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Aeromensile di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

Nuova serie - Numero 18 Novembre 2013 - Anno XVI

ITALIA BALLERINA : STA I V DI

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PRIMO PIANO - MONOGRAFIA DI CRISTOFARO SOLA: POTERI SEPARATI IN CRISI? IL CASO ISRAELE


www.confini.org

Confini Aeromensile di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 18 (nuova serie) - Novembre 2013 - Anno XVI

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettore: Massimo Sergenti +

Comitato promotore: Antonella Agizza - Mario Arrighi - Anna Caputo Marcello Caputo - Elia Ciardi - Gianluca Cortese - Sergio Danna - Danilo De Luca - Alfonso Di Fraia - Luigi Esposito - Giuseppe Farese - Enrico Flauto - Giancarlo Garzoni - Alfonso Gifuni - Andrea Iataresta - Pasquale Napolitano - Giacomo Pietropaolo - Angelo Romano Carmine Ruotolo - Filippo Sanna - Emanuele Savarese Massimo Sergenti +

Hanno collaborato a questo numero: Pietro Angeleri Anna Patrizia Caputo Gianni Falcone Giny Pierre Kadosh Enrico Oliari Alfonso Piscitelli Angelo Romano Massimo Sergenti Cristofaro Sola +

Segreteria di redazione: confiniorg@gmail.com

+ Registrato presso il Tribunale di Napoli n. 4997 del 29/10/1998

confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone

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EDITORIALE

SE LA POLITICA INCONTRA LA SCIENZA La Destra italiana, pur avendo nel suo genoma l'esperienza Futurista, non ha mai mostrato grande interesse per la scienza e le tecnologie. Sarà per la feroce critica al mondo moderno portata avanti da Evola, sarà per il supposto retaggio "aristocratico" che in nessun conto tiene le questioni pratiche o per l'eccesso di attenzione allo spirito ed alla dimensione trascendente. Eppure, mai come adesso, i legami tra scienza, tecnologia e politica sono stati tanto indissolubili e intensi, al punto tale che la politica non può non avere tra le sue priorità la scienza e le sue applicazioni. La tecnologia - che è scienza applicata - difatti, non solo pervade la vita quotidiana di ciascuno, ma determina cambiamenti, opportunità, implicazioni sociali che la politica non può glissare. L'automazione industriale spinta ha conseguenze dirette sull'occupazione e, in prospettiva, sullo stesso concetto di proprietà, se si immagina un'entità in cui tutte le produzioni siano integralmente automatizzate. La corsa allo spazio ha enormi implicazioni sullo sfruttamento di nuove risorse ed offre talmente tanti nodi da sciogliere che sta nascendo un "diritto dello spazio". Lo stesso vale per i giacimenti abissali. Lo sviluppo delle telecomunicazioni ha implicazioni sullo spionaggio, come le recenti cronache ci hanno dimostrato, ma anche sulla salute pubblica e sui diritti fondamentali delle persone. La robotica, che si prepara alla fruizione di massa, avrà implicazioni sulla vita domestica, sulla sicurezza, sull'occupazione e persino sui codici della strada, atteso che, per il 2020, è prevista la commercializzazione della prima auto senza guidatore. I droni, che sono una realtà operativa, tanto militare che civile, influenzano le strategie militari, quelle della protezione civile e rendono anche possibile lo sfruttamento dei giacimenti sottomarini. Gran parte delle questioni bioetiche sono direttamente correlate ai progressi scientifici nel campo della medicina e delle biotecnologie. Per non parlare delle nanotecnologie, del web, delle criptazioni, delle reti neurali, dell'intelligenza artificiale, dell'energia, della realtà virtuale, dei calcolatori quantistici e delle meno note applicazioni nel campo delle scienze sociali e persino della pubblicità. Gli Stati Uniti sostengono robustamente la scienza, le nuove tecnologie e la diffusione di massa della cultura scientifica. Si tratta di una scelta politica lungimirante - che andrebbe presa a modello in Europa - che ha lo scopo di consentire a quella nazione di mantenere, in prospettiva, i suoi primati.


EDITORIALE

E i primati di una nazione non sono più demografici o meramente economici, ma esclusivamente scientifici e tecnologici (e, quindi, anche militari ed economici). La Nasa ha già costruito il primo iniettore per razzi con la stampa 3D e si accinge a "stampare" anche gli alimenti per gli astronauti. Da questa spinta innovatrice sono nate industrie capaci di stampare in 3D polveri metalliche ad altissima resistenza e nasceranno di sicuro nuove industrie in grado di stampare il motore di un auto o un robot su misura o alimenti e mangimi. E i vantaggi si riverseranno sulla nazione e sulla politica lungimirante. Due fisici dell'Università di Manchester (Nobel 2010) hanno messo a punto, nel 2004, un nuovo materiale, il graphene costituito da reticolo di grafite spesso un solo atomo e duro come il diamante. Si tratta di un materiale che sta rivoluzionando l'elettronica. I laboratori dell'Ibm e poi dell'Ucla hanno realizzato transistor capaci di velocità incredibili (300 Ghz contro i 40 del più veloce transistor precedente), altri hanno realizzato schermi pieghevoli e trasparenti e siamo solo all'inizio. Le implicazioni tanto economiche che militari sono evidenti. La Polonia ha compreso la portata della scoperta ed oggi l'Università di Varsavia detiene decine di brevetti sulle applicazioni del graphene, poi lo ha compreso anche la UE che ha finanziato un apposito progetto. L'Italia, in particolare la politica italiana, forse non sa ancora di cosa si tratta. Meno che mai la Destra politica. Nella classifica 2013 redatta da Nature - peraltro stilata sul numero di pubblicazioni e non sui brevetti o le scoperte - il Cnr è la sola istituzione scientifica italiana che vi compare (al 95° posto su 200). Ci sono voluti gli inglesi per fare uno spettacolare film su Pompei anche se, a pochi chilometri, ad Ercolano esiste da anni il Museo Archeologico Virtuale, una buona idea vanificata dalla politica che usa il museo quale parcheggio per politici non eletti. Eppure basterebbe dare un'occhiata alle attività delle istituzioni statunitensi per capire cosa la politica può fare per la scienza e per la promozione della cultura scientifica e quanto possa essere feconda la relazione. Ed è da rimarcare che si tratta di istituzioni pro-attive, in dialogo con i cittadini, aperte e non chiuse e passive come le paludate e baronali istituzioni italiane. E’ tempo che la politica italiana ed in particolare la Nuova Destra, che comincia a prendere forma e consistenza culturale, scoprano l’importanza di allearsi strategicamente con la scienza ed ogni suo corollario, fino alla divulgazione di massa della cultura scientifica. Questa può sembrare davvero un corollario eppure è il solo strumento per diffondere nella popolazione l’amore per la scienza, la curiosità verso le tecnologie, le emozioni delle scoperte. E anche su questo piano l’Italia del dopoguerra è stata un Paese avaro. Solo alla fine degli anni ‘50 la mia esperienza di ragazzo incrociò per la prima volta la divulgazione scientifica grazie ad una raccolta di figurine: “Ruote, vele ed ali” che accese molte delle mie curiosità in materia. Solo negli anni ‘60 apparve l’edizione italiana di Scientific American che leggevo avidamente e avrei fatto l’ingegnere se solo la scuola fosse stata più in grado di spiegarmi la matematica, piuttosto che rendermela odiosa e astrusa. Eppure è solo un modo per descrivere la realtà, come una lingua. Angelo Romano

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SCENARI

ITALIA BALLERINA Si toglie l’Imu, ma ipocritamente si introduce un’altra tassa per far pagare casa e servizi, come se le tasse non servissero a pagare i servizi pubblici. I marò sequestrati dagli indiani restano in Italia, poi ci si ripensa e si rispediscono nelle galere indiane. Dovremmo abbattere il debito pubblico ma solo quest’anno è cresciuto di altri sei miliardi. Siamo la culla del diritto ma abbiamo carceri da terzo mondo. Abbiamo tanti Ministeri eppure ci siamo dotati di ben 11 Autorità cui delegare parte delle loro funzioni. Possediamo i giacimenti culturali più importanti del mondo e li lasciamo deperire per incuria. Pensiamo di vendere le spiagge per fare cassa e poi ci ripensiamo. Vorremmo riformare e riformare e riformare, ma niente cambia da almeno vent’anni. Appoggiamo Israele e sottobanco foraggiamo i Palestinesi. Ci piacerebbe una giustizia giusta, con meno carcerazioni preventive, con giudici finalmente responsabili dei loro errori, con processi rapidi ed equi ma subiamo un giustizia arretrata, costosa, lenta come una lumaca, castale più della riprovevole Casta e, spesso, troppo spesso, tanto contraddittoria da lasciare sgomenti, visto il numero di sentenze puntualmente ed integralmente ribaltate nei vari gradi di giudizio. E che dire delle granitiche convinzioni delle cosiddette forze politiche sempre pronte a cancellare l’operato dei predecessori ed a sostenere, per convenienza, tutto ed il contrario di tutto. Abbiamo la privacy più tutelata del mondo, ma siamo spiati dagli americani, dal Fisco, da Internet e da chiunque ne abbia voglia. Dovremmo tutelare il “made in Italy” ma siamo i primi a falsificare le griffes blasonate. Abbiamo una Repubblica fondata sul lavoro e siamo un Paese di disoccupati e di neo-straccioni. E si potrebbe andare avanti all’infinito a descrivere quest’Italia ballerina e ondivaga, provinciale e marginale, eternamente divisa e mai unita e che affida i suoi destini una volta Di Pietro e Mani pulite, una volta a Prodi ed una al Cavaliere, una volta a Monti ed una a Letta o che sogna di affidarli a Bersani e poi a Grillo e a Renzi o ad Alfano o a Re Giorgio. I sorrisi ironici della Merkel e di “Sarko” non erano per il Cavaliere, o non solo per lui, erano rivolti all’Italia intera nel suo più alto rappresentante, ma nessuno si è indignato, ci si è solo divisi, come sempre. Si dividono i partiti tra falchi e colombe, tra governativi e lealisti, tra renziani, cuperliani, pittelliani, civatiani e fioroniani, tra montiani e casiniani. Si dividono le redazioni tra scalfariani e debenedettiani.


SCENARI

Tutti si dicono bipolaristi (ma sono bipolari) e sfasciano i poli, vorrebbero unanimemente cambiare il “Porcellum”, ma nessuno se cura. Il governo fa la legge di stabilità ma non la difende. Si dividono le famiglie, si strappano i figli ai genitori solo perché fecondati oltre frontiera, si contrappongono i tifosi negli stadi, tanto da far andare in deliquio i giocatori. Si dividono e si contrappongono i poteri dello Stato, si dividono i campanili come Pisa e Livorno, si divide il corpo della nazione tra nord e sud, ricchi e poveri, protetti e non protetti, precari e stabilizzati, dipendenti pubblici e privati, sindacalizzati e non e si dividono anche i tassisti, i farmacisti, i baroni, gli studenti e il mondo ride di noi, fingendo di assecondarci finché restiamo mastini fedeli senza grandi pretese. Ma siamo soli, in balia di noi stessi. Un’infima minoranza di 60 milioni di italiani su sette miliardi di abitanti dell’intero pianeta, nove miliardi tra 4 decenni. Continuando a dividerci, perseverando nel non avere una rotta definita e stabile, nell’essere ondivaghi facciamo solo il gioco di quanti anelano a scalzarci dalla ridotta area del benessere per prendere il nostro posto. Dice bene chi ci definisce una Repubblica senza Patria. Fra tre anni l’economia della Cina avrà superato quella degli Stati Uniti e, in un Occidente in declino, ognuno penserà sempre più a sé stesso per conservare una posizione di relativo privilegio. E l’Italia? Sarà divorata dai suoi creditori ed espulsa dal consesso delle nazioni più avanzate. Finirà ai margini dell’opulenza e dovrà soggiacere alle bizzarrie dei nuovi potenti che compreranno a prezzo di scampolo le sue bellezze. Già qualcuno ha comprato le aziende del lusso, la grande distribuzione, l’industria dolciaria, pezzi cospicui delle grandi imprese. E la Fiat che sbarca negli States è solo la rondine che non fa primavera, visto che ancora vivacchia di 500 e di 600 mentre la concorrenza evolve. Se non comprendiamo fino in fondo quanto sia esile la nostra speranza di futuro non troveremo la forza per non dividerci ancora e sempre. Pierre Kadosh

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POLITICA

IL MINUETTO DEI DEBUTTANTI Con i risultati del recente Consiglio nazionale del Pdl, a prescindere dalle parole di Letta, si è veramente chiuso un ventennio. Chissà. Forse è un bene, alla fin fine, che la rottura si sia realizzata. Non tanto per Alfano e i suoi seguaci o per Berlusconi e il suo contorno quanto, invece, per il Paese. Perché, diciamolo, alle monotematiche espressioni del Cavaliere si sono contrapposte monotematiche espressioni del Pd: un fatto che, in venti anni, non ha reso un bel servizio al Paese, impoverito sempre più, oltre che economicamente, intellettualmente e culturalmente, soprattutto. Ognuno, quindi, ha avuto le sue colpe. Il Cavaliere, che nel '94 rappresentava il "nuovo", la cesura con le vicende da basso impero emerse poco prima, avrebbe dovuto traghettare il Paese fuori dalle sabbie mobili di Tangentopoli dove la politica e le sue forme, che avevano caratterizzato la vita italiana per trentacinque anni, si erano arenate per poi sparire. In realtà, il Cavaliere non ha traghettato un bel nulla, nonostante gli impegni e i contratti con gli italiani. L'Europa,audacia nei trascorsi vent'anni, non ha cambiato di una virgola il suo atteggiamento nei temeraria igiene spirituale confronti dei Paesi membri, non tenendo minimamente in conto le strampalate dichiarazioni di fuoco del leader del centro destra. Anzi, ha rafforzato il suo assetto e la sua impronta tecnicorazionalista, peraltro con l'aiuto dello stesso Cavaliere che, poco prima di lasciare, per dimostrare la "grandezza e la salubrità" del Paese, ha dato la zappa sui piedi degli italiani impegnandosi con il Patto di Stabilità. Il pareggio di bilancio al 2014? Ma, no, mi consenta. Facciamolo al 2013. Ed anche l'Italia, in vent'anni, anziché allontanarsi dalla morta gora, dove gli esponenti dei partiti della cosiddetta prima repubblica la stavano conducendo, ci si è sempre più avvicinata. Non c'è dubbio: non solo siamo molto più poveri rispetto al 1993 ma anche molto più incolti e incivili. Siamo finanche sprovvisti di una vera identità e non possiamo trarre da alcunché motivo di orgoglio. Neppure dall'appartenenza. La scuola e la famiglia non trasmettono più le tradizioni, come le definiva il grande sociologo Ortega y Gasset, affinché i giovani, da barbari, divenissero cittadini. Non esiste più alcuna forma di timore educativo: non verso i genitori, non verso gli insegnanti e neppure, per chi dice di crederci, verso il Padreterno. E' tutto oggetto di rapporti di forza, di trattativa, di sudditanza, di soccombenza, di buonismo, di opportunismo, di menefreghismo. Su questo, la sinistra, dopo aver riempito gli organici del ministero di grazia e giustizia e della pubblica istruzione a partire dal 1976, avrebbe molto da recriminare per lo sfacelo valoriale e ideale emerso negli ultimi venti anni. Ma, forse, oggi, nella sua insipienza, neppure si rende


