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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

FAMIGLIA

Numero 73 Aprile 2019


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Confini Webmagazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 73 - Aprile 2019 Anno XXI

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato: Gianni Falcone Roberta Forte Raymond Ibrahim Pièrre Kadosh Lino Lavorgna Sara Lodi Gustavo Peri Antonino Provenzano Angelo Romano Cristofaro Sola +

Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone e Sara Lodi

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EDITORIALE

LA QUESTIONE DI RADIO RADICALE Il governo "del cambiamento" ha deciso, qualche mese or sono, di abolire i finanziamenti pubblici all'editoria e di non rinnovare la convenzione con Radio radicale per la trasmissione di almeno il sessanta per cento dei lavori parlamentari. Il taglio complessivo per Radio radicale è di complessivi 12 milioni di Euro al netto dell'Iva, 8 per il non rinnovo della convenzione e 4 per il taglio ai fondi per l'editoria. Si tratta di due misure in grado di mettere seriamente a rischio la sopravvivenza della Radio e di mandare "a spasso" il personale che si aggira sulle 52 unità, al netto dei collaboratori e dell'indotto. Al fine del corretto inquadramento della vicenda è opportuno segnalare che la proprietà della radio, che si autodefinisce quotidianamente organo della Lista Marco Pannella (ed in quanto tale percepisce i contributi della legge sull'editoria), fa capo in realtà, almeno per la parte convenzionale, ad una S.p.A denominata Centro di Produzione, con sede in Roma e capitale sociale di 2.099.500 Euro. L'azionariato è così suddiviso: Associazione politica nazionale Lista Marco Pannella: 62,68%; Lillo Spa: 25,00% (grande azienda del settore alimentare del casertano); Cecilia Maria Angioletti 6,17%; Centro di Produzione Spa 6,15%. Tale società percepisce i fondi derivanti dalla convenzione per la trasmissione dei lavori parlamentari. Va anche rilevato che la radio fu riconosciuta "impresa radiofonica di interesse generale, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 230 e che nel 1994 vinse la gara (sola partecipante) per la trasmissione delle sedute parlamentari, da quella data la convenzione è stata sempre rinnovata come fosse una concessione - fino all'anno in corso. Da fedelissimo ascoltatore di Radio radicale ho imparato ad apprezzarne l'impegno, la professionalità, la particolarità e l’indubbia utilità. Anche se solo la mia maturità ideale e politica mi consente di non essere influenzato dalla lettura di parte (radicale) che viene fatta degli accadimenti quotidiani. In particolare in "Stampa e regime" a cura del trio Boldrin, Cappato, Taradash. Non sto dicendo che si tratta di lettura faziosa, solo di parte. Il che è legittimo. In ogni caso mi dispiacerebbe se la radio chiudesse anche se non mi convincono appieno le ragioni del necessario finanziamento pubblico. Non mi convincono nella parte "convenzionale", nel momento in cui la Rai, pubblica, ha un canale che si chiama Rai Parlamento e che potrebbe far funzionare molto meglio, persino assumendo parte del personale di Radio radicale. Mi convincono invece nella parte sostegno all'editoria che altro non è che sostegno al pluralismo delle idee, il che in democrazia è cosa virtuosa.


EDITORIALE

E per l'ampiezza e la ricchezza dei contenuti prodotti da Radio radicale il contributo di 4 milioni è certamente insufficiente. Tutt'altro è il tema del cospicuo archivio digitale che la radio ha accumulato nei decenni e che certamente rappresenta un valore in termini di memoria politica e civile del Paese e che meriterebbe, come le Teche Rai o l'Istituto Luce, una particolare attenzione da parte delle istituzioni pubbliche, un'attenzione volta alla sua salvaguardia ed accrescimento nel tempo. Forse anche a questo proposito un particolare accordo di collaborazione proprio con la Rai potrebbe essere risolutivo. C'è infine la questione dell'approccio al mercato, come suggerito dal Presidente del consiglio. Senza dubbio sarebbe la strada maestra da percorrere, soprattutto se ci si dichiara liberali. Strada maestra anche nel caso di contenuti strettamente "politici". Ma gli ultimi dati disponibili sugli ascolti di Radio radicale, relativi al 2014 (dal 2015 ha deciso di non partecipare ad indagini sugli ascolti) dicevano che su circa 35 milioni di ascoltatori delle radio solo 244 mila seguivano Radio radicale. Un po' poco per approcciare al mercato. E proprio qui sta il busillis. Auspico un ravvedimento operoso da parte del governo volto alla riconferma dei contributi all'editoria minore (e non alla Rai che riceve il canone ed a cui il governo quest'anno ha elargito ben 40 milioni) ed all'incremento dei contributi a Radio radicale, nulla da eccepire sulla non riconferma della convenzione che, a ben guardare, ha qualcosa di anomalo. Nel frattempo, ho firmato la petizione per salvare Radio radicale anche se le mie idee e convinzioni raramente coincidono con quelle dei radicali. Angelo Romano

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SCENARI

FAMIGLIA Da garantista, laico, diversamente credente sto con il XIII Congresso mondiale delle famiglie. Non ho condiviso tutte le tesi lì sostenute, nondimeno non potrei tenere bordone all'Internazionale del politicamente corretto che sull'iniziativa di Verona ha scatenato un'ignobile caccia alle streghe. Nessuna meraviglia, è la parallasse della supernova comunista che, anche dopo morta, continua a irradiare spirito egemonico. Nella tre-giorni veneta si è parlato di famiglia e di libertà, di condizione della donna e di futuro dell'umanità, ma evidentemente non nella maniera appropriata per orecchie progressiste. Sono stati affrontati argomenti scomodi come la Legge 194, sull'aborto. E che male c'è nel discuterne apertamente? Non è forse il confronto tra idee opposte il sale della democrazia? Una legge può essere cambiata, migliorata, attuata nella parte rimasta inapplicata senza che chi lo proponga sia condannato alla dannazione eterna. Ma la sinistra che accarezza il pelo alle organizzazioni femministe, ai fanatici pro-Lgbt e ai predicatori delle teorie gender ha scelto di darsi all'antropologia rubricando una speciale categoria di subumani nella quale annoverare tutti coloro non abbiano fatto abluzioni purificatrici nel mainstream del pensiero unico. Il nemico è per convenzione "oscurantista". La verità orwelliana del Grande Fratello progressista ha assunto le arcigne fattezze della senatrice piddina Monica Cirinnà colta nell'atto di ostensione di un rozzo cartonato: "Dio-PatriaFamiglia: che vita de merda". Che inarrivabile altitudine di pensiero! Ho visto levarsi dalle piazze ululanti e incarognite del politicamente corretto lo spettro di frate Girolamo Savonarola. Sono state evocate le tenebre. Ma l'unico oscurantismo che ho visto andare in scena è stato il dogma progressista. Al congresso di Verona è stato richiamato il concetto prepolitico di famiglia, quale comunità naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, che precede la fondazione dello Stato. Sbaglierò, ma mi sembra di ricordare che l'istituto familiare nella sua configurazione tradizionale sia un fondamento della cultura liberale. La famiglia adempie a una funzione giuridica, economica e sociale insostituibile nello sviluppo della civiltà alla quale apparteniamo. Ciò non implica la demonizzazione di altre forme di comunità basate sull'esclusivo vincolo affettivo e meritevoli di tutela dall'Ordinamento giuridico. Ma sono un'altra cosa. Il legislatore le riconosce come "unioni civili". Ora, la pretesa di scardinare l'istituto familiare dal ruolo che gli assegna la nostra Carta Costituzionale è un atto di autoritarismo culturale di una minoranza che pretende, senza passare per i canali del dibattito democratico, di sovvertire il pactum societatis.


SCENARI

Invocare un supposto primato morale per imporre un'idea è propriamente la materia filamentosa di cui è fatta la tirannide. Per le truppe cammellate dell'esercito del Bene cancellare l'evento di Verona sarebbe stato un atto d'igiene progressista. Non riuscendo nell'intento demolitorio, ci si è rifatti con la storiella del nuovo Medioevo. Come si fa ad essere tanto ignoranti e stupidi? Ma quale buio? Il Medioevo è stato il tempo dei santi, dei poeti, dei navigatori e dei costruttori di cattedrali. Saranno pure, illo tempore, avvenute cose brutte, ma quale età della civiltà umana non ha conosciuto la barbarie? Eppure i progressisti dicono che a Verona è risorto un paradigma famigliare raso al suolo dalle rivoluzioni illuminate. Donne restituite con la forza al focolare domestico, diritti civili negati, ripristino della gerarchia di genere tra uomo e donna e obbligo alla maternità, sarebbero stati i punti salienti del programma di Verona che se veri avrebbero fatto impallidire perfino un talebano. Personalmente ho visto un altro film rispetto alla robaccia che i diaconi del politicamente corretto hanno spacciato per fedele narrazione della realtà. A meno di sostenere che il diritto della donna a scegliere liberamente tra il praticare un'attività lavorativa a tempo pieno o preferire di allevare i propri figli sia da considerare un'eresia oscurantista. O invocare l'adozione di una fiscalità di vantaggio per la natalità sia comparabile all'estrinsecazione di un'indole fascista. È dal Sessantotto che all'interno delle società avanzate dell'Occidente si muovono forze votate ad aggredire l'istituto familiare tradizionale. La grave crisi demografica che il nostro Paese vive non è un accidente della Storia ma è il frutto di una direzione di marcia che viene da lontano. E non c'è nulla di male se vi sia qualcuno che combatta per invertirla. L'orizzonte al quale guarda la cultura progressista non desidera che la funzione di preservazione del ricambio generazionale sia lasciato alla giurisdizione esclusiva della famiglia naturale. Nella stagione della post-modernità, deprivata dei fondamenti valoriali, condizionata dall'ossessione per l'accumulazione della ricchezza e la realizzazione del benessere materiale, i tempi di vita di una famiglia naturale non sono conciliabili con i ritmi di produzione e consumo imposti dalla società liquida. In una diversa parcellizzazione dei compiti la funzione procreativa può essere affidata alla mercificazione dell'utero in affitto o, su più larga scala, alle masse sparse tra il Terzo e il Quarto mondo che non hanno altre opzioni se non quella di essere macchine riproduttive: di merci o di prole. Si potrà ancora esprimere un dissenso contro una tale visione del mondo senza per questo essere incatenati alla gogna? Comunque sia, d'accordo o no con le tesi emerse a Verona, bisognerebbe fare un monumento agli organizzatori italiani del Congresso delle famiglie, perché hanno offerto a tutti, favorevoli e contrari, l'opportunità di un fine-settimana senza economia, conti pubblici e spread, ma vivificato dalle sfide valoriali. A dimostrazione che la politica non è fatta di soli numeri da quadrare e leggi da approvare ma anche di principi e di valori sui quali dibattere e dividersi. Qualcuno la chiamerebbe arma di distrazione di massa, qualcun altro, più avveduto: partecipazione attiva alla res publica. Che non è una brutta cosa. Cristofaro Sola*

