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Webmagazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

Nuova serie - Numero 37 Giugno 2015 - Anno XVII

DESTRA E FUTURO : I STA FARESE C I C V R U TE PE AT B L’IN IUSEP B A DI G NI S

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AVVISO AGLI INTERNAUTI: CONFINI SI RINNOVA. RITORNERA’ A SETTEMBRE. BUONE VACANZE.


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Confini Webmagazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 37 - Giugno 2015 - Anno XVII

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti, Cristofaro Sola +

Hanno collaborato a questo numero:

Gianni Falcone Giuseppe Farese Roberta Forte Pierre Kadosh Lino Lavorgna Enrico Oliari Gustavo Peri Angelo Romano Gianfredo Ruggiero Cristofaro Sola

+

Segreteria di redazione: confiniorg@gmail.com

+ Registrato presso il Tribunale di Napoli n. 4997 del 29/10/1998

confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone

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EDITORIALE

SOCRATE E LA CICUTA Da Socrate redivivo nell'Italia di oggi, la cicuta non la prenderei. Sceglierei l'esilio e, in attesa di poter superare un varco frontiera sigillato dall'esterno, da esule, mi rassegnerei a permanere nella stazione ferroviaria di una città d'arte o della Padania. In tal caso indosserei una felpa con su scritto il mio slogan più riuscito: "Conosci te stesso". La "maieutica della morte" non servirebbe a nessuno in tempi in cui la forza dell'esempio serve solo ad alimentare il bullismo e l'uso delle droghe. Né avrebbe senso l'estremo ossequio alla Legge, visto che l'intero sistema normativo, simile ad una inestricabile e tenebrosa foresta, è talmente iniquo, parziale e troppo spesso incomprensibile, da sembrare costruito ad arte per consentire di aggirarlo ai pochi "attrezzati" o ai protetti dai "Buzzi" di turno. Forse sacrificherei un gallo ad Esculapio, anche se entrambi sono di ormai di non facile reperibilità. Difficile trovare i primi persino nelle campagne ed il secondo è scomparso anche dagli ospedali. Ai miei tempi, terra e popolo erano una cosa sola e la Legge condensava l'ethos di un popolo e per questo era condivisa, difesa ed accettata da tutti. Per tale ragione, pur accusato ingiustamente dai "poteri forti" che mi erano nemici di corrompere i giovani e di adorare dei alieni, accettai la condanna senza cercare scappatoie che pur mi furono offerte. Oggi l'accusa di corrompere i giovani sarebbe interpretata come pedofilia, in quanto solo a questo si è ormai ridotto l'interesse verso di loro. Nell'antica Atene era ben altro, la società praticava la "paideia", la cura fisica, morale ed intellettuale delle nuove generazioni. Io il mio contributo ai giovani lo davo insegnando loro che nulla potevo insegnar loro, solo spingerli a cercare il significato intimo dei fatti e delle cose ed il potere costituito, allora come ora, mai ha apprezzato la libertà di pensiero. Sì. Oggi mi ribellerei. La legalità è un valore se c'è uno Stato di diritto degno di questo nome e se le sue Istituzioni sono alimento e salvaguardia del patto sociale e non strumenti piegati all'interesse di parte.


SCENARI

DESTRA E FUTURO

Era il febbraio del 1909. Filippo Tommaso Marinetti pubblicava su molti quotidiani italiani ed il francese: "Le Figaro" il "Manifesto Futurista". L'anno seguente Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla e Luigi Russolo editavano: "Il Manifesto della pittura futurista". Si esaltavano gli assetti industriali, la guerra come igiene del mondo (di lì a poco sarebbe scoppiata la prima guerra mondiale), il dinamismo, la velocità, l'idea di progresso e di un futuro che trascendesse il passato. Il movimento iniziò in sordina, ma in pochi anni dilagò in Europa, in Russia, nelle lontane Americhe. Rivoluzionò le arti visive e quelle plastiche, la poesia, il teatro, la letteratura, la musica, l'architettura e l'urbanistica, l'artigianato artistico, molte forme di comunicazione, in particolare quella pubblica, editoriale e commerciale e persino l'arte culinaria. Ad esso attinsero a piene mani tutte le successive avanguardie artistiche e molti "maestri" del '900 in tutti i campi, compreso il cinema (alcuni, come Fellini, senza ammetterlo, ma basta guardare i film di Mario Camerini per capirlo). Ancora oggi esistono movimenti "neo-futuristi" ad ogni latitudine. Il Futurismo rappresentò l'humus culturale grazie al quale il Fascismo fu migliore di quel che avrebbe potuto essere, se è vero come è vero che in soli quindici anni (eccettuati gli anni della guerra ed a ridosso di essa) modernizzò l'Italia profondamente ed in ogni suo aspetto. Tant'è che i Futuristi sostennero ed alimentarono il Regime. Dopo la guerra, secondo una consolidata tradizione nata dopo la realizzazione dell’unità d’Italia, venne l'oblio, la damnatio memoriae, la rimozione persino del ricordo. Negli anni dal 1950 al 1980 non si trovavano testi sull'argomento Futurismo, divenuto "tabù" e se accadeva di citare il Futurismo era solo per evidenziarne le simpatie guerresche, mai per ricordarne la prorompente carica rivoluzionaria. La riabilitazione arrivò solo nel 1986 con la memorabile mostra "Futurismo e Futuristi" di Palazzo Grassi a Venezia. Anche la Destra politica finì con lo snobbare il Futurismo per ancorarsi al rifiuto di una modernità vista come antitesi della Tradizione, tanto che mai ebbe un rapporto fecondo con le avanguardie, le scienze e le tecnologie abbandonate alle “cure” della sinistra. Fu un grave errore culturale e politico. Non c'è difatti politica possibile senza un retroterra culturale capace di alimentare una visione,

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una concezione del futuro (ed è questa la mission di Confini), in particolar modo se si afferma, come da destra, di concepire la nazione quale comunità di destini, se non altro perché i destini attengono al futuro, sono il futuro di un popolo. Eppure nessun'altra forza politica aveva un retaggio lontanamente paragonabile al Futurismo. Per capirlo basta guardare la triste architettura dell'Unione sovietica, figlia dello sterile razionalismo e confrontarla con quella scintillante e svettante delle metropoli americane i cui urbanisti ed architetti attinsero a piene mani dalle "visioni" del Futurismo. Se si vuole far nascere in Italia una Destra credibile occorre che questa recuperi, attualizzandole, le sue radici culturali più avanzate alcune delle quali risiedono nel Futurismo, nel suo rapporto con la modernità, il dinamismo, la leggerezza, la velocità, l'eclettismo, la capacità di traguardare oltre il presente, di guardare lontano, di immaginare mondi. Illuminanti in proposito le "Lezioni americane" di Calvino. La "Destra che non c'é" deve voler capire la scienza, attrezzarsi per immaginare un futuro desiderabile ed agire per determinarlo, deve comprendere oggi le conseguenze delle tecnologie emergenti per regolarne utilmente le applicazioni, deve studiare i mutamenti sociali per intuirne il corso e lenire i disagi, deve avere il coraggio di spingersi oltre le Colonne d'Ercole che segnano il confine tra il noto e l'ignoto. In altre parole deve darsi sostanza, altrimenti continuerà ad essere ciò "che non c'è", la politica continuerà a non avere credibilità e l'Italia continuerà ad andare alla deriva. Pierre Kadosh


POLITICA/L’INTERVISTA

GIOVANNI SABBATUCCI Laureato nel 1968 a Roma con lo storico Renzo De Felice, Giovanni Sabbatucci è stato ordinario di Storia Contemporanea dapprima nell'Università di Macerata e poi nell'Università "La Sapienza" di Roma. Si è occupato soprattutto di storia politica italiana, con particolare attenzione al nazionalismo, al combattentismo, al socialismo e al trasformismo. Editorialista de "Il Messaggero", è autore di numerose pubblicazioni, tra le quali una Storia d'Italia in sei volumi per i tipi di Laterza. In questa conversazione con Confini analizza le alterne vicende del sentimento nazionale nel nostro Paese. Si ritiene che nel nostro Paese vi sia uno scarso senso patriottico. Perché abbiamo lasciato che la nostra identità, fatta di luoghi, di cultura e di storia, si affievolisse a tal punto da suscitare una reazione di conservazione, quale oggi sembra diffondersi nei cittadini? Non sono certo che questo spirito di conservazione, di cui lei parla, sia così diffuso tra i cittadini. Certamente vi è una riscoperta del patrimonio culturale nazionale, che consente di fondare l'identità non tanto sulla potenza militare o sui confini ma sul patriottismo culturale. Mi sembra, insomma, corretto intendere e rafforzare la nostra identità attraverso un elemento forte e caratterizzante come la cultura. E' un modo per manifestare virtù civiche e senso di appartenenza che contribuisce a rendere più solido lo Stato e le sue istituzioni. Se il sentimento nazionale è debole è dunque colpa dei cittadini o delle istituzioni? Il discorso è molto articolato. Nel tempo, infatti, si è potuto certamente constatare nei cittadini un debole sentimento di appartenenza nazionale. Ma la presa di coscienza della debolezza di tale sentimento è avvenuta in tempi relativamente recenti e precisamente all'inizio degli anni novanta. In quel periodo l'avvento della Lega Nord e la guerra nell'ex Jugoslavia hanno comportato il moltiplicarsi degli appelli all'unità e al senso di appartenenza nazionale. Prima del novanta, al contrario, la questione nazionale sembrava scontata o addirittura ignorata. L'identità nazionale riemergeva, con vigore, solo in occasione di manifestazioni sportive come, ad esempio, i mondiali di calcio del 1982. L'identità sportiva, insomma, rilanciava e richiamava quella nazionale. Solo negli anni novanta, invece, il tema assume autonoma rilevanza come si evince anche

