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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

Numero 70 Dicembre 2018 Gennaio 2019

FONDAMENTALISMO

Buone Feste


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Confini Webmagazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 70 - Dicembre 2018/Gennaio 2019 Anno XXI

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato:

Anonimo Gianni Falcone Roberta Forte Lino Lavorgna Gustavo Peri Antonino Provenzano Angelo Romano Gianfredo Ruggiero Cristofaro Sola Andrea Torresi +

Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone

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EDITORIALE

ALLE SORGENTI DEL VIZIO Alla radice del fondamentalismo c'è sempre una connessione con l'idea di divino e del potere che deriverebbe agli interpreti autentici di tale idea: il Dio vendicativo e intransigente dell'antico testamento con i corollari del demoniaco e dell'eresia, l'Allah di un Corano che non evolve, la dea ragione di certo giacobinismo, il ritenersi dèi incarnati come è accaduto ed accade in alcune monarchie e dittature, far assurgere i dettami di un'ideologia a verità assolute e indiscutibili come nei comunismi ed in certi fascismi, assimilare la gestione del potere ad un "totem" regolatore di ogni vita, come accade in Cina ed in alcune nazioni dell'Africa. La divinità è l'utero nel quale germina e cresce il fondamentalismo. L'odio contro gli ebrei trova la più lontana delle sue origini nell'aver fatto crocifiggere il figlio di Dio, le persecuzioni di Roma contro i cristiani nacquero perché la "supertizio", ossia l'eccessivo timore verso gli dei, era fonte di sospetto e disordini, andava quindi proibita come era già stato per il druidismo ed il culto di Iside e le successive persecuzioni dei cristiani contro i pagani furono giustificate dall'eresia, rispetto ad una religione ormai divenuta di stato. Tutti i sedicenti "assoluti": religioni, diritto divino, idelogie totalizzanti sono state fonti di persecuzioni, di ingiustizie, di violenza e di morte fin dalla notte dei tempi. Eppure tutte hanno predicato in qualche forma amore, bene comune, compassione e custodia di una presunta verità sempre da opporre ad altre presunte verità. E se l'infallibilità del Papa cristiano è una ed unica, non così per i fedeli del Corano tra i cui seguaci vi è una pletora di interpreti "patentati", ciascuno con una sua "infallibilità" che ha effetto su una specifica cerchia di fedeli e forte ascendente nella lotta agli infedeli che vanno colpiti, senza compassione, anche e soprattutto in luoghi simbolo come i mercatini del Natale. Dal credere ciecamente, dalla fede incrollabile in un "verbo" religioso o ideologico che sia, nasce il fanatismo, l'obbedienza "cieca, pronta e assoluta" che, quando scientemente strumentalizzata, non si arresta di fronte a nulla, a nessun abominio, ad alcuna strage di "infedeli". Nell'opulento, pigro e decadente Occidente un dio, vecchio e nuovo allo stesso tempo, va facendosi spazio inesorabilmente: il denaro. Non a caso gli Stati Uniti sorsero per un problema di tasse e per la stessa ragione nacquero i parlamenti e, quindi, l’avvento delle cosiddette democrazie.. La ricchezza deificata non promette gioie ultramondane, ma felicità e benessere su questa terra sia pure, nei fatti, secondo la vecchia regola:” molti i chiamati, pochi gli eletti”.


EDITORIALE

Le sue tavole sono le leggi di mercato, i suoi ministri i signori della finanza. Ma si tratta di una felicità per pochi, sempre più pochi man mano che aumentano le loro sterminate ricchezze, non importa se per accumularle si crei povertà e miseria per le masse e che il pianeta rischi di diventare sterile in poco tempo. L’avidità ha soppiantato la coscienza. E dove questa resiste si usa la propaganda per fiaccarla il cui cavallo di battaglia si chiama tolleranza. Questa, come la compassione delle religioni, postula l’accettazione acritica dell’altro, anche se “brutto e cattivo”, l'abbattimento dei confini, la diluizione delle identità, il livellamento delle specificità nel nome del dio mercato i cui servitori non sono fanaticamente dissimili da ogni altro fanatico. Chi sbaglia, chi si indebita troppo, chi non rispetta il mercato, chi si preoccupa oltre il lecito della socialità e del benessere collettivo, chi non ha i conti in ordine va punito con le sofferenze inflitte ai popoli. E questo genera altri fanatismi come il neo giacobinismo pauperista, come coloro che si oppongono - novelli luddisti - a qualunque cambiamento o innovazione, come quanti, col cuore verde mela, pensano che per salvare il pianeta occorre fermare qualunque progresso umano. Eppure, persino nei chiusi templi dove si predica la tolleranza come strumento per realizzare "libertà, uguaglianza e fratellanza", si prescrive di scavare profonde ed oscure prigioni al Vizio. Angelo Romano

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SCENARI

FONDAMENTALISMO Signore e signori, medames et messieurs, ladies and gentlemans, squillino le trombe e rullino i tamburi, sventolino i gonfaloni, entrino i giocolieri e i saltimbanchi, ed i giullari si apprestino alla recita del mistero buffo: reduce da eclatanti successi internazionali, ecco a voi: il fantafondamentalismo, ultima trovata del postmodernismo. Diciamolo. Quando Jean-François Lyotard nella sua opera La Condition postmoderne: rapport sur le savoir1, parlò per la prima volta di 'postmodernismo', legandolo al concetto di 'verità' che a seconda dei contesti assume significati totalmente differenti, era il 1979 e il mondo era, tutto sommato, ancora un luogo dove ancora esistevano fonti autorevoli del 'sapere'. In ogni caso, nella società abitava ancora una coscienza che potremmo definire 'popolare', fatta di tradizioni, culture, valori, ideali che consentiva di prendere o lasciare ciò che veniva propinato come 'verità'. Va da sé, ad esempio, che la tesi darwiniana in merito all'evoluzione già si scontrava con quella religiosa della creazione; ambedue sotto l'egida della 'verità' snocciolavano (e continuano a farlo) le loro 'inconfutabili' considerazioni, come grani di un rosario. Ed era logico (e persino naturale) che un 'credente' propendesse per l'una mentre un ateo o uno scienziato prediligesse l'altra. E non ha minimamente disturbato queste due teorie la scoperta dell'Eva mitocondriale, risalente dai 99.000 ai 200.000 anni fa, dalla quale sembra discendano tutte le donne del mondo. Non l'ha fatto, sebbene incasini un po' la cronologia delle suddivisioni antropologiche, perché la nostra Eva può essere comunque ricondotta sotto la prima o la seconda fondamentale, irrinunciabile, tesi: la creazionista e l'evoluzionista. Comunque, quanto sopra, tutto sommato, non ha smosso altro che parole: può aver scaldato gli animi ma non ha sollevato altro che il tono della voce. Oh! Intendiamoci: questo dipende dai periodi. Certamente nel 1979 uno scienziato poteva tranquillamente affermare i suoi convincimenti senza temere il 'fondamentalismo' ecclesiale, cioè il rogo. Galileo, a differenza dei suoi tempi, nel 1979 avrebbe potuto tranquillamente disquisire sul suo eliocentrismo, senza aver bisogno di affermare sommessamente: Eppur si muove! uscendo dal tribunale dell'Inquisizione dopo l'abiura. Avrebbe potuto trovare sostenitori del suo pensiero e manifestanti per la modifica dei percorsi didattici. Avrebbe potuto fare tutto questo, nell'autorevolezza delle sue fondamentali affermazioni, senza scalfire il contrariato, infondato 'fondamentalismo' religioso e senza subirne ritorsioni.


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Questo ci porta ad un'altra considerazione: la coesistenza 'pacifica' di tesi ed antitesi la possiamo collocare tra la fine del XVIII secolo e la fine del XX secolo. Non sono una patita della Rivoluzione Francese, anzi credo che gran parte dei mali odierni della società derivino proprio da quell'evento ma è innegabile che il turbine della laicità che mosse nel 1789 dal Club bretone a Versailles nell'ex convento domenicano di San Giacomo, abbia oltremodo ridimensionato il 'fondamentalismo' religioso: nel senso che ha annullato la sua capacità reattiva 'ufficiale'. Il che non è poco se si pensa che fino a pochi anni prima, in presenza di condotte e affermazioni, accertate o riportate, ritenute 'eretiche', si destinava il soggetto all'opera purificatrice del fuoco. Già … fino a quel periodo, il 'fondamentalismo' era appannaggio ecclesiale. La sua autorevolezza era indiscussa: piegava persino re e imperatori, induceva a muovere guerre, anche fratricide, e sovvertiva entità statali. L'aspetto umoristico è che non c'era bisogno di aggettivare come 'fondamentalista' quel comportamento perché non esisteva una diversa, autorevole espressione da contrapporgli: nessuno poteva rapportarsi e confrontarsi con l'azione indotta direttamente da Dio. Eppure, a mo' di spigolatura contrapposta, per applicare giustamente l'etichetta in questione bisognerà attendere la fine della Guerra Civile Americana quando all'interno della Chiesa Battista nacque una corrente di pensiero che intendeva opporsi al modernismo e al razionalismo teologici che si diffondevano fra i fedeli evangelici. Quella corrente, nel 1909, pubblicò una raccolta di dodici volumi di saggi, intitolata 'The Fundamentals', che esprimevano la volontà di riaffermare in modo dogmatico punti irrinunciabili della fede e postulavano, tra l'altro, la necessità di un credo facilmente comprensibile all'individuo, arricchito da una prospettiva politico-sociale, 'antiintellettuale' e 'anti-élite', cioè contro il pericolo di una società e di una morale 'degli avvocati e dei filosofi'. A quel credo 'protestante' compete ufficialmente l'etichetta di 'fondamentalista' e il fatto è, quale ulteriore considerazione, che quel 'vero' fondamentalismo, proprio perché marginale, non alterò minimamente né l'azione del clero universalistico né quella del potere secolare e né, tantomeno i rapporti tra i due poteri. Aspetto parimenti importante, peraltro, è che quel fondamentalismo non aveva una carica negativa come poi attribuito alle frange oltranziste islamiche. Rimasto confinato nella cronaca, soprattutto americana, è sbiadito nella nebbia dell'indifferenza all'interno di quei due secoli di convivenza 'felice' tra i poteri citati. Uno stato di 'grazia' che non venne mutato neppure quando il comportamento 'fondamentalista' in Europa mutò d'immagine e, anziché mosso dalla mano paludata di Dio, fu posto in atto esclusivamente da quella scarna degli uomini, dichiaratamente in nome del 'bene comune'. Detto così, si potrebbe anche ingenuamente pensare ad un filosofico richiamo allo Stato etico tratteggiato da Hobbes nel suo Leviatano o da Hegel nella sua Fenomenologia dello spirito. Il primo, britannico, sostenitore del giusnaturalismo e padre dell'Assolutismo, era del resto convinto che la natura umana fosse competitiva ed egoista (che precognizione!); dal che, regole comuni e il sacrificio di una parte di libertà, avrebbero ottenuto in cambio la tutela e il rispetto

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delle regole stabilite sotto l'occhio vigile di un unico grande rappresentante istituzionale, il Leviatano. Di contro, il secondo, Hegel, grande filosofo tedesco influenzato dalla cultura filosofica greca, nella sua concezione di 'Assoluto' non prescindeva dall'opera di Dio sia nelle leggi naturali che nelle attività umane. No. Lo Stato etico europeo non fu alcunché di tutto questo: il suo nome corretto è 'dittatura', intramezzata dove più e dove meno da intuizioni sociali. Nata per motivi diversi, dal Portogallo, alla Spagna, dall'Italia alla Germania, alla Russia, fu la realizzazione pratica di un 'fondamentalismo' che nell'interesse superiore, per quanto evanescente, dello Stato privò di ogni libertà interi popoli. Fortunatamente, la ventata 'fondamentalista' dittatoriale del XX secolo non ebbe (relativamente) vita lunga; un anelito se paragonato a quello ecclesiale, anche se produsse notevoli danni nel suo dispiegarsi. Una ventata, nella maggior parte dei casi, spenta in parte dalla deflagrazione della II guerra mondiale e, in altra parte, a distanza di tempo, dalla forza del denaro e del mercato. A quest'ultimo aspetto, ci arriveremo tra breve. Non sto qui a ripercorrere la storia delle dittature ma è innegabile che esse si atteggiassero in una singolare dignità, ammesso che in casi del genere si possa usare una tale accezione. E, proseguendo la licenza, non c'è altresì dubbio che esse, dichiaratamente, mirassero a rafforzare almeno lo spirito nazionale per stimolare un certo qual orgoglio d'appartenenza, anche in presenza di un esteso disagio sociale. Ciò che voglio dire, senza minimamente giustificare forme coercitive della libertà, è che in quei casi il 'colpevole' era noto: si poteva combattere, contro il potere da lui gestito si poteva lottare. In sostanza, se da un lato il dittatore doveva in qualche modo giustificare il suo operato e cercare di nobilitarlo, dall'altro il popolo soggiogato, in nome di audacia temeraria igiene spirituale un ideale, poteva avversarlo. Giocava la voglia di riscatto, la speranza di un domani migliore, il desiderio di assicurare alle generazioni successive la possibilità di costruirsi il futuro. Come detto, il 'fondamentalismo' dittatoriale è venuto meno in un tempo relativamente breve, seguito da una fase di stasi dove sembrava che il mondo (almeno quello occidentale) dovesse tornare a percorrere la strada dei valori e degli ideali, a promuovere cultura e a rinforzare la tradizione. Pareva che i popoli, quasi in una sorta di lavaggio purificatore dopo anni di costrizione, celebrassero quotidianamente alla vita e all'intelletto. Un po' come l'impulso che percorse l'Europa dopo la caduta di Napoleone. Anzi, sembrava addirittura che il 'Capitale', nell'illuminata Europa postbellica, potesse arrivare a capire e ad accogliere le problematiche che hanno sempre mosso il suo eterno interlocutore, il 'Lavoro', fino a configurare un particolare tipo di capitalismo, quello cosiddetto 'renano', dal volto buono, in contrapposizione a quello anglosassone, arido e indifferente. Quasi una dicotomia, analizzata, ad esempio, con puntualità e competenza da Michel Albert nel suo noto saggio 'Capitalismo contro capitalismo'2. E, a personale avviso, poco importa se quella caratteristica concezione di capitalismo trovò poi pratica applicazione solo in Germania (e, si pensi, nel lontano Giappone): nella restante Europa vennero comunque ripristinate e valorizzate quelle istituzioni, quei soggetti intermedi, che potessero consentire variegate forme di partecipazione sociale al governo dell'impresa e dello Stato.


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La Chiesa aveva un seguito ma era lo Stato a dettare le fondamentali parole d'ordine per il progresso. E non sono mancati esempi in Italia, sia sotto governi democristiani che socialisti, così come non sono mancati in Francia e in Germania. Certo, limitatamente all'Italia, potremmo dire che i 'dirigenti' di quegli anni, ed a ragione, non hanno incontrato una buona fine. Ma, cosa non da poco, conoscendoli, è stato possibile contestarli e farli cadere. Tuttavia, l'ho già scritto in precedenza ma giova ripeterlo, la loro azione, comunque la si voglia considerare, ha consentito a questo Paese di essere annoverato tra i Sette Grandi del mondo. Insomma, un periodo felice, una specie di età dell'oro simile a quella che Seneca nel suo Phaedra rappresenta come il paradigma ideale su cui Ippolito proietta lo stato felice della vita agreste (leggi, industriale). Purtroppo, quell'impulso magico ha ballato una sola estate, parafrasando l'omonimo film di Arne Mattsson. Ippolito, ignaro, incappava nelle macchinazioni di Fedra. Dalla fine del XX secolo, quasi sommessamente all'inizio, si è gonfiato un impetuoso uragano dal pomposo nome di 'modernismo', un impersonale fondamentalismo fatto di categorici imperativi che ha spazzato l'Europa cancellando tradizioni, valori e ideali, bollati come arcaiche strutture del pensiero umano; forme di tutela sociale sono state abbattute; capisaldi del diritto del lavoro sono stati cancellati e con essi la cultura del lavoro; le comunità, bollate come concezioni anacronistiche, sono state snaturate e sostituite da una indistinta dimensione globale e multietnica. Ecco. Da quegli anni, idealizzato come 'progresso', ha fatto la sua comparsa una sorta di totalitarismo, paradossale se si vuole vista la caduta delle ideologie, non nato nella mente dei suoi corifei bensì fatto di 'merce' d'importazione: una specie di relativismo culturale elevato a sistema dove le 'cure' importate non hanno minimamente funzionato neppure nei luoghi d'origine se non per creare profondi gap sociali. Inoltre, una volontà, mai ragionata abbastanza, ha portato alla realizzazione di un''unione' il cui punto di forza è una moneta comune, le cui basi sono inesistenti, che tuttavia, in un atteggiamento assolutamente fondamentalista, impone ai partecipanti non solo 'razionalizzazioni' della spesa pubblica ma anche e soprattutto gli obiettivi delle stesse 'razionalizzazioni', all'insegna di 'mobilità', 'flessibilità', 'variabilità', e quant'altro che, secondo i più accreditati vocabolari della lingua italiana, denoti instabilità e precarietà. Un tutto cavalcato paradossalmente da una 'politica' sedicente di sinistra. Un'opera alla quale la destra ha assistito dalla platea con il programma in mano e una sostenuta aria critica. Sprazzi del capitalismo renano sono rimasti in Germania (in Giappone è intatto) mentre nella restante parte d'Europa sono venuti meno tutti quei riflessi che una tale concezione aveva comunque indotto. E, ancora una volta Michel Albert, è stato puntuale quando nel 2001 ha scritto 'Capitalismo contro capitalismo - Dieci anni dopo'3. La prima a saltare è stata la solidarietà, la seconda la speranza. La cultura si è persa nelle querelle delle vajasse. E, a quel punto, ognun per sé, senza più un Dio per tutti. La regressione spirituale ha fatto il paio con una dilagante corruzione morale, la forza prevaricante ha sostituito il dignitoso dialogo e hanno preso a imperversare falsi idoli e maestri.

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Anche la borghesia bottegaia, negletta fino a pochi anni prima, ha rivestito la corazza di carta ed è scesa nell'agone per pretendere, gonfia della sua grettezza e del suo egoismo. Cancellato un passato e vanificato il futuro, l''io' e il presente sono stati (sono) i nuovi obiettivi da soddisfare. Ma l'opera di destabilizzazione sociale, morale, civile non era ancora compiuta: a completamento doveva subentrare un ulteriore fenomeno, il postmodernismo. Ciò che l'incedere 'modernista' non poteva distruggere era il significato tradizionale di parole come: libertà, verità, bellezza, bontà, ecc. A questo ci ha pensato il 'postmodernismo', appunto, legittimando il fatto che gruppi di persone possano utilizzare lo stesso linguaggio per indicare realtà molto diverse tra loro, soggettive e, spesso, prive di senso. Si pensi alla 'crescita', nuova parola d'ordine della società postmoderna, senza strumenti e percorsi di distribuzione del reddito e, di rimando, si pensi all'ineludibile dilagare della povertà. Si pensi alla 'libertà' tradotta in 'libertà di consumare'. Non amo Michel Foucault ma ha ragione quando afferma che la 4 formula dell'odierno liberismo non è più 'sìì libero' bensì 'ti procurerò di essere libero' . Analogamente, è il concetto di libertà ad essere profondamente alterato e, di rimando, il concetto filosofico che lo presiede. Così, oggi ci ritroviamo con argomentazioni postmoderniste che affermano come le condizioni economiche e tecnologiche della nostra epoca abbiano 'plasmato' una società decentralizzata e dominata dai media, nella quale le idee, come denuncia Scott Lash nel suo Modernismo e 5 postmodernismo , sono divenute semplici simulacri e solo rappresentazioni autoreferenziali e copie tra di loro. Insomma, stanno venendo meno fonti di comunicazione e di senso realmente autentiche, stabili otemeraria anche semplicemente oggettive. Sta venendo meno il concetto stesso di audacia igiene spirituale 'verità' perché ciascuno ha la sua. E non c'è modo e, soprattutto, tempo per verificare. Sono parole d'ordine. La 'viralità' di internet, peraltro, non ammette ritardi, riflessioni, riscontri. Vox populi, vox Dei come parafrasò Manzoni circa la folla che nei suoi Promessi Sposi metteva a ferro e a fuoco Milano. Ed a ferro e a fuoco viene messa la società, con danni in particolare sui giovani che, privi di tradizioni e di valori, nell'impossibilità oggettiva di pianificare il futuro, non trovano di meglio per essere ritenuti 'ganzi' che attraversare di corsa una strada trafficata, una ferrovia mentre passa un treno, gettare sassi dai cavalcavia autostradali, far scoppiare petardi in uno stadio o spruzzare peperoncino in una discoteca semplicemente per ridere del parapiglia, nonostante i loro atti procurino puntualmente dei morti. E ciò quando non ritengano di acquisire forza nel branco, incrementare a dismisura l'uso dei superalcolici, sperimentare le ultime forme di 'sballo' o frequentare siti che esaltano ogni bruttura del dark-web. In definitiva, come già scrivevo su 'Paradossi globali e paradossi locali' dello scorso aprile, ciò che emerge è una 'società' (sic) globale, interconnessa e 'culturalmente' pluralistica, priva di un reale centro dominante di potere politico, di comunicazione e di produzione intellettuale. A quel punto, il fondamentalismo ha trovato la sua glorificazione: non più emanante da un'autorità spirituale che, per quanto da criticare, trovava la sua giustificazione in una presunta volontà divina; non più proveniente da un'autorità secolare dittatoriale che, nel presunto nome di


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'nazione' e di 'popolo' toglieva libertà e imponeva una sua etica; e nemmeno più scaturente da una autorità politica che, sulla scia di un consenso, compiva atti, a volte anche paradossali e impopolari, in nome del progresso. Oggi, sono davvero pochi a rendersi conto che il fondamentalismo ha perso la sua connotazione umana per essere espresso da una entità aliena, perché lo ritroviamo in interposte persone che esprimono semplicemente la 'volontà' di un'impersonale autorità che si chiama 'mercato' per favorire il quale non c'è limitazione che tenga. L'aspetto che ne deriva, esilarante e drammatico al tempo stesso, è che i soggetti che oggi animano lo scenario politico, sociale e economico si qualificano come i portavoce di una tale autorità la quale detta le sue fondamentali, inappellabili direttive. Per cui, gli apparenti attori, per loro stessa ammissione, sono in realtà banditori, tutt'al più balivi, i quali non si peritano di affermare, appunto, che il loro agire è da attribuire ad una volontà superna, tesa d'altra parte a modificare il concetto stesso di Stato. L'aspetto ulteriormente esilarante è che la politica, a ben vedere, si è posta al servizio esclusivo di una 'pratica', di una 'mano invisibile', i cui effetti hanno assunto il potere di un fondamentalismo assolutista; e ciò è bizzarro se si pensa che nell'Occidente, civile e democratico si continua ad esaltare il diritto, la giustizia e la libertà, espressioni ed azioni intimamente legate alla volontà umana e non astratte. L'ennesima bizzarria, peraltro, riguarda il 'conflitto'. Nessuno si allarmi: esso è solamente inteso come quella contrapposizione tra capitale e lavoro, secolarmente celebrata nei testi di filosofia, filosofia del diritto, giuslavoristici e sociologici. Eppure, nemmeno un tale aspetto è sfuggito all'odierno assolutismo fondamentalista, nonostante la sua libertà sancita dalla Costituzione: si può scendere in piazza a protestare, dato che il concetto di democrazia è ormai sacralizzato, purché il conflitto sociale, per quanto colorato e fantasioso negli slogan, sia pacifico e rispettoso delle 'zone rosse': se trasgredisce queste regole, si trasforma automaticamente in 'facinoroso' e opinione pubblica, mass-media e politica gareggiano nel condannarlo senza neppure indagare sui motivi scatenanti. Un fondamentalismo, in estrema sintesi, che non ha volto, evanescente come l'aria che tuttavia, quando manca, inebetisce e asfissia. A questo punto mi accorgo di aver tracciato un quadro analitico quanto si vuole ma pessimista. E sebbene, più che all'eventuale lettore, sia servito a me per provare a ragionare, non voglio e non posso concludere senza una favilla di riflessione alternativa. Non voglio esaltare i 'facinorosi' e lungi da me ogni forma di violenza, ma mi chiedo (senza alcuna retorica), al di là del 'fondamentalista' Di Maio e del suo reddito di cittadinanza, cosa accadrebbe se invece del 2,4% di disavanzo, bocciato fermamente da Bruxelles, si portasse l'asticella al 3% per più adeguati, necessari investimenti per la ripresa? Si incapperebbe nella procedura d'infrazione? I mercati non nutrirebbero più fiducia? Non comprerebbero più il nostro debito? Sì, può essere. Ma per questa, sottolineo questa, Unione, lo dico da europeista convinta, sarebbe la fine. O, forse, qualcuno preferirebbe l'estensione del fenomeno dei gilets gialli che già hanno procurato una figura barbina (con tutto il rispetto) al novello Re Sole? Quei gilets jaunes che non si sono accontentati dell'ottenuto blocco degli aumenti di carburante

