credito. Né, peraltro, si può pensare di 'sostenere' un settore produttivo rispetto ad un altro con 'aiuti' diretti o con riduzioni fiscali perché intanto incapperemmo nell'illecita concorrenza, normata a livello comunitario, dopodiché ci scontreremmo col fiscal compact, il cd. Patto di bilancio europeo, la cui sottoscrizione da parte dell'Italia è avvenuta mistificandola come una 'buona azione di governo'. Anche qui, non dimentico la possibilità di concedere i cosiddetti aiuti di Stato ai settori produttivi; aiuti contrattati, contingentati e inseriti al lato del settennale quadro comunitario di sostegno. Ma, mi domando, si può oggettivamente pensare che il nostro Paese sia in grado di prevedere in una proiezione settennale l'andamento della sua economia, per giunta disabituato da decenni a redigere piani di sviluppo? Non giungono in soccorso neppure i Piani Operativi delle Regioni; Enti, questi, graditi interlocutori dalla Commissione Esecutiva europea ai fini della determinazione e dell'erogazione dei cosiddetti Fondi Strutturali. Ma, al riguardo, basterà dire, con amarezza, che le Regioni considerate in ritardo di sviluppo vent'anni fa sono praticamente le stesse presenti nel rapporto dello scorso anno. È anche vero che sono possibili 'aiuti' spot, a fronte di comprovati motivi, senza la preventiva autorizzazione, ma per avere un'idea della questione nel suo insieme, invito senza commenti a fare un 'giro' sul portale 1 del Registro Nazionale Aiuti . In sostanza, in epoca attuale, e vengo ai fatti curiosi, non volendo neppure considerare la potestà di 'dichiarare guerra', per vera azione di governo possiamo intendere intanto quella relativa alle politiche di bilancio: in sostanza, come spendiamo i soldi che l'erario incassa e quelli che prendiamo a debito attraverso l'emissione di titoli. Si potrà giustamente rilevare che tale è la situazione di ogni Paese membro dell'Unione; il che è vero sul solo piano teorico perché su quello pratico le differenze sono abissali: innanzi tutto, quella relativa all'ammontare del debito pubblico al quale si aggiunge il fatto che, nonostante la continua lievitazione del nostro passivo a partire da poco meno di trent'anni a questa parte, le condizioni generali del Paese sul piano sociale, nello stesso tempo sono andate in progressivo peggioramento. Ne consegue, quindi, che spendiamo molto e molto male, nel senso che il nostro 'governo' della spesa pubblica, contraddicendo il fine ultimo della politica, è rivolto verso destinazioni di spesa che nulla hanno a che vedere con il bene collettivo. Contestualmente, per ulteriore vera azione di governo, dobbiamo intendere (e subire) quella relativa al gravame fiscale il quale si mantiene, almeno da tre decenni, a livelli oppressivi senza alcun ritorno in termini di servizi. Anzi, una briosa sinapsi di mente governativa non perde occasione per 'inventare' continui balzelli. Lasciamo stare, per un attimo, la variopinta giostra dei

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tikets, dei bolli, delle accise, delle IMU e dei tributi vari: mi sono recentemente imbattuta sui tipi di patente per la conduzione di mezzi di locomozione; ne ricordavo cinque ma ora siamo a quindici, ognuna da conseguire a suon di centinaia di euro con pseudo motivazioni che vanno dalle 'responsabilità' per fasce d'età alle 'specializzazioni' di guida. Se non ci toccasse sulla pelle, ci sarebbe da esserne ammaliati. Anche quell'azione, in ogni caso, è destinata ad evaporare dalle mani dei sedicenti 'governor'; pensiamo all'implementazione esponenziale del commercio on line e all'extraterritorialità fino all'evanescenza siderale dei soggetti venditori a dimensione globale. In pratica, quest'ultimi, dove pagano le tasse? È impossibile per i nostri esercenti un comportamento analogo con analoghi risultati a meno di non ubicare la loro sede giuridica e fiscale in uno Stato comunitario molto meno esoso o, meglio, in un Paese da offshore. In tutte le circostanze, ci ritroveremo con un terziario all'inedia e con un gettito via via sempre più ridotto. Ora, il timore non è certo per la sussistenza dell'apparato autoreferenziale burocraticoamministrativo quanto per la sostenibilità nel tempo delle prestazioni sociali, già compromesse in maniera rilevante. Eppure, di tale aspetto che, comunque, coinvolge tanti altri Stati, nessuno sembra avere interesse a parlarne. Non all'interno dei singoli Paesi, non all'interno dell'Unione Europea che, finora, l'unica cura che ha prescritto è stata quella della 'tutela del consumatore'; né, tantomeno, all'interno del WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, che dal 1995, senza avere alcuna caratteristica giuridico-istituzionale, democratica e di rappresentanza, ha la forza, intanto, di 'regolamentare' le transazioni commerciali a livello mondiale, appunto. Mi soffermo un attimo su questa curiosa Organizzazione la quale se ne frega, istituzionalmente, audacia temeraria igiene spirituale del 'governo' di un Paese: si aderisce ad essa per atto (pseudo) volontario e l'Organizzazione non ha il potere di espellere i propri associati nemmeno in presenza di palesi violazioni dei diritti umani fondamentali universali, delle normative di tutela ambientale, dei diritti delle minoranze, della tutela dei minori. Tutte tematiche, queste, che a livello nazionale vengono sbandierate per nobilitare l'azione di un governo nella recondita verità che, di fronte ai danee, di tutto ciò non frega nulla a nessuno. Certo, si potrebbe non aderire quale determinazione di uno Stato sovrano ma quella stessa decisione comporterebbe, de facto, un embargo perché quel Paese, pur non essendo escluso dal commercio globale, non potrebbe giovarsi della clausola della 'nazione più favorita' e, quindi, si troverebbe a pagare esosi dazi per ottenere i beni necessari. Eh! Sì. Qui il paradosso raggiunge livelli lirici, quasi da sofisticato cabaret. E del resto, per una rappresentazione a livello mondiale c'è necessità dei costumi più ricchi e degli orpelli più preziosi perché magnificano la scena e lasciano gli spettatori tra il sorpreso e il trepidante. Certo, l'Italia, singolarmente, partecipa al WTO ma data la concomitante presenza dell'Unione Europea per la quale, risum teneatis, ufficialmente non è ancora chiaro quale sia il profilo della sua partecipazione, di fronte a due posizioni discordanti c'è da chiedersi, seriamente, quale delle due prevarrebbe: se quella di uno Stato che gli utili ingenui (per parafrasare Lenin) continuano a definire sovrano o quella dell'ibrida Unione il cui perseguimento d'interessi non è mai generale o fine a sé stesso.


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Ma lo spettacolo spettacolare della 'capacità di governo' deve proseguire e non disdegnare i poveri teatri delle 'provincie' nazionali dove, spesso e volentieri, tra le rappresentazioni meglio riuscite, c'è quella delle 'riforme'. Ed ecco che, munito di copioso copione, s'avanza sul palco l'attore di turno, paludato da intenti riformistici tra i più accattivanti, che prende a declamare un profluvio di parole che li magnificano; ed il pubblico, a volte a destra ed altre a sinistra, applaude il loquace interprete, capace di cotanta loquela. Poi, ordinatamente, soddisfatti, gli spettatori lasciano il teatro nella trepidante speranza di una prossima rappresentazione. In Italia, le speranze sono ben riposte: le uniche raffazzonate riforme degli ultimi trent'anni hanno riguardato a più riprese la scuola e la previdenza col risultato di sanare da un lato e di ingarbugliare dall'altro così da lasciare spazio alla successiva revisione, evitando soluzioni di continuità alla fiction. Quindi, atteso tutto quanto sopra, incontrovertibile sul piano dell'analisi, e accantonando il sarcasmo satirico per fare pendant col cabaret, mi chiedo sommessamente dove risieda quella caratteristica di governo dal nome di 'democrazia', altisonante quanto ormai insignificante. Non ho voglia di fare della critica catastrofistica a tutti i costi ma, per quanto mi sforzi, non riesco ad immaginare un cittadino che possa accettare sic e simpliciter continue tranvate sulle gengive e 'gloriarsi' di possedere ancora il 'potere' di decidere attraverso quei rappresentanti da lui stesso eletti i quali sono coloro che determinano lo sfascio del suo apparato dentario. Persino i cosiddetti 'corpi intermedi' di rappresentanza, definiti i pilastri della 'democrazia partecipativa' oggi sono la parvenza del loro ruolo originario, ridotti a sacrestani per facilitare le funzioni degli officianti. Ovviamente, i rappresentanti liberamente eletti, ammessa per un attimo la loro capacità, si dichiarano incolpevoli in quanto, come sopra accennato, l'80% del loro agire è determinato da Bruxelles. Il che suffraga la irrimediabile compromissione del concetto di governo nazionale e attesta la sola esistenza, ormai, di una equipe, più o meno tecnica ammantata da pseudopolitica, volta soltanto all'attuazione di provvedimenti comunitari, all'irrobustimento abnorme della macchina burocratico-amministrativa e alla perpetuazione della 'specie' dei mestieranti. E se ciò attesta quindi la compromissione del concetto di 'democrazia', espone in concomitanza l'irrimediabile frattura del concetto di Stato. Leggo da Wikipedia, scartando altre definizioni più articolate ma inutili per la bisogna, che per Stato, in diritto, dobbiamo intendere quell'istituzione di carattere politico, sociale e culturale che specificatamente esercita la propria sovranità ed è costituita da un territorio e da un popolo che lo occupa, nonché da un ordinamento giuridico formato da istituzioni e norme giuridiche. Ora si potrà discutere fin che si vuole ma emerge incontrovertibilmente che la situazione attuale è tutto fuorché rispondente a tale definizione. Nemmeno più la cultura e le norme giuridiche servono all'aggancio in quanto la prima è stata stemperata nell'osannato melting pot e le seconde vengono bypassate da pronunciamenti delle Corti comunitarie. È umoristico pensare che fino a qualche decennio fa la speranza era di riuscire a sfuggire alla partitocrazia dominante confidando nell'Europa; ma, almeno allora, i partiti erano una forma

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associativa fondata su sentita condivisione di idee derivate da consolidate culture, mentre adesso sono aggregazioni di opportunità. Non erano certo indenni, allora, dalla piaga della corruzione e la loro azione era pressoché totalizzante ma, se non altro, la loro condotta denotava due aspetti: l'ancora esistente supremazia della politica sull'economia e la continua, riconosciuta funzione di mediazione che essa esercitava. Nel III millennio l'economia o, meglio, la finanza, ha surclassato platealmente la politica la quale, nella sua forma di 'governo', sia pur nel restringimento delle sue mansioni, non ha più nemmeno la statura per una efficace mediazione; ed infatti, i rapporti tra i portatori d'interessi, ben che vada, son tornati alla fine del 19° secolo, improntati sull'uso della forza a discapito dei più deboli. E, in ogni caso, l'Europa, diciamolo, ci ha molto deluso. Partita bene, ha poi preso a razzolare male. Sarà stata anche ordoliberista nella fase iniziale, ma fatto si è che l'effetto che sarebbe dovuto derivare da una tale impostazione cultural-amministrativa, da Maastricht in poi, come un bambino sul seggiolino, è stato dimenticato da genitori alticci sul tettuccio dell'autovettura, partita dalla stazione di servizio a folle velocità. In pratica, da quel trattato, l'Europa della coesione operata fino ad allora attraverso politiche armonizzatrici mirate, ha spinto l'acceleratore su una caratteristica di unione, la moneta, che ha contraddetto ogni più nobile precedente intento. Ribadito forse per la centesima volta il fatto di essere una 'patita' dell'Europa, resta il fatto che l'Unione monetaria ha messo in luce una serie infinita di contraddizioni. L'unico Paese che ha registrato un passaggio indolore tra la precedente moneta nazionale e l'euro, è stata la Germania. E ciò va atemeraria merito dellaigiene qualità dei suoi conti pubblici e della sua forza economica. Ma audacia spirituale da quel momento sono emersi in tutta la loro drammaticità gli iati economici tra i vari Paesi e, fatto ancor più grave, all'interno di ogni singolo Stato a causa degli stringenti dettami comunitari sulle politiche di bilancio nazionali. In pratica, all'interno di uno Stato con economia florida e corretti strumenti di ripartizione della 'ricchezza', l'effetto euro è stato come un flash in un giorno di sole mentre in altri Paesi, con significativa gradualità, il connubio normativo-monetario ha portato ad una costante riduzione della middle class fino alla sua scomparsa. In sostanza, una contraddizione in termini perché anziché andare verso una sostanziale, responsabile coesione sotto l'egida di un'Entità ordinatrice-armonizzatrice, stiamo andando verso la sedimentazione di differenze economico-sociali senza che né l'Europa né tantomeno gli Stati possono sanare: la prima per incompetenza dovuta ai trattati, come accennato prima, e i secondi per mancanza di strumenti, come evidenziavo in appresso. Ma l'aspetto ulteriormente paradossale è che neppure all'Europa, causa delle storture, si può attribuire una funzione di 'governo' nel senso pieno della parola. È come se il significato intrinseco ed estrinseco del 'governare' popoli sia stato concepito e riscritto, al di fuori dei noti canoni della 'democrazia' e 'della 'rappresentanza', con concetti estranei ad una carta costituzionale di una qualsivoglia comunità. Perciò, mi viene il dubbio che tutto ciò non possa avvenire per caso. Anche qui ribadisco di non credere nel complotto mondialista ma è difficile ostinarsi a non vedere in tutto questo una sottile regia che, al pari di un


