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Aeromensile di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

Nuova serie - Numero 16 Settembre 2013 - Anno XV

GAME OVER

PRIMO PIANO: MONOGRAFIA IN MEMORIA DI ORIANA FALLACI


www.confini.org

Confini Aeromensile di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 16 (nuova serie) - Settembre 2013 - Anno XV

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettore: Massimo Sergenti +

Comitato promotore: Antonella Agizza - Mario Arrighi - Anna Caputo Marcello Caputo - Elia Ciardi - Gianluca Cortese - Sergio Danna - Danilo De Luca - Alfonso Di Fraia - Luigi Esposito - Giuseppe Farese - Enrico Flauto - Giancarlo Garzoni - Alfonso Gifuni - Andrea Iataresta - Pasquale Napolitano - Giacomo Pietropaolo - Angelo Romano Carmine Ruotolo - Filippo Sanna - Emanuele Savarese Massimo Sergenti +

Hanno collaborato a questo numero: Pietro Angeleri Francesco Diacceto Gianni Falcone Roberta Forte Giny Pierre Kadosh Dante Manchisi Enrico Oliari Pennanera Angelo Romano Giangredo Ruggiero Massimo Sergenti Cristofaro Sola +

Segreteria di redazione: confiniorg@gmail.com

+ Registrato presso il Tribunale di Napoli n. 4997 del 29/10/1998

confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone

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EDITORIALE

DEMOCRAZIA, VERSO L’EPILOGO? Difesa, sicurezza e giustizia, istruzione obbligatoria e stimolo alla ricerca, previdenza e assistenza, politica estera, politica idustriale strategica, incentivazione del merito e del talento, della proprietà intellettuale e della brevettazione, tutela e promozione del “made in Italy”, dei saperi tradizionali, della memoria basata sulla verità, della cultura scientifica e tecnologica, tutela e valorizzazione dei bacini ambientali e culturali, rispetto dei diritti civili e di cittadinanza, sanità pubblica e protezione civile, fiscalità generale, efficienza istituzionale e normativa, semplificazione burocratica, politiche di coesione interna ed europea. Di questo - e non d'altro - dovrebbe occuparsi lo Stato. In altre parole, lo Stato dovrebbe realizzare il benessere dei cittadini garantendo loro le condizioni migliori per progredire ed essere il più possibile soddisfatti del contratto sociale e delle regole di convivenza in esso sancite. Invece i cittadini sono sempre più visti solo come pecore da tosare non a fini redistributivi o migliorativi, ma solo per coprire gli sperperi, le spese faraoniche, i costi insopportabili di istituzioni pletoriche e inefficienti, i privilegi castali, i sempre crescenti interessi su un debito spaventoso creato da politiche dissennate e da un “sistema democratico” ipertrofico e ben al di sopra delle reali possibilità del popolo italiano, le strutture e le reti clientelari, le paludi del consenso. I “concittadini”, invece di essere “fratelli” sconosciuti, sono visti dai gestori del potere solo come soggetti da blandire falsamente in tempi di elezioni. I margini di libertà inviduali vengono compressi ogni giorno di più da regole asfissianti e, spesso, bizzarre. Lo Stato si fa sempre più pervasivo, occhiuto, controllante e la società italiana somiglia sempre di più a quella dei cosiddetti “secoli bui”, con potenti e gabellieri ad occupare la scena, con l'aggravante che i potenti di allora si sentivano in dovere, oltre che di angariare i sudditi anche di difenderli in caso di minacce, mentre quelli di oggi si limitano a promesse cui mai seguono fatti concreti. Emblematica, a questo proposito, la vicenda di Scampia, l'orribile quartiere dormitorio alla periferia di Napoli. Si è parlato di riscatto, di bonifica, di rinascita. Si sono avvicendati politici di tutte le confessioni per annunciare la buona novella, si sono forzati insediamenti pubblici e privati, sono state bruciate risorse ingenti, ma niente è cambiato. I pochi operatori che hanno “abboccato” sono sempre più soli e vittime di quotidiane vessazioni, nel disinteresse generale. Come soli sono rimasti i commercianti che hanno detto no al racket, i preti antiusura, i volontari


EDITORIALE

veri, non tributari della politica, gli studenti vittime del bullismo, le famiglie. L'alibi della crisi ha cancellato ogni traccia di solidarietà sociale, ognuno si chiude sempre più nel suo privato a difesa del suo misero orticello contro uno Stato che si è fatto nemico e contro un “fuori” sempre meno appetibile e frequentabile. E' la democrazia italiana che sta facendo tristemente e ineluttabilmente “game over”. E non basteranno un Renzi, blandito da Bassolino, un Grillo – Savonarola, la dinastia berlusconiana o un'insulsa schiera di governanti a cambiarne le sorti. E proprio le recenti vicissitudini del Cavaliere rappresentano la prova provata dello sfascio democratico e della totale inanità della politica nei confronti del solo potere forte che ancora sopravvive: la magistratura. Per questo i mercati danno maggior credito alla Spagna che all'Italia. Gli spagnoli, pur con i loro problemi e le loro lacerazioni autonomiste, hanno il senso della prospettiva e della dignità civile, pur essendo sudditi oltre che cittadini, avendo un re costituzionale, a differenza di noi con re Giorgio. Forse, a voler essere ottimisti, solo la riscrittura del patto sociale attraverso un nuova Assemblea Costituente potrebbe restituire all'Italia una tenue speranza, con la consapevolezza che questa non uscì dal vaso di Pandora, forse per alimentare in perpetuo le illusioni degli uomini. Angelo Romano

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SCENARI

GAME OVER La pausa estiva non sembra aver portato saggezza e lungimiranza al Governo Letta. Forse il caldo umido di luglio e agosto ha inibito pensieri, analisi e ponderazioni serie e coerenti azioni: troppo impegnative, nell'aria appiccicosa. Così, ancora una volta, l'Italia si ritrova con un Governo che all'azione preferisce l'annuncio. Eppure, se non ricordo male, abbiamo cambiato un presidente del consiglio, democraticamente eletto, perché nello tsunami che avanzava vedeva un'ondina che maestosi frangiflutti economici e finanziari italiani avrebbero tenuto tranquillamente a bada. Un incosciente, non c'è dubbio, ma non è che chi è venuto appresso abbia fatto meglio. Anzi, ha fatto di gran lunga peggio perché anziché stimolare l'economia e la finanza a reagire ha preferito drenare le poche risorse residue per fronteggiare il maremoto. Cosicché, quando l'ondata è arrivata, nessun imprenditore, nessun professionista, nessun cittadino aveva energie per fronteggiarla. Le aziende hanno cominciato chi a ristrutturarsi, chi a trasferirsi e chi a chiudere, i posti di lavoro a perdersi, la disoccupazione a dilagare, dissolvendo così i presupposti di una ripresa dopo il passaggio delle acque. E l'angoscia, sorretta dalla mancanza di opportunità e di risorse, è dilagata nella società inibendo ogni stimolo alla reazione. Persino la R&S è stata privata di mezzi, invogliando ancor più la fuga di cervelli. Ciò nondimeno, il drammatico è stato che alla devastazione economica si è accompagnata la staticità della pubblica amministrazione: nessuna revisione seria della spesa pubblica, nessuna rimozione degli aggravi burocratici, nessuna politica economica concreta. Il danno fatto dal governo Monti in poco più di un anno è un qualcosa d'inqualificabile, come peraltro hanno riconosciuto, di recente, eminenti fonti internazionali di analisi economica. Tuttavia, è sembrato che la naturale scadenza della legislatura e il ricorso alle urne potessero condurre a un governo legittimo che fosse in grado di apportare al Paese prostrato una boccata di ossigeno; un governo che, a prescindere dal colore, consapevole della terribile situazione, potesse cominciare a varare le necessarie riforme strutturali per porre l'Italia in grado di uscire dalla crisi, rilanciare l'economia, richiamare investimenti, ridurre la spesa pubblica. Però il destino, si sa, a volte è cinico e baro. Una nefanda legge elettorale, concepita da destra e sinistra, congiuntamente, per sfrondare gli schieramenti dai cespugli periferici e indurre i partiti verso il bipartitismo, ha mostrato la corda: nata per gestire la presenza di due poli, sarebbe stata in grado di sostenere anche l'esistenza di un terzo soggetto.


SCENARI

Però, la frammentazione eccessiva dei contendenti, sospinta dalla degenerazione della politica (dilaganti sperperi, ladrocini, ecc.) ha partorito un mostro: accanto a sparute figure che a malapena hanno raggiunto il quoziente, si sono affermati tre partiti che sostanzialmente si equivalgono dei quali uno, per effetto di decimali percentuali, ha preso il premio di maggioranza alla Camera senza poter bissare il risultato, sia pur discutibile, al Senato. In una parola, la conseguenza delle elezioni è stata l'ingovernabilità. Non è finita qui. A pari merito col “partito” degli astensionisti si è collocata l'antipolitica: la falange grillina, che col suo atteggiamento, becero e inconcludente, in barba all'emergenza è riuscita a tenere in scacco il Paese per oltre cinquanta giorni. In ogni caso, il risultato è stato che mezzo Paese ha dichiarato di essere talmente schifato dalla politica da dividersi tra il non voto e la follia a cinque stelle mentre l'altro mezzo Paese, diviso a sua volta per vent'anni tra berluscones e antiberluscones, senza alcun'altro interesse, ha formato un Governo, su veemente sollecitazione del 1° cittadino, quasi novantenne, appena confermato nel secondo settennato. Potenza della lirica, dove ogni dramma è un falso, avrebbe detto il grande Dalla, che con un po' di trucco e con la mimica puoi diventare un altro. Infatti, la rappresentazione che ora sta andando in scena è animata da attori di secondo livello che si sforzano di apparire ciò che non sono: coraggiosi, perspicaci, determinati. I primi cento giorni del Governo Letta sono stati, infatti, di una noia mortale, caratterizzati da questi accidenti di IMU e IVA: si, no, si, no, forse, forse no. Ma il Cavaliere, defilato dalla scena per pochi mesi, è tornato prepotentemente a riconquistarla. Come già ripetuto un'infinità di volte, non amo punto quel soggetto e, tuttavia, cosa pensare dell'entità della pena a lui comminata, imparagonabile con reati dello stesso tenore? Cosa dire dell'estemporanea innovazione dei principi basilari del diritto penale dove mai, ripeto, mai una prescrizione varata successivamente ad un reato commesso può avere effetti retrattivi fino a inglobarlo? E ciò nonostante la legge Severino, peraltro nebulosa. A questo punto il dibattito scenico si è riacceso: accantonata l'IMU e l'IVA e sostituita per la felicità dei gonzi dalla Service Tax, il Governo è andato in forse: cade, non cade… La Giunta per le autorizzazioni del Senato, guidata dal presidente Stefàno, un uomo del SEL (contrario al Governo Letta) non ha neppure minimamente considerato che se il contenuto della Legge Severino fosse così chiaro e ineludibile, soppianterebbe il ruolo della stessa Giunta: il che, in un'istituzione repubblicana seria, sarebbe impossibile. Eppure, paradossalmente, la Giunta, organo di garanzia per i rappresentanti del popolo, è indirizzata ad applicare la norma di una legge che non solo contravviene principi consolidatissimi di diritto ma che, privandola di fatto della benché minima discrezionalità, la rende inutile. Qualcuno afferma, e forse a ragione, che a questo punto il Cavaliere, alla tenera età di settantasei anni, per far venir meno l'ormai unica, nauseante, materia del contendere, potrebbe levarsi dai cabasisi, direbbe Cammilleri: certo… e lasciare spazio all'erede dinastica Marina, presidente di Fininvest e del gruppo Arnoldo Mondadori Editore, forse simile nella tempra al padre. Potrebbe farlo: in ogni caso resta una sua scelta, in coerenza o meno con le propensioni del suo

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partito. In ogni caso, non certamente in ossequio ai richiami etici del PD il quale, privo di un leader, sa ormai solo ripetere mantra: è il turno del “rispetto delle regole”, dimenticando che il primo a disattenderle in maniera plateale è esso stesso. Il congresso di settembre di quel partito sta diventando un mito, così come le primarie che dovrebbero precederlo: il tutto per non lasciar spazio a un outsider che, partito da un'isolata voglia di “rottamazione”, vanta oggi una nutrita schiera di parlamentari all'interno dei gruppi di Camera e Senato. Ma anche questi sono problemi di quel partito, dei suoi quadri e dei suoi elettori. Così come restano di pertinenza della Lega le questioni di leadership in ballo. Non cito la Lista Civica di Monti perché la liturgia politica dei suoi esponenti assomiglia più a una compostezza ecclesiale quando non alla fredda efficienza di un consiglio di amministrazione di una società finanziaria. Va anche bene tutto ciò ma dove sono le politiche di riduzione strutturale della spesa pubblica? E quelle di semplificazione burocratica? Dove è andata a finire la riforma delle istituzioni? E cosa ne è del finanziamento pubblico dei partiti? Quando torna in auge la riforma della legge elettorale? Dove sono andate a finire le politiche di crescita? Recentemente, Letta ha affermato di essere munito di molta pazienza, forse sottintendendo quella che deve avere per tenere unito un governo le cui componenti si baloccano in un melenso, scombinato minuetto. Con il risultato che il Presidente del Consiglio, per dimostrare al popolo di essere utile, è passato dalla magnificazione di un decreto “del fare” la cui utilità non è ancora chiara, all'esaltazione dell'accordo di Genova con i sindacati il cui contenuto è sconosciuto ai più. Rimane l'apprezzamento internazionale verso l'Italia per le nostre rassicurazioni circa il rispetto audacia temeraria igiene spirituale delle condizioni del fiscal compact: non supereremo il rapporto del 3% tra deficit pubblico e PIL. Quindi, non solo ci accingiamo a lasciare mano libera ai Comuni per le addizionali IRPEF e a varare una manovra supplementare a fine anno, ma stiamo dimostrando di essere anche degli scolari affidabili Alla conclusione dell'ultimo G20, è stato un sollievo, infatti, ascoltare le parole di Letta sul fatto che, a differenza delle volte precedenti, pensate, “non dobbiamo fare i compiti a casa”. Mi fermo qui per riflettere su un fatto: tutto questo scenario da gioco fantasy, le cui fasi si alternano caotiche, è venuto in essere da poco più di un anno e mezzo. Non sembra possibile, eppure è così. Quello che sconcerta, comunque, senza riscontrare alcun interesse, è che il tanto paventato spread, stavolta tra i titoli italiani e quelli spagnoli è, oggi, pari a Ø: significa che l'appetibilità del bond spagnolo è pari a quella del bond italico. Significa, in sostanza, che l'affidabilità della Spagna, nettamente inferiore all'Italia in quanto a fondamentali, è allo stato odierno pari alla nostra. Quello che gli adulti, a maggior ragione se politici, devono imparare dai ragazzi è che in un gioco da play station le condizioni determinanti sono la strategia e la velocità nel realizzarla. Altrimenti, l'orco è in agguato e, inesorabile, frustrando tutti i nostri migliori intenti, apparirà sul video la temuta scritta “GAME OVER”. Massimo Sergenti


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FIGLI E FIGLIASTRI Nel trascorso mese di luglio, a Milano, è accaduto un fatto curioso: tutti i punti vendita di Dolce e Gabbana, per protesta, sono rimasti chiusi per tre giorni. Le vetrine dei loro negozi recano affissa una lettera ai cittadini che, in sintesi, riporta il motivo dell'accaduto. In pratica, è una loro protesta contro il fisco, ingiusto, esoso e oppressivo; un'informativa che rende edotti i cittadini che gli stilisti si sono rifiutati di pagare un reddito presuntivo, stabilito ex abrupto dall'Agenzia delle Entrate; che la magistratura, investita del problema, di rilevanza penale, per due volte ha sentenziato che "il fatto non sussiste"; che nella seconda volta, sebbene fosse intervenuta la prescrizione per l'eventuale reato, il magistrato ha voluto assolvere gli stilisti con formula piena. La lettera aperta, poi, afferma lo sdegno degli stilisti, da trent'anni presenti a Milano, contribuendo allo sviluppo economico della città con l'ampliamento dei punti commerciali e con le assunzioni di manodopera. Il clima di sospetto, le continue diffamazioni e ingiurie - hanno dichiarato gli stilisti - ha suscitato il loro sdegno e, da lì, la serrata che non ha comportato alcun danno economico per i dipendenti. Detto questo, occorre precisare che non sono l'avvocato difensore di Dolce e Gabbana e che trovo discutibile il loro stile; eppure, è indiscutibile che il fatto di Milano rappresenta l'ennesimo, eclatante esempio di un malessere diffuso. La pressione fiscale è in continua salita ed ha superato, grazie anche ai prelievi parafiscali, il 52% del reddito prodotto: un'aliquota assolutamente ingiustificata se teniamo conto della qualità e quantità dei servizi che riceviamo: perché il paradosso è che al sempre maggior esborso da parte del cittadino corrisponde, in maniera inversamente proporzionale, una riduzione qualitativa e quantitativa dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione. Un fenomeno del genere, peraltro, non è attribuibile ad una determinata tipologia di soggetti bensì, in modo direi generale, investe ogni livello istituzionale: comuni, regioni, amministrazione centrale, che fanno a gara per inventarsi forme di prelievo per sopperire ad esigenze di cassa. E' comprensibile che di fronte ad episodi contingenti, il cittadino contribuisca secondo le sue possibilità all'evento straordinario; ma quando l'evento da straordinario si trasforma in ordinario, quando ai cittadini si chiedono continui, stressanti, sempre maggiori sforzi senza alcun accenno alla razionalizzazione della spesa, quando la stessa spesa diviene assolutamente improduttiva perché ha come unico scopo il mantenimento della farraginosa macchina della stessa spesa, allora l'atteggiamento diviene oppressivo e dispotico, non giustificabile, criticabile e censurabile.