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e proseguono manifestando contro la disoccupazione e l'esosità fiscale? O, forse ancora, la preferenza va al dilagare dei governi di destra che nel loro sospinto nazionalismo, sembrano fregarsene delle direttive dei balivi e, in ultima analisi, dei destini dell'Europa? Mi chiedo: è mai possibile che non ci sia alcuno che rifletta sul fatto che, per uscire a riveder le stelle, occorre passare per il pertugio tondo? In ogni caso, che fantastica storia questa sarebbe stata per Asimov. Roberta Forte

Note: 1. Jean-François Lyotard - La Condition postmoderne: rapport sur le savoir – Les Editions de minuit - 1979 2. Michel Albert – Capitalismo contro capitalismo – Ed. Il Mulino 1993 3. Michel Albert – Capitalismo contro capitalismo - Dieci anni dopo – Il Mulino n. 3/2001 – maggio-giugno – pp. 383398 4. Michel Foucault - Nascita della biopolitica - Lezione del 24 gennaio 1979 -; nonché Università degli Studi di Ferrara - Dottorato Di Ricerca In Modelli, Linguaggi E Tradizioni Nella Cultura Occidentale - Coordinatore Prof. Paolo Fabbri Biopolitica E Libertà In Michel Foucault - Dottorando Dott. Filippo Domenicali - Tutore Prof. Marco Bertozzi. 5. Scott Lash – Modernismo e postmodernismo, i mutamenti culturali delle società complesse – Armando Editore 2000


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FONDAMENTALISMI? (CHE DIRE DI SUA MAESTA’ IL PIL)? Non posso sottrarmi all'obbligo di iniziare con un grazie ad un economista e filosofo (persona a me vicinissima e cara) che mi ha ispirato la seguente storiella o magari, se volete, parabola. E' una bella mattinata di primavera frizzante e luminosa. Siedo al tavolino di un caffè posto sul marciapiede di una grande piazza trafficata da vetture e passanti. A qualche metro da me inizia un attraversamento pedonale con strisce bianche e relativo semaforo. Divago tra pensieri leggeri e sfumati. Di tanto in tanto mi si affaccia alla mente l'usuale saluto che, regolare compagno del primo assaggio della cena quotidiana, mi giunge dal televisore : "grazie SPETTATRICI e spettatori!" esclama la piacente ed elegantissima signora conduttrice di un programma di approfondimento - si fa per dire - della cronaca politica quotidiana. Ella mi appare peraltro come interprete di due ruoli contraddittori : quello di vestale dell' "empirico" e, nel contempo, di sacerdotessa del "politicamente corretto". E ciò, mentre con indubbia abilità mediatica appronta, da consumatA chef di una sorta di "cucina degli avanzi", un pranzetto di scipite pietanze prettamente descrittive della corrente fase politica e regolarmente concluso dall'ovvio finale: " ad ogni modo staremo a vedere " . E cos'altro mai potrebbe ella fare?. Sfuma dalla mente la visione della bionda conduttrice e mi rimetto ad osservare la piazza. Ad un tratto mi accorgo che stanno per verificarsi in contemporanea due distinti eventi. A destra una anziana signora, curata nel vestire e dal portamento austero di chi è abituato a comandare, inizia ad attraversare le strisce con lo sguardo fisso sull'omino verde del semaforo. Da lei traspare l'esplicita consapevolezza di esercitare un suo pieno diritto. A sinistra invece sopraggiunge un SUV argentato condotto da una giovane donna, anch'ella di rito alto borghese (acconciatura perfetta e lenti da sole super griffate lo certificano attraverso i vetri dei finestrini), che viaggia velocemente, con gli occhi incollati allo smartphone e nella evidente non consapevolezza che, cosi procedendo, l'impatto con l'anziana passante sarebbe stato inevitabile. Vedo i due fotogrammi in progressivo avvicinamento. A questo punto, come direbbe il sublime Maurizio Crozza in versione Paolo Sorrentino, " … stacco ! " e torno con la mente alla piacente signora che accompagna, televisivamente parlando, i miei pranzi serotini. Il reiterato menù della sua "cucina del fatto accaduto" ruota da mesi intorno ad un unica pietanza : la CRESCITA del PIL ovvero - Dio ce ne scampi ! - la sua eventuale DEcrescita. Croce, delizia, speranza e disperazione del nostro vivere quotidiano, questo stramaledetto PIL, foriero di tristezze, preoccupazioni ed ansie alla nostra condizione di cittadini italiani . La spigliata vestale/sacerdotessa ne officia il rito, gira l'intruglio, lo rigira, lo rimescola, lo

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assaggia, lo condivide con i presenti, talvolta osanna, tal'altra condanna. Con maestria induce i corifei alla implicita, magnificazione di chi nel passato abbia assicurato un asserito sviluppo di detto PIL; al contrario, induce al correlato vituperio di tutti coloro che, al momento, ne sembrino causa di un' inaccettabile rachitismo. La chiesa culturale, politica, economica, di fatto esistenziale, di cui ella è "MinistrA da combattimento" ha infatti decretato : " In principio era il PIL, divinità celeste. Esso oggi abita tra noi e nulla può ormai avere senso al di fuori di esso ". Il Prodotto Interno Lordo è verità, è bene assoluto, nulla - ma proprio nulla - di buono potrebbe mai verificarsi senza la sua costante CRESCITA. Beato chi se ne fa sacerdote e seguace. Sia invece sprofondato nella Geenna colui che non riponga in tale crescita una piena fiducia salvifica. Altro "stacco" Crozza/Sorrentiniano dal rimugino televisivo e relativo fondamentalismo e mi focalizzo nuovamente sul vicino zebrato pedonale. La scena è ferma all'ultimo fotogramma : SUV e anziana passante sono ancora statici nella loro rotta di collisione in cui li avevo lasciati pochi istanti prima. L'immagine è però modificata da un particolare prima non notato : sul frondoso platano posto dall'altra parte della piazza è apparsa improvvisamente una scritta (del tipo, per intenderci, di "in hoc signo vinces") fatta di luci lampeggianti: "ATTENZIONE" : il PIL osserva, pregasi non deludere !" Continuo a tenere bloccata la moviola mentale e, con occhio alla frase, rimango sul fermo immagine prefigurando i due possibili scenari di quanto sta per accadere : SCENARIO 1) : L'anziana signora continua ad attraversare mentre la giovane al volante continua a leggere i suoi messaggini. L'urto è tremendo. La pedona, investita in pieno dal veicolo, si solleva per aria di qualche metro e ripiomba sull'asfalto rimanendo a terra inerte. La guidatrice del SUV resasi ormai conto dell' ormai ineluttabile tragedia, inchioda i freni, sbanda e si arresta qualche metro oltre le strisce. Il fatto è consumato, gli astanti sono sconcertati e commossi. SCENARIO 2) : L'anziana continua ad attraversare, la giovane al volante alza per un istante gli occhi dal telefonino, capisce che sta andando troppo veloce, la sua traiettoria punta dritta all'inconsapevole pedone. Ma ecco che una manzoniana, "provvida man dal cielo" scende in soccorso. La conduttrice stringe il volante, frena alla disperata, scarta per pochi centimetri il potenziale bersaglio e con stridio di pneumatici arresta il veicolo. Fortunatamente (ma per chi ?, lo vedremo) nessuno si fa male, tutti sono incolumi. I testimoni della scena, me compreso, tirano un UMANO sospiro di sollievo ! Non si dimentichi però che, oltre agli astanti, si trova sul luogo uno spettatore DISUMANO, ma molto interessato ai possibili sviluppi dell' evento. Dall'alto del platano, questi "tifa" intensamente, ma soltanto per UNA delle due possibilità. Chi è mai costui ? Esso è purtroppo l'onnipresente "PRODOTTO INTERNO LORDO" Sa bene infatti che unicamente lo SCENARIO N° 1, potrebbe produrrebbe una lunga serie di ghiotte conseguenze, tutte FATTURABILI:


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Elenchiamole : 1) Arrivo dell'ambulanza, 2) Ricovero in pronto soccorso, 3) Primi interventi d'urgenza, 4) Trasferimento in reparto di terapia intensiva, 5) Successivo trasloco in lussuosa clinica privata cinque stelle (la signora investita può ben permetterselo ed è inoltre superassicurata) 6) Svariati interventi chirurgici (con annessi costi di chirurgia, anestesie, utilizzo sale operatorie "et similia"), 7) Auspicato (dal PIL) decesso della paziente per sopravvenuta emorragia interna e liquidazione, a piè di lista, di due settimane di degenza presso la predetta, lussuosa struttura sanitaria, 8) Funerale di prima classe per la "fu" malcapitata, 9) Addobbi e spese cimiteriali, 10) Apertura della successione con relativi esborsi legali e notarili, 11) Avvio di conflitti successori tra molti potenziali eredi della deceduta che, supponiamo, non abbia, nonostante l'età, ancora redatto testamento per la destinazione dei suoi svariati possedimenti, 12) Spese legali per le successive liti (tre gradi di giudizio) tra quei presunti eredi che ritengano di essere stati pretermessi, 13) Avvio del procedimento penale per omicidio stradale a carico della giovane conduttrice del SUV con relative spese legali, patrimoniali, assicurative e quant'altro, 14) ……. e potrei continuare questo elenco all'infinito. Per la CRESCITA, un'ottima occasione. Il PIL avrebbe in tal caso di che leccarsi le dita. Al contrario, con lo SCENARIO N° 2, NULLA di tutto ciò : non un singolo esborso, non una peregrina, solitaria prestazione (il semplice spavento purtroppo non è monetizzabile). Al PIL non resta che rattristarsene e ripiegare in buon ordine, nient'altro. A questo punto penso di poter uscire dalla metafora, bloccare definitivamente la moviola ed arrestarmi del tutto all'attimo prima che possa verificarsi una della due eventualità (impatto si, impatto no) e passare a trascrivere qui di seguito una definizione liberamente tratta da Wikipedia : “Per FONDAMENTALISMO si intende genericamente qualunque interpretazione di fonte ritenuta "sacrale" che assuma i relativi precetti appunto a fondamento, rifiutandone ogni lettura che possa essere anche in minimo contrasto con la sua forma meramente letterale". Di sicuro, oggi, PIL e relativa Crescita. Ritengo quindi che la deferente lettura in termini assolutistici che si fa oggi della crescita, ovvero Dio guardi - di una malaugurata decrescita del Prodotto Interno Lordo sia aberrante, disumana come una qualsiasi cosa che (anche se di per se stessa, forse, non intrinsecamente malvagia) venga assurta in modo dogmatico ad unico TOTEM. Mi domando dunque : è accettabile che una sorta di MOLOCH artificialmente prodotto dalla mente degli umani diventi dominatore della

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nostre coscienze e quindi di buona parte del modo di percepire i valori della nostra avventura esistenziale ? Ebbene, purtroppo, si ! Si può, è già successo nel corso della storia umana. Ci si è genuflessi infinite volte davanti a qualche effimero idolo/illusione. Oggi tocca al PIL, termine che peraltro contiene in se l'aggettivo "lordo", sinonimo di "sporco" E ciò, con ottima pace di tutti gli attuali genuflessi (televisivamente parlando e non solo) adoratori di una qualche presunta, salvifica, fallocratica "crescita". Torno per un'ultima volta al mio caffè mattutino nella bella piazza, e mi domando : in che mondo ci siamo ridotti a vivere dal momento che un osannato metro di misurazione della supposta "qualità" della nostra esistenza potrebbe ritenere fatto oggettivamente auspicabile, cioè di segno positivo (+), una cruenta strage di inermi vecchiette piuttosto che un loro episodico, ma del tutto innocuo, attimo di spavento? Roma li, 01 dicembre 2018 Antonino Provenzano


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QUESTIONE DI SQUILIBRIO ESISTENZIALE La definizione convenzionalmente attribuita al fondamentalismo, tratta dal dizionario dematerializzato oggi più consultato, risulta essere una qualunque interpretazione letterale e dogmatica di testi sacri che assuma i precetti in essi contenuti a fondamentali, rifiutando quindi ogni ideologia od interpretazione anche minimamente in contrasto con essi. Pertanto si può essere indotti ad individuare il fondamentalismo unicamente nella sua manifestazione più visibile, quella di natura religiosa ed in effetti come non prendere atto della sua ricorrente presenza nei dibattiti sui temi trattati dai media, e no che non ci siano valide ragioni, considerati i reiterati fatti di cronaca nera. Si è indotti ad intenderlo in tal senso anche perché sono state attribuite delle coordinate spazio temporali all'origine del termine, appunto nato negli Stati Uniti al principio del Novecento per indicare una corrente della religione protestante; risulterebbe allora essere un fenomeno circoscritto se non nel tempo quantomeno nell'origine della sua manifestazione, basti pensare di cosa si è macchiata la chiesa cattolica nel corso dei secoli. Se però volessimo esaminare il fondamentalismo nella sua essenza, intendendo come essenza la dinamica della psiche che porta taluni uomini a considerare queste forme di assoluto squilibrio come verità giuste ed assolute da difendere e diffondere, spesso a tutti i costi con la violenza non solo psicologica ma anche fisica, perché istintivamente per l'uomo il fine giustifica i mezzi, allora ci troveremo a dover considerare che di manifestazioni di squilibri siamo pieni. Tracce di fondamentalismo, non a caso molto meno dibattute ed avversate, ve ne sono ovunque, da quello politico a quello sportivo, da quello alimentare a quello morale. Si può allora asserire che l'uomo ha una certa tendenza, più o meno squilibrata, a volersi posizionare sotto una bandiera, qualunque cosa questa rappresenti. Perché ciò accade? Al di là della propensione dell'uomo a riconoscere come giuste e spesso indiscutibili delle verità non derivate dalla propria esperienza bensì fatte proprie acriticamente per tramite di parole proferite da terzi, meccanismo riconducibile ad una tendenza a non riuscire di fatto ad essere libero perché bisognoso di essere indirizzato per rimanere ancorato alla vita, esprimendo così un modo improprio per dar senso all'esistenza e da questo trarne stabilità. Ritengo che ciò accada perché nel corso della vita, inconsciamente, gli interrogativi esistenziali si pongono e si ripropongono all'attenzione spesso sotto mentite spoglie, spoglie che possono avere il sapore amaro della sofferenza, dell'angoscia esistenziale, appunto della mancanza di

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equilibri, della incapacità di gestire i fondamentali dell'esistenza, o spesso anche attraverso la continua e spasmodica ricerca della materialità, che pur se novativa, non appaga e non colma comunque. Quest'ultimo lo potremmo definire il fondamentalismo dell'apparire. Prendendo ad esempio il fondamentalismo religioso si può facilmente asserire che di religio ha ben poco, anzi si è del tutto allontanato dal senso del Dio amato perché nell'esaltazione dell'ego si ingenera l'altrui sopraffazione, la prepotenza e l'arroganza generano la superbia e nella superbia si commette il più grosso crimine verso Dio. Il ragionamento sopra esposto non è così diverso nel risultato da altre considerazioni possibili sulle diverse manifestazioni del fondamentalismo, si pensi all'alimentazione quando questa è vissuta come chiave interpretativa della vita dell'uomo e del benessere del pianeta o quando si vede nel proprio partito politico il bene assoluto ed un riferimento inalienabile ed indiscutibile. Allora che cosa rimane se non il fondamentalismo? Rimane quindi una propensione dell'uomo ad una volontà di potenza disarticolata ed ostinata all'alienazione dalla natura nel quale l'uomo, alienato da sé stesso, è sofferente e lo rimane se non è in grado di trovare le capacità per dar ascolto ad un discorso ordinato che ponga equilibrio all'esistenza. Andrea Torresi


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LETTERA A UN MUSULMANO Questa lettera circolava su Whatsapp dopo gli attentati di Parigi avvenuti nel 2015 e ci è stata segnalata dal nipote di un nostro collaboratore, giovane ricercatore presso una prestigiosa università francese. La pubblichiamo dopo aver apportato solo alcune correzioni sintattiche perché in linea con il tema del mese.

Egregio cittadino musulmano, vorrei poter scrivere caro AMICO musulmano, ma purtroppo non posso. L'amicizia è una cosa seria. Significa fidarsi, condividere progetti e valori. L'amicizia è quella cosa che il "barbaro e peccatore" occidente ti ha offerto e che tu hai fatto finta di accettare, ben sapendo che non possiamo essere amici. La tua fede, che ti lascio coltivare senza interferire, non è compatibile con la società in cui tanto insistentemente pretendi di essere accolto e integrato. Ho letto il Corano, il tuo libro sacro, in cerca di uno spiraglio per una pacifica convivenza. Non l'ho trovato, perché non c'è. La tua fede non ammette interpretazioni: la "Sunna" è la Legge. Devi sapere, però, che noi occidentali abbiamo lottato e sofferto per la nostra Libertà anche di fronte agli Dei! Sin dai tempi remoti affermiamo il principio che l'uomo è padrone del suo destino, capitano della sua anima. Non ci siamo mai inginocchiati. E' anche grazie a queste lotte secolari, fautrici della nostra libertà, che ti è permesso di venire qui, a casa nostra, di essere libero di professare la tua fede, di pretendere, offendere e addirittura ucciderci! Odio l'ipocrisia e pertanto ti dico senza tanti giri di parole che non possiamo essere amici, perché tu non mi rispetti. La tua fede ammette la schiavitù, la poligamia, le punizioni corporali a moglie e figli, non riconosce i diritti delle donne e degli omosessuali. Nel tuo libro, è scritto chiaramente che "devi" uccidermi, dal momento che non professo la tua fede! Potrei elencarti tutti i versetti in cui ti è ordinato di farlo, versetti che ovviamente conosci bene. Cosa non meno grave la prescrizione che ti "impedisce" di obbedire alle leggi emanate da coloro che tu chiami "infedeli" e che invece sono persone con pari diritti e pari doveri. Affinché tu possa essere mio amico dovresti distaccarti dal tuo libro; non pensare che Religione e

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Stato siano la stessa cosa; lasciare a tua moglie quella libertà che concedi a te stesso; a tua figlia di scegliere autonomamente l'indirizzo che vuole dare alla propria vita, di indossare la minigonna se le piace, di ascoltare la musica che preferisce, di viaggiare da sola e fare le proprie esperienze, proprio come noi lo permettiamo alle nostre figlie; dovresti rinunciare alla poligamia, che è una pratica ignobile e offensiva di ogni presupposto di civiltà, non solo della dignità delle donne; dovresti rispettare la mia cultura e i miei simboli e, se vivi nel mio paese, le leggi emanate da chi governa, anche se non ti piacciono, perché le leggi si rispettano. Tu, però, non puoi fare queste cose e quindi non potrai mai essere mio amico. E la tua presenza a casa mia, senza i succitati presupposti, risulta fastidiosa e sgradita, perché genera paura e disagio. Di fatto tu non puoi stare qui. Per il bene mio, pertanto, ma anche per il tuo, te ne devi andare. Sarai il benvenuto solo quando sarai pronto a separare la tua vita spirituale da quella secolare e avrai imparato a rispettare il prossimo, a cominciare dalle donne e bambini. Per noi occidentali la religione è una scelta e non un'imposizione e questo deve valere per chiunque voglia convivere con noi. Le azioni terroristiche ci stanno facendo male e non nascondiamo la paura. Non nascondiamo, altresì, che le vostre minacce e le vostre azioni criminali stanno facendo riemergere i lati più oscuri del nostro essere. E' una reazione naturale alla vostra ignobile arroganza. Sappi, però, che non riuscirete mai a vincere. Per ora avete portato la guerra e la paura nelle nostre strade e ci avete colti impreparati nel fronteggiarvi adeguatamente. Ma pensi davvero che durerà così per sempre? Se non tornerete sui vostri passi accadrà davvero ciò che nessuno vuole, perché a quel punto la guerra, che noi sappiamo combattere seppur ripudiamo, sarà senza esclusione di colpi. E pensare che potevamo essere amici!!! Tu vuoi "convertirmi". Ma questo non avverrà mai e non ti lascerò uccidere chi non la pensa come te. Difenderò me e i miei compatrioti europei fino all'ultimo respiro e proiettile, con le unghie e con i denti, come hanno fatto i miei nonni, i loro nonni e chi vi era prima di loro. Questa terra è imbevuta del sangue dei miei avi! Io sono Italiano, Francese, Tedesco, Austriaco, Belga, Inglese, Spagnolo, Portoghese, Irlandese… in una sola parola: sono EUROPEO! Appartengo alla genia di Enea, Achille, Alessandro, Cesare, Omero, Dante, Napoleone, Riccardo, Scipione, Adelchi, Carlo, Lotario, Ottone, Wallace, a quella di artisti, letterati, scienziati, che hanno "irrorato" il mondo con la loro Grandezza! Abbiamo combattuto alle Termopili, Maratona, Poitiers, Vienna, Gerusalemme, Lepanto. Noi non ci inginocchiamo e spargiamo il sale sulle ceneri dei nostri nemici, dopo averli cancellati. Detto questo, consentimi di darti un'altra notizia che spero possa aprirti la mente. Tra le tante cose che predicate vi è la distruzione dello Stato di Israele. Tu ti senti superiore a un Ebreo, di fatto, e questo noi lo chiamiamo razzismo. Veniamo ai fatti. Da fonti facilmente consultabili in rete, nel mondo vi sono 1.600.000.000 di musulmani. Attualmente! Se consideriamo il numero di musulmani presenti sulla terra dalla fine del 1800 in poi, la cifra cresce esponenzialmente in modo impressionante.


