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Brusca: lo Stato ha avuto bisogno di lui

Graziella Proto

Pro e contro di una legge che crea tante polemiche e tanti elogi. È la legge che ha voluto fortemente Giovanni Falcone – la legge sulle collaborazioni dei cosiddetti pentiti di mafia – che ha trovato applicazione solo dopo la sua morte. La beffa? Il fatto che ad usufruirne per la prima volta sia proprio Giovanni Brusca, cioè colui che quel 23 maggio 1992 azionò il tasto che causò l’esplosione della bomba. Ne parliamo col dottor Sebastiano Ardita, componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Più di cento, meno di duecento, per usare le sue stesse parole. Ovviamente omicidi. Giovanni Brusca ai giudici di tutta Italia che lo ascoltavano, durante la sua collaborazione ha raccontato che ha compiuto più di cento ma meno di duecento delitti. Efferati. Rumorosi. Disumani. Feroci… aggiungiamo.

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Brusca, “u verru” cioè il porco, o meglio ancora “scannacristiani” è un mafioso feroce e crudele. Durante le sue dichiarazioni ha confermato e si è addossato anche la strage di Capaci. Sicuramente sulle sue dichiarazioni e sulla sua scarcerazione ci sarà stato chi ha brindato, ma moltissimi non gli perdonano il suo impegno e la sua fantasia nella crudeltà. In modo particolare l’aver premuto il tasto in quel tratto di autostrada e soprattutto la ferocia con cui ha ucciso il piccolo Di Matteo. Il papà del ragazzino aveva iniziato a collaborare e questo, sia scannacristiani che tanti altri suoi simili o meno, non glielo potevano permettere. Gli uccidono il figlio per farlo desistere, ma a Brusca ucciderlo non bastava, ha avuto una bella idea… scioglierlo nell’acido. Porco.

Foto di Giuseppe Di Matteo durante la prigionia

Da ciò che è venuto fuori dalle sue dichiarazioni si è di fronte a un Brusca che racconta, qualcosa sugli esecutori, nulla sui mandanti delle stragi, si autoaccusa di tante nefandezze. Un Brusca che mette le cose a posto? Per alcune forse sì, per altre no. Parte della sua collaborazione con la giustizia sembrerebbe avvolta da molte ombre. Brusca, sebbene abbia fatto luce su tanti fatti e misfatti secondo alcuni, avrebbe tutelato il suo tesoro, confiscato solo in parte. Sicuramente ha scoperchiato diverse pentole e questo è importante. Lo Stato applicando la legge sui pentiti deve mantenere il patto. Tu collabori, io ti vengo incontro. Permessi premio e liberazione anticipata. È la legge! E una legge ci voleva, per scardinare, smontare, incidere sul sistema criminale. I più giovani non lo ricordano, ma in passato, oltre e prima di Buscetta ci fu un altro caso eclatante di un pentito, si chiamava Leonardo Vitale, svelò i veri intrighi di mafia e politica, fu subito spedito al manicomio criminale e poi ucciso. Oggi c’è un suo cugino che lo vorrebbe santo perché il pentimento fu reale, forse di coscienza e di fede, ma questa è tutta un’altra storia. Tuttavia Vitale oggi lo si ricorda per il fatto che allora non c’era una legge, nessuno credeva alle cose che raccontava, lo Stato non ne fece patrimonio. “I collaboratori vanno portati nella condizione di fare una scelta che è difficilissima in quanto comporta per sé e per la famiglia molte restrizioni” –ha detto Sebastiano Ardita, intervistato da una tv locale a Catania. I collaboratori danno un contributo non marginale per quanto riguarda temi ardenti, pericolosi, deflagranti: rapporti fra mafie e Stato, mafie e istituzioni, mafie e potere. Ecco perché molti di quelli che oggi gridano allo scandalo per la liberazione di Brusca sono gli stessi che temono i pentiti.

La scarcerazione di Brusca è stata ed è ancora una notizia che fa impressione, suscita reazioni emotive e viscerali profonde, in buona o in malafede. Per i pentiti abbiamo tutti la puzza sotto il naso, ma senza i pentiti lo Stato avrebbe avuto gli stessi risultati?

“Il caso di Brusca rappresenta davvero una situazione al limite, perché per i delitti che ha commesso e specialmente per ciò che ha fatto al piccolo Giuseppe Di Matteo non può essere mai accettato dalla pubblica opinione il fatto che riacquisti anzitempo la libertà. Purtroppo, da addetti ai lavori sappiamo che ciò avviene perché è una legge che lo stabilisce. Lo Stato ha avuto bisogno di lui e degli altri pentiti e adesso loro riscuotono ciò che lo Stato si era impegnato a riconoscere loro per la collaborazione. Detto

questo è anche vero che da molto tempo sembra che le collaborazioni con la giustizia non interessino più. La legislazione non le incoraggia e l’esecutivo non le persegue, mentre Cosa nostra fa di tutto per impedirle”.

Subito dopo il pugno allo stomaco però, chi crede nello stato di diritto razionalizza e orienta la propria riflessione a favore della legge – che forse avrebbe bisogno di qualche aggiustamento – ma molte persone semplici prese dalla rabbia invocano la pena di morte per i mafiosi. Quale sarebbe una via di mezzo?

