Confini 86

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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

DEMOCRAZIA VIOLENTA

Numero 86 Giugno 2020


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Confini Webmagazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 86 - Giugno 2020 Anno XXII

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato: Gianni Falcone Roberta Forte Lino Lavorgna Sara Lodi Emilio Petruzzi Antonino Provenzano Angelo Romano Gianfredo Ruggiero Massimo Sergenti Cristofaro Sola Bruno Tomasich Massimo Vitali +

Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone e Sara Lodi

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EDITORIALE

FERUS, ERGO SUM Il calo di rispetto per vita in generale, e per quella umana in particolare, è direttamente proporzionale all'incremento della popolazione. Per non parlare degli effetti sulla competizione, sempre più feroce, per l'accaparramento di risorse sempre più limitate o di quelli sull'ambiente, con effetti perversi anche sulla stessa disponibilità di risorse. Tale caduta di rispetto e considerazione ha effetti immediati anche sui sistemi sociali e su quelli politici e di governo. Crescono cinismo ed ipocrisia nella competizione geopolitica, Iraq, Siria, Afganistan, Libia sono solo dei macroscopici esempi. Cresce l'oppressione sui popoli senza patria: Tibetani, Yuguri, Curdi, Palestinesi solo per citarne alcuni. Crescono le derive autoritarie: Turchia, Egitto, Venezuela, Corea del Nord, Cina... Crescono le limitazioni alle libertà fondamentali nelle cosiddette democrazie, sempre più avvezze a regolare ogni aspetto delle vite individuali e sempre più tentate di comprimere persino la libertà di pensiero. Cresce la violenza sociale come quella domestica. Le violente rivolte a sfondo razziale negli Usa, nuove forme di iconoclastia strisciante, femminicidi, violenze sui minori, stragi di anziani, stragi operate da squilibrati armati di tutto punto, stragi per odio religioso, stragi con finalità terroristiche, ma anche stragi di animali... Il comune filo rosso che unisce tutti questi fenomeni è la caduta di rispetto per vita, una vita sempre più desacralizzata, sempre più ridotta a mera superfetazione biologica. Se ne ha triste conferma dalle fosse comuni in Brasile, dai convogli notturni di un esercito degradato al ruolo di necroforo di massa, dalle autopsie negate, come l'estremo saluto a chi ci ha lasciato. In tempi meno bui, un nume presiedeva ad ogni cosa, animata o inanimata. Una ninfa, uno "spirito", un dio, una presenza spirituale erano sempre presenti e compresenti nel quotidiano di ciascuno. Una fonte, un animale, un albero, una montagna, il mare, i morti erano pervasi di una presenza superiore, erano partecipi del divino e testimoni del sacro. Una dimensione che "animava" gli uomini, che li abituava al rispetto del vivente, che alimentava in loro la gioia e la "pietas". Ma, forse, erano altri uomini ed altra natura. Poi con le religioni "del Libro" sono arrivati l'odio, la competizione, la persecuzione, l'eresia, la blasfemia, la superstizione, le torture, i roghi, le guerre di religione e di annientamento e i martiri, una quasi infinita teoria di martiri... Ma anche induisti e maomettani si ammazzano tra di loro, sciiti e sunniti non sono da meno, solo


EDITORIALE

il buddismo è rimasto indenne dall'orgia contro la vita, dalla gara ad uccidere per far prevalere un dio su un altro. Charles de Coster, nel suo Till Eulenspiegel, ricostruisce mirabilmente il clima della guerra degli "ottant'anni" e soprattutto il nullo valore della vita in quegli anni al punto da far dire ad uno dei suoi personaggi: "fate un buco, l'anima vuole uscire". Il valore della vita "terrena" si affievolisce molto con il proliferare delle "religioni del libro". Prima si lascia la "valle di lacrime" prima di conquisterà la vita eterna ed i premi che essa riserva. Poi sono arrivati il benessere economico, il progresso scientifico, il miglioramento delle condizioni igieniche e di salute, l'allungamento della vita media, la sovrappopolazione, e con quest'ultima, un ulteriore crollo del valore della vita individuale. L'importante è "l'immunità di gregge" direbbe il premier inglese o la vita da consumatore ed il relativo stile di consumo standardizzato. Proliferano i semi dell'odio, dell'intolleranza, della violenza come in Turchia dove ormai vige solo la legge del Capo. Una violenza, spesso, nascosta dietro il comodo alibi dell'interesse collettivo, della tutela dei diritti, della difesa dei più deboli. In questo si annida la peggior violenza democratica. Nel mainstream, nel "politicamente corretto", nell'ansia di legiferare, di regolare. La libertà di pensiero e di opinione si possono cancellare nel nome della lotta alle fake-news, triste preludio al "Ministero della Verità" o contro il proliferare del negazionismo. La privacy si può violare bellamente per ragion d'"immuni o perché fa comodo al mercato. Si può arrivare a mettere fuori legge uno storico cioccolatino solo perché si chiama “testa di moro”. Basta un algoritmo "incazzoso" per censurare, per mettere in punizione chi apparentemente non rispetta gli "standard della comunità" e così anche il povero Mariano Giustino, onesto radicale tutto d'un pezzo, viene bannato da Facebook. Carminati si è fatto oltre 5 anni di carcerazione preventiva, ma il ministro della Giustizia manda gli ispettori, come se il diritto non dovesse valere anche per un criminale. E poi ci sono gli imbrattastatue, i demolitori di vetrine, gli asportatori di bancomat, gli occupanti abusivi di professione che guai a toccarli perché loro sono "sociali" a differenza di altri ritenuti "asociali". L'ingiustizia avanza inesorabile nelle leggi scritte male, nei magistrati che fanno "giustizia politica", nella disuguaglianza che diventa incommensurabile, nell'impune arbitrio di chi gestisce il potere, nell'esautorazione delle istituzioni democratiche. Non c'è altra difesa che tornare al bosco, purché sia sacro. Angelo Romano

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DEMOCRAZIA VIOLENTA

Certo, gli esempi della violenza della democrazia non mancano, come giustamente ha indicato il nostro direttore ma, a mio avviso, occorre qualificare tale violenza. L'Italia non è, noi non siamo un regime universamente considerato dittatoriale che si affanna a dimostrare al mondo la sua faccia pulita e, nel contempo, incarcera o peggio i suoi oppositori. Né siamo un Paese dalla democrazia cosiddetta illiberale dove, sebbene i suoi governanti siano al potere quasi come una sorta di diritto dinastico, partecipano, quali componenti benaccetti, ai contesti internazionali. E non siamo neppure l'America del Nord, attraversata da pulsioni sociali e razziali mai sopite nonostante le altisonanti parole di Patria dei diritti e delle libertà, dove le minoranze lottano costantemente per la loro conquista e dove, a volte, gli interpreti e operatori di giustizia ritengono la loro opera dettata da sacrosanti diritti eugenetici quando non da volontà divine. Non siamo nemmeno una Repubblica di Bananas con plateali, spaventosi iati sociali dove, in totale assenza di meccanismi di ripartizione della ricchezza, il crimine, aggressivo e brutale, è divenuto un rassegnato strumento di distribuzione di reddito e, quindi, di sopravvivenza. Né tantomeno ci avviciniamo a Paesi teocratici o pseudo tali dove sebbene questi si fregino della qualifica di Repubblica i loro dettami giuridici non risiedono nella elaborazione di una volontà popolare quanto nell'interpretazione di una legge divina. Come, del resto, sono lontani dalla nostra immagine, quei Paesi che passano per democratici dove la profonda miseria è ottundente al punto da consentire la spartizione tra pochi dei proventi delle ingenti ricchezze naturali o sanguinose e violentissime lotte etniche quali unica occasione di riscatto. Come siamo lontanissimi, del resto, dall'unica vera realtà comunista oggi esistente, la Cina, poco incline alla concessione di diritti civili, eppure vezzeggiata, coccolata e lusingata per il fatto di rappresentare paradossalmente il più potente turbo-capitalismo del pianeta. E, già che ci siamo, lo voglio dire: con tutto il rispetto, non abbiamo omologhi nemmeno nella democratica Europa. È superfluo sintetizzare le differenze con gli altri Paesi perché sono storiche, etniche, sociali, culturali e giuridiche. E però sono proprio tali differenze che a volte portano quei Paesi a sopprimere eufemisticamente con veemenza manifestazioni di dissenso un tantino turbolente. Considero i No Global di passata memoria come una sorta di improvvidi ed ingenui protestatari gestiti da menti più sopraffine delle loro ma penso ricordino i segni che il rigore di certi Stati democratici ha inflitto sulla loro pelle. Nella terra italica, invece, si manganellano le forze dell'ordine. I nostri giornali di satira non sbeffeggiano la religione, non pubblicano vignette che deridono disgrazie e non ritengono i


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nostri vicini mangiacrauti scoreggioni. Fanno il loro lavoro certo con arguzia ma infarcendolo di tanta cultura e di rispetto. Noi siamo l'Italia che in termini di storia, arte, cultura, assetto giuridico e sociale non ha eguali nel mondo. E non dico questo per vanteria effimera quanto per costatazione palese: lo siamo politicamente da oltre duemila anni nonostante successivi eventi storici hanno portato alla nascita e alla morte al suo interno di numerose entità statali. Eppure, nonostante la nostra variegata e travagliata storia, non abbiamo mai smesso di rappresentare nel globo terracqueo un punto di attenzione e di considerazione. Potrei citare infiniti esempi nel corso di due millenni ma rischierei di far addormentare, se non stizzire, il lettore e, quindi, mi limiterò nel tempo. Quanti sanno che insigni patrioti preunitari del livello di Ciro Menotti e di Nicola del Preite, non in contrasto con l'allora guardiana dei mari, l'Inghilterra, prima di confidare nell'opera del Conte di Cavour e nell'assenso francese, avevano sollecitato Ferdinando II a riunire l'Italia, quale unico sovrano nella penisola, per potenza economica e militare, in grado di attivarsi? E che l'unico motivo per il quale Ferdinando rifiutò fu quello di non inimicarsi il Papa Pio IX con il quale intratteneva, se così si può dire, legami di amicizia e di rispetto? E, quanti ancora sono a conoscenza che alla morte di Ferdinando, un'intera squadra navale inglese approcciò il porto di Napoli lanciando salve di saluto al nuovo re, per ripristinare interessati rapporti strategici ed economici dopo alcuni anni di freddezza del re defunto dovuta ad eccessi di prosopopea affaristica inglese? Ma questa, si potrà dire, è un'altra storia sebbene contribuisca a dimostrare l'interesse internazionale che abbiamo sempre suscitato. Comunque, si potrà pensare ciò che si vuole delle modalità di riunificazione dell'Italia ad opera sabauda, ed io non sono certo tra i plaudenti di quelle stesse modalità, ma resta il fatto che uno dei primissimi atti di Camillo Benso dopo la resa di Francesco II a Gaeta, fu la sollecitazione a Vittorio Emanuele di sciogliere il Parlamento sabaudo per allargare ai rappresentanti meridionali così da costituire il Parlamento italiano. Mentre, per dirla alla Cronin, le stelle di allora, Francia e Inghilterra, stavano interessate a guardare. Siamo stati benaccetti alleati nella I guerra mondiale e a Versailles sedevamo al tavolo dei conclamati vincitori e se le ottuse tesi dell'americano Wilson in quella sede hanno prevalso, fino ad innescare i presupposti che di lì a vent'anni avrebbero contribuito a determinare prima l'insorgenza di quel nefando movimento chiamato nazismo e poi l'immane catastrofe della II guerra, ciò fu dovuto soprattutto alla debolezza contrattuale inglese e francese, nonostante il ridotto impegno bellico americano (un solo anno). Proseguendo, non voglio certo qui elevare osanna al ventennio fascista che ha rappresentato un'indiscutibile dittatura e come tale da stigmatizzare e da condannare i suoi comportamenti e le sue azioni compresa la mai tanto deprecata partecipazione al devastante ultimo conflitto. Però, resta da chiedersi chi mai, a livello internazionale, tra i diversi democratici Paesi colonialisti, abbia sollevato un indice quando l'Italia concepì e attuò la realizzazione delle sue 'colonie', per quanto precarie. Poi, per buona sorte, c'è stata la liberazione. E il dopo guerra ci ha regalato personaggi del livello

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di De Gasperi che dalla penna di Guareschi venne definito un gigante, riconosciuto urbi et orbi, seguito negli anni da analoghi interpreti. E sempre l'Italia è stata ambita protagonista, insieme alla Francia e alla Germania, del Trattato di Roma che ha annoverato anche Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Non voglio fare la scimunita vanagloriosa ma va da sé che senza l'Italia non sarebbe nata la CEE ed oggi non avremmo l'UE. L'Italia di allora è stata un Paese che, dalle macerie, nel giro di vent'anni ha saputo riconvertire un'economia, basata particolarmente sull'agricoltura, fino a farne una potenza industriale al punto da appartenere di diritto ai Sette Grandi della Terra. Sono state costruite strade e autostrade, oggi ammalorate, sono stati innalzati ponti, oggi caduti, i rapporti di lavoro erano in stragrande maggioranza a tempo indeterminato a differenza della situazione odierna dove la precarietà è d'obbligo, la disoccupazione era a livelli accettabili e le pensioni erano erogate senza problemi dall'INPS, ancora non costretto a surrogare l'Erario nell'erogare assistenza elettorale a danno dei risparmi dei lavoratori. Le Casse mutue prima e il Servizio Sanitario poi funzionavano e sebbene il tasso d'inflazione fosse arrivato in quei periodi a due cifre, abbiamo sempre onorato i nostri debiti con un bilancio in pareggio. Dovevano arrivare i nuovi 'liberatori', sotto l'insegna della moralizzazione, per proiettarci con violenza in un girone infernale senza che questo abbia fatto uscire il Paese dal novero di quelli considerati ad alto tasso di corruzione (nella scala odierna, siamo al 60° posto, al pari di Cuba, peggio della Romania). Scrivevo lo scorso mese della metafora della rana bollita. In poco meno di trent'anni, siamo stati cotti a fuoco lento, sotto un violento bombardamento psicologico degno dei migliori regimi stalinisti: è colpa della nostra ingordigia passata se i conti pubblici sono andati in rosso, siamo dei audacia temeraria igiene spirituale profittatori e degli evasori impenitenti, dobbiamo abituarci ad una sospinta mobilità perché il posto fisso è una iattura, le nostre pensioni sono troppo alte e non considerano la solidarietà, privato è bello mentre pubblico è immobilismo e burocrazia, la competizione è vincente e gli ultimi sono fuori, come canta Lo Stato Sociale. Così, in tre decenni, abbiamo svenduto le garanzie immobiliari delle prestazioni pensionistiche e infortunistiche, i gioielli industriali dell'alimentare degli ex monopoli, dell'automotive, della siderurgia, del trasporto aereo; abbiamo mandato in soffitta i contratti collettivi, i salari sono stati dimezzati e analogamente è accaduto per il loro potere d'acquisto mentre del diritto del lavoro restano i ruderi. La sanità è stata frantumata in una scala di grigi e la scuola è di fatto privatizzata. La pressione fiscale ha raggiunto vette da capogiro, la ricerca pubblica praticamente non esiste più e giovani laureati preferiscono seguire la via dell'espatrio piuttosto che fare la fame. Così, in nome di una modernità senza senso, vagheggiata dalle schiere degli orchi di Sauron, radicate tradizioni si sono perse immiserendo lo spessore culturale del Paese, sostituito nel miglior caso da consumistiche fiere e mostre. Non c'è voce che si sia elevata tanto da superare l'indifferenza dei vari 'pazzarielli' in scranno dinanzi ai rapporti ufficiali che attestano come la ricchezza, da tempo, abbia preso a concentrarsi in sempre minori mani mentre la stragrande maggioranza della popolazione si divide la povertà. Né c'è autorità che abbia censurato i violenti attacchi a chi ha osato semplicemente 'ragionare':