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Gli Ebrei, invece, in tutto il mondo non sono più di 14.000.000. Pur volendo aggiungere quelli delle generazioni precedenti, l'incremento è davvero irrisorio: forse non arriviamo nemmeno a trenta milioni d'individui. Perché ho scelto proprio la fine dell'ottocento come periodo di riferimento? Perché nel 1901 è stato varato il PREMIO NOBEL, attribuito annualmente a persone che si siano distinte nei diversi campi dello scibile umano, apportando considerevoli benefici per le loro ricerche, scoperte, invenzioni, per l'opera letteraria e l'impegno a favore della pace mondiale. Sai quanti Premi Nobel sono stati assegnati ai tuoi simili? Sicuramente no. Te lo dico io: SETTE! Letteratura: 1988 Nagib Mahfooz. Pace: 1978. Mohammed Anwar el Sadat; 1990 Elias James Corey; 1994 Yasser Arafat; 1999 Ahmed Zewai. Medicina: 1960 Peter Brian Medawar; 1998 Ferid Mourad. Sai, invece, quanti PREMI NOBEL sono stati assegnati a cittadini Ebrei? Beh, siediti prima di leggere, altrimenti cadi: sono ben CENTOTRENTACINQUE! (Ne mancano sicuramente molti altri con radici ebraiche). Letteratura: 1910 Paul Heyse 1927 Henri Bergson 1958 Boris Pasternak 1966 Shmueal Yosef Agnon 1966 Nelly Sachs 1975 Saul Bellow 1978 Isaac Singer 1981 Elias canetti 1987 Yosef Brodsky 1991 Nadine Gordimer Pace: 1911 Alfred Fried 1911 Tobias Asser 1968 Renè Cassin 1973 Henri Kissinger 1978 Menachem Begin 1986 Elie Wiesel 1994 Shimon Perez 1994 Yitzak Rabin Fisica 1905 Adolph von Baeyer 1906 Henri Moissan

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1907 Albert Michelson 1908 Garbriel Lippmann 1910 Otto Wallach 1915 Richard Willstaetter 1918 Fritz Haber 1921 Albert Einstein 1922 Niels Bohr 1925 James Franck 1925 Gustav Hertz 1943 Gustev Stern 1943 George Cjarles de Hevesy 1944 Isidor Rabi 1952 Felx Bloch 1954 Max Born 1958 Igor Tamm 1959 Emilio Segre 1960 Donald Glaser 1961 Robert Hoffstadter 1961 Melvin Calvin 1962 Lev Davidovitch Landay 1962 Max Perutz 1965 Richard Feynmann 1965 Julian Schwinger 1969 Morrai Gell-Man 1971 Dennis Gabor 1972 William Stein 1973 Brian Josephson 1975 Benjamim Mottleson 1976 Burton Richter 1977 Ilya Prigogine 1978 Arno Allan Penzias 1978 Petere. L. Kapitza 1979 Stephen Weinberg 1979 Sheldon Glashow 1979 Herber Charles Brown 1980 Paul Berg 1980 Walter Gilbert 1981 Roald Hoffmann 1982 Aaron Klug


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1985 Albert Hauptmann 1985 Jerome Karle 1986 Dudley Herchbach 1988 Leon Ledermann 1988 Robert Huber 1988Melvin Schwartz 1988 Jack Steinberger 1989 Sidney Haltman 1990 Jerome Friedman 1992 Ridolph Marcus 1995 Martin Perl 2000 Alan. J. Heeger Economia: 1970 Paul Samuelson 1971 Simon Kutznetz 1972 Kenneth Arrow 1975 Leonid Kantorowitch 1976 Milton Fiedman 1978 Herbert Simon 1980 Lawrence Robert Klein 1985 Franco Modigliani 1987 Robert Solow 1990 Harry Marcovitz 1990 Merton Miller 1992 Gary Becker 1993 Robert Vogel 2002 Daniel Kahneman 2005 Robert J. Aumann Medicina: 1908 Elie Metchnikoff 1908 Paul Erlich 1914 Robert Barany 192 Otto Meyerhof 1930 Karl Landsteiner 1931 Otto Wardburg 1936 Otto Loewi 1944 Josef Erlanger 1944 Herbert Spencer Gasser 1945 Ernst Chain

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1946 Herman Mueller 1950 Tadeus Reichstein 1952 Selman Abraham Waksman 1953 Hans Krebs 1953 Fritz Lippmann 1958 Josua Leberberg 1959 Arthur Kornberg 1964 Konrad Bloch 1965 Francois Jacob 1965 Abdreè Lwoff 1967 George Wald 1968 Marshal Nierenberg 1969 Salvador Luria 1970 Julius Axelrod 1970 Sir Bernard Katz 1972 Gerald Edelman 1975 Howard Tenin 1976 Baruch Blumberg 1977 Roselyn Yalow 1978 Daniel Natans 1980 Baruj Benecerraf 1984 Cesar Milstein 1985 Michael Stewart Brown 1985 Josef Goldstein 1986 Stanley Cohen e Rita Levy Montalcini 1988 Gertrude Elion 1985 Arolda Varmus 1981 Ervin Neher 1991 Bert Sackmann 1993 Richard Roberts 1993 Philip Sharp 1994 Alfred Gilman 1995 Edward B. Lewis Chimica 2003: Aaron Ciechanover 2004: Avram Hershko 2009: Ada E. Yonath 2011: Dan Shechtman 2013: Arieh Warshel


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Sai cosa significa tutto questo? Prendendo come numero base i trenta milioni di Ebrei presenti sul pianeta dalla fine del 1800, rapportandoli "esclusivamente" al miliardo e seicento milioni di musulmani "attualmente" viventi (essendo complicato stabilire un numero esatto che tenga conto anche di quelli vissuti dal 1800 in poi), possiamo sviluppare la seguente proporzione: 135:30.000.000 = x:1.600.000.000. Il che vuol dire che gli Ebrei, con una popolazione analoga a quella musulmana, avrebbero vinto +/- 7.200 PREMI NOBEL! O il doppio, volendo considerare l'incremento numerico dovuto alle generazioni precedenti! Non provi un pizzico di vergogna di fronte a queste cifre? Gli Ebrei non promuovono il lavaggio del cervello dei bambini nei campi di addestramento militare, insegnando loro come farsi esplodere e causare la morte di tante persone! Non dirottano aeroplani, non uccidono atleti alle olimpiadi, non si fanno esplodere nei ristoranti tedeschi, non ammazzano i giornalisti nelle loro redazioni o inermi cittadini intenti ad ascoltare della musica in qualche locale. Non distruggono chiese, non predicano l'uccisione di chi non la pensi come loro. Non provi un pizzico di vergogna di fronte a questi fatti? Forse dovresti. Anzi ne dovresti provare tanta. E cambiare vita. Un italiano di Francia, cittadino d'Europa.

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ROMA VERSUS BRUXELLES, ALTRO CHE DECIMALI Ammettiamolo, la controversia tra l'Italia e la Commissione europea sulla correzione dei conti pubblici, i media italiani l'hanno raccontata male. Di certo con superficialità. D'accordo la sintesi e il linguaggio accessibile all'opinione pubblica, ma focalizzare la partita tra Roma e Bruxelles su una questione di decimali di deficit da far quadrare è stato quanto meno riduttivo. Sull'incomprensione, assurta a livelli ontologici, tra le due entità istituzionali fanno aggio elementi qualitativi e metodologici ben più di quelli quantitativi. Riguardo ai primi, è chiaro che vi siano vedute abissalmente divergenti sulle policies da praticare per giungere agli obiettivi di convergenza programmati in sede comunitaria. Operare, ad esempio, maggiormente sul fronte della domanda aggregata è una scelta che non è nelle corde di Bruxelles quanto quella che punta al lato dell'offerta. Per i guardiani dei conti pubblici la sostenibilità delle misure di contrasto alla povertà, ancorché ammissibili in linea di principio, non sarebbero tuttavia attuabili mediante azioni espansive della spesa pubblica. In senso figurato, la Ue non esclude che si possegga un ombrello e che lo si possa aprire ma prescrive, qui la bizzarria, che l'ombrello venga aperto quando c'è il sole e debba invece restare chiuso quando cade la pioggia. Per avere piena contezza di cosa significhi per gli Stati membri dell'Ue una tale visione si guardi alla vicenda greca. Non vi è dubbio che una rigorosa politica di austerity abbia rimesso in ordine i conti pubblici disastrati del Paese culla della civiltà occidentale. Ma a quale prezzo per i suoi abitanti? Basterebbe recarsi qualche giorno sul posto per guardare in faccia la povertà e per verificare come essa agisca sulla vita delle persone. Ciò che rende impervio il dialogo tra Roma e Bruxelles, oltre i fatidici decimali di deficit, è il riuscire a spiegare a delle menti tetragone che un Paese dell'Occidente avanzato non può in alcun modo permettersi un numero spropositato di cittadini in stato di povertà assoluta, o anche solo relativa. Una percentuale di poveri che sfiora il 10 per cento del totale della popolazione residente in Italia è un'emergenza da risolvere con misure straordinarie. Ma non è solo la qualità degli interventi a dividere il fronte tra Italia e Ue. C'è anche, meno conosciuta ma ugualmente incidente, una diversità metodologica nella valutazione dei conti pubblici. Più propriamente, la mancata condivisione dei modelli econometrici sui quali si fondano le valutazioni della Commissione europea, fa sì che tra Roma e Bruxelles regni sovrana l'incomprensione. Con l'entrata in vigore della Legge Costituzionale n. 1/2012 e con la legge rafforzata n. 243/2012,


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il legislatore italiano ha inteso introdurre nell'ordinamento giuridico nazionale il principio del pareggio o equilibrio di bilancio in termini strutturali. Tuttavia, già dall'ottobre del 2011, cioè nella fase più acuta dell'attacco dei poteri forti europei al Governo Berlusconi, il Paese si piegava ad accettare il criterio imposto da Bruxelles, mediante l'applicazione del cosiddetto Six Pack, in base al quale l'equilibrio di bilancio si sarebbe ottenuto qualora il saldo strutturale, corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum, si fosse allineato al livello dell'Obiettivo di Medio Periodo (Medium Term Objective - MTO). Per chiarezza: si definisce Obiettivo di Medio Periodo il saldo di bilancio determinato in termini strutturali, ossia "al netto del ciclo economico e dei fattori temporanei, specifico per ciascun paese dell'UE". Lo spostamento dell'asse valutativo sul Mto ha dirottato l'intero peso della sorveglianza fiscale esercitata in sede comunitaria su giudizi espressi in termini strutturali. Nell'ambito della cornice tracciata, la Commissione, lo scorso novembre, ha bocciato la nota di Aggiornamento al documento di Economia e Finanza (Nadef) presentata dall'Italia, contestandone l'insostenibile deviazione dal rispetto del Patto di Stabilità e crescita. La Commissione infatti chiedeva al Governo giallo-blu una riduzione del deficit strutturale di almeno lo 0,6 per cento del Pil. Roma invece, stando alla Nota di Aggiornamento al Def, avrebbe risposto con un deterioramento del Deficit strutturale di uno 0,8 per cento. Ma è sul modello di calcolo della differenza tra le entrate e le spese dello Stato al netto delle circostanze cicliche e dei fattori straordinari che i conti non tornano, come, parimenti, sulla determinazione dell'indicatore di crescita sostenibile e non inflazionistica che è il Pil potenziale e sulla misurazione del gaptemeraria tra la disoccupazione effettiva e quella giudicata strutturale. La metodologia audacia igiene spirituale di stima adottata dalla Commissione europea non corrisponde totalmente a quella in uso presso il nostro Ministero dell'Economia e delle Finanze. Con la conseguenza che i risultati prodotti dai due modelli divergono radicalmente rispetto all'angolo di correzione di finanza pubblica da applicare per tenere il Bilancio dello Stato in linea con gli obiettivi di convergenza fissati da Bruxelles. A titolo esemplificativo, si prenda in esame il metodo di calcolo del tasso di disoccupazione strutturale. La Commissione adotta il Nawru (non accelerating wage rate of unemployment), che è un indicatore strutturale in base al quale il tasso di disoccupazione non accelera il tasso di crescita dei salari nominali. Il Mef invece, secondo quanto sostiene Davide Cassese nel paper "Deficit strutturale italiano: una questione di stime", pubblicato l'8 novembre 2018 on-line sulla Rivista di Studi "Economia e Politica", adotta il Nairu (Non-Accelerating Inflation Rate of Une]mployment) che indica il livello specifico di disoccupazione rilevabile in un'economia che non fa salire l'inflazione. Scrive Cassese: "La più evidente differenza tra i due metodi consiste nel tasso di disoccupazione strutturale adottato dal MEF[2]: al posto del NAWRU viene adottato il NAIRU (Non-Accelerating Inflation Rate of Une]mployment), cioè quel tasso di disoccupazione che non accelera la dinamica dell'inflazione". Lo scarto di valore tra il Nawru e il Nairu impatta sia sulla stima del Pil potenziale, sia su quella dell'Output Gap che misura lo scostamento tra il Pil effettivo e quello potenziale, con la bizzarra

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conseguenza che il modello adottato dall'Italia consegnerebbe saldi strutturali sensibilmente piĂš favorevoli all'Italia. Giusto per capirci, nel 2016 le stime della Commissione sul Deficit strutturale ammontavano a -1,7 per cento contro lo 0,7 per cento calcolato con il modello alternativo del Mef. I grafici e la tabella riportati nel paper aiutano a comprendere il peso della distonia tra Roma e Bruxelles. Relazione NAWRU, NAIRU e tasso di disoccupazione effettivo per l'Italia. Fonte: DEF 2016 Note: valori in % della forza lavoro

Figura 2. Tasso di crescita del PIL potenziale e valori dell'Output gap per l'Italia (Fonte: DEF 2016) Note: alternativo = modello MEF


ECONOMIA

Tabella 1. Output Gap e deficit strutturale con i due metodi per l'Italia. Fonte: DEF 2016

Anche se va precisato che il Ministero del Tesoro, nell'Aprile 2013, pubblicava un documento dal titolo: "Il calcolo del PIL potenziale e del saldo di bilancio corretto per il ciclo", nel quale, pur ammettendo la presenza di rilevanti problemi per le elaborazioni interne al DT basate sulle previsioni macroeconomiche del Tesoro causati dalla "revisione dei parametri sottostanti la stima del NAWRU attuata dalla Commissione", dichiarava di optare per la scelta di parametri che garantissero "uno scostamento minimo rispetto alla dinamica "storica" delle stime della Commissione Europea". Tutto ciò spinge a porre una domanda: visto che sarebbe stato opportuno avviare preventivamente con la Commissione un confronto sulla metodologia di stima dei saldi strutturali riconsiderando le decisioni operative adottate in attuazione dei regolamenti europei risalenti all'ottobre 2011 relativi al cosiddetto Six Pack, perché il Governo giallo-blu non ha utilizzato la preziosa risorsa che ha al suo interno che è il ministro per le Politiche europee, Paolo Savona, il quale prima di cimentarsi con la politica si è guadagnato sul campo la fama di massimo esperto internazionale di modelli econometrici? Tanto più che il professor Savona, già dalle prime battute del suo mandato ministeriale aveva posto il problema della necessità di avviare un'interlocuzione con le istituzioni europee per una rinegoziazione dei Regolamenti comunitari, ancor prima di avviare la gande battaglia per la revisione dei Trattati. Forte della sua grande competenza, Savona è pienamente consapevole che la gabbia nella quale è finita l'Italia sia fatta non di generici principi ideali dei quali non si può dire nulla di male vista la loro sostanziale inoffensività, quanto piuttosto dall'insieme di regole e regolette che costituiscono lo strumento d'azione con il quale la volontà dei più forti viene tramutata, nel crogiolo degli eurocrati, in leggi in danno dei più deboli. Benché la storia non si faccia con i se, resta concreto il sospetto che si sarebbe potuta evitare la pessima immagine di un Giuseppe Conte, capo di Governo, che deve questuare una complicata quadra con gli arcigni (e ostili) guardiani dei conti pubblici in Europa. Cari Luigi Di Maio e Matteo Salvini, prima di cimentarvi in una gagliarda partita di football americano con la Commissione europea, una riguardata non diciamo alle regole di gioco ma almeno al tabellone che assegna i punti, no? Cristofaro Sola

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L’INQUISIZIONE DI SANTA ROMANA CHIESA Introduzione Una delle tante caratteristiche che fecero di Roma una civiltà senza eguali nel mondo e nella storia, fu la tolleranza religiosa. Roma non imponeva ai popoli assoggettati di rinnegare i propri Dei, pretendeva che fossero riconosciute le divinità di Roma e che fosse rispettata la figura divina dell'Imperatore. La libertà di culto nel variegato e multi etnico mondo Romano era agevolata dal fatto che nelle religioni antiche l'invocazione agli Dei era di tipo propiziatorio, motivo per cui le varie fedi non erano in contrasto tra loro. Chiunque poteva pregare gli Dei che preferiva, senza per questo interferire nelle altrui convinzioni religiose. Il Cristianesimo, al contrario, aveva una visione esclusiva della religione ("non avrai altro Dio all'infuori di me") e l'obiettivo, anche questo sconosciuto nel mondo politeista, del proselitismo. Mentre i Romani invocavano gli Dei dell'Olimpo per la prosperità e la grandezza di Roma e per auspicare la vittoria sui loro nemici, il compito primario dei cristiani era invece quello di diffondere la fede cristiana attraverso la conversione dei pagani che li portava addirittura, cosa inconcepibile e intollerabile per qualunque Romano, a pregare per i nemici di Roma visti non come tali, bensì come uomini da redimere dal peccato. Inoltre, i cristiani sfuggivano alle celebrazioni pubbliche per non entrare in contatto con le tradizioni politeiste. Questo comportamento distaccato, per i Romani che avevano un vero e proprio culto della socialità, era ritenuto indisponente e offensivo. L'ostilità nei confronti dei cristiani era inoltre alimentata dagli ebrei ortodossi, che accusavano i seguaci di Cristo di aver abbandonato la legge mosaica per professare una religione eretica. In definitiva, nessuno avrebbe avuto motivo di perseguitare i cristiani se questi si fossero limitati a praticare la loro fede senza pretendere di convertire il mondo intero, entrando in contrasto con la millenaria morale Romana e con le leggi dello Stato. Al contrario degli ebrei che poterono professare la loro fede senza particolari restrizioni. Lotta alle eresie Fin dal suo esordio, la Chiesa fu lacerata da accese dispute teologiche su come si doveva intendere il cristianesimo. Inizialmente la Chiesa fu dialogante, accettava il dissenso religioso, e le divergenze dottrinali rientravano nella normale dialettica che dovevano risolversi con "fraterna ammonizione", secondo l'insegnamento di Gesù riferito da Matteo nel suo Vangelo (18,15-18).


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Il caso esemplare riguarda lo gnosticismo, sostenuto dal teologo e filosofo siriano Cerinto (130202) secondo cui la salvezza era da ricercarsi attraverso la conoscenza superiore (gnosi) del Divino. In contrapposizione con quanto sostenuto dalla Chiesa per la quale Gesù non parlò mai di salvezza attraverso la conoscenza, ma solo attraverso la fede. Gli gnostici, inoltre, imputano a Dio la responsabilità di aver creato il mondo in questa forma imperfetta e contaminata dal male. Considerata una delle prime eresie del cristianesimo, lo gnosticismo fu rigettato dalla nascente Chiesa Romana, ma rimase all'interno della dialettica dottrinale senza dare luogo a forme persecutorie. Si esaurì nel corso degli anni, salvo riaffiorare secoli dopo in movimenti ereticali, duramente repressi, come quello dei Catari e dei Valdesi, di cui parleremo più avanti. Il cambio di atteggiamento della Chiesa nei confronti dei dissidenti si ha con Costantino il quale, con l'editto di Milano del 313, nel porre fine alla repressione dei cristiani, spianò la strada alla successiva imposizione imperiale del cristianesimo, avvenuta con Teodosio nel 380. Con l'editto di tolleranza, il livello dello scontro tra le diverse correnti cristiane, fino ad all'ora contenuto a causa della persecuzione Romana, si innalza a tal punto da degenerare spesso nel sangue. Costantino, il primo imperatore cristiano, fu quindi indotto a indire un concilio per fare chiarezza nel marasma di interpretazioni teologiche e, dal punto di vista politico, quello che più gli interessava, per porre un freno alle violenze tra fazioni che rischiavano di compromettere l'unità dell'Impero e vanificare il suo disegno di usare la religione come collante. Dopo il concilio di Nicea del 325 ne seguirono altri, tutti con lo stesso intento: la pace religiosa e l'unità dogmatica che apparivano sempre più lontane. Chi non si adeguava veniva emarginato con l'accusa di eresia. Il primo a farne le spese fu il monaco e teologo cristiano Ario (256-336), la cui visione del cristianesimo si basava sulla netta separazione tra Dio Padre, la più alta divinità, e Gesù, il figlio, ad esso inferiore perché creato dal Padre stesso. In sostanza Ario rigetta la tesi della consustanzialità (stessa natura) tra Dio Padre e Gesù Figlio. L'Arianesimo, tra tutte le eresie, fu quella che maggiormente si affermò all'interno dei confini dell'Impero. Fino al settimo secolo ebbe milioni di adepti e fu adottata da diversi Imperatori e intere nazioni. Aderì soprattutto nella parte orientale dell'Impero Romano dove fu recepita dal vescovo di Costantinopoli Eusebio di Nicomedia, in seguito uno dei più accessi sostenitori del cristianesimo ariano. Ario fu prima condannato ed esiliato dal Concilio di Nicea, che decretò il dogma della trinità, e poi richiamato a corte da Costantino grazie all'insistenza della madre Elena, fervente ariana. Costantino stesso in letto di morte si fece battezzare dal Vescovo ariano Eusebio. La riabilitazione dell'arianesimo avvenne dieci anni dopo, nel Concilio di Gerusalemme del 335 che revocò l'esilio per tutti i vescovi di fede ariana. L'Arianesimo divenne religione ufficiale sotto l'Imperatore Costanzo II e, dopo la breve parentesi dell'imperatore filosofo Giuliano (331-363) che tentò di restaurare gli antichi culti, sotto l'Imperatore Valente. Fu adottato anche dai regni Romano-Barbarici sorti dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente.

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La fine dell'arianesimo avvenne nel 496 con il passaggio al cattolicesimo di Clodoveo, re dei Franchi, e si concluse con la conversione dei Longobardi attorno al 600. Queste conversioni non avvennero sempre in modo spontaneo e pacifico, ma spesso furono imposte con la violenza e diedero inizio a quelle cruente guerre, all'interno del mondo cristiano e verso le altre religioni, che accompagnarono per lungo tempo la storia temporale della Chiesa. Nel 329 Costantino, pur essendo tollerante nei confronti dell'arianesimo, si accanisce contro un'altra eresia, quella dei Marcioniti. I seguaci del Vescovo Marcione rifiutano il Vecchio Testamento il cui Dio è ritenuto crudele, mentre si riconoscono nel Dio dei Vangeli. Un decreto imperiale proibì loro ogni forma di culto e li privò dei loro luoghi di preghiera che furono ceduti alla Chiesa. Dopo Costantino, è un crescendo d'intolleranza verso i dissidenti e le altre confessioni. Il primo eretico affidato dalla Chiesa alle autorità civili perché fosse giustiziato, fu il vescovo spagnolo Priscilliano, decapitato con sei dei suoi adepti a Treviri nel 385. Prisciliano fu giudicato eretico per aver sostenuto una visione dualistica dell'esistenza secondo cui il mondo sarebbe stato generato da due entità divine, Dio e il Maligno e che fosse stato il Male a creare il mondo materiale per rendere le anime schiave della materia. Altra grave colpa fu quella di denunciare la vita, già dall'ora, dissoluta e mondana del clero. Negli anni precedenti, a partire dal 372, fu la volta della Chiesa Manichea ad assere osteggiata dalla Chiesa Cristiana. Fondato dal persiano Mani, il movimento Manicheo sostiene, come Priscilliano, la contrapposizione netta tra due entità divine: il bene e il male, la luce e le tenebre. Tra i suoi sostenitori troviamo Sant'Agostino, prima di convertirsi al cristanesimo e diventare acerrimo nemico dei manichei. Vennero annientati nel corso di diverse campagne sferrate contro di loro in tutto l'Impero. La definitiva scomparsa dei manichei si ebbe nel 405 con il primo Imperatore Romano d'Occidente Onorio, che li dichiarò criminali pubblici. Nel 380 l'imperatore Teodosio emana l'editto di Tessalonica che impone la svolta confessionale all'impero Romano d'Occidente. Le leggi dello stato si uniformano con quelle della Chiesa e il reato di eresia si identifica con il reato di "Lesa Maestà" per il quale il diritto Romano prevede la pena di morte. Agostino e Tomaso d'Aquino Nel 396 diventa Vescovo di Ippona Agostino, il futuro santo. Dopo essere stato inizialmente propenso al dialogo, si distingue per la sua severità contro gli eretici. Chiede che l'Impero metta al servizio della Chiesa i suoi soldati al fine di creare un clima di "utile terrore" (Claudio Rendina, Storia segreta della Santa Inquisizione, Newton Editori, 2017). Le conseguenze non tardano ad arrivare. Nel 415 la filosofa politeista di Alessandra Ipazia viene letteralmente squartata dalla plebaglia cristiana aizzata dal Vescovo Cirillo. Agostino avalla l'uso della della forza nelle conversioni rifacendosi ad un passo del Vangelo di Luca (14,23): "chiunque troviate invitatelo ad entrare". Dove il termine "invito" (cogite intrare) è inteso a carattere impositivo e inteso come legittimazione della violenza nella lotta contro gli eretici.


