Confini 80

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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

DISUGUAGLIANZE

Numero 79 Novembre 2019


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Confini Webmagazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 80 - Novembre 2019 Anno XXII

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato: Judith Bergman Gianni Falcone Roberta Forte Lino Lavorgna Pietro Lignola Sara Lodi Riccardo Pedrizzi Antonino Provenzano Angelo Romano Massimo Sergenti Cristofaro Sola +

Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone e Sara Lodi

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EDITORIALE

QUESTIONE DI “VALORE” Il Valore rende diseguali. E una legge ineluttabile. Un eroe è reso diverso dal suo valore e dalle gesta che lo testimoniano. Gli Usa hanno vinto la guerra, sono stati vincenti, il loro "valore" li ha resi i più ricchi e potenti del pianeta. Con valore i cinesi sono usciti dalla miseria in cui si trovavano e sono oggi una superpotenza. Gli europei, per secoli, hanno dominato il mondo grazie al valore, alla capacità di spingersi oltre il noto, all'intelligenza che hanno saputo applicare alla creazione di innovazione, analogamente gli imperi, tutti gli imperi, hanno primeggiato, soggiogato popoli, grazie al valore degli eserciti, all'intelligenza dei condottieri. Il predatore rende le sue prede diseguali, senza ingiustizia ma secondo l'ordine naturale. Si tratta di un meccanismo evolutivo né buono, né cattivo perché inscritto nel dna del vivente. Ciò che importa è l'uso che se ne fa. In natura per nutrire la prole e preservare la famiglia, il branco. Tra gli uomini di un tempo per difendere la propria comunità: famiglia, stirpe, popolo in funzione di un sistema di valori: onore, giustizia, altruismo, fede o fedeltà. Poi tutto é cominciato a cambiare. A Valore intrinseco, con l'avvento della mistica liberale e del capitalismo, si è sostituito il "valore" come possesso, come ricchezza, danaro, finanza, sfruttamento insensato e indiscriminato e la disuguaglianza, di per sé naturale, é diventata sopruso. E poiché danaro chiama danaro, poiché la speculazione non ha alcun valore intrinseco, ma rappresenta solo avidità e furbizia rese legittime dalle regole capitalistiche, si assiste oggi al fenomeno dell'accumulazione smodata e senza limiti. Non importa se ottenuta dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, se ottenuta affamando popoli e nazioni depredando le loro risorse naturali, corrompendo chi è da corrompere, se ottenuta grazie alla sola abilità nello scommettere sulle oscillazioni dei mercati. E' "l'homo homini lupus" elevato a sistema. Certo ancora esistono e resistono aree e fenomeni a "valore intrinseco", ma la contaminazione dilaga senza freni né argini perché non esiste ancora nessuna autorità in grado di travalicare con regole e leggi i confini di una nazione e, quindi, la finanza e le multinazionali si son fatte globali e più scorre il tempo più cresce il loro potere e la loro capacita di drenare risorse e di accumulare "valore". E l'uso che se ne fa è, generalmente, egoistico, edonistico, narcisistico di cui la "filantropia" è spesso solo un aspetto ammantato di carità. In tale quadro vi è chi, ipocritamente, si straccia le vesti ad ogni rapporto sulla disuguaglianza e sulla distribuzione della ricchezza, si indigna ogni volta che viene pubblicata una classifica degli


EDITORIALE

uomini o delle famiglie più ricche del mondo o si stupisce del fatto che miliardari crescono in Cina. Se oggi 5000 persone in Italia detengono il 7% della ricchezza nazionale, state ben certi che fra qualche anno deterranno di più, molto di più, perché più si è in vetta, nel sistema capitalistico, più è facile e redditizio fare affari e drenare ricchezza. Come un'idrovora il cui motore ed il cui terminale di captazione crescono esponenzialmente in funzione del potere finanziario accumulato. Questo rende la visione del futuro probabile molto simile a quella descritta nel film "Blade runner" girato, da un regista profeta, nel lontano 1982. Profeta perché se si confrontano temporalmente i dati sulla concentrazione e distribuzione della ricchezza si vede che il fenomeno è in costante incremento, senza che un solo stato o autorità sia stato in grado di calmierare il fenomeno. I rari tentativi di percorrere vie diverse dal capitalismo sono finiti, per caso o per indebite pressioni, in un nulla di fatto o hanno avuto, non per caso, risultati ancor più catastrofici. Riscoprire il Valore, persino della disuguaglianza, potrebbe essere la sola via d'uscita. Angelo Romano

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SCENARI

DISUGUAGLIANZE Beh! Non c'è che dire. Un'accezione così tristemente 'importante' e coinvolgente è difficile trovarla: a differenza di 'diversità' che può incontrare chiose di arricchimento culturale, toccare note emotive della compassione e dell'accettazione oppure quelle del rifiuto e dell'avversione, 'disuguaglianza' ti richiama alla mente profonde ingiustizie, sfaceli economici e sociali, sofferenze umane, disperazioni profonde, angosce esistenziali devastanti. E il mondo, purtroppo, è pieno di 'disuguaglianze': gli abissi' tra il Nord e il Sud, tra i Paesi ricchi e quelli poveri, tra ceti all'interno di uno stesso Paese dove chi ha molto ha sempre di più e chi ha poco ha sempre meno, tra i Paesi dell'Occidente dove c'è addirittura chi è affetto da fanciullesca concezione imperiale. E che dire delle condizioni sociali di Paesi medio-orientali, africani o asiatici nei quali, pur avendo risorse, persistono evidenti e assurdi iati sociali, prendendo in questo a modello l'Occidente (o sono loro il modello per l'Occidente)? E perché non considerare il Settentrione e il Meridione d'Italia? Il fatto è che le disuguaglianze sono in ogni dove: spesso, mosse dalla supponenza e dall'arroganza si accompagnano alla prevaricazione anche nella scuola o sul lavoro. Te le ritrovi persino generate da confessioni religiose che, in nome di Dio, si arrogano il diritto di affermare col terrore la loro verità, generando disuguaglianze di condizioni umane laddove ce ne sono già a sufficienza di sociali e di economiche. Non parliamo, poi, di quelle culturali, artatamente generate dai potenti cultori del pensiero unico. Il mondo, purtroppo, ne è infarcito e non sembra trovare una via per colmarle, peraltro frenato dall'errata concezione liberale, oggi prevalente, che si sostanzia in sfrenato liberismo economico privo di responsabilità personali e sociali. Eppure, come affermava J.J. Rousseau nell'incipit del suo Discorso sull'origine e il fondamento dell'ineguaglianza tra gli uomini, un tale stato di cose non è naturale. "Concepisco, nella specie umana, due varietà di ineguaglianza: la prima, che definisco naturale o fisica, perché è istituita dalla natura […]; l'altra, che può essere chiamata ineguaglianza morale o politica, perché […] è stabilita dalle convenzioni umane. Essa consiste nei differenti privilegi che alcuni godono ad altrui detrimento.". 'Differenti privilegi' che la società è indotta paradossalmente a riconoscere oggi come giusti e naturali; quella società, infelicemente definita 'civile' da una visione pseudoculturalpolitica sia di destra che di sinistra, che espone sempre più connotazioni masochistiche. "Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire questo è mio e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quanti


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assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i pioli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardate dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti!" continua il filosofo riprendendo, poi, lo stesso concetto ne 'Il contratto sociale.' Ed infatti, senza voler in questo trovare riferimenti a vetuste quanto inefficaci visioni comuniste, è l'ottica della 'crescita' che ha sostituito quella del progresso, veicolata da 'impostori', che predicano la precarietà come necessità competitiva, il rampantismo sociale come virtù e la distruzione di modelli sociali come necessaria modernità, per sostituirli con simboli pseudovaloriali. Un indotto atteggiamento mentale, quindi, che porta a vedere i rapporti di forza come naturali, le asimmetrie economiche e sociali come inevitabili, la sudditanza come derivazione della propria incapacità e la vessatoria supremazia come attitudine personale non disgiunta da predestinazione. Non voglio tornare su un dato già universalmente noto, mi riferisco al rapporto Oxfam, ma è indiscutibile che la ricchezza si stia accentrando in sempre minori mani a danno della stragrande parte della società; eppure, l'evidenza di tutto questo, procurato proprio da quei meccanismi definiti necessari, salvifici, moderni, non suscita neppure un commento critico da parte dei tanti frequentatori di talk-show che ci ammorbano le serate. Gli effetti sono la disgregazione e il traviamento della società nei suoi assi portanti, a cominciare dalla compromissione delle basi del suo futuro: la famiglia e i giovani. Proviamo ad osservare i ragazzi per i quali è trendy scimmiottare l'abbigliamento e il comportamento di divi e di sedicenti artisti cocainomani o alcolizzati, praticare il bullismo che dilaga nella scuola, immortalare attraverso il selfi una prepotenza, farsi branco per sentirsi forti, filmare un coito e postarlo in rete per sentirsi ganzi, guidare sbronzi o impasticcati a folle velocità per dimostrarsi coraggiosi o avere migliaia di amici nella solitudine di una cameretta. Tutti modi per emergere paradossalmente dalla massa, per non sentirsi 'uguali', senza che tuttavia avvertano l'anormalità dei loro comportamenti che, falsando i rapporti, li porta veramente a essere 'disuguali', amorali e asociali. E in questo disastro la scuola, sebbene parzialmente incolpevole, ha un ruolo primario con le sue impressionanti similitudini con l'assetto scolastico-formativo pubblico americano. Intanto, ha rinnegato il passato in nome di un progressivismo becero e senza senso: sin dagli scorsi anni '60, il nostro, ad esempio, era un sistema d'istruzione e formazione impostato per inserire ragazzi in condizione di esclusione sociale e fragilità, con lo scopo tra l'altro di migliorare le loro conoscenze rispetto ai genitori. Oggi, invece, l'indirizzo è di tutt'altro segno. Il tasso di abbandono, che è il principale segnale di disuguaglianza in campo educativo, è certo diminuito (anche se rimane alto nel confronto europeo), ma si concentra nelle aree più povere del Paese, anche con tassi doppi rispetto alla media. Non a caso è presente, in tutte le periferie povere e in gran parte del Mezzogiorno, con uno squilibrio Nord/Sud molto marcato. La conseguenza è un macroscopico divario nelle condizioni di 'partenza' dove se su un 'blocco' c'è risorsa economica, ampie possibilità di scelte educative tra scuola pubblica e privata, opzioni

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SCENARI

formative all'estero mentre sull'altro c'è la povertà minorile (in aumento) che oggi colpisce milioni di bambini (in Italia, ad oggi, circa 5.000.000). E, in quest'ultimo blocco, contempliamo reddito familiare esiguo, basso livello di consumo anche per beni essenziali, scarsi se non punti investimenti in studio e progetti futuri. A ciò si aggiunge l'avere genitori con bassi livelli d'istruzione, quando non analfabeti di ritorno; il che comporta meno occasioni di riscatto economico e personale e maggiori fattori di rischio. In più, nei territori poveri d'Italia (Sud e periferie) si registra anche una pauperizzazione dell'offerta educativa: scarsi servizi culturali e sportivo-ricreativi, pochi asili nido e servizi a sostegno della genitorialità, poche classi della scuola primaria e della scuola media a tempo pieno, poche mense scolastiche, infrastrutture inadeguate per l'apprendimento e con aule senza connessione Internet (anche per vandalizzazioni e furti). Nell'ultimo decennio, del resto, il disinvestimento annuo nell'offerta formativa ha superato i sette miliardi. Tutti i suddetti fattori di mancata opportunità proprio all'inizio della vita (scarso livello educativo, svantaggio socio-culturale di partenza, povertà di offerta formativa compensativa, mancanza di opportunità educative nel territorio) non ci vuole un genio per riconoscerli come condizionanti di un futuro lavoro, di un adeguato reddito e persino della salute, dello sviluppo personale e dell'esercizio della cittadinanza. E, in ultima analisi, condizionanti del futuro dello stesso Paese perché, continuando di questo passo, le giovani menti capaci, poco importa che derivino dalle fasce più abbienti della società o da quelle più povere, se ne andranno verso lidi più accoglienti, paradossalmente rispettando in questo gli indirizzi comunitari, e (sic) una nuova 'maggioranza', audacia temeraria igiene spirituale una nuova 'uguaglianza' si creerà. Mi fermo qui. Sicuramente, ho un po' forzato la mano nella conclusione del precedente capoverso ma non c'è dubbio alcuno che lo scenario prossimo venturo contenga segni di inquietudine che, anche qui, non ci vuole un genio per rilevarli. Eppure, negli ultimi venticinque anni, non c'è stato governo in questo Paese che si sia ripromesso di invertire un tale drammatico trend ed abbia investito in conseguenza. Qualche imbonitore ha concionato su 'riforme scolastiche' o 'universitarie' che hanno finito per aggravare la situazione. Comunque, in tutta onestà, devo dire che la ricerca della cura, quella per la patologia intendo, è alquanto difficile da reperire perché l'equilibrio complessivo è compromesso. Rousseau, insieme all'analisi sui problemi della società, provò ad abbozzare un rimedio: essendo il padrone, il potente, il ricco bisognevole dell'aiuto degli altri per esercitare i suoi privilegi, sostanzialmente basta non farsi trovare. Il che, se vogliamo, ai giorni nostri, con gli smartphone e i satelliti, è piuttosto difficile. Ovviamente, scherzo. Le due alternative strade, invece, una utopistica e l'altra dalla incerta durata secolare, contemplano rispettivamente la rivoluzione mondiale e l'azione sulla marginalità. La prima ipotesi era cara alla vecchia, sorpassata sinistra ma, da donna di destra (quella culturale, intendo) non nego avesse un certo, romantico fascino. Oggi, la nuova Santa Alleanza, ora come allora, composta da Paesi che non si amano, non avrebbe comunque esitazione a scagliarsi univocamente contro il Napoleone di turno.