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credo confessionale d'altri tempi, confidi prospetticamente nell'uso della forza, della repressione e della paura per la conversione delle genti. Lo so, suona un po' melodrammatico ma un assetto europeo del genere con tutte le sue contraddizioni è mai possibile che non incontri perplessità? Certo, ricordo, i 'sovranisti' le hanno ma, premessa la loro raffazzonata posizione, non credo che la soluzione sia, dopo un quarto di secolo, ritornare ad essere 'sovrani', peraltro sotto un loro 'governo' genericamente improntato ad un liberismo fesso. Non credo che quella sia la soluzione perché, 'comunitari' o 'sovranisti', ritengo che le leve effettive di 'governo', senza peraltro i fronzoli costituzionali, ordinamentali, giuridici e sociali, risiedano al di fuori di assetti democratici per collocarsi in mani esclusivamente 'private'. Anche qui, mi rendo conto che buttarla sempre in filosofia alla fine stanchi ma non posso fare a meno di vedere nelle parole di Friedrich Nietzsche un che di profetico: "[…] A tutte le misure prese dal governo mancherà la garanzia della durata: e si rifuggirà da quelle imprese che, per dar frutti maturi, debbono crescere lentamente per decenni e per secoli. Nessuno sentirà più altro obbligo verso una legge, se non quello di doversi momentaneamente piegare alla forza che l'ha introdotta: ma subito ci si adopererà per minarla con una nuova forza, con il formare una nuova maggioranza. Alla fine - possiamo affermarlo con certezza - la sfiducia verso tutto quanto attenga al governo, la convinzione dell'inanità e del logorio di queste lotte meschine spingeranno gli uomini a una decisione affatto nuova: di abolire l'idea di Stato, eliminare la contrapposizione tra "pubblico e privato". Le società private assorbiranno via via gli affari dello Stato; persino il residuo più tenace che resterà della vecchia attività del governare (per esempio quella volta a garantire i privati dai privati) finirà per esser svolta da imprenditori privati. […]".2 Del resto, non credo si possa pensare diversamente quando, ad esempio, le economie degli Stati, al di là della capacità e degli sforzi degli attori, sono oggetto di rating di apposite società di valenza internazionale la cui composizione societaria è data da grandi fondi d'investimento che tra l'altro speculano su titoli pubblici. Eh! Sì. Indubbiamente, c'è qualcosa che non quadra in questo nostro pazzo mondo se addirittura la precedente amministrazione statunitense è arrivata a citare in giudizio quelle società praticamente per alterazione del mercato. E pensare che parliamo di una collettività, quella nordamericana, retta da principi liberal capitalistici legati ad una visione imperialista del mondo, sebbene sempre più controversa nell'ultimo trentennio. Eppure, anche il più potente Stato della Terra se vuole eleggere i suoi Presidenti deve ricorrere alle contribuzioni dei 'potenti' privati: stante ai mezzi d'informazione, i democratici nel 2008 hanno speso per la bisogna ben 1,3 miliardi di dollari contro gli oltre 700 milioni dei repubblicani. Un po' meno è costata la campagna del 2016: circa 900 milioni per i democratici contro poco più di 700 milioni dei repubblicani. Sulla stessa scia si sono mantenuti i costi di quelle del 2020. È veramente così disdicevole pensare che il candidato, una volta eletto, debba in qualche modo tener conto nella sua opera di 'governo' degli aiuti ricevuti? Senza considerare, poi, che le finalità sociali nell'azione governativa USA si limitato sostanzialmente alla 'creazione' di opportunità economiche dalle quali far scaturire occupazione. Nulla di più. Pertanto, con tutto il rispetto,

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siamo allo spazio da conquistare ad opera dei più rampanti; un concetto contrabbandato come 'sogno americano', e i meschini si arrangino. In verità, non sono d'esempio pratico neppure altri grandi Stati come la Russia, l'India e la Cina per tutta una serie di motivi agevolmente intuibili. Sotto certi aspetti, si salva il Giappone ma per comprendere appieno il concetto giapponese di democrazia il nostro Medioevo sarebbe dovuto durare, al pari del Paese orientale, fino al 19° secolo. La verità è che una forma di governo totalmente democratica, agente sotto crismi costituzionali validamente riconosciuti, praticamente non esiste più. In conseguenza, prima di pensare al complottismo internazionale mirante alla costituzione di un Unico Ordine Mondiale, occorrerebbe prestare occhio al libero scorrazzare delle bande finanziarie apolidi che, indifferenti dei destini delle genti, s'incontrano e si scontrano deflagrando a danno collaterale, quando non interessato, di economie e dignità. Per rispondere a tanto, servirebbe porre in essere dei grandi aggregati perché la massa abbia criticità tale da intervenire per correggere. Ma, come abbiamo visto, le aggregazioni odierne servono a rendere più funzionale la 'mungitura'. Ed allora che fare, tanto per riproporre parafrasando il quesito leniniano, di fronte ai 'problemi scottanti' del nostro tempo? Recentemente, ho avuto modo di leggere un'interessante 3 pubblicazione scritta da Bernard Stiegler dall'improbabile titolo 'Differire l'ingovernabile' che, su un'interessante analisi della società, gioca su due termini altrettanto improbabili: antropocene e negantropocene. È inutile spiegarli quanto, invece, risulta utile soffermarsi sul 'differire'. Quindi, mi chiedo, sulla falsariga di quella pubblicazione, perché non provare a differire i 'grandi' problemi nel senso di dare maggiore spazio, per approcciare meglio, più puntualmente, con maggiore cura e competenza i 'piccoli'? Mi riferisco ai coerenti contesti geografici e ciò anche perché la cura del 'piccolo' è stata abbandonata all'improvvisazione, all'incapacità, all'inadeguatezza, al pari del 'grande', lasciandoci a subire gli uragani senza neppure una foglia di banano per ombrello. Del resto, visti gli spazi angusti dei 'governi' nazionali perché non cimentarsi con spazi più agibili a livello locale? Un indirizzo del genere, tra l'altro, potrebbe servire, in un'ottica prospettica, da 'scuola' perché risalendo la scala della 'formazione' si possa tornare ad approcciare i 'grandi' problemi con ottica diversa e con maggiore, più pregnante, competenza. Quest'ultima, infatti, è un'altra spina nel fianco del già sciancato cittadino, italiano in particolare. Che la politica sia oggi divenuta palesemente incompetente, ignorante e inconcludente è un fatto che aggrava il buio temporalesco che ci circonda. Lo scorso mese, il collega Diacceto citava il libro 'Scimmie al volante - L'inchiesta definitiva sulla classe politica che non ha saputo gestire la crisi del Covid 19'4, scritto da Marco Mensurati e da Fabio Tonacci, due cronisti di La Repubblica. Che dire di più? Di fronte ad autori così chiaramente qualificati e dinanzi ad un titolo così esplicito, non aggiungo altro se non una riflessione e un articolato auspicio: provo un tantino di compassione per una parte degli attuali governanti, proiettati dalle loro piccole occupazioni a grandi scenari problematici. C'è da restare, in effetti, sgomenti, basiti e farfuglianti; mi ricordano il giovane Verdone che confida alla nonna di aver avuto paura per aver visto una donna nuda con un 'triangolo' peloso


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che gli è sembrato un paio di mutande. Eh! Bè, 'A pazziella 'n man' 'e criature. No, non va perché è vero che non c'è più modo, politicamente e democraticamente parlando, di occuparsi davvero delle sorti di un Paese ma almeno l'orgoglio di uno spumeggiante istrionismo scenico dovrebbe essere assicurato. L'auspicio, per la loro tranquillità e serenità, è che possano tornare al più presto alle loro tradizionali meschine occupazioni. Per l'altra parte del governo, l'ulteriore auspicio è che da consumati attori, da peripatetici del palcoscenico, comprendano che è giunta l'ora del ritiro perché, ai canuti capelli e alle guance cascanti affiancano battute stantie senza estro che l'aria sapiente non riesce a compensare. È una ben triste rappresentazione, del resto, quella che stanno mandando in scena in questo momento: già lo spettacolo sulla decisione circa le responsabilità di gestione del futuro Recovery Found ha dato luogo ad un ben tristo risultato: oltre 300 soggetti dovranno esprimere non si sa bene cosa, la qual cosa comunque, al pari di quella inespressa dai 400 di Vittorio Colao, rimarrà lettera morta. I cartelloni di oggi, poi, promettono apocalittici combattimenti tra sifonatteri per la decisione finale sul MES e le sue asperità il quale, però, è rimasto tale solo sul nome. Grotteschi. Si ritirino, volontariamente o a suon di fischi. E, del resto, confortevoli ospizi li attendono. Un auspicio, quest'ultimo, al quale mi sentirei di associare l'opposizione, indecisa persino se destinarle il tapiro d'oro. In ogni caso, mentre il Titanic solca l'oceano nella nebbia le note di My Heart Will Go On si spandono nell'aria. Roberta Forte

Note: 1. https://www.rna.gov.it/sites/PortaleRNA/it_IT/trasparenza 2. Friedrich Nietzsche – Umano, troppo umano – Parte Ottava – Uno sguardo allo Stato – Newton Compton Editori 2011 - Prima edizione ebook: maggio 2012 - p. 37 3. Ed. Il Melangolo – Genova 2019 4. Ed. Rizzoli 2020

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IL MESTIERE PIU’ BELLO DEL MONDO: GOVERNARE INCIPIT “Il piacere di governare deve senza dubbio essere squisito, se dobbiamo giudicare dal grande numero di persone che sono ansiose di praticarlo". (Voltaire) "Governare è l'arte di creare problemi la cui soluzione mantiene la popolazione nell'inquietudine". (Ezra Pound) "Il miglior governo è quello che attiva il meglio dell'intelligenza della nazione". (Ezra Pound) "Per il bene degli Stati sarebbe necessario che i filosofi fossero re o che i re fossero filosofi." (Platone) "Forse, se esistesse una città di uomini buoni, si farebbe a gara per non governare come adesso per governare, e allora sarebbe evidente che il vero uomo di governo non è fatto per mirare al proprio utile, ma a quello del cittadino". (Platone) "Dove si incrociano le tue capacità e le necessità del mondo risiede la tua chiamata". (Aristotele) "Quelli che hanno in animo di occupare le più alte cariche di governo devono possedere tre doti: innanzitutto, attaccamento alla costituzione stabilita, in secondo luogo una grandissima capacità nelle azioni di governo, in terzo luogo virtù e giustizia". (Aristotele) "Quando il mare è calmo, ognuno può far da timoniere". (Publilio Siro) "Poche mani, non sorvegliate da controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa". (Antonio Gramsci) "Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l'illusione di essere sovrano. Chi vuol governare deve imparare a dire no". (Benito Mussolini) "Quando il potere è in mano di uno solo, quest'uno sa di essere uno e di dover contentare i molti; ma quando i molti governano pensano soltanto a contentar sé stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà". (Luigi Pirandello) "Quando il popolo teme il governo c'è tirannia. Quando il governo teme il popolo c'è democrazia". (Thomas Jefferson) "Viviamo in un'epoca pericolosa. L'essere umano ha imparato a dominare la natura molto prima di aver imparato a dominare sé stesso". (Albert Schweitzer) "Con cattive leggi e buoni funzionari si può pur sempre governare. Ma con cattivi funzionari le buone leggi non servono a niente". (Otto von Bismark) "Tre cose sono impossibili: insegnare, guarire, governare". (Anna Freud) "Lasciate che la gente creda di governare e sarà governata". (William Penn) "Il governo non è fatto per la comodità e il piacere di coloro che sono governati". (Conte di Mirabeau) "Qualsiasi governo è, in certa misura, un male". (Albert Einstein) "Non è facile avere un bel giardino: è difficile come governare un regno. Ci si deve risolvere ad amare anche le imperfezioni, altrimenti ci si illude". (Hermann Hesse) "In Italia contro l'arbitrio che viene dall'alto non si è trovato altro rimedio che la disobbedienza che viene dal basso". (Giuseppe Prezzolini) "Ogni nazione ha il governo che si merita". (Joseph Marie De Maistre) "Occorre un determinato grado di autonomia per guidare in modo serio un esecutivo". (Giuseppe Conte)


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"Forse è arrivato il momento di riconsiderare i dogma dell'illuminismo, a cominciare da quello che considera la democrazia il miglior sistema di governo possibile". (Lino Lavorgna)

DALLA MONARCHIA ALL'OCLOCRAZIA Erodoto prima, Platone e Aristotele subito dopo, avevano ben intuito l'evoluzione ciclica dei regimi politici verso continue forme di deterioramento, il ritorno alla forma iniziale dopo aver raggiunto l'ultimo stadio e l'inizio di un nuovo identico ciclo. Polibio, nel libro sesto delle Storie, perfeziona tale assunto elaborando la teoria dell'anaciclosi. Con evidente riferimento a quanto già sancito da Aristotele nel libro terzo della Politica, infatti, l'eminente storico sostiene che, le buone forme di governo, in cui trionfano giustizia e ragione, si alternano a forme di governo corrotte, dominate dalla violenza, dalle passioni e dagli interessi individuali. La monarchia, retta da un solo individuo, nella fase corrotta, si tramuta in tirannide; la parte migliore dei cittadini si ribellerà alla tirannide dando vita a un'aristocrazia, inevitabilmente destinata a degenerare nell'oligarchia; per correggere i guasti dell'oligarchia si darà vita alla democrazia, a sua volta destinata a degenerare nell'oclocrazia, che porta il governo alla mercé dei desideri insulsi delle masse, sempre incapaci di guardare al di là del proprio misero orticello. Per Polibio le pubbliche elezioni dovrebbero consentire di delegare il potere agli uomini più giusti e assennati. Non è democrazia, infatti, "quella nella quale il popolo sia arbitro di fare qualunque cosa desideri, ma quella presso la quale vigano per tradizione la venerazione degli dei, la cura per i genitori, il rispetto degli anziani, l'obbedienza alle leggi e infine quella nella quale prevalga l'opinione della maggioranza". Il concetto di oclocrazia non ha ricevuto un'adeguata attenzione nei trattati di politologia e nelle analisi sociologiche. Plutarco ne parla nel primo capitolo del De unius in republica dominatione; nel II secolo è citato da uno storico "minore", Lucio Cassio Dione, nel libro 44 della sua corposa Historiae Romanae, (ben ottanta libri che vanno dalla leggenda di Enea fino al 229 d.C). In epoca moderna il solo Rousseau ne parla nel Contratto sociale (Libro III, cap. X), quale elemento degenerativo della democrazia a seguito della dissoluzione dello Stato. Per gli intellettuali e politologi contemporanei, in massima parte asserviti a dei padroni, il concetto è pressoché sconosciuto, quando non volutamente misconosciuto. Fatti salvi pochi paladini della verità, infatti, è impossibile mettere alla berlina chi, senza porsi alcun limite etico, difenda con unghie e denti la poltrona e chi, quella poltrona bramando, combatte con non minore vigore e pari spudoratezza. MASSE E POTERE Ne abbiamo parlato più volte e non è il caso di ripeterci. Caso mai, di volta in volta, è sempre opportuno aggiungere qualche nuovo tassello. Solo pochi mesi fa, nel numero 87 di "CONFINI" (luglio-agosto), abbiamo posto in evidenza come gran parte del Pianeta fosse governato da classi politiche di infima qualità, senza fare cenno alla parte restante, nella quale la situazione è peggiore. Perché accade tutto ciò? Perché negli USA ben settanta milioni di persone sono state

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capaci di votare per un tizio come Trump e oltre ottanta milioni hanno votato per un suo antagonista, senz'altro migliore, ma di certo non degno di passare alla storia come il presidente USA più votato? Una bella risposta è offerta dal filosofo canadese Alain Deneault (manco a dirlo: è nato nel Quebec e quindi ha un'anima "completamente" francese), autore del saggio "La mediocrazia. Come e perché i mediocri hanno preso il potere" (Editore Neri Pozza, 2017). Un saggio che non dovrebbe mancare in nessuna libreria. Con un linguaggio chiaro e privo di fronzoli retorici, l'autore spiega il centrismo dei mediocri. Nota: Una precisazione: la traduzione di Roberto Boi non è male, ma se davvero si vuole godere lo stile di Deneault si consiglia senz'altro l'edizione originale: "La médiocratie", Lux Éditeur, Montreal, 2015.