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Il seguente passo evangelico "chi punisce più severamente mostra un amore più grande" (Agostino: Epistola 93, 2, 5) fu interpretato da Sant'Agostino come opera di misericordia nella lotta contro i Donatisti, un movimento scismatico fondato dal Vescovo africano di Numidia Donato che professava assoluta intransigenza della Chiesa di fronte allo Stato e che riteneva indegni quei vescovi, definiti traditores, che non avevano resistito alla persecuzione di Diocleziano del 303. Agostino sostiene la necessità che il potere civile elimini con la forza la diffusione delle eresie, non solo per le considerazioni di ordine teorico sopra esposte, ma anche per l'evidenza dei risultati ottenuti. Nel trattato "Contra epistulam Parmeniani", scritto nel 400 contro Parmeniano, Vescovo Donatista di Cartagine dal 362 al 391, afferma: "si possono infatti vedere non singoli uomini, ma intere città che, già donatiste, sono diventate cattoliche in virtù della paura suscitata dalle leggi promulgate dagli imperatori, da Costantino in poi (…). La stessa Ippona, che aderiva in massa al partito di Donato, adesso timore legum imperialium si è convertita all'unità cattolica. I regnanti, da parte loro, promulgano leggi che incutono terrore temendo essi stessi il Signore, al cui servizio si pongono" Nell'evoluzione del pensiero agostiniano si impone in maniera forte la dimensione terapeutica e pedagogica della costrizione religiosa, secondo cui la violenza in sé non sia un male se utilizzata a fin di bene, a differenza della violenza punitiva o di quella con finalità materiali. Le due tipologie di violenza nel mondo medioevale si intersecano tra loro, come si mischiano il politico e il religioso. Questo intreccio permette agli apologeti di trovare una motivazione di parte a qualunque eccesso. In definitiva è l'ipocrita distinzione, utilizzata ancora oggi, per giustificare i peggiori crimini perpetrati dalla parte vincente (per definizione quella del bene) nei confronti degli sconfitti (i cattivi… a prescindere.) Anche San Tomaso d'Aquino, il più grande teologo del Medioevo, avallò l'uso della forza contro gli eretici con queste parole, tratte dalla sua opera "Summa Theologiae": "Per quanto riguarda gli eretici, questi si sono resi colpevoli di un peccato, che giustifica il fatto che essi non solo vengano estromessi dalla Chiesa attraverso la scomunica, ma anche lecitamente giustiziati" San Tommaso sostiene la tesi della pena capitale, secondo la quale se è giusto condannare a morte i falsificatori, allo stesso modo è necessario mettere a morte coloro che hanno commesso il peggiore dei crimini, la falsificazione della fede. Affermazioni che oggi fanno rabbrividire, ma che nella mentalità di onnipotenza della Chiesa medioevale erano ritenute del tutto normali e legittime. Il messaggio agostiniano fu poi messo in pratica con determinazione da Papa Callisto II il quale, durante il Sinodo di Tolosa dell'8 luglio 1119, decretò la morte dei seguaci del sacerdote Pietro di Bruys, colpevoli di predicare una diversa visione della fede basata sul rifiuto dei sacramenti e sul rigetto della croce considerata uno strumento di morte e simbolo delle torture subite da Cristo (lo stesso Pietro di Bruys trovò la morte gettato dai cattolici indispettiti tra le fiamme del rogo da lui stesso appiccato per bruciare delle croci).

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Carlo Magno e la conversione forzata dei Sassoni La mattina di Natale dell'anno 800 Carlo Magno viene incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero dalle mani di Papa Leone III. Per la prima volta nella storia dell'Occidente un imperatore è proclamato, non dal suo popolo attraverso il Senato o acclamato dalle sue legioni come avveniva in epoca Romana, ma dal Capo della Chiesa. A dimostrazione della subalternità delle istituzioni civili al potere temporale del Cristianesimo oramai dominante. Nel solco di Costantino, Carlo Magno usa la fede come collante per unire il suo frastagliato impero che comprende popoli tra loro molto diversi. E' il primo tentativo di omologazione (o integrazione, come si usa dire oggi) sulla base di un modello di società imposto dall'alto, in questo caso plasmato sulla fede cristiana. La sottomissione del potere temporale a quello religioso avviata da Carlo Magno è proseguita nei secoli successivi - seppur con alterne vicende e clamorose fratture come quella scaturita dalla disputa sulla nomina dei Vescovi del 1075 - fino al 1200 quando si impone l'autonomia dei comuni a scapito dell'Impero che entra in crisi, mentre la Chiesa vede accresciuto il suo potere con la trasformazione dei Papi da pastori di fede in uomini politici a tutti gli effetti e con il tentativo di Papa Innocenzo III di creare in Europa una teocrazia d'ispirazione universale. Tornando a Carlo Magno, la prima opera di conversione avviene a scapito delle bellicose tribù sassoni della Germania occidentale. Inizia con la decapitazione a Verdem, a sud di Brema, di 4.500 prigionieri che rifiutarono la fede cristiana e prosegue con una massiccia opera di battesimi forzati imposti con la violenza. Completò l'opera con un ferreo corpo legislativo riassunto nella formula "Cristianesimo o morte", teso a sradicare le millenarie tradizioni sassoni e a scoraggiare il ritorno agli antichi culti. L'inquisizione Medioevale Papa Lucio III e Federico I Barbarossa, nonostante il fortissimo e irrisolto dissidio sul possesso dei territori che erano stati della contessa Matilde di Toscana, si ritrovarono in perfetta sintonia nella difesa della fede cattolica e, ponendo una pietra miliare sulla nascita e organizzazione dell'Inquisizione Medioevale, stabilirono il seguente accordo: il papa fornisce l'elenco dei gruppi o persone da colpire e l'imperatore s'impegna a perseguirli. In questo modo il lavoro sporco, quello di applicare le pene, veniva demandato alla giustizia civile permettendo alla Chiesa di presentarsi con il volto misericordioso e, all'occorrenza, di prendere le distanze dagli eccessi derivanti da interessi materiali o giochi di potere della nobiltà. Lo stesso metodo riguarda i monaci che sono a stretto contatto con il popolo sofferente: il loro esempio viene utilizzato dalla gerarchia clericale come paravento dietro cui nascondere la condotta dissoluta e licenziosa del Clero. Sempre Papa Lucio III con la bolla denominata "Ad abolendam", emanata in occasione del sinodo di Verona del 1184 a seguito di una rivolta popolare scoppiata a Roma nel corso della quale numerosi prelati furono uccisi dalla plebe inferocita, da' inizio alle persecuzioni armate e pianificate contro gli "eretici" con l'istituzione dei primi tribunali specializzati nella repressione religiosa, antesignani della Santa Inquisizione.


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Il decreto pontificio stabilì inoltre il principio - estraneo al diritto romano - secondo il quale si poteva accusare chiunque di eresia, anche in assenza di testimoni. Un semplice sospetto o una delazione bastavano per imbastire il processo. Veniva associato al medesimo giudizio anche chi era a conoscenza di una ipotesi di reato e non lo denunciava. La norma venne poi ribadita e perfezionata nel 1215 dal Concilio Lateranense IV con l'introduzione della "procedura d'ufficio". Le pene lievi, emesse dai tribunali della Chiesa, che si dotarono di proprie prigioni per gli interrogatori, erano digiuni o l'obbligo di pellegrinaggi, mentre per coloro che non intendevano ritrattare la condanna, ben più pesante, era affidata al potere civile (o "braccio secolare"). In questo quadro s'inserisce la pena di morte per gli eretici i quali, pur non avendo commesso crimini, ma solo professato una diversa visione del cristianesimo, sono considerati doppiamente colpevoli: contro la religione e contro lo stato. Con la metà del XII secolo il diritto canonico recepisce l'idea che la pena appropriata per gli eretici sia il supplizio capitale e la pena di morte sul rogo purificatore si impone nella legislazione di tutti i paesi cristiani. Mentre l'uso della tortura durante gli interrogatori fu reso lecito dal decreto di papa Innocenzo IV "Ad extirpanda" pubblicato nel 1252. Questi primi provvedementi di stampo inquisitorio che, lo ribadiamo, colpivano uomini di profonda fede religiosa la cui unica colpa era quella di diffondere una diversa concezione del Cristianesimo o di invocare un ritorno della Chiesa al Cristianesimo primitivo, ebbero come effetto quello di creare un clima generalizzato di paura e di sospetto. L'espressione "timorato di Dio" ben si addice a questa situazione. Lo spirito inquisitorio della Chiesa lo si evince chiaramente da questo passaggio, tratto dal deliberato del Concilio Lateranense sopra citato: "che ciascun arcivescovo o vescovo, da solo o attraverso un arcidiacono o altre persone oneste e idonee, una o due volte l'anno, ispezioni le parrocchie nelle quali si sospetta che abitino eretici; e lì obblighi tre o più persone di buona fama, o, se sia necessario, tutta la comunità a che, dietro giuramento, indichino al vescovo o all'arcidiacono se conoscano lì degli eretici, o qualcuno che celebri riunioni segrete o si isoli dalla vita, dai costumi o dal modo comune dei fedeli". Con questa norma, la Chiesa si arroga il diritto di andare a cercare casa per casa gli eretici da processare, stabilendo il principio ispiratore dell'inquisizione che sarà poi la base giuridica dei Tribunali della Chiesa. Alla giustizia civile si affianca ora la giustizia religiosa, e l'Europa diventa di fatto una teocrazia. L'istituzione della Santa Inquisizione si inserisce in questo quadro a fosche tinte, dove il candore della fede profonda e sincera del popolo è oscurata dal fanatismo religioso e dalla sete di potere di buona parte delle istituzioni cattoliche. Per ingraziarsi la Chiesa, con la quale si trovò spesso in contrasto, e sfuggire ad una imminente scomunica, l'Imperatore Federico II di Svevia Re di Sicilia inserì nella sua Costituzione pene severe contro gli eretici che prevedevano il taglio della lingua e, in casi estremi, il rogo, recependo il decreto di papa Innocenzo III "Vergentis in Senium" del 1199 in cui il crimine religioso viene assimilato a quello politico.

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Non deve stupire questa sottomissione delle autorità civili ai voleri della Chiesa, in quanto le finalità del potere temporale e di quello clericale coincidono nella visione del mondo come espressione della volontà divina: è il mito agostiniano della Città di Dio che prende corpo. Pertanto l'affermazione e la difesa della fede cristiana costituiscono, per i regnati del Medioevo, una priorità politica assoluta che coincide con la missione religiosa della Chiesa. In definitiva nel Medioevo non vi è alcuna distinzione tra il religioso e il politico, entrambi perseguono lo stesso disegno descritto da Sant' Agostino nella sua "De Civitate Dei". Nei secoli successivi la repressione del dissenso religioso inizia a perfezionarsi e il compito di individuare gli eretici è demandato alle singole diocesi. Sono i Vescovi, spesso in contrasto tra loro, a guidare la "nobile causa". Naturamente con il pieno sostegno dei sovrani da loro consacrati. Si parla a questo proposito di "Inquisizione Vescovile". La prima celebre vittima fu Arnaldo Da Brescia. A causa delle sue prediche contro la crescente corruzione del clero e per aver contestato il potere temporale della chiesa, fu arrestato e condannato all'impiccaggione. Il suo corpo fu poi bruciato e le ceneri disperse nel Tevere. Nel basso Medioevo si inasprisce il contrasto tra i sostenitori di una Chiesa umile e la gerarchia ecclesiale. A Milano, nel 1056, sorge il movimento dei Patarini (da Patee, stracci in milanese, in quanto soliti riunirsi in un deposito di stracci). Il movimento dei patarini prende origine dalla reazione del clero di base e dei ceti più umili nei confronti della casta ecclesiastica considerata corrotta e simoniaca. Dopo alterne vicende e diversi fatti di sangue come l'uccisione di Sant'Arialdo da Carimate, il movimento dei patarini si esaurisce. Molti dei suoi adepti rientrarono nei ranghi o si danno a vita eremitica, molti altri aderiscono alla prima crociata. Dalle ceneri del movimento dei patarini sorge, attorno al 1170, il movimento Valdese fondato da Pietro Valdo che viene scomunicato nel 1215 dal Consiglio Lateranense IV. L'eresia catara Il salto di qualità nella repressione del dissenso religioso interno al cristianesimo si attua con le spedizioni militari contro territori e città considerate eretiche. Il primo massacro indistinto di un'intera popolazione avviene con la lotta all'eresia catara, considerata l'eresia medioevale per eccellenza. Da questo momento, con il coinvolgimento dell'esercito, la lotta all'eresia raggiunge l'apice della sua recrudescenza. Il movimento Cataro si sviluppa sul finire del XII secolo, principalmente nell'Europa occidentale e attecchisce in profondità nella regione francese della Linguadoca dove i Boni Christiani, come erano soliti chiamarsi, crearono una estesa rete di diffusione. Uno dei centri maggiori fu la cittadina di Albi, nella regione dello Champagne, motivo per cui i catari furono chiamati anche Albigesi. L'affermazione della povertà assoluta (pauperismo) e il rifiuto del potere temporale della Chiesa consentirono ai Catari di affermarsi in larghi strati della popolazione, soprattutto presso i ceti poveri.


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I Catari, il cui nome significa Puri, perseguivano una visione dualistica della religione in cui al Dio Padre, autore di tutte le cose buone ed eterne descritto nel Nuovo Testamento e padre di Cristo, si contrappone il Dio del Male (Satana), un Dio malvagio responsabile delle cose materiali. Questa concezione, considerata una sorta di rinascita del manicheismo, è fortemente avversata dalla Chiesa che, al contrario, sostiene la tesi monoteista, secondo cui al Dio dei cristiani non può contrapporsi alcuna altra identità divina. La loro convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del Male e che il corpo umano fosse una prigione per lo spirito, li portò al rifiuto della procreazione e di tutto ciò che essa rappresentava, come il rigetto di alimenti di origine animale (veri e propri Vegani ante litteram). Secondo i Catari la salvezza dell'uomo sarebbe possibile solo a condizione di separare l'anima dal corpo attraverso la sofferenza fisica e la morte, da attuarsi senza alcuna mediazione, né del clero né dei sacramenti. I Catari, inoltre, si ritenevano i veri depositari dell'insegnamento di Cristo e gli unici legittimati a chiamarsi suoi discepoli, perché come Cristo e gli apostoli nulla possiedono. Propugnavano per questo uno stile di vita semplice, casto ed austero. La visione pauperistica dei Catari raccoglie l'eredita dei Patarini e Dei valdesi, e anche del movimento Francescano. Ma a differenza di questi - che nel contestare la crescente corruzione e immoralità della Chiesa Romana e nell'auspicare un ritorno al cristianesimo primitivo, si sarebbero accontentati di una riforma di ordine morale - la prospettiva Catara mirava a stravolgere la teologia cattolica e, con le sue istituzioni, a porre la Chiesa Catara su un piano alternativo al Cattolicesimo. Per questo motivo quella Catara è stata considerata dalla Chiesa di Roma come la più insidiosa delle eresie dai tempi degli ariani, e di conseguenza duramente repressa. Il compito di sopprimere l'eresia catara fu affidato ai monaci Cistercensi che tentarono la conversione dei Catari per via pacifica, rimuovendo i prelati la cui condotta era ritenuta scandalosa, oppure organizzando pubblici dibattiti per tentare di confutare le loro tesi, ma senza sortire alcun effetto. Risultò infruttuoso anche l'intervento di Domenico di Guzman. Anzi fu proprio l'esperienza in terra catara che convinse il futuro fondatore dell'ordine dei monaci Domenicani della necessità di affiancare alla predicazione anche uno stile di vita fatto di povertà, umiltà e carità, quale unico modo per apparire credibili di fronte al popolo affascinato dal comportamento irreprensibile degli Albigesi. Papa Innocenzo III, costatata l'inefficacia della linea morbida, si convinse che l'unica strada percorribile per estirpare l'eresia Catara fosse quella della repressione. Nel 1208 è organizzata la prima grande spedizione militare contro gli Albigesi, considerata a tutti gli effetti una crociata, la prima indetta da cristiani contro cristiani. Alla Crociata, guidata dal legato pontificio Arnaud Amaury, partecipano credenti e cavalieri mossi da spirito religioso e attratti dall'indulgenza dei peccati. Vi aderiscono anche mercenari e avventurieri con licenza di bottino come i "Ribaldi" il cui nome, da quella vicenda, ha assunto il significato denigratorio che conosciamo.

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Il Re di Francia, Filippo Augusto sostiene con entusiasmo l'impresa, in quanto vede l'occasione tanto attesa per estendere il suo controllo sulla regione Occitana, una delle più ricche e colte dell'Europa di quei tempi, da sempre indipendente. Anche in questo contesto, come per le crociate in Terra Santa, motivi religiosi e ideali si intrecciano con bassi interessi economici e di potere. Ma quella che sembrava una facile e veloce spedizione punitiva, si trasformò in una lunga e cruenta guerra destinata a durare a lungo, nel corso della quale furono perpetrati crimini orrendi. Nella regione della Linguadoca - dove i fedeli godevano della tolleranza del conte di Tolosa Raimondo VI - fu praticato un vero genocidio, paragonabile per ferocia e accanimento alla repressione giacobina in Vandea. La prima città ad assere attacata fu Béziers nel 1209. Gli abitanti sono uccisi senza alcuna distinzione fra cristiani ed eretici, uomini, donne o bambini. La conferma dell'eccidio in una relazione inviata a Innocenzo III dal suo rappresentante Arnaud Amaury, che scrive (Patrologia Latina, volume CCXVI): "La città di Béziers fu presa e poiché i nostri non guardarono né a dignità né a sesso né a età, quasi ventimila uomini morirono di spada. Fatta così una grandissima strage di uomini, la città fu saccheggiata e bruciata; giusto risultato della vendetta divina contro i colpevoli!" Il numero di morti è secondo alcuni esagerato, fu comuque preso per buono dalla Chiesa per esaltare l'entità del castigo per gli eretici e per chi li protegge o li tollera. Leggendaria è divenuta la risposta del legato pontifico a un soldato che gli chiedeva come poter distinguere gli eretici dai cattolici rifugiatisi in una Chiesa che sarà data alle fiamme: "uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi" In realtà la frase, citazione della Seconda lettera a Timoteo di San Paolo, suonerebbe così: "Dio conosce quelli che sono suoi" L'autenticità della frase, riportata dal monaco tedesco cistercense Cesario di Heisterbach nel suo Dialogus Miraculorum, è stata a lungo contestata, ma oggi tende a essere accettata dalla maggioranza degli storici. Il 15 agosto 1209 fu la volta di Carcassonne i cui abitanti furono risparmiati, ma costretti a lasciare la città completamente nudi, secondo alcune fonti, o solo con le braghe secondo altre. Poi toccò a Lavaur nel 1211, messa a ferro e fuoco con ferocia. 400 Catari furono condannati al rogo. Con loro trovò la morte anche Giraude di Lavaur, sorella del comandante della guarnigione, gettata in un pozzo e lapidata dai crociati. Nel corso del IV Concilio laterano del 1215 papa Innocenzo III giustificò le violenze perpetrate contro i catari e minacciò di scomunica le autorità civili che non avessero represso adeguatamente l'eresia. Una replica dell'eccidio di Béziers si ebbe nel 1219 nei confronti della comunità catara di Marmande, in Aquitania. Quella che segue è la tragica descrizione del massacro attraverso le parole della "Canso de la Crosada", un poema epico che narra le vicende della crociata albigese: "…le armate dei cattolici… corsero per la città, agitando spade affilate, e fu allora che cominciarono il massacro e lo spaventoso macello. Uomini e donne, baroni, dame, bimbi in fasce


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vennero tutti spogliati, depredati e passati a fil di spada. Il terreno era scivoloso di sangue, cervella, frammenti di carne, tronchi senza arti, braccia e gambe mozzate, corpi squartati… Il sangue scorreva dappertutto per le strade, nei campi, sulla riva del fiume…". Una pausa nella guerra ai catari si ha con il trattato di Parigi del 12 aprile 1229, con il quale Raimondo di Tolosa, schieratosi inizialmente dalla parte dei Catari, si sottomette al Re di Francia ottenendo in cambio la restituzione dei territori della Linguadoca. Ma è una pace effimera: l'eresia è ancora lungi dall'essere estirpata. Molti albigesi, anche se privi di appoggi politici e militari e nonostante la soppressione di tutte le chiese catare del sud di Francia, continuano la loro opera di proselitismo nella clandestinità. Molti altri decidono invece di rifugiarsi nella rocca di Montségur, per questo motivo additata dal clero cattolico come la "Sinagoga di Satana". Nell'estate del 1243, a seguito dell'uccisione di due inquisitori Domenicani con il loro seguito da parte dei Catari, le forze crociate attaccano la rocca di Montségur. Dopo un anno di assedio vengono poste le condizioni della resa: chi abiurerà avrà salva la vita, chi rifiuta sarà bruciato sul rogo. Oltre duecento fedeli si rifiutano di abiurare e vengono arsi vivi ai piedi della rocca. Il prato dove viene eretto il rogo sarà ribattezzato "prato dei bruciati". I pochi scampati trovarono rifugio a Sirmione, sul lago di Garda, dove fondarono diverse comunità. Nel 1276 una nuova spedizione militare, guidata dal vescovo di Verona Timide, si abbatté contro le roccaforti catare sul Garda che si concluse due anni dopo con il rogo di 166 eretici. Nascita della Sacra Inquisizione Dal 1231, per rendere più incisiva l'azione militare contro i catari, i quali nonostante le stragi e i roghi, continuano a diffondere la loro fede, e contro gli altri movimenti ereticali che si andavano moltiplicando, Papa Gregorio IX istituì la Sacra Inquisizione e affidò all'ordine dei Domenicani e a quello dei Francescani il compito di organizzare i tristemente noti Tribunali dell'Inquisizione, secondo una direttiva dello stesso papa che non lasciava adito a dubbi: "Rimuovete la carne putrida con il ferro e con il fuoco, sterminate gli eretici" Tra i tanti manuali scritti all'epoca ad uso degli inquisitori è rimasto celebre quello del frate Domenicano e inquisitore Generale del Regno D'Aragon Nicolau Eymerich "il Directorium Inquisitorum" del 1376, in cui spiega da quali segni riconoscere gli eretici, come istruire un processo per eresia, quali domande tranello porre all'accusato e quando richiedere l'intervento del torturatore. Lo spirito di questo "Vangelo" è condensato in questa frase (Carlo Havas, "Storia dell'Inquisisizione", Odoya, 2010): "Bisogna ricordare che lo scopo principale del processo e della condanna a morte non è salvare l'anima del reo, ma… terrorizzare il popolo" I tribunali traevano la loro legittimità dal IV Concilio Lateranese del 1215 che, come detto, imponeva il controllo dei Parroci sugli abitanti delle loro diocesi al fine di individuare i sospetti di eresie (Inquisizione Vescovile). Allo scopo di combattere più efficacemente la Riforma Protestante, l'Inquisizione fu poi

