Confini 85

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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

DEPRESSIONE

Numero 85 Maggio 2020


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Confini Webmagazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 85 - Maggio 2020 Anno XXII

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato: Ugo Busatti Enrico Cisnetto Gianni Falcone Roberta Forte Lino Lavorgna Sara Lodi Antonino Provenzano Angelo Romano Massimo Sergenti Cristofaro Sola Massimo Vitali +

Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone e Sara Lodi

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EDITORIALE

ENANTIODROMIA Forse vorrebbe fare bene il governo ma, inesorabilmente, ottiene l'opposto di quanto si prefiggeva, almeno a chiacchiere. Come d'altronde l'Italia da ormai molti anni. E così "democraticamente" lo stato d'emergenza viene prolungato fino alla fine dell'anno o almeno Giuseppi & co. ci hanno provato, e così nel "non voler lasciare nessuno indietro", nessuno, ma proprio nessuno, è andato avanti, e così nell'intento di sburocratizzare e di semplificare si è costruita una gabbia di decreti incomprensibili, inapplicabili e che rinviano ad altri decreti da emanare che rinvieranno a regolamenti da varare, nel mentre la gente si dispera e frana l'Italia. Gli imprenditori, quando non optano per il suicidio, consegnano le chiavi dei loro esercizi, senza futuro e senza speranza alla mano pubblica, e se protestano civilmente vengono anche pesantemente multati. Ai bagnini, pur preposti al salvamento, viene ingiunto di non intervenire in soccorso degli annegati, alle imprese viene detto che saranno responsabili, anche penalmente, se un loro dipendente si dovesse ammalare lavorando o anche stando a casa. Salvo poi a fare retromarcia. Gli autonomi aspettano ancora un misero sussidio promesso e arrivato a pochi, i dipendenti aspettano la cassa integrazione che non arriva per problemi di burocrazia, ma i clandestini diventano soggiornanti regolari con la scusa di aiutare l'agricoltura, mentre i percettori del reddito di cittadinanza sono autorizzati a grattarsi la pancia e non avviati, come sarebbe giusto, ai lavori agricoli mentre le file di italiani che mendicano un pasto alla Caritas si fanno sempre più sterminate. Il risultato di uno stato di cose che si fa ogni giorno più intollerabile e insostenibile è un'abissale e sconfinata depressione, psicologica ed economica, sorvolando sulla insostenibilità di un debito pubblico ogni giorno più mostruoso e, prospetticamente, mortale. Ma i gestori del potere non se ne curano... impegnati come sono a "salvare", "curare", "rilanciare" l'Italia e soprattutto a salvare le loro poltrone, a nominare amici e cortigiani, ad occupare ogni ganglio del potere, un potere a cui mai più avranno accesso se solo si lasceranno votare gli italiani. Uno sfacelo cui assiste, muto, l'inquilino del Quirinale. Anche l'opposizione è vittima dell'enantiodromia, va anch'essa ineluttabilmente dove non vorrebbe andare, vorrebbe (e dovrebbe) fare la rivoluzione, ma si ritrova a sostenere il governo "nell'interesse degli italiani". Si mostra propositiva e viene presa a pesci in faccia, occupa


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simbolicamente il Parlamento e viene presa sempre a pesci in faccia e smarrisce la rotta, deludendo anch'essa gli italiani a cui non resta altro che deprimersi sempre di più seppellendo anche la speranza. D'altro canto, come si diceva ai tempi del maggio francese, "non si ha il diritto di ribellarsi se non si mette in gioco la vita". Ed anche in questo caso si va dove non si vorrebbe andare: i cittadini non sono disposti a mettere in gioco neanche un’unghia, persino la “Marcia su Roma” fu incruenta, ma il malaffare è ben avvezzo al rischio... Angelo Romano

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SCENARI

DEPRESSIONE In verità, non mi sento depresso. Se dovessi descrivere il mio stato d'animo, piuttosto sarei portato a definirmi incazzato, furente. Per un motivo semplicissimo: non poter dare, urbi et orbi, patenti a chi ci sta governando in questo momento mi fa ribollire il sangue nelle vene e mi pone in una quasi costante, frustrante attesa di quali nuove quotidiane saremo costretti ad apprendere, con quali fare i conti, cimentarci, subire. Poi, metaforicamente giro lo sguardo e vedo che, in effetti, più di un depresso c'è. Qualcuno lo incontro, qualcun altro mi telefona, si sfoga, mi chiede lumi, cerca tranquillità che, tuttavia, io non sono in grado di dare, è spaventato e angosciato. E, onestamente, non mi sento neppure di provare a trasferire su di lui la mia filosofia: ad impossibilia nemo tenetur. La maggior parte del mio prossimo vive di lavoro che non sa se ritroverà, ha i figli piccoli o grandicelli e una moglie che non lavora o fa il part-time. E con le nere procelle che si defilano all'orizzonte, la navigazione futura la vedono problematica. Già oggi, mentre calano le file al supermercato, aumentano quelle ai Monti di Pietà. E, per questo, la mia incazzatura si accresce. Ora, per quanto le nostre colpe siano grandi, non meritiamo tutto quello che sta accadendo. In Italia certamente ma anche in Europa dove, puntualmente, i riflessi incontrano o, meglio, si scontrano con il nostro Paese. Non meritiamo l'inverosimile, assurdo, fondamentalismo pentastellato, fatto di giudizi tranchant e di rincuoranti, demagogiche dichiarazioni apodittiche, avulse da ogni contesto logico, manco fossimo una congerie di bambini da impaurire con l'uomo nero, il babau, e poi presentarsi come i difensori dei piedini che sporgono dal letto, i guardiani delle ante dell'armadio buio, i difensori dalle ombre della notte. Né, peraltro, meritiamo lo pseudo efficientismo piduino, manco fossero cattedratici della Luiss o della Bocconi, fatto di promesse sconclusionate, di impegni vuoti, di assicurazioni assurde che, puntualmente, si scontrano con l'amara realtà quotidiana alla quale assistiamo come ad una sorta di vorticosa spirale dagli smorti colori fino alla rassegnazione, alla noncuranza, al fatalismo, quando non alla depressione e all'angoscia. Due paradossali atteggiamenti che convergono in un'azione di governo che ha dell'inverosimile: non so se il virus sia 'coronato' o meno, se sia stato costruito in laboratorio, se dietro ci sia la mano della Cina e persino della Francia, a danno dell'Italia per giunta, se Burioni abbia completato i suoi studi universitari e i corsi accelerati di letteratura, se l'iniezione di candeggina produca effetto, se il cavallo di Caligola abbia avuto titolo per essere stato nominato senatore, ma certo è che la confusione ha regnato e regna sovrana, peraltro a danno di una informazione certa e puntuale. Un danno che per la sua persistenza fa sorgere il dubbio che sia strumentale. E


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se si accetta il dubbio, allora il pensiero forzatamente si biforca tra la strumentalizzazione finalizzata e l'incompetenza più totale. Il che, in ogni caso, è un gran casino. Non è credibile che il metodo di conteggio dei decessi non sia uniforme in Europa, che i panzer tedeschi abbiano una marcia in più rispetto ai carretti italiani e spagnoli e che i vichinghi siano praticamente immuni; né è comprensibile il perché nell'area continentale i contagi sembrano aver attecchito meno dove le maglie delle serrate e dei confinamenti erano più larghe; come non è accettabile che i protocolli d'intervento differiscano ad libitum tra intubazioni forzose e eparina a gogo e qualcuno decida di inviare i NAS laddove si pratica un procedimento naturale, come il plasmaferesi, che peraltro sembra l'unico in grado di dare notevoli risultati. Per cui, l'effetto sfero-genito-ciclonico si accresce, anche per le esternazioni perianali di virologi d'accatto che sembrano prediligere prodotti di sintesi, peraltro indisponibili. Un effetto ciclonico che diviene un tornado quando strumentalmente si elevano medici e paramedici morti a funzionali eroi; non voglio certo deridere o mortificare, Dio me ne guardi, la loro inestimabile abnegazione ma mi fa imbestialire il fatto che vengano usati per distogliere l'attenzione da un sistema imperfetto, carente, malfatto all'interno del quale stazionano da tempo troppi interessi che esulano dalla cura fisica e psichica del paziente. E questo, in contrasto con ogni logica, mentre bollettini di guerra costantemente aggiornati elencano il numero dei contagiati del giorno, quelli complessivi, l'incremento percentuale, quelli contagiati ma non considerati il giorno precedente, quelli contagiati del giorno inviati a casa, l'aggiornamento del numero complessivo dei 'casalinghi', il numero di quelli inviati in terapia intensiva, l'incremento percentuale e il numero complessivo, quello dei deceduti nella giornata con patologie al seguito e senza patologie apparenti, l'aggiornamento del numero dei decessi complessivi, i guariti e (per me incomprensibile) i guariti clinicamente, il loro incremento percentuale, il numero complessivo di riferimento. Un pout-pourri di dati che passano insieme ad immagini di cumuli di bare, di corsie al collasso, di personale stremato, di partecipanti alla Ruota della Fortuna che tra i concorrenti vede virologi e pneumologi in singolar tenzone, selciaroli e imbianchini, cacciatori di frodo nella foresta Sherwood e sceriffi del re, che ci spiegano l'esegesi delle fonti della norma, normalmente in accadico quando non in sumero. Un tutto intervallato da esternazioni degne della Situation Room: aerei da battaglia inviati per 'riportare' a casa con un colpo di mano italiani 'prigionieri' di biechi e sinistri popoli untori, così da potersi scambiare, al ritorno, sonore pacche sulle spalle, risonanti 'cinque' ed emozionate strette di mano nel clamore festante generale. Per cui, l'alternativa è stata tra piombare la TV e uscire a passeggiare, ovviamente soli o con l'animale da compagnia ma non con un pargolo, muniti di guanti e mascherine nonché di apposito spago dove a mezzo di intervallati nodi misurare la fondamentale, salvifica distanza di 200 metri dalla propria abitazione, oppure passare la giornata a leggere di tutto, persino i bugiardini, ovvero sedere inebetiti davanti al vuoto schermo nella ricerca, affannosa quanto inutile, almeno di un documentario sulle origini dei Maori o sulla installazione dei menhir sull'isola di Pasqua. Per ritrovarsi, infine, alla sera stanchi di un inspiegabile vorticare rabbioso che muovendo dalla pelvi si è diramato per tutto il corpo.

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Certo, la ricerca delle mascherine è stata un po' laboriosa, al limite dell'afflizione angosciosa: mascherine che sono arrivate dalla Cina non omologate, ordinate a ditte inesistenti alcune delle quali ubicate nella orgogliosa Tracia, reperite con gare falsate e quindi annullate, articolate tra ffp2 e ffp3 la cui durata è ancor oggi incomprensibile, ricavate da speranzose coppette di plastica con elastici, sbrigative sciarpe avvolte su naso e bocca, maschere subacquee, occhiali con boccaglio al seguito, caschi da palombaro, tendalino in plexiglass con mascherina incorporata, al costo oscillante cadauna tra 1 e decine di euro nonostante le assicurazioni di Arcuri sul prezzo, in spregio dei 'liberisti che emettono sentenze quotidiane da un divano con un cocktail in mano', per poi scoprire che vanno bene anche quelle fatte in casa purché a doppio strato. Diceva bene il grande Edoardo a proposito del pernacchio: ai fini del maggiore effetto, deve essere sia di testa che di petto perché possa fungere da valvola di sfiato alle turbine delle gonadi. Bisogna dire, però, che alcune botte di vita, almeno, le abbiamo grazie ai tanti decreti ad hoc di decine e decine di pagine l'uno (quasi 800 pagine complessive, finora) con tanto di punti, di virgole, di punti e virgole e pure due punti (non stiamo a lesinare come il grande Partenopeo insegna): l'andata dal medico per le ricette, quella per la farmacia e, infine, l'agognato pellegrinaggio al supermercato dove pure l'immancabile fila è stata l'occasione per respirare all'aria aperta. Da ultimo, poi, la visita ai 'congiunti' o a coloro con i quali si intrattiene un 'affetto stabile' ha notevolmente ampliato la sfera delle possibilità, ovviamente dopo aver fatto un approfondito studio, quanto vano, sul significato significante dei termini. Certo, prima di uscire c'è prima la coinvolgente ricerca del formulario adatto, decidere quale sia l'ultimo, provare attimi di pura ansia dinnanzi alla domanda se si sia positivi al test sul Covid (in audacia temeraria igiene spirituale assenza di sintomi, da fare dove?), e poi lanciarsi temerariamente fuori. Un attimo prima, comunque, accendere ceri votivi e innalzare preci alla Madonna perché il fato non sia cinico e baro al punto da far incontrare un posto di blocco, della durata media di un'ora, incappare nel rastrellamento degli elicotteri o essere intercettati da droni, col timore di aver compilato bene e di rispondere meglio onde evitare l'arresto con relativo carcere a vita e, poi, dopo una popolare fetecchia irridente, sostituito da 400 euro di multa; ma, non stiamo a sottilettizzare, c'è da capirlo. Non è colpa delle forze dell'ordine che hanno ordini. È che qualcuno ha confuso l'immunità da gregge con il confinamento del gregge: un qualcuno che fa certamente il pecoraio la cui mamma, al pari di Sant'Elena, era quasi sicuramente una stabularia. Però, mentre avvertiamo una corrente ascensionale dovuta ad un forsennato roteare, ci accorgiamo che c'è chi pensa a noi. Gli aiuti hanno raggiunto vette eccelse di generosa disponibilità: miliardi a sfare, per tutti: dai lavoratori del braccio e della mente alle colf e babysitter, alle partite IVA, ai vacanzieri, dagli imprenditori ai contadini, agli artisti. E, poi ai trapezisti, ai funamboli, ai mimi, agli smacchiatori di giaguari, ai tagliatori di unghie dei criceti, e a tanti e tanti altri, a dimostrazione che nessuno rimane indietro. Qualche detrattore ha provato a dire se non fosse meglio far tornare al lavoro, ovviamente protetto, buona parte dei destinatari risparmiando così una vagonata di soldi pubblici da destinarli in parte a maggior sostegno delle imprese ma un coro di indignate voci ha fortunatamente zittito l'incauto soggetto. Piuttosto, non


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insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva, c'è da pensare di far tornare gli immigrati, che che ne dicano alcuni stolti, perché, altrimenti, incredibile dictu, rischiamo di veder scomparire dalle nostre tavole zucchine e cavolfiori, melanzane e pomodori. Anche qui, c'è chi ha provato a dire di impiegare, intanto, coloro che beneficiano del reddito di cittadinanza in campagna ma un giusto, oltraggiato coro ha fatto strame dell'ulteriore denigratore. Il tocco geniale, infine, è rappresentato da ben 125 milioni di euro posti a disposizione per l'acquisto di biciclette, monopattini elettrici o altri mezzi di mobilità sostenibile. Geniale: almeno avrà un senso la lunga pista ciclabile in costruzione a Roma, vista l'impercorribilità delle strade della capitale, costellate da buche. Si pensi, comunque, alla sensibilità ecologica: tale, ultimo stanziamento nel suo ammontare non ce l'ha il settore turismo che da solo vale 300 miliardi di euro. Non sembra di avvertire il classico flop-flop dei rotori d'assalto accompagnati dalla Cavalcata delle Valchirie, magnificati da Apocalypse Now? In ogni caso, resta il fatto che le comunicazioni, in tutela della fanciullesca serenità, sono certamente degne del luminoso esempio della nonna di Cappuccetto Rosso che, preoccupata del lupo cattivo nel bosco, gli destina le focacce e non le carni del tenero virgulto in ansia dal menarca. Così, tra redditi di cittadinanza e di emergenza, bonus e punti fedeltà, bollini della spesa e premi d'incentivazione, calmierati dall'annona e regolamentati dal significante valore della smorfia, possiamo trascorrere una serena serata nella tranquillità che qualcuno, seppur oberato da gravosissimi impegni, pensa a noi. Sembra quasi che il cuscino si addensi meglio sotto la nostra nuca per sostenerci. Una sensazione, tuttavia, che non riesce ad eliminare un fastidioso, frenetico roteare a bassa quota che impedisce il sonno. Ma se vogliamo un brivido d'orgoglio che dal perineo salga imperioso attraverso il coccige fino alla ghiandola pineale così da aprire il terzo occhio e lasciarci basiti, ecco le dichiarazioni del ministro dello sviluppo sulla ripresa, ovviamente basata sulla green economy: fedeli seguaci di Greta Thunberg, da perfetti gretini, non vogliamo rischiare di perdere la nostra anima ecologista dove il nemico pubblico n. 1 è la plastica. Sarebbe da non credere una proposta del genere con l'economia sana; con un'economia a pezzi è una battuta degna dei migliori cabaret: in piena crisi economica, mettersi a convertire gli impianti, a cercare nuovi mercati, a creare ex novo una rete di vendita diviene sicuramente una sfida da non perdere. Come fa a non accrescersi il frusciare delle pale che tentano di avvitarsi nell'aria? Questa pandemia, del resto, è stata veramente matrigna perché non ha dato modo alla ricerca di utilizzare appieno la carta così da potervi realizzare sacche flebo, farfalle da prelievo, tubi di raccordo e da drenaggio e da intubazione, siringhe, condotti e valvole per trasfusione, protesi e quant'altro utile alla vita del paziente e alla sua qualità. In sostanza, un'ingiusta apoteosi della plastica accresciuta dalle centinaia di milioni di guanti e dall'imballaggio dei prodotti agro-alimentari ai fini igienici. Più scalogna di così? Ad ogni buon conto, sarebbe una gestione molto oculata e coscienziosa della pandemia e della crisi, fatta da castelli turriti e fulgidi cavalieri, sostenuti da ferrati chiaroveggenti, astrologi e astronauti, che tra il garrire dei gonfaloni e squilli di tromba, galoppano lancia in resta per colpire la quintana, se non fosse per il seccante colpo di ritorno. Perché, diciamola tutta, c'è un fastidioso

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chiacchiericcio di più soggetti che irresponsabilmente reclamano una riapertura generale: dico, ma si può? Si può oggettivamente pensare di ripartire sul piano generale col rischio di una Caporetto perché generali disattenti non hanno considerato che la 'rivoluzione d'ottobre' può far venir meno il fronte orientale? E, del resto, non è che un Diaz sia sempre a disposizione per far risalire ai resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, in disordine e senza speranza, le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza. Così, mi domando, cos'è questo mulinare rimbombante che dal basso sale a saturare l'ambiente? Staremmo tutti meglio se solo capissero, gli incauti, che non dobbiamo temere per il futuro perché uno staff tecnico di ben quattrocento cazzuti soggetti, 'contrattati' appositamente, muniti di una necessaria caleidoscopica sfera, detteranno le condizioni per la ripartenza graduale. E se le loro indicazioni saranno come quelle precedenti c'è da dormire, ignorando il volteggiare, sonni tranquilli: massimo 15 persone in un autobus, decine e decine in treno intervallate di un posto, 20 o più in un supermercato, 1 persona in libreria, nessuno in un bar: se si vuole un caffè, verrà servito all'esterno. E, poi, sotto la spinta di pargoli a frotte, con tanto di cartello di protesta in una mano e con l'altra aggrappata ai genitori, le aperture dei negozi di abbigliamento per bambini, ovviamente accompagnati, ma non quelli per adulti. In compenso, sono aperti i fiorai e i cimiteri. Be', almeno i ristoranti, dopo due mesi di chiusura, possono fare il take way, al quale almeno 80% dovrà convertirsi definitivamente non potendo fare il distanziamento. Ci rimetterebbero. Eeeeh! E poi si dice l'acume italico… Ebbene, sì, non sono depresso: sono solo fortemente e vanamente incazzato. Né, tantomeno, mi deprime la situazioneaudacia economica, presente eigiene futura. spirituale Semmai, se ci penso, mi fa vieppiù (un tocco di classe) temeraria imbestialire. Da quando Mario Draghi in quell'intervista al Financial Times ha detto che non è il momento di lesinare, l'Europa, dopo molti tentennamenti, rinvii, accuse speciose, si è decisa: flessibilità nell'uso dei fondi strutturali tradizionali, e poi SURE, gli interventi della BEI, il MES senza condizioni e lo splafonamento degli aiuti di Stato. Ebbene, da quel momento sembra essersi scatenato l'assalto alla diligenza. Quindi, i miei timori sono sull'uso appropriato di tali risorse, avendo a che fare con fondamentalisti pentastellati, alienati Robin Hood, dediti esclusivamente ad allettanti assistenze e con efficientisti vanesi che inseguono sogni di gloria; i primi votati per protesta che comunque sta galoppando verso la delusione più cocente e i secondi rifiutati dalla maggioranza. Non ignoro certo che la flessione del PIL sarà gravosa, che il futuro è incerto e che un impegno oneroso suppletivo si scaricherà su ognuno di noi ma il mio desiderio più grande è che non sia io e soltanto io (plurale maiestatis), come in passato, a pagare le allegre serate dei crapuloni; spensierate operazioni finanziarie, libertà totale per le banche e salvataggi onerosi dopo ruberie. L'Alitalia fa testo: in dieci anni, quattro fallimenti, altrettanti salvataggi con soldi pubblici che, sommati, avrebbero consentito di comprare due compagnie aeree di prima grandezza, liquidazioni principesche dell'Erario a manager che prima l'hanno affossata e poi sono rientrati nel consiglio di amministrazione in rappresentanza di terzi. E, insieme all'Alitalia, concessioni senza controllo, provincie che scompaiono e poi riappaiono, oltre 1.000 enti giuridicamente definiti inutili che continuano a macinare miliardi, una miriade di