"Non c'è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di paragonabile all'incendio del Reichstag, e l'incrociatore Aurora non ha ancora sparato un solo colpo di cannone. Eppure di fatto l'assalto è avvenuto, ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere". Questo è l'incipit del saggio, che lascia presagire una gustosa - e allo stesso tempo amara - disamina sulla scellerata condotta di miliardi di esseri umani. Per Deneault il sistema incoraggia l'ascesa di individui mediamente competenti, i mediocri, a discapito dei supercompetenti e degli incompetenti: i primi sono "pericolosi" perché ingestibili; i secondi per ovvi motivi legati alla loro inefficienza. Va tenuto presente, per quest'ultimo aspetto, che l'autore parla da franco-canadese e la sua analisi, ancorché intrisa di valenza universale, è pur sempre commisurata all'esperienza personale, legata al territorio: le dinamiche della società italiana, per esempio, che spingono il fenomeno da lui analizzato fino all'esasperazione e tendono a promuovere anche gli incompetenti, meglio gestibili dai burattinai, gli sono ignote o non sufficientemente note. La competenza del mediocre, quindi, non deve mai essere tale da mettere in discussione le perversioni del sistema. Lo spirito critico non deve mai consentirgli di andare a fondo delle problematiche, anzi, molto meglio chi non si ponga proprio dei problemi di coscienza e agisca nel "supremo" interesse delle lobby da cui dipende, "serenamente", il che, nella fattispecie, vuol dire "cinicamente". Il mediocre, insomma, spiega il filosofo canadese, deve "giocare il gioco", ossia accettare i comportamenti informali, i compromessi che servono a raggiungere obiettivi di breve termine, sottostare a regole malsane, chiudere un occhio e spesso entrambi. Si deve falsificare un rapporto? Lo si faccia. Si deve scrivere tanto senza dire nulla? Il mediocre è maestro in questo. L'importante è essere leale nei confronti di chi paga, siano essi i venditori di armi che negli USA non consentono di cancellare il secondo emendamento o i criminali delle multinazionali che impongono i loro parametri per vendere cibo spazzatura e inquinare impunemente l'ambiente. La gente muore? Al mediocre non interessa. Fa parte del gioco. Un gioco che lui è bene felice di giocare perché lo rende partecipe del dominio del mondo!


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"Piegarsi in maniera ossequiosa a delle regole stabilite al solo fine di un posizionamento sullo scacchiere sociale", è questo l'obiettivo perseguito dal mediocre. È possibile una inversione di tendenza? Che ciò sia fondamentale per preservare la specie umana è fuor di dubbio: "La mediocrità rende mediocri", spiega Denault. È contagiosa e funge da barriera invalicabile per la meritocrazia, per l'intelligenza, per la genialità. Allo stesso tempo non nasconde quanto sia difficile un processo inverso e a tal proposito cita un brano del "Discorso sulla stupidità" di Robert Musil: "Se dal di dentro la stupidità non assomigliasse tanto al talento, al punto da poter essere scambiata con esso, se dall'esterno non potesse apparire come progresso, genio, speranza o miglioramento, nessuno vorrebbe essere stupido e la stupidità non esisterebbe". Per evitare il futuro disastroso che ci aspetta, pertanto, Deneault suggerisce di iniziare con piccoli passi quotidiani, resistendo alle tentazioni e imparando a dire "no" quando sia necessario. Occorre imparare a non accettare compromessi lesivi del bene collettivo; rifiutarsi di ottenere vantaggi professionali senza merito, danneggiando gli altri; di vendersi; di prostituirsi; di accettare doni offerti per captatio benevolentiae; di rendersi complice di chi, in politica, nelle istituzioni, nelle aziende, giochi sporco per meri interessi personali. DEDICHE Non saranno sfuggite, ai miei quattro lettori, le profonde assonanze con la realtà attuale, insite in molti passi dell'articolo, e il riferimento ai tanti omuncoli che, indegnamente, suonano la grancassa in modo sconsiderato e ossessivo, contribuendo ad aumentare il rumore. Secondo una consolidata propensione, almeno in questo magazine, a meno che non sia strettamente necessario, evito i riferimenti espliciti e tendo a privilegiare una formula minimalista, conferendo a certi soggetti il peso che meritano in un contesto di alto respiro, prossimo allo zero, e non quello rilevantissimo giustamente tributato dalla cronaca. Proprio per la massiccia abbondanza dei suonatori di grancassa, però, è giusto gratificare chi riesca a distinguersi per coraggio e stile di vita, rischiando molto. La prima dedica è per Francesco Zambon, coordinatore dell'Oms nella sede di Venezia, autore di un rapporto che ha messo in luce le discrasie della Sanità in tema di pandemia. Il documento rivela che il piano anti-Covid ricalca il piano pandemico anti-influenzale del 2006, copiato anno dopo anno, con formula "copia e incolla", senza mai essere aggiornato. Il ricercatore definisce la risposta del Paese all'epidemia "caotica e creativa", non sottacendo la gravità delle azioni commesse, che tra l'altro si configurano come reato. Il numero due dell'Oms ed ex direttore generale della prevenzione al ministero della Salute, Ranieri Guerra, con un comportamento che è poco definire osceno e criminale, ha fatto sparire tutte le copie del rapporto nel giro di 24 ore, dopo aver minacciato invano Zambon affinché provvedesse a falsificarlo. Una copia, però, è all'attenzione della Procura di Bergamo, che indaga per epidemia colposa e falso. È opinione diffusa che la denuncia dei ricercatori, addirittura antecedente alla stesura del rapporto, se fosse stata presa seriamente in considerazione, avrebbe consentito di salvare la vita ad almeno diecimila persone solo in Italia e diverse centinaia di migliaia negli altri paesi!

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La stessa Oms impone che i piani pandemici siano aggiornati ogni tre anni perché cambiano continuamente le conoscenze, le tecnologie, le strategie sanitarie. Se è grave, pertanto, la ben conclamata leggerezza del nostro sistema sanitario, non può trovare giustificazione alcuna il comportamento del vertice dell'Oms, che oramai ha perso credibilità. È bene precisare, infatti, che il direttore generale, invece di cacciare il suo vice a calci nel sedere, lo ha sostenuto nella criminale azione, impedendo anche che Zambon si recasse in Procura a rendere testimonianza, adducendo come scusante il ruolo diplomatico esercitato. Una spudoratezza che offende e indigna, tanto più perché aggravata dall'esplicita minaccia di licenziamento. La seconda dedica è per un uomo che, da oltre cinquanta anni, e quindi in un'epoca segnata dalla profonda crisi dei valori a tutti nota, vive all'insegna di quei precetti paventati da Deanult per favorire l'inversione di tendenza, esaltati da uno stile configurabile a quello di un leggendario cavaliere della tavola rotonda. Da giovane, in un sistema marcio fino al midollo, è riuscito a vincere quattro importanti concorsi pubblici, solo per esclusivo merito e con lo svantaggio di essere noto per la militanza, attiva e qualificata, nel vecchio MSI. Non esitò a dimettersi "al buio", dal ministero dell'Interno, nonostante l'importante ruolo ricoperto e le brillanti prospettive di carriera, quando si sentì dire dal capo del personale che non sarebbe mai stato trasferito dalla città della Toscana dove prestava servizio perché "uno come lui doveva ringraziare il cielo solo per essere riuscito a vincerlo, il concorso", con esplicito riferimento al ruolo politico ricoperto e alla mancanza di "santi protettori". Dopo le dimissioni, rispondendo a una semplice inserzione su un quotidiano, fu assunto da una importante banca di Napoli, dalla quale si dimise dopo un anno, essendosi reso conto che il lavoro non era compatibile con i suoi principi etici. Ritornato a lavorare in una primaria struttura ministeriale, poi trasformatasi in importante Spa, dove prestava servizio prima di essere assunto al ministero dell'Interno, fu chiamato a svolgere un ruolo dirigenziale in una sede periferica provinciale, vessata da gravi interferenze politicosindacali, affinché "mettesse ordine in quel verminaio". Dopo tre anni di vani tentativi per indurlo "a miti consigli", ricevette un esplicito ricatto: o diventava più morbido o sarebbe partito un esposto in quanto il ruolo ricoperto era ben tre livelli superiore a quello effettivo. Non esitò ad abbandonare l'incarico pur di non "vendersi", rinunciando, quindi, alla legittimazione prevista per chi svolgeva mansioni superiori per un determinato lasso di tempo, che gli avrebbe garantito prestigio e tanti soldi in più. Analogo spirito è stato sempre profuso in qualsiasi contesto professionale e politico, senza mai cedere di un millimetro alle pur significative e allettanti sollecitazioni. Il prezzo pagato in termini sociali è stato altissimo, ma molto più alta è la gioia di poter vantare la schiena dritta e l'assoluta libertà di pensiero e azione. Il suo nome? Non ha importanza. Basta sapere che esiste e che, da qualche parte, vi sono senz'altro tanti uomini come lui. Sconfiggere la mediocrità che regna sovrana non è impresa semplice, ma vale la pena di tentare. Lino Lavorgna


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ZU REGIEREN... GOVERNAREN! ITALIANEN MANCIA SPACHETTI Nei limiti che mi sono propri, spesso, mi sono chiesto il significato della parola "governare" in Italia. Ho affrontato spesso l'argomento allor'quando io stesso l'ho fatto e soprattutto, in maniera estremamente critica, quando ne abbiamo discusso in simposi improvvisati tra amici. L'eterna confusione che regna alle nostre latitudini in particolare, segno tangibile del vassallaggio cui il giogo plutocratico mondiale ci sottopone, evidenzia le brutture di una politica che più che governare esegue degli ordini impartiti da terzi. Nel lessico rurale la parola viene usata con riferimento al governo delle bestie per far fronte alle esigenze delle stesse, dalla pulizia della stalla alla somministrazione del cibo, cosi come nelle case di un certo ceto, c'era la governante - che pur non gestendo il potere direttamente, aveva il governo della casa; anche San Francesco d'Assisi, nel Cantico delle Creature, inneggia alla madre Terra "sustenta et governa" paragone certamente irriverente rispetto ai nostri governati che somigliano più propriamente, alla governante delle case di alto lignaggio… come anche alla prima ipotesi del governo delle bestie ed in particolare del gregge di pecore, quando in realtà, nell'esercizio del potere di vassallo, governano sulla scorta delle decisioni impartite da terzi, con buona pace di sovranisti e simili. Ho affrontato in un precedente articolo il discriminato uso delle cd "Task force" (resa incondizionata) a fronte di milioni di dipendenti pubblici e di un governo che a dire del Presidente del Consiglio che qualche maligno associa al Marchese del Grillo, sono i migliori ministri del mondo! Non avrei mai pensato di dare ragione a Renzie francamente; parrebbe esagerato ma cosi è! Come è possibile avere i migliori ministri del mondo e trattarli da incapaci?..... come si può governare delegando le proprie funzioni a terzi?... come si può pensare di governare prendendo ordini da terzi? Questi sono i quesiti che mi pongo e che probabilmente, si pone qualche italiano ancora in vita, visto che il mistero si infittisce e diviene quasi un giallo internazionale che fra OMS, Ministero della Sanità, Esteri e attività produttive, sembra ogni giorno più intricato. La delega in bianco alla Task force presidenziale per la gestione del recovery fund, (per l'Italia sono destinati 209 miliardi di euro mentre per l'intera Europa l'intervento è pari a 750 miliardi di euro suddivisi in 390 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto e 360 miliardi di prestiti; il fondo è finanziato dagli eurobond con la conseguenza che i 760 miliardi dovranno essere rimborsati integralmente oltre gli interessi; 360 miliardi di prestiti saranno rimborsati direttamente e 290 rimborsati indirettamente perché ogni stato membro dovrà provvedere a corrispondere, in base

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al proprio gettito IVA… posto che gli eurobond sono garantiti dal bilancio UE….. un pò come la supercazzola di amici miei in fondo). Con riferimento alla nostra Italia va evidenziato che il sistema paese e soprattutto la costituzione, prevede la centralità del Consigli dei ministri con il coordinamento del Presidente del Consiglio con il Parlamento che sempre più spesso, vive ai margini del sistema democratico. Nell'ambito governativo vi sono già organi collegiali come il Cipe, la cui funzione è proprio quella di coordinare le competenze dei singoli ministeri, programmando interventi, con la conseguenza che la task force del presidente del Consiglio null'altro sarebbe che la duplicazione del CIPE ma a differenza del primo… di sua diretta emanazione o come dicono i maligni, indiretta emanazione della locomotiva franco tedesca. Tanto tempo fa, per eventi eccezionali o maxi piano volto ad uniformare l'economia del paese, venne ipotizzata la Cassa per il Mezzogiorno al fine di utilizzare i fondi per ristrutturare un'area svantaggiata. Con la Task Force non solo si svuota il parlamento di ogni funzione ma sinanche il governo le cui funzioni vengono accentrate nelle mani di un solo uomo, come nel caso di Arcuri che parrebbe il risolutore di ogni e qualsivoglia problema italico in assenza di ogni altra mente pensante. Come avviene la ripartizione dei fondi?