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rinnovata da papa Paolo III nel 1542 con la bolla "Licet ab initio", con la quale si istituiva l'Inquisizione Romana del Santo Offizio (oggi Congregazione per la dottrina della fede). Tredici anni dopo, nel 1555, Paolo IV ne ampliò notevolmente le competenze al fine di consolidare il potere teocratico della Chiesa. Furono infatti compresi i bestemmiatori e i simoniaci; inserì maggiori strumenti per la lotta agli omosessuali e diede maggiore impulso all'intolleranza verso la comunità ebraica. La costituzione dei Tribunali dell'Inquisizione fu dettata, oltre che alla necessità di dotare l'apparato giudiziario di nuovi e più efficaci strumenti, anche dal bisogno di mettere ordine nei tribunali locali i quali, spesso improvvisati e condotti da magistrati digiuni di teologia e da Vescovi inadeguati, emettevano giudizi sommari e raffazzonati. Da evidenziare che nella repressione alle eresie il principio di legalità, per quanto discutibile e in contrasto con i canoni del diritto Romano e della nostra visione della giustizia, fu quasi sempre rispettato e applicato in modo rigoroso. La procedura giudiziaria, detta per l'appunto inquisitoria, era caratterizzata dall'indagine segreta compiuta dal giudice sulla base di sospetti o delle delazioni che venivano fortemente incoraggiate dalla Chiesa che le riteneva un dovere dei buoni cattolici (Papa Gregorio IX arrivò a lodare le mogli e i mariti che denunciavano il loro coniuge e i figli che accusavano i genitori). Per finire sotto processo era sufficiente la dichiarazione giurata di due testimoni la cui identità rimaneva segreta. Talvolta l'Inquisizione è stata mossa da avidità. Molti fedeli cristiani sono stati ingiustamente condannati come eretici e privati dei loro beni, spesso dopo aver subito torture, sulla base della testimonianza di persone animate da interesse personale, invidia o pura cattiveria. Bisogna anche aggiungere che l'Inquisizione fu per la Chiesa e per i regnanti, fonte di enormi ricchezze provenenti dalla confisca dei beni dei condannati (che non erano sempre dei poveri contadini, ma spesso facoltosi commercianti e grandi proprietari terreni). Normalmente a dividersi i beni erano, in parti uguali, gli inquisitori, la Chiesa e le istituzioni civili. Mentre presso le sedi papali due terzi andavano agli inquisitori e un terzo al comune. La giustificazione è condensata in questa frase: "L'eretico non può possedere beni, che invece sono della Chiesa la quale non lo spoglia ma si riprende ciò che è suo…" Si può quindi inmmaginare quanto l'avidità possa aver influenzato la giustizia ecclesiastica. Da rilevare che, dal punto di vista prettamente giuridico, i tribunali dell'Inquisizione agirono quasi sempre con scrupolosità e rispetto delle norme in vigore, condotti da giudici competenti e teologi di alto livello, soprattutto quelli italiani che venivano dall'antica scuola del diritto romano. Alcuni processi durarono addirittura anni e la maggior parte si conclusero con l'assoluzione dell'imputato o con lievi pene. Anche il ricorso alla tortura era regolato da precise disposizioni che ne limitavano l'abuso o l'utilizzo come metodo ordinario. Il giudizio di Dio o Ordalia, una procedura in uso nei tempi antichi basata sulla premessa che l'imputato veramente innocente sarebbe stata aiutato da Dio a superare la dolorosa prova, era anch'essa disciplinata da una norma rigorosa.


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Ai nostri occhi l'apparato procedurale dell'Inquisizione perde credibilità per la mancanza della terzietà del giudizio: a differenza del processo accusatorio previsto dal Diritto Romano - dove l'onere della prova ricadeva sull'accusatore, il quale veniva condannato alla pena prevista per il reato commesso se non riusciva a dimostrare la validità delle sue accuse - nel processo inquisitorio, non solo è l'accusato a dover dimostrare la sua innocenza, senza peraltro potersi avvalere di un avvocato difensore, ma accusatori e giudici erano gli stessi (sul medesimo iniquo sistema di giudizio si basarono i processi di Norimberga del 1945). Il principio del processo inquisitorio fu poi ripreso da Robespierre con il terrore bianco, e nei processi staliniani dove chiunque fosse sospettato di essere un controrivoluzionario rischiava di finire al patibolo. Oltretutto senza godere del tipo di rigore processuale praticato dalla Santa Inquisizione. La disciplina giuridica della Santa Inquisizione è comunque pervasa da un alone di ipocrisia. Un primo esempio riguarda le sentenze di morte che venivano emesse dai tribunali ecclesiastici, ma applicate dalle autorità civili alle quali veniva demandato il lavoro sporco, in modo tale da prenderne le distanze all'occorrenza. Un secondo esempio riguardo l'uso della tortura che doveva essere applicata "preferibilmente senza spargimento di sangue". A tale scopo furono inventati nuovi strumenti di sofferenza come la ruota che rompevano le ossa del malcapitato senza provocare la fuoriuscita di sangue, mentre i ferri e le tenaglie venivano arroventati per cauterizzare la carne quando veniva lacerata. Anche il rogo rientrava nella direttiva in quanto la morte sopraggiungeva senza spargimento di sangue, salvo poi applicare metodi e strumenti sanguinari di cui abbiamo testimonianza che solo delle menti perverse e accecate dal fanatismo religioso hanno potuto concepire. Un ruolo importante nell'ambito della prassi inquisitoria, fu quello dei medici. La normativa contemplata nel "Sacro Arsenale", manuale per inquisitori del Domenicano Eliseo Masini, prevedeva l'intervento di un medico nella fase preliminare dell'interrogatorio allo scopo di rilevare l'eventuale presenza sul corpo dell'imputato di segni riconducibili all'accusa di stregoneria e per verificare se fosse in grado di sopportare, sotto il profilo fisco e psicologico la tortura. Inutile dire che quest'ultima direttiva fu ampiamente disattesa. A volte i medici giustificavano la loro incompetenza nel diagnosticare una malattia o l'inefficacia di una cura sostenendo che il paziente aveva subito un maleficio. Comunque, per quanto legittimate dal diritto vigente e applicate in modo rigoroso, rimangono delle pratiche aberranti, derivanti dalla visione totalizzante della Chiesa che pretendeva di controllare le coscienze del popolo per dirigere le sorti del mondo. Da questo momento la persecuzione cristiana delle eresie diventa capillare, condita da zelo e fanatismo, e si interseca con le lotte di potere e smania di conquista di Papi e regnanti. La strage dei Templari L'ordine dei Cavalieri Templari fu costituito da Hugues de Payns, in occasione della prima crociata per proteggere i pellegrini che si recavano in Terra Santa.

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Con la fine delle crociate, grazie alle enormi ricchezze accumulate con le donazioni e le transazioni monetarie (sono considerati i primi precursori del sistema bancario) e alla loro possente flotta, i monaci Templari acquisirono una forma di potere socio-economico, oltre che militare, estremamente rilevante. I loro immensi tesori e le loro proprietà estese in tutta Europa, suscitarono gli appetiti del Re di Francia, Filippo il Bello il quale, sulla base delle solite accuse di eresia, il fatidico venerdì 13 dell'ottobre 1307, li fece arrestare e condannare al rogo insieme all'ultimo Gran Maestro dell'Ordine: Giacomo de Molay, non prima di aver inflitto loro atroci torture. La Chiesa, inizialmente contraria, si associò al giudizio di condanna decretando la soppressione dell'Ordine dei Templari. I loro beni saranno confiscati e trasferiti all'antagonista Ordine degli Ospitalieri (oggi Ordine di Malta). Dalle ceneri dell'Ordine dei Templari sorse in Scozia l'Ordine dei Cavalieri Massoni detti anche Liberi Muratori, in quanto grandi costruttori di Cattedrali. Le logge massoniche si diffusero nei secoli successivi anche grazie al commercio degli schiavi, molto attivo in America, ed ebbero un ruolo importante nella guerra d'indipendenza Americana. Torquemada e la Moderna Inquisizione Nello sviluppo dell'istituzione inquisitoriale è di fondamentale importanza il ruolo svolto da Isabella di Castiglia e da Ferdinando d'Aragona i quali, riuniti i loro regni e consacrati Re Cattolici dalla Chiesa, utilizzarono i tribunali non solo per reprimere duramente gli eretici, ma anche come strumento di potere. Il controllo dei tribunali dell'inquisizione spagnola preteso dai regnanti di Spagna portò a un forte dissidio tra corona e papato che si risolse con la nomina del Domenicano Tomás de Torquema a "Inquisitore generale dei Regni di Castiglia e di Aragona". Sulla figura di Toquemada, il giudizio è generalmente concorde con l'immagine tratteggiata dallo storico Juan Antonio Llorente, sacerdote e profondo conoscitore dell'Inquisizione spagnola di cui fece parte nel 1789, che lo definisce: "Una persona dai tratti raccapriccianti responsabile della morte sul rogo di 10.220 persone, e della punizione con infamia e confisca dei beni di altre 27.000" Dello stesso tenore è il giudizio di Shelly Klein. Attraverso il suo libro, "I Personaggi più malvagi della storia", nel definire Tomás de Torquemada "gran persecutore di ebrei e falsi convertiti", afferma: "Responsabile dell'imprigionamento, della tortura e della morte di migliaia di spagnoli innocenti. Conosciuto come la Leggenda nera, egli sparse il terrore in tutto il Paese… sviluppando la sua istituzione con zelo implacabile e spietato fanatismo. Vestito dell'austera tonaca di frate domenicano, questo sadico emaciato e dagli occhi infossati riversò il suo odio sugli ebrei e sugli eretici costringendo ben 300.000 persone a lasciare la Spagna e distruggendo per sempre le loro vite" Di diverso avviso è lo storico cattolico inglese William Thomas Walsh (1891-1949) secondo cui Torquemada è: "un pacifico dotto che abbandonò il chiostro per espletare un incarico sgradevole ma necessario, cosa che fece con spirito di giustizia temperato da pietà e sempre con grande abilità e prudenza"


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In entrambi i casi ci troviamo di fronte a giudizi fortemente influenzati dalla specifica formazione culturale e religiosa. Con Torquemada nasce la "Moderna Inquisizione", che non si limita a colpire le singole persone sospettate di eresia, ma estende la sua attenzione a intere comunità o gruppi etnici, come gli ebrei convertiti al cattolicesiomo (chiamati con disprezzo marranos, maiali) accusati di mantenere in segreto la loro fede e contro i musulmani sospettati di essersi falsamente convertiti al cristianesimo (moriscos). Prima di proseguire nella trattazione è necessario evidenziare la situazione spagnola durante la dominazione araba della penisola Iberica, avvenuta dal 711 (caduta del Regno Visigoto) al 1492 con la presa del Califfato di Granada da parte cattolica. La dominazione araba della Spagna fu caratterizzata da una grande tolleranza tra musulmani, cristiani ed ebrei e da uno straordinario sviluppo culturale, scientifico ed economico, cui contribuirono in maniera significativa anche gli ebrei che vivevano nella penisola Iberica da epoche remote. Gli arabi realizzarono in Spagna una fiorente agricoltura grazie all'introduzione di moderne tecniche di irrigazione e all'importazione di nuove varietà vegetali come la canna da zucchero, il riso, il cotone e l'arancio; inoltre, abili commercianti, esportavano in tutta Europa i loro raffinati prodotti di artigianato. Ai cristiani, poveri e ignoranti, erano destinati i lavori più umili. In questo quadro si inserisce il lavoro degli ebrei che si specializzarono, oltre che anch'essi nel commercio, in attività a carattere finanziario come il prestito a interesse e nelle professioni di medico che consentì loro di elevarsi economicamente (chiaramente non tutti ebrei svolgevano attività qualificate e molti di loro vivevano in povertà). I cristiani, ammirati dall'elevato livello culturale e di civiltà degli arabi, iniziavano spontaneamente a convertirsi all'Islam diventando "Mozarabi" (arabizzati). Con l'inizio della Reconquista e il passaggio di ampi territori sotto il controllo dei Re Cattolici, il clima di tolleranza religiosa instaurato dagli arabi è drasticamente mutato. Musulmani ed ebrei sono indotti a convertirsi al cristianesimo. Alcuni lo fanno spontaneamente, altri per convenienza, la maggioranza per costrizione. Nel 1492 (anno della scoperta dell'America), con la caduta del Regno Musulmano di Granada si completa la riconquista cristiana della penisola Iberica. Nello stesso anno viene emesso un decreto di espulsione di tutti gli ebrei presenti in Spagna che rifiutano la conversione al cristianesimo. La cacciata comporta la requisizione di tutti i loro beni e l'azzeramento dei loro crediti, sopratutto dei prestiti che erano stati concessi alla Corona per finanziare le armate cristiane. La stessa sorte la subiranno i Musulmani nel 1502, nonostante le promesse dei reali di Spagna all'atto della capitolazione del Califfato di Granada. Gli ebrei convertiti sono spesso accusati di praticare in privato gli antichi culti, da questo clima di sospetto matura il concetto di "Limpieza de Sangre", prodromo del razzismo antiebraico. La purezza del sangue si basa sul convincimento che gli ebrei falsamente convertiti, detti anche "Conversos", possano corrompere la società dall'interno. Questa idea, che per Torquemada, nonostante fosse di origine ebraica, diventa una vera ossessione, porta all'esclusione dalla vita pubblica di tutti ebrei che non sono in grado di dimostrare, con appositi certificati, l'appartenenza alla fede cattolica da almeno sette generazioni.

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In realtà, come afferma lo storico Thomas F. Madden nel suo articolo "La verità sull'Inquisizione spagnola" pubblicato sulla rivista Crisis Magazine del 9 Ottobre 2003: "La stragrande maggioranza dei conversos era composta da buoni cattolici, semplicemente orgogliosi della loro eredità ebrea (…) Sebbene cristiani, numerosi conversos ancora parlavano, vestivano e mangiavano come gli ebrei. Molti rimasero nei quartieri ebrei per poter essere vicini agli altri membri della famiglia" L'Inquisizione spagnola fu a tratti molto cruenta, soprattutto nei suoi primi quindici anni sotto la direzione di Torquemada che mandò al rogo circa 2.000 Conversos, e a Siviglia dove gli spagnoli, per fare fronte al numero crescente di esecuzioni e per risparmiare legna, s'inventarono un sistema di morte di tipo "industriale". Si tratta dei "Quemaderos", 4 enormi forni in grado ospitare fino a quaranta persone ciascuno che, ruotando sopra una caldaia alimentata a legna, cuocevano gli sventurati a fuoco lento prolungandone per ore l'agonia. Funzionarono ininterrottamente per oltre tre secoli e vennero chiusi da Napoleone nel 1808 (A. Petta, "Gli scheletri dell'Inquisizione"). Le sentenze di morte comminate dall'Inquisizione sono eseguite dalle autorità civili nella pubblica piazza e chiamate "Autodafè", atto di fede. I condannati, se si pentono sono prima impiccati o decapitati, altrimenti sono bruciati vivi. Gli eccessi nelle esecuzioni furono rimproverati da Roma e portarono, come detto, alla nomina, da parte dei reali di Spagna, di Torquemada come Inquisitore Generale, il quale fin da subito mette ordine ai tribunali locali e pone un freno agli abusi, ma nel contempo realizza un sistema repressivo che non lascia scampo ad alcuno. Istituisce un codice di procedura (Istruciones de la Santa Inquisiciòn) che provoca la morte, secondo alcuni studiosi, di oltre 100 mila persone, molte delle quali avvenute in prigione a causa degli stenti. Non è da meno il suo successore, il Cardinale di Siviglia Jiménez de Cisneros, che si distigue per la dura repressione in nord Africa dove, a capo di una sorta di crociata, sostenuta dalle mire espansionistiche di Re Ferdinando e con la benedizione di Papa Giulio II, espugna la città islamica di Orano (nell'odierna Algeria) massacrando o rendendo schiava l'intera popolazione. In precedenza Cisneros attuò una vasta campagna di conversione forzata dei Musulmani di Granada che ebbe come corollario la distruzione di tutti i testi arabi, con la sola eccezione dei trattati di medicina. Alla fine dell'operazione affermò soddisfatto che: "Non vi era rimasto alcuno in città che non fosse cristiano, e che tutte le moschee erano state trasformate in chiese". (Claudio Lo Jacono, ("Storia del mondo islamico", Torino, Einaudi, 2003) Per quanto spietato, fu comunque un inquisitore rigoroso. A lui si deve la riforma dell'Inquisizione spagnola con l'introduzione di maggiori garanzie per l'imputato e maggior equità nei processi che portarono in seguito ad una riduzione delle sentenze di morte. In tempi recenti il giudizio negativo sull'operato dell'Inquisizione spagnola è stato messo in discussione da due autorevoli storici, Peters e Kamen, che hanno dato l'avvio alla teoria della "Leggenda nera dell'Inquisizione" secondo la quale i Protestanti prima e gli Illuministi poi, avrebbero imposto una lettura distorta e ideologica dei fatti storici allo scopo di screditare la Chiesa di Roma e la Spagna Cattolica.


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Questa teoria, poi ripresa da molti autorevoli medioevalisti come il nostro Franco Cardini, è stata supportata da un documentario della BBC del 6 novembre 1994 dal titolo "The Myth of the Spanish Inquisition" (Il mito dell'Inquisizione spagnola) in cui si sostiene che l'Inquisizione spagnola sia stata molto meno crudele di quanto generalmente si pensi. In realtà, questa nuova corrente non contesta i fatti storici, che sono di per sé incontrovertibili, tenta di interpretarli in maniera alquanto "truffaldina". Infatti i sostenitori della Leggenda nera basano la loro teoria su tutta una serie di ingannevoli distinguo, come la separazione tra inquisizione cattolica e inquisizione protestante in modo da ridurre il carico di responsabilità (soprattutto per qunto riguarda la caccia alle streghe), e sull'ipocrita presa di distanza dalle sentenze di morte emesse dai tribunali civili (tutt'al più ammettono una sorta di concorso di colpa tra le autorità ecclesiastiche e il potere secolare nel reprimere le eresie), come se la violenta repressione del dissenso religioso con tutto ciò che, direttamente o indirettamente, ha comportato, non fosse partita, e sempre sostenuta in tutta la sua virulenza, dalla Chiesa di Roma e a nulla valgono i singoli episodi di tolleranza e misericordia di alcuni Papi e singoli uomini di Chiesa, spesso citati, che si perdono nel mare di crudeltà dell'occidente cristianizzato. L'Inquisizione spagnola sbarca nel Nuovo Mondo Dopo la cacciata degli ebrei e dei musulmani dalla Spagna, l'inquisizione approda nelle Americhe. Nei suoi primi decenni di attività oltre oceano, l'Inquisizione limitò la sua attenzione agli ebrei e ai protestanti con il malcelato scopo di depredarli dei beni che nel frattempo avevano accumulato. Non di rado fu anche costretta a intervenire per frenare gli eccidi delle milizie spagnole che, accecate dal miraggio dell'oro, con grande disinvoltura torturavano e uccidevano gli indios che si opponevano alla spogliazione dei loro templi. Inizialmente non furono attuate campagne di conversione dei nativi in quanto si riteneva che gli indios non avessero un'anima. Furono inoltre lasciati tranquilli (quelli che sopravvissero alla guerra di conquista) per poterli utilizzare come schiavi nelle piantagioni e nelle miniere d'oro. Successivamente, quando fu deliberato che gli indios avevano natura umana, seppur inferiore, iniziarono le conversioni di massa, che però avvennero con una certa benevolenza, essendo considerati dei primitivi inconsapevoli da condurre con mano verso la salvezza. Fu invece la crudeltà dei Conquistadores di Cortès e Pizzarro che portò al genocidio dei nativi a cui contribuirono pesantemente le malattie trasmesse dagli europei, verso le quali i nativi non possedevano le difese immunitarie adatte (avvenne anche il contrario, ma in misura nettamente inferiore). Ad opporsi allo sfruttamento e al maltrattamento degli indios furono i Gesuiti. Fondato nel 1540 da Ignacio de Loyola, la Compagnia di Gesù sbarcò nel nuovo mondo con l'intento di evangelizzare le popolazioni indigene. A differenza di quanto avveniva in Europa, l'opera di conversione praticata dai Gesuiti avvenne pacificamente e rispettando, anzi valorizzando, le lingue, la cultura locale e portò alla

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costituzione di grandi proprietà terriere (le "Encomienda") che producevano grandi quantità di prodotti agricoli (mais, ortaggi, vino, cacao, tabacco) e altri beni che esportavano in Europa. Fondarono diversi agglomerati urbani come la futura città di San Paolo. Come avvenne un secolo prima per i Templari, gli enormi possedimenti e le ricchezze accumulate dai Gesuiti in America e nel vecchio continente grazie alla gestione economica avanzata da cui derivò un grande potere politico, suscitarono il timore (e gli appetiti) dei regnanti europei. In particolare la corona di Spagna, che dominava gran parte del continente americano, vedeva nei Gesuiti un potere al servizio del Papa. Accusati di aver ordito attentati contro i reali del Portogallo e congiure in Spagna, dalla seconda metà del 1700 i Gesuiti furono espulsi da tutta l'America per poi essere sciolti settant'anni dopo da papa Clemente XIV (saranno riabilitati da Papa Pio VII nel 1814). Ben diverso fu il comportamento dei coloni protestanti provenienti dall'Inghilterra che si stanziarono del nord America, seguiti poi dalla feccia d'Europa. I padri pellegrini sbarcati sulle coste del nuovo mondo nel 1620 dalla nave Mayflower, portarono con sè tutto il loro bagaglio di fanatismo religioso e di razzismo biblico che fu scagliato sui nativi considerati esseri inferiori. I Pellerossa, secondo la morale puritana, potevano essere impunemente uccisi per depredarli delle loro terre. Pochi sanno, ad esempio, che la tecnica della scotennatura praticata dagli indiani, fu sistematicamente ripresa dai coloni come prova dell'uccisione di un Pellerossa. Vittorio Messori, nel suo testo "Pensare la storia" (Ed. SugarCo, 2006), ci informa: "Nel 1703 il governo del Massachusetts pagava 12 sterline per scalpo, tanto che la caccia all'indiano (organizzata con tanto di cavalli e mute di cani) diventò presto una sorta di sport nazionale, per giunta molto redditizio" Il clima di disprezzo e di superiorità dei coloni americani nei confronti dei Pellerossa è riassunto nel motto, allora molto in voga: "il miglior indiano è l'indiano morto". La guerra civile tra cristiani Tornando alle tormentate vicende Europee, con Martin Lutero e la nascita del movimento protestante che si afferma soprattutto in Germania e, nella forma Anglicana, in Gran Bretagna, si giunge alla guerra civile tra cristiani. Al fine di contrastare le idee di Lutero e Calvino, Papa Paolo III riorganizza il sistema inquisitorio medioevale e istituisce, con la bolla "Licet ab initio" del luglio 1542, la "Congregazione della Sacra Romana e Universale Inquisizione" o Sant'Uffizio (detta anche Inquisizione Romana). Tra gli obiettivi di Paolo III troviamo l'Inghilterra scismatica contro la quale, nel 1538, indice una crociata per invadere l'isola. La velleitaria impresa fallirà sul nascere per il mancato appoggio delle monarchie europee. Vittima eccellente della disputa tra cattolici e protestanti in Inghilterra fu l'umanista e politico cattolico inglese Tommaso Moro (Thomas More). L'autore di "Utopia", per essersi rifiutato di riconoscere Enrico VIII come capo della nascente Chiesa d'Inghilterra (e anche per l'opposizione al suo divorzio), fu da questi condannato a morte e decapitato.