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le accuse di 'becero populismo', sono piovute a valanga, sostenute dalle fabbriche del consenso per dirla alla Chomsky. Così, giorno dopo giorno, abbiamo assistito e assistiamo, tra inermi e inerti, alla picconatura sistematica fino al fondo non solo di ogni valore e di ogni ideale ma, in una visione puramente materialistica cara alla sedicente sinistra, anche di ogni caposaldo economico. Chissà se qualche mente eccelsa vede il nostro destino volgere verso una satrapia o verso una colonia. Mi dispiace, non so dire quanto, elencare ancora una volta, sia pur in un quadro diverso, le disgrazie di questo nostro Paese del quale continuo ad essere orgogliosa nonostante i continui sforzi di terzi per dissuadermi. Ma, uscendo a forza da un pessimismo che non mi appartiene, mi sono chiesta se a tutto questo c'è una ragione e l'unico ragionato motivo che ho trovato si biforca lungo due percorsi: il primo è banalmente riconducibile alle mire espansionistiche ed omologanti del capitalismo ultra-liberista e della rapace finanza internazionale mentre il secondo è più articolato e complesso e concerne la politica nelle sue variegate espressioni tra le quali quella di governo. Non sprecherò molte parole per il primo. Sarebbe superfluo, come spiegare perché una tigre sbrana la preda. Di conseguenza, non si può pensare che gli esseri umani siano tutti dei San Francesco in grado di annullare la loro brama di potere, di ricchezza, di possesso. La politica, quindi, dovrebbe calmierare quei desideri per il cosiddetto dignitoso bene comune, in considerazione del lavoro qualitativamente e quantitativamente svolto se non della semplice dignitosa esistenza per minori, anziani, disoccupati. Ma la politica, dobbiamo riconoscere, non è più in grado di assolvere questo suo precipuo compito per un fenomeno sociologico di vasta portata che qui da noi, però, assume sciagurati contorni. Il sociologo tedesco Gunther Teübner ha dato un nome a quel fenomeno che verso la fine dello scorso secolo prese a delinearsi: la dispersione dei poteri dello Stato verso l'alto (UE) e verso il basso (Regioni), l'esigenza di mediare tra interessi della società, maggiormente accresciuti e più diversificati, la prepotentemente insorgente ristrettezza delle risorse economiche e la conseguente necessità di varare politiche non propriamente popolari, hanno congiuntamente dato vita ad una società che, sempre più priva di strumenti di ripartizione, di tangibile apprezzamento, di percorsi solidaristici, non può che esprimersi per rappresentanze. Un fenomeno, questo, che Teübner chiama 'policorporatismo' e che altro non è che l'orizzontalizzazione della società stessa dalla quale emergono punte che agiscono su mandato; di fatto, un processo di 'privatizzazione dello Stato' e di 'pubblicizzazione' di soggetti collettivi privati, di associazioni, in rappresentanza di interessi, sempre più articolati. Ora, un fenomeno del genere potrebbe anche trovare una sua ragion d'essere se a fungere da mediatore tra lo scontro delle rappresentanze ci fosse un governo forte e autorevole teso a mitigare l'asprezza della contrapposizione. Ed in effetti, nei Paesi occidentali, civili e democratici, funziona dove più e dove meno a seconda del grado di autorevolezza del governo stesso. Ma in Italia tutto questo, vuoi per debolezza vuoi per incapacità, si è trasformato in un incubo. Ovviamente, non mancano intellettuali nostrani che si dilettano nel dipingere il fenomeno stesso in rosee tinte.

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Intanto, secondo loro, va sfatata l'esigenza del 'Padre', la perdita del quale non rappresenta per nulla il segno della deriva verso un relativismo radicale capace di trasformare la nostra società in una massa di individui incapaci di responsabilità morale e politica, refrattari a qualsiasi legame di solidarietà. Come se la democrazia, si chiedono, per funzionare avesse bisogno di un principio d'ordine autoritario e di un capo. La società orizzontale, a loro giudizio, è invece una società di uguali in cui non esistono gerarchie di valori e non c'è devozione nei confronti di alcun potere autoritario. E al posto di un principio d'ordine gerarchico, il motore della sua costituzione, affermano, è la diversità, un elemento che non omologa e non divide, ma unisce e pluralizza; in pratica, concludono di solito, ciò che si determina è una democrazia del riconoscimento e della reciprocità, è un'orizzontalità che si manifesta nelle relazioni soggettive, prima e magari contro quelle codificate nei costumi dove tutti sono usciti dallo stato di minorità e per questo possono essere cittadini liberi ed eguali. Se volessi liquidare il tutto con una battuta, potrei uscirmene con Oi Maronn, e chi 'o ssapeva. Ma non intendo buttarla sul sarcastico perché il ragionamento intellettualoide mi ricorda molto la battuta sull'eroico orso che addenta un salmone per salvarlo dall'annegamento. In un'ottica un po' più seria, mi ricorda ancora le opere del grande economista scozzese Adam Smith, padre del liberal-capitalismo; opere tutte volte a delineare il suo pensiero nell'ambito della filosofia morale, base dell'economia politica classica. Eppure, a leggerle oggi, viene da sorridere di fronte all'ingenuità smithiana che crede possibile che un 'birraio' o un 'macellaio' possano essere 'sgomitati' fuori dal mercato dagli stessi concorrenti se le loro azioni non hanno un fondamento etico-morale. audacia temeraria igiene spirituale Perciò, non starò a commentare i commentatori illuminati se non per dire che le loro pittoresche tesi fanno acqua alla resa dei conti. Prima di loro, i teorici della cosiddetta società postindustriale del calibro di Touraine e di Bell credevano, nel corso degli anni '80, che la conoscenza sarebbe diventata la risorsa strategica per il sistema mentre il conflitto sociale si sarebbe progressivamente attenuato. Da allora, la questione della società postindustriale è rimasta sospesa tra l'idea di un processo storico desiderabile, quella del modello interpretativo per leggere il cambiamento tecno-sociale e quella della promessa, escatologica. Tuttavia, l'idea della società postindustriale è diventata paradossale nel momento in cui, proprio predicando l'orizzontalità dei processi, è stato di fatto edificato un regime tecnocratico globalizzato che, tuttavia, sollecita tra le sue maglie la reazione populista incarnata da movimenti filosofici e politici che predicano un'ulteriore o diversa forma di orizzontalismo: quello del cittadino comune in rivolta contro le élite e la società programmata. E ciò in quanto l'uguaglianza, al di là di quella che la legge dovrebbe considerare, è generata da un sentimento mentre la libertà è relativa. Vedo già delle sopracciglia che s'inarcano ma riflettiamoci un attimo. Nel 1989, il 9 di novembre, cadeva il muro di Berlino. Il 26 dicembre 1991 si dissolveva ufficialmente l'impero sovietico. Sia dal primo che dal secondo evento, è passato, tutto sommato, poco tempo perché gli avvenimenti siano stati riposti nel dimenticatoio. Tutti ricorderemo, ne sono certa, l'esultanza generale perché un regime, che per oltre settant'anni


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aveva tenuto il mondo con il fiato sospeso, veniva meno. E le dichiarazioni da più parti, erano tutte inneggianti alla 'ritrovata' libertà. In quell'occasione, Dahrendorf, da liberale, osò affermare, in provocatoria controtendenza, che liberi quei popoli lo sarebbero divenuti quando avrebbero potuto liberamente (avendo la disponibilità finanziaria) acquistare un televisore, un maglione di buona lana, una vettura di loro scelta, ecc. Con i tempi che corrono, quanti possono dirsi 'liberi' secondo l'intendimento del grande filosofo e sociologo tedesco? Oggi, inoltre, si tende a confondere la libertà con la possibilità di scelta dei programmi televisivi o degli yogurt al supermercato: c'è all'atto pratico solo una pseudo-libertà dei consumatori e degli utenti liberi, quest'ultimi, di scegliersi il gestore in base alle offerte. Ma, per tornare ab ovo, dicevo dell'orizzontalizzazione della società, della contrapposizione delle rappresentanze d'interessi e della necessità di una mediazione autorevole; laddove questa è debole o incapace il sistema non funziona. Con tutto il rispetto, guardiamo la Francia con i gilet gialli il cui movimento-fenomeno, instancabile e generalistico, da un lato contraddice gli intellettuali illuminati e dall'altro conferma le esigenze di funzionamento del sistema stesso. E, con gli stessi concetti, osserviamo la Germania che nei suoi assetti e nelle sue dinamiche di governo ribadisce dall'altro piano le predette esigenze. E, già che ci siamo, guardiamo l'Italia tra governi incapaci e incompetenti, dove il fenomeno, da caotico e problematico dell'ultimo trentennio, si è trasformato da ultimo in un incubo. Da noi, non ci sono gilet gialli e quelli arancioni lasciano il tempo che trovano. L'opposizione, quella del momento, si barcamena tra slogan, ragionamenti e silenzi mentre il governo cerca di arrangiarsi tra le inverosimili e assurde scelte del fondamentalismo pentastellato e lo pseudo efficientismo piduino, fatto di promesse sconclusionate e di impegni vuoti che, puntualmente, fanno i conti con l'amara realtà quotidiana. E questo mentre le categorie produttive (ad eccezione dei lavoratori, s'intende) guerreggiano per accaparrarsi il soldino, in un clima che oscilla tra Il Processo di Kafka e Aspettando Godot di Beckett. A farne le spese è l'Italia e quella fascia, ormai molto ampia, della popolazione che già prima dell'emergenza Covid era in disagio e che, ora, è in piena sofferenza. Di contro, si pensi al contenuto del Piano Colao, approdato ieri sul tavolo del presidente del Consiglio. Ci sarà tempo e modo per approfondirlo perché alle tante carenze dell'attuale governo dobbiamo aggiungere l'estrema lentezza. Ma, da una scorsa a volo d'uccello, la prima impressione è quella della delusione. 470 persone impegnate per mesi per prescrivere acqua calda e salassi. Si dice che di politica si può morire ma che senza politica non si sopravvive: forse, oggi come non mai i due momenti coincidono. Non c'è rispetto per la passata e presente grandezza del Paese; da una parte per evidentemente scarsa dimensione culturale e dall'altra per una soverchiante concezione universalista. Un quadro che potrebbe anche rientrare in un momentaneo scivolone della democrazia parlamentare se non fosse sfociato in una condizione di democrazia, se così possiamo ancora definirla, connotata dalla protervia violenta che non ammette dissenso e brutalizza ogni oppositore con tutti i mezzi ai quali, da ultimo, si è aggiunta la derisione verso i deboli. Non è purtroppo un mistero che, nonostante ogni evanescente assicurazione, molti perderanno il

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lavoro; né lo è che molti esercenti, dopo opinabili chiusure, non hanno riaperto e non riapriranno per indisponibilità economica, con notevoli danni al PIL/Terziario e all'occupazione. Ciò posto, non può essere sopportato che al danno si aggiunga la beffa: un grand commis quale Pasquale Tridico, presidente dell'INPS in quota M5S, già in difetto per non aver ancora erogato la Cig a tutti gli aventi diritto a tre mesi dalla serrata, non può comunque permettersi di dare del pigro e dell'opportunista a chi non ce la fa a riaprire. Mi auguro che qualcuno, mosso da una punta di riscatto morale, pretenda che quel soggetto lasci il comodo posto per manifesta incompatibilità. Dovrei, adesso, trarre le conclusioni da tutti i filoni di ragionamento che ho introdotto ma, mi chiedo, è proprio necessario? Perché ognuno può fare i debiti riscontri, costatare veridicità, ciascuno è in grado di indagare per adeguati riscontri e chiunque può tirare le somme sulle diverse colonne del bilancio. E come il Grande Partenopeo asseriva, è la somma che fa il totale. Non resta, quindi, che aspettare gli 'Stati Generali'. Chissà se la brillante mente che ha definito così i prossimi lavori del governo a Villa Pamphili, sa (c'è da aspettarsi di tutto) che cosa è accaduto negli omonimi francesi di oltre due secoli fa. Luigi XVI non è sopravvissuto alle ricadute di quella convocazione. In ogni caso, la speranza è che qualcuno della 'nobiltà' e del 'clero' ne abbia a sufficienza dell'assolutismo 'reale' e, stanco del 'dispotismo dei ministri' e delle 'depredazioni finanziarie' decida di unirsi alla borghesia lavoratrice per avanzare dei reali, veritieri 'cahiers de doléances'. È il momento del 'giuramento della pallacorda' perché la democrazia torni ad essere sovrana fino ad approdare, perché no, in una rinnovata 'Assemblea Nazionale Costituente' che mandi a casa l''Ancien Règime' con il rinnovo degli assi portanti dello Stato. L'unico timore è che i Robespierre, i Couthon e i Saint-Just si annidino già nel Terzo Stato; come ho scritto nello scorso febbraio, in rappresentanza di quella parte della 'borghesia' salottiera, becera, all'apparenza dura e pura ma boriosa e dogmatica, figlia del sol dell'avvenire affetta da alzheimer, madre di rampanti giovani ignoranti alla caccia di opportunità e sorella di una torma intergenerazionale di patiti della croce con l'animo ottuso di un Torquemada ma con una propensione alla disponibilità degna di un nuovo libro di Hilma Wolitzer. Perché, se così fosse, la risultante sarebbe, come la Storia ci avverte, il 'regime del terrore'. Che poi Robespierre e company non sia sopravvissuto al suo 'regime' e sia giunto egli stesso a conoscere il suo 'strumento di giustizia' preferito, 'Madame Guillotine', non ci tranquillizza perché gli effetti di idee astrusamente illiberali li scontiamo ancor oggi. Come si vede, è sempre la somma a fare il totale. Roberta Forte