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Perciò, escludendo la prima, rimane la seconda nella speranza che i bordi di marginalità, con il costante annoso impegno, si allarghino fino ad inglobare il centro. Un po' come le teorie gramsciane sulla rivoluzione incruenta. Detto ciò, penso di aver completamente esternato il mio pensiero anche se in maniera un po' raffazzonata. Ma un'ultima riflessione, a proposito della seconda ipotesi, me la concedo: alla mia veneranda età, potrei fregarmene e cercare di vivere almeno in rincoglionente serenità i residui anni della mia vita. Ed invece non riesco a farlo pur limitandomi, oggi, al pensare e allo scrivere: atti che, meschine espressioni della mia non eccelsa mente, voglio credere siano testimonianza della possibilità di definire 'merda' un mucchio di materia organica che emana un ributtante fetore quando altri, untuosi corifei e servi di rango, si ostinano a chiamarlo 'torta'. Che poi si sia costretti dagli eventi a mangiarla è un obbligo di sopravvivenza ma, almeno, c'è la consapevolezza. Ciò che, invece, non riesco proprio a sopportare è l'atteggiamento di frequentatori dei talk-show di fronte a determinate morti: sono capaci di passare una serata intera a discutere su quattro ragazzi che si sono schiantati contro un palo, piuttosto alticci stanti le informazioni, e concludere che occorre limitare e meglio controllare il consumo di alcool. Di questionare per la durata di un'intera trasmissione sul senso da dare alla spruzzata di peperoncino in una discoteca e scatenare una strage nella fuga e concludere che occorre una maggiore sorveglianza all'ingresso. Di dibattere ore ed ore sull'ennesimo femminicidio per concludere che c'è un attacco indiscriminato contro la donna. Di concionare un intero pomeriggio sulla morte di bambini lasciati da genitori nell'auto mentre vanno a giocare alle slot-machine e concludere che occorre il seggiolino anti-dimenticanza. Di riempire i telegiornali e le rubriche cosiddette di approfondimento sulle migliaia di immigrati morti in mare e semplicemente concludere che occorrono più navi ONG e più disponibilità all'accoglienza. Potrei andare avanti a descrivere morti assurde che incontrano riflessioni ancora più assurde. Ma mi fermo qui alquanto amareggiata perché la morte non dovrebbe incontrare 'disuguaglianze' per assurgere strumentalmente a livello di spettacolo. Dovrebbe, invece, forte della sua dignità, incontrare valenti investigatori che seriamente s'interroghino prima sulle meccaniche e trovino poi le vere ragioni di tali assurdità. Ai progressisti di maniera, invece, potrei consigliare la lettura di Cesare Pavese e, fra tutte le sue opere, specificatamente 'La casa in collina'. Ne trarrebbero utili indicazioni sulla dignità della morte e, almeno, corroborerebbero meglio le loro socialmente inutili riflessioni. Roberta Forte

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TEMA DI COPERTINA

CORPI INTERMEDI TRA CRISI ECONOMICA E PERDITA DI SENSO La brutta piega che ha preso la vicenda dell'acciaieria di Taranto costringe a interrogarsi su ciò che siamo e su come vediamo, o non vediamo, il futuro della società. Finora, contando sull'alibi della società liquida che non offre tempo e spazio per riflettere sulla sostanza del vivere comunitario, abbiamo evitato accuratamente di rispondere alle domande più scomode. Come struzzi che di fronte al pericolo infilano la testa sotto la sabbia. E per questa gigantesca opera di rimozione e di fuga dalle responsabilità connesse all'esercizio del pensiero nessuno può chiamarsi fuori e dirsi totalmente immune dal contagio. In primis, la classe dirigente di questo Paese. È piaciuto vedere nei tweett e nella politica inoculata con espressioni da iniezioni intramuscolari la nuova frontiera della comunicazione politica? Allora non possiamo prendercela che con noi stessi quando ascoltiamo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte ammettere candidamente, a favore di telecamere, che lui riguardo alla crisi con Arcelor Mittal non ha ricette in tasca, non sa cosa fare. E non soddisfatto dell'ammissione d'impotenza rincara la dose inviando la richiesta ai ministri del suo Gabinetto di audacia temeraria igiene spirituale farsi venire qualche idea per cavarsi fuori dai guai, dopo aver fatto un pasticcio con l'acciaieria tarantina. Alzando lo sguardo per osservare la realtà oltre il cortile di casa della politica politicante, dove demagogia, disinformazione e retorica propagandistica la fanno da padrone, si scorge un problema irrisolto del nostro tempo storico che sollecita risposte. La questione riguarda il vuoto di progettualità scaturito dalla disintermediazione dei corpi intermedi. La società plasmata sul mito della velocità ha rozzamente agitato lo scalpo della mediazione sociale espunta dalle dinamiche relazionali intracomunitarie come il trofeo che l'"homo technologicus" avrebbe potuto esibire a segno della sua vittoria sulla Storia. C'è chi ha invocato il tempo della democrazia diretta, affidata a uno oscuro algoritmo di una piattaforma digitale e c'è chi, come Matteo Renzi, ha menato vanto di asserire che la disintermediazione fosse l'effetto di fenomeni di cambiamento prodotti per partenogenesi dalla realtà. C'è chi ha creduto alla novità, li ha applauditi e li ha votati. Tuttavia, non si è riflettuto abbastanza sul fatto che il pifferaio fiorentino, il comico genovese e tutti i laudatori delle vere o presunte palingenesi progressiste, potessero avere torto. Che no, la ricomposizione di un dialogo tra le componenti del mondo del lavoro e della produzione, tanto per cominciare prima di affrontare il problema democratico nel suo complesso, avrebbe potuto metterci al riparo dal rischio, come comunità nazionale, di perdere la rotta e finire alla deriva.


TEMA DI COPERTINA

È pur vero che i tanto vituperati corpi intermedi, in particolare le associazioni dei datori di lavori e i sindacati dei lavoratori, hanno messo del loro per farsi disprezzare. Si sono rappresentati come casta, con l'arroganza di chi ha il potere e lo gestisce con assoluto arbitrio. Li ricordiamo bene gli anni del consociativismo, pensato e messo a punto nelle stanze del potere della sinistra, che sono stati gli anni della vergogna. Movimenti politici sono nati e hanno proliferato nutrendosi dell'odio popolare per quella categoria di sanguisughe, schierate a falange macedone nella difesa di interessi corporativi e di lucrose rendite di posizione. Come non volerli vedere defenestrati insieme ai capi e agli ascari della partitocrazia? Ma questa è stata l'onda di piena che, cominciata a defluire, ha lasciato sul terreno ingombranti detriti e carcasse decomposte di strutture e pezzi di architetture istituzionali dalle quali un tempo fluivano le dinamiche democratiche. No, nessuna nostalgia e nessun bel ricordo del tempo dell'imperio dei corpi intermedi, dei tavoli permanenti di concertazione dove partiti, rappresentanze sindacali e datoriali ed espressioni della società civile, si spartivano financo il vasellame, dopo aver liquefatto l'argenteria Purtuttavia, alla luce dell'odierna perdita di senso di una società che si sta smarrendo perché priva di idee forti e di visioni aggreganti, riaffiora il bisogno di un ritorno a una qualche forma sana d'intermediazione dei corpi intermedi, in funzione propedeutica alla stipula di una "santa alleanza" tra capitale e lavoro. Per i sovranisti, finita da un pezzo la lotta di classe, il futuro è nella compartecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Riprende quota, come obiettivo raggiungibile, l'utopia dei padroni e dei lavoratori imbarcati sulla stessa scialuppa, accomunati da uguali destini, messi a remare nelle medesima direzione. Torna a fare capolino l'articolo 46 della Costituzione rimasto finora lettera morta: "Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende". Non è stata roba di sinistra, piuttosto è stato di destra pensare di associare la forza lavoro alla gestione dell'impresa (il dibattito nella destra sulla cogestione risale agli anni Sessanta del secolo scorso). Negli anni della sbornia per le grandi concentrazioni capitalistiche, del padronato anonimo, della finanza transfrontaliera, della globalizzazione, un modello del genere sembrava reperto da archeologia delle relazioni industriali. E ora si scopre che yes-we-can, che si può fare? Di recente, a un convegno organizzato a Genova dall'Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) se n'è parlato. Sul tema "Nuove forme partecipative e nuovi modelli di relazioni industriali alla luce della Dottrina sociale della Chiesa" (troverete su Formiche.net un ampio resoconto del convegno) sono state dette cose impegnative. Per il presidente nazionale del Cts dell'Ucid, Riccardo Pedrizzi "la crisi del capitalismo finanziario si potrà superare, incentivando e promuovendo nuove forme partecipative e la diffusione dell'azionario tra i dipendenti delle singole aziende". Oltre, Giulio Romani, segretario confederale Cisl, ha osservato "come molte delle crisi degli ultimi anni sarebbero potute essere scongiurate con strumenti di partecipazione, nel quadro

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generale di un potenziamento della democrazia economica". È solo il raduno di un manipolo di nostalgici o dobbiamo prenderli sul serio? Qui non c'è da fare i furbi, da buttarla in caciara. Sarebbe fin troppo comodo dire che la questione riguardi i populisti e tutti i movimenti antisistema che hanno fatto della furia iconoclasta contro i simboli e gli strumenti dell'antico regime consociativo la loro missione speciale. La domanda interroga anche i fautori del liberismo e i loro epigoni turbo-capitalisti. Sarebbe ipotizzabile una confluenza d'interessi tra capitale e lavoro mediata dalle associazioni di rappresentanza delle due componenti nel nome di una più efficace responsabilità sociale d'impresa? O si pensa di lasciare padroni e lavoratori sulle due rive opposte del fiume, destinati a non incontrarsi mai? Difficile dire. Tuttavia, se si valuta negativamente ciò che l'ondata della disintermediazione nell'economia, come nella politica, sia riuscita a combinare, se il risultato è di avere al timone un premier imperito, che ammette di non sapere cosa fare in una situazione di emergenza nazionale, al diavolo il populismo e i finti innovatori. Messa giù così diventa perfino facile scandire la cosa più ovvia che un conservatore possa desiderare: al futuro sia maestro il passato. Cristofaro Sola

Ripubblicato da L’Opinione


POLITICA

SERVE UNO SCONGIURO Nel numero di ottobre del 2017, mi ritrovai a scrivere di come la politica sembra avere un concetto del tempo del tutto diverso dalla gente normale. E, scherzando, definivo ciò una strana forma di ottusità che non può che discendere da una qualche volontà divina. Neanche a farlo apposta, due mesi dopo, Papa Bergoglio nella sua benedizione urbi et orbi a ridosso del Natale troncò la formula rendendo di fatto nulla la concessione dell'indulgenza ai presenti. Et benedictio Dei omnipotentis, Patris, et Filii, et Spiritus Sancti descendat super vos, et maneat semper si è ridotta alla sola 'benedizione di Dio onnipotente, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo' senza l'invocazione a discendere sui presenti (anche i telespettatori e gli ascoltatori radio) e permanere in loro per sempre. Questo fatto suscitò allora molte perplessità. Non conosco il motivo di tale omissione ma voglio sperare che non fosse intenzione del Santo Padre, a ridosso della Natività per giunta, privare i fedeli della grazia divina verso i quali, forse, ha rimediato con il pensiero quanto invece voglio credere, ovviamente per celia, che l'esclusione (materiale) della grazia abbia riguardato quasi esclusivamente i politici e pochi altri. Neanche fosse un segno premonitore, dal 2018, infatti, la politica ha avuto una tale involuzione da far paradossalmente rivalutare l'operato del Cavaliere e di Renzi nonché della partitocrazia precedente. Compreso Monti, che Dio mi perdoni. Infatti, in quell'anno, accanto a igieniste dentali che almeno avevano l'avvenenza, studenti progressisti, massaie annoiate, giovani professionisti in praticantato, operai e contadini, idraulici e muratori, che fino ad un attimo prima nulla avevano a che fare con la politica e che, nella stragrande maggioranza dei casi, persistono nell'ignoranza, privi delle più elementari nozioni sulla vita delle istituzioni repubblicane, accompagnati da nani e ballerine che poco prima allietavano il desinare dei potenti, sono stati sbalzati nelle prestigiose aule parlamentari e ne hanno varcato la soglia con lo sguardo tra l'atterrito, il trasognato e lo strafottente, in ogni caso incosciente dell'alto compito che ci si sarebbe atteso da loro. Con tutto il rispetto per quelle categorie di cittadini e per le loro attività da 'civili', la mia contrarietà riguarda coloro che li hanno usati e li usano come bestie da soma, illudendoli di partecipare ad un grande progetto riformista a sfondo sociale ed ecologico. Senza girarci più attorno, intendo riferirmi ai vertici pentastellati che, in effetti, ritengo totalmente privi del concetto di tempo nonché della grazia di Dio il quale, nei loro confronti, è stato talmente 'matrigna' da non aver fornito loro neppure l'intelligenza di accorgersene. Ed i segni di tale carenza sono così evidenti da cancellare d'emblée ogni dubbio.