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FAMIGLIA E AMORE NON SONO SINONIMI APPROCCIO SEMANTICO E ILLUSORIE CONVINZIONI. Marco Polo, in un brano de "Il Milione", fa conoscere al mondo la figura di ? asan-i ?abbâ?, Gran Maestro della setta degli "ismailiyyah" (gli "assassini"), ospitati in una sorta di paradiso terrestre nel quale si potevano provare tutti i piaceri della vita. Ernst Jünger, nello stupendo saggio "Il nodo di Gordio", racconta un episodio che vide protagonista il conte di Champagne, nel 1194, quando fece sosta nel loro territorio, durante il viaggio verso l'Armenia. Il Gran Maestro, discendente di ? asan-i ?abbâ?, volendo dimostrare all'ospite come i suoi sudditi gli obbedissero meglio di quanto non fosse possibile a un principe cristiano, con il semplice gesto di un braccio ordinò a due guardie di buttarsi dalla torre. Le guardie obbedirono all'istante, ben felici di poter servire il padrone in un modo così sublime ed estremo. Per rendere ancora più tangibile il suo potere, poi, Hasan chiese al Conte se desiderava una nuovaaudacia e più significativa dimostrazione: con un secondo segnale avrebbe ordinato all'intera temeraria igiene spirituale guarnigione di suicidarsi. Il Conte, già scosso, lo fermò riferendogli che gli credeva sulla parola. Non si può non restare atterriti al cospetto di siffatti episodi, salvo poi rendersi conto che essi sono ancora attualissimi in molte parti del mondo: ciò che per taluni è abominevole per altri è normale, e viceversa. Perché questa premessa? Perché arare il terreno è fondamentale prima di ogni semina: ciò che più condiziona le discussioni "sui massimi sistemi" o sui "problemi contingenti", infatti, è la presunzione di avere ragione a priori e di poter giudicare persone e fatti in funzione della propria visione del mondo, che si trasforma in dogma. Gli altri, di converso, sono considerati dei rozzi incolti con scarso intelletto. Magari hanno tre lauree e hanno anche vinto un premio Nobel, ma se non la pensano come noi sono trattati alla stregua dello scemo del villaggio. Parimenti si analizzano fatti storici senza contestualizzarli e si esprimono valutazioni soggettive su aspetti di vita sociale che afferiscono a culture lontane mille miglia, senza considerare che noi appariamo agli occhi di chi aborriamo esattamente come loro appaiono a noi. Sia ben chiaro che non s'intende giustificare comportamenti più o meno estremi, censurabili da un buon senso che dovrebbe essere appannaggio di tutti, ma prendere atto che tali comportamenti esistono e non possono essere sconfitti con la logica del muro contro muro. A prescindere, vi sono persone che, educatamente e civilmente, espongono princìpi e


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convincimenti sulle varie problematiche etico-sociali che altri possono legittimamente non condividere. A maggior ragione le confutazioni dovrebbero essere ancorate a presupposti di rispetto e buona educazione, ma così non è, come dimostrano, per esempio, le recenti vicende legate al XIII Congresso Mondiale delle Famiglie, tenutosi a Verona dal 29 al 31 marzo, che ha visto un vero esercito di "oppositori" sparare ad alzo zero, con una violenza inaudita e ingiustificata e con argomentazioni che definire strumentali è davvero eufemistico. Oppositori che, a loro volta, partecipano gaudenti in massa alle parate pacchiane dei "gaypride", offendendosi se qualcuno li critica, nonostante esse facciano inorridire tutti gli omosessuali "seri", che non ricorrono a mascherate per difendere i loro diritti. L'uomo contemporaneo, sviluppatosi dopo i fermenti rivoluzionari del XVIII secolo, ha via via maturato una serie infinita di "illusorie convinzioni", nelle quali si crogiola come se fosse un bambino che si diverta in un parco giochi, all'interno delle bolle di gomma. Solo che queste ultime sono ben protette e possono muoversi in uno spazio delimitato, mentre per le illusorie convinzioni non basta la spada con la quale Alessandro sciolse il "nodo di Gordio", a meno che il fendente non cada sulla testa di chi ne sia detentore, cosa però consentita nel territorio degli "Assassini" e non nell'altra parte del mondo, nota come "Occidente". Una primaria illusoria convinzione dell'uomo contemporaneo è quella che lo caratterizza nel rapporto con gli altri: tutti bramano la pace nel mondo, ripudiano la guerra, rispettano la vita e oggi, grazie alla comunicazione interpersonale facilitata dall'enorme quantità di strumenti mediatici, sono davvero tanti coloro che fanno propri gli aforismi inneggianti alla civiltà, alla tolleranza, all'amore per il prossimo, scegliendoli tra le migliaia che i grandi letterati, scienziati, filosofi e tanti altri personaggi famosi ci hanno lasciato in eredità. Questi stupendi aforismi troneggiano nelle copertine dei social e un po' dappertutto, salvo poi essere sistematicamente contraddetti dagli atteggiamenti quotidiani, che riflettono essenze caratteriali di tutt'altra natura: violenza verbale e non solo, volgarità, intolleranza e molto altro ancora. In quanto alle guerre e alla pace nel mondo, la realtà sotto gli occhi di tutti consente di non sprecare ulteriore spazio. Una seconda illusoria convinzione è la presunta superiorità rispetto alle passate generazioni. L'uomo contemporaneo non accetta proprio il confronto con i suoi progenitori: si sente superiore in tutto, confondendo il progresso tecnologico (tra l'altro molto spesso utilizzato in modo "distruttivo" anziché "costruttivo") con l'evoluzione della specie. Il processo mentale è così radicato che attanaglia quasi tutti, mentre le poche debite eccezioni rappresentano le classiche gocce nel mare. Una persona ignorante, che non abbia mai letto un classico della filosofia, non conosca la storia dell'uomo e la capacità di cogliere aspetti cosmogonici di grande complessità sin dagli albori della civiltà, è sicuramente indotto all'errore, che non può essere giustificato, invece, quando fosse perpetrato anche da chi abbia un elevato livello di "conoscenza". Questi ultimi, tra l'altro, risultano particolarmente pericolosi perché, rispetto agli ignoranti toutcourt, utilizzano la propria conoscenza come alibi per giustificare il gap. In campo filosofico, per

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esempio, nemmeno con la fantasia dei grandi romanzieri si può comparare la pseudo-filosofia contemporanea con quella sviluppatasi nell'arco di tempo che separa i presocratici da Nietzsche. Senza perdersi in superflue analisi, poi, è opportuno stendere solo un velo pietoso sui settori dell'arte e della creatività: musica, letteratura, pittura, scultura, architettura, teatro. (Il cinema merita un discorso a parte, non fosse altro perché la sua nascita è recente, rispetto alle altre discipline). IL DEGRADO ETICO-MORALE In campo etico-morale la comparazione tra diverse epoche è davvero complicata e non sviluppabile in un articolo. E' bene essere chiari su questo punto perché, a differenza degli altri campi, non è possibile disegnare un grafico che veda gli alti e i bassi dei singoli processi, secolo dopo secolo, richiedendo esso complesse metodiche di indagine sociologica. Qui basti dire, semplicemente, che se si prendono come punto di riferimento i presupposti di civiltà e di pacifica convivenza sorti negli ultimi tre secoli, si può senz'altro parlare di un progressivo degrado eticomorale del genere umano, accentuatosi in modo vertiginoso in tempi recenti. Dal ventesimo secolo in avanti il concetto di "etica" è stato relativizzato fino ad annullarsi del tutto, creando scompensi esistenziali di grande portata in chi, testardamente, si ostinava (e si ostina) a vivere nel rispetto di "vecchie regole", dalla maggioranza considerate inutili, pesanti, anacronistiche. La degradazione sociale ha tolto sacralità concetti che per secoli hanno costituito il patrimonio audacia temeraria igiene aspirituale esistenziale del genere umano, creando un'anomia etica che ha favorito il trionfo della ragione del più forte, indipendentemente da dove sia stata attinta la forza che garantisce il dominio. Da qui a cadere nella trappola della più illusoria delle convinzioni, il passo è breve: l'uomo contemporaneo si sente sostanzialmente libero. E' convinto di aver spezzato tutte le catene che lo rendevano schiavo della tirannide; è convinto di aver contribuito al trionfo della democrazia che, anche quando risulta deludente, viene messa in discussione solo in un contesto relativizzato, preservandone la valenza. Delusione dopo delusione si cercano nuovi soggetti in grado di renderla fruibile nella sua essenza più nobile e decennio dopo decennio i tiranni di turno proliferano su questa illusoria convinzione. E POI GIUNSE IL SESSANTOTTO Ai guasti prodotti dai falsi miti del sessantotto è stato dedicato il numero 64 della rivista, pubblicato nel maggio 2018. Per evitare inutile ridondanza, pertanto, si rimanda senz'altro il lettore a quanto esaustivamente trattato in precedenza. Si può solo aggiungere, agganciandosi al paragrafo precedente, un aspetto che risulta fondamentale per meglio inquadrare il successivo.


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Una civiltà è fondata sulle regole sancite dai legislatori, accettate non solo grazie alla capacità persuasiva di chi le emani ma anche e soprattutto perché vengono recepite positivamente, acquisendo un senso che conferisce loro un forte potere condizionante. Il respingimento totale delle regole in vigore determina la fine di una civiltà e l'inizio di un nuovo corso. Non è detto che tale processo debba essere per forza negativo e la storia è piena di esempi che dimostrano il contrario. Cosa è successo, invece, con il sessantotto? Dobbiamo fare necessariamente un salto all'indietro, anche se poco piacevole, come sempre accade quando occorra fare i conti con amare verità. Non è piacevole, infatti, prendere atto che la civiltà occidentale incominciò quando un mistificatore-imbonitore, cinico e spietato, pluriassassino, sostituì le antiche regole dell'epopea romana con quelle che prendevano corpo nel tessuto sociale grazie alla predicazione dei Cristiani. Ovviamente, non essendo possibile associare la nascita di una civiltà a un personaggio con queste caratteristiche, Costantino è stato artatamente tramandato ai posteri come il "Grande Imperatore", gratificandolo addirittura con la favoletta dell'intervento divino nella battaglia di Ponte Milvio, che ancora s'insegna nelle scuole, alla pari di tante altre favolette. Le nuove regole, prevedendo il primato del cristianesimo nell'emisfero occidentale, mutarono radicalmente usi e costumi dei popoli: la frugalità e la castità sono virtù ammirevoli; l'indiscriminata uccisione di persone è gravemente sbagliata e rigorosamente proibita; le relazioni sessuali sono legittime solo nel matrimonio; le relazioni omosessuali sono considerate innaturali e ripugnanti; l'aborto è un atroce crimine; la pornografia un male degradante del quale bisogna proibire la circolazione; una ragazza che partorisca un figlio senza un padre che se ne faccia carico è una disgrazia; la nudità umana e le intimità corporee non vanno mostrate al pubblico, sebbene la nudità possa essere rappresentata decorosamente nell'arte; il lavoro degli uomini e il lavoro delle donne sono differenti; gli uomini hanno autorità e precedenza legale sulle donne; l'età conferisce autorità sui giovani. L'elenco, ancorché incompleto, è sufficiente a rendere l'idea. Era inevitabile che con il fluire dei tempi queste regole dovessero essere spazzate via ed è ciò che è avvenuto con la rivoluzione sessantottina. Il guaio è che si è buttato via tutto, anche ciò che andava preservato, creando i presupposti per un radicale sovvertimento di tutti i valori, le cui conseguenze sono ben evidenti nella società attuale. Come un pugno nello stomaco, proprio in questo mese, sono stati resi noti gli "appunti" del papa emerito Benedetto XVI, il quale, sia pure concentrandosi precipuamente sulla sfera sessuale, ha parlato del "collasso morale" insorto negli anni sessanta, quando si radicò l'idea che non esistesse più il bene, "ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio". CROLLA IL MITO DELLA FAMIGLIA La famiglia, concepita storicamente come pilastro della società, inizia a essere travolta dal vento impetuoso del nuovismo, sgretolandosi progressivamente fino a perdere la sua vocazione