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Al decreto del fare dei primi cento giorni di governo, non è seguito alcunché di significativo: certo, gli annunci sono di facilitazioni per gli investitori, di un fisco più equo, di permessi rapidi ma, ammesso che gli investitori arrivino, che portino i loro soldi in questo Paese per contribuire alla sua ripresa economica, non c'è in ogni caso un principio d'ingiustizia in tutto ciò? I cittadini non sono degli investitori? Non hanno dedicato la loro vita a rendere il loro Paese competitivo, migliore, bello, invidiabile? Non meritano considerazione al pari di estranei che investono i loro capitali? E perché mai gli investitori esteri dovrebbero avere modo di scantonare la frustrante burocrazia italica mentre il cittadino, oberato dalle tasse, in preda all'ansia circa il futuro del proprio posto di lavoro, debba continuare a essere mortificato, depresso, umiliato da una macchina infernale che ha come unico scopo quello di ingigantirsi e perpetuarsi? Dove sono le riforme strutturali di questo Governo? Non riesce neppure a far procedere la ormai umoristica riforma della legge elettorale, figu-riamoci il resto. La pletora delle inutili provincie rimane immutata, come immutata resta la permanenza degli oltre mille comuni sotto i mille abitanti, le regioni non hanno limiti ai loro eterogenei criteri di spesa né, motu proprio, avviano delle serie revisioni in tal senso. Gli organismi inutili (Autority, Comunità, Enti, società partecipate, fondazioni, ecc.) vedono intatte le loro capacità di spendere soldi pubblici senza che alcuno verifichi il loro operato. Analogamente agisce la macchina amministrativa centrale dove l'unico intervento è sul turn over, con il risultato che la diminuzione degli organici non comporta diminuzione del servizio, già in partenza scarso, lento, inefficace, senza alcun intervento censorio né revisione organizzativa del lavoro.audacia temeraria igiene spirituale Le strutture faraoniche inutilizzate dallo Stato, senza manutenzione, divengono fatiscenti, come i quartieri periferici delle grandi città, senza alcuna considerazione sociale, culturale, patrimoniale e senza che un'adeguata valutazione ne dichiari l'alienazione o ne disponga la manutenzione in quanto patrimonio pubblico. Dove sono i risparmi che lo Stato dovrebbe fare per non continuare ad ingigantire la coercizione sul cittadino, per cominciare a fare cassa, per ridurre il debito pubblico che è ormai giunto ad oltre il 130% del PIL? Non ci sono risparmi, non ci sono politiche di riforma, non ci sono indirizzi di politica economica, non c'è una visione politica circa un futuro condiviso per questo Paese. I partiti si trastullano con i loro problemi interni dei quali al cittadino, tra poco, non gliene potrà fregare nulla perché alla prossima tornata e-lettorale credo che il dato delle astensioni continuerà a salire, fino a rendere inefficace la tornata stessa. Lo so, non è un auspicabile scenario, ma quale mezzo ha l'uomo della strada per dimostrare di averne piene le scatole di farsi carico di questioni che neppure capisce e verso le quali, peraltro, non nutre alcun interesse? E' un enorme dispiacere affermarlo ma, in effetti, oggi, l'uomo della strada non sa più a quale santo votarsi: ha malamente sperimentato la cosiddetta democrazia dell'alternanza che negli ultimi venti anni si è dipanata inutilmente tra la sinistra e la destra; poi, di recente, ha creduto alle lusinghe di un imbonitore di folle che, in ogni caso, ha dimostrato di essere irriverente nei confronti del potere.


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Ma anche l'imbonitore, alla fine, ha dimostrato di essere, nel migliore dei casi, un buono a nulla. Allora, cos'altro può fare il cittadino medio, l'operaio, l'impiegato, il pensionato, lo studente, il libero professionista, se non quello di dichiarare il proprio sdegno attraverso la non partecipazione ad una manifestazione la cui conquista ha comportato enormi impegni umani e che la stoltezza della cosiddetta politica l'ha fatta divenire surreale? Quello che i partiti non arrivano a comprendere è che l'orologio del tempo gioca a loro sfavore e che se non interviene una qualche positiva nota di novità al loro interno e nella loro azione nei confronti della società, il destino ne ha già decretato il fuori gioco. Roberta Forte

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LE PARVENZE DELLA REALTA’ Un amico, l'altra sera, in una conversazione da cena sociale, esternava la sua meraviglia per il fatto di aver saputo che se, puta caso, si andasse al voto, il PDL sarebbe il partito favorito dagli elettori. Non ho chiesto da quale fonte avesse appreso tale eclatante, si fa per dire, notizia ma ho accresciuto la sua meraviglia quando, guardandolo fermamente negli occhi, gli ho comunicato che quella era anche la mia impressione. Al ché, la domanda conseguenziale, esternata ad occhi sgranati: «E per quale motivo?» «Perché se la gente deve soffrire – ho risposto – preferisce farlo divertendosi. Semplice.». Forse, ho banalizzato troppo la questione ma nella sostanza delle cose è quella la verità. Varie volte, nel corso dei quindici numeri di questa rivista, sono state affrontate analisi sulle situazioni interne dei partiti, sul loro agire all'esterno, sul loro comportamento all'interno di una compagine di governo e il dato che puntualmente è emerso è che riguardo a quei pilastri della democrazia (si fa per dire) nihil sub sole novi, direbbe l'Ecclesiaste. Nulla di nuovo sotto il sole. Il PD, passato attraverso varie trasformazioni dal glorioso PCI, ha certamente mutato il suo manifesto politico, i suoi rapporti e persino qualche volto interno, ma ciò che non ha assolutamente variato è la sua convinzione genetica di essere una chiesa, il solo, unico, portatore della “verità” e, come una chiesa si aspetta che i fedeli ascoltino le sue omelie con il capo sparso di cenere, a testa china e con atteggiamento da penitente. Invero, è una chiesa particolare perché sebbene la liturgia sia sostanzialmente la stessa, la dottrina è stata modificata per tornare alle origini: non un dio misericordioso, amorevole, benigno, bensì vendicatore, geloso, rigido, i cui sacerdoti non accettano debolezze, dubbi, pecche e sono lì pronti a intercedere perché la collera divina si abbatta sul peccatore. Perciò, al fedele non resta altro da fare che seguire puntigliosamente i dettati sacerdotali, contrito e umile, ascoltando, compreso, le parole tonanti che i pastori riversano sulle folle; un fedele che deve restare assolutamente incontaminato dalle beghe di casta, riservate agli alti prelati. Ed in effetti, non c'è credo, nella storia dell'essere umano, dove la casta sacerdotale che lo incarnava non abbia fatto quadrato per difendersi da attacchi esterni (re, imperatori, ecc.) o da devianze interne, da sprovveduti innovatori, da incauti progressisti, da dissennati riformatori. E' questo ciò che risulta difficile capire a Matteo Renzi; o, meglio, lo capisce molto bene ma conta che la comunità dei fedeli e una minoranza di celebranti, stanchi di praticare vetusti riti officiati


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da vecchi reverendi, scelga la via dell'innovazione, della coerenza con la realtà, di una ragionata modernità sociale coesa con i bisogni veri del popolo. Invece, il giovane soggetto della politica (anche qui si fa per dire), il M5S, non ha storia da analizzare se non l'analisi delle caratteristiche della sua breve vita. Esso può apparire simile al PD in termini di assolutismo ma ciò che lo differenzia è l'assenza dei riti: il ché rende la pratica assolutamente squallida e deprimente. In pratica, assomiglia più a una setta dove il guru ha potere di vita e di morte sulla comunità. E' strano, tuttavia, che i mass-media abbiano definito Grillo, quando non Casaleggio, i guru del movimento, ignorando che tale espressione deriva dal sanscrito e presso la religione induista ha, certamente, il significato di "maestro" o "precettore spirituale", figura molto importante in questa religione, avente diritto al massimo rispetto e alla venerazione al pari del padre, della madre e dell'ospite. ma la similitudine si ferma qui. Infatti, in quella religione, il guru, comune a tutte le scuole filosofiche e devozionali dell'Induismo, è colui che impartisce la dîk?â (le istruzioni nel cammino iniziatico) al suo discepolo. Invero, secondo l'interpretazione della tarda Advaya târaka Upani?ad (14-18), il termine guru origina dalle radici gu ("oscurità") e ru ("svanire"), significando quindi "colui che disperde l'oscurità". Perciò, il rapporto che si crea tra guru e discepolo è molto profondo perché il primo diviene responsabile della crescita spirituale del secondo, istruendolo e fornendo le istruzioni più adatte a lui, e soprattutto indicandogli tempi e modalità di esecuzione delle pratiche spirituali. C'è una qualche attinenza con Grillo e Casaleggio? Nessuna. E, peraltro, il disagio degli appartenenti alla comunità trova continue occasioni per manifestarsi. Il loro movimento è, quindi, una setta i cui capi guidano il movimento senza un obiettivo oggettivo, materiale o spirituale con un destino simile a quello della comunità di Jonestown, nome informale del Peoples Temple Agricultural Project, guidata dal pastore Jim Jones, con l'unico vero scopo del suicidio di massa. La Lista Civica, invece, ha solo una compostezza ecclesiale, ma il suo credo è l'efficientismo al quale devono inchinarsi tutte le pulsioni umane, i bisogni della società, le speranze della gente. Sarebbe da paragonarla alle trame di Terminator, l'avvento della società delle macchine, se non fosse per il fatto che nel film (sic) gli umani si ribellano. Poi, abbiamo la Lega. Qui, siamo, addirittura, alla cultura celtica. In quella cultura, infatti, la Triplice Dea assume i nomi di Morrigan, Birgit e Riannona. Il paredro (colui che concepisce) di Birgit è Lugh, la Luce, figlio primogenito. Non sembra di sentir parlare dell'Umberto, del Bobo, e di Matteo Salvini? La loro vita fu contraddistinta da un'atmosfera tenebrosa. Nella strofa XLVI del canto della Voluspà (la veggente), in cui si descrive l'atmosfera cupa regnante nelle Alte Aule degli Dei all'approssimarsi del ragna rok (il Crepuscolo degli Dei), si legge: “liete si apprestano a combattere le Forze del Male e già calpestano il Ponte che adduce ai Troni degli Dei; il destino ormai sta per compiersi e Heimdallr, il santo custode, suona a gran forza il grande corno di guerra; in silenzio, Odino conversa con la testa di Mimir e da lei cerca consiglio”.

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Già. Perché i crani furono tenuti sempre nella massima considerazione, specie dei potenti nemici sconfitti o degli ex amici. Dal racconto celtico Táin Bó Cuailnge apprendiamo come, un tempo, vi fossero due grandi amici, tra i quali però la malignità della gente seminò l'invidia. Essi presero a combattersi senza posa, assumendo le sembianze di vari animali, con valenze sia positive sia negative; infine, si trasformarono in due splendidi tori, uno bianco immacolato ed uno tutto nero. Tremenda fu la lotta fra i due tori e il Nero nella sua furia tutto distrusse attorno a lui (anche le Forze del Male); poi entrambi morirono e nessuno poté dire chi fosse il vincitore. L'insegnamento del racconto, tutto scandito sul duale, vera fissazione celtica, è evidente: tutto, quaggiù, è determinato dalla lotta tra due principi, Bianco e Nero, ossia Vita e Morte, Creazione e Dissoluzione; all'ultimo, alla fine del Mondo, sembrerà che prevalga il Nero, la Dissoluzione, ma in realtà non sarà così poiché essa, proprio in quanto principio dissolutore, distruggerà anche se stessa. La morale? Le due Forze all'inizio, quando stavano ancora "nel grembo di Dio”, erano amiche fra loro e non perdevano occasione per aiutarsi a vicenda, ma poi tutto cambiò... O forse nulla è cambiato poiché le Forze di Vita, col loro fascino luminoso, prepotentemente ci attirano verso l'Alto, mentre le Forze della Dissoluzione, con gli infiniti dolori che ci procurano, costituiscono i gradini necessari per compiere la difficile ascesa. Che vuol dire? Asetticamente, speriamo in Salvini per evitare la distruzione totale, altrimenti il Fato, l'imperscrutabile volontà divina, quella che a piacere trasmuta le Forze di Dissoluzione in Forze di Vita e viceversa, è segnato. Salvo un'inversione di rotta, non vi sarà rimedio: composti in origine dai Suebi, dai Marcomanni, dai Cimbri, dagli Ambroni e dai Teutoni, i Celti si stanziarono nel Nord Europa ma dopo secoli di pressioni militari e culturali, essi o furono cacciati (un buon numero si recherà in Asia Minore, prima con Filippo il Macedone e, poi, col figlio Alessandro) o, lentamente, furono assorbiti dai successivi popoli invasori, detti "Figli del Mare”: i Merovei, in ascesa ed in eterno movimento. Ecco: gli appartenenti al popolo della libertà non sembrano dei merovei, o merovingi che dir si voglia? Alti, biondi, con chiome fluenti, sempre eleganti nei gesti, azzimati, con un'aura splendente, allegri…. Quale credo li animava? Boh! Qualcuno è arrivato persino ad affermare che praticavano un credo ebraico riformato, ma va a sapere…. Con ogni probabilità, al loro interno esistevano varie pratiche. Chi li sconfisse? Sostanzialmente il credo cristiano, con la sua intransigenza, con la sua puntigliosità, con il suo oscurantismo, con la sua cieca, strumentale, risolutezza. Ora, in un clima di cupio dissolvi, potendo tuttavia riesumare i merovingi, il popolo, pur nel sacrificio, a chi rivolgerebbe le sue speranze? Credo che la risposta sia scontata. Piuttosto il fatto non considerato è un altro: stabilite le caratteristiche dei personaggi del gioco, il tempo è scaduto e poiché nessuna azione è stata compiuta per guadagnare tempo, sul display appare inesorabile la scritta: Game over. Francesco Diacceto