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dall'attenzione riservata all'argomento dagli intellettuali: Ernesto Galli della Loggia con "La morte della Patria", Sergio Romano con "Finis Italiae" e ancora Gian Enrico Rusconi con "Se cessiamo di essere una nazione". Certo le ragioni dell'assenza del sentimento nazionale affondano le radici nella storia del nostro Paese. Si continua a pensare che anche dopo il 1861, seppur realizzata l'Unità d'Italia, il Paese sia rimasto sostanzialmente una confederazione di comuni ciascuno dei quali manteneva culture e tradizioni forti e radicate. E' un dato di fatto che in Italia l'unificazione sia stata tardiva e, per giunta, non surrogata da una forte identità culturale. L'identità letteraria, e in parte anche linguistica, era infatti ravvisabile unicamente nei ceti intellettuali e riscontrabile nei testi scritti di letteratura alta. E' altrettanto vero, però, che sia l'Italia liberale sia, successivamente, quella fascista abbiano cercato di compiere uno sforzo teso alla nazionalizzazione e all'alfabetizzazione patriottica anche dei ceti più popolari. E' opinione comune che sia stata la prima guerra mondiale a saldare e a fondere l'appartenenza nazionale. In realtà già durante la Grande Guerra i contadini analfabeti erano una minoranza e, ancor prima, in occasione delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia, nel 1911, vi era stata una forte partecipazione popolare. Il fascismo darà luogo, poi, ad una nazionalizzazione forzata e autoritaria conseguenza di una forte opera di indottrinamento. Ma si può senza dubbio affermare che anche nel ventennio audacia temeraria igiene spirituale fascista si sia realizzata una forma di nazionalizzazione. Nel secondo dopoguerra, almeno fino all'avvento di Ciampi alla Presidenza della Repubblica, la parola patria e con essa il richiamo ai valori e all'orgoglio nazionali sono stati messi al bando. Il timore di richiamarsi all'esperienza fascista, l'avvento di quella che alcuni chiamano l'American way of life, la predominante cultura di sinistra o cos'altro? Le ragioni che lei ha elencato hanno certamente influito in maniera determinante sulla debolezza del sentimento patriottico. L'American way of life era, però, un fenomeno universale mentre di maggior impatto sono stati certamente gli effetti della disfatta bellica e della successiva guerra civile. Nell'Italia repubblicana, almeno nella prima fase, non parlerei, tuttavia, di messa al bando quanto piuttosto di eclissi e marginalizzazione dei valori nazionali. Vi era, certamente, una celebrazione stanca delle festività nazionali ma, al tempo stesso, negli anni cinquanta l'insegnamento scolastico, ad esempio, era fortemente intriso del canone risorgimentale. Le pareti delle scuole celebravano l'incontro di Teano e i valori unitari. Non dimentichi, tra l'altro, che la maggior parte degli insegnanti dell'epoca si era formato durante il fascismo.


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Quand'è che il richiamo ai valori e all'orgoglio nazionali scompare definitivamente dal dibattito pubblico? Negli anni settanta, a causa di una cultura e di un comune sentire che risentono fortemente degli influssi del sessantotto, i cui effetti persistono ancora nel decennio successivo. L' eclissi dei valori nazionali fa sì, per esempio, che nel 1977 la ricorrenza del 2 giugno venga retrocessa a festa mobile. Soltanto negli anni ottanta Bettino Craxi sul fronte politico e qualche cantautore come Francesco De Gregori in campo musicale proveranno a riportare in auge il sentimento nazionale. E arriviamo agli anni novanta, quando sale al Quirinale Carlo Azeglio Ciampi, che rilancia un patriottismo mite e repubblicano. Il rilancio dei valori nazionali da parte di Ciampi è figlio anche del declino di quei valori nei decenni precedenti. Il patriottismo di Ciampi, che rispolvera alcuni simboli come l'Inno di Mameli o l'Altare della Patria, è certamente meno ingenuo di quanto si possa pensare. L'ex Presidente della Repubblica, infatti, prova a sviluppare l'idea di cittadinanza repubblicana con un'operazione di memoria storica nazionale che ha i suoi tre momenti alti nel Risorgimento, nella Grande Guerra e nella Resistenza. Mi sembra di capire, professore, che a partire dalla fine degli anni novanta si ricuce un filo e si diffonde nel Paese una visione positiva dell'identità nazionale. Senza dubbio, tra la fine degli anni novanta e il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, nel 2011, l'identità nazionale assume una valenza positiva. Basata, però, su una distinzione errata e superficiale che distingue tra identità nazionale buona, di origine mazziniana, e cattiva, di derivazione tedesca e poi fascista. Una differenziazione secondo la quale l'idea di nazione è sospetta e da rifiutare mentre quella di patria è corretta e da accogliere. Si tratta di una concezione sbagliata in quanto le due identità sono, in realtà, mescolate tra loro. Anche in Mazzini e nel nazionalismo del suo tempo, infatti, è presente l'idea di nazione laddove si parla di sangue e di stirpe. Patria e nazione, insomma, si presentano per i mazziniani come concetti uniti e complementari tra loro. Qual è, allora, l'idea di nazione da accogliere? Non certo quella di Ernest Renan che definisce la nazione come un plebiscito quotidiano che si rinnova ogni giorno in modo che i cittadini sentano l'appartenenza alla comunità nazionale. Né, tanto meno, quella che si richiama al patriottismo costituzionale di Jurgen Habermas, perché

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ogni cittadino può sentire l'appartenenza alla nazione e, al contempo, non mostrare apprezzamento verso la Costituzione. Credo che la soluzione possa trovarsi nel restituire alla nazione le sue peculiarità e, in particolare, la discendenza e il legame con la terra. Guai, però, ad attribuire eccessivo risalto unicamente alla nazione, perché si rischia poi di sfociare nel nazionalismo, come insegnano le tristi vicende dell'ex Jugoslavia. In che misura ha pesato sulla scomparsa della questione nazionale l'emergere di (e talvolta lo scontro tra) due distinte questioni: la cosiddetta questione meridionale e la cosiddetta questione settentrionale. Direi che in tempi diversi hanno pesato entrambe. La prima, la questione meridionale, è strettamente legata, nell'Italia post-unitaria, al problema del brigantaggio che rappresenta una prima forma di guerra civile da cui non è detto che l'Italia sia poi uscita. Si è trattato, insomma, di una frattura difficile da ricomporre. La questione settentrionale, invece, risale a tempi più recenti e riguarda l'invenzione della Padania da parte della Lega Nord. Questione settentrionale che, badi bene, ha contribuito a far rifiorire miti, revisionismi e movimenti neo-borbonici sorti in contrapposizione e per reazione alle rivendicazioni nordiste. E' bene ricordare, però, che la questione settentrionale è profondamente diversa da quella meridionale. Al Nord non c'è unaigiene guerra civile ma vi sono istanze separatiste portate avanti da audacia temeraria spirituale una parte del Paese che sta meglio rispetto ad un'altra. Credo, tuttavia, che tali istanze separatiste non abbiano mai davvero rappresentato un pericolo concreto per l'unità del nostro Paese. La Lega ha sempre avuto larghi consensi in alcune zone del Nord, ma mai la maggioranza assoluta. Oggi il tradizionale concetto di Nazione, e con esso la sovranità, è infiltrato e insidiato da una molteplicità di fattori: il processo di integrazione europea, il trasferimento di poteri ad entità sovranazionali, l'avvento della globalizzazione che rende porosi e deboli i confini territoriali. Ha ancora senso parlare di Stato-Nazione? Credo che lo Stato-Nazione abbia ancora senso come formazione storica e non come categoria dello spirito. Abbiamo ancora certamente bisogno di una partizione del territorio secondo linee e confini tramandati. Ma al tempo stesso non possiamo ignorare che il vecchio Stato-Nazione sorto nel Settecento, così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, potrebbe decadere o subire profonde trasformazioni. Non dobbiamo spaventarci di fronte ad un assetto asimmetrico dei poteri: siamo in presenza, infatti, di un quadro europeo in cui le sovranità si intrecciano secondo un modello che non ricalca


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affatto quello dei vecchi Stati-Nazione. Il mondo nuovo che si prospetta sarà caratterizzato, a mio avviso, da una sovranità meno rigida in un contesto contraddistinto da una confluenza e da un sovrapporsi di sovranità. In definitiva direi che continuiamo ad essere italiani ma i riferimenti istituzionali non sono solo quelli nazionali. E veniamo, dunque, all'Europa. Stiamo andando verso l'Europa federale o stiamo tornando ad una situazione assimilabile a quella precedente il trattato di Maastricht? Di preciso non saprei dire oggi verso quale modello stiamo tendendo. Sicuramente non verso un grande Stato-Nazione che si chiami Europa. Ritengo sia più plausibile immaginare un legame di tipo confederale che porti alla nascita degli Stati Uniti d'Europa o forme di integrazione finora non sperimentate. Giuseppe Farese

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RENZI SCALZATO DAI NEO-COMUNITARI? Per fortuna degli italiani le ultime elezioni hanno evidenziato che l'onda lunga del "renzismo" si è arrestata. La conseguente "risacca" ha cominciato ad erodere quei consensi sui quali un egotico "premier" aveva puntato l'intera "resta", a partire dall'Italicum. Gli ulteriori arresti connessi a "mafia capitale" rendono evidente agli italiani che un "Paradiso della Sinistra" non esiste, né mai è esistito. Sempre per fortuna degli italiani, sui quali brilla ancora un imperituro e provvidenziale "stellone", il berlusconismo che ha affossato, tradito e ridicolizzato il Centro-destra è in coma irreversibile e se non fosse per l'ossigeno leghista.... Purtroppo c'é ancora chi canta vittoria per aver conquistato alcune regioni con un misero venti per cento di consensi reali, atteso che la metà degli italiani ha espresso il proprio distacco dalla politica politicante astenendosi dal voto (eccettuato forse il Veneto). Nel frattempo i cosiddetti "populisti" (ma lo sono davvero?) hanno cominciato a sperimentare modi nuovi di stare tra la gente, prende forma con loro il partito "comunitario", fortemente partecipato dal basso e non più e non solo attraverso la rete. Le migliaia di preferenze raccolte dai candidati del Movimento Cinque Stelle, come da quelli leghisti, stanno a testimoniare una maturata capacità di radicamento che, in tempi di antipolitica montante, è molto significativa e può essere spiegata solo in relazione ad un nuovo e coinvolgente "apostolato" politico. Questa è forse la novità più significativa delle ultime regionali. Andrebbe analizzata e compresa senza sussiego, demonizzazioni aprioristiche o pregiudizi infondati. Dialogo e confronto sono sempre arricchenti. Se mai dovessero saldarsi, su basi programmatiche, Lega e Cinque stelle, Renzi ne uscirebbe sconfitto e l'Italia? Questa ipotesi, solo teorica, rende evidente l'urgenza di qualcosa di nuovo a Destra, qualunque sia il futuro che ci aspetta e nella speranza che non si tratti del futuro delineato dal Capo dello Stato, fatto di cibi prossimi alla scadenza da elargire caritatevolmente agli italiani che restano indietro e che, in tale visione, sono condannati a restare per sempre indietro. AR