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carismatica. Le donne, in particolare, rivendicando diritti negati per secoli, mandano letteralmente in crisi uomini che stentano ad adattarsi al nuovo corso. Il numero dei divorzi aumenta progressivamente a mano a mano che la cultura dell'intolleranza soppianta quella della tolleranza, che a volte però si configurava come vera e propria "sopportazione". L'emancipazione sessuale, che ha solide radici nel Nord Europa, si diffonde rapidamente anche a Sud del 48° parallelo e le donne, che per secoli subivano in silenzio i tradimenti dei partner, incominciano a trovare gradevole rendere pan per focaccia e concedersi delle divagazioni sessuali, generando scompensi e crisi, spesso con esito tragico. Prende corpo la famiglia allargata; gli omosessuali trovano il coraggio di uscire allo scoperto e reclamano con sempre maggiore forza il diritto di amare alla luce del sole. Le richieste di matrimonio tra persone dello stesso sesso creano una profonda frattura sociale, acuendo il divario tra i cosiddetti progressisti e i cosiddetti conservatori. Ciascuno ha la presunzione di essere depositario di verità assolute e disprezza l'altro. La confusione trionfa e la crisi si allarga sempre più. I dibattiti pubblici pullulano di tuttologi, ciascuno con la propria ricetta per uscire dal tunnel. La caratteristica comune è che nessuno è disposto a considerare le ragioni dell'altro. La Chiesa, in evidente difficoltà per i troppi scandali, annaspa ed è costretta a concedere sempre più, rispetto al passato. Nel settembre 2018 Papa Francesco annuncia, per la prima volta dopo duemila anni di storia, che "la sessualità, il sesso, è un dono di Dio. Niente tabù. E' un dono che il Signore ci dà". Precisa, poi, in modo inequivocabile, che il sesso "ha due scopi: amarsi e generare vita. Il vero amore è appassionato. L'amore fra uomo e una donna, quando è appassionato, ti porta a dare la vita per sempre. E a darla con il corpo e l'anima". Al di là dei giri di parole, il messaggio apre incontrovertibilmente ai rapporti sessuali liberi, che tra l'altro nella realtà dei fatti acquisiscono pregnanza già da molti decenni e riguardano sempre più gli adolescenti, essendosi sensibilmente abbassata l'età dei primi approcci sessuali. L'apertura genera nuove fratture sociali: è criticata sia da chi la trova "rivoluzionaria" e non in linea con i dettami del cattolicesimo sia dai progressisti, per i quali è ancora limitativa in quanto non contempla i rapporti sessuali e l'unione tra persone dello stesso sesso. Sul fronte politico le esigenze elettorali predominano su tutte le altre e ciascun partito è principalmente attento a non alienarsi le simpatie del proprio elettorato. Il resto è cronaca quotidiana attuale, scialba, misera, insulsa. COME USCIRE DAL TUNNEL Innanzitutto è lecito chiedersi: esiste una possibilità oggettiva di uscire dal tunnel? La risposta non è semplice: da un lato vi è la volontà di pensare positivo, sostenendo che ogni ciclo prima o poi esaurisce la sua corsa e una sorta di nemesi metterà le cose a posto; dall'altro vi è la consapevolezza che è sostanzialmente sciocco fare affidamento sulla nemesi e che, in mancanza di vere azioni forti, lo sbandamento sociale durerà ancora a lungo. Per le azioni forti, però,


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occorrono "uomini forti", capaci di prendere decisioni che non possono accontentare tutti. Molto più semplici, quindi, le politiche dilatorie. L'Amore è una cosa meravigliosa, ma Famiglia e Amore non sono sinonimi, anche se una famiglia può considerarsi veramente tale solo se in essa alberghi e trionfi l'amore. Avere il coraggio di ripartire dalla Famiglia, conferendole di nuovo il ruolo primario di pilastro della società, è l'unica strada per uscire dal tunnel e mettere ordine nel caos. Non può e non deve essere la Chiesa a guidare questo nuovo processo sociale, ma la società civile, nelle sue massime Istituzioni, politiche e non. Si trovi il coraggio di recuperare un linguaggio abbandonato per paura di non essere al passo con i tempi e si stabiliscano chiare regole per una pacifica convivenza. Non l'uno contro l'altro, armati dei propri pregiudizi, ma tutti insieme, umilmente, per individuare il sentiero giusto da percorrere. Si dica con dolcezza, ma chiaramente, che la maternità surrogata è un abominio perché vede contrapposte coppie ricche e donne povere. Si spieghi con dolcezza, ma chiaramente, che il termine "matrimonio" deriva dal latino "matrimonium", ossia la fusione di mater e munus: madre e compito; il matrimonio, quindi, suggella il compito della madre di rendere legittimi i figli nati dall'unione con il "pater familias", assegnatario del patrimonium, ossia del compito di sostenere "la famiglia". Concetto antiquato? Certo: lo dimostrano le tante donne che da decenni contribuiscono al sostentamento familiare "anche" lavorando, ma da qui a parlare di "matrimonio" tra persone dello stesso sesso ce ne corre. Si spieghi con dolcezza, ma chiaramente, che permettere le adozioni alle coppie omosessuali non consente un sereno sviluppo dei bambini, che "antropologicamente" hanno bisogno di una madre e di un padre. A tal proposito è opportuno pubblicizzare un pregevole saggio scritto da Jean-Pier Delaume-Myard, omosessuale, dal titolo eloquente: "Non nel mio nome. Un omosessuale contro il matrimonio per tutti", Rubbettino Editore. Sempre dalla Francia, nel bene e nel male comunque all'avanguardia, si leva alta e solenne la voce di Nathalie de Williencourt, lesbica e portavoce di "Homovox", che in tante interviste e manifestazioni spiega bene il concetto di lobby e le strumentalizzazioni della LGBT, esprimendo il disappunto per norme ritenute liberticide, fuorvianti e pericolose per la stabilità della società: "La coppia omosessuale è diversa da quella eterosessuale. Ed è diversa per un semplice dettaglio: non può dare origine alla vita, per cui ha bisogno di una forma di unione specifica che non sia il matrimonio […]La pace si costruisce dentro la famiglia e per avere pace nella famiglia bisogna donare ai bambini il quadro più naturale e che più infonde sicurezza per crescere e diventare grandi. Cioè la composizione classica uomo-donna". CONCLUSIONI Se è lecito augurarsi che i presupposti sopra enunciati trovino effettivo riscontro in azioni concrete, è doveroso aggiungere che nulla lascia presagire che ciò avvenga in tempi brevi.

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Per quanto concerne il nostro Paese, nonostante i flebili aneliti di cambiamento rappresentati dal nuovo corso politico, il marcio è ancora così diffuso da annichilire sul nascere qualsivoglia speranza. Non resta, pertanto, che contare sulle giovani generazioni che, per certi versi, quando non sono vittime di un autolesionismo delirante, dimostrano una maturità e una sensibilità che dovrebbe far vergognare gli adulti. A loro, quindi, il compito di prendere in mano le redini di un nuovo ordine sociale. Dopo tutto devono solo riparare i guasti prodotti dai loro genitori e nonni, conferendo pratica attuazione a un precetto lasciatoci in eredità da Aristotele, XXIII secoli fa: "La famiglia è l'associazione istituita dalla natura per provvedere alle necessità dell'uomo". Lino Lavorgna


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DIO CI SCAMPI DAGLI STOLTI Dubito fortemente di riuscire ad esternare del tutto il mio pensiero sull'argomento perché questo, inutile dire, presenta sfaccettature alquanto complesse che la brevità del tempo e dello spazio nonché la pochezza della mia mente temo non consentano di valutare ed esporre al meglio. Inoltre, vi giuocano aspetti culturali e confessionali che fanno correre il rischio a chi scrive, ma anche a chi legge, di avere un atteggiamento prevenuto, preconcetto. Infine, il tema, toccando la sfera intima di ciascuno di noi, può dividere una stessa compagine culturale e 1 confessionale. Ma, siccome navigare necesse est, come disse Gneo Pompeo ai suoi marinai , vedrò di rendere la faccenda più lineare e più laica possibile, anche a costo di apparire contraddittoria. Così, tanto per inquadrare la vexata quaestio, sono ricorsa all'ormai onnisciente Wikipedia che nel definire la 'famiglia' ci dice che essa è 'un nucleo sociale rappresentato da due o più individui che vivono nella stessa abitazione e, di norma, sono legati tra loro da rapporti di parentela o di affinità.' E in ciò possiamo vedere 'babbo e mamma', 'figli' e pure 'nonni'. Nella sostanza, nei paesi occidentali soprattutto, una famiglia è definita in modo specifico come un gruppo di persone affiliate da legami di consanguineità oppure da legami affettivi acquisiti e riconosciuti dalla legge per la presenza del vincolo del matrimonio o di una unione civile, o per una adozione, 2 oppure per un legame sorto de facto in virtù di una convivenza. In quest'ultima considerazione (sarà che resto fondamentalmente ingenua e fiduciosa), ci ritrovo una gran parte di risposta a tanti interrogativi e perplessità dell'oggi. Anche perché non sono così retriva da ancorarmi ad un'ottica puramente ecclesiale o comunque pseudo-teologica. A tali concetti delineatori, a seconda dell'ubicazione geografica e dell'ambito culturale, sono stati aggiunti alcuni elementi che, comunque, non esorbitano dall'idea di unità nucleare, comunque la si voglia intendere, all'interno della società. Non nego, però, che nel tempo e nello spazio ci siano stati tentativi per concepire la società diversamente. Ma è un dato di fatto che i tentativi siano abortiti. In tempi relativamente recenti, ad esempio, venne svolto in Israele un esperimento nei kibbutz: dimostrare che i bambini potevano essere cresciuti comunitariamente, non in un'unità nucleare. Un esperimento fallito, tuttavia, perché ha portato all'inatteso risultato che i pargoli, una volta cresciuti, si guardassero l'un l'altro come a fratelli consanguinei, e non a partner potenziali. E, quindi, cercavano compagni al di fuori del kibbutz, abbandonandolo e formando delle proprie famiglie nucleari. In pratica, il test non risultava autoalimentante (sic). E non è che, a prescindere

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dalla morale, potesse essere combattuta una battaglia contro l'evoluzione biologica: le donne hanno perso l'estro venereo già da qualche millennio. Comunque, per quanto mi possa (non più) solleticare, non ce li vedo uomini, a frotte, che si dipartono da distanze immemorabili, guidati dal fiuto, per accoppiarsi con la donna in attesa, lottando tra loro per il 'privilegio', a prescindere dal rapporto genetico. E, del resto, in qualunque cultura l'incesto (o quello comunque ritenuto tale) è stato ed è una pratica abietta. Anche nell'antico Egitto, dove il cosiddetto 'matrimonio' tra faraone e sorella era solo un atto rituale dal momento che era quest'ultima a tramandare la dinastia. Il che, data per necessaria la presenza del nucleo familiare nella società, possiamo semplicemente dire che tra i suoi scopi primari c'è la procreazione. Infatti, la perpetuazione della propria specie, al pari in tutto il mondo animale, è una spinta biologica prima di essere una pulsione emotiva. I 'figli', quindi, rappresentano la naturale evoluzione dell'unità nucleare e, nel contempo, della stessa società. Non a caso, le coppie gay, nell'impossibilità di procreare, cercano comunque la 'perpetuazione' della loro esistenza (e il sigillo al loro amore) attraverso la prole, ottenuta per interposta persona o adottata. Non sono così bacchettona da non concepire e accettare le unioni gay, né tantomeno sono tanto conservatrice da non considerare quelle unioni come una 'famiglia'. Nel senso che, se l'estro si è perso, è subentrato a questo il sentimento, l'amore. E, se così è, non sono neppure bigotta al punto da ritenere che una 'famiglia' omo, fondata sull'amore, non avendo ricevuto il placet sacramentale, non possa definirsi tale. Che poi la formalizzazione di una tale 'famiglia' debba chiamarsi 'matrimonio' o 'unione civile' questo è un altro conto che nella fattispecie non ritengo c'entri. Diversamente, sarebbe come se il sentimento che spinge i soggetti a 'legarsi' debba sottostare alla verifica della sua caratteristica di 'etero' prima di essere riconosciuto come tale, a prescindere dall'unione. In sostanza, sarebbe come se solo gli 'etero' debbano avere il diritto di innamorarsi. Detto questo, sono tanto presuntuosa da credere che qualcuno possa arricciare il naso di fronte alle mie affermazioni e ritenere che la senilità mi stia giocando dei brutti scherzi, rispetto alle tante precedenti fustigazioni della 'immoralità'. Il fatto è che credo veramente che gli omosessuali, come ho scritto nel luglio dello scorso anno, siano dei normali appartenenti al terzo genere. Ma credo altresì che essi divengano 'diversi' quando in nome di un non meglio qualificato 'orgoglio', con il viso imbellettato si svestono sulla pubblica via, mostrano le nude terga e sculettano come bagasce da angiporto. È una questione almeno di buon gusto e di offesa alla loro dignità prima che al comune senso del pudore. Un giudizio, questo che peraltro, in analoghe condizioni, non lesinerei nei confronti di appartenenti agli altri due generi. Ma torniamo al tema dove la naturale evoluzione dell'unità nucleare, etero o omo che sia, è rappresentata dai figli. Certo, anche qui ci sarebbe da aprire un ampio dibattito sull''utero in affitto', una pratica che coinvolge tutti i generi. Ma non mi soffermerei su questo in quanto, avendo citato l'amore, posso solo dire di avversare il mercimonio che spesso ne è alla base; un giudizio che tocca sia i committenti che l'esecutrice. Capisco che nove mesi di disagi non sono