POLITICA

LA POLITICA DEI BURLONI Da più parti, si sente dire che l'uscita dalla crisi e la ripresa sono vicine. Addirittura, entro fine anno. Ma, onestamente, non si sa bene se tali affermazioni siano solo degli auspici espressi in libertà oppure se servano a stimolare i consumatori a spendere le esigue risorse loro rimaste, togliendogli il timore del futuro. In ogni caso, i dubbi sono fondati perché, onestamente, non si vedono all'orizzonte politiche tali da stimolare significativamente l'economia in così breve tempo e i segnali che continuano a pervenire sono di tutt'altro genere. La produzione continua la discesa, la disoccupazione prosegue la salita, i consumi si confermano in calo e la fiducia del cittadino medio-consumatore è sotto la suola delle scarpe. Il PIL per il 2013, infatti, è stato di recente ritoccato in calo del 2,1%. Peraltro, come anticipato all'Abi dal Governatore di Bankitalia, la stretta sui consumi continuerà anche nel 2014, con un ulteriore -0,1%, dopo il -2,3% di quest'anno e il -4,3% del 2012. Quindi, appropriandomi di una battuta altrui, non vorrei che la luce che alcuni dichiarano di vedere in fondo al tunnel, sia in realtà il fanale del treno che sta arrivando. L'instabilità politica, del resto, in massima parte responsabile di un tale stato di cose, regna sovrana. Vincolata alle vicende del cavaliere, ai sentimenti dei magistrati, all'IMU, all'IVA, non sembra per nulla risentire degli evidenti problemi nazionali; tutt'al più le attenzioni e rassicurazioni sono riservate allo scenario internazionale. E' dato, tuttavia, il caso, che agli “altri”, intendendo con tale termine i partners europei, le istituzioni comunitarie, i componenti del G8 e del G20, non interessa tanto se vi siano e quali siano le nostre politiche di riforma e di risanamento quanto che gli impegni assunti siano rispettati. E questo sembra essere la sola preoccupazione dell'attuale Governo che trae ampia soddisfazione, come recentemente ha dichiarato il Presidente Letta al termine del G20, dal fatto di non essere più bacchettati. Il fatto è che agli “altri” non compete giudicare come questo Paese si muova per rispettare tali impegni. Gli “altri” non valutano gli effetti di una manovra aggiuntiva ipotizzata per la fine di quest'anno, né quelli della concessione fatta ai Comuni di innalzare le addizionali IRPEF. Non considerano gli onerosi aggravi della TARES, acronimo di Tassa Rifiuti e Servizi, e il fatto che si sovrapponga all'introduzione della Service Tax in derisoria sostituzione dell'IMU sulla prima casa e dell'addizionale punto di IVA. Né, tantomeno, considerano che di “servizi” da parte pubblica, tolta la nominalistica dizione del prelievo, non ce n'è neppure l'ombra. Ora, in qualsiasi altro Paese comunitario, occidentale, civile e democratico, vi sarebbe

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POLITICA

preoccupazione nel costatare che i BTp italiani siano stati superati dai Bonos spagnoli quanto a gradimento degli investitori, nonostante la profonda differenza a favore dell'Italia nei fondamentali; qualsivoglia altro Paese si attiverebbe per frenare la corsa della spesa pubblica che negli ultimi quindici anni è aumentata del 69%. In ogni altro Paese vi sarebbe un riscontro, sia pur a livello macroscopico, se all'entità delle uscite corrisponde una qualità e una quantità di resa e si attiverebbe se riscontrasse, come nel caso italiano, che al vertiginoso innalzamento della spesa corrisponde solo il peggioramento della qualità della vita, l'imbarbarimento della società, il dilagare del malaffare, lo straripare del materialismo più stolto. Ma, in Italia, no. L'attività del Governo si alterna tra i richiami alla responsabilità politica del PDL, in caso di estromissione del cavaliere, e l'invenzione di nuove forme di prelievo. E il tanto atteso decreto del “fare” non si sa bene come debba sollecitare la ripresa. Qualcuno si è divertito a leggerlo? Si va dalla modifica al testo unico in materia di sicurezza sul lavoro, all'aumento del limite delle assunzioni nelle Università, allo stanziamento di 17 milioni di euro nel triennio futuro ai fini dell'istituzione di borse di studio per la mobilità degli studenti meritevoli sul territorio nazionale. E ancora. Si pensi, dalla proroga di 3 mesi per il versamento della tassa sulle transazioni finanziarie, all'obbligo di invio all'INPS, esclusivamente in via telematica del certificato medico di gravidanza. Dallo sconto del 30% a chi paga la multa entro 5 giorni dalla notifica, al ripristino della mediazione obbligatoria per numerose tipologie di cause, tra le quali la responsabilità sanitaria, oltre a quella medica. In più. Dalla concentrazione esclusiva presso i Tribunali e le Corti di appello di Milano, Roma e Napoli delle cause che coinvolgono gli investitori senza sedi stabili in Italia, alla cancellazione dell'obbligo per chi gestisce un servizio di accesso al pubblico alla rete circa la preventiva identificazione personale dei clienti. E non finisce qui. Dallo stanziamento di un Fondo di dotazione per consentire, nel prossimo quinquennio, la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali, alla nomina di giudici ausiliari al fine di agevolare la definizione dei procedimenti civili. Ancora non basta. Dall'incitamento (da non credere) verso le amministrazioni e le aziende dello Stato, a dare precedenza ai procedimenti relativi alle attività connesse all'utilizzazione dei fondi strutturali europei, all'esonero dallo spesometro per i titolari di partita IVA che sceglieranno di inviare all'Agenzia delle Entrate, quotidianamente, in via telematica, le fatture di acquisto e di vendita. Da qui in poi, vado in estrema sintesi. Dall'impignorabilità della casa di abitazione da parte di Equitalia, alla possibilità di rateazione del debito fiscale fino a 72 rate, al riconoscimento alle imprese di un indennizzo di 30 euro al giorno (diconsi trenta) fino ad un massimo di 2mila euro in caso di inosservanza del termine di conclusione di un procedimento. Dalla liberalizzazione delle ristrutturazioni edilizie che adesso possono modificare la sagoma dell'edificio, all'acquisizione d'ufficio del DURC e alla sua proroga nella validità. Dall'introduzione


POLITICA

di una procedura abbreviata per la divisione dei beni in comunione, alla modifica delle norme attinenti lo svolgimento del decreto ingiuntivo. Dall'abrogazione della tassa di possesso sulle barche fino a 14 metri, al dimezzamento della stessa tassa su quelle di lunghezza tra i 14 metri e i 20 metri. Dall'introduzione di agevolazioni nell'ottenimento della cittadinanza italiana, alla diffusione dell'Agenda digitale. Dall'abrogazione dell'entrata in vigore della trasmissione mensile del mod. 770 da parte dei sostituti d'imposta, alla possibilità di utilizzo del mod. 730, per le dichiarazioni fiscali, anche da parte di lavoratori che non abbiano un sostituto d'imposta. Da un dichiarato maggior controllo nell'uso del “concordato in bianco” che consentiva ad aziende in procinto di fallimento di ridurre addirittura fino al 90% i loro debiti nei confronti di fornitori, a un'illusoria riattivazione del credito a favore della PMI che collide con l'ulteriore ristrettezza del credito recentemente riscontrata. Ora, posto tutto questo, qualcuno sa dirmi dove sono i punti di forza di quel provvedimento governativo? La verità è che i partiti hanno perso il senso della realtà e la loro distorta visione si riverbera sul governo. Ora, infatti, abbiamo una task force al lavoro per individuare i punti nevralgici e dolenti della spesa pubblica dimostrando così che la tanto decantata spending review, in realtà, non è servita assolutamente ad alcunché. Sappiamo, grosso modo, il valore del patrimonio immobiliare dello Stato, in buona parte inservibile o malamente utilizzato, valutato attorno ai 130miliardi, ma fino ad ora la massima ipotesi!! di alienazione ne considera solo 15. Si annuncia enfaticamente la disponibilità di 90 miliardi di fondi comunitari, ma non si rimuovono le condizioni che hanno impedito il pieno utilizzo dei fondi passati. Si promettono autorizzazioni sprint per chi investe in Italia e, addirittura, accordi preventivi circa le tasse degli investitori, ma non si mette mano ad iniziative strutturali che, sia pur nel futuro, possano cambiare in meglio la vita degli italiani. In alto a destra, sullo schermo, ecco apparire delle scritte: riforma delle istituzioni, riforma della pubblica amministrazione, riforma fiscale, politica economica, e sociale, politica occupazionale, riforma della legge elettorale, ecc., ecc., ecc. Affianco, un orologio scandisce il tempo. Abbiamo appena finito di leggere le scritte che una specie di raganella coincide con l'arrivo della lancetta sullo zero. Il gioco è finito e con esso le attese. Pietro Angeleri

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CHI CONTROLLA IL CONTROLLORE? L'America è comunemente conosciuta come la patria della libertà, come la nazione che più di ogni altra ha contribuito all'affermazione della democrazia nel mondo. Il suo modello di società è considerato dai suoi estimatori come l'unico in grado di assicurare a tutti pace e benessere e di stabilire un nuovo ordine mondiale basato sugli ideali di concordia e fratellanza. Ma è proprio così? Siamo proprio sicuri che questa immagine sia reale e non un quadro dipinto ad arte? Partiamo dalle origini. Nel nuovo mondo venivano spediti direttamente dalle carceri europee i delinquenti di ogni risma, gli ergastolani, gli emarginati e gli avventurieri pronti a tutto. Puritani fanatici e vogliosi di rinverdire i fasti della Santa Inquisizione, cattolici perseguitati dai protestanti, ebrei vittime dei pogrom, affamati, asociali e spostati di ogni sorta. Da tutto ciò nasce la "civiltà" americana. Ha mosso i primi passi massacrando i pellerossa per sottrarre loro la terra, lasciandoli morire di fame, di inedia e di alcolismo dopo averli ristretti in riserve sempre più piccole e prive di pascoli, la loro unica fonte di nutrimento. E' diventata potente con il lavoro degli schiavi africani strappati con la forza alla loro terra e trattati alla stregua di animali domestici su cui esercitare diritto di vita e di morte. Si sono dovuti attendere gli anni '60 per porre fine alla vergognosa segregazione razziale in vigore in molti Stati USA. Durante il secondo conflitto mondiale l'America ha massacrato milioni di civili inermi nei bombardamenti a tappeto delle città tedesche. Ad Amburgo come a Dresda perirono, bruciati vivi dagli ordigni incendiari o mitragliati dal volo radente dei caccia, oltre duecentomila civili, per poi completare l'opera con le bombe atomiche gettate su due delle più popolose città del Giappone. I prigionieri tedeschi della Wehrmacht, ragazzi di 15 e 16 anni, rinchiusi nei campi di concentramento americani e inglesi venivano volutamente lasciati morire di fame, di malattie e di stenti. Costretti a scavarsi con le mani delle buche dove ripararsi dal freddo o dal sole cocente, sotto lo sguardo indifferente degli aguzzini alleati pronti ad uccidere al primo segno di insofferenza. A guerra finita i “liberatori” si girarono dall'altra parte quando i partigiani massacravano i fascisti o presunti tali, familiari compresi.


SOCIETA’

Quando riempivano le fosse comuni con i corpi straziati dei giovani soldati e delle ausiliarie, spesso violentate prima di essere barbaramente uccise, arresisi dopo il 25 aprile. Nel dopoguerra, dopo averci distrutto le città con i bombardamenti terroristici del '44, l'America, con il piano Marshall, ha investito in Italia grandi capitali per farci diventare una sua docile e redditizia colonia. Al riguardo si parla tanto degli aiuti americani, ma si dimenticano gli enormi contributi, veramente disinteressati, provenienti dall'Argentina. Ogni giorno navi stracolme di ogni cosa hanno fatto la spola tra il Paese di Evita Peron e l'Italia, ma di questo nessuno ne parla. In Vietnam per stanare i Vietcong gli americani non esitarono a bruciare con le bombe al napalm interi villaggi con le persone dentro. Tali operazioni venivano cinicamente chiamate “disinfestazioni”. Negli anni settanta e ottanta l'America ha sostenuto le più sanguinose dittature militari sia in sud America, dove la CIA ha organizzato e finanziato i più cruenti colpi di stato, sia in Grecia e in Turchia con i regimi dei colonnelli. Salvo poi disconoscerli dopo che ebbero fatto il lavoro sporco o essere diventati poco utili ai suoi disegni geopolitici. L'Iraq, per giungere ai giorni nostri, era uno Stato sovrano, retto da una dittatura non tanto diversa da quella che possiamo trovare nei Paesi islamici amici dell'America come l'Arabia Saudita e gli Emirati arabi, e sicuramente meno feroce di quella cinese con la quale l'amministrazione americana (e l'Italia) intrattiene ottimi rapporti d'affari. Le varie etnie e religioni coesistevano pacificamente (l'ex vice di Saddam Aziz era cristiano) anche grazie al pugno di ferro del Rais. Con gli americani non c'è più un edificio in piedi, neppure i luoghi di culto sono risparmiati e lo spettro della guerra civile è sempre alle porte. Per non parlare dell'economia divenuta totalmente dipendente dall'America dopo che questa si è impadronita del suo petrolio. Sotto le macerie delle loro abitazioni, distrutte dalle bombe a stelle e strisce, sono morte 160 mila persone e almeno 30 mila bambini (1); un'intera città, Falluja, è stata bombardata giorno e notte con ordigni al fosforo che hanno bruciato vivi e corroso migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini; ai posti di blocco i soldatini di Bush e Obama dal grilletto facile uccidono decine di persone al giorno (come è successo al nostro povero Calipari). Nelle carceri americane dei paesi occupati (vedi Guantanamo) la tortura non è una novità. In Afghanistan, per rimanere nel campo delle guerre preventive, con l'occupazione è ripresa con vigore la produzione di oppio che serve, beffardamente, a finanziare la resistenza talebana e a drogare la gioventù americana. L'America conserva un poco invidiabile primato, quello di essere la prima produttrice, esportatrice e utilizzatrice al mondo di armi di distruzione di massa, una vera e propria democrazia a mano armata: dalle bombe atomiche gettate sul Giappone, che ancora oggi mietono vittime a causa delle radiazioni, alle armi chimiche utilizzate in Vietnam e Iraq e per finire agli ordigni all'uranio utilizzati nei Balcani, causa primaria delle morti per cancro tra la popolazione e tra gli stessi soldati, molti dei quali italiani.

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Il business degli armamenti rappresenta una voce primaria del bilancio USA: le armi americane sono esportate in tutto il mondo, ovunque vi siano focolai di guerra. Nei paesi poveri scarseggiano il cibo e le medicine, ma non le pallottole made in Usa. Non è un caso che negli ultimi vent'anni la fame del mondo invece di diminuire è aumentata ed è tutt'ora in costante crescita, come la diffusione delle armi. "Le guerre si fanno per vendere armi" afferma il Santo Padre riferendosi alla smania d'intervento in Siria del presidente americano Obama (premio Nobel per...la pace). Venuta meno la minaccia sovietica ci saremmo aspettati un progressivo disimpegno militare americano in Europa, invece la Nato (leggi America) ha mantenuto sul nostro suolo il suo enorme apparato bellico (113 basi, di cui alcune nucleari, oltretutto mantenute con i nostri soldi). A quale scopo? Per difenderci dalla Svizzera o per rimarcare, anche militarmente, il nostro stato di impotenza e di dipendenza dagli USA? La cultura e lo stile di vita americani sono intrisi di violenza: un'arma non si nega a nessuno, neppure agli adolescenti (vedi le ricorrenti stragi nelle scuole e nei campus universitari). Nei sobborghi delle città americane, all'ombra degli sfavillanti grattacieli, l'emarginazione, la violenza e l'alcolismo sono di casa. La stessa cinematografia è imperniata sui gangsters, sui cow boys che uccidono gli indiani e sulla forza bruta del potere. Non è un caso che l'America è oggi l'unico paese del mondo occidentale a praticare la pena di morte. Come nei tanto osteggiati Paesi islamici e nelle peggiori dittature comuniste e militari. L'America è sicuramente un grande Paese sotto il profilo economico e, soprattutto, militare, ma dal punto di vista umano e civile non ha proprio nulla da insegnarci. E rattrista vedere i nostri politici e intellettuali di destra, ma anche di sinistra, guardare con simpatia e ammirazione all'America, come se noi europei, maestri di cultura e civiltà, noi europei, che abbiamo insegnato al mondo a camminare, non fossimo in grado di sviluppare un nostro modello di società, ancorato ai nostri valori di umanità e di giustizia sociale. EUROPA RISORGI! Gianfredo Ruggiero

Note: (1) Complessivamente, secondo una ricerca di Michael Schwartz, professore di sociologia all'Università Broock di New York, in Iraq 160.000 civili di cui 32.000 bambini sono morti sotto le macerie delle loro abitazioni distrutte dalle migliaia di bombe dirompenti e missili sganciati dai bombardieri anglo americani e durante le incursioni e rastrellamenti delle forze speciali alleate.


