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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

MAL’ARIA

Raccolta n. 57 Settembre 2017


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Confini Webmagazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Raccolta n. 57 - Settembre 2017 Anno XX

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato: Gianni Falcone Michele Imparato Pierre Kadosh Lino Lavorgna Guy Millière Antonio Provenzano Angelo Romano Cristofaro Sola Massimo Sergenti

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Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Lybian carpet

Per gentile concessione di Gianni Falcone

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EDITORIALE

L’ARIA CHE TIRA Fanatici che uccidono, che falciano donne e bambini con solo l'odio per movente, il "coreografico" dittatore di uno stato più povero dell'Etiopia, con un Pil pro-capite di poco più di 500 dollari l'anno, che coltiva l'hobby dei missili e delle bombe atomiche, uragani vendicativi che puniscono selvaggiamente il blando impegno americano sul clima, Caraibi devastati lasciati in preda agli "sciacalli", bombe d'acqua che mietono vittime e fermano città attonite, terremoti che devastano, preti pedofili e orfanotrofi con fosse comuni legati dal comune "amore" per l'infanzia, ong in combutta con i trafficanti di uomini, zanzare assassine che amano viaggiare in valigia, Carabinieri gonzi in cerca di avventura e irrefrenabilmente "arrapati", violentatori seriali che colpiscono senza ritegno, donne massacrate per "amore" o per "interesse", un calciatore pagato 270 milioni di dollari, un giocatore di baseball 325 e un pilota di F1 "solo" 153. La Spagna che rischia di disgregarsi in seno ad un'Europa che, politicamente, non c'è, ma se ci fosse Catalani, Baschi, Valloni, Fiamminghi, Scozzesi e Irlandesi del Nord, Napoletani, Veneti e Lombardi non avrebbero più desideri secessionisti e "referendari" in barba alle Costituzioni. Un'Italia che va sempre più in malora per mancanza di politica lungimirante e di governanti affidabili. Un'Italia dove il "teatrino della politica", con sempre meno spettatori interessati, vede calcare le scene da parte degli "attori consumati" di sempre in un gioco delle parti ormai stucchevole, dove un Parlamento illegittimo non vuole fare una legge elettorale ma si preoccupa di conculcare ancor più la liberta di pensiero e di espressione dei cittadini con la ridicola legge Fiano o progettando di mettere fuori legge Forza Nuova. Gli attori di sempre che, a destra come a sinistra, ordiscono trame pur di tenere il palcoscenico. Il Cavaliere trama contro Salvini, Bersani e D'Alema contro Renzi, Renzi contro tutti ed in particolare contro i 5 Stelle con l'arma di una demenziale legge elettorale, Di Battista contro di Maio, alcuni giudici tramano contro la Lega, a detta del suo leader: a scoppio troppo ritardato il sequestro dei fondi e, guarda caso, sotto elezioni, altri contro i "grillini" siculi, persino gli ex colonnelli della defunta An si sono dati da fare per mettere le mani sulla omonima fondazione. E poi c'è il ridicolo: la Brambilla che schiera gli animali da compagnia nel centro-destra, la Lega che sottolinea il suo acquisito "respiro nazionale" con due referendum "autonomisti" per Veneto e Lombardia, Fiano con la sua legge per punire pensieri, gesti e gadget "sospetti" e Di Maio che per dirla con Prevert - è andato dal sarto marmista per farsi prendere le misure per la posterità. E’ proprio "mal'aria" quella che si respira e non c'é uragano alla vista che la spazzi via. Angelo Romano


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MAL’ARIA

UNA PAROLA NUOVA PER VIZI ANTICHI.

Cari Amici, il tema di copertina é: "Mal'aria". Il riferimento è all'immigrazione e ai costi spropositati che si abbattono sul sistema sanitario, a quanti in Europa rifiutano la redistribuzione dei migranti, al clima politico sempre più teso, alle iniziative illiberali della sinistra, a una ripresa economica che sembra essere solo un abbaglio, alle devastanti conseguenze dei cambi climatici...". Mal'aria, neologismo coniato dal Direttore quanto mai pertinente. La lingua deve evolversi per meglio rappresentare la mutevolezza dei tempi. E il termine incarna in pieno quell'insostenibile pesantezza del tempo contemporaneo, che atterrisce perché non lascia più intravedere l'unico vero sostegno dell'umanità: la speranza. Mal'aria, quindi: aria malata, avvelenata, irrespirabile. Aria che uccide. Parliamone, ma senza fronzoli retorici, proposizioni di ricette impossibili, accuse e difese di ufficio, facile ironia sui contaballe, ennesimo pubblico ludibrio per malfattori e delinquenti comodamente assisi sulle poltrone del potere. Sarebbe tempo perso e, onestamente, poco vi è da aggiungere al tanto già detto e scritto. Tutti i giorni paghiamo le conseguenze della malapolitica, quella di oggi e quella di ieri; tutti i giorni la malasanità conquista la ribalta della cronaca, gettando nello sconforto migliaia di famiglie; tutti i giorni ascoltiamo l'insulso bla-bla-bla di ciarlatani sulla cui malafede nessuno ha dubbi, a cominciare da chi li sostiene. Che senso ha ribadire sempre le stesse cose? SINISTRA: UN'ILLUSIONE CHE DURA DA TROPPO TEMPO Parliamone, di mal'aria, stendendo un velo pietoso anche sulle iniziative illiberali della sinistra, perché non ha più senso (ammesso che ne abbia avuto in passato) parlare di sinistra, e ne ha ancor meno nella rappresentazione della sua illiberalità, che tra l'altro renderebbe oltremodo lunga e complessa l'analisi. Ogni persona culturalmente evoluta sa bene che la sinistra è sempre stata e sempre sarà inutile e dannosa. Punto. Le sue varie e spocchiose anime hanno degli elettori in buona fede - l'ingenuità alberga ovunque - che la vorrebbero semplicemente al servizio del bene, di chi non ce la fa a correre a trecento

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all'ora, come richiesto da una società incancrenita dalla degenerazione di un sistema nato già malato: il capitalismo. Non è certo con "politiche liberali" che si vedrebbero realizzati gli ambìti propositi, perché è stata proprio la degenerazione dei princìpi sanciti dal liberalismo delle origini a inquinare la società contemporanea. Ma su questo campo fermiamoci qui: le distonie del liberalismo meritano ben altro spazio. Va ben evidenziata, invece, l'anomalia di cui la sinistra beneficia per colpe altrui e che a essa può essere ascritta come merito, essendo stata capace di impossessarsi del "potere culturale", monopolizzato e gestito a proprio uso e consumo grazie anche all'assenza di competitors validi. Occorre riconoscere che molti intellettuali di area trascendono i confini dell'appartenenza politica e producono analisi serie e oneste, facilmente condivisibili in virtù del loro rigore scientifico. Da qui, poi, a vedere presi in considerazione i loro suggerimenti dalla (pseudo)sinistra al potere, ce ne corre. Quella ortodossa quanto meno è caratterizzata per buona parte da soggetti di una certa levatura, più "umani". Nondimeno la loro capacità di governare un paese è prossima allo zero e quindi, lo dico affettuosamente soprattutto per i tanti che non ho difficoltà a considerare amici, vanno benissimo per trascorrere una gradevole serata discutendo sui massimi sistemi, sui grandi poeti che fanno vibrare le corde dello spirito; per una partita a scacchi; per una grigliata al tramonto, degustando senza esagerare dei buoni vini. DESTRA: L'ISOLA CHE NON C'E' Parimenti non ha più senso parlare di destra, o almeno di quella che si spaccia per tale. Dov'è la destra in Italia? Una vera destra moderna, sociale ed europea? Se qualcuno ne conosce l'indirizzo, me lo invii, ma per favore non commetta l'errore commesso da qualcuno su "Facebook", quando posi la stessa domanda: mi segnalò "Europa Nazione", ossia casa mia. Su questo argomento proprio non è il caso di dilungarci, essendo stato più volte trattato. BURATTINAI E BURATTINI A cosa serve rampognare continuamente i ciarlatani che parlano di ripresa economica, arzigogolando intorno a diagrammi astrusi, zero virgola e baggianate varie, infischiandosene della gente che muore di fame? Non solo è tempo perso, ma è anche autolesionistico. Quanto più si cerchi di sbugiardarli con dati di fatto concreti, che richiedono analisi complesse e molto lavoro, tanto più si esaltano e godono: le argomentazioni serie scivolano via senza essere nemmeno recepite; sulle loro baggianate si costruiscono lunghi talk-show e si consumano fiumi d'inchiostro. Non vi è partita, non vi è mai stata, tra chi conta balle e chi racconta la verità. La mente umana risponde a meccanismi che tendono sempre a privilegiare la semplicità.


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Ciò che non si comprende facilmente viene respinto istintivamente, lasciando spazio agli slogan a effetto di chi ha ben compreso come prendere per i fondelli le masse. Accade ciò che con termine scientifico si definisce "scotomizzazione", estensione psicologica di un concetto oculistico che riguarda una particolare patologia: l'occhio vede solo ciò che la mente vuole vedere. Anche le orecchie producono lo stesso effetto e si predispongono precipuamente all'ascolto di ciò che si preferisce ascoltare. E' storia vecchia, già nota agli antichi greci e agli induisti. I primi scolpirono sull'architrave del Tempio di Apollo, a Delfi, la celebre massima “ãí? èé óáõôüí” perché solo attraverso la conoscenza di se stesso si può sviluppare una visione del mondo che non sia il riflesso di una mistificazione prodotta ad arte per ingannare. I secondi, molto più prosaicamente, sostenevano che: "La drammaticità della vita è frutto della nostra proiezione mentale." Si dannerà l'anima, Jung, per rendere più fruibili questi concetti, ai quali, nel 1931, dedicò l'opera: "Il Problema dell'Inconscio nella Psicologia Moderna” A che è servito tutto ciò e il tanto altro lavoro svolto da autorevoli pensatori per segnare il cammino? Qualcuno, forse - a prescindere da uno sparuto numero di eletti, che però non hanno inciso sulla storia dell'umanità - ha tratto insegnamento dal "Mito della Caverna" e dall'opera di Nietzsche, con tutto quello che vi è stato in mezzo? Tutto lavoro andato perduto nel tempo, come le famose lacrime nella pioggia di "Blade Runner", considerati gli uomini senza qualità capaci di conquistare il potere con barzellette e balle grosse come catene montuose. La percezione della realtà è sempre falsata per i limiti propri della natura umana e per l'incapacità di compiere una semplice azione che, per altri versi, compiamo con naturalezza in mille circostanze, quando per esempio ci affidiamo a un meccanico, a un idraulico, a un muratore, al giardiniere. Tranne casi eccezionali non ci salta mai per la mente di mettere in discussione il loro operato. Li chiamiamo, li paghiamo e ci godiamo il lavoro eseguito. Basterebbe seguire la stessa regola anche per la delega del potere, che dovrebbe riguardare solo persone di alto profilo sotto tutti i punti di vista, alle quali affidarci con fiducia, senza avere la presunzione di voler comprendere le loro scelte in campo politico-economico-sociale, nella gestione degli scenari globali e delle complesse relazioni internazionali. Se le persone sono caratterizzate da un alto spessore, opereranno per il bene comune, adottando i provvedimenti più giusti in quel dato momento; uomini senza qualità non potranno che produrre azioni senza qualità. Sono questi ultimi a prevalere, tuttavia, perché le loro capacità affabulatorie hanno maggiore presa. Si passa in tal modo una vita intera a commettere sempre gli stessi errori, per poi lamentarsi quando le mezze cartucce al potere depredano la sanità; chiudono gli ospedali lasciando intere zone prive di strutture sanitarie, per magari aprirli dove non servono e solo per sporchi giochi utili solo al loro tornaconto; rubano a man bassa; conferiscono ruoli importanti ai babbei di turno, purché a loro asserviti, obbligando i veri talenti all'oblio o a emigrare; legiferano ad personam e si guardano bene dal produrre una vera riforma dello Stato, funzionale alle reali esigenze dei cittadini.

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A cosa servono comuni con poche centinaia o poche migliaia di abitanti? Non sarebbe più logico accorparli in modo da raggiungere almeno quindicimila abitanti? Invece di una decina di sindaci incapaci e lestofantelli può darsi che si riesca a eleggerne uno decente, ottenendo ingenti risparmi anche nella gestione dei dipendenti e dei servizi, magari rendendoli addirittura più efficienti. Prendiamo l'isola d'Ischia come esempio estendibile in ogni zona d'Italia: 64mila abitanti suddivisi in 46 kmq. Di fatto meno abitanti di quanti non ve ne siano nel quartiere Arenella di Napoli e una superficie pari a quella del comune di Frosinone. Che senso ha la presenza di ben sei comuni in quell'isola? E' facile dedurre la risposta, anche alla luce di recenti vicende. A cosa servono le province e le regioni? A sprecare soldi per consentire a poche migliaia di persone di arricchirsi indebitamente e di fare la bella vita, complicandola in modo indecente a tutte le restanti, che però hanno la responsabilità di non fare nulla per impedire che ciò accada. Lo sfacelo della sanità regionalizzata, come già detto, oramai ha raggiunto punti di non ritorno. Atterriscono e disorientano i comportamenti di troppi soggetti che agiscono nel dispregio più assoluto di ogni canone etico. E' di pochi giorni fa, per esempio, la notizia dei medici arrestati a Monza, ben dodici, perché compravano protesi di bassa qualità in cambio di soldi e regali. Con notizie simili accumulatesi negli ultimi decenni, tuttavia, si potrebbe scrivere un'enciclopedia più corposa della Treccani. Che razza di uomini sono costoro? Possibile che la bramosia di denaro consenta di non provare il minimo ritegno nel tradire la propria missione? I politici sono cinici per natura e non vi è da sorprendersi se si "vendono" alle multinazionali per audacia temeraria igiene spirituale imporre obbligatoriamente ben dieci vaccini ai bambini (di eguale dosaggio a prescindere dalle caratteristiche del bambino ndr), oltre ad avallare tante altre schifezze in campo farmacologico e non solo, periodicamente (e invano) denunciate. Ma i medici che tradiscono il giuramento di Ippocrate proprio non si reggono… Scrivo queste righe con la gola che brucia e il cuore che sanguina: la malasanità ha ucciso un mio carissimo Amico nel 2003 e più recentemente mio Cognato e mia Madre. Sto ancora aspettando giustizia, convivendo ogni giorno con il malessere generato dai complessi di colpa per scelte che una persona come me avrebbe dovuto evitare, essendo ben consapevole delle penose condizioni in cui versa la sanità nella mia regione. A cosa è servito privatizzare servizi primari come le comunicazioni telefoniche e la fornitura di energia elettrica? Il mercato libero avrebbe dovuto consentire di contenere i prezzi e invece ha solo alimentato un grande caos, con aziende che addirittura insegnano ai dipendenti "come truffare i clienti", facendo cartello con quelle concorrenti per sfruttare meglio un popolo che in materia di consumi risulta impreparato e indifeso. Il digital divide nel nostro paese è mostruoso; la fibra ottica è un mero sogno per molte zone, alcune delle quali presentano seri problemi anche per la connessione tradizionale. Nazionalizzare tali servizi, con regole che non ricalchino gli sprechi e le gestioni clientelari pre-privatizzazione, costituirebbe un grande vantaggio per i cittadini, in particolare per coloro che risiedono nelle aree più penalizzate.


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Analogo discorso vale anche per i trasporti pubblici, a cominciare dai treni per finire alla compagnia aerea di bandiera, le cui disastrose gestioni fanno venire il voltastomaco. Moralizzare i banchieri è solo un ridicolo ossimoro; non sbatterli in galera, però, quando depredano a man bassa i risparmi dei cittadini e per altri reati non meno gravi, è sintomatico di "affinità elettive" semplicemente vergognose. LA PAURA DELL'ALTRO Fanno paura i flussi migratori degli ultimi anni. E' inutile negarlo. Il razzismo esiste e va combattuto senza indugio. Ai razzisti di mestiere, tuttavia, si è aggiunto un nutrito gruppo di persone che rifugge da tale ignobile sentimento e ha semplicemente paura. La paura non è un reato. Nessuno può condannarmi perché mi rifiuto di salire su aerei e barche di piccole dimensioni. Al massimo può prendermi in giro. Anche l'egoismo, ancorché deprecabile, non costituisce un reato. Le cose cambiano solo quando sfocia in atteggiamenti che, finalizzati a tutelare i propri interessi, danneggiano quelli degli altri. Sulla crisi determinata dai flussi migratori oramai esiste una florida letteratura: seria, faceta, farlocca, ignobile. Ogni giorno si scrive di tutto e di più. Ritengo superfluo aggiungere chiacchiere alle chiacchiere e voglio sforzarmi di individuare una chiave di lettura del problema che possa realmente offrire nuovi spunti, analizzandolo freddamente, senza lasciarmi trasportare dai sentimenti, che sono buoni, rifuggendo però anche dalla trappola dell'ipocrisia buonista. Anche io ho paura e lo dico senza riserve. Con pari sincerità, però, posso aggiungere che la mia paura non m'induce ad assumere atteggiamenti tout-court ostili nei confronti dell'altro, alterando "in modo assoluto" quei concetti serenamente accettati quando il problema non esisteva ed era possibile avere rapporti con "chiunque" o viaggiare più o meno "dovunque", eccezion fatta per le aree vessate da sanguinosi e duraturi conflitti. Sono stato fidanzato con due donne musulmane, tra gli anni ottanta e novanta del secolo scorso, con le quali l'interazione non presentava alcuna difficoltà. Di certo non mi sono preoccupato nel visitare la Turchia e non mi sarei preoccupato nel visitare anche altri paesi nei quali non sono mai stato. Oggi, al solo pensiero di mettere piede a Istanbul (con tutto quello che ho scritto contro l'attuale classe dirigente), mi tremano le gambe. E per quanto possa essere culturalmente attrezzato per accettate il fatto che non tutti i musulmani sono terroristi, è inutile girarci intorno, la paura, "sia pure non in modo assoluto", come ben anticipato, ha condizionato il pensiero. Se ho paura io, non posso pretendere che non l'abbiano gli altri e anche ciò che scrivo deve tenere conto di questo banale assioma. La distinzione tra paura e razzismo, quindi, è fondamentale per inquadrare in una corretta ottica lo spinoso problema, perché è del tutto evidente che in molti casi è il secondo aspetto che assume valenza prioritaria, altrove in Europa più ancora che in Italia. E questo non va bene. E' davvero importante, quindi, saper distinguere il grano dal loglio e trovare il coraggio di

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affermare concetti anche duri, ma che possano configurarsi in un'ottica di "realtà" e "civiltà". A tal fine va deprecato tanto il "buonismo ipocrita" quanto "il rifiuto assoluto", da chiunque praticati. Non si può tollerare che si pretenda di cambiare il nostro stile di vita per adeguarlo a quello di chi viene a vivere nel nostro paese; che si pretenda di non rispettare le nostri leggi e le nostre consuetudini. Non si può accettare che una donna, quale che sia la sua provenienza, non possa comportarsi come qualsiasi altra donna. Non si può accettare che non si possano condannare apertamente le lapidazioni, le torture e tutte le altre nefandezze che sistematicamente sono perpetrate in tanti paesi orientali. Qui non si tratta di difendere esclusivamente i nostri valori ma presupposti di civiltà che dovrebbero albergare dappertutto. Parimenti va inculcato e difeso il principio che non esistono "popoli" superiori agli altri, ma solo persone buone e persone cattive, in tutti i popoli, e che il problema della "redistribuzione dei migranti" è un falso problema: non si possono trasferire in Europa tutte le vittime della "follia tirannesca" che imperversa in Africa e in Medio Oriente. Occorre "bonificare" quelle aree e renderle vivibili. LA CECITA' DELL'UOMO CHE NON RISPETTA LA NATURA Avevo diciannove anni quando fondai l'Associazione Nazionale Salvaguardia Ecologica e prospettai i rischi connessi al mancato rispetto della natura. I disastri ambientali non sono una conseguenza dei cambi climatici ma della scempiaggine audacia temeraria igiene spirituale umana. Ne sono trascorsi oltre quaranta e ripeto sempre le stesse cose. L'ultima volta nel numero 55 di questo magazine, risalente ad appena due mesi fa. L'articolo s'intitola: "Uomo e natura Occasioni perdute e cupi orizzonti". Non vi è alcun bisogno, pertanto, che ne ricalchi i concetti. LE RADICI ANTICHE DELLA MAL'ARIA La foto che accompagna l'articolo è emblematica. Si vedono due personaggi la cui espressività è ben percepibile anche da chi non sia un esperto d'arte o uno psicologo. A sinistra si vede un uomo con il volto tagliato, segnato da incisive rughe, che accenna un sorriso sardonico appena percettibile. Ha labbra serrate e occhi spenti, che generano turbamento. Non ha certo l'aria di un condottiero; molto più verosimilmente è assimilabile a un mafioso. Ben altre suggestioni, invece, scaturiscono dalla statua sulla destra della foto. Fierezza, forza, bellezza, virilità. I capelli al vento rivelano una personalità che ama la libertà e la spontaneità, doti di leader, orientamento al "bene". Ispira spontanea fiducia ed è lontano mille miglia dalla fisiognomica del tiranno. Lo sguardo fiero e le labbra leggermente incurvate dimostrano che il personaggio ha avuto poche occasioni di "ridere" o "sorridere", nel corso della sua vita: di sicuro è stato un condottiero con grandi responsabilità.