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NESSUN FUTURO CON QUESTO PRESENTE Non può esistere alcun progetto politico "serio e valido" senza un background culturale altrettanto serio e valido. In mancanza possono anche sorgere partiti e movimenti, come accaduto in Italia negli ultimi venti anni, ma i risultati possono solo essere "catastrofici", come facilmente evincibile da tutti. 1. DIRADARE LE NUBI E FARE CHIAREZZA. LA QUESTIONE TERMINOLOGICA La confusione, a Destra, regna sovrana e da molto tempo. Nell'ultimo ventennio, poi, l'assoluto vuoto culturale ha complicato maledettamente le cose. Il primo campo "infetto" da bonificare, pertanto, è proprio quello che attribuisce alla "Destra" soggetti a essa estranei e antitetici. Non si tratta solo di "asfaltare" le scemenze che trasudano dai media e da qualche filmetto (tipo Saint-Tropez e il sushi sono di destra; il Salento e il Kebab sono di sinistra, che porterebbero subito chi scrive questa nota a sinistra: non ho mai messo piede a Saint-Tropez e mai mangiato il sushi; di converso adoro il Salento e il kebab), ma di offrire "seri" riferimenti culturali che chiariscano le idee. Collocare a "Destra" gli esponenti dei partiti presenti in parlamento, di alcuni movimenti e associazioni, che il termine usano a sproposito, con i loro sodali posticci, qualunquisti, razzisti e rozzi, non solo è una sciocchezza grande come una catena montuosa, ma oltremodo offensivo per tutti coloro che, "legittimamente", possono definirsi di Destra. La "questione terminologica" non è cosa di poco conto. Occorre fare chiarezza tra un "programma di centro-destra" (possibile, ma a posteriori e non necessariamente "fondamentale") e un "progetto" di "Destra", che deve costituire l'impegno primario, realizzato il quale si può passare ad altro. Non si possono occupare due spazi contestualmente. "Centro" e "Destra" sono due aree politiche sostanzialmente diverse e per certi versi contrapposte, se si tiene conto precipuamente della "realtà". Coloro che generalmente si riconoscono in un'area di "centro" hanno una concezione affaristica e opportunistica dell'attività politica, nonché una marcata propensione verso l'illegalità. In passato, quando la DC imperava, si cercava di ingannare le masse con una parvenza di "tensione ideale" che poneva al primo posto il clericalismo e l'anticomunismo, anche se era chiaro a tutti che l'impegno primario consisteva nel depredare le casse dello Stato a più non posso e in ogni contesto.

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Oggi questa necessità è stata obnubilata da un "pragmatismo" ancora più cinico: non occorre perdere tempo per "dimostrare" di essere onesti. E' proprio la capacità di impossessarsi del potere e gestirlo a proprio uso e consumo, in una sorta di dittatura legittimata dal consenso, che viene ostentata come elemento fondante dell'attività politica. Cosa hanno in comune, con le persone di "Destra", siffatti lestofanti? Nulla. E soprattutto, cosa hanno a che fare con la "Destra", gli elettori di siffatti lestofanti? Nulla. 2. COSA VUOL DIRE ESSERE DI DESTRA. Conservo ancora, in una vecchia agenda dei primi anni settanta, una simpatica (ancorché limitatissima - è bene dirlo subito) definizione della "Destra", concepita dal compianto Avv. Franco Franchi, deputato del MSI dal 1963 al 1992. La trascrivo, scusandomi se questo paragrafo sarà particolarmente lungo, perché voglio recuperare stilemi descrittivi oggi in disuso, in quanto soppiantati da un'eccessiva semplificazione che "tenderebbe" a privilegiare "la sintesi". Una sintesi che, troppo spesso, penalizza i contenuti. Destra: segno della vita, dell'ordine, dell'intelligenza, del coraggio, della fedeltà. 1) Segni della vita. Il tempo scorre a destra: per misurarlo le lancette dell'orologio girano a destra; le piante rampicanti si attorcigliano al sostegno con spirali a destra; le conchiglie univalve dei gasteropodi mostrano la spirale a destra; i motori ruotano verso destra; in inglese, per definire un "galantuomo", si dice "right hand man"; 2) Segni dell'ordine. Il figlio dell'uomo è seduto alla destra del padre; tenere la destra è garanzia di disciplina nel traffico automobilistico; cedere la destra è segno di cortesia. 3) Segni dell'intelligenza. Di un inetto si dice che è un "maldestro"; un artista crea quando gli viene il "destro"; destreggiarsi: superare con intelligenza le difficoltà. 4) Segni del coraggio. Destriero: cavallo da battaglia coraggioso, agile, generoso. 5) Segni della fedeltà. "Alicui fidem dextramque porrigere" (Cicerone) - Porgere la destra in segno di fedeltà; Ogni contratto d'onore si sancisce stringendo la mano destra; Si giura alzando la mando destra (in passato ponendola su un testo sacro). Chiudo con una definizione sicuramente eccessiva, non condivisibile e offensiva per le persone oneste e intellettualmente dotate che militano a sinistra. La riporto, pertanto, solo per dimostrare che il concetto di "Destra", inteso in senso lato, è da sempre affiancato al "bene", al "positivo". "Il saggio ha il cuore alla sua destra, ma lo stolto l'ha alla sua sinistra" (Ecclesiaste 10:2 - secondo i libri sapienziali della Bibbia il cuore ha la stessa valenza che per noi contemporanei ha la mente). Si sorrida pure di queste definizioni e dopo aver sorriso, per favore, s'incominci a riconsiderare il proprio approccio con la "realtà che ci circonda". Abbiamo svilito per lunghi anni la parte ideale, romantica, autenticamente "politica" del nostro essere, sacrificandola sull'altare di uno squallido pragmatismo, sovvertitore di "tutti i valori", soprattutto in campo etico.


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E' ora di cambiare rotta con una sorta di "rivalutazione dei valori perduti" che porti l'essere umano a esaltare la sua natura anziché i falsi miti creati tanto dal fallimento della società illuminista quanto da quello della società capitalista e post-capitalista. Essere di Destra non vuol dire "occupare uno spazio politico", ma essere portatori sani di valori autentici, che traspaiono senza eccessiva fatica, con estrema naturalezza. Un uomo "autenticamente" di Destra non ha mai bisogno di alzare la voce e la sua "autorevolezza" gli viene naturalmente riconosciuta. Un uomo "autenticamente" di Destra non ha complessi d'inferiorità, ma soprattutto non ha "complessi di superiorità": è "superiore senza alcun complesso" e, in ogni circostanza, rappresenta "l'esempio da imitare". Ha la vista lunga, ha la capacità di capire gli scricchiolii della storia e quelli del proprio tempo, è raffinato, colto, intelligente. Un uomo autenticamente di Destra non è razzista, perché riconosce una sola razza: quella umana; ha una grande apertura mentale e sa ben coniugare la migliore Tradizione con il mondo in perenne evoluzione, senza mai lasciarsi travolgere e surclassare dagli eventi, che domina con il piglio e la fierezza di chi sappia andar per mare domando le onde. Il suo approccio con la scienza non è mai fuorviante e scioccamente ideologico, ma accorto e saggio. Può anche credere in qualche Dio, certo, ma non si sogna di mettere in discussione le scoperte scientifiche, l'evoluzionismo, il relativismo, per mero opportunismo fideistico. 3. DESTRA E POLITICA. IL GRANDE DILEMMA DELLA RAPPRESENTANZA E' il "punctum dolens" e lo è stato sempre. Parliamone con calma e senza riserve mentali. Un consorzio umano che si riconosca con giusta causa nei valori della "Destra" sarà inevitabilmente caratterizzato da soggetti che possono avere un idem sentire, con differenti sensibilità e peculiarità, dipanate su una scala di valori disomogenea. E' ben chiaro, però, che un conto è "definirsi" di Destra, altra cosa "esserlo". Mi sono divertito a leggere le biografie di molti candidati alle ultime elezioni regionali, a osservare il loro modo di proporsi, le idee professate, i programmi, il livello culturale. Il risultato è stato disastroso, a voler essere generosi. Solo una "deriva" opportunistica tesa a occupare qualche poltroncina o anche un misero scanno in anticamera può giustificare coloro che, per esempio, con un passato più o meno "serio", abbiano scelto di candidarsi con Alfano o con la Meloni, parlando di "Destra". Costoro, è chiaro, hanno perso ogni peculiarità ideale e hanno lasciato affiorare la parte peggiore del proprio essere. A questo punto la domanda sorge spontanea: esiste ancora la possibilità, in Italia, con l'attuale tessuto sociale, di creare una "Destra" vera, moderna ed Europea, caratterizzata da soggetti di altissimo profilo e apprezzata "esclusivamente" da persone per bene? E poi: è davvero questo che si vuole o si sta recitando a soggetto? L'ottimismo è difficile, secondo quanto si evince dalla cronaca, recente e passata, che dimostra come fossero stati solo "i peggiori" ad emergere dalla esaltante stagione ideale passata alla

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storia come "Anni di piombo", alimentando quella confusione concettuale che oggi porta a considerare assimilabili a una "idea" di Destra partiti composti in massima parte da mezze cartucce e avanzi di galera. Vi è da considerare, altresÏ, quel 50% di persone che hanno smesso di votare. Tra loro vi sono senz'altro risorse eccellenti, dalle quali estrapolare la futura classe dirigente. Nell'impossibilità di confinare in un'isola del Pacifico tutti i responsabili dello "status quo", pertanto, bisognerebbe che costoro sparissero volontariamente, lasciando il campo libero a coloro che posseggono i numeri giusti per parlare "da" Destra, ossia "autorevolezza" e "credibilità ", proprio a quei tanti che si ritrovano nel 50% degli astensionisti e ai pochi recuperabili nell'altro campo, che oggi votano "qualcosa" senza troppa convinzione, disorientati e con forte mal di pancia. La vedo dura. Lino Lavorgna