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cosa da poco se non si è spinti da forti impulsi emozionali, ma arrivare a sopportare le naturali difficoltà solo a fronte di un compenso mi porta a dire che l'ottica mercantilistica, ormai, non risparmia nemmeno quanto di più solenne ci sia in una società: la procreazione. E ciò, analogamente, vale per i mandatari che, al di là del desiderio materno, concepiscono il 'contratto' come un 'servizio' a pagamento. Comunque, a prescindere dalla condizione dei coinvolti e dal giudizio su di essi, è la stessa Bibbia ad ammetterne la pratica. E, più precisamente, il Vecchio Testamento, Genesi. Quando Abramo, dopo l'esperienza egiziana, ritornò nel Negev, a Canaan, ormai anziano, si rese conto di avere assoluto bisogno di un discendente e sua moglie Sara sembrava sterile. Allora, in casi del genere, la legge consentiva che il marito potesse concepire il suo erede con una delle schiave della consorte. Il nascituro poi, partorito sulle ginocchia della legittima moglie, avrebbe avuto lo status di figlio legittimo ed erede, nel caso non fossero nati altri figli. Una specie di maternità per procura. Col consenso di Sara, dunque, Abramo fece un figlio con la schiava Agar al quale fu dato il nome di Ismaele.3 Ma l'esempio non è il solo. Sara, comunque, subito dopo riuscì a restare incinta e partorì Isacco il quale, sposata la cugina Rebecca, ebbe Esau e Giacobbe. E quest'ultimo, per sfuggire alla vendetta del fratello a causa di un piatto di lenticchie, se ne andò nel Padan Aram a lavorare per lo zio Labano e ne sposò le due figlie, Lia e Rachele. Da Lia, ebbe quattro figli, ma dall'amatissima Rachele nessuno, in quanto sterile. Questa, allora, gli offrì come concubina la serva Bilha, perché partorisse sulle sue gambe. E, poiché dopo i quattro parti, Lia aveva cessato di avere figli, adottò anch'essa la strategia della sorella sterile e gli diede come concubina la sua serva Zilpa. In questo modo, il nipote di Abramo venne a trovarsi nel tempo padre di dodici figli maschi: i capi delle 4 rispettive tribù dell'Esodo. Chiuso l'inciso biblico che, devo confessare, mi sono divertita a scrivere per dimostrare come a volte alcune irremovibilità hanno i piedi d'argilla, riprendiamo il discorso. Ora, al di là della perpetuazione della specie, è convinzione generalizzata che la funzione primaria della famiglia sia quella di riprodurre la società sotto l'aspetto socio-culturale. In sostanza, la famiglia e la società cambiano vicendevolmente, a prescindere dall'epoca, dalla collocazione geografica e dal tipo di cultura. Nel senso che la famiglia riproduce al proprio interno la cultura nella quale è ubicata, in essa e con essa alleva i figli e trasmette loro i principi, orientandoli nella società, anche attraverso la loro formazione, in uno con la scuola. Ne consegue che la sua evoluzione evolve la società e ne è evoluta. Inoltre, con la possibile presenza al suo interno di 'nonni', assicura il corretto e proficuo rapporto intergenerazionale. In pratica, la sua funzione ha tale importanza che la possiamo considerare 'pubblica' perché determina il passaggio di una giovane persona dai soli istinti naturali ad un sentire tradizionale e culturale; contribuisce, cioè, a farne un cives. Tuttavia, questo bel quadretto idilliaco che ha caratterizzato il mondo in diversi millenni della sua storia sta correndo il serio rischio di essere cancellato. Non so quali siano stati i temi che hanno animato il dibattito al recente Congresso sulla Famiglia svoltosi quest'anno a Verona ma ciò che mi sorprende è che essi non abbiano avuto quella risonanza che invece è toccata agli attacchi

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portati a quei (presunti?) stessi temi. Al ché, delle due l'una: o quell'occasione è stata penalizzata da un non efficiente ufficio stampa (cosa che credo) oppure i temi 'attaccati' sono 'veri'. Le virgolette mi sembrano d'obbligo dal momento che, almeno, occorrerebbe contestualizzarli. Ma, in ogni caso, non posso essere d'accordo con il 'feroce' attacco portato da più d'uno ai gay, almeno stando alle notizie giunte e, peraltro, riportate dalla stessa Wikipedia5 dove, più che gli argomenti del Congresso di Verona, sono citate come chicche le loro tragicomiche affermazioni. Senza smentite. Non posso esserlo perché non riesco neppure a immaginare quale tortuoso pensiero possa far ritenere i gay un 'pericolo per la famiglia' e, pur essendo una fan del fantasy, non posso neppure vagheggiare sui motivi che sembra abbiano portato Silvana De Mari, medico e scrittrice di libri fantasy, appunto, a sostenere che esista una relazione tra omosessualità e satanismo. Analogamente dicasi per Theresa Okafor, attivista nigeriana, la quale sembra ritenere che il preservativo sia stato 'esportato in Africa per soffocare la vita'. Alla prima posso suggerire che la sua convinzione, a personale parere, si presta come argomento di un suo nuovo parto letterario e alla seconda di guardarsi meglio attorno, in casa sua, dove il preservativo è l'ultimo dei problemi che soffocano la vita. Comunque, in ogni caso, non posso essere d'accordo perché ho sempre evitato l'intruppamento nelle crociate e da soddisfatta etero, liberale, mi riconosco nel pensiero di Voltaire che, a proposito dei diritti e della libertà, arrivò a scrivere di Claude-Adrien Helvétius, autore di De l'Esprit, che quell'uomo gli piaceva perché lo riteneva 'meglio di tutti i suoi nemici messi insieme'. E, pur non avendo mai approvato né gli 'errori' di quel libro, né 'le verità banali che afferma con 6 enfasi', prese fortemente le difese dell'autore 'quando uomini assurdi lo hanno condannato." . Certo, assurdi. Perché, a leggere la stampa circa gli interventi in quel Congresso, sembra di sfogliare le risultanze di un interrogatorio medievale a presunte streghe e posseduti. Tutto ciò posto, mi chiedo, un partecipante ad un Congresso Mondiale della Famiglia, vista l'importanza 'pubblica' della stessa, non dovrebbe occuparsi d'altro? Non dovrebbe, che so, chiedere a viva voce lo snellimento delle procedure per l'adozione, vista la condanna agli uteri in affitto? E vista l'indigenza dilagante e l'accentramento della ricchezza in sempre meno mani, non dovrebbe tuonare contro la scomparsa di validi sistemi di ripartizione del reddito prodotto? Non dovrebbe farsi carico di rappresentare la disperazione delle famiglie colpite dalla disoccupazione? Non dovrebbe interrogarsi sull'aberrazione di ridurre a merce la dignità delle persone nel mondo del lavoro per ridurre il peso dell'angoscia? Non dovrebbe rilevare e interpretare le difficoltà di comunicazione all'interno dell'unità nucleare fino al silenzio e all'indifferenza? Non dovrebbe, in conseguenza, denunciare la perdita di valori, non più trasmessi, che oltre all'elevazione spirituale della persona contribuivano alla coesione familiare e sociale? Non dovrebbe inorridire e, in conseguenza, condannare i 'moderni' sistemi di formazione del bambino e del giovane che, legati alla disponibilità delle famiglie, oltreché alla partecipazione economica locale, lasciano ormai intravedere una palese discriminazione tra nuclei familiari e


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territori condannando alcuni tra questi ad un ruolo di sudditanza? E, sempre in quell'ambito, non dovrebbe rilevare che nei percorsi formativi è scomparso l'obiettivo educativo a vantaggio della sempre più sospinta specializzazione? Ed ancora. Non dovrebbe, almeno, evidenziare e denunciare il drastico calo di natività in Italia, ma anche nel mondo occidentale, fino a inabissarsi in un negativo indice demografico, che condanna un Paese ad essere un popolo di anziani fino a scomparire come tradizioni, come cultura, come civiltà? Denatalità, ben che vada, dovuta alla necessità di un doppio lavoro per sopravvivere senza uscire dalla povertà, quando non all'assenza di reddito e di strutture di supporto, all'inefficace presenza di una struttura pubblica sanitaria e a tante altre cause ancora, non ultima la costatazione del preoccupante orizzonte civile che una coppia ha davanti. Una situazione, questa, che avrebbe dovuto particolarmente interessare gli illustri partecipanti, provenienti dall'America, patria degli iati sociali e delle angosce esistenziali più che dei diritti e delle libertà; dall'Africa, dove sovente diritti e dignità sono ignorati; dall'Europa dove in nome di un non meglio precisato 'progresso' si sono retrocesse ad epoca feudale le aspettative sociali, a differenza del passato private del gusto della vita e del conforto spirituale. Il fatto è che la 'famiglia' si è prestata e si presta, indifferentemente, per le più disparate e persino antitetiche politiche. Ne potrei dare svariati esempi ma preferisco ricorrere, a beneficio della sinteticità, a quanto scritto da Michel Foucault :7"[...] il dispositivo familiare (quello basato su padre, madre e prole), in quel che aveva appunto d'insulare e di eteromorfo rispetto agli altri meccanismi di potere, ha potuto servire da supporto alle grandi "manovre" per il controllo malthusiano della natalità, per le spinte popolazioniste, per la medicalizzazione del sesso e la psichiatrizzazione delle sue forme non genitali.". Tant'è. Ovviamente, i promotori del Congresso non hanno colpa di ciechi e ottusi. E, comunque, di un tale sfacelo possiamo attribuire il merito solo alla politica. Indistintamente, di sinistra e di destra, vassalle del Capitale condividendone (inconsciamente?), la prima, l'intento universalistico e omologante verso il basso, una sorta di 'guardia bianca del regime' come Corridoni, sindacalista rivoluzionario, definì Turati, socialista riformista. E la seconda l'atteggiamento reazionario. L'una, costatata la scomparsa del proletariato, ha pensato bene di trasformarsi, dopo il passaggio nella fase socialisteggiante riformista, in un apparato pannelliano degli anni '70/80 e dedicarsi alle battaglie civili a favore delle minoranze disagiate, senza accorgersi (???) che l'area del disagio sociale si è talmente allargata a ben altri soggetti, oltre agli omosessuali, agli immigrati, alla donna, da divenire maggioranza senza più trovare, sul piano delle istanze, un contesto di interpretazione e di rappresentazione. L'altra, poi, è tornata al 'Dio, Patria e famiglia' dove, oggi, il Maggior Referente è morto (lo so, mi ripeto), la Patria ha delegato e la famiglia si è persa nei sensi unici di un materialistico labirinto. In sostanza, le tre accezioni, mantra ormai totalmente privi di spiritualità, sono state ridotte a granaglie per polli come è accaduto per Tolkien, i suoi hobbit e la sua Contea nel trentennio '60/'80. Recentemente, mi trovavo a parlare con un amico sulle problematiche sopra cennate e, alla fine