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comuni che non superano le duecento anime, circa 2.000 partecipate buona parte delle quali abitualmente in profondo rosso, Authority delle quali, al di là del nome, si ignora il reale compito, comunità montane che non hanno né mezzi né competenza per monitorare il territorio. Non parlo della sanità sul piano della spesa e dell'eterogeneità regionale per questione di spazio. E così discorrendo. Tanto, per ricorrere al vecchio motto popolare, paga Pantalone, cioè io. E non si venga nuovamente a menarcelo con l'evasione, con gli egoisti che non pagano quanto dovrebbero, che così facendo tolgono i servizi agli onesti perché di prestazioni gratuite in quest'ultimo ventennio neppure l'ombra. Dalla scuola all'asilo nido, dai certificati anagrafici e di stato civile alle pratiche di passaggio automobilistico, al rinnovo delle patenti, tra rette differenziate, tasse, bolli, accise, tributi, tickets, è un continuo esborso che si somma all'astrusità dei prelievi diretti a destinazione centrale, regionale e comunale e, ovviamente, all'IVA. È un continuo pagare, pagare, pagare senza riceve da chicchessia alcunché se non ripagando. Non voglio fare il 'nostalgico' perché non lo sono mai stato e non intendo cominciare ora ma mi piace ricordare che nella tanto deprecata I.a Repubblica il bilancio era in pareggio e buona parte dei servizi era davvero gratuita. E che in ospedale, per prestazioni ordinarie e specialistiche si poteva accedere senza annose liste di attesa. È anche vero che il 67% delle pensioni INPS erano integrate al trattamento minimo ma ad oggi la situazione non è cambiata con la differenza che con le lire si acquistava molto di più. E, già che ci sono, mi piace anche ricordare che lo sforamento di bilancio ha iniziato il suo movimento ascensionale proprio con la caduta della tanto deplorata Repubblica ad opera di moralizzatori, di modernisti e postmodernisti, universalisti, elettricisti, idraulici, giardinieri, meccanici, facchini e zappatori. Per cui, tornando ab ovo, non vorrei proprio tornare a risentire la lappa dell'evasione imputata all'uomo della strada, novello vampiro: i giornali recentemente hanno scritto che la maggior parte dei contribuenti gira attorno ai 15.000 euro l'anno e che il sostegno dell'Erario grava su una minoranza. Per cui la cosa viene giudicata inverosimile. Dal ché, l'evasione. Ci sta pure, ma sarebbe da rispondere anche alla domanda di come ha fatto ad 'uscire' la buona parte di provenienza italiana dei 13.000 miliardi (evasi al fisco) che stazionano in paradisi fiscali, tra i quali almeno per la metà (così è scritto) in Lussemburgo e in Olanda senza alcuna verifica di quei Paesi UE sulla liceità. Poi, ci sarebbe da fare un discorso con l'Agenzia delle Entrate per sapere perché dei 1.284 miliardi chiesti a mezzo cartelle esattoriali tra il 2000 e il 2018, se ne possono recuperare appena 80. Mi fermo qui. Non si torni alla 'normalità' se per normalità s'intende lo stato quo ante perché è proprio quella 'normalità' il problema e, ciò non mi deprime: mi fa ferocemente incazzare. Ecco: l'ho ripetuto per l'ennesima volta e forse non sta bene usare certi termini. Fortunatamente, è intervenuta mia moglie che, passando davanti alla mia stanza, mi ha visto tutto preso a scrivere e ha chiesto su cosa scrivessi. Anzi, contrariamente al solito, mi ha chiesto di leggerle il 'pezzo'. No, non va bene quel termine, mi ha detto, occorre addolcirlo. Va be'. Siccome l'uso degli inglesismi ormai è moda dilagante lo sostituirò con l'insignificante 'angry' ma il senso, purtroppo, non cambia. Massimo Sergenti

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LA DEPRESSIONE E’ UNA MALATTIA. E SI CURA PROLOGO Questo articolo, al fine di evitare ribadimenti superflui, deve configurarsi come seconda parte di quello pubblicato il mese scorso, intitolato "CAOS" (pag. 4, Confini nr. 84), anche perché è ancora il termine "caos" a regnare sovrano in tante cronache giornalistiche, che riflettono la diffusa percezione di un'opinione pubblica sempre più confusa e disorientata. Non è altrimenti definibile, inoltre, lo scontro sconcertante tra le forze politiche, nessuna esclusa, che cinicamente tentano di sfruttare l'emergenza a proprio esclusivo vantaggio, spesso facendosi male i conti. Nell'articolo, sostanzialmente, si esponevano i limiti e l'inefficienza dell'Unione Europea; un approccio confuso e irrazionale alle problematiche generate dalla pandemia da parte di molti strati della società civile, dai media e dalla classe politica; il cinismo di perfidi speculatori, che non mancano mai in ogni tragedia; la difficoltà oggettiva del mondo scientifico nel fornire chiare risposte alla mole di domande loro poste. Di converso si ponevano in risalto i comportamenti di coloro, per fortuna tanti, che in silenzio e senza perdersi in sterili polemiche si sono rimboccate le maniche per fronteggiare la grave emergenza, quasi sempre in condizioni di estrema precarietà a causa dei disastri causati da oltre settanta anni di malapolitica. Soprattutto nella sanità si è visto emergere da un lato l'eccellenza delle risorse e dall'altro il fallimento totale e senza appello della frammentazione regionalistica. Venivano esposte, infine, le uniche azioni ritenute valide per fronteggiare l'inevitabile crisi economica generata dal prolungato lockdown: un cambiamento radicale di "mentalità", da parte di tutti, per incentivare la cultura della solidarietà e una più equa ripartizione della ricchezza; l'esercizio del potere nell'esclusivo interesse del prossimo e non di se stessi. Si sono formulati, pertanto, dei principi puramente "teorici", ancorché intrisi di alta valenza etica, protesi a risolvere annosi problemi, aggravati da quelli attuali. Teorici, purtroppo, perché i fatti, giorno dopo giorno, dimostrano come si stia continuando, imperterriti, a seguire le solite diroccate strade, che non portano da nessuna parte: ciascuno pensa solo al proprio orticello e rivendica impossibili provvedimenti, senza rendersi conto che o si vince insieme o si perde tutti (anzi, "quasi tutti", perché i super ricchi si salveranno sempre); come già detto i politici parlano a vanvera, utilizzando le solite stantie tecniche comunicative, pensando a come sfruttare utilitaristicamente la tragedia in atto, spesso tirandosi la zappa sui piedi; case farmaceutiche e lobby ad esse legate, palesi e occulte, si stanno preparando alla guerra dei vaccini, in mancanza di una rogatoria internazionale sui farmaci, sempre bloccata


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grazie alla facilità con la quale sia possibile "comprarsi" coloro che dovrebbero determinarla. A tutto ciò si deve aggiungere l'attività della criminalità organizzata, che ha fiutato l'affare e lo sta già gestendo secondo metodi consolidati ed efficaci, che ovviamente prevedono "anche" la complicità del potere politico. A tal proposito risultano emblematiche e paradossali due vicende, sulle tante assurte alla ribalta della cronaca: le mascherine commissionate dalla Regione Lazio a una piccola azienda che produce lampadine e che ha incassato con estrema facilità circa quindici milioni di euro, non si sa a che titolo (ma lo si può ben immaginare), dal momento che le mascherine non sa produrle e non le ha consegnate; le mascherine taroccate importate dall'azienda dell'ex "irreprensibile, austera e severissima" politica Veronica Pivetti. A livelli criminali "più alti", poi, si registra l'indefessa attività delle varie organizzazioni mafiose, pronte a strozzare imprenditori in difficoltà e a impossessarsi per pochi soldi di alberghi, bar, ristoranti e quant'altro possibile. Un quadro più fosco di questo è difficile da immaginare. Tutto ciò premesso, pertanto, in questa seconda parte dell'articolo "CAOS", cerchiamo di ragionare restando con i piedi per terra, sforzandoci di individuare le soluzioni realmente possibili per "curare" la depressione economica, importante concausa della depressione fisica e mentale, acquisendo consapevolezza, sia pure con grande rammarico, che quelle veramente efficaci sono irrealizzabili per i limiti propri della natura umana. IL PENSIERO LATERALE COME RISORSA Cambiare mentalità non è facile e richiede tempi lunghi. Quanto meno, però, dovremmo sforzarci di cambiare "modo di pensare", affinché si riduca il più possibile la massiccia propensione a prendere lucciole per lanterne o guardare il dito quando si indichi la luna, pratiche nefaste perché sempre foriere di grossolani errori nelle scelte delle azioni da compiere. Sicuramente tra i lettori di questo articolo vi sono persone che non gradiscono i film "horror", aduse a pronunciare frasi del tipo: "Non riesco proprio a "vedere" corpi squarciati, teste che rotolano, cannibali che sbranano uomini ancora vivi come se fossero panini con wurstel e salse varie, etc. etc.". Non a caso ho virgolettato "vedere", essendo quello il verbo utilizzato: chi rifugga dai film horror, infatti, è convinto di non essere in grado di "vedere" scene truculenti o pregne di esasperante suspence senza provare un insopportabile senso di paura. A queste persone suggerisco un semplice esperimento: scelgano un film qualsiasi del genere che tanto spaventa - chi fosse abbonato a SKY ne trova almeno un centinaio nella sezione cinema - e lo guardino dopo aver azzerato l'audio. In men che non si dica arriveranno quelle scene terribili che inducono a chiudere gli occhi, cambiare canale, scappare in un'altra stanza. Sorpresa! Magicamente scopriranno di riuscire a guardare serenamente, senza batticuore, dei cannibali intenti a ridurre in poltiglia, con micidiali morsi ripresi in primissimo piano, il malcapitato di turno; voracissimi piranha che fanno strage di ignari bagnanti, anche bambini; scene ancora più truculente. Come mai? Per complessi meccanismi che regolano le funzioni del cervello, qui

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risparmiati per amor di sintesi, non è la "visione" di scene orribili che genera lo spavento, ma il commento sonoro, le urla di terrore delle vittime e quelle disumane dei carnefici. Azzerato l'audio, quelle scene non producono alcun effetto. Il "convincimento", pertanto, era sbagliato, alla pari di tanti altri convincimenti in virtù dei quali moduliamo le nostre azioni e reazioni, ovviamente disastrose partendo esse da un presupposto sbagliato. Altro esempio? Vi è qualcuno che soffra di vertigini? Che cosa si dice, solitamente, per spiegare questo diffuso disturbo? La frase è nota: "Non posso affacciarmi dal ponte di una nave, dal balcone di un palazzo molto alto perché subito mi gira la testa, ho la sensazione che tutto si muova intorno e ho "paura" di cadere". Al disturbo, quindi, riconosciuto come tale, viene imputata la responsabilità di generare spiacevoli sensazioni di "paura". Niente di più sbagliato! Proviamolo con un altro esperimento. La massima efficacia si otterrebbe effettuandolo materialmente, ma funziona abbastanza bene anche immaginandolo. La persona che soffra di vertigini, quindi, immagini di trovarsi in uno degli ultimi piani di un altissimo grattacielo con terrazzi protetti da muretti che consentano comunque di sporgersi, per guardare all'ingiù. Già tremano le gambe! È impensabile il solo avvicinarsi al muretto! Proviamo a immaginare, però, di essere in compagnia di due persone di sesso maschile delle quali ci si fidi ciecamente. Anche se nella realtà fossero mingherlini e con muscoli flaccidi, immaginiamoli come campioni mondiali di sollevamento pesi e con forza sovrumana! Immaginiamo di avere una catena che cinga la vita, fissata con un solido lucchetto, con l'altro capo agganciato a un palo di cemento in grado di resistere a un terremoto di nono grado. La lunghezza della catena, nella sua massima estensione, consente solo di raggiungere il limite interno del muretto e di affacciarsi leggermente. Dulcis in fundo, immaginiamo che anche le due persone super fidate siano attaccate al palo con una catena simile e accompagnino chi soffra di vertigini al muretto, tenendolo ben saldo sottobraccio. La sensazione di paura, a questo punto, se non proprio sparita del tutto, dovrebbe essersi attenuata di molto, realizzando che, in siffatte condizioni, una sbirciatina dal muretto, magari per pochi secondi, sia possibile darla. Non sono rari i casi, tuttavia, in cui il senso di paura sparisca del tutto, sentendosi ampiamente protetti dalla catena e dal "forte" sostegno assicurato da persone fidate. Le vertigini, infatti, non sono la causa di un "disturbo" ma la difesa che la mente pone in essere per impedire che il vero disturbo diventi letale: la "voglia di cadere", bloccata proprio dall'insorgere delle vertigini. La catena rimanda in modo subliminale al prigioniero. Il prigioniero ha voglia di scappare e la catena "impedisce" che ciò accada. Immaginandosi con una catena che blocchi ogni desiderio "di fuga", viene bloccata la voglia di salire sul muretto e buttarsi giù in virtù di un disturbo assimilabile alla fobia d'impulso, che può avere forme lieve o così gravi da configurare una vera e propria psicopatologia depressiva. Cosa c'insegnano questi esempi? Due cose fondamentali: spesso siamo prigionieri dei nostri pensieri e se non impariamo a metterli sempre in discussione, correggendoli se necessario, commetteremo sempre gli stessi errori; non tutti i problemi sono risolvibili rispettando schemi consolidati, istintivamente partoriti dalla mente, che però ragiona in linea verticale.


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Quando i problemi sono di rilevante portata, dopo aver disceso la scala mentale in cerca di soluzioni, comportandoci più o meno come quando dal terzo piano di una villa scendiamo in cantina per prendere una bottiglia di vino, può capitare di trovarsi in uno spazio vuoto che genera angoscia, senso di impotenza e smarrimento. Spesso, però, basterebbe aprire una delle tante porticine che si trovano ai lati delle stanze attraversate durante la discesa, rimaste sempre chiuse, per sfociare su nuovi orizzonti, mai immaginati, che offrono mille nuovi sentieri da percorrere, con nuove prospettive. Scordiamoci di risolvere i problemi causati dalla pandemia, in qualsiasi campo siano sorti, facendo ricorso ai soliti schemi mentali, come tutti stanno facendo ora, aggiungendo solo caos al caos. UNA NUOVA CONCEZIONE DELL'ESSERE E CULTURA DEL LAVORO In questo magazine non si è mai persa occasione per evidenziare le tante distonie sociali che affliggono gli Stati Uniti d'America. È anche giusto, tuttavia, riportare gli aspetti positivi che dovessero emergere da una seria analisi sociologica, soprattutto se possono fungere da esempio. L'approccio delle persone con il mondo del lavoro è senz'altro uno di questi. Dimentichiamoci, per un attimo, tutto ciò che sappiamo in merito all'esacerbata competitività, ai giochi sporchi dei lobbisti, al marcio di Wall Street, ai traffici loschi delle multinazionali, alla corruzione, soffermandoci semplicemente sui pensieri di un cittadino qualsiasi, in cerca di lavoro, per il normale sostentamento familiare o per pagarsi gli studi. Le rette universitarie negli USA sono care e, senza scomodare le università prestigiose, davvero alla portata di pochi, bisogna mettere in conto almeno trentamila dollari annui, ai quali vanno aggiunti i costi di soggiorno. Sono davvero tanti, tuttavia, gli studenti che riescono a sostenersi autonomamente, svolgendo part-time anche dei lavori umili. Negli USA, infatti, l'esigenza di non pesare sul bilancio familiare e il desiderio di autonomia economica è molto sentita sin da quando si è ragazzini ed è stimolata anche a livello formativo-educazionale. Ciò comporta l'assenza di ogni pregiudizio in campo lavorativo: la dignità è assicurata dal fatto che si guadagni lavorando, a prescindere dal lavoro svolto, e nessuno prova vergogna nel dire che presta servizio come lavapiatti, cameriere, facchino, magazziniere, anche se si appresti a diventare uno scienziato. A maggior ragione questo presupposto vale per chi lavori a tempo pieno e con il salario mantenga la famiglia. Un addetto al settore frutta e verdura di un supermercato, quando viene promosso al settore scaffali, è felice come una pasqua e organizza una bella festa in famiglia, invitando amici e parenti. A noi queste cose fanno ridere perché abbiamo una distorta visione del lavoro. È opportuno mutarla in fretta, invece, perché ora più che mai serve accantonare ogni sciocco pregiudizio e smetterla di inseguire testardamente obiettivi così irraggiungibili da generare solo profondo stress e delusioni. I guai non vengono mai da soli ed è sotto gli occhi di tutti l'alto numero di persone che abbiano perso o stiano perdendo il lavoro. La classe politica che governa il Paese sta facendo e farà quello che può ed è stupido ritenere che

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altri avrebbero potuto o potrebbero fare meglio: chiunque si fosse trovato a gestire questa terribile emergenza, magari adottando provvedimenti diversi, avrebbe comunque ricevuto accuse e apprezzamenti, trovandosi nella medesima condizione di non riuscire a risolvere tutti i problemi. Non intendo calarmi nel ginepraio delle diatribe che ci avviliscono quotidianamente, trovandole stucchevoli e fuori luogo e pertanto mi limito a un solo esempio comparativo: si può senz'altro definire una pura follia la sanatoria varata dal Governo, in tema di regolarizzazione dei clandestini per i lavori nel settore agricolo, e occorre avere la pazienza di Giobbe per sopportare una tizia come Teresa Bellanova in un ruolo ministeriale così importante, soprattutto in un momento come questo; parimenti, però, va considerata una pura follia la richiesta dei corridoi verdi (lavoratori provenienti dalla Romania e dalla Polonia pagati con i voucher), avanzata dal centro-destra, che pone problemi di natura etica senza, per altro, risolvere pienamente quelli settoriali. Ciascuno, quindi, "indipendentemente" dai sacri principi sanciti dalla Costituzione, che in talune circostanze hanno lo stesso valore di quelli dallo scrivente esposti nel precedente articolo, ossia un valore meramente simbolico, deve attrezzarsi per superare il gap con le proprie forze, assumendo decisioni radicali. In questo modo, oltre ad aiutare se stesso, aiuta il Paese. Nell'agricoltura mancano almeno duecentomila risorse a tempo pieno più altre centomila che servono per tre-quattro mesi annui. La mancanza di queste risorse genera molti problemi: inutile aumento della disoccupazione con aggravio degli oneri sociali, aumento dei prezzi dei prodotti agricoli, forti tensioni sociali. Si dice che non si possono utilizzare i beneficiari del reddito di cittadinanza per due motivi: hanno facoltà di rifiutare un'offerta economicamente ritenuta incongrua e non è possibile spostarli in comuni diversi da quello di residenza. Solo uno stupido può ritenere valide queste scusanti, che si potrebbero correggere in un attimo con un decreto, magari elevando anche l'importo minimo previsto per i lavoratori stagionali. È ben chiaro, invece, che la voglia di lavorare nell'agricoltura non vi sia e i politici "senza statura" hanno paura di perdere consensi qualora dovessero prendere il toro per le corna, obbligando i percettori del reddito di cittadinanza a raccogliere meloni e pomodori. In Italia vi sono 7904 comuni e 60milioni di abitanti. Nel settore artigianale si registrano forti carenze: mancano calzolai, falegnami, fabbri, sarti, arrotini che girino per le case, carpentieri, ceramisti, elettricisti, fabbri, idraulici, imbianchini, pizzaioli, lustrascarpe che un tempo popolavano gli angoli belli delle grandi città, meccanici, orologiai, spazzacamini e sicuramente mestieranti vari in altri settori. Almeno ottonovecentomila giovani, a livello nazionale, potrebbero trovare utile occupazione dedicandosi a siffatte attività, vivendo decorosamente (o addirittura agiatamente, a seconda del mestiere praticato) risolvendo tre problemi: il loro, quello di chi di loro abbia bisogno e quello sociale provocato dalla disoccupazione. Non è passato molto tempo da quando un importante imprenditore trevigiano, titolare della Euroedile, annunciò disperato che stava perdendo commesse milionarie perché non riusciva ad