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POLITICA

La 'sindaca' di Roma, ad esempio, pentastellata doc, assurta sull'onda punitiva delle precedenti amministrazioni rispettivamente di sinistra e di destra, non ha certo brillato nel corso del suo perdurante mandato, alquanto scialbo e insignificante. Non c'è un segno visibile del suo operato (si fa per dire) ormai triennale. Ad aggravare la situazione, ci si è messa anche madre natura che, prima con le gelate del marzo del 2017, poi col vento del 2018, ha costellato Roma di vistose crepe e buche nel fondo stradale e di radici all'aria degli alberi divelti lungo le vie, senza che si sia minimamente provveduto al ripristino delle primitive condizioni. Ma non basta. L'AMA, l'Azienda Municipale preposta alla cura dell'Ambiente, sembra da tempo aver perso conoscenza del suo mandato originario: improvvisamente, Roma si è riempita di cumuli di immondizia, riversata a dismisura sulle strade accanto a cassonetti stracolmi, senza che i cittadini abbiano registrato alcun intervento capitolino. Gli unici a felicitarsi sono i ratti che, in pieno giorno, passeggiano per godersi il clima temperato. Il traffico impazzisce dinanzi a vigili disattenti, costretto a slalom per parcheggi in tripla fila e intervallato ottusamente da semafori, recalcitranti nel cedere il passo ai funzionali rondò; gli autobus ATAC ogni tanto vanno a fuoco (a decine negli ultimi due anni) senza che si intraveda una ragione apparente e le stazioni della metropolitana del centro, invaso da turisti, sono chiuse per lavori su scale mobili o per infiltrazioni che permangono senza una data indicativa circa la definizione. L'ACEA che gestisce tra l'altro luce e gas, non è restia ad ammettere che il 30% delle tubature dell'acqua perdono vistosamente; così, la città è disseminata di scavi che non risolvono la dispersione dell'acqua, intervallati da opere di riparazioni a condotte di gas e luce, senza un minimo di programmazione che vada a lenire i parossistici ingorghi per lavori in corso. Insomma, ancor più disastrata di come l'aveva descritta Roberta Forte nel suo 'Una triste visita' dello scorso giugno, la città persiste nell'essere sporca, sgarrupata, nevrotica e intasata con un'amministrazione che ha elevato a filosofia di vita l'interpretazione becera di quella frase che, invece, esprime un profondo concetto di serenità e di equilibrio: quann'è notte è 'na jurnata. In tale situazione, peraltro, le Organizzazioni sindacali hanno inteso realizzare recentemente uno sciopero generale che ha paralizzato la città con la motivazione di voler difendere i lavoratori capitolini e delle Società partecipate. Ora, se si escludono le dicerie popolari che asseriscono di autisti di mezzi pubblici che usano il telefonino e fumano nell'esercizio delle loro funzioni, di operai saltuariamente latitanti dalle loro incombenze per colazioni, telefonate e cazzeggio vario, di vigili urbani distolti dalle bellezze della natura, di operatori ecologici (monnezzari) che si rifiutano di asportare il 'rusco', l'immondizia, depositata fuori dai cassonetti perché asseriscono non rientrante nelle loro incombenze, ed atteso comunque che non c'è stato alcuno, men che meno gli Uffici preposti, che abbia sollevato formali obiezioni all'operato del personale comunale e delle 'partecipate', mi chiedo (inutilmente) contro chi sia stato indirizzato il suddetto sciopero. Ed ancora. Data la kafkiana situazione, mi interrogo (sempre inutilmente) sul motivo del silenzio da parte del 1° cittadino la quale si è limitata a banali balbettii circa l'incomprensibile ragione dello sciopero.


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Così 'ROMA CAPITALE', la cui scritta campeggia sulle fiancate dei mezzi pubblici in pretenziosi caratteri cubitali oro su fondo rosso, simile a simboli stravaganti di una Repubblica di Bananas, è tristemente insediata tra i primi cervellotici paradossi ai quali la politica sempre più spesso si sta dedicando. E questo mi porta ad un'ulteriore considerazione: l'Italia, in tutta evidenza, deve scontare antiche colpe e Roma, in quanto Capitale, è stata la prima a dover passare sotto le forche caudine. Ma ora è il turno della restante parte del Paese. Le avvisaglie si sono avute nello scorso anno quando nel governo giallo-verde i pentastellati hanno avuto l'illuminazione di 'partorire' il reddito di cittadinanza. In quel momento, mi sono chiesto se puta caso i vertici di quel movimento si fossero dedicati alle letture di economisti americani del tipo di Weitzman e di Meade ma, poco dopo, ho avuto il dispiacere di scoprire che non solo non avevano mai sentito parlare di quei docenti (è nei fatti) ma che, addirittura, avevano confuso il concetto di tale 'reddito' con l'elemosina. Non sto a ripercorrere le contorte norme che ne sono alla base né mi metto ad elencare i magheggi ai quali, mi dicono, sono ricorsi alcuni per farne 'commercio' quanto invece vorrei riflettere, sia pur sinteticamente, sulla stortura di quel provvedimento. Il reddito, in economia, può essere definito come un flusso di ricchezza durante un periodo di 1 tempo . Rappresenta in pratica il divenire di componenti economici attribuito ad un dato periodo di tempo . Detto questo, è noto che il PIL non viene più considerato un indicatore sufficiente a valutare lo stato di benessere economico di un Paese. La statistica, in quel caso, non ci aiuta: … Me spiego: da li conti che se fanno/seconno le statistiche d'adesso/risurta che te tocca un pollo all'anno:/e, se nun entra nelle spese tue, / t'entra ne la statistica lo stesso/ perché c'è un antro che ne magna due… scriveva Trilussa. Il sistema più attinente (che tuttavia non si applica) è il 'Rob index' cioè l'indice di reddito di obiettivo benessere, il quale contribuisce a calcolare, in modo esaustivo e sintetico, la distribuzione della ricchezza. L'ulteriore metodo assolutamente necessario sarebbe l'adozione del 'Rob, 2,5', cioè il reddito di obiettivo benessere che dovrebbe almeno equivalere al reddito indicato dall'Istat come soglia di povertà, moltiplicato per 2,5. Perciò, premesso che il 'Rob index' calcola la percentuale di popolazione il cui reddito ha superato o eguagliato il Rob 2,5, sembrerebbe logico che l'obiettivo della politica dovrebbe essere: massimizzare il 'Rob Index e minimizzare il numero degli individui che vivono al di sotto della soglia di povertà; quindi ottimizzare la distribuzione del reddito nazionale. Ora, secondo il rapporto Oxfam, a metà 2017 il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale mentre il successivo 20% ne controllava poco meno del 19%, lasciando al 60% (dico 60%) più povero appena il 15%. Ed è stato da ridere apprendere che nel periodo 2006-2016 la quota di reddito nazionale del 10% più povero degli italiani è diminuita del 28%, mentre oltre il 40% dell'incremento di reddito complessivo registrato nello stesso periodo è fluito verso il 20% dei percettori di reddito più elevato. Nel 2018 la situazione è peggiorata: il 20% più ricco degli italiani detiene il 72% della ricchezza nazionale contro il 66% dell'anno prima, mentre il 60% più povero deve accontentarsi di poco più del 12%.

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Ciò significa, col cosiddetto reddito di cittadinanza, aver varato una norma che, anziché correggere le macroscopiche storture del sistema, distribuisce la povertà. Sarebbe stato diverso destinare il costo del fantasioso 'reddito' agli investimenti, così da dare un lavoro anziché realizzare un'elemosina tra poveri. Quindi, sì, delle due l'una: o il provvedimento è stato demagogicamente assunto per fini elettorali (ma sembra non pagare più in termini di consensi) o Dio è stato davvero 'matrigna'. Il clou del loro inverosimile agire, poi, è stato toccato quest'anno con i cavalli di battaglia dell'ambiente, della salute e del Sud, senza minimamente considerare, da un lato, la loro variegata vastità e, dall'altro, la loro drammaticità. Ancora una volta, pura demagogia o problemi congeniti. La 'guerra' alla plastica, infatti, ha ormai connotati inverosimili. Qualcuno si sarebbe potuto chiedere cosa c'entri l'Europa con l'isola di plastica che galleggia nel Pacifico, cioè dall'altra parte del mondo, ma non stiamo a discutere sul sesso degli angeli: dobbiamo prevenire anziché curare. Allora ci saremmo dovuti aspettare che iniziasse una campagna di sensibilizzazione dei bambini e degli adulti intanto sulla gestione dei rifiuti e imballaggi. E, con l'occasione, ci si sarebbe dovuti attendere che la raccolta differenziata dei rifiuti investisse tutto il Paese. Invece, la geniale mente dei gialli pentacolari ha partorito una 'tassa sulla plastica' senza neppure immaginare quale sarebbe stato l'effetto. Non so se all'atto di edizione della rivista una tale intenzione permarrà e si concretizzerà o se declinerà ma, intanto, ciò che si è attuato è un enorme sconquasso. Il ministro dello sviluppo economico, Patuanelli, espressione pentastellata, può controllare. Le aziende del settore sono ferme, in attesa degli eventi, non emanano ordini e fanno piani per riduzioni di personale. I fornitori stranieri hanno già fatto sapere che venendo meno l'Italia tra i clienti interessanti, decadranno le condizioni particolari e si indirizzeranno verso lidi più stimolanti. Ora, considerato che l'Italia è il secondo Paese dopo la Germania nel consumo di materie plastiche (imballaggio al primo posto seguito da costruzioni, automotive, settore elettrico/elettronico, casalinghi, articoli per lo sport e il tempo libero, agricoltura e altre marginali applicazioni), si pensi per un attimo al danno a cascata che può derivare sia sul piano economico che su quello occupazionale. Valutato, infine, che le aziende di produttori, trasformatori, riciclatori e costruttori di macchine e attrezzature verrebbero penalizzate sui mercati internazionali, sul territorio italiano a pagare la tassa sarebbe l'utente finale, il cittadino. Certo, i lavoratori beneficeranno degli effetti del provvedimento sul cuneo fiscale di ben 40 euro al mese per un totale di 520 euro all'anno le quali, tuttavia, per effetto del peso fiscale, si ridurranno mediamente a 390 euro. Se, tuttavia, a queste si dovessero sottrarre 150 euro (costo già calcolato dagli istituti d'indagine) dovute alla suddetta tassa sulla plastica, il residuo ammonterebbe a 240 euro, poco più di 18 euro al mese. E questo nel migliore dei casi, cioè di un lavoratore, ma si pensi all'effetto su un pensionato, su un cassintegrato o su un lavoratore in mobilità. Ma ancora non basta. La beffa già ci starebbe tutta se, peraltro, non fosse contornata da fatti che hanno dell'assurdo. L'idea recente sgorgata dalla mente sicuramente sesquipedale dei Grillini è quella, nell'uso della


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plastica, di puntare al 'compostaggio', cioè ad un pot-pourri di riciclo finora usato solo per i sacchi della spazzatura, fino al punto da prevederne l'uso per imballaggi di alimenti. Ignorano senza dubbio che non ci sarà mai un istituto di certificazione che possa rilasciare una tale autorizzazione: del resto, se il timore sono i rilasci incontrollati, immaginiamo per un attimo cosa potrebbe accadere con il 'compostaggio' di plastiche di molteplice qualità e provenienza sconosciuta. E che siano totalmente digiuni della materia lo avvalora il fatto che fino a qualche giorno fa hanno additato come esempio da seguire una azienda, la Bio-On, operante nel campo della fantasiosa bioplastica. Quotata in borsa per un valore di oltre un miliardo di euro, dopo poco più di un anno è andata a gambe all'aria per ipotesi di truffa: almeno secondo gli inquirenti, sembra non abbia mai avuto il know-how necessario. Così, mentre i grandi investitori si sganciavano in tempo (tra altri, i fondi d'investimento soci delle società di rating), sono rimasti a 'bagno' solo i piccoli investitori senza che il fatto abbia suscitato neppure un minimo scalpore. Già, ammesso che il know-how esista perché, come ogni esperto del settore può attestare, rendere la plastica biodegradabile significa, senza mezzi termini, plastificare il terreno. Oltre alla beffa, un ulteriore danno. La beffa, tuttavia, non si arresta qui. L'altro balzello ipotizzato, forse per combattere ingenuamente l'obesità, è la tassa sullo zucchero. Anche qui non sappiamo se, all'atto del varo del presente numero, si sarà concretizzata o se verrà cancellata. Fatto sì è, tuttavia, che le aziende del settore sono sul piede di guerra e con esse i produttori di frutta e di trasformazione perché un notevole assorbimento di questa è dato dalle imprese produttrici di succhi di frutta e simili. Ovviamente, con carico sull'utente finale, il cittadino, dell'eventuale ulteriore gravame fiscale e per il Paese l'ulteriore penalizzazione sui mercati internazionali. Come se non bastasse la fibrillazione per i dazi di Trump. Comunque, a voler veramente combattere l'obesità e non a fare semplicemente cassa, non sarebbe stato il caso di avviare campagne di sensibilizzazione? Su un piano più generale, la loro concezione delle problematiche ambientali, infine, è un fatto che lascia sconcertati. Il governo ha intenzione di promuovere la cosiddetta green economy fatta, tra l'altro, di green bond: cioè premiare i produttori che ridurranno le emissioni nocive in atmosfera lasciando loro la possibilità, di fatto, di andare ad inquinare in altri Paesi del pianeta. Del resto, questi sono gli strumenti e le possibilità consentite farisaicamente addirittura dall'Europa. Gas Emission Trading è la panacea per raccordare e placare gli animi degli ambientalisti e degli inquinatori: si può fare commercio delle quote gassose da lanciare in atmosfera: l'unica accortezza è scegliere il posto dove farlo liberamente, ricevendo nel contempo gratificazioni finanziarie. Cosicché mi domando, dato che l'isola di plastica del Pacifico ben difficilmente arriverà in Atlantico e nel Mediterraneo ma, in ogni caso, è opportuno prevenire, a maggior ragione tale concetto non dovrebbe valere per l'aria? Ma la pelle dei cosiddetti, si sa, è elastica. All'occorrenza, si accorcia e si allunga. Un po' come l'ex ILVA e la sua storia. Non sto qui a ripercorrerla perché ci trascinerebbe nelle storture degli eventi: dalle partecipazioni statali alle privatizzazioni senza più nemmeno un minimo di controllo sulle