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DESTRA? NON LA CONOSCO L'argomento di questo mese, Destra e Futuro, è alquanto maligno (lo dico con scherzosa malinconia) perché evidenzia in tutta la sua tragicità la distanza che intercorre tra la realtà e le possibilità. So bene che non era nelle intenzioni dell'editore compiere un atto di così pura cattiveria; l'amico Angelo Romano è troppo "per bene" per arrivare a tanto. Lui è un signore, nel senso più nobile del termine. E' un idealista, nei progetti ci crede, un'ideale lo anima. Ma, purtroppo, il cosiddetto mondo della destra, frantumato in una congerie di conventicole, è ormai lontano da tutto questo. Non crede più, non sa più cosa sia un ideale e l'unica molla che lo sospinge è l'opportunità quando non l'opportunismo. Forse, è stata l'ubriacatura del potere, agognato in tanti anni di trincea nel Movimento sociale italiano, e raggiunto con Alleanza Nazionale, sdoganata, si afferma, dal caffè berlusconiano, a determinare un tale sconquasso culturale e politico. O, d'altro verso, forse è stata la becera convinzione, mutuata dallo pseudo - determinismo di manager meneghini prestati alla politica, che un partito si possa guidare galleggiando su tutto e su tutti. O, forse ancora, è stata l'impreparazione psicologica, prima che culturale, a far virare l'attenzione degli uomini di governo di "destra" verso obiettivi, come dire, più pragmatici, spingendoli verso paradossali commistioni operative con gli avversari di ieri, gli uomini di sinistra, dichiarati apertamente più preparati, in totale disconoscimento di qualità, esperienze, conoscenze e risorse interne. O, probabilmente, è stato un inconscio atteggiamento da cupio dissolvi di paolina memoria, che ha portato gli "uomini del fare", ignoranti e boriosi, a vessare persino il gotha dell'intellighenzia di quella stessa sinistra quando, per effetto della fisica e dell'horror vacui, è giunta, ignara, nelle file della "destra" pensando, con la sua idealità e la sua cultura, forte del suo passato ruolo, di concimare le azioni dei vincitori per una lunga e fruttuosa permanenza nelle stanze dei bottoni. Così, in nome di una democrazia dell'alternanza, impropriamente definita tale, la "destra" ha preso e lasciato il potere per effetto di promesse senza costrutto e di beghe squallide, abbandonando il radicamento stabile sul territorio, senza alcuna idea-forza dal governo e senza alcun messaggio concreto dall'opposizione. In più, nel nome altisonante di "riforme", nei due decenni trascorsi è stata data vita ad una accozzaglia consortile tra destra e sinistra volta unicamente alla spartizione del potere: un'iniqua volontà che ha accelerato lo sfascio economico, creando sensi di impunità e condizioni di privilegio mentre problemi immani per la società emergevano e si radicavano.

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I flussi migratori si sono ingigantiti, solamente contemplati in cahiers de doléances rivolti all'Europa e osservati in un'unica, sola, legge di contingentamento; senza una concreta azione a livello comunitario, senza alcuna politica interna di integrazione e senza una vera politica verso i Paesi di partenza che "integrasse" i rapporti di dichiarata amicizia tra un vecchio frivolo erotomane e un vanesio, pittoresco colonnello; una dichiarata amicizia che, peraltro, non ha fatto minimamente premio sulle interessate intemperanze francesi. E, insieme ai flussi migratori, ha preso piede e prospera il mercato degli esseri umani da avviare alla prostituzione quando non a pedofili o da destinare alla cannibalistica attività di espianto degli organi per trapianti altamente remunerativi, senza che una proposta, una riflessione, un'azione di "destra" trovasse luce in merito. Forse, hanno ritenuto che bastasse l'ombra del Protocollo di Palermo del 2000 a scoraggiare i trafficanti. L'ingegneria genetica sta compiendo passi da gigante senza che, in vent'anni, si sia levata una voce a proporre cosa sia lecito indagare, duplicare, "creare". Persino la Chiesa, conservatrice per antonomasia, in proposito ha fatto meglio. E, ancor meglio, nella sua ottica partigiana, lo ha fatto in tema di procreazione assistita. Né, peraltro, si è udita una voce di "destra" a proposito di uteri in affitto, o di embrioni congelati o, per altro verso, di "adozioni" quando metà del globo terracqueo è attraversata da conflitti che, oltre a lutti e devastazioni, generano orfani. Così, tra banche del seme, uteri di terze, donatori eterologhi e viaggi della speranza, sono nati casi che rappresentano delle vere e proprie aberrazioni nel diritto civile senza che vi sia stato il minimo intento di regolamentazione. E se quanto sopra concerne l'avvio della vita, la nascita o la fanciullezza, analogo disconoscimento è stato riservato alla morte dove non una voce di "destra" ha avanzato ipotesi circa regolamentazioni giuridiche dell'eutanasia, nonostante casi eclatanti in Italia ed esempi, concreti ma discordanti, in Europa. Addirittura la famiglia, ormai in totale disgregazione come istituzione sociale, cavallo di battaglia delle formazioni della vecchia destra, cattolica e conservatrice, non ha più ricevuto neanche menzione. E, per famiglia, intendo anche quel nucleo sociale oggi formato da due persone dello stesso genere: due maschi o due femmine. In proposito, l'unico effetto prodotto dall'insorgenza di questo fenomeno sembra essere stata una specie di diatriba tra alcuni sindaci, alcuni prefetti e il ministro dell'Interno. Né, peraltro, ha sortito riflessione a "destra" l'iniziativa di provenienza comunitaria tendente ad abolire, culturalmente e psicologicamente, le differenze di genere per realizzare esseri asessuati che, a prescindere dalla conformazione fisica e biologica, potranno esprimere ad libitum preferenze sessuali in via continua o discontinua. Un'iniziativa, quella di cui sopra, che sembra essere in via di lancio nientemeno che nella scuola elementare dove, peraltro, c'è chi ha indotto bambini, a scopo didattico s'intende, a riprendere con il telefonino i sex toys della mamma o i giochi erotici dei genitori. Ma la vergognosa "disattenzione" della "destra" in un Paese che è stato culla del Rinascimento, si estende anche alla scuola pubblica in senso lato che sta andando alla rovina in nome di un


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modernismo senza senso che la sta trasformando in una struttura "privata", di moda americana, dove viene pagato il preside, the principal, molto meno vengono pagati dei poveri cristi di insegnanti, the teachers, e gli alunni si arrangino con i pochi mezzi a disposizione; a meno che la struttura scolastica non sia ubicata in una prosperosa zona i cui maggiorenti, per meri interessi economici, decidano di finanziare la scuola stessa per determinarne i percorsi didattici al fine di avere serbatoi di manodopera specializzata. E tutto ciò, nel totale disinteresse della "destra" verso l'eterogeneità formativa e per lo iato che ne conseguirà anche in questo campo tra nord e sud, nonostante le passate effimere prediche sul Mezzogiorno e sulla relativa questione. Nondimeno, anche il "modernismo" è un'espressione che non trova costrutto e spessore nelle espressioni delle "destre", perché non sanno come coniugarlo nella società, i cui tradizionali capisaldi sono in rovina, né nel mondo del lavoro dove organizzazione e processi produttivi sono diuturnamente rivisitati dalla costante evoluzione scientifica e tecnologica. Quali percorsi didattici impostare di fronte a processi produttivi che contemplano l'uso di una stampante industriale in 3D da dove, con un semplice pulsante, esce un pezzo complesso in metallo che non richiede più assemblaggi? Una laurea breve in ingegneria per manutenere la stampante mentre le schede madri vengono prodotte in Giappone o a Kuala Lumpur? Oppure da spingitore provetto di pulsanti, più congeniale allo spirito italico? E quali figure professionali immaginare? Con quale remunerazione? Si andrà verso configurazioni professionali più tendenti alla libera professione? E con quali riflessi sul già frantumato impianto di sicurezza sociale e previdenziale? Già. La "destra" pensa unicamente alla produzione alla quale la manodopera deve essere subordinata. No. No. Non sto dileggiando la Carta del Lavoro di Bottai. Me ne guarderei bene, pur non condividendo quell'impostazione e quell'ideologia. Non lo farei perché ritengo che rispetto agli attuali soggetti, sedicenti di destra, quelli di allora erano giganti. Voglio semplicemente dire che, con ogni evidenza, secondo le destre alla produzione vanno subordinate la salute dei lavoratori e la cura dell'ambiente. Avrei buon gioco nel citare l'ILVA ma incapperei nello scaricabarili tra governi dell'una e dell'altra parte. Per cui, mi limito a menzionare il fatto che durante la gestione governativa delle destre oltre centocinquanta autorizzazioni integrate ambientali sono rimaste in attesa di rilascio, in barba alla pericolosità degli impianti, diciotto dei quali dichiarati addirittura "fuorilegge" dall'Europa. Ma forse la questione ambientale è un argomento tipico della sinistra e, quindi, come tale non va trattata per non essere contaminati. Con tanta purezza d'animo, meglio non correre rischi. Il fatto è che l'approccio ai problemi di cui sopra richiede innanzi tutto una base culturale sulla quale costruire poi un progetto operativo. Ma sembra quasi che il mondo delle attuali cosiddette destre abbia fatto suo il detto attribuito a Goebbels: "quando sento parlare di cultura, la mano mi corre alla pistola". La cultura, infatti, da qualunque parte sia pervenuta, non sembra aver goduto di simpatia nei