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Il 24 agosto del 1572 a Parigi, e in altre città francesi, migliaia di calvinisti, chiamati Ugonotti, sono uccisi nell'offensiva nota come "Notte di San Bartolomeo". Alcune fonti parlano di 20.000 vittime. La strage era stata voluta dalla regina di Francia Caterina de' Medici per contrastare la crescente influenza politica dei nobili protestanti guidati dall'ammiraglio Gaspard de Coligny. Alla decisione di compiere l'efferato eccidio non furono estranee le pressioni esercitate in tal senso da Papa Pio V. In una lettera indirizzata al figlio di Caterina, il giovane re di Francia Carlo IX , il pontefice raccomandava di: "esterminare tutti que' scellerati eretici, a massacrare tutti i prigionieri di guerra, senza aver riguardo per alcuno, senza rispetto umano, e senza pietà; imperocchè non vi poteva né vi doveva mai esser pace fra Satana e i figli della luce (…) affinché la razza degli empi non pullulasse di nuovo, ed anche per piacere a Dio, il quale preferisce ad ogni altra cosa che si perseguitino apertamente e piamente i nemici della religione cattolica". La notizia della carneficina fu accolta con entusiasmo negli ambienti vaticani. Tale fu la gioia di Gregorio XIII, successore di Pio V, che fece immediatamente dipingere dal celebre Vasari in una sala del Vaticano, una serie di affreschi raffiguranti il massacro; fece addirittura coniare una moneta commemorativa con la propria effige da un lato e un angelo con la spada nell'atto di uccidere gli Ugonotti dall'altro, sormontati dall'eloquente motto: "Ugonottorum Strages 1572" La successiva guerra dei trent'anni, avvenuta dal 1618 al 1648, tra cristiani cattolici e cristiani protestanti, provoca la morte del 40% della popolazione europea, soprattutto tedesca. Il culmine della recrudescenza si raggiunge nel 1631, quando la città protestante di Magdeburgo viene saccheggiata e rasa al suolo dalle truppe cattoliche: 30.000 persone, metà della popolazione, sono uccise. Scrive il poeta e storico tedesco Friedrich Schiller: "In una sola chiesa si trovarono 50 donne decapitate e bambini che ancora succhiavano il latte dal petto delle loro madri senza vita". In Italia la riforma protestante attecchisce in forma minore rispetto al resto d'Europa, questo a causa della lunga tradizione cattolica e del forte controllo esercitato dall'Inquisizione Romana. Tuttavia in alcune località di confine con la Svizzera, dove il protestantesimo si è oramai consolidato, si costituiscono alcune comunità protestanti, come quella della Valtellina. In questi luoghi, nel 1620, si consuma una orrenda strage che sarà ricordata come il "Sacro Macello della Valtellina". Benedetta Rinaldi in un articolo apparso sulla rivista InStoria del Settembre 2011, ci riporta una descrizione dei fatti: "In successione e con lucida crudeltà vengono uccisi quasi tutti i protestanti della comunità tiranese; viene poi messa a ferro e fuoco Teglio, dove si mette in atto una vera e propria strage all'interno della Chiesa evangelica stessa dove i protestanti avevano cercato rifugio, senza avere pietà per donne e bambini, arsi vivi nel campanile. Ultima tappa Sondrio, da cui solo un esimio gruppo di 70 persone armate riesce a fuggire e trovare rifugio in Engadina. Si calcola che in questo spaventoso pogrom, chiamato dallo storico Cesare Cantù: Sacro Macello della Valtellina, siano state trucidate circa 600 persone". Le vittime illustri dell'Inquisizione Mentre le campagne militari seminano morte e distruzione nelle città eretiche, i tribunali dell'Inquisizione continuano a macinare sentenze.

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Tra le vittime illustri troviamo il frate domenicano Gerolamo Savonarola. Dopo tre processi è condannato all'impiccagione e il suo corpo bruciato in Piazza della Signoria a Firenze il 23 maggio 1498 insieme a due suoi discepoli. Il filosofo e monaco domenicano Giordano Bruno, per aver espresso dubbi sul dogma della trinità e sostenuto la teoria copernicana osteggiata dalla Chiesa, dopo un lungo peregrinare, viene processato per eresia e condannato a morte. Sarà arso vivo il 17 febbraio 1600 sul rogo eretto in Campo de' Fiori a Roma. Andò meglio (si fa per dire) al frate domenicano Tommaso Campanella, condannato più volte per eresia, trascorse 27 anni in prigione a Napoli, dove scrisse, nel 1602, la sua più celebre opera "La città del Sole", un trattato utopistico sulla città ideale che lo riporta alla "Repubblica" di Platone in cui emergono il rifiuto della proprietà privata ed una visione egualitarista e totalitaria della società. Il padre della scienza moderna, Galileo Galilei, per aver sostenuto che la Terra gira intorno al Sole è processato come eretico dal Sant'Uffizio e condannato all'ergastolo. Per evitare il carcere a vita è costretto, il 22 giugno 1633, a rinnegare le sue concezioni astronomiche. Vivrà il resto dei suo giorni gli arresti domiciliari nella sua casa di Firenze. Tra gli scampati alla morte troviamo Pico della Mirandola, umanista e filosofo. Proverbiale si è tramandata nei secoli la sua prodigiosa memoria (si dice che fosse in grado di tenere a mente qualunque opera appena letta e di recitarla al contrario, come faceva con la Divina Commedia). Condannato da una commissione di teologi e giuristi che considerano eretiche le sue tesi, è costretto all'abiura e a riparare in Francia dove viene nuovamente arrestato. Fu grazie alle proteste degli accademici di Francia e all'intervento di Lorenzo il Magnifico che evitò il carcere. L'assoluzione dall'eresia gli verrà un anno prima della sua morte, avvenuta il 17 novembre 1494. Un caso a parte riguarda Giovanna d'Arco. La vicenda della Pulzella d'Orléans si sviluppa sullo sfondo della guerra dei cent'anni che vide contrapposti i re di Francia e d'Inghilterra per il possesso della Francia. Catturata e abbandonata dal suo re, è tradotta in Inghilterra dove il tribunale dell'Inquisizione la condanna al rogo per eresia. La sentenza viene eseguita il 30 maggio 1431. L'Indice dei libri proibiti Tra i compiti della Santa Inquisizione, troviamo la soppressione dei libri considerati eretici. Il 30 dicembre 1558, su disposizione di papa Paolo IV, fu promulgato il primo indice, dei libri proibiti, detto anche "Indice Paolino". Il decreto dell'Inquisizione Romana prescriveva, pena la scomunica: "Che nessuno osi ancora scrivere, pubblicare, stampare o far stampare, vendere, comprare, dare in prestito, in dono o con qualsiasi altro pretesto, ricevere, tenere con sé, conservare o far conservare qualsiasi dei libri scritti e elencati in questo Indice del Sant'Uffizio" Nel 1571 venne istituita la Congregazione dell'Indice (Index librorum Prohibitorum) con il compito di individuare i libri ritenuti pericolosi per la fede e di esaminare i nuovi testi scritti da cattolici in tema di morale e/o di fede, prima di autorizzarne la pubblicazione tramite apposito


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"Imprimatur", tuttora in vigore. La stesura del primo indice viene affidata a Monsignor Della Casa, l'autore del celebre Galateo. Con la diffusione della Riforma Protestante il numero di testi messi all'Indice crebbe enormemente con l'inserimento di tutte le opere scritte da Calvino e Lutero. Poiché il protestantesimo si radicò soprattutto nell'area svizzero-tedesca, per non correre rischi, furono vietate tutte le opere - di qualsiasi autore e tema - provenenti dalla regione incriminata. Anche le edizioni della Bibbia non in latino furono inserite nell'Indice, allo scopo di impedire al popolo di apprendere il messaggio biblico direttamente dai testi sacri scritti nella lingua parlata (volgare) e, viceversa, per rendere la Bibbia accessibile solo a chi conosceva il latino (in pratica solo ai chierici che, di fatto, erano gli unici depositari del sapere religioso e non). Tra i più accessi sostenitore della censura della Chiesa troviamo il Cardinale Bellarmino. In una lettera indirizzata agli inquisitori italiani del 1614 il teologo gesuita, grande accusatore di Galileo Galilei e responsabile del rogo di Giordano Bruno, esprime la sua preoccupazione per la diffusione persistente di: "libri infetti e perniziosi" e invita gli inquisitori ad aumentare la vigilanza per: "ovviare almeno che simil peste de' libri non infetti queste parti d'Italia". Succedeva infatti che i libri eretici provenienti dai paesi Protestanti giungessero in Italia clandestinamente, nascosti tra le merci. Altro espediente fu la sostituzione della copertina originale con un'altra recanti un innocuo titolo, falsi autore e luogo di pubblicazione. Come si può facilmente comprendere la censura della Chiesa sulla stampa limitò fortemente la diffusione delle idee e costrinse i pensatori dell'epoca, per non incorrere nei rigori dell'Inquisizione, ad evitare di trattare argomenti che potessero poi risultare in contrasto con i dogmi della fede. Questa forma di autocensura diventa pertanto una necessità irrinunciabile per molti scrittori, ma anche per molti librai che spesso si rifiutano, per gli stessi motivi, di pubblicare testi di natura teologica. Persino Paolo Sarpi, nonostante la sua opera Istoria del Concilio Tridentino pubblicata nel 1619 fu posta all'Indice dei libri proibiti, avvalla la censura affermando: "La materia de' libri par cosa di poco momento perché tutta di parole; ma da quelle parole vengono le opinioni del mondo, che causano le parzialità, le sedizioni e finalmente le guerre. Sono parole sì, ma che in conseguenza tirano seco eserciti armati". Va aggiunto, ad onor del vero, che il vizio della censura, a cui si aggiunge il conformismo intellettuale, non è una esclusiva clericale, ma antico quanto il mondo e tuttora presente, soprattutto nel contesto politico. Introdotta per combattere l'eresia, ben presto, partendo dai testi a carattere religioso, l'Indice si estende ai testi letterari e scientifici. Ad essere colpite sono soprattutto le opere di astronomia come gli studi di Niccolò Copernico sulla dimostrazione matematica della teoria eliocentrica; di Giovanni Keplero sul moto dei pianeti; di Galileo per il suo "Dialogo sopra i massimi sistemi" in cui sostiene la teoria copernicana; di Renato Cartesio le cui opere sono messe all'indice nel 1633, nonostante fosse unanimemente considerato uno dei padri della matematica (si pensi al piano cartesiano) e precursore del moderno pensiero scientifico (suo è il motto: "Cogito, ergo sum").

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Spinoza, anche le sue opere (tra cui la più eminente, l'Ethica) saranno inserite nell'Index in quanto accusato di riprendere il pensiero di Cartesio sul rapporto tra spiritualità e materia. Non sfugge ai rigori dell'Inquisizione neppure Niccolò Machiavelli. Il libro più famoso dello scrittore fiorentino "Il Principe", per aver sostenuto la tesi secondo la quale la politica va sottratta alla sfera religiosa, in antitesi a Sant'Agostino e Tomaso d'Aquino per i quali la politica è vista come una branchia della religione, è messo al bando nel 1559. Continuerà comunque a circolare seppur clandestinamente, segnando una pietra miliare nella storia del pensiero politico moderno. La lettura dei testi proibiti era tuttavia consentita per motivi di studio. L'autorizzazione, detta "patente di lettura," veniva rilasciata dal Sant'Uffizio a studiosi di provata fede per un periodo massimo di tre anni. Le donne ne erano comunque escluse. Libri al rogo Il 9 settembre del 1553, nel giorno del capodanno ebraico, avviene il primo rogo di testi Rabbinici decretato dal tribunale Romano della Santa Inquisizione. Sono date alle fiamme, tra gli applausi dei romani in Campo de' Fiori, tutte le copie del Talmud che gli ebrei residenti nello Stato Pontificio sono stati obbligati a consegnare. I roghi si succedono in molte altre località, e ovunque si ripetono le stesse scene di disperazione degli ebrei per la riduzione in cenere dei loro testi sacri e di derisione dei cristiani che assistono compiaciuti alla scena. Neppure la Bibbia scampa alla furia inquisitoria. Nel 1631 papa Urbano VII ordina a tutti i possessori di copie della Bibbia scritte in lingue diverse dal latino di consegnarle alla Chiesa per essere bruciate, pena la denuncia alla Santa Inquisizione. L'esempio sarà poi seguito nella nostra epoca dagli studenti nazionalsocialisti che nel 1933 bruciarono in piazza i testi ebraici e i libri contrari al nuovo spirito tedesco. Ai nostri giorni, non essendoci più gli strumenti coercitivi per bruciare i libri, si ricorre al carcere per gli scrittori scomodi, come nel caso dei ricercatori che scavano a fondo sull'Olocausto portando alla luce fatti e documenti che potrebbero ridimensionare la portata storica della persecuzione ebraica. Per l'abolizione dell'Indice bisognerà aspettare il Concilio Vaticano II del 1966, anche se i suoi effetti sulla cultura italiana rimarranno a lungo. Sfogliando il lungo elenco dell'Indice, troviamo le opere di personaggi illustri che hanno fatto la storia del pensiero umano quali:Alexandre Dumas, Cartesio, D'Alembert, Daniel Defoe, David Hume, Diderot, Émile Zola, Flaubert, Francesco Bacone, George Berkeley, Henri Bergson, Honoré de Balzac, Immanuel Kant, John Locke, Montesquieu, Pascal, Proudhon, Rousseau, Stendhal, Voltaire, Hobbes, Victor Hugo. Tra gli italiani troviamo: Antonio Fogazzaro, Antonio Rosmini, Benedetto Croce, Cesare Beccaria, Ernesto Bonaiuti, Francesco Guicciardini, Gabriele D'Annunzio, Giacomo Leopardi, Giovanni Gentile, Luigi Settembrini, Niccolò Tommaseo, Pietro Verri, Ugo Foscolo, Vincenzo Gioberti, Vittorio Alfieri.


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Tra gli ultimi ad essere inseriti nella lista vi sono: Alberto Moravia, André Gide, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Molte importanti opere sono state incluse nell'indice e sottratte al comune sapere: l' Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, il De Monarchia di Dante Alighieri, l' Opera Omnia di Guglielmo di Occam, il Decamerone di Boccaccio. La caccia alle streghe L'epoca della lotta alle eresie sta per finire, ma non il lavoro dell'inquisizione che a partire dalla seconda metà del 1400 - quando con l'Umanesimo e il Rinascimento la cultura europea tenta di cambiare pagina - intraprende una nuova campagna: la caccia alle streghe. La stregoneria nasce dalla trasformazione in reato di tutti quei riti ancestrali, bagaglio di una forte tradizione popolare radicata nei secoli in Europa, voluta dalla Chiesa per accrescere la sua ingerenza e il suo controllo nella vita sociale dei singoli al fine di costruire un'unica etica collettiva plasmata sulla religione cristiana. Infatti questo fenomeno fu del tutto assente nell'area islamica. Tutto ha inizio con la personalizzazione del diavolo. Fino ad allora Satana era considerato nell'immaginario collettivo come una figura un po' vaga, relegata all'inferno a tormentare le anime dannate, e che ogni tanto appariva sulla terra per sobillare gli spiriti deboli. La figura del diavolo assunse dei contorni più definiti, e con esso la figura della strega, con il sopraggiungere delle grandi epidemie come la peste nera che dal 1347 al 1352 imperversò in tutta Europa uccidendo un terzo della popolazione e che, per un inspiegabile motivo, colpì maggiormente gli uomini. Si incominciò quindi a diffondersi l'idea che la causa delle pestilenze, e delle carestie degli anni successivi, fosse il diavolo per mano delle streghe (anche se ad essere accusati di stregoneria furono in diverse occasioni anche individui di sesso maschile) alle quali venivano addebitate tutte le circostanze nefaste che si potevano verificare: siccità, carestie, moria di animali e fenomeni negativi allora inspiegabili. In questo modo, con l'identificazione di un capro espiatorio manovrato da Satana, si allontanava dal popolo l'idea di un Dio insensibile e impotente di fronte alle sofferenze umane. Forti in questo dell'assunto di San Tomaso il quale affermava che il Diavolo era libero di compiere qualsiasi misfatto. Individuato il nemico, si passò alle vie di fatto. L'apertura ufficiale della caccia alle streghe è datata 5 dicembre 1484, quando Papa Innocenzo VIII emanò la bolla "Summis desiderantes affectibus": "Uomini e donne allontanatisi dalla fede cattolica hanno ceduto ai diavoli, e con i loro incantesimi, i loro malefici, le loro magie ed altre esecrande offese uccidono infanti ancora nel grembo materno e la prole del bestiame, distruggono i frutti della terra … impediscono agli uomini di compiere l'atto sessuale e alle donne di concepire" e conferì ai frati Domenicani (sempre loro…) i pieni poteri per la repressione della stregoneria in alcune regioni della Germania. Per rendere più incisiva l'opera della giustizia ecclesiastica contro le streghe, i frati Domenicani Sprenger e Kramer, incaricati di estirpare le radici del male, nel 1486 danno alle stampe il "Malleus Maleficarum", meglio noto come "Martello delle Streghe".

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In questo libro, che ebbe enorme diffusione, sono decritti i malefici operati dalle streghe, indicati i mezzi per riconoscerle, le tecniche degli interrogatori e i tipi di torture da applicare per estorcere le confessioni. Insomma, una sorta di manuale del perfetto inquisitore che per tre secoli fu presente sul banco di giudici e sul tavolo dei magistrati. I due autori oltre ad un evidente ossessione per il sesso, nutrivano un odio profondo per le donne, colpevoli secondo loro di: "lasciarsi sedurre dal diavolo e di accoppiarsi con lui". In quest'opera terribile, che pare la sceneggiatura di un film horror, troviamo pagine e pagine di perversione tese a umiliare il mondo femminile, che portarono ad una morte atroce un numero impressionante di donne innocenti. "… Non sorprende che le donne, deboli di mente e di corpo come sono, si facciano tanto spesso streghe … La donna è la lussuria carnale personificata … Se una donna non riesce ad avere un uomo, si unisce al diavolo in persona". Questa avversione per le donne, seppur esasperata dagli autori del Malleus, rispecchia la mentalità misoginia diffusa dalla Chiesa medioevale, che vedeva nel sesso femminile la causa del peccato originale e fonte di continua seduzione. Dal Libro della Genesi 3,1-16 leggiamo: Eva, sedotta dal serpente, porge la mela ad Adamo. Entrambi sono rimproverati da Dio, che dice ad Eva: "Moltiplicherò i tuoi travagli ed i tuoi parti; partorirai tra i dolori i tuoi figli; sarai sotto la potestà del marito, ed egli ti dominerà. Tra le vittime della caccia alle streghe troviamo anche le levatrici, spesso accusate di causare la morte dei neonati durante il parto o subito dopo la loro nascita conficcandogli degli aghi nelle fontanelle della testa, in questo modo, privi di battesimo, finivano direttamente tra le braccia di Satana. In un passsaggio del manuale degli Inquisitori troviamo la seguente aberrante affermazione: "Nessuno causa più danni alla fede cattolica, quanto le levatrici". Gli storici medioevalisti sono concordi nell'attribuire alle prediche di San Bernardino da Siena l'inizio della caccia streghe. Nei primi anni del 1400 San Bernardino si scaglia con violenza contro le streghe responsabili, a suo dire, delle sciagure e afferma senza mezzi termini che vanno sterminate. Costante il suo riferimento alle Streghe di Benevento, una credenza popolare di origine pagana risalente alla dominazione Longobarda che alimentò fino a farla diventare una psicosi collettiva, e i cui effetti non tardarono a manifestarsi. Per volere di San Bernardino, Il 28 giugno 1424 sulla Piazza del Campidoglio a Roma, fu bruciata viva la prima strega, la fattucchiera Finnicella. Con questa prima esecuzione partiva da Roma, culla della Cristianità, la campagna contro le streghe che avrebbe insanguinato l'Europa e il nuovo mondo. Per incriminare una donna di praticare la stregoneria non servivano prove, bastava il giuramento di due o tre "testimoni" di aver assistito ad un maleficio, il processo che ne seguiva in pratica serviva ad estorcere la confessione. L'ossessione raggiunse livelli tali che furono guardate con sospetto financo le donne dai capelli rossi. Anche i gatti neri non sfuggirono alla psicosi collettiva diretta dalla Chiesa. Furono torturati e bruciati in quanto ritenuti incarnazione di satana (già nel 1233 papa Gregorio IX emanò la bolla Vox in Rama che dava l'avvio allo sterminio dei gatti neri quali incarnazione di Satana e delle loro padrone).