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modalità produttive nel rispetto delle norme del nostro ordinamento legislativo. Non sto neppure a ricordare il biasimo ricevuto dal magistrato Todisco semplicemente per aver fatto il suo lavoro a fronte di milioni di tonnellate di fumi dannosi immessi in atmosfera e di migliaia di morti e di patologie anche a bambini ben al di sopra delle medie nazionali. Non voglio nemmeno giudicare l'operato di Di Maio nel condurre la trattativa con l'ArcelorMittal e la fondatezza o meno delle motivazioni di quest'ultima nel voler recedere dagli accordi. L'unico aspetto sul quale m'interrogo è la liceità morale oltreché giuridica di ipotizzare uno 'scudo penale' che consenta all'azienda di continuare ad inquinare l'aria e a produrre danni fisici insieme all'acciaio. Al di là delle obiezioni già preventivate che la Corte Costituzionale può avanzare contro una siffatta concessione, mi rendo perfettamente conto che sono in gioco oltre diecimila posti di lavoro e il futuro di altrettante famiglie ma non credo possa essere considerata morale e civile una simile ipotesi. Qualora all'atto di edizione del numero la questione non fosse ancora risolta, perché non pensare (lo dico provocatoriamente) ad una nazionalizzazione? Tra l'altro, non incontrerebbe l'opposizione europea, contraria solo agli 'aiuti di Stato' fuori quadro e salverebbe le migliaia di famiglie, oltre a garantire la prevenzione nella produzione. In ogni caso, a voler percorrere l'ipotesi, ci sarebbe da scegliere lo staff che dovrebbe guidare l'azienda. Almeno, in caso di default, resterebbe qualcosa. E non sarebbe cosa da poco, viste le tristemente esilaranti note di Alitalia la quale, nonostante sia un'azienda privata, è costata fior di miliardi ai contribuenti nei suoi quattro fallimenti in dieci anni e milioni di liquidazione agli alti esponenti paradossalmente designati a 'rilanciarla'. Oh! Dimenticavo. Prima di qualsivoglia operazione di salvataggio occorrerebbe osservare l'andamento futuro del mercato dell'acciaio e affrontare due questioni pregiudiziali: il mercato dell'auto e del 'bianco'. Non c'è dubbio alcuno che la crisi dell'auto si ripercuota su quella dell'acciaio: per cui, sarebbe il momento di scegliere definitivamente quale tipo di energia dovrà impiegare l'automotive del futuro e non far gravare sul cliente i costi di tale scelta così da liberarlo dall'interrogativo psicologico: benzina, diesel, ibrido, elettrico plug-in, GPL, metano, ognuna salvifica e pestifera, osannata e maledetta. Il 'bianco', poi, è un aspetto sul quale occorrerebbe domandare a Di Maio vista la sua trattativa, nella precedente veste, per l'inutile salvataggio della Whirpool. Preliminarmente, in ogni caso, il governo dovrebbe decidere se le auto in Italia hanno ancora un futuro: la ventilata cancellazione (addirittura retroattiva) della detrazione percentuale sulle auto in noleggio a lungo termine, di pertinenza, quindi, di soggetti collettivi e aziende, porterebbe da conti fatti ad un calo di immatricolazioni di quasi 300.000 autovetture. Alla faccia della manovra di rilancio. Chissà cosa ne pensano i portavoce degli imprenditori Boccia e Sangalli che, in verità, credo siano stati colpiti da afonia. Ciò posto, in attesa di vedere come si sostanzierà l'impegno governativo a proposito della green economy, mi associo alle richieste della collega Roberta Forte dell'altro mese: quanti provvedimenti AIA (autorizzazione impatto ambientale) giacciono ancora, in fase istruttoria, presso la Commissione IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control) del Ministero


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dell'Ambiente? Al momento della vicenda ILVA erano ben 160 in fase di 'lunga' istruttoria. E che ne è stato dei 18 impianti considerati dall'UE 'fuorilegge' perché sprovvisti di quell'autorizzazione, eppure in attività? Almeno per non ritrovarci in futuro con un altro caso simile all'ILVA. L'ultima nota concerne l'altisonante affermazione del presidente del consiglio: occorre pensare al Sud. Se parte il Sud riparte l'Italia. Non discuto certo l'assoluta necessità di farlo quanto, invece, i tempi necessari. Perché, diciamolo, non è un problema la cui soluzione è alla portata dell'attuale governo, nemmeno se iniziasse domani. Rispetto al centro-nord, il solo gap in infrastrutture è valutato in oltre 125 miliardi. Per cui, se spesso il problema per la quadratura dei conti è nell'ordine di 2/3 miliardi, si pensi all'umorismo che l'apodittico intento governativo può suscitare. E ciò senza considerare il maculato impiego dei fondi strutturali da parte delle Regioni, la disattesa di piani operativi regionali e di accordi di programma, l'assenza di un piano-turismo, le scelte riduttive delle Ferrovie dello Stato e tanto, tanto altro ancora. Mi fermo qui. C'è chi afferma che nel simbolo dei '5 stelle' si può ravvisare il pentacolo, ovvero la stella a cinque punte: di pitagorica memoria se con la punta in alto e a sfondo luciferino se con la punta in basso. E c'è chi ulteriormente afferma che quello 'grillino' sia con la punta in basso. Non so alcunché su questi argomenti: l'unica cosa che mi sento di rammentare agli elettori di quel movimento è quel passaggio del Vangelo secondo Matteo sull'esortazione di Cristo ai discepoli dopo il discorso della montagna: "Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino e, rivoltandosi, vi sbranino"2. Se, poi, tra quegli elettori che volessero ravvedersi vi fosse qualcuno superstizioso potrei raccomandargli l'apotropaica, goliardica formula: terque quaterque testiculis tactis pallegiatoque augello decracto pilo maiore usque ad sanguen mala iactura fugata est! In ogni caso, c'è uno scongiuro che non si smentisce mai: il voto. Massimo Sergenti

Note: 1. https://it.wikipedia.org/wiki/Reddito 2. Mt 7,6

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UN PAESE LIBERO E DEMOCRATICO Cari amici lettori, da quando io ero un bambino che cominciava a frequentare la scuola media, continuano a ripeterci che l'Italia è un paese libero e democratico, sicché tutti coloro che per natura non sono portati a riflettere e anche tutti quelli che, per pigrizia o perché in altro affaccendati, non si soffermano sullo stato della nostra società, accettano questo mantra. In filosofia, ben vero, si dubita che democrazia e libertà possano convivere. Senza scomodare l'immenso Platone, Horkheimer, il direttore della scuola marxista di Francoforte, che ebbe fra i suoi allievi Adorno e Marcuse, affermò che democrazia e libertà sono inversamente proporzionali, vale a dire che quanto più una società è democratica, tanto meno liberi sono i cittadini. Se questo è vero, l'Italia di oggi è un paese sicuramente democratico, in cui la libertà è un grazioso omaggio del potere a ristrette categoria di persone, come gli assassini, i musulmani, i mafiosi, gli antifascisti e i camorristi. Ma come? - mi dirà qualche ingenuo - la Costituzione, all'articolo ventuno, recita: "Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione"; e non è questa la sacrosanta libertà dei cittadini? Beh, se è per questo, il primo articolo di quel libro dei sogni, che è la legge fondamentale della Repubblica, attribuisce al popolo la sovranità. Sì, è vero che il governo "Conte II", anche se insediato al solo scopo di impedire al sovrano di far sentire la propria voce, non è per questo incostituzionale, ma vi ricordo che, quando i cittadini hanno provato a esercitare la sovranità con i referendum, le loro decisioni sono state costantemente disattese. Ad esempio, la responsabilità dei magistrati, pretesa da una larga maggioranza degli elettori, non è mai diventata realtà. Vabbè, insisterà l'ingenuo interlocutore, ma nella Costituzione ci sono tanti sani principi, che la rendono, come taluno pubblicamente opinò, "la costituzione più bella del mondo". Prendiamo allora un'altra norma fondamentale, l'articolo tre, e leggiamo che "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale… senza distinzione… di opinioni politiche". Bello, vero? Senza ancora arrivare al giorno d'oggi, vi ricordo che sui teleschermi, all'epoca monopolio dell'ente statale che si regge sul canone imposto ai cittadini, vedemmo molti personaggi di infima categoria, ma non vi comparvero il più grande attore italiano (Giorgio Albertazzi), reo di non aver mai ripudiato la propria adesione alla RSI, e il più grande cantautore (Fabrizio De André), il quale, essendo un fascista dichiarato, ha potuto raggiungere una notorietà universale soltanto dopo morto.


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Perché, mi chiederete a questo punto, hai messo in mezzo questo discorso proprio questa adesso? Che cosa è successo di nuovo? Sono successe due cose, una grande e una piccola, dalle quali appare evidente che questo paese, anche se forse ancora democratico, è sempre meno libero. La cosa grande è il caso Segrè. La senatrice sopravvissuta ai lager è una degnissima persona e, oltretutto, ha accresciuto la nostra stima accettando l'incontro richiestole da Salvini, considerato, dagli antifascisti e dal governo vaticano, Satana in persona. Ella merita assai, ma i suoi sostenitori in parlamento assai meno se è vero, com'è vero, che hanno approfittato della maleducazione dei social-maniaci per approvare una legge che, di fatto, vorrebbe sopprimere l'articolo ventuno della Costituzione. La maleducazione, invero, è molto deplorevole, ma non è cosa nuova. L'altro ieri il Tribunale di Lecco ha condannato don Giorgio De Capitani, parroco della Brianza lecchese, che nel 2015 pubblicò ben 624 articoli contro il leader leghista e, nel corso di una trasmissione radiofonica nazionale, sarebbe arrivato ad arrogarsi "il diritto di uccidere Salvini". Un pensiero, il suo, in linea con "Famiglia Cristiana" ma non con il Vangelo di Cristo. I garbati appellativi del parroco postconciliare erano tutti di natura scatologica (attenzione, non escatologica) e culminarono con questa frase: "La merda richiama merda. Salvini è stato uno schizzo che è salito un po' più in alto, destinato ora a raggiungere la tana dei topi di… fogna". Badate bene, questa improvvisa iniziativa parlamentare dei veri democratici arriva dopo la lunga inerzia verso ingiurie e minacce di matrice islamica, che non sappiamo se sia nei propositi giallorossi perseguire. La cosa piccola, invece, è il caso Krancic. Apprendo solo ora, da un suo scritto, che l'eccellente vignettista de "Il giornale" è stato bannato, due anni orsono, da Facebook e non gli è permesso tornarvi. In verità anche l'immenso Forattini non è di moda sui media di regime, per i quali non c'è altro vignettista che Vauro. Sì, è una cosa piccola, ma vi dà la misura del livello cui è giunto il liberticidio degli "antifascisti". Nel ventennio della "oppressione fascista" la satira aveva più spazio: basti ricordare "Il Travaso". Mi sa che prima o poi dovrò rifugiarmi sull'equivalente russo di Facebook: ho già un account, ma non l'ho utilizzato finora. Aspetto di vedere a che livello avranno il coraggio di arrivare i liberticidi democratici. Pietro Lignola

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COMPRARE ITALIANO? QUASI IMPOSSIBILE. La Forever Sharing, controllata del Gruppo Zhonglu di Shangai, ha formalizzato l'ingresso in Helbiz, uno dei leader nella gestione di soluzioni per la micromobilità urbana. Helbiz Inc. è stata fondata da imprenditori italiani. Il gruppo Zhonglu è primo produttore cinese di veicoli elettrici intelligenti per la mobilità sharing e Forever svolgerà un ruolo chiave nell'espansione di Helbiz sui mercati asiatici e su altri mercati primari. Qualche tempo fa gli elettrodomestici Candy erano stati ceduti ai cinesi di Qingdao Haier per 475 milioni di euro. Era l'ultima grande azienda italiana del "bianco". È stata la forza europea di Candy con marchi come Hoover e Rasieres ad attrarre i cinesi perché conseguiva un fatturato consistente principalmente all'estero (Uk e Francia). La ex Officine Meccaniche Eden Fumagalli gruppo da 1,14 miliardi di fatturato con 4.660 dipendenti e 6 stabilimenti in Europa passava così ai cinesi di Haier. Quella di Fumagalli di Brugherio era il quarto grande gruppo del "made in Italy". La prima a passare in mani straniere era stata la Zanussi. Prima ancora i cinesi si erano aggiudicati, salvandola per la verità, la cucine Berloni ed il gruppo Shig-weichai, aveva acquistato il pacchetto di maggioranza della Ferretti, la grande firma (che era fortemente indebitata) degli yacht destinati al mercato medio-alto. Iniziativa quasi gemella di quella portata avanti dal potentissimo altro gruppo cinese, quello di Zomlion (cinque miliardi di euro di fatturato nel settore macchine per costruzione) che ha rilevato la Cifa (betoniere e macchine per l'edilizia). Un'operazione di notevole consistenza è quella che ha messo a segno State Grid International D.L. (SGID), operatore finanziario internazionale della State Grid Corporation of China controllata dal governo cinese - che ha acquistato una quota del 35% del capitale sociale di Cdp Reti Spa, a un prezzo pari a 2.101 milioni di euro. Inoltre i cinesi hanno fatto shopping nelle Pmi più innovative: Plati Elettroforniture di Madone (provincia di Bergamo) acquistata da Shenzen Deren Electronic; la Compagnia Italiana Forme Acciaio di Senago, nel Milanese, rilevata da Changsha Zoomlion Heavy Industry; i motocicli Benelli di Pesaro da Qianjiang Group; la bolognese Omas (penne) acquisita da Xinyu Hengdeli; la Sixty di Chieti (abbigliamento) da Crescent Hydepark; la Pinco Pallino (vestiti per bimbi, a Entratico, nella Bergamasca) comprata da Lunar Capital; la parmense Caruso (abiti da uomo di alta gamma) da Fosun International; nel 2013 la toscana Fosber (macchine per la produzione di imballaggi) dal Guangdong Dong Fang. Shangai Electric Corporation già nel 2014 aveva acquistato il 40% di Ansaldo Energia e Peolple's