Il Governo di una nazione postula, da una parte la capacità di anteporre gli interessi nazionali e dei cittadini rispetto alla eterogeneità e multietnica conformazione dei paesi membri della UE, basti pensare che la porzione destinata a cultura e turismo…. Al pari di quelli destinati alle politiche giovanili….. sono all'ultimo posto nella programmazione quando l'Italia, ormai spogliata delle grandi aziende private o pubbliche (a suo tempo, le ultime, qualche bontempone le svendette ai privati) dovrebbe contare sui due principali asset o, almeno, così hanno detto a


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parole… giovani, turismo e cultura….. esautorando il buon Dario, Stefano, Paola, Giuseppe, Lorenzo, Lucia e sinanche Gaetano…. il sistema paese antepone l'inclusione (leggasi immigrazione e gestione dei flussi) e parità di genere (diritto sacrosanto per ogni cittadino) alla cultura ed ai giovani…… questa è l'Italia di Conte… quella del recovery fund! Se da una parte si esautorano le funzioni del governo e del parlamento, il recovery fund mette in evidenzia un altro nervo scoperto della politica italiana… il vassallaggio rispetto alle politiche U.E. ed in particolare alle politiche dei paesi del nord Europa, da sempre in antitesi con gli interessi del meridione d'Europa (ricordo alcuni spunti su una tesi di un laureando in giurisprudenza la cui tesi si intitolava, trenta anni or sono, "Interventi CEE in Italia, il feoga e la sua funzione", quando si poneva l'accesso sulla suddivisione fra fondi strutturali e fondi d sostegno (con la sproporzione fra paesi già strutturati e paesi in via di sviluppo). Parlare di un ruolo del nostro paese nella Unione Europea parrebbero solo chiacchiere e distintivo nella consapevolezza che abbiamo un gap da colmare piuttosto sostanzioso non avendo mai compreso a fondo le prerogative cbe l'unione aveva e soprattutto che l'asse franco tedesco non lasciava spazio ad altri per orientare le politiche dell'unione, dettando, viceversa, l'agenda nella unione sia in ordine all'orientamento dei fondi prima e dei prestiti oggi (basti pensare alla fine ingloriosa di quell'area geografica dove sono nate le olimpiadi e le prime scuole di filosofia). Dunque quali possibilità reali ha la nostra amata Italia di poter risorgere? Pessimisticamente nessuna, nella consapevolezza che un piatto cosi ricco non dia la possibilità a nessuno di poterci "mettere il naso" …nemmeno per percepirne la più flebile fragranza, semmai potremmo davvero pensare ad un Renzi salvatore della patria che manda a casa un governo di persone che non ha voluto nemmeno il popolo ma solo la UE o meglio l'asse franco-tedesco…., francamente, temo che ciò non sarà possibile in quanto ci sono 209 miliardi di ragioni che porteranno il buon Matteo e la notevole Maria Elena a cambiare opinione sul governo, pur consapevole della loro più volte declamata volontà di rinunciare alla politica, paradigma di quello che rappresentano…. appunto gli italiani Emilio Petruzzi

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LE SETTE VITE DI GIUSEPPE CONTE Giuseppe Conte l'ha sfangata anche il 9 dicembre. Avrebbe dovuto essere il suo mercoledì nero. Nonostante l'eco si fosse fatta più fioca con il passare delle ore, non avevano smesso di rullare i tamburi di guerra della fronda grillina, accreditata dai media di una clamorosa rottura sull'ok alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Invece, a dispetto delle tante dietrologie imbastite per un'opinione pubblica che alle contorsioni della politica politicante non è per nulla interessata, tutto è andato secondo copione. L'ordine regna a Babilonia. Ma il fatto che se la sia cavata, non fa di Conte uno statista e nemmeno un premier più credibile in Italia e ai tavoli di Bruxelles. Il via libera all'approvazione in sede europea del nuovo Meccanismo di stabilità lascia sul campo un cadavere politico. Si tratta del corpo esanime del Movimento Cinque Stelle, già piagato dai troppi sì pronunciati in luogo degli altrettanti troppi no promessi agli elettori. Tap, Tav, Alitalia, acciaio a Taranto, Terzo valico in Liguria, Unione europea, tanto per rinfrescare la memoria. E ora il Mes. L'ultimo sì pentastellato è un voto di sopravvivenza all'interno dei palazzi della politica. Il Movimento ha negato se stesso votando a favore della riforma (peggiorativa) di uno strumento - il Mes - che i grillini puri e duri si erano impegnati a demolire, una volta giunti al governo del Paese, perché lo giudicavano gravemente lesivo degli interessi nazionali. Estinto il grillismo, restano i grillini in Parlamento. Tecnicamente, si tratta di dead men walking - morti che camminano - nel senso che resteranno in coma vegetativo all'interno delle istituzioni fin quando i tempi di durata della legislatura lo consentiranno e, a tale fine, approveranno ogni nefandezza il Governo gli sottoporrà. Pure la riforma della carta igienica, se necessario. Perché, primum vivere, deinde philosophari. Se si dovesse ipotizzare per Giuseppe Conte una minaccia alla sua permanenza a Palazzo Chigi, a stare alle parole di fuoco pronunciate in Senato da Matteo Renzi in occasione del voto sul Mes, bisognerebbe guardare al ruolo corsaro di Italia Viva. Ma anche in questo caso trattasi di sceneggiata napoletana, quella di Isso, esse e 'o malamente. Renzi minaccia la crisi se Conte non farà retromarcia sulla decisione di affidare a una Task Force di manager di sua fiducia la gestione del ricco piano di finanziamenti europei del Next Generation Eu. Ma, teatralmente parlando, Renzi è un guappo di cartone e la sua minaccia è un'arma caricata a salve: fa un gran botto, ma non spara alcuna pallottola. In linea di principio, è fondata la denuncia sulla volontà del premier di esautorare le istituzioni


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rappresentative della sovranità popolare dal potere di decisione e di controllo sul "per cosa?" e sul "come?" spendere i denari europei. Ma Renzi non può permettersi il lusso di far saltare il banco per andare a nuove elezioni, perché il primo a scomparire dalla carta geografica della politica italiana sarebbe proprio il suo partito. E allora le picconate a Conte assestate in diretta televisiva? Ammuina, inscenata allo scopo di spuntare qualcosa da spacciare come una grande vittoria. Bisogna capirlo, Renzi. Deve pur dare ai suoi sparuti fedeli una prova di esistenza in vita. Sebbene lui si senta un padreterno, non basta a che i suoi gli credano per atto di fede. Quelli sono come San Tommaso: se non toccano non credono. Dall'alto del suo inossidabile scranno, Conte si è goduta la scena con fare sornione. Trattare è ciò che sa fare di mestiere, per cui ha messo in conto che per farsi dire sì da tutti i partner deve concedere qualcosa. Ogni politico ha il suo metodo di lavoro, Conte adotta quello, ben collaudato, della giocata al rialzo. Se l'obiettivo da ottenere è 50, lui mette sul tavolo 100 ma è pronto a chiudere a 60. La controparte si alza contenta e soddisfatta pensando di aver strappato 40 all'interlocutore, quando invece è l'interlocutore a portare a casa un 10 in più rispetto all'obiettivo iniziale. Ecco perché, mai ci sogneremmo di comprare un'auto usata da Giuseppe Conte. Al contrario, Matteo Renzi quell'auto non solo la prenderà anche senza gli pneumatici e con il motore fuori fase, ma andrà in giro a vantarsi di aver fatto l'affare del secolo. Quindi? Conte stralcerà l'emendamento sulla costituzione della Task force per la gestione dei fondi europei del Next Generation Eu dal testo della Legge di Bilancio all'esame delle Camere. Ne farà oggetto di un apposito Decreto-legge da approvare subito dopo la pausa natalizia. Nel frattempo, riunirà un vertice con i capidelegazione al Governo dei partiti della maggioranza per negoziare modifiche marginali alla struttura di governance da lui ideata, senza snaturarne l'impianto centrale. Conte sempre più somiglia a quegli chef che in televisione danno la ricetta del piatto gourmet. Quando c'è da prescrivere il dosaggio dell'ingrediente che può rovinare la pietanza si limitano a un laconico: quanto basta. Sarà così anche per l'alzata di testa del galletto di Rignano sull'Arno, che avrà soddisfazione quanto basta per dire ai suoi di aver condizionato l'azione del Governo imponendo un qualcosa che, statene certi, la faina di Volturara Appula ha messo in conto di dover concedere ancor prima di presentarsi in Parlamento. Fin qui il teatrino della politica. Poi c'è la realtà e ci sono gli italiani che da questo giro di valzer del mercoledì danzante non hanno ricavato niente di buono. Nell'ordine: saranno costretti a subire il nuovo Mes che, per come è stato architettato, è un collare chiodato messo alla gola della sovranità popolare nostrana; hanno appreso che i denari - tanti - dell'Europa, se arriveranno, dovranno essere spesi seguendo le indicazioni della pianificazione dirigista concepita a Bruxelles per rafforzare quei settori economici che non favoriscono il made in Italy ma servono la causa degli interessi industriali di Germania e Francia, e in altro momento spiegheremo diffusamente perché; dopo l'approvazione alla Camera dei Deputati del Decreto che cancella i Decretisicurezza di Matteo Salvini, possono dire addio a quel minimo di tutela contro i pericoli originati

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dall'accoglienza indiscriminata degli immigrati illegali, che quei contestati Decreti avevano garantito. Tutto in un solo giorno. Una volta si era soliti dire che quando si tocca il fondo non si può che risalire. Avendo visto all'opera Giuseppe Conte riteniamo che un'altra opzione, alternativa alla risalita dal fondo, sia possibile: scavare. Cristofaro Sola


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UN’ANTICA CANZONE E NAPOLI OGGI Cari amici lettori, qualche giorno or sono, traducendo in napoletano una famosa canzone di John Dowland, grande musicista inglese del '600, ho scritto questi tre versi: "Nun ce stanno nòtte bastantamènte scure pe chille ca disperate se chiàgneno 'e pperdute furtune llòro. 'A luce nun fa' ato ca scummiglià 'o scuórno.". Poi ho letto la classifica annuale dei capoluoghi italiani per qualità della vita, stilata dal "Sole 24 ore": Napoli è novantaduesima, seguita solo da quindici città tutte ubicate in Campania, Calabria e Sicilia. Lo sfascio di Napoli è sotto i nostri occhi, ma queste conferme ufficiali bruciano ugualmente. 'A luce nun fa' ato ca scummiglià 'o scuórno: il poeta, certo, cantava d'altro, ma la considerazione è del tutto appropriata all'effetto della tristissima classifica. Se poi ricordiamo che nel diciottesimo secolo, capitale del reame borbonico, Napoli era, con Parigi e Vienna, al vertice mondiale, veramente "amm'a chiàgnere, disperate, 'e pperdute furtune". Le altre cronache, del resto, non aiutano a essere ottimisti: dalla chiusura della Whirlpool a quella del circolo artistico, dalla chiusura dei tunnel a quella della Floridiana, è tutto uno sprofondare nel baratro della decadenza finale. Ridicolo, ma non nuovo: in via Duomo i marciapiedi appena rifatti vengono sventrati per installare i pali dell'illuminazione! Così la stupidità di coloro che dovrebbero amministrarci getta nei fossi il danaro estorto ai contribuenti, che dovrebbe servire per render più bella la città e più gradevole la vita! Certo, buona parte della responsabilità è dei cittadini napoletani: maestri (un tempo) di poesie e canzoni, non sono mai stati bravi a scegliersi i capi. Tutto andava bene finché c'è stato 'o rre nuósto, che si prodigava durante le epidemie, ordinava la raccolta differenziata, fondava seterie e creava parchi. Poi, Gallibardo; poi, 'a dimocrazzia. Ora, sindaci che nulla fanno se non pontificare in Tv, presidenti di regione che usano i lanciafiamme solo in periodo elettorale. La condanna ci viene dalla mentalità che ha creato detti come "Attacca 'o ciuccio addo' vo' 'o patróne" e "Nun da' rètta, pènza â salute!". Ma io ricordo che un tempo i napoletani reagivano alle peggiori avversità: come ai tempi del colera, quando tutti i vicoli erano pulitissimi perché le donne spazzavano e lavavano la strada all'altezza del loro basso! Oggi, appena l'alternarsi dei diktat lo consente, la gente si addensa nelle strade, poco prima deserte, per lo shopping; e la curva dei contagi e dei morti s'impenna. Sembra i napoletani non abbiano mai inteso l'adagio latino "Est modus in rebus" (non si deve esagerare). Ancora una volta vale un detto di quegli antichi, "Piscis a capite fetit", che la saggezza popolare ha

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tradotto alla lettera: 'O pésce fète dâ capa. In questo caso, tutte chélle ccape 'e cazzo ca na vota dìceno janco e na vòta niro e po n'ata vòta janco, senza alcun progetto e senza un briciolo di buon senso. Cape 'e 'mbrèlla (beh, ho moderato i termini) che un giorno mandano l'elicottero per catturare il vecchino che prende il sole sugli scogli e un altro danno via libera alle fiumane in via Roma; che mobilitano legioni di carabinieri, poliziotti e magari di truppa per impedire il Natale e nulla fanno per fermare i migranti invasori o per togliere dalle strade gli spacciatori di droga. Un male che affligge tutta l'Italia, che già Dante definì "non donna di provincie, ma bordello" ma all'ennesima potenza Napoli, bordello sulla pubblica via! Non mi meraviglia che un popolo che scelse Masaniello rielegga De Magistris e De Luca. Disgraziatamente, oggi non c'è un viceré che possa rimediare a queste stupidaggini. Pietro Lignola


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LA NATIVITA’? SI FESTEGGIA NELL’HAPPY HOUR Stato e Chiesa discutono sull'orario in cui sarà opportuno celebrare la nascita di Cristo, il prossimo 24 dicembre, in conformità con gli obblighi di legge che limitano la circolazione delle persone a causa del Covid. Per alcuni potrà sembrare un gesto di alto senso civico adattare in momenti particolarmente critici anche i comportamenti religiosi alle esigenze della gestione dell'ordine pubblico. E, per questo motivo, si sarebbe propensi a conferire medaglie al merito alle gerarchie ecclesiastiche per la disponibilità dimostrata nell'attenersi al dettato della legge civile. Tuttavia, la disinvoltura con la quale la Chiesa di Roma rinuncia a uno dei capisaldi del proprio impianto liturgico, sconcerta. E alimenta cupi sospetti. Celebrare la Natività a mezzanotte non è per spingere le persone appesantite dai postumi del cenone a fare due passi "digestivi" dall'abitazione alla chiesa più vicina. L'aver collocato l'evento fondante della cristianità in quel giorno e a quell'ora ha un valore simbolico di eccezionale potenza: innesca una ierofania. Con essa si è partecipi e destinatari della manifestazione del sacro, attualizzato un tempo che non è, né potrebbe essere, quello storico. audaciaintemeraria igiene spirituale Col tempo sacro le lancette dell'orologio tornano indietro riportando al presente l'evento metastorico accaduto illo tempore. Nel calendario giuliano la mezzanotte tra il 24 e il 25 dicembre corrisponde al solstizio d'inverno. Per alcuni storici delle religioni il combaciare dei momenti è la prova del fatto che la dogmatica cristiana si sia sovrapposta ai culti preesistenti inglobandone alcuni miti radicati nell'essenza profonda del politeismo del mondo pagano. Nella tradizione del simbolismo polare precristiano il solstizio d'inverno rappresenta il passaggio dalle tenebre alla luce. Il suo significato si connette al simbolismo del ciclo continuo di morterinascita, immagine speculare della perenne lotta tra il Bene e il Male, tema centrale in tutte le cosmogonie. Dal 25 dicembre la luce, per effetto del moto evolutivo solare nell'astronomia geocentrica, ricomincia a sopravanzare l'oscurità dando luogo a una rigenerazione della vita. Il fenomeno si riverbera sulla dialettica Uomo-Natura sotto forma di una palingenesi. Nelle religioni tradizionali è frequente ritrovare la simbologia della caverna, rappresentazione dell'utero materno, luogo oscuro nel quale comincia il processo di rigenerazione che conduce alla nuova vita e dove la materia corporea si fonde con la sostanza sottile dell'anima immortale. Ma la caverna è, nella mitologia, anche il luogo ultimo di sepoltura nel quale, all'opposto, i destini di corpo e anima si dividono. Tra i due momenti non vi è opposizione visto che, nella concezione tradizionale, nascita e morte