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reggitori politici e governativi di "destra"; anzi, possiamo dire che è stata fortemente avversata perché presuppone logicità nei programmi, coerenza nella costruzione e estetica nella realizzazione. Ciò che è stato preferito, invece, è l'illogicità, l'incoerenza e la bruttezza, infarcite da una marea, che dico, da uno tsunami di chiacchiere vuote e senza senso. Non è stato rispettato neppure l'umoristico stereotipo dell'uomo di destra: un panciafichista decisionista. Le attuali "destre" nemmeno verso il sesso sembrano nutrire più quel sano, sia pur casareccio, interesse perché neppure una voce si è levata per applaudire o deprecare le varie iniziative tendenti a rilegalizzare il sesso a pagamento, creando appositi quartieri a luci rosse. Neppure una considerazione circa l'aspetto morale delle iniziative o la questione economicofinanziaria degli introiti oppure la derivante situazione civile e sociale dei centri urbani dove verranno insediati. E, insieme al sesso, il mondo di "destra" sembra aver dimenticato anche la buona cucina. Gli organismi geneticamente modificati hanno invaso il mercato senza che i governi di "destra", sedicenti paladini di una italica identità, prendessero minimamente posizione o esprimessero almeno un parere. E, in merito, nemmeno un interrogativo ha sollevato il messaggio dell'Expo circa l'alimentazione universale pur sapendo che l'agricoltura mondiale fornisce un apporto al PIL del globo solamente del 3%. Fatto sì è che, dopo vent'anni di un tale massacro, un mondo che possa oggettivamente definirsi di destra non esiste più. Per cui è dolorosamente inutile, a mio malinconico avviso, interrogarsi di come dovrebbe porsi una sedicente destra dinanzi al nebuloso, quando non tenebroso, futuro. Certo, chiunque può ravvedersi, emendarsi, evolversi in una spirale virtuosa ma il farlo, insieme ad un'umile dichiarata disponibilità d'animo, richiede una decisione. Una palese decisione, una rivoluzionaria decisione che dopo tanti tatticismi, inutili quando non dispersivi, torni a suscitare idee, coinvolgere animi, animare passioni e creare partecipazione palesemente apprezzata. Ma tutto ciò, purtroppo, non è all'orizzonte. Per cui, mi verrebbe voglia di parafrasare il Manzoni che nell'incipit dell'VIII capitolo dei Promessi Sposi, fa dire Don Ab-bondio, pavido curato, mentre legge un panegirico in onore di San Carlo Borromeo: Carneade! Chi era costui? Ma non sarebbe giusto, ne rispondente alla realtà perché il senso della frase, seppur adeguata apparentemente al caso in esame, contiene delle vistose inesattezze. Intanto, la pavidità non mi appartiene. Inoltre, sarei a disagio nei panni del prelato. Peraltro, la mia fede va alla ragione piuttosto che al dogma, laico o ecclesiale, verso il quale nutro seri dubbi. E, del resto, nella mia paradossale organicità, sono più vicino a sant'Agostino che, proseguendo il razionalismo di Platone, anticipò il cogito cartesiano con la formula "Dubito, ergo sum". Carneade, peraltro, sebbene sconosciuto a Don Abbondio e pur se considerato figura minore fra i filosofi del suo tempo, è ricordato comunque come sottile dialettico e oratore appassionato al punto da dimenticare di cibarsi per preparare i suoi lunghi discorsi tenuti in pubbliche piazze. Quindi, nel caso di specie, mal si porrebbe il paragone di uno stomaco digiuno con una orazione, peraltro, fatua.


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In ogni caso, il paragone sarebbe troppo dotto e per l'occasione non va bene. Meglio buttarla in vacca citando due pederasti dove uno fa all'altro: Dove sei stato a Natale? E l'altro risponde: A Cortina, a giocare con le palle di neve. E il primo: Neve?!? Neve?!? Non lo conosco. Scherzi a parte, mi ravvedo perché non voglio mancare di riguardo all'amico Angelo, alle sue convinzioni e al suo impegno. Per cui, caro Angelo, è mia impressione che le "destre", così come sono combinate, il futuro proprio non lo vedano; nel senso che riescono a concepire tutt'al più la contingenza del presente, tra smorfie, zumpe e niente cchiù, come diceva Totò. Ma c'è una speranza, a mio avviso, fornita, consciamente o inconsciamente, proprio dall'amico Angelo nella sua nota di alcuni giorni fa con la quale ci ha comunicato l'oggetto dell'attuale numero: il richiamo al Futurismo. Quando, nel 1909, Filippo Tommaso Marinetti fondò il Futurismo, l'aspetto più rilevante del suo Manifesto, prendendo da Nietzsche, Bergson, Sorel, D'Annunzio, Zola, fu la volontà di distruzione di tutto ciò che apparteneva al passato. Ecco. Credo che un movimento, un sodalizio, una lega di destra possa nascere ad opera di uomini di buona volontà, col presupposto di fare tabula rasa innanzi tutto degli uomini e delle donne del passato. Poi, con una nuova avanguardia, costruire mattone dopo mattone il progetto e, con umiltà, iniziare a propalarlo, lavorando con animo operaio. Inoltre, dà da pensare la scelta che lo stesso Marinetti e il suo Movimento fecero nel '19, nell'aderire al Sansepolcrismo, a quel movimento di arrabbiati, di ex combattenti bistrattati, delusi dai risultati della "vittoria" e fortemente preoccupati dalla grave situazione economica e sociale. Calma, calma. Non voglio suscitare apprensione anche perché mai la storia si ripete fino in fondo. Roberta Forte

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DEMOCRAZIA DIRETTA E STATO SOCIALE Fin dalla sua comparsa sulla terra l’uomo si è caratterizzato come essere sociale, propenso ad unirsi per condividere e sviluppare con altri i comuni interessi e per meglio tutelare e difendere le proprie conquiste lavorative e sociali. Escludendo le società collettivistiche dove tutto è messo in comune e l’individualità annullata, possiamo affermare che le associazioni o microcomunità - da quella base rappresentata dalla famiglia unita da vincoli di amore e di sangue a quelle in ambito lavorativo come i sindacati e le associazioni di categoria - rappresentano le cellule del tessuto connettivo di una moderna, pluralista e ordinata società. Questa premessa è necessaria per comprendere lo spirito e le finalità della Democrazia Diretta che si colloca all’interno di un ampio e articolato processo teso al superamento del modello liberal-capitalista e al ridimensionamento del ruolo dei partiti ricondotti nell’alveo istituzionale. Dimentichiamoci, per il momento, dell’attuale sistema e pensiamo ad un qualunque lavoratore, operaio, impiegato o professionista, inserito in un sistema a Democrazia Diretta. Questi è chiamato ad eleggere, su base territoriale, secondo il principio delle primarie e senza il filtro dei partiti, il rappresentante della categoria di appartenenza. Il nostro lavoratore sarà motivato ad andare a votare e lo farà con la massima attenzione e competenza affinché gli interessi della sua categoria, e di conseguenza i suoi, siano perseguiti. Lo stesso vale per le altre espressioni significative della società: medici e insegnanti, sindacati e industriali, uomini di scienza e di cultura, casalinghe, sportivi, pensionati, immigrati… ogni realtà importante del nostro Paese avrà il suo rappresentante in Parlamento che, di fatto, sarà lo specchio fedele della società civile. I parlamentari risponderanno direttamente agli elettori da cui hanno ricevuto il mandato e non avranno bisogno, come avviene ora, di crearsi le clientele per assicurarsi la rielezione. Sarà sufficiente lavorare bene, nell’interesse della categoria di appartenenza e di quello supremo della Nazione. Non ci saranno più le tangenti ai partiti e le mazzette ai politici. Il Parlamento sarà composto da esponenti qualificati e da persone competenti. Non avremo più il tuttologo, il politico che un giorno fa il Ministro della Sanità e il giorno dopo il Ministro dei trasporti, bensì un medico a capo della Sanità, un ingegnere al dicastero dei Trasporti e un magistrato al Ministero della Giustizia. Tecnici prestati non alla politica, bensì alla Nazione. Al vertice dello Stato vedremo, anch’esso eletto direttamente dal Popolo, un Presidente della Repubblica con funzioni di Primo Ministro svolgere il delicato compito di governo della Nazione e


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di garante della pace sociale, in grado di intervenire con autorevolezza e senso dello Stato quando interessi di categoria o di parte, anche se legittimi, siano in contrasto con quello generale. I principi guida saranno l’interesse nazionale e l’autosufficienza, soprattutto in campo alimentare ed energetico (basta mortificare la nostra agricoltura per importare gli agrumi dalla Spagna, multare i nostri allevatori per importare il latte dalla Francia, abbandonare le centrali idroelettriche per importare la corrente dalla Svizzera…). A livello locale ci saranno le liste civiche, aperte a tutti e che si confronteranno sulla base di programmi concreti sfrondati da demagogie e interessi di partito. Con l’avvento della Democrazia Diretta i partiti continueranno ad esistere, ma saranno ricondotti nel ruolo essenziale d’indirizzo e di garanti delle libertà, senza ingerenze nella società civile e sconfinamenti nella gestione della cosa pubblica. Usufruiranno di finanziamenti statali, ma saranno tenuti alla compilazione della denuncia dei redditi sottoposta al vaglio della Guardia di Finanza. Sarà inoltre introdotta l’incompatibilità tra una qualunque carica di governo o istituzionale e cariche di partito: chi decide di servire la Patria lo deve fare senza alcun condizionamento o interesse di parte. Il Parlamento sarà, come ora, costituito da due rami, ma con composizione e compiti diversi: la Camera dei Deputati, espressione della società civile, si occuperà delle questioni sociali e il Senato della Repubblica, espressione della politica, avrà compiti di indirizzo e di politica estera. Le leggi dovranno passare al vaglio di entrambe le Camere per essere approvate dal Capo dello Stato, previa verifica da parte della Corte Costituzionale. Di provenienza politica saranno il Presidente della Repubblica e i presidenti delle Provincie (le Regioni saranno soppresse) nel cui Consiglio Direttivo siederanno, con pari potere e funzioni, i politici, le rappresentanze sindacali interne e i delegati delle associazioni più rappresentative degli utenti. Insieme, in un clima di concordia, concorreranno al miglioramento dei servizi e al contenimento della spesa. La concertazione tra le parti sociali, che oggi avviene all’esterno delle Istituzione con la saltuaria e pavida intermediazione del Governo, domani avverrà direttamente in Parlamento dove il confronto coinvolgerà non solo le parti in causa, ma anche le altre realtà a cui oggi è negata voce. Non avranno più senso gli scioperi (il diritto sarà comunque garantito) e cesseranno i ricatti tipo Fiat: finanziamenti statali in cambio della promessa del mantenimento dei posti di lavoro. La nuova Costituzione si armonizzerà in un rinnovato Stato Sociale con il ripristino di tutte le conquiste sociali oggi sacrificate sull’altare del libero mercato e della globalizzazione economica e si completerà con la Socializzazione delle Imprese (partecipazione degli operai alla gestione e agli utili delle grandi aziende) e con il diritto alla proprietà della prima casa attraverso l’Istituto del Mutuo Sociale finanziato e gestito direttamente dalle Provincie senza alcuna finalità di lucro. La sovranità monetaria sarà ristabilita con il ritorno allo Stato della Banca d’Italia, ora in mani