TEMA DI COPERTINA

IL FANTASMA DELLA LIBERTA’ C'è un'orda anti-libertaria, in giro per l'Occidente, che torna all'attacco. Se la prende con la memoria storica. Questa Internazionale del nichilismo non ha confini né decenza: s'infila in ogni vicenda di ordine pubblico che si presti ad essere strumentalizzata e ne fa un'occasione di propaganda ideologica. Per i sovversivi della Memoria il momento è propizio. A causa della crisi pandemica in tutto l'Occidente, la gente comune è presa a combattere per sopravvivere. In uno scenario in cui l'interesse prevalente per molte famiglie sia di assicurarsi due pasti giornalieri, chi volete che presti attenzione alle subdole manovre dei nemici della libertà? L'onda liberticida ha però bisogno di un fattore scatenante perché dispieghi tutto il suo potenziale distruttivo. Richiede una lettura palindromica della teoria del caos: perché un tornado travolga il Texas è necessario che una farfalla batta le ali in Brasile. E l'evento principiale (l'in principium) che mettesse in moto la catena di eventi, di cui si stanno rendendo protagonisti i talebani d'Occidente, c'è stato e porta il nome di George Floyd, da Minneapolis, il cittadino statunitense di origini afroamericane brutalmente ucciso da un agente di polizia lo scorso 25 maggio. In altri momenti sarebbe stato derubricato a un doloroso fatto di cronaca. Invece, messo nelle mani sapienti dei negazionisti della Storia è stato trasformato nel casus belli, l'evergreen della demagogia sinistrorsa: il razzismo. L'incendio della rivolta è divampato al grido: "Black Lives Matter" (Blm, le vite dei neri contano). Dalla violenza nelle strade si è passati all'azione preferita dal progressismo dogmatico: la cancellazione della memoria con l'abbattimento a Bristol della statua in bronzo dedicata al mercante e commerciante di schiavi africani Edward Colston. Negli Stati Uniti altre statue rischiano di fare la medesima brutta fine. Lo ha promesso la speaker statunitense della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, nell'annunciare l'intenzione di far rimuovere dalle sale del Congresso tutte le statue dei confederati. Ma non è a rischio solo l'arte figurativa. Si rovista nel baule della settima musa per fare un repulisti di opere politicamente scorrette. A farne per primo le spese è il capolavoro della cinematografia di tutti i tempi: Via col vento che la Hbo Max ha deciso di rimuovere dal suo catalogo a causa del contenuto giudicato razzista. La pellicola, datata 1939, ha vinto otto oscar; la frase finale del film "Dopotutto, domani è un altro giorno" pronunciata dalla protagonista, Rossella O'Hara, è entrata nel linguaggio comune con la medesima forza significante che aveva nel film. La storia narrata è un affresco di un'epoca, è memoria di una stagione di sangue, è parte viva dell'epopea americana. Ma da domani non potrà più esserlo perché i sovversivi della Memoria l'hanno censurata. L'onda liberticida ha attraversato l'Oceano approdando sulle sponde del

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Vecchio Continente. I sicari delle Storia americana hanno chiamato e i loro compari europei hanno prontamente risposto. A Londra, il sindaco Sadiq Khan, di origini pakistane (sarà un caso?), ha dichiarato di voler riscrivere la storia dell'Impero britannico attraverso una selezione dei monumenti installati nella capitale. Via le statue che celebrano i personaggi macchiatisi di comportamenti razzisti e schiavisti e spazio agli illuminati dal multiculturalismo. Una commissione ipocritamente chiamata "delle diversità" farà il lavoro sporco della censura per conto del sindaco di Londra che si arroga il diritto di decidere, ex post, ciò che sia stato bene e quel che sia stato male della Storia del suo Paese. A stretto rigore, se la Commissione facesse fino in fondo il suo dovere in Gran Bretagna non vi sarebbe più una statua o un dipinto celebrativo da ammirare perché, nei secoli, la politica colonialista britannica ha fatto perno sullo schiavismo e sull'assoggettamento delle popolazioni dei territori conquistati. Potrà non piacere, ma è il passato sul quale è stato eretto il faro della democrazia occidentale. Quale magico costruttore riesce a edificare l'opera servendosi di pietre perfettamente squadrate dalla natura? Che sia scalpellino o scultore il meglio lo tira fuori sgrossando la pietra grezza. È, tuttavia, un processo di lavorazione che comporta errori e colpi a vuoto. Non è cancellando le tracce degli errori compiuti che si serve la nobile causa della verità a meno che non si coltivi la diabolica rimozione del passato per far perdere la memoria ai contemporanei; per imporre attraverso la negazione della Storia un nuovo credo assoluto, infallibile; per fare tabula rasa allo scopo di potervi incidere il primo comandamento della religione progressista: Non avrai altro Dio all'infuori di quello multiculturalista. Il medesimo credo violento, cieco, liberticida che vorrebbero imporre anche in Italia i "Sentinelli di Milano", bizzarri figuri sinistrorsi che dalla vetrina di Facebook chiedono al sindaco della città ambrosiana la rimozione della statua dedicata a Indro Montanelli e il connesso cambio di titolazione dei giardini pubblici di Via Palestro. La colpa di cui si sarebbe macchiato Montanelli sarebbe stata di essersi servito in gioventù, da militare, dei servizi di una giovanetta etiope, sposata secondo le usanze del posto, che durante "l'aggressione del regime fascista all'Etiopia" (valutazione storica dei Sentinelli) gli faceva da schiava sessuale. Montanelli è stato figlio e interprete del suo tempo, ma per i Sentinelli merita tre volte la Damnatio memoriae: perché autore di un mercimonio sessuale ai danni di una minorenne, perché aggressore colonialista, perché fascista. Per i sovversivi della Memoria il ricordo dovrebbe essere riservato solo agli eroi della sinistra, agli antifascisti, ai portatori della verità del comunismo e del socialismo reale. A prescindere dalle pecche private, tante, di cui si sono resi protagonisti i medesimi eroi che essi celebrano. D'altro canto, di cosa stupirsi? In passato era stata l'icona di questa soldataglia anti-libertaria, la mitica Laura Boldrini, a tentare la castrazione dei monumenti storici italiani mediante la rimozione delle scritte e dei simboli evocanti il ventennio fascista e la figura del Duce. All'epoca, furono i compagni di coalizione a fermarne la furia iconoclasta. Ma i propugnatori della memoria selettiva, nemici della Storia e della tradizione, sono camaleontici: cambiano vesti e posture ma nel profondo restano fedeli a se stessi. Uguale pensiero autoritario, stesso


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odio per l'altrui libertà, medesimo astio per l'arte che spalanca i cancelli del passato. I "Sentinelli" come il sindaco di Londra; come i rivoltosi statunitensi; come i talebani afghani che nel 2001 su ordine del Mullah Omar fecero saltare a colpi di dinamite le gigantesche statue dei Buddha di Bamyan nei pressi di Kabul; come gli assassini dell'Is, lo Stato islamico, che nel 2015, in Siria, demolirono parte del sito archeologico di età romana di Palmira. Tale è l'idea di libertà dei malacarne multiculturalisti: il potere di negarla a chi ha un pensiero altro, divergente e nutre un legame sentimentale con i chiaroscuri della Storia. Cristofaro Sola

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DEMOCRAZIA MALATA: NIENTE DI NUOVO SOTTO IL SOLE... INCIPIT Cerchiamo di rispondere, in non più di cinque secondi, al seguente quesito: "Indicare almeno uno stato occidentale nel quale, dal XVIII secolo in poi, la democrazia si sia affermata senza distorsioni, privilegiando esclusivamente i principi insiti nel termine". 1…2…3…4…5. Nessuna risposta e non potrebbe essere altrimenti: non esiste. DI MALE IN PEGGIO Sulla democrazia malata esiste una florida e qualificata saggistica e anche in questo magazine la tematica è stata più volte dibattuta. Non si possono che ribadire, pertanto, concetti triti e ritriti circa i limiti di un sistema che, però, ha come alternativa delle formule ritenute peggiori dalla maggioranza del genere umano. Forse così non è, ma qui insorge subito il primo paradosso: nel momento stesso in cui, a livello planetario, è la maggioranza delle persone a ritenere la democrazia un sistema di governo imperfetto ma superiore a tutti gli altri, quel sistema viene legittimato come cardine di qualsiasi società che voglia definirsi civile. La necessità di anteporre "forse" alle possibili alternative, imposta da ciò che ci tramanda la storia, inferisce al discorso il colpo di grazia: quelle formule, infatti, afferiscono a una sfera ideale propria di pochi eletti, per lo più filosofi e intellettuali di altissimo rango, capaci di vedere molto più lontano di qualsiasi altra persona. Sono formule, pertanto, che assumono piena valenza solo nella loro caratterizzazione "concettuale", senza avere alcuna possibilità di essere efficacemente tradotte nella realtà: i limiti della natura umana, infatti, le renderebbero spurie della loro essenza più nobile, trasformandole in qualcosa di meramente negativo, come di fatto sempre avvenuto quando sono riuscite ad affermarsi. È perfettamente inutile ripercorrere venticinque secoli di storia e basterà dire che la democrazia, sostanzialmente, iniziò a traballare sin dalla nascita in virtù del profondo disprezzo rivolto a coloro che non si occupavano di politica, ritenuti indegni di far parte della comunità, anche se si comportavano in modo irreprensibile. Di fatto si praticava una discriminazione, non scevra di violenza psicologica, antitetica rispetto ai "principi" del sistema. Le persone colpite dall'ostracismo democratico sono passate alla storia come "idiotes", termine che ha subito un progressivo slittamento semantico, fino ad assumere il significato attuale, che rende bene l'idea di come si dovevano sentire, ai tempi di Pericle, coloro che di certo "idioti" non erano ma come tali venivano trattati.


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Assodato, quindi, che la democrazia zoppica e spesso serve come copertura per praticare "violenze" tipiche delle peggiori dittature, è possibile inquadrare in una corretta ottica le attuali tensioni che, come sempre accaduto in circostanze eccezionali, stanno portando alla ribalta il meglio e il peggio delle persone. Ogni azione manifesta la qualità di chi la pone in essere. Uomini eccezionali compiranno imprese eccezionali; da uomini mediocri o pessimi, inevitabilmente, non possono che scaturire azioni mediocri o pessime. Se questi ultimi, poi governano stati o dirigono importanti enti sovranazionali, la frittata è fatta. In tempi normali i guasti prodotti dalla scarsa qualità dei potenti viene mitigata dalle eccellenze reperibili nella società civile, nel mondo del lavoro e delle professioni. Grazie a loro, sia pure tra mille difficoltà, la barca va. Con una pandemia come quella che ci sta angustiando da oltre quattro mesi, però, è ben evidente che tutto salta: la barca non può reggere un mare forza dieci se non ha alla guida un bravo capitano coadiuvato da bravi marinai e inevitabilmente affonderà, trascinando nei flutti anche quelle eccellenze, o buona parte di esse, che in precedenza le hanno consentito di restare a galla. Quello che stiamo registrando, dappertutto, riflette l'esempio, con differenze minime tra i vari stati, dal momento che in una scala da zero a dieci i migliori arrivano a cinque (forse), con solo un paio di eccezioni alle quali è possibile conferire la sufficienza. Per non guardare il dito mentre si indica la luna, pertanto, occorre chiedersi perché in tanti paesi nei quali si celebra il mito della democrazia rappresentativa siano solo le mezze cartucce o degli autentici fetentoni a conquistare le leve del potere, provocando gli immani disastri che ben conosciamo. Il sonno della ragione genera mostri, scriveva Goya in un celeberrimo dipinto ed è perfettamente inutile, quindi, passare le giornate a vomitare strali contro i potenti delinquenti e incapaci, soprattutto se si sia corresponsabili del consenso loro tributato. Ciascuno si faccia un serio esame di coscienza e analizzi il proprio agire, prima di sputare sentenze, acquisendo consapevolezza che quasi sempre è il principale responsabile delle proprie sciagure. Ai fini curativi la ricetta è nota e rimanda all'esempio del gatto che si morde la coda: occorre favorire una catartica palingenesi che faccia piazza pulita del marcio che sta soffocando il Pianeta; per fare piazza pulita occorre imparare a scegliere bene i rappresentanti cui delegare il potere politico, mutando completamente il modo di pensare e di agire e diventando, di fatto, più saggi, cosa non certo facile; occorre avere il coraggio, nei posti di lavoro, di esporre al pubblico ludibrio coloro che creano problemi perché incapaci e raccomandati, soprattutto quando abbiano la facoltà di dare ordini a chi ne sappia più di loro: i capi mediocri, in posizioni apicali per meriti politici, hanno la propensione a fare il vuoto intorno a loro mobbizzando i dipendenti capaci e ciò non dovrebbe essere tollerato. Occorre tenere bene a mente che il motto delle mezze cartucce al potere è "mediocri di tutti il mondo unitevi" e loro sanno fare bene squadra, anche quando siano in posizioni contrappositive, pur di tutelarsi reciprocamente. Per quanto concerne le manchevolezze delle istituzioni comunitarie basta fare riferimento ai tanti articoli scritti in passato: la solfa è sempre la stessa, aggravata dalle circostanze. Circa i problemi del nostro Paese, in questo magazine, che ha la presunzione di "volare alto", non è il caso di confondersi col ciarpame mediatico e politico

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intriso di squallore, intento solo a suonarsele reciprocamente di santa ragione, anche in modo subdolo. Sia i partiti di governo sia quelli di opposizione stanno dando il meglio del loro "peggio" e i giornali di riferimento, ben allineati, onorano degnamente il compito assegnato: "mistificazione e disinformazione". I dibattiti televisivi, da quattro mesi monopolizzati dalla contingenza pandemica, costituiscono una valida testimonianza del bassissimo profilo qualitativo dei protagonisti, fatte salve le solite poche eccezioni, e proprio non serve aggiungere altro. È molto più opportuno e corretto, invece, enfatizzare quella parte buona e sana della società che ci ha consentito di limitare i guasti determinati dalla malapolitica. Medici e operatori sanitari italiani sono i migliori del mondo, ancorché costretti a lavorare in condizioni miserrime per colpa dei farabutti che hanno distrutto la Sanità sia con la frammentazione regionalistica sia con le tante ruberie. A questi rari nantes in gurgite vasto vada il plauso e la gratitudine dell'intera nazione. I CAN'T BREATHE Otto minuti e quarantasei secondi: tanto è durata l'agonia di George Perry Floyd, afroamericano quarantaseienne, ucciso a Minneapolis lo scorso 25 maggio dal poliziotto Derek Michael, quarantaquattrenne, aduso ad arrotondare lo stipendio svolgendo anche il lavoro di guardia di sicurezza presso la discoteca "El Nuevo Rodeo", entrando spesso in conflitto con la proprietaria per i frequenti scatti d'ira e i modi violenti usati nei confronti dei clienti. La tragica vicenda di Minneapolis ha fatto scoprire al mondo, come non mai negli ultimi tempi, la brutalità e la ferocia del razzismo, essendo ben chiaro che il colore della pelle ha influito non poco a far sì che il pur violento poliziotto restasse insensibile alle implorazioni della vittima, che tutti abbiamo visto e ascoltato essendo state filmate dal primo all'ultimo minuto. Le proteste si sono levate immediate e imponenti in ogni angolo del Pianeta e continuano ancora oggi, mentre scrivo questo articolo, dopo ben venti giorni. Un segnale forte, che sta condizionando pesantemente la campagna per le elezioni presidenziali, negli USA, che ora vedono Biden favorito. Ma se anche l'ex vice di Obama dovesse sconfiggere Trump, e chi scrive è convinto che così sarà, cosa cambierà effettivamente? Poco o nulla. Gli Stati Uniti rappresentano l'emblema di come la "democrazia" sia solo un paravento per mascherare le più bieche scelleratezze dei potenti. Trump e Biden sono senz'altro degli uomini diversi per carattere e stili di vita, ma entrambi incarnano quell'american way of life che tende a dissimulare il vero, elevando l'ipocrisia a dogma. Un americano "completamente" diverso e "migliore", intriso di quei principi etici che dovrebbero essere patrimonio comune di ogni statista e con altissimo profilo culturale, fu fatto fuori come presidente grazie a un imbroglio orchestrato dai fratelli Bush nel 2000, quando aveva solo 52 anni: il suo nome è Al Gore e ancora oggi potrebbe rappresentare, considerata l'età dei due contendenti, una valida alternativa alla mediocrità al potere. Proprio l'alto profilo eticoculturale, però, si è rivelato il suo più grande nemico, mettendolo fuori gioco per il ruolo più


