Confini 101

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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

N u m e r o 1 01 Dicembre 2021 Gennaio 2022

BUIO OLTRE LA SIEPE

Buone

Feste


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Confini Web-magazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 101 - Dicembre 2021/Gennaio 2022 Anno XXIV Edizione fuori commercio

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato: Cicolo Culturale Excalibur Gianni Falcone Roberta Forte Lino Lavorgna Sara Lodi Stefania Melani Antonino Provenzano Fausto Provenzano Angelo Romano Cristofaro Sola Silvio Sposito

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Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Se s’ammoscia il sole delle Alpi...

Così al volo...

di Sara Lodi

Renzi pretende l'immunità retroattiva, e fino al terzo grado di parentela...

Per gentile concessione di Sara Lodi e Gianni Falcone

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EDITORIALE

IL TAGLIASIEPI Considerando una vita media di 50 anni e, voltandoci indietro, vediamo che soltanto 80 persone prima di noi ci separano dall'età dei Sumeri. E questi soli ottanta sono stati capaci di versare fiumi di sangue, di rendere schiavi interi popoli, di consumare eccidi e genocidi, di infliggere dolore e raffinate torture, di inventare divinità autoproclamandosi, poi, mediatori del divino, di accumulare smodatamente potere e ricchezze fregandosene di accollare ad altri il prezzo da pagare, di governare con astuzia e violenza, persino di distruggere un pianeta. Tutto questo, i pochi protagonisti, i pochi detentori del potere, hanno avuto la spudoratezza di chiamarlo "civiltà", facendosi essi stessi "Storia". E poco importa se tra questi ottanta qualcuno ha inventato la ruota e poi la scrittura e le lingue, ha distillato idee, ideali e pensieri nobili, ha ricercato e scoperto... Poco importa perché mai ha plasmato il mondo determinandone il destino. Un destino che, al di là delle meraviglie della tecnica, ci promette solo miseria e distruzione. Una promessa alleviata solo dalla narcosi nella quale i più vivono e sono assuefatti. Una narcosi alimentata da forme di "evasione" sempre più sofisticate e soporifere, da costosissimi sistemi di organizzazione sociale che offrono l'illusione di diritti quasi mai pienamente esercitabili, a partire dalla libertà e dalla sovranità e che confinano ciascun individuo in un lock-down perpetuo di doveri senza corrispettivo reale che non sia la mera sussistenza, se va bene, e che concedono a pochissimi di drenare, ed accumulare quote crescenti e smodate di ricchezza collettiva senza mai porre un argine al sopruso, il che sarebbe un paradosso nel paradosso di una sovranità popolare esercitata, però, da piccole oligarchie di avidi potenti. La siepe cresce intorno a noi rigogliosa e impenetrabile facendoci credere liberi all'interno del suo recinto, sempre più angusto. Ogni giorno crescono foglie e rami fatti di prescrizioni, regole, norme, direttive, circolari, ciascuno dei quali ruba un pezzo di libertà individuale sempre con la scusa di una maggior tutela, dell'interesse collettivo, della salute pubblica, della sicurezza... A volte, raramente, in uno sprazzo di lucidità, a qualcuno viene la voglia di metter mano al taglia siepi per tornare a contemplare l'orizzonte, i più coraggiosi riescono a bucarla la siepe e si ritrovano sprofondati nel buio impenetrabile di una notte perpetua. Si ode solo il rumore delle acque che salgono per sommergere tutto e tutti. Angelo Romano


EDITORIALE

CHE DELUSIONE! CHE TRISTEZZA! Una parte consistente della Destra italiana si è dichiarata "conservatrice". Che tristezza! Cosa ci sarebbe da conservare? Il vecchio trinomio Dio, Patria e Famiglia? Quale dio, quale patria, quale famiglia? I privilegi dei ceti dominanti? Una democrazia malata? Uno stato avido e sprecone? Una Storia scritta dai vincitori e mai dai vinti? Un cosiddetto welfare che lascia marcire crescenti schiere di poveri senza solidarietà alcuna e che umilia la dignità del lavoro? Una burocrazia asfissiante? Istituzioni costose, difettose e inefficienti neanche in grado di spendere i fondi loro assegnati o di assolvere ai compiti più banali quali manutenere scuole, strade e verde pubblico? Una Costituzione che è la causa prima dei mali italiani? O i Valori tanto declamati e quasi mai praticati? Ho sperato per quasi un'intera vita di vedere sorgere una Destra Futurista, capace di immaginare e forgiare mondi nuovi, in grado di guardare davanti per scorgere orizzonti inaspettati e desiderabili, incline a comprendere la scienza per allearsi con essa, in grado di superare l'idea di nazione per concepire imperi e nuovi ordini. Una Destra in grado di risolvere oggi i quesiti e le contraddizioni di scenario che già si intravedono nelle brume di un futuro figlio del caso e non della volontà. Una Destra sognata, capace di dare onore e riconoscimento al merito, generosa e altruista, onorabile perché i Valori li pratica e non li predica... Una Destra di cultura solida, che conosce il passato per costruire un futuro che non sia la tegola che si abbatte sul popolo ma una meta in grado di garantire il bene collettivo. Una Destra consapevole della responsabilità che comporta il primato della politica e che, per questo, è giusta, equa, solidale. Una Destra che, conoscendo il passato, ha compreso che il buono ottenuto dall'Italia tra le due guerre non fu frutto di un regime ma della poderosa spinta della cultura nelle arti, nelle scienze, nell'urbanistica, nell'architettura, nel diritto, nelle leggi, nell'ordinamento. Merito del regime fu di sostenerla. E se l'Italia ha mai conosciuto un'avanguardia artistica capace di influenzare la società ed in grado di fare proseliti e imitatori nel mondo questa fu il Futurismo. Addio "Conservatori", oggi so che non ci incontreremo mai. AR

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BUIO OLTRE LA SIEPE INCIPIT "Il prossimo futuro si presenta fosco sotto vari profili e la siepe rappresenta il "perimetro di contenimento" nel quale una democrazia sempre più invasiva ci tiene relegati". (Angelo Romano, direttore di "CONFINI": catenaccio al titolo scelto come tema del mese). "Quando si spengono le luci, accendi la lanterna che brilla nel tuo cuore: illuminerà il cammino e ti consentirà di non smarrirti nel buio". (Giorgio Almirante. Anni Sessanta e Settanta: incitamento spesso utilizzato nei suoi discorsi). "Henry Louis Mencken sosteneva che il tribunale sia un posto dove Gesù Cristo e Giuda Iscariota sarebbero uguali, con scommesse a favore di Giuda. E aveva ragione, perché personaggi come Atticus Finch si trovano solo nei romanzi". (Riccardo Campa, docente di storia delle dottrine politiche, Napoli, 1974: lezione universitaria. Atticus Finch è il protagonista del romanzo di Harper Lee "Uccidere un tordo", la cui versione italiana ha come titolo "Il buio oltre la siepe" per conferire maggiore peso all'elemento simbolico rappresentato dall'ignoto e dalla paura, fonti primarie di ogni pregiudizio). VERITÀ E PERCEZIONE DELLA VERITÀ Il catenaccio non si presta a equivoci interpretativi, essendo scaturito da una mente lucida, capace di esporre con sintesi estreme argomenti che, per la loro complessità, richiederebbero lunghe trattazioni. Ventisette parole che disegnano una parabola le cui radici affondano nella notte dei tempi, da noi percepita solo flebilmente nella sua veloce corsa verso un indefinito punto di approdo, dove giungerà chissà quando e chissà come, lasciandoci in balia delle nostre angosce e, diciamolo pure con un singulto di onestà che non guasta mai, della crescente incapacità a dare un senso al "presente". Tremila anni di storia vengono destrutturati e dissacrati da quelle ventisette parole, che sanciscono il fallimento della democrazia come sistema di governo e, soprattutto, il fallimento del genere umano nel creare ottimali condizioni di vita per preservarsi, se è vero, come è vero, che sin dagli albori della civiltà sono state la tirannia e l'ipocrisia a regnare sovrane, dappertutto e quindi non solo lì dove apparivano (e appaiono) evidenti e ben percepibili, anche se le pagine di storia raccontano tutt'altro. Le lanterne di cui parlava Almirante oggi non sono più sufficienti a illuminare il cammino e valgono solo per pochi eletti. Per sconfiggere l'angoscia e illuminare almeno quel piccolo tratto di futuro che consenta di


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coltivare la speranza, dobbiamo innanzitutto liberarci di quell'opprimente fardello di ipocrisia che ci portiamo sulle spalle da troppo tempo, il cui peso è diventato insostenibile. Di queste cose ne abbiamo parlato più volte e pertanto ci limitiamo a "pennellate rapide" solo per ribadire che tutta la storia umana va riscritta, avendo cura di prestare la massima attenzione affinché non si correggano le mistificazioni volontarie con mistificazioni prodotte in buona fede, ma non per questo meno gravi. Pochi riferimenti, quindi, ma importanti per inquadrare bene il buio che ci affligge nel presente, rendendo fosco il futuro, perché oggi noi registriamo solo i nodi venuti al pettine dopo secoli di "mancata pulizia". Verità e percezione della verità sono cose ben diverse e non vanno confuse. Parimenti non va confuso ciò che è "vero" (sotto le mie dita vi è una tastiera di colore bianco e chiunque entrasse nello studio potrebbe constatare che è "vero") con la "verità", concetto che esprime qualcosa di più ampio. Esiste Dio? Per miliardi di persone esiste, sia pure con nomi diversi, e a nessuno sfugge quanto l'accettazione fideistica di un'entità scientificamente non dimostrabile abbia condizionato e continui a condizionare la storia dell'umanità. Limitatamente alla sfera cristiana, tuttavia, anche i fedeli più devoti dovrebbero stentare a credere che Dio possa ridursi al ruolo di un burattinaio, scendendo al livello di un Andreotti qualsiasi, aiutando Costantino contro Massenzio solo perché il primo, anticipando di qualche secolo Enrico di Navarra, abbracciò la nuova religione per meri fini di potere, dopo aver trucidato mezza famiglia pur di preservarlo. Questa è una "percezione della verità" che si avvicina molto "a un dato di fatto oggettivo", pur non essendo dimostrabile, e può essere validamente proposta come "verità storica", alla pari di quelle per loro natura inconfutabili. Maggiore attenzione, ma non reticenza, occorre prestare per quelle percezioni che scaturiscono precipuamente dall'abilità deduttiva dello studioso, dall'intelligenza, dalla capacità di inquadrare una determinata vicenda in un contesto che veda ben sistemati anche gli aspetti reconditi e apparentemente insignificanti. Parliamo, per esempio, del modesto giurista Antonio Salandra, una delle tante marionette che Giolitti presumeva di gestire (talvolta sbagliandosi) a suo piacimento. Divenne capo del Governo proprio su indicazione del suo mentore, costretto alle dimissioni a causa delle controversie connesse alla conquista della Libia, pronto a seguirne le direttive in ogni campo. Una volta assiso sulla poltrona del potere, però, Salandra assaporò non solo l'ebbrezza di poter decidere autonomamente qualsiasi cosa, ma anche quella di essersi liberato, in un attimo, dello scomodo ruolo di cagnolino scodinzolante al cospetto di "Palamidone" (passato alla storia come il "ministro della malavita") e vedersi a sua volta circondato da tanti cagnolini scodinzolanti, desiderosi di leccargli mani e piedi. Sidney Sonnino non era certo tra costoro, ma generava comunque una piacevolissima sensazione avere come sottoposto un ministro degli Esteri che lo sovrastava per statura politica e culturale, due volte capo di governo e lunga esperienza ministeriale! Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, pertanto, dopo i primi mesi di titubanza, dettati anche dalle precise indicazioni di Giolitti che intendeva mantenere l'Italia neutrale,

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nutrendo già a titolo personale marcate simpatie per i Paesi della Triplice Intesa, col determinante aiuto di Sonnino non esitò a dire "ciaone" a Giolitti e ai propositi di non belligeranza. Sul fronte militare, però, quando oramai era chiaro che l'Italia sarebbe entrata in guerra, sia pure non subito, vi era da risolvere un complesso problema: il comando supremo del Regio Esercito era nelle mani del generale Alberto Pollio, convinto sostenitore della Triplice Alleanza, amico intimo dei vertici militari austriaci e tedeschi (che non mancavano di esternargli l'apprezzamento per l'alto ingegno e gli eccellenti studi militari), marito di un'aristocratica austriaca e in ottimi rapporti con alti dignitari della corte austro-ungarica. Mettiamoci nei panni di Salandra: deve aver passato notti insonni al solo pensiero di vedere un intero esercito guidato da un comandante che tifava per i nemici, tra l'altro incazzati più che mai a causa del "tradimento". Sostituirlo? Sarebbe stata la cosa più semplice e logica, ma semplicità e logica non sono facilmente coniugabili con la gestione del potere. Il 1° luglio 1914, comunque, Pollio passa a miglior vita dopo un leggero malore refertato come "imbarazzo gastrico" e curato con un "purgante", nonostante la parca e leggera alimentazione a base di brodo e trota bollita. "Morte per cause naturali", si scriverà sui libri di storia. L'autore di questo articolo, invece, nel saggio "Il Piave mormorava", pubblicato a puntate su "CONFINI" nel 2018 (dopo aver consultato numerosi documenti sulla cui natura si glissa per amor di sintesi), ha accusato espressamente Salandra di essere il mandante dell'omicidio di Pollio. Nessun giudice potrebbe dargli ragione, ovviamente, ma solo perché le prove addotte non consentono un giudizio di colpevolezza espresso "oltre ogni ragionevole dubbio". Ciò che audacia temeraria igiene spirituale vale in un tribunale, tuttavia, può essere disatteso in campo storiografico, affinché fatti e persone siano inquadrati in una prospettiva quanto più realistica possibile. La verità ha mille volti e soprattutto ci pone un terribile interrogativo: è sempre opportuno renderla evidente o talvolta ragioni "particolari" consigliano di tacerla? La domanda affligge il dibattito filosofico sin da quando Ponzio Pilato chiese a Gesù cosa fosse la verità, anche se è prevalente la propensione a non celarla: "La natura ama nascondersi e il compito dei sapienti è portare alla luce l'essere", sostiene Heidegger in "Essere e Tempo". Etimologicamente, però, il termine "veritas", proveniente dall'area balcanica, incarna la "fede" concepita nella sua accezione più ampia. Nell'italiano corrente abbiamo "fede nuziale" o "vera". La verità, di fatto, è qualcosa che "comunque" si accetta per conformità a una realtà oggettiva ed è proprio la conformità che ne esclude la valenza assoluta, dando origine a tutte le implicazioni di carattere filosofico. Un esempio eclatante del dilemma succitato è assurto alla ribalta della cronaca proprio in questo periodo pre-natalizio, in quel di Noto. Il vescovo Antonio Staglianò, membro della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, parlando dal pulpito della stupenda basilica del SS. Salvatore, in presenza di un folto pubblico e tantissimi bambini, ha asserito testualmente: "Babbo Natale non esiste e la Coca Cola, ma non solo, ne usa l'immagine per accreditarsi come portatrice di valori sani.


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Aggiungo che il rosso del vestito che indossa è stato scelto dalla Coca Cola esclusivamente per fini pubblicitari". Apriti cielo! Il vescovo è stato massacrato dai media e dai social con la stessa ferocia che portò al rogo Giordano Bruno. Ragioniamo con calma. Il vescovo è stato linciato per aver detto "una verità" che contrasta con una menzogna convenzionalmente accettata, sia pure per un lasso di tempo limitato: quello che serve a un bambino per diventare abbastanza adulto da rendersi conto che Babbo Natale non esiste. Ha fatto male il vescovo a dire la verità? L'intento era quello di conferire valenza a San Nicola, da cui è stato tratto il personaggio immaginario, affinché i bambini concepissero in modo meno "consumistico" lo scambio dei doni e riflettessero con maggiore consapevolezza sul senso del Natale e delle belle tradizioni che lo accompagnano. Per i suoi superiori ha sbagliato e sono partite le scuse ufficiali. Scuse per aver detto la verità! Attenzione, però: una verità che nasce da un contesto che, a sua volta, non è definibile come tale, dal momento che anche Dio si accetta per "fede" (veritas) e non certo perché qualcuno fosse in grado di dimostrarne l'esistenza (ossia che fosse "vero"). È proprio questo, quindi, il punctum dolens dell'intera vicenda: il vescovo ha sbagliato non tanto perché abbia detto una verità, ma perché ha assunto una decisione che, per la sua importanza, spettava alle più alte sfere della Chiesa cattolica. Arriverà un giorno in cui la Chiesa farà i conti anche con "Babbo Natale", così come ne ha fatti tanti, secolo dopo secolo, ma "quel giorno" sarà deciso dal Papa e non da un semplice vescovo, sia pure di alto profilo culturale. Che cosa ci rivelano queste storie? Che da un lato l'umanità non è ancora pronta a recepire certi messaggi, dall'altro le veloci trasformazioni sociali, il progresso tecnologico che procede a una velocità doppia (o ancora più consistente) rispetto alla capacità degli uomini di assimilarlo compiutamente e marciare all'unisono, come avveniva fino alla metà del secolo scorso, mal si conciliano con quel modo di vivere che condiziona "in un certo modo" l'esistenza umana a partire dai fermenti rivoluzionari che sconvolsero il mondo nel XVIII secolo. Non solo: dopo Nietzsche non si è sviluppato un pensiero filosofico che fosse in grado di interpretare compiutamente la veloce mutevolezza della società e gli sconvolgimenti generati dai limiti della natura umana (guerre, pandemie, disastri naturali, non dipendono dal caso ma dalla irresponsabilità delle persone) e oggi, di fatto, coloro che si definiscono filosofi non sono nulla più che degli storici della filosofia, per giunta non tutti di alto livello e particolarmente attenti all'esposizione mediatica, che sicuramente fa aggio sotto il profilo propagandistico ed economico, mettendone in luce, però, la reale essenza che, quando è pregna di inconsistenza, soprattutto in periodi come questi, sconcerta non poco. Dulcis in fundo (non tanto dolce, a onor del vero, e ne abbiamo parlato più volte) i flussi generazionali che a partire dalla metà del secolo scorso arrivano in età adulta con basi culturali fragili e confuse quando non del tutto inconsistenti, completano la minestra, rendendola indigeribile. La minestra, poi, diventa velenosa a causa di coloro che perfezionano corsi di studi