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private, e conseguente superamento del “signoraggio bancario” causa primaria dell’enorme e inestinguibile debito pubblico. Il ridimensionamento del potere bancario, il superamento della dipendenza economica dai mercati internazionali e dei vincoli europei saranno i primi obiettivi del nuovo governo nazionale, come pure la chiusura di tutte le basi NATO e americane presenti sul nostro territorio, fermo restando gli accordi di alleanza che dovranno essere ridefiniti a partire dalla nostra partecipazioni alle guerre “umanitarie”. I settori strategici (energia, sicurezza, sanità, istruzione e trasporti) e i servizi pubblici locali saranno sottratti alle logiche del mercato e del profitto per essere gestiti direttamente dallo Stato, con uomini dello Stato, scelti dallo Stato (e non dai partiti), competenti, motivati e retribuiti in funzione del ruolo svolto. Da questa riorganizzazione anche il nostro disastrato ambiente ne trarrà giovamento (ad esempio sarà introdotto l’obbligo per le nuove costruzioni dei pannelli fotovoltaici il cui costo, calmierato dallo Stato, sarà totalmente deducibile). L’evasione fiscale, altra piaga sociale, sarà combattuta riducendo le aliquote e permettendo anche ai privati di detrarre le spese non voluttuarie. Sono certo che queste proposte faranno saltare sulla sedia (o meglio... sulla poltrona) i politici di mestiere e i tanti che in questo sistema ci sguazzano. Lotteranno con i denti e con le unghie per mantenere i loro privilegi e le accuse di attentato alla democrazia e di ritorno al Fascismo si sprecheranno, come pure i tentativi di bollare le nostre idee come demagogiche e irrealizzabili. In effetti, come avrete compreso, non si tratta di semplici riforme, bensì di una rivoluzione, prima culturale e di pensiero e poi politica. La spinta deve venire dal basso, da un serrato e approfondito dibattito e i promotori non possono che essere i circoli culturali, le associazioni di qualunque tipo e persone estranee ai partiti. Le rivoluzioni nascono dal malcontento popolare, ma rimangono sterili o sfociano nel terrorismo se alla loro testa non si pone una élite costituita da uomini puri che sappiano trovare, forte del consenso popolare, le giuste strategie. Questa è la strada da perseguire. Senza ricorrere alla violenza o farsi tentare dalle scorciatoie militaristiche: non le vogliamo e non ne abbiamo bisogno perché… la nostra forza è nelle idee. Gianfredo Ruggiero

Articolo tratto dal libro di Gianfredo Ruggiero “La Forza delle Idee”.


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QUALE FUTURO PER LA DESTRA? Nel 1971 comparve sugli schermi del circuito d'essai uno strano movie a sfondo fantascientifico. "N.P. il segreto" - questo il titolo - era firmato da Silvano Agosti. Il film racconta la storia di un ingegnere che in un imprecisato futuro prossimo realizza una macchina in grado di trasformare rifiuti urbani in cibi commestibili. La progressiva meccanizzazione delle fasi produttive lascia liberi sempre più cittadini dall'incombenza del lavoro. Lo Stato concede loro generosi sussidi grazie ai quali poter vivere agiatamente. Ma il protagonista scopre che le sue invenzioni vengono usate dal governo come una sorta di pulizia sociale per eliminare tutti i soggetti che creano disturbo. La pellicola, che evoca lontane atmosfere orwelliane, fu letta alla stregua di un atto d'accusa contro "la natura brutalmente repressiva di un potere nato dalle istanze del capitalismo e della cultura borghese". Certamente l'ideologia del post sessantotto aveva giocato un ruolo nella creazione artistica facendone un cult per la sinistra massimalista. Tuttavia, non è per questo che il film di Agosti mi sia tornato alla mente. Ciò che trovo singolare, quasi inquietante, è la capacità anticipatrice manifestata dall'autore rispetto all'evolversi di una problematica che interroga il futuro dell'umanità: quale rapporto si instaurerà tra l'uomo e la macchina nei tempi che verranno? Non vi è dubbio che la fantapolitica "rivoluzionaria" degli anni Settanta dello scorso secolo almeno su di un punto abbia visto giusto: il progresso dell'automazione nei sistemi produttivi provoca la distruzione del lavoro. Già John Maynard Keynes, all'inizio del Novecento, aveva coniato l'espressione "disoccupazione tecnologica" per definire il processo di sostituzione, all'interno del mercato del lavoro, dell'uomo con le macchine. Sebbene ciò non si sia ancora del tutto verificato, le società avanzate devono fare i conti con incrementi del PIL ai quali non si connettono adeguati aumenti dei tassi d'occupazione. Ciò significa che le imprese concentrano ricchezza sottraendo capitale umano al processo produttivo. L'impiego su larga scala della robotica e della digitalizzazione favorisce la creazione di nuove imprese che, riducendo la componente umana, impegnano minore capitale per le fasi di Start up e Follow up. La trasformazione digitale sta ridefinendo la percezione del reale. All'acquisto di beni i consumatori non vi accedono mediante una personale valutazione della rapporto qualità-prezzo ma lo fanno ricorrendo alla mediazione del virtuale.

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Un esempio? Il grande evento epocale dell'Expo dedicato alle forme e ai modi di alimentare il pianeta, non prevede in nessun caso l'esposizione materiale dei prodotti agroalimentari ma soltanto immagini che mostrano, tramite uno storytelling molto seducente, i processi produttivi. Niente sapori, odori, sensi da attivare ma solo immagini computerizzate da vedere. Ne consegue che la maggiore domanda di professionalità il mercato del lavoro la rivolge ai profili che sappiano raccontare storie piuttosto che agli operatori che quei processi narrati sappiano realizzare perché le produzioni, di là dalle loro qualità intrinseche, debbono essere adeguatamente comunicate per essere commerciate. Nessuna meraviglia se la figura del comunicatore valga quanto se non di più di quella del produttore. Ma non è tutto oro ciò che luccica. Se la nuova dinamica introdotta dalla trasformazione digitale spinge fuori dal mercato del lavoro la manodopera a basso valore aggiunto, mantenendo inalterata la domanda per profili professionali alti, non è detto che, alla lunga, essa possa ovviare al rischio di una stagnazione strutturale delle economie nazionali. La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi in danno della capacità reddituale della maggioranza potrebbe avere effetti depressivi sulla domanda al consumo. Un assaggio di questo scenario lo stiamo vivendo proprio nella nostra quotidianità. Ben inteso, il problema non è solo italiano ma globale. Un rapporto redatto dalla Oxford Martin School in collaborazione con Citi GPS prevede che il 47% dei lavoratori americani rischierà di essere espulso dal mercato nei prossimi dieci anni. Ciò pone la società del futuro di fronte a due problemi ineludibili: le politiche attive del lavoro e la maggiore qualificazione dei nuovi profili per l'acquisizione di high skills. Per adesso, in Italia, nessuno dei due problemi è stato affrontato seriamente. L'implementazione delle nuove tecnologie nella fabbrica post-fordista è stata controbilanciata dall'estensione della rete di protezione sociale. Tuttavia, questo meccanismo non può reggere all'infinito. Non si tratta soltanto di pareggiare i conti pubblici. È questione ben più seria giacché attiene ai valori ispiratori di una comunità umana. Il primo punto del patto che lega gli italiani alla Repubblica sancisce il fondamento del lavoro alla base del contratto sociale. Oggi, si può ben dire che l'articolo 1 della Costituzione sia tra quelli desueti. Altrettanto l'Unione europea, sullo specifico terreno del lavoro, ha mostrato di essere un gigante di cartapesta. Troppe contraddizioni interne per colmare le lacune generate dagli andamenti asimmetrici delle economie dei singoli Stati membri. Resta comunque la necessità di riconfigurare il modello sociale all'interno del quale costruire alternative occupazionali efficaci. Ciò che le macchine intelligenti non potranno mai fare è di surrogare l'individuo nella realizzazione di manufatti creativi, frutto anche di una speciale manualità appresa nel corso di secoli di lavoro artigiano. Il bilanciamento alla civiltà della macchina potrebbe essere costituito dal rilancio del lavoro autonomo, sapiente e non ripetitivo, nel quale il fattore umano è inalienabile. Per ottenere una riconversione rispetto agli andamenti di mercato è necessario che anche lo Stato faccia la sua parte. Ad esempio, aiutando la nascita di microimprese attraverso il sostegno al credito. Oppure partecipando alla diffusione della rete del crowdfunding, attraverso la leva delle garanzie agli investitori.