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Abbiamo, quindi, almeno figurativamente, un mafioso a sinistra e un eroe a destra. (Del punto interrogativo parleremo alla fine dell'articolo). Grazie a questo confronto è possibile compiere un veloce viaggio nel tempo, lungo più di duemila anni, estremamente rivelatore. A sinistra vi è Marco Licinio Crasso, politico e comandante militare della Repubblica Romana; miliardario (acquisì gli ingenti beni dei proscritti di Silla, da lui sostenuto nella guerra civile dell'83-82 A.C.); finanziatore di uomini potenti, tra i quali Cesare che, per restituirgli i soldi ricevuti in prestito, utilizzò il bottino della guerra gallica; cinico e spregiudicato nella gestione degli affari pubblici; corruttore impenitente: si comprava i senatori con la stessa disinvoltura con la quale è possibile comprare un chilo di mele al mercato; puttaniere incallito e bisex (a quel tempo i rapporti omosex erano una consuetudine soprattutto tra le classi sociali più alte e fa scuola la famosa citazione di Svetonio che riguarda Cesare: "L'uomo di tutte le donne, la donna di tutti gli uomini"); spregevole nei rapporti; spietato con chi non lo assecondava; ammalato di delirio di onnipotenza e, come spesso accade ai personaggi che si sentono Dio in terra, in talune circostanze incapace di vedere cose le cui effettive peculiarità appaiono ben evidenti a chiunque: muovere guerra ai Parti senza cavalleria anticipa le follie politiche e belliche di tanti futuri personaggi a lui simili. A destra vi è Spartaco, lo schiavo trace divenuto gladiatore e fomentatore della famosa rivolta che sfociò nella terza guerra servile, conclusasi con la sua morte e il trionfo di Crasso. La vicenda è nota e non serve rievocarla, anche perché ampiamente sfruttata dalla cinematografia, a cominciare dal capolavoro di Stanley Kubrik, del 1960. Cosa ci rivelano, pertanto, questi due personaggi? Che da sempre sono i "Crasso" a dominare e gli "Spartaco" a soccombere, a morire in battaglie perse in partenza, a essere crocefissi. Una volta la crocifissione era materiale. Con l'avvento della democrazia tale necessità è andata via via scomparendo. I "Crasso" si sono evoluti e hanno affinato la gestione del potere in modo molto più subdolo e raffinato, inducendo i nemici a crocifiggersi da soli, a combattersi tra loro, facendosi legittimare nella gestione del potere, direttamente o indirettamente, con libere elezioni. Roba da premio Nobel per capacità affabulatoria. La domanda che sorge spontanea, pertanto, è la seguente: se da oltre duemila anni accadono sempre le stesse cose, sarà mai possibile cambiare il corso della storia? Nel prologo ho scritto che l'umanità è atterrita perché vede sparire giorno dopo giorno siffatta speranza, facendo ricorso a un'iperbole per meglio caratterizzare la drammaticità del momento. Il concetto espresso, in realtà, se pur avvalorato da dati di fatto incontrovertibili, non potrà mai raggiungere una valenza assoluta, anche se dovessero verificarsi catastrofi sociali ben più gravi di quelle che segnano le nostre giornate. Per l'essere umano - come traspare dalla saggezza di Lin Yutang - la speranza non potrà mai sparire perché è come una strada nei campi, che di fatto non esiste e prende forma quando molte persone li attraversano. I giovani, soprattutto, hanno il "diritto" di non perderla. Più di ogni altra cosa, però, hanno il "dovere" di alimentarla con le loro azioni.

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L'effettivo cambio di rotta dipende dall'armonica coniugazione tra il diritto a sperare e il dovere di lottare per cambiare veramente le cose. Quelli della mia generazione non possono suggerire "ricette" perché sono tutti colpevoli per il pessimo mondo che si lascia loro in eredità. Sono colpevoli anche quelli come me che il male hanno sempre combattuto, non fosse altro perché non sono stati bravi nello sconfiggerlo. E per questa incapacità, cari giovani, possiamo solo invocare il vostro perdono. Un'esortazione è lecita, tuttavia, formulata con tutto l'amore che il cuore di un vecchio è in grado di partorire: scegliete bene la foto che deve sostituire il punto interrogativo. Esso, di fatto, incarna tutti voi, perché tutti voi, insieme, dovete trovare la strada maestra da percorrere negli anni a venire. Ma ogni marcia ha bisogno di un capo-carovana e la meta da raggiungere è la più impegnativa tra le tante che potrete e dovrete prefiggervi: mettere tutti i Crasso in condizione di non nuocere e rendere onore ai tanti Spartaco che hanno immolato la loro vita, secolo dopo secolo, per difendere i valori più nobili e sacri di ogni essere umano. Sceglietelo bene o saremo sempre punto e a capo. Lino Lavorgna


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QUANDO LA DEMAGOGIA SI FA GOVERNO Che alla mia età dovessi arrivare a scegliere, a proposito di demagogia, tra Tucidide e Platone non me lo sarei mai aspettato. Come mai mi sarei aspettato, da aristotelico di ferro, di rinnegare il mio filosofo prediletto a proposito di democrazia. Lo storico Tucidide, ad esempio, definiva 'demagoghi' tutti quegli Ateniesi che, in seguito alla morte di Pericle, cercarono di prendere il suo posto ingannando e seducendo l'assemblea popolare ateniese, tramite false promesse e istigazione contro gli avversari politici. In sostanza, una bollatura tout court. Fu Platone, poi, a meglio definirla come 'forma di governo corrotta' che deriva dalla democrazia. Comunque, va anche detto che la sua preferenza andava a una costituzione mista che comprendesse il meglio delle tre forme di governo virtuose: monarchia, aristocrazia e democrazia; aggiungeva, però, che in presenza delle tre peggiori forme di governo -tirannide, oligarchia e demagogia- era proprio la demagogia da preferire perché almeno con essa veniva salvaguardata la libertà. Aristotele, di contro, nell'approfondire il tema, identifica la demagogia addirittura con la 'democrazia' ed afferma che essa è la peggiore possibile tra le forme di governo, poiché mira a favorire in maniera indebita i poveri rispetto ai ricchi, incorrendo nell'errore di considerare tutti gli uomini uguali in tutto, mentre 'sono uguali solo per natura'; un aspetto, quest'ultimo, non sufficientemente rilevante per lo Stagirita. Lo so: detto così qualcuno potrà pensare che l'età stia producendo effetto sul cerebro e che io cominci a sconnettere; in realtà, quando si osservano certi eventi la mente ricorre a modelli noti per inquadrarli in un contesto di vita, per spiegarli, per prevederne un'evoluzione. Insomma, per analizzarli e giudicarli: a maggior ragione, se tali eventi investono le singole persone, le toccano, producono effetti sulle loro esistenze. Non la sto facendo lunga; questo, solo per arrivare ad affermare, senza infingimenti o giri di parole, che il cosiddetto referendum propositivo lanciato da Zaia, il governatore leghista del Veneto, al quale si è associato Maroni, il governatore leghista della Lombardia, è una boiata pazzesca, quanto di più demagogico possa esserci. Non è ancora noto il quesito referendario: da dichiarazioni dei promotori, però, sembra che esso miri ad attestare la voglia d'indipendenza dei cittadini delle due Regioni dal resto del Paese, così da sostenere la trattenuta delle 'tasse' pagate localmente. Le motivazioni, manco a dirlo, sono le solite, vetero-accuse della Lega al Governo centrale circa la dispersione della 'ricchezza' prodotta

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dai 'lavuratur' del Nord; una 'ricchezza' che, invece, dovrebbe essere impiegata per lo sviluppo lombardo-veneto. Il tutto con la benedizione di Salvini e un borbottio d'assenso di Bossi. La consultazione dovrebbe avvenire il prossimo 22 ottobre; dico 'dovrebbe' perché, stante il preventivo di spesa per le operazioni referendarie ammontante a 46 milioni di euro, la magistratura genovese ha recentemente bloccato fondi leghisti per 49 milioni di euro a causa di irregolarità nell'utilizzo di fondi pubblici. Dal ché, le difficoltà operative della Lega, non ovviabili con l'utilizzo di risorse e di strutture pubbliche in quanto l'iniziativa è priva di riferimento giuridico. In ogni caso, che il cosiddetto referendum si tenga, sia pur nei sottoscala delle sedi di partito o negli stands di piazza a mo' di casareccia consultazione popolare, ciò che sconcerta è la demagogia dei proponenti. L'ho già accennato ma giova ribadirlo: l'istituto del referendum propositivo non esiste nella nostra Carta Costituzionale. Invero, ammessa per un attimo la liceità morale del quesito, questo avrebbe potuto anche trovare una sua ammissibilità giuridica qualora il recente referendum costituzionale di renziana memoria avesse avuto un esito positivo. Con l'avallo di quel referendum, infatti, insieme alle diverse modifiche costituzionali, era pure prevista l'introduzione dell'istituto del referendum propositivo. Ma, come sappiamo, quel referendum ha avuto (fortunatamente) un esito negativo dato, peraltro, non tanto dall'attivismo, sfrenato e convinto, dei militanti del cosiddetto centro-destra, indignati dagli obbrobri costituzionali che avrebbe comportato, quanto dalle manovre di fronda di esponenti del centro-sinistra, a danno del presidente del Consiglio di loro emanazione. Già questo è stato significativo del grado di confusione e di affabulazione che grava su questo Paese; una guerra, per giunta tra bande, dove la prima vittima è la verità, diceva lo scrittore Arthur Ponsonby. Ma, nel caso del sedicente referendum in questione la confusione e la demagogia si accrescono visto che all'iniziativa hanno aderito sindaci del PD capeggiati dal primo cittadino di Milano, Giuseppe Sala, e da quello di Bergamo, Giorgio Gori; e ciò al solo fine di 'non lasciare sola la Lega' a beneficiare politicamente di un risultato la cui positività appare scontata. Comunque, ammesso il risultato della casareccia consultazione, alcune considerazioni sono d'obbligo. Possibile che non ci sia alcuno che si adonti del fatto di gettare nello scarico 46 milioni di euro per un'illusione? Certo. Il popolo non sa, trascura, è apatico: definito dal Petrarca 'ignudo, paventoso e lento', insomma 'bue', indifferente al basto, è animato dal 'miraggio' della biada di fine giornata. Un 'miraggio' che, nel caso in questione, dovrebbe essere illusoriamente rappresentato dalle risorse che una folgorante vittoria referendaria porrebbe a totale disposizione delle due regioni in questione; in sostanza, un'illusione che mira a sollecitare l'emersione dei più retrivi istinti egoistici di lombardi e di veneti. L'animo umano, si sa, soprattutto nei momenti di crisi, è portato a cercare una salvezza uti singuli ma come non criticare il comportamento di due amministratori pubblici leghisti che, per fini meramente demagogici e di parte, tornano ad acuire la divisione tra le genti di questo Paese?


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Non è più il tempo di 'Roma ladrona' e di 'secessione', certo, anche perché la Lega ha condiviso il potere centrale, ma come non sottolineare la ripresentazione del leitmotiv di sempre sotto le mentite spoglie, nobilitate da un sedicente referendum popolare? Mi spiace. Ho veramente creduto che Salvini, nella sua cultura celtica, potesse considerare sacri tutti i fiumi al pari del Po e così porsi come novello Luxovio dalle Alpi alle piramidi e dal Manzanarre al Reno ma sono costretto a ricredermi. Ciò che ulteriormente sconcerta è che amministratori pubblici 'progressisti' abbiano avallato quella demagogica iniziativa sedicente referendaria. Evidentemente, tra il PD e la Lega persiste quel rapporto di amore e odio nato con il governo D'Alema agli inizi del millennio e avviato, per compiacere la Lega, con la promozione dell'unico referendum costituzionale ad esito positivo nella storia della Repubblica: quello che ha modificato il Titolo V della Carta Costituzionale, ha costituito venti alter ego al potere centrale e ha dato loro autonoma capacità legislativa e di spesa. In sostanza, venti 'mostri' che, da quel momento, hanno cominciato ad assestare duri colpi all'Erario. Infatti, quella precedente iniziativa, realizzata per semplice tatticismo politico da parte di una sinistra sedicente progressista, con il demagogico intento di avvicinare la capacità amministrativa alle necessità del territorio, dopo sedici anni ci presenta un quadro desolante: di fatto, il territorio langue, privo di intenti di coordinamento e di indirizzo addirittura sullo stesso territorio, con una sanità, una scuola, un sistema di trasporti, una formazione professionale, una tutela ambientale a macchia di leopardo e con livelli tendenti al basso. E siccome non può esserci beffa senza danno, ci ritroviamo con un perverso meccanismo di addizionali impositive, gocce nel mare dei dissesti regionali ripianati dalle casse centrali; in sostanza, paghiamo due volte per non ottenere alcunché. E se ci fosse qualcuno che dubita, lo invito a leggersi la graduatoria annuale delle venticinque regioni europee a più basso tasso di sviluppo. Vi troverà tutte le nostre Regioni meridionali, ripetitivamente elencate nelle graduatorie degli ultimi sedici anni. Peraltro, nel citato Titolo V troviamo l'art. 116 che al 3° comma così recita: 'Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 (quelle di esclusiva prerogativa statale) e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119.' Soggetti beninformati asseriscono che l'iniziativa leghista lombardo-veneta, rinforzata dall'impegno 'progressista', miri in sostanza a far scattare le condizioni di cui al citato comma e ad aumentare, in conseguenza, l'autonomia delle due Regioni in questione. Beh! È vero che qui si tratta di due Regioni del Nord, quelle che in larga parte contribuiscono al PIL nazionale (fatto 100 il PIL nazionale, la Lombardia è 131,7 e il Veneto è 113,6) ma è anche vero 1 che ciò che danno si riprendono in larga misura: infatti, secondo il Rapporto Condicio sono

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notevoli le differenze di spesa sociale sul piano territoriale: dai 277,1 euro per abitante della Valle d'Aosta ai 24,6 euro della Calabria (nel 2011 la spesa pro-capite più alta era stata registrata nella Provincia Autonoma di Trento pari a 282,5 euro, mentre la più bassa era stata sempre appannaggio della Calabria con 25,6 euro). Al di sopra della media nazionale si collocano gran parte delle Regioni del Centro-Nord e la Sardegna, mentre il Sud presenta i livelli più bassi di spesa media pro-capite (51,3 euro), meno di un terzo rispetto a quella del Nord-Est (159,4 euro). E, in ogni caso, non sembra che la Lombardia ed il Veneto abbiano particolarmente brillato sotto le presidenze rispettivamente di Maroni e di Zaia: nel senso che i due presidenti hanno ereditato un tessuto sociale già attrezzato e organizzato, in grado di riconvertirsi economicamente al meglio quando con la fine degli anni '80 si è avviata la fase post-industriale. Tuttavia, nonostante la cospicua l'eredità, non si ha contezza di particolari iniziative degli attuali governanti, neppure miranti a frenare l'esodo di imprese lombarde verso il vicino Canton Ticino e quello di imprese venete verso la vicina Austria. Un punto, comunque, rimane inevaso: se si può, in sostanza, continuare a straparlare impunemente di 'terroni', di ' sacra Padania', di un 'Sud pigro che salassa il ricco e attivo Nord'; se si può addirittura puntare a gestire ciascuno le proprie risorse fregandosene degli altri; se, insomma, si può tranquillamente praticare, in maniera becera peraltro, la più smaccata demagogia tendente vieppiù a dividere questo Paese, come può la Lega porsi come forza nazionale? Cosa può aspettarsi dagli 'scansafatiche' del Sud? Ed ancora. Come giudicare, al Nord, una sinistra 'progressista' che si adagia sull'onda demagogica pur di partecipare al bottino elettorale? In sostanza, rimane la domanda clou: se è la demagogia ad animare l'azione politica, una demagogia d'altra parte spinta ad acuire le già esistenti divisioni nazionali, che cosa sostiene l'unità di questa nostra Italia? L'inno di Mameli negli stadi? Ora, che tanti scrittori del passato e del presente, tipo Giuseppe Buttà, Giacinto de Sivo, Aldo Servidio, Giordano Bruno Guerri, Pino Aprile ed altri si siano vanamente affannati a darci un'immagine di quest'unità nata sulla scorta della più vasta e strumentale demagogia è un fatto al quale, tuttavia, nessuno ha prestato attenzione e dato credito. Certo. È comprensibile, visto che i citati scrittori potevano essere considerati (pur non essendolo) di parte. Ma cosa pensare quando i più accreditati nomi dell'Italia unita hanno scritto denunciando la strumentalità di tale unità? L'incontestabile Francesco Saverio Nitti, nel suo 'Nord e Sud' scriveva: "Dei Borbone di Napoli si può dare qualunque giudizio: furono fiacchi, non sentirono i tempi nuovi, non ebbero altezza di vedute mai, molte volte mancarono di parola, molte volte peccarono; sempre per timidità, mai forse per ferocia. Non furono dissimili dalla gran parte dei prìncipi della penisola, compreso il Pontefice. Ma qualunque giudizio che si dia di essi non bisogna negare che i loro ordinamenti amministrativi erano spesso ottimi; che la loro finanza era 2 buona, e in generale, onesta."