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della fiera, ci siamo chiesti come uscirne. Ebbene, credo che risposta più illuminante e triste al tempo stesso quell'amico non poteva darmela: dobbiamo credere nella circolarità della storia umana e, pazientemente, attendere. Chissà che un giorno o l'altro i nostri pro, pro, pro nipoti non manifestino nuove idee e possano vivere in una società migliore. Una preghiera, però, è d'obbligo sin da ora: Dio ci scampi dagli stolti. Roberta Forte

Note: 1 Plutarco, Vita di Pompeo, 50, 1 2 https://it.wikipedia.org/wiki/Famiglia 3 Genesi 16, 1-15 e 21, 8-21 4 Genesi capp. 29 e 30 5 https://it.wikipedia.org/wiki/Congresso_Mondiale_delle_Famiglie 6 Voltaire - Questions sur l'Encyclopédie - articolo "Homme" - in - Histoire du Monde.net. 7 citato in https://it.wikipedia.org/wiki/Famiglia ma, per maggiore precisione, contenuto in La volontà di sapere -Universale Economica Feltrinelli - cap. IV, sez. Metodo', regola 3, p.89


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FAMIGLIA? (CERCHIAMO DI CAPIRCI) Senza la figura del "Padre", ormai irreversibilmente ucciso dalla trionfante (si, trionfante, checché se ne dica) rivoluzione femminista, non ci sarà più una "Famiglia", ma piuttosto una pluralistica, episodica confluenza di interessi individuali di tipo omosessuale confusamente convergenti sulla base di un ineludibile comune denominatore fatto soprattutto di mutue esigenze emozionali e/o esistenziali. "Absit - dal mio dire alcuna - iniuria verbis", ma la Famiglia socio economica è stata ed è, almeno fino ad ora, un specifico prodotto storico di tipo aggregativo umano dalle ben determinate finalità e caratteristiche tecnico-costitutive in mancanza delle quali non verrebbe a configurarsi il predetto "prodotto finito", ma un qualcosa d'altro, di per se forse né migliore né peggiore, ma del tutto differente. Spero si convenga con me che, a puro titolo di esempio semplificatore, un automobile ed una barca siano mezzi di trasporto di assoluta pari dignità funzionale, ma del tutto inconciliabili tra loro. Tanto per citarne uno, la vettura anfibia "VW Typ 166" di bellica memoria (vedasi foto) non era evidentemente ne una vera barca ne una vera auto e nessuno avrebbe razionalmente intrapreso con una di esse, che so, una traversate del mar Mediterraneo ovvero un trasferimento via terra da Roma a Parigi. Ed infatti, come è noto, non si vedono automobili anfibie circolare per le strade o frequentare i porti. Dire pertanto che nelle famiglie, diciamo "non - classiche" sia sufficiente il sentimento amoroso individuale, anche se ben reciprocato, a costituire collante di valenza sociale, sarebbe come convenire che la astratta idea platonico-iperuranica di "trasporto" sarebbe del tutto più che bastevole per accomunare in una specifica sintesi di forma prettamente tecnico-funzionale la realizzabile idea dell'auto anfibia. Prodotto questo di per se stesso accettabilmente sintetico, ma assolutamente limitato a specifiche, determinate, e spesso episodiche, necessità (nel caso nostro di semplice funzionalità per limitati spostamenti in ambienti tra loro incompatibili). La sua apparente bivalenza di utilizzo ne fa pertanto, ed almeno per le ancora soverchianti esigenze della contemporaneità, un mezzo di trasporto velleitario ed oggettivamente di serie "b". Lo stesso potrebbe analogamente dirsi della sperimentale automobile/velivolo. Vorrei comunque essere chiaro : non vi è, nel modo più assoluto da parte mia, alcuna avversione alle coppie omosessuali anche formalizzate in qualche modo e che, lo riconosco, potrebbe essere talvolta giustificato da reali ed insindacabili esigenze di tipo individuale. Ma non va invece per nulla bene pretendere di voler comunque attribuire ad esse, "tout court" e per mera

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"correttezza" politica, l'etichetta ufficiale di "famiglia" intesa nel senso morale (da "costume" e null'altro) come essa è stata concepita negli ultimi due millenni e mezzo dalla nostra civiltà grecoromano-cristiana. Un noto personaggio, che peraltro non gode della mia personale simpatia, fece una volta un'affermazione del tutto condivisibile : "le parole sono importanti! "ed infatti fu scritto: "in principio era il Verbo". L'ostinarsi tuttavia a non voler tener conto della funzione intrinsecamente creativa della parola stessa sarebbe in sostanza come costringersi a voler forzatamente astenersi dal manifestare il minimo segno di percepibile sbalordimento nello scoprire detta "VW Typ 166" schierata in griglia alla partenza del Gran Premio di Monza di Formula 1 (essa comunque è, senza dubbio, un'automobile) ovvero facente parte della flotta al largo di Sanremo in trepida attesa di quel colpo di cannone che dia il via alla regata della"Giraglia" (detto ibrido è anche, e certamente, un'indiscutibile natante). Roma 2/4/2019 Antonino Provenzano


POLITICA

SE QUESTO E’ MEDIOEVO... Pubblichiamo in forma integrale l’intervento del Ministro per la Famiglia, Lorenzo Fontana al XIII Congresso mondiale delle famiglie tenutosi a Verona dal 27 al 29 marzo 2019. Nel sentire le accuse mossegli dalla sinistra abbiamo voluto toccare con mano, verificare le sue affermazioni. Abbiamo scoperto (prendendo l’intervento dal prezioso archivio di Radio radicale), senza sorprenderci, che erano solo menzogne e disinformazione. Forse non sapevano chi nominavano quando hanno nominato me. Salvini lo sapeva bene chi nominava, gli altri se ne sono accorti dopo solo due giorni. E' stata subito una cosa simpatica vedere come la famiglia é, evidentemente, un argomento spinoso. Per tanti anni è stata una cosa che andava bene così, che non se ne parlasse, posso dire che oggi sono soddisfatto, ma soddisfatto perché in un certo qual modo, lasciatemi prendere questa soddisfazione, io penso di aver vinto. Non so per quanto andremo avanti, Matteo dice alcuni anni, io dopo nove mesi di sembra di aver già raggiunto quota cento. Quando diversi anni fa ho cominciato a parlare della questione demografica, dopo aver sentito il professor Gotti Tedeschi, dopo aver letto qualche libro era una cosa che i miei stessi collaboratori - stavo ancora a Bruxelles - mi guardavano stupiti e mi dicevano: "Ma cosa stai dicendo? Che il calo demografico fa calare l'economia, fa calare il pil, il calo demografico cosa c'entra con l'economia? Si magari non c'è il ricambio generazionale... E' una vittoria vedere oggi che due movimenti politici che assieme sono quasi il 40% del Paese dicono chiaramente che bisogna fare di più per aiutare le famiglie, per contrastare il calo demografico, anche Luigi Di Maio, che cito testualmente, ha detto: "Ho il dovere, nei prossimi mesi, di aiutare le famiglie che fanno i figli anche con strumenti come il coefficiente familiare". Bene, bene Luigi, sono contento, abbiamo vinto. Abbiamo vinto perché è esattamente quello che voglio, quello che vogliamo qui: aiutare le famiglie ad avere dei figli, a non sentirsi più discriminate. Magari te lo dico nella tua lingua madre: però mo' guaglio' lo devi fa'. Non si prendono in giro i veronesi eh! Già questa finanziaria è stata una battaglia molto difficile, io sono arrivato che praticamente c'era poco sulla famiglia, tutte le manovre erano a zero. Non c'erano più i congedi parentali, ma li abbiamo aumentanti, abbiamo dato anche un giorno in più, qualcuno dice poco, vero, ma siamo all'inizio; non c'era più il cosiddetto bonus bebè, noi l'abbiamo trasformato in un

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incentivo alla natalità, siamo riusciti a metterlo per un anno, più di 400 milioni di euro; abbiamo fatto una corsia preferenziale per lo smart-working per le famiglie, per le donne in particolare e anche per quelle famiglie che hanno un disabile a carico. Ci sono 100 milioni di euro per il Fondo famiglia, che prima non esisteva, e sono strutturali. Pensate che la cosa curiosa è che, in questo ultimo mese, mentre facevo a meno di parlare con i giornalisti e le televisioni ritenendolo inutile, perché tanto la verità viene sempre a galla, abbiamo fatto una cosa particolare: di quei 100 milioni dati alla famiglia, 80 li abbiamo presi e abbiamo deciso di usarli per fare un tavolo con le aziende, anche tra le più importanti d'Italia, per favorire la conciliazione tra famiglia e il lavoro delle donne. Sono stato attaccato dalla sinistra che ha sostenuto che voglio mettere sotto tutela le donne, che le odio e che le voglio tenere in casa. Ebbene io ho una moglie che lavora, ho una mamma che ha lavorato fino a settant'anni, ho una sorella che lavora, mio padre che era l'unico sostegno maschile non c'è più, ho una suocera che lavora, ho la sorella di mia moglie che lavora, guardate che quello sotto tutela sono io... Ho già detto a mia moglie: quando vuoi piuttosto che fare il ministro vengo a fare il "mammo", che sicuramente sto più sereno con mia figlia che ha tre anni e per questo ancora non lavora. E' incredibile! Come posso io volere che le donne stiano a casa! Anzi facciamo una cosa questo mese: mettiamo 80 milioni di Euro per favorire le donne che lavorano, perché, parlando anche con tanti nel resto d'Europa, ci hanno detto che la donna si realizza anche nel lavoro, e soprattutto quando non ha paura di perderlo. E in Italia succede che se metti al mondo un bambino o se resti incinta rischi di perderlo il lavoro e non vogliamo che le donne perdano il lavoro perché rimangono incinte. Abbiamo fatto questo in questo mese e poi trovo anche alcuni alleati che dicono che sono contro le donne e che le voglio tenere in casa. Ma figuriamoci! Stiamo facendo esattamente l'opposto. Alcuni parlano, altri fanno. Guardiamo i fatti. Pensate che la prima volta che sono stato attaccato per il patrocinio accordato a questa manifestazione stavo andando a New York, all'Onu, dove parlavano della donna nel concilio più importante dopo l'assemblea generale e sono andato a testimoniare ciò che stiamo facendo per le donne e per le famiglie, in particolar modo per le mamme affinché possano lavorare e condurre la loro vita serenamente realizzandosi come mamme, come donne e sul lavoro. Pensate abbiamo importanti aziende che stanno attuando questo e che stanno verificando che non solo aumentano le donne che mettono al mondo dei bambini ma che addirittura aumenta la produttività aziendale, aumenta l'armonia fra colleghi e addirittura i dipendenti che mettono al mondo un bambino quando tornano sono molto più bravi perché hanno un maggior senso di responsabilità e quindi riescono a risolvere meglio i problemi e riescono ad essere più operativi per le aziende. Quindi il fare un bambino è positivo per le aziende. Purtroppo in Italia abbiamo una concezione un po' indietro... medievale. Permettetemi di parlare dell'altra parte del mio ministero. Di quel che stiamo preparando. Vi sono cose che vogliamo fare, d'intesa con Salvini: gli asili nido gratuiti, un assegno di maternità