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anche importanti senza, però, supportarli con un adeguato substrato di contorno rappresentato dai cosiddetti "classici della letteratura, della politica e della filosofia", oggi considerati inutili e anacronistici, senza dei quali la gestione di qualsivoglia potere perde l'elemento più caratterizzante per esercitarlo dignitosamente: la sensibilità. Ma procediamo con ordine. A) LIBERTÉ, EGALITÉ, FRATERNITÉ. Copiamo letteralmente un passo di un libro che non dovrebbe mancare in nessuna casa e andrebbe suggerito soprattutto agli studenti delle scuole medie, in modo da offrire loro un efficace antidoto contro le sciocchezze sciorinate dai docenti di storia (Lorenzo Del Boca, "Il maledetto libro di storia che la tua scuola non ti farebbe mai leggere", Piemme editore, 2017): "Lasciamo stare la fratellanza, che viene continuamente predicata senza che sia possibile trovarne un barlume da qualche parte. Resta un'utopia affidata alla sensibilità dei filosofi (ma negli ultimi tempi, come già detto e come meglio vedremo in seguito, anche questo concetto è di per sé stesso utopico. N.d.R.) Quanto alla libertà e all'eguaglianza, sono termini apparentemente complementari ma che in realtà si escludono a vicenda. O l'uno o l'altro. La storia, concretamente, certificò che, se c'è la libertà, sparisce l'eguaglianza; e se si realizza l'eguaglianza se ne va la libertà. L'America ha insistito e insiste sulla libertà come valore primario, ma è difficile non riconoscere che ciò è avvenuto e avviene a prezzo di sperequazioni sociali vistose e talvolta intollerabili. (Si potrebbe tranquillamente omettere "talvolta", N.d.R.) Interi strati sociali, costretti ad assecondare i feticci del mercato, restanotemeraria un problemaigiene irrisolto". audacia spirituale Lo abbiamo scritto più volte e giova ripeterlo: il fallimento dell'Illuminismo come modello di società è un dato di fatto incontrovertibile che stenta ad essere recepito solo per l'incapacità, da parte del mondo occidentale, di accettare "scomode verità" e per la paura che da esse possano scaturire rimedi peggiori del male. Si naviga a vista, pertanto, in un mare sempre più nebbioso, coltivando l'illusione che prima o poi le nebbie si dissolveranno da sole, senza rendersi conto che, invece, diventano sempre più cupe e dense. B) QUATTRO AMICI AL BAR CHE VOLEVANO CAMBIARE IL MONDO È bella la canzone di Gino Paoli, che disegna l'illusione di una generazione, cui fa seguito la disillusione e l'arrivo di altri quattro giovani che iniziano lo stesso percorso: illusione di poter cambiare il mondo e inevitabile futura disillusione. Meno bello vedere altre bande di "quattro amici al bar" che, per formazione ed esperienza di vita, a prescindere dalla loro visione del mondo, dovrebbero mantenere nervi saldi e mente lucida soprattutto in momenti come questi. Soprattutto se si dichiarano filosofi o comunque si sentano in grado di filosofeggiare. Sono davvero tanti e occupano, trasversalmente, tutto il palcoscenico nel quale si recita quella tragicomica commedia che si chiama "Politica". Quattro di loro, però, hanno conquistato un maggiore diritto di ribalta perché sono usciti di senno più di tanti loro "limitrofi ideologici" e vari colleghi di sponde opposte: Massimo Cacciari,


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Giorgio Agamben, Carlo Freccero, Ugo Mattei, ossia due "filosofi", un intellettuale visionario che si sente capace di perforare la nebbia che occulta il futuro e un giurista, docente universitario ed editorialista de Il Manifesto nonché collaboratore de Il Fatto Quotidiano. I quattro, autorevoli esponenti della sinistra filosofica e beneficiari di cospicue schiere di fedeli seguaci, hanno dato vita alla "Commissione dubbio e precauzione" tesa a contrastare il "GreenPass", considerato alla stregua delle leggi razziali: "Il green-pass separa e definisce in maniera negativa i no-vax come i non ariani per le leggi del '38. Scivoliamo in una barbarie (sic, N.d.R.) senza precedenti nella storia" (Agamben, che considera la pandemia una invenzione, come ha ben specificato in un farneticante libro del quale non intendo trascrivere né il titolo né l'editore, nonché in un delirante intervento al Senato, pregno di riferimenti al nazismo e di ostilità nei confronti dei vaccini). I commenti sull'iniziativa dei "quattro" sono superflui perché qui siamo ben oltre la libertà di pensiero e di parola e le loro asserzioni sono esclusiva prerogativa degli psicologi e degli psichiatri, essendo ben evidente che lo "stress temporale" ha prodotto dei guasti che trascendono quelli già gravi derivati dalla comune matrice ideologica marxistaleninista. Il riferimento, pertanto, è importante solo perché costituisce un elemento rappresentativo di una realtà che investe non "quattro amici al bar" o poche bande di "quattro amici", ma milioni di persone che, presumendo di poter decidere autonomamente su complesse materie scientifiche, stanno mettendo a rischio la vita di tutti coloro che si affidano serenamente alla scienza, confidando negli sforzi profusi da chi abbia la competenza per individuare i giusti rimedi alla pandemia. È importante, altresì, perché ulteriormente rivelatore di quel fallimento del "razionalismo illuminista" cui facevamo riferimento innanzi, grazie a un evidente paradosso: milioni di no-vax attendono con cieca fiducia i farmaci anti Covid-19. In Danimarca è già stata autorizzata la prescrizione del "Lagervrio", prodotto dalla casa farmaceutica statunitense Merck, e presto giungerà il "Paxlovid" (che nome meraviglioso!), prodotto dalla Pfizer. Il paradosso che sancisce il trionfo dell'irrazionalità è già stato intuito dai lettori più accorti e da chiunque abbia anche una minima conoscenza in campo farmacologico: i vaccini hanno preservato l'umanità dall'estinzione perché prevengono le malattie; i farmaci - importantissimi, ci mancherebbe intervengono quando la malattia si sia già sviluppata, spesso curandola in modo radicale e definitivo, altre volte generando qualche problema collaterale. Il proverbio "prevenire è meglio che curare" per i no-vax non ha senso e l'istinto irrazionale prevale sulla ragione e sul buon senso. Cosa celi questo bislacco processo mentale è stato argomento più volte trattato in questo magazine e sul quale ritorneremo senz'altro. C) DISARMONIA TRA CULTURA E POTERE "Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito; lo statista a quello del suo paese". La frase, che tanti erroneamente attribuiscono a De Gasperi, è stata coniata dal predicatore e teologo statunitense James Freeman Clarke. Cala a pennello per definire la realtà politica

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attuale, non solo quella italiana, ma di quasi tutti i Paesi del mondo. Non sono gli uomini migliori, i più preparati, i più culturalmente evoluti (e tra questi ultimi quelli non affetti dalla sindrome dell'onnipotenza) a conquistare le leve del potere ma un esercito di mediocri figuri, capaci, però, sia di creare piena "empatia" con frotte di elettori sia di orientarne tanti altri sulle proprie sponde, facendo leva precipuamente sulla loro natura eticamente di bassa qualità, protesa a privilegiare il "particulare" di guicciardiniana memoria a discapito "dell'universale", che vide nel suo antagonista Machiavelli uno dei principali interpreti, sconfitto però dalla pratica dimostrazione dei fatti, se è vero come è vero che il suo pensiero ancorato all'antica massima "historia magistra vitae" è stato dissacrato da Antonio Gramsci quando fu costretto a cesellarla ahinoi - con l'aggiunta "… ma ha pochi allievi". I guasti del mondo, senza tanti giri di parole, dipendono esclusivamente dalla disarmonia tra cultura (intesa nella sua accezione più ampia e non limitatamente alla "conoscenza") e potere. È perfettamente inutile ribadire la lista dei governanti che fanno venire la pelle d'oca, tanto in Europa quanto nel resto del mondo. E in quanto ai politici, solo chi non vuole vedere e sentire riesce a non comprendere la scarsa consistenza qualitativa dei parlamentari italiani, indipendentemente dalle idee professate, ammesso e non concesso che agiscano in ossequio alle idee e non ai meri interessi personali. I risultati di questo disfacimento colossale sono costantemente sotto i nostri occhi grazie alla grande esposizione mediatica cui nessuno si sottrae, ma, paradossalmente, lungi dal rappresentare un campanello d'allarme, genera solo divisioni nette in larghi strati della popolazione che, incapaci di cogliere le tante sfumature che traspaiono dalle singole posizioni e da quelle di apparato, effettuano scelte nette, parteggiando ora per gli uni ora per gli altri, senza rendersi conto di saltare continuamente da una padella nella brace e viceversa. Con questi presupposti, che tra l'altro in un grafico temporale oggi vedono l'asticella del caos solo più in alto rispetto a un passato non certo roseo, di quale futuro vogliamo parlare? Andrà sempre peggio… a meno che… C'È UN GRANDE PRATO VERDE DOVE NASCONO SPERANZE CHE SI CHIAMANO RAGAZZI (E NON SOLO) Questo paragrafo - lo avete compreso tutti - ha come titolo le prime strofe di una celebre canzone di Gianni Morandi. Ho riflettuto non poco prima di scegliere se utilizzare solo la prima parte ("c'è un grande prato verde dove nascono speranze") oppure aggiungere anche il resto, coinvolgendo "i ragazzi". La riflessione verteva sull'impostazione da conferire alla parte finale dell'articolo, che vuole comunque veicolare un presupposto di speranza dando voce a chi, in questo momento, a prescindere dall'età, abbia scelto il silenzio. Il dilemma se coinvolgere in modo pressante "i ragazzi" in questa analisi non è stato facile da sciogliere, ma alla fine la volontà di allargare il cerchio ha avuto il sopravvento: senza il loro aiuto, infatti, non si va da nessuna parte. Andiamo a vederlo, allora, questo prato verde, cercando di comprendere da chi sia popolato e


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come possa trasformarsi in un vero prato dell'amore. Il discorso è "universale" e vale, quindi, per tutto il mondo. Solo per comodità espressiva, pertanto, limitiamoci a utilizzare, come riferimento, il momento storico che riguarda il nostro Paese, nel quale il caos regna sovrano con un governo composto da schieramenti ostili tra loro e accomunati solo dal comune desiderio di gestire il potere e restare a galla quanto più a lungo possibile; un Parlamento nel quale, sostanzialmente, vigono le stesse regole; un sistema mediatico asservito a vari padroni, eccezion fatta per poche voci isolate; una società civile disorientata e ondeggiante in un mare quasi sempre tempestoso, spinta più dalla forza delle correnti che dalla capacità di orientare la barca verso approdi scelti con oculatezza. In questo bailamme caotico, che vede tanti adulti senza bussola, milioni di giovani si trovano senza punti di riferimento validi e, restando in balia di sé stessi, diventano facile preda di speculatori senza scrupoli, che sono sempre esistiti ma che oggi trovano maggiore spazio operativo grazie alle croniche deficienze di chi avrebbe il compito di contrastarli. I risultati di questo disfacimento sono sotto gli occhi di tutti e spaventano non poco, perché lasciano presagire un "futuro fosco". Ancora una volta, tuttavia, ragioniamo con calma. In questo Paese vivono poco meno di 60 milioni di persone, secondo dati aggiornati al 31 dicembre 2020, così suddivisi per fasce di età: 10.598.610 (da 0 a19 anni); 12.939.014 (20-39 anni); 18.351.424 (40-59 anni); 10.688.724 (60-74 anni); 7.063.716 (più di 75 anni). I dati statistici che riguardano la succitata ripartizione sono molteplici e complessi. Qui ne prendiamo in esame solo due: numero di laureati e comportamento degli aventi diritto al voto. Tra i Paesi dell'Unione Europea, l'Italia è al penultimo posto per numero di laureati: 29% nella fascia di età 25-34 anni. Solo la Romania ha una percentuale inferiore: 25%. In cima alla classifica vi è il Lussemburgo (61%), seguito da Irlanda e Cipro (58%), Lituania (56%), Paesi Bassi (52%). Seguono gli altri Paesi con quozienti comunque di tutto rispetto e ben ancorati a quel 45% fissato dai burocrati di Bruxelles come obiettivo comunitario da raggiungere entro il 2030. Questi dati già così espressi fanno venire il mal di pancia; quando poi si dovesse verificare l'effettiva consistenza culturale di molti laureati, il mal di pancia richiederebbe l'immediato intervento di un gastroenterologo. Tutto ciò premesso, il "sistema Italia", a livello politico, è stabilito da circa 50 milioni di aventi diritto al voto, tra i quali, alle elezioni del 2018, circa il 30% ha deciso di non esprimere alcuna preferenza perché, evidentemente, non si sentiva rappresentato da nessuna componente in campo. Il dissenso nei confronti della classe politica, secondo le ultime avvisaglie, naviga intorno al 50% e forse addirittura lo supera. E non c'è da meravigliarsi: milioni di persone, di destra, di sinistra, moderati, conservatori, progressisti, non riescono a trovare un punto di riferimento degno della loro attenzione, nemmeno turandosi il naso come suggeriva Montanelli, perché la puzza è così forte da rendere inefficace ogni tentativo di sopportazione, dal momento che, in qualsivoglia schieramento, si vedono poche cose condivisibili e tante altre che fanno venire l'orticaria. Non sapendo cosa scegliere, decidono "di non scegliere".

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Gli unici capaci di non soffrire in questa triste realtà sono i delinquenti, che trovano ampio e facile supporto da parte dei loro rappresentanti in Parlamento e nei luoghi del potere; i lobbisti espressione del liberalismo più sfrenato, per i quali vale analogo discorso; i "poveri di spirito" che, come pecore al pascolo, seguono il "pastore" scelto come guida, esaltandolo sempre e comunque con anacronistico entusiasmo, perché loro hanno bisogno come il pane di qualcuno in cui credere e per questo, non essendo la stupidità né perseguibile né condannabile moralmente, finiranno beati in Paradiso, dopo aver vissuto una vita vana, rendendo infernale più quella altrui che la propria. Coloro che, invece, il problema se lo pongono, numericamente, rappresentano il primo partito! Parliamo, infatti, di 23-24 milioni di persone prive di rappresentanza politica, che costituiscono la "crème" del Paese per qualità intrinseche, livello culturale, onestà, preparazione, dedizione al bene comune. Vi sono senz'altro persone di sinistra, tra gli astensionisti, che vedono come il fumo negli occhi sia una sinistra ondivaga, litigiosa e asservita ai poteri forti, composta da tanti "radical-chic" che di radicale hanno solo la loro supponente saccenteria e di chic proprio nulla, sia quella minoritaria, sicuramente più appetibile e "simpatica", pregna di brave persone, ma priva di qualsivoglia presupposto che possa consentire seriamente di considerarla in grado di governare anche una media città, figurarsi un grande Paese. Occorre una fantasia maggiore di quella che ha consentito ad Isaac Asimov e Stephen King di scrivere i loro stupendi capolavori, infatti, per immaginare i personaggetti della sinistra radicale alle prese con le faccende di governo, i trattati internazionali, la gestione dei servizi segreti e quant'altro. Avendo comunque la sinistra una consistente rappresentanza parlamentare, è lecito ritenere che, in maggioranza, il fronte degli astensionisti sia composto da persone che, se non è il caso di definire "tout court" di destra, dei principi di una vera destra moderna, sociale, europea ed europeista, siano "portatori sani", agognando una componente politica in grado di incarnare ed esaltare "i valori e le istanze" in cui credono, ancorati a una visione sociale che coniughi la solidarietà con la meritocrazia; che affronti i problemi senza "conformismo ideologico"; che non lasci indietro gli ultimi e non penalizzi i primi; che combatta i delinquenti e gli evasori "seriamente e non a chiacchiere"; che tuteli la salute pubblica sopprimendo lo squallore rappresentato dalla regionalizzazione della Sanità; che proponga una seria riforma dello Stato (elezione diretta del Capo dello Stato, abolizione delle regioni e delle province, accorpamento dei piccoli comuni in modo da non avere entità territoriali inferiori ai quindicimila abitanti) e una seria riforma della Giustizia (minore ingerenza della politica nella magistratura, riduzione dei gradi di giudizio da tre a due, abolizione della prescrizione, aumento delle pene per tutti i reati, ribaltamento dell'attuale propensione "ideologica" che vede il sistema più a favore dei carnefici che delle vittime). Ancora: seria riforma della scuola e dell'università, soprattutto per impedire che i "cervelli migliori" fuggano all'estero; seria riforma dei servizi con recupero della gestione centrale per trasporti ferroviari, poste, comunicazioni, essendo l'attuale sistema concorrenziale favorevole solo per i gestori (che spesso fanno "cartello") e non per i consumatori; sviluppo articolato e


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continuo di politiche giovanili per orientare i ragazzi a un impegno civile serio, inculcando loro sin dalla più tenera età quei presupposti che servono a costruire "positivamente " il loro futuro, tenendoli il più lontano possibile dalle deviazioni proposte dalla parte marcia della società (sotto questo profilo è utile parlare sin dalle scuole elementari dei danni provocati dal fumo, dalle droghe, dall'alcool e, contestualmente, agire con fermezza contro chiunque, subdolamente o coscientemente, ne favorisca il consumo ancorandosi a errate concezioni della "libertà personale"); riforma fiscale e pensionistica in modo da evitare sperequazioni e consentire ai meno abbienti di vivere decorosamente (semplicemente vergognoso quanto stabilito dalla manovra recentemente varata). Ecco, queste persone meravigliose, che farebbero salti di gioia se un partito si presentasse alle elezioni con i succitati programmi, è facile trovarle in quel "grande prato verde" dove, però, bivaccano o rassegnate o coltivando la speranza che qualcuno crei le premesse per un "mondo degno di loro". Purtroppo sia i primi sia i secondi sono preda di un grande errore: la rassegnazione è sempre negativa; nessuno, al di fuori del prato verde, offrirà loro ciò di cui hanno bisogno per sentirsi appagati: nessun detentore di qualsivoglia potere è così stupido da tirarsi la zappa sui piedi fino al punto da consentire ad altri di togliergli i privilegi, ancorché indegnamente conquistati, e magari sbatterlo in galera. Si rimboccassero le maniche, pertanto, e si dessero una mossa: o sono in grado di trovare nel loro ambito le risorse per combattere quella che non può che essere una dura e difficile battaglia, e fare di tutto per vincerla, o passeranno la vita a mugugnare, attendendo invano un cavaliere della tavola rotonda che giunga chissà da dove per offrire loro un'ancora di salvezza. Dall'esterno non arriverà nessuno, non fosse altro perché i cavalieri di Camelot, quei pochi che ancora esistono, sono già nel "prato verde" ed è lì che vanno individuati. Gli altri, che la battaglia hanno cercato di combatterla all'interno delle Istituzioni, sono stati tutti uccisi o messi fuori gioco. Per diradare le nebbie che rendono fosco il futuro, quindi, non è che vi siano molte scelte. Sic est e altro non c'è da dire. Lino Lavorgna

