Spettabile Redazione su NOTIZIE GIORNALE LAICO MODENESE

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di

LA TRAMA CELA L’ANALISI DELLA NOSTRA ATTUALE SOCIETÀ

FU GUGLIELMO MARCONI IL SUO INVENTORE E NON ALEKSANDER POPOV

Un'educazione sentimentale

La vera storia della radio

Il romanzo breve di Dafne D’Angelo introduce il lettore in un’atmosfera di inclinazioni psicologiche tese alla realizzazione di desideri interiori. L’ambiente è quello giovanile, che si muove in funzione a volte di fumose sollecitazioni estetiche e talvolta per consapevoli propositi. Il tutto ruota intorno alla soddisfazione dei sentimenti d’amore. Non è nemmeno estraneo il fatto di non riuscire a cogliere fino in fondo l’occasione che si presenta, o soltanto s’intravvede, nell’evoluzione rallentata del tempo. Infatti, il momento dell’anno è quello a ridosso dell’estate, in una località poco distante dal mare, configurata da elementi naturali, che richiamano il Meridione. Si assiste, inoltre, a una descrizione comportamentale, molto ligia alle convenzioni e omologata in relazione ai dettami della moda e alle abitudini giornaliere. Su questo aspetto l’autrice mette in luce un’attenzione in parte distaccata e in parte condivisa dai personaggi, tra i quali prevale l’elemento femminile. Perciò, volendo attribuire al romanzo una classificazione, lo si potrebbe definire un bildungsroman, cioè un romanzo di formazione, nel quale si descrive il Dafne D’Angelo percorso compiuto dalla giovane protagonista per giungere a Non c’è pace tra i mattoni conoscere il mondo che la circonda e a individuare la propria Edizioni Montag, 2013 identità psicologica. E le vicende qui narrate costituiscono un intreccio, o per meglio dire, un nodo da sciogliere, prima che la protagonista riesca a fissarsi in una propria identità. L’impostazione narrativa è sorretta e condotta da Megan, una ragazza che, in prima persona, come io narrante, osserva e descrive l’ambiente che la circonda. Non sono presenti descrizioni di paesaggi naturali, ma soprattutto l’attenzione è rivolta alle persone che ella frequenta o che osserva nella cerchia ristretta di un paese o di una piccola città. In primo luogo Megan si sofferma a considerare con una punta quasi di disgusto il comportamento inusuale di Manuele, già nell’incipit definito in maniera assoluta: “Manuel non era”. Ed è infatti un tale atteggiamento, fuori dalla consuetudine giovanile, che mette in gioco il progressivo tentativo della protagonista di entrare in contatto con il giovane. Ma come succede tra i giovani alle prime esperienze, in un’età uscita da poco dall’adolescenza, il percorso si rivela di non facile realizzazione. A rendere poi più complesso l’approccio interviene l’amica Viola, che a sua volta ha messo gli occhi su Manuele. La superiore bellezza di Megan tuttavia non sempre si rivela vincente in competizione con Viola, “un tipo che non si nota”. Infatti, l’oggetto del loro desiderio si muove incerto in ambedue le direzioni, riuscendo nella realtà dei rapporti amorosi a far cancellare nelle ragazze l’idea di debolezza, d’inconsistenza fisica e di movimenti rilassati, quando pensano alle sue passeggiate sulla piazza (“Gironzolava a spalle in giù per la piazza, ma non sembrava di certo intento a contare i mattoni marroni della pavimentazione”). Solo verso la fine si definiscono i rapporti, non più occasionali e di breve durata, ma nella prospettiva di una scelta consapevole. Dapprima un riconoscimento sul piano identitario delle azioni compiute in passato, poi una libera individuazione del proprio essere. Tutto ciò viene esposto nella forma di un riconoscimento finale, in cui il passato si distacca finalmente e definitivamente dalla persona di Manuele. Sulla piazza egli non passeggia più in solitudine e con un incedere incerto e stentato, ma, conscio della recente esperienza vissuta, si accinge a trascorrere lì la propria esistenza insieme a Megan. Il luogo si configura, inoltre, secondo i contorni definiti dall’immaginazione, dentro a progetti che cancellano il conformismo precedente. Finalmente un mondo creato a propria immagine senza interferenze esterne, al punto che la piazza sembra popolarsi di “iguane da spiaggia”. E la metamorfosi viene a concentrarsi nel ciuffo di capelli e negli occhi penetranti di Manuele (“quegli occhi mi tagliavano l’anima”).