POLITICA

che copra molti più anni, vogliamo coniugare famiglia e lavoro, stiamo preparando un codice della natalità in cui stiamo cercando di accorpare tutte queste normative che spero siano approvate rapidamente. Ma vorrei anche parlare di chi a volte non ha voce e che in questi ultimi mesi mi ha dato una grande soddisfazione di cui è difficile avere idea. Forse è la parte più bella del lavoro fatto in questi mesi. Parlo di tutte quelle volte che sono andato a trovare le associazioni che lavorano con ragazzi con disabilità, penso al Don Orione a Roma, penso all'Habeo di Verona che segue i bambini malati all'ospedale pediatrico, all'associazione Lollo 10 di Roma, al Down daddy di Padova. In queste esperienze ho visto tante famiglie che combattono nel silenzio, anche in questo momento, per i loro ragazzi o bimbi disabili e che hanno bisogno di assistenza continua. Abbiamo fatto parecchio in questa finanziaria anche per loro: il fondo per le non autosufficienze è stato aumentato di 100 milioni di euro, il fondo per le politiche sociali di 120, ma non è ancora abbastanza. Ma sapete una cosa? Lì si vede il vero valore della famiglia. Ho visto nei reparti di oncologia pediatrica mamme sorridenti accanto ai loro bambini, ho visto, in alcuni di questi centri, papà e mamme che accompagnavano il loro figlio disabile, ma li ho visti sorridenti e sereni, li ho visti accettare le difficoltà della vita in maniera eroica, con un coraggio che io probabilmente non riuscirei ad avere, questi sono gli eroi di cui l'Italia è piena, questi sono gli eroi di cui dobbiamo andare orgogliosi, gli eroi che tutti i giorni alla mattina si svegliano e sanno che la loro giornata sarà un'altra battaglia, spesso anche contro lo Stato che magari si dimentica di loro spesso e volentieri. Il 2 aprile sarà la giornata mondiale dell'autismo e quanti genitori stanno vivendo con questi ragazzi speciali ma chiedono un aiuto che non sempre ricevono. Voglio ancora raccontarvi di Lorena, una ragazza di Modena ammalata di Sla che comunica con gli occhi attraverso un computer. Ha espresso il desiderio di voler studiare e, forse anche perché sto ancora studiando per la mia terza laurea, l'ho presa davvero a cuore e siamo riusciti a farla iscrivere all'università, anche con l'aiuto del Ministro della Pubblica Istruzione. Lei, felice, ha scritto una lettera piena di gratitudine ma, cara Lorena, sono io che ringrazio te perché ci hai dato il senso della vita. Quanta futilità, anche nelle proteste in questo giorno, quanto odio e quanta soddisfazione da una persona singola per averle esaudito un desiderio. Rendere la vita un po' migliore alle persone, alleviare un po' la sofferenza, è questo il compito che mi sono dato e ci siamo dati quando abbiamo istituito questo Ministero, pian piano lo stiamo realizzando ma ci serve l'aiuto di tutti voi perché la battaglia purtroppo è anche ideologica e allora non serve più la ragione serve impegnarsi quotidianamente. Senza bambini non c'è futuro, io ho avuto un rammarico questo fine settimana, aver visto che mi hanno dovuto raddoppiare la scorta nella mia città, è comunque una cosa che fa soffrire ma in particolare mi fa soffrire che in questi nove mesi altre persone hanno dovuto soffrire per il mio impegno. Ringrazio mia moglie, la mia famiglia, i miei parenti e la mia bambina che a tre anni è stata discriminata in un asilo perché figlia del ministro Fontana.

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Capite? La battaglia è dura. Ringrazio da ultimo Matteo Salvini perché so che è difficile avere un ministro come il sottoscritto, ma oggi mi ha regalato molto. Sapete le pressioni... ne ho subite tante in questi nove mesi ed in questo in particolare, ma vedere un leader politico che non ha paura e che, soprattutto, sa scegliere se sono più importanti i dati elettorali o le cose giuste, avere un politico, in particolar modo nell'area identitaria, di centro destra, che sceglie prima le cose giuste e poi se portano voti bene, altrimenti pazienza è un grande pregio ed è un grande privilegio che sicuramente io ho e penso anche tanti di voi avete di avere una persona di questo tipo. Vi assicuro che non si molla, si va avanti almeno finché me lo concedono. Perché abbiamo una cosa più importante di qualsiasi posizione sociale, elettorale o di privilegio. Abbiamo il dovere di non aver paura di dirci cristiani, di dirci padri e madri. Non dobbiamo aver paura ed avere la forza di consegnare ai nostri figli i valori che ci hanno tramandato i nostri nonni ed i nostri genitori, abbiamo il dovere, e non dobbiamo aver paura, di cambiare non solo l'Italia ma anche l'Europa.


ECONOMIA

AHI! AUMENTERA’ ANCHE L’IVA Il Ministro Tria, il 17 aprile, in audizione sul Def davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha confermato il probabile aumento di Iva e accise dal 2020 in ragione della congiuntura sfavorevole, salvo soluzioni alternative. E' immediatamente insorto il Vice-premier Luigi Di Maio che ha negato categoricamente qualunque aumento dell'Iva ribadendo che il Governo, al contrario ridurrà le imposte. Tuttavia nella vicenda Iva c'é un non detto che si chiama Brexit. L'uscita senza accordo della Gran Bretagna dalla Ue, se dovesse verificarsi, comporterebbe un maggior costo per i contribuenti italiani di almeno 1,2 miliardi di Euro, necessari per far fronte, pro-quota, al buco che si aprirebbe nel bilancio Ue e l'Iva, come è noto, fa parte, per lo 0,5 del gettito (solo nominalmente), delle risorse proprie dell'Unione. L'Iva produce un gettito di complessivi 160 miliardi e 507 milioni di euro (circa un terzo di tutte le entrate dello Stato), stando al bilancio di previsione 2019. Con una riduzione di 8 miliardi rispetto all'anno precedente. audacia temeraria igiene spirituale Nello stesso bilancio la quota destinata alla UE è pari a 19 miliardi e 600 milioni con un incremento di 700 milioni rispetto all'anno precedente (nonostante la riduzione del gettito Iva), pari circa il 12,5% delle entrate Iva. Questo spiegherebbe, in parte, il sibillino "salvo soluzioni alternative" pronunciato dal Ministro dell'Economia. In termini probabilistici, se dovessi scommettere, punterei su Tria e non su Di Maio. P.K.

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DACCI OGGI IL NOSTRO VANDALO QUOTIDIANO Innumerevoli chiese in tutta l'Europa occidentale sono state vandalizzate, defecate e incendiate. In Francia, due chiese vengono profanate, in media, ogni giorno. Secondo PI-News, un sito di informazione tedesco, nel 2018, in Francia, sono stati registrati 1.063 attacchi ai danni delle chiese o dei simboli cristiani (crocifissi, icone, statue). Questa cifra attesta un aumento del 17 per cento rispetto all'anno precedente (2017), quando furono registrati 878 attacchi, il che significa che il fenomeno è sempre più preoccupante. A febbraio e a marzo, in Francia sono state perpetrate le seguenti profanazioni: Vandali hanno saccheggiato la chiesa di Notre-Dame des Enfants, a Nîmes, e hanno usato degli escrementi umani per disegnare una croce su un muro; delle ostie consacrate sono state ritrovate all'esterno della chiesa, in un bidone della spazzatura. A febbraio, la chiesa di Saint-Nicolas, a Houilles, è stata vandalizzata per ben tre volte; una statua del XIX secolo della Vergine Maria, il cui danno è considerato "irreparabile", è stata "letteralmente polverizzata", secondo un sacerdote; e una croce appesa a un muro è stata gettata sul pavimento. Vandali hanno profanato e distrutto croci e statue nella Cattedrale di Saint-Alain, a Lavour, e hanno mutilato in modo beffardo le braccia di una statua di Cristo in croce. Inoltre, una tovaglia d'altare è stata bruciata. Piromani hanno incendiato la chiesa di Saint-Sulpice, a Parigi, dopo la messa di mezzogiorno, domenica 17 marzo. Episodi simili hanno luogo anche in Germania. Quattro chiese sono state vandalizzate e/o incendiate solo a marzo. "In questo paese", ha spiegato PI-News , "è in corso una guerra strisciante contro tutto ciò che simboleggia il Cristianesimo: attacchi ai danni delle croci poste in cima alle montagne, delle statue sacre per strada, delle chiese (...) e di recente anche dei cimiteri". Ma a chi va attribuita la responsabilità di questi attacchi continui e sempre più numerosi contro le chiese europee? Lo stesso sito di informazione tedesco fornisce un indizio: "Le croci vengono spezzate, gli altari distrutti, le Bibbie incendiate, le fonti battesimali rovesciate e le porte delle chiese imbrattate con espressioni islamiche del tipo 'Allahu Akbar'". L'11 novembre 2017, un altro sito di notizie tedesco ha rilevato che solo nelle Alpi e in Baviera sono state attaccate circa 200 chiese e molte croci sono state spezzate: "La polizia è sommersa di segnalazioni di profanazioni di chiese.


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I perpetratori sono spesso giovani rivoltosi con un background migratorio". Sono anche descritti come "giovani islamisti". Talvolta, purtroppo, nelle regioni europee con la presenza più consistente di musulmani, sembra esserci un aumento concomitante di attacchi contro le chiese e i simboli cristiani. Prima del Natale 2016, nella regione tedesca del Nord Reno-Westfalia, dove risiedono più di un milione di musulmani, una cinquantina di statue cristiane (tra cui quelle di Gesù) sono state decapitate e i crocifissi sono stati frantumati. Nel 2016, poco dopo l'arrivo in Germania di un milione di migranti, per lo più musulmani, un quotidiano locale riportò che a Dülmen, una città con meno di 50 mila abitanti, "non passa giorno senza che le statue religiose siano attaccate nel centro urbano e nelle immediate vicinanze". Anche in Francia sembra che laddove aumenta il numero dei migranti musulmani si moltiplicano altresì gli attacchi contro le chiese. Uno studio del gennaio 2017 ha rivelato che in Francia "gli attacchi islamisti contro i cristiani" sono aumentati del 38 per cento, passando da 273 assalti nel 2015 a 376 nel 2016; la maggior parte è stata perpetrata durante il periodo natalizio e "molti degli attacchi sono avvenuti nelle chiese e in altri luoghi di culto". Come esempio tipico, nel 2014, un musulmano "vandalizzò" l'antica chiesa di Saint-François de Sales e quella di Saint-Hippolyte, a Thonon-les-Bains. Secondo un report (corredato di foto), l'uomo "ha rovesciato e frantumato due altari, i candelabri e i leggii, ha distrutto le statue, ha demolito un tabernacolo, ha piegato una croce di bronzo massiccio, ha sfondato una porta della sacrestia e ha perfino rotto alcune vetrate commemorative". Ha inoltre "calpestato" l'Eucarestia. E molti sono gli esempi simili in altri paesi europei. In quasi tutti gli episodi di attacchi ai danni delle chiese, le autorità e i media nascondono l'identità dei vandali. In quei rari casi in cui l'identità musulmana (o "migrante") degli iconoclasti è trapelata, questi profanatori vengono poi presentati come delle persone che soffrono di problemi di salute mentale. Come ha scritto di recente PI-News: "Quasi nessuno scrive e parla dei crescenti attacchi contro i simboli cristiani. In Francia e in Germania c'è un eloquente silenzio riguardo allo scandalo delle profanazioni e sull'origine dei perpetratori. (...) Non una parola, nemmeno il minimo indizio che potrebbe in qualche modo indurre a sospettare dei migranti. (...) Non sono i criminali che corrono il rischio di essere messi al bando, ma coloro che osano associare la profanazione dei simboli cristiani all'importazione degli immigrati. Vengono accusati di odio, di discorsi di incitamento all'odio e di razzismo". Raymond Ibrahim* *è autore di un nuovo libro , Sword and Scimitar, Fourteen Centuries of War between Islam and the West, è Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute e Judith Rosen Friedman Fellow presso il Middle East Forum. tratto da: https://it.gatestoneinstitute.org/