POLITICA

Con i risultati del recente Consiglio nazionale del Pdl, a prescindere dalle parole di Letta, si è veramente chiuso un ventennio. Chissà. Forse è un bene, alla fin fine, che la rottura si sia realizzata. Non tanto per Alfano e i suoi seguaci o per Berlusconi e il suo contorno quanto, invece, per il Paese. Perché, diciamolo, alle monotematiche espressioni del Cavaliere si sono contrapposte monotematiche espressioni del Pd: un fatto che, in venti anni, non ha reso un bel servizio al Paese, impoverito sempre più, oltre che economicamente, intellettualmente e culturalmente, soprattutto. Ognuno, quindi, ha avuto le sue colpe. Il Cavaliere, che nel '94 rappresentava il "nuovo", la cesura con le vicende da basso impero emerse poco prima, avrebbe dovuto traghettare il Paese fuori dalle sabbie mobili di Tangentopoli dove la politica e le sue forme, che avevano caratterizzato la vita italiana per trentacinque anni, si erano arenate per poi sparire. In realtà, il Cavaliere non ha traghettato un bel nulla, nonostante gli impegni e i contratti con gli italiani. L'Europa, nei trascorsi vent'anni, non ha cambiato di una virgola il suo atteggiamento nei confronti dei Paesi membri, non tenendo minimamente in conto le strampalate dichiarazioni di fuoco del leader del centro destra. Anzi, ha rafforzato il suo assetto e la sua impronta tecnicorazionalista, peraltro con l'aiuto dello stesso Cavaliere che, poco prima di lasciare, per dimostrare la "grandezza e la salubrità" del Paese, ha dato la zappa sui piedi degli italiani impegnandosi con il Patto di Stabilità. Il pareggio di bilancio al 2014? Ma, no, mi consenta. Facciamolo al 2013. Ed anche l'Italia, in vent'anni, anziché allontanarsi dalla morta gora, dove gli esponenti dei partiti della cosiddetta prima repubblica la stavano conducendo, ci si è sempre più avvicinata. Non c'è dubbio: non solo siamo molto più poveri rispetto al 1993 ma anche molto più incolti e incivili. Siamo finanche sprovvisti di una vera identità e non possiamo trarre da alcunché motivo di orgoglio. Neppure dall'appartenenza. La scuola e la famiglia non trasmettono più le tradizioni, come le definiva il grande sociologo Ortega y Gasset, affinché i giovani, da barbari, divenissero cittadini. Non esiste più alcuna forma di timore educativo: non verso i genitori, non verso gli insegnanti e neppure, per chi dice di crederci, verso il Padreterno. E' tutto oggetto di rapporti di forza, di trattativa, di sudditanza, di soccombenza, di buonismo, di opportunismo, di menefreghismo. Su questo, la sinistra, dopo aver riempito gli organici del ministero di grazia e giustizia e della pubblica istruzione a partire dal 1976, avrebbe molto da recriminare per lo sfacelo valoriale e ideale emerso negli ultimi venti anni. Ma, forse, oggi, nella sua insipienza, neppure si rende conto del disastro culturale prodotto dall'insegnato e praticato pervicace materialismo. Comunque, il fatto è che nel trascorso ventennio, nonostante le boutades sui comunisti, il Cavaliere non ha combattuto, ma neppure impostato, alcuna iniziativa culturale che risanasse le profonde ferite prodotte dagli errati insegnamenti e pratiche dei seguaci del marxismoleninismo. Anzi, in nome di un'insignificante "libertà" ha agevolato il "mercato", nuovo Padreterno, a tracimare dai suoi ambiti e a fare la sua entrée nelle stanze dei bottoni. Così, persino nei rapporti etico-sociali, questo Paese ha visto un tale scadimento che le tangenti emerse da Mani Pulite sono quasi da considerarsi "nobili" royalties. Almeno, la presenza dello

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POLITICA

Stato, sia pur infarcito da personaggi corrotti, allora era avvertita. Forse attraversato da spinte deviazionistiche dei servizi, forse addirittura animatore di stragi, con uomini forse impelagati nelle fratellanze massoniche deviate, lo Stato comunque era una realtà della quale l'economia doveva tenerne conto. Oggi siamo alla guerra per bande, dove lo Stato non ricopre neppure il ruolo di arbitro; anzi, l'unica funzione che si è ritagliata è quella di raccoglitore delle macerie sociali che ingombrano il campo di battaglia. E', purtroppo, la verità: il Cavaliere non può ascrivere ai suoi Governi alcuna medaglia riformatrice. Nemmeno quella della Magistratura a lui tanto cara. Ma se Atene piange, Sparta non ride perché non si può dire nulla di diverso per la cosiddetta sinistra. Nonostante il suo leitmotiv avversatore, nei dieci anni di governo non è riuscita a varare nemmeno la legge sul conflitto d'interessi. Non parliamo, quindi, di riforme fiscali, sociali, ambientali, amministrative, istituzionali, preferite nel suo solo lessico pseudo politico. Mi correggo: una riforma istituzionale l'ha varata. Ha reso le Regioni un soggetto dalla spesa pubblica incontrollata e una voragine senza fondo. Quindi, forse, un dissennato ventennio si è chiuso. Ma ciò non significa che i soggetti che si affacciano ora alla ribalta della politica sappiano o vogliano fare meglio di quanto finora fatto. Anche perché, all'interno dei partiti, si è persa la sana abitudine di pensare, di studiare, di riflettere, di confrontarsi, per badare più al contingente, in modo raffazzonato, per giunta, senza più conoscere il significato di prospettiva. Così come, di contro, si è radicato al loro interno il perverso audacia convincimento che i problemi Paese debbano essere affrontati con le sole tecniche temeraria igienedelspirituale ragionieristiche. In sostanza, la sola differenza tra gli schieramenti è data dalle loro sedicenti capacità di fare i conti. Non so cosa voglia fare la sinistra con i suoi Renzi, Cuperlo, Civati e quanto questi possano rappresentare un nuovo "nuovo". E nemmeno cosa si prefigga Scelta Civica e i sui nuovi vertici, la Stefania Giannini e il Bombassei, dopo l'abbandono dei centristi In ogni caso, sono argomenti che non m'avvincono. E, onestamente, non m'interessa nemmeno l'avventura dei centristi; nemmeno quelli fuoriusciti dal Pdl nonostante abbiano deciso di definire il loro gruppo "nuovo centrodestra". Non so, peraltro, cosa significhi in concreto "popolarismo europeo", verso il quale sembrano tendere in parecchi, e nemmeno quanta attenzione possa suscitare nell'elettorato un raggruppamento che, praticamente, esiste solo nel Parlamento europeo e si regge sulle mediazioni delle mediazioni delle mediazioni. Il futuro, in ogni caso, ce lo dirà. La questione che, invece, avrebbe potuto incuriosirmi è quella dei destini della destra. Ma, approfondimenti in quel senso mi hanno dissuaso dal farlo a causa del goliardico, paradossale, sillogismo aristotelico che, ai miei tempi, suonava così: l'uomo fischia, il treno fischia, l'uomo è un treno. Scherzo, ma fino ad un certo punto. Se il Nuovo centrodestra degli alfaniani punta al popolarismo europeo e se Berlusconi ha definito "cugini" i fuoriusciti, buoni cioè per future alleanze,


POLITICA

Berlusconi continua a voler restare nei Popolari europei. E sembra, almeno all'apparenza, che gli stessi sentimenti l'abbiano anche le altre formazioni di sedicente destra, Prima l'Italia, Fratelli d'Italia, La Destra, e persino l'ectoplasma di Alleanza Nazionale, che hanno dichiarato tramite i suoi esponenti di voler prediligere l'alleanza col Cavaliere, naturalmente tutti con strumentali, pittoresche puntualizzazioni. Ma, si sa, il porcellum favorisce i soggetti in coalizione. Persino l'ultima nata in quel mondo, Libera Destra, il “pensatoio” vicino a Gianfranco Fini, ha dichiarato di guardare con interesse alle mosse di Alfano. Allora, non c'è dubbio, l'uomo è un treno e la politica sta diventando uno stucchevole minuetto. Non per voler essere nostalgico ma che ne è dei vecchi, attualissimi temi della destra come identità, multiculturalismo, comunitarismo, federalismo, europeismo, anti-imperialismo, laicismo, ecologismo? Ma! Saranno rimasti nella fogna, insieme alla voce, dove non la società né l'ordine costituito e nemmeno la destra bensì le parodie di quest'ultima li hanno condannati. Massimo Sergenti

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POLITICA/PUNTO DI VISTA

IL PROGETTO EU - RUSSIA Progetto Eu-Rus è un network intellettuale che si pone l'obiettivo di riunire tutti coloro che in Italia affermano l'esigenza storica di una integrazione tra Europa e Russia: tra Unione Europea e Confederazione degli Stati Indipendenti. Personalmente sono partito dalla convinzione che nella nostra epoca storica l'Italia e l'Europa possono essere grandi solo se concepiscono sé stesse in unione con la Russia. E questo per ragioni energetiche: gli immensi giacimenti di petrolio e gas naturale del territori russo-siberiano. Per ragioni militari: la Federazione Russa è una superpotenza con un significativo armamento nucleare e convenzionale. Per ragioni diplomatiche: la Russia siede dal 1945 al tavolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti, come potenza vincitrice del II conflitto mondiale. Per ragioni politiche: la Russia ha oggi uno stabile assetto costituzionale di tipo presidenzialista, che garantisce una leadership forte, ma anche un vivace dibattito politico di cui sono protagoniste le due opposizioni più popolari (quella neo-comunista e quella nazionalista). Per ragioni geopolitiche: la Russia, ponte tra Europa e Asia, occupa quella posizione strategica che il maestro della geopolitica inglese, Mackinder, definiva "Heartland" ovvero il "Cuore del Mondo". A queste ragioni si aggiungono le motivazioni culturali e identitarie: superata la fase comunista la Russia è oggi un paese dove il cristianesimo è tollerato e rispettato. In Russia farsi il segno della croce in pubblico non è blasfemo e le giornaliste non vengono cacciate dai telegiornali se espongono un crocifisso al collo. In Russia vige stabilmente il diritto naturale e i bambini hanno un padre e una madre, non un "genitore uno" e "genitore due" di genere amorfo. I Russi condividono le stesse origini storiche degli europei, anzi le stesse stirpi europee probabilmente si diffusero da un punto centrale della immensa pianura russa. La cultura russa è fondamentale per comprendere il travaglio della modernità europea: si comprende il nichilismo europeo se si legge Nietzsche accanto a Dostoevskij, si comprende l'utopismo europeo se si legge Tolstoj accanto a Rousseau. Di questo legame culturale tra Europa e Russia l'Italia è testimone particolarmente significativo: San Pietroburgo, la "Venezia del Nord", esprime il genio dei grandi architetti italiani del Settecento.


POLITICA/PUNTO DI VISTA

L'idea di un Europa allargata alla Russia riprende oggi la concezione del grande statista francese Charles de Gaulle: l'Europa unita dall'Atlantico agli Urali, e oltre. Sulla base di questa visione mi sono guardato un po' in giro per vedere se ci sono in Italia scrittori, giornalisti, uomini di pensiero che condividono la medesima idea e con mio stesso stupore ho incontrato parecchi amici, disposti ad impegnarsi per questo progetto di integrazione: i giornalisti Luca Negri de "Il Giornale", Michele de Feudis del "Corriere della Sera", Riccardo Paradisi di "Panorama", lo scrittore Stefano Arcella, l'editore Adolfo Moranti, che dirige una casa editrice di ispirazione cattolica: "Il Cerchio" di Rimini. Così il network intellettuale di Eu-Rus ha cominciato a prendere forma, basandosi essenzialmente sulla forza del pensiero. Tra le personalità intellettuali che in Italia manifestano il loro interesse per questa concezione grande-europea ricordiamo Pietrangelo Buttafuoco, che in una recente intervista ha dichiarato, parafrasando Heiddeger, "ormai solo Putin ci può salvare". Ricordiamo anche l'attività di elaborazione geopolitica condotta dalle riviste Eurasia e Geopolitica, dal centro studi Polaris. Tra gli interlocutori istituzionali di parte russa abbiamo individuato il "Centro Russo di Scienza e Cultura" diretta dal dottor Oleg Osipov e l'emittente internazionale in lingua italiana "La Voce della Russia". Quali potrebbero essere i prossimi passi del progetto Eu-Rus? Si potrebbe pensare a un volume collettivo di autori che sviluppino ognuno dal proprio punto di vista il tema della integrazione eurussa. L'argomento è complesso e pertanto la pluralità di voci è gradita per approfondire una serie di campi che vanno dalla cooperazione energetica alla collaborazione aerospaziale, dal dialogo ecumenico cattolico-ortodosso al costume e allo sport (la nazionale di calcio russa allenata da Fabio Capello, per dire…). Volendo andare un po' più oltre si potrebbe pensare a una Fondazione culturale con un obiettivo preciso: pubblicare testi sintetici rivolti agli studenti e ai giovani, per approfondire i temi della storia e della cultura europea in un'ottica continentale, superando la contrapposizione ormai miope tra "Oriente" e "Occidente". Nel trattare il tema della Russia molti sono fermi al clima di un'epoca storica ormai sorpassata: se è vero che è caduto il Muro di Berlino è anche vero che è caduta pure la Cortina di Ferro. Occorre prenderne atto. Internet è uno strumento importante per andare avanti sul versante dell'integrazione. Sentiamo amici anche colti, ma un po' passatisti che continuano a considerare il mondo del web come una specie di videogioco, un passatempo per ragazzini. "Io non andrò mai su facebook", dicono; così come agli inizi degli anni Novanta dicevano: io non comprerò mai un cellulare, e magari ora ne hanno tre… Contro ogni moralismo che denota pigrizia mentale occorre considerare che ogni nuova tecnologia è un'occasione da cogliere al volo. Chi rifiuta oggi una nuova tecnologia, la userà domani, da gregario, quando già altri avranno sfruttato al meglio le nuove occasioni che un terreno vergine offre a chi ha spirito da pioniere. Non dimentichiamo che in Italia le ultime

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POLITICA/PUNTO DI VISTA

elezioni sono state "vinte" dal Movimento 5 Stelle grazie alle interazioni internet. Certo nella fase successiva occorre passare dal "virtuale al reale, dall'informazione all'azione". Questa seconda fase è stata affrontata con un certo imbarazzo dai geniali trionfatori dell'ultima campagna mediatica-elettorale. E tuttavia noi non siamo qui a fare propaganda ai grilli, siamo qui a proporre un traguardo che è solido è concreto quanto è solida e concreta la grande zolla di terra che collega Europa Mediterranea, Europa Centrale e Pianura Russa. Ricordiamo anche quel che accadde quando George Bush II lanciò la campagna militare in Irak. Tutti i telegiornali ripetevano la "versione ufficiale": bisogna attaccare Saddam Hussein, perché l'Irak possiede le armi chimiche ed è intenzionato ad utilizzarle "contro il mondo" … Ma mentre i telegiornali ripetevano il dettato e mostravano il generale Colin Powell che agitava la provetta contenente una sostanza chimica dalle pagine del web come un tam tam si diffondeva la controinformazione che scandiva grosso modo queste note - Saddam Hussein non è il "nuovo Hitler", semmai è quel dittatore che per dieci anni dal 1980 al 1990 ha collaborato fedelmente con gli Stati Uniti. - Per conto degli USA Saddam Hussein ha combattuto una guerra sanguinosa contro l'Iran. - Saddam Hussein non minaccia il mondo, semmai è l'artefice dell'invasione del Kuwait (territorio originariamente appartenente all'Irak che forse fu promesso a Baghdad appunto nel contesto della guerra Iran-Irak). - Saddam Hussein non ha un arsenale chimico, se in passato ha posseduto armi non convenzionali è perché gli sono state consegnate dai suoi sponsor occidentali. - Saddam Hussein non è un fondamentalista islamico come il principe saudita Laden (già intimo della famiglia Bush e della CIA), ma è un dittatore laico, a capo di uno Stato multiconfessionale, con un vicepresidente cristiano. - L'attacco all'Irak non si spiega con la logica della lotta al terrorismo, ma con gli interessi petroliferi degli Stati Uniti e con gli interessi regionali di Israele. Questi e altri temi ancor più radicali (tipo quelli riguardanti le dinamiche e gli interrogativi sull' 11 settembre) si diffondevano nei giorni della campagna irakena determinando una triplice frattura: 1. Frattura di tipo informativo: tra i telegiornali ufficiali che riprendevano la provetta di Colin Powell e i nuovi media di internet che diffondevano in maniera spesso caotica o ingenua i temi della controinformazione. 2. Frattura di tipo politico: tra i leader dei principali partiti che ripetevano la versione ufficiale e gli elettori che scuotevano la testa di fronte a una nuova guerra e alle sue possibili conseguenze. 3. Frattura di tipo generazionale: tra le persone "mature" che continuavano a usare come prima fonte informativa i giornali e le televisioni e i giovani che ormai usavano come prima fonte di informazione l'offerta velocissima ed effervescente gratuitamente consultabile su internet. Queste considerazioni bastano a giustificare il perché noi consideriamo internet uno strumento fondamentale di interazione: il mondo virtuale della rete può diventare lo specchio di una realtà terrena solida come l'immensa distesa di terra euroasiatica.