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Rappresentazione del dio Sarno; Fonte Helvius, Comune di Sant'Egidio del Monte Albino, I secolo a.C.

CAMPANIA INFELIX Molte emergenze ambientali affliggono la vita dei napoletani. Tra queste quattro, come i cavalieri dell'Apocalisse, appaiono le più gravi e preoccupanti: lo smaltimento abusivo di rifiuti, spesso tossici, ad opera del malaffare, il difettoso funzionamento del depuratore di Cuma, i Regi Lagni, il fiume Sarno. La camorra per anni ha disseminato il territorio dell'hinterland partenopeo di rifiuti tossici e nocivi, spesso seppelliti in terreni agricoli, altre volte abbandonati all'aria aperta lungo strade poco battute, altre volte sversati in alvei e corsi d'acqua o in mare. Si è trattato di un sistematico avvelenamento dell'ambiente reso possibile dalla complicità estorta con minacce ai proprietari dei suoli. Gli inquinanti hanno aggredito le falde, avvelenato il terreno, reso pericolosi, quando non tossici, molti prodotti di quella terra che una volta era la Campania felix. Da decenni si propaga la piaga, da decenni se ne parla, ma ancora qualche giorno fa i cittadini della cosiddetta “terra dei fuochi” sono stati costretti alla mobilitazione di piazza per gridare il loro sconforto ed il loro no alla costruzione di un nuovo inceneritore nel giuglianese, pur consapevoli che non è la specifica tecnologia ad essere sotto accusa, ma le scarse garanzie sulla trasparenza della gestione in un territorio dove il business dei rifiuti è radicatamente in mani discutibili ed i controlli pubblici sono spesso addomesticati. Da altrettanti decenni - inizio lavori a fine degli anni '70, entrata in funzione nel 1982 - va avanti la storia dei malfunzionamenti del depuratore di Cuma che scarica a mare, proprio sul litorale e non a distanza, tramite condotta sottomarina, tonnellate di liquami quasi sempre mal depurati ed a volte neanche trattati. Quasi duemila miliardi stanziati ed in parte spesi per opere di adeguamento da parte della Regione Campania che ne è proprietaria e della Provincia di Napoli che ha finanziato negli anni '90, con scarso esito, interventi per abbattere i cattivi odori che continuano imperterriti a fuoruscire dall'impianto, per non parlare delle colonie di vermi che prolificano nelle vasche e che vengono sversate in mare e della mancanza totale di autorizzazioni a smaltire. I Regi Lagni costituiscono un reticolo di convogliamento delle acque lungo 58 chilometri, che serve 99 comuni di 4 province e sfocia in mare tra la foce del Volturno ed il lago Patria. Si tratta della più grande fogna a cielo aperto d'Europa che, insieme al depuratore di Cuma, concorre, sempre da moltissimi anni, a rendere altamente inquinato e non più balneabile tutto il litorale domizio. Lo stato di qualità ambientale attribuito dall'Enea ai Lagni è: pessimo. Forse nel 2016, a


AMBIENTE

risorse stanziate, si potrà ottenere qualche miglioramento, ma certamente non lo stato di qualità ambientale buona (fonte Enea). Il Sarno è stato classificato come il fiume più inquinato d'Europa, eppure è un piccolissimo corso d'acqua lungo solo 24 chilometri: da Solofra a Castellammare di Stabia. A causa della colorazione rossa che assume nei periodi di lavorazione del pomodoro è stato soprannominato “Rio pomodoro”. Un tempo era una via d'acqua navigabile che garantiva prosperità alle popolazioni alimentando numerosi mulini e consentendo la macerazione della canapa, oggi nelle sue acque non vi è più traccia di vita a causa di decenni di scarichi industriali incontrollati. Tant'è che da almeno 40 anni è impossibile la balneazione sul litorale intorno alla foce. Il disinquinamento, iniziato nel lontano 1973 e costato, fino al 2006, 800 milioni di Euro secondo la Commissione parlamentare di inchiesta che si è occupata dello scandalo, non ha prodotto frutti significativi. Ciò anche perché, a detta degli esperti, i comuni attraversati dal Sarno sono privi di una efficiente rete fognaria sicché, ad ogni pioggia, si riversano nel fiume acque nere in quantità. A questo vanno aggiunti, oltre agli scarichi industriali (200 industrie conciarie e 90 conserviere), quelli agricoli ricchi di fetilizzanti e dei più svariati prodotti chimici. Poi, su tutto, si stende l'ombra lunga del malaffare che contribuisce a rendere inefficienti e più costosi gli interventi programmati. Eppure Luigi Tansillo, il poeta e commediografo cinquecentesco scriveva così del Sarno: « Lodan vostra inclit'opra il Tebro, e l'Arno, L'Apennin, l'Alpe, il mar d'Adria, e 'l Tirreno; Ma più che l'acque illustri, e 'l bel terreno, Il mio Vesevo, il buon Sebeto, e 'l Sarno. » E Strabone ne certifica la navigabilità, prima dell'eruzione del Vesuvio del 79 d. C. con queste parole: “Nola, Nocera e Acerra si servivano di Pompei come porto e il fiume Sarno era utilizzato per il traffico fluviale.” La Regione Campania ha riaffrontato il problema affidando alla sua Agenzia Arcadis ed all’Autorità di bacino un nuovo progetto denomianto: “Grande Progetto - Completamento della riqualificazione e recupero del fiume Sarno” finanziato con 217 milioni di euro. Tuttavia a ben guardare il progetto si limita alle sistemazioni idrauliche, pur necessarie,per contenere le esondazioni, tralasciando le bonifiche, la riqualificazione ambientale e la qualità delle acque. Peraltro per realizzare un certo numero di vasche di laminazione, volte a contenere I troppo pieni, é stato previsto l’esproprio di ben 60 ettari di terreni al modico prezzo di 4 Euro al metro quadro, una vera miseria per gli espropriati. Quindi, nonostante gli ulteriori ennesimi investimenti, la vicenda Sarno non avrà fine per mancanza di un approccio integrato e sistematico capace di restituire il fiume alla sua tradizionale funzione.

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AMBIENTE

Eppure gli inglesi, in pochi anni e con poca spesa, sono riusciti a bonificare il maleodorante Tamigi e persino le fogne di Londra. La stessa cosa hanno fatto i francesi con la Senna, utilizzando particolari batteri capaci di digerire I peggiori inquinanti. In questo quadro allarmante e avvilente che opprime e scarnifica il territorio ed abbassa la qualità della vita degli abitanti a livelli da quarto mondo, troneggiano l'insufficienza, l'irresponsabilità e l'ipocrisia della politica, qualunque sia il suo segno, e l'inefficienza ottusa, quando non complice, delle istituzioni. I cittadini si ammalano, le patologie tumorali e respiratorie vanno fuori scala, i rischi sanitari ed epidemiologici sono alle stelle, eppure c'è ancora qualcuno che finge di non comprendere le ragioni di coloro che, indignati, ancora trovano la forza di protestare, sognando di poter vivere in un ambiente non più reso ostile da perfide irresponsabilità. Pennanera


GEOPOLITICA

LA CONTROPRIMAVERA ARABA Non è ancora finita. Perché il grido di libertà delle “Primavere arabe” è stato tradito da chi lo ha abusato per imporre ciò che di più antilibertario esiste: la visione confessionale dello Stato. E così ad essere attraversato dalla “Controprimavera araba” non è solo l'Egitto, bagnato ormai dal sangue di centinaia di quei milioni di manifestanti che si sono riversati nelle antiche piazze, ma anche la Tunisia, dove sono già stati ammazzati due dei massimi esponenti della coalizione di opposizione, la Libia, che ancora oggi brucia, e poi la Turchia, dove, se non vi è stata nel 2011 la rivoluzione, oggi i giovani manifestano per gli stessi motivi degli altri paesi… ovunque si ha la sensazione che le rivoluzioni che sono partite dal tragico gesto del giovane tunisino Mohamed Bouazizi sono state un fallimento, perché c'è chi non ha compreso o voluto comprendere che “democrazia” non significa semplicemente fare il volere della maggioranza, bensì anche rispettare ogni singola individualità e libera espressione, senza costringere l'intera popolazione ai dettami della religione. E' vero, sarebbe semplicistico pensare che ci siano solo i graduali processi di islamizzazione dei paesi alla base delle proteste di questi giorni, basti pensare che l'Egitto è una scacchiera su cui il Qatar, che cerca di assumere un ruolo di leadership nel mondo arabo, muove (e finanzia!) le pedine dei Fratelli Musulmani, in contrapposizione agli interessi di Israele, che cerca di stabilizzare la situazione attorno a casa propria, e persino dell'Arabia Saudita, che è la prima a rimetterci dallo tsunami degli interessi di Doha nel mondo arabo. Tuttavia a spingere la moltitudine di Tamarrod (Ribellione) a manifestare, forte dei quindici milioni di firme raccolte per chiedere le dimissioni del presidente islamista Mohammed Morsi, è stato qualcosa di più semplice della geopolitica ad alti livelli: la società va avanti, la gente ha voglia di crescere in un progresso sociale il cui blocco sarebbe contro la natura delle cose, ovvero il ritorno al medioevo, del tutto impensabile in un'epoca di globalizzazione dove le idee corrono sui social network e non stanno chiuse nei torrioni delle abazie. Ai primi di luglio i militari sono intervenuti per cercare di contenere la situazione, hanno tratto in arresto il presidente Morsi e la dirigenza dei Fratelli Musulmani, “colpevoli” di aver tradito la laicità dell'Egitto, ed hanno favorito la nascita di un governo di transizione, perché l'Egitto è di tutti, non solo dei musulmani, ma anche dei cristiani copti, a lungo discriminati nell'ultimo anno, come pure dei laici. Si è perso il conto delle centinaia di morti e delle migliaia di feriti causate dagli scontri fra i manifestanti, in momenti di follia in cui sono state date a fuoco sedi di partito, assaltate caserme e si è sparato ad altezza d'uomo.

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Più a nord il contro-kemalista Erdogan, che vorrebbe traghettare la Turchia nell'Europa dei diritti civili, ha imposto restrizioni alle libertà di parola e di stampa, la censura su alcuni contenuti televisivi e maggiori controlli e rigidità sull'uso di internet; ha imposto il divieto notturno di consumo di alcol, ha proibito l'aborto ed ha limitato persino il diritto di riunirsi liberamente; ha introdotto il reato di blasfemia ed ha dato alle donne la possibilità di portare il velo islamico nelle università e nei luoghi pubblici, cosa vietata nel laicissima nazione di Ataturk; ha inoltre fatto approvare dal parlamento una riforma dei programmi d'istruzione delle scuole pubbliche primarie e superiori dando spazio agli emergenti sostenitori dei princìpi islamici. La Turchia, tra i paesi interessati dalle proteste, è stata la meno bagnata dall'onda islamista che si sta riversando sulle regioni poste al di là del Mediterraneo: le manifestazioni, represse con fermezza, fanno parte della cronaca delle scorse settimane, ma non sono per nulla sopite; sono come una brace accesa sotto la cenere, pronta a rinfiammarsi alla prossima legge con spirito confessionale di chi vuole realizzare in Turchia il disegno confuso di una “democrazia islamica”, dove le restrizioni del Corano stanno insieme alle libertà dei cittadini secondo un'inedita ricetta di chi vuol mettere insieme il Diavolo e l'acqua santa, senza sapere quale sia l'uno o l'altro. La Tunisia, paese a noi vicinissimo, ha mandato gli islamisti di Ennahda al potere dopo la caduta di Ben Alì: in un paese percorso dalle violenze degli intolleranti salafiti, con proteste che nel corso dei mesi hanno portato a numerosi morti e feriti e soprattutto con una crisi economica importante a causa della quale i giovani sono senza lavoro e senza futuro, la maggioranza dell'Assemblea costituente ha provato a far passare una legge costituzionale che aveva dell'incredibile: abolire il concetto di uguaglianza della donna rispetto all'uomo per stabilirne la “complementarietà”. Fortunatamente il progetto è stato bloccato, ma solo grazie alle opposizioni delle piazze ed alla sorpresa della comunità internazionale; non occorre essere “Femen” per essere disgustati da chi vuole introdurre un principio antistorico e medioevale: non si tratta del diritto di portare il chador nelle aule universitarie, ma di stabilire che la donna, senza l'uomo, non è una “donna”, e ancora che l'uomo, il quale non è complementare della donna, è “uomo” anche senza la donna. E sempre in Tunisia, dove l'anno scorso è stata riaperta l'università corania della Zaytuna, fondata nell'864 sotto il califfato degli abbasidi e chiusa nel 1976 da Habib Bourghiba, il 6 febbraio scorso è stato ammazzato uno dei massimi esponenti dell'opposizione laica, Chokri Belaid, e poi ancora il 25 luglio Mohammed Brahmi, anche lui guida di quel Fronte popolare in cui stanno confluendo tutti i partiti che non vogliono la trasformazione della Tunisia in una teocrazia. Ad ucciderli, come ha spiegato il ministro dell'Interno Lotfi Ben Jeddou, un trentenne appartenente ad una cellula jihadista vicina ad al-Qaeda, in un paese che vede Tunisi più a nord di Siracusa e Lampedusa più vicina a Hammamet che a Catania. La protesta cresce, la tensione è altissima ed in questo marasma ci si chiede perché dei disperati si indebitano e rischiano la vita per attraversare il mare e cercare rifugio nella confinante e più libera Europa. Poi vi è la Libia, quella vera, non quella dell'Africa d'Or, fatta di oltre 500 milizie che dalla deposizione di Gheddafi ancora non hanno voluto sentir ragione di sciogliersi o di integrarsi nelle


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Forze di sicurezza, delle armi che ogni famiglia per bene ha in cantina o nel salotto, degli jihadisti che attraversano liberamente il corridoio a sud del paese, degli odi non ancora sopiti nei confronti dei sostenitori dell'ancien regime e quindi della violenza e degli attentati, ed anche qui dell'omicidio di Abdessalem al-Mesmary, un avvocato anti-islamista noto per il suo impegno a favore della creazione di uno Stato laico in Libia; al-Mesamary, figura chiave della rivoluzione del 2001, si era in più occasioni scagliato contro i Fratelli Musulmani i quali, stando alle sue accuse, avrebbero voluto trasformare la Libia in un paese teocratico. Ed ancora della sede di Tripoli del Partito per la Giustizia e la Costruzione, il braccio politico dei Fratelli Musulmani, devastata dai manifestanti che di stato islamico non ne vogliono proprio sapere. Tornando in Medio Oriente vi è la guerra civile in corso in Siria, dove il fronte degli insorti è ormai spaccato fra ribelli ed Esercito libero da una parte, e jihadisti dall'altra, come nel caso dei cospicui gruppi legati ad al-Qaeda: “Jabat al-Nusra” e “Stato islamico dell'Iraq e del Levante”. Entrambi si sono dichiarati per la costituzione di un califfato, ovvero di un regno basato sulla sharia ed in più occasioni hanno dimostrato intolleranza nei confronti dei cristiani e dei luoghi di culto, fino al rapimento del romano gesuita padre Paolo Dall'Oglio; Tempi.it, riporta di una fatwa emessa dallo sceicco salafita Yasir al-Ajlawni secondo la quale è lecito per gli insorti lo stupro di “qualunque donna siriana non sunnita”, ovvero anche cristiane ed alawite e tanto è bastato perché a Qusayr una ragazza cristiana di 15 anni, Mariam, venisse stuprata da più nemici di alAssad e poi uccisa. Sostituire i regimi in nome della libertà è sacrosanto; tuttavia “libertà” è un concetto ben definito ed unico,audacia che non permette sfumature grigio giustificabili in alcun modo: piazzare al posto di temeraria igienedi spirituale Ben Alì, di Mubarak, di Gheddafi e di al-Assad nuove forme di dittatura, per certi versi più subdole proprio perché “marchiate” con umanissimo “nome di Dio”, qualunque esso sia, significa compiere un crimine contro l'essere umano. Perché la spiritualità è un valore stupendo ed altamente costruttivo nel momento in cui è individuale, portato dentro. Se forzatamente declinato attraverso le leggi e la politica nella società, è violenza. E' odio. Enrico Oliari