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importante, dopo una brillante carriera culminata con gli otto anni alla Casa Bianca quale influente vice di Clinton: negli USA il Capo dello Stato deve essere (o per meglio dire: deve apparire) un uomo come gli altri, un "brav'uomo"; se fosse superiore, un "uomo bravo", inquieterebbe. Che poi siano in tanti a pagare il fio di questo sciocco presupposto non importa: i problemi, per gli americani, vanno affrontati (e spesso "non" risolti) all'interno di questa logica, ancorché per loro stessi penalizzante. Il fratello di George Floyd ha tenuto un toccante discorso al cospetto dei membri del Congresso statunitense, concludendolo con un commosso riferimento alle decine di milioni di persone che stanno manifestando contro il razzismo: "Guarda cosa hai fatto George, stai cambiando il mondo". In queste parole e nella straordinaria testimonianza di solidarietà, ha trovato un minimo di conforto e ciò è un bene. È inutile farsi illusioni, tuttavia, sulla possibilità che il mondo possa effettivamente cambiare perché la misura è colma: sono secoli che la misura è colma e per quanto una generosa illusione sia preferibile a una negazione preconcetta, resta pur sempre una generosa illusione. Gli spontanei e sinceri sentimenti di disgusto per le tragiche vicende statunitensi, tra l'altro, sono costantemente inficiati dagli idioti che la fanno fuori dal vaso, imbrattando statue, chiedendo la rimozione di quelle non gradite, censurando film come "Via col Vento" e comportandosi da perfetti malpancisti, salvo poi dimenticarsi tutto quando il mal di pancia passa e si torna alle normali occupazioni, in attesa di quello successivo. Nel frattempo i poliziotti continuano a uccidere i neri sparando loro alle spalle; in Italia i "caporali" continuano a sfruttare gli immigrati clandestini, chiamandoli "scimmie" e facendo loro bere l'acqua di scolo dei canali; negli stadi non si sentono più gli odiosi cori solo perché le partite si giocano a porte chiuse. No, caro fratello di George, il mondo non cambierà. Nihil novi sub sole, mannaggia. Lino Lavorgna

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ILLOGICA, PRIVATIZZATA E VIOLENTA Tre recenti fatti, emblematici se vogliamo, mi hanno particolarmente colpito: il primo concerne la radiazione dall'Ordine dei Medici dell'assessore alla sanità della Regione Emilia-Romagna, Sergio Venturi, il secondo riguarda la sussurrata competition tra Vittorio Colao, il 'guidatore' della task force salva-Italia, e Mario Draghi, ex presidente della BCE, mentre il terzo si riferisce al recente impegno assunto dal magnate Bill Gates praticamente nei confronti dello 'vasto mondo', quasi rubando la scena al grande, mai eguagliato, scrittore di fantascienza, Isaac Asimov. Tre vicende, apparentemente estranee tra loro, che tuttavia danno a parere personale un preoccupante segno dei tempi. Il primo fatto, nelle sue meccaniche precorritrici, si presenta in maniera alquanto curiosa: in sostanza, sembra che la Regione in questione, alfine di poter più agevolmente coprire gli oltre 350 Km2 di sua competenza, attraverso una delibera proposta dall'assessore citato, abbia deciso che a bordo delle ambulanze non fosse più necessaria la presenza di un medico bensì solo quella di infermieri specializzati. A motivazione di tale decisione, ci starebbero da un lato i 'tagli' operati sulle strutture sanitarie sparse sul territorio nell'ultimo ventennio e, dall'altro, la difficoltà a reperire un numero adeguato di medici per coprire tutti i turni dei suddetti mezzi in quantità confacente. La motivazione dell'Ordine, invece, affermerebbe in sintesi che i protocolli derivati dalla suddetta delibera regionale siano in contrasto con il codice deontologico. Va detto, comunque, che il Venturi, ovviamente, ha fatto opposizione al provvedimento che lo riguarda sia presso la CCEPS, la Commissione centrale esercenti la professione sanitaria, giudice supremo in materia disciplinare, sia presso la Corte di Cassazione. La Regione, al contempo, in difesa dell'assessore, ha impugnato con vittoria la decisione dell'Ordine presso la Corte Costituzionale perché "è stata invasa l'autonomia costituzionalmente riservata alla competenza regionale in materia di tutela della salute.". A latere, la Procura di Bologna ha rinviato a giudizio nove componenti della Commissione dell'Ordine bolognese che hanno adottato il provvedimento di radiazione in quanto 'quell'iniziativa "disciplinare era dimostrativa della volontà intenzionale di discriminare e vessare il soggetto passivo, per ragioni diverse da quelle rese palesi in sede di contestazione disciplinare". Neppure a dirlo, l'Ordine ha presentato un esposto presso la Procura di Ancona. Ora, lungi da me la volontà di sostituirmi all'Ordine, alla Regione né, men che meno, alla Magistratura ma qualcosa mi sfugge della vicenda. Mi spiego: quando si afferma da parte dell'Istituzione amministrativa regionale che la decisione dell'Ordine ha invaso l'autonomia


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regionale ciò non può significare, in assoluto, che un atto amministrativo, ovvero il/i 'padre/i di questo, abbia/no il potere di sovrastare le prerogative dell'Ordine, conclamato controllore della corretta esplicazione ed applicazione della deontologia professionale da parte degli iscritti. Altrimenti, ci sarebbe da spiegare quando le decisioni dell'Ordine siano 'giuste' e quando 'sbagliate', ovviamente a giudizio di terzi. Il che, sarebbe come dire che l'Ordine è praticamente superfluo, pienamente sostituibile da un qualsivoglia organo amministrativo col potere di 'normare'. Eppure, anche la Consulta, sacra tutela della Costituzione, ha riconosciuto, se vogliamo, l'assunto regionale dal sapore paradossale perché è vero che la Carta demanda alle Regioni la tutela della salute dei cittadini ma non certo l'attestazione della 'sacralità' dell'azione degli operatori sanitari, peraltro a discernimento dei suoi datori di lavoro. Sarebbe stato più comprensibile che un giudizio in tal senso l'avesse emesso un Magistrato giudicante, comunque ribaltabile, si pensi, nel/nei successivo/i ambito/i giurisdizionale/i. Ma, a proposito della Magistratura, quella inquirente, in tutta evidenza la pensa diversamente ed ha elementi in mano per poter affermare non che il Venturi abbia agito nel pieno rispetto della deontologia professionale e che, quindi, la radiazione è immotivata e strumentale bensì che l'azione di componenti del Consiglio dell'Ordine ha discriminato e vessato l'ex assessore per ragioni diverse da quelle palesate nella contestazione disciplinare. Come a dire che la Magistratura ha in mano elementi atti a sostenere, al punto da rinviarli a giudizio, che ben nove soggetti degli 'Stati Generali' bolognesi, hanno 'complottato' per tormentare il malcapitato soggetto. Ovviamente, non pongo neppure in dubbio il parere degli inquirenti ma mi chiedo quali possano essere tali elementi che, chiaramente, esulando da una valutazione di merito, sostengano, invece, l'ipotesi del 'complotto'. E, comunque, a mio sommesso parere, neppure l'Ordine dei Medici è sembrato percorrere una linea logica nel suo agire. Non entro nel merito della liceità della specifica vicenda ma, a quanto ne so, sembra che anche altre Regioni consentano che le ambulanze possano generalmente viaggiare in assenza del medico a bordo. Quindi, se la mia conoscenza è fondata, ciò starebbe a significare che gli Ordini, nelle loro strutture territoriali, possano agire in ordine sparso. Nel senso che, se così fosse, il concetto di 'deontologia', all'interno dell'Ordine stesso, può avere un'interpretazione che, per brevità, possiamo definire 'ad personam'. Qui finisce il primo caso ma che impressione ne può trarre il semplice viandante che si sofferma a leggere i titoli e, poi, incuriosito, cerca di approfondire gli eventi e le loro meccaniche e non trova logicità? Il secondo fatto, come cennato, riguarda il sussurrato scontro che si afferma in atto tra Vittorio Colao e Mario Draghi. Secondo alcuni analisti, l'attuale presidente del consiglio, Giuseppe Conte, non avrebbe né la forza né la capacità di gestire l'attuale crisi nelle sue meccaniche nazionali e internazionali. Così, a detta di alcuni, dei benpensanti filocinesi, tra cui Romano Prodi, Enrico Letta, Paolo Gentiloni e il banchiere Giovanni Bazoli, avrebbero convinto il Capo dello Stato a imporre Colao come super consulente di Palazzo Chigi, nella speranza di farne poi l'inquilino numero uno. Invece, i secondi, sostenitori di Draghi, forti più a Washington che a Roma poiché ispirati direttamente dall'amministrazione Trump in chiave anticinese, sarebbero

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ora in posizione minoritaria in parlamento, ma non nei sondaggi, e annovererebbero la Lega di Salvini e Giorgetti, Fratelli d'Italia della Meloni, Forza Italia di Berlusconi nonché settori del mondo imprenditoriale, finanziario e del lavoro autonomo. A sostegno di tale tesi ci sarebbe il riposizionamento in chiave filoamericana di due testate giornalistiche nazionali, La Stampa e la Repubblica, avvenuto dopo il blitz di John Elkann, nonché l'affidamento a una società del gruppo Fincantieri della costruzione della prima di dieci fregate per 800 milioni di dollari, con l'opzione per l'intera commessa di 5,5 miliardi di dollari; una mossa che sarebbe volta a dimostrare la differenza tra la pochezza dei cosiddetti aiuti cinesi durante la pandemia (in realtà, forniture pagate dall'Italia centinaia di milioni) e la consistenza economica delle scelte strategiche dell'alleato americano, che guarda caso va a premiare una società, la Fincantieri, che ha sede a Trieste, porto scelto dalla nuova Via della seta cinese. Mi sarà sfuggito per disattenzione ma quale dovrebbe essere, o meglio, in cosa dovrebbe consistere l'interesse politico del comune cittadino chiamato ad operare in futuro una scelta tra i partiti? O, ancora meglio, come potrebbe essere confezionata (e quale conseguenzialità avrebbe) l'offerta politica dei due schieramenti agli elettori che abbiano in simpatia/antipatia l'uno o l'altro Supercolosso? Resterebbe il fatto che né Draghi né tantomeno Colao hanno espresso una simpatia politica al punto da poterli identificare tout court con una formazione partitica. Si potrà dire che questa potrebbe intervenire in seguito; al ché la domanda conseguenziale: quale spazio avrebbe, allora, in prima battuta, il privatistico interesse (affaristico?)? Vorrei aggiungere un qualcosa di più senza che questo significhi, comunque, operare scelte di campo politico (si pensi a che punto siamo giunti): di Mario Draghi conosciamo la qualità del suo ruolo quale presidente della BCE e la sua determinazione nelle scelte positive di politica monetaria. Di Colao, invece, ancora non sappiamo nulla. La sua relazione quale cura per il 'rilancio' del Paese deve ancora arrivare. Tuttavia, si è fatta strada tra la congerie di commenti, dichiarazioni, assicurazioni, appelli, una proposta dell'ex amministratore di Vodafone che, se vera, lascia di primo acchito alquanto perplessi. In pratica, il sostegno all'economia, a fronte della crisi prodotta dal Covid, sembra dover passare soprattutto dalla creazione di un Fondo per lo sviluppo, gestito da Cassa depositi e prestiti. Stato, regioni, province e comuni dovrebbero conferire al Fondo immobili, partecipazioni in società quotate e titoli, con la possibilità (da verificare) di ricorrere a una parte delle riserve auree della Banca d'Italia. Le quote del fondo dovrebbero essere messe a garanzia dei crediti erogati alle imprese e dovrebbero essere vendute agli investitori istituzionali (fra cui quelli esteri) e forse anche al retail. Il denaro raccolto verrebbe investito dalla Cassa Depositi e Prestiti nell'industria 4.0 e in alcune imprese ad alto tasso di crescita. Esse sarebbero individuate fra quante avranno investito in ricapitalizzazione, innovazione, fusioni e acquisizioni. A differenza di Germania e Francia che hanno immesso nel settore produttivo liquidità a fondo perduto, se una tale proposta fosse vera e si concretizzasse, ciò significherebbe che l'intero patrimonio pubblico italiano (tra cui Fincantieri - neppure a farlo apposta -, Eni, Leonardo)


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correrebbe il rischio di essere liquidato per distribuire denaro a poche, grandi (private) aziende: le uniche a consentire, soprattutto oggi, ricapitalizzazione, innovazione, fusioni e acquisizioni, appunto. Non solo: se si perdessero gli asset pubblici, e quindi potere contrattuale, il danno alla politica economica e a quella internazionale sarebbe enorme. A latere, non sembrano esserci aiuti sostanziali alla generalità delle aziende italiane, ad eccezione di incentivi fiscali ancora una volta per ricapitalizzazioni, fusioni e acquisizioni, investimenti in ricerca e sviluppo. Come a dire che se una tale proposta trovasse luce, le grandi (spesso multinazionali) imprese avrebbero un doppio beneficio. Di contro, non sembrano esserci sostegni per la PMI, asse portante economico del Paese. Eppure, secondo le stime di Milano Finanza, potrebbero esserci in tale settore circa 300mila ricorsi alla legge fallimentare. Una catastrofe. Alle restanti si prospetterebbero in conseguenza tre strade: chiudere, vivacchiare o (per quadrare il cerchio) farsi assorbire da o fondersi con aziende più grandi. Purtroppo, mi è chiara la problematica della PMI di fronte alla sfida della globalizzazione: da un lato la ridotta dimensione e, dall'altro, la riottosità a consorziarsi. Ma ciò non dovrebbe significare, qualora la proposta si concretizzasse, la 'liquidazione' della forza produttiva del Paese. In ogni caso, al di là della ventilata proposta e delle conseguenziali iatture, manca ad oggi da parte governativa un progetto serio per il rilancio economico, un piano industriale, la manifestazione di una concreta sensibilità verso la PMI, nonché un programma per il turismo. Né c'è all'orizzonte un piano che consenta la sostenibilità dell'aumento della spesa pubblica. Il risultato ad uno scenario come sopra ipotizzato sarebbe quello di una larga parte del tessuto produttivo in mani straniere, oligopoli in molti settori, un maggiore potere 'contrattuale' delle grandi imprese nei confronti dello Stato, già oggi oltremodo vincolato dagli 'umori' del mercato. In ogni caso, la verità la sapremo entro l'8 p.v. quando il progetto complessivo per il rilancio sarà consegnato nelle mani di Conte. L'aspetto più sconvolgente, comunque, resta il silenzio dell'opposizione ridotta a parlare per slogan se non silente. Resta il fatto che nell'azione dei superesperti non vedo alcun nesso con la democrazia. Soggetti neppure beneficiati dal voto popolare sono in grado di operare scelte che coinvolgono gli interessi e i destini di intere comunità senza che vi sia alcuno che si interroghi su questa stortura. Perché, purtroppo, per diversi aspetti, non è soltanto l'Italia in una tale situazione. Si pensi, ad esempio, al potere decisionale della Commissione Esecutiva della UE; una congerie di burocrati investiti di un potere capace di inibire scelte di Stati sovrani o di indurli verso politiche altamente impopolari. Si pensi, in conseguenza, al TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il negoziato pendente tra la UE e gli USA per integrare i due mercati, riducendo i dazi doganali e rimuovendo in una vasta gamma di settori le barriere non tariffarie, ossia le differenze in regolamenti tecnici, norme e procedure di omologazione, standard applicati ai prodotti, regole sanitarie e fitosanitarie al fine di rendere possibile la libera circolazione delle merci, facilitare il flusso degli investimenti e l'accesso ai rispettivi mercati dei servizi e degli appalti pubblici. Una volta concluso, quel trattato riguarderà tutti i settori di produzione e consumo come cibo,