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Si può pensare per il futuro a una rivista on-line colta e leggera nello stesso tempo: uno strumento per leggere insieme Tolstoi e Leonardo da Vinci, o commentare le vittorie calcistiche degli allenatori Capello e Spalletti. Volendo usare uno slogan potremmo dire che noi vogliamo sostenere le ragioni della storia e della geografia. La geografia ci dice che siamo un unico continente, la storia ci insegna che abbiamo radici comuni, abbiamo un futuro solo se stiamo insieme. Nei confronti degli Stati Uniti si impongono, da parte degli Italiani, sentimenti di rispetto e di gratitudine. Non si può dimenticare la spinta data dal piano Marshall al "miracolo economico" degli anni Cinquanta, e d'altra la grande capacità di innovazione tecnologica - che ancora ai nostri giorni si esprime nelle intuizioni di Bill Gates, Steve Jobs, Zuckenberg - impongono rispetto. Tuttavia non si può trascurare un dato di fatto elementare: un vasto oceano separa l'America dall'Europa, una grande distesa di terra unisce l'Europa alla Russia. Quando al di là dell'oceano si decide una guerra noi che stiamo al centro del Mediterraneo ne subiamo le conseguenze: durante la guerra di Serbia sono stati bombardati i ponti sul Danubio: atto di guerra che ha leso l'economia mitteleuropea e il pacifico scambio tra nazioni mediterranee occidentali e nazioni balcaniche; è stata creata a poca distanza dalla nostra costa adriatica una enclave (il Kosovo) che è una delle centrali del narcotraffico. La guerra in Irak, l'embargo all'Iran, la guerra alla Libia hanno severamente danneggiato gli interessi della imprenditoria italiana, della politica energetica italiana. L'appoggio al terrorismo salafita contro il governo siriano di Assad ha mandato definitivamente in tilt i centri di raccolta degli immigrati con una ondata senza precedenti di profughi. Peraltro, tutte queste guerre (Irak 1, Serbia, Irak 2, Libia, Siria, senza contare la serie di rivolte che vanno sotto il nome di "primavere arabe") non possono neppure definirsi "guerre giuste". - Serbi e Kosovari erano etnie in contrasto e occorreva dirimere il loro contenzioso riconoscendo equamente le loro ragioni e i torti. Invece sono stati aggrediti i Serbi come se fossero i cattivi di un fumetto della Marvel. Ma i Serbi sono un popolo civile europeo, l'enclave del Kosovo come si è detto è divenuta una cittadella del narcotraffico. - Saddam Hussein era un dittatore laico che non aveva nulla a che fare con "Al-Keida". Nel caos del dopo-Saddam, l'Irak è divenuto brodo di cultura dei peggiori fondamentalismi. - Gheddafi e Assad non sono mai stati in lizza per il premio Nobel, ma i loro avversari sono personaggi da film dell'orrore che mangiano il cuore delle loro vittime facendosi riprendere dai videofonini. - L'Iran è un paese intollerante? Certo, ma ha una lunga strada da compiere fino a raggiungere i traguardi plateali di intolleranza dell'Arabia Saudita e del Pakistan. Tutta questa serie di guerre economicamente dannose e moralmente ingiuste hanno rovesciato i loro effetti rovinosi sull'Europa mediterranea, e sull'Italia che è nel mezzo del Mediterraneo, inducendo persone che hanno sempre guardato con simpatia e benevolenza all'Occidente a

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domandarsi se non sia il caso di coltivare una maggiore consapevolezza di quello che è l'interesse strategico dell'Europa. Senza dubbio un miglioramento delle relazioni internazionali è venuto dall'elezione di Barack Obama. Forse in questo momento storico Obama è il miglior presidente che il sistema americano riesca ad esprimere: è facile immaginare quali conseguenze avrebbe prodotto la vittoria di uno dei due sfidanti, provenienti dalle file della destra più nazionalista. Romney e Mc Cain esprimevano un profilo che per certi aspetti lasciava perplessi: mormone l'uno, dunque appartenente a una setta post-cristiana seriamente convinta che Gesù Cristo sia apparso in America dopo la resurrezione per ammaestrare i discendenti del Popolo Eletto approdati nel Nuovo Mondo (2000 anni prima di Colombo!); militarista dichiarato l'altro fino al punto di presentarsi all'elettorato americano con il sobrio slogan di "Bomb! Bomb! Bomb!". Non sorprende se al cospetto di questi esponenti della destra americana, un pacato avvocato della sinistra democratica si sia potuto affermare, svolgendo all'interno del sistema americano una indubbia funzione di moderazione. Al di là delle vicende militari una serie di indizi mostrano come si sia esaurita la spinta propulsiva della grande rivoluzione americana: il prevalere delle banche e degli speculatori sul sistema produttivo, la disgregazione del glorioso valore della famiglia americana (quella per intenderci celebrata in "Happy Days") in nome della allegra ideologia del "gender"1, l'umiliazione dello stesso principio tipicamente americano del merito individuale ad opera di un sistema di "quote" in base alla quale nelle università uno studente più meritevole può essere escluso per fare posto a uno più incapace, ma appartenente a una categoria "protetta" alla quale è stata attribuita una quota. Ovviamente questi aspetti della decadenza americana sono i medesimi della decadenza europea. Per cui parlando ad europei della prevalenza dell'elemento speculativo, della distruzione del legame familiare e del valore del merito si potrebbe ripetere l'antico motto morale delle fiabe latine: "De te fabula narratur!", ovvero la brutta storia narrata parla anche di te, ti descrive appieno. Per tale motivo non ha senso esprimere un anti-americanismo fanatico e ideologico: Europa e America condividono grandi pregi, condividono oggi grandi difetti. Tuttavia si può fare una considerazione equanime: come la Russia di oggi ha superato il marxismo e tutti gli errori connessi a questa ideologia, così l'Europa è chiamata a superare l'occidentalismo e tutti i suoi aspetti di decadenza. Da questo duplice superamento può nascere oggi il grande incontro di civiltà tra Europa Occidentale ed Europa Orientale. Questo incontro di civiltà è appunto simboleggiata dall'antica bandiera dell'Aquila a Due Teste, che risale all'Impero Romano di Costantino e che oggi è simbolo della Federazione Russa. L'integrazione tra Italia e Russia deve avvenire su tre livelli: quello economico, quello politico e quello culturale/spirituale. I numeri della integrazione economica sono stati efficacemente chiariti da Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa a Mosca e animatore del Forum Euroasiatico di Verona, che si è celebrato qualche settimana fa: l'interscambio tra Italia e Russia si aggira intorno ai 30 miliardi di euro, ma la cifra assume consistenza anche maggiore se si


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considerano le operazioni commerciali che coinvolgono paesi terzi, come l'Olanda e la Germania. Protagonisti di questa cooperazione sono grandi marchi come Indesit, Alenia, Agusta, Pirelli. Quanto agli enti come Finmeccanica, ENI ed ENEL essi hanno aumentato negli ultimi anni la loro presenza in Russia grazie alla politica di apertura che Silvio Berlusconi (ma anche Romano Prodi, nel suo biennio di governo) hanno condotto. In particolare l'ENI di Scaroni si sta confrontando proficuamente con il colosso russo dell'energia Gazprom: è in ballo la creazione del gasdotto South Stream che passando direttamente attraverso il Mar Nero e i Balcani dovrebbe scavalcare i paesi della cosiddetta "Nuova Europa" (Polonia, Romania e a fasi alterne l'Ucraina). Appunto con Gazprom la Banca Intesa ha creato un fondo Mir Capital per favorire gli investimenti che possono svilupparsi sull'asse Roma - Mosca. Riguardo alla presenza di capitali russi in Italia e alla prospettive dell'integrazione politica e culturale parleremo, se gli amici di Confini sono interessati, in un successivo articolo. Alfonso Piscitelli

Nota: 1) http://www.vicariatusurbis.org/diaconatus/__nuovo/articoli/formazione/formazione0911.asp

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IL GIOCOSO BALLETTO DEI COSTUMI Nello scorso secolo, una forma di gratificazione familiare era mandare la figlioletta a danza classica. La scelta gratificava l'intera famiglia: la mamma, ridente e orgogliosa, avrebbe girato insieme alla piccola in negozi specializzati per comprare le famose "ballerine", le scarpette dalla punta rinforzata per danzare in punta di piedi, e poi il tutù, la calzamaglia, la borsa per contenere il tutto. E il papà, a casa, avrebbe aspettato in felice ansia il ritorno delle sue donne dopo gli acquisti per osservare, gioendo con loro, quei piccoli capi di abbigliamento che avrebbero fatto di sua figlia una libellula. La nonna avrebbe regalato alla piccola un medaglione, con un volto aureolato all'interno, e le avrebbe ricordato che San Vito, il protettore dei danzatori, l'avrebbe guidata in quella difficile strada. Il nonno, invece, l'avrebbe presa sulle ginocchia, le avrebbe carezzato il volto e, dopo averle apposto un bacio sulla fronte, le avrebbe sussurrato: Mio piccolo fiore, sarai bravissima e nonno sarà sempre lì a guardarti. E la bimba avrebbe cominciato a frequentare la scuola di ballo con assiduità, facendo prima faticosi esercizi alla sbarra e poi passi sempre più complessi, crescendo nel frattempo e, anche per l'inflessibile disciplina formativa, maturando una coscienza e un senso critico che le avrebbe permesso di stabilire se la danza fosse soltanto un'infatuazione giovanile, da abbandonare, o l'amore della sua vita. Sì, non c'è che dire. Un quadretto familiare che potrebbe tranquillamente attraversare, immutato, due secoli di costumi patri. Poi, improvvisamente, quasi dalla sera alla mattina, le tradizioni si sono perse. Oh! Certo. Oggi i bimbi fanno tennis, nuoto, equitazione e tanto altro ancora ma non c'è in quello che fanno assolutamente nulla di formativo: direi, invece, più di "riempitivo". C'è da distoglierli dalla tele e dalla play station? Ma sì, mandiamoli a nuoto. E, comunque, ci va anche il figlio della vicina che non sta meglio di noi. Il figlio della collega, invece, va a tennis. Oh. Ci-e-lo! Ce lo dobbiamo mandare. E perché non a cavallo? E' un po' costoso: la particolarità dei pantaloni, della giacca, degli stivali, del cappellino, il rilevante affitto del cavallo ma, vuoi mettere poter dire con gli amici che mio figlio fa equitazione? D'accordo, il bambino fa "sport" ma quale insegnamento trae da questa sua attività? Praticamente, nessuno. Gli insegnanti, bravi giovani che si prestano con i bambini per guadagnare poche centinaia di euro al mese, li fanno "giocare", certamente in maniera più sana dei videogiochi, ma con scarso, per non dire nullo, insegnamento sul piano formativo. Poi, gli anni passano e…..


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I figli, oggi, crescono all'interno di famiglie dove la tensione e il "gioco" sono di casa: i genitori sono precari, con le virgolette e senza, nel senso che non ha più alcun significato avere un lavoro con contratto a tempo indeterminato. Una contrazione per la crisi, una ristrutturazione, una chiusura aziendale, lo spazza via dalla sera alla mattina e, con il lavoro, la speranza di un domani migliore. Ma, finché c'è vita, si può "giocare": senza alcuna stima reciproca, senza alcun legame profondo, senza mutuo rispetto, si può praticare il gioco della coppia. Lei arrabbiata, propensa al tradimento per sfizio come ci ricordano le statistiche sui costumi invertendo i fenomeni in essere fino a trent'anni fa, e lui, sfigato, frustrato, spesso e volentieri dedito al sesso virtuale in luogo di un sano e robusto amplesso. Ma di un "gioco" simile ci si stanca. Così lui si fa ammaliare da una graziosa immigrata o connazionale, di venti o trent'anni più giovane, dedita i primi tempi a farlo sentire un "gallo" e, poi, a gettarlo da parte dopo aver esaurito la parte "ludica" sia economica che sessuale.. Ma certo…. Tanto è un gioco che si ripete. E lei, finalmente "libera", "padrona" della sua vita, può frequentare virtualmente i siti web, a pagamento, per single dove incontrare l'anima gemella, buona per una notte di numeri acrobatici tra le lenzuola. Certo. Continuiamo a "giocare". E i figli??? Beh! I figli "giocano" anch'essi, per giunta con maggiore spregiudicatezza rispetto ai genitori non avendo appreso, per assenza d'insegnanti, il vero significato di morale, etica, rispetto, senso civico, responsabilità, dignità. Sto esagerando? Vorrei tanto che fosse così. In una nota Ansa del 15 novembre scorso c'è la sintesi di questo sfacelo sociale. La più giovane delle due minori che si prostituivano a Roma ha così risposto al magistrato che la interrogava, presente una psicologa: Noi vogliamo troppo! Per guadagnare tutti questi soldi o spacci o ti prostituisci. Siamo esigenti, vogliamo molte cose, vestiti, macchine benessere". E poi mamma pensava che spacciavo, non mi sentivo di dirle che mi prostituivo. La mamma pensava che spacciavo, come se lo spaccio, a suo avviso, fosse più etico che la prostituzione. E, in ogni caso, quale provvedimento restrittivo, educativo, edificante, la madre ha mai messo in atto per impedire lo "spaccio" sessuale della figlia? La madre dell'altra ragazzina, addirittura, sapendolo, combinava gli appuntamenti. Sicuramente, è più pratico e il "gioco" ne guadagna. Ma l'assurdo si raggiunge nei talk show televisivi, nelle trasmissioni di cosiddetto approfondimento, dove il dilagare della prostituzione minorile, come si è appreso in seguito, viene rappresentato come uno spettacolo, fine a se stesso. Le interviste delle amiche delle piccole prostitute che, seppur intime, mai e poi mai avrebbero pensato che la loro amica fosse dedita al mercimonio; la telefonata intercettata del cliente alla piccola "prestatrice d'opera" con la quale sposta l'appuntamento perché deve accompagnare la figlia, minore anch'essa, a teatro; le dichiarazioni del ragazzo che aiutava a combinare gli incontri: "Ma dov'è il problema? Mi prostituivo anch'io." E giù a tranciare giudizi fulminanti che, seppur giusti, non sono altro che le luci stroboscopiche