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Bank of China ha intorno al 2% in Mediobanca, Fla, Enel, Telecom Italia, Generali, Prysmian. Nel carrello della cinese Bright Food, è finita la maggioranza della Salov della famiglia Fontana che vanta brand storici del calibro di Sagra e, sopratutto, Filippo Berio. Salov vende e produce olio di oliva e prodotti derivati in una sessantina di Paesi ed è leader di mercato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Gli ultimi marchi di olio italiano, quindi, prendono la direzione della Cina. Inoltre va segnalata l'acquisizione da parte di Chem China del controllo del gruppo Pirelli con un'operazione del valore complessivo di 7,4 miliardi di euro, considerando anche la successiva Opa che ha portato al delisting dell'impresa milanese. Prima ancora, il gruppo cinese Deren Electronic, che alla Borsa di Shenzen capitalizza quasi 2 miliardi di euro, ha acquistato il 60% del capitale di Meta System, impresa di Reggio Emilia attiva dal 1973 nel mercato automotive. Sempre in Emilia, Foton Lovol - il principale produttore cinese di macchine agricole, con un fatturato di 3,2 miliardi di euro - ha invece acquisito la Goldoni di Carpi, che con i trattori "Universal" aveva contribuito a fare la storia della meccanizzazione agricola italiana. L'acquisizione di Goldoni è seguita a quelle dello storico marchio piacentino Arbos e della Matermacc di San Vito al Tagliamento, tutte realizzate attraverso la Lovol Arbos Group di Calderara Reno, base operativa del gruppo cinese in Europa. In precedenza, nel corso del 2014 Wanbao Group Compressor aveva rilevato le attività di ACC Compressor, un tempo leader mondiale nel settore dei compressori per frigoriferi. Sempre dal 2014 è rientrata nel controllo cinese anche OM Carrelli Elevatori, a seguito dell'acquisizione della controllante tedesca Kion da parte del gruppo Shandong Heavy Industry Group (SHIG-Weichai). Anche la banca dei farmacisti (Farbanca) un tempo della Popolare di Vicenza, è diventata cinese. New Seres Apennines, società controllata da China Cefc, ha acquistato l'intera partecipazione detenuta da Popolare di Vicenza, pari al 70,77% del capitale sociale. Ad ottobre 2018 la Zhongneng Vehicle Group ha acquistato la Moto Morini, storico marchio delle due ruote specializzato nei veicoli di piccola cilindrata. (N.d.a.: I dati sono tratti da Riccardo Pedrizzi "Il Salvadanaio. Manuale di sopravvivenza economica" Guida Editore - 2018.) Ad oggi sono quasi settecento le imprese italiane controllate da trecento gruppi cinesi o di Hong Kong (quasi tutti a capitali cinesi). Dal Duemila i gruppi dei due Paesi hanno investito in Italia 16,2 miliardi di euro, terza piazza in Europa dopo Gran Bretagna e Germania, il giro d'affari delle società italiane controllate da soci cinesi e di Hong Kong è di 22 miliardi, i dipendenti sono 32.600. E non abbiamo visto ancora gli effetti degli accordi del memorandum che il governo Conte ha sottoscritto con i rappresentanti della Repubblica cinese e che vanno sotto il nome della "Nuova Via della Seta". Riccardo Pedrizzi

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EUROCENSURA Il 3 ottobre, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) ha stabilito in una sentenza che i tribunali nazionali degli Stati membri possono ordinare a Facebook di rimuovere il materiale diffamatorio in tutto il mondo: "Il diritto dell'Unione non osta a che a un prestatore di servizi di hosting, come Facebook, venga ingiunto di rimuovere commenti identici e, a certe condizioni, equivalenti a un commento precedentemente dichiarato illecito. Inoltre, il diritto dell'Unione non osta neppure a che tale ingiunzione produca effetti a livello mondiale, nell'ambito del diritto internazionale pertinente di cui spetta agli Stati membri tener conto". La sentenza è arrivata dopo che la deputata austriaca Eva Glawischnig-Piesczek, presidente del gruppo parlamentare "die Grünen" (i Verdi) e portavoce federale di tale partito politico, ha citato Facebook Ireland dinanzi ai giudici austriaci. Secondo la Corte di Giustizia dell'Unione Europea: "Essa [la signora Glawischnig-Piesczek] chiede che venga ordinato a Facebook di cancellare un commento pubblicato, da un utente su tale social network, lesivo del suo onore nonché affermazioni identiche e/o dal contenuto equivalente. "L'utente di Facebook di cui trattasi aveva condiviso, sulla sua pagina personale, un articolo della rivista di informazione austriaca online oe24.at intitolato 'I Verdi: a favore del mantenimento di un reddito minimo per i rifugiati'. Ciò ha avuto come effetto di generare su tale pagina un 'riquadro anteprima' del sito d'origine, contenente il titolo del suddetto articolo, un breve riassunto di quest'ultimo, nonché una fotografia della sig.ra Glawischnig Piesczek. Lo stesso utente ha anche pubblicato, in merito al suddetto articolo, un commento redatto in termini che i giudici austriaci hanno dichiarato lesivi dell'onore della sig.ra Glawischnig Piesczek e tali da ingiuriarla e diffamarla. Il commento di cui trattasi poteva essere consultato da ogni utente di Facebook". La sentenza ha destato preoccupazione tra le organizzazioni che si battono per la libertà di espressione. Thomas Hughes, direttore esecutivo di ARTICLE 19, un'organizzazione no-profit che si occupa di "tutelare il diritto alla libertà di espressione nel mondo", ha dichiarato: "Questa sentenza ha importanti implicazioni per la libertà di espressione online a livello mondiale. "Costringere le piattaforme di social media come Facebook a rimuovere automaticamente i messaggi indipendentemente dal loro contesto violerà il nostro diritto alla libertà di espressione e limiterà l'informazione che vediamo online... .


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"La sentenza implica altresì che un tribunale di un Paese membro dell'Unione Europea sarà in grado di disporre la rimozione dei post pubblicati sui social media in altri Paesi, anche se lì non vengono considerati illegali. Ciò costituirebbe un precedente pericoloso in cui i tribunali di un Paese possono controllare ciò che gli utenti di Internet possono vedere in un altro Paese. Questo potrebbe essere soggetto ad abusi, in particolar modo da parte di regimi con una storia inconsistente in materia di diritti umani." Secondo ARTICLE 19: "La sentenza indica che Facebook dovrebbe utilizzare filtri automatizzati per identificare i post sui social media che sono considerati avere 'contenuto identico' o 'contenuto equivalente' a un contenuto già giudicato illecito. La tecnologia viene utilizzata per identificare ed eliminare contenuti che sono considerati illeciti nella maggior parte dei Paesi, ad esempio, immagini di abusi su minori. Tuttavia, questa sentenza potrebbe prendere in considerazione i filtri utilizzati per cercare i messaggi di testo dai contenuti diffamatori, il che è più problematico dato che il significato del testo potrebbe cambiare a seconda del contesto. Sebbene la sentenza abbia affermato che va rimosso soltanto il contenuto identico a quello di un'informazione precedentemente dichiarata illecita, è probabile che i filtri automatizzati commettano errori". La sentenza "mina il consolidato principio secondo cui un Paese non ha il diritto di imporre le proprie leggi a un altro Paese", ha commentato Facebook in una nota. "Apre anche la porta all'imposizione alle società di Internet di obblighi di monitoraggio proattivo dei contenuti e quindi di interpretazione se siano equivalenti a contenuti ritenuti illegali". La sentenza "consente sostanzialmente a un Paese o ad una regione di decidere cosa gli utenti di Internet ovunque nel mondo possono dire e a quali informazioni possono accedere", ha affermato Victoria de Posson, senior manager per l'Europa della Computer & Communications Industry Association, un gruppo industriale che annovera Google e Facebook come membri. Sembra davvero che la sentenza stia aprendo un vaso di Pandora per lo spazio sempre più ristretto per la libertà di espressione in Europa e potenzialmente a livello mondiale, sebbene non sia ancora chiaro come la sentenza possa influenzare la libertà di parola in tutto il mondo. I tentativi dei governi di censurare in Europa la libertà di espressione sono in corso da tempo. In Germania, la controversa legge sulla censura, nota come NetzDG, ed entrata in vigore l'1 ottobre 2017, impone alle piattaforme dei social media, come Facebook, Twitter e YouTube di censurare i loro utenti per conto dello Stato tedesco. I social media sono obbligati a rimuovere o a bloccare qualsiasi "reato penale" commesso in rete come i commenti offensivi e diffamanti o i contenuti che incitano all'odio, entro 24 ore dalla segnalazione di un utente. Il termine concesso ai social per la rimozione è esteso fino a 7 giorni per i casi più complicati. Se non provvederanno a farlo, il governo tedesco può elevare multe fino a 50 milioni di euro, per mancata osservanza della norma. La nuova sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, presumibilmente, potrebbe implicare che un tribunale tedesco ordini che ciò che si ritiene essere un contenuto illegale, o suo equivalente, ai sensi della NetzDG venga rimosso in altri Paesi membri dell'UE che non hanno una legge sulla censura altrettanto draconiana.

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La Francia sta cercando di approvare una legge simile a quella esistente in Germania. All'inizio di luglio, l'Assemblea nazionale francese ha approvato un disegno di legge per contrastare l'odio online. La disposizione prevede che le piattaforme dei social media hanno 24 ore di tempo per rimuovere "i contenuti di incitamento all'odio" o rischiano multe fino al 4 per cento delle loro entrate globali. Il disegno di legge è andato al Senato francese. Ancora una volta, se il disegno di legge diventerà legge, la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea potrebbe significare che i tribunali francesi sarebbero in grado di chiedere a Facebook di rimuovere ciò che le Corti considerano essere un contenuto illegale o suo equivalente, ai sensi della legge francese. In altre parole, la sentenza della CGUE sembra conferire agli Stati membri dell'UE il potere senza precedenti di definire le linee guida in materia di dibattito pubblico online - stabilire ciò che i cittadini possono o meno leggere. Resta naturalmente da capire esattamente come la sentenza sarà interpretata di fatto dai tribunali nazionali dei Paesi membri dell'Unione Europea, ma le prospettive ora sembrano ancora più tristi per il futuro della libertà di espressione in Europa. Judith Bergman*

* Aavvocato, editorialista e analista politica. Da https://it.gatestoneinstitute.org/


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SENZA TITOLO Suvvia liberiamoci, finalmente… e dopo settant'anni, dalla soffocante cappa"coranica" cattocomunista che ha castrato la cultura di un popolo che fu invece, per secoli, depositario di sapienza esistenziale fatta di saggezza (al contempo pratica e filosofica), efficace pragmatismo, creatività artistica e sostanziale gioia di vivere (grazie in particolare, splendidi paesaggio e clima)! Il tutto permeato da un diffuso sentimento di aleggiante religiosità in grado di fornire - in simultanea, ma fantasiosa ed alternabile bivalenza - sia conforto spirituale che, bisogna pur riconoscerlo, anche sapidità al sapore della trasgressione! Rigettiamo dunque - depositandoli una volta e per tutte nel cestino dei rifiuti della Storia - i falsi difensori delle più acritiche e svariate libertà personali, ma a spese altrui; i buonisti a costo zero; gli osti di viandanti, ma rigorosamente non in casa propria; i bellicosi ecologisti della serie:"but not in my backyard"; i terzomondisti di maniera; gli evangelici innamorati del "proprio prossimo come se si trattasse di se stessi" a condizione però - come affermava una tempo un anziano signore a audacia me molto caro - che "ci si trovi a debita distanza l'uno dall'altro ed all'aperto"! temeraria igiene spirituale Neutralizziamo i falsi, seriosi, anchilosati, profeti di ogni anarcoide libertà personale mirata, a parole, a liberare l'individuo da lacci e laccioli storico/culturali, ma con l'unico, vero intento di assoggettarlo ad un asfissiante contesto di indotte dipendenze per controllarne aspirazioni, desideri e, soprattutto, i conseguenti consumi! Al diavolo (è proprio il caso di dirlo) i presunti paladini di un libero pensiero ateo/materialista ed anticonformista che hanno sempre concepito la vita a mera misura d'uomo ("here and now"), salvo poi (una volta cominciato a percepire nelle vicinanze del proprio "lato B" i primi sentori di un focherello premonitore dell'eterno ignoto) traslocare spudoratamente dal materialismo progressista di sinistra all'alveo della sempre vituperata religiosità storica da destra conservatrice, paludando la paura della morte con le gratuite vesti della dotta elucubrazione filosofica contrabbandata come ricerca di tipo culturale! E ciò, per trovare un tardivo rifugio nel collaudato, consolante, plurisecolare ostello di una chiesa cattolica alla cui porta bussare per venirne accolti, a braccia aperte, dall'odierno custode. Questi peraltro (ma guarda un po' che felice coincidenza!) non vede proprio l'ora di calibrare stile e dottrina di quell'antica magione sulle esigenze di ogni pellegrino di passaggio piuttosto che sulle consolidate caratteristiche dell'eterno "Padrone di casa" ivi residente! "Vade retro" saccenti Erinni, stupidamente assertive (proprio perché profondamente incolte: ma le predette - socraticamente - "sanno di non sapere"?), femministe 'senza se e senza ma' al