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farmaci, energia, chimica, ma anche i nostri diritti connessi all'accesso a servizi essenziali di alto valore commerciale come la scuola, la sanità, l'acqua, la previdenza e le pensioni: tutti esposti a privatizzazioni e alla potenziale acquisizione da parte delle imprese e dei gruppi economicofinanziari più attrezzati, e dunque più competitivi. E ciò senza pensare che misure protettive, come i contratti di lavoro, misure di salvaguardia o protezione sociale o ambientale, potrebbero essere spazzate via a meno di affidarsi allo studio legale giusto e ben accreditato visto che l'articolato di quel trattato prevede l'introduzione di un arbitrato internazionale (denominato ISDS-Investor-state dispute settlement) che permetterà alle imprese di intentare cause per 'perdita di profitto' contro i governi dei paesi europei, qualora questi portassero avanti legislazioni che potenzialmente possano mettere in discussione le aspettative (si pensi) di profitto delle stesse imprese. Come se già non bastasse il privato WTO (l'organizzazione mondiale del commercio) le cui decisioni sul piano internazionale sono già ora 'leggi'. Chissà quale ipotesi giuridica potrebbe configurare oggi Massimo Severo Giannini, 'inventore' del tertium genus, di fronte ad una situazione del genere; forse quella di una 'democrazia privatizzata'? Tanto, già dobbiamo fare i conti con quella 'illiberale', pervasiva come non mai. Per cui una in più non fa grossa differenza. Forse mai come ora sarebbe da sposare, parafrasandola, 1 la considerazione dello stesso Giannini : "Lo Stato repubblicano è ancora (ormai) un edificio in costruzione (distruzione): per alcune parti anzi malfatto; per altre perfino somigliante ad un bel rudere, come quello di un palazzo imperiale del Palatino". Comunque, il terzo fatto che mi ha colpito non è riferito al TTIP, aggiunto solo quale ulteriore contributo per 'arricchire' (che termine curioso) la riflessione; bensì concerne la 'generosa' azione del magnate Bill Gates; così dall'Italia, attraverso l'Europa, possiamo approdare al mondo. Ora, è bene precisare che non nutro avversione per Gates, anzi tutto sommato gli sono grato per aver 'creato' Microsoft cosicché io possa dilettarmi col computer senza dover ricorrere ad astrusi (per me) linguaggi macchina. Peraltro, gli dovrei essere ulteriormente grato perché, in occasione della Pledging Conference organizzata dalla Commissione europea lo scorso 4 maggio, Gates ha parlato con il nostro presidente del Consiglio e confermato l'impegno per generare investimenti in ricerca anti-coronavirus pari a 7,5 miliardi di euro. Anche il 'grande' Gates ci darà una mano. La signora Gates, inoltre, ha precisato che "Si tratta di mettere in piedi con i governi del mondo un piano affidabile per lavorare insieme alle diagnosi, ai medicinali e ai vaccini, nel modo più rapido 2 possibile" . E qui cade l'asino. Mettere in piedi con i governi del mondo …. Non si avverte un senso di inquietudine per le 'dimensioni' dell'affermazione? Si badi bene, non si tratta di mitomania bensì di vera e propria capacità di realizzare il progetto. Intanto, bisogna fare i conti con gli indirizzi che si stanno determinando a livello mondiale: c'è da credere che lo shock psicologico della pandemia (a prescindere dal numero dei contagi) terminerà quando sarà disponibile il vaccino e che, fino ad allora, la vita non ritroverà la normalità. Quindi, ciò che oggi abbiamo è un indiscutibile interessato stimolo della ricerca, ovviamente privata, intanto verso un nuovo tipo di immunizzazione, il cosiddetto vaccino Mrna che usa codici genetici.


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Poi, verso la diagnostica per arrivare a test simili (per velocità e praticità) a quello per la gravidanza. Infine, verso farmaci antivirali. È già in conto che, di concerto con la ricerca, ci sarà bisogno di organizzazioni regionali, nazionali e globali in grado di indirizzare e coordinare. Però, a questo punto, si potrebbe obiettare che per tale bisogna esiste già l'Organizzazione mondiale della Sanità ma qualcuno scoppierebbe sicuramente in una crassa risata. Nella trasmissione di Report dello scorso 18 maggio, dal titolo 'Disorganizzazione mondiale della sanità', il conduttore Sigfrido Ranucci, in introduzione, ha mandato un video del 2015 dove Gates propone uno scenario che evoca incredibilmente quello in cui ci troviamo oggi. Il giornalista Giulio Valesini, poi, ha riportato un po' di dati che ha poi commentato con diversi ospiti: "Lo scorso biennio il bilancio dell'OMS ha totalizzato 5,6 miliardi di dollari ma le quote fisse pagate dagli Stati non arrivano nemmeno al 20%. L'80% del budget invece è versato da Stati e privati su base volontaria. Mettono i soldi e decidono per cosa si spendono". Germán Velásquez, consigliere speciale in politica e salute per South Centre, ha spiegato: "L'OMS negli ultimi 20 anni è stata privatizzata e l'operazione l'ha completata la direttrice Margaret Chan durante il suo mandato triennale". Questa operazione di privatizzazione per Velásquez ha favorito principalmente l'industria farmaceutica e ha aggiunto: "La verità, volendo essere un po' cinici, è che i paesi industrializzati, fino a quattro mesi fa, volevano un OMS senza molti poteri per non danneggiare la propria industria". Gli Usa erano i maggior donatori ma pochi giorni fa hanno annunciato di ritirare i fondi, accusando l'OMS di aver gestito male l'emergenza e di aver coperto la diffusione del coronavirus. Molto curioso è che, dopo gli USA, il secondo donatore dell'OMS non è uno Stato ma Bill Gates. La sua fondazione, infatti, versa più di mezzo miliardo di dollari ogni biennio. Di fatto stabilisce lui quali sono le priorità della fondazione. Valesini, infine, ha spiegato che i fondi di Gates: "provengono dal trust di famiglia dove ci sono i proventi dei suoi investimenti nel campo sanitario e nelle industrie farmaceutiche. Ha investito in azioni del campo sanitario circa 320 milioni di euro". Ne consegue che se Gates, da donatore, decidesse su cosa l'OMS deve investire, fermo restando l'enorme conflitto di interesse, avrebbe buon gioco perché il suo potere e la sua l'influenza all'interno dell'Organizzazione è davvero imponente. Difatti, a conclusione del servizio, Ranucci ha commentato "Più investimenti nel trust e più soldi che arrivano alla sua fondazione. Poi veste i panni da filantropo e li dona all'OMS, risparmiando tasse. Determina così le politiche sanitarie, le campagne di vaccinazione e le cure farmaceutiche, magari prodotte da quelle multinazionali sulle quali lui ha investito. Crediamo che la salute della popolazione mondiale meriti qualcosa di meglio". Mi chiedo, tanto per riderci su, come Gates venga considerato dalla corrente dei filoamericani italiani. Tre situazioni, quelle di cui sopra, che s'inseriscono in quadri molto più vasti e dai più ampi risvolti le cui comuni caratteristiche, comunque, sono l'illogicità, l'interesse privato e, perché no, la violenza. Certo, non quella squadrista o dittatoriale ma pur sempre violenza perché con ogni

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evidenza deriva dall'arroganza del potere fine a sé stesso che si contrappone ad altri poteri analoghi nella più assoluta, generale indifferenza. Una specie di 'gioco dei troni' dove la popolazione, semmai, in un capovolgimento nell'opposto per dirla alla Freud, da 'committente' diviene semplice, silente, contribuente, utente, consumatrice in una irridente qualificazione di libertà. Resta, in ogni caso, il fatto che la democrazia, tanto cara a Tucidide, a Polibio, a Clistene, a Publio Cornelio Scipione Emiliano, a Cicerone, a Jean-Jacques Rousseau e a Montesquieu, i cui scritti li abbiamo assimilati sui libri di studio, è diventata un cartellone pubblicitario, con tanto di majorettes, di una competizione antagonistica dove girano miliardi a sfare. Un po' come il calcio o la Formula 1. Già, un cartellone pubblicitario … che per l'uomo del popolo è l'insegna dello stand del luna-park di '4 palle un soldo' dove far divertire il bambino come unico svago di una domenica pomeriggio. <<Mi scusi - interpello con atteggiamento sommesso l'uomo dietro il bancone - Perché continua a spostare il bersaglio mentre il bambino lancia la biglia?>>. <<Ma non rompere le palle - è la violenta risposta dell'uomo dello stand - E levati dai coglioni, incapace e perdente.>>. C'è da capirlo, deve fare gli interessi del padrone. Massimo Sergenti

Note: 1. La lentissima fondazione dello Stato repubblicano, in Scritti, VII, 1977-1983, Giuffrè, 2005, p. 657 2. GRAZIA, 7 maggio 2020, n. 21-22


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RESA INCONDIZIONATA! Con l'armistizio sottoscritto dal Generale Castellano, delegato badogliano, il 3 settembre del 1943 a Cassibile in Sicilia, venne ratificato, per accettazione da parte italiana, il testo dell'armistizio (termine inopportuno ma la storia recita cosi), redatto dagli angloamericani; il Generale Castellano, non aveva tuttavia con sé alcuna delega né un decreto del presidente del Consiglio Badoglio in quanto questi non gradiva che il suo nome fosse associato a tale disfatta. Il Generale Castellano, in borghese (perché così fu imposto dagli Angloamericani in segno di evidente sottomissione), sottoscrisse il testo di un telegramma da inviare a Roma che venne redatto dal generale Bedell Smith, in cui si richiedeva autorizzazione alla firma dell'armistizio da parte del generale italiano per conto del presidente del Consiglio Badoglio; a quel punto Badoglio non avrebbe più potuto evitare il coinvolgimento del suo nome, considerato, altresì che senza l'autorizzazione si sarebbero interrotte le trattative. Badoglio, non nuovo a tali artifizi, dopo aver omesso di rispondere al telegramma e non prima che il Generale Castellano sollecitasse con ulteriore telegramma riscontro con il medesimo mezzo, rispose con un audacia temeraria igiene ilspirituale radiogramma in cui chiariva che il testo del telegramma del 1º settembre era già un'implicita accettazione delle condizioni di armistizio poste dagli Alleati ma si rifiutò, ostinatamente, di trasmettere una delega. Tale premessa appare essenziale per il parallelismo che questo modesto scrittore intravede nel governo del Re ombra e della sua controfigura attuale. La vicenda da lo spunto ad alcune considerazioni conseguenti le misure adottate a seguito della crisi realizzatasi con la vicenda COVID NINENTEEN che ha fatto emergere il nervo scoperto che assilla le attuali generazioni dei nostri politici, ormai nativi digitali, dove la fantasia e la capacità d'ingegno pare ormai una chimera. Durante la vicenda pandemica, il governo della res publica italiana (che taluni definisco, scherzosamente, res pubica), inventa, letteralmente, tre fasi (il che parrebbe contradditorio rispetto a quanto anzidetto della ormai cronica carenza di fantasia), fase uno, due e tre. Durante la fase uno o meglio nel bel mezzo della fase uno (quella dove gli operatori sanitari venivano chiamati eroi, per poi dimenticarsi della loro esistenza anche sotto il profilo economico), è intervenuta l'arguta idea di nominare una serie di esperti capeggiati dal dott. Colao, noto manager residente a Londra che dalla capitale inglese (dalla stessa capitale sono partiti importanti cambiamenti per il suolo italico sin dal secolo diciannovesimo) capeggia un Comitato con il "compito di elaborare e proporre misure necessarie a fronteggiare l'emergenza e per una

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ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali" (comunicato del 10.4.2020, dal sito del Governo); il comitato si compone di psicologi, tecnologi, economisti, dirigenti d'azienda, giuslavoristi, esperti di statistica, bancari, commercialisti, sociologi, professori universitari giornalisti…e sinanche un medico (psichiatra). Il governo ufficializza la task force diretta dal Dr. Colao, ma nulla dice delle altre 14 task force per un totale di 450 esperti nell'ambito dei ministeri a cui si aggiungono altri esperti nelle amministrazioni locali (non comprendo l'uso della lingua inglese ma mi adeguo). Fra tutte la task force preseduta dal ministro degli affari regionali Boccia con 40 esperti nel cui novero ci sono tre presidenti di regione, altra task force composta da 35 membri per la liquidità bancaria (che hanno pensato bene di garantire il prestito alle imprese e partita iva, omettendo di evitare le istruttorie bancarie ancorché utili in taluni casi), quella del ministro della istruzione (la stessa che ha ipotizzato le classi alternate… senza personale docente che avrebbe fatto funzionare la scuola per 12-14 ore al giorno), della Giustizia (20 membri) e quella carceri (…la stessa che forse avrà consigliato il governo lo svuota carceri), 40 della struttura e supporto del commissario Arcuri e sinanche quella per il rinascimento delle donne (12 membri), senza dimenticare la task force fake news ed i 76 membri della task force "dati". Orbene il Governo Conte è composto da 65 membri tra premier, ministri, viceministri e sottosegretari. A questi si aggiungono staff, segretari generali, capi di gabinetto, segreterie tecniche, uffici legislativi e dirigenti di ogni ordine e grado della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri a cui si aggiungono oltre 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici in circa 12.800 istituzioni diverse….che ricevono trattamenti retributivi di tutto rispetto senza alcun dubbio, fatta eccezione del personale impiegatizio il cui trattamento, in ogni caso, appare proporzionato al quantità e qualità del lavoro svolto (talaltro, in molte occasione, in maniera lodevole). Il punto di domanda è rappresentato da una considerazione che proviene da un uomo qualunque….. a cosa servono 15 comitati scientifici quando il contribuente italiano ha oltre 3 milioni e mezzo di dipendenti, un governo con una pletora di Ministri e sottosegretari, come il parlamento ha fior fior di commissioni e consulenti nel cui ambito eccellono, il cnel, l'ispesel, l'iss e centinaia di enti 1 (dato ufficiale istat 2018 con un elenco lungo 43 pagine) Il de profundis sono gli "stati Generali dell'economia" di Villa Pamphilj a Roma, incontro a porte chiuse dal 13 al 21 giugno 2020 per discutere del piano Colao a cui interverranno importanti uomini politici internazionali e sinanche Oscar Farinetti, il presidente dell'Fmi, il presidente del Parlamento Europeo, economisti francesi del calibro di Olivier Jean Blanchard ed Esther Duflo, la presidente della Commissione Ursula Von Der Leyn, la presidente della BCE Lagarde. Un'assise internazionale per discutere di un piano elaborato da un componente esterno al Governo ed al parlamento, alla presenza di un Presidente del Consiglio in carica…..che non ha sottoscritto il piano…ma si limita a presentarlo, assumendo, sostanzialmente che la sua delega nella nomina dei componenti della Task Force è una implicita accettazione di quel piano, benchè non lo abbia sottoscritto (in caso di disfatta….); ebbene è questa la resa incondizionata dell'Italia, laddove, se da una parte si affida un piano strategico per il rilancio dell'Italia ad un componente esterno al Governo ed ai suoi esperti, delegittimando, di fatto, l'intero governo, dall'altra, per affrontare