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CHE LA COMMEDIA ABBIA INIZIO In verità, me ne stavo imbambolata davanti al computer aspettando che le meningi producessero un qualche fruscio a significare l'estrusione di un embrione d'idea circa l'incipit quando, all'improvviso, come spera di sole tra nubi temporalesche, ecco che l'occhio mi cade sulla base del video dove lampeggia il segnale di arrivo di una email. Tanto, stavo traccheggiando e così decidevo di verificare: era il carissimo amico Antonino Provenzano che, a proposito di un argomento trattato in precedenza, mi faceva notare col garbo che gli è proprio la mia assoluta, totale incomprensione. L'argomento era il 'clima' del futuro, da me scambiato con la 'semplice' (si fa per dire) diatriba in corso tra vax, no vax e other vax: un futuro, visto dall'amico, alquanto oscuro e, per certi aspetti, pericoloso. Così, dopo aver chiarito i termini della questione e sanato la mia colpevole disattenzione, ha voluto rendermi pregevole similitudine del suo stato d'animo (e, presumibilmente, di quello dei più) citando Dante, messo di fronte alla sua 'selva oscura', selvaggia, aspra e forte che nel pensier rinova la paura: "[...] Io non so ben ridir com'i v'intrai / tant'era pien di sonno a quel punto / che la verace via abbandonai […]". Grazie, Antonino caro, del prezioso aiuto in virtù del quale non solo ho sanato il malinteso pregresso ma ho anche risolto sia l'incipit dell'articolo che le sue tonalità. Nell'aprile '18, la rivista editò un numero sul tema dei paradossi; globali per essere più precisa. Ed in quell'occasione mi sforzai di porre in evidenza a livello mondiale i fatti più stridenti con l'opinione comune e con la generale conoscenza, paradossalmente 'allargando' poi la considerazione fino ad includere eventi locali, quelli di casa nostra. Lo feci sottintendendo che i 'regnanti' del III millennio sembrano aver 'studiato' presso la stessa scuola di recitazione il cui piano didattico si fonda su consolidati archetipi. L'unica differenza avvertibile tra gli 'scolari' pare essere la loro individuale capacità di interpretazione. Ovviamente, qualcuno potrebbe obiettare che la politica dei 'reggitori' della cosa pubblica, dal tempo dei tempi, esagerando su certi aspetti, ha sempre teso a nascondere al popolo le verità di altri per le ragioni più disparate: panico, giustificazione di un meschino intento, esaltazione di un comportamento mediocre, superiore ragion di Stato in una amorale azione o in una scelta invisa, e via dicendo. Vero. Com'è vero, di rimando, che dall'avvio del millennio devono essere accaduti fatti eclatanti a danno di quella 'scuola' che, delle due l'una, o ha ridotto gli standard d'insegnamento oppure ha disastrosamente subito la mortale concorrenza di improvvisate 'scuole' di borgo.


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Ma, atteso quanto sopra, ciò che a quel tempo non evidenziai furono i capisaldi del paradigma che aveva retto quel sistema nei precedenti millenni: intanto, la contrapposizione tra Bene e il Male, tra Buono e Cattivo, tra Giusto e Ingiusto o, se si preferisce, tra Luce e Oscurità. Poi, a seguire le pulsioni, che spaziavano dal riscatto della sofferenza, alla riparazione di una ingiustizia, alla sostanziale solidarietà, ecc. Un paradigma, inoltre, che ha sempre trovato accanto due figure leggendarie, il Potere temporale e quello spirituale, a volte in simbiosi e a volte in contrasto, dove il primo attestava l'esistenza della politica e l'altro un'evidente componente spirituale nell'essere umano. Due fattori, quest'ultimi, che alla fin fine si compendiavano: se la prima interpretava le esigenze sociali e vi provvedeva, la seconda agiva da remora psicologica verso ogni artata o spontanea sconsideratezza o, paradossalmente, da stimolo allo scontro politico. Tanto per ricorrere a fatti noti, prendiamo la società soprattutto italiana del Basso Medioevo sostanzialmente divisa tra i Welfen, da cui 'guelfo', storica famiglia originariamente sostenitrice dei bavaresi e dei sassoni, poi associata ai sostenitori del Papa, e i Waiblingen, dal che Ghibellini, sostenitori degli Hohenstaufen, signori svevi che annoveravano al loro interno la corona imperiale. Ebbene, quella contrapposizione generò, come sappiamo, accese passioni e innumerevoli lutti ma, almeno, quelle posizioni corrispondevano a specifiche scelte politiche popolari e, fatto importante, la vittoria di una parte sull'altra a livello territoriale comportava che il vincitore annettesse terre, castella e traffici commerciali; quindi, in pratica, che conquistasse ricchezza a vantaggio del proprio mondo. A volte, la scelta di campo era strumentale e sottintendeva un interesse utilitaristico più che politico ma l'egida che la muoveva era sempre e comunque riconducibile al presupposto positivo (Bene, Giusto, ecc.), quasi a nobilitare non tanto e non solo l'azione quanto il suo artefice e le relative pretese. In pratica, sempre e comunque nella costante ricerca dell'assenso pubblico. Oddio, non voglio certo fare la parte di Calandrino nel Paese di Bengodi perché di storture, invero, ve ne sono state. La vita di Dante lo dimostra: lui, guelfo, condannato all'esilio proprio da Guelfi semplicemente per aver sostenuto le proprie idee divergenti in parte dal pensiero dominante. L'artefice del suo esilio, la massima autorità spirituale del tempo nel mondo occidentale, se ne fregò in quell'occasione del gradimento popolare e, forte della sua posizione, assunse una decisione solo ed esclusivamente a vantaggio della fazione. L'eccezione, quindi, nel suo essere eclatante, non fa altro che confermare la regola. Poi, il tempo e l'evoluzione del pensiero introdussero un fattore che impedisse ulteriori 'esili': la democrazia. Così, fatte salve ulteriori, debite eccezioni, il popolo, oggetto dell'azione politica e spirituale divenne soggetto attivo nelle scelte politiche attraverso le forme di rappresentanza. Perciò, per venire a ridosso dei nostri tempi, a partiti che esplicitamente si richiamavano all'Impero del Male, secondo la definizione reaganiana, è stato giustamente consentito di agire e di acquisire proseliti nonostante il Paese di appartenenza fosse convinto firmatario del Trattato dell'Atlantico del Nord, in pratica aderente alla NATO. Un atteggiamento analogo, peraltro, fu riservato a quei partiti geneticamente derivati dalle sconfitte ideologie, responsabili dell'immane catastrofe bellica. E ciò grazie alla fusion, come si disse una volta per la musica, tra il pensiero sociale

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cristiano, quello liberale e quello socialriformista; una fusion che in Italia, per quei tempi, produsse una tra le più 'illuminate' Costituzioni al mondo. Gli aspetti mancanti in quella Carta, rispetto alla 'modernità', riguardano la clonazione e la tratta degli esseri umani. Aspetti indotti dalla modernità, appunto, insieme alla sua crescente disattesa. È stata sostanzialmente la democrazia a provvedere per efficaci strumenti di regolazione sociale: strumenti funzionanti al meglio in Europa con i soggetti intermedi, i sindacati, che si impegnavano per la loro costante messa a punto. In Italia, arrivarono persino a subire dalla base una richiesta d'arresto per eccessiva attività: rimarrà nella storia la cosiddetta Marcia dei 40.000 a Torino nel 1980 dove tra gli striscioni d'apertura del corteo si leggeva: 'Vogliamo la trattativa, non la morte della Fiat'. La trattativa in questione, infatti, riguardante il cosiddetto contratto aziendale, durava da lungo tempo, tra incontri di routine e manifestazioni di dissenso, e non sembrava trovare conclusione a breve. La 'marcia' indusse ad un pronto compimento. Ciò che in quell'occasione muoveva l'agire dei sindacati, oltre alla ricerca di una 'propria luce' ovviamente, era la posizione privilegiata della Fiat sul mercato italiano, sostenuta da cospicui aiuti di Stato che in parte dovevano necessariamente trovare ritorno nelle tasche delle maestranze. Se crediamo, il gioco era perverso perché, insieme ad un ritorno finanziario, avrebbero potuto pretendere l'elevazione degli standard qualitativi ma, come sappiamo, tra la folta schiera degli imprenditori nostrani, pseudo capitalisti con i soldi altrui, la FIAT è stata buon'ultima ad affacciarsi sulla frontiera dell'internazionalizzazione e, fino ad allora, il sostanziale 'protezionismo' oneroso del mercato nazionale accontentava tutti. Insomma, tra lineari e 'astrusi' sostegni al reddito, automatismi di protezione del potere d'acquisto e un invidiabile welfare, i sistemi di regolazione sociale tenevano consentendo progresso generale, aspirazioni individuali e benessere comune. Vanno sottolineati due aspetti al riguardo: checché se ne dica, i conti pubblici erano in pareggio e il sistema Italia era praticamente simile a quello dei maggiori Paesi industrializzati europei, la Francia e la Germania. Nella prima, la composizione della retribuzione era così variegata da osservare ogni combinazione ed ogni esigenza del nucleo familiare, compresi gli oneri di trasporto, mentre in Germania la rilevanza era data dall'entità assoluta delle retribuzioni e da uno straordinario sistema di previdenza integrativa. In pratica, il 'capitalismo dal volto buono', celebrato da Michel Albert, si stendeva su tutta l'Europa occidentale. Potremmo trovare le ragioni di ciò nel nostro passato ma la digressione sarebbe dispersiva e non gioverebbe all'economia del discorso. È stato un sistema di tal fatta e il connaturato paradigma che negli ultimi decenni dello scorso secolo ha consentito ai Paesi occidentali europei, e all'Italia in particolare, di 'gestire', psicologicamente prima che materialmente, eventi drammatici: i biechi viet cong e Kmer rossi animavano come Bau Bau paurose immagini delle giungle vietnamite, l'egoismo arabo da 'parvenu', manifestato in desolanti deserti, toglieva sconsideratamente l'energia alla civiltà e i sinistri bolscevichi spiavano le 'luminarie' del progresso democratico. Persino gli 'anni di piombo' vennero gestiti con una sorta di distacco avversativo, di estraneità contrapposta alla reale vita quotidiana.


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Ma, come dicevo in altre occasioni, questo sino alla fine dello scorso secolo perché là, specie in Italia, il paradigma si è rotto ed il sistema di tenuta sociale è collassato. Ho scritto spesso (e malvolentieri) sulla 'mutazione' intervenuta in quel periodo la quale, al pari di un cancro, è iniziata in maniera sopita, addirittura con una serie di paradossi spacciati come salvifici dell'interesse nazionale e noi, popolo bue, inconsapevolmente giunti davanti alla selva oscura, non abbiamo neppure avuto la percezione della pericolosità delle tre fiere, la lupa, la lonza e il leone, che presiedevano l'ingresso insieme al loro servo, il Mediocre. Così, con gli occhi rivolti al cielo attratti dalle vampe pirotecniche di dozzinali imbonitori di provincia, abbiamo iniziato la discesa al pari di anime dannate. La prima mossa da fuoco d'artificio è stata la cancellazione della politica, quella che male o bene che fosse, agiva con un background culturale da 'paura', quella che aveva portato in vent'anni l'Italia a divenire una tra le prime sette potenze industriali al mondo, quella che aveva saputo gestire con scienza e conoscenza la disinvolta intraprendenza americana e l'oltranzismo arabopalestinese. Certo, ogni fase ascendente incontra, prima o poi, quella discendente ma l'epilogo che ha trovato possiamo almeno definirlo provvidenziale per l'ingresso trionfale della banalità. La seconda mossa a seguire è stata lo smantellamento del diritto del lavoro che, nella sua consolidata dottrina e giurisprudenza, dava dignità e sosteneva persino un'elevazione spirituale. Così, incrinata la dignità fino a definire il lavoro 'merce' e, quindi, oggetto dell'andirivieni della domanda e dell'offerta, non più bisognevole di tutela in quanto articolo inanimato di massa, rimaneva la cancellazione dell'identità di Stato e di popolo che, almeno come pulsione del senso di appartenenza, avrebbero potuto creare resistenza al dilagare del piattume pervicace animato dalle ballerine di avanspettacolo, abbigliate da dive della danza, e dalle fattucchiere dell'informazione. Lo ribadisco ancora una volta: sono un'europeista convinta e mai e poi mai potrei rinnegare il mio sentire ma, come in diverse altre occasioni ho scritto, credo fermamente che non sia certo questa l'Europa che ha ispirato i Padri fondatori. Non voglio ripercorrere il noto cahier de doléance ma è innegabile che l'Europa, dimenticandoci per un attimo della sua attuale forma, abbia comunque privato lo Stato delle sue prerogative istitutive. Il che in una Federazione avrebbe potuto anche trovare una sua ragion d'essere ma in un'Unione inalberata da tecnicismi burocratici, per giunta dotata di una moneta unica senza la comunione dei meccanismi che dovrebbero sostenerla e governarla, il quadro derivante è alquanto desolante e debilitante. Per inciso, non ignoro certo il prezioso ruolo svolto in difesa dell'euro da Mario Draghi ma certo è che senza la determinazione dell'uomo è alquanto problematico stabilire quale avrebbe potuto essere la conclusione di quell'evento. Ridimensionato il Potere Temporale, lo Stato, a seguire è giunto a consunzione quello Spirituale. Anche qui, tornare a scriverci potrebbe sembrare pertinace accanimento. Quindi, basti dire, come si diceva una volta, che quel Potere ha fatto tutto da sé: ha banalizzato la sua figura e la sua azione, non ha tuonato dai pulpiti contro i soprusi e le ingiustizie, non si è impegnato a contrastare la materializzazione dilagante dove l'appagamento è il consumo. Non ha accolto la scienza e la tecnica come sue Figlie consentendo così che queste assurgessero al rango di Dee.

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Infine, cadute le remore del timor di Dio e del rispetto alla tonaca, non ha potuto più evitare che fatti altamente immorali e dequalificanti ad opera di pochi pastori trovassero piena pubblicità a danno di molti. Restava il popolo. L'aspetto sociale, come sappiamo, non è materia dei trattati né si intravedono percorsi di convergenza degli Stati verso livellamenti di gap sociali. Né, tantomeno, è materia communautaire il fisco come non lo sono strumenti di ripartizione e di distribuzione della ricchezza che si accumula in sempre minori mani. Eppure, vengono varati documenti che attestano conclamati 'diritti' a delle categorie: malati, consumatori, utenti, ecc. Mi verrebbe voglia di scherzarci su e rilevare che se una persona nelle sue problematiche non è contemplata in quei diritti la sua tutela è lasciata in buona sostanza alla legislazione nazionale. Ma se questa langue, a differenza di altre nazionali più pregnanti, chi mai la tutelerà e darà piena contezza all'aleatoria 'cittadinanza europea' tanto sbandierata? Comunque, si potrebbe pensare che i ragionieri di Bruxelles, con le mani legate dai trattati, abbiano voluto in qualche modo aggirare l'ostacolo per intraprendere un percorso a tappe fino ad inglobare l'intera comunità. Potrebbe anche essere purché questa, come sembra, perda la sua connotazione originaria per divenire una sorta di ameba apolide. È recente la proposta della Commissione di abolire le espressioni 'Natale' e 'Pasqua' per sostituirle con la generica 'Festività'. E ciò al dichiarato fine del 'rispetto' degli immigrati. Ora, secondo me, a' capa nun l'aiutà proprio perché la distorsione concettuale è evidente: non riesce a svolgere una significativa politica circa il fenomeno immigrazione; addirittura sta provvedendo per la sospensione dell'accordo di Schengen cosicché ognuno si tenga i 'suoi' immigrati soggiacendo così ai più accesi anti-immigrati e condannando Francia, Grecia e, soprattutto l'Italia a divenire immensi bacini di 'accoglienza' statica; non ha nemmeno provato a stabilire le linee di una sostanziale integrazione dei residenti. Eppure, con una smisurata ipocrisia, si preoccupa che le orecchie dei derelitti del mare, spesso condannati a quella via dalle barbarie dei 'signori della guerra' sostenuti sovente da educate e compassate figure occidentali, non vengano offese dal 'Natale' o dalla 'Pasqua'. Il provvedimento è stato ritirato ma l'atto di per sé è sintomatico dell'intento consolidato di cancellare tradizioni e fedi. Quindi, perso il volto carismatico del 'Popolo', siamo giunti alle Malebolge, in compagnia di seduttori e ruffiani, adulatori e lusingatori, simoniaci, indovini e maghi, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti, seminatori di discordia, scismatici e falsari. E qui potremmo chiudere il cerchio provando, nella ricerca della salvezza uti singuli, ad indurre i Malabranche a riservarci un qualche trattamento meno oppressivo. Non credo che arriveremmo a molto ma potremmo in ogni caso tentare. Il fatto è che la discesa non è ancora ultimata. Siamo appena all'inizio delle Bolge ed altre ne restano da percorrere. Perciò, intanto, dobbiamo sfrondarci di dosso l'ultimo orpello che ci contraddistingue come persone: l'identità di genere. Non voglio assolutamente volgarizzare l'argomento che invece intendo affrontare col massimo rispetto sia pur con la necessaria sintesi: da un po' di tempo a questa parte, i cosiddetti movimenti progressisti hanno preso l'abitudine di buttare il bambino