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E, ancora, a proposito del Piemonte: "La depressione finanziaria, anteriore al 1848, aggravata fra il '49 e il '59 da un'enorme quantità di lavori pubblici improduttivi, avea determinata una situazione da cui non si poteva uscire se non in due modi: o con il fallimento, o confondendo le finanze piemontesi a quelle di altro stato più grande"3. Inoltre, precisava a proposito del Regno delle Due Sicilie: "Nel 1860 la situazione del Regno delle Due Sicilie, di fronte agli altri stati della penisola, era la seguente, data la sua ricchezza e il numero dei suoi abitanti: 1. Le imposte erano inferiori a quelle degli altri stati. 2. I beni demaniali ed i beni ecclesiastici rappresentavano una ricchezza enorme, e, nel loro insieme, superavano i beni, della stessa natura, posseduti dagli altri stati. 3. Il debito pubblico, tenuissimo, era quattro volte inferiore a quello del Piemonte, e di molto inferiore a quello della Toscana. 4. Il numero degli impiegati, calcolando sulla base delle pensioni nel 1860, era di metà che in Toscana e di quasi metà che nel Regno di Sardegna. 5. La quantità di moneta metallica circolante, ritirata più tardi dalla circolazione dello Stato, era in cifra assoluta due volte superiore a quella di tutti gli altri Stati della penisola uniti insieme.". Giustino Fortunato, economista e uno dei più accreditati storici italiani, senatore del Regno d'Italia per numerose legislature, in una lettera inviata il 2 settembre del 1899 a Pasquale Villari così, tra l'altro, ebbe a scrivere: "… L'Unità d'Italia è stata purtroppo la nostra (meridionale) rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L'Unità ci ha perduti. E, come se non bastasse, è provato, contrariamente all'opinione di tutti, lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province 4 settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali. …" E qui potremmo continuare con le testimonianze di altri economisti e storici, del livello del 5 socialista Gaetano Salvemini e del democristiano Luigi Einaudi che testimoniarono come il Nord, negli anni appena successivi all'unità, sia arrivato a peccare di un insano egoismo col cingere di una forte barriera doganale il territorio ed ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale. In sostanza, il Sud alla stregua di colonia. In questa carrellata, comunque, non poteva mancare il comunista Antonio Gramsci che nei suoi 'Quaderni del carcere' così scriveva: "…un altro elemento per saggiare la portata reale della politica unitaria ossessionata di Crispi è il complesso di sentimenti creatosi nel Settentrione per riguardo del Mezzogiorno. La "miseria" del Mezzogiorno era "inspiegabile" storicamente per le masse popolari del Nord; esse non capivano che l'unità non era avvenuta su una base di eguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno nel rapporto territoriale di città - campagna, cioè che il Nord concretamente era una "piovra" che si arricchiva a spese del Sud e che il suo incremento economico - industriale era in rapporto diretto con l'impoverimento dell'economia e dell'agricoltura meridionale. Il popolano dell'Alta Italia pensava invece che se il Mezzogiorno non progrediva dopo essere stato liberato dalle pastoie che allo sviluppo moderno opponeva il regime borbonico, ciò

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significava che le cause della miseria non erano esterne, da ricercarsi nelle condizioni economico - politiche obiettive ma interne, innate nella popolazione meridionale, tanto più che era radicata la persuasione della grande ricchezza naturale del terreno: non rimaneva che una spiegazione, l'incapacità organica degli uomini, la loro barbarie, la loro inferiorità biologica."6. Senza commenti. Non è certo mia intenzione porre in discussione gli ideali di questo mio Paese né essere accusato di vilipendio alle istituzioni ma, mi chiedo, cosa comporterebbe una revisione storica di quel periodo, a distanza di oltre un secolo e mezzo dai fatti unitari? Anche perché credo che un'opera di revisione storica, per il semplice gusto della verità, intanto eliminerebbe tutti quegli astrusi, demagogici preconcetti citati da Gramsci e che ancora persistono 'nel popolano dell'Alta Italia' e non contribuiscono certo al raggiungimento di una unità valoriale. Un'opera, quella revisionistica, che avrebbe potuto essere avviata nel 2011, in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, per fare giustizia delle tante azioni ed affermazioni che hanno preceduto e giustificato i fatti del 1861. Sullo specifico argomento, peraltro, è intervenuto Maurizio Blondet, con un suo scritto del 5 aprile 2010 (un anno prima della citata ricorrenza) dal 7 titolo alquanto significativo 'Senza verità non c'è risorgimento' ; uno scritto che esordisce affermando che, a volerla fare la revisione, c'erano persino le risorse necessarie: ben 800 milioni di euro stanziati per la citata commemorazione. Comunque, il saggista, anche basandosi su una rilettura di 'L'altro risorgimento' della storica Angela Pellicciari8, ci dà un quadro alquanto significativo della strumentale demagogia posta in essere; un quadro del quale si riportano solo alcuni passaggi: 'INTERVENTI UMANITARI - Quando Londra e Parigi (ossia Palmerston e Napoleone III) decisero di appoggiare i Savoia nella conquista dei principati italiani, i giornali europei si riempirono di resoconti raccapriccianti sul malgoverno dello Stato della Chiesa e del Regno delle Due Sicilie: quei popoli "gemevano" nella miseria, nell'arretratezza, sotto una feroce repressione reazionaria di regimi stupidi e feroci. Talché occorreva "un intervento internazionale" per mettere fine a governi "contrari agli interessi della popolazione". Come in Afghanistan un secolo dopo, occorreva liberare le donne dal chador. La stampa massonica italiana riprese con delizia le truculente notizie dettate dall'estero. Il 19 marzo 1857 il Corriere Mercantile di Genova attestò che nelle carceri borboniche si usava "la cuffia del silenzio", un aggeggio di tortura applicato al volto dei carcerati per impedire loro di parlare. Inutile dire che questo oggetto era sconosciuto a Napoli. Invece, come raccontò Christophe Moreau, un esperto francese incaricato dal suo governo di studiare il sistema carcerario britannico era in uso nelle prigioni inglesi. … Si scrisse che il Vaticano condannava i colpevoli alla frusta. Effettivamente, c'erano circa cinque o sei frustati l'anno. In Gran Bretagna, il gatto a nove code era un sistema corrente di punizione applicato dai tribunali in 7-800 casi l'anno, e usato normalmente senza alcun processo contro i marinai delle navi da guerra. Secondo i resoconti, nel Sud infuriavano le pene capitali senza controllo. In realtà, dopo la fallita


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"rivoluzione" del 1848, i tribunali napoletani comminarono ai rivoluzionari mazziniani e filofrancesi 42 condanne a morte. Re Ferdinando II le commutò tutte, non fu eseguita alcuna esecuzione. Nel civile regno di Sardegna, modello dei giornali europei, il 26 marzo 1856, il deputato Brofferio della sinistra insorge contro l'eccessivo numero di esecuzioni capitali comminate da quando il governo piemontese è diventato "costituzionale e liberale": 113 esecuzioni tra il 1851 e il 1855, mentre il governo assoluto precedente (1840-44) ne aveva eseguito solo 39. Il regno savoiardo costituzionale condannava a morte otto volte di più della Francia, lamentò Brofferio. … [ … ] IMMANE DEBITO PUBBLICO - Cavour ammette alla Camera subalpina il 1 luglio 1850: "So quant'altri che, continuando nella via che abbiamo seguito da due anni, noi andremo difilati al fallimento. E che continuando ad aumentare le gravezze, dopo pochissimi anni saremo nell'impossibilità di contrarre nuovi prestiti e di soddisfare gli antichi". Debiti nuovi per pagare debiti vecchi, è qui che comincia l'Italia che conosciamo. Nei 34 anni che vanno dalla caduta di Napoleone al 1848, nonostante i danni dell'occupazione francese, il Regno di Sardegna accumulò 134 milioni di debiti. Nei solo 12 anni del governo Cavour, dal 1848 al 1860, il debito pubblico aumenta oltre un miliardo (Stato della Chiesa e Regno di Napoli hanno lievi avanzi di bilancio). Ovviamente, i contribuenti piemontesi furono schiacciati dalla tassazione più esosa d'Italia. Il Piemonte aveva accumulato un miliardo di lire di debito, pari a 200 miliardi di euro odierni. La bancarotta di Stato è imminente, al punto che solo la guerra all'Austria (e la conquista dei principati italiani) può dare una speranza di uscirne. Lo ammette Pier Carlo Boggio, deputato cavourriano nel 1859: "Ogni anno il bilancio del Piemonte si chiude con un aumento del passivo... L'esercito da solo assorbe un terzo di tutta l'entrata... Il Piemonte accrebbe di 500 milioni il suo debito pubblico... il Piemonte falsò le basi normali del suo bilancio passivo. Ecco adunque il bivio: o la guerra o la bancarotta. La politica del Piemonte in questi anni sarà detta savia, generosa e forte, oppure improvvida, avventata o temeraria, secondochè avremo guerra o pace". Vinsero, e solo nelle banche dei Borboni trovarono (e prelevarono) l'equivalente di 1.500 miliardi di euro. ... […] LA CASTA - "Liberata" la Toscana con "spontanea insurrezione", i massoni locali in attesa delle truppe savoiarde instaurano un governo provvisorio, una dittatura "popolare". La presiede il barone Bettino Ricasoli fiorentino. ….. Brofferio precisa: "I conti del governo toscano (appena abbattuto) prevedevano per il 1859 un avanzo di 85 mila. Nelle casse c'erano 6 milioni in contanti. Il nuovo governo chiudeva il 1859 con un disavanzo di 14 milioni e 168 mila". In meno di un anno, dilapidato oltre il doppio di quel che il dittatore trovò in cassa. Come? Ancora Brofferio: "Il pubblico erario era dilapidato per saziare l'ingordigia dei nuovi favoriti; lussi di sbirri e di spie all'infinito; espulsioni, arresti, perquisizioni; la guardia nazionale ordinata a servizio di polizia e non a difesa nazionale. Nessuna libertà di persona, di domicilio,

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di stampa; ogni associazione vietata; uomini senza fede e senza carattere onorati...". Erano già i raccomandati. …. […] MAZZETTE E TANGENTI - Curletti (un funzionario della polizia politica) è uno dei pagatori che sotto il comando dell'ammiraglio Persano corrompono con denaro gli alti ufficiali dell'esercito borbonico, onde preparare il successo dei "Mille". Carlo Persano è un pessimo comandante navale (si farà sconfiggere a Lissa, nel 1860, dalla inferiore flotta austriaca), ma un ottimo sovversivo. Nell'agosto 1860 scrive a Cavour "Ho dovuto, eccellenza, soministrare altro denaro. Ventimila ducati al Devincenzi, duemila al console Fasciotti, quattromila al comitato...". In compenso, dice, "possiamo ormai far conto sulla maggior parte dell'officialità della Regia Marina napoletana". Difatti. Ottocento "straccioni" (dice Ippolito Nievo, che era uno di loro) occupano Palermo senza colpo ferire. E penetrano nel regno di Napoli come coltelli nel burro. Massimo D'Azeglio scrive a un nipote il 29 settembre 1860: "Quando si vede un'armata di 100 mila uomini vinta colla perdita di 8 morti e 18 storpiati, chi vuol capire, capisca". Garibaldi stesso dice chi sono i suoi patriottici guerrieri in camicia rossa: "tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra... con radici nel letamaio della violenza e del delitto". Infatti, il governo garibaldino che soppianta il re di Napoli è così descritto da Boggio: "Lo sperpero del denaro pubblico è incredibile... somme favolose scompaiono colla rapidità con cui furono agguantate dalle casse borboniche... Si sciupano milioni, mentre ai soldati vostri (scrive Boggio a Garibaldi) si nega persino il pane. I soldati, lasciati privi del necessario, sono costretti a procurarselo come possono, d'onde i soprusi, gli sperperi, le violenze che irritano le popolazioni". Mi fermo qui anche se il saggio prosegue con moltissime altre amenità alquanto interessanti. Comunque, nella speranza che un giorno si possa ricercare la verità a proposito di questa nostra unità e, in conseguenza, possano venir meno demagogiche iniziative che continuano sostanzialmente ad allontanarla, quello che mi preme affermare, in conclusione dell'atterraggio di questo volo planato, è che se si può condividere la bollatura di Tucidide, non si può convenire con l'affermazione di Platone in quanto la demagogia, se affiancata dalla forza, economica e/o militare che sia, non garantisce neppure la libertà, specie di dissentire. E, in ogni caso, non si può sposare il pensiero aristotelico e, tout court, sovrapporre alla demagogia la democrazia perché se la prima, nel suo grigiore, non ha bisogno di orpelli per essere concepita la seconda non solo necessita di colori per essere qualificata ma anche dell'apporto di tutti e di ciascuno per essere praticata. Massimo Sergenti


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Note: 1 http://www.fishonlus.it/files/2015/09/spesa-sociale 2 Francesco Saverio Nitti, Nord e Sud, Casa Editrice Nazionale Roux Roux e Viarengo, 1900, p. 31 3 Francesco Saverio Nitti – op. cit. pag. 30 4 http://www.inuovivespri.it/2017/05/30/ 5 II Presidente dell'Italia Repubblicana 6 Antonio Gramsci – Quaderni del carcere – Vol. III – a cura di Valentino Gerratana – Ed. Einaudi 1973 – pp. 2021,2022 7http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&view=article&id=9915:senza-verita-nienterisorgimento&catid=83:free&Itemid=100021 - http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/iniziative/2010/2010_06_30.PDF 8 Angela Pellicciari – L'altro risorgimento – Piemme 2000

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MAL’ARIA: MIGRAZIONI ED INFEZIONI Grande commozione ha suscitato il caso della bambina trentina deceduta a Brescia per Malaria cerebrale qualche settimana fa, sia nell'opinione pubblica che negli addetti ai lavori. La piccola paziente infatti non era di ritorno da un viaggio in paesi tropicali né i genitori riferivano alcun fattore di rischio per l'acquisizione di questa terribile infezione. La maggior parte dei casi segnalati di malaria globalmente si registra infatti nel continente africano (circa il 90%), frequenze decisamente minori si osservano in Asia ed in America del Sud. L'Italia, come molti altri paesi industrializzati, registra invece solo casi di Malaria da importazione, in quanto, al di là di qualche segnalazione sporadica di malaria autoctona, mai verificata con certezza, questa terribile infezione è stata debellata da decenni, grazie alla lotta al paludismo ed alla disinfestazione delle zanzare Anophele, vettori della malattia, avvenute negli anni 40-50. Ultime segnalazioni di malaria autoctona italiana risalgono infatti agli inizi degli anni sessanta in Sicilia. La malaria di importazione invece è ben conosciuta dagli addetti ai lavori. Nell'ultimo quinquennio se ne sono registrati circa 600 casi/anno di malaria del viaggiatore conseguente cioè, nella grandissima maggioranza dei casi, all'acquisizione dell'infezione durante il soggiorno in un paese ad alta endemia malarica (soprattutto il sud-est asiatico e l'Africa sub-sahariana) ed alla comparsa in Italia delle manifestazioni cliniche di tale infezione. A tale proposito ricordiamo come sia diffusa oramai a livello internazionale la profilassi antimalarica del viaggiatore, una pratica medica che consiste nell'assunzione di alcuni farmaci antimalarici (meflochina, per esempio) prima, durante e dopo il soggiorno in paesi tropicali, allo scopo proprio di prevenire questa infezione con un efficacia quasi prossima al 100% se condotta nei tempi giusti e con farmaci mirati. Negli ultimi anni però abbiamo assistito ad una netta riduzione della chemioprofilassi antimalarica dei viaggiatori, sia perché tali farmaci possono essere gravati da effetti collaterali e sia per un aumento dello scetticismo generale verso le pratiche mediche. La malaria da importazione non è ovviamente contagiosa, in quanto la trasmissione della malattia è mediata esclusivamente da un vettore, la zanzara Anopheles, nel cui intestino il parassita malarico compie dei cicli replicativi fondamentali a renderlo infettante nell'uomo. Tra i casi di malaria da importazione vanno infine segnalati alcuni casi aneddotici di malaria da aeroporto o da valigia. In questi casi sono colpiti cittadini italiani che o vivono in stretta vicinanza con l'aeroporto, soprattutto se militare, in cui la zanzara vettrice dell'infezione viene trasportata


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in loco attraverso un aereo proveniente da zone endemiche o molto più raramente attraverso una valigia. Si tratta però per lo più di casi aneddotici. Tornando al caso della piccola bambina deceduta molta enfasi è stata data alla presenza durante la degenza ospedaliera nello stesso reparto di due bambini africani ricoverati per malaria e già in trattamento farmacologico specifico. Da quanto detto, poiché l'unica trasmissione interumana della malaria è quella materno fetale, estremamente difficile se non impossibile è che questi piccoli pazienti possano avere contagiato la bambina italiana. In questo caso, infatti, la trasmissione della malaria si sarebbe potuta realizzare solo attraverso l'inoculazione nella bambina del sangue intero infetto proveniente dai due bambini africani. Questa ipotesi appare francamente inverosimile, si tratterebbe infatti di un vero e proprio "dolo": in sintesi un operatore sanitario avrebbe dovuto volontariamente prelevare dai pazienti infetti del sangue intero ed inocularlo poi alla piccola (a tale proposito ricordo, unicamente a scopo aneddotico, un tragico episodio di cronaca, ora verità giudiziaria, che colpì il reparto di ematologia del Professore Lucarelli, dove un infermiere volontariamente somministrava ad altri pazienti il siero proveniente da malati affetti da epatite B, provocando numerosi decessi). In conclusione mancano, al momento, dati certi su come la piccola paziente abbia acquisito l'infezione malarica, l'ipotesi più probabile resta quella di una malaria da importazione. Ma le ondate migratorie che hanno interessato il nostro paese negli ultimi decenni hanno modificato significativamente l'epidemiologia italiana delle malattie infettive? Ovviamente di primo acchito non si può che affermare di si, ma rispondere a questa domanda è estremamente complesso per moltissimi motivi. In primo luogo l'analisi andrebbe fatta tenendo presente la via di trasmissione delle infezioni per singola infezione. In secondo luogo, a differenza di altri paesi europei, mancano in Italia per alcune patologie (tubercolosi per esempio), dati aggiornati al 2016. Alcune considerazioni possono però essere fatte. Le infezioni a trasmissione oro-fecale hanno, in genere, un periodo di incubazione abbastanza basso (il periodo di incubazione altro non è che quel lasso di tempo specifico per ogni germe che va dall'acquisizione dell'infezione alle manifestazioni cliniche della stessa, tanto più lungo è il periodo di incubazione, tanto più probabile è la trasmissione dell'infezione) e il contagio si verifica attraverso l'ingestione di alimenti contaminati dalle feci dei pazienti infetti. Si tratta quindi di un contagio che presuppone uno stretto contatto con il paziente infetto. In questa categoria rientra però la trasmissione dell'Epatite E, una rara forma di epatite nel nostro paese, ma molto frequente nei paesi sottosviluppati in cui vengono colpiti soprattutto i bambini. Questa infezione è comunque benigna ed autolimitantesi e solo nelle donne gravide può determinare quadri clinici più gravi. Attualmente le segnalazioni di casi di epatite E autoctoni in Italia sono in incremento. Si ipotizza infatti che i numerosi extracomunitari residenti in Italia acquisiscano l'infezione durante un soggiorno nei paesi di origine e trasmettano successivamente il virus una volta tornati in Italia (tale meccanismo patogenetico infatti è stato segnalato soprattutto nel nord

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Italia in cui numerosi bambini in età scolare o prescolare hanno contratto l'infezione dai bambini extracomunitari ritornati in Italia dopo un soggiorno nel paese di origine). L'impatto delle migrazioni sulla trasmissione delle infezioni a diffusione aerogena (attraverso cioè il sistema respiratorio del paziente infetto), potrebbe, ovviamente essere più significativo. La trasmissione aerea infatti è associata al sovraffollamento, ai contatti stretti e duraturi con i pazienti infetti, in assenza di un contatto diretto, come quello sessuale o parenterale (trasmissione attraverso il sangue e/o liquidi biologici), per esempio, caratteristiche queste che si possono ritrovare in tutti gli ambienti istituzionalizzati (centri di permanenza temporanei, carceri, ospedali, etc.). Tra le infezioni a trasmissione aerogena una menzione particolare merita la tubercolosi. In Italia a partire dagli anni Cinquanta si è assistito ad una costante riduzione dell'incidenza di nuovi casi di tubercolosi, come d'altronde in molti altri paesi dell'Europa occidentale. Tuttavia nel nostro Paese si verificano ancora più di 4 mila nuovi casi di Tbc all'anno: un dato che, se da una parte classifica l'Italia tra i Paesi a bassa endemia, dall'altra continua a rappresentare una realtà sanitaria che richiede strategie di prevenzione e attività di controllo. Nel nostro Paese, i casi di Tubercolosi (TBC) tra gli immigrati sono aumentati notevolmente, passando da 525 (10% dei casi notificati) nel 1995 a 2.026 (46%) nel 2008, a fronte dei 2.102 casi italiani nello stesso anno. In sintesi quindi in poco più di un decennio i casi di tubercolosi registrati negli immigrati sono quasi quintuplicati. A rendere ancora più complesso il quadro epidemiologico di questa malattia in Italia vi è la constatazione che nel medesimo periodo (1995-2008) la frequenza di nuove diagnosi di tubercolosi nella popolazione straniera non ha registrato un aumento dei tassi di incidenza della patologia tra gli immigrati presenti nel nostro Paese, suggerendo quindi che l'aumento dei nuovi casi è correlato unicamente alla crescita della popolazione straniera in Italia che è passata da 700 mila a quasi 5 milioni. Da questi dati si possono trarre sommariamente due conclusioni: la prima è il ridimensionamento dell'allarme sociale nel nostro paese rispetto a forme epidemiche e non più sporadiche di malattia tubercolare (le migrazioni oggettivamente non hanno portato un incremento dei tassi di incidenza di TBC in Italia), la seconda invece è la grave criticità nella gestione della malattia dei pazienti immigrati e nell'accessibilità dei servizi socio-sanitari. Il paziente immigrato infatti, rispetto al paziente italiano, è meno aderente sia alle terapie farmacologiche specifiche per la TBC e sia ai controlli clinici necessari al monitoraggio di tale infezione. Tutto ciò ha una ricaduta pratica molto importante, la selezione di ceppi di TBC multi resistenti ai trattamenti convenzionali sul nostro territorio, con importanti possibili ricadute su tutta la popolazione generale. Un cenno a parte meritano le malattie a trasmissione sessuale, HIV, in primis. Nel 2015 la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l'85,5% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 44,9%; omosessuali 40,7%). Inoltre, il 28,8% delle persone diagnosticate come HIV positive è di nazionalità straniera.