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questioni interne, occorre la presenza di alte cariche internazionali del mondo politico, economico ed accademico in vece del Parlamento Italiano….bene hanno fatto le opposizioni a non presentarsi benché abbiano il dovere di spiegarne a chiare lettere le ragioni. Allora è davvero resa senza condizioni! Ove ci fossero dubbi credo che questa assise sia la prova provata del commissariamento, ipso facto, dell'Italia. Emilio Petruzzi

Nota: 1.In Italia abbiamo Organi Costituzionali e di rilievo costituzionale come: Camera dei Deputati, Consiglio di Stato, Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, Consiglio Superiore della Magistratura, Corte Costituzionale, Corte dei Conti, Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, Senato della Repubblica, Ufficio Parlamentare di Bilancio, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, Ministero dell'Istruzione, Ministero dell'Università e della Ricerca, Ministero della Difesa, Ministero della Giustizia, Ministero della Salute, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Agenzie fiscali, Agenzia del Demanio, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Agenzia delle Entrate. Enti di regolazione dell'attività economica: Agenzia italiana del farmaco – AIFA, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali – AGE.NA.S., Agenzia nazionale per la sicurezza del volo – ANSV, Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie – ANSF, Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro – ANPAL, Agenzia per i controlli e le azioni comunitarie – AGE.CONTROL S.p.a., Agenzia per l'Italia digitale – AGID, Agenzia per la coesione territoriale, Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni – ARAN, Agenzia per le erogazioni in agricoltura – AGEA, Cassa per i servizi energetici e ambientali – CSEA, Ente nazionale per il microcredito, Gestore dei servizi energetici – GSE S.p.a., Ispettorato nazionale del lavoro, Enti produttori di servizi economici, Acquirente Unico S.p.a. in forma abbreviata AU S.p.a., Agenzia delle entrate - Riscossione, Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, Agenzia nazionale per il turismo – ENIT, Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata – ANBSC, Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.a., Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane – ICE, Amministrazione degli archivi notarili, Anas S.p.a., ANPAL Servizi S.p.a., Armamenti e aerospazio S.p.a. in liquidazione, Buonitalia S.p.a. in liquidazione, Concessionaria servizi informativi pubblici – CONSIP S.p.a., Consorzio Infomercati in liquidazione, Ente nazionale per l'aviazione civile – ENAC, Ente nazionale risi, Equitalia Giustizia S.p.a., Fondo per la crescita sostenibile, FormezPA - Centro servizi, assistenza, studi e formazione per l'ammodernamento delle P.A., Istituto per la finanza e l'economia locale – IFEL, Rete Ferroviaria Italiana – Società per azioni in sigla RFI S.p.a., Ricerca sul sistema energetico RSE S.p.a., Società generale d'informatica – SOGEI S.p.a., Società Gestione Impianti Nucleari – SOGIN S.p.a., Società Italiana Traforo Autostradale del Frejus – S.I.T.A.F. S.p.a., SOGESID S.p.a., Soluzioni per il Sistema Economico – SOSE S.p.a., Tunnel Euralpin Lyon-Turin. Autorità amministrative indipendenti: Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca – ANVUR, Autorità di Regolazione dei Trasporti – ART, Autorità di regolazione per energia reti e ambiente – ARERA, Autorità garante della concorrenza e del mercato – AGCM, Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza – AGIA,

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Autorità nazionale anticorruzione – ANAC, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – AGCOM, Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Garante per la protezione dei dati personali – GP. Enti a struttura associativa: Associazione nazionale comuni italiani – ANCI, Associazione nazionale degli enti di governo d'ambito per l'idrico e i rifiuti – ANEA, Centro Interregionale per i Sistemi Informatici Geografici e Statistici – CISIS, Federazione nazionale dei consorzi di bacino imbrifero montano – FEDERBIM, Unione delle province d'Italia – UPI, Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura – UNIONCAMERE, Unione nazionale comuni, comunità, enti montani – UNCEM. Enti produttori di servizi assistenziali, ricreativi e culturali: Accademia della Crusca, Agenzia nazionale per i giovani, Agenzia per lo svolgimento dei XX giochi olimpici invernali Torino 2006 in liquidazione, Ales – Arte lavoro e servizi S.p.a., Associazione della Croce Rossa italiana – CRI, Comitato Italiano Paralimpico – CIP, Comitato Olimpico Nazionale Italiano – CONI, Ente strumentale alla Croce Rossa italiana in liquidazione coatta amministrativa, Federazione ciclistica italiana (FCI), Federazione ginnastica d'Italia (FGDI), Federazione italiana badminton (FIBA), Federazione italiana baseball softball (FIBS), Federazione italiana bocce (FIB), Federazione italiana canoa kayak (FICK), Federazione italiana canottaggio (FIC), Federazione italiana cronometristi (FICR), Federazione italiana danza sportiva (FIDS), Federazione italiana di atletica leggera (FIDAL), Federazione italiana di tiro con l'arco (FITARCO), Federazione italiana discipline armi sportive da caccia (FIDASC), Federazione italiana giuoco handball (FIGH), Federazione italiana giuoco squash (FIGS), Federazione italiana golf (FIG), Federazione italiana hockey (FIH), Federazione italiana judo lotta karate arti marziali (FIJLKAM), Federazione italiana motonautica (FIM), Federazione italiana nuoto (FIN), Federazione italiana pallacanestro (FIP), Federazione italiana pallavolo (FIPAV), Federazione italiana pentathlon moderno (FIPM), Federazione italiana pesca sportiva e attività subacquee (FIPSAS), Federazione italiana pesistica (FIPE), Federazione italiana scherma (FIS), Federazione italiana sci nautico e wakeboard (FISW), Federazione italiana sport del ghiaccio (FISG), Federazione italiana sport equestri (FISE), Federazione italiana sport rotellistici (FISR), Federazione italiana taekwondo (FITA), Federazione italiana tennistavolo (FITET), Federazione italiana tiro a volo (FITAV), Federazione italiana triathlon (FITRI), Federazione italiana vela (FIV), Federazione motociclistica italiana (FMI), Federazione pugilistica italiana (FPI), Fondazione Biblioteca europea di informazione e cultura – BEIC, Fondazione Centro internazionale radio medico – CIRM, Fondazione Centro sperimentale di cinematografia – CSC, Fondazione Festival dei Due Mondi, Fondazione La biennale di Venezia, Fondazione La quadriennale di Roma, Fondazione MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Fondo edifici di culto, Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà – INMP, Lega italiana per la lotta contro i tumori, Museo storico della liberazione, RAI - Radiotelevisione italiana S.p.a., Scuola archeologica italiana di Atene, Segretariato europeo per le pubblicazioni scientifiche – SEPS, Sport e salute S.p.a., Unione italiana tiro a segno (UITS). Enti e Istituzioni di ricerca: Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile – ENEA, Agenzia spaziale italiana – ASI, Area di Ricerca Scientifica e Tecnologica di Trieste – Area Science Park, Consiglio nazionale delle ricerche – CNR, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria – CREA, Consorzio per le applicazioni nei materiali polimerici e compositi – CAMPEC in liquidazione, Consorzio per le biologie avanzate – BIOSISTEMA in liquidazione, Elettra Sincrotrone Trieste S.c.p.a., Fondazione Centro ricerche marine, Fondazione Istituto italiano di tecnologia – IIT, Istituto italiano di studi germanici, Istituto nazionale di alta matematica “Francesco Severi” – INDAM, Istituto nazionale di astrofisica – INAF, Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa – INDIRE, Istituto nazionale di fisica nucleare – INFN, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – INGV, Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale – OGS, Istituto nazionale di ricerca metrologica – INRIM, Istituto nazionale di statistica – ISTAT, Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione – INVALSI, Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche – INAPP, Istituto superiore di sanità – ISS, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA, Museo storico della fisica e Centro studi e ricerche Enrico Fermi, Stazione zoologica A. Dohrn.


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Istituti zooprofilattici sperimentali: Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna “Bruno Ubertini”, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “Adelmo Mirri”, Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Abruzzo e del Molise “Giuseppe Caporale”, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche “Togo Rosati”. Tralasciando gli enti locali comuni province e regioni, ci sono altre agenzie locali. Agenzie ed enti regionali del lavoro: Agenzia per il Lavoro e l'Istruzione – Campania – in liquidazione, Agenzia Piemonte Lavoro, Agenzia Regionale Molise Lavoro, Agenzia Regionale per il Lavoro – Emilia-Romagna, Agenzia Regionale per le Politiche Attive del Lavoro (ARPAL) – Umbria, Agenzia Regionale Toscana per l'Impiego – ARTI, Agenzia Sarda per le Politiche Attive del Lavoro ASPAL, Azienda Calabria Lavoro LAB, Agenzia Regionale Lavoro e Apprendimento Basilicata, Veneto Lavoro. Agenzie ed enti regionali e provinciali per la formazione, la ricerca e l'ambiente: Agenzia Metropolitana per la Formazione, l'Orientamento e il Lavoro – AFOL metropolitana, Agenzia Provinciale per l'Istruzione e la Formazione Professionale, l'Orientamento e l'Impiego di Matera, Agenzia Provinciale per l'Orientamento, il Lavoro e la Formazione di Pavia, Agenzia Regionale Conservatoria delle Coste della Sardegna, Agenzia Regionale di Informatica e Committenza – ARIC, Agenzia Regionale per la Lingua Friulana – ARLeF, Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione dell'Ambiente – ARPA Puglia, Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto – ARPAV, Agenzia Regionale per la Prevenzione, l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia Romagna – ARPAE, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana – ARPAT, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del Lazio – ARPA LAZIO, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del Piemonte – ARPA Piemonte, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente dell'Umbria – ARPA UMBRIA, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Campania – ARPAC, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Lombardia – ARPA LOMBARDIA, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Sicilia – ARPA SICILIA, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Valle d'Aosta – ARPAVDA, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente Ligure – ARPAL, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del Friuli Venezia Giulia – ARPAFVG, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Basilicata – ARPAB, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Sardegna – ARPAS, Agenzia Regionale per la Tecnologia e l'Innovazione della Puglia – ARTI, Agenzia Regionale per la Tutela dell'Ambiente – ARTA Abruzzo, Agenzia Regionale Protezione Ambiente Marche – ARPAM, Agenzia Regionale Protezione Ambiente Molise – ARPA MOLISE, Agenzia Regionale Sardegna Ricerche, Agenzia Umbria, Ricerche Agris Sardegna – Agenzia per la Ricerca in Agricoltura ARPACAL, – Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Calabria, Centro di Formazione e Istruzione Professionale del Piambello, Centro di Ricerca Sviluppo e Studi Superiori in Sardegna – Crs4 S.r.l. Centro Formativo Provinciale Giuseppe Zanardelli, Centro Interaziendale Addestramento Professionale Integrato – C.I.A.P.I. ,Centro per la Formazione Permanente e l'Aggiornamento del Personale del Servizio Sanitario – Cefpas, Ires – Istituto Ricerche Economico Sociali del Piemonte Istituto F. S. Nitti, – Agenzia Regionale per lo Sviluppo delle Risorse Amministrative Istituto Provinciale per la Ricerca e la Sperimentazione Educativa – I.P.R.A.S.E, Istituto Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali – I.P.R.E.S., Istituto Regionale del Vino e dell'Olio, Istituto Sperimentale Zootecnico per la Sicilia, Istituzione Formativa della Provincia di Rieti, Laore Sardegn,a Polis Lombardia – Istituto Regionale per il supporto alle politiche della Lombardia, Porto Conte Ricerche S.R.L. Agenzie regionali per la rappresentanza negoziale: Agenzia Rappresentanza Negoziale della Regione Siciliana, Agenzie regionali per le erogazioni in agricoltura Agenzia della Regione Calabria per le Erogazioni in Agricoltura ARCEA, Agenzia Regionale per le Erogazioni in Agricoltura – Emilia Romagna AGREA, Agenzia Regionale per le Erogazioni in Agricoltura della Regione Valle d'Aosta/Vallé d'Aoste AREA VdA, Agenzia Regionale Piemontese per le Erogazioni in Agricoltura ARPEA, Agenzia Regionale Sarda per la Gestione e l'Erogazione degli Aiuti in Agricoltura ARGEA, Agenzia Regionale Toscana per le Erogazioni in Agricoltura ARTEA, Agenzia Veneta per i Pagamenti in Agricoltura AVEPA, Agenzie

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regionali sanitarie e aziende ed enti di supporto al SSN Agenzia di controllo del Sistema Socio Sanitario Lombardo, Agenzia Regionale di Sanità – Regione Toscana, Agenzia Regionale di Sanità ARSAN Regione Campania, Agenzia Regionale Sanitaria – ARES Pugli,a Agenzia Regionale Sanitaria Marche Agenzia Regionale Strategica per la Salute e il Sociale – A.Re.S.S. Agenzia Sanitaria Regionale – Abruzzo Arsenàl.it – Centro Veneto Ricerca e Innovazione per la Sanita Digitale Azienda Ligure Sanitaria – A.Li.Sa., Azienda per il Governo della Sanità della Regione Veneto – Azienda Zero, Azienda Regionale di Coordinamento per la Salute – ARCS, Azienda Regionale di Emergenza e Urgenza della Sardegna – AREUS, Azienda Regionale Emergenza Sanitaria ARES 118, Azienda Regionale Emergenza Urgenza – AREU 118, Lombardia Ente di Supporto Tecnico - Amministrativo Regionale – ESTAR, Società Regionale per la Sanità S.P.A. – So.Re.Sa. S.P.A.