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insieme all'acqua sporca. Premesso questo, lungi da me l'idea di criticare la natura perché dagli albori della vita vi sono stati uomini e donne, donne imprigionate in un corpo maschile e uomini ingabbiati in un corpo femminile, uomini attratti da altri uomini e donne affascinate da altre donne. E nessuno ha trovato a che ridire. Anzi, in molte culture, tali manifestazioni erano un segno di benevolenza degli dei. Solo il cristianesimo e l'islamismo le hanno avversate. È oltremodo giusto, quindi, in una visione assolutamente laica, rivendicare la piena libertà di 'essere' ma come si concilia ciò con l'intento manifesto dei progressisti Malabranche di cancellare l'identità di genere sopprimendo così ogni sacrosanta legittimazione della 'diversità'? Come a dire che anni di coraggiose lotte e di sacrifici devono essere gettati al vento. Inoltre, mi spiace affermarlo, a pagare il maggior prezzo sono le donne etero. Non mi preoccupo tanto dell'uomo etero perché già da tempo ha perso la sua identità di 'maschio', ridotto ad identificarla solo nella fisicità biologica e nel suo impiego sessuale. E nemmeno con tanta fiducia se, sin dalla giovane età, è alla ricerca dell''aiutino chimico' per sostenere il 'totem'. La donna etero, invece, è la vera sconfitta: 'regina' per 30.000 anni nella società matriarcale, soppiantata dall'avvento del patriarcato degli ultimi 5.000 anni, spesso ridotta in questo periodo a succuba di padri e padroni e comunque subordinata, aveva trovato negli ultimi decenni una via legalitaria e riformista per ottenere libertà, riconoscimenti e tutele. Ma, con ogni evidenza, è proprio la sua intraprendenza a condannarla insieme alle intraprendenti 'diversità': si discostano dall'ameba. Ma l'opera di trasformazione non sarebbe completa se le 'amebe' non trovassero un ruolo che impedisse ogni soprassalto d'orgoglio e di riscatto. Si dice che la storia insegni e, in effetti, in varie epoche e culture, i prigionieri avevano una importantissima funzione sociale: essere impiegati sull'ara del sacrificio o nell'arena perché il 'popolo', negli spazi antistanti le zigurrat mesopotamiche o centro-sud americane o sugli spalti degli anfiteatri, potesse scaricare, attraverso il transfert, la sua violenza e, nel contempo, essere allietato dallo 'spettacolo', anche nello spirito. Ma nel momento che non ci sono più 'sacerdoti' che officino il sacrificio né 'popolo' da allietare, restano mediocri lanisti organizzatori di 'giochi' dove amebe prigioniere possano almeno sfogare le pulsioni violente combattendo tra loro. Peraltro, è il paradigma delle 'contrapposizioni' riveduto e corretto dove i canoni del passato sono stati sostituiti da simulacri sociali e di libertà. Ed ecco il clima e l'ambiente, ad esempio, che forniscono validissime occasioni di confronto e di scontro. Non sono certo contraria all'assoluta salvaguardia della salubrità ambientale che, anzi, considero impegno prioritario di tutti e di ciascuno ma come si concilia un tale sacrosanto sentimento con la fuoriuscita americana dall'accordo di Parigi e con le conclusioni del recente accordo di Glasgow che rinvia a trenta/quarant'anni significative azioni, soprattutto ad opera di Cina e India? Come si può concepire un mondo salubre dove il maggior Paese industrializzato non si pone remore mentre i due Paesi dalle economie maggiormente performanti sembra possano considerarle tra due generazioni? E tutto ciò se non si valuta l'ambiguità della Commissione Europea che nel mentre detta norme per la limitazione di emissioni gassose consente addirittura il commercio di tali emissioni per il

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loro impiego in altre zone extra-comunitarie. Eppure, la simpatica Greta Thunberg sembra trovare una particolare predilezione nel fustigare i costumi della gente del continente; costumi che, tutt'al più, si risolvono nell'usare qualche piatto di plastica con annesse posate. Ed in questo tripudio di menefreghismo e di ipocrisia perbenista, ecco i mediocri lanisti che inneggiano al monopattino e alla bicicletta, suscitando nell'arena un acceso coro di ingenui consensi e di umorali dissensi, specie se connessi all'inutile dissipazione di ingenti risorse. Il secondo esempio è certamente fornito dall'attuale pandemia. Non intendo tornare sulla passata gestione, definita da un giornale sedicente progressista, 'scimmie al volante'; né, tantomeno, desidero interpretare ogni voce di dissenso che, per quanto qualificata, si è inutilmente levata per proporre alternative alla gestione stessa e all'impiego di rimedi alla patologia. Non lo voglio fare perché sarei costretta a ripetere ciò che persone più preparate di me hanno espresso nel silenzio dei mass-media. Quello sul quale voglio porre l'accento, invece, ricorrendo al sarcasmo e all'umorismo che l'amico Antonino definisce potenti armi, è l'attuale 'battaglia' tra vax e no vax dove il premio è il green pass o la sua abolizione. Premesso che sono vaccinata e che resto in attesa della terza dose a gennaio prossimo, non ho certo cambiato idea circa il dissenso sull'introduzione del green pass in quanto lesivo delle libertà individuali previste dalla Costituzione la quale, semmai, impone il varo di una legge per l'obbligo ad un trattamento sanitario e non forme surrettizie, alquanto farisaiche, per indurre la gente a riceverlo. Ed è proprio su un tal trattamento che intendo soffermarmi ricorrendo al sillogismo aristotelico ove se A è uguale a B e B è uguale a C, ebbene A è uguale a C. Per cui, sulla scorta, sviluppando il discorso dei lanisti, abbiamo che i cosiddetti protetti hanno bisogno di proteggersi dagli irresponsabili non protetti; pertanto, quest'ultimi vanno indotti a ricevere la protezione che, tuttavia, non ha protetto né protegge i protetti. Da perderci il capo e scompisciarci dalle risate se la contrapposizione non fosse civilmente e socialmente drammatica. Tali esempi, ovviamente, riguardano l'Italia e la mite Europa la quale non sa distogliersi dai ragionamenti ragionieristici e tecnico-burocratici e guarda abbacinata l'evoluzione dello scenario internazionale come uno scolaretto d'altri tempi che, scarmigliato e col fiocco sghembo, s'incanta dinanzi ad una rappresentazione dell'Opera dei Pupi in piazza: il Mediterraneo non sembra fare più notizia se non fosse per la diatriba ucraina in corso; né credo che il recente Trattato di cooperazione rafforzata tra Francia e Italia possa servire a ridargliela. Stretto con un partner inaffidabile, come gli eventi di questi ultimi anni hanno dimostrato, e varato praticamente senza il coinvolgimento del Parlamento italiano, speriamo serva almeno a smuovere la morta gora continentale che tutt'al più appare coperta ed allineata al volere americano. Né, d'altro verso, in quanto ad importanza politica, sembra averne l'Oceano Atlantico. Invero, giustifica ancora l'esistenza della NATO ma se dovessero esserci problemi nel Baltico o nel Mare di Barents non credo proprio che l'Organizzazione in parola sia bastevole alle eventuali soluzioni. Tutta l'attenzione odierna, invece, sembra essersi proiettata sull'Oceano Pacifico per una partita


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che da un lato vede gli USA, l'Inghilterra e l'Australia e, dall'altro, la Cina. Se fossi cinica e spregiudicata potrei dire che lo scenario che si presenta è simile a quello precedente Pearl Harbor. Abbandonato dalla sera alla mattina l'Afghanistan perché di nessun tornaconto, dopo averci profuso insieme agli alleati migliaia di miliardi, si sta concentrando oggi sulla difesa delle sue prerogative economiche e geo-politiche, intanto avverso un soggetto, la Cina, che detiene almeno un terzo del debito pubblico americano. Ed intanto, a farne le spese, è l'industria europea soppiantata dall'invadenza americana che, peraltro, sta producendo un'inflazione dell'entità della quale si era persa la memoria. Qualcuno ha paventato che così facendo si corre il rischio di vedere la Russia, boicottata da sempre dall'Occidente, alleata obtorto collo della Cina e, al fine di far sbollire eventuali umori, è stato intanto congelato l'uso del nuovo gasdotto Nord Stream 2 che, voluto soprattutto dalla Russia e dalla Germania, consentirebbe all'Europa di avvalersi di 55 miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno. Boicottato prima da Trump e poi da Biden nel timore di veder accresciuto il ruolo economico e geo-politico russo, a pagarne il prezzo però restano i Paesi europei che, dopo la decisione del 'congelamento', hanno visto il prezzo del gas balzare alle stelle a danno delle economie nazionali e delle famiglie. E l'Europa, nelle sue istituzioni, rimane a guardare. La Cina, dal canto suo, sta muovendo importanti passi. Radicata in Africa e con una discreta presenza nell'America Latina, proprietaria quindi di importanti giacimenti delle cosiddette 'terre rare' delle quali la tecnologia è affamata, potrebbe essere danneggiata da eventuali strette energetiche che gli USA e i suoi alleati decidessero di intraprendere. Appunto per questo ha stretto con l'Iran un trattato strategico sul partenariato economico e di sicurezza globale. Pechino investirà fino a 400 miliardi di dollari in dozzine di giacimenti in Iran nei prossimi 25 anni: oltre che in banche, telecomunicazioni, porti, ferrovie, sanità, reti 5G, GPS, ecc. Così facendo, la Cina aiuterà l'Iran a costruire l'intero sistema industriale moderno; allo stesso tempo, essa riceverà una fornitura di petrolio iraniano fortemente scontata e stabile a lungo termine. Aspetto parimenti importante sarà l'uscita dall'area dominata dal dollaro per transazioni di tal genere. Ma non è l'unica iniziativa cinese. L'economia tedesca sta rallentando penalizzata dalla scarsità di materiali siderurgici dei quali l'Italia era tra i primi fornitori prima che la cecità soppiantasse la ragione. C'è verso, però, che un'importante flusso d'ossigeno in ordini, incrementando notevolmente quello già esistente, possa riceverlo dalla Cina, ovviamente interessata a mantenere un piede significativo nell'Unione. Sarebbe interessante vedere come potrebbe collocarsi la Germania in una eventuale futura diatriba internazionale e se prenderà il ruolo almeno di scettica nei confronti dell'americanismo, peraltro abbandonato recentemente da Macron dopo lunga tradizione. Ed anche qui l'Europa, nelle sue istituzioni, rimane a guardare. Almeno, in Italia sicuramente, tali avvenimenti un'utilità pratica di riempimento la troveranno: la sera, la gente di questo Paese, affaticata diuturnamente dalle contrapposizioni interne, gratificata da una giornata di lavoro e speranzosa d'incappare nell'attenzione del 'caporale' domani, o abbattuta dalla perdurante disoccupazione, timorosa al pari di ominidi dei tuoni che

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rimbalzano sulla sua testa, sarà almeno gratificata dai talkshow dove in tutta la loro magnificenza potrà ammirare la profondità del dibattito tra i rappresentanti eletti dove, dopo le coloriture riempitive dei fatti internazionali, i sedicenti progressisti, ad onta della semantica, cavalcano fumose idee-forza ignorando baratri sociali e una sedicente 'destra', divisa al suo interno, che da un lato vede esclusivamente l'ossequio all'attuale deus ex machina, dall'altro mira a costruire un asse per la prossima elezione del Capo dello Stato e, dall'altro ancora, punta, dichiaratamente e decisamente al conservatorismo. Anche in quest'ultimo caso, ritengo sia un'errata conoscenza della semantica perché, mi chiedo, la conservazione di cosa? Dell'attuale stato delle cose? Della distruzione sociale perpetrata? Dello strame del diritto e della dottrina? Qualcuno, importante, ha detto recentemente che dobbiamo avere cura dei giovani perché essi rappresentano il nostro domani. Giusto ma occorrerebbe dirlo ai reggitori della cosa pubblica visto che un'istruzione seria è sempre più onerosa e l'emigrazione, soprattutto di qualità, sembra essere la 'salvezza' di contro alla ricerca di un lavoro in Italia che nel 40% dei casi non otterrà soddisfazione. Allora torno a chiedermi: conservazione di cosa? Forse, nella liturgia delle parole e nella retorica degli entusiasmi, per conservazione è da intendere la riconquista del nostro patrimonio di valori e d'ideali. Ma se così fosse la parola d'ordine giusta, chiedendo venia per lo svarione linguistico, non sarebbe stato meglio che fosse 'reazionismo'? Mah! Vallo a sapere. Per cui, per concludere nel tema assegnato, oltre la siepe della democrazia illiberale, del politically correct e del debole pensiero unico, guardata a vista da guardiani della soglia di 'destra' e di 'sinistra' che, rispetto a Minosse, sono dei lillipuziani, vedo il buio, appunto. Non l'oscurità pregna di potenzialità immanifeste bensì lo Sheol, un vuoto assoluto dove le anime soggiorneranno senza tempo. Se non ci fosse un'ostinazione manifesta nel cancellare fedi, tradizioni e culture, potrei auspicare l'arrivo di un Tammuz, di un Tristano o rispettosamente di un Gesù per salvare almeno le anime dei cari e dei giusti. Ma di tali personaggi si è persa traccia. Mi viene voglia di manifestare un desiderio: vorrei essere una tra i Centauri danteschi che, passate le Malebolge, si posiziona sulle rive del Flegetonte e, insieme agli altri, si diletta nel bersagliare al passaggio verso il Cocito, oltre alle anime dei traditori dei parenti, della Patria, degli ospiti e dei benefattori, anche e soprattutto le anime dei traditori del genere umano. Peccato che Dante non l'abbia previsto. Roberta Forte


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POVERA PATRIA Nel divertissement prenatalizio su chi sarà il prossimo inquilino del Quirinale, Giorgia Meloni aggiunge un passaggio al fulmicotone. La leader di Fratelli d'Italia vuole un presidente eletto per fare gli interessi nazionali e perciò non lo vuole del Partito Democratico. "Non accetteremo compromessi, vogliamo un patriota", queste le parole di Giorgia, scandite dal palco di Atreju, tradizionale kermesse annuale dei giovani della destra italiana. Se le parole sono pietre, quelle della Meloni sono un macigno. Cancellata (finalmente) la stucchevole oleografia dei "buoni" presidenti della Repubblica che avrebbero anteposto il bene degli italiani agli interessi della propria parte politica, la presidente di Fratelli d'Italia costringe tutti, amici e nemici, a riflettere sul perché il concetto di patriota non sia compatibile con l'appartenenza al Partito Democratico. Ragione per la quale, dopo anni di occupazione "piddina" del Quirinale, oggi s'imponga una svolta in senso inverso nella scelta del presidente. Ma procediamo con ordine. Chi è il patriota e cos'è la Patria? Per il vocabolario della lingua italiana della Treccani, patriota è "persona che ama la patria e mostra il suo amore lottando o combattendo per essa"; per Patria il dizionario Treccani intende "il territorio abitato da un popolo e al quale ciascuno dei suoi componenti sente di appartenere per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni". Due definizioni esaurienti, anche se riguardo alla parola Patria preferiremmo porre l'accento sull'etimologia: "terra dei padri", dal greco ðáôÞñ (padre). "Patria" esprime il medesimo concetto che, nella lingua tedesca, è racchiuso nel sintagma "Blut und Boden" (sangue e suolo) dal quale prende vita l'idem sentire de re pubblica, fondamento costitutivo di ogni democrazia, degli antichi e dei moderni. È sorprendente che la Meloni ponga la pregiudiziale dell'acclarato spirito patriottico del futuro capo dello Stato, con ciò sbarrando la strada a un candidato della sinistra. Eppure, la richiesta non è infondata. Dalla caduta del muro di Berlino e dal crollo del comunismo, la sinistra nel nostro Paese non ha rinunciato al cosmopolitismo antinazionale iscritto nel proprio Dna, salvo a concedersi una lieve correzione di rotta, imposta dall'evoluzione delle dinamiche storiche: a un terzomondismo anticapitalistico e rivoluzionario per ragioni di sopravvivenza si è convertita all'europeismo di maniera dei fautori del Super-Stato europeo. Il professore Gianfranco Pasquino, in un articolo a sfondo didascalico pubblicato sul "Domani", scrive: "Per me patria è dove si è affermata ed esiste la libertà. Ne consegue che patriota è colui che si propone di acquisire la libertà nel luogo in cui vive e lotta per questo obiettivo".