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solo scopo di lucrare i vantaggi di una militanza nel "politicamente corretto" senza rispetto alcuno per altre donne, anch'esse peraltro assolutamente femmine, ma che potrebbero legittimamente pensarla in un modo del tutto differente! E ciò senza lasciare trasparire dal proprio vacuo volto alcun segno di quella verità di cui al brillante aforisma di Pitigrilli - a questo punto, come si dice a Roma: "quando ce vo', ce vo'! " - secondo cui "una femminista è quella donna che non avendo avuto successo come tale, tenta di averlo come uomo". Ed infine giù le mani dalla genuina tradizione cattolica così come consolidata nell'ultimo paio di millenni, rispettando in particolare la norma sul CELIBATO RELIGIOSO, liberamente e coscientemente accettato dai VERI sacerdoti degni del nome! Su questo specifico punto cerchiamo di ragionare su una base, diciamo, "appena" logica: I sostenitori del matrimonio dei preti partono dall'indimostrato assunto che oggi le vocazioni religiose maschili siano in netto calo in quanto, si asserisce, premerebbe alle porte dei seminari a ragione di tardiva vocazione una presunta moltitudine di maturi signori - per intenderci, tipo "ragionier Fantozzi" - che se ne vedrebbe impedito l'accesso in quanto accompagnati da regolare consorte, diciamo, tipo "signora Pina". In sostanza l'aspirazione di tali teorici candidati all'ordine sacerdotale potrebbe essere così riassunta: "consentitemi di fare il mio ingresso nella chiesa officiante in compagnia della mia amata metà ed io correrò subito ad indossare l'abito talare!" E' mai stata però quantificata la consistenza di tale presunta massa di laici agognanti il sacerdozio? Ovviamente no, essendo essa in tutta evidenza di caratura numericamente insignificante nel popolo dei cattolici praticanti. Che dire allora del presunto numero di sacerdoti cattolici, celibi per statuto, che (tardiva "tempesta ormonale"?) sentirebbero un'insopprimibile bisogno di coniugarsi pur conservando il "clergyman". Quanti potrebbero essi essere? Credo proprio che non si sappia affatto. Ci si è mai chiesti: tali preti sentono davvero l'esigenza di farsi una famiglia, con gli ineludibili annessi e connessi di mogli, figli, pannolini, crisi adolescenziali ed… eventuali suocere, oppure coverebbero essi soltanto quell'umano istinto di voler fare all'amore con una donna? Personalmente propenderei per tale seconda alternativa. Riconosciamo allora - e senza ipocrisie - che tale situazione, antica quanto la stessa chiesa cattolica, è stata di volta in volta risolta con creative soluzioni come, ad esempio, quella che vedrebbe (come estremi di una medesima fattispecie), da un lato, una Donna Giulia Farnese - che, per dirla con moderno lessico da discoteca, "si vedeva" con papa Alessandro VI - e, dall'altro, l'anonima perpetua del curato di campagna. E non si ricorra infine, per estremizzare i termini della questione, agli improponibili esempi delle varie chiese del Nord Europa, anglicana in testa (gli ortodossi sono invece una cosa seria, data la millenaria soluzione da essi data al problema dei preti sposati sulla base di sofferte scelte storicamente giustificate). Stendiamo in particolare un velo pietoso sulla chiesa di Londra che, come è noto, pone la "pietra" del suo "ubi consistam" spirituale, in un'arzilla signora novantenne, incidentalmente madre di un certo Carletto e suocera di una certa Megan, sulla cui caratura "teologica" sarebbe il caso di astenersi da ogni commento. Credo pertanto che non si possa prendere in seria considerazione il consentire ai nostri preti di


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sposarsi. Ciò, sia per il fatto che si rischierebbe innanzitutto di arrivare, come suole dirsi, fuori tempo massimo in quanto il matrimonio è oggi di per se stesso un'istituzione palesemente in crisi di identità, sia per quel dovuto rispetto che andrebbe riservato al primigenio dettato evangelico (colonna portante del tutto) ed a quei pochi fedeli praticanti che si troverebbero spiazzati di fronte ad un tale rivoluzionario capovolgimento, sia dottrinario che ecclesiastico. Inoltre apparirebbe sconcertante che una tale eventuale rivoluzione scaturisse dall'attuale, manifesto servilismo culturale vaticano - pro minoranze "tout court" - non avendo questi il coraggio di opporsi alle velleità di una frangia, numericamente irrilevante, di preti insofferenti. Purtroppo la nostra attuale, "sinistrata" chiesa cattolica per non trovarsi (Dio guardi!) in un'eventuale posizione di retroguardia rispetto all'imperante modernismo, cavalca la tigre e parla non soltanto di preti sposati, ma addirittura di donne sacerdoti e diaconi officianti. Allegria! Impelle dunque che ci si domandi : 1. I porporati d'oltre Tevere hanno mai sentito dire che l'istituzione matrimonio è al momento, come già detto, in uno stato di assoluta crisi data la odierna, difficile gestione di un ipotetica parità tra uomo e donna (in quanto è evidente che, sul piano della modernità "donna batte uomo 1 a 0") a meno che non si voglia scimmiottare quella sorta di caricatura pastorale fornita dalla coppia "The Reverend & Mrs. John Smith" di anglosassone memoria? 2. Vogliono detti porporati archiviare definitivamente l'insegnamento paolino secondo cui, essendo la chiesa (di cui i sacerdoti sono gli unici ministri consacrati) la "Sposa di Cristo", un eventuale "don Camillo" coniugato - da presumersi a seguito di matrimonio religioso indissolubile e SOLTANTO, si spera almeno, con una donna - non potrebbe che essere un bigamo, almeno dal punto di vista teologico? 3. Realizzano infine, tali principi della chiesa, che mettere il povero prete in una tale condizione esistenziale oggettivamente difficile lo porrebbe in uno stato di grave sofferenza con la conseguenza che il suo ufficio ecclesiastico non potrebbe che ridursi ad una pratica burocratica dalle "9 alle 5"? Riconosciamolo: l'infelice si troverebbe straziato dalla consapevolezza che sebbene Dio si trovi in cielo, in terra ed in ogni luogo, anche la legittima consorte verrebbe ad avere analoga, immanente ubiquità. 4. Vogliamo infine sorvolare sul chiaro dettato evangelico (Marco 10,16-30) secondo cui il perfetto seguace di Cristo dovrebbe abbandonare la famiglia, moglie in testa, per poter seguire il Maestro in totalità di anima e corpo? Secondo voi, gentili lettori, come ne usciremo? Io - data l'attuale aria che spira in Vaticano - una personale risposta l'avrei già. Voi cosa ne dite? ******* A questo punto però desidero accantonare per un attimo il mio congenito pessimismo e tentare un ragionamento più costruttivo rivolgendomi direttamente a Papa Bergoglio: Come è noto, Santità, il mondo è oggi palesemente in sofferenza: disagio spirituale nel pasciuto e sazio settentrione, "stress" psico/fisico nello sfortunato meridione, soprattutto in quello non

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cattolico. Più in generale, e pur con le differenti carature del caso, il nord ed il sud del pianeta sono entrambi investiti dalla generalizzata frattura negli esseri umani tra spirito e materia con il conseguente disequilibrio esistenziale che ne deriva. L'armonia psichica che dovrebbe sovraintendere alla corretta "dialettica" tra anima e corpo è andata, come suole dirsi, in "tilt". Anche al più generale livello socio-economico planetario il relativo equilibrio, almeno per come esso viene percepito dai suoi abitanti, è oggi saltato e ci si trova di fronte alle disparità tra un generalizzato, apicale "benessere" ed un' altrettanto estremo "malessere" con una distonia che nessuno al momento sa bene come ricomporre. A questo punto, Santità, sono sicuro che Ella concorderà che di fronte ad una tale manifesta patologia non resterebbe altro che rivolgersi ad uno "adeguato" sanitario di FIDUCIA, ma, per restare in metafora, occorrerebbe domandarsi quale sia lo stato attuale di un, diciamo, "Servizio Sanitario Spirituale" per la cura dell' Uomo moderno, soprattutto nella sua essenziale componente detta 'anima'. Cerchiamo dunque di analizzare : Ritengo innanzitutto che il voler prendersi acriticamente cura dell'umanità nella sua INTEREZZA possa essere intenzione nobilissima, ma del tutto irrealistica. Il percorso di ogni redenzione non può iniziare che dal singolo individuo e non da una indistinta massa di persone (la profilassi a tappeto contro le umane sofferenze è evidentemente impraticabile). Lo stesso Gesù Cristo dei Vangeli predicava, si, alle folle, ma poi gestiva ogni specifico episodio umano caso per caso come mezzo di mirato approccio per il raggiungimento del suo fine ultimo: la salvezza spirituale dell'umanità intera. Egli procedeva pertanto per via, diciamo, INDUTTIVA e non DEDUTTIVA, episodio per episodio: il cieco, lo storpio, il lebbroso, la vedova, la peccatrice, il pubblicano, il ladrone, il centurione e persino l'amico già defunto. Tranne quindi - per quanto io possa ricordare - gli specifici episodi delle nozze di Cana e della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Egli ha sempre rifuggito da manifestazioni, diciamo plateali, della sua divinità. A tale riguardo, e per esempio, come la mettiamo allora, Santità, con quell'appello da Ella rivolto all'Africa intera dalla spiaggia di Lampedusa il mattino dell'8 luglio 2013 con, da un lato, il Suo invito al Continente sito alle sue spalle (l'Europa nel suo insieme, Italia in prima linea) a porre in atto un'indiscriminata accoglienza a favore dell'indistinta, sofferente controparte posta al di là del canale di Sicilia e, dall'altro, agli stessi presunti diseredati d'oltre mare a venire a curarsi le piaghe esistenziali in un occidente teoricamente oberato da secolari sensi di colpa? Appare peraltro manifesto che nella planetaria "clinica" delle generalizzate sofferenze umane il reparto che si occupa del benessere terreno/materiale dell'esistenza sia ben attrezzato e "staffato: innumerevoli organizzazioni internazionali umanitarie, ONG governative e private, diffuso volontariato laico e religioso abbondano ovunque. Come siamo però messi per lenire quella sottesa, diffusa fame di spiritualità pura? Dove stanno, come si sentono, come si comportano e soprattutto con quale animo gestiscono oggi le loro rispettive responsabilità gli incaricati degli appositi "presidi" per la cura delle anime, come


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parrocchie, chiese (da tenersi aperte, non sbarrate e meno che meno trasformate in dormitori), e svariati luoghi di autentica mediazione spirituale destinati a l'anima di chi vi si accosta? Santità, credo sia bene che noi fedeli si comprenda finalmente quale sia la strategia vaticana al riguardo ed in particolare: - Il Vaticano ha chiaro il fatto che in particolare gli occidentali abbiano oggi un estremo bisogno di spiritualità PURA e di specifica cura per la propria ANIMA? - Concorderebbe, la Santità Vostra con l'affermazione secondo la quale la risposta teologica a tale insopprimibile esigenza risieda, direi "tecnicamente" (mi si conceda questo termine usato a scopo puramente esemplificativo e senza alcuno intento di voler banalizzare uno dei dogmi di fede che ritengo insostituibile contro gli odierni "mali" del mondo) in una vera COMUNIONE DEI SANTI? Che si ha bisogno di religiosi appunto santi e non di efficienti "manager" in tonaca indaffarati a gestire multiformi impegni terreni volti alla gestione, prettamente temporale, del sofferto pellegrinaggio dell'UOMO sulla Terra ? - Quanto DEVE ancora reggere l'equivoco assioma secondo il quale la via della redenzione spirituale per un cattolico debba passare necessariamente attraverso un palese approccio di solidarietà materialistica, e per di più, nei confronti di chi per propria filosofia religiosa (in particolare musulmana), non attribuisca valore alcuno, né morale né spirituale, alla solidarietà verso i fratelli - meno che meno "infedeli" - per poter intraprendere, con certezza, la strada maestra verso il proprio paradiso di delizie? - Condivide Ella, Santità, la considerazione che sia giunto forse il momento di provvedere (per rasserenare lo sbandato, confuso e sconcertato popolo dei seguaci di Gesù Cristo) che la chiesa Cattolica Apostolica Romana sia mondata da ogni orpello "missionario" di semplice, ma assolutizzante servizio corporale di tipo prettamente "infermieristico" destinato "urbi et orbi", senza tenere conto invece, delle specifiche esigenze e speranze di chi, cattolico da sempre e per intima esigenza, intenda entrare nel proprio tempio alla ricerca di risposte e conforto? E ciò in base a quanto da secoli, gli è stato rivelato ed in cui egli vorrebbe riconoscersi senza subire forzature, esplicite o implicite, verso una sorta di "pellegrinaggio etnico/religioso"alla scoperta di altre eventuali fedi e relativi credo religiosi? Santità, dalla massa indistinta del gregge cattolico che giace "CHETO e - apparentemente, ma soltanto apparentemente - anche CONTENTO" sul ferace pascolo del nostro grasso Occidente, sollevo rispettosamente, ma con ogni possibile determinazione, l'invito a lasciare in pace i preti, anche se in evidente, ma evangelicamente fisiologica, decrescita numerica ("Voi siete il SALE della terra", Matteo 5:13-16). Che si consenta loro di amministrare il compito di pastori di anime sperdute che vanno alla ricerca di guide spirituali trasparenti, non contraddittorie nonché credibili testimoni di ciò in cui esse veramente credano. E soprattutto che non li si incoraggi ad intraprendere, in concomitanza, l'impegnativo, fagocitante ed intrinsecamente fuorviante, compito di MARITO di donna. Che si deleghi ad altri tale specifica incombenza! Antonino Provenzano 2/11/2019