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DIDATTICA A DISTANZA E WEB GENERATION L'emergenza sanitaria ha costretto le nostre comunità scolastiche a riadattarsi completamente alla didattica a distanza (Dad), dovendo affrontare sfide importanti. In molti sostengono che la scuola online non sia vera scuola, in quanto cessa di rappresentare quel forte punto di riferimento conosciuto da bambini ed adolescenti. Certamente la necessità di evitare i rischi della dispersione e del disadattamento scolastico ha accelerato la diffusione della Dad, ma sono presto emersi i rischi relativi alla sua sopravvalutazione, dovendo promuovere a strumento educativo normalizzato il mondo dell'online, con logiche e modelli di fruizione delle informazioni che prima dell'emergenza suscitavano non pochi interrogativi relativamente all'utilizzo che ne facevano i giovani. Il problema è che abbiamo subito non solo un isolamento, ma una sorta di bombardamento psichico costante che ci ha precipitato nell'incertezza trasformando spesso in regola ciò che pochi mesi fa apparteneva al mondo dell'eccezione. La realtà dominata da fretta, disattenzione ed iper-protezione, espone i giovani - vissuti tra superficialità adulte e richieste di perfezione - al rischio quotidiano dell'invisibilità e del vuoto interiore, in bilico su un disagio psicologico che si va trasformando in disadattamento culturale. Per sopravvivere alla paura ed al senso di impotenza che gravano sulla quotidianità, molti ragazzi spesso si lasciano scivolare in quella dimensione gruppale di amplificazione sensoriale che ricerca paradisi artificiali di benessere, anestetizzando il dolore e trasformando compulsivamente le visioni in azioni. Ci accorgiamo come la crisi non rappresenti tanto un'eccezione, ma la regola della società complessa, esprimendosi nella mutazione del senso di continuità personale, con il futuro che da dimensione temporale della promessa diventa orizzonte di minaccia. La rete diventa uno degli strumenti privilegiati per sentirsi protagonisti, consentendo ai giovani di recitare sulla scena del mondo in un modo che spesso, ha rivelato la tragica inconsistenza della propria lettura della realtà. Opportunamente, l'architetto Andrea Bencini definisce la Rete il "luogo dell'ubiquità sedentaria", una dimensione immateriale, psicologicamente sovrapposta a quella reale, in cui vengono abbattute le barriere, sovvertendo il tempo psichico nella ricerca di un'assoluta istantaneità che sottrae consistenza al tempo sociale mutandolo in racconto biografico e privandolo di prospettive di condivisione. Il web sintetizza alla perfezione le richieste giovanili di una dimensione rigorosamente strutturata, ma allo stesso tempo anche inafferrabile ed evanescente, da sottoporre a continua

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revisione e rappresentabile con modalità sempre diverse, capaci di tracciare un'incerta traiettoria tra emozioni e senso di fragilità. Il mondo del web è un labirinto in cui perdersi e ritrovarsi, luogo obliquo di incessanti trasformazioni, tanto da segnare irreversibilmente una linea di demarcazione tra le generazioni, tra chi appare limitato dal proprio ancoraggio al sistema di significato della "società consistente" e chi maneggia con destrezza gli strumenti ed il linguaggio di Internet da intendere come tipica affermazione della società evanescente (Z. Bauman). Ora, con la Dad si cerca di azzerare questa distanza istituendo una direzione precisa nel labirinto. Prima dell'emergenza sanitaria, trascorrere del tempo in rete, con le sue infinite attività di scoperta e navigazione, era esperienza connotata da caratteristiche ricorrenti, alle quali l'emergenza ha sovrapposto istanze di tipo formativo che confliggono con la natura originaria dell'approccio dei giovani al web, costruito spesso su una visione della condizione adulta fondata sull'evitamento e sulla rigida messa a distanza. Se il web costituiva una certa limitazione della percettività sensoriale, associata ad un'amplificazione dell'emotività (che a scuola poteva essere riequilibrata), ora la formazione scolastica risulta spesso travolta dalla gestione del mezzo elettronico che il giovane vive come contesto naturale di socializzazione. Sul web la condizione di anonimato consentiva l'assunzione di altre identità, esprimendo parti di sé che nella realtà i ragazzi tenevano nascoste, mentre ora la scuola rende comunque difficile permanere in questa finzione perché si deve entrare in relazione con gli altri. Se la rete garantiva modalità comunicative asincrone, amplificando fantasie e proiezioni, la scuola al contrario è il luogo del senso di realtà, che a fatica potrà reggere la propria funzione sociale nel mondo della simulazione dell'online. Ridiscutendo i limiti spazio-temporali, il web annulla le distinzioni di ruolo all'interno di una relazione comunicativa, ma la web school, a partire dalla replica della scansione oraria delle lezioni, si riproporrà come portatrice di un ordine che a fatica potrà interrompere dinamiche dell'agire e dell'esperire assunte dai come autentico turnover di accessi alla realtà (reale o virtuale che sia). In ultimo, se le regole del cyberspazio erano la parità e l'orizzontalità (N. Urbinati), con la concreta possibilità di mettere in atto fantasie di trasgressione, l'istituzione di una gerarchia - innaturale nel web - costituita dall'asimmetria docente-discente, distorce le normali regole di ingaggio dell'online, scatenando frustrazione che crea evitamento, con molti studenti che inventano scuse di ogni tipo per sottrarsi dai doveri della "giga school". Giovani e giovanissimi troppo isolati fuori e troppo connessi dentro la propria abitazione, ci interrogano sulle criticità di una didattica a distanza super-individualizzata che difficilmente potrà sostituire l'educazione e la socializzazione in classe. Massimo Vitali


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IL COVID AL BALCONE Il 5 maggio 1936, il duce, al secolo Benito Mussolini, annunciava (da ineludibile balcone ed a seguito di congruente telegramma badogliano) che dalle ore 16 di quello stesso giorno, fuso di Addis Abeba, sui colli fatali di Roma era risorto l'Impero. In quell' istante di sommo tripudio nazionale sarebbe stato esercizio facilissimo numerare ed ubicare i pochi, autentici antifascisti italiani: essi erano infatti tutti quanti: 1) o ristretti a Ventotene e località "similiores", 2) o rifugiati a Parigi, 3) oppure espatriati negli Stati Uniti, in Australia o in Sud America. Per tutto il resto della popolazione italica, sia presente a Piazza Venezia che sparpagliata nella penisola, il fascismo era oggettivamente, ed almeno sin dai tempi degli augusti Cesari, se non la migliore condizione esistenziale, di sicuro la meno peggio considerate le consolidate, storiche vicende di un popolo perennemente soggiogato (soprattutto dalle ottiche delle singole regioni della penisola) da dominatori "stranieri" o comunque da cinici autocrati locali. Nulla può infatti togliermi dalla mente che se non fosse stato per l'incredibile percorso suicidiario che entrambi, Mussolini e fascismo, posero in atto senza soluzione di continuità a partire da quella sera stessa e fino alla fatidica data 25 aprile 1945 (scaturito da errate decisioni e tragiche scelte di campo, sia in ambito interno che internazionale, come intervento in Spagna, leggi razziali, patto d'acciaio, entrata in guerra, invasione della Grecia, campagna di Russia, costituzione della RSI, tentativo di fuga in Svizzera e via di seguito) robusti scampoli di dinastia predappiana sarebbero rimasti a lungo al potere, o almeno in bella mostra di se, nello scenario politico nazionale. Ma perché mai rinvangare oggi quanto sopra ? Perché fino a quel fatidico pomeriggio della primavera del '36, Mussolini, con Claretta in adorazione alle sue spalle e la folla plaudente ai suoi piedi, le aveva "indovinate" proprio tutte, sia in ambito interno che internazionale, dando al popolo italiano ciò che esso realmente desiderava: avere a Roma un decisionista che si caricasse sulle spalle le ingrate rogne della gestione di quella lontana ed estranea entità chiamata "governo della cosa pubblica", liberando il singolo da scelte "sociali" che non fossero prettamente rivendicative e lasciandogli soltanto l'incombenza di attendere alla propria, unica passione e precipuo interesse: occuparsi dei santissimi fatti propri e/o delle dirette convenienze personali. Nota a margine: Totalitarismo, de-responsabilizzazione sociale, semplicità concettuale nella vita di piazza: gli

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italiani, nel loro profondo intimo, l'adorano! E vi prego, stiamo ai fatti: è inconcepibile che un improbabile leader come Giuseppe Conte, sconosciuto e neanche eletto, sia riuscito, con un tratto di penna, ad ottenere qualcosa di cui mai, e poi mai, fior di super leaders plebiscitariamente e "democraticamente" riconosciuti, sarebbero mai stati capaci: tenere - e volontariamente - sessanta milioni di italiani autoreclusi in casa. Ci deve essere del "ben altro", ed eccolo quì: un Signor Virus, cioè un'entità amorfa ed invisibile, ma dagli atti e relative conseguenze molto concrete, fonte di paura astratta, ma nel contempo aleggiante sempre e dovunque. In sostanza una dittatura bella e buona. Afferma infatti il dizionario: "dicesi dittatura una forma autoritaria di governo che nella sua accezione moderna accentra il potere in un solo organo se non addirittura nelle mani del solo dittatore non limitato da leggi, costituzioni o altri fattori politici e sociali interni allo Stato". Esatto, e ciò è proprio quanto uno sconosciuto "quisque de populo", il nostro attuale, ineffabile Presidente del Consiglio, è riuscito a fare con un tratto di penna; cosa che invece (ma vi rendete conto!) leaders politici conclamati, esplicitamente eletti dal popolo e dalla forte caratura individuale come un De Gasperi, un Togliatti, un Moro, un Fanfani, un Andreotti, un Berlinguer, un Craxi, un Berlusconi e compagnia cantante mai avrebbero potuto, neanche lontanamente, immaginare. Tutto merito personale dunque dell'avvocato pugliese con "pochette"? Ma dai! Soltanto il potere superiore di un "idea", al contempo teorica (in quanto invisibile agli occhi) e pratica (in quanto concretamente misurabile nelle sue esplicite conseguenze e diretta percezione da parte dalle masse) poteva conseguire un tale miracolo politico. Appunto, quell' impalpabile e misterioso dittatore chiamato Coronavirus. Scusate la digressione e torniamo al nostro ragionamento: Mussolini consentì inoltre (e qui sta la "genialità" del regime ed il suo relativo, pluriennale successo) ad una miriade di singoli individui, allocati in svariate posizioni di piccola autorità amministrativa, di esercitare molteplici forme di micro "potere", certamente circoscritte, ma tutte foriere di quell'inebriante, afrodisiaca facoltà di poter anche (ed in qualche limitato modo), "abusarne". Ed ecco allora, nel ristretto ambito delle rispettive, specifiche competenze, il responsabile del condominio nei confronti dei condomini, il preside della scuola nei confronti delle maestrine, il capo della sperduta stazioncina ferroviaria nei confronti dei passeggeri, il capetto dell'ufficio pubblico nei confronti degli impiegati, il primario di reparto nei confronti delle infermiere e, "last but not least", il padre di famiglia nei confronti di moglie e figli, esercitare il rispettivo potere con quei "legittimati" margini di un qualche autoritarismo. Che goduria! Nulla di grave intendiamoci, ma certamente il godimento di poter comandare di "pancia", agire con individuale assertività, dire la propria con la gradevole consapevolezza di sentirsi terminale di una catena di insindacabilità originante da un "Lui" e che, sempre a quel "Lui", potesse fare, anche se in modo del tutto ideale, ancorché a volte grottesco, riferimento (un qualcuno, genio assoluto, ebbe infatti, anni dopo, a domandarsi: "ma siamo uomini o caporali"? "Caporali …, italici caporali siamo" mi verrebbe di rispondere!).


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Inoltre il gene della caporalesca italianità è del tutto "bipartisan", e cioè sia di destra che di sinistra. Si sono visti infatti prestigiosi capi di partiti politici di consolidata matrice popolarproletaria, una volta raggiunta un'apicale posizione ministeriale, trattare i propri umili uscieri con un disprezzo che neanche un despota di gogoliana memoria si sarebbe azzardato a fare con le proprie "anime morte". A questo punto è legittimo chiedersi: ma a che pro tutta l'elucubrazione di cui sopra su fascismo e relativi annessi e connessi? Domanda legittima! ed è quindi doveroso che io spieghi: Settantacinque anni di democrazia parlamentare, in salsa "Chef" di "diritti senza se e senza ma", marinati in brodo di assoluta correttezza politica a prescindere, hanno certamente indebolito, ma non fino ad estinguerla del tutto, quella naturale, intrinseca propensione "caporalesca" latente in ogni italiano/a al di là di qualsiasi affermazione del suo contrario, anche se espressa in perfetta buona fede. Infatti: pensiero esplicito dell'italiano/a medio: "sono sinceramente democratico, buonista, solidale, ecologico, ambientalista, animalista, terzomondista etc., etc.". Tuttavia, in modo subliminale e sicuramente "ad insaputa" dell'interessato, l'incontrollabile spiritello caporalistico (orfano mai dimentico di un fascinoso, superiore, direi, perfino iperuranico, Lui per quanto ormai trasformatosi del tutto in pura astrazione psico-emotiva) continua ad agitarsi nelle piaghe più intime dell'animo italico, sempre pronto a fare capolino ogni qual volta ciò sia reso possibile da qualche favorevole, per quanto rara essa possa essere, circostanza di fatto. E' naturalmente assodato che il " Lui " storico finì nel modo che tutti conosciamo e che per 15 successivi lustri niente di appena lontanamente paragonabile sia apparso all'orizzonte della scena politica italiana. Bene! Però, come si suole dire, mai dire mai, ed ecco che oggi un'immateriale Lui, dall'invisibile costituzione fisica, ma dalle dirompenti manifestazioni concrete " batte - tanto per restare in tema - nel cielo della nostra patria": il Covid-19. Esso trovasi ovunque, è planetariamente noto, è in grado di fare del male, tutti ne parlano per avversarlo, ma nessuno può ignorarlo, aleggia, incombe, condiziona. Trattasi invero di microscopico virus, ma è ormai quasi una sorta di personaggio vivente. Tramite esso, e per esso, si agisce, si dibatte, ci si scontra, si patisce, si gioisce nel contenerlo, è un vero prodotto della imperscrutabile "provvidenza " dotato di vita propria e di totale insindacabilità. Esso è quindi, oggettivamente, una sorta di "potere dittatoriale", terribile per quanto lo si voglia, ma altresì dotato di quella inevitabile, diabolica fascinazione che accomuna tutti i despoti. Dunque un perfetto dante causa per anime vili. Ammesso dunque, ma certamente non concesso, che possa condividersi la chiave di lettura sopra esposta, ecco allora la scenetta tipo che potrebbe essere tranquillamente riproposta nei più svariati momenti italici in cui, in paziente fila e/o assembramento, ci si trova tutti quanti in attesa del proprio turno per poter accedere ad un qualche esercizio commerciale aperto al pubblico. Il (maschile) "lui" che fa al caso nostro nella fila in parola, non è un bell'uomo, non è ben vestito, è di mezza età, è di professione incerta, ma sicuramente in posizione gerarchica di subordine. E'