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assumere VENTI operai in grado di operare nella costruzione di ponteggi e impalcature, che poteva retribuire con duemila euro netti mensili! Sono almeno diecimila, in Italia, i posti disponibili in questo settore! Lo stesso dicasi per il settore dell'alluminio, che ha visto un imprenditore dell'Emilia Romagna trovarsi in analoghe condizioni dopo uno sviluppo repentino della sua azienda, in virtù dell'eccellenza raggiunta nella produzione: cercava con urgenza almeno una cinquantina di operai, che avrebbero guadagnato oltre duemila euro mensili; non trovandoli, ha perso molte commesse milionarie. Gli esempi sono davvero tanti ed è inutile farla lunga: in Italia non manca il lavoro, ma la voglia di lavorare, perché è insita nella maggioranza delle persone la voglia di guadagnare lavorando poco, o comunque di svolgere solo lavori belli e gratificanti! È ora di cambiare registro. E ciò, naturalmente, vale anche per il lato "offerta". Gli imprenditori "sfruttatori" devono - e sottolineo "devono" - sparire. Il lavoro deve essere pagato nel rispetto della dignità dei lavoratori. Punto e basta. I sindacalisti che fanno il doppio gioco, ossia sfruttano il proprio ruolo per "guadagnare senza lavorare", magari rubando anche i contributi degli iscritti devono - e sottolineo "devono" - sparire. Vi è qualcuno con un minimo di buon senso che riconosca ai tanti sindacalisti che si vedono in giro la capacità di poter degnamente rappresentare e tutelare i lavoratori? Non prendiamoci in giro! Se si potesse fare uno screening reale dello sfruttamento, ne vedremmo delle belle. Si recuperi, inoltre, una dimensione sociale del lavoro, da non confondere con l'assistenzialismo di vecchio stampo, dovendo rappresentare qualcosa di nuovo e di più sano: più assunzioni per ridurre il carico su ciascun lavoratore, a beneficio del suo equilibrio psico-fisico. In Italia vi sono ventisei banche con oltre cento filiali, per un totale di circa 18mila filiali; altre trentacinque banche dispongono complessivamente di 2169 filiali e le restanti altre duemila più o meno. Se ogni banca volesse assumere "un solo" dipendente per ogni filiale, toglieremmo subito dalla disoccupazione almeno ventiduemila giovani! Vi è qualcuno che nutra dubbi circa la possibilità di effettuare questa operazione senza che i banchieri debbano soffrirne le conseguenze? Non prendiamoci in giro e siamo seri! Il che vuol dire - ossia "essere seri" - che le ventiduemila assunzioni potrebbero tranquillamente raddoppiarsi senza alcun problema, anzi, risolvendone molti. Le Poste hanno fatto passi da gigante nell'ultimo ventennio, raggiungendo utili pazzeschi. A fronte di questa realtà, però, negli uffici si soffre: soffrono gli impiegati e soffrono i clienti, costretti a lunghe attese. Vogliamo investire parte di quegli smisurati utili per alleviare le sofferenze? Vogliamo potenziare il settore recapito, allo sfascio, perché meno lucroso del Bancoposta? Con ventimila nuove risorse, da distribuire in modo razionale, quanti problemi si risolverebbero? Proprio tanti! Una volta che fossimo davvero riusciti a mettere in pratica questa rivoluzione esistenziale, sarebbe tutto più facile. Per il resto, ovviamente, vale tutto quanto già più volte detto. Occorre combattere seriamente l'evasione fiscale; attuare una seria riforma costituzionale che vari il Parlamento monocamerale e l'elezione diretta del presidente della Repubblica, con funzioni di

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capo dell'Esecutivo; abolire le regioni e le province, macchine spreca soldi, e accorpare i piccoli comuni in modo che si raggiungano almeno quindicimila abitanti. PiÚ di qualsiasi altra cosa, però, occorre creare i presupposti affinchÊ si dia spazio agli italiani meritevoli di assurgere alla guida del Paese, che sono tanti e vivono nell'ombra, in attesa che un forte vento spazzi via, definitivamente, una classe politica marcia fino al midollo. Senza questa cura, altro che depressione! Lino Lavorgna


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ALLARME SUICIDI DA LOCKDOWN “La Sinistra ama talmente i poveri che ogni volta che va al governo li aumenta” (Indro Montanelli) mentre questo governo, per non vedere, gira la faccia dall’altra parte. Di suicidi non si dovrebbe parlare, per evitare i rischi di emulazione. Ma quando i dati si fanno drammatici, non si può che tirare dei bilanci, come in questi tempi di coronavirus. Di pochissimi giorni fa la notizia dell'imprenditore Antonio Nogara, di Napoli, morto suicida attanagliato dalle preoccupazioni e dalle difficoltà di una crisi che in questi mesi di "stop" non aveva certo risparmiato la sua impresa, i dipendenti e le sue responsabilità come titolare d'azienda. Quella dell'imprenditore napoletano, però, è solo una delle tante storie dal tragico epilogo di queste ultime settimane, in cui imprenditori, disoccupati, dipendenti hanno dovuto fare i conti con gli effetti devastanti e non preventivati del blocco totale delle attività e della produzione dovuto all'emergenza coronavirus. Dati allarmanti che si stanno ripetendo nel nostro paese, stiamo assistendo agli ennesimi effetti procurati nel periodo Fornero e Renzi, e se compariamo la situazione economica, cambiavano il sistema ma lo scenario era simile mentre ora è ancora più deleterio. Quella che osserviamo è una tragedia nella tragedia in cui alle già tante vittime del Coronavirus occorre sommare i tanti, troppi suicidi legati agli effetti economici dell'emergenza sanitaria. I dati sono impietosi: dall'inizio dell'anno sono già 42 i suicidi, di cui 25 quelli registrati durante le settimane del lockdown forzato; 16 nel solo mese di aprile. "Questa 'impennata' risulta ancor più preoccupante se confrontiamo il dato 2020 con quello rilevato appena un anno fa: nei mesi di marzo-aprile 2019, il numero delle vittime si attestava infatti a 14, e il fenomeno dei suicidi registrava la prima vera battuta d'arresto dopo anni di costante crescita". I tentativi di ammazzarsi durante il lockdown A questi numeri, di per sé significativi, vanno poi aggiunti anche quelli relativi ai tentati suicidi: 36 da inizio anno, 21 nelle sole settimane di lockdown. Proprio pochi giorni fa un 60enne di Baone in provincia di Padova è stato salvato dal suo tentativo di farla finita dovuto alla sospensione del lavoro appena iniziato e all'assenza di altre forme di reddito. Gli ultimi dati diffusi alzano a 1.128 il totale dei suicidi legati a motivazioni economiche in Italia dal 2012 a oggi, e a 860 i tentati suicidi. Quattordici imprenditori morti. Le vittime, sono per lo più imprenditori: 14, sul totale dei 25 casi registrati nel periodo del blocco. Un numero importante che sottolinea, ancora una volta, e oggi con maggiore forza, la necessità di intervenire con misure e interventi a sostegno del tessuto imprenditoriale.

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Pochi mesi fa si, rimarcava, in un contesto di fiducia dato dal generalizzato calo del numero dei suicidi, soprattutto tra disoccupati e precari, l'esigenza di un programma di politiche economiche piĂš ampio e strutturato, capace di guardare in modo particolare alle imprese e agli imprenditori. Oggi piĂš che mai questa esigenza diventa stringente, non solo per ricostruire il nostro Paese e per far ripartire l'economia, ma anche per prevenire quella che si sta delineando come una strage silenziosa, di cui le principali vittime sono gli imprenditori in difficoltĂ . Massimo Vitali


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UNA DEPRIMENTE COMMEDIA ITALIANA Si, mi deprimo ogni giorno di più! Le cause? Le più svariate: reclusione domiciliare; preoccupazione per la salute; incertezza sulla sostenibilità sociale ed economica della vita individuale come fin'ora conosciuta (un "de minimis": in questo 2020, ci saranno mai consentite vacanze estive degne di questo nome?); dubbio : mi verrà mai "ripagata" - in termini esistenziali si intende - la mia preziosa, in quanto ormai residuale, 76a primavera sprecata nel domestico reclusorio di un virale 41bis? Non so proprio cosa rispondere. Mi limiterò a pronunziare la ovvia (ed alquanto banale) frase dei mezzibusti/e televisivi quando, costretti ad elucubrare sul futuro prossimo venturo, sentenziano un definitivo: "comunque staremo a vedere!". Tra i predetti svariati motivi di depressione desidero tuttavia estrapolarne uno in particolare, recentissimo, ma per me particolarmente urticante (data la mia giovanile, ma mai dimenticata, formazione da liceo classico): la progressiva scomparsa di ogni aspetto di sostenibilità logica (in particolare tra la nostra ineffabile classe politica) in quelle situazioni in cui dovrebbe invece trovarsi ben evidenziata l'aurea sequenza: Necessaria Premessa - Consequenziale Ragionamento Ineludibile Conclusione. E vengo al dunque: Inizio con una considerazione preliminare: per godersi in pieno la "lettura" della sempiterna "comedie italienne" sono necessarie alcune ineludibili condizioni che vado qui di sotto ad elencare: 1 Il disporre di comoda poltrona sulla luna in modo da poter osservare lo spettacolo da una distanza di necessario distacco atto a fornire una globale, ed al contempo asettica, visione di insieme della "performance" per coglierne ogni paradossale carattere di illogicità; 2 Una assoluta neutralizzazione di ogni forma di audio allo scopo di eliminare quei fuorvianti, contraddittori, polemici rumori di fondo che distolgano dall'attenta osservazione dei "quadri" che si susseguono sul proscenio (come è noto, un attento ascolto ed una acuta visione sono aspetti che non possono coesistere nel cervello umano con simultanea, pari intensità : o prevale l'uno o prevale l'altra). E' giocoforza allora privilegiare la vista (sostanziale sede di verità da cui il concetto di evidenza) rispetto all'udito (privilegiata sede invece di possibili menzogne e di relativi bizantinismi del tutto ancillari a surrettizi scopi pseudo - esplicativi); 3 L'avere una solida concezione pirandelliana dell'esistenza, con relativa soppressione di certezze precostituite per la nota serie: "così è, se vi pare", che tutto include e tutto metabolizza; 4 L'essere, qual io fortemente mi considero, seguace di ferrea fede dell'umorismo esistenziale ai fini del perseguimento di genuine, ma occultate, verità (nonché fedele membro di quell'odierna

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ecclesia di cui S.S. Crozza Maurizio I° è Pontefice Massimo ed il cui motto è l'imperituro: "castigare ridendo mores") ed avere altresì la capacità di reggere senza battere ciglio alla visione dello scempio di ogni logica comportamentale che pretenda invece di apparire come derivante da pregresso senso compiuto. Ed ecco dunque la ragione di tale mio cruccio: Trattasi della visione della "performance" politico-mediatica del fausto atterraggio a Ciampino della giovane cooperante Silvia Romano, cosi come osservata dalla comoda poltrona della menzionata platea lunare e con il relativo audio, di connesse considerazioni e commenti, messo rigorosamente in modalità "mute" per le ragioni sopra esplicitate. Cosa mi appare dunque attraverso la lente del mio lunare, silente cannocchiale?: Quadro N. 1: l'immagine di una sorridente ragazza milanese in didascalico contesto africano che lascia sfumare nello sfondo il ricordo di analoghe colleghe (le due Simone, nonché le precedenti Vanessa e Greta). In sintesi, la giovanile cooperazione italiana femminile "at its best", però con sottesa, ineludibile, domanda: "ma perché mai andare a cooperare in Africa quando è più che evidente che qualche isolato più in là (chessò, al Giambellino o al Quarto Oggiaro) non sarebbero mancati certamente bimbetti poveri da accudire"? Ma si sa, andare in Kenia fa molto più "figo". Quadro N. 2: l'ineludibile stridore dato dall'evidente mancanza di una importante presenza aeroportuale, quella del Capo dello stato (felicemente registrata invece in analoghe circostanze di similari rientri in patria) sostituito questa volta, in più modesto subordine, dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dal Ministro degli Affari Esteri. Quadro N. 3: invisibile, ma aleggiante retro pensiero non percepibile alla vista, ma ben presente alla mente: "ma quanto ci è costata, in termini di ore/uomo e frusciante moneta, la liberazione della nostra Silvia?". Alcuni milioni di Euro? Probabilmente si. Dunque: non sarebbe stato meglio, anche per il bene della nostro povero Paese, ostacolare girotondi in Kenya e favorirli invece in qualche degradata periferia italiana o usare quei soldi per donare una struttura sanitaria o una scuola a quella lontana regione di Chakama ove la Romano è stata sequestrata? E quindi?: Quadro N. 4: alla fine della fiera ci ritroviamo invece con 4 milioni di euro in meno ("Il Giornale" dixit) ed una felice musulmana in più ("sto bene mentalmente e fisicamente" ipse dixit e prosit"!) di cui effettivamente non si sentiva la mancanza! E' lecito allora il domandarsi: "dove sta in tutto ciò la sequenza logica in grado di giustificare il fatto che due sommi rappresentanti governativi dalla nostra beneamata repubblica si siano sentiti in dovere di omaggiare di persona una intraprendente, ma forse ingenua (dopo tutto si è fatta - o l'hanno fatta - sequestrare) ragazza la quale: 1) ci è costata un sacco di soldi, 2) è diventata una divisiva icona tra nostrani schieramenti politici e di opinione, 3) ha giovato all'immagine internazionale dei suoi sanguinari sequestratari e della relativa jihad, 4) ed ha forse turbato un'intera comunità di credenti (locale parroco in testa?) che ha visto partire per l'Africa "la cattolica Silvia" per vedersela ritornare in Italia come "la maomettana Aisha? Mi accascio sconcertato sulla mia, peraltro accogliente e funzionale, poltrona lunare. E mi taccio. Antonino Provenzano Roma 12 maggio 2020


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NON E’ PIU’ TEMPO DEL CONTE BIS Basta barare truccando le carte a partita in corso. L'idea che chi si sia trovato a gestire l'emergenza pandemica abbia guadagnato il diritto divino a guidare la fase della ricostruzione post-Covid19 è una pericolosa menzogna. Tra i due momenti deve esserci soluzione di continuità. Serve un time-out per consentire alla comunità nazionale, rimasta letteralmente alla finestra a subire i divieti del Governo investitosi del potere assoluto col pretesto dello stato d'eccezione, di rientrare nel gioco democratico e compiere le proprie scelte. Già, perché un conto sono le misure straordinarie adottate in via eccezionale e temporanea, altro è ridefinire il profilo produttivo e sociale di un Paese travolto dalla crisi sanitaria. Per la seconda fase è indispensabile che siano i cittadini, attraverso l'esercizio della sovranità, a decidere quale futuro vogliano per se stessi e per la nazione. Non può essere una maggioranza parlamentare, largamente minoritaria nel Paese, a dettare nuovi indirizzi alla società. Lo scollamento che c'è tra la classe dirigente che governa e le istanze dei ceti produttivi e dei territori si è reso evidente nelle scorse settimane con lo scontro tra Palazzo Chigi e la maggior parte delle regioni amministrate da politici di opposto segno rispetto alla maggioranza parlamentare. Già al momento della nascita del Conte-bis denunciammo la discrasia che si sarebbe determinata tra le regioni del Nord, che rappresentano la parte più popolosa e produttiva del Paese, governate dalla destra e il Governo centrale penta-demo-renziano. I fatti di queste settimane ci danno ragione. Adesso però si esagera. La combriccola male assortita dei grillini e dei "dem" prova a dare una sterzata in senso iper-statalista al futuro del Paese. Hanno ragione da vendere i professori Giulio Sapelli e Luca Ricolfi che, in alcune recenti uscite pubbliche, hanno duramente stigmatizzato tale tentativo. Dichiara Ricolfi nell'intervista rilasciata lo scorso 8 maggio all'Huffington Post: "Questo governo è il primo governo esplicitamente e risolutamente iper-statalista della storia della Repubblica. In esso, infatti, le peggiori pulsioni del mondo comunista ed ex comunista, rappresentato da Pd e Leu, confluiscono e si saldano con l'ideologia della decrescita felice propria dei Cinque Stelle". È dunque questo il futuro che ci attende? Il sistema delle Piccole e Medie imprese strangolato dai provvedimenti di un Governo che le disprezza e una minaccia: l'ingresso dello Stato nel capitale delle aziende, magari per azzerarne il valore e venderle più agevolmente ai padrini esteri del Conte bis. Lo denuncia senza giri di parole Giulio Sapelli in una chiacchierata a "Il Giornale": "...vedo compagnie di ventura aggirarsi e portare via i grandi asset italiani. Rischiamo di perdere

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imprese strategiche. Si sta tornando al Seicento. La finanza in mano francese, il Nord-Est nelle mani tedesche e i porti alla Cina". E noi gli crediamo. Si sta per realizzare il sogno di Romano Prodi che, dopo aver compiuto scelte contrarie all'interesse nazionale nella sua carriera di boiardo (presidenza Iri- Istituto per la Ricostruzione Industriale) e di politico al vertice delle istituzioni nazionali ed europee, si è convertito a un ritorno dello Stato imprenditore. Non sono chiacchiere ma fatti. Intendiamoci, siamo stati e siamo convinti assertori dell'intervento dello Stato nella difesa della proprietà delle grandi aziende strategiche. Ma riaprire il mercato delle vacche per svendere il Made in Italy è tutt'altro affare. Dopo due mesi di crisi totale del sistema produttivo, le imprese non hanno ricevuto un soldo dalla mano pubblica. L'emergenza Coronavirus sarebbe stata il grimaldello giusto per scardinare il fortilizio della burocrazia che impedisce all'economia di rimettersi in movimento. Invece, è stato scodellato di un Decreto Legge omnibus per le misure di sostegno alle imprese e alle famiglie che non è destinato a produrre effetti immediati, se non in minima parte. Basterà? L'unica cosa che certa è che si tratta di un librone di circa 434 pagine e 258 articoli. Alla faccia della semplificazione! Regole che si aggiungono ad altre regole in una superfetazione normativa che sembra non avere fine. Lacci che serviranno a soffocare soprattutto i piccoli imprenditori, già spinti dalle circostanze eccezionali sull'orlo del baratro. A completare l'opera demolitoria penserà il nuovo provvedimento che annuncerà misure mirabolanti prese dal Governo che però non raggiungeranno mai i destinatari per le farraginosità dei suoi criteri applicativi. Come è accaduto con i prestiti garantiti al 100 per cento o al 90 per cento dallo Stato. Sulla carta tutte le imprese avrebbero dovuto tempestivamente beneficiare dello strumento. Invece, i dati reali raccontano di un flop spaventoso. Confindustria, sotto la nuova guida di Carlo Bonomi, è passata all'attacco contro il Governo. Niente passi felpati e bon ton ma scontro a viso aperto. E per muoversi in tal modo Confindustria che è filogovernativa per statuto, a prescindere da quale colore politico abbia l'Esecutivo in carica, significa che la situazione è catastrofica. Qual è allora l'obiettivo di questa miscela avvelenata di sinistra e grillismo che ci governa? Trasformare il Paese in quella che Ricolfi definisce "società parassita di massa", dove la maggioranza fatta di disoccupati e inoccupati vivrà in una perenne condizione di semi-indigenza, mantenuta dall'assistenza pubblica nell'appagamento dei bisogni primari. Non occorre un'indagine scientifica per rilevare la contrarietà degli italiani, popolo da sempre laborioso e creativo, a finire da pezzente a chiedere l'elemosina allo Stato o alle lobby straniere che si stanno preparando a fare shopping in casa nostra. Decidere del futuro di una comunità nazionale spetta al sovrano che nel caso di una repubblica democratica è il popolo. Se finora abbiamo ritenuto che potesse servire un Governo di salute pubblica per affrontare l'emergenza pandemica, ora siamo graniticamente convinti che prima di compromettere il futuro dell'Italia in via definitiva debbano essere chiamati gli elettori ad esprimersi. E non si dica che in periodi di crisi la prassi democratica non possa essere agita. È una sporca menzogna che serve soltanto la causa di chi armeggia per tenere al potere quelle oligarchie che


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pretendono di avere per sé il comando indipendentemente dalla volontà del popolo. Tale anomalia della democrazia non è figlia dell'oggi ma è da un decennio che la sinistra, perfetta incarnazione della volontà di dominio delle élite sulla comunità nazionale depotenziata dei suoi diritti, trova il modo di governare il Paese pur restando minoranza nel voto degli italiani. L'avere sul colle più alto della politica l'ennesimo personaggio proveniente dal campo della sinistra ha permesso che "l'anomalia" diventasse status quo. Ma quanto potrà durare la deroga alla regolarità democratica? Quanto ancora il Quirinale potrà fingere di non sentire la voce della disperazione che si leva potente e minacciosa dalla gente comune? L'unico rimedio al peggio? Elezioni politiche entro l'inizio della stagione autunnale. Occorre che una forza politica o una coalizione organica di partiti, voluta dal popolo, prenda in mano le sorti della nazione e approvi subito l'unica legge che gli italiani capirebbero: per ricominciare a vivere niente nuove leggi e niente tasse per un anno e denari pubblici dati direttamente alle imprese senza il filtro a maglie strette della burocrazia. Un consiglio non richiesto a colui che dovrebbe rappresentarci tutti: si sbrighi a concedere le elezioni. Le ribellioni non vanno più di moda nell'Occidente avanzato, perciò evitiamo di provocarne una solo per tenere al potere una parte politica che per la maggioranza degli italiani non dovrebbe stare dov'è adesso: in plancia, al timone di nave Italia. Cristofaro Sola