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IN MEMORIA DI ORIANA FALLACI Oriana Fallaci ha lasciato questo mondo sette anni orsono, il 15 settembre 2006. Molti si chiederanno se sia giusto ricordare questo accadimento, considerando quanto la nostra quotidianità sia colma di giornate nelle quali s'impone il dovere di esercitare la memoria per molte fondate ragioni. Ricordare la Fallaci rappresenta qualcosa di più che richiamare alla mente una figura di intellettuale, e di testimone, della nostra storia recente. Celebrarne la memoria significa rinverdire il patto che ha legato tanti lettori alle sue idee disseminate negli scritti di una vita, alla forza delle sue denunce per gli orrori, le storture e le ingiustizie conosciute lungo le piste battute durante i suoi viaggi all'inferno, alla sostanza delle sue battaglie ingaggiate in nome delle buone cause, quelle stesse che in tanti, in troppi hanno finto di ignorare, un po' per pigrizia, un po' per codardia, quella del “non esporsi è meglio”, molto per convenienza. La medesima dello stolto rematore che per risparmiare fatica lascia che sia la corrente a trascinare la barca. Oriana Fallaci la sua barca l'ha condotta da sola, sempre sulle rotte desiderate, anche nelle condizioni più avverse ed ha remato controcorrente, senza risparmiarsi. Lo ha fatto per il nostro bene e per quello delle generazioni a venire, sebbene in tanti, in troppi, anziché onorarla, non si siano fatti scupolo di sputarle addosso, e di oltraggiarla, allo stesso modo di come un tempo faceva la plebaglia, assiepata alle ali del corteo che conduceva la strega al rogo. Lo stesso trattamento di classe. Come dicevo, il lascito morale e politico di Oriana Fallaci è grande e incide nella carne viva di problemi irrisolti. I medesimi che continuano a interrogare le nostre coscienze. Ma è sulla questione dell'aggressione dell'islamismo alla civiltà occidentale che le energie spese da “l'ultima medusa nell'oceano deserto”, come lei stessa amava definirsi, hanno prodotto i frutti migliori. La Fallaci ha lanciato, in Italia e ovunque le sue opere ultime siano state tradotte e pubblicate, l'allarme della progressiva islamizzazione della nostra civiltà, in concomitanza con la comparsa di quel mostro chiamato dai suoi fautori: Eurabia. Ora, è probabile che un po' lo si tema quel suo stile veemente di dire le cose. Il suo linguaggio schietto può non piacerci. Talvolta turba i nostri sonni, di ignari pastorelli che vedono assottigliarsi lo scarno gregge dei principi assiologici, giorno dopo giorno, senza capirne la ragione. Ma di un fatto si può essere certi, la denuncia della Fallaci è chiara e non ammette fuorvianti interpretazioni: noi occidentali di questo tempo storico stiamo progressivamente perdendo identità in nome di uno spirito d' integrazione, prodotto, a sua volta, di una cultura dell'umanitarismo pensata e applicata a senso unico, soltanto da noi e a nostro discapito, che


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non richiede reciprocità ai suoi interlocutori, neanche a quelli ad essa più ostili. Piaccia o meno, è questa la realtà che lei ci ha sbattuto in faccia, nella speranza che reagissimo, che avessimo la forza di dire basta a uno scivolamento della Weltanschauung dell' Occidente evoluto lungo il piano inclinato della negazione degli assoluti, in nome di un relativismo etico e culturale di cui è alfiere un imperante pensiero debole. Nella memoria collettiva di un popolo si rinvengono atti, ma anche singole manifestazioni di pensiero, destinati a fare la Storia. Così è stato per la lettera al Corriere della Sera con cui la Fallaci, dopo anni di caparbio silenzio fortemente voluto per non mischiarsi con le “cicale di lusso”: “politici, o cosiddetti tali, intellettuali, o cosiddetti tali e altri individui che non meritano la qualifica di cittadini”, rompe gli indugi, e parla. Anzi, scrive per dire la sua sulla tragedia dell' 11 settembre 2001, quella degli aerei assassini sull'America di George Bush, vissuta in prima persona, da testimone. A muovere la mano sulla tastiera, a spingere il suo impulso a descrivere i fatti, a colorire il linguaggio di tutte le sfumature della cruda realtà, sono due molle formidabili: la Rabbia e l'Orgoglio. E' di nuovo all'opera l'antica corrispondente di tutti i fronti di guerra del secondo Novecento, e anche del primo, se si considera la parte avuta nella lotta partigiana tra il '43 e il '45. E' la combattente che fiuta nell'aria il pericolo, giusto in tempo per sentire l'arrivo delle pallottole dall'arma leggera, dell'obice dal mortaio o del razzo dal bazooka. Lancia l'allarme, la Fallaci. Sembra urlare anche a noi, con lo spirito cameratesco che lega i combattenti al fronte, “Down, Get down !”. Dovevamo buttarci a terra per scansare il colpo e, dopo, rialzarci e rispondere. Per la Fallaci è ciò che gli americani hanno fatto e che solo con molta riluttanza e scarsa convinzione anche gli europei, non tutti, in parte hanno fatto. Nel momento di massimo dramma gli americani, secondo la sua ricostruzione, hanno fatto appello a qualcosa che è scolpito nel loro DNA come su di una pietra: il patriottismo. Questa illuminante constatazione della realtà ci interroga su questioni alle quali non possiamo sottrarci dal momento in cui la Fallaci ha segnato il confine e ci ha chiesto di decidere da che parte stare. Allora, seguendo le tracce lasciate da Oriana, poniamo la quistione: sappiamo, noi italiani, accantonando per un momento i, più o meno genuini, sentimenti europeisti, cosa sia la Patria? Se solo la parola la si pronunci ancora dalle nostre parti? Risposta: Assolutamente no! L'unico rigurgito patriottico che viene facile è quando gioca la nazionale di calcio. Allora sì, fuori le bandiere, le lacrime, le mani al cuore e l'inno cantato a squarciagola. In tante altre occasioni, dove pure ne sarebbe valsa la pena, non ce la siamo sentita di intonare Mameli e commuoverci. Neppure quando l'immagine di un giovane siciliano, cresciuto tra i caruggi di una Genova ricca di mare e di vita, colto in procinto di morire, invade le nostre case, tracimando dai televisori accesi sulla guerra in Iraq. E' Fabrizio Quattrocchi, quel giovanotto ben piantato con un destino da panettiere sulle spalle e un futuro in giro per il mondo, da militare di compagnie private addette alla sicurezza. Era in Iraq a fare il suo lavoro, fu preso prigioniero insieme ad altri tre italiani nell'aprile del 2004. Pochi giorni dopo il suo rapimento per mano di un manipolo di vigliacchi

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assassini, i sedicenti “figli verdi di Maometto”, fu messo a morte. Ricordate cosa disse Quattrocchi al videoperatore che filmava il suo massacro? Chiedendo che gli venisse tolta la benda, esclamò “adesso vi faccio vedere come muore un italiano”. Quando finalmente furono ritrovati i suoi poveri resti, non gli furono neppure concessi i funerali di Stato. Solo la medaglia d'oro al valor civile conferitagli alla memoria e alla chetichella per non turbare troppo la sensibilità dei nostri partners arabi che quell'episodio non desiderano che lo si ricordi con eccessiva enfasi. Per questo vorrei tranquillizzare tutti: di Frabrizio Quattrocchi, sono in pochi a ricordarsene. Per molti nostri giovani virgulti, tutti pace e happy hour, l'unico Fabrizio di cui hanno memoria di cognome fa Corona (vedere inernet, per credere). E' tra costoro che per anni si sono nascosti quelli “della meglio gioventù” pronti, in nome del loro vomitevole pacifismo di marca filojihadista, a gridare nei cortei debordanti di arcobaleni: “Dieci, cento, mille Nassirya”. Ha ragione Oriana, razza di deliquenti. Cos'altro se non deliquenti, e traditori. Anche per questo, grazie Oriana. Almeno tu, Quattrocchi e i tanti, americani, francesi, inglesi e italiani, rapiti e sgozzati come agnelli nello scannatoio iracheno, li hai ricordati e li hai pianti, eroi muti di un'epopea negata. 2. Sulla questione del contagio islamico due sono i meriti dell' analisi compiuta dalla Fallaci. In primo luogo, ella ha chiarito che l'idea di civiltà occidentale non è uguale in tutto l'Occidente sviluppato. Esiste un modello di società plasmato sulla nozione di Patria connaturata al popolo degli Stati Uniti d'America, differente dal modello europeo. Quest'ultimo, in effetti, risente di una diversa percezione degli schemi sottesi alle dinamiche sociali in atto. Le strategie di governo, nella maggior parte dei paesi europei, sono informate all'integrazione multiculturale tra comunità autoctone e gruppi etnico-religiosi disomogenei, secondo criteri di progressiva cessione identitaria. Il rinnovamento, quindi, della società è progettato su base negoziata. Nel nome supremo della coesione sociale si riconoscono ai gruppi di nuova stanzialità ruoli coattoriali nella ricostruzione di modelli culturali condivisi. La differenziazione tra modello americano ed europeo è giunta a toccare la concezione del modo di intendere la difesa della democrazia, oggi struttura portante della civiltà occidentale, da ogni aggressione tentata o prodotta da agenti patogeni interni o esterni ai contesti di riferimento. Inoltre, per la Fallaci, è palmare la differenza d'approccio che sussiste tra lo standard americano e quello europeo, rispetto alle problematiche identitarie da contatto con culture e civiltà estranee. Sono oltremodo differenti, per le due anime dell'Occidente, i gradi di disponibilità a negoziare sull'attenuazione dei tradizionali valori costitutivi in funzione del riconoscimento dell' integrazione quale fattore totemico. Per gli americani tale livello è relativamente basso tenendo conto della consistenza demografica della nazione nel suo complesso e delle costanti ondate migratorie che si sono succedute a cominciare dal XIX secolo. Per gli europei invece appare vero il contrario. La pervicace resistenza,


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a carattere sanzionatorio, ad ammettere in patria usi e comportamenti, da parte degli immigrati, che non siano conformi con lo spirito della Costituzione del 1789 e con le leggi federali integra la politica di difesa dei confini, praticata dalla Confederazione degli Stati Uniti d'America fino dall'atto della sua fondazione. In sostanza, essa rappresenta una costante nella “mission” dello Stato. Non è lo stesso in Europa, dove le cosiddette politiche dell'accoglienza a sfondo “umanitario” hanno preso il sopravvento su quelle di vigilanza e di allerta alle frontiere. Dove non sono poche le formazioni partitiche, con la sinistra europea in testa al corteo, a chiedere a gran voce, sempre nel sacro nome dell'integrazione, il voto per gli immigrati e facilitazioni nell'accesso alla cittadinanza. A riguardo il caso “Italia”, porta Sud dell'Europa, è paradigmatico. Dopo una breve parantesi di rigore, attuata dal governo di centro-destra, per l'interdizione alla fonte dei flussi migratori illegali, si è tornati alla pressoché totale soppressione delle politiche proattive per la difesa dei confini nazionali. In barba alla tanto osannata Carta Costituzionale, evocata solo quando ragioni di bassa cucina elettorale lo richiedano, si è fatto strame dell'articolo 52 che, al primo comma, recita: “ La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. In realtà, dall'esegesi di questa norma, appare chiaro che la sua inefficacia non stia nella mancata sussistenza del requisito dell'attacco al suolo patrio, attese le innegabili dimensioni dell'invasione quotidiana di migrazione clandestina intenzionale a cui stiamo assistendo, ma, verosimilmente, stia nella destrutturazione dell'idea di Patria, la cui sola percezione dell' esistenza in vita riattiverebbe nel cittadino la consapevolezza del sacrale dovere della sua difesa. La realtà è che il valore di Patria non è più avvertito, e vissuto, come tale da buona parte dei cittadini di passaporto italiano. Perciò, il fatto che si avalli un atteggiamento da resa incondizionata ai piani dei nemici della civiltà di cui siamo parte, favorendo le pur giuste pulsioni compassionevoli che la nostra popolazione avverte in presenza di drammi della disperazione così intensi, non ci porrà al riparo dalle conseguenze devastanti in esito a cotanta pavidità strategica e politica delle nostre classi dirigenti. In secondo luogo, la Fallaci ha denunciato l'esistenza di Eurabia, cioè di un piano studiato nei dettagli nelle segrete stanze dei governi dell'Unione Europea, in base al quale, le nostre leadership, in cambio di solidi contratti di fornitura di gas e di petrolio stipulati con gli Stati arabi produttori, si impegnavano, per un verso, a favorire un clima favorevole agli immigrati dai paesi del nord Africa, della regione mediorientale e dell'Asia minore, e alle loro famiglie, “consentendo loro di praticare la vita religiosa e culturale degli arabi”, per un altro verso “ad esaltare attraverso la stampa e il mondo accademico il contributo dato dalla cultura araba allo sviluppo europeo”. Queste espressioni non sono frutto di fantasia letteraria, di smanie complottistiche, o di un sentito dire, bisbigliato qua e là da interessati partigiani dell' unico- mondo- fatto –di- pace- e- diamore. Esse riassumono il contenuto di una Raccomandazione del Parlamento Europeo, la numero 1162 del 1991, che tratta del contributo della civilizzazione islamica alla cultura europea. Ma l'Europa della multiculturalità e del pluralismo valoriale, sa fare di meglio. Con una

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sua Risoluzione ( la C/ 313 del 12 .10. 1998), insieme alla istituzione di una giornata commemorativa dell'ottavo centenario della morte di Muhammad Ibn Rushd (Averroè) nel corso della quale celebrare l'attualità del suo pensiero filosofico, il Consiglio invita la Commissione “a promuovere attivamente l'istituzione di un'università euro-islamica in un luogo adeguato sul territorio dell' Unione Europea la quale…. contribuisca soprattutto, attraverso i valori e i metodi dell'Islam a configurare e strutturare un Islam europeo moderno, consapevole di sé e liberale per i musulmani in Europa”. Le linee di indirizzo elaborate dalle lobby euro-arabe ricevono un decisivo imprimatur dalle scelte politiche del Consiglio d'Europa. Nelle Conclusioni della Presidenza, in occasione del Consiglio d' Europa di Santa Maria da Feira, del 19 e 20 giugno 2000, viene inserita, al Punto V, una dichiarazione programmatica in ordine alla creazione di una zona destinata allo sviluppo del partenariato euromediterraneo. Alla dichiarazione si accompagna, in appendice, un documento strategico – Allegato V, che reca in epigrafe: ”Strategia comune dell'Unione Europea sulla Regione Mediterranea”. Nel documento si afferma che il principio cardine della politica europea è il partenariato con gli altri Paesi del Mediterraneo onde promuovere la tolleranza religiosa e culturale e sviiluppare la cooperazione. Poveri illusi! L'islam per i kafiruna, i non credenti, si rappresenta come un monolite ideologico religioso, a vocazione espansiva. Esso non ammette, oltre al riconoscimento delle correnti interpretative nelle quali la sua presenza si è articolata e diffusa su scala globale, l'esistenza di vie autonome e liberali di affermazione. In concreto, non esiste, né mai lo potrà, una via europea all'islamismo fatta di una miscela di valori presi un po' dalla cultura di provienienza e un po' da quella ospitante, e mescolati insieme. Come la storia di questi ultimi decenni ha ampiamente mostrato con l'islamismo la politica di “appeasement”, cioè di pacificazione in cambio di concessioni, non funziona. E, seppure in alcuni casi essa abbia dato l'impressione di costituire l'auspicata soluzione ai problemi di convivenza, alla fine si è manifestata, nella sua intrinseca verità, come una tappa di compromesso nell' ambito del processo espansivo della cultura islamica, aspirante dominatrice, in un futuro prossimo, sulla civiltà dell'Occidente, giudicata più debole e, per questo, destinata a soccombere. La vittoria dell'Islam sull'Occidente miscredente, nel disegno delle sue guide politico / spirituali, giungerà per vie diverse. Una di queste, già da tempo operativa, prevede il sistematico incremento dei flussi demografici nel continente europeo provenienti, prima, dalle regioni costiere del Mediterraneo meridionale e sud- occidentale, successivamente dalle aree del Sael della fascia desertica del Nord Africa, e in ultimo, l'ondata stimata come la più forte e devastante, riguarderà le popolazioni dell'Africa Sub Sahariana. Si tratta, in realtà, di un esodo pianificato, destinato a muovere una massa di migranti composta di milioni di individui, pronti a trasferire l'intero apparato radicale del loro mondo di provenienza nei nuovi luoghi d'approdo e a ricreare, nelle realtà penetrate, le condizioni sociali, culturali e religiose conosciute, e vissute. Non siamo in presenza di una mera ipotesi teoretica, al contrario