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L'incidenza (numero di nuovi caso/anno) è di 4,3 nuovi casi di HIV per 100.000 italiani residenti e 18,9 nuovi casi di infezione da HIV per 100.000 stranieri residenti. Tra gli stranieri, la quota maggiore di casi è costituita da eterosessuali femmine (36,9%), mentre tra gli italiani da omosessuali (48,1%). L'incidenza di questa infezione quindi risulta essere molto più elevata nella popolazione extracomunitaria, dato questo però da prendere con le dovute cautele in quanto vi è una sottostima reale dell'incidenza di questa infezione sia nei pazienti italiani che non. In ogni caso è più che lecito ipotizzare che l'aumentata incidenza di infezione da HIV nelle donne extracomunitarie possa avere, se non già abbia avuto, una ricaduta pratica sulla popolazione maschile italiana, dal momento che la prostituzione femminile in Italia, almeno quella da strada, è praticamente appannaggio delle donne extracomunitarie . In Italia, così come negli altri paesi europei le ondate migratorie modificano e modificheranno inevitabilmente l'epidemiologia di molte malattie infettive, è sempre successo e succederà sempre (basti pensare alle epidemie influenzali nel sud-america introdotte dai conquistadores spagnoli), ma molto si può fare e molto deve essere fatto soprattutto in tema di prevenzione. Al di là delle risorse economiche la prevenzione appare l'unica arma efficace nel risparmio delle risorse, basti pensare per esempio all'educazione sessuale dell'utilizzo del condom, o ad alcune pratiche mediche come la diagnosi precoce della TBC in tutti gli extracomunitari (basta un banale test sierologico ed una lastra al torace). Le ricadute sulla sanità pubblica non sarebbero immediate e quindi i risultati poco appetibili per la nostra attuale classe politica, ma alla lunga la strategia si rivelerebbe vincente. Ma meglio risparmiare 5 lire oggi e spenderne 100 domani. Michele Imparato* * Infettivologo

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LA LEGA E LA CONQUISTA DEL SUD Matteo Salvini ha vinto la sfida congressuale che lo ha visto contrapposto a Gianni Fava, portatore di un'idea fedele alla Lega delle origini. È stato un risultato netto con numeri che non lasciano adito a dubbi: il movimento è con il "Capitano". Ma il consenso non si è coagulato soltanto sulla figura del leader. Ha pesato l'adesione al progetto salviniano di rotazione strategica della Lega da sindacato dei territori del perimetro "padano" a un "universalismo" sovranista a misura dell'insieme organico delle comunità locali italiane. Qualcuno, per superficialità o per interesse, ha insinuato che quella del "Salvini sovranista" fosse niente più che una trovata propagandistica studiata per racimolare qualche voto al di sotto della "Linea gotica". Non è così. C'è molta più visione di lungo periodo nei disegni della Lega 2.0 di quanto si pensi. La "svolta di Parma" non è riconducibile alle categorie della tattica partitica dettata dalla convenienza del momento. Piuttosto, si tratta di un processo avviato all'indomani della prima elezione di Salvini a Segretario federale, nel dicembre del 2013, e destinato a durare. Per dirla in termini ciclistici, quello di Parma può essere archiviato come un successo di tappa ma la corsa è ancora lunga e gli esiti sono tutt'altro che scontati giacché anche la prospettiva di un'espansione al Sud non può considerarsi il definitivo orizzonte escatologico della Lega. La leadership salviniana punta ad altri traguardi. Nel futuro prossimo lo scontro sulla globalizzazione, nel pensiero leghista riformato, richiederà di lavorare alla creazione di un fronte ampio identitario transnazionale dei partiti e dei movimenti sovranisti che lentamente stanno crescendo, pur con temporanee battute d'arresto, in tutti o quasi i Paesi membri dell'Unione europea. E oltre. Archiviati i tempi di "Roma ladrona" la Lega 2.0 corregge la sua traiettoria in direzione della lotta al mondialismo, giudicato male esiziale che mina alle radici le ragioni identitarie dei popoli e delle comunità dell'Occidente sviluppato. Per combattere una guerra di tale ampiezza Salvini ha metabolizzato l'idea che non potesse farlo fondando il suo peso politico sulla rappresentanza di una parte circoscritta, seppur considerevole per PIL e per densità demografica, di un Paese geograficamente piccolo. La conquista del diritto a rappresentare gli interessi del Mezzogiorno, dunque, nella visione salviniana, non è fattore congiunturale ma diviene elemento strutturale nell'edificazione di una weltenschauung della quale vorrebbe farsi interprete una Lega vasta dei popoli italiani, affrancata dagli originari confini dell'indipendentismo localista. *****


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Alla base del processo di riposizionamento strategico vi è l'intuizione della necessità di un ripensamento delle categorie politiche novecentesche regolate, marxianamente, dai conflitti di classe. La lotta per l'egemonia, nella visione salviniana, si sposta dal piano delle dinamiche attoriali del sistema produttivo (capitale, forza lavoro, profili intermedi e di supporto alla produzione) a quello dell'agire sincronico di un soggetto organico, espressione di sintesi di tutte 1 le istanze socio-economiche che in esso trovano ricomposizione: il popolo . Le contraddizioni connesse al soddisfacimento di meri bisogni materiali di cui il singolo individuo è portatore lasciano il posto a una dimensione spirituale del "sommo bene" che per sua natura non può che essere totalizzante. La forza trainante del tutto, nella visione salviniana, antecede, neutralizzandola, l'aspirazione all'individualità del singolo coltivata al di fuori dei confini imposti dal prevalente dovere di responsabilità sociale ricondotto in capo ad ogni appartenente alla casa comune. Sotto svariati profili il pensiero salviniano, allontanandosi sensibilmente dalle fonti del pensiero liberale, incrocia le tesi del sociologo tedesco Ferdinand Tönnies sulla dicotomia tra società (Gesellschaft) e comunità (Gemeinschaft)2. Come in Tönnies anche nell'argomentazione salviniana la convivenza tra individui accomunati da alcuni fattori identitari quali: l'origine, la lingua, le tradizioni e i costumi trasmessi dagli antenati, trova appagamento solo in un contesto comunitario durevole, partecipato ed esclusivo, fondato sul consenso naturale, impermeabile agli influssi etico-valoriali e religiosi di cui sono portatori gli allogeni che tentano di penetrare le società occidentali3. L'archetipo del "consensus" che presiede all'instaurarsi dei rapporti intracomunitari si materializza sentire, intimamente condiviso, scaturente da una audacia temeraria nell'idem igiene spirituale volontà autonoma della comunità di tenere insieme i singoli nell'unico destino totalizzante. La funzione salvifica della comunità, intesa come luogo di riassunzione del bene comune, diviene la prima causa a giustificazione della volontà d'incorporarsi degli individui nella totalità. La "reductio ad unum" vagheggiata dalla nuova Lega associa, e non contrappone, la figura del lavoratore a quella dell'imprenditore nella difesa del radicamento locale della produzione. Il fattore identitario pone a superamento della condizione dei ceti separati la lotta integrale della comunità territoriale contro la globalizzazione e i suoi frutti velenosi, quali ad esempio la delocalizzazione delle produzioni, l'annichilimento delle diversità o la tolleranza per le pratiche di saccheggio industriale, attuate dalle concentrazioni capitalistiche transfrontaliere ai danni delle manifatture e degli apparati produttivi locali4. Il discrimine, dunque, nel pensiero di Salvini non ha una dimensione orizzontale nella separazione dei territori ma assume, nella pur diffidente accettazione della società capitalista, una naturale verticalità per effetto della spinta dal basso verso l'alto determinata dall'opposizione a oltranza al mondialismo distruttore della ricchezza delle nazioni, prodotto dell'ideologia e della prassi liberista. L'approdo di questa tensione ideale, generata da una lotta politica, non è lo Stato liberale ma una forma evoluta di democrazia organica fondata su 5 un'estensione ultra-elettorale dell'esercizio della sovranità popolare . Da qui il "crossing over" populista che ruota l'asse strategico della Lega dalle originarie parole d'ordine inneggianti alla

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"Padania libera" all'odierno must: "Prima gli italiani". Il registro è quello di una "lotta di liberazione" che Salvini prospetta ai suoi sodali con slogan a sfondo ribellistico/resistenziale. "Oriana Fallaci ci ricordava che lottare per la libertà non è un diritto, ma un dovere. Lo è lottare contro l'euro. Quanti di voi stavano meglio, lavoravano di più, avevano il negozio, non avevano l'ansia di pagare il mutuo o di avere i soldi per cambiare il grembiule del figlio, e quanti invece si sono arricchiti con l'euro? Tanti hanno chiuso le imprese al Nord per aprire in Cina e in Turchia, e riempirci di merce contraffatta. Torniamo padroni di casa nostra, della nostra moneta, del nostro lavoro, della nostra fatica, dei nostri negozi, delle nostre aziende agricole. Viva l'agricoltura massacrata da quegli stronzi di Bruxelles! Ci riempiono di schifezze che arrivano dall'altra parte 6 del mondo come se non fossimo più capaci di produrre niente" . ***** Ma quale Mezzogiorno attende Salvini? L'Italia è stata spezzata in due fin dalla nascita dello Stato unitario. Tale frattura, non ancora sanata, ha generato la "questione meridionale" che costituisce l'effetto deformante dello sviluppo dualistico dell'economia italiana. Il modello dualistico prefigura l'esistenza nell'ambito di un unico sistema economico "di realtà che seguono percorsi differenziati di sviluppo, sia in termini di tassi di crescita del reddito reale pro capite, sia in termini di trasformazioni socioeconomiche, tali da lasciare sostanzialmente inalterate nel tempo le differenze tra le relative specificità"7. Questo modello, nel caso della realtà economica del Mezzogiorno, è stato esteso alla strutturazione del mercato del lavoro e alla componente della progressione sociale. Seguendo le 8 tracce di un'analisi datata della questione meridionale, ma pur sempre attuale , si rileva che l'economia del Sud, non è che sia "in ritardo" o "primitiva" ma subisce ancora oggi gli effetti distorsivi nel lato dell'offerta e, segnatamente, nello squilibrio rispetto al tessuto produttivo del Nord, sostenuto da un'ampia rete di economie esterne e da uno stretto collegamento dei settori di produzione. Al Sud, invece, i comparti trainanti del primario e del terziario, estremamente parcellizzati, non hanno potuto contare sulle ricadute positive delle economie esterne a causa di un maggiore isolamento delle realtà produttive penalizzate dal forte deficit infrastrutturale. Il gap ha prodotto la distorsione del mercato del lavoro con livelli salariali, a parità di prestazioni, non omogenei e con le reti di protezione sociale non egualmente estese. L'applicazione dei contratti nazionali di lavoro sufficientemente osservata a Nord è stata controbilanciata da forme diffuse di lavoro nero e sottopagato al Sud. Le differenti capacità di produzione di ricchezza tra Nord e Sud hanno avuto ripercussioni sui consumi, contribuendo incisivamente a determinare un gap strutturale che i più recenti dati macroeconomici non fanno altro che confermare. Nell'analisi a campione del periodo 2008-2015, coincidente con la curva della crisi finanziaria ed economica che ha colpito le economie dell'Occidente, i tassi di crescita annuali e cumulati del prodotto interno lordo in termini reali sono stati, in Italia, complessivamente negativi. Ma non in egual misura su tutto il territorio. Mentre il decremento del Centro-Nord è stato di -7,3%, su


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valori di riferimento concatenati al 2010, il decremento del Sud è stato del -12,3% (Fonte: SVIMEZ su dati EUROSTAT, ISTAT e stime SVIMEZ). I Tassi annui dei consumi finali interni, rilevati per lo stesso periodo 2008-2015, indicano una flessione del 12% al Sud, contro il calo del 3,9% al Centro-Nord (Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e stime SVIMEZ). È luogo comune affermare che la ripresa economica dipenda prevalentemente dagli investimenti. Nel periodo osservato gli investimenti di settore hanno subito una flessione al Sud di - 40,9%, contro quella al Centro-Nord del -26,1% (Fonte: SVIMEZ su dati EUROSTAT, ISTAT e stime SVIMEZ). Secondo dati ISTAT: "Nella media del 2014, dopo due anni di calo, l'occupazione cresce (+0,4%, pari a 88.000 unità in confronto all'anno precedente), a sintesi di un aumento nel Nord (+0,4%) e nel Centro (+1,8%) e di un nuovo calo nel Mezzogiorno (-0,8%, pari a -45.000 unità)". Nei dodici messi successivi l'indice di povertà assoluta registra un gap significativo. Se al CentroNord, nel 2015, il tasso d'incidenza della povertà sulla popolazione è stato del 6,3%, al Sud è stato del 10,0%. (Fonte: Rapporto SVIMEZ 2016 sull'economia del Mezzogiorno). Il fatto che nel 2015 il PIL del Sud sia cresciuto percentualmente più di quello del Centro-Nord, costituisce un elemento positivo, benché strettamente congiunturale. La migliore performance che ha momentaneamente invertito un trend stabilmente negativo è dovuta a eventi eccezionali non necessariamente riproducibili in futuro. A favorire il cambio di segno nel 2015 è stata la concomitanza con "la chiusura della programmazione dei Fondi strutturali europei 2007-2013, che ha portato ad un'accelerazione della spesa pubblica legata al loro utilizzo per evitarne la 9 restituzione" . Ma non è solo questione di numeri. Il Sud soffre dell'incapacità endemica del settore privato ad affrontare consistenti investimenti produttivi. Il fattore dinamico resta saldamente ancorato alla spesa pubblica e alle risorse comunitarie destinate a ridurre il "devide" tra le aree depresse dell'Ue e quelle più sviluppate. Non si tratta di una novità portata dalla grande recessione dell'ultimo decennio. Per il Mezzogiorno è un dato "antropologico" che emerge dalla consolidata tendenza della borghesia e delle classi agiate meridionali a preferire la rendita fondiaria e finanziaria piuttosto che a rischiare la strada degli investimenti produttivi. Molte straordinarie iniziative pubbliche quali, ad esempio, furono il progetto di Risanamento della città di Napoli sul finire dell'Ottocento e la legge speciale per lo sviluppo industriale dell'area napoletana del 1904, la prima nel suo genere per capacità innovativa e visione strategica, anziché provocare la scossa decisiva all'economia del Sud per riavvicinare il sistema produttivo del Nord, già in piena espansione dal compimento dell'unità d'Italia, certificarono il ripiegarsi dello spirito d'intrapresa su se stesso10. La borghesia meridionale che ha attraversato la storia dell'ultimo secolo e mezzo è stata miope, neghittosa e sostanzialmente immobilista. Sfrondate di tutte le ricostruzioni consolatorie sulla depredazione delle ricchezze del Sud da parte dei conquistatori "piemontesi", permangono le gigantesche responsabilità delle classi dominanti meridionali per il mancato agganciamento economico e sociale al Nord. A chi altri attribuire se non alla borghesia

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meridionale il progressivo sgretolamento al Sud del fronte del liberalismo tradizionale, che pure, durante la stagione del Risorgimento, aveva allevato nei suoi ranghi un'avanguardia intellettuale in grado di evolversi in una moderna ed efficiente classe dirigente? Abbandonata ogni aspirazione egemonica sulle masse popolari per un più rassicurante clientelismo paternalista al quale sottomettersi docilmente, essa ha scelto di lasciarsi guidare in loco da un personale politico generalmente mediocre e corrotto11. La storia post unitaria del Sud è stata quella di un'anomala e disorganica "Gemeinschaft" nella quale "confluivano in parti uguali elementi di parassitismo e di ribellione"12. Ne è scaturito uno sviluppo economico-sociale disordinato e patologico perché fortemente condizionato dalla disponibilità di pezzi significativi dei ceti medio-alti a cercare convergenze d'interessi con l'Antistato, rappresentato dalle organizzazioni criminali radicate sul territorio. Le commistioni improprie, generate dalle dinamiche territoriali e sostenute dalla presenza pervasiva di una burocrazia spesso connivente, hanno scoraggiato l'afflusso di capitali esterni per gli investimenti inibendo l'affermarsi delle buone prassi proprie del libero mercato. Mario Draghi, nel 2011 Governatore della Banca d'Italia, nel corso di un convegno all'Università degli Studi di Milano, tracciava un quadro che rappresenta perfettamente lo stato medio della realtà produttiva nel Mezzogiorno. "…In un'economia infiltrata dalle mafie la concorrenza viene distorta per molte vie: un commerciante vittima del racket può finire per considerare il "pizzo" come il compenso per un servizio di protezione contro la concorrenza nel suo quartiere; il riciclaggio nell'economia legale di proventi criminali impone uno svantaggio competitivo alle imprese che non usufruiscono di questa fonte di denaro a basso costo; i legami corruttivi tra associazioni criminali e pubblica amministrazione condizionano la fornitura di beni e servizi 13 pubblici" . Ora, con il processo di integrazione globale dei mercati è pensabile che vi sia ancora spazio per un Sud che non riesce a convergere sugli andamenti produttivi del Nord del Paese? Le soluzioni proposte dalla sinistra che governa gran parte dei territori del Mezzogiorno non si discosta dalle logiche assistenzialistiche perseguite dagli anni del dopoguerra fino al termine della "Prima Repubblica": attivare la crescita gonfiando con assunzioni a pioggia gli organici della Pubblica Amministrazione. È stato il governatore della regione Campania, Vincenzo De Luca, a lanciare il progetto di un piano straordinario di assunzioni per 200mila giovani "con un meccanismo scalare 14 delle retribuzioni per i nuovi assunti nell'arco di un triennio" . Ma un riallineamento ottenuto al costo dell'espansione del debito pubblico avrebbe sul futuro del Paese il medesimo effetto tossico di una sostanza stupefacente. Tuttavia, la Lega che intende cimentarsi con la presa di consenso al Sud deve fare proprio il tema della questione meridionale15 proponendo la propria ricetta. L'obiettivo strategico della convergenza tra i due diversi modelli economico-sociali richiede piani di medio-lungo termine che siano, socialmente e finanziariamente, sostenibili. Ciò che ancora appare ambiguo nel messaggio salviniano è come la Lega intenda sistematizzare il piano di recupero del "divide" del Sud. Quando Matteo Salvini insiste sulla difesa delle diversità territoriali, intende forse lasciare inalterato il modello dualistico di sviluppo? Se così fosse la