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UN CAOS ORDINATO Mi sono accorta a posteriori di non aver fatto altro nello scorso numero della rivista che elencare gli sconvolti, singoli scenari che davano e danno vita alla caotica vita quotidiana. E, infatti, un po' per celia e un po' per non morir, mi sono sforzata di immedesimarmi nelle problematiche delle varie tipologie dei cittadini e, sinteticamente, di 'sentire' il loro stato d'animo anche come 'fruitrici' di una informazione, caotica anch'essa, che non faceva né fa altro che accrescere lo sconvolgimento generale. Ma non ho minimamente ragionato. Non mi sono posta una serie di domande, a mio giudizio basilari, per poter inquadrare meglio la situazione complessiva che, a distanza di più di due mesi dal lockdown, assume contorni ancor più inquietanti i quali lasciano intravedere una sequela di problematiche che si protrarranno ben oltre la fine dell'emergenza in atto. Purtroppo, non ho le risposte ma il fatto di non averle non mi tranquillizza: anzi, mi suscita un senso di angoscia perché mi vedo impotente non solo nel cercarle ma anche nel costatare che tra i vari soggetti che si stanno occupando a dritta o a manca della 'questione' ben pochi sono quelli che cercano di 'vedere' e che s'interrogano. L'altro aspetto che m'inquieta è che, invece, tanti sembrano sapere con certezza cosa fare nonostante una moltitudine di fatti eterogenei e discordanti. Ciò non mi esime, in ogni caso, dal chiedere, nella speranza che tra i lettori della rivista vi sia chi, al dentro più di me delle 'segrete' cose, possa portarmi un po' di luce. Quindi, passo alla prima questione: dall'ascolto di vare fonti ufficiali d'informazione, mi sembra di aver capito che il cosiddetto 'coronavirus', per uno 'scherzo' della natura sarebbe passato da un animale (pangolino, pipistrello, ecc.) all'essere umano. Subito, l'affanno dei commentatori nel dire che, in epoca moderna, non è cosa nuova: sostengono che sia già successo più volte in un passato anche recente. Ed eccoli a citare l'aviaria, ad esempio, passata da 'volatili' all'uomo, poi riconvertita in 'suina'. Se leggo dall'ormai onnisciente Wikipedia, apprendo che, nonostante vari ipotetici casi in precedenza, uno studio serio e approfondito su tale 'influenza' sarebbe stato compiuto nel '97 e da quella data sono via via giunte diverse segnalazioni da diverse parti del globo terracqueo. La prevenzione allora prescritta fu la seguente: distanza sociale; mettere le mani davanti alla bocca quando si tossisce o si starnutisce e, comunque, si consigliava di farlo nell'incavo del braccio; lavarsi frequentemente le mani. Una nota sulle mascherine, poi, avvertiva che 'Nessuna maschera può evitare il diffondersi del virus' e che sostanzialmente serve 'per ricordare al portatore di non portare le mani in faccia.'. E ciò in quanto l''inflenza' si trasmetteva per via aerea


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e i sintomi erano crisi respiratorie acute e congiuntiviti. Curioso il fatto che in Italia si manifestò principalmente in Lombardia, in Emilia-Romagna e in Veneto. È mai possibile, a proposito di quest'ultimo aspetto, che allora e, poi, negli anni a venire fino ad ora, nessuno si sia posto il problema di tale particolare ubicazione? In seguito, sembra che il 'ceppo' originario sia mutato per dar luogo ad altre manifestazioni 'influenzali' che, a periodi ricorrenti, sono ricomparse nel mondo. Ad ulteriore esempio, infatti, viene citata la 'pandemia' del 2009 che, in esito ai dati ufficiali dell'OMS avrebbe procurato 'appena' 18.449 decessi, quasi tutti con ulteriori patologie in atto, accanto ad una quasi totalità di guariti. Invece, secondo Le Scienze, l'edizione italiana di Scientific American, che è tornata più 1 volte sull'argomento anche riprendendo un articolo apparso su The Lancet nel giugno 2012, il numero dei decessi oscillerebbe tra più di 200.000 a più di 400.000. Numeri che anche il 2 3 Quotidiano.net confermerebbe riprendendo dalla rivista Plos Medicine . Ora, accettati per veri i dati OMS, perché undici anni fa venne elevata l'allerta pandemica al livello 6, il massimo in caso di concreto, potenzialmente devastante pericolo? Di contro, dati per errati i dati OMS e per veri i dati successivi, perché gli Stati, che pure costatavano l'andamento pandemico, non hanno posto in essere stringenti misure di prevenzione e di contenimento? Più di un soggetto, in ogni caso, sollevò dubbi sulla fondatezza dell'allerta lanciata dall'OMS, accusata di aver voluto favorire le case farmaceutiche. In particolare, tra gli accusatori, Fiona Godlee del British Medical Journal4. È interessante al riguardo la risposta dell'8 giugno 2010 di Margaret Chan, allora Direttore generale dell'OMS: dubbio,igiene l'editoriale del BMJ lascerà a molti lettori l'impressione che la audacia 'Senza temeraria spirituale decisione dell'OMS di dichiarare lo stato di pandemia è stato almeno in parte influenzato da un desiderio di aumentare i profitti dell'industria farmaceutica. Il punto è però che la decisione di aumentare il livello di rischio di allerta di pandemia si è basato su chiari criteri epidemiologici e virologici. È difficile piegare questi criteri, quale che siano le motivazioni. E, ancora. 'Le accuse secondo le quali l'OMS avrebbe modificato la sua definizione di pandemia per venire incontro a un evento meno severo (a beneficio dell'industria) non è supportato dai fatti.'5. Non sono una scienziata, anzi capisco e parlo a malapena l'italiano ma a me sembra una risposta un po' debole. Resta, comunque, l'incongruenza dei dati: una pandemia, quella del 2009, con 'scarso' numero di contagiati e di decessi eppure elevata a livello 6 oppure un reale alto numero di contagiati e di decessi e una vistosa disattenzione degli Stati dal momento che non si osservò distanziamento, non si usarono le mascherine e si tossì e si starnutì come capitava. Se esiste una terza ipotesi mi farebbe un enorme piacere conoscerla. La più famosa tra tutte le pandemie resta comunque l'Asiatica, anch'essa di origine aviaria, con ogni probabilità non ancora ben approfondita come trent'anni dopo, che tra il '57 e il '60 procurò ufficialmente tra un 1.100.000 e 4.000.000 di morti. Eppure, neanche in quell'occasione si videro mascherine, confinamenti e distanziamenti né si consigliarono tecniche per contenere la propalazione del virus da colpi di tosse o starnuti. L'OMS, dal canto suo, catalogò questa 'influenza' come categoria 2. Eppure, già dai dati allora in possesso, ad un occhio sicuramente

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estraneo avrebbe dovuto presentarsi in toni maggiormente allarmanti. Analogamente, l'influenza di 'Hong Kong' che arrecò un bilancio ufficiale tra i 750.000 e i 2.000.000 milioni di morti fu inquadrata come categoria 2. Ai miei occhi, certamente digiuni di ogni benché minima competenza in materia, emerge comunque un'incongruenza in quel livello d'allerta. Per trovare una maggiore coerenza con la situazione attuale occorre risalire alla cosiddetta 'spagnola' che tra il '18 e il '19 uccise tra i 50.000.000 e i 100.000.000 persone: catalogata in categoria 5, paradossalmente più bassa dell'aviaria del 2009. Ecco, solo un secolo fa, almeno stando alle foto d'epoca, si vedono mascherine e distanziamento nelle immagini color seppia. Sarà certamente un caso ma dopo il 2009 l'OMS non ha più usato alcuna classificazione ufficiale di pandemia. Ha preferito adottare misure di contenimento e di prevenzione ai fini dell'eradicazione del contagio. Gli USA restano l'unico Paese a rimanere con un proprio sistema di valutazione basata sulla letalità: si va dalla categoria 1 (meno dello 0,1% dei casi confermati, come la normale influenza stagionale) alla 5 (il 2% e oltre). Ora, mi domando: stando ai rapporti dell'Istituto Superiore della Sanità6, ogni anno una 'normale' influenza 'provoca nell'uomo numerose infezioni respiratorie e costituisce, quindi, un rilevante problema di sanità pubblica per le possibili gravi complicanze nei soggetti a rischio. Le infezioni respiratorie acute causate dai virus influenzali possono essere lievi, gravi e possono persino causare la morte nei soggetti a rischio come anziani e bambini. Si stima che le epidemie annuali causino da 3 a 5 milioni di casi di influenza e da 290.000 a 650.000 morti in tutto il mondo. Il ricovero e la morte si verificano principalmente tra i soggetti ad alto rischio, che includono donne in gravidanza e chiunque abbia patologie sottostanti come diabete, obesità, malattie dell'apparato respiratorio e cardiovascolari.'. Alla faccia. Parliamo di una 'normale' influenza, per giunta in presenza di vaccino, con una letalità che sembra aggirarsi addirittura attorno al 9%. Allora, stando al rapporto di cui sopra, mi chiedo (senza sarcasmo né retorica) qual è la differenza con il Covid-19? All'apparenza, a me sembra risibile, atteso il numero dei casi di contagio e dei decessi. Al più, come qualcuno ha provato a dire, il problema sembra essere stato l'elevata contemporaneità numerica che manda in crisi le strutture sanitarie. Comunque, ad oggi, nel mondo, stando al sito del Ministero della Salute7, si hanno 2.686.785 contagi da Covid-19 e 184.681 morti, destinati purtroppo a salire all'atto di edizione della rivista. Praticamente, un'incidenza di mortalità ad oltre il 6% dei casi, nonostante le serrate e i confinamenti. Forse, senza provvedimenti restrittivi, la percentuale di letalità sarebbe stata maggiore? Senza sarcasmo, avrebbe potuto raggiungere i tassi di una 'normale' influenza? Senza considerare, poi, la 'scoperta' di quella che sembra essere la vera causa dei decessi: tromboembolia venosa generalizzata e non una polmonite interstiziale. In conseguenza, se ciò fosse vero, quanti sarebbero i decessi direttamente attribuibili al contagio da Covid-19? In ogni caso, perché la classificazione americana di quest'ultima pandemia è al massimo grado d'allerta, peraltro accompagnata da pesanti accuse all'OMS di ritardo nella segnalazione della sua insorgenza? Come a dire che il governo americano accusa l'OMS delle gravi problematiche sanitarie e delle morti che il virus ha creato sin dal primo impatto, non incontrando né


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precauzioni né predisposizioni di apparati. Ora, mi rifiuto di pensare che i luminari della scienza medica americana siano in realtà degli incapaci e, pertanto, devo ritenere che la loro preoccupazione sia fondata. Ma su quali basi, stando alle casistiche? Oppure, c'è da credere a quelle voci, sempre americane, che poco dopo hanno preso ad accusare l'OMS di aver prima sminuito e poi vistosamente ingigantito le segnalazioni di pericolosità del virus? Il governo americano, inoltre, accusa l'OMS di aver 'favorito' la Cina nel ritardare la segnalazione nonché di aver 'perso' il virus ventilando l'ipotesi di una sua manipolazione in laboratorio. Non so, ovviamente, se la prima parte corrisponda al vero ma stando ad alcune prese di posizione di eminenti personaggi qualche dubbio potrebbe sorgere. Lo scorso 7 aprile il presidente Trump ha twittato: L'Oms sta veramente mandando tutto in malora. Nonostante sia lautamente finanziata dagli Stati Uniti, per qualche motivo è molto sino-centrica [China centric, ndt]. Analizzeremo la cosa. Fortunatamente a suo tempo ho respinto la loro indicazione di tenere aperte le frontiere con la Cina. Perché hanno dato una raccomandazione così sbagliata?". Il presidente si riferiva alla dichiarazione ufficiale del direttore generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus del 30 gennaio scorso per conto del comitato d'emergenza sul nuovo coronavirus: "Non c'è nessuna ragione per provvedimenti che interferiscano senza necessità col commercio e coi viaggi 8 internazionali. L'Oms non raccomanda limitazioni al commercio e al movimento" . Un po' azzardata come dichiarazione. A Trump, peraltro, si sono aggiunti nel lanciare le stesse accuse diversi personaggi, americani e non. Ora, dimenticati per un attimo i dubbi pregressi, è mai possibile che una istituzione del livello dell'OMS alfine di favorire un Paese, ammessa la pericolosità della pandemia, minimizzi i pericoli? Perché, se così fosse, quale affidamento dovrebbe continuare a dare quell'organizzazione? Ma, se così non fosse e l'OMS fosse affidabile, perché le misure di restrizione? In ogni caso, perché l'OMS avrebbe prima sminuito la portata della virulenza e poi l'avrebbe drammatizzata? In ordine alla seconda parte delle accuse, poi, a distanza di quasi quattro mesi dall'insorgenza della pandemia, non sembra ci sia qualcuno, di qualsivoglia nazionalità, in grado di stabilire con certezza se il virus in esame sia stato 'manipolato' in laboratorio. Soltanto alcune voci ventilano il rimaneggiamento; voci come quella, insieme alle tante su WhatsApp, espressa proprio stamani da Il Quotidiano del Sud, a firma di Alberto Negri, sotto il titolo 'Una bomba batteriologica a Wuhan? Forse. E c'è lo zampino francese'9. Mi chiedo in conseguenza: come si possono affermare così apertamente dei fatti, al momento presunti, senza che vi sia qualcuno in grado di controbattere? In ogni caso, come è possibile che per oltre un mese siano state completamente errate sia le diagnosi e sia le conseguenziali procedure mediche? Ma, andiamo avanti. L'Italia, con le sue decisioni di lockdown e di chiusura delle aziende sembra essere stata addirittura additata ad esempio sulle misure da adottare per contenere il contagio. Eppure, sul Corriere della Sera del 19 aprile scorso -rubrica Economia-, a firma di Elena Comelli, è stato pubblicato uno studio che lascia sconcertati. Secondo quel corposo saggio, redatto dai esimi professori, ingegneri e matematici, sarebbero stati solo i primi 17 giorni successivi all'applicazione delle misure di contenimento a determinare l'entità della

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diffusione del contagio che però sembrerebbe dipendere esclusivamente dai focolai divampati per caso nei primi giorni (come quello all'ospedale di Codogno o alla partita Atalanta-Valencia) e non dalle differenze nel rigore del lockdown. Di conseguenza, qualsiasi misura restrittiva applicata dopo i primi 17 giorni (come la chiusura delle industrie o i divieti alla libertà di movimento dei cittadini), fermi restando guanti e mascherine, avrebbe inciso poco o nulla sull'andamento dei contagi e sul numero finale delle vittime. Il modello predittivo, infatti, ha fornito e sta fornendo dati appena appena superiori (zero virgola) alla realtà del blocco totale. È stato ed è coincidente, inoltre, con l'andamento di tutti i Paesi, compresi quelli dove le industrie non sono mai state chiuse e i cittadini sono molto più liberi di muoversi, come la Germania, il Belgio o la Svezia. Ma c'è di più. Lo scorso 21 aprile, i 10 medici dell'EMPAS hanno varato un comunicato , che invito caldamente a leggere, il quale con 'serenità' e con tono cortese, solleva una marea di interrogativi e di dubbi sulla necessità e sull'efficacia dei provvedimenti in atto. Allora, la domanda è: su quali presupposti è stato deciso l'attuale blocco totale mandando l'economia in vacca? Su quelli postumi dell'OMS? Un blocco, peraltro, le cui direttive, a detta di alcuni soggetti esperti in diritto tra cui Sabino Cassese e Antonio Baldassarre, emeriti della Corte Costituzionale, sembrano contenere disposizioni illegali e incostituzionali. Non sono una colta del diritto ma se ciò non corrispondesse al vero, significherebbe che i due emeriti siano un po' confusi. Di contro, avremmo ipotesi preoccupanti. A latere, mi chiedo: anche le recenti riflessioni della Presidente della Consulta sulla compressione dei diritti dei cittadini possono essere frutto di confusione? Tralascio l'applicazione spot delle disposizioni relative alle restrizioni da parte delle forze dell'ordine, alle quali va comunque il mio più profondo rispetto, se non per chiedere: perché il coniuge o similia, anch'egli munito di mascherina e guanti al pari del guidatore e con lui coinvolto nello 'stato di necessità', dovrebbe salire nel sedile posteriore dal momento che di là a poche ore si coricherà e aliterà, nel sonno, sul viso del/della partner? E ancora. Dove risiede la differenza tra passeggiare, distanziata dal mio prossimo, munita di mascherina e guanti, ad una distanza massima di 200 metri dall'abitazione (chissà poi perché) e fare la medesima cosa, con le stesse accortezze, ad una distanza presuntiva di 250 metri dichiaratamente contravvenendo a 'precise' disposizioni? È, peraltro, l'imprevisto occorsomi. Evito, in ogni caso, di dare risposte ipotetiche. Ma ciò che non evito perché non imputabili alle forze dell'ordine operative è interrogarmi sulle caratteristiche del controllo sul 'confinamento' forzato delle persone. Posti di blocco con file interminabili che fermano per 40/60 minuti le poche macchine che circolano ma che, comunque, poco dopo si ammassano per la somma dei tempi necessari ad ogni singolo guidatore di espletare la ritualità dell'autodichiarazione. Col risultato, ammesso che il lockdown sia necessario, di sottrarre tempo ai lavoratori, ai tanti che circolano con una fondata motivazione, agli autotrasportatori e al personale sanitario il quale, se non ha svincoli, non può abbandonare l'autovettura per recarsi in testa alla colonna ad esibire le credenziali. Ed anche qui la conseguente domanda: è valsa la pena di impiegare migliaia e migliaia di


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operatori delle forze dell'ordine per effettuare verifiche, al 25 di aprile, su oltre 6 milioni di persone (un decimo della popolazione) e su oltre 2 milioni tra esercizi ed attività commerciali, con l'aiuto di droni ed elicotteri, solamente per 'catturare' poche migliaia di 'contravvenenti'? Muovendo dal presupposto, poi, che i 'contravvenenti' hanno già banchettato, passeggiato, parlato e bevuto con altre persone. E, quindi, se erano portatori sani, la loro opera di untori l'hanno già svolta. Comunque, dicevo del fatto che l'Italia sembra essere stata presa a modello da altri Stati ma, da una carrellata in giro per il web non sembra che le cose stiano proprio come l'informazione 'pubblica' ci somministra quotidianamente insieme a quella privata 'di parte'. Invero, gli altri Stati sono andati in ordine sparso: in Germania, si può stare all'aria aperta massimo in due o con tutti i propri conviventi, non c'è distanza dalla propria abitazione che tenga e non esiste autodichiarazione. I mercati settimanali sono aperti e non sembra essere vero che i contagi siano in risalita: una fake tra le tante. In Francia, le uscite sono permesse per necessità, in un raggio di un chilometro, da soli o in compagnia del proprio nucleo familiare. Esiste una sorta di autocertificazione: la stessa dall'inizio del lockdown. In Inghilterra, ferma restando la necessità nell'uscire, si può farlo da soli o con il proprio nucleo familiare e non esiste autocertificazione. In Svezia non ci sono misure di confinamento ma soltanto raccomandazioni. In Belgio si può uscire massimo in due persone o con il proprio nucleo familiare, ovviamente per motivi di necessità e urgenza. Non c'è alcuna prescrizione circa la distanza dalla propria abitazione né esiste un'autocertificazione. In Olanda, le uniche restrizioni riguardano le riunioni politiche e le funzioni religiose tra cui matrimoni e funerali le quali si possono tenere con un massimo di 50 persone distanziate di 1,5 metri. Così come si possono svolgere tutte le attività fisiche che si vogliono purché ad una distanza dal prossimo di 1,5 metri. La Spagna è l'unica che ha adottato misure di confinamento simili all'Italia, tuttavia senza autocertificazione11. Analogamente dicasi per la scelta dei settori produttivi da lasciar fuori dalla chiusura, ovviamente differente da Paese a Paese, con l'Italia prima nella rigidità della 'serrata'. 12 L'Olanda, in particolare, ha un atteggiamento singolare : il governo raccomanda dal suo sito ufficiale di "rimanere in casa il più a lungo possibile" se posti in quarantena. Ma, mentre spiega di non avere più di tre ospiti alla volta, aggiunge una serie di consigli: "Tutti i membri di un nucleo familiare devono rimanere in quarantena finché sono senza sintomi per 24 ore. Se tutti i membri di un nucleo familiare sono senza febbre, raffreddore, mal di gola, tosse o difficoltà a respirare, si può uscire di casa". Si può, quindi, affermare impunemente che tutti i Paesi abbiano preso a modello l'Italia? Non sarei di questo avviso. Comunque, mi chiedo: 'controlliamo' affinché gli olandesi, ad esempio, che entrano liberamente nel nostro Paese, pur senza febbre, non siano stati a contatto nel loro Paese con persone contagiate? Gli facciamo il tampone o l'esame sierologico? Ignoro quanti olandesi quotidianamente 'girino' tra noi ma questo, già potenzialmente, non compromette i presunti effetti del lockdown? È stato assicurato che ogni soggetto individuale, giuridico o con partita IVA avrebbe ricevuto il sostegno necessario per sopravvivere. Non voglio tornare sull'impasse del cervellone dell'INPS ma, mi chiedo, c'è qualcuno che abbia controllato la fondatezza dell'erogazione, peraltro affidata