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praticamente iscrivibile d'ufficio nell'ampio consesso di quelli, come si direbbe oggi, … un po' sfigati. La controparte femminile, la "lei", altresì presente nella scena, è una cinquantenne, ben acconciata con "meches", di media statura, vestita decentemente con almeno un accessorio di abbigliamento "figo", guardinga e/o assertiva (per la fattispecie, fa lo stesso), attenta a che nessuno la scavalchi; il suo habitat di tipo iperuranico sarebbe naturalmente l'italica assemblea di condominio, ove ella, a secondo del caso, attacca, si difende, rintuzza, polemizza. In sostanza, tende costantemente a ribadire che lei è presente, è protagonista e che, pertanto, ella esiste. Dunque: Ci si trova tutti quanti in fila, sul marciapiede, davanti all'ufficio postale. La caporalità insita in ogni italico/a persona volteggia impalpabile nell'aria in attesa di trarre nutrimento dall'ideale connubio con il "ducesco" Coronavirus che, seppure impalpabile, tutto pervade e, di conseguenza, tutto vede. L'innesco è dato da una quisquilia, la fatidica mascherina, oggetto, come è noto, dai diversificati modi di indosso: naso/bocca (voto 10), bocca soltanto (voto 6), copri collo (voto 4), bracciale (voto 2), in tasca (voto 0-) etc. a seconda della esigenze o del vezzo del momento. La casuale visione di un indosso poco meno che da 10 e lode da parte di un distratto, o peggio negligente, malcapitato fa scattare il riflesso pavloviano di uno (o di entrambi non importa) dei due esponenti della predetta caporalesca italianità con immediato, comune retro pensiero del tipo: 1) sono certo/a che il totemico, dittatoriale virus me ne fornisca la legittimazione, diciamo "politica"; 2) non ho alcun dubbio che i martellanti "mass media" me ne diano ampia giustificazione sociale; 3) confido che gli astanti spettatori, che presumo non possano che essere d'accordo con me, facciano da efficace, seppur silente, platea di incoraggiamento operativo … e dunque (ma per dindirindina, siamo uomini - o donne, fa lo stesso - o caporali ?) sbotto a voce alta affinché tutti mi sentano: " la mascherina, perdinci, metta su la mascherina !". La recondita indole ducesca (che null'altro è se non che la figlia di quell' intima convinzione che, davanti alla legittimante entità assoluta chiamata virus, io cittadino/a d'Italia, possa considerarmi a buon diritto, un sorta di marchese/a del Grillo, tipo : " io so io e voi non siete un c … ") prende quindi un gratificante sopravvento e mi fa ergere ad insindacabile giudice fustigatore dei miei simili fatto forte di un mio auto generato inserimento in quella fattispecie di alta pregnanza storica, la pandemia virale, da me considerata molto, ma molto, più alta di tutti quanti voi, insignificanti individui, messi insieme. La controprova che tale forma di "ducesco" rimprovero sia tipicamente italiana? Chiedo aiuto alla moviola pregandola di riavvolgere la pellicola fino ad un ormai lontano ottobre 1966 con la premessa che, sebbene il tutto sembri tratto da un film di Alberto Sordi o di Checco Zalone, giuro che così non è, che tutto è veramente accaduto. Ecco allora apparire un giovane neolaureato (io) che da Palermo sbarca per la prima volta in Inghilterra per un trimestre di studio a Cambridge e che, da una stazione londinese, deve recarsi in un'altra per prendere un'ulteriore coincidenza ferroviaria per quella ridente cittadina universitaria.


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Sono in grande ritardo, rischio di perdere il treno. Fortunatamente un lato della piazza antistante la Victoria Station è occupato da una lunga fila di taxi liberi, in attesa. Che fortuna! Mi fiondo verso la prima vettura della fila, quella che sembra attendere il primo passeggero e quindi me, e soltanto me, ed allungo la mano per aprire la maniglia della portiera posteriore. Nella piazza c'è un silenzio irreale, invero troppo silenzio. Una innaturale mancanza di suono. Percepisco e capisco: trattasi di quel certo qualcosa che soltanto cinquanta paia di occhi muti, focalizzati tutti insieme su un unico punto possono così intensamente, direi fisicamente, sprigionare. Le mie spalle sono percosse da un una sensazione di doloroso disagio che mi blocca all'istante. Nel perdurante, irreale tacere, volto lentamente la testa per guardarmi indietro senza che nulla e nessuno abbia ancor fatto un gesto di richiamo, emesso il minimo suono. Nella mia foga non avevo naturalmente notato che lungo il muro, fin dietro l'angolo, si snodava una silente, lunga fila di potenziali passeggeri che avevano la mia medesima, impellente necessità: prendere lo stesso taxi per andare da qualche parte. Rivedendo oggi con un filo di nostalgia le sgranate immagini di quel vecchio filmato, mi accorgo che in quella piazza spiccava, per la sua palese assenza, qualsiasi incarnazione di "caporalato", in qualsivoglia forma o maniera la si possa concepire. Io ero si, un individuo che "sbagliava", ma comunque sempre e soltanto un individuo cittadino. Non un "suddito" da richiamare caporalescamente all'ordine. E sì, nella perfida Albione, dopo settecento anni di centralità della persona in quanto tale, il germe di tentazioni caporalesche si era, se mai ve ne fosse stata vaghezza, dissolto da secoli tra le brume del nord, lasciando soltanto, da una parte, un popolo e, dall'altra, un re da "magna charta". Da noi, ad appena sessant'anni dalla costituzione dell'unità d'Italia, ecco invece l'esigenza di dar vita ad una anomala trilogia: quella di un popolo retto contemporaneamente da un re e da un duce, in condominio. Sta tutta qui la differenza tra loquacità e silenzio di fronte alla trasgressione in una fila d'attesa. Antonino Provenzano Roma 31 maggio 2020

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NE POTEVAMO RESTARE FUORI? Una delle accuse più infamanti rivolte a Mussolini è quella di aver trascinato l'Italia in guerra. Come vedremo, l'Italia non poteva rimanere fuori da un conflitto di dimensioni mondiali e che, oltretutto, si sarebbe sviluppato nel Mediterraneo, il Mare Nostrum. Mussolini entrò in guerra il 10 giugno del 1940, un anno dopo lo scoppio del conflitto, basterebbe questa circostanza per ridimensionare la portata delle accuse di frenesia di guerra che gli sono rivolte. Mussolini era riluttante, perché consapevole dell'impreparazione militare dell'Italia e conscio dell'assoluta inaffidabilità dei vertici militari, in particolare di quelli della Regia Marina legati ai circoli massonici inglesi. Quando si decise a compiere il grande passo, la Germania era vittoriosa su tutti i fronti: dopo aver sbaragliato in poche settimane e con estrema facilità, quelli che allora erano considerati i più potenti eserciti al mondo, quello francese e quello inglese, i tedeschi avevano occupato gran parte dell'Europa continentale e si apprestavano ad invadere l'Inghilterra. In questa situazione, ci domandiamo, con chi l'Italia avrebbe dovuto allearsi, con la parte soccombente per essere a sua volta occupata dai tedeschi? Inoltre, dopo l'annessione dell'Austria Hitler guardava con interesse al Sud Tirolo italiano e a uno sbocco sul mar Adriatico attraverso l'annessione della pianura padana. Non fidandosi dei tedeschi, nel 1939 Mussolini fece edificare al confine con l'Austria il Vallo Alpino, un sistema difensivo per fronteggiare una possibile invasione da parte della Germania. Mussolini poteva anche rimanere neutrale seguendo l'esempio della Spagna di Franco, sostengono alcuni storici (cosa che, in effetti, tentò di fare, come vedremo più avanti). Questo è vero, salvo poi pagarne le conseguenze: Hitler aveva già previsto di regolare i conti con il Caudillo, accusato di scarsa riconoscenza per l'appoggio tedesco e italiano nella guerra civile spagnola e per aver negato il permesso di transito alle truppe tedesche per l'occupazione di Gibilterra (operazione Felix), dopo la conclusione del conflitto. La stessa opinione pubblica italiana, affascinata dalla stravolgente potenza tedesca, era passata dall'avversione alla guerra alla psicosi interventista, dalla non belligeranza all'ossessionante timore di arrivare tardi. In molti da mesi rimproveravano a Mussolini di “stare guardando troppo dalla finestra”. Situazione paradossale che lo porta a sbottare: «Adesso tutti desiderano sparare il primo colpo di fucile. Il Re, lo Stato Maggiore, i gerarchi.Per quanto paradossale sembri, l'unico pacifista sono rimasto io, io solo!»


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Mussolini, fino alla stipulazione del patto d'acciaio del 22 maggio 1939 che legò i destini dell'Italia alla Germania, aveva cercato di instaurare un rapporto privilegiato con le potenze democratiche. Fu l'avversione ideologica della Francia social comunista di Leon Blum e il comportamento contraddittorio della Gran Bretagna a impedire un accordo in funzione anti tedesca. La diplomazia fascista, infatti, aveva sempre rigettato la politica dei blocchi ideologici contrapposti. Il suo obiettivo era di costituire un direttorio tra le quattro maggiori potenze europee, Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia. Questa soluzione, che avrebbe potuto garantire pace stabilità negli anni a venire, fu volutamente ignorata da Francia e Inghilterra perché avrebbe significato il riconoscimento dello status di potenza militare dell'Italia all'interno dello scacchiere europeo con il conseguente ridimensionamento delle loro pretese egemoniche. Dopo l'impresa coloniale del 1936 e la partecipazione alla guerra di Spagna del 1939 l'Italia aveva bisogno di un periodo di pace per consolidare la propria economia, completare le riforme istituzionali e rafforzare lo Stato Sociale. In quel periodo Mussolini non spasimava certo per una nuova avventura militare, per giunta a fianco di un alleato che diffidava e verso il quale avvertiva un'umana antipatia. Il dramma di Mussolini, con una Nazione né economicamente, né militarmente in condizione di entrare in guerra, consisteva nel come poter evitare o comunque procrastinare un nostro intervento che appariva sempre più ineluttabile. Lo conferma la sua partecipazione alla conferenza di Monaco del 29 settembre 1938 tra Germania, Italia, Francia e Gran Bretagna la cui presenza è stata fortemente voluta dal primo ministro britannico Chamberlain per tentare di impedire, con l'intermediazione di Mussolini, l'annessione con la forza alla Germania dei Sudeti, obiettivo dichiarato di Hitler. La mediazione del Duce permise di scongiurare un conflitto che sembrava imminente e tolse dall'imbarazzo Francia e Inghilterra poco propensi ad intervenire militarmente a sostegno della Cecoslovacchia, che fu quindi sacrificata nell'illusione di aver preservato la pace in Europa. Questa illusione svanì pochi mesi dopo, nel Marzo 1939, quando, nonostante gli accordi di Monaco, le forze armate germaniche presero possesso della restante parte della Cecoslovacchia senza che le altre potenze Europee muovessero un dito. Questi fatti fecero capire a Mussolini quanto inaffidabili fossero le nazioni democratiche e quanto determinati e pericolosi erano invece i tedeschi. Allo scoppio delle ostilità Mussolini non si perse d'animo e tentò di organizzare il “blocco dei neutrali”, il fronte neutralista dei paesi balcanici e danubiani che insieme alla Turchia guardavano all'Italia come alla potenza che avrebbe potuto guidare un'alleanza di tutti gli Stati europei, compresa la Spagna, che intendevano restare fuori dal conflitto. Il progetto fallì quando Hitler, che in un primo momento sembrò disinteressato, si rese conto che la leadership del Blocco avrebbe significato per l'Italia l'egemonia su un territorio che la Germania voleva invece acquisire alla propria sfera d'influenza. Allo scoppio del conflitto, Mussolini s'invento la formula della “non belligeranza”, che gli permise

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di rimanere fuori dal conflitto per un quasi un anno, nella speranza che la guerra nel frattempo si concludesse. A spingere Mussolini verso la guerra fu infine la decisione inglese, nel febbraio 1940, di estendere l'embargo alle navi tedesche che trasportavano il carbone destinato all'Italia (indispensabile per una nazione industrializzata come la nostra), e proponendosi si sostituirlo con quello inglese in cambio di forniture di armi e munizioni. Alla risposta negativa da parte italiana (la fornitura all'Inghilterra di armamenti sarebbe stata una palese violazione della neutralitĂ , e avrebbe esposto l'Italia all'inevitabile reazione tedesca), l'Inghilterra mise in atto il blocco impedendo l'approdo dei trasporti navali sulle nostre coste e confiscandone il carico. La pretesa inglese di scambiare il suo carbone con armi e munizioni italiane dopo aver bloccato i rifornimenti dalla Germania, che si configurava come un vero e proprio ricatto, fu l'ultimo atto di protervia che spinse Mussolini a rompere gli indugi e a entrare in guerra a fianco di Hitler allo scopo, si badi bene, non di condividere gli obiettivi tedeschi, bensĂŹ per liberare il Mediterraneo dal dominio inglese (la cosiddetta guerra parallela). L'affermazione che ci sentiamo ripetere da ottant'anni: “Mussolini ha trascinato l'Italia in guerraâ€? si svela ora in tutta la sua totale infondatezza. Gianfredo Ruggiero


CULTURA

PRIMATI DIMENTICATI Ancora dal mio noioso e ripetitivo libro dedicato a quel mio tempo in cui si mettevano le Statue nei giardini ed ora s'imbrattano e si abbattono quelle statue e, in segno arrogante di vittoria, si configgono le siringhe infette nella corteccia degli alberi: "Dovrò allora nuovamente spiegare che gli ecologisti a mezzo servizio, cioè a servizio della sola propria fazione politica, potrebbero imparare molto, e ancora spiegherò quanto, dal valore ambientale dell'autarchia e dai suoi rappresentanti a servizio intero. Per l'Italia. Le precedenti considerazioni sono tratte dal mio libro "L'Altra Storia" dove, con chiaro intento documentario che altri potrebbero proibirmi come apologetico, incolpandomi di raccontare pezzi di Storia dimenticata, non faccio che parlare di fatti veramente accaduti e respirati nell'aria di questo Paese che scendeva dai monti che novelli Elfi avevano ricoperti di verde. Fu così che il Fascismo affrontò e risolse il problema di muovere i treni senza ricorrere al nero carbone avviando un programma di elettrificazione delle ferrovie senza precedenti. Nacquero allora gli ETR delle Ferrovie dello Stato con l'ETR 200 ad alta velocità entrato in servizio nel 1937. Nel 1939 l'ETR 213 stabilì il record mondiale di velocità media in 203 chilometri orari nella tratta Milano-Bologna. Un altro primato, di cui prendere buona nota e da aggiungere agli altri numerosi conquistati dall'Italia negli oscuri, meglio dire "oscurati", anni del Ventennio. In quegli anni avvennero in Italia tanti altri fatti che non troviamo scritti nelle carte segrete dei Gardens ma che ancora oggi possiamo visivamente incontrare percorrendo il nostro Bel Paese, seppure oggi esso sia semicoperto dall'immondizia che sale. E fra le tante cose nuove vi furono le stazioni dove i treni, anche quelli popolari, erano costretti dal dittatore ad arrivare in orario. Un architetto, progettista di importanti opere pubbliche legate alle ferrovie dello Stato, delle quali era ingegnere capo, fu Angiolo Mazzoni, che nel dopoguerra fu perseguitato per avere lasciato la sua firma sulle opere del regime. Per questo dovette emigrare in Colombia dove trovò lavoro ed il riconoscimento che non poté più essergli dovuto in Patria per motivi politici. A lui si debbono la progettazione delle Stazioni di Bolzano, Littoria, Reggio Emilia, Trento, Siena, Reggio Calabria Centrale, Montecatini-Terme e Monsummano, Messina, Roma-Tiburtina, nonché Il Dopolavoro Ferroviario di Roma, la centrale termica cabina apparati di Firenze, le case per ferrovieri a Bolzano, lo scalo merci di San Lorenzo a Roma. Questa mia conclusione "ferroviaria" del libro è solo una metafora. Spero giunga puntuale alla stazione d'arrivo. Chi vuole intendere intenda!” Bruno Tomasich

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ECONOMIA

Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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