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soluzione finirebbe per essere peggiore del male che si prefigge di curare. Limitarsi a dire che i problemi dei pescatori di vongole della foce del Po sono uguali a quelli dei colleghi trapanesi o che il dramma dell'allevatore di bestiame delle valli alpine è pari a quello del coltivatore di arance in Sicilia, benché rispondente alla realtà, non è di per sé sufficiente a qualificare una piena capacità di rappresentanza politica del Mezzogiorno. Il modello economico a cui fa riferimento la Lega è quello di John Maynard Keynes o quello di Harrod-Domar16, basato sull'implementazione crescente di investimenti industriali e produttività per dare stabilità a occupazione e sviluppo auto-sostenibile? Occorre che questa Lega rinnovata si spinga oltre la facile retorica infarcita di parole d'ordine. ***** Di là dai buoni propositi è un fatto che la Lega incontri serie difficoltà a penetrare la realtà meridionale. Lo dicono i dati elettorali e lo conferma la percezione empirica ricavata dall'ascolto della gente comune. I reiterati tentativi posti in essere non sono riusciti a colpire l'obiettivo della "conquista del Sud". Non hanno funzionato gli accordi elettorali con improvvisate formazioni locali passatiste. Non decolla l'operazione "Noi con Salvini". Né un'intesa anche rafforzata con "Fratelli d'Italia" di Giorgia Meloni potrebbe avere portata strategica. Benché non vi sia dubbio che le idee di Matteo Salvini su alcuni temi di interesse sociale siano gradite anche sotto la linea del Garigliano, ciò non si traduce in consenso elettorale. In particolare sulla questione dell'accoglienza degli immigrati clandestini una parte della società civile meridionale nutre le medesime preoccupazioni della Lega. La battaglia condotta per la difesa del "Made in Italy", principalmente nel comparto dell'agroalimentare, trova pieno appoggio nei territori meridionali, tradizionalmente vocati allo sviluppo delle produzioni alimentari: agricole, ittiche e latto-casearie. Riguardo agli aspetti comunicativi non si può negare che il segretario leghista abbia un notevole appeal mediatico. Ciononostante, quando si arriva al dunque scatta nel potenziale elettorato salviniano del Sud una sorta di blocco psicologico che ne inibisce la finalizzazione in consensi depositati nelle urne. Perché ciò accade? Resiste un sentimento di ostilità delle popolazioni meridionali verso le pulsioni nordiste che affonda nel vissuto delle comunità locali. Il ricordo poi di una storia leghista delle origini che ha fatto abuso di slogan discriminatori all'indirizzo del popolo del Sud ha contribuito largamente a consolidare la diffidenza verso gli esponenti e la proposta politica del partito della Padania. Tuttavia, per ottenere un risultato significativo anche nei collegi elettorali del Sud diviene fondamentale che la leadership leghista provi a rimuovere quel blocco psicologico che ne ostruisce la strada. Lo strumento non è "Noi con Salvini" perché la percezione che si ha dell'iniziativa è quella di una sorta di "bad company" nella quale finirebbe per confluire una parte del vecchio personale politico già espunto dalle dinamiche di potere della "Prima" e della "Seconda" Repubblica, in cambio di un aggio elettorale pescato nei serbatoi del clientelismo. Questa tattica utilitaristica non è piaciuta all'opinione pubblica meridionale. Ciò

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che, invece, potrebbe smuovere favorevolmente le coscienze non può in alcun modo prescindere da un presupposto: la Lega tutta deve esporsi se vuole raccogliere il consenso al Sud. Ma per farlo non basta proporre alcune idee gradite e presentare candidati illibati. È necessario che incida il nodo alla radice e lo rimuova. Questo nodo è sepolto negli interstizi della storia. Risale al processo di unificazione dell'Italia che non è mai stato pienamente elaborato dalle genti del Sud. Peggio, nel tempo è cresciuto un sentimento di rancore verso un Nord percepito come l'aggressore che ha espropriato delle sue ricchezze uno Stato sconfitto per farne una colonia povera e sottosviluppata. La verità su cosa realmente accadde negli anni dell'Unificazione e in quelli immediatamente successivi non è mai pienamente emersa perché è stata soffocata dall'imposizione di una lettura degli eventi a senso unico. Ogni altra ricostruzione è stata messa al bando. La lettura delle fatiche letterarie di Pino 17 Aprile e, prima di lui, di Carlo Alianello, potrebbero essere in proposito molto illuminanti . Benché appaiano argomenti lontani e fuori tempo rispetto all'incalzare della quotidianità, essi costituiscono gli agenti patogeni che fanno scattare nei momenti topici i riflessi condizionati delle comunità meridionali che non hanno ancora fatto i conti giusti col proprio passato. Per aiutare il processo di cicatrizzazione La Lega odierna dovrebbe avvalersi di una modalità d'approccio basata sulla revisione storica. Una grande operazione sulla coscienza profonda del Paese dovrebbe avvenire sul terreno nel quale si coltivano i grandi cambiamenti: quello della cultura. Nel tempo storico della comunicazione liquida, un'iniziativa di riflessione a largo spettro sarebbe appropriata. I meridionali più attenti, immuni dagli eccessi del folklore neoborbonico, potrebbero accogliere la novità accettando la sfida a confrontarsi con i propri fantasmi. Ma il processo di revisione storica, per essere totalmente credibile, deve far leva su un riesame rigorosamente oggettivo degli eventi che condussero all'unificazione del Paese e, soprattutto, a un'onesta ammissione di come costi e benefici non siano stati ripartiti in egual misura tra il Nord e il Sud. Salvini, evitando la tentazione del piccolo cabotaggio da decimale di voto, dovrebbe farsi carico di una ricostituzione ab ovo dell'unica e solidale comunità di destino degli italiani. Una comunità di destino fondata sulla leale valorizzazione delle specificità, sul rispetto reciproco, sullo scambio delle migliori idee e prassi, su una rinnovata volontà d'integrazione attraverso una paritaria collaborazione che miri ad un migliore futuro per tutti, attraverso un'azione politica alta e capace di prendere le distanze dalle logiche clientelari che sono regressive sia in termini civili che economici. Nel momento in cui le comunità territoriali si avvertono come un solo popolo, riconoscendo reciprocamente le ragioni dello stare insieme, decadono le pulsioni separatiste e il leader di una parte può legittimamente candidarsi a essere riferimento per tutti. Senza distinzioni di latitudine. La nuova Lega se vuole affrontare con speranze di successo la battaglia in sede europea deve contribuire a consolidare la presenza in campo di un'identità comune italiana, se pur declinata secondo le differenti storie, tradizioni e sensibilità locali. Seguendo questa traccia diviene


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possibile superare anche le tradizionali divisioni ideologiche che hanno tagliato in senso longitudinale tutte le generazioni dal dopoguerra in poi. Probabilmente non basterebbe comunque. Tuttavia, perché la conversione a uno spirito sovranista, in un'accezione positiva del concetto, sia creduta e non appaia come un mero espediente propagandistico occorre che la Lega concorra a individuare un condiviso mito fondante del processo unitario. Posto che non possa essere la caduta del Regno delle Due Sicilie a rappresentare l'archetipo dell'unità del popolo italiano, il focus potrebbe indirizzarsi verso gli eventi che coinvolsero il Paese nella Prima Guerra Mondiale. In quel momento una nuova generazione di sudditi del giovane Regno d'Italia, sebbene proveniente da comunità territoriali separate e non sintoniche, si ritrovò a combattere, vivere e morire sotto la stessa bandiera, indossando la medesima divisa. Per la Lega ricominciare da quella gesta, da dove si forgiò col ferro e col fuoco l'unità d'Italia, potrebbe essere il giusto inizio di un lungo cammino. Cristofaro Sola*

*dal supplemento de L’Opinione: Rinascimento e Risorgimento per la ripartenza

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Note: 1. Il “popolo” a cui fa riferimento Salvini è l'insieme organico di volontà individuali e la democrazia coincide con “la partecipazione di un popolo al proprio destino”. Tale definizione riprende quella più nota formulata da Arthur Moeller van den Bruck in Das Dritte Reich, (Berlino 1923). 2. Ferdinand Tönnies, Comunità e Società, trad. Italiana di Giorgio Giordano, Milano 1979. 3. La trasposizione della visione comunitarista nel programma politico della Lega si materializza nelle parole d'ordine contro l'immigrazione incontrollata dalle sponde dell'Africa alle coste italiane. 4. Il pensiero salviniano incrocia elementi di teorie politiche e di dottrina dello Stato che hanno avuto particolare fortuna in Europa ai primi dello scorso secolo. In particolare, la teoria organicista di Othmar Spann e della Scuola organica-universale di Vienna alla quale fece sponda, in Italia, la rivista “Lo Stato” di Carlo Costamagna. Per lo Spann l'attività del singolo individuo non è per se stessa totalizzante ma, per realizzarsi, abbisogna di integrarsi nello spirito della comunità la cui autentica natura si palesa nell'attitudine ad essere entità “autonoma, sopraindividuale, primitiva”(O. Spann, Breve storia delle teorie economiche, ed. italiana, Firenze, 1936, pagg.40-43). 5. Sugli strumenti e sulle prospettive di realizzazione di una democrazia organica, Alain de Benoist, Democrazia - il problema, pag.83 e seg., trad. Italiana di Marco Tarchi, Firenze 1985. 6. Matteo Salvini, Discorso al raduno dei popoli padani, Pontida, 4 maggio 2014. 7. La definizione è di Carmen Vita in I modelli dualistici di sviluppo e il dibattito sul Mezzogiorno. 8. Sul modello dualistico, Vera Costance Lutz, Italy: A Study in Economic Development, Toronto 1962. 9. Rapporto Svimez Sull'Economia del Mezzogiorno 2016, pag.8. 10. Sul punto: Giuseppe Galasso, L'avvenire industriale di Napoli negli scritti del primo '900, Introduzione, Napoli 2004. 11. Sulla qualità complessiva della classe politica Francesco Saverio Nitti in Napoli e La Questione meridionale, 1903. “I rappresentanti politici del Mezzogiorno sono generalmente mediocri: la disonestà non è fra essi assai maggiore che fra quelli del Nord; piuttosto essi sono servi di piccoli interessi invece che di grandi…”. Sulla struttura sociale paternalista-clientelare del Mezzogiorno, osservata attraverso l'analisi del rapporto Stato-società nell'area del Napoletano-Casertano, vedi Percy A. Allum, Potere e società a Napoli nel dopoguerra, Torino 1973. 12. Eric J. Hobsbawm, I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale, pag. 155,Torino 1966. 13. Mario Draghi, Le mafie a Milano e nel Nord: aspetti sociali ed economici, Milano 11 marzo 2011. 14. Vincenzo De Luca, Assemblea nazionale sul Mezzogiorno, Napoli 12 novembre 2016. 15. Per una puntuale ricostruzione della questione meridionale cfr. Eugenio Zagari – Pio Zagari, La Questione Meridionale, Torino 2008. 16. Modello elaborato da sir Roy F. Harrod nel 1939 e da Evsey D. Domar nel 1946. 17. Sul tema: Carlo Alianello, La Conquista del Sud, Milano 1972. Oltre: Antonio Ciano, I Savoia e il Massacro del Sud, Roma 1996; Fulvio Izzo, I Lager dei Savoia, Napoli 1999; Romano Bracalini, Brandelli d'Italia, Soveria Mannelli 2010; Nicola Zitara, L'invenzione del Mezzogiorno, Milano 2011;Pino Aprile, Terroni, Milano 2011 e, dello stesso autore, Carnefici, Milano 2016.


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FRATELLI COLTELLI L'11 settembre - data fatidica - si è svolta l'assemblea della Fondazione An per il rinnovo del CdA. Si sono affrontati due gruppi contrapposti per eleggere i 21 componenti del nuovo organismo: da un lato i rappresentanti di Fratelli d'Italia (i sovranisti ?), capeggiati da Ignazio La Russa, che hanno ottenuto 10 seggi e dall'altro un'inedita coalizione (i Popolari europei ?) composta da Gasparri, Matteoli, Martinelli e Sbardella (Forza Italia), Alemanno, Menia, Tisci, Barbaro (Azione Nazionale), Italo Bocchino, Direttore editoriale del "Secolo d'Italia", delfino di Tatarella, gasparriano prima e poi finiano, Giuseppe Valentino, già Senatore di An vicino a Tatarella, già presidente del Cda del Secolo e successore del Sen. Pontone nell'amministrazione del patrimonio, Franco Mugnai, già Senatore di An-Pdl, Presidente uscente del CdA della Fondazione e vecchio amico di Altero Matteoli, risultata vincente con 11 seggi. Come leggere il risultato e cosa aspettarsi? Alemanno (con Storace), Matteoli e Gasparri (insieme a La Russa) capeggiavano le tre correnti che hanno asfissiato Alleanza Nazionale (Destra Sociale, Destra Protagonista e Nuova Alleanza). A distanza di decenni ancora loro tengono in mano i fili di quanto sopravvive di quel partito: la Fondazione e la vicenda ha non pochi parallelismi con la "Fondazione" di Asimov. Nei testi di Asimov la "Fondazione", in segreto ed utilizzando la psicostoria, determinava il destino dei mondi, la Fondazione An determina il non destino della Destra italiana, perpetuando le divisioni (almeno apparenti), tenendo congelate ingenti risorse, avvalendosi ancora delle vecchie logiche in uso in An: premiare la fedeltà quindi gli "yes men", puntare cinicamente a quanto è rastrellabile del consenso perduto, anche attraverso il simbolo di An che qualche voto ancora vale. A riprova basta valutare l'ultima e più importante iniziativa della Fondazione: la mostra dei 70 anni dalla fondazione del Msi. A parole osannata da molti, ma da quegli osanna non è scaturito l'unico atto conseguenzialmente corretto: promuovere una Costituente per la nuova Destra. E la nascita di una nuova Destra moderna e credibile è operazione, innanzitutto culturale, quindi nel pieno degli scopi della Fondazione. Ma come sempre, finché i vecchi attori non usciranno di scena, hanno prevalso l'egoismo di parte, l'intesa "a fottere", l'avidità gestionale. Pierre Kadosh

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POLITICA

ATTACCO ALLA LIBERTA’ Una legge che vieta la diffusione d'immagini, di slogan, di simboli, di gesti e perfino di gadget riconducibili all'ideologia fascista e nazionalsocialista tedesca - si noti la furbesca sottigliezza geografica - rappresenta in concreto la sconfitta dello Stato democratico d'impianto liberale. Quando si ricorre alla carcerazione per fermare chi la pensa in modo diverso dal sentimento della maggioranza si spiana la strada all'avvento del più odioso totalitarismo. Quando un Parlamento si prende la briga di legiferare su ciò che è buono da consentire e ciò che è cattivo da proibire, attribuisce allo Stato una funzione etica che, nella storia, è stata propriamente la base culturale e morale dell'avvento dei regimi totalitari. Un Paese libero e democratico non ha paura di fare i conti anche con quelle frange di opposizione al sistema che propongono soluzioni inaccettabili perché attinte dalla nostalgia per un mitico passato fasullamente aureo. Con coloro che la pensano diversamente si discute e, se necessario, si combatte con le armi della tolleranza. Non li si ammanetta per ciò che pensano o che propagandano. Spiace sinceramente che la legge rechi il nome di Emanuele Fiano che, per storia familiare, dovrebbe essere il politico, ancorché di sinistra, più ostico a ogni forma di discriminazione ideologica. La legge è tanto più liberticida perché guarda colpevolmente da una parte sola della storia. Sarebbe stata ugualmente sbagliata ma forse meno deprecabile se il divieto in essa contenuto fosse stato esteso alla propaganda di tutte quelle ideologie che, nel tempo, hanno riempito i cimiteri di vittime innocenti. Forse che il comunismo abbia fatto meno morti, meno deportati, meno perseguitati del fascismo? Anche a proposito della ricostruzione della storia della Resistenza nell'Italia del 1943-1945, come ha osservato acutamente Daniele Capezzone nel suo intervento alla Camera, "occorrerà ricordare che c'erano coloro che erano antifascisti in nome della libertà e c'erano - invece - coloro che erano sì antifascisti ma in nome di un'altra dittatura, cioè per imporre una dittatura di segno diverso". Si obietterà: la Repubblica è nata dalla lotta al fascismo e s'incardina sui valori della Resistenza. Dopo settant'anni sarebbe ora che il Paese, tutto, s'impegnasse in uno sforzo di attualizzazione di quei pur impegnativi valori. La domanda più opportuna da porsi non è chi siano i nostalgici di un fenomeno circoscritto a un contesto storico irripetibile nel presente, ma secondo quali declinazioni oggi si manifestino i tentativi d'instaurazione dei totalitarismi.