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in alcuni casi a società per azioni? Neppure l'INPS, che è maggiormente avvezza a compiti del genere, sembra riuscirci appieno come la cronaca ci ha detto: certo, i bonus non dovuti potranno essere recuperati ma a discapito, sia pur temporaneo di bisognosi certi. L'aiuto alle piccole aziende anticipato dalle banche merita, poi, un discorso a parte perché la concessione del bonus ha dell'umoristico: un massimo di € 25.000 totalmente garantite dallo Stato alla banca che lo eroga la quale, intanto, recupera il fido chirografario (senza garanzie) e sul restante da erogare applica un tasso in un momento nel quale i tassi sono praticamente a Ø. Mi chiedo, al di fuori della querelle: c'è una giustizia a questo mondo? Tralascio, per carità, la corsa degli ospedali a convertirsi in strutture Covid accantonando, di fatto, ogni altra patologia, l'impiego smodato dei tamponi nonostante l'altissima percentuale di falsi positivi, il costo lievitato a dismisura delle mascherine ffp2 e ffp3 vendute, dopo una sconcertante attesa, in milioni di pezzi. A tal proposito, mi sono affrettata ad andare in farmacia per comprare a prezzo certo (secondo le recenti assicurazioni del premier) le mascherine al costo di 0,50 centesimi cadauna. La farmacista, dopo avermi guardata con occhi stralunati e un sorriso stirato, mi ha chiesto di informarla qualora riuscissi a trovarle. Sembra che i 'liberisti da divano', come li ha definiti Arcuri, siano ancora quelli a dettare i prezzi. E comunque, sempre a tal proposito, si hanno ulteriori notizie delle truffe perpetrate a danno della Protezione Civile e della Regione Lazio da parte di società inesistenti? Sono scomparse dal raggio dei media. Un risultato, in ogni caso, lo abbiamo raggiunto: il nostro numero di posti di terapia intensiva, prima dell'emergenza quasi ultimo nella graduatoria dei Paesi europei, è balzato in avanti fino a collocarsi a ridosso della Germania, la prima in tale ambito già nella normalità. Mi chiedo: è concepibile che, riducendosi il numero dei casi, come sta accadendo, si smantellino le strutture create per l'emergenza ripiombando così nella situazione quo ante dopo un impiego di risorse abnorme? Già, perché il numero dei contagi sta calando vertiginosamente e si può pensare al ritorno alla normalità per fasi. Il che merita una riflessione più articolata. Già il primo allentamento è ridicolo: l'abbigliamento da bambino, come se fosse generalmente possibile aprire solo una parte di un negozio. Non sto a dire delle librerie dove campeggia unicamente il poster pubblicitario del libro 'Virus, La grande sfida' scritto dal virologo Burioni che in un mese e mezzo ha detto tutto, il contrario di tutto e ha pure scritto un libro. Se ciò è la premessa, chi ha scelto i criteri della cosiddetta ripartenza graduale meglio definita 'Fase 2'? Sembra che a guidare la 'ripartita' il governo abbia chiamato un pool di esperti che dovrebbero occuparsi delle varie problematiche di competenza dei vari dicasteri. Ben 17 capisquadra con uno staff complessivo di circa 470 soggetti le cui competenze sembrano esulare, sotto ogni aspetto, dalla logica delle precauzioni. Al riguardo, segnalo l'articolo di Ruggero Capone contenuto nel sito sottosegnato13. Non so se le riflessioni dell'articolista corrispondano alla realtà ma se lo fossero le perplessità si aggraverebbero. Comunque, è vero, da che mondo è mondo i ministri si sono avvalsi di consulenti non potendo essere, ovviamente, tuttologi ma è il caso di affidare scelte di carattere economico e sociale, per giunta straordinarie, direttamente a


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dei tecnici? È il caso di concedere loro ab initio l'immunità per preservarli da errori che possono compiere? Nel qual caso, che ne sarebbe della responsabilità del ministro competente? E ancora. Capisco la scelta del solo manifatturiero ripartito dal 4.5. e la sua importanza per l'esportazione. Ma, mi domando, prima di fare un enorme favore alla Germania non era il caso di incontrare una sua maggiore duttilità? Per quel Paese, l'industria automobilistica rappresenta il 16% dell'export, il 20% del fatturato industriale (400 miliardi) e il 12% del PIL e, con il 'just in time', la sua produzione dipende in toto dalla puntualità dei fornitori. Tra questi, ci sono la Spagna e, soprattutto, l'Italia che fornisce, per oltre il 20% dell'autovettura, componentistica che va da pellami a materiale per interni, da soluzioni meccaniche a quelle elettroniche altamente tecnologiche14. Senza l'Italia, le industrie tedesche sono ferme. Dal che l'appello accorato alla Merkel degli industriali teutonici. Non era il caso, quindi, di far pesare meglio e di più la nostra importanza? Non voglio soffermarmi sul comportamento delle organizzazioni sindacali, giustamente dedite a garantire la sicurezza dei lavoratori ma senza alcuna altra considerazione che possa contemperarla insieme alla produzione e al lavoro. Né, in conseguenza, voglio scrivere del rinvio praticamente di tutto il terziario (ad eccezione dei fiorai, dei servizi finanziari e di poco altro) senza nemmeno un abbozzo di concertazione anche se questo è il settore che praticamente sostiene l'intero prodotto interno lordo nonché l'economia delle famiglie. È quello, infatti, che fornisce il maggior valore aggiunto (71%), il maggior apporto al PIL (75%) e il maggior numero dei posti lavoro (67% degli occupati); un settore nel quale opera la metà delle imprese attive in Italia e che risulta il più dinamico: nascono al suo interno oltre il 65% delle nuove imprese. Il terziario che, inoltre, comprende luoghi di ricreazione e di relax come i ristoranti, le piscine all'aperto, le spiagge, i solarium, ecc. ecc. ecc. nonché le attività alberghiere e quelle di supporto al turismo. Non ne voglio parlare, dicevo, perché sembra inutile sottolineare l'esigenza economica di questo Paese visto che l'unico aspetto che sembra doverci interessare è l'angoscia del contagio. Così come sembra ormai inutile pensare a momenti di relax, di serenità, di riposo scacciati dalla vita quotidiana da cappe di terrore. Né, infine, voglio spendere molte parole sulle dichiarazioni che il 'libera tutti' si potrà avere solo 15 in presenza del vaccino. Forse gli ideatori di tali ipotesi non hanno letto i comunicati dell'OMS secondo i quali non c'è immunità permanente per i contagiati guariti e in conseguenza, anche per il rifiuto alla ricerca congiunta degli USA e della Cina, il vaccino è tra il di là da venire e l'improbabile. A ciò, magari, si potrebbe obiettare che l'OMS esagera o che non sa quello che dice: ma c'è qualcuno che si sente di farlo dimenticando i significati sottostanti che simili affermazioni comporterebbero? Non sto poi a discutere ora sull'applicazione 'Immuni' e sulla sua costituzionalità. Non voglio nemmeno recriminare sulle tante parole rassicuranti dette in libertà in questo periodo del tipo 'nessuno perderà il lavoro' perché moltissime attività, particolarmente del terziario, falliranno o non potranno riaprire e quelle che lo faranno si troveranno a fare i conti con un mercato dissestato che tra i primi riflessi negativi comporterà riduzioni di personale

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nonostante le rassicurazioni. Un quadro totalmente a discapito non soltanto delle singole imprese ma anche della maggior parte delle famiglie italiane che di quest'ultimo settore vive. Su un aspetto, invece, mi va di passare l'evidenziatore: gli ospedali, perché anch'essi torneranno alla 'normalità'. Quindi, mi chiedo, una volta cessate ai primi di maggio le collaborazioni temporanee, come sarà possibile assorbire il macroscopico arretrato? Se prima, nella normalità, le liste d'attesa variavano dai 15 giorni ai 60 giorni, nel prossimo domani a quanto ammonteranno senza possibilità di recupero visto che i soli interventi chirurgici accantonati sembrano essere più di 500.000? Il bello è che a tutta questa serie di domande non c'è risposta. O, meglio ce ne sono talmente tante, ben orchestrate dai mass-media, che si può perderci la testa perché non portano certezze bensì si limitano ad aggiungere confusione alla confusione, angoscia all'angoscia; in sostanza, siamo in presenza di una infodemia; cioè, come precisa la Treccani, la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, contraddittorie, infondate, pubblicate solo per il loro sensazionalismo, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili. In sostanza, non c'è informazione. Eh! Sì. Nemmeno nei peggiori incubi avremmo potuto concepire una situazione di tal fatta. Un caos così articolato che nella sua realtà sembra completo, organico, ordinato. Già, ordinato. Sin dall'inizio hanno preso a 'girare' sulle chat ipotesi di 'complotti' a livello mondiale per rendere l'umanità di fatto schiava. A queste si sono aggiunte poi ipotesi di connivenza tra Francia e Cina, manipolatrici del virus, a danno dell'Italia. Altre ipotesi hanno riguardato, poi, bieche volontà di uomini di potere di ingigantire il pericolo per favorire importanti case farmaceutiche che, comunque, in questo periodo hanno visto balzi in avanti impetuosi del loro fatturato. C'è stato persino chi ha affermato che la 'sosta' produttiva a livello mondiale è frutto, in realtà, della sottesa volontà degli Stati di recuperare il divario tra le risorse disponibili e quelle impiegate: un gap che, secondo il fautore del video, non poteva essere più a lungo sopportato. Potrei continuare ma mi fermo per esporre un mio personalissimo punto di vista. Non credo all'ipotesi complottista mondialista. Ho teso immediatamente a scartarla perché questa coinvolgerebbe all'unanimità tutti i leaders mondiali, tutti gli scienziati, tutti gli operatori sanitari e via dicendo. E ciò, a mio sommesso avviso, appare impossibile. Poi, una recente 'storiella' su WhatsApp mi ha portato sotto gli occhi Noam Chomsky e via via nella mia mente ha cominciato a prendere forma un'ipotesi. Poco tempo fa, l'amico Antonino Provenzano mi mise a conoscenza che nel presente numero avrebbe espresso una sua 'corbelleria', visto che tanti si impegnano a farlo e altrettanti si industriano a smontarle. Precisò, poi, umoristicamente, che, nella eventualità, il fatto di essere contestato lo avrebbe collocato d'emblée tra i premi Oscar, vista ad esempio la sorte toccata a Luc Montagnier. Ebbene, mi ha convinto e così, come sopra accennato, provo anch'io a formulare una strampalata tesi. Ebbene, la 'storiella' su WhatsApp è quella della cosiddetta 'rana bollita' attribuita erroneamente a Noam Chomsky, filosofo, scienziato cognitivista, teorico della comunicazione, accademico, attivista politico e saggista statunitense, e figlia invece di una ricerca svolta nel 1882


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presso la John Hopkins University. In ogni caso, è la metafora ad interessarci: "Immaginate un pentolone pieno d'acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l'acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l'acqua è calda. Un po' più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po', tuttavia non si spaventa. L'acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce - semplicemente - morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell'acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone." Il principio espresso, come facilmente intuibile, serve per descrivere la pessima capacità dell'essere umano moderno di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi. Viviamo, infatti, in una società nella quale il popolo è letteralmente schiacciato dal 'dio mercato', da una politica succuba, dai media, e accetta passivamente il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell'etica che derivano da questo continuo subire, in silenzio, senza mai reagire. Perciò, il principio della 'rana bollita' ci dimostra che quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta, da diventare pertanto invisibile, sfugge alla coscienza e non suscita, per la maggior parte dell'umanità, nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta. Infatti, se guardassimo ciò che è successo nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgeremmo della lenta deriva che abbiamo subito, anno dopo anno. In nome di una 'crescita', con il frastuono dei media, le 'fabbriche del consenso' per dirla con Chomsky, abbiamo accettato da parte di governi osannanti i 'mercati' assalti vittoriosi alle libertà individuali, alla dignità della persona, all'integrità della natura e persino alla felicità di vivere; assalti effettuati lentamente ma inesorabilmente, con la 'complicità' delle stesse vittime. Assalti vittoriosi che poco più di due decenni or sono se attuati tutti insieme avrebbero determinato il sollevamento delle masse con le organizzazioni sindacali in testa. Questo principio può essere, inoltre, calato in realtà diverse tra loro. E, infatti, per proseguire nella mia 'corbelleria', è quanto è successo con questo accidente di coronavirus facendo convergere due particolari aspetti: l'esigenza delle comunità di essere 'difese' e la 'debolezza' nonché l'incapacità dei governi. Non c'è dubbio che in presenza di un pericolo, la comunità ricorra al 'principe' perché questi provveda alla sua più efficace difesa. E se per farlo deve aumentare, che so, le tasse per assoldare sgherri oppure rinchiudere a protezione la comunità dietro alti steccati, sa di incontrare nel farlo il consenso popolare. Nell'America delle Libertà, dopo l'11 settembre, con il Patriot Act sono passate norme talmente lesive delle libertà e dei diritti individuali che, in altra epoca, avrebbero dato luogo a sommosse popolari, sicuramente vincenti. Il fatto contestuale è che le società stanno divenendo sempre più complesse, difficili da gestire, mentre i governi diventano sempre più deboli, vincolati peraltro da una serie di lacci, e incapaci

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per l'abbassamento generale e plateale dei livelli della politica. I Mitterrand e i Kohl, infatti, sono scomparsi da tempo. Così il paradosso delle risorse che, invece di essere impiegate per garantire benessere e funzionalità, vengono destinate ad aumentare la complessità, affastellando strutture su strutture che, in buona parte, sono autoreferenziali mentre alla sanità, ad esempio, in dieci anni sono stati tagliati 50 miliardi. E, tuttavia, l'aumento della complessità a cura degli incapaci dà a quest'ultimi una parvenza di grandezza. L'attuale pandemia è stata una botta a ciel sereno: una situazione alquanto complessa, comunque la si voglia intendere, non solo per le emergenze sanitarie ma anche per le sue macroscopiche contraddizioni; i morti, gli ospedali al limite, le economie compromesse non cancellano un suo carattere artificiale, posticcio, mediatico. Così, i governi, non potendo dipanare la complessità, si sono attivati per la 'complicata protezione' cogliendo così l'occasione di giustificare vieppiù la loro opera e la loro esistenza. In questo concetto, comunque, esiste una differenziazione: l'incapacità, l'inettitudine ha vari gradi. Ecco, partendo dalla premessa che il drammatico evento ha comunque fornito a ciascun governo uno spunto di esistenza, la differenza sta tra chi ha cercato di contemperare la complicazione col contingente stato di necessità e chi, invece, ne fa usbergo per continuare la sola complicazione. Lo so. Sembra uno scioglilingua ma per farla semplice, ecco, nella mia 'corbelleria', è il grado e la durata del confinamento, laddove c'è stato, e la durata della 'serrata' a fare la differenza di incapacità. Lo sketch è finito. Applausi e fischi. E il carro di Tespi va. Roberta Forte


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SULL’IMMIGRAZIONE LA SINISTRA TRADISCE GLI ITALIANI Del Decreto Legge denominato "Rilancio Italia" dovremo parlare a lungo, dopo averlo studiato attentamente. Tuttavia, un giudizio sulla parte del provvedimento dedicata alla regolarizzazione degli immigrati irregolari c'è ed è pessimo. Per molte ragioni, non tutte strettamente connesse ai profili tecnico-giuridici della nuova norma. Nel merito, è nostra opinione che l'articolo 110-bis del Decreto, introdotto dalla fuorviante dicitura "Emersione di rapporti di lavoro", sia figlio di una chiara scelta ideologica. La sinistra non ha mai smesso di puntare a stravolgere l'identità della comunità nazionale mediante l'immissione indiscriminata di gruppi umani provenienti da aree del mondo esterne al Vecchio Continente. Non vi era riuscita negli anni precedenti, quando ha provato a modificare la legge sulla cittadinanza. E non vi era riuscita anche per il fatto che l'idea di società multiculturale aperta alle migrazioni di massa cozzasse contro la pretesa giustizialista di non consentire in via di principio alcuna forma di sanatoria. La sinistra bacchettona, che ha fatto muro contro la clemenza di Stato, che si manifestasse attraverso le amnistie per i responsabili di reati o mediante i condoni fiscali ed edilizi, non avrebbe accettato di essere colta in fallo nell'invocare un'eccezione per gli immigrati. Eppure, sul colpo di spugna per i clandestini, la sinistra è sempre stata consapevole di non essere in sintonia con la volontà della maggioranza degli italiani contrarissimi alle regolarizzazioni. Tuttavia, la sua forza sta nell'imporre al popolo, in nome del suo stesso bene, ciò che il popolo non sa di volere. È la funzione pedagogica dell'ideologia progressista alla quale la sinistra non può rinunciare, pena la sconfessione della propria ragione sociale. Come colpire l'obiettivo? Si tratta di cogliere l'attimo, quando il Paese è confuso ed è preso da altre e più importanti incombenze; quando, governando in coalizione con altre forze politiche, gli alleati sono così deboli da non costituire un intralcio al perseguimento dei progetti più indigesti. La crisi pandemica è capitata come il cacio sui maccheroni per assestare quei colpi che in un momento ordinario della vita democratica sarebbe stato impensabile piazzare senza sollevare la protesta degli italiani. Quale migliore occasione del varo del decreto che, a parole, dovrebbe rovesciare sulle imprese e sulle famiglie un fiume di denaro, per infilarci dentro la polpetta avvelenata della regolarizzazione dei clandestini? Allineamento astrale perfetto: la crisi economica incombente, l'alleato grillino che ormai si rappresenta come un esercito in rotta, e il gioco è fatto. Nondimeno, si tratta di un tragico errore di cui pagheremo le conseguenze negative per molto tempo. Col pretesto di dare una mano all'agricoltura che ha bisogno di manodopera per non perdere i raccolti di quest'anno, l'articolo 110-bis del Decreto concede ai datori di lavoro la possibilità di stipulare contratti di lavoro subordinato con cittadini

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stranieri presenti sul territorio nazionale o di regolarizzarne la posizione quando siano in essere rapporti di lavoro irregolari. La motivazione addotta dalla ministra dell'Agricoltura Teresa Bellanova ha del surreale: la misura varata cancellerebbe il caporalato e altre forme criminali di sfruttamento del lavoro in agricoltura. Ragioniamo. Dietro la messa in schiavitù dei clandestini ci sono indubbiamente imprenditori, italiani, senza scrupoli che fanno profitto lucrando sul costo irrisorio della manodopera. Le organizzazioni criminali hanno puntato a inserirsi in tale business offrendosi di incrociare la domanda all'offerta. Si chiama caporalato: dei delinquenti che intermediano braccia che si offrono a padroni che non vanno per il sottile. La nuova norma prevede un condono per il datore di lavoro a patto che si denunci e paghi una penale di 400 euro (Comma 6.). Il reo confesso, in cambio del perdono dello Stato per averla fatta franca, dovrebbe impegnarsi per il futuro a rispettare le regole sui contratti di lavoro e a pagare una sorta di obolo penitenziale a compensazione delle somme dovute in qualità di datore di lavoro per le pregresse inadempienze retributive, contributive e fiscali. Somma che non è al momento quantificata ma dovrà essere fissata in un successivo decreto del Ministro del Lavoro, scritto di concerto con il "Ministro dell'Economia e delle Finanze, con il Ministro dell'interno ed il Ministro delle politiche agricole e forestali" (Art.110-bis, Comma 6.). Ora, se un imprenditore è un farabutto mai accetterà di mettere la testa nel capestro. Contando sulla difficoltà degli enti della Pubblica Amministrazione di assicurare controlli capillari, continuerà a fare "nero" come è più di prima. A meno che non colga nelle pieghe della legge l'occasione di fare altro business illegale. Manco a farlo apposta il Decreto spalanca le porte a tale opportunità. Il Comma 13 dell'articolo 110-bis prevede che all'atto di presentazione della richiesta di regolarizzazione venga consegnata all'immigrato un'attestazione che gli consenta il soggiorno in Italia fino ad un eventuale (si sottolinei eventuale) comunicazione dell'Autorità di Pubblica sicurezza. Si torna al salvacondotto di ottocentesca memoria, ma che sul mercato odierno delle frodi vale oro per chi lo detiene. Con i mostruosi carichi di lavoro, infatti, che gravano sugli organismi di Pubblica sicurezza, un immigrato che ha nelle mani il pezzo carta potrebbe restare nel nostro Paese per il tempo di durata del contratto di lavoro fittizio (Comma 4), magari continuando a svolgere la sua attività abituale, anche se essa non sia propriamente legale. Il costo ufficiale della pratica a carico del lavoratore è al massimo di 30 euro (Comma 13.). Ripensando a quel tale disonesto imprenditore che su un quintale di patate ricava scarsi 15 euro, sarà una pacchia mettere in piedi il business dei finti contratti di lavoro agli immigrati (paganti) che si aggiunge ad altre specialità di certa agricoltura "noir": le finte disoccupazioni, le pratiche manipolate per l'Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura dei premi previsti dalla Pac -Politica Agricola Comunitaria) e altre mille e una fantasie fraudolente sui fondi comunitari, riscontrate dalla Guardia di Finanza, su 13mila controlli svolti tra il 2014 e il 2016, in 6 casi su 10 (Fonte: Senato della Repubblica - Ufficio Valutazione Impatto). Naturalmente tutto ciò alla sinistra non interessa. Lo scopo era aprire la breccia all'afflusso degli immigrati. Il successivo step sarà quello di investire fondi pubblici per sistemarli abitativamente in modo permanente e adeguato alla nuova condizione di emersione. Come potrebbe un lavoratore regolare stare in una baraccopoli? Alla bisogna provvede il Comma


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17: "le Amministrazioni dello Stato competenti e le Regioni, anche mediante l'implementazione delle misure previste dal Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020-2022, adottano soluzioni e misure urgenti idonee a garantire la salubrità e la sicurezza delle condizioni alloggiative". Dopo il lavoro la casa, quando milioni di italiani da qua a qualche mese non avranno più un piatto di minestra da mettere in tavola e forse neppure un tetto sotto cui stare per colpa degli insoluti con le banche creditrici. E i grillini che minacciavano fuoco e fiamme? Loro, i puri e duri del con-noi-mai-condoni? Hanno calato le brache perché sono stati ricattati dagli alleati. Quando sembrava che la truppa pentastellata non cedesse sulle regolarizzazioni, a sinistra è cominciata a circolare la voce che si sarebbe potuto prendere in considerazione la soluzione prospettata dalla destra di impiegare i fruitori del Reddito di cittadinanza per i lavori in campagna. Tra i grillini è stato il panico. Solo immaginare di scomodare gli assistiti di Stato, che essi pensano costituiscano l'ultima linea di difesa dal crac elettorale, li ha spinti a piegarsi al progetto della sinistra unita. Sinistra che ancora una volta ha dimostrato "per tabulas" che le divisioni all'interno del suo campo sono solo specchietti per le allodole. Prepariamoci dunque a reggere il primo impatto della nuova normativa: la ripresa dei flussi incontrollati di clandestini dal Mediterraneo Meridionale. Quando si spargerà la voce, nelle remote contrade d'Africa, che in Italia si è accolti e messi in regola, un'onda gigantesca si abbatterà sulle nostre coste. Ma non sarà di quelle che stimolano a fare surf. Cristofaro Sola