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la ricostruzione fornitaci dalla Fallaci, anni orsono, coincide perfettamente con ciò che la cronaca quotidiana ci restituisce in immagini e narrazioni di fatti che il nostro ethos, la nostra cultura profonda, la nostra ragione e la nostra coscienza fanno fatica a comprendere e ancor più ad accettare. Il punto di snodo del ragionamento della Fallaci verte sull' impossibilità, sostenuta da un'assoluta mancanza di volontà, di queste sempre più folte comunità islamiche di integrarsi nei nuovi contesti sociali abbandonando l'impianto giuridico-morale imposto dall'osservanza della Shari'a, la Legge di Allah. L'integrazione, secondo la Fallaci, non è possibile perché è proibita dalla parola di Maometto. Ne consegue che il problema, gigantesco, si ribalta interamente sulle spalle degli ospitanti. Delle due, l'una. O si decide di difendere la propria storia, la propria identità , la propria civiltà, imponendo, e facendo valere con ogni mezzo, l'efficacia delle leggi che riflettono il nostro sistema assiologico, oppure si opta per il permissivismo, consentendo cioè che in alcuni luoghi a maggiore densità demografica di individui di fede islamica, il diritto degli Stati ospitanti non venga applicato integralmente ma, finché possibile, si lasci correre, si “chiuda un occhio”, si consenta che le comunità di immigrati si organizzino all'interno di “zone franche”, con le loro leggi, i loro precetti morali, i loro usi, i loro costumi, la loro concezione dei rapporti umani e il loro spiccato senso della diversità di genere. Anzi, ove posssibile si aiuti, come invita a fare la Raccomandazione del Consiglio d'Europa, la convivenza sottraendo alle nostre incombenze quotidiane quelle manifestazioni tipiche delle tradizioni continentali che possano in qualche modo turbare la sensibilità dei migranti islamici. E' di tutta evidenza che l'opzione scelta dalle classi dirigenti europee sia la seconda indicata. La Fallaci attribuisce parte della responsabilità di una così grave e comprommissiva scelta, anche al comportamento della chiesa cattolica. Essa, in nome di un buonismo di recente conio, ha ceduto le armi di fronte ai ripetuti oltraggi provocati da un credo religioso ostile qual è l'Islam. Essa ha smesso di farsi argine. Ha cessato di chiamare i suoi fedeli alla resistenza e alla lotta, come un tempo faceva per difendere i suoi diritti spirituali, e i suoi interessi temporali. Anzi, per quella storia passata le più alte gerarchie ecclesiastiche non trascurano occasione per scusarsi e chiedere perdono, rendendo vano il sacrificio che milioni di individui hanno sopportato fino alle estreme conseguenze per onorare un patto che ora viene negato. Oggi è privilegiata dalla Santa Sede la politica del “porgi l'altra guancia”. Quindi si tace, o al più si farfuglia, innanzi al massacro preordinato dei cristani in Asia, in Africa, nel Medioriente. Si tace al cospetto dell'incendio e della sistematica distruzione dei luoghi di culto. Si tace per il rapimento e per lo sgozzamento di tanti preti, e per lo stupro di tante suore. A furia di tacere non è rimasta neppure una guancia da porgere, in certe zone del mondo. Perché protestare attraverso le note delle nunziature apostoliche con quei governi che tollerano, e talvolta incentivano, la bestialità criminale del fanitismo islamico, equivale a tacere. Questa Chiesa che, come tuona la Fallaci, si è acconciata a gestire tramite le sue ONLUS il bussiness dell'accoglienza dei migranti, non ha saputo inculcare speranza ai suoi fedeli, dicendo

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a chiare lettere all'umanità intera che la fratellanza non può essere realizzata attraverso la soppressione fisica di una parte di essa. E non sono nostri fratelli, gli assassini, i fanatici, gli integralisti, gli stupratori di donne inermi, che progettano di annientarci. E che prendere le armi contro costoro sia causa di santità e non di ignominia e di peccato. La Fallaci fissa nel Convegno del Cairo del 1975, organizzato dall'Associazione Parlamentare per la cooperazione Euro- Araba, il momento esatto nel quale le nostre leadership avrebbero “svenduto “ l'Europa agli arabi. E' infatti in quel prestigioso consesso che viene discusso e approvato un documento nel quale si fa esplicito riferimento ai futuri immigrati che verranno spediti nel vecchio continente insieme al petrolio. Recita testualmente il documento incriminato: “Una politica a medio e lungo termine deve d'ora innanzi essere formulata attraverso lo scambio della tecnologia europea con il greggio e con le riserve di mano d'opera araba… l'Associazione Parlamentare per la cooperazione Euro-Araba chiede ai governi europei di predisporre provvedimenti per salvaguardare il libero movimento di lavoratori arabi che emigreranno in Europa nonché il rispetto dei loro diritti fondamentali. Tali diritti dovranno essere equivalenti a quelli dei cittadini nazionali…”. Agli immigrati musulmani veniva dunque riconosciuto “il diritto a propagandare e diffondere la propria cultura”. Tutto quello che è accaduto in questi decenni e che in questi giorni ci tiene col fiato sospeso, si iscrive in questa scelta strategica voluta e perseguita dalle classi dirigenti europee e che ci ha condotto al punto in cui siamo. E' questo cedimento strutturale che la Fallaci denuncia con tutte le sue forze. E' la chiara visione di un configurarsi di una sorta di errore ontologico che rischia di pregiudicare il futuro della nostra civiltà. Non è con l'abbandono unilaterale delle proprie scale valoriali che si otterrà quell'integrazione a cui pensano le leadership europee. D'altro canto, la definizione del fine escatologico dell'islamismo non è la convivenza della pluralità dei credi religiosi in un mondo pacificato, è piuttosto l'affermazione del Jihad, in un quadro concettuale che integra il cuore e la radice stessa dell'islamismo. La concezione giuridico-teologica della dottrina jihadica è interamente centrata sul principio cardinale della lotta finalizzata alla distruzione fisica dei non-credenti, degli infedeli. Le dinamiche di interazione, che pure esistono nella sequenza delle fasi storiche nei rapporti tra i musulmani e l'insieme del mondo dell'alterità, della diversità dei non credenti, si richiamano a tre tipologie di esiti conseguibili: lo stato di belligeranza, la fase armistiziale temporanea, la condizione di sottomissione. E' a quest'ultima a cui le forze di potere del mondo islamico pensano a proposito del destino della debole Europa. E' quella che la scrittrice vivente di origini ebraiche, Bat Ye'or, pseudonimo di Giselle Littman, ha denominato la “ dhimmitudine”, cioè la protezione pattuita (dhimma), a seguito della resa, con le popolazioni conquistate dalla dominazione dell' Islam. E' il vantaggio concesso a chi ha ceduto le armi davanti all'avanzata delle truppe di Allah, a non perdere totalmente i propri diritti e i propri usi civili. Ieri i conquistatori vestivano le scintillanti armature descritte dall'Ariosto e dal Tasso, erano gli ottomani del Gran Visir giunti sotto le mura di Vienna, avevano il fascino di Salah al -Din, per i nostri ricordi d'infanzia il feroce Saladino, il


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“conquistatore” di Gerusalemme, oggi hanno le sembianze delle masse di disperati che approdano quotidianamente sulle nostre coste. Un'invasione non è detto che sia condotta con le armi, o solo con le armi. Essa può esser ancora più efficace se fatta con gli stracci, soprattutto se dall'altra parte, al posto delle artiglierie e delle navi cannoniere, si schierano i filosofi dell'accoglienza, i teorici delle porte aperte, le quinte colonne del pacifismo nostrano. La Fallaci mostra, negli effetti di questa strategia di penetrazione, la condizione d'impotenza dei governi nazionali. Sono agli atti della memoria storica del nostro Paese le parole dell'allora Ministro degli Interni, Pisanu, pronunciate in presenza di un altro dei tanti sbarchi subiti dall'Italia nella totale indifferenza degli altri Paesi europei. Pisanu, citando due versi del poeta Eugenio Montale, ebbe ad esclamare: “Questa ondata di carità che si abbatte su di noi è un'ultima impostura”. 3. E' universalmente noto che l'11 settembre 2001 sia stato un colpo a tradimento inferto al gigante amercano. Ma ci si è mai chiesti, come invece ha fatto Oriana, perché azioni terroristiche altrettanto incisive e devestanti non siano state tentate in Europa? Eppure, di obiettivi sensibili alla portata dei jihadisti nel nostro continente se ne trovano a iosa, totalmente sguarniti di apparati di protezione. L'unica risposta convincente è che non vi sarebbe stata necessità di forzare la mano nei confronti di un nemico tanto arrendevole. Nei rari momenti di lucidità anche qualche nostro politico ha avuto almeno il fegato di riconoscere che “sull' Unione Europea soffia lo spirito di Monaco , lo spirito del 1938”. Il guaio è che dopo la disfatta diplomatica di Monaco, la pavida Europa abbia conosciuto la tragedia del secondo conflitto mondiale, e dell'Olocausto. Quest'aspetto conduce a un altro elemento, piuttosto complesso, del pensiero di Oriana Fallaci. Tra gli effetti più significativi del dialogo euro-arabo, tenuto in questi anni da organizzazioni quali appunto l'Associazione Parlamentare per la Cooperazione Euro-Araba, vi è la pressante richiesta da parte araba di un allineamento dei rapporti sulla base di un'alleanza morale che superi i meri aspetti finanziari in ballo tra le due entità partenariate. Si tratta, per gli arabi, di far accettare agli europei la dimensione etica della loro relazione, da tenersi su di un piano di parità e, allo stesso tempo, di interdipendenza. Domanda: in cosa consiste, in concreto, questa moralità di cui parlano i leaders arabi? Risposta: principalmente nell'assunzione, in una prima fase, di un atteggiamento da parte europea concretamente anti-israeliano in specialmodo riguardo alla gestione della questione palestinese, per giungere in un futuro non remoto a una negazione di natura etica del diritto di Israele ad una propria autonoma sovranità statuale. In realtà i leaders arabi puntano ad avere il blocco europeo come valido contrappeso alla influenza americana nell'area mediorientale, influenza, fino alla presidenza Obama, marcatamente filoisraeliana. Le leadership continentali, a loro volta, non hanno mostrato particolare difficoltà a condividere la strategia dettata dagli arabi. Ed è così che nelle dichiarazioni di fonte UE compare, con sempre

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maggiore frequenza, un riferimento “alla giusta causa dei palestinesi” e “ai legittimi diritti dei palestinesi” in logica contrapposizione alla politica giudicata “espansionistica” di Israele, considerata potenza occupante fuori dalle linee armistiziali definite a seguito del primo conflitto arabo-israeliano, nel 1949. Scompare, invece, definitivamente dal tavolo del negoziato la notizia che ai palestinesi una patria sarebbe già stata assicurata nel 1946 con il riconoscimento di sovranità al neonato Regno hashemita di Giordania, la cui composizione etnica è per il 95% araba, con una quota del 40% arabo-palestinese. Ma l'obiettivo vero, il comandamento etico che si cerca di trasferire al sodale europeo non è propriamente quello di dare una patria a chi l'ha già, ma è il Jihad in vista dell'annientamento di un popolo, quello ebraico, che, nella cosmogonia coranica, incarna la forma archetipica del male, in senso ontologico. L'ostilità europea alla politica israeliana di sicurezza, col passare del tempo, è divenuta un'onda montante di un gretto antisemitismo di natura carsica. E' dello scorso luglio l'emanazione di una decisione della Commissione Europea (2013/C 205/05) che, in materia di accesso agli strumenti finanziari per il 2014, messi a disposizione dalla UE a favore di Israele, sancisce la non ammissibilità a contributo dei progetti presentati da persone o enti israeliani residenti nei territori occupati dopo il 1967, segnatamente: Gerusalemme Est, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, le alture del Golan perché tali zone non farebbero parte, secondo la Commissione, dello Stato di Israele. L'esclusione, invece, non vale per i progetti presentati da enti o persone afferenti all'OLP o all' Autorità per la Palestina. Con questo atto la UE assume di non accettare gli esiti scaturiti dalla “Guerra dei sei giorni” e avverte che la linea comunitaria sul contenzioso con i palestinesi punterà a costringere Israele a rientrare nei confini fissati dall'armistizio del 1949. Esattamente come progettato nell'ambito del dialogo euro-arabo. In effetti, la Commissione Europea ha ignorato deliberatamente che quelli non erano autentici confini, ma una linea armistiziale subìta in seguito alla guerra panaraba il cui obiettivo era l'eliminazione di Israele dalla carta geografica della regione. La linea verde, come venne chiamata, è stata ribattezzata sarcasticamente da Abba Eban gli “Auschwitz borders” a indicare che, nelle intenzioni degli arabi, quel territorio a ovest del fiume Giordano sarebbe stato un nuovo universo concentrazionario in cui recludere gli ebrei, in attesa dello sterminio finale. Con lo stesso spirito, e retrogusto antisemita, autorevoli leader europei tra i quali la baronessa Catherine Ashton, diafana figura di rappresentante della politica estera della UE, stanno spingendo perché la UE adotti una politica attiva di boicottaggio dei prodotti israeliani provenienti dai territori occupati. Proprio la Ashton recentemente proponeva che tali produzioni, per essere rese ricononoscibili all'utenza europea, dovessero recare sulle etichette appositi contrassegni distintivi. Avrebbe dovuto ricordare, la Ashton, che già settanta anni orsono qualcuno ebbe la bella idea di rendere riconoscibili i cittadini di fede ebraica e sappiamo come è andata a finire. Spesso i media per descrivere i “poteri forti” evocano all'immaginario collettivo la cosiddetta lobby ebraica che avrebbe formidabili capacità di pressione su tutte le amministrazioni