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sono fenomeni concatenati e sequenziali. D'altro canto, come afferma René Guénon maestro di studi iniziatici, "morte e nascita non sono in fondo che le due facce di uno stesso cambiamento di stato, e che si ritiene che il passaggio di stato a un altro si debba sempre effettuare nell'oscurità". Come per il simbolismo del chicco di grano nei misteri eleusini, la Natività trasmette all'uomo del presente il portato archetipico di una palingenesi. L'avvento provvidenziale del Messia, per la religione cristiana, è il simbolo del fattore salvifico dell'incarnazione di Dio nell'uomo. Il simbolo, quindi, anche per la religione cristiana, non si limita a stimolare pulsioni meta-razionali ma rivela risposte a domande che l'uomo si pone sull'approdo ultraterreno del proprio destino. Per Mircea Eliade, storico delle religioni, il simbolo è di per sé un'esperienza totalizzante perché "quale che sia il suo contesto, rivela sempre l'unità fondamentale di parecchie zone del reale". Per queste ragioni la celebrazione della mezzanotte conferisce senso alla narrazione mitica di una teofania (manifestazione sensibile della divinità). Cambiare l'orario, come se si trattasse dell'apertura e chiusura di un esercizio commerciale, destruttura la fede, privando di valore il suo mezzo di trasmissione: il simbolismo. Come non vedere il rischio che si cela dietro una scelta apparentemente dettata dal buon senso? La risposta la si può leggere nello splendido articolo di Renato Cristin, pubblicato sull’Opinione, dal titolo B. & B.: i due protagonisti della "Economy of Francesco". La Chiesa di Jorge Bergoglio si è spinta sulla strada di una nuova dottrina sociale, portatrice di un messaggio evangelico pauperista letto in chiave proto-comunista per un cattolicesimo, che, come nota Cristin, è pienamente socialista e non più sociale. Ma ciò non basta a spiegarne la degenerazione valoriale, che invece parte da lontano: dall'affermarsi del relativismo. Non solo etico ma anche teologico. Presumibilmente da quando, come scriveva l'allora cardinale Joseph Ratzinger in Fede, Verità Tolleranza, edito nel 2003: "Il relativismo in certo qual modo è diventato la vera religione dell'uomo moderno". Il fatto che il simbolo Gesù Cristo sia considerato uno tra i tanti salvatori e liberatori in circolazione scaturisce dal presupposto fondamentale del pluralismo unitivo, enunciato dal teologo Paul Francis Knitter in Nessun altro nome?, edito nel 1991, secondo cui "tutte le religioni sono o possono essere ugualmente valide. Ciò significa che i loro fondatori, i personaggi religiosi che stanno dietro ad esse sono o possono essere ugualmente validi" (la citazione è nel testo di Joseph Ratzinger e Marcello Pera, Senza Radici, edito nel 2004). Ora, se il messaggio del Cristo, veicolato attraverso l'interpretazione dei codici della ritualità liturgico-simbolica, è stato elemento costitutivo della matrice identitaria dell'uomo occidentale, la sua decostruzione punta a una nuova identità, anti-tradizionale, prodotta da una miscela ideologica di terzomondismo, marxismo, socialismo utopistico ottocentesco che, come scrive Cristin, non è "meno statalista (di quello del modello sovietico ndr) ma strutturalmente sgangherato e ideologicamente modificato con l'inserimento di istanze indigeniste che agglutinano cristianesimo e sciamanesimo, tribalismo e marxismo". Ecco, dunque, cosa si muove dietro quell'apparentemente innocuo cambio di orario. Sarebbe un affare dei soli fedeli cristiani se non fosse per il suo impatto sulla definizione dell'identità


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dell'Occidente che riguarda tutti noi: credenti, pagani, agnostici, atei. Combattere contro i sabotatori della tradizione è impresa ardua quando a muovere i fili di una nuova "teologia della restituzione" d'ispirazione marxista provvede chi occupa il trono più alto sopravvissuto, in Occidente, alla distruzione dell'antico ordine. L'auspicio, per la salvezza del nostro comune destino di occidentali, è che vi sia da qualche parte un prelato, un monsignore, un parroco, un frate ordinato sacerdote disposto a celebrare la Natività con la messa di mezzanotte. Anche in assenza dei fedeli o collegandosi con essi mediante le moderne tecnologie. Forse non tutti i mali vengono per nuocere. Salvare la ritualità allegorica del Natale seve a ricordarci chi siamo, da dove veniamo e dove andremo. Duemila anni di civiltà non meritano di essere buttati via come carta straccia, cancellati come una storia di cui ci si debba vergognare, abiurati come un peccato da cui bisogna emendarsi, vissuti come una formalità che possa essere derogata per opportunità. Contro i relativismi ci sono gli assoluti. Non sarebbe male se cominciassimo col chiarire a noi stessi su quale versante della storia s'intenda stare. Cristofaro Sola

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DONNE SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI PREMESSA Una società che pone l'ipocrisia relazionale tra le principali fondamenta della sua essenza ha bisogno di molte sovrastrutture concettuali per non implodere. Una di esse è il cosiddetto "politically correct" che, apparentemente, dovrebbe designare un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, anche di coloro che facciano venire la voglia di prendere un nodoso bastone ogni volta che aprono bocca e vomitano scemenze. I capisaldi di una società civile, che contemplano l'abiura dei pregiudizi razziali, etnici, religiosi, politici, di orientamento sessuale e altro ancora, non necessitano di doppioni che, proprio perché intrisi di ipocrisia, perdono consistenza qualitativa e risultano semplicemente patetici. In questo articolo si parla delle donne del nostro tempo, con estrema franchezza e quindi senza alcun ricorso alle strumentali regole del politically correct, il che non vuol dire mancare loro di rispetto bensì manifestare in modo più sano un sincero amore, analogo a quello che un bravo padre riversa sui propri figli. Il titolo, che rimanda a quello di un celebre film, è volutamente fuorviante. Nel film, infatti, si parla di donne stressate per colpa di bislacchi comportamenti maschili; nell'articolo, le donne, non tutte, ovviamente (doverosa precisazione a scanso di equivoci), sono sì "sull'orlo", ma di un burrone nel quale annaspano uomini affranti da distonie comportamentali al limite dell'umana sopportabilità. Tutto questo, sia detto sempre a scanso di equivoci, al netto dell'ingiustificabile comportamento, da condannare senza appello, di uomini in palese ritardo evolutivo, incapaci di porre freno ai propri impulsi primordiali, che manifestano unicamente l'inadeguatezza alla convivenza in un consorzio civile. ANAMNESI DI UNA MAMMA SACCENTE Quotidiano napoletano "Il Mattino", edizione web, 7 dicembre 2020. Un cronista intervista persone nel corso di una manifestazione contro la chiusura delle scuole. "Sono una madre, oltre che una cittadina, arrabbiata, anche perché mio figlio, in prima elementare, è riuscito a rientrare a scuola, ma mi sento appesa a un filo di decisioni arbitrarie e immotivate. Questo conflitto interistituzionale che si è creato sulla scuola, domani si potrà creare su altri aspetti della vita civile. È molto pericoloso. Dobbiamo muoverci per la scuola, per l'istruzione, ma, in generale, per la democrazia. Mio figlio ha fatto rientro, fortunatamente. È tra i


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pochi fortunati. Ovviamente è diventato un altro bambino e lo dico senza retorica: è evidente che la vita gli è completamente cambiata. Però è ritornato in una scuola vuota, in cui ci sono solo le due prime. Sono ritornati quasi tutti i suoi compagni di classe e quindi non è vero che i genitori poi non mandano i figli a scuola (ridacchia, N.d.R.). Però devono tornare anche gli altri! (Tono austero, imperativo, non esortativo, N.d.R.). Sono i cittadini di domani. Io non voglio vivere in una società, domani, in cui ci sono ragazzi alienati che hanno vissuto i migliori anni della loro vita nell'alienazione. Non siamo negazionisti. Il covid durerà a lungo o comunque le conseguenze del covid dureranno. Allora non si può tutelare soltanto il diritto alla paura". Non tragga in inganno qualche sfasatura sintattica. La signora molto probabilmente ha una bella laurea e riesce ad argomentare dando un filo logico al discorso. Lascia trasparire il suo senso civico (non parla per sé, ma per gli altri, visto che il figlio è ritornato a scuola); il senso materno (non basta il solo rientro delle prime: per l'equilibrio psicologico occorre che tutti tornino a scuola); la fermezza delle proprie idee e l'autoreferenzialità (il governo non si rende conto che la chiusura delle scuole, anche di pochi mesi, formerà una generazione di alienati). Su questo punto, onestamente, è lecito chiedersi se l'asserzione sia ascrivibile a un reale convincimento o ad altro. Con abilità degna di un politico navigato, infine, riesce a ben esprimere quella che, quando non sia espressione di una manifesta volontà mistificatoria, in psicologia è considerata una devianza psicotica: il bambino addirittura ha visto cambiata la sua vita con il rientro a scuola, cosa che evidentemente esiste solo nella sua mente; il covid durerà a lungo: espressione senza senso in un contesto sociale che abbia come perno il relativismo di einsteiniana memoria; non si può tutelare soltanto il diritto alla paura: espressione a effetto che serve a trasmettere un'immagine distorta della realtà, spacciando per vero ciò che vero non è, o per devianza psicotica o per cosciente mistificazione. In ogni caso abbiamo una mamma saccente, che parla come se fosse in grado di comprendere tutte le dinamiche da valutare prima di assumere qualsivoglia decisione, forte delle proprie convinzioni elevate al rango di dogma, che non esiterebbe a mandare i ragazzi a scuola, se potesse, senza prendere in considerazione i rischi connessi all'assembramento, soprattutto quello che si verifica sui fatiscenti mezzi pubblici. Atteggiamento antico e diffuso del resto, che la particolare contingenza pandemica contribuisce solo a mettere maggiormente in luce. "È un peccato che le persone che sanno come far funzionare il paese siano troppo occupate a guidare taxi o a tagliare capelli". La battuta, pronunciata da George Burns, attore comico molto popolare negli USA, fu ripresa negli anni settanta da un simpatico e arguto parlamentare toscano, Franco Franchi, che la adattò alla realtà italiana aggiungendo anche il ruolo di allenatore della nazionale di calcio: in quegli anni, infatti, le rubriche epistolari dei quotidiani sportivi pullulavano di formazioni inviate dai lettori, ciascuna delle quali ritenuta la migliore per vincere i mondiali e composta con almeno sei giocatori della propria squadra del cuore. Cosa dire di una mamma del genere? Che non è degna del delicato ruolo e che avrebbe bisogno di un serio percorso formativo, subito dopo una sana terapia per la destrutturazione dell'ego.

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Non è un caso isolato, come ben si evince dalla cronaca quotidiana, e del resto abbiamo un ministro dell'Istruzione, donna, che ragiona più o meno allo stesso modo. I RITI INSULSI DELLE GIORNATE CONTRO Ogni anno, il 25 novembre, si celebra la "giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne". È una buona idea l'istituzione delle giornate contro i mali del mondo ma, nel contempo, cerchiamo di comprendere che non è con le celebrazioni che si risolvono i problemi. Relativamente alla violenza contro le donne, i dati, spaventosi, sono facilmente reperibili in centinaia di siti web: nel mondo si verificano mediamente 140 femminicidi al giorno, uno ogni dieci minuti. Secondo i dati diffusi dall'Eures, in Italia, nei primi dieci mesi del 2020 si contano 81 femminicidi, che salgono a 91 sommando anche le morti legate alla criminalità comune o a contesti di vicinato. Mancano i dati di novembre e dicembre che, salvo errore, dovrebbero far passare il numero complessivo da due a tre cifre. Lo scorso anno si è chiuso con 73 femminicidi; 74 nel 2018; 68 nel 2017; 143 nei due anni precedenti. Migliaia i casi di violenza domestica, molti dei quali non denunciati. Qualche anno fa, in occasione della ricorrenza, effettuai un sondaggio, intervistando cento persone, per lo più giovani, in un centro commerciale. Chiesi se erano informati in merito e, a coloro che risposero affermativamente, se erano in grado di spiegare perché la ricorrenza si celebrasse proprio il 25 novembre. Il risultato fu catastrofico. Nessuno citò correttamente l'intestazione della ricorrenza, per lo più definita "giornata mondiale contro la violenza sulle donne", a riprova dell'infelice scelta operata dalle teste pensanti dell'Onu, che qualsiasi esperto di comunicazione, anche della più scalcinata agenzia pubblicitaria, avrebbe sconsigliato. Quasi il 90% era sì a conoscenza della ricorrenza, ma nessuno fu in grado di spiegare il perché della data. La colpa non è del tutto loro, dal momento che, almeno nel nostro Paese, si parla poco o punto di quel porco dittatore caraibico colpevole di crimini efferati e dell'uccisione delle sorelle Mirabal, il 25 novembre 1960; in TV non si trasmette mai il celebre film "Il tempo delle farfalle", impossibile da reperire anche in DVD e, nemmeno in occasione della ricorrenza, si parla dell'omonimo romanzo di Julia Alvarez, da cui il film è tratto e che disegna il vero volto della tirannide maschile intrisa di violenza contro le donne. Una omertà che sa tanto di ingiustificata tolleranza, essendo stato quel porco dittatore uno dei pupilli-pupazzi prediletti di mamma America, alla pari di un suo omologo più famoso, il cubano Batista. Ciò premesso, nei giorni a cavallo della ricorrenza, si assiste a un vero e proprio bombardamento mediatico sulla violenza maschile, scandagliata in tutte le sue dinamiche, anche in modo eccelso e difficilmente confutabile. Passata la buriana, però, si tornano a contare le vittime, in attesa di ripetere il rito nell'anno successivo. Scarsa attenzione, infatti, viene dedicata a un aspetto del problema che, se opportunamente sviluppato, potrebbe contribuire sensibilmente al contenimento del triste fenomeno: l'approccio psicologico delle donne nei confronti dell'universo maschile, sia in senso lato (fiducia