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CARA ANGELA, TI SCRIVO Carissima Angela Merkel, ti scrivo con animo sereno, affettuosamente e senza alcun risentimento. Non potrebbe essere altrimenti: anche se piccolo, il mio movimento "Europa Nazione" auspica l'unione dei popoli europei sotto un'unica bandiera e quindi, per me, tutti gli europei "sono connazionali". So bene che il concetto, per te come per tanti altri, è di difficile comprensione (io sono nato postumo, proprio come quel tuo grande connazionale nato in un minuscolo villaggio della Sassonia, e vivo tra centinaia di milioni di persone che ancora sono afflitte dalla "sindrome dell'orticello") e pertanto ti prego di credermi sulla parola: non puoi nemmeno immaginare quanto sia meraviglioso allargare i confini e sentirsi a casa propria da Capo Fligely all'Isla de Hierro, da Izvaryne a Fajã Grande. (Non me ne vogliano i puristi dei punti estremi del continente se ho cambiato qualcosa ad Est: se permettete, visto che gli Stati Uniti d'Europa per ora vivono solo nei miei sogni, lasciatemi sognare l'Europa Unita con i confini che piacciono a me). Non puoi immaginare, inoltre, quanto ciò sarebbe importante per eliminare alla fonte la stragrande maggioranza dei problemi che ci affliggono in campo politico, economico, sociale. Nelle mie vene, tra l'altro, scorre sangue longobardo e quindi il retaggio ancestrale porta a una sorta di naturale propensione affettiva nei confronti del tuo popolo, che accolse i miei avi quando lasciarono le fredde coste della Scania in cerca di terre più ospitali. Oddio, prima dovettero suonarvele di brutto in Scoringa e zone limitrofe perché non è che li accoglieste a braccia aperte, ma questi sono dettagli di poco conto. Dopo le scaramucce iniziali vi fu grande armonia e commistione. Veniamo al punto. La decisione di riaprire le frontiere a partire da metà giugno vede esclusa l'Italia, considerata a rischio. In poche parole si è ritenuto che i tedeschi solitamente frequentatori della costa adriatica, della costiera amalfitana, delle nostre splendide isole e di qualsiasi altro luogo gradito, saranno più sicuri in Francia, Inghilterra e negli altri paesi del continente. L'esclusione vale anche per la Spagna - va detto per dovere di cronaca - e saranno gli spagnoli, eventualmente, a produrre le osservazioni che riterranno più opportune. Per quanto mi riguarda questa decisione si caratterizza come una colossale scemenza, alla luce dei dati reali, da tutti verificabili. Qui riporto quelli essenziali, sforzandomi di ridurre al minimo l'esposizione di dati statistici, a solo beneficio dei lettori: coloro che il problema seguono per dovere professionale quotidianamente, a qualsiasi titolo, e quindi te compresa, non ne hanno certo bisogno. Alle ore 8 del 17 maggio, ora in cui scrivo questa lettera, la situazione nei


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principali stati europei è la seguente: Regno Unito 233.151 casi (33.614 morti); Italia 223.885 casi (31.610 morti); Francia 141.356 casi (27.425 morti); Spagna 229.540 casi (27.321 morti); Germania 173.152 casi (7.824 morti ). Già questi dati bastano per evidenziare una palese distonia decisionale: a che titolo, Regno Unito e Francia, per esempio, possono essere considerati più sicuri dell'Italia con riscontri quasi analoghi? Ma scendiamo ancor più nei dettagli. È noto - dovresti saperlo anche tu - che quanto più alto è il numero dei tamponi effettuati tanto più alto sarà il numero dei contagi accertati e di conseguenza lieviterà anche il numero dei decessi attribuibili al coronavirus. In Italia, nel computo, figurano non solo coloro che sono deceduti "a causa esclusiva" del coronavirus ma anche coloro deceduti "con" il coronavirus, che ha inciso su altre gravi patologie. Togliendo questi ultimi, la cifra scenderebbe, e non di poco. Sai qual è il paese europeo che abbia effettuato il più alto numero di tamponi in Europa, in rapporto alla popolazione? Te lo dico io: è l'Italia! Con semplici "proporzioni", qui risparmiate per non far venire il mal di testa ai lettori, ma che anche in Germania qualsiasi analista è in grado di compiere, rimodulando i dati dappertutto, in funzione di quanto fatto in Italia, avremmo uno stravolgimento pazzesco delle cifre summenzionate! Sappiamo tutti, inoltre, e sicuramente lo sapete anche in Germania, che per fronteggiare una pandemia occorre contenere e mitigare la diffusione del virus con adeguati provvedimenti. Ebbene, lo sai qual è il paese europeo che abbia meglio operato in tal senso, sia sotto il profilo della tempistica sia per la qualità dei provvedimenti adottati? Risposta facile: è l'Italia. Sempre per amor di sintesi evito di riportare i dati analitici che indicano la successione dei vari provvedimenti adottati, in virtù dei quali dietro l'Italia compare la Francia, mentre voi tedeschi figurate addirittura al terzo posto! Un altro dato importante è quello relativo alle misure di potenziamento. Sai cosa sono? Te lo dico io: sono quelle misure che prevedono fondi aggiuntivi per la sanità per migliorarne l'efficacia. Ora, a prescindere dai casini che la stampa riporta sistematicamente; dai truffatori che speculano sulla pandemia (in Italia come altrove) e dai problemi atavici che la pandemia ha fatto affiorare in modo più tangibile (in Italia come altrove), sai chi risulta al primo posto, in Europa, per le misure di potenziamento? E dai, non arricciare la fronte! Lo sai benissimo: è l'Italia che ha fatto di più, seguita dalla Francia. Voi siete terzi. Senza offesa, poi - anzi te lo dico in latino per esser ancora più educato "absit iniuria verbis", è appena il caso di evidenziare che, sia pure a fronte di un sistema sanitario che paga il prezzo della frammentazione regionalistica e della malapolitica, i medici italiani non hanno eguali al mondo, cosa che viene - Deo gratias universalmente riconosciuta e ha fatto la differenza - e in che modo - in questi difficili mesi. Alzati in piedi, ora, e resta un minuto in silenzio in onore dei medici e infermieri che hanno sacrificato la loro vita per tutelare quella altrui. Potrei continuare ancora a lungo con la statistica, ma so che essa stanca e pertanto mi fermo qui. Del resto basta e avanza quanto scritto. La verità, cara Angela, è che alla base del provvedimento vi è solo la squallida e meschina volontà di colpire economicamente l'Italia, privandola dell'afflusso turistico. Un'Italia debole economicamente fa gola sul fronte della speculazione, ma soprattutto vi esalta psicologicamente, contribuendo a lenire quell'atavico senso di inferiorità che in modo

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subliminale, o addirittura palese, vi frustra non poco. Ma non è certo colpa mia e dei miei connazionali se in Italia si siano create condizioni tali in virtù delle quali, un paio di millenni orsono, le legioni di Augusto e Tiberio, assoggettando i tuoi antenati, crearono premesse di civilizzazione anche nella tua terra. La storia europea è una storia complessa, a tratti ancora inesplicabile, e dobbiamo superare le reciproche frustrazioni: nessun essere umano ha colpe o meriti per dove nasce, ma solo colpe o meriti per come vive. Attualmente, cara Angela, si possono solo definire meschini i comportamenti "antitaliani", perché solo dalla meschinità e dall'invidia nascono. Nulla di nuovo sotto il sole, del resto, sia considerando la sciagurata politica comunitaria da voi tedeschi fortemente condizionata, sia, soprattutto, analizzando sociologicamente quella vostra particolare "weltanschauung", magistralmente sintetizzata proprio dal più grande tedesco mai nato, in una delle sue tante opere. Forse non hai mai letto un testo di Nietzsche, impegnata come sei stata a studiare i complessi testi di fisica e chimica ed essendo nata in una famiglia dove di sicuro il grande pensatore non era amato. Beh, ti consiglio di leggere attentamente le sue considerazioni inattuali, prestando particolare attenzione al capitolo dedicato a David Strauss. Credimi: quel saggio ti cambierà la vita. Per molti anni ho posseduto una casa ad Amalfi, mio rifugio prediletto per appagare la voglia di mito, suggestione e magia. In quella stupenda terra ho seguito i sentieri percorsi da un altro tuo grande connazionali, Richard Wagner, che con la moglie Cosima, strappata al suo amico pianista Hans von Bülow, si recò a Ravello a dorso di mulo, restando incantato dal panorama che si dipanava alla vista da Villa Ruffolo, trovandovi l'ispirazione per l'ambientazione del giardino magico di Klingsor, che appare nel secondo atto di quella straordinaria opera dedicata al cavaliere per eccellenza: Parsifal. Ad Amalfi ho conosciuto tanti tuoi connazionali con i quali ho stretto solidi legami d'amicizia e da loro ho imparato a tuffarmi in quello stupendo mare color cobalto, anche nei mesi autunnali e primaverili: vedendo loro, infatti, che tranquillamente si lasciavano cullare dalle onde a ottobre inoltrato e ai primi di marzo (sì, anche in quei mesi vi sono tedeschi che vengono in vacanza), cosa che a me non era mai venuta in mente di fare, provai ad emularli, senza più smettere. Questo è uno degli aspetti più belli "dell'incontrarsi": si impara molto gli uni dagli altri. Che dirti ancora, cara Angela. Sai bene che i tuoi connazionali in nessun posto saranno sicuri come in Italia. E lo sanno anche loro. Dovresti anche sapere, però, che si vive una sola volta e non basta aver governato a lungo un paese per entrare degnamente nella storia, come qualche tuo predecessore ha dimostrato in modo nefasto. E come purtroppo stai dimostrando anche tu, che però hai ancora la possibilità di redimerti, se t'impegni a fondo e vinci i tuoi tanti complessi. A noi italiani farà tanto piacere continuare ad ospitare i cittadini tedeschi, ma non ci fasceremo la testa se non verranno. Siamo italiani, abbiamo visto di peggio e ce l'abbiamo sempre fatta. Come diceva qualcuno, sui corpi dei leoni festeggiano i cani credendo di aver vinto. Ma i leoni rimangono leoni e i cani rimangono cani. Un caro saluto e buona fortuna. Lino Lavorgna (presidente "Europa Nazione" - www.europanazione.eu)


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APPELLO AGLI ITALIANI: LA PELLE CE LA GIOCHIAMO ORA Scientia potentia est. Nella nostra condizione il “sapere” è dato dalla consapevolezza della reale condizione in cui è l’Italia in questo epocale passaggio storico, mentre il “potere” è rappresentato dalla conseguente capacità di venirne fuori. Ma il Paese è consapevole dei rischi che sta correndo? La mia risposta è no, non lo è. E a ben vedere non lo era neppure prima del Covid, se è vero – come purtroppo è drammaticamente vero – che da oltre un quarto di secolo scivola in un declino, lento ma inesorabile, fattosi col passare del tempo vera e propria decadenza, senza che questo abbia generato cognizione della tendenza in atto e soprattutto delle sue cause. Ha generato rabbia, rancore, astio, scoramento, ma non consapevolezza. Anche perché il sentimento collettivo italico ha trovato più semplice individuare un nemico – interno o esterno – cui scaricare colpe che per definizione non possono che essere di un intero popolo. D’altra parte, il genere umano è tendenzialmente portato ad auto-ingannarsi per trovare conforto interiore, e gli italiani in questo sono campioni del mondo. Ma se questa inclinazione è fisiologica, negli ultimi tempi la nostra è diventata una grave patologia: non sappiamo e non vogliamo vedere dove stiamo andando per non essere costretti a dover accettare ciò che serve fare per invertire la rotta. Non lo fa la classe politica, ridotta a puro specchio di ciò che rappresenta, che preferisce organizzare la propria esistenza sulla contrapposizione che nasce dalla reciproca attribuzione delle colpe anziché sulla dialettica delle idee e delle proposte. E non lo fanno i cittadini, che accettano di essere trattati da sudditi pur di non guardare in faccia la realtà e regolare di conseguenza l’attribuzione del proprio consenso. Tutto questo ha trascinato il Paese sull’orlo del precipizio, però senza che mai ci finisse davvero dentro, perché due potenti freni hanno rallentato la corsa verso l’abisso e fatto da ammortizzatori sociali: la ricchezza accumulata, che anche grazie al sommerso e all’evasione fiscale è molto più diffusa e articolata di quanto la fotografia ufficiale e la narrazione conformista non la rendano visibile; e lo sdoppiamento tra il paese legale, immerso in una formalità giuridica iper regolata, e il paese sostanziale, talmente impegnato a eludere i vincoli da incorrere frequentemente nell’irregolarità e nell’illegalità, favorito in questo dalla montagna di eccezioni che la stessa bulimia normativa partorisce. È quella che Luca Ricolfi ha chiamato, con sintesi efficace, la “società signorile di massa”. Che in questi anni ha vissuto in un equilibrio allo stesso tempo reale, perché effettivo, e apparente, perché frutto di un colossale equivoco, e dunque destinato a non poter durare: quello che si è creato tra il benessere diffuso e tre talloni d’Achille che ci rendono fragilissimi: la prolungata

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mancanza di crescita economica, l’enorme debito pubblico accumulato e una percentuale molto bassa di bassa di persone che lavorano (su più di 60 milioni di residenti, gli occupati sono circa 23,4 milioni, ovvero il 39,1%, mentre il tasso degli occupati sul totale degli attivi è del 59%). Ora, però, il Covid sta per rendere nudo il re. Quel fragile equilibrio, basato su un’illusione ottica, non avrebbe comunque retto. Ci eravamo andati vicini nel 2011, per effetto dello spread che era stata la spia dell’insostenibilità del debito, e quindi della nostra condizione più generale. Poi ci abbiamo messo una pezza, e la storia s’incaricherà prima o poi di rendere merito a Elsa Fornero della sua riforma (pur con tutti i limiti che aveva) che ci impedì di fare default. Ora la crisi economica scaturita dall’emergenza sanitaria – che è mondiale – ma anche dalla nostra peculiare gestione della medesima, che accentua le già forti asimmetrie in atto, apre sotto i nostri piedi una voragine dentro la quale sarà quasi impossibile non cascare. Da un lato gioca la dimensione della recessione. La botta sul pil sarà tremenda, doppia di quella del 2008: se va bene (si fa per dire) sarà del 10-11%, se va male tra il 12% e il 15%, se va rovinosamente tra il 16% e il 20%. Ma ancor più importante è la portata del rimbalzo che si realizzerà nel 2021: sotto la metà della perdita di ricchezza nazionale di quest’anno sarebbe un disastro, mentre solo un recupero di due terzi arrecherebbe sollievo. I numeri del pil determineranno la tenuta del nostro debito pubblico ben più di quanto non lo faccia l’aumento, anche molto pesante, del debito stesso: nel rapporto debito-pil, se il denominatore non crolla consente al numeratore di crescere non dico senza limite, ma con una certa libertà, mentre se dovesse crollare allora anche il contenimento del nuovo indebitamento sarebbe inutile. Intendo dire che il debito al 160% (come si prevede) o anche al 170-180% del pil, se è frutto di tanto nuovo deficit ma di una caduta del pil contenuta e di un rimbalzo nel 2021 sostenuto, non creerà troppi maldipancia sui mercati; viceversa, con un debito-pil che si ferma al 155-160% perché il nuovo deficit è relativamente (alla situazione data) poco, ma contabilizza una caduta del prodotto forte e un insufficiente rimbalzo, allora saranno guai. Naturalmente questi numeri non sono estrazioni del Lotto, ma la diretta conseguenza delle politiche messe in atto. Ed è qui che temo caschi l’asino. Per il combinato disposto di due cose. La prima è data dalla somma degli errori commessi nel pensare le risposte emergenziali alla crisi con i ritardi accumulati nel renderle operative – dall’uso delle banche, senza dare loro manleva, per la gestione della liquidità (poca) offerta alle imprese, al mancato pagamento della cassa integrazione a molti di coloro cui era stata promessa – la seconda è la totale mancanza, almeno fin qui, di provvedimenti strategici per il rilancio della nostra economia e non solo mirati alla riapertura dopo il lungo lockdown. Ho motivo di dubitare dell’efficacia del decreto cosiddetto “liquidità” – e qui ci sono già molte pezze d’appoggio – e ancor più di quello ultimo, impropriamente chiamato “rilancio”, che ancora deve affrontare la “prova budino”. Ma sono comunque interventi di assistenza e sostegno, in certa misura dovuti e in altra meno, che in taluni casi si riveleranno insufficienti (su tutti il turismo) e in altri fin troppo abbondanti o addirittura superflui (e sarà difficile evitare che ciononostante diventino permanenti). In tutti i casi non sono misure di rilancio dell’economia, e tantomeno di ridefinizione del nostro modello di sviluppo. E,


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senza nulla togliere al sollievo di chi soffre, saranno queste ultime – se ci saranno, quando ci saranno (il fattore tempo è decisivo) e come saranno concepite – a fare la vera differenza. A dirci se potremo in qualche modo, ancora una volta, evitare il fallimento. Sto parlando di una terapia d’urto, la cui efficacia deve essere misurata in un solo modo: il ritorno, diretto e immediato, sul pil. Qui di solito anche tra chi è convinto della necessità di questo shock, ci si divide: i liberisti, che vogliono un drastico taglio delle tasse in nome del principio “più mercato, meno Stato”; i keynesiani, che auspicano investimenti pubblici; gli statalisti, che predicano nazionalizzazioni a tutto spiano e rovesciano lo slogan turbo-capitalista in “solo Stato, niente mercato”. Io credo che l’Italia sia deficitaria tanto di mercato – perché vanno rimossi anni di leggi e regolamenti tesi a limitare, quando non a criminalizzare e a impedire, la libera attività delle imprese, a favore di un mandarinato burocratico prepotente e soffocante – quanto di Stato, inteso come programmatore, regolatore della politica industriale (è politica la scelta del modello di sviluppo) ed eventualmente imprenditore, laddove i privati non arrivano (dunque non salvatore di aziende decotte e dei relativi posti di lavoro, ma investitore in settori strategici di cui il sistema paese è sguarnito). Ma arrivo a dire che mi va bene qualunque shock, basta che sia tale, piuttosto che la solita marmellata di provvedimenti a pioggia finalizzati alla ricerca del consenso, anche se ammantati dietro l’idea (già abbondantemente dimostratasi fallimentare negli anni scorsi) del sostegno ai consumi. Perché la cosa più grave che ci può accadere è che la montagna di debito accumulata pre-Covid, pericolosa non solo per la sua dimensione rispetto al pil (134%) ma soprattutto perché non ha generato crescita, essendo soldi usati solo per spesa corrente, s’ingrandisca a dismisura – se fosse vero, e in parte lo è, che all’Italia servono 1000-1500 miliardi, significherebbe aggiungere intorno alla metà dell’attuale indebitamento (2430 miliardi) arrivando tra i 3500 e i 4mila miliardi – anche in questo caso senza produrre una crescita proporzionata alle risorse impiegate. A quel punto la deriva argentina non ce la toglie nessuno. Certo, l’Europa non ha interesse a farci fallire – secondo il classico “too big to fail” – ma, come dimostra la sentenza della Corte Costituzionale tedesca, la Bce non potrà indefinitamente sostenere un paese incapace di darsi una regolata, non fosse altro perché ogni governo continentale ha la sua opinione pubblica a cui rispondere e i suoi populisti che premono alle porte (mentre noi li abbiamo già promossi al governo e alla leadership dell’opposizione). Siamo consapevoli, noi italiani, che questa è la situazione in cui siamo e questi sono i pericoli che incombono sulla nostra testa, e già nei prossimi decisivi mesi? Siamo consapevoli che questa volta la portata della crisi non ci consentirà di metterci le solite pezze, ma che il Paese va ripensato da capo a piedi e rivoltato come un calzino? Almeno lo sono gli imprenditori e i loro dipendenti e i milioni di lavoratori autonomi, cioè coloro che finora hanno sorretto l’Italia evitandole il crash? Guardate che la consapevolezza serve ora, non quando la frittata sarà fatta. Enrico Cisnetto