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dello spettacolo che si spengono quando lo show è finito. Mai una volta che venga fuori il nome e cognome del cliente, definito professionista, imprenditore o politico. Tutt'al più, sui giornali, compare l'acronimo degli indagati, come se i minori fossero loro. In realtà, il male è più profondo, permea la società, cancella costumi, valori, cultura, per creare, bene che vada, ipocriti. Ma l'ipocrita più grande di tutti, ammesso che si possa personalizzare, è lo Stato e, con esso, la politica che l'ha ridotto in queste condizioni. Sono gli assurdi modernisti che non sapendo concepire il bene praticano, tra l'altro erroneamente, il funzionale. Una escort trentenne, cittadina spagnola di origine colombiana, è stata individuata a Perugia dalla Guardia di finanza e segnalata alla procura della Repubblica per evasione. E' accusata di aver nascosto al fisco guadagni per oltre 500.000 euro derivanti dalla sua attività: aveva comprato, peraltro regolarmente, un appartamento e un garage. Chissà, forse a qualche "sano" benpensante verrà in mente di mandare gli ispettori del fisco nei luoghi frequentati dalle lucciole. Però, non è "morale" riaprire le case chiuse. Un po' come il fumo: certo, uccide ma per venderlo basta avere la licenza e pagare le tasse. Ma via, su, via. Non dobbiamo essere così pessimisti. Assistere ad una valida espressione culturale ritempra lo spirito. Ah! Sì? E come? Stasera a teatro danno lo Schiaccianoci di ?ajkovskij. E' una rappresentazione di giovani esordienti. E che ci sarà mai d'interessante? Le forme della prima ballerinetta, inguainate da un velo di calzamaglia. Bisogna proprio ricostruirla da capo quest'Italia. Naturalmente, seguendo le spiegazioni di Marrazzo nella sua veste di conduttore della "Razza umana" su Rai Due, pagato con il canone dei contribuenti. Chissà se una class action contro la RAI, per strumentale disinformazione, per distorto insegnamento e per condotta immorale possa avere successo. Pietro Angeleri


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POTERI SEPARATI IN CRISI? IL CASO ISRAELE. 1. Il caso. La vicenda di cui tratta questa nota riguarda i recenti sviluppi del negoziato di pace tra i Palestinesi e gli Israeliani. In particolare, tra le condizioni poste in via preliminare per la ripartenza delle trattative vi è la liberazione, da parte israeliana, di 104 terroristi di origini palestinesi, detenuti nelle carceri d'Israele per gravi reati di sangue. La precondizione negoziale ha posto i governanti israeliani al cospetto di due premesse disgiuntive che danno scaturigine a un dilemma: a) Con l'annullamento di una pena legittimamente inflitta a dei colpevoli di gravi delitti si intende perseguire un superiore interesse dell'intera collettività a raggiungere un risultato, quello della sottoscrizione del trattato di pace, maggiormente desiderato; b) Con il rilascio di pericolosi criminali motivati da odio irriducibile verso quelli che essi considerano nemici mortali, è concreto il rischio che costoro, una volta in libertà, si organizzino per colpire nuovamente la collettività che li ha scambiati in vista del superiore obiettivo da raggiungere. Ora i casi sono due: o si otterrà la pace pur sacrificando la odierna sicurezza e frustrando il morale dei familiari delle vittime dei terroristi liberati o, rispettando i patti che sono a fondamento di una democrazia edificata sullo Stato di Diritto, non si avrà la pace con i propri avversari e la sicurezza dei confini continuerà a essere garantita esclusivamente dalla forza di deterrenza delle armi. Queste sono le corna del dilemma. Ma la soluzione non è comunque alla portata, come sembrerebbe, giacché fonda su una premessa ipotetica per la quale, allo stato, nessuno può offrire garanzie in ordine a un esito favorevole. Passando, invece, tra le corna del dilemma si fa strada una conclusione che potrebbe non piacere e alla quale si vorrebbe pensare come a un "tertium non datur": c) Sebbene adempiute le richieste circa la liberazione dei terroristi, la pace non viene ugualmente raggiunta a causa della mancanza di volontà di una o di entrambe le parti di condurre a buon fine i negoziati. Il primo ministro israeliano ha già scelto per la prima soluzione dando inizio al rilascio dei terroristi detenuti. Il piglio decisionista che contraddistingue il premierato in un Paese che ha forti assonanze con la tradizione politica occidentale, ha evitato che si finisse "impaled on the horns of a dilemma", impalati sulle corna di un dilemma, come invece sarebbe accaduto al premier di un Paese quale, ad esempio, l'Italia dove il profilo caratterizzante il Primo Ministro è tradizionalmente quello di un "cunctator", di un temporeggiatore piuttosto che di un decisore. Nei giorni scorsi, quindi, il governo israeliano ha proceduto alla scarcerazione di una seconda quota di detenuti, di origini palestinesi.

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La prima tranche di scarcerazioni era avvenuta il 13 agosto scorso. Secondo gli accordi dovranno essere messi in libertà altri 52 detenuti entro un tempo massimo di nove mesi dalla ripresa delle trattative. Per completezza d'informazioni bisogna precisare che la richiesta della scarcerazione dei 104 terroristi, quale gesto di buona volontà da parte di Israele per il raggiungimento di un accordo di pace, è stata inoltrata al governo di Gerusalemme dal Segretario di Stato americano John Kerry, che, in questa fase dei negoziati, svolge un ruolo di mediazione e insieme di stimolo alla soluzione definitiva del contenzioso israelo-palestinese. Inoltre, vi è da dire che Netanyahu, prima di aderire alla richiesta di Kerry, ha proposto ai propri concittadini residenti nelle cosiddette "zone occupate" di offrire alla controparte come gesto distensivo la sospensione del programma di insediamenti edilizi nella West Bank e a Gerusalemme Est. La risposta dei coloni è stata inequivocabilmente negativa per cui al Primo Ministro non è rimasto altro da fare che decidere sull'ipotesi di rilascio del gruppo di terroristi palestinesi. Comunque, la scelta governativa di aderire alle pesanti richieste sostenute dalla controparte palestinese, pur di ridare speranza ai negoziati di pace, ha scosso la società israeliana, già attanagliata da profondi dubbi sulla legittimità e anche sull'efficacia dell'iniziativa. I familiari delle vittime hanno inscenato una protesta fuori del carcere di Ofer dove erano stati concentrati i 26 detenuti in attesa di rilascio. I manifestanti hanno parlato apertamente di premio al terrorismo e hanno esposto cartelli con le fotografie dei parenti uccisi che recavano la scritta "noi non siamo un gesto". Intanto, le forze parlamentari dell'estrema destra israeliana hanno tentato di far approvare un disegno di legge che di fatto impedisse al governo di assumere decisioni in ordine alla liberazione di detenuti per reati contro la sicurezza dello Stato. L'iniziativa parlamentare è naufragata perché la proposta non è stata appoggiata, in commissione legislativa ministeriale, da quella parte del partito Likud che sembrava disponibile a sostenerla. La stampa interna ha, nella generalità, condiviso la scelta della maggioranza parlamentare di respingere il progetto di Legge argomentando che un governo che si rispetti deve poter mantenere la propria posizione delle "mani libere" senza doversi nascondere dietro un divieto imposto per via normativa. Sul fronte internazionale, il circuito dell'informazione globale, dopo i lanci delle agenzie non si è troppo sprecato nel commentare la notizia, preferendo derubricarla a mera questione interna agli affari dello Stato israeliano. Se n'è parlato poco in giro. Ancora una volta gli israeliani sono stati lasciati soli a confrontarsi su una vicenda le cui implicazioni andranno a incidere sul futuro del loro Paese. Tuttavia la questione sollevata non può dirsi risolta in via definitiva. Lo sarà soltanto quando verrà conseguito il risultato per il quale al popolo israeliano è stato imposto un altissimo sacrificio. Anzi, a voler restare "con i piedi saldi a terra", l'ipotesi che la vicenda abbia un epilogo totalmente positivo appare quanto meno remota, ciò a causa della condizione estremamente aleatoria su cui è stata fondata la premessa del dilemma. Resta il fatto che la decisione assunta dal governo israeliano spalanca le porte ad alcuni interrogativi che hanno diretta incidenza sulla concezione stessa di "Certezza del Diritto". Pertanto un approfondimento della questione appare appropriato.


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2. Argomentazioni favorevoli alla decisione. Negli ultimi tempi Benjamin Netanyahu ha mostrato di essere un campione di "Realpolitik". Il suo pragmatismo lo guida in direzione della ricerca di un accordo con la controparte palestinese che sia duraturo e sostenibile. Sa bene il premier che non può pensare di tenere Israele in uno stato d'allerta costante per il pericolo concreto dello scoppio di una terza Intifada. Inoltre Netanyahu ha avvertito il crescere di una certa ostilità anche dei Paesi amici rispetto a una chiusura pregiudiziale verso qualsiasi forma di accordo con i Palestinesi i quali, nonostante il fatto che vi siano abbondanti prove circa la loro volontà di colpire Israele in tutti i modi possibili, anche quelli più cruenti, continuano a essere sostenuti e coccolati, in particolare dai governi europei. Il caso ultimo delle decisioni UE in materia di finanziamenti destinati alle zone 1 "occupate" dagli israeliani è assolutamente indicativo . Si potrebbe dire che si sia trattato di un caso paradigmatico di doppiopesismo politico. Nondimeno, la decisione presa dall'autorità europea è stata vissuta in Israele come "un terremoto". La confusione che si è generata è stata grande, accentuata dal contestuale annuncio dell'alto rappresentate UE, Catherine Ashton, di voler imprimere un' accelerazione all'introduzione delle etichettature per i prodotti realizzati da imprese israeliane nelle zone "occupate". Come è noto, l'iniziativa si propone di scoraggiarne l'acquisto da parte dei consumatori europei, sensibili, a giudizio della Ashton, di nazionalità britannica quindi suddita di un impero coloniale, alle ragioni accampate dai palestinesi ed esercitate, anche con il ricorso alla violenza, nel rivendicare il diritto ad avere non una patria e una terra, come sarebbe giusto e legittimo, ma quella patria su quella terra. Il governo di Netanyahu ha, altresì, compreso che non può essere l'esclusivo interesse dei coloni la stella polare della politica estera di Gerusalemme. Anche ad altri interessi deve porsi attenzione atteso che il Paese ebraico aspira a stare sul mercato globale con una posizione di primaria grandezza e un possibile futuro boicottaggio delle merci "made in Israele", per cui si sono visti già i primi sporadici segnali, preoccupa i governanti quanto se non più di un conflitto bellico. La Banca d'investimenti Morgan Stanley, valutando l'andamento del PIL israeliano, ha stimato la crescita nel 2013 al 3,8 %, con un trend in aumento rispetto alla chiusura del 2012, 1 Sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 19 luglio scorso, sono state pubblicate, con il numero di riferimento 2013/C 205/05, le linee guida relative agli orientamenti della Commissione Europea sull'ammissibilità delle entità israeliane e relative attività nei territori occupati da Israele da giugno 1967,alle sovvenzioni, ai premi e agli strumenti finanziari a partire dal 2014. All'art.2 si precisa che per "territori occupati" la UE intende: le alture del Golan, la Cisgiordania inclusa Gerusalemme Est, la Striscia di Gaza. In pratica la Commissione Europea decide autoritativamente di considerare confine legittimo dello Stato d'Israele quello circoscritto dalla cosiddetta "linea verde", stabilita alla fine del Primo conflitto arabo israeliano del 1949. La UE trascura di considerare che quello contrassegnato dalla "Linea Verde" non era un confine ma solo una linea armistiziale stabilita in via provvisoria dalle parti belligeranti. Israele non ha mai accettato di riconoscere la legittimità della linea armistiziale. Non a caso la "Linea Verde", venne ribattezzata sarcasticamente da Abba Eban gli "Auschwitz borders" a indicare che, nelle intenzioni degli arabi, quel territorio a ovest del fiume Giordano sarebbe stato un nuovo universo concentrazionario in cui tenere dentro gli ebrei" (tratto da "Quella rottura tra UE e Israele", dell'autore, pubblicato il 27 luglio 2013 dal Quotidiano "L'Opinione"). A seguito della "guerra dei sei giorni" del giugno 1967, Israele ne ha assunto il controllo. La sovranità sulle aree menzionate è oggetto dell'odierno negoziato di pace tra israeliani e palestinesi, per cui la decisione della UE è apparsa un'indebita quanto inutile ingerenza in una fase molto delicata delle trattative.

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fissata al 3,3%. La bilancia commerciale si presenta anche per il 2013 in deficit, giacché le esportazioni, come per tutti gli altri paesi produttori, hanno risentito del generale crollo della domanda. Ma oltre 49 miliardi di Euro, fatturati per le esportazioni nel 2012, sono destinati ad incrementarsi del 2,3% del valore totale, nel 2013. Non è, peraltro, trascurabile l'indicatore economico che assegna al Paese ebraico un alto livello di mobilità di capitali finanziari in entrata e in uscita. Ne consegue che il cospicuo numero di investitori stranieri, per mantenere i capitali di rischio entro parametri accettabili, punti alla stabilizzazione del Paese attraverso il buon esito degli accordi di pace. Un'altra importante considerazione che va facendosi strada nella coscienza degli israeliani è che, diversamente da quanto si sia finora sostenuto, la sicurezza di Eretz Israel non sia più garantita dalle sole armi ma passi per la tenuta di solide relazioni con tutti quei Paesi della regione mediorientale disponibili a far cadere le pregiudiziali antiebraiche in cambio di un'adeguata sistemazione della questione palestinese. E' indubbio che una pacificazione duratura farebbe crollare un altro mito dei nostri tempi: quello secondo il quale il problema palestinese sarebbe un'esclusiva questione posta a carico di Israele. La verità è ben altra. I palestinesi creano problemi anche a quegli Stati arabi che di regola dovrebbero sostenerli senza riserve. I costi pagati, nel tempo, dai supporter prima dell'OLP, oggi dell'Autorità Nazionale Palestinese, non sono più sostenibili, almeno nella modalità "ad libitum". Occorre si concerti una "road-map" la quale preveda investimenti mirati allo sviluppo dei territori, che abbiano tempi certi di realizzazione e siano monitorabili nei risultati raggiunti. Il tempo dei buchi neri dove versare fiumi di danaro senza che alcuno rispondesse del loro effettivo impiego sono finiti anche per i governi amici della causa palestinese. Altro argomento favorevole al rilascio dei detenuti è rappresentato dal precedente della liberazione di Gilad Shalit che fu scambiato con 1027 palestinesi incarcerati in Israele per diversi 2 reati . In quella circostanza la decisione politica è stata rafforzata dalla decisione della Corte Suprema israeliana che ha respinto il ricorso contro la scarcerazione, presentato dai familiari delle vittime dei terroristi che sarebbero stati liberati grazie all'accordo di scambio. Inoltre l'intesa raggiunta ha raccolto un consenso esteso ben oltre la sola realtà israeliana. In Italia, ad esempio, il Presidente della Comunità Ebraica romana, Riccardo Pacifici, nel salutare con grande favore il gesto di disponibilità del governo di Gerusalemme, a proposito dell'eventualità di ricorrere ancora alla liberazione di terroristi in cambio della salvezza anche di un solo uomo illegalmente trattenuto nelle mani degli assassini palestinesi, ha dichiarato di non avere dubbi in proposito. Pacifici ha spiegato che l'insegnamento del Talmud lo prevede: chi salva una vita salva il mondo intero. 2 Gilad Shalit è un giovane militare dell'IDF, caduto nelle mani dei terroristi di Hamas il 25 giugno 2006, durante un attacco a una postazione militare israeliana al confine meridionale della Striscia di Gaza. Dopo anni di prigionia e alcuni tentativi di liberazione falliti, il giovane militare è stato rilasciato il 18 ottobre 2011 a seguito di un accordo di scambio intervenuto tra Hamas e il governo israeliano.