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insediatesi, nel tempo, a Washington. Passi, pure. Ma poco o nulla i media dicono sulle altrettanto potenti pressioni che la lobby filoaraba, la cui esistenza è stata ampiamente documentata dalla Fallaci, da decenni esercita sulla politica estera della UE, oltre che dei suoi Paesi più rappresentativi. In questo caso, poi, il maggior peso specifico riconosciuto agli esponenti della lobby filoaraba, è giustificato non soltanto da solide motivazioni affaristiche ma anche da un idem sentire maturato su un terreno ideologico-culturale, abbondatemente irrorato dalle teorie e dagli orientamenti di intellettuali filoislamici, molto ascoltati dalle opinioni pubbliche europee. Tra costoro ve ne sono alcuni che assurgono al rango di fonti ispiratrici della fusione euro-araba. La Fallaci denuncia come abietta e pericolosa la loro opera. In particolare, punta lo sguardo sulla orientalista tedesca Sigrid Hunke, autrice di un illuminante saggio titolato: ”Il Sole di Allah brilla sull'Occidente”, nel quale si teorizza l'assoluta superiorità dell'Islam da sfruttare come primo passo verso la liberazione dell'Europa dal Cristianesimo, gene allogeno nel corredo cromosomico del vecchio continente. Oriana ci ricorda che la Hunke, benché dotata di notevole erudizione, era, testualmente, ”una fottuta nazista”. Lo è stata con Hitler imperante, quando nel 1935 tenne la sua tesi di laurea in cui indicava la pulizia razziale come un compito urgente affidato al popolo tedesco. Lo è stata da esperta di Scienza razziale per le SS di Himmler. Ma lo era anche nel 1990, quando scrisse il suo ultimo libro: “Allah è tutt'altra cosa”. E' superfluo ricordare che, per la valutazione espressa sulla persona della Hunke, alla Fallaci è toccato beccarsi un'altra generosa dose di sputi, in aggiunta a quelli già incassati. L'indubbia capacità ricostruttiva della Fallaci ci consente di rintracciare il filo conduttore che lega saldamente la politica antisionista dei regimi arabi alle teorie razziali maturate negli ambienti culturali dell'Europa otto-novecentesca. L'insediamento di una quota di popolazione ebraica in uno spicchio di territorio semidesertico compreso nella vasta regione della Grande Siria, appartenente fino al primo conflitto mondiale all'Impero ottomano, viene percepito dai musulmani come un vulnus all'opera del Profeta e dei suoi discendenti che avevano già “purificato” Gerusalemme, “dai resti dei Romani e dei sionisti”. Anche il nazionalismo panarabo del secondo Novecento vanta ascendenze ideali dal nazionalsocialismo tedesco. E' nella regione mediorientale che tra i testi più conosciuti vi sono “I Protocolli dei Savi di Sion”. Libello molto apprezzato tra gli intellettuali islamici, nonostante fosse un palese falso. Cosa in qualche modo riconosciuta dallo stesso primo curatore e traduttore dell'edizione italiana, Julius Evola. La Fallaci non trascura di ricordarci che zio e guida spirituale dell'osannato (dagli europei) Yassir Arafat era Amin Ali al Husayni, Gran Muftì di Gerusalemme, ammiratore e sodale di Adolf Hitler, noto per il suo odio implacabile per gli ebrei che si distinse per aver favorito il reclutamento di musulmani nelle SS, durante il secondo conflitto mondiale. Il caso della parentela del terrorista Arafat non è che la punta di un iceberg la cui base brulica di nugoli di studiosi dell'Islam che ad ascoltarli, come scrive Oriana, “sembra di vedere sfilare la Wehrmacht in Alexanderplatz”. Sono i cattivi maestri di coloro che in nome dell'odio razziale e dello sterminio del popolo ebraico, vanno a bruciare le sinagoghe, profanare i cimiteri e

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terrorizzare le inermi popolazioni civili. Sono gli stessi che, avendo stuprato e fatto scempio del più puro significato della parola “Kamikaze”, vanno in giro inghirlandati da collane di candelotti al tritolo, e urlano come bestie inferocite l'irrefrenabile voglia di farsi saltare in aria portandosi dietro quanti più kafiruna sia possibile con un solo botto. D'altro canto cosa si potrebbe pretendere di diverso da una congerie di fanatici assassini sinceramente convinti dalle loro guide spirituali che “spargendo sangue, si entra in Paradiso”. La china presa dagli entusiasti dell'Eurabia nell'osteggiare i legittimi diritti del popolo Israeliano a vantaggio della protervia distruttrice dell'islamismo politico, versione ripulita e presentabile del Jihadismo militante, è una china molto pericolosa che approderà a nulla di buono. Gli israeliani stanno combattendo da decenni una battaglia per la sopravvivenza. Si tratta di una lotta strenua per difendere i pilastri della nostra civiltà occidentale che è anche la loro. Perché Israele è un'enclave ideologica. Per dirla con le parole del filosofo Isaiah Berlin: “un curioso frammento del passato liberale” giacché il suo impianto istituzionale è stato permeato dalle idee liberali affermatesi nell'Europa ottocentesca. In particolare dallo spirito dell'illuminismo liberale russo che è approdato nella Palestina mandataria ebraica attraverso la migrazione degli intellettuali sionisti polacchi e russi. Essi hanno lasciato le loro patrie d'origine per tentare l'avventura in terra di Palestina. La loro scelta etica, avvenuta senza costrizione alcuna, ha accompagnato il diffondersi di “ un'aura di entusiasmo liberale”, sono parole di Berlin, che non poteva non recare traccia nel momento della costituzione dello Stato autonomo e sovrano di Israele. Si potrebbe azzardare un paradosso. In Israele sopravvive qualcosa di antico che evoca la purezza di un'ideologia della libertà che nell'Europa geografica, passata tra le macine dei totalitarismi del primo Novecento, non è più possibile rinvenire alla medesima stregua di limpidità della sua matrice ottocentesca. Vi è, dunque, un'incolmabile distanza tra uno Stato, quello israeliano, che è il paradigma moderno della democrazia liberale di stampo ottocentesco e la belluina tradizione predatoria delle tribù un tempo nomadi delle aree semidesertiche della Palestina. Se solo considerassimo la fondatezza di queste ragioni noi europei non dovremmo nutrire dubbio alcuno in ordine alla scelta di campo. Dovremmo riconoscere al tatto la nostra parte. Invece, la forza di un resistente sentimento antisemita, che non ha mai realmente abbandonato i popoli della vecchia Europa, nonostante tutto il male provocato, ha incrociato complicati interessi politico-finanziari con gli intelocutori arabi. Il matching tra queste diverse istanze sta producendo scelte strategiche assolutamente autolesioniste per la radice occidentale della nostra civiltà. Oriana Fallaci lo ha visto e lo ha denunciato con mirabile lucidità. Celebre è rimasto il J'accuse che, da novella Zola del nostro tempo storico, ha pronunciato contro l'antisemitismo di nuova fattura. L'articolo, apparso sulle colonne del settimanale Panorama il 18 aprile 2002, per alcuni suoi estimatori, e perché no anche seguaci del suo pensiero, ha rappresentato un improvviso fascio di luce apparso in un momento di tenebra: “Io trovo vergognoso e vedo in tutto ciò il sorgere di un nuovo fascismo, d'un nuovo nazismo. Un fascismo, un nazismo tanto più bieco e ributtante in quanto condotto e


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nutrito da quelli che ipocritamente fanno i buonisti, i progressisti, i comunisti, i pacifisti, i cattolici anzi i critstiani, e che hanno la sfacciataggine di chiamare guerrafondaio chi come me grida la verità…. Con gli israeliani ho litigato spesso, di brutto, e in passato i palestinesi li ho difesi parecchio. Forse più di quanto meritassero. Però sto con Israele, sto con gli ebrei. Ci sto come ci stavo da ragazzina cioè al tempo in cui combattevo con loro e le Anne Marie morivano fucilate. Difendo il loro diritto ad esistere, a difendersi, a non farsi sterminare una seconda volta. E disgustata dall'antisemitismo di tanti italiani, e di tanti europei, mi vergogno di questa vergogna che disonora il mio Paese e l'Europa…”. 4. La polemica innescata dalle opere ultime della Fallaci ha avuto come diretta, e positiva, conseguenza lo spostamento in avanti della linea dell'orizzonte visuale di un'intera generazione. La cosa non è di poco conto se si considera che uno dei mali endemici del nostro tempo storico è proprio la mancanza di prospettiva in ordine al futuro che desideriamo, accompagnata da un deficit di visione del mondo, di Weltanshauung, che affligge molte società civili dell'Occidente sviluppato. Tra esse sicuramente la nostra. Per questa ragione, in un'Italia sfiancata da una quotidianità per alcuni versi insostenibile, avere l'opportunità di alzare lo sguardo per osservare qualcosa che vada un po' oltre il nostro naso è importante, non foss'altro perché si ha l'opportunità di valutare in anticipo gli effetti che le scelte di oggi potranno avere sulle generazioni che verranno. La miopia della politica è stato il male peggiore di cui le società mature, come quella italiana, hanno sofferto particolarmente dal secondo Novecento in avanti. Per questo che ci tocca di pagare gli errori di vecchie generazioni le quali se ne sono infischiate dei danni che con il loro comportamento avrebbero creato ai propri figli. Esse hanno sperperato senza porsi minimamente il problema che il conto salato sarebbe poi stato servito alle generazioni successive. Allo stesso modo, una discussione sul pericolo, forse non imminente ma oggettivo, di un'espansione oltre i limiti di sicurezza dell'islamismo in Italia e in Europa, non è certo un argomentare stucchevole. Se un fenomeno etico-religioso e, insieme, culturale, di così vasta intensità e dimensione rischia di provocare danni irreversibili alla nostra identità occidentale e alla nostra cultura profonda, è nostro dovere discuterne. E' soltanto questione di viltà prendersela con chi la questione l'ha posta, e non certo provocata. La realtà ci restituisce un quadro d'insieme che non può non destare preoccupazione. Secondo una Comunicaziopne della Commissione Europea del 2006 (C/571) il calo demografico, combinato all'allungamento naturale della vita delle persone, è destinato a provocare effetti significativi sulla configurazione complessiva della popolazione dell'UE. Essa, nel volgere calcolato di due decenni, subirà una riduzione in valori assoluti. Diminuirà il numero degli idonei al lavoro, nella fascia 15-64 anni secondo dati Eurostat, di 48 milioni di unità tra il 2006 e il 2050, mentre il tasso di dipendendenza è stimato, per il 2050, al 51%, valore doppio rispetto all'odierna percentuale. Il tasso di natalità per donna passa dall'attuale 1,5 figli nell'UE, al valore stimato per

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il 2030 di 1,6 figli per donna. Ma ciò che desta maggiore allarme è che la stessa analisi della Commissione individua nel fenomeno migratorio la soluzione compensativa al calo demografico e all'invecchiamento della popolazione autoctona UE. La Commissione stima, infatti, che la massa di immigrati, pari nel 2004 a 1,8 milioni di unità, si incrementerà nel 2050 a 40 milioni di unità (Dati Eurostat). Questo trend di crescita, stando alla valutazione della Commissione, “sarà accompagnato da mutamenti sociali profondi ”. Ora, a fronte dell'incontrovertibilità dei numeri sembra che le nostre classi dirigenti intendano risolvere la questione propugnando, con avventata leggerezza e dosata malafede, la soluzione del “melting pot”, del miscuglio etnico-culturale, nel chiaro intento di negare diritto di cittadinanza alla Tradizione e ai diritti consolidati dall'appartenenza delle generazioni dei nativi eupei al proprio territorio. Sono negati i diritti di sangue. Se è così allora che diamine stiamo combinando? Quale Europa stiamo concependo per il fututro della nostra gente? E' vero però che, dagli anni delle denunce di Oriana, alcuni passi in avanti sono stati compiuti. Ad esempio si è rafforzato in Europa un sentimento di preoccupazione per l'attacco alle nostre culture tradizionali che, in alcuni Paesi, ha trovato sbocco politico nella formazione di movimenti che dichiarano programmaticamente di volersi opporre alle ondate migratorie di extracomunitari, rendendo più stringenti ed efficaci le normative sui respingimenti. In realtà, oggi più di ieri si è reso evidente lo scollamento che divarica il sentire delle popolazioni, spesso oggetto diretto delle conseguenze negative delle presenze incontrollate di masse di clandestini, che si sommano a quelle dei flussi programmati degli immigrati regolari, dagli interessi perseguiti dalle classi dirigenti e dalle numerose lobby. Queste ultime operano per aumentare i margini di profittabilità che a loro possano provenire dall'incremento dei rapporti di scambio e di partenariato con i governi e con i ceti dominanti dell'altra sponda del Mediterraneo. Paradigmatico in questo senso è stato il differente approccio che le leadership occidentali, in particolare quelle dei Paesi UE, hanno avuto circa l'insorgere e il diffondersi della cosiddetta “Primavera araba” rispetto all'atteggiamento più cauto, e più diffidente, delle rispettive opinioni pubbliche. Per essere chiari, sui moti di piazza, che due anni orsono hanno portato alla caduta di alcuni regimi dell'area strategica del nord Africa, i governi occidentali hanno preso una cantonata micidiale. Pensavano, Obama per primo, di favorire l'avvento della democrazia nel mondo arabo, invece si sono trovati a dare una grossa mano all'integralismo islamico nel processo di conquista del potere in tutta l'area mediorientale. E se oggi possiamo tirare un sospiro di sollievo perché il pericolo sembra in parte allontanato, lo dobbiamo al buon senso delle popolazioni di quei paesi che, avendo solo saggiato la mano degli islamisti al governo, si sono precipitati, come in Egitto, a rimettere le cose a posto ripescando i tradizionali equilibri di potere ante – Primavera. I governanti occidentali ci hanno messo un po' per comprendere il pasticcio in cui si erano infilati. E adesso anche in Siria si intravede la luce, dopo il pericolo corso. Abbiamo rischiato che la maggiore potenza planetaria, una volta di più, affondasse le mani nella


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melma per fare uno sporco lavoro. Obiettivo: liquidare un regime tirannico. Risultato: mettere in sella un manipolo di terroristi scelti tra i peggiori e più fanatici jihadisti attualmente in circolazione. Come si vede le questioni poste dalla Fallaci sono tutt'altro che risolte. Perciò risulta poco consigliabile pensare di mandare in archivio il lavoro compiuto da Oriana. Se ne avverte ancora il bisogno. E' di tutta evidenza che ciò che ci attende si prefiguri come un futuro di lotta per la sopravvivenza e per la difesa di quello che più di ogni altra cosa ci appartiene, a tutti senza differenza alcuna. Qualcosa che non è fungibile col danaro e neppure e barattabile con altri beni, per quanto preziosi e costosi essi possano essere. Si tratta del nostro onore. L'onore di vivere con dignità la propria esistenza, l'onore di riconoscersi nei propri valori, gli stessi che furono dei nostri padri, l'onore di ritrovarsi sotto una stessa bandiera, l'onore di servire la propria Patria Ammettiamo pure che, in questi ultimi tempi, ci siamo intorpiditi. Siamo diventati un po' pingui e flaccidi. Aspettiamo che siano gli altri a toglierci le castagne dal fuoco. Noi, si delega volentieri. Purtroppo, così facendo prima o poi si finisce schiavi di qualcun altro. Dobbiamo svegliarci. Allora lasciamo che sia Oriana a suonare la sveglia. Lasciamo che siano le sue parole a provocare la scossa adrenalinica: “…Così non capite cos'è che muove i vostri nemici, i nostri nemici. Non capite cos'è che gli permette di combattere in modo tanto globale e spietato questa guerra contro l'Occidente. E' la passione. La forza della passione, cari miei! E' la fede che viene dalla passione. E' l'odio che viene dalla passione. Allah Akbar, Allah Akbar! Jihad, Jihad! Quelli son pronti a morire, a saltare in aria per ammazzarci. Per distruggerci. E i loro leader, (veri leader), lo stesso. Io l'ho conosciuto, Komeini. Ci ho parlato, ci ho litigato, per oltre sei ore in due giorni diversi. E vi dico che quello era un uomo di passione. Che a muoverlo era la fede, la passione. Bin Laden non l'ho conosciuto. Peccato…. Però l'ho guardato bene quando appariva in tv. L'ho guardato negli occhi, ho ascoltato la sua voce, e vi dico che quello è un uomo di passione. Che a muoverlo è la fede, l'odio che viene dalla passione. Per combattere la loro passione, per difendere la nostra cultura, cioè la nostra identità e la nostra civiltà, non bastano gli eserciti. Non servono i carri armati, le bombe atomiche, i bombardieri. Ci vuole la passione. La forza della passione. E se questa non la tirate fuori, non la tiriamo fuori, io vi dico che verrete sconfitti. Che verremo sconfitti. Vi dico che torneremo alle tende del deserto, che finiremo come pozzi senz'acqua. Wake up, then! Sveglia, wake up”. (Oriana Fallaci, Corriere della Sera, 26 ottobre 2002). Che altro si può aggiungere. Niente. Cristofaro Sola.