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E qui l'elenco sarebbe dolorosamente lungo. La sinistra odierna, in crisi di consenso sul progetto di società aperta e multiculturalista, cerca di riprendere quota giocando la carta della "variante fascista". E nel farlo fa leva su quel medesimo atteggiamento autoritario e illiberale che, nei propositi dichiarati, vorrebbe impedire. La legge votata alla Camera apre la porta su un orizzonte oscuro e indecifrabile. Oggi tocca ai portachiavi "dux" e ai sospensori con la faccia di Mussolini stampata a fronte. Domani a chi toccherà di finire sotto la scure della Morale di Stato? Sarà forse la volta di quelli che pensano che l'invasione migratoria sia un male e non un bene per la comunità nazionale? E magari pensano anche che la difesa identitaria sia un valore alto e nobile e non un prodotto di un sommovimento del basso ventre? Lo chiedo con rispetto all'onorevole Fiano: cosa dobbiamo attenderci ancora d'illiberale da questa sinistra? Personalmente sono un lettore delle opere letterarie di Ezra Pound, di Gabriele D'Annunzio, di Louis-Ferdinand Céline, di Pierre Drieu La Rochelle e del "Mondo Piccolo" - quello di Peppone e Don Camillo - di Giovannino Guareschi. Devo per questo scappare in montagna? Cristofaro Sola

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IL FUTURO ISLAMICO DELL’EUROPA

I leader europei hanno accettato la trasformazione di parti dei loro paesi in territori nemici. Si rendono conto che è in corso un disastro demografico. Sanno che fra due o tre decenni l'Europa sarà governata dall'Islam. Dieci anni fa, parlando di quello che ha definito "gli ultimi giorni dell'Europa", lo storico Walter Laqueur ha detto che la civiltà europea stava morendo e che sarebbero sopravvissuti soltanto i monumenti antichi e i musei. La sua diagnosi era troppo ottimista. Monumenti antichi e musei potrebbero essere fatti saltare in aria. Basta guardare ciò che stanno facendo i militanti vestiti di nero e incappucciati di "Antifa"- un movimento "antifascista", le cui azioni sono totalmente fasciste - alle statue negli Stati Uniti. L'attentato terroristico di Barcellona ha suscitato la stessa reazione mostrata di fronte a tutti gli attacchi terroristici su larga scala sferrati in Europa: lacrime, preghiere, fiori, candele, orsacchiottie proclami sul fatto che "l'Islam è una religione di pace". Quando le persone hanno manifestato per chiedere misure più severe contro l'influenza crescente dell'islamismo in tutto il continente, sono state duramente contestate da militanti "anti-fascisti". I musulmani hanno organizzato una manifestazione di protesta per difendere l'Islam e hanno obiettato che gli islamici che vivono in Spagna sono le "principali vittime" del terrorismo. Il presidente della Federazione spagnola delle entità religiose islamiche, Mounir Benjelloun El Andaloussi, ha parlato di una "cospirazione contro l'Islam", definendo i terroristi "strumenti" dell'odio islamofobico. Il sindaco di Barcellona, Ada Colau, visibilmente commossa davanti alle telecamere, ha detto che la sua città rimarrà una "città aperta" a tutti gli immigrati. Il governatore della Catalogna, Carles Puigdemont, ha usato un linguaggio simile. Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, un conservatore, è stato l'unico che ha osato parlare di terrorismo jihadista. Quasi tutti i giornalisti europei sono stati concordi nel definire troppo dure le parole del premier. Nel descrivere l'orrore, i giornali mainstream europei hanno cercato ancora una volta delle spiegazioni a ciò che continuano a definire "inspiegabile". L'autorevole quotidiano spagnolo El Pais, ha scritto in un editoriale che la "radicalizzazione" è il frutto amaro della "emarginazione" di alcune "comunità" e ha aggiunto che la risposta consiste nel garantire una maggiore "giustizia


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sociale". In Francia, Le Monde ha affermato che i terroristi vogliono "incitare all'odio", sottolineando che gli europei devono evitare i "pregiudizi". Nel Regno Unito, The Telegraph ha spiegato che "gli assassini attaccano l'Occidente perché l'Occidente è l'Occidente, e non per quello che fa", ma ha usato il termine "assassini", e non "terroristi" o "islamisti". Gli esperti di antiterrorismo, intervistati in televisione, hanno detto che gli attacchi, compiuti in tutto il continente a ritmo più sostenuto, diventeranno più letali. E hanno precisato che il piano iniziale dei jihadisti di Barcellona era distruggere la cattedrale della Sagrada Familia e uccidere migliaia di persone. Gli esperti hanno ribadito che gli europei devono imparare a convivere con la minaccia di stragi su larga scala. Ma questi specialisti non hanno offerto alcuna soluzione. Ancora una volta, molti hanno affermato che i terroristi non sono veramente musulmani, e che gli attentati "non avevano niente a che fare con l'Islam". Diversi leader dei paesi dell'Europa occidentale considerano il terrorismo islamico come un fatto normale a cui gli europei devono abituarsi - come una specie di aberrazione non legata all'Islam. E spesso evitano a ogni costo di parlare di "terrorismo". Dopo i fatti di Barcellona, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha condannato laconicamente l'attentato definendolo un atto "ripugnante" e ha espresso "solidarietà" al popolo spagnolo. Il presidente francese Emmanuel Macron ha scritto un tweet di cordoglio e ha parlato di "tragico attacco". In tutta Europa, le esternazioni di rabbia sono rigorosamente messe da parte. Le richieste di mobilitazione o di apportare qualsiasi cambiamento radicale nella politica in materia di immigrazione arrivano soltanto da politici sprezzantemente definiti "populisti". La benché minima critica dell'Islam suscita immediatamente un'indignazione pressoché unanime. In Europa occidentale, i libri sull'Islam che sono facilmente reperibili sono scritti da persone vicine ai Fratelli musulmani, come Tariq Ramadan. Esistono anche libri "politicamente scorretti", ma vengono venduti sotto banco, come se fossero merce di contrabbando. Le librerie islamiche vendono opuscoli che incitano apertamente alla violenza. Decine di imam, simili ad Abdelbaki Es Satty, la presunta mente dell'attentato di Barcellona, continuano a predicare impunemente e se fossero arrestati verrebbero rapidamente rimessi in libertà. La sottomissione regna. Ovunque si dice che nonostante la crescente minaccia, gli europei devono vivere la propria vita nel modo più normale possibile. Ma gli europei si rendono conto che la minaccia esiste. Capiscono che la loro vita non ha alcuna parvenza di normalità. Vedono poliziotti e soldati nelle strade, controlli di sicurezza che proliferano, rigorosi controlli agli ingressi di teatri e negozi. Avvertono insicurezza ovunque. Gli viene solo detto di ignorare la fonte delle minacce, ma conoscono la fonte. Dicono di non avere paura. In migliaia a Barcellona hanno scandito lo slogan, "No tinc por" ("Non ho paura"). Al contrario, sono spaventati a morte. I sondaggi mostrano che gli europei sono pessimisti e pensano che il futuro sarà molto cupo. I sondaggi mostrano anche che gli europei non hanno più fiducia in coloro che li governano, ma ritengono di non avere alcuna scelta. Questo cambiamento nella loro vita è avvenuto in un tempo così breve, meno di mezzo secolo.

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Prima di allora, in Europa occidentale, erano presenti solo poche migliaia di musulmani - per lo più lavoratori immigrati provenienti da ex colonie europee. Sarebbero dovuti rimanere temporaneamente in Europa, quindi non è mai stato chiesto loro di integrarsi. Presto, sono diventati centinaia di migliaia, poi milioni. La loro presenza è diventata permanente. Molti hanno ottenuto la cittadinanza. Chiedere loro di integrarsi è diventato impensabile: la maggior parte si considera innanzitutto musulmana. I leader hanno smesso di difendere la propria civiltà. Hanno finito per dire che tutte le culture dovrebbero essere considerate allo stesso modo. Sembrano essersi arresi. I programmi di studio sono stati alterati. Ai bambini è stato insegnato che l'Europa e l'Occidente in passato depredarono il mondo musulmano, e non che i musulmani avevano, in realtà, invaso e conquistato l'Impero bizantino cristiano, la maggior parte dell'Europa orientale, Cipro nord e la Spagna. Ai bambini è stato insegnato che la civiltà islamica era splendida e opulenta prima di essere distrutta dall'espansione coloniale. Gli Stati sociali, nati dopo la Seconda guerra mondiale, iniziarono a creare un esteso sottoproletariato intrappolato in modo permanente nella dipendenza, proprio mentre il numero dei musulmani in Europa raddoppiava. All'improvviso, i quartieri di edilizia residenziale sociale divennero quartieri musulmani. L'aumento della disoccupazione di massa - che colpì principalmente i lavoratori meno qualificati - ha trasformato i quartieri musulmani in quartieri contraddistinti da una massiccia disoccupazione. Gli organizzatori di comunità hanno detto ai musulmani disoccupati che dopo aver presumibilmente depredato i loro paesi di origine gli europei usarono i lavoratori musulmani per ricostruire l'Europa e ora li trattano come utensili inutili. La criminalità si è radicata. I quartieri musulmani sono diventati quartieri ad alta criminalità. Poi sono arrivati i predicatori musulmani estremisti e hanno rafforzato l'odio verso l'Europa. Hanno detto che i musulmani devono ricordarsi chi sono; che l'Islam deve vendicarsi. Hanno spiegato ai giovani criminali musulmani in prigione che la violenza potrebbe essere usata per una nobile causa: il jihad. Alla polizia è stato ordinato di non intervenire, per non aggravare le tensioni. Le zone ad alta criminalità sono diventate "no-go zones", terreno fertile per il reclutamento dei terroristi islamici. I politici europei hanno accettato la trasformazione di parti dei loro paesi in territori nemici. Si sono verificati disordini e i leader hanno fatto ancor più concessioni. Hanno approvato leggi che limitano la libertà di espressione. Quando il terrorismo islamico ha iniziato a colpire l'Europa, i suoi leader non sapevano che cosa fare. E non lo sanno ancora. Sono prigionieri di una situazione che hanno creato e non riescono più a controllare. Sembrano sentirsi impotenti. Non possono incriminare l'Islam: le leggi che hanno approvato glielo impediscono. Nella maggior parte dei paesi europei, anche mettere in discussione l'Islam è bollato come "islamofobia". E questo porta a pesanti sanzioni, se non addirittura a processi o a pene detentive (come accaduto a Lars Hedegaard, Elisabeth Sabaditsch-Wolff, Geert Wilders o George Bensoussan). Non riescono a ristabilire la legge e l'ordine nelle "no-go zones": e questo


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comporterebbe l'intervento dell'esercito e una virata verso la legge marziale. Non riescono ad adottare le soluzioni proposte dai partiti che hanno costretto all'opposizione, ai margini della vita politica europea. Non riescono nemmeno a chiudere i loro confini, aboliti nel 1995 con il trattato di Schengen. Ripristinare i controlli alle frontiere sarebbe costoso e richiederebbe tempo. I capi europei sembrano non avere né la volontà né i mezzi per opporsi all'arrivo di milioni di migranti musulmani dall'Africa e dal Medio Oriente. Sanno che i terroristi si nascondono tra i migranti, ma ancora non li vedono. Al contrario, ricorrono a sotterfugi e menzogne. Creano programmi di "sradicalizzazione" che non funzionano perché sembra che i "radicali" non vogliono essere "sradicalizzati". I leader europei cercano di definire la "sradicalizzazione" come il sintomo di una "malattia mentale"; considerano l'idea di chiedere agli psichiatri di risolvere il problema. Poi, parlano di creare un "Islam europeo", completamente diverso dall'Islam altrove nel mondo. Assumono posizioni arroganti per creare l'illusione della superiorità morale, come hanno fatto Ada Colau e Carles Puigdemont a Barcellona: dicendo di avere nobili principi e che Barcellona rimarrà "aperta" agli immigrati. Angela Merkel si rifiuta di affrontare le conseguenze della sua politica di accoglienza dei migranti. La cancelliera striglia i paesi dell'Europa centrale che rifiutano di adottare le sue politiche. I politici europei si rendono conto che è in corso un disastro demografico. Sanno che fra due o tre decenni l'Europa sarà governata dall'Islam. Cercano di anestetizzare le popolazioni non musulmane con il sogno di un futuro idilliaco che non esisterà mai. Dicono che l'Europa dovrà imparare a convivere con il terrorismo, che non c'è nulla che si possa fare per evitarlo. E invece possono fare molto: è solo che non lo vogliono, perché potrebbero perdere i voti musulmani. Winston Churchill disse a Neville Chamberlain: "Potevano scegliere tra la guerra ed il disonore. Hanno scelto il disonore. Avranno la guerra". Queste parole sono valide anche oggi. Dieci anni fa, parlando di quello che ha definito "gli ultimi giorni dell'Europa", lo storico Walter Laqueur ha detto che la civiltà europea stava morendo e che sarebbero sopravvissuti soltanto i monumenti antichi e i musei. La sua diagnosi era troppo ottimista. Monumenti antichi e musei potrebbero essere fatti saltare in aria. Basta guardare ciò che stanno facendo i militanti vestiti di nero e incappucciati di "Antifa"- un movimento "antifascista", le cui azioni sono totalmente fasciste - alle statue negli Stati Uniti. La cattedrale della Sagrada Familia di Barcellona è stata risparmiata soltanto grazie alla goffaggine di un terrorista che non sapeva come maneggiare gli esplosivi. Altri luoghi potrebbero non essere così fortunati. La morte dell'Europa sarà quasi certamente violenta e dolorosa: nessuno sembra disposto a impedirlo. Gli elettori potrebbero ancora farlo, ma dovrebbero agire subito, prima che sia troppo tardi. Guy Millière* *insegna all'Università di Parigi ed è autore di 27 libri sulla Francia e l'Europa. Tratto da : https://it.gatestoneinstitute.org

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LA CRISI DELL’OCCIDENTE "Fintanto che non avremo capito la vera natura del nostro declino, sprecheremo soltanto il nostro tempo, applicando finti rimedi a quelli che sono semplici sintomi" (Niall Ferguson)

Scrivo nell'estate dell'A.D. 2016. La causa di fondo della crisi sistemica della Civiltà occidentale ha soltanto un nome: Femmina. Perché? Perché la donna contemporanea si è FORMALMENTE impossessata della società dell'occidente" uccidendo" il Padre e, esautorandolo dalla sua primigenia funzione ed a questi di fatto sostituendosi, ha così interrotto quel patto di "tra-dizione" generazionale per via maschile, rivolta al futuro, su cui la nostra Civiltà si è basata nel corso degli ultimi venticinque secoli. E come ha correttamente osservato Antonella Tarpino (Corriere della Sera, 9 giugno 2016), con la fine della tradizione ci ritroviamo in una sorta di "memoria senza storia, in un dispotismo del presente" e quindi in uno stato di perenne "presentismo" che produce un'irreversibile cesura col nostro passato nella sua più ampia accezione di tra-dizione politica, sociale, economica e culturale. La società in cui noi europei (e di conseguenza tutti gli odierni "occidentalizzati") viviamo discende, infatti, in linea diretta da quella geniale intuizione che illuminò la mente greca a partire dal quinto secolo avanti Cristo e che ha prodotto una visione del tutto originale del destino umano che, senza soluzione di continuità, consente oggi a me, cittadino della cosi detta libera e democratica società capitalistico/tecnologica/post industriale, di sedere a questo computer - nella mia confortevole abitazione, ben nutrito, in buona salute fisica ed in totale sicurezza personale - a buttar giù le riflessioni che seguono. L'idea primigenia che ha portato a spezzare la naturale circolarità del tempo sostituendola con una artificiale, ma non per questo meno affascinante, presunta "linearità" dello stesso (costituita dal rapporto tra passato/memoria, presente/azione e futuro/progetto) è stata l'asse portante di ciò che chiamiamo progresso dell'Occidente e che (frutto principe di tale genialità greca) ha costituito, almeno fino alla metà dello scorso ventesimo secolo, la radice stessa del nostro modo europeo prima e, successivamente, più o meno globalizzato di abitare il mondo. Oggi la visione del tempo nella cultura occidentale tende sostanzialmente a ritornare - come di fatto esso si mostra effettivamente in natura - circolare. Oggi infatti da noi non si riesce più ad


CULTURA DOSSIER

immaginare un lontano futuro se non che come una sorta di riedizione tecnologica del remoto passato. I bambini si interessano ai dinosauri (per giocarvi in modo fantascientifico), le "guerre stellari" sono rimaneggiamenti, in salsa iper-tecnologica, di ambienti oscuri dell'alto medioevo e, "si parva licet", anche le case automobilistiche - almeno quelle italiane - non riescono più a concepire per le loro ultime autovetture nomi nuovi che non siano quelli già in uso più di sessant'anni fa! I greci dunque elaborano una visione della vita assolutamente concettuale, ma, al contempo, affascinante, praticabile ed utilitaristica, per cui il destino dell'uomo sarebbe stato, da quel momento in poi, quello di dare forma concreta ad idee iperuraniche forgiando il creato secondo le proprie visioni individuali. La prospettiva concepita dai greci appariva infatti così affascinante, stimolante, variegata e duttile (da sembrare appunto del tutto naturale) che, per la mente di questo nostro MASCHIO umano, essa diventò ben presto un insostituibile modo di rapportarsi con la realtà. Questi fu allora libero di trastullarsi con l'intero creato, immaginare scenari strategici, dargli forma e vita e competere con gli dei (peraltro sempre gelosi e guardinghi nei suoi confronti) nel forgiare quel mondo "che attendeva soltanto la di lui opera" e nel quale gli era si era ritrovato, involontariamente e per puro caso, a dover vivere. Ulteriore caratteristica della meravigliosa fascinazione della "visione" greca è quella del suo apparire (benché, come già detto, del tutto soggettivistica e artificiale) come perfettamente naturale al punto che l'uomo occidentale si è immerso in essa con l'abbandono proprio del pesce nel mare in cui questi si muove senza rendersi conto in cosa effettivamente consista tale suo liquido mondo e di come esso sia soltanto un qualcosa di relativo e non un assoluto, come invece l'animale è portato a percepire. Per 2.500 anni l'uomo dell'Occidente si è quindi sviluppato nella convinzione che la sua visione idealizzata, di matrice platonica/pitagorica/euclidea fosse la vera ed unica e che altro destino non gli fosse stato riservato in questo mondo se non che quello di procedere entro quei parametri mentali, certamente affascinanti anche se del tutto artificiali, ma non per questo operativamente meno coercitivi. Appare comunque indubbio che le caratteristiche fondanti della nostra civiltà siano intimamente correlate - naturalmente, ripeto, per scelte culturalmente indotte anche se sostanzialmente inconsapevoli - ai sottili meccanismi psichici propri di una mente MASCHILE. Altri scenari esistenziali del tutto diversi, se non addirittura opposti, sarebbero stati naturalmente possibili, ma così non fu e noi siamo diventati il nostro presente: È stato un bene? è stato un male? Lo dirà il tempo e soltanto quando tale nostra civiltà potrà in futuro essere letta alla luce di condivisi parametri storici. Vi furono infatti nel pianeta altre visioni dell'esistenza del tutto differenti, se non opposte, a quella greca: ricordiamo, ad esempio, i caratteri "statici" propri del contemporaneo buddismo (Buddha e Socrate infatti sono entrambi del V secolo a. C.) al tempo peraltro del tutto sconosciuto in occidente. Ed infine va ricordato che anche Confucio visse ed operò nella lontana Cina proprio a cavallo tra il VI ed il V secolo a. C. Ma torniamo al nostro ragionamento: La primigenia società greca era di natura assolutamente

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CULTURA

maschilista sublimata, nel mito, attraverso lo schema: LOTTA - EROISMO - GLORIA. Il sapere filosofico, culturale, sociale e persino sessuale si trasmetteva soltanto per via maschile (dal maestro, chiunque egli fosse, al discepolo). La donna era relegata al nobile, ma semplice ruolo ancillare di "fattrice". I romani, pur allargando i perimetri concettuali della visione greca, soprattutto nell'ottica del ruolo e della posizione giuridico/sociale della donna nella società, non si discostarono poi tanto da quella impostazione mentale continuando sostanzialmente a mantenere le loro compagne, anche se in modi meno marcati, nella analoga posizione di "non protagoniste", della ufficiale dialettica politica, economica, sociale e culturale della società. In questa prima fase del mio discorso accenno appena al noto, rigido maschilismo storico della Chiesa cattolica sia nei suoi più puri aspetti di fede e dottrina che in quelli prettamente organizzativi e gestionali del suo rapportarsi al secolo. A tale riguardo, e per inciso, va tenuto presente che i Padri conciliari concessero alla donna la "titolarità" di un'anima spirituale soltanto nel 589 d.C., nel concilio di Magonza, ed addirittura con voto a maggioranza. Tali caratteristiche sono ancora del tutto palesi, nonostante qualche recente turbolenza in chiave femminista manifestatasi in settori, peraltro ancora minoritari, della gerarchia cattolica. Ma su questo vitale argomento tornerò più avanti. Ritengo tuttavia necessario PRECISARE molto chiaramente che, in questa mia disamina, il non protagonismo "storico" della donna nel corso della parabola della civiltà greco-romano-cristiana viene vista nella dimensione della vita "pubblica" della società per quanto concerne i suoi momenti di elaborazione del pensiero politico istituzionalmente manifesto, nonché delle scelte strategiche di tipo sociale, economico e culturale fondanti la vita stessa delle nazioni. Il mio discorso evita volutamente di entrare nel merito dei rapporti privati e personali tra uomo e donna limitati, per secoli, all'ambito della vita prettamente familiare dove non vi è peraltro dubbio che l'influenza femminile abbia spesso svolto ruoli determinanti nel condizionare le successive manifestazioni extradomestiche dell'individuo maschio; ciò, sia in episodi strettamente interpersonali (valga per tutti il sintomatico mito del rapporto tra Eva ed Adamo) che in quelli, storicizzati, di valenza pubblica. Fatta la premessa di cui sopra, bisogna compiere adesso un lungo salto all'indietro, dal momento stesso dell'apparire dell'Homo "Sapiens" sulla Terra al termine dell'era preistorica. Immaginiamo una mattina qualsiasi della notte dei tempi: sorge il sole e nella caverna ci si sveglia. Il maschio elabora nella mente l'immagine ideale di una grossa preda, diciamo, di un bisonte; bisogna andare a cacciarlo per procurare un bene essenziale alla sopravvivenza fisica di sé stesso e del suo gruppo. È un'impresa complessa, incerta e pericolosa, richiede intelligenza, coraggio, determinazione, grande forza fisica e coesione sociale tra i compagni cacciatori. Quella mattina egli non ha ancora visto alcun bisonte in carne ed ossa, eppure parte inseguendo un'"idea": la cattura dell'animale. Egli si indirizza quindi verso un "fantasma"; nei pressi della caverna infatti del quadrupede non c'è traccia, bisogna andare a cercarlo altrove; inoltre l'uomo non è per nulla sicuro di poterlo incontrare ed ancor meno catturare, ma egli lo "vede" con gli occhi della sua mente e verso tale visione ideale egli si protende con determinazione.