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E aggiunge: "Un patriota è giunto a ritenere che la libertà non si difende e meno che mai si amplia chiudendosi nei confini della patria geografica". Bizzarra idea di patriottismo quella di Pasquino che, in un tortuoso avvitamento lessicale, subordina l'appartenenza identitaria di ogni individuo al grado di libertà acquisito, come se vivere temporaneamente, pur contrastandolo, sotto un Governo che conculchi le libertà individuali fornisse la motivazione per recidere le proprie radici esistenziali e darsela a gambe. Pasquino conclude col teorizzare un ossimoro: patriota è chi nega la Patria. A provocare ancor più l'orticaria ai "buoni" è l'uso della parola nazione. Nell'immaginario collettivo della sinistra il termine, ambiguamente sovrapposto a quello di "nazionalismo", evoca le peggiori pulsioni razziste, guerrafondaie, colonialiste attribuite dalla macchina propagandistica dei progressisti alla destra "brutta, sporca e fascista". Tuttavia, per quanto il mainstream del politicamente corretto tenda a nascondere la realtà, sta di fatto che la pretesa di chiarezza imposta da Giorgia Meloni sul grado di patriottismo del presidente della Repubblica non solo è compresa ma è largamente condivisa dall'opinione pubblica. Perché? Esiste un nodo storico che pesa sull'identità italiana, e che la gente comune avverte, nient'affatto risolto: il ritardo nella costruzione di uno Stato nazionale. La discrasia temporale tra la costituzione dell'Italia come nazione e la composizione politica di una comunità nazionale (1861) è di ben otto secoli. L'idea d'Italia-nazione, drammaticamente riscoperta nelle trincee della Prima guerra mondiale, scorreva già nella terzina aspra del sommo poeta: "Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!" (Comedia, Purgatorio, VI Canto). Un tempo troppo lungo perché non incidesse nel substrato antropologico del nostro popolo impedendo a una diversa consapevolezza identitaria di crescere e radicarsi nelle generazioni attraversate. Non è un caso se Giuseppe Prezzolini attribuisse al ritardo della formazione dello Stato nazionale le maggiori responsabilità per il diffuso spirito di anarchismo individualista, stigma caratteriale dell'italiano medio. Ciò spiegherebbe molto del comportamento della nostra gente, della sua naturale diffidenza verso lo Stato e le sue istituzioni, della tendenza a rappresentarsi più come controparte che come parte della "cosa pubblica". È stato Luigi Barzini a scrivere che "il nostro è un Paese i cui abitanti, soggetti per secoli a rapaci oppressori stranieri e a sovrani inefficienti, hanno dovuto, per difendersi, sviluppare e perfezionare virtù private e vizi pubblici". È ciò spiega anche, ma non giustifica, il fatto che in alcune aree del Paese l'anti-Stato della criminalità organizzata controlli il territorio, con il consenso passivo della popolazione, più di quanto lo faccia lo Stato. È chiaro che in tale scenario la scelta del presidente della Repubblica rivesta un significato metapolitico. Il capo dello Stato dovrebbe rappresentare il punto di congiunzione tra il principio di Stato e l'idea di nazione. Ma tale prefigurazione di ruolo non può essere nelle corde della sinistra che storicamente si è nutrita di ideologie universalistiche, a cominciare dal marxismo. E continua a farlo inseguendo le utopie del multiculturalismo e del massimalismo moralistico delle sue avanguardie intellettuali. La cultura definisce e circoscrive l'identità di una nazione. Per questa ragione la cultura, per


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affermarsi e riconoscersi, ha bisogno di territorialità. Ne parla Montesquieu ne "Lo spirito delle Leggi": la Repubblica democratica ha bisogno di spazi ristretti. La coesione sociale è favorita laddove agiscano con maggiore efficacia i rapporti di parentela e di vicinato che connettono l'idea di Stato a quella di una grande famiglia. I progressisti confidano nelle radiose sorti di una generica umanità in un mondo senza confini. Al contrario, i patrioti hanno a cuore qualcosa di concettualmente più definito e allo stesso tempo tangibile che è l'umanità di prossimità, cioè quella porzione circoscritta del genere umano che si trova a interagire e a relazionarsi, in un determinato contesto, con ogni individuo nell'arco della sua esistenza. Cultura è parlare la stessa lingua, riconoscersi nella stessa storia, rivivere le medesime tradizioni, avere rispetto per il Mos maiorum, approcciare la spiritualità e il trascendente alla stessa maniera, praticare le medesime scale valoriali e decrittare allo stesso modo i codici morali. Se tutto ciò venisse a mancare, se il veleno del multiculturalismo prendesse il sopravvento costringendo lo Stato - come già sta avvenendo nelle società occidentali avanzate - a trasformarsi in un pelago popolato di isole etnico-culturali chiuse, distanti tra loro e non comunicanti, l'idea di comunità di destino declinerebbe rovinosamente. Ecco perché un personaggio di sinistra che la pensi e agisca nel senso indicato dal multiculturalismo sarebbe l'antitesi del patriota. Ecco perché un capo dello Stato che, come auspica Pasquino nel suo articolo, rinnegasse il principio che sta dietro l'espressione idiomatica my country, right or wrong (giusto o sbagliato, è il mio Paese), non verrebbe riconosciuto dalla gente comune come un vero patriota. gli basterebbe portare la mano sul cuore quando audacia temeraria igieneE non spirituale allo stadio s'intona l'inno nazionale. Già, perché al presidente della Repubblica italiana, all'opposto di quanto si dica a proposito dell'imparzialità dei giudici, non basta sembrare un patriota ma occorre che lo sia. Fino al midollo. Cristofaro Sola

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LA GALLINA (NON) E’ INTELLIGENTE "La gallina/Non è un animale/Intelligente/Lo si capisce/Lo si capisce/Da come guarda la gente". È la strofa di una canzone del cabaret surrealista di Cochi e Renato, scritta con Enzo Jannacci nel 1972. Per mezzo secolo è stata considerata un'espressione alta della cultura musicale alternativa. Roba da élite del pensiero; materia per circoli intellettuali; ghiottoneria distribuita nelle cantine e nei sottoscala dove si facevano musica e spettacolo per la borghesia "intelligente" mentre il popolo-bue si sfamava con dosi massicce di io tu e le rose, dispensate dal piccolo schermo. "Ufficio facce/La gallina" finora sarebbe stata definita una canzone cult. Oggi non più, da quando l'Associazione italiana per la difesa degli animali e dell'ambiente (Aidaa) sul proprio blog ne ha proposto la modifica abolendo la negazione "non" come forma risarcitoria per quello che sarebbe un "inaccettabile insulto agli animali". Pensate sia uno scherzo? Nient'affatto: è tutto vero. È l'ennesimo frutto avvelenato di un revisionismo culturale autolesionista che mira a demolire le fondamenta della civiltà occidentale. Per farlo, ha ingaggiato una guerra senza quartiere alla nostra Storia e al nostro linguaggio. C'è una minoranza - definita da Luca Ricolfi nel libro scritto a quattro mani con Paola Mastrocola dal titolo "Manifesto del libero pensiero": autoproclamati legislatori del linguaggio che vuole riplasmare il mondo a sua immagine ricorrendo all'intimidazione e all'isolamento sociale per chi non vi si adegui. Tale minoranza veste i panni dell'establishment progressista: proconsoli e centurioni delle legioni del "Bene". Il suo vessillo è l'egualitarismo, realizzato mediante la violenza "razzista" delle minoranze sociali aggregate su basi di genere, ideologiche ed etnico-religiose. La gabbia nella quale dovremmo infilare tutti il cervello è il "politicamente-corretto", che non significa mettere una parola giusta al posto di una sbagliata. La neo-lingua mira dritto al cuore della libertà di parola, connessa a quella di pensiero. Ma se la libertà di espressione è negata dall'esigenza di non offendere altrui sensibilità, cosa ne è del pensiero critico? Ciò che non è conforme, è scorretto. Gli scorretti vanno emarginati, non possono stare nelle prime file della "buona" società. Questa "nobile" dottrina ci costringe, per quieto vivere, a mozzare le desinenze di genere alle parole e a sostituirle con un asterisco che sa di lapide funeraria. Sindaco o sindaca? Meglio sindac*; Avvocato o avvocata? Avvocat* e passa la paura. Dovremmo essere decisamente impazziti se accettassimo una tale follia. Eppure, questa robaccia è la minestra che passa il convento progressista. Si è fatto un gran parlare dell'ultima


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trovata della "stupidocrazia" di Bruxelles sulle linee guida della corretta comunicazione, emanate dalla Commissione europea e subito ritirate per l'eccesso di comicità che avrebbero prodotto se applicate. Attenti, però: non è stata la trovata geniale, rivelatasi una cantonata, di qualche super-burocrate ma l'esito di un lungo percorso di revisione indirizzato, in campo comunitario, alla sterilizzazione del linguaggio. Sono patetici a Bruxelles se pensano di colmare il secolare gap di genere imponendo sanzioni a chi osi dare dell'avvocato a un'avvocata. Forse che l'adozione di un linguaggio non sessista e inclusivo impedisca le discriminazioni di genere e ci faccia essere migliori? Aveva visto giusto Natalia Ginzburg che negli anni Ottanta denunciava l'ipocrisia di una svolta linguistica che ripiegasse sulla pretesa di cambiare il linguaggio non avendo la capacità di cambiare le cose. Il linguaggio è un'arma a doppio taglio. Se, per un verso, conferisce significato alla realtà, per altro verso il linguaggio è un "mezzo per ordinare, consigliare, comandare". L'attitudine del linguaggio alla manipolazione è il grimaldello di cui l'establishment progressista si serve per scassinare le certezze nelle nostre esistenze. E distruggerle. Renato Cristin, su l’Opinione, lo ha definito "nichilismo del XXI secolo". Un piano ben studiato per demolire la Tradizione: l'immenso terrapieno sul quale le precedenti generazioni hanno edificato la civiltà che abitiamo. La strategia nichilista è di renderci confusi, apolidi, smemorati, parricidi, incatenati al presente da una connessione emotiva malata, in tutto simile a quella che lega il tossicodipendente alla sostanza stupefacente. Se ci abbandonassimo ai gorghi di una modernità disancorata da ogni riferimento valoriale del passato, in cosa o in chi poi dovremmo avere fede? Umberto Eco sosteneva che quando si smette di credere in Dio non è che non si creda più in niente ma si comincia ad avere fede in qualcos'altro. E l'annientamento di tutto ciò che siamo stati, come vorrebbero i fautori del nichilismo, a cosa o a chi dovrebbe condurci? Pur ammettendo l'esistenza di una relazione diretta tra linguaggio e realtà non dobbiamo cedere alla tentazione di considerare il linguaggio rappresentazione pedissequa della realtà. La differenziazione tra i due insiemi concettuali, che necessita di chiavi interpretative, misura il nostro grado di libertà. Chiediamoci allora: è libera una società in cui una parte (minoritaria) imponga a tutte le altre componenti codici di scrittura "corretti"? Luca Ricolfi segnala una stortura del sistema editoriale ignota al pubblico: la presenza nelle case editrici dei sensitivity readers. Sono gli esperti dediti a censurare nei manoscritti in fase di pubblicazione tutte le espressioni o le idee che potrebbero urtare la sensibilità dei lettori. Siamo alla narcotizzazione delle masse, su scala talmente vasta che neanche la fantasia visionaria di George Orwell avrebbe osato tanto. C'è un linguaggio unico sostenuto da un pensiero unico che si dirama in tutti i settori della vita pubblica ed entra prepotentemente nelle vite private. C'è il linguaggio unico della pandemia; c'è il linguaggio unico dell'europeismo; c'è il linguaggio unico dell'immigrazionismo; c'è il linguaggio unico del mito resistenziale che divide ontologicamente quelli che stavano dal lato giusto della storia da quelli che ne presidiavano la sponda sbagliata; c'è il linguaggio unico del presente, rappresentazione della realtà invariabile, forma archetipica del migliore dei mondi possibili.

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Chi non è in linea, chi non si conforma è fuori dalla grazia provvidenziale e salvifica del "Bene", che ha detronizzato il Dio di Abramo e dei Profeti proclamandosi esso stesso Dio. Pensate davvero che la lotta dei progressisti contro liberali e conservatori si giochi sul piano inclinato di qualche "riformicchia" sbilenca? É in ballo la sopravvivenza di una civiltà. Ci sarà da combattere. E chi intenda rispondere alla chiamata alle armi cominci a essere politicamente scorretto nelle parole, nei pensieri, nelle idee, nei gesti. Remi controcorrente e affronti con coraggio i marosi del conformismo. Per quanto ciò appaia triste e disarmante, dopo secoli di sangue e guerre siamo ancora qui a guadagnarci la nostra libertà. Che non è gratuita. E non è mai scontata. Cosicché ogni nostro anelito, che aspira a farsi argine all'oppressione del politicamente-corretto, lo custodisce, in prezioso scrigno, la strofa del poeta che la invoca: "E in virtù d'una Parola/Ricomincio la mia vita/Sono nato per conoscerti//Per chiamarti/Libertà" (Paul Éluard, Libertà, 1942). C.S.


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NON CI RESTA CHE PIANGERE "Nove per nove, farà mai ottantuno?" Con tale domanda rivolta (nel loro favoloso film del 1984) da un ispirato Massimo Troisi al compagno d'avventura Roberto Benigni (entrambi catapultati per caso in un improbabile XV secolo) il primo tenta di darsi un dottorale contegno da sapiente per cercare di attirare la curiosità, e quindi l'attenzione, di un Leonardo da Vinci immerso in uno dei suoi tanti esperimenti scientifici. La predetta premessa di natura cinematografica serve al modesto scrivente per rendere, diciamo più "plastica", la propria affermazione secondo cui, dell'incommensurabile universo dell'intera scienza, sia essa teorica che sperimentale, egli, in tutta onestà, non capisce proprio un tubo. Così tanto, di un tale scibile, io sono dunque completamente digiuno quanto di scienziati "televisizzati" (mi si passi il neologismo) sento invece di essere più che in grado di discettare dato il mio attuale stato di forzato telespettatore seriale (pandemia da Covid, adiuvante). E cosa scopro? Niente popò di meno che: la sbalorditiva individuazione di una nuova, inedita categoria di accademici cultori del sapere scientifico, quella dello scienziato incazzato (rectius, in latino: Physicus Irritatus). A questo punto necessita un doveroso passo indietro di qualche secolo . Immaginiamo una bella seduta del Sant'Uffizio, presente Galileo Galilei seppure, ed ahimè, in carenza di telecamere. Come è noto "il 24 febbraio del 1616 il grande pisano viene interrogato dal Sommo consesso i cui teologi esaminano, censurandole, le due fondamentali proposizioni del De Revolutionibus di Copernico: la prima, secondo cui: "Sol est centrum mundi, et omnino immobilis motu locali", dal momento che essa contraddice le scritture; la seconda: "Terra non est centrum mundi nec immobilis, sed secundum se totam movetur, etiam motu diurno" è, per i teologi, censurabile in filosofia e almeno erronea nella fede. Il successivo 25 febbraio il papa Paolo V ordina al cardinale Bellarmino di ammonire Galileo ad abbandonare le due proposizioni e "a non insegnarle, difenderle o trattarle …..". Il bravo Galileo china il capo davanti all'ingiusta imposizione limitandosi a quel lieve sussurro che avrebbe tuttavia cambiato il corso dell'intero scibile umano: "E pur si muove!" Al contrario, l'odierno Physicus Irritabilis - assiso nell'agorà mezzobustista (sorry, per l'ulteriore, aggettivante neologismo) della TV generalista alla domanda del sedicente Bellarmino di turno che lo sfida, lo interroga, solleva dubbi circa i tanti quesiti irrisolti dalla scienza politicizzata (ovvero dalla politica scientificata, … fate vobis) in merito alla narrazione sanitaria, politica e

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sociologica del Covid - cosa mi combina? Come si atteggia nei confronti di ciò che per la vera Scienza dovrebbe essere pane quotidiano di conoscenza e cioè il sacrosanto DUBBIO? Semplice: si indigna, si irrita, prende auricolare (un giorno si diceva, prende cappello), si alza e se ne va. E' un dato di fatto: alle irritanti domande del Bellarmino il sommo Galileo, forte delle sue certezze, non abbandona indignato la sala del Sant'Uffizio; quattrocento anni dopo, alle legittime, seppur urticanti domande dei suoi laici interlocutori mediatici, il virologo di turno - in evidente penuria di certezze contro-deduttive - lascia, infuriato e offeso, la "piazza" televisiva ed il relativo dibattito sul dogma planetario del "virus-centrismo". E si, ci vorrebbe proprio il Renzo Arbore dell'indimenticabile birra italiana del 1985: "meditate, gente, meditate!" Antonino Provenzano Roma 3 dicembre 2021


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IL SIGNOR GIOVANNI Il Signor Giovanni, nome di "fantasia" (come direbbe oggi quella parte di pedestre giornalismo consapevole della propria incapacità di declinare una storia in forma indiretta e tale da riuscire a stare in piedi in decente italiano) è un povero nostro concittadino, galantuomo ed incensurato, che onora senza fallo ogni canonica scadenza fiscale, ma che, udite, udite(!), non si è ancora vaccinato contro il Covid- 19. Il tapino, peraltro, non è affatto un "no vax" avendo egli cominciato a subire sieri immunizzanti sin dalla nascita. Una neonatale, vistosa cicatrice antivaiolosa, che caratterizza in modo irreversibile quello che fu un tempo il suo braccino sinistro di tenero infante unita ad una precoce inoculazione antidifterica, fanno da capofila ad una lunga serie di ulteriori vaccini che gli hanno poi consentito - unitamente ad altre immunizzazioni di tipo, diciamo, naturali (grazie mamma!) a valle di innocui contagi da pertosse, morbillo, varicella, rosolia e parotite - di, chessò, servire in armi la Patria (ex articolo 52 della Costituzione) o girare per lavoro l'intera Africa dopo aver incamerato tutte le opportune profilassi a fronte delle innumerevoli iatture sanitarie che affliggono, ahimè, quel meraviglioso continente. Mai un dubbio, una perplessità e, men che meno, un qualsivoglia ripensamento: ago conficcato (nel torace o nel braccio, a seconda dei casi) e, caro Giovanni, via andare! Urge dunque chiarire che il nostro eroe non ha alcuna preclusione nei confronti degli attuali, svariati sieri anti-Covid che veementi politicanti, seriosi sanitari ed assatanati mezzibusti (ed, of course, mezzebuste) televisivi gli sbrodolano ogni sera dal tubo catodico (ma, esiste ancora tale "tubo"?), nel soggiorno di casa. Niente di tutto ciò. Giovanni è infatti ultra convinto e ben consapevole del fatto che, nel malaugurato ed esiziale caso egli dovesse beccarsi il Covid, nulla, ma proprio nulla, potrebbe proteggerlo meglio di uno degli svariati vaccini di giornata facendogli poi ringraziare il salvifico siero di averlo scudato (termine da genesi fiscale, ma qui ci sta proprio a fagiolo) nei confronti del subdolo e cattivissimo micro-organismo. La incertezza/paura del nostro eroe è dunque di tutt'altra, e quasi opposta, natura: è cioè quella di inocularsi il siero e di NON (dicesi NON) incontrare poi il virus, come peraltro capitatogli nel corso degli ultimi 24 mesi. E ciò, grazie ad un'attenta e prudente gestione della propria quotidianità fatta di costante uso di mascherina FFP2, distanziamento maniacale dai propri simili, aborro di luoghi chiusi ed affollati, il tutto facilitato inoltre da una sua naturale inclinazione verso un'autosufficiente solitudine ed una informale socializzazione di tipo "solare ed all'aperto".