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Infine, il disvelamento di un altro tabù interviene a spostare l'ago della bilancia dalla parte dei favorevoli all'iniziativa governativa. A parlarne è stata il ministro della Giustizia del Gabinetto Netanyahu nonché capodelegazione ai negoziati israelo-palestinesi, Tzipi Livni. L'occasione è stata quella dell'intervento al Comitato Esecutivo del Congresso Mondiale Ebraico, tenutosi lo scorso ottobre a Gerusalemme. La Livni, nel suo discorso, ha dato corpo a uno spettro che si aggira per i palazzi del potere israeliano: "Se Israele non riuscirà ad arrivare a un accordo sullo status finale con i palestinesi, potrebbe trovarsi in una posizione in cui la comunità internazionale lo costringerà ad accettare uno Stato palestinese alle sue condizioni senza tenere 3 conto delle esigenze di Israele" . Ed è propriamente ciò che Gerusalemme teme più di ogni altra cosa. L'equazione collettiva che motiva le speranze della parte israeliana può essere rappresentata con la formula: pace in cambio di sicurezza. E' questo che, in fondo, da decenni chiedono gli israeliani. E questo resta lo scopo ultimo del negoziato. 3. Argomentazioni contrarie alla decisione. Il provvedimento ha incontrato forti opposizioni in particolare tra coloro che sono stati toccati dalle azioni delittuose dei criminali oggi posti in libertà e il dibattito interno al Paese è stato reso ancora più incandescente dalla presa di distanze di un membro autorevole della coalizione di governo e leader di un raggruppamento di estrema destra, Naftali Bennett il quale sostiene che non ci si debba necessariamente suicidare per avere una buona reputazione internazionale. La maggiore difficoltà che la decisione governativa incontra presso l'opinione pubblica è rinvenibile nell'oggettiva impossibilità a giudicare positivo e dialogante il comportamento della controparte palestinese che non manca occasione quotidiana per esprimere apertamente il proprio rifiuto pregiudiziale all'idea stessa che possa esistere uno Stato ebraico. Si potrebbe obiettare che, in realtà, si tratti di comportamenti tattici per alzare il tiro nella trattativa di pace cercando di ottenere più cose di quanto sia lecito sperare che Israele possa di propria volontà concedere. Purtroppo, però, il tasso di acredine misurato in qualsiasi iniziativa pubblica di parte palestinese sbarra la strada a un'interpretazione scacchistica del confronto tra le due parti. L'odio lasciato trasparire da parte palestinese è assolutamente autentico. Per comprendere al meglio lo spirito reale con cui i dirigenti palestinesi stanno conducendo i negoziati con gli israeliani, è sufficiente citare il documento diramato alcuni giorni orsono dal Ministero dell'Informazione dell' A.N.P., sulla cosiddetta “Dichiarazione Balfour”4, nel giorno del suo 96esimo anniversario. 3 La citazione è tratta da una corrispondenza del Jerusalem Post del 23.10.2013 4 La Dichiarazione Balfour è la lettera inviata il 2 novembre 1917 dall'allora Ministro degli Esteri britannico, Lord Arthur James Balfour, a Lord Rothschild, rappresentante della Federazione Sionista. Nel documento si caldeggia, al momento della caduta dell'impero turco-ottomano, la creazione, nella zona sub -siriana a occidente del fiume Giordano, di un "focolare nazionale" ebraico, riconoscendo in modo esplicito a quel popolo il diritto a ritornare nella propria terra d'origine. Successivamente la Società delle Nazioni ha reiterato la Dichiarazione Balfour integrandola all'interno del Mandato Britannico sulla Palestina. Da quel momento la "Dichiarazione" è divenuta un testo vincolante di diritto internazionale.

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I Palestinesi l'hanno definita il "peggiore crimine politico della storia contemporanea e un marchio di vergogna per tutta l'umanità" e hanno invitato la Gran Bretagna a chiedere scusa al mondo per essere stata luogo di concepimento di quel documento. Secondo i palestinesi tutto il male che si è abbattuto su di loro sarebbe stato provocato dalla "Dichiarazione" che"…continua a servire da base per un sistema di discriminazione che fa impallidire, al confronto, l'ex regime di 5 apartheid in Sud Africa" . Atteso, dunque, il contenuto della "Dichiarazione Balfour", appare evidente che si contesti, da parte palestinese, in radice il diritto di Israele alla sovranità statuale. Nei piani palestinesi vi sarebbe la prosecuzione del sogno antico di ridurre la presenza ebraica a una circoscritta entità etnico-religiosa vivente all'interno di uno Stato sovrano palestinese. Ne consegue che una simile posizione possa essere collocata a base di un conflitto, non certo di un accordo di pace. Ma vi è dell'altro. Gli oppositori alla decisione contestano al premier Netanyahu l'accusa di aver progettato una sorta di do-ut-des con l'Autorità Palestinese per ottenere il silenzio sugli ulteriori piani edilizi destinati all'insediamento di nuovi coloni a Gerusalemme Est in cambio della liberazione di un considerevole numero di assassini. Ovviamente la parte palestinese nega, ma il dubbio permane. Il primo ministro israeliano, invece, non ha fatto mistero di ritenere il programma di insediamenti edilizi a Gerusalemme Est una forma di compensazione per la grave decisione di liberare i terroristi palestinesi. Tuttavia, l'aver accettato di mettere in libertà dei sanguinari pluriomicidi suona come aver messo benzina nella macchina della rivolta antiebraica facendo il gioco degli oppositori israeliani ai negoziati di pace. Alcune testate giornalistiche palestinesi hanno diffuso le immagini dei festeggiamenti organizzati per il rientro nei territori d'origine, da eroi e martiri della lotta per la liberazione nazionale, dei terroristi rilasciati. Ad accoglierli si è presentato il capo dell'Autorità Palestinese, Abu Mazen. Questo atteggiamento conferma, se mai ve ne fosse stato bisogno, che l'A.N.P., in tutte le sue componenti, non si è mai di fatto discostata dalla tradizionale posizione di nemica giurata di Israele, desiderosa di realizzare la propria aspirazione all'autodeterminazione mediante l'annientamento dell'altra parte piuttosto che condividendo un serio piano di pace sullo status finale dell'area contesa. Lo stesso Abu Mazen, parlando all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso 26 settembre ha esordito dicendo " Io personalmente sono una delle vittime della Nakba, in mezzo alle centinaia di migliaia di persone del mio popolo sradicate nel 1948 dal nostro bellissimo mondo e gettate nell'esilio ". Nakba significa "catastrofe" ed è il termine con cui i Palestinesi indicano la creazione dello Stato di Israele. I critici del provvedimento ritorcono contro i favorevoli un'argomentazione esposta da questi ultimi a sostegno dell'iniziativa governativa: l'affare Shalit. Gli oppositori sostengono che la generosità mostrata nella vicenda della trattativa per la liberazione del giovane militare israeliano, sequestrato dai terroristi delle Brigate Izz ad-Din Al-Qassam, braccio armato di Hamas, in concorso con i Comitati di Resistenza Popolare e l'Armata Palestinese dell'Islam, non abbia dato i frutti sperati giacché la stragrande maggioranza dei detenuti rilasciati in occasione 5 Tratto da: Jerusalem Post del 3.11.2013.


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dell'accordo di scambio, secondo i Servizi di Sicurezza israeliani, sono tornati alle attività terroristiche sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza. Scrive in proposito Calev Myers, corrispondente di Times of Israel: "…A quanto pare per qualche motivo stare in una cella israeliana non convince i terroristi ad abbandonare le loro ideologie islamiste estremiste e a trasformarsi in attivisti per la pace. Imam Alshrauna, rilasciato nell'affare Shalit, ha dichiarato che continua a battersi per la liberazione di tutti i territori di Cisgiordania, del Monte del Tempio e di tutta la Palestina dal fiume al mare oltreché di tutti i prigionieri palestinesi incarcerati in 6 Israele…" . Su queste premesse appare francamente difficile pensare che i negoziati abbiano una concreta speranza di successo. Anche perché parlare di un interlocutore palestinese come di un unico soggetto rappresentativo dell'intero popolo non è propriamente esatto. La realtà, infatti, è resa ancora più complessa dalla sostanziale frammentazione della parte palestinese. In effetti, si contano almeno quattro segmenti nella Terra che i discendenti dei Cananei rivendicano come propria. Vi sono infatti i palestinesi della Striscia di Gaza, quelli della Cisgiordania, i residenti permanenti di Gerusalemme Est e gli arabo-israeliani. Ciascuno di questi segmenti ha strategie e approcci al confronto con la controparte affatto diversissimi tra loro. E ciò fa la debolezza, non la forza della causa palestinese. A chi dovrebbe dare fiducia Israele per condurre in porto una trattativa difficile e carica di dolorose privazioni per il popolo della Stella di David? Questo spiega perché Israele tema una pace imperfetta nella stessa misura di quanto tema la guerra. Come ha fatto notare Tzipi Livni: non vi è intenzione alcuna di “gettare le chiavi dall'altra parte del confine e sperareaudacia che non sia Hamas a raccoglierle”. Tradotto: siamo disponibili a negoziare ma non a temeraria igiene spirituale qualsiasi prezzo, perché dall'altra parte del confine circolano ancora nemici implacabili di Eretz Israel. Vi sono, inoltre, alcuni oppositori che contestano il principio in sé della scarcerazione, argomentando che, indipendentemente da ciò che faranno in futuro gli assassini messi in libertà, resta il gesto altamente diseducativo attuato dal governo che ribalta totalmente la filosofia finora incoraggiata della ” lotta senza quartiere “ al terrorismo. Sostengono i critici che aver liberato dei rei di omicidio possa rappresentare un insegnamento negativo per le future generazioni di palestinesi i quali saranno legittimati a ritenere i soggetti scarcerati non degli assassini condannati a una giusta pena ma dei prigionieri politici liberati nell'atto di ripresa dei negoziati di pace. C'è, poi, una categoria di critici che contesta al governo anche la palese violazione del Principio d'Uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla Legge, proprio di uno Stato di Diritto. I terroristi, infatti, avrebbero beneficiato di un trattamento privilegiato, in ragione di un loro specifico status di prigionieri sedicenti “politici”, rispetto ad altri detenuti, condannati per gli stessi reati per i quali non vi sono stati provvedimenti di annullamento delle pene inflitte. In realtà, gli osservatori scommettono con maggiore sicurezza sul fallimento delle trattative piuttosto che sulla loro riuscita. Ma se le cose sono messe così male ne è proprio valsa la pena di 6 Fonte: Times of Israel del 24.10.2013.

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compiere un passo così impegnativo e foriero di conseguenze imprevedibili? E' davvero servito mettere a dura prova la tolleranza dei familiari delle vittime che hanno visto sfilare sorridenti e festosi gli assassini dei loro congiunti? E' stato poi così necessario fare strame dei principi fondanti uno Stato di Diritto, qual è Israele, in nome di un superiore interesse nazionale di cui, al momento, non riesce di coglierne la portata e il peso? Queste sono solo alcune delle domande che ricorrono nelle considerazioni di coloro che contestano il gesto di pace prodotto, unilateralmente, dal governo di Gerusalemme. Le fotografie delle vittime del terrorismo, appostate nelle prime pagine dei maggiori quotidiani israeliani, richiamano l'esosità del prezzo che Netanyahu e il suo governo dovranno pagare all'opinione pubblica del loro Paese, qualora il sacrificio compiuto non dovesse produrre i risultati sperati. Un fallimento in tal senso non sarebbe perdonato dalla società civile ebraica. 4. Altri interrogativi che la vicenda propone. Tra tutti gli argomenti presentati contro la decisione del governo ve n'è uno che più degli altri merita di essere preso in considerazione perché solleva un problema che travalica la quotidiana ordinarietà delle decisioni politiche, anche di quelle assunte ai massimi livelli istituzionali, e 7 colpisce al cuore i principi istitutivi di uno Stato di Diritto . Vieppiù, la questione, attesa la consistenza del suo impatto sulle istituzioni democratiche di una società liberale, attraversa i confini della comunità israeliana per giungere a lambire i contesti politici - culturali dei Paesi dell'Occidente, le cui democrazie non è che godano di ottima salute. In concreto, la decisione del governo di avviare le scarcerazioni avrebbe provocato un vulnus gravissimo all'applicazione, in un sistema statuale, di un provvedimento legittimo, assunto con sentenza da un tribunale dello stato. Per gli oppositori alla decisione si tratterebbe, inoltre, di stabilire l'entità del danno provocato al principio costitutivo dello Stato di Diritto, articolato sulla separazione dei Poteri. L'ulteriore lesione starebbe nell'indebita assunzione di spazio da parte del Potere Esecutivo rispetto agli altri due Poteri: il Giudiziario, in forza del quale un organo giurisdizionale ha emesso una sentenza di colpevolezza irrogando contestualmente pene congrue rispetto alla natura e al numero dei reati giudicati; il Legislativo, che sarebbe stato espropriato della sua potestà esclusiva di approvare provvedimenti dotati di forza di legge che avessero a oggetto atti di clemenza per i reati commessi o di indulto delle pene irrogate. Ne consegue che la questione della liberazione dei condannati per gravi reati non investe solo la popolazione israelita chiamata a subirla. Essa va oltre giungendo a interrogare anche le nostre coscienze di cittadini dell'Occidente sviluppato del mondo. Proviamo, dunque, a ordinare le domande a cui tenteremo di dare risposta. Può una decisione del Potere Esecutivo annullare un provvedimento preso in forza di una sentenza legittimamente emessa da un organo di giustizia secondo legge? 7 Sulla stampa israeliana la questione è stata sollevata da Calev Myers all'interno dell'editoriale già richiamato in precedenza.