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Ma un eventuale intervento pubblico nel sistema delle imprese, oltre che osteggiato dai regolamenti comunitari, rappresenterebbe un'interferenza inaccettabile per una visione liberista del mercato. Un fautore della libera intrapresa giudicherebbe una siffatta scelta politica alla stregua di un tradimento dei sacri principi del liberalismo economico. Tuttavia, lo stesso individuo dovrebbe riconoscere che il pensiero della Destra storica non ha mai tagliato i ponti con la questione sociale. Spirito d'iniziativa e solidarietà hanno convissuto anche nello schieramento opposto alla sinistra. Nonostante ciò, lo sviluppo tecnologico in atto proporrà, prima o dopo, il nodo della scelta di un unico modello socio-economico da perseguire. L'errore più grave che la destra politica italiana possa commettere è di abbandonare questa problematica alla giurisdizione della sinistra. Il rischio c'è e bisogna considerarlo perché esso è il nodo irrisolto di un conflitto combattuto all'interno della destra tra la sua declinazione liberista contro quella sociale, entrambe legittime e radicate nell'humus del pensiero liberale e conservatore. D'altro canto il fallimento dell'azione di governo degli ultimi anni della compagine di centrodestra è ascrivibile proprio alla mancata sintesi tra i due modi d'intendere le ragioni di un'appartenenza. Cionondimeno, l'odierna sinistra non può invocare alcuna primogenitura sull'argomento dal momento che la sua strategia è stata orientata alla difesa pressoché esclusiva del perimetro dei "garantiti", cioè di coloro che avendo conquistato diritti hanno egoisticamente ritenuto di difenderli anche in danno degli altri, in particolare delle nuove generazioni. Penso in particolare ai dipendenti della Pubblica Amministrazione e ai pensionati di media/alta fascia fuori dalle regole del contributivo. La sinistra, e con esso il sindacato, si sono spesi per audacia temeraria igiene spirituale difendere questa classe di nuovi privilegiati restando sordi al grido d'allarme lanciato dai sacrificati. La crisi economica che ha devastato la società dal 2008 è stata affrontata con i palliativi della cassa integrazione, nulla essendo previsto per esplorare nuovi modelli di welfare alternativi allo status quo. Il tanto danaro pubblico disponibile è stato consumato per tenere in vita un malato - l'impresa non riconvertita ai nuovi paradigmi tecnologici - allo stato vegetativo non avendo alcuna fiducia che quel malato potesse risvegliarsi e tornare a vivere in condizioni di normalità. Ora che le risorse si stanno esaurendo questa sinistra snaturata si limita a voltare lo sguardo da un'altra parte fingendo che il problema non esista. Questa rinuncia abilita la destra a proporsi alla guida del percorso culturale che dovrà rimodellare il senso della coesione comunitaria. Ma per farlo essa dovrà trovare la sintesi nel proprio campo. La parola chiave di una possibile mediazione è: sostenibilità del modello sociale. Non è ipotizzabile predire un futuro nel quale vegeti un popolo di inattivi dediti esclusivamente all'osservazione del trascorrere del tempo fisico. Perdere ogni orizzonte di senso, decurta l'essere umano del primo attributo della sua personalità: essere homo faber, artefice del proprio destino. Ciò che attende una destra all'altezza del proprio passato è di fare i conti con un futuro nel quale, per la prima volta, si possa verificare una perdita di centralità della persona all'interno dei processi produttivi. In realtà il fenomeno non riguarderà tutti indistintamente. È presumibile che

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una ristretta fascia d'individui continuerà a dominare la scena conquistando le posizioni attribuite alle classi dirigenti. Nulla di sbagliato in questo. Una società nella quale domini la sana diversità della disuguaglianza deve poter contare sulla forza propulsiva di un'organizzazione sociale verticalizzata. In natura qualsiasi sistema vitale è ordinato da un principio gerarchico. Perché la società umana dovrebbe fare differenza? Le élite hanno il compito di guidare la società a realizzare i propri scopi. Ora, il problema non è quello della lotta per l'egemonia quanto l'allargamento della base sociale da cui trarre le future oligarchie dei decisori. Se per la sinistra questo compito si risolve nella scelta degli elementi più fedeli a un'ideologia, per la destra dovrebbe funzionare un altro criterio selettivo profondamente diverso dal primo. Il discrimine dovrebbe essere posto non sulla fedeltà alla causa quanto sul riconoscimento dei valori tradizionali che hanno fondato la nostra civiltà. Saprà la destra riconoscere il valore di nuove aristocrazie del carattere che sappiano mantenere la barra dritta nel solco dei valori ideali con i quali il popolo si identifica? Occorrerà molto valore individuale e di gruppo per affrontare la riconversione dell'attività umana soppiantata, nel lavoro, dalle macchine. Vi è bisogno di una nuova morale aristocratica nel senso delle virtù da contrapporre alla "morale degli schiavi" di cui parla Nietzsche alla quale un perverso modello consumistico a ciclo continuo vorrebbe relegare un'umanità informe di decerebrati. C'è bisogno di guide politiche che s'intendano di cose spirituali e che sappiano agire offrendo, per dirla con de Benoist, "la sensazione di fare tutt'uno con la vita pur conservando una certa distanza di fronte ad essa, la convinzione che saper vivere e saper morire sono una sola e unica cosa." Per la destra questa è la sfida. Cristofaro Sola


GEOPOLITICA

CARBONE DA RIVALUTARE: INTERVISTA AD ANDREA CLAVARINO

Il carbone può aiutare a sconfiggere la povertà e a garantire l'approvvigionamento energetico per tutti. E con le Best Available Technologies, a ben guardare, è più ecologico dello shale gas. Luoghi comuni e realtà di una risorsa tutta da rivalutare, specie davanti ad uno scenario geopolitico che vede l'instabilità dei paesi produttori di gas. Ne abbiamo parlato con Andrea Clavarino, presidente di Assocarboni*. Parlare di energia prodotta con carbone sembra di fare un salto nel passato: perché è importante non trascurare questa forma di combustibile per produrre energia? A livello mondiale, circa la metà dell'aumento dei consumi di energia nell'ultima decade è stata soddisfatta dal carbone: negli ultimi cento anni l'ammontare di energia prodotta da questa fonte è stata pari all'energia prodotta da nucleare, rinnovabili, olio combustibile e gas sommati insieme. I vantaggi derivanti dall'utilizzo del carbone sono molteplici: sicurezza dell'approvvigionamento energetico, ampia disponibilità, competitività dei costi, intensità della mano d'opera, sicurezza nella movimentazione, trasporto, uso e compatibilità con l'ambiente grazie alla disponibilità di moderne tecnologie per l'ambientalizzazione degli impianti. Come autorevolmente ha previsto l'International Energy Agency, il carbone continuerà per decenni a fornire una percentuale importante dell'energia primaria e l'aumento principale dei consumi riguarderà in particolare i paesi non-Ocse. Lei indica il successo dell'impiego del carbone in Cina, grazie al quale è stato possibile nell'arco di 30 anni dare accesso all'elettricità per il 99% degli abitanti del paese più popoloso della Terra: eppure le metropoli cinesi si trovano notoriamente sotto una cappa di smog, con le polveri sottili che stanno attentando alla salute degli abitanti: non converrebbe alle autorità di Pechino puntare su altri combustibili come il gas o le risorse rinnovabili? In realtà, sono proprio i paesi in via di sviluppo a poter trarre i maggiori benefici dall'utilizzo del carbone, poiché è soprattutto in queste aree che aumenterà il bisogno di energia ed elettricità a costi contenuti. L'impiego delle moderne tecnologie è la migliore risposta per conciliare le necessità di industrializzazione e il rispetto dell'ambiente e della salute. I paesi industrializzati possono avere un ruolo chiave nel trasferimento delle tecnologie e nello specifico, vari accordi bilaterali tra Italia e Cina sono stati già siglati.

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GEOPOLITICA

L'Eppsa, l'Associazione europea dei costruttori di centrali termoelettriche, ha stimato che se le Bat (Best Available Technologies) fossero estese alle oltre 3mila centrali a carbone poco efficienti in funzione nei paesi in via di sviluppo, si eliminerebbero 1,5 miliardi di tonnellate di CO2 annue, pari a ben due volte e mezzo i 600 milioni di tonnellate che oggi vengono evitate grazie alle fonti rinnovabili, idroelettrica esclusa, ad un costo complessivo per sussidi stimato in $ 120 miliardi. Specialmente negli Stati Uniti viene estratto il gas di scisto: perché, a ben guardare, non è più conveniente, sotto i profili dell'inquinamento e dei costi, dell'impiego del carbone? Più studi di autorevoli centri di ricerca hanno dimostrato come, considerando l'intero ciclo di vita dei combustibili fossili, inclusa la fase di estrazione e post combustione, la differenza tra le emissioni di GHG (CO2eq) derivate dall'uso del gas naturale rispetto al carbone, si riduce drasticamente e tende ad annullarsi. Il recente studio elaborato dal Prof. Robert W. Howarth della Cornell University, dà la misura di quanto le emissioni dovute all'estrazione del metano (fugitive methane emissions), nonché la valutazione dei diversi GHG (CO2, CH4, N2O), ai fini del Global Warming Potential su un più opportuno arco temporale ridotto a 20 anni cambino drasticamente le valutazioni. In un articolo in prima pagina del Financial Times, è stato evidenziato come il boom dello shale gas in North Dakota, che provoca perdite in atmosfera di gas metano equivalenti al consumo elettrico annuo delle città di Chicago e Washington, stia sollevando preoccupazioni ambientali negli Stati Uniti, sia per l'impatto sulle comunità locali sia per l'inquinamento globale e i relativi costi che ne conseguono. Questo è uno dei motivi per cui in Italia è tuttora vietata la ricerca e l'estrazione di shale gas e il rilascio dei relativi titoli minerari. Il gas naturale è comunque un'ottima risposta all'impiego di gas fossili… Il mix energetico italiano è purtroppo fortemente sbilanciato sul gas, il che crea un'elevata ed eccessiva dipendenza da paesi politicamente instabili, oltre a pesare negativamente sulle nostre bollette elettriche che sono tra le più care di Europa, con gravi ripercussioni sulla competitività del sistema produttivo manifatturiero Paese. Inoltre, esistono problematiche di natura ambientale, come l'utilizzo delle tecniche di gas "flaring", vale a dire la costante combustione in fiaccola del metano associato al petrolio, che avviene durante la fase di estrazione dai giacimenti e che risulta essere triplicato negli ultimi 5 anni. Secondo le stime della World Bank, gli Stati Uniti risultano al quinto posto della classifica dei paesi interessati da tale pratica dopo Russia, Nigeria, Iran e Iraq. A questo si aggiungono le tecniche di diretto "venting" in atmosfera della CO2 naturalmente presente nei giacimenti insieme ai vari gas (metano, butano, propano, ecc.), che viene separata in fase di estrazione del metano dai giacimenti, per evitare di mettere in pipeline un enorme quantitativo di un gas non desiderato a destino. Come può l'impiego del carbone ridurre la povertà nel mondo e quali aree del pianeta ne gioverebbero?