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concessa con eccessiva facilità) sia in caso di crisi (sindrome della crocerossina; riluttanza nel denunciare subito gli atti di violenza; propensione ad accettare "l'ultimo incontro" dopo la rottura di un rapporto, che spesso si conclude in modo tragico). I fatti accaduti, come sempre, contribuiscono a meglio chiarire le idee. Partiamo da un esempio molto eloquente, verificatosi qualche anno fa a Napoli. Una sedicenne riceve una telefonata da un'amica, alle 17 del pomeriggio, con invito a recarsi in un negozio del centro per degli acquisti. La ragazza, di buona famiglia, ben educata, brillante studentessa, sa che deve comunicare ogni cosa ai genitori e pertanto telefona al papà per dirgli che sta per uscire e sarebbe rincasata per cena. Il padre, bancario, le dice che sarà a casa alle 18. La famiglia abita in una zona residenziale, in un parco con sbarre all'ingresso, sorvegliato da un guardiano che non sfigurerebbe in un reparto speciale dell'esercito. Una sedicenne, vivaddio, impiegherà un po' di minuti per prepararsi a una passeggiata pomeridiana e quindi, l'ora che separa l'uscita dal rientro del papà, si accorcia sicuramente di molto. Nondimeno rispetta le chiare istruzioni ricevute per "difendere i propri beni" e, con gesto istintivo e abituale, attiva l'antifurto e chiude la porta a doppia mandata, nonostante il rischio reale di effrazione in quel parco sia prossimo allo zero. La giovinetta, ben educata a tutelare i beni patrimoniali, non ha ricevuto pari formazione nel tutelare sé stessa, alla pari della sua amica. Passeggiando per via Toledo, pertanto, le ragazze accettano senza indugio l'invito di due bellimbusti in moto a farsi un giro con loro: all'epoca non esisteva la ZTL. Il resto non serve scriverlo. Non molto tempo dopo, in una discoteca abruzzese, una ragazza di Roma accettò l'invito di un soldato per una passeggiata: fu stuprata con oggetti contundenti e abbandonata nella neve. Aveva presupposto di fare amicizia e scambiare quattro chiacchiere, senza andare oltre. Purtroppo le cose non stanno in questo modo e pertanto si rende necessario cambiare registro, accettando il fatto che i processi mentali dei due sessi, eccezion fatta per i paesi del Nord Europa, sono molto diversi. Soprattutto in certi contesti è davvero sciocco e pericoloso confidare in un atteggiamento maschile confacente a sani presupposti di etica e maturità. La violenza degli uomini nei confronti delle donne non è qualcosa che si potrà sconfiggere in tempi brevi perché attiene a tare fisiologiche che sfuggono a ogni possibilità di cura. È un virus per il quale non è stato ancora scoperto l'antidoto e occorrerà molto tempo prima che sia debellato. Le cause che, in un dato momento, mandano in tilt il cervello di molti uomini, facendo perdere ogni possibilità di autocontrollo, sono molteplici e sinteticamente si possono rapportare sia al retaggio ancestrale sia ai condizionamenti ambientali. Tali fattori agiscono quasi sempre in combinata, elevando alla massima potenza la capacità distruttiva. Un radicale e velocissimo cambiamento dei costumi, che ha visto la donna negli ultimi quaranta anni conquistare diritti e libertà negati per millenni, ha esasperato ancor più il problema, in quanto l'evoluzione del maschio non ha marciato con analogo passo. Il gap è destinato ad aumentare sensibilmente perché è ancora lontano il picco massimo, oltre il quale non sarà possibile salire.

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È opportuno, pertanto, strutturare adeguati piani formativi per inculcare nelle donne sani principi di autotutela. Occorre imparare a non lasciarsi ingabbiare da quel meraviglioso sentimento chiamato "Amore" che, purtroppo, a volte si trasforma in una volontaria prigione. Parimenti occorre imparare a non rapportarsi con l'universo maschile utilizzando gli stessi parametri che caratterizzano il proprio agire: le ragazze che vanno da sole in discoteca, o in compagnia di un'amica, pensando "solo" di fare amicizia, per quanto amaro sia, devono capire che, nel 99% dei casi, incontreranno uomini attratti solo da possibili avventure con risvolti sessuali, magari con la mente annebbiata da droghe e alcool. In caso di rifiuto possono esplodere e compiere dei misfatti. La follia omicida degli uomini violenti non si può fermare e le pene inflitte, peraltro spesso davvero blande, non fanno certo tornare a casa le vittime. Insegnare alle donne a difendersi in modo più oculato, invece, è possibile. LA FAMIGLIA TORNI A ESSERE IL FULCRO DELLA SOCIETÀ Qui siamo davvero al paradosso dei paradossi. Oggi la maggioranza delle persone si vergogna di esprimere giudizi di valore sulla sacralità della famiglia per timore di non apparire "politically correct". Il tutto è dovuto alla massiccia opera condizionante perpetrata da quello strambo caleidoscopio umano composto da soggetti impropriamente definiti "radical chic", dal momento che di radicale hanno solo la propria saccenteria e di chic proprio nulla, e molto più opportunamente, invece, definibili semplicemente dei "cretini di sinistra". Il cretino di sinistra è un virus sociale molto pericoloso perché, generalmente, si presenta bene: è affabile, ha letto qualche libro, parla con discreta proprietà di linguaggio e, nelle punte più avanzate, i libri addirittura li scrive. Con questi presupposti riesce ad avere largo credito, soprattutto in un Paese in cui tanta gente è da sempre ben predisposta nei confronti di chi manifesti l'intento di rompere gli schemi e si sente culturalmente evoluta perché in libreria ha una dozzina di libri, equamente ripartiti tra Federico Moccia, Roberto Saviano e Fabio Volo. La famiglia è uno dei bersagli preferiti, con attacchi mirati, perfezionati anno dopo anno e sempre vincenti sulle labili difese di improbabili oppositori che, al confronto, fanno la figura, e la fine, dei soldati polacchi che si lanciarono con la spada sguainata, sul dorso dei loro cavalli al galoppo, contro i carri armati tedeschi. Tanto più che, molti di loro, soprattutto se impegnati in politica, sono adusi a predicare bene e razzolare male. Sia detto senza tanti giri di parole, infatti, fin quando la difesa della famiglia, in Italia, non saràportata avandi da soggetti credibili, diversi da quella pittoresca macchietta che risponde al nome di Mario Adinolfi (primo italiano a… udite, udite, riuscire a partecipare a una finale mondiale del campionato di poker, classificandosi addirittura al sesto posto su 397 concorrenti), non c'è partita. I cretini di sinistra saranno anche cretini, ma le loro battaglie, bisogna riconoscerlo, le combattono bene, mischiando opportunamente verità e menzogne, per poi partorire una miscela funzionale ai loro disegni. Della famiglia, per esempio, pongono in rilievo, partendo da lontano, le vessazioni riscontrate (e riscontrabili) nel loro ambito, i matrimoni combinati e


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qualsivoglia altra discrasia la ricerca storica e sociologica metta al loro servizio. Va da sé che non vengono proprio presi in considerazione gli esempi positivi: la famiglia è il male perché intrisa di falsi valori; è impossibile amare la stessa persona per sempre e pertanto vi è bisogno di "libertà" espressiva (tradotto in soldoni: scopare con chiunque, quando se ne abbia voglia, senza porsi tanti scrupoli e, soprattutto, senza che nessuno abbia da recriminare). Molti lettori sicuramente conoscono il simpatico giornalista Enrico, Lucci, che ha acquistato buona fama quando collaborava col programma televisivo "Le Iene". Una volta, in uno dei tanti servizi sui costumi degli italiani, intervistò una giovanissima sposa nel giorno del matrimonio, durante il ricevimento. Con la solita vocina di sfottitore impenitente, le chiese, più o meno testualmente: "Ma dimmi, bella sposina, questo maritino qui, al tuo fianco, sarà l'unico l'uomo con il quale farai all'amore per il resto della tua vita?" La giovane, presa alla sprovvista, mostrò solo qualche frazione di secondo di smarrimento, quello necessario a suggerirle la risposta. Non vi sarebbe stato nulla di male se avesse risposto: "Ma certo!" Perdinci! Il giorno del matrimonio! Solo un paio di ore prima, in chiesa, aveva giurato di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. Ma due ore, nella società contemporanea, sono un'eternità e fanno cambiare molte cose. Si stava registrando un servizio televisivo che sarebbe stato visto da alcuni milioni di spettatori, in tempi che sancivano la crescente affermazione di nuovi stili di vita, lontani mille miglia da quelli stancamente riproposti per mera ritualità, senza alcuna effettiva considerazione. Che magra figura avrebbe fatto se avesse detto: "Ma certo!" E infatti, assumendo la tipica espressione di chi si accinga a rivelare una verità scomoda, ma pur sempre una verità, lasciando tutti i convenuti in palpabile imbarazzo, rispose testualmente: "No! Non penso proprio… decisamente no". Esempio isolato? No di certo. Che cosa fare, quindi? In questo Paese vi sono ancora tanti "marinai" che, con le carte in regola e senza rischio di essere sbugiardati da "Report", sono in grado di riportare la nave sulla corretta rotta. Solo che tanti di loro sono stanchi e non hanno più voglia di domare mari tempestosi. Beh, l'invito è quello di deporre le pantofole e risalire a bordo. Questa società ha bisogno di loro più di quanto il viandante del deserto abbia bisogno di acqua. Non possono lasciare le giovani generazioni né in balia dei cretini di sinistra né balia di altri cretini, non meno pericolosi, perché, come più volte scritto, una giusta causa, difesa da persone sbagliate, diventa una causa sbagliata. Abbiamo visto, prima, quanto possa essere dannosa, per i propri figli e per la società, una mamma cretina e sappiamo che di donne così, oggi, ve ne sono tante. Sappiamo anche che dietro ogni cretino si cela sempre un intelligente cattivo, con scopi subdoli. Vanno fermati entrambi, prima che sia troppo tardi. Lino Lavorgna

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LA SCARPIERA Da qualche giorno giace inerte sul pavimento del mio soggiorno una sorta di catafalco cartonato di cm 147 x 67 x 28 che (oltre ad essere stato subito adottato da Lulu, mio adorato gatto norvegese, come estemporaneo, nuovo divano) dicesi contenere scarpiera bianca ad ante stessa tinta, auspicato, futuro alloggio di alcune delle innumerevoli calzature della mia cara consorte. Aggiungo che detta confezione è in speranzosa attesa di essere disfatta da un riluttante scrivente che, attraverso incerta opera di successivo montaggio, dovrebbe riuscire a conferirgli la nuova identità di auspicato mobiletto finalizzato alla dichiarata bisogna. Premetto che la contemplazione di detto silente scatolone in attesa di una mia titubante attivazione mi spinge a qualche gratuita (?) riflessione sui sempre più tristi, scadenti destini della nostra povera patria, già sconfitta, poi invasa ed ora umiliata da culture e mentalità a noi straniere. Doveroso passo indietro. CONFINI (a cui non cesserò mai di esser grato per la sua generosa ospitalità sempre offerta alle mie più svariate elucubrazioni) nel suo numero 87 del Luglio/Agosto 2020 ha pubblicato una mia breve riflessione, intitolata "Il buco nel maglione", contenente considerazioni sull'impoverimento della nostra atavica cultura manifatturiera nazionale a seguito di una generica e disordinata immigrazione nel nostro paese da parte di popolazioni provenienti dal più vasto "Sud" del mondo. Nella particolare fattispecie riferivo di come una lettura del reale da parte di un giovane, simpatico, volenteroso e cordialissimo sarto di origine indiana mi avesse trasformato (in spregio alla propensione italica che vuole, da millenni, la funzionalità essere sempre ancella dell'estetica) un maglioncino rosso - ferito da un piccolo foro di tarma e bisognoso soltanto di una semplice riparazione - in un indistruttibile, perfetto, ma visibilissimo rammendo a cui faceva appena da miserrimo contorno un ormai irrilevante maglioncino rosso. La sproporzionata "funzionalità" della, peraltro ottima, ricucitura non aveva tenuto in alcun conto le italiche, ineludibili esigenze di estetica: per quanto mi concerneva, un'inaccettabile peccato mortale. Ma tant'è, un'incontrollata invasione straniera non può che intaccare, in tutti i campi, la nostra sfilacciata ed ormai indifesa, identità nazionale. Se quanto sopra detto afferisce dunque ad un generico pericolo proveniente, diciamo, da "Sud", analoga minaccia di equivalenti iatture, provenienti questa volta, da "Nord", incombe su tutti noi. E se, dal sud, si attenta sostanzialmente alla nostra sensibilità estetica, dal nord si minaccia invece, ed in modo ben più pericoloso, la nostra tradizionale intelligenza.