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Poiché si supponeva che fossero possedute dal demonio, le streghe non avevano diritti e si potevano pertanto torturare e uccidere senza alcuno scrupolo morale. Secondo il Martello delle Streghe qualsiasi mezzo per combattere Satana era lecito, comprese le false promesse. Gli inquisitori erano quindi invitati a ingannare le vittime: "Promettete loro una pena minima se si dichiareranno colpevoli, e una volta condannate, comminate loro la pena promessa e poi bruciarle; promettete inoltre di non condannare le streghe che ne incriminano altre e poi chiamate un altro inquisitore per farlo". La tortura, da strumento estremo verso gli eretici divenne prassi con le streghe. Lo scopo di era duplice, costringerle a confessare - in quanto solo con la confessione poteva essere emessa la sentenza - e indurle a denunciare altre presunte streghe e chi le proteggeva. In tal modo si realizzava una spirale persecutoria senza fine - in alcuni villaggi dopo il passaggio della la furia inquisitrice rimasero in vita pochissime donne - e una fonte di cospicui arricchimenti, poiché alla condanna era associata la confisca dei beni posseduti dal reo e dalla sua famiglia. I famigliari della vittima erano inoltre tenuti a pagare al torturatore il costo delle supplizie praticate secondo un tariffario, elaborato dall'arcivescovo di Colonia, che prevedeva un prezzo per ogni "prestazione". Alla fine del primo ciclo di tortura alla sventurata veniva posta la domanda: "Hai partecipato al sabba? Devi solo rispondere si o no, ma ricordati che se rispondi no la tortura continua". Inutile sottolineare che le sventurate alla fine confessavano, se non morivano prima o si suicidavano o uscivano di senno per le supplizie subite. Condotta al patibolo, prima di appiccare il fuoco, alla Strega veniva proposto "l'atto di fede": se si pentiva otteneva il "privilegio" di venire strangolata prima dell'esecuzione, in caso contrario veniva arsa viva. Il Malleus fu utilizzato non solo dai Cattolici, ma anche dalle nascenti Chiese protestanti. La Riforma di Lutero del cattolicesimo aveva rigettato tutto, tranne la caccia alle streghe, che fu intensificata e attuata in modo raccapricciante. Alla fine del Seicento, con la diffusione della stampa, l'isterismo varcò l'oceano e si estese alle colonie puritane degli anglosassoni in America, dando luogo ai tristemente famosi processi di Salem, in cui venne dato credito perfino alla fantasia dei bambini per condannare al rogo le presunte streghe. Il giornalista storico Eugenio Spagnuolo su Focus del 5 Maggio 2015 riporta quanto segue: "Nel 1692 a Salem scoppiò una delle più grandi cacce alle streghe della Storia: 19 persone vennero condannate a morte per stregoneria, più di 50 subirono torture e a centinaia scontarono l'onta del processo. Per essere accusati bastava poco. Per esempio… tenere latte avariato o avere un aspetto trascurato”. Il culmine del delirio fu raggiunto in Europa nella sanguinosa guerra dei Trent'anni tra cattolici e protestanti (anche se le iniziale motivazioni religiose furono poi superate dalla rivalità francoasburgica che si contendevano le spoglie del Sacro Romano Impero) svoltasi nella prima metà del 1600. Le persecuzioni iniziarono nella regione di Würzburg ad opera del Principe-Vescovo von Ehrenberg il quale diede l'avvio a numerosi processi di massa per stregoneria che colpirono tutti

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gli strati della società, compreso il clero e la nobiltà. Questa ondata persecutoria portò, nel 1630, alla morte nella città di Würzburg di 219 uomini, donne e bambini bruciati sul rogo e di altre 900 persone uccise nelle zone rurali della provincia (Robin Briggs, "Witches and Neighbors", Penguin Books, New York, 1996). Poco prima, tra il 1587 e il 1593, l'arcivescovo di Treviri mandò al rogo circa 360 streghe. Altre 500 presunte fattucchiere furono condannate a morte dal Vescovo di Ginevra negli stessi anni. In Francia, nel Vescovato di Trier, nel 1585, in ben due paesini era sopravvissuta una sola donna. Nella città di Bamberg in Baviera fu addirittura costruito un carcere, il famoso "Drudenhaus" (Carcere delle Streghe), dove furono rinchiuse centinaia di donne inquisite, tra le quali le oltre seicento streghe che l'Arcivescovo e Principe von Fucs Dornheim fece morire tra le fiamme nel decennio 1623-33. Tra le vittime troviamo anche Johannes Junius, il borgomastro di Bamberg. Accusato di stregoneria, come la moglie bruciata al rogo otto mesi prima, fu orrendamente torturato. Con le mani stritolate dai ferri riuscì comunque a scrivere una lettera alla figlia, recapitata da una guardia con la promessa di ricompensa, per indurla fuggire. Nella missiva, datata 1628, l'uomo scriveva: "chi veniva torturato aveva solamente due possibilità: o diventava veramente una strega, inventandosi delle scuse plausibili, oppure si lasciava torturare fino ad essere ucciso". Sempre in Braviera le cronache ci riportano uno dei casi giudiziari più sconcertanti e ben documentati dell'epoca, quello della famiglia luterana di Paulus Pappenheimer avvenuto nel 1600, quando la regione era ancora legata al cattolicesimo. I suoi membri, padre, madre e i due figli maggiori furono accusati di stregoneria e giustiziati al rogo. Un particolare raccapricciante riguarda la tortura cui fu sottoposta la madre Anna: le furono strappati i seni con una tenaglia arroventata e cacciati a forza nella bocca dei figli maggiori. A questa scena e alle torture subite dal padre e dai fratelli fu costretto ad assistervi il figlio minore Hoel di soli dieci anni, il bambino seguì la stessa sorte dei genitori alcuni mesi dopo a Monaco, bruciato con altre cinque persone. Lo storico Joseph von Hormayr nella suo opera "Taschenbuch für die vaterländische Geschichte" del 1844, ci riporta quanto scoperto in una cronaca di quegli anni riferito alla vicenda della famiglia Pappenheimer (Pappenheimer era un soprannome, il nome reale era Gamperl): " Il 29 luglio 1600, a Monaco di Baviera, sei persone furono giustiziate nel modo seguente: il vagabondo e mendicante Paul Gamperl venne impalato, la moglie aveva i seni tagliati e sia lei stessa sia due dei suoi figli avevano quei seni sulle loro bocche; inoltre, altri due uomini furono condannati e tutti e sei vennero pizzicati con pinze incandescenti: dopo che le loro braccia si ruppero a causa dell'urto della ruota, essi poi finirono bruciati vivi" Come detto, nella caccia alle streghe si distinsero per ferocia persecutoria i Protestanti. A Ginevra Calvino, con fredda determinazione, mandò al rogo decine streghe accusate di diffondere la peste coi loro malefici. Di rimando Martin Lutero, nei suoi "Discorsi a tavola", conversazioni che teneva a tavola con sua moglie Katharina von Bora e i suoi allievi e collaboratori, e a cui spesso partecipavano illustri


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personaggi, afferma senza mezzi termini: "è giusta legge uccidere le maghe, ché sono causa di molti danni, ciò che talora si ignora; possono rubare il latte, il burro e tutto da una casa… Possono stregare un bambino sì che grida tutto il tempo, non mangia più, non dorme più. Possono provocare anche malattie misteriose nel ginocchio umano, talché il corpo si consuma. Ne ho visto qualcuna, di quelle donne. Bisogna ammazzarle tutte" Le regole di garanzia a favore dell'imputato e i limiti di utilizzo della tortura previsti nei processi di eresia furono disattesi nei procedimenti contro le streghe, in quanto considerati un "Crimen Exceptum", un crimine eccezionale. Attorno al 1500 la stregoneria venne definita dai governi un crimine secolare. Questo cambio di definizione, che riunì in un unico contesto accusatorio sia crimini contro la fede (le eresie) che quelli contro la società (le streghe), portò i tribunali dell'Inquisizione ad essere sostituiti da quelli civili (comunque presieduti da figure religiose), particolarmente attivi nei paesi di lingua tedesca dove i tribunali ecclesiastici vennero spazzati via dalla riforma protestante. Così facendo la Chiesa ottenne un appoggio pressoché incondizionato dal potere secolare che le permetteva, facendo leva sulla bivalenza del reato, di applicare con maggior efficacia il suo controllo sulle masse popolari, in particolare su quelle contadine maggiormente esposte, per via delle tradizioni rurali, all'accusa di stregoneria. I tribunali locali si dimostrarono molto più cruenti di quelli religiosi in quanto maggiormente esposti, soprattutto nei villaggi, ai frequenti fenomeni di isteria popolare, e perché meno rigorosi delle norme e della prassi della vecchia Inquisizione. Il numero delle vittime di questa sorta di isteria collettiva durata ben tre secoli (l'ultima strega condannata in Europa fu Anna Göldi, bruciata nel 1782 a Glarona, in Svizzera) è ancora oggi largamente dibattuto. Stabilirne l'entità è praticamente impossibile a causa della perdita nel tempo dei documenti processuali e dalla discutibile attendibilità dei cronisti dell'epoca, spesso influenzati dal clima - per l'appunto di caccia alle streghe - che consigliava loro di riportare i fatti con la massima prudenza. Inoltre, le cifre che emergono dalla storiografia sono pesantemente influenzate dalla formazione culturale e ideologica dei ricercatori storici che si sono cimentati in questa materia. Si passa dalle cifre sicuramente esagerate degli scrittori illuministi di fine 700, che si distinsero per il loro astio verso la Chiesa e la religione, e della stampa anticlericale ottocentesca, ai numeri irrisori degli studiosi di fede cattolica. Ognuno, come si suol dire, porta acqua al suo mulino (purtroppo a scapito della vera conoscenza). Si può al massimo azzardare l'ordine di grandezza, che fu sicuramente nell'ordine delle centinaia di migliaia. Ma, come vedremo in seguito nelle conclusioni di questo breve saggio, non è il numero di vittime, pur importante, che conta, bensì le motivazioni che portarono a questa immane tragedia che fu la caccia alle streghe, naturale prosecuzione della lotta alle eresie. La persecuzione cristiana degli ebrei Nel quadro della lotta contro i nemici della Chiesa, si inserisce a pieno titolo la persecuzione ebraica. Partendo dalla accusa di deicidio (l'aver voluto la morte di Gesù) la storia degli ebrei nel mondo cristiano non conosce pace.

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Tutto ebbe inizio con Costantino che proibisce il matrimonio tra cristiani ed ebrei e impone alcune restrizioni, come il divieto di avere cristiani al loro servizio. Fin qui nulla di drammatico. Il punto di svolta si ha con San Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli il quale, con le sue omelie "Contro i Giudei" del 386-387, è il primo a parlare a nome della Chiesa contro gli ebrei. Agli occhi San Giovanni Crisostomo le sinagoghe sono: "postriboli, caverne di ladri e tane di animali rapaci e sanguinari" mentre i giudei sono visti come: "animali che non servono per lavorare ma solo per il macello… mentre infatti le bestie danno la vita per salvare i loro piccoli, i giudei li massacrano con le proprie mani per onorare i demoni, nostri nemici, e ogni loro gesto traduce la loro bestialità" Perentorio, invita i cristiani a non avere "niente a che fare con quegli abominevoli giudei, gente rapace, bugiarda, ladra e omicida". Il repertorio di frasi ingiuriose e false calunnie contenute delle opere del teologo cristiano diventeranno un classico nella pubblicistica antiebraica dei secoli a venire. La studiosa Jules Isaac nella sua ricerca "Genèse de l'antisémitisme" pubblicata nel 1956 afferma: "Bisogna riconoscerlo con tristezza: quasi tutti i Padri della Chiesa hanno partecipato, ognuno con la propria pietra, a queste gesta di lapidazione morale […] ma in questa illustre corte, venerabile sotto altri punti di vista, due nomi, tra tutti, hanno diritto ad una menzione speciale: San Giovanni Crisostomo per l'abbondanza e la ferocia delle invettive, e per lo straripamento degli oltraggi; e il gran dottore della latinità, Sant'Agostino" Sull'esempio di Crisostomo le predicazioni contro gli ebrei si moltiplicano, e verso la comunità ebraica di Roma, la più antica d'Occidente, iniziano a manifestarsi le prime intolleranze, per ora limitate a disturbare i fedeli durante la preghiera del sabato ebraico. Ma è un crescendo che rischia di sfociare nella violenza fisica. Interviene Papa Gregorio Magno (590-604) che tenta di porvi un freno e di ricondurre la controversia tra cristiani ed ebrei nel campo teologico. In effetti, fino all'XI secolo le comunità ebraiche in Europa non ebbero nulla da temere, tranne sporadici e spontanei episodi di violenza, il più delle volte dettati da invidia per la posizione economica rilevante raggiunta da molti ebrei grazie alla pratica dell'usura e per il loro forte senso di appartenenza che li spinge a isolarsi dalla società. Con l'avvento delle crociate, infarcite di fede profonda e fanatismo religioso, iniziano le prime ostilità nei loro confronti, che proseguiranno in crescendo per tutto il Medio Evo e ben oltre, fino a sfociare nei massacri, nei ghetti e nel segno distintivo sugli abiti. Ma non è solo l'avversione religiosa a motivare questo astio verso i giudei. L'altro motivo è prettamente economico: tutti dovevano soldi ai banchieri ebrei, perfino i re. Quando l'indebitamento raggiungeva livelli insostenibili ecco riemergere l'antiebraismo che portava alla cacciata degli ebrei e, di conseguenza, alla cancellazione del debito. Pietro l'Eremita, al secolo Pietro d'Amiens, è un monaco predicatore. Vestito di stracci, sul dorso di un asino, gira in lungo e largo la Francia a infiammare gli animi allo scopo di raccogliere adesioni per la liberazione di Gerusalemme invocata da Papa Urbano II.


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Nel maggio del 1096 la "crociata dei pezzenti" (così chiamata in quanto costituita in massima parte da povera gente, a differenza di quella dei nobili guidata da Goffredo di Buglione che libererà Gerusalemme nel 1099 ) si mette in viaggio. La totale disorganizzazione e la mancanza di scorte di cibo, porta questa armata brancaleone a saccheggiare le città lungo il loro cammino. Forti della loro fede e convinti della superiorità della nobile causa, i seguaci di Pietro l'Eremita depredano e incendiano prima Belgrado, abbandonata dai suoi abitanti alla vista dei crociati, e poi la città di Zemun. L'intervento dell'esercito Ungherese costrinse molti di loro a fare dietro-front. E' in tale contesto di esaltazione e fanatismo che riprende vigore l'antiebraismo deicida, alimentato dal racconto dei pellegrini di ritorno dalla Terra Santa che affermavano di aver subito maltrattamenti e di essere stati impediti nell'accesso ai luoghi sacri da parte, non solo dei Turchi Selgiuchidi che dal 1071 avevano preso possesso di Gerusalemme, ma anche degli ebrei. Tutto ciò servì ai seguaci di Pietro l'Eremita per giustificare le razzie a danno delle comunità ebraiche. Le avvisaglie dell'ondata repressiva che si sarebbe abbattuta sugli ebrei nel corso delle crociate, si avvertono già negli anni precedenti, soprattutto nelle città Renane come Worms e Spira dove gli ebrei sono intimiditi e fatti oggetto di soprusi di ogni genere sotto lo sguardo indifferente, e a tratti compiaciuto, delle autorità civili e religiose. I vecchi ebrei, facilmente riconoscibili per i loro abiti e il tradizionale copricapo, venivano quotidianamente derisi e la loro lunga barba, simbolo di saggezza e autorevolezza, tagliata in segno di scherno. Lo scopo della crociata era, come detto, la Liberazione di Gerusalemme dal dominio musulmano per consentire ai pellegrini di accedere ai luoghi sacri della cristianità senza restrizioni e pericoli. La concomitante ondata repressiva contro gli ebrei in Europa è figlia del clima di esaltazione suscitato dall'impresa che porta a considerare ebrei e musulmani meritevoli di morte in quanto miscredenti. I crociati in marcia verso la Terra Santa trovarono pertanto del tutto naturale uccidere i nemici di Gesù che incontravano lungo il loro cammino. Spesso accadeva che i crociati, non conoscendo la lingua e i costumi dei luoghi attraversati, scambiavano i cristiani ortodossi per musulmani rendendosi colpevoli di numerosi fatti di sangue. Come ci riporta lo storico inglese Steven Runciman nella sua "Storia delle Crociate",Goffredo di Buglione nel corso dei preparativi della spedizione fece voto di "vendicare la morte di Cristo con il sangue degli ebrei" …e l'eccitazione dei crociati salì alle stelle. Per finanziare la Prima Crociata, i Principi al loro comando con il sostegno dei Vescovi locali non trovarono di meglio che estorcere i denari alle comunità ebraiche incontrate lungo il cammino. Sotto minaccia gli ebrei venivano prima depredati e poi uccisi. Passano sotto il nome di "Crociata dei tedeschi" i massacri, noti anche come "Pogrom", avvenuti in Renania nel corso della Prima Crociata, che portarono la morte di 50 mila persone nelle comunità ebraiche di Spira, Worms e Metz. Scrive lo storico Ludovico Gatto nel suo saggio "Le Crociate": "l'inizio delle crociate si rivelò una vera e propria catastrofe (…) il passaggio delle legioni di sbandati come quelle di Pietro l'Eremita e Gualtieri Senza Averi finì spesso in tragedia".

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Nei secoli successivi i Pogrom saranno ricorrenti ad ogni principale crisi, sia nelle regioni tedesche, come quello avvenuto a Strasburgo durante la Peste Nera la cui causa fu attribuita agli ebrei, sia in Polonia, nella Russia zarista e in tutto il resto dell'Europa orientale. La Prima Crociata si concluse il 15 luglio 1099 con la conquista di Gerusalemme e l'eccidio della sua popolazione, costituita da musulmani, cristiani ortodossi ed ebrei. L'eco di quella immane tragedia giunge a noi con gli scritti dei cronisti che assistettero all'evento. Lo storico e scrittore francese Fulcherio di Chartres, definì la caduta di Gerusalemme "un vero e proprio massacro" e Raimondo d'Aguilers, storico-crociato descrive con queste parole quanto avvenuto: "Appena i nostri ebbero occupata la città, allora avresti potuto vedere cose orribili: alcuni - ed era per loro una fortuna - avevano la testa troncata; altri cadevano dalle mura crivellati di frecce; moltissimi altri bruciavano tra le fiamme. Per le strade e le piazze si vedevano mucchi di teste, mani e piedi tagliati; uomini e cavalli correvano tra i cadaveri". Molti musulmani, soprattutto donne e bambini tentarono di rifugiarsi nella Moschea Al-Aqsa. L'epilogo, sempre con le parole di Raimondo d'Aguilers: "la carneficina fu così grande che i nostri uomini camminavano nel sangue che arrivava fino alle caviglie…" Un altro cronista dell'epoca, l'arabo Ibn al-Qalanisi, afferma che i difensori ebrei cercarono rifugio nella loro sinagoga, ma i "Franchi la bruciarono sopra le loro teste" uccidendo tutti. Il bilancio delle vittime varia a seconda delle fonti: 10.000 per i cristiani, 70.000 per i musulmani. Dalla Prima Crociata in poi il rapporto tra ebrei e cristiani mutò drasticamente e, con l'accusa di perfidia, il concetto di antigiudaismo si arricchisce di elementi razzisti, come avverrà nella Spagna di Torquemada con la Limpieza de Sangre. L'intersecarsi di motivazioni religiose, sociali ed economiche porta a raffigurare l'ebreo come un essere reietto, meritevole di disprezzo e di essere posto ai margini della società. Da qui i decreti del IV Concilio Lateranense indetto di Papa Innocenzo III nel 1215, che impone agli ebrei di portare un segno distintivo, seguito nell'esempio dal Re di Francia Luigi IX che li obbliga a portare un pezzo di stoffa circolare di colore rosso e giallo (la rouelle). Sempre in Francia, a Parigi, nel 1240, si assiste al primo rogo del Talmud, il libro sacro degli ebrei (oltre 700 copie), che una apposita commissione pontificia aveva decretato contenere "bestemmie contro la fede cristiana". Nel 1244 è invece Innocenzo IV a mandare al rogo il Talmud, e ventiquattro anni dopo fa bruciare la sinagoga di Trastevere. Un nuovo falò per il libro ebraico della legge viene ordinato nel 1322 da Giovanni XXII, nonostante l'ingente somma di denaro offerta dalla comunità ebraica per evitare la profanazione. Papa Bonifacio VIII, quello dello "schiaffo di Anagni", nel mandare al rogo il rabbino di Roma Elia de Pomis ben Samuel sentenzia: "Voi continuate a chiudere gli occhi alla vera fede". L'obbligo del segno distintivo, segno dell'infamia, fu rinnovato da Papa Paolo IV (un copricapo giallo per i maschi e una sciarpa dello stesso colore per le femmine) con la bolla "Cum nimis absurdum". Inoltre sancì la trasformazione dei quartieri ebraici in Ghetti, circondati da alte mura e con una sola porta che al tramonto veniva sbarrata e, non contento, ordina distruzione di tutte le Sinagoghe fuori dal ghetto.


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"È assurdo che gli ebrei, condannati da Dio per loro colpa a perenne schiavitù, pretendano che i cristiani li amino e accettino di vivere in stretta prossimità con loro", recita la bolla pontificia del 1543. Papa Paolo IV non si ferma qui. Da ex inquisitore avvia una vasta campagna di conversioni forzate in alternativa all'espulsione e, nel 1556, fa impiccare e bruciare sul rogo 24 ebrei marrani accusati di apostasia che erano fuggiti dal Portogallo. Pio V a sua volta, nel 1569, tre anni dopo essere stato eletto papa, promulga la bolla "Hebraeorum" con la quale, rinnovando l'accusa di deicidio, decreta l'espulsione degli ebrei da tutte le terre dello Stato Pontificio ad eccezione di Roma e Ancona e, al fine di cancellare financo il loro ricordo, ordina la distruzione dei cimiteri ebraici. Nella bolla pontificia si legge: "Il popolo ebreo il solo un tempo eletto da Dio, poi abbandonato per la sua incredulità, meritò di essere riprovato, perché ha con empietà respinto il suo Redentore e lo ha ucciso con morte vergognosa. La loro empietà è giunta ad un tal livello che, per la nostra salvezza, occorre respingere". Gli ebrei di Roma sono obbligati ad assistere alla messa cattolica nelle chiese e ad ascoltare la "predica coattiva", rimessa in vigore da Papa Gregorio XIII. La repressione continua con il pontificato di Pio VI che promulga "l'editto sugli Ebrei" e perentorio afferma: "pranzare con gli ebrei è un reato per i cristiani" (Giancarlo Zizola, La Repubblica.it del 17 gennaio 2010). La politica antiebraica dei Papi si riflette in altre parti d'Italia come a Milano, dove il Cardinale Borromeo impone il marchio giallo per gli ebrei per poi decretare, per la seconda volta, la loro espulsione (la prima volta sono stati cacciati da Sant'Ambrogio). Fanno eccezione Venezia, che nonostante l'istituzione del Ghetto, permette alla comunità ebraica di svilupparsi fino a diventare una delle più fiorenti d'Europa e Livorno, che offre ospitalità agli ebrei scacciati dalle città pontificie. Il loro apporto contribuirà a fare della città toscana, che non conobbe mai la vergogna del ghetto, un importante centro commerciale. Ad alimentare l'astio contro gli ebrei contribuiscono alcuni predicatori itineranti come il francescano Bernardino da Feltre. Il fondatore dei Monti di Pietà si scaglia con veemenza contro gli ebrei usurai. E' ritenuto il responsabile morale di molti fatti di sangue avvenuti a seguito dei suoi sermoni. Al suo arrivo a Venezia il governo cittadino, ravvisando i pericoli delle sue prediche, così si espresse: "Bernardino, mentre predicava a Padova aveva concitato il popolo contro gli ebrei e perciò ne seguirono grandi tumulti, perturbazioni e scandali che assolutamente non vogliamo si verifichino costì". Fu poi espulso e, per gli stessi motivi, allontanato da Milano e Firenze. L'antigiudaismo di Bernardino da Feltre è stato ripreso dallo scrittore Alien Toaff nel suo libro "Pasque di Sangue e omicidi rituali" (Il Mulino 2007) in cui approfondisce, non senza suscitare polemiche da parte ebraica, la tematica dei rituali di sangue, che secondo lo scrittore sarebbero stati effettivamente praticati da alcune comunità ebraiche estremiste. Nel suo testo Alien Toaff indaga sulla vicenda di Simonino di Trento, un bambino cristiano trovato morto nel quartiere ebraico durante la Pasqua del 1475. L'omicidio fu attribuito da Bernardino agli ebrei, molti dei quali furono torturati e uccisi.