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9 NOVEMBRE 1989: “DA QUANDO? DA SUBITO” INCIPIT "L'idolo comunista, che seminò ovunque sulla terra discordia sociale, ostilità e atrocità senza eguali, che diffuse il terrore nella comunità umana, è crollato. Crollato per sempre. E io sono qui per assicurarvelo: sulla nostra terra non gli permetteremo di risorgere! Il comunismo non ha un profilo umano; la libertà e il comunismo non sono compatibili". (Boris Eltsin, giugno 1992: discorso pronunciato durante la seduta comune delle Camere del Congresso statunitense) TUTTA COLPA DI ROOSEVELT Nel numero 58 di CONFINI (ottobre 2017) è stata affrontata la tematica della storia, o quanto meno di buona parte di essa, come inevitabile conseguenza del "se", in antitesi al famoso detto: "la storia non si fa con i ma e con i se". (Pagina 40, articolo dedicato a Ernst Jünger). Uno degli esempi addotti ha stretta attinenza con le tematiche trattate in questo articolo. Il 15 agosto 1944, al fine di accerchiare le truppe tedesche nel Sud della Francia, duecentomila soldati, per lo più statunitensi, invasero la Provenza. L'esercito tedesco era già in rotta a seguito dello sbarco in Normandia e l'avanzata delle truppe alleate in Italia, dal Sud verso il Nord, proseguiva in moto tale da non consentire alcun dubbio sull'esito della guerra. Churchill aveva ben chiaro nella mente lo scenario bellico e riteneva inutile e dannosa l'operazione "Dragoon", che a suo giudizio si sarebbe tramutata in una perdita di tempo e di vite umane. L'occupazione delle regioni balcaniche e dei paesi dell'Est europeo, invece, avrebbe assicurato l'approvvigionamento del petrolio ivi prodotto e impedito la futura ingerenza russa. Roosevelt, però, si oppose fermamente. Perché? Churchill desiderava aggirare le difese tedesche della Linea Gotica partendo dalla Pianura Padana per arrivare a Vienna e ai Balcani attraverso Trieste e ciò avrebbe significato intensificare le azioni belliche sul territorio italiano, già duramente provato. Roosevelt era impegnato nella campagna elettorale per il quarto mandato presidenziale e temeva di perdere i voti degli italo-americani. Quanto sia costata quella scellerata ed egoistica decisione, nei decenni a venire, in termini di vite umane e non solo, è a tutti noto. Cosa sarebbe successo "se" avesse dato ascolto a Churchill? Non si può dire con precisione, ovviamente, ma di certo non si sarebbe formato il Patto di Varsavia, la Germania non sarebbe stata divisa, la Jugoslavia non sarebbe finita nelle mani di Tito e, a catena, non sarebbero successe tante altre cose.


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LA PROFEZIA DEL TIRANNO Gennaio 1989, Berlino Est. Nell'aula del consiglio di stato, il presidente Erich Honecker pronuncia il suo atto di fede nei confronti del regime: "Il muro continuerà ad esistere tra cinquanta e anche cento anni, se le ragioni per cui è stato costruito non verranno rimosse". Non si può prevedere l'imprevedibile, ovviamente. QUELLA NOTTE BUIA Tutto era iniziato il 13 agosto 1961. Durante la notte, in meno di cinque ore, Berlino venne spaccata in due. Un lungo reticolato di filo spinato circondò la parte occidentale, separandola al suo interno da quella orientale. Dal 1949 Berlino Ovest era controllata da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna e formava un'enclave all'interno della Germania Est. Nei primi anni del dopoguerra la libera circolazione tra i due settori era ammessa, ma il continuo esodo di molti cittadini indusse il regime comunista ad adottare drastici rimedi per impedirlo. Già due giorni dopo la collocazione del filo spinato iniziò la costruzione del famigerato muro, che divise intere famiglie. I tentativi di fuga nella zona occidentale iniziarono subito, ma le guardie di frontiera avevano l'ordine di sparare e uccidere, senza riguardi. Anche alcuni soldati, tuttavia, pensarono di scappare e il primo, proprio il 15 agosto, fu un diciannovenne che non esitò ad abbandonare la famiglia pur di assaporare il profumo della libertà. Il continuo lavaggio del cervello perpetrato durante gli anni della dittatura comunista, purtroppo, ebbe effetti deleteri per molti tedeschi non sufficientemente attrezzati, a livello culturale e caratteriale, per restare immuni dalla propaganda martellante, tipica di ogni dittatura, e tra costoro vi era anche la famiglia del giovane caporale Hans Conrad Schumann, che nella repubblica (pseudo)democratica fu considerato un disertore, mentre in Occidente rappresentò l'immagine della libertà e negli anni ottanta fu anche ricevuto dal presidente statunitense Ronald Reagan. Dopo la caduta del muro tentò di ricongiungersi con i familiari, che però si rifiutarono di incontrarlo, "vergognandosi" di lui. Nel 1990, a soli cinquantasei anni, il dolore lancinante per la sua triste condizione, che covava nell'animo da troppo tempo, ebbe il sopravvento sulla voglia di vivere e lo indusse a impiccarsi a un albero non lontano da casa, in Baviera, dove viveva con la moglie e un figlio. La fuga nel 1961, immortalata da una fotografa, divenne ben presto una delle immagini simbolo della guerra fredda. Al numero 47 della Brunnenstraße vi è una toccante statua a lui dedicata, da considerare come punto di partenza per raggiungere il non lontano Memoriale, che ogni essere umano dovrebbe vedere almeno una volta, nella vita, insieme con gli innumerevoli altri "luoghi della memoria" disseminati lungo il tracciato del muro, rivolgendo un commosso pensiero non solo ai fuggiaschi uccisi durante i tentativi di attraversamento, sul cui numero ancora non si è fatta piena luce, ma anche a tutte le vittime della tirannide comunista, ovunque perpetrata, che secondo lo storico 1 francese Stéphane Courtois ammontano a circa cento milioni .

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L'INIZIO DELLA FINE Già dagli anni settanta Berlino Ovest, nonostante la sua complessa collocazione geografica, divenne un polo di attrazione soprattutto per i giovani, che ivi si trasferirono per frequentare prestigiose facoltà universitarie. Nacquero numerosi locali alla moda e la musica divenne un importante collante anche per famosi artisti. Nel 1977, David Bowey, affacciatosi alla finestra di uno studio di registrazione, vide due giovani che si baciavano al di là del muro. La scena lo commosse e funse da stimolo per uno dei suoi brani più famosi: "Heroes". Dieci anni dopo, il 6 giugno 1987, in un memorabile concerto davanti al Reichstag, cantò il brano al cospetto di una folla sterminata e i versi lancinanti, diffusi da potenti altoparlanti, furono ben percepiti da decine di migliaia di giovani assiepati lungo il muro, "dall'altra parte". Non potevano godersi lo spettacolo come i loro coetanei occidentali, ma le parole del brano giunsero come pugni nello stomaco: "Io, io sarò re e tu, tu sarai la regina, sebbene niente li porterà via possiamo essere eroi, solo per un giorno. Io, io posso ricordare (mi ricordo) in piedi accanto al muro e i fucili spararono sopra le nostre teste e ci baciammo, come se niente potesse accadere; la vergogna era dall'altra parte. Oh possiamo batterli, ancora e per sempre. Allora potremmo essere eroi, anche solo per un giorno. Possiamo essere eroi". Sei giorni dopo fu la volta del presidente statunitense Ronald Reagan, che parlò ai berlinesi di fronte alla Porta di Brandeburgo e lanciò il famoso appello a Gorbaciov, che scosse il mondo: "Accogliamo con favore il cambiamento e l'apertura, perché crediamo che la libertà e la sicurezza vadano insieme, che il progresso della libertà umana non può che rafforzare la causa di pace nel mondo. C'è solo un'azione che i sovietici possono fare che sarebbe inconfondibile, che farebbe avanzare drammaticamente le cause delle libertà e della pace. Segretario generale Gorbaciov, se cerca la pace, se cerca la prosperità per l'Unione Sovietica e per l'Europa orientale, se cerca liberalizzazione, venga qui a questa porta. Signor Gorbaciov apra questa porta. Signor Gorbaciov, Signor Gorbaciov, abbatta questo muro!" I tempi, oramai, erano maturi per un radicale e "repentino" cambiamento. Nel mese di luglio molti tedeschi orientali decisero di occupare le ambasciate della Repubblica Federale a Berlino Est, a Praga, a Budapest, chiedendo asilo politico. Le autorità politiche della RDT, prese alla sprovvista e in attesa di capire come muoversi, bloccarono i fuggiaschi nelle ambasciate, mentre le pressioni internazionali aumentavano giorno dopo giorno. Il 10 settembre l'Ungheria tirò una picconata micidiale alla RDT, aprendo i confini con l'Austria! La strada libera verso Ovest, attraverso l'Ungheria e l'Austria, era un dato di fatto! Non era più possibile tergiversare e così, il 30 settembre, fu diramato il permesso di espatrio ai profughi rifugiatisi nelle ambasciate. La gioia dei tedeschi all'annuncio fece il pari con la gioia di un mondo intero, eccezion fatta per pochi irriducibili nostalgici e per coloro che, all'interno del regime, occupando posizioni di potere, sentivano il terreno franargli sotto i piedi. Il comunismo iniziava realmente a sgretolarsi come neve al sole in tutta l'Europa orientale: un sole rappresentato dai sorrisi festosi dei profughi che si dirigevano verso l'Occidente, ripresi e replicati all'infinito da tutte le emittenti televisive, fungendo da catartica palingenesi per un


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mondo nefasto in dissoluzione. Tutti i tiranni, quando la storia bussa alla porta per chiedere il conto, si fanno trovare impreparati: non pensano mai che prima o poi quel momento arriverà. Erich Honecker non sfuggì alla regola e anche in lui la follia dell'impossibile prese il sopravvento sulla realtà, che cercò di stravolgere con iniziative assurde: tentò di far passare il messaggio che fosse stato lui a "espellere" i tedeschi ribelli, che obbligò a salire su "treni speciali" affinché tutti li vedessero. L'iniziativa, però, si trasformò in un boomerang: in ogni stazione, infatti, i treni speciali, più appropriatamente chiamati "treni della libertà", invece di transitare nell'indifferenza generale o addirittura osteggiati dai residenti, furono presi d'assalto da migliaia di cittadini desiderosi di salire a bordo. Il re, oramai, era più nudo che mai: non aveva capito che il suo mondo aveva iniziato a sgretolarsi già da molto tempo e che il primo segnale, l'elezione di un papa polacco, risaliva addirittura al 1978; non aveva compreso (o non aveva voluto comprendere) la portata dirompente di Solidarnoœæ in Polonia e gli effetti del premio Nobel per la pace conferito a Lech Wa³êsa nel 1983; non aveva compreso i concetti di "perestrojka" e "glasnost", proposti e imposti da Gorbaciov sin dal 1985, lasciando affiorare le gravi distonie socio-economiche obnubilate dai suoi predecessori; aveva sottovalutato i fermenti nelle repubbliche baltiche e ritenuto che, al momento opportuno, la "grande madre Russia" si sarebbe comportata come a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968: carri armati e soldati spietati per fermare la rivolta del popolo "ingrato". Grande fu la delusione, pertanto, quando Gorbaciov si recò a Berlino il 7 ottobre e fu accolto dalle grida festose e imploranti del popolo, che a lui si rivolgeva chiedendo aiuto. "Gorby salvaci", imploravano, in una sorta di isterismo collettivo che non consentiva di far loro comprendere ciò che era chiaro a molti osservatori stranieri: si stavano salvando da soli ed era "il loro potere", del quale non avevano ancora contezza, che stava debellando quello cui si rivolgevano speranzosi, in cerca di aiuto. Gorbaciov, dal suo canto, aveva ben compreso gli scricchiolii della storia e disse chiaramente ai governanti della RDT che si sarebbe dovuto cambiare qualcosa prima che fosse troppo tardi: "Chi arriva troppo tardi sarà punito dalla vita", affermò, per far comprendere che nella RDT non si erano realizzate le riforme da lui auspicate e quindi "la punizione" sarebbe stata una logica conseguenza. Altro che carri armati! Undici giorni dopo Honecker fu costretto a dimettersi, lasciando il potere (sempre più effimero) a Egon Krenz, il quale, seppure non aveva alcuna intenzione di "cambiare registro" e tentò con ogni mezzo di impedire l'esodo dei connazionali, fu costretto dalla crescente opposizione pubblica a riaprire il confine con la Cecoslovacchia, precedentemente chiuso proprio per impedire ai tedeschi orientali di utilizzare il paese confinante come via di fuga per raggiungere la Germania occidentale. 9 NOVEMBRE 1989: UN GIORNO COME UN ALTRO L'otto novembre, Gerhard Lauter, alto funzionario del Ministero degli Interni, ricevette l'ordine, dal ministro Friedrich Dicckel, di elaborare nuove regole di viaggio per i cittadini della RDT interessati a lasciare per sempre il paese (partenza permanente).