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Può una decisione politica del governo neutralizzare una condanna senza che il Potere Legislativo abbia legiferato in materia di amnistia per i reati commessi o di indulto per le pene irrogate? Può la cancellazione degli effetti penali dei crimini commessi indurre al legittimo conseguimento di un obiettivo politico prestabilito? Il ricorso all' estinzione della pena, in forza di un provvedimento dell'Esecutivo può essere riproposto come mezzo di risoluzione della conflittualità interna a una comunità statuale? 5. La struttura liberale dello Stato d'Israele e la separazione dei Poteri. Per rispondere alle domande formalizzate nel precedente paragrafo occorre porre dei landmark per segnare i confini entro i quali condurre il nostro ragionamento. In primo luogo è opportuno sottolineare la natura liberal-democratica8, di stampo ottocentesco, a cui è ispirata l'intera 9 architettura istituzionale dello Stato ebraico . Questa specificità fa di Israele un'anomalia o, per usare le parole di Isaiah Berlin: "…un'enclave, un curioso frammento del passato liberale….chiunque voglia capire la struttura politica di Israele farebbe bene a studiare la storia delle idee liberali nell'Europa ottocentesca"10. La cultura e i costumi del popolo israeliano sono radicati nel paradigma socio-politico occidentale, come lo è il loro orizzonte mentale. Ne è prova il fatto che quando, nel 2009, l'allora Ministro della Giustizia, Ya'acov Neeman, rilasciò un'intervista nella quale paventava il desiderio di sostituire il sistema giuridico vigente con quello ebraico ispirato all'applicazione integrale dalla Legge della Torah, la grande maggioranza delle forze parlamentari, interpretando gli indirizzi della pubblica opinione, rigettò con forza una simile ipotesi ribadendo che non sarebbe stata ammessa la "talebanizzazione" dell'ordinamento giuridico. D'altro canto l'ipotizzata revisione delle fonti del Diritto avrebbe provocato la crisi del concetto stesso di libertà politica che sta alla base della struttura democratica della società israeliana. La sostanza del concetto di libertà politica, in dottrina, trova la sua manifestazione nel principio indefettibile "dell'autodeterminazione dell'individuo mediante la sua partecipazione 8 Si tratta di un composto che unisce due categorie concettuali differenti e, soprattutto, indipendenti. Il principio liberale richiama valori di libertà, individuale e collettiva, che non necessariamente si presentano così fondamentali nell'edificio democratico. Come sostiene Alexis de Tocqueville nel suo " La democrazia in America", l'oggetto del desiderio per i popoli che si sono dati un assetto democratico, prima ancora della libertà, è l'eguaglianza:" …Nulla potrebbe soddisfarli senza l'uguaglianza, e preferirebbero morire piuttosto che perderla". Il concetto però viene totalmente rovesciato da altri autori come, ad esempio, Hans Kelsen che nel suo " Essenza e valore della Democrazia "afferma: è " il valore della libertà e non quello dell'eguaglianza a determinare, in primo luogo, l'idea di democrazia". Egli sostiene anche che "corrispondente all'idea di democrazia è invece la nozione che tutto il potere debba essere concentrato nel popolo" ( Hans Kelsen, Teoria Generale del Diritto e dello Stato, pag.287, Prima ristampa dell'edizione italiana, Milano 1974). Nel caso di Israele si può dire realizzata la sintesi che ha prodotto una democrazia fondata sui principi liberali del costituzionalismo, rafforzati dalla tutela dei diritti individuali e aperta alla partecipazione dei cittadini alla guida della cosa pubblica. 9 Nel caso specifico il riferimento all'idea liberale si connette ai principi del liberalismo politico che sono cosa altra rispetto alla teoria del liberalismo economico. Dal punto di vista concettuale appare arduo definire il "liberalismo" attesa la pluralità delle espressioni attraverso cui esso si è realizzato nel tempo e nei differenti contesti statuali. Certamente la rappresentazione più suggestiva resta quella offerta da José Ortega y Gasset nel suo "La rebelìon del las masas" (1930): "…Il Liberalismo…..è la suprema generosità: è il diritto che la maggioranza concede alle minoranze ed è, pertanto, il più nobile appello che risuona nel mondo. Esso proclama la decisione di convivere con il nemico, e di più, con il nemico debole". 10 Isaiah Berlin, Il Potere delle Idee, pag.231, Milano 2003.

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alla creazione dell'ordinamento sociale . Secondo il principio liberale, la funzione del "dominus" nella composizione delle regole fondamentali resta per intero in capo al singolo individuo la cui volontà, in armonia con la volontà collettiva, si riverbera nell'ordinamento sociale il quale, a sua volta, ne diviene diretta espressione. E' soltanto in previsione di questo alto ruolo che l'individuo può rinunciare a quella forma di libertà naturale a declinazione negativa che si caratterizza per l'assenza di ogni genere di vincolo e, soprattutto, per l'inesistenza di un'autorità legittimata a porre vincoli. Presso la pubblica opinione dei Paesi occidentali a impianto costituzionale, quindi anche presso quella israeliana, l'idea dello Stato di Diritto borghese, che è la forma giuridica assunta dal normativismo liberale, si associa all'idea del giusto processo e alle tecniche di garanzia che lo Stato, anche in materia di amministrazione della Giustizia, deve assicurare al singolo cittadino onde evitare che l'incommensurabile squilibrio di forze produca arbitrio e violazione dei diritti fondamentali della persona umana. Ma non è tutto. L'altra faccia della medaglia raffigura la Certezza del Diritto laddove, come insegna Cesare Beccaria, la parola "Diritto" non è contraddittoria alla parola "Forza". Alle garanzie da prestare all'individuo accusato di un reato, fa da contrappeso l'eguale diritto della collettività a punire con giusta sanzione colui o coloro che, assumendo un comportamento delittuoso, abbiano leso i diritti e gli interessi di quel consorzio umano di cui gli stessi colpevoli fanno parte. E' per rifuggire dal caos e dal continuo stato di guerra che gli uomini hanno acconsentito a cedere parte della propria libertà. E, come spiega Beccaria nel suo "Dei Delitti e delle Pene","…la somma di tutte queste porzioni di 12 libertà sacrificate al bene di ciascheduno forma la sovranità di una nazione…" . Per questa ragione esistono le leggi che "impediscono a un cittadino di temere un altro 13 cittadino" . Ma, per i fautori del pensiero liberale, ciò che protegge tanto il singolo quanto l'intera collettività di individui dall'arbitrio della tirannide è un principio più alto che diviene fondante per qualsiasi entità statuale a vocazione costituzionale. 14 Si tratta del Principio della Separazione dei Poteri . 11 La definizione è in Hans Kelsen, Teoria Generale del Diritto e dello Stato, pag.290, Prima ristampa dell'edizione italiana, Milano 1974. 12 Cesare Beccaria, Dei Delitti e delle Pene, pag.48, Roma 1944. 13 Charles Louis de Montesquieu, Esprit de Lois, Tomo XI, Capitolo 6, ed. Italiana. 14 L'idea della suddivisione del Potere in tre tronconi separati che, agendo in totale autonomia, si controllassero a vicenda, è da attribuire, in quanto a primogenitura, a Charles Louis de Montesquieu e, sebbene con alcune significative differenziazioni , a John Locke. In realtà, esiste un autorevole precedente nell'opera principale di Marsilio da Padova, il " Defensor Pacis" (1324). Dall'analisi marsiliana della struttura dell'organizzazione politica, emerge l'idea "dell'Universitas Civium", cioè della totalità del corpo della cittadinanza che sarebbe l'unica fonte legittima della Legge (Potere Legislativo), mentre il governo ne sarebbe semplicemente l'espressione (Potere Esecutivo). Dunque, l' Ordinamento Giuridico, secondo Marsilio, trarrebbe la propria validità, e la propria forza, non da una manifestazione divina o dall'autorità di un'entità superiore (il Papa, l'Imperatore) ma da una espressione diretta di una volontà collettiva (il popolo).


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Non vi è dubbio che tale teoria sia stata destinata a fare da nutrice agli Ordinamenti dei Paesi che abbracciavano senza riserve la via liberale alla forma di governo sia a impianto repubblicano, sia a impianto monarchico15. Per rappresentare compiutamente il senso di questa fondamentale teoria, che per il De Montesquieu assume il crisma della inderogabile necessità, è opportuno rifarsi alla formulazione adottata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d'America, che interviene a "codificare" il principio organizzativo dei pubblici poteri: "che tutti i poteri affidati al governo…..siano divisi nei tre grandi rami, l'esecutivo, il legislativo e il giurisdizionale. Che le funzioni proprie di ciascuna di queste branche di governo siano attribuite ad un corpo separato di funzionari pubblici, e che la perfezione richiede una definizione estesa e chiara dei limiti che dividono e separano questi rami. E' anche essenziale per il buon funzionamento di questo sistema che alle persone a cui sono attribuiti poteri in ciascuna di queste branche non sia permesso di interferire nei poteri affidati alle altre, ma che ciascuna di esse sia limitata dalla 16 legge che l'ha creata unicamente all'esercizio dei poteri propri al suo ramo" . Ne consegue che, alla luce di quanto asserito sugli inequivocabili intendimenti perseguiti dalla pratica attuazione della teoria della Separazione dei Poteri, l'unica risposta possibile al gruppo di domande poste in chiusura del precedente paragrafo, sia chiaramente negativa. Nulla di quanto ipotizzato nella proposizione contenuta in ciascuna domanda può essere ascritto al pensiero liberale. La società israeliana è stata edificata su una sorta di mistica della libertà, fortemente avvertita da un popolo che per decenni ha sentito di vivere non nella " Terra Promessa " della tradizione mosaica ma, più verosimilmente, in quello che Berlin definisce un " bivacco…dove si incrociano le direttrici di marcia di eserciti ostili "17. Ciò significa che i capisaldi del riformismo liberale: la perfettibilità umana, la possibilità di vivere naturalmente in una società armonizzata, l'incrollabile fede nell'inseparabilità dei principi di fratellanza, libertà, uguaglianza, sono stabilmente posizionati all'interno dell'idem sentire di un popolo che, parafrasando il rivoluzionario russo Aleksandr Herzen, ha avuto “troppa storia e troppo poca geografia”. Per questa ragione anche soltanto l'idea che il principio regolatore delle meccaniche dei poteri separati possa essere violato o messo in crisi, dovrebbe generare nella pubblica opinione israeliana un moto di preoccupazione se non di ostilità, ampiamente fondato. Il timore è quello stesso enunciato dal De Montesquieu nel suo scritto fondamentale. “ Quando nella medesima persona e nel medesimo corpo di magistratura il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non vi è affatto libertà, perché si può ritenere che il monarca medesimo, o lo 18 stesso senato, emanino delle leggi tiranniche, per eseguirle in maniera tirannica” . 15 In tal senso è paradigmatico l'art.16 della Dichiarazione Universale Dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 che nega la natura costituzionale a quelle società nelle quali non siano garantiti i diritti ai cittadini e, appunto, non sia stata determinata la separazione dei poteri. 16 United States Supreme Court Reports, Kilbourn v/s Thompson, 103 U.S. , 168, p.190 e ss. , 1880. 17 Isaiah Berlin, Op. Cit. pag. 236. 18 Charles Louis de Montesquieu, Op. Cit.

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In concreto, il fatto che i principali poteri agiscano, nell'ambito di una realtà statuale, in forma autonoma e chiaramente separata, rappresenta, nella visione del moderno costituzionalismo che coniuga principi liberali e tutela dei diritti individuali, l'unico possibile antidoto all'avvento della tirannide, di qualsiasi tipo o sotto qualsiasi forma essa si presenti. Ora, non vi è alcun dubbio che la decisione del Governo israeliano di ignorare le sentenze emanate da legittimi organi giurisdizionali, rimettendo in libertà dei condannati a pene detentive, rappresenti una evidente "invasione di campo" dell'Esecutivo ai danni di diverso Potere. Nella logica del normativismo d'ispirazione liberale una rottura di tale portata, se reiterata nel tempo finirebbe con il compromettere la "Grundnorm", la regola suprema la quale, collocata al vertice della piramide normativa, conferisce unità e obbligatorietà all'intero sistema19. D'altro canto, la decisione in esame ha provocato, comunque, uno squilibrio nel sistema di bilanciamento dei poteri sottraendo la protezione giudiziaria all' efficacia della legge. In qualsiasi altra circostanza si sarebbe gridato al golpe, cioè al rovesciamento illegale dell'equilibrio costituzionale dei poteri legittimi. Una rottura di tale portata, prescindendo dal contenuto specifico della decisione governativa, avrebbe dovuto determinare la sollevazione del popolo, titolare della sovranità. Inoltre, a corollario di un comportamento volto alla rottura degli equilibri, si aggiunga la manifesta violazione del principio fondante dell'uguaglianza formale di tutti i cittadini davanti alla Legge. Nel caso narrato, il fatto di aver liberato soltanto alcuni colpevoli di gravi delitti, lasciando in carcere tutti gli altri condannati per gli stessi reati, ha generato un evidente trattamento di disparità, posto in essere da un potere afferente all'entità statuale, quindi dallo Stato. Questo sarebbe bastato per mettere in stato d'accusa Netanyahu e il suo gabinetto. Eppure così non è stato. Perché? 6. Critica alla teoria dei Poteri separati. Il decisionismo La realtà della vita in Israele è, talvolta, ben diversa da come possa essere rappresentata nei contesti analitici il cui fine ultimo è dimostrare il fondamento di mere ipotesi accademiche. Certo è più problematico cogliere la complessità nella prassi quotidiana piuttosto che elaborare teorie che attendono una sperimentazione prima di essere validate. Osservata da vicino, la società israeliana mostra, accanto alla buona qualità del tenore medio di vita, anche i segni di un'incertezza prodotta dalla mancata stabilizzazione dell'area geopolitica mediorientale. Il senso di belligeranza permanente sta incidendo sui livelli di sicurezza individuali e collettivi della comunità ebraica. 19 Si potrebbe obiettare che Israele non abbia una Carta Costituzionale, intesa come un unico testo scritto, quindi non vi potrebbe essere violazione della Grundnorm, mancandone la condizione. In realtà le cose stanno diversamente. Israele, in effetti una Costituzione la possiede, e anche in forma scritta. Si potrebbe dire che il dettato costituzionale israeliano sia un "working in progress" visto che, iniziato all'atto di fondazione dello Stato, non può dirsi ancora concluso. Infatti, nel tempo, sono state promulgate undici leggi fondamentali che, dal punto di vista sostanziale, hanno assunto il rango di leggi costituzionali. Esse si occupano della struttura dello Stato nonché dei principali diritti del cittadino. Per regolare i possibili conflitti tra leggi ordinarie e leggi fondamentali in materia di diritti e di libertà inalienabili della persona, l' organo legittimato a decidere è la Corte Suprema che opera sul modello dell'analogo istituto presente nella struttura costituzionale degli Stati Uniti d'America.