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Giovanni teme infatti che il vaccinarsi, senza però un successivo incontro ravvicinato con il Covid19, non possa che sfociare in due sole conseguenze che, seppur alternative l'una all'altra, gli sembrano entrambe negative, in quanto: inutile, la prima, pericolosa la seconda. La prima, e cioè una vaccinazione senza successivo contagio, gli sembra essere, a prima vista, come una sorta di assicurazione R.C. auto non seguita da incidente. "Ottima e fortunata evenienza", direste voi, ed avreste ragione in quanto a fronte di un modesto aggravio di spesa si sarebbe acquisita quella serenità mentale di essere, appunto, assicurati contro un presunto male maggiore. Converrete con me, tuttavia, che, terminato il relativo anno solare con incidenti zero, l'assicurazione R.C. in parola ed il relativo costo si sarebbero di fatto dimostrati, "in re ipsa", del tutto "inutili". E siamo quindi alla prima conseguenza (quella, appunto, "inutile") ma alla quale si potrebbe obiettare con buona ragione: "dopo tutto, poco male!" : Verissimo. Lasciamo però da parte, per il momento, la metafora "automobilistica" (ma, ahimè, ci ritorneremo!) e prendiamo in considerazione la seconda conseguenza, diciamo quella più "pericolosa". A questo punto, e sempre secondo il nostro caro Giovanni, le cose cambiano e di parecchio. Come è noto, il cosiddetto vaccino anti-Covid (ma, se decade nel breve periodo, che sorta di vaccino sarà mai esso?) è un siero ancora sperimentale di cui non si conoscono i reali effetti e/o conseguenze di lungo periodo e, checché ne dicano i pontificanti esperti televisivo/mediatici, il "futuro" non è certo appannaggio dei comuni mortali, ma forse, e soltanto, del padreterno. Riflette quindi il nostro, apparentemente sprovveduto, amico: "se dunque io mi vaccino ma NON (ripeto NON) incontro il virus, in che condizione si verrà a trovare il mio povero organismo (sapete, dopo svariati decenni di serena convivenza, gli sono molto affezionato!) a seguito di una tale gratuita - e, nei fatti, oggettivamente inutile - inoculazione? Ed inoltre: "in tal caso, si sarebbe trattato per la mia povera persona come bere un innocuo bicchier d'acqua ovvero, e piuttosto, di un essersi sottoposta (dopo una vaccinazione di fatto inutilizzata) ad un gratuito, e di fatto inutile, "sfruculiamento" (mi si perdoni il termine poco scientifico, ma, credo, del tutto pertinente alla fattispecie) di quel vecchio suo corpo e relativo sistema immunitario che sono ormai tenuti insieme da un collante esistenziale molto tenue e di cui sarebbe forse meglio non disturbare la delicata precarietà? Per quanto riguarda il rapporto che Giovanni ha dunque con l'insieme della sua vecchia carcassa umana, egli non può far altro che martellarsi il capo senza giungere ad una risposta che sia frutto di sostenibile ragionamento. Ma non è tutto. C'è da fare, purtroppo, i conti anche con l'irrazionale aspetto della "socialità" della questione. E qui, il frastornato Giovanni non può che rivolgere al cielo un'accorata preghiera: "somma divinità della logica, aiutami tu!". Egli ritiene infatti che nell'odierna, infuocata dialettica tra vaccinati e non vaccinati (ma certamente NON "no-vax"), sarebbe forse il caso di chiamare in soccorso anche il mitico Fedro (quello, per intenderci, del lupo e l'agnello: " superior stabat lupus, longeque inferior agnus") e secondo cui il forte, in posizione superiore, afferma di venire danneggiato dal debole in stato di inferiorità. Riflette infatti il nostro amico (che appassionato di motorismo tiene, ahimè, una pertinente


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metafora sempre "in punta di penna") che l'odierno rapporto tra italici vaccinati (il 90 per cento) ed non vaccinati (appena il 10 per cento) sia comparabile con la relazione che intercorre, sulla strada, tra "S.U.V.isti" (nel senso appunto di guidatori di Sport Utility Vehicle) e scuteristi in precario equilibrio su due ruote, laddove i primi sarebbero assimilabili ai plurivaccinati ed i secondi ai refrattari al siero per qualsivoglia loro ragione. Ora il fatto che il "SUVista" di turno detesti il povero scuterista in base all'assunto che quest'ultimo metta a repentaglio la sua sicurezza e che la sua poderosa corazzata di ferro e lamiera possa avere qualcosa da temere da quel poveretto a cavallo di un aleatorio trabiccolo, è certamente faccenda molto singolare e non dissimile al summenzionato rapporto tra il "superior" canide e l'"inferior" ovino accusato di intorbidirgli l'acqua a monte: " cur turbulentam fecisti mihi aquam bibenti?". Il pingue signore o la vezzosa madamina dall'alto delle loro semoventi "turres metallicae", dovrebbero piuttosto considerare l'inerme motociclista come un qualcuno destinato alla miseranda fine di quel gatto in tangenziale di cinematografica memoria. Ed invece, no!: astio, rancore, risentimento vengono vomitati dai primi sui secondi con una veemenza degna di migliore e, certamente più razionale, causa. Ma purtroppo la patologica gestione della "socialità" da virus non si limita alla contrapposizione, ormai del tutto politicizzata tra i cosiddetti "si-vax" - "no-vax" schierati metaforicamente in pubblica piazza in una sorta di contrapposizione di carattere quasi fisico; no, il sottile e subdolo veleno di tale divisione (di natura ormai prettamente politico/ideologica e non più scientifica) è ormai penetrato nella mente e nella psiche dei comuni cittadini, e dunque anche del nostro povero Giovanni, frastornando, sconcertando ed intristendo tutti oltre misura. Da semplice "non vaccinato", egli si è reso conto, con un urticante dolore quasi epidermico, dell'abisso mentale, concettuale, culturale e persino filosofico, che il suo stato di riluttante al siero lo separa ormai da larga parte di quella umanità che, fino a non più di un anno fa, egli riteneva amica, affine, sodale, complice e persino parente. Sguardi sfuggenti, saluti appena accennati, e da lontano, bisbigli tra sodali e frecciatine verbali sussurrate al suo indirizzo, palpabile distanziamento interpersonale lo fanno ormai sentire un diverso, un escluso, non etichettabile ancora a norma di legge, questo sì, ma certamente collocato in una sorta d'inquadramento politico/ideologico d'intrinseca divisività non dissimile da quella (al netto della violenza fisica, al momento e per fortuna, scongiurata) dei momenti più conflittuali e bui della nostra storia patria. Il nostro caro Giovanni non sa, ne può sapere, se lo scenario che si dipana al momento sotto i suoi occhi sia stato soltanto un caso del destino ovvero un qualcosa di auspicato, voluto, cinicamente organizzato e messo in atto, ma nulla può distoglierlo dal prendere atto della più esplicita delle evidenze e cioè di come - ammesso e non concesso che si sia mai voluto, da parte di qualcuno, rivoltare il mondo come un calzino - l'esperimento sia perfettamente riuscito e stia cominciando a dare i frutti sperati. Antonino Provenzano Roma, 01/12/2021

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TV SPAZZATURA: SI SALGUARDINO ALMENO I MINORI I FATTI Sabato 4 dicembre: Rai1, programma di prima serata "Ballando con le stelle", in onda sin dal 2005 e caratterizzato da un ottimo share. Oltre al formato classico, che vede dei personaggi famosi in gara tra loro supportati da ballerini professionisti, vi è anche una gara tra giovanissimi, a volte poco più che bambini. Nella serata in questione vi è un talentuoso ballerino di danza classica, sui dodici-tredici anni, Leonardo D'Onofrio, contrapposto a una bimba con qualche anno in meno, che si esibisce con un balletto pretenzioso, assolutamente incomparabile per forma, stile e contenuto con l'eccellente esibizione della sicura futura étoile. Il voto, però, premia la bimbetta, figlia di una protagonista storica del programma, Sara di Vaira, presente in sala. Un cosa sconcia e disgustosa, che tra l'altro vede più vittima la vincitrice, letteralmente massacrata sui social. Non sono solito guardare i programmi generalisti trasmessi dalla RAI e Mediaset, ma sono stato invitato a occuparmi della faccenda da vecchi amici ballerini, che hanno condiviso con me stupendi momenti quando organizzavo eventi legati allo showbiz. MESSAGGIO INVIATO A LEONARDO "Caro Leonardo, approfitto della bacheca (Facebook, N.d.R.) di Mamma per salutarti affettuosamente e complimentarmi con te per il tuo talento. Sicuramente, con genitori così bravi e attenti, hai ricevuto già ottime lezioni e sai che la vita è un grande imbroglio e la televisione esaspera in modo pazzesco tutte le distonie del genere umano. Ti invito caldamente, pertanto, non solo a non crucciarti, ma ad essere addirittura felice per l'eliminazione. La gara, infatti, non aveva alcun senso sotto qualsivoglia punto di vista ed è molto meglio, quindi, che si sia lasciato spazio alla bimbetta che ha fatto quattro saltelli, con mamma che lavora nel programma, dato sul quale non vale nemmeno la pena fare commenti. Considera quei minuti che ti sono stati offerti, pertanto, esattamente per ciò che valgono: una vetrina per mettere in mostra il tuo talento, già corroborato da uno stile espressivo e da una personalità che sono più che eloquenti e lasciano facilmente presagire un futuro pregno di grandi successi e grandi soddisfazioni. A vincere questa sera, credimi, ci avresti perso in dignità. Quella dignità che invece hanno perso i giurati... per quel che può valere: loro non sono nessuno e già da molto tempo annaspano nei piani bassi di quel pozzo senza fondo nel quale precipita chiunque si presti ai giochi sporchi.


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Tu sei già "grande" e si vede. Aspetta, quindi, di confrontarti con chi sia realmente degno di misurarsi con te. Dei giurati del programma non ti curare proprio: stanno alla danza come un Tavernello annacquato da un oste disonesto sta a un Amarone Riserva Speciale. In gamba e buona vita". MESSAGGIO INVIATO ALLA MAMMA DELLA VINCITRICE "Gentile Sara, sono vecchio e navigato e nulla più mi stupisce... capisco il cuore di mamma, ma mi chiedo come mai non abbiate pensato, voi tutti del programma, che esporre tua figlia in quel modo avrebbe determinato il suo massacro sui social. Le avete fatto solo del male e questa è una colpa imperdonabile, che vede senz'altro autori, giurati e conduttori del programma come principali responsabili, ma alla quale nemmeno tu puoi sottrarti perché ti saresti dovuta opporre con fermezza, soprattutto ben conoscendo il livello artistico di Leonardo". MESSAGGIO INVIATO AI DIRIGENTI RAI (RIMASTO SENZA RISCONTRO) PRESIDENTE CDA RAI - DOTT.SSA MARINELLA SOLDI - AD RAI - DR. CARLO FUORTES - PRESIDENTE COMM. VIGILANZA RAI - SEN. ALBERTO BARACHINI - DIRETTORE RAI 1 - DR. STEFANO COLETTA "Gentili dirigenti, i vostri ruoli e la vostra esperienza non necessitano di particolari lungaggini nell'esporre lo squallido episodio verificatosi ieri sera, nel corso del programma "Ballando con le stelle": la figlia di un'affermata ballerina che lavora da anni nel programma è stata messa in competizione con un talentuoso ballerino di danza classica, conquistando il diritto di partecipare alla finale riservata ai giovanissimi. Un doppio imbroglio così palese di cui è rimasta vittima più la vincitrice, massacrata nel web insieme con mamma, autori, giurati e altri membri del programma, che lo sconfitto, beneficiato da decine di migliaia di complimenti, apprezzamenti e incitamenti. Quanto accaduto è molto grave sotto qualsivoglia punto di vista: siamo tutti abbastanza navigati per comprendere che gli adulti non potranno mai eliminare i giochi sporchi, come la storia insegna, ma penso che ogni sforzo vada compiuto affinché da essi siano preservati i minori e i bambini, almeno fino al momento in cui non cresceranno abbastanza per comprendere le distonie del genere umano. Su quanto accaduto non si può glissare perché altrimenti avremmo superato, e non di poco, il limite oltre il quale si precipita davvero in un baratro senza fondo. Adoperatovi con tutta la vostra autorevolezza, pertanto, affinché sabato prossimo si ponga rimedio in qualche modo a quella che si può definire solo come una grandissima schifezza. Porgere le scuse al ballerino Leonardo D'Onofrio è il minimo che si possa chiedere, inducendo la conduttrice del programma a dichiarare, serenamente e senza giri di parole, che è stato commesso un errore nel mettere a confronto un ballerino di danza classica (per giunta di altissimo livello!) con una bimbetta che ha fatto quattro saltelli di ginnastica, portata alla vittoria solo perché figlia di Sara Di Vaira. Sarebbe il caso, comunque, di trovare una soluzione che consenta anche a Leonardo di partecipare alla finale, sempre che a lui, a questo punto, interessi.

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Altro non serve aggiungere nella consapevolezza che, una volta postovi il problema, troverete senz'altro il modo migliore per risolverlo. Un cordiale saluto". Ovviamente, com'era ampiamente prevedibile, il tutto è rimasto lettera morta e il sabato successivo nessuno ha fatto più cenno alla squallida vicenda. Ne parliamo su questo magazine, che da sempre sollecita il rigore comportamentale e il rispetto della meritocrazia, affinché un domani, Leonardo, quando guarderà i trofei degnamente conquistati, potrà rileggerlo sorridendo, pensando a un tempo lontano nel quale ha dovuto far i conti con tanti infami, trovando però anche tante brave persone che lo hanno sostenuto e incoraggiato ad andare avanti. Lino Lavorgna


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CONSIDERAZIONI SULLO STATO ATTUALE DELLA PANDEMIA SARS-COV-2 Caro Direttore, vorrei fare con lei alcune riflessioni sulla base dei dati attualmente a nostra disposizione avvalendomi anche di strumenti alquanto desueti come il cosiddetto "common sense" o buon senso e l'altrettanto comune pensiero logico. Stiamo attraversando un difficile momento: il prolungarsi della pandemia nonostante l'arrivo dei vaccini e, anzi, la ripresa dei contagi ha creato divisioni e contrapposizioni tra "bande" di "eletti" e "untori", divisioni purtroppo alimentate da improvvide dichiarazioni di esponenti di rilievo della comunità scientifica e della politica, spesso oltretutto amplificate a dismisura dai media giornalistici e televisivi. La Paura, il Conformismo e il complesso del "Puer/Senex" di James Hillman dominano potentemente anima e corpo della maggior parte della popolazione (nel saggio "Puer Aeternus" il puer, ovvero il popolo, rimuove profondamente l'idea che il senex, ovvero l'Autorità possa tradirlo e non perseguire sempre e comunque il suo bene; la sola idea che qualcosa di così orribile possa verificarsi viene negata e sepolta nelle profondità dell'inconscio). Uno dei "leitmotiv" recentemente in voga consiste nel definire la cosiddetta "quarta ondata" un'epidemia dei non vaccinati. Già molti osservatori hanno criticato questo approccio osservandone la pericolosa divisività e la sostanziale scorrettezza motivata dai numerosi studi che hanno dimostrato una sostanziale capacità di infettarsi ed infettare anche per i vaccinati con doppia dose con gli attuali vaccini "genici". Io vorrei approfondire ulteriormente il discorso con un argomento che finora non è stato - a quanto mi risulta - preso in considerazione. Supponiamo per approssimazione che ad un 85% di vaccinati si contrapponga un 15% di irriducibili non vaccinati; data l'ormai ampia e duratura circolazione del virus e delle sue principali varianti, dovremmo considerare che un'ignota percentuale di costoro sia già venuta in contatto con il virus anche solo in modo asintomatico o paucisintomatico, oltre ovviamente ai guariti da forme sintomatiche. Questi soggetti - come indicato da molteplici studi (uno per tutti lo studio di J. Turner, Nature, 24/05/21 o lo studio australiano di G.E. Hartley e coll., Science Immunology, 18/12/20) - saranno più o meno difesi da nuove infezioni e malattie in base al titolo anticorpale sierologico e all'entità dell'attivazione della memoria immunitaria dovuta ai linfociti B e T di memoria situati nel midollo osseo. Ciò vuol dire che una discreta parte di questi soggetti sarà in pratica immune, ma quanti sono? Non lo sappiamo, ma vista l'ormai lunga compresenza con il virus (anche nella sua variante delta) possiamo supporre che tale numero non sia trascurabile; il Dr. Aaron Kheriaty (Brownstone

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Institute 24/11/21) riferisce una stima del 50/60% di popolazione naturalmente immune negli USA (molti dei quali quindi sottoposti a vaccinazione pur essendo già immuni per via naturale); in India uno studio a campione ha rilevato una percentuale di naturalmente immuni del 75%. Ritorna qui la questione della scarsa (e incomprensibile) sottovalutazione o del tutto assente valutazione della immunità naturale dei guariti, la quale - ricordiamo - è stata storicamente uno dei principali fattori determinanti la fine delle antiche pandemie (in totale assenza di ogni vaccino). Kheriaty cerca spiegazioni a questa posizione dei CDC (Centers of Desease Control): il timore che molti ricerchino l'infezione piuttosto che il vaccino oppure l'idea che cercare gli anticorpi nel sangue complichi e ritardi la campagna vaccinale e induca molti a non vaccinarsi. La risposta è che ognuno sia libero (a proprie spese) di quantificare il proprio stato immunitario (anche con il test dei linfociti T di memoria oltre al dosaggio degli anticorpi) e decida liberamente di vaccinarsi o meno. Quanto ai "passaporti vaccinali", essi dovrebbero essere convertiti in "passaporti immunitari". Infine, qualche maligno potrebbe pensare che riconoscere l'importanza dell'immunità naturale potrebbe mettere in discussione le politiche volte a rallentare la diffusione virale (i blocchi di vario genere) e a rivalutare invece la strategia proposta a suo tempo (ottobre 2020) dai firmatari della Great Barrington Declaration. In realtà in Italia sarebbe possibile farsi un'idea almeno approssimata del peso di questo fattore andando a studiare il titolo di anticorpi anti Sars-Cov2 in un campione rappresentativo di soggetti non vaccinati in varie città della penisola (sull'esempio dello studio indiano di cui sopra). Se la numerosità del campione fosse significativa si potrebbe estrapolare il dato "% di soggetti immuni non vaccinati" al totale della popolazione non vaccinata e ciò darebbe conto più realisticamente della situazione e del reale rischio di contagiare o essere contagiati per quanto attiene ai soggetti non vaccinati. Concludo questo argomento facendo riferimento all'autorevole appello del prof. Guenter Kampf igienista dell'università di Greifswald, pubblicato su The Lancet il 20/11 scorso: "stigmatising the unvaccinated is not justified" ovvero: stigmatizzare i non vaccinati non è giustificato. Lo stesso autore aveva già pubblicato un' esauriente disamina della questione dal titolo: "This is Not a Pandemic of the unvaccinated" ovvero: questa Non è una pandemia dei non vaccinati" sul sito del Brownstone Institute il 29/10/21. Credo che le considerazioni del prof. Kampf dovrebbero essere lette attentamente dai nostri decisori politici. Temo però che, piuttosto che affrontare il problema in modo scientifico e serio si continui a prediligere affermazioni terroristiche e divisive, andando alla ricerca di un capro espiatorio come nelle peggiori tradizioni della storia delle epidemie, dalla "Storia della colonna infame" in poi. Ma almeno si sappia che le cose potrebbero stare in modo diverso e forse molto diverso. Veniamo ora a questa "quarta ondata". Il tasso di positività è in crescita in tutti i paesi dell'emisfero boreale confermando la nota influenza della stagionalità sulla contagiosità virale. Ma vediamo che gli aumenti si stanno verificando anche in paesi con alta percentuale di vaccinati con doppia dose (Irlanda, Islanda, Israele, Gibilterra, UK, Germania, Austria) e gli stessi vaccinati