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LE PAROLE SONO IMPORTANTI INCIPIT Non se ne può davvero più di sentire utilizzare a sproposito termini come "élite", "radical chic", "populisti". E anche sul termine "destra" vi è molto che non va. UN PO' DI ORDINE NEL CAOS TERMINOLOGICO Mercoledì, 10 aprile. Ernesto Galli della Loggia, in un articolo sul "Corriere della Sera", lancia quattro proposte per battere l'ignoranza. Le proposte, ovvie e scontate, non possono che essere da tutti condivise: buona scuola; lettura, libri, giornali, trasmissioni radiotelevisive ad hoc per combattere anche la disinformazione mediatica; eliminazione del degrado nelle periferie. Il quarto punto è un po' meno condivisibile perché prevede una ridefinizione del ruolo delle giurie popolari nei processi, che andrebbero equiparate a quelle che operano nei sistemi di "common law". Non sono d'accordo, ma è chiaro che ognuno è libero di pensarla come vuole. Nel costrutto dell'articolo è ben evidente la critica a coloro che, a suo giudizio, sono i primi responsabili della mancata attuazione di quei presupposti che avrebbero favorito l'ignoranza, accusandoli di non aver fatto nulla per difendersi e per attenuare l'immagine della propria lontananza dalla maggioranza dei cittadini. Per lo più si rivolge ai suoi amici di sinistra. Giovedì, 11 aprile, programma televisivo "Piazzapulita". E' ospite nello studio di Formigli l'ex presidente del Consiglio, Enrico Letta, che parla del suo ultimo libro, nel quale ha letteralmente massacrato l'area politica di sinistra, di cui fa parte. Apparentemente i due personaggi meriterebbero un plauso per quanto asserito, ma così non è. I destinatari principali del loro messaggio, infatti, sono coloro che, con un termine abusato, definiscono "l'élite" del paese. E qui casca l'asino, per molteplici ragioni. Se prendiamo un qualsiasi dizionario, la definizione ricorrente di "élite" è la seguente: "Ristretto gruppo di persone al quale, rispetto alla restante parte della popolazione di riferimento, vengono attribuite specifiche o generiche superiorità in fatto di raffinatezza, ricchezza e livello sociale". Più esplicito è il dizionario Treccani: "L'insieme delle persone considerate le più colte e autorevoli in un determinato gruppo sociale, e dotate quindi di maggiore prestigio". Per Vilfredo Pareto l'élite è composta "dagli individui più capaci in ogni ramo dell'attività umana, che, in una determinata società, sono in lotta contro la massa dei meno capaci e sono preparati per conquistare una posizione direttiva". Sarebbe il caso, pertanto, che la si smettesse con la bufala di considerare "élite" coloro che, con


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termine più appropriato, si possono definire solo dei "parvenu". Hanno provocato disastri; non hanno storie personali e familiari significative né retaggio ancestrale di peso; sono figli e nipoti del sessantotto, del sei politico, delle lauree comprate e regalate, di studi posticci e farraginosi. In poche parole, per il semplice fatto che idealmente si rifanno a politiche decadenti, dannose e anacronistiche, avendo dimostrato in mille occasioni di essere inadeguati alla gestione di qualsiasi potere, per inettitudine o per la propensione a utilizzarlo per fini personali (quando i "parvenu" conquistano il potere devono soprattutto sedare la loro fame di ex poveracci), costituiscono una vera e propria zavorra della quale prima ci si libera totalmente e meglio è. Intanto, basta con "élite". Allo stesso modo occorre smetterla di definirli anche "radical chic". Radicale deriva da "radici" e le "radici" di quei soggetti, ben conoscendole, andrebbero essiccate con i più potenti pesticidi. In quanto al termine "chic", la sua accezione positiva, che caratterizza eleganza e raffinatezza, davvero suona stonata se tributata a dei parvenu da quattro soldi, che avranno anche i soldi (spesso rubati) per comprarsi la barca, scarpe e abiti firmati, ma stanno alla vera raffinatezza e alla vera eleganza come un vinello da novanta centesimi, magari annacquato dall'oste disonesto, sta a un Granbussia Barolo Riserva DOCG Millennium Collection. Le parole sono importanti: usiamole correttamente. Il termine "populista" è utilizzato con intenti dispregiativi per definire tutti coloro che non si riconoscono "nell'armata brancaleone" dei parvenu di cui sopra. Chi scrive questo articolo, pertanto, sarebbe un "populista". Va benissimo così e per amor di sintesi evito anche una lunga e complessa trattazione del termine, per caratterizzarne radici, sviluppo ed essenza, rimandandola ad altra occasione, magari in un numero speciale dedicato all'argomento, nel quale fare chiarezza anche su un altro termine utilizzato in modo distonico, insieme con i suoi derivati: "liberale". Ho la presunzione di poter affermare, infatti, che se una persona come me viene definita "populista", il termine potrà anche assumere mille forme, ma tutte resteranno confinate nell'area del "Bene". Ne fa specie la storia personale e il prezzo salatissimo che coscientemente ho pagato e continuo a pagare per essere ciò che sono: una persona libera. LA DESTRA Dopo aver liquidato, senza sprecare troppo spazio, fastidiosi luoghi comuni, soffermiamoci con più attenzione sul termine "destra", pregno di una distonia terminologica ben più grave di quelle succitate. Oggi si continua a parlare di "destra" riferendosi ad alcuni partiti presenti nel Parlamento e ad altri gruppi e partiti minori, per lo più operanti a livello associativo. Ognuno è libero di definirsi come vuole, per carità. E' cosa buona e giusta, tuttavia, soprattutto per rispetto di chi del termine sia un legittimo tributario, e ancor più per i tanti che lo abbiano onorato in passato, magari rimettendoci la vita, fare chiarezza sulla sua vera essenza. L'argomento è stato diffusamente trattato più volte in questo magazine, ma evidentemente "repetita iuvant". Innanzitutto sfatiamo l'ennesimo luogo comune, che si sente ripetere come un mantra da più parti: destra e sinistra sono concetti anacronistici, da sostituire con nuove definizioni della realtà

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sociale, più attinenti al tempo presente. Balle. E' il vuoto ideale e culturale del tempo presente che non rende pienamente fruibili i termini "destra" e "sinistra", grazie all'affermazione di marionette senz'arte né parte che, su entrambi i fronti, li hanno snaturati La crisi sociale è oggetto di altre analisi, che continueremo a produrre con la dovuta attenzione. Qui, pertanto, ci soffermiamo solo sulla questione terminologica. Essere di destra non vuol dire "occupare uno spazio politico", ma essere portatore sano di valori autentici, che traspaiono senza eccessiva fatica, con estrema naturalezza. Un uomo "autenticamente" di destra non ha mai bisogno di alzare la voce e la sua autorevolezza gli viene riconosciuta senza riserve. Un uomo "autenticamente" di destra non ha complessi di inferiorità, ma soprattutto non ha "complessi di superiorità": è superiore senza alcun complesso e, in ogni circostanza, rappresenta l'esempio da imitare. Ha la vista lunga, ha la capacità di capire gli scricchiolii della storia e quelli del proprio tempo, è raffinato, colto, intelligente. Un uomo "autenticamente" di destra non è razzista, perché riconosce una sola razza: quella umana; ha una grande apertura mentale e sa ben coniugare la migliore Tradizione con il mondo in perenne evoluzione, senza mai lasciarsi travolgere e surclassare dagli eventi, che domina con il piglio e la fierezza di chi sappia andar per mare domando le onde. Il suo approccio con la scienza non è mai fuorviante e scioccamente ideologico, ma accorto e saggio. Può anche credere in qualche Dio, ma non si sogna di mettere in discussione le scoperte scientifiche per mero opportunismo fideistico e non infonde al suo credo alcun radicalismo intriso di violenza. Un uomo "autenticamente" di destra è onesto e la sua onestà non è una conquista: è nel DNA. Conservo ancora, in una vecchia agenda dei primi anni settanta del secolo scorso, una romantica definizione della destra, concepita dal compianto avvocato Franco Franchi, deputato del MSI dal 1963 al 1992. Mi fa piacere riproporla, nel commosso ricordo di tempi lontani, intrisi di sincera idealità. Destra: segno della vita, dell'ordine, dell'intelligenza, del coraggio, della fedeltà. 1) Segni della vita. Il tempo scorre a destra: per misurarlo le lancette dell'orologio girano a destra; le piante rampicanti si attorcigliano al sostegno con spirali a destra; le conchiglie univalve dei gasteropodi mostrano la spirale a destra; i motori ruotano verso destra; in inglese, per definire un "galantuomo", si dice "right hand man"; 2) Segni dell'ordine. Il figlio dell'uomo è seduto alla destra del padre; tenere la destra è garanzia di disciplina nel traffico automobilistico; cedere la destra è segno di cortesia. 3) Segni dell'intelligenza. Di un inetto si dice che è un "maldestro"; un artista crea quando gli viene il "destro"; destreggiarsi: superare con intelligenza le difficoltà. 4) Segni del coraggio. Destriero: cavallo da battaglia coraggioso, agile, generoso; 5) Segni della fedeltà. "Alicui fidem dextramque porrigere" (Cicerone) - Porgere la destra in segno di fedeltà; Ogni contratto d'onore si sancisce stringendo la mano destra; Si giura alzando la mando destra (in passato ponendola su un testo sacro). "Il saggio ha il cuore alla sua destra, ma lo stolto l'ha alla sua sinistra" (Ecclesiaste 10:2 - secondo i libri sapienziali della Bibbia il cuore ha la stessa valenza che per noi contemporanei ha la mente).


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Con questi presupposti, come si fa a definire di "destra" qualcuno che risulti amico intimo di Berlusconi, ne sia alleato si renda suo complice sostenendone le malefatte? Diciamolo a chiare lettere, pertanto, ancora una volta: in Italia, attualmente, non esiste una "destra" degna di questo nome, con significativa rappresentanza politica. Esistono solo tante persone che, degnamente, possono definirsi di destra. CONCLUSIONI Nel 1995 è uscito un bel film diretto da Rob Reiner e interpretato da Michael Douglas: "Il presidente - Una storia d'amore". Il popolare attore interpreta il ruolo di un presidente vedovo, con figlia dodicenne, che s'innamora di una brava avvocatessa ambientalista. Nel corso della campagna per l'elezione al secondo mandato, il suo antagonista, il senatore Bob Rumson, lo attacca in tutti i modi possibili con argomentazioni pretestuose, strumentali e calunniose. Con grande maestria il regista mette in luce la nobiltà d'animo del presidente in carica e la pochezza del senatore, che chiude ogni discorso affermando: "Mi chiamo Bob Rumson e sarò il presidente". Nel discorso finale, un vero capolavoro di dialettica politica, il presidente uscente massacra letteralmente il rivale, facendo appello al carattere come elemento primario per poter guidare un paese complesso come l'America, invitandolo anche a riconsiderare le squallide modalità compartimentali. Nelle battute conclusive, afferma testualmente: "Se vuoi discutere di carattere, dell'America e dei suoi valori, avanti: dimmi solo dove e quando e subito apparirò. E' il momento di persone serie, questo, Bob, e i tuoi quindici minuti sono passati. Io mi chiamo Andrew Sheperd e sono il presidente". Da troppo tempo vedo somari che si danno arie da cavalli da corsa, pennivendoli che si spacciano per giornalisti, portaborse che si credono politici e a volte lo diventano, per poi sentirsi statisti. Essendo veramente stufo, voglio anche io rivolgere un messaggio ai parvenu di ogni ordine e grado: "L'Italia è un grande paese, egregi parvenu inutili e dannosi. E' il momento di persone serie, questo, che devono riparare i tanti danni da voi causati. Il vostro quarto d'ora, che è durato anche troppo, è passato. Io mi chiamo Pasquale Michele Pompeo Lavorgna detto Lino, alias Galvanor da Camelot il cavaliere errante, figlio di Lorenzo detto il Buono e di Giuseppina Federico, la Maestra, discendente della stirpe di Gambara, Ibor e Aio e di quel fiero popolo che, sin dalla notte dei Tempi, dalle sponde della Scania s'irradiò nel cuore dell'Europa, per poi calare in Italia quindici secoli orsono, al seguito di Re Alboino, e faccio parte "dell'Élite" di questo Paese. Quella vera". Lino Lavorgna