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Ciò ha determinato che il bisogno di pace facesse aggio anche sull'incrollabile attaccamento ai principi e agli istituti che regolano la vita di una democrazia d'impronta liberale. Il "sentiment" che si coglie nella stampa nazionale indica che l'opinione pubblica ritenga accettabili, in casi estremi, deroghe alle norme imperative dello Stato di Diritto purché esse siano finalizzate al conseguimento di un risultato considerato di gran lunga più desiderabile del perfetto funzionamento della democrazia. L'obiettivo resta quello del conseguimento di una pace duratura e sostenibile con i popoli vicini e un accettabile accordo di convivenza con la parte palestinese la quale rappresenta pur sempre l'altra faccia della realtà d'Israele. Cosa comporta questa controtendenza, rilevata dagli indicatori degli osservatori mediatici, rispetto ai fondamentali liberaldemocratici della società civile israeliana? Non deve destare stupore il fatto che, nell'azione di governo, la consapevolezza di una visione trascendente dello Stato abbia preso il sopravvento sulla tradizionale egemonia del formalismo giuridico, supremo regolatore delle meccaniche di funzionamento della separazione dei Poteri dello Stato e pietra angolare del Costituzionalismo moderno. In realtà, la prassi del fronte negoziale esterno, costantemente aperto e in continua evoluzione, spinge il Potere Esecutivo sul sentiero metanormativo della decisione come sbocco naturale a uno stato d'eccezione. La natura della decisione è quella di un atto politico e insieme ideologico che può configurare un momento costitutivo della vita giuridica, con un'efficacia equivalente alla forma normativa20. Pur usando tutte le cautele del caso, si potrebbe giungere ad affermare che la dottrina dello Stato praticata attualmente presso le pubbliche istituzioni israeliane abbia degli addentellati con il 21 concetto di "decisionismo" , fulcro del pensiero filosofico-giuridico di Carl Schmitt. Proprio il ricorso a un'interpretazione estensiva della teoria schmittiana ci aiuta a comprendere la complementarità del nesso che si instaura, sullo sfondo di un'articolata problematica cresciuta intorno all'idea di sovranit22, tra "decisione" ed "eccezione", nel senso che l' inverarsi di quest'ultima sia "condicio sine qua non" perché si provochi l'atto decisionale. L'eccezione 23 richiama nella realtà lo "stato di necessità" nel quale un Potere si trova ad agire . Per dirla con le parole dello stesso autore: " l'eccezione è ciò che non è riconducibile; essa si sottrae all'ipotesi generale, ma nello stesso tempo rende palese in assoluta purezza un elemento formale specificamente giuridico: la decisione"24. 20 In questa prospettiva il concetto di "decisione" verrebbe declinato con quello di "norma". Sul punto cfr. Alfonso Catania, Decisione e Norma, pag.158 e seg., Napoli, 1979. 21 Nella ricostruzione schmittiana il decisionismo è assimilato concettualmente a una filosofia della vita concreta la quale "non può ritirarsi davanti al caso estremo, anzi deve interessarsi ad esso al più alto grado". Carl Schmitt, Le categorie del "politico", pag.41. 22 Per Schmitt la sovranità non è "monopolio della sanzione o del potere", piuttosto è "monopolio della decisione ultima". Sul terreno della concezione della sovranità si consuma il contrasto tra normativismo e decisionismo. La rappresentazione plastica di questo contrasto è data dalla polemica sostenuta da Carl Schmitt contro le tesi di Hans Kelsen. Sul rapporto Schmitt/Kelsen cfr. Carlo Galli, Genealogia della Politica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico moderno, pag. 297 e seg., Bologna, 1996. 23 L'interpretazione del concetto di eccezione si spinge, nella teoria schmittiana, a identificarsi in quello di "Verfassunglücke", cioè di "lacuna costituzionale" rinvenibile nel corpo di una costituzione democratica, vista come ordinamento incompleto. 24 Carl Schmitt, Teologia della politica. Quattro Capitoli sul concetto di sovranità, in Le categorie del "politico", pag.73, Bologna 1972.

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Negli attuali sistemi statuali le dinamiche complesse a cui devono soggiacere anche i tradizionali poteri individuati per il funzionamento del sistema costituzionale, finiscono per contaminarsi l'un l'altro, per effetto di correlazioni e sinergie operative. L'idea, dunque, della separazione viene confermata solo quando "le interferenze portino a travisare i compiti e le finalità di 25 ciascuno di essi" . Ne consegue che la teoria montesquiviana della Separazione dei Poteri, mostri i segni di un naturale invecchiamento o, almeno, non sia più applicabile in forma anelastica all'interno di società nelle quali il fattore temporale è divenuto elemento chiave per lo sviluppo delle dinamiche intra-statuali tra Poteri concorrenti. Da questo punto di vista, la possibilità di assorbire, anche all'interno di realtà a impianto democratico, situazioni nelle quali l'elemento decisionale, attivato da uno stato di necessità, prevalga sulla obbligatorietà della norma, facendosi a sua volta fonte produttiva di effetti giuridici, non annichilisce, atteso l'elemento qualificativo dell'eccezionalità, la sostanza liberale dell'ordine costituzionale, neppure quando, come nel pensiero schmittiano, esso venga sottomesso alla primazia dello Stato. Segnatamente, è nella condizione d'eccezione che lo "Stato continua a sussistere mentre il 26 diritto viene meno" . Gli attuali governanti d'Israele sono pienamente consapevoli che il tempo richieda una decisione. Ed essi agiscono, in nome del bene pubblico e dell'interesse collettivo, aldilà del pur comprensibile dovere di ossequio formale che tributano, negli istanti di calma apparente, agli istituti tradizionali del costituzionalismo di marca settecentesca. Quindi, una moderna democrazia, obbligata a considerare tutti gli aspetti, in realtà molto complessi, dell'azione politica agita all'interno e all'esterno dei propri confini spaziali, può sopportare che l'interesse prevalente dello Stato determini temporanei sbilanciamenti negli equilibri tradizionali tra i Poteri, nella prospettiva finalistica di garantire, anche mediante deroga all' efficacia delle norme ordinamentali, adeguata incisività all'azione di governo. Nell'attuale contesto sociale e politico di uno Stato di frontiera, qual è quello ebraico, il fatto che il governo (Potere Esecutivo) consegua i suoi obiettivi, in condizioni di straordinarietà, non è un elemento secondario. Nella valutazione, dunque, è conducente che un Potere, alla luce di una condizione eccezionale, faccia uso di una quantità di mezzi superiore all'ordinaria dotazione. Il fatto che questi afferiscano anche da altre branche dell'Amministrazione dello Stato in provvisoria sospensione del principio convenzionale d'organizzazione dei pubblici poteri, rafforza l'idea schmittiana che è all'eccezione che va rivolta, in senso affermativo, l'attenzione della scienza giuridica: "L'eccezione è più interessante del caso normale. Quest'ultimo non prova nulla, l'eccezione 27 prova tutto; non solo conferma la regola: la regola stessa vive solo dell'eccezione" . Vieppiù, la vicenda in esame squarcia il velo di confusione che copre il difficile rapporto legalitàlegittimità, ponendo in luce la crisi della legalità formale rispetto alla progressiva ascesa della 25 Armando Plebe, Dieci lezioni di politica, pag.57, Milano,1994. 26 Carl Schmitt, Op. Cit., pag. 39. 27 Carl Schmitt, Op. Cit, pag.41. sul punto più ampiamente cfr. Pier Paolo Portinaro, Che cos'è il decisionismo?, in Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto, Aprile/giugno IV serie - LIX - 1982 - Milano, pag. 247 e seg..


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legittimità, quale valore scaturente da una dinamica metagiuridica. Si tratta di prendere atto della realtà di uno scontro nato dalla tendenza assorbente della prima rispetto alla seconda che si concentra interamente nella proposizione: è legittimo ciò che è legale. Il principio di legalità, a sua volta, si colloca stabilmente all'interno del complesso normativo/ procedurale a cui, secondo la prevalente dottrina28, neppure lo Stato, in quanto personificazione dell'ordinamento giuridico, si sottrae. Ma se si colloca il principio di legittimità al di fuori della sfera di controllo del potere normativo, se ne coglie, nella pienezza della dimensione politica, il valore di trascendenza rispetto alla forza stessa della norma. Si consideri che il suo apparato radicale è stato incubato e fertilizzato nei terreni essenziali dell'ethos e della volontà politica del nuovo sovrano (il popolo), necessari tanto quanto il piano normativo a favorire un ordinato sviluppo della vita della comunità regolata dal principio democratico29. 7. Spunti per un'analisi comparata. Altre obiezioni avrebbero dovuto essere sollevate riguardo alla teoria della Separazione dei Poteri, come quella radicale, proposta da Plebe, circa l'inadeguatezza del numero effettivo dei 30 Poteri, oggi superiore a quello della tradizionale tripartizion . Per lo sviluppo analitico di questa obiezione, come di altre argomentazioni, si rinvia ad altra nota di approfondimento. Ciò che, invece occorre evidenziare, è che, alla luce delle considerazioni qui svolte, le risposte richieste alle domande formulate in chiusura del 4 paragrafo, possono trovare, in riforma di quanto sostenuto precedentemente, una definizione di segno affermativo. E' del tutto evidente che, limitandosi a un'interpretazione normativistica del rapporto tra poteri dello Stato, il giudizio non può che essere di condanna del comportamento tenuto dal Potere esecutivo nella vicenda esaminata. E' stata accertata una violazione delle regole fondamentali del gioco costituzionale: il governo ha invaso la giurisdizione del Potere giudiziario, assumendo un comportamento che non trova copertura nell' ordinamento. E' questo il punto di vista della scuola d'ispirazione Kelseniana. Se, invece, mettiamo sul tappeto l'ipotesi decisionista la quale prevede che in condizioni d'eccezione il potere di governo, assumendo le vesti del "custode della Costituzione", possa intervenire prendendo decisioni assolute, al di fuori di ogni vincolo, destinate a produrre effetti giuridici, allora possiamo comprendere perché la maggioranza dell'opinione pubblica abbia trovato coerente e legittimo il comportamento del suo governo e non sia insorta, come i fautori del liberalismo costituzionale avrebbero immaginato, denunciando il sovvertimento dello Stato di Diritto. Avrebbero dato ascolto, in questo caso, al pensiero di Schmitt sulla natura eterodossa dello Stato rispetto all'ordinamento giuridico che ne regola la vita interna. 28 Sul punto cfr. Hans Kelsen, Op. Cit. pag. 185 e seg. 29 Sul punto Carl Schmitt, Legalità e Legittimità, in Le categorie del politico, Op. Cit. 30 Sul punto cfr. A. Plebe, Op.Cit., pag.58.

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E' singolare che, a distanza di Ottant'anni, con la Storia che è scorsa copiosa sotto i ponti del Tempo, si sia ancora a dare conto del duello Kelsen V/s Schmitt31. Sarebbe però un grave errore ridurre la questione sollevata a una mera disputa dottrinaria. Le ricadute concrete dell'una scelta rispetto all'altra sono di portata eccezionale. Si pensi solo all'opportunità che si offre nel mettere in discussione, senza pregiudizi o idee preconcette, la solidità dell'impianto liberalcostituzionale degli attuali Stati democratici dell'Occidente sviluppato, riproponendo teorie avanzate che possano imprimere un cambio di passo a sistemi statuali i quali appaiono sempre più ingessati e inadatti a reggere il confronto con l'elemento chiave della nostra realtà odierna: il tempo. Sebbene l'analisi condotta riguardasse la natura statuale d'Israele, la questione posta sulla effettiva funzionalità, nel nostro tempo storico, della teoria della separazione dei Poteri, scaturita dalla tradizionale dottrina del liberalismo costituzionale di origine settecentesca, traccia piste percorribili. In tale ottica, quindi, si ritiene possibile prevedere un rinvio alla situazione italiana allo scopo di produrre uno studio comparato. Penso, che dal punto di vista dell'argomentazione prescelta, lo stato della nostra democrazia si presti ampiamente a una valutazione critica. D'altro canto rappresenta un dato di evidenza il fatto che, nell'ultimo ventennio il quale coinciderebbe con l'avvento di una sedicente “seconda repubblica”, vi sia stata una “rivoluzione copernicana” nell'assetto dei Poteri operanti nella realtà. Il caso più noto è quello circa il ruolo svolto dalla magistratura italiana all'indomani dello scoppio di “tangentopoli” che determinò, tra gli applausi e gli entusiastici consensi della maggioranza del corpo elettorale che pure li aveva scelti e votati, la completa liquefazione dei partiti politici che avevano garantito fino a quel momento la stabilità democratica del Paese. L'organo giudiziario si compenetrò talmente nel ruolo di supplenza istituzionale che ancora oggi, a distanza di venti anni, parte della “Magistratura”, braccio esecutivo del Potere Giudiziario, ha seri problemi a rientrare nei ranghi dello svolgimento delle mere funzioni che la Carta Costituzionale le assegna. Ma questo non può essere considerato caso unico. Si pensi, ad esempio, alla mutazione genetica che ha subito negli ultimi tre decenni la figura dell' organo costituzionale “Presidente della Repubblica”. Inoltre, si pensi al contrasto, sorto a seguito dell'applicazione dell' articolo 117, generato dalla modifica del Titolo V, parte Seconda, della Carta Costituzionale, in merito ai conflitti di competenza radicati tra potestà concorrenti dello Stato centrale e delle regioni32. 31 Onde prevenire l'ovvia obiezione circa la datazione al "carbonio 14" della disputa Kelsen/Schmitt, desidero chiarire di ritenere la questione posta da entrambi i contendenti, e dai medesimi condotta e risolta in modo diametralmente opposto, il fulcro insuperato del problema che, in fase odierna, vivono alcune delle principali democrazie dell'Occidente sviluppato. E' indubbio che in questi lunghi anni molto sia stato detto, e scritto, che abbia arricchito grandemente il panorama dottrinario della Scienza del Diritto. Considero, però, tali contributi come eminenti tasselli apportati al completamento di un mosaico molto più esteso di quanto si possa pensare. 32 Con legge Costituzionale n.3 del 18 ottobre 2001 recante "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione" (in GU n. 248 del 24 ottobre 2001), il legislatore, modificando radicalmente la ripartizione delle competenze tra Stato centrale e regioni, ha sancito la fine del rapporto gerarchico esistente tra l'uno e le altre. Le differenti entità sono state collocate su un piano di parità e separate in base al principio di competenza.


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Vieppiù, si osservi la "rivoluzionaria" decisione di parzialmente depauperare il tradizionale organo dello Stato liberale: il Parlamento, della sua potestà legislativa esclusiva. Quest'ultima, in base alla modifica costituzionale, viene redistribuita a beneficio delle regioni. Contestualmente, si pensi all'ingresso in Costituzione, con la modifica dell' art. 117, 1° comma, dell'Unione Europea e soprattutto, si valuti la trasformazione profonda dell'impianto delle fonti del nostro ordinamento giuridico, prodotta attraverso l'espresso richiamo ai vincoli "derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Nel novero delle citazioni non può tacersi dell' abnorme fenomeno della proliferazione delle autorità amministrative indipendenti. Esse sono enti di diritto pubblico che si occupano, tale dovrebbe essere la loro missione, della tutela di interessi fondamentali per la collettività. Siffatte autorità sono state concepite dal legislatore come una sorta di contrappeso al diritto costituzionalmente garantito (art.41 C.) della libertà di iniziativa economica, riconosciuta dallo Stato ai privati. La ratio che ha condotto alla nascita di questi nuovi istituti è posta nella preoccupazione del legislatore di dare tutela ai cittadini in presenza dell'insorgere di interessi diffusi, scaturenti dall'avanzare impetuoso dell'economia fondata sulle nuove tecnologie della comunicazione. Tuttavia tale intendimento non tempera, al contrario ingigantisce, la questione della perdita di peso specifico dell'Esecutivo in ordine all'azione di governo. Quest'ultimo, sul piano sostanziale, si trova a fare i conti con un complesso di contropoteri messi in grado di fornire risposte tecniche, e non politiche, alla domanda di giustizia promanante dalla cittadinanza. In concreto, l'esigenza di tutela che le Autorità sono chiamate a soddisfare presuppongono il riconoscimento fattuale dell'esistenza di altri poteri, verosimilmente dotati di particolare forza, i quali impongono un necessario controbilanciamento per evitare di compromettere l'intero equilibrio sociale. Tutto questo, però, finisce col passare "sopra la testa" dell'Esecutivo, potere forte per eccellenza nella tradizionale teoria liberale dei Poteri dello Stato. In conclusione, dal passaggio "a volo d'uccello", tentato in questa nota, sulle principali problematiche le quali sollevano legittimi dubbi sull'attualità della teoria montesquiviana della separazione dei Poteri, si conferma la necessità di un approfondimento in altra sede dell'argomento. E' personale convincimento che si tratti d'infrangere un tabù che per qualcuno, vissuto in odore di santità liberale, ha il gusto acre dell'eresia. E', dunque, necessario farsi eretici per tentare di andare oltre. Cristofaro Sola