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Vengo e mi spiego: Il menzionato catafalco, attualmente giacente nel mio salotto ed in attesa di trasformarsi in funzionale mobiletto, è frutto della seguente scansione fattuale : 1 Esigenza familiare di provvedere all'acquisto di una scarpiera, 2 Visita ad apposito, enorme supermercato (che, seppur di genetica transalpina, essendo comunque "outlet" di grande catena multinazionale, non poteva che essere frutto di quella specifica visione economico-commerciale di matrice anglosassone, comunque nord-europea ed, in particolar modo, americana), 3 Dialogo con l'apposito commesso sia per perfezionare l'acquisto che per concordare i termini di un eventuale assemblaggio a domicilio, del mobiletto in esame da parte di apposito tecnico dello stesso supermercato, in luogo del classico "fai da te" (nota cifra questa caratterizzante sia la filosofia di vendita che l'immagine commerciale della ditta in parola, ma cosa per me abbastanza ostica). DESCRIZIONE del percorso, diciamo, "anticartesiano" dell'operazione di futuro "montaggio" della sullodata scarpiera: (Prima di entrare comunque " in medias res" è necessario puntualizzare che, benché noi italiani sia stati un popolo di "artisti, eroi, santi, pensatori etc., etc." - ed oggi, in verità, non si sa più cosa diavolo si sia mai diventati - di un assioma sono ancora certo: che i miei connazionali non si siano trasformati del tutto in un "popolo di ottusi". Dopo 15 secoli di sopravvivenza ad una Storia matrigna, credo infatti che un po' di materia cerebrale permanga ancora nei nostri rispettivi crani. Ma, ahimè, "mala tempora currunt!" e quanto vado qui di seguito ad illustrare, mi stringe proprio il cuore). Procediamo: "Dialogo - infimo, in verità, e che il sommo recanatese mi perdoni! - di un venditore di scarpiere e di un passeggere" (ovvero operetta imm-orale di italica attualità): Venditore. Scarpiere, scarpiere nuove. Bisognano, signore, scarpiere? Passeggere. Si grazie, avete una scarpiera di cm.147x67x28? Venditore. Si signore, eccola qui già in scatola. Passeggere. Potreste spedirmela a casa con qualcuno che possa, colà, assemblarmela? Venditore. Oh illustrissimo si, certo. Passeggere. Quanto verrebbe a costarmi tale aggiuntivo servizio? Venditore. 69 Euro, signore. Passeggere. Accetto. Fissiamo dunque un appuntamento per la consegna. In che data potreste? Venditore. In realtà, signore, la date da fissarsi sarebbero due. Passeggere. Oh bella, e perché mai? Venditore. La prima, per effettuare apposito sopralluogo del Suo appartamento e la seconda per procedere all'effettivo montaggio della scarpiera. Potrebbero essere necessari due giorni in una, per il momento, indefinibile successione. Passeggere. Ma mi spieghi, buon uomo, quale sarebbe mai la ragione per cui un tale sopralluogo

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debba necessariamente precedere il richiesto assemblaggio "in loco"? Venditore. Per comparare la caratteristica logistica del luogo di futura ubicazione con forma e misure del manufatto da doversi colà montare. Passeggere. Mi permetto di richiamare rispettosamente la Sua cortese attenzione, mio gentile venditore, che un qualsiasi oggetto di centimetri 147x67x28 occuperebbe una dimensione spaziale di m3: 0,27, il che vale a dire di appena 27 decimetri cubici. Dove esso debba o possa essere collocato - a meno che Lei, Signore, non intenda surrettiziamente alludere che io risieda in un canile - saranno "brassica oleracea" (vulgaris: cavoli) miei, non crede? Venditore. Mi spiace molto, signore, questa è la politica aziendale. Niente sopralluogo preventivo, niente montaggio a domicilio. La "morale" di questa operetta "immorale" è concretizzata nel catafalco di cui all'"incipit" del presente scritto che, credo, non abbisogni, al momento di ulteriori commenti. DOVEROSE RIFLESSIONI 1 Che il succitato dialogo tra un "venditore di scarpiere ed un passeggere" abbia avuto luogo tra due individui di pura etnia italica è deprimente e la dice lunga sulla degenerazione di un'autentica, autoctona identità nazionale. Gente abituata da almeno settantacinque generazioni a comprendersi al volo e dialogare con appena uno sguardo sfuggente o una smorfia del viso in sfregio all'incombente despota di turno, non dovrebbero non accordarsi al volo sul miglior esito da dare ad una palese assurdità come quella di esigere un preventivo sopralluogo prima di ubicare (in in qualunque appartamento italico appena degno di tale nome) un mobiletto di appena 27 decimetri cubici. 2 D'altronde, l'esercizio commerciale ove il predetto, surreale scambio di battute ha avuto luogo, non è di origine italiana e quindi la mentalità e soprattutto gli "ordini di scuderia" che ne caratterizzano l'azione è totalmente di matrice straniera ed, in particolare, di tipo "nordeuropeo". 3 La più generale cultura (ormai di prevalente matrice di generico impero americano) nel rapporto fornitori-consumatori si muove basilarmente lungo due direttrici: a) mai sottovalutare in alcun modo i siderali limiti dell'imbecillità umana e b) mettere al riparo le preziose terga della "corporation" commerciale di turno dalle sempre possibili, nefaste ricadute giuridicoeconomiche che potrebbero su di essa stessa ripercuotersi a seguito di qualsiasi danno morale e/o materiale che una sua qualsiasi transazione commerciale potesse mai arrecare al consumatore di turno. 4 Quindi, pur potendo essere io d'accordo, in linea di massima, sull'ipotesi che un imbecille cliente di passaggio possa voler acquistare un armadio di, chessò, metri 4x3x2 con la pretesa che esso venga poi montato in un monolocale di metri 3x2x1, con evidente disagio e danno per l'impresa che non si fosse preventivamente preoccupata di valutare il locale ricevente, non è peraltro ne italico, ne storico, ne accettabile che tale impostazione d'approccio venga riproposta, pari-pari e con elasticità uguale a zero, nel dialogo tra due italiani in merito alla


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possibile ubicazione di una piccola scarpiera in un appartamento romano appena degno di tale nome. 5 Ma tant'è, la dominante sub-cultura di matrice americana (ed ormai anche ben europeizzata) di prevedere sempre il tutto per proteggere il prezioso posteriore delle aziende commerciali farà si che prima o poi, acquistando, per fare un esempio, un semplice martello in uno grande "department store" esso verrà fornito in elegante confezione di plastica rigida con allegato un corposo volumetto di istruzioni e raccomandazioni, più o meno, così concepito: "Gentile consumatore, la ringraziamo per aver accordato la Sua preferenza a questo nostro articolo costruito con la più alta tecnologia ed i materiali migliori e più affidabili. Confidiamo che lei possa servirsene per lungo tempo con la massima soddisfazione. Ciò premesso Le suggeriamo di tenerlo lontano dalla portata dei bambini: come Lei sa, può produrre bernoccoli. Inoltre Le rammentiamo che il presente martell : a) non è commestibile, b) non può essere dato in testa a Sua suocera (Federal Act n° 666 del 1966), c) non è adatto per effettuare lavori di fino in orologeria, d)…. e)…. f)…. g) etc., etc.." Esagero? prego passare al seguente punto 6), 6 Somewhere in U.S.A (fatto realmente accaduto): una giovanile neo-pensionata ha il sogno di una vita: girare in camper gli Stati Uniti. Entra in apposita concessionaria ove il supersolerte e gentile venditore (Ole! E' appena entrata una carta di credito!) illustra alla signora tutti i pregi del veicolo in vendita costituito di fatto da cabina di guida, porticina d'accesso e retrostante locale perfettamente attrezzato per il turismo a quattro ruote. Il florilegio dei possibili accessori extra è impressionante. Ad un tratto, il venditore la butta lì: "Signora, gradirebbe installare anche un "cruise control"? Allo sguardo interrogativo della cliente, il tapino (poveretto, mal gliene incorrerà) fornisce una descrizione dell'accessorio un po' sbrigativa di cui la eccitata acquirente percepisce, e registra, soltanto: "e così, qualora Lei lo desiderasse, potrebbe inserire detto dispositivo ed il veicolo si regolerebbe su strada da solo" (prego notare come le due fattispecie sia quella del dare per scontato che, volendola io acquistare, la mia scarpiera debba necessariamente poter entrare nel mio alloggio e che la signora americana non possa non aver idea di cosa sia un "cruise control" - siano assolutamente speculari in quanto entrambe potrebbero essere, in caso di sviluppi negativi e fatte tutte le debite proporzioni, potenziali fonti di danno per i due esercizi commerciali). "Ma si, aggiungiamolo!" esclama l'acquirente. Cambio di scena: "Route 66", la pensionata procede felice alla guida del suo nuovo camper, ad un tratto la viene vaghezza di sorbire una tazza di tè; cosa di meglio dunque che inserire il "cruise control" (così come da lei percepito ed a tutta disgrazia del povero venditore che non aveva

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provveduto ad andare in fondo agli oscuri reconditi dell'animo umano nelle cui pieghe può star sempre in agguato il più imprevedibile degli imprevisti e che non si era pertanto premurato di avvertire che il "cruise control" non prevedeva che, durante la marcia, ci si potesse alzare per andare a prendere un tè), lasciare il volante, aprire lo sportello divisorio e recarsi nel "van" per mettere il bollitore sul fornello? Immediato seguito: veicolo fuori strada, ribaltamento, carrozzeria distrutta, guidatrice fortunatamente illesa, ma sotto shock emotivo, strascico in tribunale per danni morali e materiali e condanna della concessionaria del camper a risarcire alla sfortunata pensionata centinaia di migliaia di dollari di indennizzo. Il tutto perché, al giorno d'oggi, nel pensiero, per definizione massificato ed etero diretto, è ormai proibito il presumere correttamente (il cui pascolo privilegiato, come è noto, è soltanto l'intelligenza che potrebbe portarci a comprendere, senza preliminari verifiche, istruzioni e/o sperimentazioni, che una scarpiera possa entrare "tout court" in un normale appartamento senza preventivi accertamenti, che un martello debba essere naturalmente usato soltanto per piantare chiodi e che un "cruise control" non possa essere scambiato per un qualcosa di molto improbabile). Ma tali banalità, alla base di un semplice ed intuitivo rapporto (lo speravo fino ad ieri) di cartesiana causa ed effetto, stanno diventando al giorno d'oggi materia di altro pianeta. Ieri infatti la maggior parte del non detto era dato per scontato, oggi nulla è dato per preliminarmente acquisito e tutto invece deve essere chiaramente esplicitato. Auguri ai posteri! Antonino Provenzano Roma 24/11/2020


CULTURA

ISMAIL AL-JAZARI: IL PADRE MEDIEVALE DELLA ROBOTICA Il periodo medievale ha visto la nascita di molte nuove invenzioni in tutto il mondo. Emergendo dal cosiddetto Medioevo, molti eminenti studiosi e menti erudite hanno escogitato nuove invenzioni per rendere più facile la vita dell'umanità e per portare il prestigio dei loro sovrani alle stelle. Tali inventori e studiosi non sono esistiti solo in Europa, che è sempre stata considerata il punto caldo delle nuove tecnologie. L'esempio perfetto è il poliedrico musulmano esperto e artigiano Ismail al-Jazari. Accreditato di numerose invenzioni ingegnose, Ismail al-Jazari ha scritto uno dei primi libri che le descrive! Il suo lavoro unico e stimolante offre una visione approfondita del ricco mondo dell'arte e della scienza sbocciato nel mondo musulmano medievale. Esploriamo in dettaglio la vita e le invenzioni di al-Jazari e scopriamo come hanno contribuito a plasmare il mondo come lo conosciamo oggi. LA CREAZIONE DEL GENIO: LE PRIME ORIGINI DI ISMAIL AL-JAZARI Ogni uomo dovrebbe essere conosciuto con il suo vero nome. Ma, seguendo l'antica usanza musulmana, il nome completo di al-Jazari potrebbe essere un po' una sfida da cogliere. Nacque nel 1136 d.C., come Badî?az-Zaman Abu l-?Izz ibn Ismâ?îl ibn ar-Razâz al-Jazarî. L'ultima parte del suo nome, al-Jazari, indica il suo luogo di origine. Sebbene la storia non ricordi il luogo esatto della sua nascita, è opinione diffusa che si trovasse nella regione storica dell'Alta Mesopotamia. Alcuni studiosi sostengono che sia nato nella città di Jazirat ibn Umar, o che il suo nome si riferisca semplicemente ad Al Jazira, il nome tradizionale della regione dell'Alta Mesopotamia. La maggior parte di ciò che sappiamo della sua vita proviene dal suo lavoro principale e dal suo più grande risultato: il libro noto come " Compendio sulla teoria e sulla pratica delle arti meccaniche ". Una traduzione più letterale del nome arabo originale sarebbe "Libro della conoscenza dei trucchi ingegneristici". All'interno del suo libro, si afferma che al-Jazari seguì le orme di suo padre, servendo come capo ingegnere dei sovrani nel Palazzo Artuqid. Quest'ultima fu la residenza principale della potente dinastia turca degli Artuqid, che governò la regione nel XII e XIII secolo. Il suo libro è stato scritto nel 1206. In esso al-Jazari descrive in dettaglio cento diversi dispositivi, oltre a fornire istruzioni su come possono essere costruiti. Di questi cento, circa ottanta sono "dispositivi di trucco ingegneristico", che si riferiscono a vasi che contengono meccanismi di trucco unici, alcuni dei quali sono noti fin dall'antichità. È importante notare che Ismail al-Jazari,

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molto probabilmente, non era un inventore nel senso tradizionale, ma piuttosto un ingegnere devoto e pratico che possedeva l'abilità di comprendere l'approccio complesso necessario nella costruzione di questi dispositivi unici. Tuttavia, questo gli ha permesso di inventare alcuni progetti rivoluzionari, della cui invenzione è accreditato oggi. UN MAESTRO DEI MOVIMENTI DELL'ACQUA Le persone oggigiorno spesso ignorano il puro genio di Ismail al-Jazari e quanto fossero avanzate le sue invenzioni, secoli prima dei loro tempi. In qualità di ingegnere e inventore, al-Jazari possedeva la capacità di osservare e comprendere abilmente il funzionamento interno di alcuni principi naturali di base, che poteva incorporare nei suoi progetti. Due dei principali meccanismi su cui faceva affidamento erano l'uso dell'acqua e l'uso degli alberi a camme. Un albero a camme è un oggetto rotante con speciali camme appuntite, che trasforma il movimento rotatorio in movimento reciproco. Al-Jazari spesso combinava il movimento dell'acqua e questo primo design dell'albero a camme per realizzare creazioni ibride. La sua forte dipendenza dall'acqua nei suoi progetti gli è valsa l'epiteto di "Maestro dell'acqua". Il primo progetto dell'albero a gomiti di Ismail al-Jazari fu eseguito in modo abbastanza abile e non per molti versi diverso da quello moderno apparso secoli dopo. Il suo progetto si concentrava su una grande ruota, la cui rotazione impostava diversi perni di manovella in un movimento rettilineo avanti e indietro. Conosciuto come albero motore con biella, ha utilizzato questo design in due delle sue invenzioni personali: la pompa di aspirazione a pistone alternativo a doppia azione e una pompa a catena di trasmissione a manovella. Entrambi questi li ha descritti in dettaglio. I suoi progetti di pompe dell'acqua azionate a manovella erano un concetto complesso che migliorava lo strumento già stabilito. Facendo affidamento su un albero motore e numerosi ingranaggi di collegamento, l'approccio di al-Jazari ha contribuito a ridurre al minimo il ciclo di lavoro intermittente del progetto originale e ha creato un ciclo di lavoro più fluido e continuo. La sua pompa di aspirazione a doppia azione con valvole e movimento alternativo del pistone era tuttavia un vero design ingegnoso, ispirato da invenzioni simili apparse nel mondo bizantino. Questa macchina complessa ed elaborata è stata un'invenzione pionieristica sotto molti aspetti. Innanzitutto è stato il primo utilizzo in assoluto di una vera pompa di aspirazione. È stata anche la prima volta che è stata utilizzata una biella e il primo utilizzo del principio della doppia azione. Questa pompa di aspirazione potrebbe sollevare 13,4 metri (43,9 piedi) di acqua, facendo affidamento sui tubi di mandata per farlo. I PRIMI ROBOT DELLA STORIA: PER INTRATTENERE E INFORMARE Tuttavia, il vero splendore di Ismail al-Jazari e delle sue invenzioni è mostrato dai suoi "robot" e automi. Alcuni dei primi lavori di robotica sono attribuiti a lui ed è stato davvero un grande obiettivo nella sua carriera. Mostra quanto fosse avanzato il suo pensiero, ed era sicuramente qualcosa di ineguagliabile all'epoca. Un unico automa faceva affidamento su una delle prime