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Contemporaneamente la sua compagna si affaccia alla soglia della stessa grotta: in quei tempi feroci ella è strutturalmente "andicappata"; in quel contesto duro e violento ella è dotata di minore forza fisica ed è appesantita da misteriose ma costanti gravidanze di cui non comprende la causa. Ci sono infatti voluti millenni , se non qualche milione di anni, perché si mettesse in relazione l'atto sessuale con una nascita che si sarebbe verificata ben nove mesi dopo; e ciò in un'epoca in cui un solo giorno di dura esistenza doveva corrispondere ad una eternità (a sostegno di tale affermazione circa la generale ignoranza umana dei meccanismi di concepimento e nascita, ritengo utile ricordare che la prova scientifica dell'esistenza dell' ovaio femminile data da meno di due secoli, appena la prima metà del XIX secolo). Il suo stato fisico non può quindi permetterle di volere un qualcosa che derivi soltanto da una sua astratta visione, ma deve accontentarsi di ciò che realmente "vi sia" di raggiungibile, là di fuori. Ella può soltanto uscire, allontanarsi di non molto dal rifugio e spigolare tra ciò che la natura spontaneamente le offre. In sostanza, il maschio concepisce un'idea astratta ed è in grado, possedendo i necessari ed adeguati mezzi fisici, di perseguirla; la femmina invece è obbligata dalle limitazioni del suo stesso corpo, ed anche contro una sua possibile aspirazione, ad essere dipendente da quanto ella riesce a scorgere intorno a sé e si trovi in grado di poter effettivamente raggiungere. Le è impedito di acquisire da sé stessa cose che ella forse potrebbe astrattamente desiderare, ma che purtroppo non si trovino ubicate entro le sue dirette percezioni sensoriali e possibilità fisico/motorie. Il maschio ha però cominciato ben presto ad intuire come tale minore efficienza fisica NON corrispondesse affatto ad una inferiorità sostanziale, anzi tutt'altro, ed ha deciso (per ragioni egoistiche collegate tra l'altro, a quell'istinto animale di repulsione di doversi trovare inconsapevolmente ad allevare figli "altrui") di porre la donna in uno stato di crudele coercizione; ciò in tutte le epoche e latitudini a riprova del noto detto secondo cui : " soltanto un dittatore consapevole della propria debolezza/inadeguatezza, esercita il potere con la spietatezza con cui l'uomo lo ha esercitato nei confronti della donna negli ultimi diecimila anni" . Dagli albori della storia e fino al termine della seconda guerra mondiale (certamente nel nostro emisfero, e naturalmente con tutte le gradazioni e differenziazioni per quanto concerne tempi e luoghi del fenomeno) la donna ha subito un costante stato di storica sottomissione al maschio (dalla bruta discriminazione prettamente fisico/coercitiva a quella soltanto socio/economica/culturale). Ricerche del secolo scorso potrebbero peraltro indurre a confermare la non infondatezza di tali intuizioni, e relative paure, prescientifiche dei nostri antenati maschi dal momento che appare ormai evidente che il dato secondo cui la femmina sia il frutto dell'incontro di due cromosomi XX mentre il maschio di quello tra una X ed una Y, potrebbe ben essere letto sotto una luce del tutto differente: si potrebbe infatti considerare più realisticamente detta Y come null'altro che una X menomata a cui manchi un pezzetto; ciò legittimando il dubbio - come il maschio ha forse sempre percepito con inconsapevole angoscia sin dalla notte dei tempi - che egli, dopotutto, null'altro sia che una femmina mancata.

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Resta comunque incontrovertibile il fatto di come il maschio, attraverso la sua visione onirico/fantastica, abbia "creato" il tempo della Storia nel quale egli poi si è totalmente "immerso", mentre la femmina, attraverso la sua partecipazione forzatamente passiva e/o indiretta, si sia trovata soltanto a poter influenzare - ed unicamente per vie mediate - quelle forme di "presente" sociale, culturale ed economico apparecchiatole, di volta in volta, dal suo compagno. Premesso quanto sopra, ritorniamo nuovamente all' interrotto discorso iniziale. La tradizione greca si inserisce dunque in modo robusto e per nulla contraddittorio nel generalizzato e consolidato filone maschilista di ambito storico e, impossessatasi della sua essenza, lo mitizza e lo fa proprio strutturandolo in forme razionali. Nasce in tal modo quella visione esistenziale che andrà poi a permeare di se tutto l'Occidente attraverso le successive codificazione giuridica romana e sublimazione religiosa del cristianesimo. A questo punto mi sento di poter fare la seguente affermazione: sono convinto che dall'età di Pericle all'ultimo secondo dopoguerra, i rapporti di forza tra uomo e donna, nel contesto culturale della società dell'Occidente siano rimasti sostanzialmente immutati. E ciò, pur nelle evidenti gradazioni proprie, nei tempi, delle varie regioni della terra; ma queste, seppur diversificate, non contraddicono l'assunto della costante, sostanziale subordinazione socioeconomica della donna occidentale al suo uomo. Chi scrive, data la ventura di avere un'età che si avvicina alla "veneranda". può dare testimonianza diretta di come, ad esempio ancora negli anni '40 del secolo scorso, nelle campagne interne del feudo siciliano si vivesse per economia, socialità e cultura in modi non dissimili dal medioevo agricolo e ritengo che tale caratteristica, "mutatis mutandis", trovi analoghi riscontri in larga parte del mondo rurale europeo. Le città fornivano sostanzialmente gli stessi modelli esistenziali anche se paludati da più gradevoli aspetti esteriori, talvolta fuorvianti per la forma, ma certamente non dissimili nella sostanza. Lo stesso metaforico messaggio evangelico di Gesù Cristo, dal carattere patriarcale/agro pastorale proprio della società palestinese del tempo romano, era perfettamente comprensibile, in sostanza ed in rito, alle popolazioni occidentali cristiane in quanto, per molti versi, esso risultava ancora del tutto attuale nelle realtà esistenziali di gran parte del mondo moderno; ciò almeno fino alla prima metà del secolo scorso. "A partire dagli anni '50 e '60 del ventesimo secolo tutto muta e si stravolge per sempre. Come nel mito, Prometeo, rubando il FUOCO agli dei addormentati e donandolo all'uomo, da vita alla CIVILTA', così in quei primi anni del secondo dopoguerra la donna ruba all'uomo (frastornato e confuso nel suo "io" dall'immane disastro bellico appena conclusosi) la TECNOLOGIA, ponendo le premesse di quella RIVINCITA da lei attesa da millenni. La trentennale, feroce guerra civile europea 1914/1945 aveva infatti, come tutti i conflitti della Storia, prodotto lutti e distruzioni ma, nella fattispecie, aveva anche nel contempo annichilito irreversibilmente l'uomo europeo travolto dai due tragici parti della sua mente: le conflittuali e drammaticamente contrapposte ideologie di fascismo e comunismo (non dimentichiamo infatti che l'ideologia null'altro è se non


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che la terminale, mortale neoplasia dell'"idea"). Inoltre, risultato ad essa direttamente collegabile, furono le eccezionali accelerazioni scientifiche in tutti i campi. Le tecnologie BIOLOGICHE, da un lato, e MECCANICO/DIGITALI, dall'altro, emerse nel secondo dopo guerra saranno infatti per le femmine del mondo occidentale ciò che il mitico fuoco di Prometeo fu per l'uomo primitivo: una irreversibile svolta epocale. Attraverso semplici metodi anticoncezionali la donna ha finalmente trovato la piena disponibilità ed il totale controllo del proprio corpo e della relativa maternità; con l'ausilio delle macchine (meccaniche ed elettroniche che siano) ella ha annullato qualsiasi divario di carenze fisico/muscolare nei confronto del maschio, neutralizzando così del tutto i due "andicap" ancestrali che l'avevano condizionata per milioni di anni permettendole in tal modo di raggiungere una iniziale, piena PARITA' col suo compagno. Ma ATTENZIONE!! Come il maschio ha sempre, visceralmente, ben intuito, NON può esistere uno statico equilibrio di PARITA' tra uomo e donna in quanto, una volta raggiunta, tale parità si sarebbe subito sbilanciata a favore della evidente superiorità femminile, anche e soprattutto, nelle ormai esplicite manifestazioni quotidiane della vita pubblica. In fin dei conti ed in buona sostanza, bisogna che il maschio finalmente riconosca, e soprattutto metabolizzi una volta per tutte, il fatto che la donna gli sia sempre stata superiore in quanto ella da la vita fisica: egli può, in modo dialetticamente paritario e come eventuale forma di "rivalsa", dare purtroppo soltanto la morte, psichica e/o fisica quale essa sia (e come di fatto egli sta ormai iniziando a fare su larga scala con gli umilianti stupri di gruppo ovvero, peggio ancora, con i sempre più numerosi femminicidi ed infanticidi). La donna peraltro è stata per generazioni, sia pur inconsapevolmente, in costante attesa di un qualche riscatto, osservando il mondo in modo defilato e non osando mai sperare che il suo momento, un giorno, sarebbe finalmente arrivato: ed invece, si! Eccolo, esso è qui! In soli settant'anni, è avvenuto l'inimmaginabile: la donna è libera, indipendente ed ha vinto; il maschio giace sconfitto irreversibilmente (ed in forme esplicite), ai suoi piedi. Al riguardo consentitemi un piccolo, ma per la mia generazione, significativo dettaglio: dice, ad esempio, nulla in merito a tale annichilimento del maschio l'aspetto, a suo tempo culturalmente molto indicativo delle "rivoluzionarie" canzoni (almeno per l'Italia) di Lucio Battisti dei primi anni '70? Invero nella musica "pop" non si erano mai uditi, prima di allora, i lamenti di un uomo debole e disperato umiliarsi in tal modo davanti alla sua donna! Ed inoltre: i testi di gran parte delle attuali, insignificanti canzonette nelle quali il giovane uomo si rivolge alla sua donna, non sembrano forse contenere l'essenza di quel disperato verso d' "amore" che l'irrilevante "maschio" (direi, piuttosto, fuco) della mantide religiosa potrebbe a buona ragione rivolgere alla sua vorace amante prima del tragico amplesso? Questa, piaccia o meno, è ormai la realtà. Come la mettiamo allora con la civiltà greco/romano/cristiana nella quale, anche se ormai verso il tramonto (e sulla evidente causa di tale decadimento tornerò più avanti) stiamo ancora tutti quanti vivendo? Potrà una struttura culturale, religiosa, politica, sociale ed anche economica progettata e costruita su un inconfondibile asse portante di tipo prettamente "maschile" sopravvivere ad un tale capovolgimento copernicano di "femminilizzazione"?

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Possono i "valori", o se volete anche i "disvalori", del maschio che, nel bene o nel male, hanno reso ciò che la società occidentale è diventata nel tempo (da Atene ad almeno la prima metà del secolo scorso) sopravvivere tranquillamente alla improvvisa sostituzione del loro primigenio custode ed auriga con un'altro subentrante di tipo del tutto differente che se ne ponga alla guida limitandosi soltanto ad afferrarne le redini per continuare ad andare? Nessuno al momento può saperlo; come suole dirsi: "chi vivrà vedrà". Tuttavia una cosa è certa: il PADRE, costruttore culturale ed ultra bi-millenario gestore della vita sociale dell'Occidente, è morto e non verrà sostituito; da ciò potrà soltanto nascere un qualcosa di totalmente diverso: sarà esso migliore? peggiore? non so. Ma quale sia la prova inconfutabile dell'estinzione del maschio occidentale è presto detto: la sua secolare, consolidata, visione della realtà è diventata ormai del tutto "POLITICAMENTE SCORRETTA". DIALOGO tra: UOMO POLITICO (o meglio, per il rispetto dovuto al nobile termine di "POLITICA", sarebbe meglio dire: UOMO POLITICANTE) : " sono assolutamente a favore delle quote rosa; ci vorrebbero molte più donne in Parlamento ! " e MODESTO INTERLOCUTORE: "mi scusi, mi chiarisca: può cortesemente precisarmi se, secondo Lei, vi sia in Parlamento una carenza di donne ovvero soltanto di femmine?" UOMO POLITICO : " non capisco cosa Lei intenda dire" MODESTO INTERLOCUTORE : " mi spiego : voglio dire che qualora Lei intenda affermare che nel Parlamento vi sia una evidente carenza di femmine rispetto ai maschi e che quindi il numero, diciamo, dei "pantaloni" sovrasti di gran lunga quello delle "gonne", io condividerei in pieno " UOMO POLITICO : " ed allora ?" MODESTO INTERLOCUTORE : " ma se Lei ritenesse invece che in Parlamento vi sia una grande carenza di donne, allora non sono affatto d'accordo" UOMO POLITICO : " non capisco proprio cosa Lei stia dicendo" MODESTO INTERLOCUTORE : " mi segua : dato che in quell'augusta arena è lecito conclamare soltanto, pena assoluto anatema ed ostracismo, gli ormai indiscussi valori di : 1) Solidarietà, 2) Assistenza, 3) Pace, Pacifismo e quindi Disarmo 4) Ripudio della guerra, 5) Uguaglianza, 6) Sicurezza e Benessere, 7) Difesa del più debole, 8) Pari opportunità, 9) Diritti e non Doveri, 10) Non discriminazione, etc.etc., sono questi tutti valori tipici della Madre (e quindi della Donna), oppure no ? E ciò potrebbe anche andar bene; ma sono altresì convinto che qualora nel medesimo parlamento qualcuno si azzardasse a fare un qualche riferimento agli specifici valori così detti "maschili", o del "Padre", in vigore in tutto l'occidente, almeno dai tempi della Grecia classica a non più di mezzo secolo fa, tipo : 1) Volontà di potenza e quindi Nemico e Competizione 2) Avventura e Lotta, 3) Eguaglianza sulla linea di partenza (ma non su quella di arrivo), 4) Selezione naturale dei migliori 5) Preferenze paterne (ma non materne : come è noto, per la madre i figli sono tutti eguali), 6) Rischio e non assistenzialismo, 7) Doveri e non Diritti, 8) Difesa del suolo patrio e, udite udite, persino : 9) Guerra ! ritiene Lei che tali eventuali affermazioni


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verrebbero, non dico condivise, ma almeno rispettate, senza essere platealmente subissate da fischi e contumelie ? Credo proprio che la seconda alternativa sia la più verosimile. Ecco perche ritengo che non siano necessari, nei palazzi del Potere, ulteriori, aggiuntivi, irrilevanti "sessi femminili", essendo ormai il Parlamento, nelle sua maggioranza (sia astrattamente culturale che politicamente deliberante) del tutto donna, madre e quindi soltanto "femmina", indipendentemente dalle caratteristiche MORFOLOGICHE di genere dei suoi singoli componenti. Essendo dunque il Potere non più mascolino, ma del tutto femminilizzato nei suoi valori a manifestazioni, anche il popolo (o meglio la cosiddetta "gente") si sente ormai autorizzato a comportarsi come tale ed ecco allora lo straripante diluvio, soprattutto televisivo (nulla di cui meravigliarsi : la società "è" ormai la tele-visione e soltanto in essa - e tramite essa - il consorzio umano può, oggi, realizzarsi di fatto e compiutamente manifestarsi) di buonismi di ogni fatta con prorompenti effluvi di lacrime, sia reali che metaforiche, in ogni occasione buona per potersi, finalmente, mostrare emotivi. Ma c'è di più. Se i Parlamenti occidentali sono la visibile manifestazione politica dell'ormai consolidato governo "al femminile" del mondo occidentale, prego il cortese lettore di seguirmi nell'altro luogo pubblico deputato a celebrare in modo quasi didascalico il trionfo socioeconomico della donna sull'uomo del terzo millennio. Va infatti sottolineato che ogni civiltà, preminente in un determinato momento storico e che abbia voluto enfatizzare i propri aspetti valoriali, abbia creato dei "luoghi" ove tali valori fossero, quasi plasticamente, raffigurati e proiettati nel tempo : per Atene diciamo, ad esempio, la scuola filosofica e l'acropoli, per Roma il foro ed il senato, per il Cristianesimo le cattedrali gotiche e barocche, ma per la società occidentale contemporanea quale sarebbe il luogo di sua suprema sintesi "plastica" ? Ma naturalmente il Centro Commerciale con ampio parcheggio (!) ove la totale disfatta del maschio cacciatore e il relativo trionfo della femmina spigolatrice vengono atrocemente cristallizzati in una chiave di lettura inequivocabilmente chiara. Fino ad appena qualche anno fa, la famiglia, di domenica, si recava a Messa per celebrare insieme il rito dell'esplicito omaggio al Padre ed alla Sua divina, MASCHILE discendenza, oggi la famiglia si reca unita allo "shopping center" a seppellire definitivamente la figura del maschio/padre e sacrificare votivi doni di valore economico (ieri l'agnello, oggi le carte di credito, entrambi comunque frutto di faticoso lavoro) sull'altare della vincente dea femmina/spigolatrice. Tale visione potrebbe anche far sorridere se non fosse intimamente dirompente in termini di sopravvivenza della nostra civiltà e del relativo patto sociale coesivo della stessa. Colui che, fino a non molto tempo fa, era stato un maschio cacciatore dedito ad inseguire l'"Idea" e che potrebbe ancora oggi continuare benissimo a farlo dal punto di vista fisico (non dimentichiamo infatti che l'uomo di oggi, sotto gli aspetti fisiologici, è praticamente ancora identico ai suoi antenati di 10.000 anni fa) si trascina stancamente nel corpo ed affranto dalla noia, carico delle gerle piene dell'opera della spigolatrice la quale, arrivata a detto centro commerciale con soltanto qualche vaga idea di ciò di cui avrebbe potuto aver bisogno, ha obbedito al richiamo possessorio di tutto

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quanto offerto dalla "natura" circostante scoprendo improvvisamente la presenza di insopprimibili esigenze di raccolta poco prima neanche lontanamente immaginate. Mi domando per inciso : è mai stato fatto un qualche studio sullo stress psicologico dell'ex predatore in visita ad un centro commerciale costretto a svolgere mansioni di assistente spigolatrice ? E ci si è mai interrogati perché con l'attuale incremento esponenziale della società dei consumi "al presente" si registrino costanti aumenti di violenza contro le donne con gli annessi, efferati femminicidi ed infanticidi, evidenti cartine di tornasole di un inconscio e disperato grido maschile di frustrato dolore esistenziale scaturente da una mortale perdita di millenaria identità e di vitale progettualità futuristica di qualsivoglia natura ? Massacrando la donna (e spesso anche il di lei figlio) l'uomo elimina in un sol colpo, per vendetta esistenziale, sia vita che futuro. Inoltre la predetta epifania consumistica che a prima vista potrebbe anche suscitare un sorriso di accondiscendenza, sta invece alla base della tragedia planetaria della contemporaneità. L'apparente innocenza di tale spigolatura in centri commerciali ripetuta per milioni di volte in tutti i paesi di cultura capitalistica occidentale (non importa se ricchi o poveri) richiede globalizzazione di produzione e di trasporti, depauperamento di risorse naturali ed inquinamento, nonchè sfruttamento esponenziale del lavoro subordinato. Da parco contadino siciliano quale io sono, non posso capacitarmi di come un bipede umano, mio fratello, possa oggi onestamente riconoscersi nell'esigenza di dover scegliere, nei supermercati, tra settanta differenti tipi di yogurt o tra migliaia di magliette colorate buone soltanto per una stagione estiva; il prossimo anno dovranno assolutamente essere tutte sostituite in quanto la moda sarà già stata cambiata. Altri luoghi emblematici dell'irreversibile cancellazione del maschio classico sono quelli della cosiddetta "movida" serale/notturna e delle correlate discoteche . Osserviamo infatti la giovanissima coppia di una "lei e di un "lui" in uno qualsiasi dei predetti luoghi di ritrovo : la "lei" è perfetta nel suo ruolo, del tutto a proprio agio tra le amiche e completamente autosufficiente. Tuttavia l'ancora presente strascico storico dell'archetipo della coppia classica la costringe, purtroppo, a doversi ancora accompagnare ad un qualche amorfo maschietto di cui è evidente l'assoluta percezione di inutilità che ella gli attribuisce. Sfortunatamente per lei, l'uomo continuerà per il momento ad esserle comunque - ma ancora per poco - di qualche marginale utilità; il predetto maschietto mostra invece i segni irreversibili della sua incombente trasformazione in semplice "fuco riproduttivo" in attesa che, al massimo tra due generazioni, la sua attuale compagna potrà benissimo fare del tutto a meno di tale impiccio, ormai di residuale natura solamente socio/ economica, ma non più genetica, in quanto le future ragazze saranno finalmente in grado (grazie di cuore biotecnologie cellulari !) di fecondarsi da sole. ************ Dove lo scenario complessivo fin'ora delineato assume però caratteri di vera e propria tragicità riguarda la sopravvivenza stessa della fede cattolica, sia nella sua essenza teologico/spirituale che nelle sue conseguenti manifestazioni ecclesiastico/temporali.