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INSOPPORTABILE BUROCRAZIA L'espressione "burocrazia", da un punto di vista prettamente terminologico, pare sia stata introdotta nella seconda metà del Settecento dal fisiocratico J. C. de Gournay come derivazione da bureau che già allora era il termine che designava la scrivania dei funzionari. Il dictionnaire dell'Accademia francese (supplemento 1798) definisce il termine burocrazia come "l'influenza dei capi e del personale degli uffici governativi", mentre il Dizionario tecnicoetimologico-filologico del De Marchi (Milano 1828) lo spiega come "neologismo inteso a significare il potere dei funzionari nella pubblica amministrazione". Il maggior teorico dell'organizzazione, Max Weber, considera la burocrazia uno degli elementi di razionalizzazione dello stato contemporaneo, fondato sul concetto dell'autorità legale. Ad essa sono legati, attraverso un sistema di norme astratte da applicare ai casi particolari, tutti i membri dell'organizzazione statale attraverso i principi dell'autorità e dell'obbedienza. Secondo la sua teoria, la burocrazia è l'apparato amministrativo tipico per l'esercizio del potere legale, cioè quello fondato sulle norme e sulle regole, e si pone, o dovrebbe porsi, in contrapposizione al potere basato sul carisma del capo o sulle tradizioni e gli usi. Gli apparati della burocrazia si distinguono dalle tradizionali forme di amministrazione precedenti perché si fondano, almeno in linea di principio, su alcuni tratti distintivi: la divisione del lavoro disciplinata in modo generale mediante regole; la gerarchia degli uffici; il ricorso a regole generali per governare le decisioni e le azioni; l'enfasi sull'uniformità dei comportamenti; l'impersonalità delle relazioni interne ed esterne; il lavoro come professione e carriera, che implica il possesso di una qualificazione specifica, il dovere di fedeltà all'ufficio, la remunerazione fissa per le proprie prestazioni e la durata vitalizia della carica. Nell'impostazione teorica, le organizzazioni che adottano i principi burocratici funzionano in modo più efficiente delle altre: le regole generali applicate alle situazioni specifiche permettono di orientare il comportamento delle persone, garantendo uniformità, continuità e stabilità nelle attività, oltre che servire per coordinare il lavoro; la gerarchia degli uffici definisce gli ambiti di autonomia e di controllo, nonché il percorso che deve seguire il flusso delle comunicazioni, facilitando i processi decisionali; le competenze stabili e la preparazione specialistica dei funzionari riduce il rischio di errori. Ma la realtà è un po' diversa. Altri sociologi affermano esattamente il contrario fino a identificare nella burocrazia la causa prima dell'inefficienza dell'amministrazione in quanto organizzazione, incapace di correggersi imparando qualcosa dai propri errori e afflitta da cronica staticità e mancanza di flessibilità (Crozier). L'attuale accezione del termine è principalmente negativa, a


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causa di quelle che nel corso del Novecento sono state definite da alcuni: "conseguenze inattese" del fenomeno burocratico: rigidità, lentezza, incapacità di adattamento, inefficienza, inefficacia, lessico difficile o addirittura incomprensibile (il cosiddetto burocratese), mancanza di stimoli, deresponsabilizzazione, eccessiva pervasività, tendenza a regolamentare ogni minimo aspetto della vita quotidiana. L'Italia è il Paese con il maggior numero di regole e norme ma anche quello con il maggior numero di controlli amministrativi, nonché con il maggior numero di enti che si sovrappongono. Questo accumulo di interventi, però, non corrisponde a un'efficacia reale delle verifiche. Ad oggi, un punto sul quale lavorare è quello della semplificazione delle procedure . Per questo è necessario un drastico intervento di snellimento della macchina pubblica, che proceda al "disboscamento" della miriade di soggetti istituzionali che intervengono in ogni singola, sia pur semplice, procedura. Purtroppo, però, su questo fronte i segnali che vengono dalla politica non sono per niente positivi, anzi puntano tutti sull'incremento di regole e di leggi, che peraltro cambiano continuamente rendendo anche complicata la loro attuazione, spesso per incongruenza anche degli stessi decreti attuativi. Quanto successo a Genova, con la ricostruzione dopo la tragedia del ponte Morandi, ha chiaramente dimostrato come si possa, in casi di eccezionalità diventare quasi normali ed eseguire in tempi lunghi ma accettabili, opere pubbliche che altrimenti avrebbero richiesto anni ed anni. Oggi la burocrazia è difesa dall'apparato perché crea potere, crea intoppi che per essere risolti comportano delle contropartite, che diano politicamente visibilità in diverse circostanze. Se il fare una strada richiede di passare per un certo numero di comuni, i sindaci degli stessi bloccheranno i lavori fino a quando non sarà pagata una "tangente". Non voglio dire necessariamente economica, ma sicuramente almeno politica. Allora si dovrà promettere la costruzione di un parcheggio, o di un ponticello, o ristrutturare un edifico o chissà cos'altro. Per mostrare ai cittadini del posto quanto si è efficaci. Tutto è fatto nella continua tentata dimostrazione di quanto i vari diversi apparati sono bravi. Quelli che vivono di voti, per averne sempre di più e mantenere il potere. Quelli che vivono di regole, per creare sempre più confusione in modo da essere deresponsabilizzati e poter continuare indisturbati nel loro tranquillo lavoro senza troppi scossoni. Hanno tentato in tanti, almeno sulla carta, di mettere mano al problema. Ma senza riuscirci, intrappolati in regole e muri di gomma contro i quali andare a sbattere nel tentativo di trovare soluzioni. Il problema è grave. E va risolto, pena una ulteriore retrocessione nella scala dei valori europei. Ma per risolvere tale problema serve resettare il Sistema attuale, azzerare le procedure in massima parte, riconsiderare i contratti di lavoro del pubblico impiego, e ridisegnare le mappe secondo criteri di efficienza. Sarebbe un grande risparmio per lo Stato in termini economici e per il cittadino in termini sia economici sia di vivibilità del rapporto con la PA. Non si può più sopportare tale situazione. Dobbiamo entrare a gamba tesa senza guardare in faccia nessuno. Dobbiamo salvarci la vita, perché di questo si tratta. Ugo Busatti

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IL FESTIVAL DELLE CASTRONERIE Credo che l'attuale cronaca del fenomeno Coronavirus, data la sua rilevanza planetaria ed almeno limitatamente al suo impatto PSICO-SOCIALE-MADIATICO (l'aspetto prettamente sanitario e relative cifre, sono, e saranno, invece molto discutibili), diventerà senza dubbio Storia consolidata dell'umanità. Esso inoltre ci sta coinvolgendo tutti quanti in una fanciullesca partita: una sorta di internazionale "tana, liberi tutti". Un tipo di gioco in cui i reclusi in recinti per forza di cose istituzionalmente asfittici (in quanto limitati dai relativi ruoli di natura politica, amministrativa, culturale, scientifica, religiosa, mediatica, sociologica etc. etc.) hanno ricevuto una sorta di generalizzato messaggio tipo: " - E' assodato che il Covid 19 sia un qualcosa del tutto misterioso che nessuno in realtà ha ancora ben compreso, sia in merito a genesi e caratteristiche che a relative implicazioni e conseguenze - " e che pertanto vi sia una sorta di totale libertà concettuale per la quale ognuno di noi si trova a poter disporre, del tutto inaspettatamente, di quell'inebriante droga mentale di poter dire tutto ciò che più aggradi nella certezza dell'inesistenza di un qualsiasi autorevole e consolidato contraddittorio; e tutto ciò, sia che l'interessato presieda un governo (palma d'oro a Donald Trump che ipotizza perfino di poter fare profilassi bevendo … amuchina !), o faccia il politicante, il giornalista, il virologo, il manager industriale, l'opinionista mediatico. Tutti possono infatti dire la loro nelle certezza di una immediata, anche se spesso del tutto transitoria, udienza planetaria alimentata dalla comprensibile fame di informazioni da parte di una reclusa, e quindi frastornata e confusa, opinione pubblica mondiale preoccupata per la propria salute o, addirittura, sopravvivenza. Ed ecco quindi che ci si trova davanti ad una fiera della vanità, della dissimulata incompetenza, di probabile malafede, di smania di apparire, di voler comunque esserci, di poter dire la propria senza alcun ritegno di fronte a ciò che è ignoto e privi, altresì, di quel doveroso rispetto verso i membri più deboli e vulnerabili della società umana costretti purtroppo ad abbeverarsi alle fonti degli ubiqui ed acritici "mass media". Confortato da tale, ahimè, planetario "liberi tutti !", mi sento pertanto autorizzato (forte della mia essenza di semplice essere umano, ma con la presunzione di essere dotato di scampoli di razionalità ed annessa flebile voce) di proclamare ANCH'IO "urbi et orbi" la MIA verità, la mia personale chiave di lettura del fenomeno unendomi spudoratamente all'"anarchico gregge" di tutti coloro che si considerano abilitati a concionare su origini, caratteristiche, effetti e conseguenze di questo maledetto Coronavirus. Inoltre, una deformazione mentale frutto di


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adolescenziale educazione da parte dei padri gesuiti, mi porta a sentirmi a mio agio nelle vesti di "avvocato del diavolo", cioè di colui che, ben partigiano di una specifica tesi, ne perora tuttavia un suo opposto, ma al solo fine di minare dall'interno le consistenze della tesi principale. E voilà, ecco qui due antitetiche castronerie (rectius: puttanate) che il sottoscritto ha l'ardire di esporre, chiedendo sin da ora venia a quello sventurato "medium" che volesse onorarlo con la suicida cortesia di divulgarle. Innanzitutto c'è da fare una premessa: la planetaria lettura dell'inatteso e sconvolgente fenomeno del Civid-19 sembra aver diviso l'opinione pubblica in due gruppi distinti: coloro che, a grandi linee, potrebbero essere definiti "fatal-buonisti" e quelli invece catalogabili come "perverso-cattivisti". Prima di addentrarmi in argomento voglio comunque comunicare sin da subito la mia posizione: mi schiero decisamente con i "cattivisti". Tuttavia, da bravo avvocato del diavolo, inizio con un'arringa di tipo "buonista" : A) Riflessioni sulle possibili "POSITIVITA'" sociali del fenomeno Coronavirus: Nell'ultimo quarantennio della nostra Storia, la società umana ha manifestato una eccezionale, e per molti versi sconcertante, fuga in avanti di tipo prettamente laico - materialista. Si è assistito, spesso sconcertati e sgomenti, ad uno sviluppo scientifico e tecnologico che ha trascinato seco inimmaginabili modifiche e sconvolgimenti sociali, culturali e di conseguenza politici ed economici. Anche la religione è diventata irriconoscibile (il soprannaturale: ma cos'è ormai diventato?) rispetto ai primi decenni del secondo dopoguerra. Sono saltati altresì i rapporti gerarchici di tipo sociale nell'ambito dell'intera collettività, nonché i concetti di autorità/autorevolezza anche nei contesti familiari indipendentemente da ogni collocamento socio- economico dei medesimi; ciò con l'inevitabile conseguenza della nascita di una società dei "diritti", con i relativi "doveri" soltanto in posizione di subordine e di cui nessuno parla dato che il semplice fatto di menzionarli suonerebbe fastidioso per quel paradiso di "bengodi" sotto i cui paludamenti il potere, i mass media e la pubblicità commerciale tendono ad incartare ormai l'intera popolazione planetaria. Di questa, l'intrinseco valore socio- economico è peraltro ormai indicato soltanto dalla sua misurabile capacità di spesa (va detto inoltre per inciso che ci si augura ci venga a suo tempo comunicato, se e quando se ne farà un consuntivo credibile, se abbiano recato più danno al nostro tessuto sociale le migliaia di morti che il virus avrebbe causato orbandone familiari ed amici o piuttosto le drammatiche risultanze circa "di che lacrime grondi e di che sangue" la ferita economica inferta dal Covid-19 al bilancio nazionale. Su tale scenario in fosco divenire ecco quindi piombare di punto in bianco l'attuale pandemia. Tutto, d'improvviso, si blocca. Scatta uno sconcertante "fermo immagine" che ci coglie tutti statici nell'atto della nostra ultima spensierata azione. Un po' come gli abitanti di Pompei sepolti in un attimo da una coltre di cenere e lapilli, immortalati nel loro ultimo gesto. Noi almeno, e più fortunati, soltanto reclusi d'improvviso in casa (ma con conseguenze abbastanza simili per tempistica ed effetti) interrompendo ogni attività, lasciando in sospeso azioni, programmi o agognata prospettiva che fosse. Nessuno peraltro potrebbe negare che la pandemia abbia privato della vita numerose persone, ma sembrerebbe, da recenti valutazioni, che la stragrande

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maggioranza di esse fosse molto anziana e malandata e che quindi, al netto delle tragedie individuali e familiari che ciascuna dipartita di persone care porti con se, il morbo abbia soltanto anticipato di giorni, di settimane, di mesi o forse di qualche anno inevitabili appuntamenti con l'aldilà. Soltanto chi ha purtroppo perso la coscienza del senso ultimo dell'esistenza (di cui la morte è parte integrante) può ricercare con indignazione i presunti responsabili LEGALI della fine di un proprio anziano e malato congiunto comunque arrivato al tramonto della propria esistenza. Il Covid-19 ci ha dunque RICORDATO soltanto - ed opportunamente - che la sofferenza e la morte SONO parte della vita. Da una quarantina d'anni ce ne eravamo purtroppo, e stoltamente, del tutto dimenticati. Quindi : Lezione N° 1: chi avrebbe mai pensato che ci sarebbe stata mostrata la assoluta veridicità di una frase antica ma ormai del tutto archiviata, secondo la quale vita "è ciò che ti capita mentre sei occupato a fare altri programmi "? Coronavirus mefitico "dono" di primavera. La bella, agognata stagione era già alle porte. Marzo, aprile, maggio, mesi in cui la mente è fervidamente ALTROVE. Sarebbe forse l'ora di cambiare l'auto? Questa estate si andrà ad Ibiza o in Sardegna, a Riccione o a Fregene ovvero, per mal che vada, almeno ad Ostia o pur'anche a Coccia di morto? Tra alcuni giorni riaprirà il gradevole pergolato di quella graziosa trattoria sul lago: ci si va tutti insieme a pranzo sabato prossimo? La quarantena di stato ci dice invece di no, non se ne parla proprio, pena multa di 500 euro. Si deve stare a casa e bisogna pur farsela piacere. E' giocoforza dunque RISCOPRIRE la creatività della noia, la positività dell'"otiun" latino, della cura della propria dimora, dell'essenza della propria famiglia intesa come reale presa di coscienza delle caratteristiche e dell'intrinseco valore di ciascuno dei suoi componenti. Di un mondo "intimo e vicino" e non, come facciamo ormai nevroticamente da anni, di quell'altro fatto di "esterno ed altrove". Quindi : Lezione N° 2: il Coronavirus ci ricorda (a pugni in faccia bisogna ammetterlo) che la vita vera è soltanto figlia dello "here and now", mentre la sterile illusione è l'inutile genitrice di ogni "there and tomorrow". L'odierna civiltà occidentale, va riconosciuto, era - fino ad un attimo prima dello scoppio della pandemia - come una macchina (quale miniera di utili metafore è sempre, per l'appunto, l'automobile!) che dopo un lungo percorso su strade tortuose era giunta ad un'ampia ed apparentemente sgombra autostrada. Finalmente una bella sgroppata! Ma c'e un'anomalia: la strada liscia e pianeggiante invita ad una guida piacevole, rilassata, serena, invece il veicolo procede male, in sofferenza il motore imballato, la velocità sacrificata, rumore e consumo alle stelle; perché tutto questo? Semplice. Il conduttore non riesce, non sa, ovvero non può cambiare marcia, passare cioè da quell'ormai inutile, eccessiva, sprecona terza ad una silenziosa, scorrevole, fluida e risparmiosa quarta!


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Quindi: Lezione N° 3: il mondo aveva bisogno di un lavacro culturale di un qualcosa che lo invitasse, ma con convincente violenza, appunto a cambiar marcia in questo suo andare paranoico, artificiale, schizofrenico, materialista, assolutamente presentista ed incolto costringendolo a riflettere sulle autentiche caratteristiche della vita e della relativa morte, della nostra più autentica funzione in questo mondo come raffinati esseri pensanti muniti, se non di un'anima, almeno di una mente. Può allora il Coronavirus essere stato null'altro che un oggettivo segno/invito per un provvidenziale ravvedimento morale, culturale e quindi sociale? Voluto da chi? Per quale ragione ? Per quale finalità? Non si sa, nessuno può dirlo. La realtà comunque è che esso ESISTE e porta con se pregnanti e concrete CONSEGUENZE. Ed il prendere coscienza di ciò basta ed avanza. Ragione per cui non ha quindi alcun senso discettare se il virus sia stato il frutto degli estemporanei amplessi tra un inquieto pipistrello cinese ed un vezzoso pangolino nello sconcertante "wet market" di Wuhan oppure sia frutto del sogno paranoico di un qualche dottor Stranamore con occhi a mandorla a cui sia sfuggito di mano, volente o nolente per caso o per perversa strategia, la microscopica entità genetica che oggi ci affligge. Verrebbe allora da chiedersi: il Covid-19, piuttosto che essere vissuto da tutti quanti noi come un disastro planetario, potrebbe forse essere invece visto come una sorta di alieno e misterioso (soprannaturale?) "suggerimento" - crudele per quanto si voglia nelle sue manifestazioni - a ripensare valori, priorità e procedure del nostro modo di gestire questa attuale, sfacciata e libertaria modernità? Con questo, fine delle considerazioni "buoniste" e passiamo alla … versione "cattivista": B) Riflessioni sulle probabili "NEGATIVITA'" del fenomeno Coronavirus: Da quaranta giorni io sono, come tutti, in una "quarantena" appunto da arresti domiciliari. A parte mia moglie che mi sta accanto, come suol dirsi in carne ed ossa, tutto il resto del mondo conosciuto è diventato per me prettamente virtuale: soltanto TV ed Internet che, veicolati da innumerevoli mezzibusti/e, mi portano in salotto, a tutte le ore del giorno e della notte, il Coronavirus in ogni possibile foggia e salsa. Se a tale stato di cose aggiungiamo la recente, sottesa atmosfera da 75° anniversario della fine della seconda guerra mondiale e relativa festa della Liberazione, il quadro generale della situazione, e mie relative sensazioni, mi diventa personalmente abbastanza esaustivo. La prima riflessione che scaturisce da un tale "pot-pourri" di notizie-commenti-considerazioniprevisioni è di stretta matrice, diciamo, "andreottiana" per la serie: "a pensar male si fa peccato, ma ….". Quindi innanzitutto - e come diceva una nota pubblicità televisiva di un prodotto di largo consumo - "fatti, e non parole !" Eccoli : 1 Il resoconto quotidiano - per come esso ci viene, almeno per il momento, costantemente snocciolato con il connesso, devastante impatto mediatico - di circa 500 morti ogni 24 ore (ma attenzione, praticamente tutti anziani e comunque ammesso, ma non concesso, che siano stati tutti quanti uccisi dal Covid-19) appare come cifra da Olocausto, da Soluzione Finale, da

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Auschwitz. Ed il tutto in un contesto stagionale altamente distonico in cui la principale preoccupazione degli italiani si sarebbe dovuta limitare all'attesa della prima tintarella 2020 da godersi nei numerosi ponti delle festività primaverili. 2 Il volersi figurare i primigeni Pipi & Pango (pipistrello e pangolino) - per quanta involontarietà si voglia loro attribuire per le conseguenze dei loro eventuali, animaleschi atti - come novelle, ma del tutto improbabili, reincarnazioni del tristo binomio Heydrich & Eichmann nella genitorialità di un piano di sterminio di tutti i nostri vecchi è, come si direbbe in inglese, "far-fetched" o in italiano "troppo stiracchiato". Deve per forza esserci, come si usa oggi spesso insinuare, un "ben altro". 3 La situazione socio-economica dell'Italia è, agli occhi del mondo e soprattutto dell'Unione europea, a dir poco sbalorditiva e/o sconcertante. La penisola è una sorta di confraternita monastica in cui il convento è povero ed abbastanza malandato mentre invece i frati sono individualmente ricchi e ben pasciuti. Una patrimonio economico-finanziario in mano alla famiglie italiane di circa 8.000 miliardi di cui almeno 4.000 in disponibilità liquida a breve termine fanno di tale risparmio privato tra i primi al mondo. Non ci vuole molta fantasia per immaginare che manna sarebbe per l'Euro e per l'intera economia mondiale se una tale massa di ricchezza potesse essere liquidata e messa in circolazione per finanziare consumi ed investimenti. 4 C'è però un grosso problema. Tutto il predetto ben di Dio è saldamente nelle mani di persone maturo/anziane, ancora di sostanziale cultura "cattolico-contadina", prudenti amministratori delle proprie risorse economiche ed appunto "risparmiatori seriali" (se no, come si spiegherebbe, d'altro canto, una tale massa di riserva privata?) nonché parchi e prudenti consumatori. Come ben si sa, le nuove generazioni dal punto di vista economico non battono invece chiodo e sono destinate - per la prima volta nel corso della storia contemporanea - ad una vita peggiore di quella dei loro padri. Tutto all'opposto, tanto per intenderci, dei mitici americani che, invece, consumano l'inimmaginabile, ma non posseggono neanche la prima colazione consumata al mattino in quanto comprata il giorno prima al supermercato, ma pagata con carta di credito estinguibile in un anno a rate mensili (e ciò per non parlare delle rateizzazioni per il possesso della casa, dell'automobile, degli elettrodomestici, del mobilio e persino dell'ultima vacanza ai Caraibi, già abbondantemente archiviata nel ricordo, ma che verrà auspicalmente saldata non prima della prossima estate). 5 Quale soluzione allora? Semplice: affamare tutti gli italiani ed eliminare i vecchi. Per i primi, una volta portati con le spalle al muro da bisogni ed indigenza, si riuscirà finalmente a schiodarli dai loro amati risparmi e costringerli a liquidare almeno parte dei loro sonanti 4.000 miliardi depositati in casseforti finanziarie (vabbè, per il momento la casa gliela lasciamo!), per i secondi non resta che eliminarli fisicamente: troppo gravosi in termini di costi sociali, ma soprattutto troppa zavorra in termini di presenza, nel loro più intimo sentire, di soffocanti legami storicoculturali di carattere conservativo, di atavica prudenza, di parsimonia, di risparmio ed, in generale, di saggezza esistenziale figlia di lunga vita vissuta (non importa se in modo diretto o mediato) e ben metabolizzata. Il tutto, come è comprensibile, costituisce veleno puro - zio Sam