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Il piccolo Simonino fu prontamente santificato dalla Chiesa come martire cristiano della fede, salvo poi annullare la beatificazione quando si scoprì la falsità delle accuse. Da parte cattolica si cerca di sminuire l'antiebraismo di Bernardino da Feltre per circoscriverlo alla sua lotta contro l'usura, dando adito a battute del tipo: "Bernardino non fu antisemita per "amor di Dio", ma più prosaicamente per amor di banca". Basandosi sull'ipocrita distinzione tra usura, quando praticata dagli ebrei, e interessi quando praticati dai cristiani, Bernardino fondò in numerose città i Monti di Pietà, le future Casse di Risparmio, anticipando l'ingresso della Chiesa nel mondo della finanza (vedi IOR). In tema di antiebraismo la Chiesa Protestante non è da meno di quella Cattolica. Il suo principale ispiratore Martin Lutero, nel suo "Degli Ebrei e delle loro menzogne" del 1543, afferma senza mezzi termini: "A chi ora voglia ospitare, nutrire, onorare queste serpi velenose e piccoli demoni, ossia i peggiori nemici di Cristo Signore nostro e di tutti noi, e desideri farsi scorticare, derubare, saccheggiare, oltraggiare, deridere, maledire e desideri patire ogni male, raccomando sinceramente questi ebrei (…) Così egli sarà dunque un cristiano perfetto, pieno di opere di misericordia, per le quali Cristo lo premierà nel giorno del giudizio - assieme agli ebrei nell'eterno fuoco dell'inferno!" Ad onor del vero l'atteggiamento della Chiesa nei confronti degli ebrei fu a volte tollerante, come nel caso dell'accusa di aver provocato la Peste Nera che imperversò in Europa negli anni 13471350, smentita da Papa Clemente VI che da Avignone pubblicò due bolle per condannare tale credenza popolare. Anche Papa Martino V si dimostra conciliante verso gli ebrei, arrivando ad affermare che: "Gli ebrei soni creati a immagine di Dio come tutti gli altri uomini". Alcuni storici fanno maliziosamente notare che Papa Martino V era assistito da medici personali di religione ebraica. Anche Alessandro VI, il licenzioso e molto discusso Papa Borgia, fu tollerante verso gli ebrei, accogliendo quelli cacciati dall' Inquisizione spagnola nel 1492. Il comportamento benevolo di alcuni papi, tuttavia, si perde nel mare di odio verso gli ebrei praticato e instillato nelle incolte masse popolari dalla Chiesa per diversi secoli. Affiancata in questo dai sovrani, che per difendere la fede cristiana dalle eresie (e i loro interessi economici e di potere) si sono moto spesso dimostrati più realisti del re. La portata storica e i numeri della Santa Inquisizione In questo breve saggio siamo sconfinati in tematiche collaterali, come alcune vicende legate alla prima Crociata e all'antiebraismo cristiano. L'abbiamo fatto, nonostante il rischio di apparire fuori tema, perché convinti che non sia possibile comprendere l'effettiva portata storica della Santa Inquisizione in tutta la sua complessità, se non si comprende il contesto storico in cui si è sviluppata. Un epoca dove, più di ogni altra, si colpivano gli uomini per contrastare le idee. Riguardo al numero di vittime dell'Inquisizione, la mancanza di elementi di riscontro come i molti verbali dei processi andati perduti o distrutti nel tempo e le scarse cronache dell'epoca, rendono


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praticamente impossibile stabilirne l'entità. A seconda delle fonti, le cifre divergono in maniera sorprendente. Si passa dai numeri apocalittici degli storici illuministi a quelli decisamente addomesticati dei ricercatori cattolici. Comunque, per quanto indefiniti sono, ad onor del vero, molto lontani dalla quantità di vittime innocenti registrate nelle epoche successive e contemporanea, basti pensare al genocidio degli indiani d'America, alle vittime della schiavitù e delle persecuzioni ebraica in Europa e cristiana in Messico (i Cristeros), ai milioni di morti delle dittature, soprattutto comuniste, alle guerre mondiali e a quelle che imperversano ancora oggi. Quello che rende il Medioevo cristianizzato e l'epoca successiva unici nella storia, è il sistema di costrizione e, soprattutto, di condizionamento psicologico messo in atto dalla Chiesa per un interminabile periodo di tempo. Per il cristiano del medioevo la fede non era qualcosa di limitato alla Chiesa, era molto di più. Era la salvezza dopo la morte. Su questo concetto la Chiesa ha spinto con forza fino a generare una vera psicosi di massa (molti s'indebitavano per acquistare le indulgenze e assicurarsi il paradiso). I fedeli erano pertanto indotti a credere che le eresie, nell'alterare l'ordine costituito, potessero rendere vana la loro speranza. "La chiesa é fatta da uomini e gli uomini possono sbagliare". Questa è la patetica giustificazione che spesso ci sentiamo dire. Qui non si tratta di errori commessi in buona o mala fede da uomini accecati dal fanatismo religioso o che hanno tradito la fede usandola per scopi di potere o interesse personale; come non si tratta di macabra contabilità. Stiamo parlando di un sistema repressivo capillare retto da un apparato giudiziario, pur rigoroso nella sua logica aberrante, che ha coinvolto centinaia di Papi; messo in atto da monaci e preti, principi e cavalieri, uomini di cultura e di diritto con l'attivo sostegno e la piena condivisione dei regnanti dell'epoca. La fede imposta, la sete di potere e la bramosia di possesso si sono mischiati in un magma infernale che ha cancellato per sempre il lascito di civiltà dei padri della chiesa. La responsabilità morale e materiale delle tragedie che si sono consumate nel corso dei secoli bui ricade interamente sulla Chiesa, il cui crimine più grande è stato l'aver trasformato la fede in ideologia. Gianfredo Ruggiero

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LA BATTAGLIA DI MONTELUNGO 75° ANNIVERSARIO PREMESSA L'otto dicembre 2018, nel piccolo centro di Mignano Montelungo, a meno di dieci chilometri dal confine tra Campania e Lazio, alla presenza del Capo dello Stato, si è celebrato il 75° anniversario della battaglia che sancì la nascita del nuovo esercito italiano. Dal 7 al 16 dicembre 1943, per la prima volta dopo l'armistizio firmato a Cassibile, una formazione guidata dal generale Vincenzo Dapino combatté contro gli ex alleati tedeschi e al fianco dei nuovi alleati angloamericani. La storia dell'umanità è segnata dai tanti conflitti che hanno plasmato il mondo così come lo vediamo oggi e ogni nazione ha il proprio fardello di "storia patria" con la quale fare i conti. Quello dell'Italia è senz'altro tra i più pesanti e difficili da decantare: secolo dopo secolo, a partire dalla fondazione di Roma, è stata scritta una storia non sempre corrispondente ai fatti e spesso artatamente e spudoratamente falsificata. Quando si parla di guerre, poi, occorre fare molta attenzione nel distinguere bene chi le ha volute da chi le ha combattute perché la differenza è sostanziale. Un soldato obbedisce agli ordini e quando il fardello dell'obbedienza diventa troppo pesante gli restano poche alternative. Quando la lotta diventa fratricida, poi, come nel caso di una guerra civile, occorre prestare ancora più attenzione nell'analisi dei fatti, per non cadere nella trappola del pregiudizio che affossa il giudizio. In questo articolo si parla soprattutto di loro, dei soldati, perché è solo partendo da loro che si può districare la complessa matassa, intricata oltre ogni possibile immaginazione, relativa ai mesi terribili post 8 settembre 1943, che stentano a essere storicizzati, come sarebbe giusto, lasciando affiorare anacronistiche divisioni e perpetuando un odio che condiziona fortemente il rapporto tra persone che abbiano una diversa visione del mondo, rendendolo incivile. Solo ponendosi al servizio della verità, senza pregiudizi e soprattutto senza partigianerie, può consentire a tutti di guardare all'indietro con animo rasserenato e avanti tenendosi per mano. Dipanare le troppe ombre, soprattutto, servirà alle giovani generazioni per validare quel detto che vuole la storia come maestra di vita. Raccontare la verità è anche il modo più onesto per rendere onore a coloro che sono caduti affinché la patria vivesse. O almeno sperando che così fosse, perché i soldati, quando non sono stati costretti a obbedire ciecamente, hanno sempre fatto scelte col cuore, anche tragiche ed eroiche, che meritano il massimo rispetto. Così non è stato, però, per molti altri che di loro hanno potuto fare strame, sia in virtù del grado sia per il ruolo nella società.


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PRODROMI Nel parco storico di Montelungo, a poche centinaia di metri dal sacrario che accoglie le spoglie dei caduti, vi è un cartello che riassume le fasi salienti della battaglia. All'inizio è scritto testualmente: "Il Regio Esercito italiano uscì annientato e disgregato dall'armistizio dell'8 settembre 1943. In conseguenza delle ambigue e tardive direttive dello Stato Maggiore poche furono le unità che rimaste integre opposero valida resistenza alle truppe Tedesche: rifulgono gli episodi di Cefalonia, la difesa di Roma e di Bari. Il riscatto morale ed operativo del Regio Esercito cominciò a Montelungo, caposaldo tedesco della linea Berhnardt (o Winter Line per gli Americani). Qui, tre mesi dopo, l'armistizio, le flebili speranze sia politiche che militari del legittimo Regno del Sud, si giocarono sulla capacità dei pochi reparti rimasti integri di dar prova di volere e sapere ancora combattere; si trattò di una prova senza appello. Qui per l'Italia iniziò il secondo Risorgimento". Sorvolando su qualche sfasatura grammaticale, su sintassi e punteggiatura ballerine, sulla dimenticanza di Napoli, il testo contiene una sostanziale alterazione della realtà, almeno per quanto riguarda la difesa di Roma, che di certo non può essere considerata "rifulgente". Da gennaio 2018 e fino allo scorso mese di novembre abbiamo pubblicato, a puntate, un saggio dedicato alla Grande Guerra. In esso, sostanzialmente, si è fatto risaltare l'eroismo dei soldati mandati al massacro contrapposto alle peculiarità, non certo brillanti, di chi li comandava, fatte salve rare eccezioni, tra le quali brilla la fulgida figura del generale Armando Diaz. Insistere su questo aspetto, che ciclicamente affiora sotto varie forme, e quindi non solo nell'analisi storica, è fondamentale per comprendere la fenomenologia più importante della "italianità", del carattere di un popolo, della sua forza e della sua debolezza. Abbiamo dato al mondo il maggior numero di "Grandi Uomini" mai nati sulla Terra (e su di loro camperemo di rendita in eterno), abbiamo visto come i nostri soldati siano stati capaci d'imprese che sfiorano il limite delle umane possibilità e qualche volte le hanno addirittura superate ma, nondimeno, è convincimento diffuso, a livello planetario, che gli italiani non siano in grado di farsi onore in guerra, che sono bravi a conquistare 1 territori perdendo battaglie e quindi sostanzialmente sono solo dei furbastri maneggioni. Perché le eccelse qualità che invece traspaiono in molti strati sociali sol che si "scavi a fondo", sia 2 3 nelle vicende belliche sia negli altri contesti , non hanno mai (o quasi mai) avuto un adeguato riscontro nelle classi dominanti? La domanda, ovviamente, non può avere esaustiva risposta in questo articolo. Sulla "mancata" difesa di Roma esiste oramai una vasta e articolata saggistica4 che lascia chiaramente affiorare la vigliaccheria e l'inettitudine di una classe dirigente, politica e militare, capace di abbandonare al proprio destino una città strategicamente predisposta in modo ottimale alla difesa contro la "prevedibile"5 reazione dei tedeschi e per giunta con forze superiori per numero e armamenti. Qui basti solo ricordare la stramba (e per certi versi incredibile) condotta del generale Giacomo Carboni, che andò letteralmente in panico quando seppe dagli americani che dall'8 settembre bisognava mettere in esecuzione il piano predisposto per la difesa di Roma e corse da Badoglio per indurlo a chiedere agli americani di non annunciare

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l'armistizio, cosa che Badoglio fece senza indugio, invece di prenderlo a calci nel sedere, rimediando solo l'ennesima brutta figura. Alla pari di tutti i vigliacchi, poi, ha esaltato se stesso vantandosi di essere stato l'unico generale italiano a contrastare i tedeschi e che la difesa della città da lui organizzata e comandata "fu nella generale crisi militare l'unico esempio d'iniziativa militare contro il nemico invasore". Ciò che successe a Roma è ben noto, ma è il caso di aggiungere che Carboni, il quale evidentemente aveva un concetto tutto suo del termine "combattere", in combutta con Roatta e all'insaputa di Ambrosio pensò bene di spostare il comando a Tivoli, mentre a Roma i "civili" combattevano contro i tedeschi! Lasciò la capitale il 9 settembre in borghese (strana divisa per un generale impegnato in un'importante operazione bellica) con un'automobile munita di targa del corpo diplomatico carica di denaro, oro e documenti riservati del SIM (i servizi segreti militari di cui era 6 il capo). A Tivoli, però, non trovò Roatta e proseguì in direzione di Arsoli, dove incontrò il produttore Carlo Ponti e il regista Alberto Lattuada impegnati nelle riprese del film "La freccia nel fianco". La protagonista del film era la bella attrice Mariella Lotti e il nostro generale, in quelle ore convulse, trovò voglia e tempo per intrattenersi nella casa da lei occupata per molte ore. Poi disse che aveva utilizzato la dimora per tenervi "un consiglio di guerra con i suoi ufficiali". Le difese modello "Ruby nipote di Mubarak", come si vede, sono storia vecchia per gli uomini di potere del nostro Paese. Questo era il quadro, qui necessariamente narrato per grandi linee, che si delineava in larghe aree del paese, dopo l'8 settembre: un popolo ferito e afflitto che non esitò a scendere in piazza per cacciare "l'invasore"; alte sfere confuse e disorientate ma bene attente a scappare con casse piene di ogni ben di Dio; altri italiani confusi e delusi per la caduta del fascismo che cercarono l'impossibile rivalsa sulle sponde del lago di Garda. In questo contesto prese corpo l'Esercito Cobelligerante Italiano, composto prevalentemente da soldati scampati all'internamento da parte tedesca, affidati al generale Vincenzo Dapino e aggregati alla XXXVI Divisione americana Texas. LUCI E OMBRE DELLA CAMPAGNA D'ITALIA. MONTELUNGO Occorreranno ancora molti anni prima che si possano diradare le tante ombre che avviluppano i ventitré mesi che vanno dal giugno 1943 al maggio 1945 e porre la parola fine sulle tante mistificazioni che coprono grossolani errori, tragedie umane, violenze su inermi cittadini, fatti e misfatti di uno dei periodi più tragici della storia italiana. I tedeschi avevano preventivato l'uscita dalla guerra dell'Italia già dal mese di maggio, predisponendo un piano (Operazione Achse) per neutralizzare l'attività dell'esercito e occupare militarmente la penisola. Il piano funzionò in modo egregio grazie allo sbandamento generale del governo Badoglio e alla disgregazione dell'esercito. Oltre cinquecentomila soldati italiani furono catturati dai tedeschi e deportati in Germania; altri cinquecentomila subirono pari sorte sui fronti di Franca, Balcani, Grecia e Isole dell'Egeo. L'avanzata degli Alleati, sbarcati a giugno in Sicilia e il 9 settembre a Salerno, fu ostacolata dall'efficace difesa dei tedeschi, che contrattaccarono violentemente sfruttando anche alcuni errori commessi proprio durante lo sbarco di Salerno. Per sfondare il fronte tedesco


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fu deciso di attaccarlo nel settore adriatico in direzione di Pescara e Avezzano e sul fronte laziale nella zona di Cassino. Prima di Cassino, però, occorreva liberare il valico di Mignano, sulla Casilina. Le difficoltà di superare agevolmente la Linea Bernhardt furono chiare al generale Clark, comandante della 5^ Armata, già nel corso dell'autunno, durante l'attraversamento del Volturno. Nelle sue memorie7 Clark non fa mistero delle preoccupazioni scaturite dal clima ostile e dalle fortificazioni tedesche, che sembravano inespugnabili. Sul fronte, lungo circa settanta chilometri, erano schierate tre Corpi d'Armata guidati rispettivamente dai generali Mc Creey (inglese) Lucas e Keyes (USA). Alle dipendenze di Keyes operava il comandante della 36^ Divisione di fanteria "Texas", alla quale fu aggregato il Raggruppamento motorizzato italiano. La "Battaglia di Montelungo", come noto, culminò con la ritirata dei tedeschi, che però riuscirono a resistere ben dieci giorni, riuscendo in tal modo a guadagnare tempo prezioso per rafforzare la linea Gustav, che si estendeva dal Garigliano a Ortona spezzando in due l'Italia. La mancata tempestiva conquista di Montelungo costò cara perché rallentò di molto l'avanzata alleata verso Nord. Ma cosa accadde davvero in quei dieci giorni? Per la cronaca dettagliata della battaglia si consiglia la lettura dell'ottimo testo di Ugo Furlani8; quello che ci preme evidenziare qui è l'aspetto "politico" che riguarda la ricostituzione dell'esercito italiano e rendere onore ai caduti di quella battaglia, vittime innocenti di giochi di potere più grandi di loro. L'attacco fu predisposto sulla base di un piano concordato tra il generale Dapino e il generale Walker, senza dare peso, tuttavia, da parte di entrambi, alla discrepanza relativa al posizionamento effettivo dei tedeschi, che per gli americani erano collocati a Nord-Est di Monte Rotondo, mentre per gli italiani stazionavano - informazione corretta - più a Sud. Le forze preponderanti degli alleati, tuttavia, avevano fatto presagire la facile presa del valico e dopo l'attacco del sette dicembre, che fu egregiamente respinto dai tedeschi, fu grane la delusione e il morale delle truppe ne risentì fortemente. Come sempre accade in simili circostanze vi fu il rimpallo delle responsabilità: il generale Dapino incolpò gli americani, che avevano il compito di proteggere l'attacco degli italiani dal Monte Maggiore, cosa che non avvenne; fallirono completamente nell'azione che avrebbe dovuto portare alla conquista di San Pietro Infine e 9 Monte Sammucro ; Monte Lungo, contrariamente alle "supposizioni" fatte nella fase preparatoria dell'attacco, non era difeso da un numero esiguo di soldati ma da forze consistenti e ben equipaggiate. Gli americani, invece, attribuirono il fallimento dell'operazione all'incapacità bellica dei nostri soldati e all'inefficienza degli ufficiali, a cominciare dallo stesso Dapino. La verità, come spesso accade, è un po' dappertutto e anche "altrove". Dapino disse anche che i soldati italiani non ebbero il tempo di prendere confidenza con il territorio, giustificazione un po' azzardata che, di fatto, legittima l'accusa d'inefficienza pronunciata dagli americani, i quali, però, non fanno distinzioni tra ufficiali e soldati. Gli italiani batterono in condizioni difficili e con grande impegno e - storia vecchia - con armi assolutamente non competitive: poche bombe a mano subito esaurite, i vecchi "moschetti 91" e solo tre - dicasi tre - mitra 38 A, destinati ai comandanti dei plotoni fucilieri. Fanti e bersaglieri furono falcidiati dalle truppe tedesche appostate sul Monte Maggiore, ritenuto in mano agli

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americani. Nel documentario girato da John Huston, però, Clark afferma l'esatto contrario: fu il mancato successo degli italiani che determinò la mancata conquista di San Pietro e del Monte Maggiore. Riassumendo: i soldati italiani non furono adeguatamente sostenuti nell'attacco del 7 dicembre ed esposti al fuoco nemico da una postazione che si pensava fosse sicura; erano armati solo del "proprio coraggio e della voglia di riscatto". Da qui a concludere che le truppe italiane furono deliberatamente mandate allo sbaraglio, in modo da stroncare sul nascere il desiderio di contribuire tangibilmente alla guerra di liberazione, ci vuole poco. Il Generale Antonio Basso, comandante delle Forze Armate della Campania, attestò senza indugio che al Raggruppamento guidato da Dapino fu assegnato un compito tattico superiore alle sue possibilità. Nondimeno, in occasione del secondo attacco, il 16 dicembre, il II battaglione fanteria e gli eroi del LI bersaglieri sbaragliarono le truppe nemiche, già stordite dal tiro preciso della nostra artiglieria. Tutti gli obiettivi furono raggiunti in poche ore, mentre i tedeschi si ritiravano velocemente. Ne furono catturati cinque e sarebbero stati molti di più se gli americani non avessero limitato il campo di azione dei soldati italiani sul versante Nord. Finisce così la battaglia di Montelungo, che spianò la strada alle truppe alleate verso Roma e verso il Nord. Nel Sacrario Militare risposano le spoglie di 974 Caduti della guerra di liberazione, provenienti dal vecchio cimitero di guerra di Monte Lungo e da altri cimiteri sparsi nella penisola. Nell'emiciclo, in alto, è stata collocata la tomba del generale Umberto Umili, che subentrò al generale Dapino ed espresse il desiderio di riposare in eterno accanto ai suoi soldati. Sulle spallette ai lati dell'altare sono affisse due lapidi marmoree dedicate al generale Dapino. La seconda riporta il telegramma che il generale Mark Clark gli inviò in seguito alla vittoriosa azione bellica: "Desidero congratularmi con gli ufficiali ed i soldati del vostro comando per il successo riportato nel loro attacco di ieri su Monte Lungo su quota 343. Questa azione dimostra la determinazione dei soldati italiani a liberare il loro paese dalla dominazione tedesca, determinazione che può ben servire come esempio ai popoli oppressi d'Europa". Belle parole, certo, e anche veritiere nella forma. Peccato che nella sostanza siano smentite da "altre parole", di ben altro sentore, e dai fatti concreti che affiorano dalle ricerche accurate. Sul frontone del portico del Sacrario spicca la grande epigrafe latina "MORTUI UT PATRI VIVAT". Nessuna guerra può fare a meno della retorica, perché se non si riesce a dare un senso alla morte dei soldati, si può impazzire. Pazienza, poi, se quei soldati, alla pari di tanti altri, non sono morti affinché la Patria viva e avrebbero fatto volentieri a meno di immolare le loro vite per i giochi di potere di chi, della vita altrui, può fare strame con un semplice tratto di matita. Lino Lavorgna

NOTE 1) Al termine della Terza Guerra d'Indipendenza l'Italia ottenne il Veneto e il Friuli, pur avendole buscate dagli austriaci nelle battaglie di Lissa e Custoza. Francesco Giuseppe, con gesto sprezzante, cedette i territori alla Francia, effettiva vincitrice della guerra, che poi li passò all'Italia.


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2) La lista sarebbe lunga e qui basti citare, a titolo di esempio, una frase di Rommel: "Il soldato tedesco ha stupito il mondo; il bersagliere ha stupito il soldato tedesco". Parlava dei "nostri soldati". Solo di loro. 3) Le "eccellenze italiane" che si fanno onore nei cinque continenti, i giovani studiosi che brillano nelle università straniere, etc. 4) In particolare si segnalano i testi di Paolo Monelli, "Roma 1943", Arnoldo Mondadori Editore, 1979; Roberto Ciuni, L'Italia di Badoglio", Rizzoli, 1993; Ruggero Zangrandi, "L'Italia tradita. 8 settembre 1943", Ugo Mursia Editore, 2011. 5) I generali Ambrosio (capo di Stato maggiore generale) e Roatta (capo di Stato maggiore dell'esercito) e Giacomo Carboni (incaricato della difesa di Roma), chissà in base a quale principio morale, giuridico, militare, di senso comune, ritennero che, con qualche sorriso, buone maniere e assenza di atti ostili, i tedeschi avrebbero rinunciato a occupare la capitale e avrebbero ripiegato verso nord, magari dopo un sontuoso ricevimento di commiato in qualche grande albergo. 6) Roatta pensò bene di scapparsene con Ambrosio, Badoglio e alcuni ministri in direzione di Pescara, per imbarcarsi sulla Corvetta Baionetta, che un paio di ore dopo fece sosta a Ortona, per accogliere a bordo la famiglia reale, i cortigiani e un cospicuo numero di alti dignitari, molti dei quali tentarono di far valere i propri titoli e meriti per "salire a bordo" quando fu raggiunto il limite massimo e ritirata la passerella. L'allegra compagnia, poi, proseguì in direzione di Brindisi. 7) M.W. Clark, "5^ Armata Americana", Garzanti, Milano, 1952. 8) Ugo Furlani, La Battaglia di Montelungo - i bersaglieri della guerra di liberazione, Gaspari Editore, 2018. 9) Un importante documentario sulla triste sorte di San Pietro Infine è quello girato da John Huston, facilmente reperibile su YouTube sia in italiano sia nella versione originale: "La Battaglia di San Pietro - Seconda Guerra Mondiale", nel quale Clark ribadisce le accuse agli italiani.

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Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

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