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La connessione del cristianesimo con la concezione paternalistico/maschilista della visione classica è strutturale e del tutto immodificabile. Le scritture infatti sono immortalate in testi costitutivi le cui possibilità interpretative sono minime e dai margini di manovra ristrettissimi; dopotutto esse esprimono "il Verbo". Il massimo di interpretazione soggettiva che esse possono concedere al lettore non è maggiore di quella del poter guardare dentro una stanza chiusa soltanto attraverso due o tre finestrelle (oltre, naturalmente, la spalancata porta principale d'ingresso) disposte su pareti differenti: in tal modo si può leggermente modificare l'angolo di visuale della composizione interna dell'ambiente, ma il suo contenuto e la relativa disposizione dei vari elementi sono immobili ed irraggiungibili. Ci si deve accontentare di poter guardare sempre le medesime cose, soltanto da qualche modesta, differente angolatura. Cosa voglio dire ? Ritengo che, per la Chiesa cattolica, la visione centrale della Rivelazione cristiana strutturata nella trinità Padre, Figlio e Spirito Santo sia unica ed eterna e quindi statica attraverso il fluire dei secoli, pena la sua stessa sopravvivenza. Inoltre il linguaggio metaforico, soprattutto quello del nuovo Testamento, è stato, per insopprimibili esigenze comunicative nel semplice ed incolto contesto agro-pastorale della ruralità palestinese del tempo di Cristo, cristallizzato, e quindi dottrinalmente ritualizzato, dal Magistero della Chiesa cattolica nel corso degli ultimi venti secoli. Di conseguenza i valori socio economici di quel tempo arcaico e le loro rappresentazioni, quand'anche simboliche e/o metaforiche, sono entrate a far parte integrante della Fede stessa e dei suoi sostanziali simbolismi e sono giunte praticamente inalterate fino ai nostri giorni. Ma tale fenomeno religioso (non entro naturalmente nell' ambito della fede individuale - e del conseguente credo personale nell' intervento dello Spirito nella Storia - a cui va il mio più grande rispetto) è stato reso possibile sia dalla sostanziale staticità del pensiero cattolico europeo preideologico (fino alla prima metà del XX secolo) sia dal fatto che depositari e "sacerdoti" di tale tradizione siano stati uomini, peraltro chiamati anche "padri" : le donne, anche se eccelse per fede e pietà, sono state ritenute sempre degne di massima venerazione, ma altresì costantemente tenute fuori dalla effettiva amministrazione del Verbo nel secolo. E, per un paio di millenni, alla maschilista società occidentale tale stato di cose è andato più che bene! Ma adesso le donne, soppiantato l'uomo, hanno preso nelle loro mani il reale potere di "motore culturale, sociale ed economico" di detta società e la secolare cinghia di trasmissione tra fede, prete e comunità credente inizia a mostrare sempre più segni di sfilacciamento per quanto riguarda sia gli aspetti prettamente spirituali, soprannaturali e teologici che quelli "narrativi" della rivelazione cattolica. Si vira infatti sempre più verso crescenti momenti di tipo prettamente solidaristico/consolatorio (femminili ?) a favore degli "smarriti" e dei "bisognosi" della terra, primo, secondo, terzo o quarto mondo che sia. Ciò può anche mietere consensi ed adesioni di massa nel mondo contemporaneo dal carattere ormai - "absit iniuria verbis" - prettamente "materialista" e secolare; ma non era forse stato scritto : " Il mio regno NON è di questo mondo (Giovanni 18,3337) " ?

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Certamente, ma ciò quando la società aveva, almeno formalmente, comportamenti ideali da "maschio"; invece il regno di Eva è sostanzialmente di "questo mondo" e, come si sa, la madre tende principalmente a curarsi del corpo, forse un poco anche della psiche, ma per quanto riguarda l' "anima" non siamo purtroppo messi molto bene ! E questo la Chiesa cattolica lo ha sempre saputo . Peraltro tale modifica strutturale della civiltà occidentale non preoccupa affatto la politica (oggi sostanzialmente solo becera e, come detto, "politicante"), abilissima ad adeguarsi subito ai tempi - con i sondaggi, nel così detto "tempo reale" - e, del tutto tetragona a qualsiasi tipo di vergogna logica e/o morale, scivola serenamente su improvvise modifiche e spudorate contraddizioni : il maschio ormai non si comporta più da Padre, ma da Madre ed ai politicanti ciò risulta di fatto del tutto indifferente, purché si riscuota, sempre e comunque, facile consenso. Ma per la Chiesa cattolica non è, né può affatto essere così. Adeguarsi "teologicamente" (non dico "temporalmente", intendendo ciò come momento afferente all' "esilio" dell'umanità su questa terra, in quanto i Vangeli, offrono robusti appigli dottrinari al riguardo ed alle relative esigenze materiali proprie della vicenda dell'uomo nel tempo) a questa improvvisa ed inaspettata rivoluzione è impresa da "far tremar le vene ed i polsi" e proprio per tale motivo il Vaticano ha avviato di recente un percorso operativo per tentare una "ri - evangelizzazione" dell'Occidente. Ri-evangelizzazione, che non può non intendersi, a mio modo di vedere, se non che nel senso di una auspicata rinascita cristiana di tipo prettamente SPIRITUALE, in quanto, d'altro canto, non può negarsi che il nostro mondo trabocchi ormai di vistosi esempi di volontariato per l'assistenza materiale e la cura di poveri ed emarginati (insomma dell'umanità esiliata sulla terra) in forme e numeri tali da non trovare riscontro, per qualità e partecipazione individuale, in nessun altro momento della storia dell'Europa ( dopotutto, non abbiamo appena finito di dire come la civiltà occidentale sia diventata del tutto "mamma" ?). Pertanto il problema sta altrove. E' evidente il fatto che qui da noi si va sempre più affievolendo il senso del sacro, del soprannaturale e dell'ultima finalità esistenziale, insomma della Fede nel Dio della Rivelazione : infatti le chiese si svuotano, i mercati si affollano. La Chiesa cattolica sente pertanto la necessità che l'Occidente cristiano vada ri-evangelizzato in quanto ormai indubbiamente "NEO PAGANO" (e come potrebbe non essere così dal momento che il predicare nuovamente il Vangelo non può avere per destinatari che persone " non credenti " ?). Trattasi certamente di una sorta di paganesimo nuovo, agnostico, vacuo, relativista e per niente antropomorfo, forse soltanto feticista e narcisista, ma non vi è dubbio di come la Chiesa abbia compreso che ad ovest ci si muova ormai in una sorta di "terra degli infedeli". Ma la domanda di fondo è : chi sarebbero questi infedeli d'occidente da ri-evangelizzare o forse, sarebbe meglio dire, evangelizzare veramente e profondamente per la prima volta ? Come va definito tale Occidente neo-pagano ? Nel senso forse di un'umanità di nome collettivo che comprenda congiuntamente maschio e femmina come coppia "atomica" della società stessa, o piuttosto da doversi questa scomporre, a sua volta, nelle relative due distinte componenti (psichicamente molto diverse tra loro) di UOMINI e di DONNE ?


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Alla luce delle considerazioni fin'ora svolte, sarebbe per me un errore accomunare, al riguardo maschi e femmine. Da evangelizzare profondamente in termini TEOLOGICI vi sarebbe, secondo la mia modesta opinione, SOLTANTO il trionfante universo femminile da pochi decenni al potere culturale, sociologico, emotivo, valoriale, formale e persino LESSICALE dell'Occidente ed ora scalpitante per poter accedere anche all'amministrazione religiosa delle Chiese cristiane del secolo. Una volta convertite veramente le femmine, può darsi che i maschi, come l'intendenza, seguiranno! Gioco peraltro facile e quasi scontato questo, se si dovesse predicare nuovamente il Verbo soltanto secondo le opere di misericordia corporale (di tipo solidaristico/assistenzial) ormai universalmente condivise. Come già detto infatti il terreno in occidente è ampiamente arato, le chiese sono al riguardo efficienti ed esemplari e Papa Francesco coadiuva in tal senso in modo eccellente con la sua missione pastorale di parroco del mondo. Ma come mettiamo tutto ciò in relazione al contesto spirituale delle verità evangeliche di tipo teologico scritte nel Libro e quindi immodificabili ? Il messia storico è trascendente, maschio e protagonista; le donne, sublimi, ma in posizione subordinata e di obbediente accettazione. Mi domando con sincera umiltà : può tale modello di riferimento essere ancora capito, per non dire RECEPITO, dalle GIOVANI FEMMINE di oggi ? Nel pieno del loro trionfo "egalitario", può, ad esempio, la figura del Buon Pastore essere ancora considerata "politicamente" e soprattutto "democraticamente" corretta? Con quale linguaggio ci si può oggi rivolgere a tali giovani donne nella speranza di far breccia in una corazza di superbia paritaria (tale parità è ancora recente, fresca e pertanto molto eccitante ed aggressiva), ma che verrà quanto prima sostituita da una reale supremazia totale ed arrogante? Come potranno essere utilizzate nei loro confronti le arcaiche metafore evangeliche di natura prettamente agro pastorale e soprattutto PATRIARCALE ? Ed il pane ? dove collochiamo ciò che per millenni è stato simbolo di un nutrimento base della vita - sia in senso fisiologico che metaforico ed infine, col Cristianesimo, anche spirituale e sacro - quando al giorno d'oggi, nell'occidente ipernutrito, il cibo in genere non è più visto come fonte di vita, ma piuttosto come "satanico" veicolo di malattia e morte e lo stesso pane è ormai aborrito perché …. ingrassa ? Per parlare all'immutata sensibilità riproduttiva della donna, dovrà la teologia contemporanea adeguarsi a considerare il Natale, e non più la Pasqua, come evento fondante della rivelazione salvifica? Non dimentichiamo infatti che, secondo la visione platonica, informante la nostra civiltà, l'uomo "dal cielo" tende a scendere sulla terra, mentre la donna può ascendere "al cielo" soltanto partendo dalla terra. Potremmo allora ritrovarci per forza di cose, con una visione tendenzialmente blasfema dell'uomo, metro di tutto, che sale verso Dio, piuttosto che quella, rivelata, di un Dio che si fa uomo ? Può la "femmina", soprattutto quella contemporanea, astrarsi a tale livello di pura concettualità ? Può la religione cattolica trasformarsi da latrice di eterno massaggio spirituale di tipo prettamente salvifico in applaudito gestore di semplici TECNICHE CONSOLATORIE temporali ?

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Possono i preti maschi amministrare tutto ciò senza trasformazioni di tipo femministico forzando, se non violentando, la rivelazione che fissa formalmente ed indelebilmente il percorso di fede sulla linea Padre, Figlio maschio e Spirito Santo ? Ovviamente le donne prete sarebbero a questo punto la resa incondizionata della dottrina alla mera convenienza, con relativa morte della dottrina stessa. E che dire infine dell'escatologico, fondamentale ritorno alla salvifica "casa del Padre" ? Come potrà essere recepita, in un non lontano futuro, tale fondamentale metafora fideistica da parte della sterminata schiera di giovani figli e figlie di divorziati, di madri singole o addirittura di due madri (per non parlare di due padri) a cui sarà mancata del tutto, o quasi, la figura stessa del PADRE e che, una volta cresciuti, verranno, forse ed in sovrappiù, ad apprendere che anche la loro stessa venuta al mondo non fu affatto frutto di un naturale amplesso - questo, se non altro, latore di una qualche emozionalità - ma piuttosto di un freddo concepimento tecnologico dentro una sterile provetta di laboratorio ? Non posso in alcun modo azzardarmi a fare previsioni ! E può anche darsi che l'evolversi del tempo e della storia vada comunque in quella direzione e che la futura società femminile laico/tecnologica faccia FORSE del pianeta una terra felice in una nuova età dell'oro; non posso saperlo e potrei forse augurarmelo per le future generazioni. Ma una cosa è certa: chi ha oggi la mia età (72 anni) serba ancora (custodendoli in se, volente o nolente, fino alla propria morte) gli ultimi scampoli di vissuta memoria dei valori socio-culturali della Civiltà greco-romana-cristiana come essa sostanzialmente è stata, dalle origini alla seconda metà del secolo scorso e cioè, come già detto, fino a quando l'effetto perverso del trasformarsi della fertile e costruttiva "idea" platonico-iperuranica in distruttiva e cancerogena "ideologia" politica ha posto le premesse, dopo tre decenni di guerra fratricida europea, di quella rivoluzione tecnologia che ha portato all'illusoria equiparazione dei due sessi, minando in tal modo - e per sempre - l'essenza stessa della ultra bi-millenaria forma dello "stare insieme" dei popoli dell'Occidente. Dopo la scomparsa dell'attuale generazione di anziani, tale capitolo si chiuderà definitivamente e naturalmente se ne riaprirà un'altro, del tutto nuovo, forse "meraviglioso", ma assolutamente differente ed, al momento, sconosciuto ed inimmaginabile. Ma comunque vi prego: non si parli più di generica crisi dei nostri "valori" e della relativa necessità di riscoprirli (!). I valori portanti (o, se volete, anche i "disvalori") della nostra attuale civiltà stanno precipitando irreversibilmente nell'oblio e non ci resta che augurare loro di poter riposare colà, in pace, per sempre. Bisogna esserne tristi ? Lieti ? Né l'una cosa né l'altra. Ogni fenomeno sotto il sole nasce, si sviluppa e muore; ciò è naturale, è la vita stessa che vuole così. Gli uomini tuttavia hanno sempre sentito il bisogno di catalogare e schematizzare la Storia al fine di una sua auspicata chiarezza di lettura e semplicità di interpretazione. Consentite quindi anche a me, modestamente, di fare altrettanto : ritengo che, in tale ottica, si potrà forse un giorno collocare la parabola dell'Occidente tra due personaggi, uno "di inizio" ed uno "di fine", un ALFA ed un OMEGA, colui che si è rivolto verso le stelle e quello che invece ha guardato alla terra: il padre ed il necroforo dell' IDEA stessa: Platone (Atene, Grecia, 428 a.C.) ed Armstrong (Ohio, U.S.A., 1930 d.C.) . Del primo abbiamo già detto; al secondo (uomo simbolo della conquista della Luna) bisogna invece


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attribuire quel "piccolo passo" a seguito del quale fu possibile lo scatto della fotografia (UNICO risultato di autentico valore culturale dell'intera missione "Apollo 11" e di tutte le successive) che ha rivoluzionato irreversibilmente la visione della Terra, nostra ineludibile patria. Tale fotografia ci ha mostrato, per la prima volta e brutalmente, il ristretto perimetro entro cui il nostro pianeta ci ha sempre costretto, a nostra plurimillenaria insaputa, a vivere. . Ci è stata mostrata infatti una meravigliosa sfera blu sospesa in un immenso vuoto nero: bellissima, fragile, isolata e sconsolatamente …… sola ! Quello scatto fu la fine della concezione maschile del nostro mondo come serie di sconfinate praterie con lontane frontiere da raggiungere, esplorare, conquistare e sottomettere per trasformare, con un semplice colpo d'occhio, il nostro pianeta in una piccola, unica, affollata, quasi claustrofobica, modesta abitazione, dallo spazio e dalle risorse limitate e da doversi pertanto amministrare saggiamente e tenere pulita ed ordinata. Poco più di una piccola "casetta" dunque, da affidarsi opportunamente alla pratica e fattuale concretezza femminile piuttosto che a qualsiasi obsoleto, ed ormai ingombrante, residuo di velleitarismo onirico/idealistico di matrice maschile che, invece, si vorrebbe vedere ormai bandito - questo sì, subito ed una volta per sempre - dalla Terra. Gentili Signore e Signorine, prego dunque: accomodatevi ! Il "Padre" non c'è più e così è finalmente terminato per voi anche il RELATIVO obbligo di metabolizzare la teologia cristiana; il campo è completamente libero, la "casetta" è DEL TUTTO a vostra disposizione. Sinceramente mi auguro che ne facciate buon uso. A questo punto posso, forse, permettermi di avanzare umilmente la seguente, ultima considerazione : Mi sembra diventi ora ben comprensibile la rappresentazione di un mondo islamico apparentemente contraddittorio in quanto, da un lato, si mostra palesemente attratto da tutte le forme del più becero consumismo occidentale mentre, dall'altro, rifiuta invece con tutte le proprie forze, inclusa la violenza più estrema, il frutto principe del pensiero filosoficopolitico della nostra civiltà : il concetto di democrazia. Gli islamici hanno infatti ben compreso che una forma costituzionale (sia essa pubblica che privata) secondo cui, tra individui paritari indifferentemente dai rispettivi sessi, "un voto valga un voto", comporterebbe, nei loro paesi, la potenziale, perfetta parità tra uomo e donna, con il conseguente, effettivo prevalere di quest'ultima alla luce delle considerazioni da me sopra espresse. A questo punto ne deriverebbe l' immancabile "morte del "Padre" con relativa estinzione di Allah, del Corano e del relativo patto sociale di tipo giuridico/istituzionale ad esso direttamente collegato. Antonino Provenzano Post Scriptum : Auspico che un lettore intelligente (cioè che "intelligga" in onestà di mente e di cuore, dal pensiero elaborato autonomamente sulla base di sue DIRETTE esperienze esistenziali, ma che, al contempo, NON assolutizzi tale proprio particolare vissuto e che, soprattutto, NON sia un "dottore di memoria" cioè qualcuno che, recepite riflessioni altrui, pensi di conseguenza "per sentito dire") abbia voglia di confutare ed annichilire punto per punto, con argomentazioni originali, sostenibili, lineari e non contraddittorie, tutto il mio ragionamento di cui sopra. Spero proprio che ciò possa accadere: ne sarei veramente felice !

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POLITICA

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Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

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