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non sono immuni da contagi e malattia (anche se spesso più lieve). Accade che la protezione vaccinale reale non eccede generalmente i 4/6 mesi, in particolare verso la variante delta ormai dominante. E accade che possa diffondersi tra i vaccinati una falsa sensazione di sicurezza che porta al venir meno della necessaria prudenza in luoghi chiusi e affollati (anche se frequentati solo da vaccinati e possessori di "passaporto verde"). Se poi il suddetto "passaporto" si fa valere 12 mesi quando la protezione vaccinale effettiva non pare superare i 6 (4 per Astra Zeneca secondo un recente studio della università svedese di Umea, in pubblicazione su The Lancet) ecco che il rischio di contagio - anche solo tra vaccinati - potrebbe essere significativo. Conclusione dei discorsi appena fatti: epidemia di non vaccinati, ma anche (e forse soprattutto in questa fase) di vaccinati. Che fare dunque ora con un nemico così insidioso e sfuggente? Alcuni studiosi, fin dall'inizio di questa brutta storia, avevano esplicitato le difficoltà della messa a punto di un vaccino efficace contro un virus a RNA capace di elevata capacità di mutazione nei suoi determinanti antigenici. Purtroppo sembra che siano stati buoni profeti. Gli esperti di HIV (il virus dell'AIDS) hanno da sempre auspicato e perseguito verso questo virus una strategia combinata: terapie antivirali anche multiple associate ad un vaccino. Dopo molti anni di incessanti ricerche le terapie ora ci sono, il vaccino ancora non c'è. Vediamo ora la situazione dei vaccini anti-Sars-Cov-2 disponibili nei nostri paesi: la loro efficacia appare purtroppo transitoria e in particolare ridotta verso la variante delta, tanto che la stessa Pfizer ha ufficialmente comunicato di stare predisponendo un vaccino riprogrammato verso delta (al momento non ancora disponibile). Dunque è documentato un problema di calo di efficacia, sia per calo nel tempo del titolo anticorpale, sia per una parziale e forse troppo debole memoria immunitaria, sia per l'emersione di varianti che sfuggono, almeno in parte, ai vaccini. Alcuni autori poi, ipotizzano una possibile compromissione - nei vaccinati - della immunità naturale a seguito del fortissimo stimolo immunitario "specifico". Se davvero fosse così (non risulta al momento dimostrato) i vaccinati si ritroverebbero, dopo alcuni mesi, in una situazione addirittura peggiore rispetto ad individui mai vaccinati! Vi è poi l'importante aspetto "sicurezza" sul quale presto potremmo avere dati più significativi visti i dati statistici man mano più completi (vedi lo studio molto recente ed esaustivo della Fondazione Hume del prof. Mario Menichella) e gli studi anatomo-patologici in corso in Germania (prof. P. Schirmacher, Università di Heidelberg e prof. A. Burkhardt e W. Lang, Istituto di Patologia di Reutlingen). Dai primi risultati di questi studi autoptici sembra emergere, per le gravi reazioni avverse post-vaccinali, un meccanismo patogenetico di tipo immunologico (estese infiltrazioni linfocitarie di vari organi e tessuti - tra cui cuore, cervello, fegato, reni e gonadi - come si osserva nelle più gravi malattie autoimmuni). Ciò renderebbe conto del minor rischio per le fasce di età più alta e quindi del miglior rapporto rischio/beneficio negli anziani (l'inverso varrebbe per giovani e giovanissimi, data la loro maggior reattività immunitaria). Un'attenta analisi dei dati del VAERS americano (farmacovigilanza passiva, quindi con dati molto sottostimati rispetto ad una attiva) evidenzia -

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sommando gli effetti di tutti i tipi di vaccini dagli anni '90 ad oggi - la comparsa di un altissimo picco di eventi avversi gravi nel 2021 rispetto agli anni precedenti. Un secondo grafico sembra suggerire un possibile nesso di causalità tra vaccini "genici" e decessi temporalmente correlati ad essi. Esso rappresenta, giorno per giorno, il n. di decessi segnalati nel primo mese dopo la vaccinazione: se la correlazione fosse casuale e solo temporale osserveremmo un n. di eventi molto simile dal giorno 1 al giorno 30 (l'altezza degli istogrammi risulterebbe grosso modo equivalente essendo equivalente la probabilità di una correlazione esclusivamente temporale e casuale). Ebbene si osserva invece una concentrazione di eventi nella prima settimana dopo la vaccinazione con brusco calo nei giorni successivi. Ciò indica chiaramente la presenza di un fattore causale che agisce prevalentemente nella prima settimana, mentre in seguito prevale una correlazione di tipo temporale. Il prof. Schirmacher ha stimato - sulla base della sua casistica autoptica - che un 30/40% delle segnalazioni di decessi correlati a vaccinazione sia realmente causato da quest'ultima. Ciò si tradurrebbe in molte migliaia di morti ovunque siano in uso questi prodotti "genici". Sono in corso esami immunoistochimici per rilevare la presenza della proteina spike virale nei tessuti esaminati. La presenza di questa proteina nei tessuti lesi sarebbe prova inconfutabile di un suo ruolo diretto (e quindi di questi vaccini "genici") nella dinamica dei decessi. Sarebbe inevitabile trarre le dovute conseguenze anche da parte degli Enti regolatori dei farmaci (FDA, EMA, AIFA). O no? Ricordiamo infine come il profilo di sicurezza di un vaccino non possa equipararsi a quello di un qualsiasi altro farmaco. I farmaci si somministrano a malati, con distribuzione più o meno diluita nel tempo e nello spazio. E' possibile assumere in questo caso un rischio maggiore in vista dei possibili benefici. Un vaccino si somministra a un enorme numero di persone - sia sane che malate e di qualsiasi età - in tempi brevi e pressoché ovunque e quindi non è il caso di assumere rischi troppo alti. E' chiaro come il loro profilo di rischio debba essere di gran lunga migliore e diverso da qualsiasi altro farmaco. Paragonare perciò i rischi da vaccino a quelli enumerati sui foglietti illustrativi di un farmaco come l'aspirina (come fatto pubblicamente persino da esimi colleghi) è assolutamente improprio e sostanzialmente sbagliato. Da un punto di vista teorico possiamo osservare come la tecnologia basata su RNA messaggero sia molto interessante e promettente per lo sviluppo di terapie innovative verso malattie rare e di difficile o finora impossibile trattamento (malattie congenite, tumori etc). Promettente anche l'uso per lo sviluppo di nuovi vaccini, ma nel nostro attuale caso si possono fare due tipi di obiezione: la prima concerne l'uso come immunogeno di un antigene virale (la proteina S o spike) che è sì la chiave di ingresso del virus nella cellula, ma che - al tempo stesso - risulta non essere di per sé priva di attività biologica e che addirittura sembra in grado di riprodurre da sola, in modelli animali, la maggior parte dei sintomi clinici del virus. Si tratterebbe dunque di un importante fattore patogenetico del virus stesso in grado di produrre lesioni sia attraverso attivazione anomala della coagulazione a livello del microcircolo, sia attraverso la messa in moto di reazioni


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autoimmuni a carico di vari organi e tessuti. Viene da chiedersi se sia stato saggio istruire le nostre cellule, con adatto RNA messaggero, a produrre quantità industriali della suddetta proteina. La seconda obiezione è relativa al fatto di suscitare da parte del nostro sistema immunitario una reazione molto forte - è vero - ma molto specifica e limitata ad un solo anticorpo neutralizzante diretto contro un singolo antigene virale (la proteina spike, appunto). Ove infatti il virus tendesse a "sfuggire" all'attacco di questi potenti anticorpi mutando in modo significativo proprio nella proteina spike sottoposta a fortissima "pressione selettiva", avremmo una variante (tipo la delta) verso la quale la risposta dell'organismo potrebbe essere deficitaria. Diversamente da questi prodotti innovativi (e mai usati finora nell'uomo), i "vecchi" vaccini, a partire dal capostipite - ovvero quello antivaioloso di Jenner - esponevano il soggetto ad un virus intero (con tutti i suoi vari antigeni) che poteva essere "attenuato" in vario modo o "inattivato", producendo in tal modo una risposta molto ampia, valida e duratura (anche se diversa da vaccino a vaccino e tra i singoli individui). Si otteneva così una risposta costituita da un insieme di anticorpi diretti contro un insieme di antigeni virali, tale da rendere molto più difficile la "fuga immunitaria" da parte del virus nel frattempo mutato in uno solo dei suoi antigeni (ad esempio la proteina spike del Sars-Cov-2). Ma un ulteriore limite di questi prodotti "genici" sembra essere la loro insufficiente capacità "sterilizzante" in senso epidemiologico, ovvero la capacità di ridurre o interrompere la circolazione virale. Questo fattore, insieme alle difficoltà pratiche di vaccinare molto velocemente grandi numeri di soggetti, spiega ciò che stiamo vedendo in molti paesi, ovvero il mancato controllo della pandemia con importante ripresa dei contagi. Un importante e approfondito studio (S.A. Rella et al, Scientific Reports, 30/07/21) ha analizzato nel dettaglio le condizioni che possono decretare il successo o il fallimento di una campagna vaccinale: tempistica di intervento, stagionalità, velocità di somministrazione, numero di infetti all'esordio. Oltre a fattori intuitivi (ad esempio: bassa velocità di immunizzazione o vaccinazione al picco dei contagi) viene descritto un sorprendente fattore contro-intuitivo. Gli studiosi affermano che il maggior rischio di stabilizzazione di un ceppo virale resistente al vaccino si manifesta quando gran parte della popolazione è stata vaccinata ma la trasmissione virale non è sotto controllo. Sembra una situazione molto simile a quella attuale! Gli autori sottolineano in questo caso l'importanza di mantenere rigorosamente le misure di sicurezza individuali per tutti (vaccinati e non) nelle condizioni ad alto rischio di trasmissione (luoghi chiusi non areati, assembramenti etc). Anthony Fauci disse lo scorso autunno che, con l'imminente arrivo dei vaccini, in pochi mesi la pandemia sarebbe stata sotto controllo. Evidentemente non è stato così e non è così. E' urgente riconsiderare la strategia generale anti-pandemia. Molti studiosi, internazionali e italiani, consigliano una strategia combinata o "a tenaglia": associazione di terapie precoci (ora ci sono e

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altre sono in arrivo, ma su questo non mi soffermo) con vaccini dotati di maggior capacità "sterilizzante", più attivi verso le varianti virali e con miglior profilo di sicurezza: vaccini a sub unità proteiche? (Novavax e Sanofi/GSK), o vaccino a nanoparticelle+RBD? ("receptor binding protein" la porzione terminale della spike virale, dotata di immunogenicità ma atossica, sviluppato dalla Washington University) o vaccini a virus inattivato? (Coronavac) di grande sicurezza anche per bambini e donne in gravidanza - sempre che sia davvero necessario vaccinare queste categorie. Una vaccinazione di massa con gli attuali strumenti "incompleti" e "leaky" (che perdono come un rubinetto difettoso) sembra essere scarsamente efficace da un punto di vista epidemiologico (mancato controllo della pandemia, impossibilità di conseguire la cosiddetta immunità di gregge) e anche non priva di rischi, in particolare per i più giovani. Riconoscere i propri errori e correggerli sarebbe segno di saggezza e buonsenso. "Errare humanum est sed perseverare diabolicum". Tuttavia è imperativo continuare a mostrarsi positivi e ottimisti per cui io credo che, utilizzando al meglio farmaci e vaccini veramente efficaci, economici e sicuri, usciremo del tutto dalla situazione di incertezza e divisività in cui ci troviamo. La barca può ancora essere raddrizzata per entrare finalmente in porto in acque tranquille. Ma occorre cessare di alimentare odio e incomprensione tra i cittadini e piuttosto avere l'umiltà (sì, l'umiltà, questa grande dote misconosciuta) di riconoscere gli errori commessi e cambiare rotta. Per concludere con il buonsenso, una semplice considerazione che non richiede approfondite conoscenze di immunologia o biologia molecolare e che chiunque può fare propria: vediamo sempre di più illustri ricercatori, accademici, clinici, epidemiologi i quali esprimono dubbi crescenti e perplessità sulle attuali strategie vaccinali e di contrasto alla pandemia, e propongono vie e soluzioni alternative, argomentando il tutto su solide basi scientifiche. L'elenco di questi studiosi, italiani e stranieri, è straordinariamente lungo, così come l'elenco dei loro titoli. E' possibile che tutti costoro siano improvvisamente impazziti o colpiti da demenza presenile o senile? E' mai successa una cosa simile nella storia della medicina? O non potrebbe esserci qualcosa di vero nelle loro preoccupazioni e domande? La vera scienza progredisce sulla scia del dubbio e guidata dalla modestia di chi "sa di non sapere", non su certezze apodittiche e sull'arroganza dell'ipse dixit. Grazie per l'attenzione Silvio Sposito Endocrinologo, medico nucleare, scrittore


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IL GIUDIZIO DI SWEDENBORG Lui stesso non avrebbe saputo dire del dove e quando. Forse quel lampo che attraversò il cervello e lo strappò dalla vita reale. Di fatto ora si trovava alla porta del suo circolo, come era solito fare tante volte. Era un portoncino discreto su una strada poco frequentata. Ancora intontito da quel baleno che lo aveva provvisoriamente separato dalla sua usuale realtà, si trovò a pressare il campanello e, dopo alcuni istanti, comparve la nota figura del maestro di casa che, con la solita deferenza, lo fece accomodare. " Signor Barone, buonasera ". " Buonasera Filippo, ma che giorno è oggi?". " E' il 31 dicembre, signor Barone". " Ma come è l'ultimo dell'anno?". " E' l'ultimo di tutto signor Barone " rispose Filippo, con aria beffarda. Sicuro di non aver capito, il nostro non si applicò tuttavia alla ricerca del significato di quella risposta la cui decrittazione gli avrebbe imposto un impegno che il maestro di casa non avrebbe comunque meritato. "C'è gente stasera?" "Un buon numero, tutti quelli che hanno letto il più recente Bollettino del circolo, visto che oggi si è riunita la deputazione per le assegnazioni " "Deputazione?, assegnazioni? Che cavolo ne so, io il bollettino non lo leggo mai, comunque diciamo che la burocrazia ha conquistato anche queste mura". Comunque stizzito per il larvato rimprovero che percepiva nelle parole del maestro di casa, senza attendere da lui alcuna risposta per evitare che si instaurasse un inopportuno dialogo, bruscamente si sfilò dal collo una sciarpa azzurra e tolse il cappotto dal colletto di velluto blu e li porse con malagrazia al maestro di casa. "Le consiglio di tenerli, signor Barone, perché dal piano del salone, ogni tanto, specie ieri, arrivavano sferzate di gelo, da fare stridere i denti". Sempre meno capace di comprendere quell'affollarsi di moniti e di segni del tutto inusuali per una istituzione superflua, che tuttavia coltivava i suoi riti fin dal 1720 senza giustificati motivi di aggiornarli, aggiunse: "Si e' guastato il riscaldamento?". " No al contrario,funziona fin troppo bene, se ne accorgerà ".

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"Ma allora proprio non capisco - disse il Barone- ma che succede?". "Ecco perché lei è ignaro della funzione di questa sera - disse con fare conciliante il maestro di casa - lei ha ignorato il resoconto della commissione riportato nel bollettino del Circolo che ieri ha celebrato, come da programma, l'elezione dei dannati, mentre oggi tocca ai beati, infatti lei signor Barone oltre ad essere regolarmente in ritardo è anche, in modo irritante, allo scuro della sua stessa sentenza". Il Barone già da un po' si era fatto di tutti i colori sulle guance rese lisce e scarnificate dalle troppo frequenti rasature, in specie per una serata al circolo. Ansioso è confuso, senza voglia alcuna di ricevere ulteriori spiegazioni da un sottoposto, il nostro chiamò l'ascensore, abbandonando cappotto e sciarpa sulla sedia più vicina: " Ci pensasse lui" fu il suo commento risentito e muto. L'ascensore era una scatoletta mirabilmente incastrata tra gli spessì muri di quello che un tempo era un forte. Pressato il pulsante del primo e unico piano era necessario attendere alcuni minuti per raggiungere la meta desiderata. Ma l'età media dei soci rendeva sopportabile quella lunga attesa la cui alternativa sarebbe stata un centinaio di gradini. L'ascensore procedeva in un silenzio che ben si accordava con la sua lentezza e questo gettò il Barone in uno stato d'ansia mai prima provato in quella cabina che, al contrario preludeva allo sbarco al piano del salone che lo avrebbe immesso, immediatamente, nel cicaleccio dei suoi sodali. Questa volta, però, al suo comparire, i volti dei tanti amici e conoscenti si fecero strani, imbarazzati, come se d'un tratto il Barone non appartenesse più alla loro razza. Un estraneo, pensavano, un imbucato che, dopo una condanna, tentava furbescamente di mischiarsi a quei beati. Alcuni gli si accostarono e con finta accondiscendenza: "Franci, al solito in ritardo!" " Ma a te toccava ieri, e dire che i convocati eravate solo quattro, te compreso" "Ma non lo leggi il bollettino? Torna giù all'ingresso e non rovinarci la festa" E così dicendo quella schiera di beati cominciava a snodarsi, come una improvvisata processione giù per lo scalone, per raggiungere il portone su strada. Il Barone si era fatto rapire da quel flusso che, a misura che era numericamente maggioritario, sembrava assicurargli migliore destino del gruppetto dei quattro del giorno prima. Il cancello era dotato di una maniglia di ottone che ciascuno degli eletti apriva con facilita. Ma quando il nostro tentava di aprirla si accorse che la sua mano afferrava il nulla: la maniglia gli si negava. Ne'i vecchi amici lo aiutavano anzi i più gentili lo spingevano lontano dal portone, mentre i più violenti lo apostrofavano con epiteti grossolani, mai prima uditi in quelle sale. Uno ebbe la grazia di chiamarlo in disparte e il Barone gli chiese: "Chi siete, perché uscite, dove andate?" "Siamo quelli che tu conosci bene, che proprio stamane il Comitato ha convocati e per acclamazione ci ha assolti tutti.