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pompe idrauliche, che misurava il tempo come un cronometro e fischiava quando il tempo era scaduto. Ma forse il più singolare dei suoi automi è la sua banda musicale di robot. Presentava una barca con quattro musicisti robot, progettati per intrattenere gli ospiti. La banda robotica è anche mostrata in dettaglio nel suo libro. Questa invenzione mette in mostra un complesso sistema di acqua e camme rotanti che sono stati utilizzati per mettere in movimento i "robot" e i loro strumenti. È possibile che lo strumento principale utilizzato fosse il tamburo, il cui tempo poteva essere alternato al diverso posizionamento delle camme. È scritto che l'automa musicale era molto rumoroso e poteva eseguire diversi brani unici. Questo particolare design è stato ulteriormente sviluppato, ma questa volta sotto forma di un orologio. Al-Jazari ha progettato una complessa fascia artificiale, che serviva per intrattenere gli ospiti e anche per raccontare il passare del tempo. Consisteva di diverse figure unite insieme: due suonatori di piatti, due trombettisti e tre suonatori di strumenti a percussione. Questo meccanismo unico fungeva da orologio, producendo una breve performance musicale ogni ora. Questo aveva sia un ruolo pratico che divertente. Come la maggior parte delle invenzioni di al-Jazari, questo orologio era alimentato da un meccanismo complesso basato su acqua, pistoni e cavi. I musicisti erano collegati a una grande ruota, che era spinta dall'acqua. I movimenti orari erano consentiti facendo gocciolare lentamente l'acqua da un grande serbatoio in un secchio più piccolo, che alla fine si sarebbe ribaltato e avrebbe avviato il movimento. Con il progredire dei movimenti orari, un'altra figura in cima alla scena si spostava, fino a raggiungere la posizione finale, innescando un falco scolpito che fa cadere una palla dal becco su un piatto, il cui suono tintinnante avvia l'alba e inizia il movimento ancora una volta. Gli orologi a candela erano conosciuti da molto tempo e non erano molto originali al tempo di alJazari. Tuttavia, egli ne ha migliorato notevolmente il design e ha creato uno degli orologi a candela più avanzati della sua era. Queste candele bruciavano a un ritmo costante e misurato e la loro diminuzione indicava il passare del tempo. Il progetto di Al-Jazari era complesso. Presentava un quadrante per visualizzare l'ora, una serie di pulegge e contrappesi, nonché un primo utilizzo del popolare "attacco a baionetta", una tecnica di connessione che è ancora utilizzata oggi. Si afferma che un orologio a candela così sofisticato e raffinato non è mai stato documentato altrove. L'OROLOGIO DELL'ELEFANTE COME SUO TRAGUARDO Fu il suo famoso orologio dell'elefante che segnò davvero la carriera di Ismail al-Jazari e rimase come la sua invenzione più riconoscibile. Questo complesso orologio ad acqua era travestito da grande elefante asiatico con una tradizionale "carrozza" sopra di lui. Come suggerisce il nome, il meccanismo di temporizzazione dell'orologio era basato sul movimento dell'acqua: un grande serbatoio pieno d'acqua era nascosto con l'elefante. In esso galleggiava una ciotola profonda che aveva un buco al centro: ci voleva mezz'ora perché si riempisse attraverso il buco.

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Mentre affondava a causa dell'acqua che la riempiva, questa ciotola tirava una corda attaccata. Quest'ultima era a sua volta collegata a un classico meccanismo ad altalena in cima alla torre che si trovava sull'elefante. Quando l'altalena si ribaltava, lasciava cadere una palla nella bocca del serpente scolpito che sedeva nella torre. Il serpente si inclinava in avanti, tirava una serie di corde e recuperava la ciotola profonda dall'interno dell'elefante, ripristinandola. Allo stesso tempo, le corde iniziavano il movimento di una figura all'interno della torre, alzando le mani e suonando un tamburo. L'intero movimento indicava mezz'ora o un'ora intera. Il serpente ritornava nella sua posizione originale e il sistema veniva ripristinato. Descrivendo la sua meravigliosa invenzione, al-Jazari scrisse che "l'elefante rappresenta la cultura indiana e quella africana, i due draghi rappresentano la cultura cinese, la fenice rappresenta la cultura persiana, il lavoro dell'acqua rappresenta la cultura greca e il turbante rappresenta la cultura islamica". Questo mostra il suo apprezzamento per le altre culture e il lavoro degli altri, e nessuna intenzione da parte sua di appropriarsi delle invenzioni altrui. Sono state realizzate numerose riproduzioni moderne di questo ingegnoso orologio e il design è ancora altrettanto sorprendente come lo era secoli fa, dimostrando perfettamente la brillantezza della mente di al-Jazari. In Svizzera, di fronte al Musée d'Horlogerie du Locle (Museo dell'orologio di Le Locle), a Château des Monts, a Le Locle, c'è una replica funzionante a grandezza naturale. Un'altra maestosa riproduzione si trova a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, come punto focale del grande Ibn Battuta Mall. L'orologio dell'elefante era forse la sua creazione più stupefacente, alla fine fu superata quando al-Jazari realizzò la sua più grande creazione, il cosiddetto orologio del castello. Un design complesso, non solo era usato per mostrare il passare delle ore, ma serviva anche come orologio astronomico, visualizzando le orbite solari e lunari, lo zodiaco e una serie di automi. Alto circa 3,4 metri (11 piedi), l'orologio aveva una serie di meccanismi complessi all'interno. Ad ogni ora, le porte automatiche del centro si aprivano, rivelando una figura in movimento che avrebbe suonato l'ora. Al-Jazari usava automi musicisti, una serie di figure che suonavano musica, sempre azionate da alberi a camme e ruote idrauliche. Il progetto era molto in anticipo sui tempi, avendo la capacità di riprogrammare la lunghezza del giorno, adattandosi alle lunghezze irregolari dei giorni durante l'anno, note come ore temporali. L'orologio del castello di al-Jazari è considerato oggi come il primo computer analogico programmabile. IL GENIO AFFERMATO DI AL-JAZARI Il genio di Ismail al-Jazari è oggi ampiamente trascurato. Lui, e una serie di altri inventori musulmani medievali, hanno segnato un periodo nella storia in cui l'umanità è andata rapidamente avanti alla ricerca di innovazioni avanzate e utili. È importante notare che forse nessuna delle invenzioni di al-Jazari era di natura militare, o usata in ambito offensivo. Piuttosto, avevano lo scopo di aiutare la società, rendere la vita più facile e più generosa e anche divertente. E così, per molti versi, Ismail al-Jaziri è una delle più grandi menti dell'età medievale. Tomaso Vialardi Di Sandigliano


PUNTO DI VISTA

DEBITI & DEBITORI E' risaputo che il "convento" Italia (cioè il Paese) è malandato e peggio gestito, mentre i singoli fraticelli di detta conventicola (i cittadini) sono, se presi singolarmente uno per uno, ricchi sfondati salvo, naturalmente e come fisiologica eccezione, chessò, quei famigli aiutanti di cucina, giardinieri o sagrestani (il 5% della confraternita) che invece non possiedono alcunché, fanno la fame e vivono della caritatevole benevolenza degli altri; e ciò, sia per demeriti e/o sfortune del tutto attribuibili agli individui stessi che ricevuti in dote, senza loro colpa, da maligna sorte. Il convento inoltre sopravvive sui debiti per soddisfare soprattutto esigenze quotidiane di mera sussistenza, mentre i singoli fraticelli piangono coralmente miseria o si defilano di corsa starnazzando non appena qualcuno ventili la larvata possibilità che si attinga in qualche modo, per le dovute restituzioni, agli ottimamente accuditi e/o ben occultati risparmi personali degli stessi. Ora, come ben si sa, essere oberato di debiti non è cosa né buona né giusta: essi infatti pesano parecchio, hanno la brutta abitudine di apparire in sogno la notte ed avvelenare tutto ciò che abbia a che fare con una qualsivoglia, possibile, anche se ipotetica, "joy de vivre" del malcapitato debitore. Il debito creato inoltre a fini prettamente consumistici, senza alcuna finalità strategica o almeno di lungo respiro, è iattura per l'individuo e minaccia per la società sulla quale viene a pesare in tal modo una plumbea cappa di incertezza e malessere nell'ottica di una qualsiasi, futuribile prospettiva di crescita e progresso. Di conseguenza i debitori insolventi, in tutti i tempi e luoghi della storia, hanno sempre avuto vita grama, sia a livello personale per le ripercussioni diciamo "domestiche" del gravame debitorio, sia pubbliche, data la stigma sociale (ed economica) che esso portava seco; ciò con la conseguenza che la società stessa predisponeva forme di prevenzione e/o sanzione nei confronti di chi si fosse ostinato a vivere al di sopra delle proprie possibilità economiche, senza poter poi restituire il credito da altri ricevuto. Un esempio per tutti, magistralmente descritto in letteratura? La Londra di Charles Dickens nell'Inghilterra di metà ottocento. Per la cronica situazione di insolvenza del padre John, il futuro scrittore conosce infatti, sin da bambino e con tutta la famiglia, i rigori della prigione per debitori, la famigerata Marshalsea, che apparirà poi nelle sue magistrali descrizioni della sinistra atmosfera londinese nelle prime fasi della rivoluzione industriale del XIX° secolo. Come già sottolineato al riguardo da Miro Renzaglia sul settimanale "ALTRI" : "A quei tempi infatti si poteva ancora finire in galera per prestiti anche di poche sterline, non restituiti. Bastava un'istanza del creditore, sentenziata da un giudice solerte, per finire in gattabuia. E rimanervi fino a quando non solo eri in grado di restituire il prestito, ma, anche, di pagare di tasca tua, ed al contempo, le spese di detenzione. Già, perché la galera di cui si narra, era in gestione privata …. Inoltre (in Italia) siamo tutti debitori e non solo di Equitalia. Anzi la nostra identità di cittadini nel mondo è soprattutto quella del debitore. Il debito, pubblico e privato, detta le nostre scelte e, perfino, ci costringe ad accettare le scelte che non abbiamo fatto. Marshalsea, a vedere bene, era solo lo strumento rozzo di una pratica che nei secoli davanti si sarebbe affinata ai livelli di un destino ineluttabile. Ed ineludibile. Ineludibile, almeno fino

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a quando qualcuno, in nome del popolo sovrano, per quanto incravattato, non si prenderà la responsabilità di reclamare la moratoria del debito pubblico". Dunque in ogni tempo e luogo, per i debitori "mala tempora currunt" (o, almeno, "dovrebbero correre") nella più generale accezione della loro condizione di insolvenza. Lasciamo ora riposare in pace l'ottimo autore inglese, e passiamo invece ai giorni nostri ed in particolare alla nostra cara Italia, nei tempi cupi di quel micidiale "cocktail" (abbiamo appena lasciato l'Inghilterra!) di pandemia virale e recessione economica. Nefasta mistura, questa, di allarme sanitario e sociale, nonché di profonda recessione economica e relativo indebitamento pubblico che rende in sostanza la qualità della nostra vita pubblica non dissimile dalle sofferenze esistenziali del povero John Dickens, già citato padre dello scrittore, nonché assiduo ospite della famigerata prigione per debitori insolventi. Se le somiglianze tra lo strampalato cittadino britannico e la nostra amata patria collimano sul fatto di essere entrambi incalliti debitori verso "altri" (nel caso nostro, ed indifferentemente, sia italiani che stranieri), esse invece divergono del tutto in relazione ai possibili "futurismi" dell'uno e dell'altra. Mentre John Dickens, con i suoi comportamenti dissennati, procedeva spedito verso le tristezza della Marshalsea, il nostro paese, a parte prevedibili sofferenze, se non veri e propri disastri socio-economici, gode invece della certezza di poter scampare ai rigori di una concreta prigione di dickensiana memoria per il semplice e fortunato fatto che l'ineffabile Commissione europea non sia ancora venuta fuori con qualche idea/regolamento che istituisca una qualche forma di "galera", o cordone sanitario che dir si voglia, per quei paesi dell'Unione che si carichino di debito pubblico in modo pervicacemente irresponsabile. Tuttavia, mai dire mai e chissà se un giorno noi tutti, miopi fraticelli del convento Italia, non si possa rischiare di essere in qualche modo ristretti, come paese intero, in una sorta di ipotizzabile Marshalsea europea in quanto cattivo esempio sociale di disordinata vita pubblica al di la dei limiti consentiti (60% del PIL, tanto per intenderci). Quindi, a questo punto, cosa ci converrebbe scegliere tra la "galera" (qualunque forma, o sostanza, esso possa mai venire a prendere) ovvero un qualcos'altro di altrettanto nefasto, ma forse un poco meno peggio della "prigione", per quanto metaforica essa possa mai essere? Forse una sorta di commissariamento del "convento" da parte di un padre guardiano burbero, sicuramente inflessibile, severo verso gli indisciplinati fraticelli, garante nei confronti degli occhiuti creditori, ma almeno non del tutto nemico del povero convento, che parli, se non altro, la lingua dei debitori e che castigando, senza alcun dubbio, gli attuali ospiti della disastrata struttura ("chi è causa dei suoi mal pianga se stesso") possa almeno prendere per mano la gestione del convento per gettare alcune basi di futura sostenibilità? Quelle basi, forse, per cui i futuri giovani frati di detta confraternita, possano almeno sperare in un avvenire, se non di certo prospero, almeno più sereno e con qualche spiraglio di concreta prospettiva di sviluppo? Un nome? Mario Draghi . Ma quali ragioni, considerazioni, commenti, su tale eventuale, ma, ahimè, epocale e soprattutto irreversibile scelta? Risposta: Il cortese lettore che ne avesse vaghezza e volesse prendere in minima considerazione il relativo punto di vista del modesto scrivente, potrebbe onorarmi della consultazione di quanto da me elucubrato al riguardo sull'ultimo numero (90) di CONFINI ove, a pagina 30, io confesso una mia personale predilezione per quel mitico Cincinnato di classica, romana memoria. Antonino Provenzano Roma 17/12/2020


DA LEGGERE

Officine Editoriali da Cleto - pubblicato a novembre 2020 – pagine 132 – € 16,00

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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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