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L’ALBANIA DISTRUGGERA’ LE ARMI CHIMICHE SIRIANE Il 2 novembre scorso era trapelata la possibilità che le armi chimiche provenienti dagli arsenali siriani potessero essere distrutte in Albania. La notizia era stata data in prima battuta dal quotidiano russo 'Kommersant', il quale aveva citato non meglio definite fonti diplomatiche riservate, anche perché il tempo stringeva e gli ispettori dell'Opac, l'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche che hanno provveduto alla loro individuazione, avevano escluso che si potessero eliminare direttamente in Siria, a causa delle ostilità in corso tra lealisti e ribelli. D'altra parte, Damasco aveva accettato che gli arsenali fossero trasferiti all'estero, ponendo come unica condizione che non venissero inviati negli Stati Uniti. Sempre il quotidiano moscovita aveva fatto notare come fosse improbabile che Tirana potesse rifiutare un'eventuale proposta americana, a prescindere dall'"arretratezza delle sue infrastrutture" e dalla "scarsa efficienza" delle sue autorità. "A differenza dei Paesi dell'Unione Europea" - aveva poi dichiarato al quotidiano Andrei Baklitsky, esperto del Pir Center di Mosca - "l'Albania può disporre di maggiori incentivi, anche materiali, per ammettere agenti tossici sul proprio territorio" ed "ha un 'curriculum' in materia decisamente favorevole: nel 2007, con l'assistenza di Germania, Svizzera e degli stessi Usa, è diventata infatti il primo Paese nella storia a completare pienamente il processo di disarmo chimico", distruggendo circa 16 tonnellate di gas mostarda e di altre sostanze tossiche, ereditate dall'epoca della dittatura comunista di Enver Hoxha. Il 'Kommersant' ci aveva azzeccato. Per quanto la notizia non sia ancora ufficiale, sempre più voci danno infatti come certo lo smantellamento delle armi chimiche siriane in Albania, paese che ha aderito alla NATO il 1 aprile 2009 e, d'altra parte, tali armi da qualche parte vanno messe, visto che sono stati proprio gli Usa ad aprire la querelle diplomatica estiva ed a minacciare un intervento armato contro al-Assad dopo l'attacco del 21 agosto mosso - non si sa da chi - con le armi chimiche, che è costato la vita a 1400 persone nei sobborghi di Damasco. I 14 ispettori delle Nazioni Unite giunti sul posto hanno solo potuto costatare che chi ha usato i gas letali era in possesso di ben 350 litri di sharin, sparato sugli obiettivi con razzi terra-terra. Non è stato tuttavia specificato chi abbia fatto ricorso a tali armi, cosa che ha spiegato il presidente della Commissione di inchiesta Paulo Pinheiro dichiarando che "stiamo indagando su quattordici casi sospetti di uso di armi chimiche, ma non abbiamo stabilito chi sia responsabile". Nel rapporto, firmato dal capo degli ispettori Ake Sellstrom, si legge che "I campioni ambientali,


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chimici e medici che abbiamo raccolto forniscono prove chiare e convincenti che sono stati usati razzi contenenti gas sarin nel quartiere Goutha di Damasco lo scorso 21 agosto" e "La conclusione è che sono state usate armi chimiche su una scala relativamente ampia nel conflitto fra le parti in Siria contro i civili, inclusi bambini". Quello che gli Usa non hanno voluto che si dicesse, è che le armi chimiche sono quasi certamente state usate dai ribelli o quanto meno dai gruppi qaedisti di al-Nusra e dell'Isil, proprio per scatenare la reazione statunitense contro al-Assad. Infatti, è bene ricordare che l'uso delle armi chimiche in Siria, paese che ne detiene il maggior arsenale al mondo, non è una novità circoscritta all'attacco del 21 agosto e che vi sono notizie risalenti già a partire da febbraio, basti pensare che l'ex Procuratore del Tribunale penale internazionale ed attuale membro della Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani in Siria, la svizzera Carla Del Ponte, aveva affermato a maggio alla Radio elvetica che nel conflitto già erano state utilizzate armi chimiche, ma non dalle truppe del regime di al-Assad, bensì dagli insorti. "I nostri ispettori sono stati nei Paesi vicini a intervistare vittime, medici e negli ospedali da campo - aveva spiegato la Del Ponte - . In base ai loro resoconti della scorsa settimana ci sono sospetti forti e concreti, ma non prove inconfutabili, dell'uso di gas sarin"; tuttavia ad "oltrepassare la linea rossa" indicata dal presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, "sono stati i ribelli, l'opposizione, non le autorità del governo siriano". L'accordo di Ginevra, dove il Segretario di Stato Usa Kerry ed i ministri degli Esteri di Russia e Siria, Lavrov e al-Muallem hanno previsto la consegna delle armi chimiche pur di scongiurare l'attacco franco-statunitense, aveva quindi la falla di dove stoccare e distruggere l'arsenale chimico siriano, dopo che Giordania, Turchia, Norvegia e Belgio avevano risposto picche. Per cui la scelta dell'Albania oggi appare scontata ed il ministro degli Esteri albanese, Ditmir Bushati, che si è sentito al telefono con Kerry, si è limitato a riferire in un'interrogazione parlamentare che "al momento non è stata presa nessuna decisione. Siamo stati solo contattati, in qualità di paese membro della Nato. Non abbiamo avviato né negoziati né consultazioni, visto che su una tale decisione dovrebbe pronunciarsi il Parlamento". Il presidente del Parlamento albanese, Ilir Meta, ha riferito nel corso di una conferenza stampa che l'Albania, in chiave Onu, si assumerà la propria responsabilità come tutti nel processo di distruzione delle armi chimiche siriane, ma che "ogni decisione sarà presa in modo trasparente". Ed ovviamente a Tirana è iniziata la protesta dell'opinione pubblica: le prime riunioni e manifestazioni sono state indette dagli ambientalisti dell'Akilh per porre nella società civile il problema e mettere le mani avanti: hanno chiesto che il governo socialista di Edi Rama già ora respinga ogni proposta per lo smantellamento delle armi chimiche siriane in Albania, forti anche della recente abolizione della legge che permetteva al paese delle aquile di importare rifiuti dall'estero. Enrico Oliari

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CULTURA

ELABORAZIONE DEL LUTTO E CRESCITA La domanda iniziale: attraverso la musica, cosi come attraverso qualsiasi forma di arte, è possibile trovare una strada per affrontare il difficile compito dell'elaborazione di una perdita o di un lutto? Il testo musicale è I Carmina Burana una produzione goliardica, morale ed amorosa, (manoscritto XIII sec), una produzione forte ed istintuale che ci avvicina, ci approssima alla nascita dello psichismo nel lavoro del lutto I Carmina Burana sostanziano la colonna sonora del film Excalibur di John Boorman che mette insieme la leggenda di re Artù, dei cavalieri della tavola rotonda e della spada nella roccia che rappresentano il mito del legame di fusionalità in cui non alberga nessuna differenziazione. Excalibur è la spada fusa nella roccia. C'è una forza ed un'energia che guiderà un uomo ad estrarre quella spada corpo unico con la pietra. Questo è il mito della fusionalità in cui il tempo non scorre in attesa di un evento, di un distacco. Il mondo privato di evoluzione resterà fermo nel tempo fino a quando l'incantesimo sarà risolto: la spada tornerà ad essere se stessa e la pietra fonderà se stessa come edificio sepolcrale della mortalità. Lo stato di attesa crea una situazione di aspettativa che ingloba lo scorrere del tempo nella eternità. Dobbiamo ritrovare il nostro percorso, un viaggio che ha un inizio ed una fine non come quello del commesso viaggiatore in cui ogni sosta è casa, ogni luogo è un porto, in cui le pause non hanno un carattere familiare. Solo questo darà il senso alla speranza di un percorso senza putride lagune. Lo stato di attesa è spesso un acquitrino, un luogo dove l'acqua senza forma e senza contenimento ristagna. La perfezione non appartiene al tempo che scorre, alla nostra personale vita e alla nostra storia. Nella perfezione l'altro diviene un idolo mentre io mi svuoto di energia ed incapace sono senza risorse, come nella leggenda di re Artù: privato della spada mi avvio al regno della immobilità. Così evito ogni conflitto ed il mondo infantile e le sue regole globali ed onnipotenti mi assalgono e mi paralizzano. Evito di accettare la mia vita resto in un posto e giro in tondo in un quadrante di orologio che non ha lancette. Così sento di essere potente/impotente su di un'angoscia di morte che mi tiene in ostaggio ed che inesorabilmente mi chiama al termine. Si crea un ideale forte e tenace: troverò un appoggio in un corpo che non mi deluderà, la trascendenza accade tramite una realtà idealizzata. In questo stato vige l'allucinazione, l'uso della immagine al posto del pensiero, trasferisco l'immagine sulla realtà non c'è negazione, ma impossibilità a percepire, sentire e riconoscere.


CULTURA

Chi sono? Forse solo l'appoggio di una realtà ho gli occhi per vedere e riconoscere, ma non ho parole per dirlo. Ciascun individuo, sin dalla nascita, si confronta con esperienze di perdita (l'abbandono della vita intrauterina, le frustrazioni inferte durante le cure materne, lo svezzamento ecc...). La crescita si confronta con traumi e frustrazioni che vanno assorbite e digerite all'interno della propria esperienza. Il bambino da 0 a due anni, fin dalle prime fasi dello suo sviluppo, è tutt'uno con le figure di accudimento, con l'ambiente e con le sensazioni corporee che non riesce a decodificare. Inizialmente il mondo emotivo del bambino è quella spada fusa nella roccia in attesa di costruire la sua identità. In tutte le tappe evolutive è importante che ci sia un contenimento sintonico della sfera emotiva che nella sua essenza è marasmatica come i Carmina Burana. Sperimentare una fase di legame fusionale, essere un unico corpo senza distinzioni, richiede attenzione e preoccupazione in cui la trascuratezza o l'eccessiva attenzione ai bisogni del bambino impediscono di sperimentare la fase di dipendenza naturale e sana. Il genitore inconsapevolmente può richiedere al proprio bimbo, che cresce, una precoce autonomia, un adeguamento alla realtà e propri bisogni, o un restare nella culla neonatale il più a lungo possibile. La prima più grande sfida che lo psichismo si trova ad affrontare è quella di elaborare (Racamier 1993), il lutto originario, che è proprio la condizione di perdita di quell'esperienza di onnipotenza data dall'unione fusionale: una dimensione in cui non c'è alcuna differenziazione: la spada è la roccia sono uno. Questa primissima esperienza di perdita dello stato di onnipotenza deve essere favorita ed accompagnata dall'ambiente e dalle figure di accudimento. Che devono sintonizzarsi ad accogliere le esperienze luttuose collegate alla perdita di quel neonato che si è formato nel nostro grembo che ora, dopo il pianto iniziale, respira da solo e digerisce un cibo che non è più quello placentare e si prepara, movimento dopo movimento, ad apprendere con curiosità il dentro ed il fuori della vita con la certezza che i suoi genitori non spariscono e non muoiono, ma sono li a testimoniare il loro accudimento, senza sperimentare un vissuto di perdita e di abbandono per cui ogni allontanamento è una perdita definitiva. E' importante che nelle esperienze precoci di perdita reale, come la morte o l'allontanamento di uno dei genitori sia data al bambino la possibilità di esperire ed esprimere il dolore e la tristezza, laddove l'adulto tenta di imporre il silenzio sulla scomparsa. La nascita dello psichismo segue il ritmo dei nostri Carmina Burana e tutto sarà in funzione di come abbiamo affrontato la nostra differenziazione, di come avremo ed avranno decodificato le nostre sensazioni. La fase iniziale di onnipotenza in un legame di fusionalità, gradualmente, deve evolversi per consentire l'accesso ad una fase di distacco ed ad una dipendenza adeguate; la possibilità di creare, tra queste due fasi, uno spazio della relazione condiviso tra madre e bambino, che dia accesso al simbolo e quindi rafforzi ulteriormente la capacità di elaborare i lutti, attraverso l'accesso a nuovi significati. Non è semplice tentare di mettere ordine tra le tante interconnessioni esistenti.

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CULTURA

E' proprio dalle sensazioni corporee e dall'accudimento che si avvia un processo di apprendimento che porterà allo psichismo in cui mente e corpo sono aspetti differenziati in connessione costante. L'esperienza di connessione emotiva con le figure di accudimento in cui è presente sia la soddisfazione dei bisogni che le frustrazioni tollerabili favorisce la costituzione di uno psichismo sano, che sviluppa fiducia in se stesso e nell'ambiente circostante. Tutto ciò costituisce un bagaglio prezioso di risorse interne con il quale il bambino che è ora e l'adulto che sarà poi, affronterà tutte le esperienze traumatiche, i lutti, le perdite, le separazioni, i cambiamenti. Il lavoro del lutto è fondamentale per acquisire una identità separata in grado di riconoscere i propri limiti, i propri confini, per rispettare l'altro ed affrontare e tollerare i cambiamenti continui che la vita impone e che sono necessari per affermare la propria esperienza di crescita. Anna Patrizia Caputo


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RUBRICHE/ARTE

40 ANNI DI ARTE CONTEMPORANEA La Triennale di Milano presenta: Quarantanni d'artecontemporanea. Massimo Minini 19732013, una grande mostra per festeggiare quarant'anni di attività della Galleria Minini (dal 19 novembre 2013 al 2 febbraio 2014). La mostra è costituita da opere passate dalla Galleria Minini, un vero e proprio spaccato di storia dell'arte contemporanea raccontata da un punto di vista speciale, talvolta ironico e dissacrante dall'attore protagonista. Una storia con molti flash back, in cui Massimo Minini cerca di legare, giustificare e raccontare i vari momenti e passaggi con quella modalità tipica che ha trovato una peculiare forma letteraria nei "Pizzini", diventati un libro di successo con brevi favole, flash, racconti sugli artisti incontrati in questi anni. Massimo Minini e la sua galleria sono parte integrante della recente storia dell'arte contemporanea, grazie a mostre di molti fra i più importanti artisti degli ultimi decenni, italiani e internazionali. L'inizio dell'attività è caratterizzato dai movimenti dell'Arte Concettuale, dell'Arte Povera e Minimal; tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta viene inserito il lavoro di alcuni giovani artisti italiani e stranieri, tra cui Ettore Spalletti, Jan Fabre, Didier Vermeiren, Bertrand Lavier, Anish Kapoor, Alberto Garutti, Icaro, senza trascurare la ricerca figurativa con artisti come Salvo, Luigi Ontani, Ger Van Elk, Ryan Mendoza, Jiri Dokoupil. Dalla metà degli anni Novanta viene dato spazio a un gruppo di giovani artisti italiani tra cui Eva Marisaldi, Stefano Arienti, Maurizio Cattelan, Vanessa Beecroft, Sabrina Mezzaqui, Francesco Simeti e Paolo Chiasera, accostati agli artisti storici Boetti, Accardi, Fabro, Paolini, LeWitt, Barry, Graham, Buren. Negli ultimi anni la galleria ha dedicato grandi mostre ad artisti affermati come Luigi Ghirri, Yona Friedman, Roger Ballen, Nedko Solakov, Haim Steinbach, Peter Halley, Ghada Amer, a giovani artisti come Dara Friedman, Manfred Pernice, Sean Snyder, Mathieu Mercier, Jan De Cock, Tino Sehgal, David Maljkovic, Paul P., Monica Bonvicini, Haris Epaminonda. L'allestimento di questa mostra rispecchia il punto di vista particolare del gallerista. Opere storiche sono presentate accanto a installazioni site specific; una sezione è dedicata alla collezione di fotografia italiana, una serie di ritratti degli artisti italiani realizzati da grandi fotografi come Mulas, Giacomelli, Catalano, Gorgoni, Mussat Sartor, Cresci. Arricchisce la mostra il materiale dello sterminato archivio della galleria, che svela il lato più inedito e intimo degli artisti incontrati in questi quarant'anni. I documenti d'archivio saranno esposti in una speciale sezione. Giny


Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

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