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Il funzionario ritenne molto stupido un regolamento che facilitava la vita a chi desiderava abbandonare il paese e non prendeva in considerazione coloro che, magari, volevano solo recarsi in vacanza all'estero e rientrare, o semplicemente allontanarsi per una breve visita a parenti e amici: a costoro il permesso sarebbe stato negato e la differenza di trattamento poteva considerarsi palesemente assurda. Di concerto con il capo dipartimento degli affari interni, il generale Gotthard Hulbrich, e due dirigenti della STASI, il colonnello Hans-Joachim Krüger e il colonnello Udo Lemme, Lauter inserì nel regolamento un paragrafo suppletivo che, di fatto, non poneva restrizioni per i viaggi all'estero, se non per motivi eccezionali. Nella mattinata del 9 novembre i quattro si riunirono presso la sede del Comitato Centrale per stilare la versione definitiva del nuovo regolamento e inviarla al ministero. Al termine di un'animata discussione sulle problematiche inerenti anche ai rapporti con Mosca, alle 9:47 il documento era pronto per essere consegnato al ministro Erich Mielke, compito che si assunsero Lemme e Krüger. Tre minuti dopo la loro partenza giunse presso la sede del Comitato Centrale, a riunione già iniziata, Gunther Schabowski, portavoce del nuovo governo, che prese posto accanto al presidente Krenz. Quando giunse il suo turno lesse una noiosa relazione, autoreferenziale, con la quale esaltava le nuove strategie di comunicazione della RDT, per poi uscirsene a fumare. Non sapeva nulla delle modifiche apportate al nuovo regolamento di viaggio, una copia del quale era proprio sul tavolo dove era seduto, davanti al presidente Krenz, con un appunto precedentemente inviato dal vecchio ministro Friedrich Dickel, che consigliava di diffondere quelle disposizioni alle quattro del giorno seguente, per non dare a sovietici e cecoslovacchi il tempo di chiudere le frontiere. Krenz, però, nonostante sapesse che il regolamento avrebbe potuto ancora subire delle modifiche dopo la supervisione di Dickel, decise comunque di sottoporlo all'approvazione del Comitato Centrale, per conferire importanza alla riunione da lui presieduta, registrando negli atti un voto su una problematica alla ribalta planetaria. Approfittò della pausa pranzo e lesse frettolosamente il documento ai distratti membri presenti, solo otto su diciassette, che votarono senza nulla eccepire e senza nemmeno comprendere cosa avessero votato, secondo metodiche ben consolidate che di certo non consentivano "opposizioni" alle deliberazioni del presidente. Schabowski era tra gli assenti e quindi restò all'oscuro di tutto, ma era lui che, in virtù del ruolo ricoperto, doveva sobbarcarsi il noioso e quotidiano compito di conferire con i giornalisti. Alle 17,20 si recò da Krenz per concordare cosa dire alla stampa e ricevette l'autorizzazione a riferire quanto approvato dal Comitato Centrale: a Krenz era sfuggito l'appunto del suo ministro, che comunque era ben evidente nei fogli che Schabowski infilò in borsa, senza preoccuparsi di leggerli prima di precipitarsi in sala stampa! E' L'ORA DI RICCARDO EHRMANN In sala stampa i giornalisti avevano le solite facce annoiate. Erano lì per dovere, ritenendo che ancora una volta avrebbero ascoltato le solite notizie confezionate ad arte per il pubblico e non


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certo quelle importanti, discusse nelle segrete stanze del potere. Il giornalista italiano Riccardo Ehrman, corrispondente dell'ANSA, era giunto con qualche minuto di ritardo e, non trovando una sedia libera, si sedette sul ripiano del palco riservato ai relatori, a pochi metri da Schabowski, che iniziò a recitare il suo copione, sciorinando le solite litanie autoreferenziali sul regime, accennando a qualche errore commesso e bla bla bla. Riccardo Hermann, al termine della prolusione, gli pose una domanda precisa: "Signor Schabowski, riguardo agli errori, non pensa che sia stato un grande errore proporre la bozza di una nuova legislazione sui viaggi?" "Non credo - replicò Shabowsky - sappiamo di questa tendenza nella popolazione. Questo desiderio della popolazione di viaggiare e anche di lasciare la Germania Est… [Continuò, poi, con una lunga disquisizione sui problemi dell'Occidente (secondo la visione che si ha nell'Est, ndr), sulla necessità di garantire condizioni di vita accettabili, etc., precisando che la nuova legislazione era ancora una bozza, perfezionabile…". (Prese i fogli e iniziò a leggere le disposizioni, anche da lui viste per la prima volta) "Oggi abbiamo deciso, quindi, di approvare una legge che rende possibile a ogni cittadino di attraversare i confini direttamente attraverso i checkpoint della RDT". Hermann: "Senza passaporti?" "Si, Compagni. Mi è stato detto che oggi è stato diramato un comunicato stampa, che già dovreste avere (mormorii in sala perché nessuno aveva ricevuto nulla, ndr). Le domande di viaggio all'estero da parte dei privati possono ora essere fatte senza i requisiti precedentemente esistenti e i motivi per il rifiuto possono essere applicati solo in casi eccezionali. I dipartimenti responsabili del passaporto e del controllo di registrazione negli uffici distrettuali della polizia popolare della Repubblica Democratica Tedesca sono incaricati di rilasciare i visti per l'uscita definitiva senza ritardi e senza presentazione dei requisiti esistenti per l'uscita permanente. Tutti i checkpoint tra RDT e RFT possono essere utilizzati. I cittadini che vogliono lasciare la RDT non hanno più bisogno di viaggiare attraverso un terzo paese. Per quanto concerne i passaporti ora non posso rispondere a questa domanda perché è un problema tecnico: il passaporto deve prima essere realizzato e poi consegnato affinché tutti ne siano in possesso". Ehrmann intuisce che la replica assume un'importante valenza storica e incalza: "Ab wann?" (Da quando?) Schabowsky aggrotta la fronte e guarda con attenzione sui fogli, per poi replicare lentamente, senza celare una sorta di stupore: "Das trit nach meiner kenntnis… ist das sofort" (Ciò si verifica... per quanto ne so... da subito), per poi precisare leggendo con ritmo più sostenuto: "Il Consiglio dei Ministri ha deciso che fino a quando la legislazione formale non sarà approvata dal parlamento questo preliminare sarà valido". Ehrmann: "E' valido anche per Berlino (Ovest) o solo per la Repubblica Federale?" "Certo, certo, possono essere utilizzati tutti i checkpoint, anche quello di Berlino Ovest". Sono le 18,53 del 9 novembre 1989 e la storia, beffarda, muove i suoi fili affinché accada ciò che deve accadere. I cittadini della Germania orientale, che guardavano in diretta la conferenza stampa, non credono alle loro orecchie! Lo stesso accade nell'Ovest quando la notizia iniziò a essere diffusa.

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Nei posti di frontiera iniziarono subito ad ammassarsi frotte d'increduli cittadini. Qualche guardia tentò ancora di indurli a rientrare nelle case, spiegando che non era possibile attraversare la frontiera, ma alle 21 le persone erano così numerose che nei poliziotti si diffuse un vero e proprio panico. Non avevano ordini, nessuno rispondeva al telefono e di certo non se la sentivano di assumersi la responsabilità di sparare! Anche a Mosca erano tutti sgomenti per le immagini che giungevano da Berlino e Gorbaciov telefonò a Helmut Kohl per chiedergli cosa stesse accadendo: "I miei generali - gli riferisce hanno avuto la richiesta di intervenire con i carri armati". Kohl lo invitò a non impartire l'ordine, che avrebbe potuto generare una carneficina e creare i prodromi di una guerra. Finalmente le guardie di frontiera decidono di far passare i cittadini muniti di documenti attraverso i tornelli, uno per volta, ma la pressione era così forte che il capo delle guardie ordinò di alzare le sbarre. Il muro è caduto! Le immagini dei cittadini che si abbracciano festanti fanno il giro del mondo. Non vi sono più tedeschi orientali e occidentali ma tedeschi e basta, anche se si dovrà aspettare il 3 ottobre 1990 per la definitiva riunificazione. I regimi comunisti iniziano a crollare come birilli in tutta Europa e il 25 dicembre 1991 anche l'Unione Sovietica si dissolve. L'immagine della bandiera rossa che viene ammainata sul Cremlino fa piangere gli uomini di buona volontà in ogni angolo del pianeta, generando pensieri di speranza e fiducia. Almeno per un po'. CONCLUSIONI (AMARE) Il 9 novembre 1989 è una delle date più importanti di tutta la storia dell'umanità, perché segna una svolta epocale e irreversibile. Non importa se il mondo, negli ultimi quaranta anni, ha registrato un deterioramento dovuto a molteplici cause, sulle quali ci siamo compiutamente soffermati e continueremo a soffermarci. La sconfitta del comunismo, nell'Occidente, non è stata una cosa insignificante e non è possibile alcun processo comparativo con i guasti contemporanei. Sarebbe come dire: "Sì, abbiamo sconfitto peste e malaria, ma il mondo è comunque in pericolo a causa del terrorismo e dei cambiamenti climatici". Frase palesemente stupida. Eppure, per quanto concerne questo importante evento, si registra la persistente volontà di obnubilarne la portata, prospettando proprio stupide comparazioni tra i "guasti" di ieri e quelli attuali, per proporre improbabili giustificazioni dei primi. E' stato davvero triste vedere la scarsa attenzione riservata dalla stampa alla caduta del muro di Berlino, nel giorno del quarantennale, e non può essere addotta come giustificazione la crisi dell'ILVA, che ha goduto di assoluta priorità mediatica: anche un semplice redattore sarebbe stato in grado di strutturare le prime pagine in modo da bilanciare armonicamente le notizie, per poi conferire loro il giusto risalto nelle pagine interne. Nulla di tutto questo è avvenuto, invece. La cosa più triste e grave, poi, riguarda una "prestigiosa" rivista di geopolitica che, seppure afferente al variegato universo sinistrorso, il più delle volte offre analisi interessanti o addirittura condivisibili, soprattutto in tema di scenari globali.


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La seguo da sempre e non mi danno fastidio gli articoli distonici rispetto alla mia weltanschauung, essendo del tutto normale che ve ne siano. Anche in essi, tra l'altro, a volte è possibile reperire spunti di riflessione interessanti, o notizie certificate che consentono di allargare gli orizzonti speculativi su qualsivoglia argomento. Si può immaginare il mio sgomento, pertanto, nel leggere come sia stato trattato il quarantesimo anniversario della caduta del muro, nel numero a esso dedicato. Una sequela di articoli che definire deliranti è poco, intrisi di quel raffinato stile descrittivo che li rende credibili agli occhi dei più. Sanno scrivere bene, gli autori di sinistra, le mistificazioni che sciorinano con la sicumera dei grandi avvocati, sempre sicuri di trovare il cavillo giusto per mettere nell'angolo il giudice e salvare l'imputato colpevole. A parte la sensazione di disgusto, dopo averli letti, ho avvertito una profonda nausea e un senso di sofferenza. Ho acceso il PC, mi sono collegato alla pagina ISSUU di questo magazine, e ho visionato, tutte insieme, le copertine, fissandole a lungo e riflettendo su come fossimo davvero in pochi a cercare di mantenere alto il vessillo dell'onestà intellettuale. Mi sono sentito come Aragorn di fronte al nero cancello, con un pugno di umani circondato da un esercito di mostri. Egli, però, apparentemente senza speranza di poter vincere contro un nemico mille volte più numeroso e meglio armato, poteva contare su Frodo che si accingeva a buttare l'anello del male nelle viscere del Monte Fato e salvare l'umanità con un semplice gesto. Con mesta tristezza ho dovuto ammettere che non esiste alcun Frodo, oggi, sui pendii del Monte Fato e mi sono assopito con la solita visione nata dalla suggestione di Ernst Jünger: "Se chiudo gli occhi vedo talvolta un paesaggio oscuro con pietre, rocce e montagne all'orlo dell'infinito. Nello sfondo, sulla sponda di un mare nero, riconosco me stesso, una figurina minuscola, che pare disegnata col gesso. Questo è il mio posto d'avanguardia, sull'estremo limite del nulla: sull'orlo di quell'abisso combatto la mia battaglia". Lino Lavorgna NOTA: 1) Riporto i dati rilevati dal "Libro nero del comunismo" (Mondadori editore, 1999) per dovere di cronaca e nel pieno rispetto degli autori, che hanno svolto un duro lavoro di ricerca. Senza alcuna pretesa di impossibili comparazioni con i prestigiosi accademici, tuttavia, avverto il bisogno di precisare che i miei ultraquarantennali studi sui disastri provocati dal comunismo mi portano a conclusioni diverse, limitatamente al numero delle vittime, che secondo i miei calcoli ammontano ad "almeno" 130milioni, senza contare quelle "indirette": suicidi e morti per malattie provocate dalle continue vessazioni, anche in età giovanile, che sfuggono a ogni possibile calcolo perché quasi sempre attribuiti ad "altre cause". Da non sottovalutare poi, il concetto di "vita peggiore della morte", da sempre dibattuto dai grandi filosofi, a cominciare da Seneca ("Consolatio ad Marciam", inserito nel saggio "Le consolazioni, a Marcia, alla madre Elvia, a Polibio", Edizioni BUR, 1987) in virtù del quale ogni calcolo è impossibile.

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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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