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QUANDO LA DEMOCRAZIA E’ CRIMINALE Una ondata di sdegno ha attraversato il mondo alla notizia del probabile uso di armi chimiche contro la popolazione siriana da parte del regime di Assad. Ma quando a massacrare inermi civili sono gli americani allora la notizia passa sotto silenzio. Nel novembre del 2004, durante l'invasione NATO dell'Iraq alla ricerca delle inesistenti armi di distruzioni di massa di Saddam, gli americani bombardarono per giorni e giorni la città irachena di Falluja con bombe al fosforo bianco provocando la morte di migliaia di civili e, a causa delle radiazioni, la nascita di bambini deformi e un aumento esponenziale dei tumori tra i sopravvissuti. Le immagini raccapriccianti, visibili su youtube, dei corpi corrosi e scarnificati dalle bombe al fosforo: uomini, donne e bambini bruciati vivi tra atroci sofferenze e senza alcuna possibilità di cura, non hanno suscitato, a differenza della Siria, alcuna reazione da parte del mondo politico occidentale e hanno lasciato del tutto indifferenti le grandi testate giornalistiche e le maggiori reti televisive. Anche in questo caso, per i massacri perpetrati dagli americani sui civili inermi, nessuna ondata di sdegno, nessun titolo in prima pagina, nessuna presa di posizione dei governi europei a dimostrazione del totale asservimento della cosiddetta libera stampa e dell'Occidente americanizzato agli interessi economici e geopolitici degli USA. Dalle due bombe atomiche (non ne bastava una?) gettate su un Giappone prossimo alla resa, alle bombe al napalm sui villaggi vietnamiti, fino ai proiettili all'uranio utilizzati nei Balcani, l'America non è nuova a questi metodi e nonostante sia la prima produttrice, esportatrice e utilizzatrice al mondo di armi di distruzione di massa è sempre e comunque considerata un baluardo di democrazia e libertà. Chissà se un giorno, per questi crimini contro l'umanità, ci sarà una nuova Norimberga... Gianfredo Ruggiero


SCIENZA & TECNOLOGIA

LA NASA STAMPA IN 3D MISSILI E CIBO Il più grande oggetto stampato con tecnologia 3-D è stato realizzato dalla NASA, si tratta di un alimentatore per i motori dei razzi. Il componente è stato testato con successo il 22 agosto di quest'anno nel corso di un lancio di prova in cui il motore del missile ha generato la spinta record di 20.000 libbre. Questo test è una pietra miliare per uno dei molti importanti progressi che l'agenzia spaziale sta facendo per ridurre il costo dell'hardware spaziale. Innovazioni come la produzione di additivi o la stampa 3-D di componenti, promuove innovazione ed implementa le funzionalità più convenienti per il settore aerospaziale. Il componente testato durante l'accensione del motore, è un iniettore che eroga i propellenti per alimentare un motore a reazione ed é necessario per inviare razzi nello spazio. Durante la prova dell'iniettore, ossigeno liquido e idrogeno gassoso sono passati attraverso il componente in una camera di combustione ed hanno prodotto 10 volte più spinta di ogni iniettore precedentemente fabbricato usando la stessa tecnologia. “Il successo del test porta significativamente la Nasa più vicino a provare che questa innovativa tecnologia può essere utilizzata per ridurre il costo dell'hardware di volo", ha detto Chris Singer, direttore della Direzione Ingegneria della NASA Marshall Space Flight Center di Huntsville. Il componente è stato fabbricato usando la fusione laser selettiva. Questo metodo costente di costruire le parti aggiungendo strati fusi di polvere di lega di nichel-cromo. Così sono state realizzate le 28 parti dell'iniettore e che servono per miscelare e canalizzare I propellenti. In scala é stato tutto esattamente come nel design di iniettori per motori di grandi dimensioni: come l'RS-25 del motore che lancerà Space System (SLS) il razzo che esplorerà lo spazio profondo per preparare le missioni umane su un asteroide e su Marte. "Questo sforzo ci ha aiutato a imparare ciò che serve per costruire parti in 3-D più grandi, dalla progettazione, alla produzione, al test." ha dichiarato Greg Barnett, ingegnere capo del progetto. "Questa tecnologia può essere applicata a qualsiasi parte dei motori di spaziali o ai componenti per razzi in fase di costruzione da parte del settore privato.” Una delle chiavi per ridurre il costo delle parti di razzi è ridurre al minimo il numero di componenti. Questo iniettore aveva solo due parti, mentre in precedenza le parti erano 115. Un minore assemblaggio di parti richiede meno sforzo e, di conseguenza, meno costi, questo significa che parti complesse realizzate con la stampa 3-D possono determinare notevoli risparmi.

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SCIENZA & TECNOLOGIA

“Abbiamo preso il disegno di un iniettore esistente, già testato, e ne abbiamo modificato il design in modo che l'iniettore potesse essere realizzato con una stampante 3-D", ha spiegato Brad Bullard, l'ingegnere di propulsione responsabile della progettazione dell'iniettore. "Saremo in grado di confrontare direttamente i dati dei test su iniettori tradizionali e realizzati con stampa 3D per vedere se c'è qualche differenza di prestazioni.” I primi dati del test, condotto a pressioni fino a 1.400 libbre per pollice quadrato nel vuoto ed a quasi 6.000 gradi Fahrenheit, indicano che l'iniettore funzionava benissimo. Nei giorni a venire, gli ingegneri analizzeranno le scansioni del computer e le altre ispezioni per controllare più approfonditamente il componente. L'iniettore è stato realizzato dalla Directed Manufacturing Inc., di Austin, Texas su licenza della NASA che ne possiede la privativa. La NASA si prefigge di promuovere le nuove tecnologie, come la stampa 3-D, per rendere più conveniente ogni aspetto delle esplorazioni spaziali. L'Agenzia spaziale è anche impegnata a sviluppare e testare una stampante 3-D in grado di stampare gli strumenti per l'equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale e sta anche esplorando la possibilità di stampare cibo a lunga conservazione per le missioni spaziali. Pierre Kadosh

Stampante 3D per metalli


ARTE/PORTFOLIO

DANTE MANCHISI: PELLEGRINAGGIO VIETATO Dante Manchisi è nato a Napoli nel 1958. Dopo aver frequentato l'istituto D'arte Palizzi si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Napoli, frequentando il corso di Pittura del Maestro Armando De Stefano. I primi lavori realizzati in quegli anni sono tavole a pastello e collages. Avendo approfondito gli studi specificatamente sulle ultime avanguardie storiche come Dadaismo e Surrealismo, le prime due mostre personali di Napoli e Stoccarda, hanno un impronta visionaria e fantastica. Nei primi anni ottanta i suoi interessi si aprono al teatro e al multimediale avvicinadolo alle scenografie, scoprendo l'uso in teatro delle proiezioni, nelle collaborazioni con gruppi di ricerca come il Playstudio di Arturo Morfino e in seguito con il Teatro dei Mutamenti diretto da Antonio Newiller. Nel 1985 l'incontro con l' Agenzia Pragma gli permise di approfondire la comunicazione integrata, nella prima fondamentale esperienza tecnologica allora nascente. Nel 1993 apre lo studio Radar di cui è titolare continuando il lavoro di grafico e illustratore. Dal 2000 si interessa alle nuove possibilita espressive del video e crea Radar Media Pictures, una sezione nuova che si interessa di realizzazioni video e progetti di ricerca. In questi ultimi anni realizza per il teatro diverse videoscenografie sia per i suoi spettacoli che per altri registi e partecipa a vari film festival internazionali . Lo spazio è come una sala di specchi, specchi che riflettono infinite immagini di uno stesso corpo. Miliardi di galassie? No miliardi di immagini.

STORIA Tecnica pastelli su cartoncino cm 70 50

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Dal primo report Velocissime nuvole come se fossero astronavi. / Improvvisa la caduta. / Estinzione della megafauna. / Gravità spazio e tempo cambiano all'improvviso. / La gravità cresce. / Il tempo è più lento. / L'illusione elettromagnetica più forte. / La musica più debole. / La memoria più labile.

LAND OF THE WIND pastelli su cartoncino cm 48 27

01 - Work in progress.

SCOGLIERA pastelli su cartoncino cm 50 35

Il lavoro nello studio, che altro non è che “modulo” di percorrenza spazio/temporale, dove tutto è anche quello che non è. Ci muoviamo agili mentre, apparentemente spensierato, il fare ci mostra il suo carico di memorie rivolto al futuro. Entusiasti bambini in assenza di gravità, rappresentiamo ogni volta un percorso disseminato di una segnaletica onirico/visionaria, recuperando esperienze surrealiste. La visione, molteplice di nuovo, ci mostra come in uno specchio, le proiezioni di una infinità di frammenti destinati all'istintiva catalogazione personale.


ARTE/PORTFOLIO

02 - Soutoul landscape.

FOSCHIA NEL SOUTOUL Tecnica pastelli su cartoncino cm 45 37

Il paesaggio è sempre lo stesso o uno dei suoi mondi paralleli. Notiamo come gli elementi che lo compongono si dispongono di volta in volta in modo diverso svelandoci ambienti e suoni solo apparentemente di questo mondo, “tecnicamente” radicati altrove, in un teatro, nei fotogrammi di un film, in un disegno a pastello. Siamo in una zona sospesa, come nelle “Shared lands”, in bilico tra ripetute memorie e future proposte non ancora svelateci dal perpetuo fuoco. E'qui, in questa terra di mezzo che l'anima critica, nel suo eterno galleggiamento, incontra la manifesta unanimità della musa. 03 - Plankton for Banquo.

Future rovine pastelli su cartoncino cm 78 37

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Come Banquo del Macbeth. Il fantasma destinato a tormentare soltanto il Re è con noi nell'ultima astronave in fuga dalla terra avvelenata e morente. Partono con noi elementi di memorie che probabilmente serviranno ancora a riempire i garretti delle frasi più coraggiose. Andrè! Dove sei Andrè! Porteremo sempre con noi i tuoi sogni. Pane. Scompariranno i sistemi chiusi e quelli sempre tesi a una ripetizione rivolta al passato? La “conoscenza” ignora le pieghe della natura? Crede in uno spazio a sole tre dimensioni? Ci educa a credere al falso e a ignorare il vero? 04 - Shared lands

TRASPARENZA ALL'ALBA mixed media cm 100 70

Dalle ultime dis-funzionalità artistiche sprecate o disperse. Attraverso giochi di specchi per annoiati collezionisti dediti all'abuso di Merce Arte, ci raggiungono perduti sguardi di nostalgiche militanze mancate. Seguiamo un limite, non segniamo un confine. Sogniamo margini non invalicabili. Le pre-visioni di spazi entro le quali è possibile intravedere precedenti perimetri sono continuamente scandite all'orologio del tempo. Quì più nulla è confezionato ad arte. Velocissime nuvole come se fossero astronavi. 05 - Radar. Behind the enemy line

ETERNAL collage su cartone cm 144 38

Scoprire la provenienza dei segnali con telecamere. Le inquadrature corrispondono più a ottici parametri onirici che a pietanze sentimentali, fino a definire le scenografie mai raccolte in una spazio ma parte di uno spazio. Un nuovo segnale continua e definisce una storia tesa a circonfondere tanto il protagonista quanto l'autore. Una carica di verità attraversa per intero il viaggio che lentamente ma inesorabilmente trasforma.


ARTE/PORTFOLIO

06 - Soutoul. Sogni e segni a matita

Oggetti distesi sotto una conchiglia pastelli e china su cartoncino cm 28 41

Spesso di ritorno dalle riprese video di spazi vuoti, preferisco passeggiare ancora un po' tra le pietre. Questa terra è la mia casa, qui più dolcemente sale il vento che ci accarezza la pelle. Vento dal nulla che batte le alte scogliere del Soutoul, polline e petali sospendono il sapore di dolci colori pronti per essere mangiati. Tutt'intorno tenui trasparenze annunciano l'arrivo della sera. L'ora delle sfere argentate è arrivata. Immerse nei torrenti fumosi, le rosse perle, rivelano con spire avvolgenti l'altro mondo dove più labile ci appare ora la distinzione tra bene e male. 07 - Collages Immagini diverse, accostate, generano un'altra realtà come Grifoni che attaccano una cerva mentre passa il carro da guerra guidato da un principe sabino. Tutto quello che non è svelato resta comunque compreso nel particolare esaltato, soggetto nella sua azione di contorno. Possibilmente il comune, l'anonimo, il secondario portato a soggetto senziente risplende di nuova luce illuminando poetiche estranianti più che significanti.

Simbologie. Visioni delle miserie dell'individuo e della società in cui lo illudono di muoversi ed evolversi. Più reale del reale! Ripeteva il caro Signor Tirrel la cartella è sempre piena, solo cosi è possibile tenere aperto il cerchio. Tutto sembra legato a una costellazione. Il soggetto prima frammentato poi riprodotto in cloni, all'infinito, tutto legato. Nulla va perso, tutto è collegato e distribuito. E' cosi che continuamente le nostre espressioni saranno proiettate in un futuro carico di meravigliosi dubbi. Dante Manchisi

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RUBRICHE/ARTE

PAOLA PIVI: OK, SEI MIGLIORE DI ME. E ALLORA?

La Galerie Perrotin inaugurerà il suo spazio di New York, al 909 di Madison Avenue, con la mostra dell’audace e giocosa dell'artista italiana Paola Pivi: Ok , tu sei meglio di me , e allora? Dal 18 settembre al 26 ottobre, dalle 10 alle 18. Pivi crea opere d'arte disorientanti e poetiche allo stesso tempo. Il suo lavoro ha spinto al limite ciò che può essere concepito in questo mondo come opera d'arte. La sua prima mostra personale negli Stati Uniti occuperà due piani della galleria con molte nuove opere. Al piano terra, la Pivi presenterà un'installazione di otto creature fantastiche con un ritorno degli orsi polari. Nomade per natura, Paola Pivi ha vissuto in tutto il mondo, a Shanghai, nella remota isola di Alicudi nel sud Italia e ad Anchorage in Alaska. Attualmente vive in India. La prima mostra a Via Farini a Milano nel 1995, lo stesso anno si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Nel 1999 è stata co-premiata con il Leone d'Oro per il miglior padiglione nazionale (Italia) alla Biennale di Venezia di Harald Szeemann. Lo scorso anno , all'artista sono state commissionate due opere pubbliche originali dalla città di New York a margine del progetto di arte pubblica: “How I Roll”, la Pivi ha realizzato un Piper Seneca ruotato sulle sue ali, installato vicino a Central Park, in Doris C. Freedman Plaza, e Untitled (zebre ), una suggestiva immagine di zebre su una montagna coperta di neve di 25 per 75 piedi in High Line Billboard alla West 18th Street . Come tutte le sue opere, questa immagine è un live-action, presentata senza interventi digitali. Un'altra delle sue fotografie iconiche , Untitled (asino) , mostra un asino solitario su una barca che galleggia nel Mar Mediterraneo . Questa personale di New York sarà la settima mostra di Paola Pivi con la galleria Perrotin. Giny


RUBRICHE/L’INTRONASAPORI

CUCINA FUTURISTA Costolette di maiale all’agro Ingredienti per 4 persone: 4 costolette di maiale con l’osso, 8 cetriolini sott’aceto, 16 cipolline sott’aceto, 1 cucchiaio di curry di ortaggi, pepe nero, sale, olio extra vergine di oliva. Per il contorno: 4 cucchiai di giardiniera, un pomodoro secco, 1 cucchiaino di mostarda a l’ancienne, un cucchiaio di olio, sale e pepe. Preparazione: In una padella, idonea a contenere le 4 costolette, far soffrigere per una decina di minuti, in olio, li cetriolini e le cipolline tagliati in piccoli pezzi. A parte, una mezz’ora prima della cottura, cospargere la carne con sale, curry e pepe da ambo i lati. Quando il trito è ben rosolato aggiungere le costolette e farle cuocere, girandole ripetutamente, finché non cominciano a dorarsi. Impiattare e servire aggiungendo nei piatti una mousse ottenuta tritando nel frullatore 4 cucchiai di giardiniera, un pomodoro secco sott’olio, un cucchiaino di mostarda a l’ancienne, un cucchiaio di olio di oliva, sale e pepe. Accompagnare con un Amarone delle cantine Masi.

IL GUSTO DI LEGGERE Antonio Parlato Sua Maestà il Baccalà - Ovvero Il pesce in salato che ci vien d'oltremari Colonnese Editore, Napoli, pp. 128, cm 14,5x21 - ISBN 9788887501780 - Prezzo € 14,00 Articolato volume che spazia dall’origine del nome a quella geografica del più venduto, e acquistato, rappresentante della fauna marina. Accanto alle descrizioni “tecniche” della riproduzione, cattura, lavorazione, richiami al “baccalà letterario”, ossia alla sua presenza nel mondo del libro, passando anche per la musica ( ad esempio, Paolo Conte, col suo: “Pesce veloce del Baltico”). In appendice, gustose (non solo gastronomicamente) ricette legate, oltre che ai luoghi, come di consueto, a personaggi, mestieri e interi popoli che le hanno ideate.

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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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