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LA BATTAGLIA DI TRIPOLI E I DANZATORI ITALIANI SUL TITANIC Gli errori in politica si pagano. E di errori l'Italia, sulla questione libica, ne ha commessi tanti. Dall'escalation del 2011, che portò alla caduta del regime di Mu'ammar Gheddafi, i governi italiani, tutti, non ne hanno azzeccata una. Oggi, nel tempo storico dei leghisti e dei grillini, non si riesce a capire se l'Italia abbia una propria linea strategica per la soluzione del rompicapo libico, e quale. Acclarato che la sorte del Paese nordafricano sia destinata a incidere sulla stabilità economica e sociale dell'Italia, Roma avrebbe dovuto agire con maggiore decisione e, quando gliene è stata offerta l'occasione, "mettere gli scarponi" sul suolo libico alla testa di una forza militare multinazionale di peacekeeping. Ma la politica nostrana ha avuto paura di sporcarsi le mani preferendo le cosiddette "vie diplomatiche" che non hanno portato a nulla se non a finire fuori pista. Roma ha deciso di puntare sulla presidenza di Fayez al Sarraj pur consapevole che il leader libico sarebbe stato debolissimo non avendo alle spalle un esercito organizzato ma solo le milizie delle tribù alleate, mentre ha assistito inerme alla lievitazione del "fenomeno Haftar". Il "generalissimo" della Cirenaica, che prova a conquistare Tripoli, non è un eroe del popolo, portato sugli scudi dal vento della rivoluzione. Piuttosto, è una figura ambigua. Come soldato non è stato granché. Fedelissimo di Gheddafi, che lo aveva messo al comando dell'esercito, fu cacciato dal dittatore quando nel 1987 rimediò un'umiliante sconfitta nella disastrosa spedizione libica in Ciad. Lontano dalla sua patria, Khalifa Haftar ha vissuto comodamente da esiliato negli Stati Uniti, coccolato dall'intelligence americana, che lo considerava una preziosa fonte d'informazioni su Gheddafi. In Libia è tornato a insurrezione scoppiata per ritrovarsi da protagonista nella partita della ricostruzione. Il resto è cronaca. Haftar, giocando la carta dello sfruttamento delle risorse energetiche di cui il Paese è ricco, ha promesso guadagni in giro per il mondo, ottenendo che si componesse un variegato fronte di Paesi interessati a vederlo sul trono d'argilla di Tripoli. Francia, Egitto, Federazione Russa lo hanno posto sotto la loro ala protettrice. Gli Emirati Arabi e l'Arabia Saudita hanno aperto al feldmaresciallo i cordoni della borsa. Non propriamente per fare guerra, perché Haftar non ha la statura militare per reggere un conflitto aperto ma per fare ciò che in Libia sanno fare meglio: comprare e vendere. I soldi esteri sarebbero destinati a comprare la fedeltà delle tribù che finora hanno appoggiato il nemico alSarraj. Se lo shopping tra le milizie gli dovesse riuscire la Libia è sua. A fronte di questa possibilità, l'Italia sembra essersi liquefatta. Colpa dell'attuale Governo che,


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come quelli che l'hanno preceduto, non ha voce sufficiente per imporsi. Eppure dovrebbe. Posto che la situazione sia seriamente compromessa ma non ancora perduta vista la reazione difensiva di al-Sarraj, Roma dovrebbe forzare la mano con un gesto eclatante, tale da rompere gli schemi che si vanno configurando. Nell'eventualità che Haftar avesse la meglio su al-Sarraj bisognerebbe fargli trovare la mucca nel corridoio, per dirla alla Pierluigi Bersani. Occorrerebbe che un contingente del nostro esercito fosse spedito nelle prossime ore a Tripoli per rafforzare la presenza italiana in loco. Al momento è attiva la missione bilaterale di assistenza Miasit. "La nuova missione, che ha avuto inizio a gennaio 2018, ha l'obiettivo di rendere l'azione di assistenza e supporto in Libia maggiormente incisiva ed efficace, sostenendo le autorità libiche nell'azione di pacificazione e stabilizzazione del Paese e nel rafforzamento delle attività di controllo e contrasto dell'immigrazione illegale, dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, in armonia con le linee di intervento decise dalle Nazioni Unite" (fonte: Ministero della Difesa). La missione impegna in territorio libico 400 militari, 130 mezzi terrestri e navali per, tra gli altri compiti, "fornire attività di formazione, addestramento, consulenza, assistenza, supporto e mentoring a favore delle forze di sicurezza e delle istituzioni governative libiche, in Italia e in Libia, al fine di incrementarne le capacità complessive" nonché "garantire un'adeguata cornice di sicurezza/force protection al personale impiegato nello svolgimento delle attività/iniziative in Libia". Non occorre alcun consenso internazionale per decidere bilateralmente il potenziamento del contingente e la sua dislocazione in posizioni sensibili (porti, aeroporti, impianti petroliferi, ospedali, siti di accoglienza dei migranti). Haftar sconfigge al-Sarraj? Pazienza, ma almeno prepariamogli il benvenuto con qualche migliaio di nostri soldati armati ed equipaggiati di tutto punto sparpagliati tra Tripoli e dintorni. Oltre che ubbidire agli sponsor Haftar sarà costretto a negoziare anche con Roma. Con un problema in più. Il pretesto di un'improvvisa ripresa in massa di emigrazione clandestina verso l'Italia autorizzerebbe il Governo italiano ad applicare il blocco navale fuori le coste libiche. Purtroppo, non abbiamo una classe politica, in maggioranza o all'opposizione, all'altezza del compito. A Roma i leader della maggioranza si cappottano in un assurdo testa-coda sulla polemica dei porti da tenere chiusi o aperti nel caso si verificasse una fuga in massa di civili dalla Libia. Insomma, si litiga sul come affrontare l'eventuale problema a valle, negando la possibilità d'intervenire a monte perché la catastrofe non si determini. Qui non ci sono classifiche da fare sulle poche diottrie di leghisti e grillini. Sbagliano entrambi ad ignorare il dato fondamentale: una Libia strappata all'influenza italiana renderà più precaria la sicurezza dell'Italia a prescindere dal numero degli immigrati che proveranno a sbarcare sulle sue coste. Il premier Conte ha incontrato il braccio destro di al-Sarraj, vicepresidente del Consiglio presidenziale Ahmed Maitig e il ministro degli esteri del Qatar, Mohamed al Thani. Presumibilmente entrambi gli emissari hanno chiesto lumi sulla posizione del Governo italiano. Giuseppe Conte, in conferenza stampa, ha ribadito che l'Italia è per il cessate-il-fuoco immediato

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e il contestuale ritiro delle truppe di Haftar dalla Tripolitania. Ma è ipotizzabile che gli interlocutori abbiano sollecitato un sostegno più concreto nel caso, abbastanza prevedibile, che l'appello a deporre le armi cada nel vuoto. La domanda che rivolgiamo al premier è la seguente: se Haftar ci ignora che si fa? Si resta a guardare impotenti il precipitare della situazione? Siamo chiari: reagire non significa andare a immischiarsi in una guerra che non potremmo combattere ma marcare una presenza fisica, sotto forma di difesa degli interessi italiani in loco e dei siti sensibili; di soccorso nel quadro dell'emergenza sanitaria; di protezione umanitaria delle popolazioni civili bombardate e degli immigrati presenti nei campi di trattenimento nell'area della Tripolitania. E Salvini? Bisogna essere realisti nei momenti cruciali per la vita del Paese. Il leader leghista ha molte qualità ma non ha ancora dimostrato di avere la capacità di lettura del quadro d'insieme geopolitico che deve appartenere a uno statista. Troppo impegnato nella propaganda spicciola per sperare che sollevi lo sguardo dalle vicissitudini quotidiane e punti l'occhio su Tripoli. Quindi, sull'affaire Libia prepariamoci al peggio. Se al-Farraj cade diciamo per sempre addio al bel suol d'amore. Con Haftar al potere assoluto per mantenere uno straccio di relazione con la nuova Libia il Governo italiano dovrà fare la spola tra l'Eliseo e Abu Dhabi. Che non è proprio il massimo per una storia durata uno secolo. Cristofaro Sola


SCIENZA & TECNOLOGIA

I DISCHI VOLANTI SONO TRA NOI A bassa velocità, funziona come un quadricottero, ad alta velocità, è un velivolo supersonico con propulsione a getto, il cui corpo intero agisce come un'ala a bassa resistenza. Queste sono le affermazioni dei creatori rumeni di questo disco volante progettato per offrire un'agilità aerea senza precedenti in un'ampia gamma di velocità. ADIFO o All-DIrectional Flying Object, è una macchina volante progettata per "cambiare il vero paradigma del volo", secondo l'ingegnere e inventore Razvan Sabie. Sabie ha lavorato con l'esperto aerodinamico Iosif Taposu (Senior Scientist presso l'Istituto Nazionale per la Ricerca Aerospaziale della Romania e ex Capo dell'Aerodinamica Teorica presso l'Istituto Nazionale di Aviazione) per sviluppare il concetto e ha costruito un prototipo funzionante con un 1,2 metri (3,9 piedi) ) diametro per il test. In poche parole, ADIFO è un aereo a forma di disco la cui intera superficie è un'ala. In particolare, è modellato con un profilo che si irradia in tutte le direzioni dal centro. Il bordo esterno si assottiglia su un anello sottile, rendendolo estremamente efficiente nel volo orizzontale. Le VTOL e le manovre a bassa velocità sono gestite da quattro ventole intubate, che consentono all'ADIFO di funzionare come un normale drone quadcopter. Ci sono anche due getti sul retro (sostituiti nel prototipo da ulteriori ventilatori elettrici) che forniscono una spinta orizzontale, e che possono anche operare individualmente per ottenere un alto grado di agilità nel volo livellato. Alle alte velocità, deii piccoli dischi possono coprire i ventilatori del quadricottero per un profilo ancora più liscio, allo stesso modo le "gambe" si possono ritrarre. Il tocco propulsivo finale è un insieme di due ugelli di spinta laterali che funzionano come i propulsori del sistema di controllo della reazione su un veicolo spaziale. In volo orizzontale, questi consentono ad ADIFO di spostarsi rapidamente lateralmente in entrambe le direzioni o di ruotare molto rapidamente mentre vola. Questo, secondo Sabie, gli conferisce capacità di manovra ineguagliate da qualsiasi altra cosa nell'aria, senza la necessità di ali separate, alettoni, timoni o flap. C'è di più: volerà sottosopra, sia in modalità quad che in volo orizzontale, con i jet giusti sarà estremamente efficiente in quanto transonico e supersonico, tra l'altro non genera alcun boom sonico nel passare a velocità ultrasonica. Mentre il prototipo è ovviamente senza equipaggio e radiocomandato, il team di ADIFO afferma che ha il potenziale per democratizzare il volo supersonico se viene incorporato in un aereo con equipaggio singolo o multi-posto con un sistema di propulsione ibrido elettrico / a getto.

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SCIENZA & TECNOLOGIA

Sarà interessante vedere come il team risolverà la visibilità del pilota nel mix e quale tipo di schema di controllo è necessario per gestire la varietà di modalità di volo e le opzioni di controllo del disco volante. È un'idea affascinante, e potrebbe chiaramente offrire capacità di volo acrobatico. Sicuramente non c'è nient'altro che possa librarsi e muoversi come un drone, offrendo anche prestazioni estreme ad alta velocità e la possibilità di girare selvaggiamente o improvvisamente produrre spinta in cinque diverse direzioni. La mente si blocca solo a pensare a cosa potrebbe fare nelle mani di un pilota ben addestrato. Allo stesso tempo, non sembra una cosa ridicolmente inverosimile da costruire. Ci sono già molti multirotori elettrici con equipaggio, con più o meno gli stessi tipi di capacità che ADIFO promette nel volo a bassa velocità. Queste cose stanno accadendo, nessuno ha alcun dubbio. Sabie e Taposu sono alla ricerca di partner per portare ADIFO nelle prossime fasi di sviluppo. Gustavo Peri


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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

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