“La pena di morte non fa parte degli strumenti di una democrazia liberale. Ma anche il carcere, nella nostra tradizione italiana, è costruito sul modello della reintegrazione e del recupero piuttosto che essere ispirato a finalità di vendetta sociale. Ed è un bene che sia così. Il problema è che troppo spesso non solo la pena non è effettiva né proporzionata, ma anche il suo concreto svolgimento non porta a un reale cambiamento di personalità. E dunque al danno del ritorno a delinquere si unisce la beffa di una mancata punizione. Dobbiamo lavorare ad un carcere civile che rieduchi e reinserisca nella società, senza sconti né elusioni”.

Comunque, di fronte al Brusca che torna in libertà, molti continuano a gridare allo scandalo, e molti di costoro sono gli stessi che chiedono o appoggiano la liberazione dei mafiosi ergastolani che non hanno mai collaborato con la giustizia né hanno alcuna intenzione di farlo. Per non parlare della ipocrisia dei politici che pur dichiarandosi scandalizzati per la scarcerazione di Brusca, nel frattempo, cominciano a modificare la legge sull’ergastolo ostativo. Stomachevole.

Quello che “puzza e fa strano” – ha dichiarato recentemente Antonio Ingroia – per quanto riguarda la scarcerazione di Brusca, è dato dal fatto che la politica mai si era fatta sentire come in questo periodo. “Perché solo con Brusca? Perché lui ha parlato del papello e della trattativa stato-mafia”.

Foto Franco Lannino/ Studio Camera

Foto Franco Lannino/ Studio Camera

Foto Franco Lannino/ Studio Camera

Foto Franco Lannino/ Studio Camera

Anche se a tanti fa venire la bava alla bocca è giusto che lo Stato mantenga i patti fatti col pentito che collabora… ma la possibilità di concedere a boss mafiosi condannati all’ergastolo, che abbiano già scontato 26 anni di pena, la libertà condizionale, senza bisogno di collaborare con la giustizia?

“Questa sarebbe la più pericolosa delle possibilità, ma non vedo molti che si indignano. Mentre invece per Cosa nostra l’opportunità di aggirare certezza della pena ed ergastolo senza la via della collaborazione rappresenta una opportunità più unica che rara di questi tempi”.

Giusto parlare di umanità, dignità… recupero dei carcerati (per i delinquenti di una certa caratura criminale non è molto credibile), ma la certezza della pena?

“La certezza della pena nel nostro paese è molto relativa. È giusto dare una seconda opportunità a chi sbaglia una volta, ma molto spesso anche dopo la terza e la quarta si continua a consentire di eludere la effettività delle sanzioni penali. Detto ciò umanità e dignità della persona sono principi irrinunciabili, ma qui la rinuncia riguarda semmai il dovere dello Stato di punire e rieducare”.

E però che eredità pesante questa di Giovanni Falcone, ancora oggi, da morto, ci mette con le spalle al muro e ci impone di riflettere non solo col cuore e in modo viscerale ma anche (dopo la rabbia e l’indignazione) con razionalità e in maniera distaccata sulla legge per la quale ha tanto lavorato perché ci credeva lui e tanti altri magistrati onesti e impegnati. Quello che pensa la gente semplice e libera sulla scarcerazione di Brusca… è umano. È viscerale. È legittimo. Ma le leggi sono leggi – per tutti – bisogna rispettarle o impegnarsi politicamente per cambiarle.

Potremmo mai pensare che Giovanni Falcone che ha voluto fortemente questa legge sui pentiti e le collaborazioni avrebbe voluto sconti per i mafiosi che non hanno alcun voglia di collaborare con la giustizia?

“Lo Stato… Lo Stato”

DALLA RETE… per ricordare

La strage di Capaci fu un attentato di stampo terroristicomafioso compiuto da Cosa nostra il 23 maggio 1992 nei pressi di Capaci con una bomba composta da 500 kg di tritolo, per uccidere il magistrato antimafia Giovanni Falcone.

Il 23 maggio 1992, il giudice Falcone stava tornando a casa da Roma, come faceva solitamente nel fine settimana, insieme alla moglie Francesca. Partito da Ciampino con un jet di servizio intorno alle 16:45, atterra all’aeroporto Punta Raisi di Palermo dopo un volo di 53 minuti. Qui trova ad attenderlo 3 Fiat Croma blindate con la scorta. Falcone si mette alla guida della Croma bianca. In macchina con lui ci sono la moglie e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza. La macchina di Falcone è preceduta da una Croma marrone, con gli agenti Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, e seguita da una Croma azzurra con gli agenti Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Le auto prendono l’autostrada, dirette verso Palermo. Alle 17:58, al chilometro 5 della A29, nei pressi dello svincolo di Capaci- Isola delle Femmine, il sicario Giovanni Brusca aziona una carica di cinque quintali di tritolo, che era stata posizionata in una galleria scavata sotto la strada, e provoca l’esplosione. Vittime dell’attentato il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Gli unici sopravvissuti furono gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.