GEOPOLITICA

Uno degli elementi costitutivi della povertà di molti paesi è la povertà energetica, definita come la mancanza di accesso a forme adeguate e affidabili di energia a prezzi sostenibili per soddisfare i bisogni primari degli individui, come mangiare, riscaldare gli ambienti, curarsi e spostarsi. Questa situazione riguarda oggi circa 2 miliardi di persone nel mondo, numero che si prevede in crescita a 3 miliardi entro il 2030, costituito prevalentemente da comunità dell'Africa SubSahariana, India, Sud Est Asia. La riduzione della povertà energetica nei Paesi in via di sviluppo è una condizione necessaria per promuoverne lo sviluppo economico e la dignità sociale. Ad oggi, 1,3 miliardi di persone nel mondo non hanno ancora accesso all'elettricità e 2,7 miliardi di persone utilizzano la biomassa tradizionale come fonte principale di energia e si rende assolutamente necessario uno spostamento verso il consumo di combustibili più efficienti. Il carbone, grazie alla sua economicità, alla competitività e alla sicurezza energetica che garantisce, è certamente il combustibile privilegiato per accompagnare lo sviluppo delle rinnovabili sulla strada della mitigazione del cambiamento climatico e permettere una crescita economica sostenuta e l'eliminazione della privazione energetica. Cosa sono le Best Available Technologies applicate all'impiego del carbone per produrre energia e quali vantaggi offrono? Un elemento centrale del processo di protezione dell'ambiente nel suo complesso, è l'applicazione delle “migliori tecniche disponibili'. In Italia, tutte le centrali a carbone sono certificate EMAS - la certificazione ambientale di standard europeo, più severa rispetto alla certificazione ISO 14001. Tali centrali eccellono anche dal punto di vista dell'efficienza, con un rendimento medio del 40% rispetto al 35% della media europea ed al 25% dell'Europa Continentale e per le centrali a carbone future si prevedono rendimenti superiori al 46%. Gli investimenti che le aziende italiane hanno intrapreso per abbattere le emissioni inquinanti, sono intervenuti su due fronti: o sulle tecniche e processi innovativi che migliorano le efficienze energetiche prevenendo all'origine la produzione di emissioni inquinanti; o sui sistemi sempre più sofisticati di trattamento dei fumi, quali i desolforatori, i denitrificatori, i depolverizzatori. Le conseguenze sono una rapida e significativa riduzione di tutte le emissioni inquinanti: o anidride solforosa (SO2): le emissioni sono state ridotte per oltre il 70% rispetto a vent'anni fa e sono oggi mediamente intorno ai 100 mg/ Nm3 a fronte di un massimo di 200 mg/Nm3 imposto dalle recenti normative; o ossidi di azoto (NOx): dopo una prima forte riduzione negli anni '90, le emissioni di NOx sono state ulteriormente ridotte raggiungendo un dato medio pari a 100 mg/Nm3 nettamente inferiore agli obblighi di legge (il tetto è 200 mg/Nm3); Ulteriori soluzioni prevedono lo sviluppo di tecnologie allo stesso tempo più efficienti e meno

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inquinanti, le cosiddette HELE - High-Efficiency, Low-Emissions.e l'utilizzo della CCS - Carbon Capture Storage, che l'Agenzia internazionale dell'energia (Aie) pone ai primi posti per importanza strategica nella risoluzione della crisi energetico-climatica. In Italia vi sono ancora centrali a carbone: quanto carbone viene usato ogni anno per produrre energia? Dove prendiamo il carbone? Qual è la spesa annua? L'Italia importa via mare circa il 90% del proprio fabbisogno di carbone, su una flotta italiana di circa 60 imbarcazioni che garantiscono una capacità di carico complessiva di oltre 4,6 milioni di tonnellate. Le provenienze sono molto diversificate: i principali paesi di importazione sono gli USA, il Sud Africa, l'Australia, l'Indonesia e la Colombia, ma anche il Canada, la Russia e il Venezuela. I dati consuntivi del 2014 per l'Italia sono in calo, a causa del perdurare della crisi e della chiusura di alcuni impianti: le importazioni di carbone da vapore sono infatti scese dell'11% rispetto al 2013, attestandosi a 16 milioni di tonnellate e, in parallelo, sono diminuite del 15% rispetto all'anno precedente le importazioni di carbone metallurgico e PCI, che si attestano a 4 milioni di tonnellate a fine 2014. Vi sono progressi tecnologici o studi marchiati Italia per la generazione di energia dal carbone a basso impatto ambientale? Ci sono certamente in Italia prospettive incoraggianti: tra i vari progetti, il Paese è impegnato in un programma di innovazione industriale volto allo sviluppo e ingegnerizzazione della tecnologia di ossicombustione per la cattura della CO2 e successivo stoccaggio geologico. Il progetto è sviluppato da "Sotacarbo - Polo tecnologico per le energie pulite" del Sulcis, con l'obiettivo di favorire la competitività dell'industria nazionale nel mercato internazionale, con particolare riferimento a quello cinese e dei Paesi grandi utilizzatori di carbone nei prossimi decenni. Enrico Oliari

*Assocarboni è un'associazione senza fini di lucro fondata nel 1897 che raggruppa le aziende nazionali ed internazionali che operano nel settore dei combustibili solidi, con sede in Italia a Roma e rappresentata a Londra e Bruxelles. In ambito nazionale, Assocarboni aderisce a Confindustria Energia e fa parte del Consiglio di Amministrazione della Stazione Sperimentale per i Combustibili, istituto di analisi e ricerca sui combustibili del Ministero dello Sviluppo Economico. In ambito internazionale, è membra del CIAB (Coal Industry Advisory Board), sezione dell'International Energy Agency che raggruppa più di 40 aziende (aziende produttrici e aziende di generazione elettrica) provenienti da 14 differenti paesi, della WCA (World Coal Association) di Londra e del "Working Party on Coal" del Comitato Energia ECE - ONU di Ginevra.


SCIENZA & TECNOLOGIA

AL VIA I VOLI DI LINEA SENZA PILOTA La NASA, in collaborazione con il governo e l'industria partner, sta testando un sistema che renderà possibili, all’interno dello spazio aereo statunitense, i voli di linea senza pilota. Attraverso l'agenzia Unmanned Aircraft Systems Integration coinvolta nel progetto nazionale Airspace (UAS-NAS), la NASA, la Federal Aviation Administration (FAA), General Atomics Aeronautical Systems, Inc. (GA-ASI) e Honeywell International, Inc., stanno effettuando, da giugno 2015, una serie di test che presso l’Armstrong Flight Research Center della NASA in California. "Siamo entusiasti di continuare la nostra partnership con GA-ASI e Honeywell per raccogliere i dati dei test di volo che saranno di aiuto nello sviluppo di norme necessarie per integrare in modo sicuro questi aeromobili nel Sistema Nazionale dello spazio aereo", ha detto Laurie Grindle, UASNAS project manager presso Armstrong. Questa è la terza serie di test e si basa sul successo di esperimenti simili condotti alla fine dello scorso anno. Le prove servono a dimostrare come un velivolo autonomo, interagisce con i controllori del traffico aereo e con i normali flussi di traffico aereo. "E’ la prima volta che stiamo testando tutti gli sviluppi tecnologici del progetto, nello stesso tempo." ha detto Grindle. I test prevedono due fasi. La prima è incentrato sulla convalida dei sensori, sulle traiettorie e altri modelli di simulazione utilizzando dati in tempo reale. Alcune prove si avvarranno di un aereo Ikhana (nella foto), dotato di un sistema di sensori aggiornato. Il sistema include un nuovo programma di traffico per evitare le collisioni e altro software avanzato realizzati da Honeywell. Altri test di velocità coinvolgeranno un aereo S-3B del Glenn Research Center della NASA a Cleveland. Entrambi i test interagiranno con altri aerei e le loro traiettorie anche al fine di verificare la capacità automatica di evitare collisioni. Durante il test svoltosi il 17 giugno e durato poco più di cinque ore, la squadra aerea composta dall’Ikhana ed un C90 della Beech Kinh Air nel ruolo di intruso, ha compiuto 14 incontri. Un secondo test, effettuato il giorno dopo, si è basato su 23 incontri. Il team del progetto ha in programma di far effettuare più di 200 incontri in tutta la prima fase della serie di test. La seconda fase della terza serie di test inizierà in agosto. Fonte Nasa GP

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SCIENZA & TECNOLOGIA

SPAZIOPORTO: UN ALTRO PASSO AVANTI L’era dei voli spaziali commerciali è sempre più vicina. E’ stato compiuto un altro passo avanti nella trasformazione del Kennedy Space Center della Nasa in Florida in uno spazioporto multiutente. Grazie ad un recente accordo lo storico Shuttle Landing Facility della Nasa, dotato di una delle piste più lunghe del mondo, ha un nuovo operatore: la Space Florida, l’autorità di sviluppo aerospaziale della Florida. L’accordo prevede la gestione trentennale dello spazioporto. "Il nostro viaggio verso Marte passa dritto attraverso la Florida, e questo accordo contribuisce ad ampliare i molti modi in cui il nostro Kennedy Space Center sarà in grado di supportare la prossima generazione di volo spaziale umano", ha detto l'amministratore della Nasa Charles Bolden. "Dopo l'ultimo atterraggio dello Space shuttle nel 2011, il sito è stato trasformato in una struttura multi-utente idonea supportare una pluralità di partner commerciali ed istituzionali", ha dichiarato Bob Cabana, direttore del Kennedy. "Non vediamo l'ora di collaborare con la Space Florida per espandere e potenziare il multi-uso di questo bene che ha segnato la storia del volo spaziale." Le imprese private spesso richiedono servizi di Shuttle Landing. Tale domanda è destinata ad aumentare poiché le imprese del settore in fase di start-up evolvono in imprese mature. Il nuovo accordo con la Space Florida consentirà di massimizzare le opportunità di utilizzo della pista in modo creativo, pur mantenendo la sua capacità di servire la Nasa. "Questo segna l'alba di una nuova era per il volo spaziale orizzontale in Florida e il paese nel suo complesso", ha detto il presidente di Space Florida e CEO Frank Di Bello. "La pista più lunga del mondo sta per diventare la pietra angolare della prossima generazione di spazioporti commerciali" Costruito nel 1974 per il rientro delle navette spaziali, l'impianto è stato aperto per i voli nel 1976. La pista di cemento è lunga 15.000 piedi e larga 300 piedi ed è in grado di supportare tutti i tipi e dimensioni di aerei a decollo orizzontale. Fonte Nasa GP


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CULTURA POLITICA DOSSIER

Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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