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docet - per un "sano" sviluppo di un'auspicata società presentista, materialista, atea, smemorata, consumista e, al contempo, del tutto miope (dedita soltanto allo "here and now"). In conclusione, il disastro Covid-19, (apparente o reale per quanto esso possa essere o almeno venir considerato tale dalla sterminata platea degli osservatori planetari), in cosa POTREBBE in realtà CONSISTERE? A voi la scelta : 1 IN un qualcosa che, per caratura intrinseca e diffusione planetaria, entrerà senza dubbio nei libri di Storia? Questa è l'unica cosa assodata su cui non è il caso di discutere. 2 IN un semplice, e del tutto casuale pur se drammatico, imprevedibile incidente del tipo di quelli che possono verificarsi, senza la specifica volontà di qualcuno, una volta, diciamo, ogni mille di anni? E' certamente possibile in teoria, ma non probabile, come l'essere inceneriti da un meteorite mentre ci si trova seduti al bar a prendere un caffè. 3 IN un perverso complotto oligarchico transnazionale? Ciò potrebbe essere preso in teorica considerazione come peraltro abbondantemente già anticipato in letteratura d'evasione e cinematografia d'azione, ma potrebbe tale ipotesi essere oggi considerata come verosimile nel mondo reale? Che ce lo facciano chiaramente sapere, una volta per tutte, governi e servizi segreti. 4 IN un intervento soprannaturale guidato, a puro fin di bene, dalla mano di una benefica provvidenza divina ovvero, a puro fin di male, da quella di una distruttiva, malefica presenza diabolica? Che la Chiesa, per la nostra individuale pace mentale, ci chiarisca il dubbio. Che fare allora a questo punto? Credo che ormai non mi resti altro che ricorrere, per lumi, al mio personale consulente accademico di Dietrologia comparata: Domanda dell'allievo: "Maestro, cosa posso fare per cercare di capire?" Risposta del maestro: "Secondo me, dovresti andare sul sicuro ed interpellare chi è certamente esperto della materia" Allievo: "Ma dimmi, di grazia, o Maestro, chi mai sarebbe costui?" Maestro: "Ma suvvia, mio giovane, sciocchino ed incolto allievo, è facile, no? Allievo: "Mi spiace, ma proprio non saprei" Maestro: "Ma dai! Si tratta di quell'eccelso REGISTA della Storia che ideò, organizzò e diresse magistralmente - per citarne una tra tante - l'operazione per l'estinzione dei dinosauri la quale risultò poi essere stata la inevitabile premessa di quella sbalorditiva conseguenza per la quale oggi tu, ma si proprio tu, mio giovane, ingenuo ma presuntuoso ragazzo, puoi lambiccarti il cervello alla romantica, ma ahimè inane, ricerca di risposte a quesiti molto, ma molto, più grandi di te!". Antonino Provenzano Roma, 28/04/2010

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MAGGIO DI SANGUE. IL SANGUE DEI VINTI INCIPIT "Era l'inizio di maggio del 1945. E ricordo quel tempo come avvolto nella felicità. La paura che ci incutevano i tedeschi apparteneva al passato. Le bombe sganciate dagli aerei alleati sopra il ponte ferroviario su Po, sempre fuori bersaglio, avevano smesso di cadere. Di lì a poco, saremmo tornati a fare il bagno nelle acque pulite del fiume, alla Baia del Re, senza il rischio d'incontrare gente armata in mezzo ai boschi. Si ballava dappertutto, al chiuso e all'aperto. Trionfava un ritmo nuovo: il boogie-woogie. I più bravi a ballarlo erano gli americani neri della Divisione "Buffalo", che mangiavano la mortadella confezionata a cubi, roba mai vista. Ma noi contavamo sulle ragazze della città". Volteggiando al ritmo del boogie-woogie, mostravano le cosce e le caste mutandine bianche". (Gianpaolo Pansa, "Il sangue dei vinti", Sperling Paperback, 2003). PROLOGO Sulla guerra civile combattuta nel Nord Italia, dal 1943 al 1945, sono stati scritti volumi che riempirebbero le stanze di un palazzo di dieci piani. Gli eccidi compiuti dai tedeschi e dagli italiani che aderirono alla Repubblica sociale hanno avuto, e legittimamente continuano ad avere, larga eco mediatica al fine di onorare la memoria delle vittime e far comprendere fino a che punto possa spingersi la natura umana, quando il sonno della ragione ottunda la mente, dando forma a quel mostro dormiente che ci portiamo dentro dalla nascita, da Francisco Goya magistralmente rappresentato in un celebre dipinto. Siccome la storia è sempre scritta dai vincitori, tuttavia, spesso gli eventi risentono di manipolazioni protese a distinguere i buoni dai cattivi con una linea di demarcazione netta, che escluda ogni forma di contestualizzazione, elemento importantissimo, invece, per penetrare nel "mood" di un'epoca e comprenderla pienamente. Molti storici, però, non amano produrre quel difficile sforzo mentale che dovrebbe indurli a viaggiare nel tempo per mettersi al centro degli eventi e "vederli da vicino", ritenendo più semplice lasciarsi trasportare dal vento a loro più congeniale, facendo finta di ignorare, o ignorando davvero, che bene e male non solo sono due facce della stessa medaglia, ma da sempre convivono su entrambi i lati, in un groviglio di situazioni pregne di sfumature intermedie, non facilmente districabili, soprattutto se non lo si desideri fortemente. Chi scrive, invece, trova interessante proprio girovagare tra spazio e tempo per meglio comprendere uomini e cose e riferire i fatti nella loro cruda essenza, abiurando qualsivoglia


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mistificazione. Cosa possibile perché, ragazzino, attraversando il bosco alla ricerca di me stesso, al cospetto di due strade che divergevano, scelsi la meno battuta. E questo ha fatto tutta la differenza. Nel mese di maggio 1945, a guerra finita, l'odio feroce che vide tanti italiani gli uni contro gli altri armati, sfociò in terribili carneficine, vendette, regolamenti di conti che nulla avevano a che vedere con i fatti di guerra. Il compianto giornalista Giampaolo Pansa ne ha parlato compiutamente nel saggio succitato, che non dovrebbe mancare in nessuna casa. Gli eccidi furono davvero tanti e in questo articolo ne commemoriamo uno emblematico, avvenuto l'11 maggio 1945, in un piccolo centro della Bassa Padana, che vide tra le vittime ben sette fratelli: i fratelli Govoni di Pieve di Cento. SI ODIANO GLI ALTRI PERCHÉ SI ODIA SE STESSI (CESARE PAVESE) Pieve di Cento è nel cuore di quell'area emiliana assurta a fama mondiale grazie al film "Novecento", uno dei tanti capolavori di Bernardo Bertolucci, interpretato da un cast stellare, di caratura internazionale. Seguendo lo svolgimento dei fatti narrati nel film, riusciamo agevolmente a proiettarci in quell'ambiente agreste, dove l'odio di classe ha radici antiche, mai assopite. Fu proprio a Reggio Emilia, infatti, che nel 1893 le varie anime del socialismo riformisti, massimalisti, rivoluzionari marxisti, anarchici, radicali democratici, radicali e basta, socialdemocratici pacati e con testa calda (alcuni con testa vuota), liberali insurrezionalisti e altri tipi strani - avviarono quel processo di "armonizzazione interna" che li indusse a definirsi Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Una insalata mista con ingredienti così disarmonici, ovviamente, non poteva durare a lungo e sappiamo quello che è successo dopo con scissioni, riappacificazioni, ulteriori scissioni e la nascita di formazioni politiche che hanno inciso fortemente sulla storia d'Italia, fino al 1992, quando, grazie al coraggio di un pugno di giovani magistrati, fu finalmente chiaro dalle Alpi alle Piramidi e dal Manzanarre al Reno che il socialismo sta al bene dei lavoratori come un Tavernello annacquato sta a un Amarone Riserva Speciale. A Pieve di Cento, non lontano dal centro abitato, in aperta campagna, vi era una modesta casa nella quale abitava una coppia di contadini, laboriosa come tanti e senza grilli nella testa. Papà Cesare lavorava sodo nei campi, coadiuvato dalla moglie Caterina Gamberini, che alternava l'aiuto nei campi alla cura del focolare domestico, soprattutto quando la famiglia divenne ben numerosa. Dopo il matrimonio, infatti, celebrato agli albori del secolo, nel giro di venti anni, mise al mondo ben otto figli: Dino (1905), Marino (1911), Maria (1913), Emo (1914), Giuseppe (1916), Augusto (1918), Primo (1923), Ida (1925). Cinque figli maschi seguirono le orme paterne, dando impulso all'attività contadina; Dino ed Emo, invece, impararono a lavorare il legno e divennero dei bravi falegnami. Maria, tipica bellezza emiliana, alla pari della sorella Ida, si sposò giovanissima e si trasferì con il marito nella vicina Argelato. Ida si sposò anche lei giovanissima e nel marzo del 1945, a poche settimane dall'arrivo degli alleati nella zona, mise al mondo una bimba.

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Politicamente la famiglia Govoni non era esposta: i genitori pensavano solo a lavorare sodo per tirare avanti; Dino e Marino furono gli unici e che ebbero un ruolo marginale nella Repubblica Sociale: il primo come legionario e il secondo come brigadiere della Guardia Nazionale Repubblicana. Nessuno degli altri figli si era mai interessato di politica e non avevano nemmeno mai richiesto la tessera del PNF. Le bande partigiane iniziarono le scorribande nella zona sin dopo la liberazione da parte delle forze alleate, intensificandole nel corso del mese di maggio, con scorribande che seminavano il terrore. La sera del nove maggio vennero assassinate dodici persone dopo innumerevoli sevizie, anche loro da tutti dimenticati: la professoressa Laura Emiliani di S. Pietro in Casale; l'ex Podestà di San Pietro, Sisto Costa con la moglie Adelaide e il figlio Vincenzo; Enrico Cavallini, Giuseppe Alberghetti, Dino Bonazzi, Guido Tartari, Ferdinando Melloni, Otello Moroni, Vanes Maccaferri e Augusto Zoccarato, tutti residenti a Pieve di Cento. Il giorno seguente la banda decise di dedicarsi alla caccia dei membri della famiglia Govoni, senza alcuna ragione particolare, ma solo perché si sapeva dei due fratelli che avevano aderito alla Repubblica sociale. Il primo a essere catturato fu Marino, trasportato presso il casolare del contadino Emilio Grazia, che funse prima da prigione e poi da luogo del massacro. Marino era a casa da solo, mentre i fratelli erano in giro per il paese. Nessuno di loro si sentiva in pericolo e non immaginavano di essere finiti nella lista nera. Sin dai primi giorni post-liberazione furono interrogati e subito rilasciati perché non era emersa nessuna accusa a loro carico. Nel corso della notte i partigiani rintracciarono tutti gli altri fratelli e li arrestarono. Ida implorava di non separarla dalla figlioletta che doveva allattare, ma non mosse a pietà gli aguzzini, che catturarono anche il marito, per poi liberarlo buttandolo in malo modo dal camion con il quale trasportavano i prigionieri. Prima del trasferimento presso l'abitazione dove era prigioniero l'altro fratello vi fu una sosta durante la quale si diede sfogo alla più bieca ferocia di cui un essere umano possa essere capace. Le grida di dolore e il terrore disegnato sul volto dei poveri fratelli Govone fungeva da alimento di quell'odio sviscerato con una violenza senza eguali, tipica di chi agisca, oramai, sotto l'esclusivo impulso di istinti primordiali. Il mattino successivo, con le ossa rotte, il volto tumefatto e i fremiti di chi già immagina la triste sorte cui va incontro, furono tutti portati nella improvvisata prigione, dove si ricongiunsero con il fratello. L'unica a non essere rintracciata e a scampare all'eccidio fu Maria. Nella prigione trovarono altri dieci compaesani, precedentemente catturati: Alberto, Cesarino e Ivo Bonora (nonno, figlio e nipote diciannovenne), Guido Pancaldi, Alberto Bonvicini, Giovanni Caliceti, Vinicio Testoni, Ugo Bonora, Guido Mattioli e Giacomo Malaguti. Tutte persone rispettate in paese per la loro onestà, ma con un "grave" difetto: erano anticomunisti. Giacomo Malaguti, studente universitario ventitreenne, da sottotenente d'artiglieria aveva addirittura combattuto contro i tedeschi a Cassino, nelle fila dell'Esercito Cobelligerante Italiano, restando ferito. Poi passò nell'Ottava Armata inglese, impegnata sul litorale adriatico. Anticomunista convinto, al termine della guerra, rientrato a Pieve, assistette a una discussione


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tra il padre e un inquilino, comunista, che si comportava in modo arrogante. Per sedare la discussione esortò il padre a lasciar perdere, asserendo, magari solo per spingerlo a non insistere nella diatriba, che, dopo tutto, i comunisti avrebbero comandato ancora per pochi giorni. Chissà, forse realmente sognava un'altra sorte per l'Italia liberata dal fascismo, ma quali che fossero i suoi sogni non potremo saperlo: quella frase fu segnalata al comando partigiano, segnando la sua sorte. E pazienza per i meriti acquisiti durante la campagna di liberazione. Nella mattinata dell'11 maggio una voce serpeggiava in zona, allietando i comunisti bramosi di sangue: nel casolare di Emilio Grazia stava per iniziare una "bella festa" alla quale tutti erano invitati a partecipare. L'invito fu massicciamente accolto e ciascuno volle partecipare secondo il macabro rituale che ben traspare dalle note immagini di Piazzale Loreto. L'unica differenza è che sui poveri fratelli Govoni e gli altri malcapitati la ferocia disumana prese corpo quando erano ancora in vita. La festa proseguì fino a tarda sera, intervallata anche da una parvenza di processo, con sentenza ovviamente già scritta. Le urla strazianti delle vittime si fusero con quelle di gioia dei carnefici, trasformandosi in un macabro concerto senza spettatori, essendo il casolare isolato. Solo Dio poteva udire quell'insieme di note stridenti e sicuramente le vittime lo avranno più volte invocato, durante le oltre dodici ore di sevizie, magari chiedendosi se non si fosse troppo distratto, per permettere tanto scempio. Poco prima di mezzanotte, dopo aver prelevato fedi e catenine d'oro, le vittime, oramai già quasi prive di vita, furono portate non lontano dal casolare, legate tre a tre, strangolate con un pezzo di filo telefonico e gettate in una fossa anticarro. Di fianco ve n'era un'altra, dove giacevano altri venticinque cadaveri. Un silenzio tombale discese sulla vicenda, alla pari di quanto accadde anche in altri luoghi. I comunisti avevano licenza di uccidere senza pagarne il fio. I poveri genitori, affranti, chiedevano a tutti che fine avessero fatto i figli: tutti sapevano, ovviamente, ma nessuno parlava. Dopo oltre un mese di immani sofferenze e inutili ricerche, papà Cesare si recò presso la locale stazione dei carabinieri per presentare una formale denuncia, raccolta dal maresciallo maggiore Nunzio Cardarelli e trasmessa via telegrafo alla tenenza di San Giovanni Persiceto: "Il 19 corrente, ore 11, Govoni Cesare, fu Gaetano, anni 68, contadino da Pieve di Cento (Bologna), denunciava all’Arma di Pieve di Cento che alle ore 6,30 circa 11 maggio scorso quattro sconosciuti provvisti automobile et armi automatiche prelevarono i di lui figli sottoelencati dei quali ignorasi tuttora sorte. Delitto ritiensi originato motivi politici. Diramate ricerche. Indagasi". Non serve una laurea in psicologia per immaginarsi la scena: un padre disperato cerca aiuto; il maresciallo raccoglie la denuncia "promettendo" di indagare e doverosamente informa i superiori. Nel fonogramma, però, si tradisce utilizzando la parola "delitto". Ovviamente era ben al corrente della triste sorte riservata ai fratelli Govoni e ai loro compaesani. Gli anni si susseguivano gli uni dietro l'altro e i tragici fatti di maggio restavano ben nitidi solo nei cuori e nelle menti dei familiari delle vittime. Una sorta di rimozione pervase la maggioranza dei cittadini, desiderosi di girare pagina e chiudere con il passato. I genitori dei Govoni non si arresero e continuarono la loro battaglia per appurare la verità, senza però ottenere alcun

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risultato concreto. Bruno Vespa, nel saggio "Vincitori e vinti", (Mondadori editore, 2008) riporta una testimonianza di Cesare Govoni Junior, figlio di Dino, relativa a un episodio verificatosi nel 1949. La vecchia nonna Caterina, nel corso dell'estate, affrontò il partigiano Filippo Lanzoni, che diceva in giro di saperla lunga sulla fine dei Govoni, implorandolo di riferirle dove fossero stati sepolti i figli. Il bastardo rispose beffardo: "Procurati un cane da tartufi e va a cercarli", straziando un cuore già straziato. Caterina, settantenne, cominciò a urlare e l'uomo chiamò la moglie e altre donne che, senza alcun ritegno nei confronti di una settantenne, presero a picchiarla, facendola cadere e procurandole delle ferite che furono medicate presso l'ospedale. Quell'episodio, però, risultò determinante per segnare una svolta e far muovere la giustizia. Fu visto, infatti, da Guido Cevolani, (o gli fu riferito), fratello di Alfonso, incappato nella retata dell'otto maggio, cui fece seguito la succitata strage del giorno successivo. Guido, all'atto della retata, inseguì i partigiani fino al loro covo e li affrontò, chiedendo la liberazione del fratello. Evidentemente era nelle condizioni di discutere in virtù della conoscenza di tutti loro, forse anche di qualche rapporto d'amicizia, e ottenne che il fratello fosse liberato. Indignato per quanto accaduto, riferì ai carabinieri i nomi di tutti i partigiani responsabili delle stragi. Finalmente fu possibile individuare il luogo della sepoltura e il 29 febbraio 1951 furono celebrati i funerali, in un clima di grande commozione, ma anche di molto astio. Gli amici degli assassini, in segno di disprezzo, si misero a fumare ostentatamente al passaggio delle bare. Il processo si concluse nel 1953 con la condanna all'ergastolo per Vittorio Caffeo, commissario politico della brigata Garibaldi, Vitaliano Bertuzzi, il vicecomandante, per Adelmo Benni, membro del tribunale partigiano che aveva comminato le condanne a morte, Luigi Borghi, autore dei sequestri. Il comandante della brigata, Marcello Zanetti, non fu processato perché deceduto nel 1946. Il processo, come racconta Giorgio Pisanò nella sua monumentale opera "Storia della guerra civile in Italia", (Edizioni FPE, 1965), fu surreale e le condanne furono comminate esclusivamente per l'omicidio del tenente Malaguti! Gli assassini, intanto, con l'aiuto del PCI furono fatti fuggire in Cecoslovacchia e di loro si perse ogni traccia. Gli altri partigiani rimasti in Italia, pur riconosciuti colpevoli degli eccidi, beneficiarono dell'amnistia imposta da Togliatti e la fecero franca. Ai due genitori, lo Stato Italiano, dopo molte perplessità, concesse una pensione di settemila lire: mille lire per ogni figlio assassinato. Termino di scrivere questo articolo alle ore 23 dell'undici maggio 2020, esattamente settantacinque anni dopo l'eccidio. In mattinata ho fatto delle telefonate a Pieve di Cento, per raccogliere delle dichiarazioni da parte di alcuni cittadini, discendenti diretti o indiretti delle vittime. In tutti ho colto una sorta di riluttanza a rievocare il triste evento. Anche Bruno Vespa, del resto, che addirittura ebbe modo di parlare con Paola, la figlia di Ida, riferisce che la donna fu cortese e disponibile ma non lieta, perché "si sentiva trascinata violentemente nel gorgo di fantasmi insanguinati che la perseguitano dalla nascita". È comprensibile il ricorso alla "rimozione" perché per molte persone non è facile fare i conti quotidianamente con i fantasmi del passato, vittime o carnefici che fossero. Nondimeno la storia non va cancellata e tutto ciò che è accaduto deve affiorare, nel bene e nel male e soprattutto


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senza ombre. Una vera pacificazione nazionale, che consenta realmente di chiudere una terribile pagina di storia, contestualizzandola senza alimentare continuamente assurdi e improponibili rigurgiti, sarà possibile solo quando ciascuno sarà capace di approcciarsi agli eventi con animo sereno, scevro di qualsivoglia faziosità. La pretenziosa propensione a ritenere di essere depositari della verità assoluta, da parte di chiunque, e il perdurare di un odio reso anacronistico non solo dal fluire del tempo, contribuiscono solo a perpetuare fino al parossismo la logica dell'occhio per occhio, rendendo infinita "la guerra civile". Non è così che si favorisce la pace: occhio per occhio servirà solo a rendere tutto il mondo cieco, sosteneva Gandhi, al cui pensiero si può aggiungere quello di Madre Teresa, che insegna a perseguire i presupposti di pace non con le pistole e le bombe ma con l'amore e la compassione. Lino Lavorgna

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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

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