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"Ma assolti da cosa?" Chiese con assillo il Barone. "Dal nostro egoismo che è risultato inferiore al nostro altruismo e per il fatto che, a dire del Comitato, ci siamo sempre più interessati del bello, del giusto e del buono che di noi stessi e abbiamo sempre aiutato e ascoltato il prossimo, dai nostri servitori ai nostri mezzadri, ai cugini bisognosi, ai poveri che in questa città non mancano, eccetera, eccetera " . "E ora dove andate?" "Ce ne torniamo alle nostre case, ai nostri impegni, l'altro Paradiso che costituisce lo scenario ove abbiamo sempre operato e questo durerà per l'eternità ". La parola eternità cadde sulle spalle del Barone come un macigno e al solo sentirla barcollò . "E io cosa c'entro con voi?" Chiese all'amico del quale aveva cominciato a temere la sincerità. "Tu ieri sei stato condannato al tuo Inferno: un inferno senza fuoco, bestie sataniche tridenti o oscurità come gli stupidi rappresentano sulla terra (allora Dante! pensò il Barone che subito si accorse che si stava distraendo, forse per farsi coraggio) "ieri il Comitato ha rilevato in te l'assoluta mancanza di carità, disponibilità verso i bisognosi, un amore verso il bello di marca auto assolutoria, insomma l'esatto opposto che ha rilevato per noi beati. Vedi infatti come ti è negata l'uscita dal circolo" "E per quanto tempo?" Chiese il Barone sperando in una lieve condanna. "Ma per sempre, non capisci, per l'eternità." "E che ci faccio io qua dentro per sempre? "Continuerai a frequentare i tuoi istinti, senza redenzione. Questo inferno te lo sei costruito da solo lungo tutta la tua vita e ora durerà per sempre e la condanna sarà il cercare di sapere perché hai meritato questa sorte a partire da oggi, 31 dicembre, giorno nel il quale finisce tutto, finisce per tutti il tempo." Fausto Provenzano

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IL SAGGIO DI PASQUALE TRABUCCO: “L’OMBRA DELLA VITTORIA” Nell'ambito delle manifestazioni dedicate al Milite Ignoto, si è tenuto, presso il Circolo Nazionale di Caserta, un convegno per la presentazione del libro scritto dal tenente Pasquale Trabucco: "L'ombra della vittoria - Il fante tradito", edito da "Albatros". L'evento è stato organizzato dalla locale sezione della "Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d'Italia", in collaborazione con il "Festival della Vita". Il presidente regionale dell'UNUCI, generale Ippolito Gassirà, ha svolto le funzioni di moderatore e ha ricordato, in un'articolata prolusione, il costante impegno profuso nel promuovere importanti iniziative culturali nonostante la terribile pandemia che, da circa due anni, condiziona la vita di tutti gli esseri umani. Entrando poi nel vivo dell'argomento oggetto dell'incontro, ha illustrato dettagliatamente i punti salienti del saggio, suddivisi in tre sezioni. La prima, dedicata al vissuto del tenente Trabucco, riporta le esperienze giovanili negli Scout, gli studi, l'impegno militare; la seconda, di carattere prettamente storico, affronta le tematiche della Grande Guerra, definita "una guerra di popolo" e narrata mettendo in risalto soprattutto la tragedia di un popolo che, per la prima volta, fu coinvolto nel suo insieme in un evento bellico e vide soprattutto le donne impegnate nel duro lavoro di supporto, sostituendo nelle fabbriche gli uomini chiamati alle armi; la terza parte, invece, sia pure con continui e importanti riferimenti a quel tragico periodo bellico, è dedicata all'impegno profuso per ridonare al 4 novembre la dignità di festa nazionale. Dopo i saluti del "padrone di casa", Emilio di Benedetto, della dottoressa Maria Rosaria Pizzo (Festival della Vita) e del colonnello Pasquale Antonucci, in rappresentanza dell'avvocato Carlo Marino, sindaco di Caserta, ha preso la parola l'autore, che ha citato numerosi aneddoti relativi alla lunga marcia a piedi attraverso il Paese, effettuata per sensibilizzare l'opinione pubblica sul nobile proposito teso a porre rimedio all'ignominiosa legge del 1977, che sancì l'abolizione della festività con motivazioni solo strumentalmente giustificate dall'austerity. Con voce ferma e senza tanti giri di parole, Pasquale Trabucco ha ricordato il "tradimento della politica" nei confronti degli italiani che hanno immolato la propria vita per la Patria, in quella che è stata la prima guerra totale del genere umano: "La politica ha tradito. Io so di poterlo dire, non in senso partitico ma per la politica nel suo insieme, perché in quarantacinque anni, dal 1977 a oggi, abbiamo avuto trentacinque governi composti da tutti gli schieramenti, di destra, di centro, di sinistra. Ciò che dobbiamo capire, quindi, è la motivazione, che non può essere di natura economica perché nel 1985 verrà ripristinata l'Epifania e nel 2000 la festività del 2 giugno. La


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motivazione, quindi, è di natura prettamente politica e si configura come un grosso errore". Proseguendo nel suo accorato discorso, Trabucco ha fatto riferimento alle feste nazionali di altri Paesi, che sin dalla loro istituzione rappresentano un momento di vera unità, citando come esempio tanto il 14 luglio francese, sopravvissuto all'impero, alla monarchia e alla repubblica, quanto la festività statunitense del 4 luglio, che indusse gli eserciti in lotta durante gli anni della guerra civile a sospendere i combattimenti proprio in quel giorno perché, al di là delle momentanee divisioni tra nordisti e sudisti, quella data li accomunava in modo indissolubile. "Noi stiamo perdendo le nostre radici - sostiene Trabucco - e siamo un popolo che non sa riconoscersi in quella che è la vera festa di tutti gli italiani" Al toccante intervento di Trabucco ha fatto da eco quanto asserito, nella replica, dal generale Gassirà: "Io, per esempio, non sono d'accordo sulla data del "25 aprile". Perché? Perché a Caserta c'è stata la firma della resa tedesca, ma il 29 aprile! Questa data, quindi, non ha una valenza storica ai fini della conclusione della guerra. Se questa è la realtà che dobbiamo accettare, va anche detto che presso l'Università di Santa Maria Capua Vetere, in collaborazione con quella del Molise, sin dal 2005 è in atto un progetto teso a riscrivere la storia che riguarda la provincia di Caserta". Analoghi concetti sono stati espressi dal generale Massimiliano Quarto, comandante della Brigata "Garibaldi": "Noi vestivamo l'uniforme il 25 aprile, il 2 giugno e il 4 novembre. Il 4 novembre è l'unica festa che unisce. Non voglio parlar male delle altre due ma, se facciamo una riflessione, sul 25 aprile ci sono ancora delle divisioni; anche sul 2 giugno ci sono ancora delle divisioni. Tra queste tre feste, l'unica che abbia veramente unito l'Italia, da nord a sud, è il 4 novembre. Questo forse può essere un elemento di riflessione per le nostre priorità politiche, perché noi siamo soldati, continuiamo a esserlo fino alla fine, ma crediamo nel primato della politica in quanto è lì che si esprime la volontà del popolo. Il popolo, però, va motivato, va solleticato, va spinto a ragionare su queste cose. Il coinvolgimento del popolo nasce dal coinvolgimento delle scuole, dei ragazzi, dei giovani. Sono il nostro futuro! Ho detto più volte che se non conosciamo il nostro passato non abbiamo futuro e il futuro è rappresentato da loro. Ripristiniamo la festa, quindi, ma non trasformiamola in un punto rosso sul calendario affinché i ragazzi si sveglino e si concedano una scappatella nei centri commerciali, invece di andare a onorare i caduti o di impegnarsi in qualche lezione di storia. Ecco, mi piacerebbe celebrare il 4 novembre in questo modo, con ragazzi che vadano a scuola per sentire parlare della storia d'Italia, in particolare di quella "Grande Guerra" che ha unito il popolo italiano. Vadano a scuola e imparino cosa rappresenti il Milite Ignoto, perché ancora non lo sanno, nonostante i tanti sforzi compiuti proprio in questi ultimi tempi per celebrare il centenario della traslazione della salma all'Altare della Patria, ivi compresa la "fiction" recentemente trasmessa in TV. Sì alla festa, quindi, ma che sia un momento di partecipazione che coinvolga soprattutto i giovani, piuttosto che una mera occasione per non andare a lavorare, facendo diventare tutti ancora più agnostici". Parole, quelle dei tre relatori, che hanno toccato il cuore e l'anima dell'autore di questo articolo,

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presente al convegno nelle sue vesti di vicepresidente provinciale dell'Associazione Nazionale Bersaglieri, presidente della sezione "ANB di Caserta" e responsabile della comunicazione "UNUCI Caserta", da sempre impegnato in una "rivisitazione generale della storia" (non solo quella locale, quindi), protesa a "fare seriamente i conti con il nostro passato". Compito non certo facile perché bisogna smontare il gigantesco castello di menzogne artatamente costruito dalla storiografia ufficiale, facendo attenzione - soprattutto perché espressione di apparati militari - a non urtare la sensibilità di tante persone che, in perfetta buona fede, portano nel cuore personaggi capaci di imporsi al cospetto della storia come giganti mentre, nella realtà dei fatti, si sono dimostrati di infima qualità umana e professionale. Personaggi che, se trovano riscontri oggettivi in ogni secolo, raggiungono numeri pazzeschi proprio nelle due guerre mondiali. Da convinto sostenitore dell'iniziativa caparbiamente portata avanti da Pasquale Trabucco, pertanto, non posso che concludere questo articolo spingendomi ancora oltre, affinché il 4 novembre si trasformi da "Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate nella "vera festa nazionale" del popolo italiano, acquisendo quindi una valenza più nobile e significativa di quella tributata al 25 aprile, in modo da superare definitivamente le anacronistiche contrapposizioni e consentire di marciare, mano nella mano e con il sorriso sulle labbra, verso un futuro di pace e prosperità, all'insegna del Tricolore. Lino Lavorgna


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STEFANIA MELANI SI RACCONTA Dipingere non è un'operazione estetica: è una forma di magia intesa a compiere un'opera di mediazione tra questo mondo estraneo e ostile e noi. Pablo Picasso Sei / Istintivo / Risveglio / All'amore... / Tocchi / Il polso / Dell'anima.. (Stefania Melani) In questo clima di Arte sentito profondamente fin dentro l’anima io elaboro i miei dipinti, le mie grafiche, le mie poesie. Il contributo immenso ed intenso della natura esalta il mio desiderio di fare Arte, di vivere Arte, di respirare Arte. Trovo infinite ispirazioni nelle bellezze del creato e riesco a comunicare con loro attraverso una costante crescita ed osservazione minuziosa, paziente e amata. Trovare i punti di incontro fra me e la natura è il più bel gioco artistico che io possa desiderare, prima di creare un nuovo dipinto …lo immagino, lo vedo con gli occhi dell’anima e lo elaboro in una fascia di fantasia che stendo difronte a me nell’immaginazione. Solo dopo che tutto ho filtrato “ dentro “ inizio il lavoro. Sul quadro LE BETULLE SUL LAGO (nella foto): Qui siamo di fronte ad un olio su tela dai colori caldi autunnali. Un quadro che vive nella mia memoria del cuore, ricco di emozioni e di ricordi indimenticabili ed indescrivibili. Siamo in un autunno già vissuto, con il fascino che questa stagione ha sempre esercitato ed esercita su di me ….rivivo un periodo magico della vita, il periodo della giovinezza. La natura anche se siamo vicini all’inverno appare in festa. Il rosso dominante la accende e la scalda di una strana allegria, di qualcosa di impercettibile ma importante che si riversa sulla tela… Le betulle si allineano sulla sponda del lago e nel ricordo, sembrano riprendere vita… Il terreno varia da un giallo ocra al ruggine al rosso, inventandosi sfumature magiche impresse nel cuore e nel dipinto, per sempre. FRIDA Kahlo ebbe a dire a suo tempo: “Dipingo i fiori per non farli morire.” Ecco la stessa cosa faccio io con gli alberi, le stagioni e quei momenti particolari dell’esistenza che restano indelebili nella memoria.

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Filtro i miei sentimenti, i miei desideri, le mie visioni reali e dell’anima e poi mi accingo a dipingere. Il lago, un piccolo lago di un giardino grande, vivo sempre dentro di me, rifletteva la gioia dell’autunno e dell’’età, nel fondo del paesaggio ci sono nascosti come dentro uno scrigno giornate di leggerezza giovane e spensierata. Si spaziava senza nessuna sollecitudine, senza il pesante fardello di vivere…ed il dipinto rende, nelle fronde che riempiono il cielo, questo tempo. L’arte ci riporta tempi vissuti, ci crea tempi desiderati da vivere, tutto ci permette l’Arte con la sua mano taumaturgica. Oggi si sono scoperti i benefici dell’Arte, della bellezza, e si parla in campo scientifico dell’Arte terapia, è molto vero e molto giusto servirsene per rialzare l’uomo, è un aiuto immenso. Tra “ guarigione “ ed “ immaginazione “ c’è un rapporto profondo e si è ormai capito e dimostrato che lasciando liberi di tessere campi personali di evoluzione, anima e corpo possono entrare creando, a far parte di un processo espressivo fondamentale di ripresa e vita. Una storia interiore, di chi si cerca e vuole cantarsi, di chi ha bisogno di ritrovarsi nell’espressività poetica, nella creazione artistica, per fissare un’identità che difficilmente riesce a chiarirsi, non si risolve in questo, ma rinvia a un illimitato – oltre la finitezza delle cose – testimoniando la grandezza e la maestria di un’autrice. Attraverso la poesia: le montagne, i fiumi, la terra, i fiori, gli alberi, le rocce, le strade. In questa scelta, la sua poesia si accosta certamente al realismo tipico pur tuttavia separandosene nel suo perpetuo scavarsi dentro, che estrapola le essenze della propria intimità cercando disperatamente un valore divino, quasi mistico, nella sua tendenza all’altrove. Una liturgia, quella che volta a permettere il rivelarsi del senso non solamente della propria interiorità ma anche dei dettagli, che vuole salvare dall’ombra. La dichiarazione della sua anima. Caterina De Luca. Artista, critica d’arte. A tutti voi un cammino di arte e di serenità. Stefania Melani


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NUOVO LIBRO DI GIANFREDO RUGGIERO La nostra visione essenzialmente etica e spirituale della vita ci porta a considerare la natura come parte integrante dell'universo, dove tutte le sue componenti tendono a compenetrarsi in un unico grande equilibrio, senza sopraffazioni e violenze gratuite. Condividiamo la concezione Olistica e Organica dell'uomo che lega corpo, spirito e anima secondo l'insegnamento di Aristotele (il tutto è maggiore delle sue parti, afferma il maestro). Lo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali per fini economici, il progressivo depauperamento della natura per disinteresse e incapacità dei governi e l'indifferenza generalizzata verso tutto ciò che non genera profitto, sono elementi tipici di una società di stampo liberalcapitalista che si alimenta di consumismo e genera affarismo, che produce bisogni e brucia valori, che impoverisce le menti e spegne gli entusiasmi. Noi vogliamo invece una società viva, orgogliosa e consapevole della propria civiltà millenaria che rispetta il suo ambiente, che non rinnega nulla del suo passato ma che, al contrario, sa trarre dalla sua storia insegnamento e prospettive. Una società giovane e dinamica, proiettata al futuro, ma ancorata alle proprie radici. Una società che vede nell'ambiente non una risorsa da sfruttare, ma un bene da tutelare. Per noi essere ambientalista significa rigettare quella concezione materialista dello Stato basata sulla preminenza assoluta dell'economia sulla politica e che vede nella difesa dell'ambiente un fastidioso ostacolo al progresso. Al centro della società non poniamo l'uomo o il cittadino di illuministica memoria con i suoi egoismi e interessi particolari, ma la comunità, la Patria e la Nazione che si identificano nello stato. Come siamo contrari alla discriminazione razziale, allo stesso modo rigettiamo ogni forma di sfruttamento nei confronti di qualunque essere vivente, umano e non umano che sia e ci fa sorridere, al riguardo, la posizione della sinistra ambientalista che contesta la vivisezione e, nel contempo, manifesta a favore dell'aborto e della sperimentazione genetica sugli embrioni umani e condivide il mercimonio dell'utero in affitto, dimostrando in questo modo amore per gli animali e disprezzo per gli umani. Ma, si sa, la coerenza non è mai stata il loro forte. Condividiamo la preoccupazione per i cambiamenti climatici in atto, ma rigettiamo con forza la presunzione che sia l'uomo a determinarli o che possa controllarli. Da quando si è formata la terra oltre quattro miliardi di anni fa, il nostro pianeta ha subito ben quattro glaciazioni, l'ultima, quella di Würm, avvenuta appena 110 milioni di anni fa, e tra una glaciazione e l'altra il clima ha

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subito profonde cicliche trasformazioni, passando da temperature polari, che hanno visto la scomparsa di molte specie animali e vegetali, a climi torridi che hanno desertificato parte del pianeta, passando per periodi intermedi come quello attuale. Pensare che l'uomo possa controllare il clima, come sostengono coloro che vedono nella transizione ecologica una grande opportunità economica, o addirittura stabilire di quanti gradi debba essere abbassata la temperatura della terra è pura illusione. Solo persone affette da delirio di onnipotenza, o che hanno ben altre finalità, possono illudersi di modificare il corso della natura nelle sue grandi trasformazioni. La terra non ha bisogno di essere salvata, si salva da sola. Un'energica scrollatina, come è accaduto più volte in passato, o una ennesima glaciazione e si riparte con nuovi equilibri. Quello che invece possiamo e dobbiamo fare è ridurre l'inquinamento atmosferico che avvelena l'aria che respiriamo. Questi e altri argomenti legati al complesso rapporto tra uomo e natura sono approfonditi nel libro di libro di Gianfredo Ruggiero, "Ecologia Sociale". Disponibile a breve. Circolo Culturale Excalibur Varese


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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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