C’è ancora chi non lo considera il padre della radio! Stiamo parlando di Guglielmo Marconi, l’eminente scienziato autodidatta bolognese il cui nome è legato a una delle più straordinarie invenzioni di tutti i tempi: la radio. In Russia si insegna tuttora e si pubblica in numerose pagine web che il fisico Aleksander Popov ha inventato la radio un anno prima di Marconi: è il retaggio della celebrazione del 7 maggio 1945, quando nel teatro Bolshoi di Mosca, alla presenza delle massime autorità sovietiche e di scienziati dell’Accademia delle Scienze dell’URSS, fu commemorato un fantomatico “Cinquantesimo Anniversario dell’Invenzione della Radio”. Nel resto del mondo quella celebrazione fu ignorata perché la ricorrenza del vero 50° anniversario dell’invenzione doveva tenersi nel 1946: la data ufficiale del brevetto Marconi, quella che attesta inequivocabilmente l’invenzione della telegrafia senza fili, è, infatti, il 2 giugno 1896. A sgomberare il campo da ogni equivoco e a ricollocare le cose al posto giusto ci pensa questo libro uscito nel 2008 e ora di nuovo in libreria. Ne è autore Lodovico Gualandi, classe 1926, un radioaLodovico Gualandi matore che ha fatto parte dell’équipe tecnica dell’Eiar e della Rai La radio e ha prestato servizio negli studi radiofonici delle stazioni traLibri Sandit, 2008 (in ristampa) smittenti a onda media. Attraverso una ricerca molto approfondita e di notevole rigore scientifico, Gualandi ci presenta tutta la ricca documentazione tecnica che ha indotto gli storici più qualificati a riconoscere l’assoluta priorità di Guglielmo Marconi nell’invenzione della radio. L’autore dimostra con estrema chiarezza, riportando schemi e particolari costruttivi, che l’apparecchio realizzato da Popov nel 1895, fatto credere per oltre un secolo da scienziati e storici come il radioricevitore che avrebbe preceduto quello brevettato da Marconi, non era altro che “un segnalatore di scariche atmosferiche”. “Solo con il sistema ingegneristico inventato da Marconi e solo con la sua rigorosa indagine sperimentale”, scrive Gualandi, “si poteva parlare di nascita della radio e di sviluppo immediato delle radiocomunicazioni e dell’elettronica”. Le apparecchiature marconiane erano in grado di sfruttare la partecipazione della superficie terrestre alla guida delle onde elettromagnetiche secondo la curvatura della Terra, rendendo possibile la trasmissione e la ricezione dei segnali radio anche oltre gli ostacoli naturali. Era una sfida a tutti i più illustri scienziati dell’epoca, a cominciare dal matematico francese Jules Henri Poincaré (1854-1912), che continuavano a ribadire l’assoluta impossibilità del superamento della curvatura del globo da parte delle onde elettriche. Marconi era tenace e non si dava mai per vinto, persuaso com’era che con il suo sistema avrebbe reso possibile le comunicazioni via radio a distanza di migliaia di chilometri. Presentò ai suoi consiglieri una relazione per dimostrare la riuscita del primo collegamento transoceanico e replicò scherzosamente a Poincaré che il 12 dicembre 1901, giorno del primo collegamento fra Europa e America, “il globo terracqueo non poteva essere diventato piatto”.

Roberto Fiorini

Il libro che Raffaello (Lello) Pedrazzi ha dedicato alla moglie Iole Mezzacqui – scomparsa di recente – è molto di più della rievocazione di una storia d’amore, per quanto bella, profonda e lunga come la loro. 55 anni di amore autentico e di armonia coniugale, 3 figli (Luigi, Marco e Laura), cresciuti in completa e proficua comunione e compartecipazione, una totale sintonia di sentimenti che neppure la morte è riuscita a scalfire, anzi, che ha rafforzato ancora di più. Desta invidia questa famiglia: una sana invidia, dettata dalla difficoltà dei nostri tempi di poter emulare un simile modello. Ma, come dicevamo, il libro è anche qualcosa di più e di diverso: nel contesto e nello sviluppo della storia d’amore e familiare con Iole, Raffaello cala anche la propria personale storia esistenziale e professionale. Però, sempre, non sovrapponendola o imponendola su quella d’amore, ma inserendola in essa, come se il suo destino fosse stato quello di incontrare lei e, una volta incontratala, di poter svolgere e concretizzare al meglio le proprie occasioni e vocazioni di realizzazione anche individuale. Tanto può la serenità coniugale per chi, Raffaello Pedrazzi come Raffaello e Iole, ha questa idea “alta” della coppia e della Noi due insieme siamo una forza famiglia. Il libro diventa anche il racconto di come le vite di queEdizioni Il Fiorino, 2014 sti due ragazzi, incontratisi e innamoratisi a Modena agli inizi degli anni cinquanta, siano andate intrecciandosi, e non marginalmente, con le vicende sociali, politiche, politiche ed economiche degli ultimi 60 anni, il tutto dall’osservatorio privilegiato di Milano, dove insieme quasi immediatamente si trasferirono per mai più allontanarsi. È a Milano che Pedrazzi, occasionalmente nato a Modena – dove si è laureato in Giurisprudenza – ma piemontese di origine (Pedrazzi è il cognome del marito della madre), ha realizzato tutta la sua importante carriera lavorativa ricoprendo via via ruoli sempre più prestigiosi, fino a quelli di dirigente e direttore generale specializzato in marketing, in alcune delle più importanti aziende italiane e multinazionali come ENI, Unilever, Corriere della Sera, Rizzoli, Zegna e altre ancora. Nel corso di queste attività ha conosciuto da vicino molti imprenditori di primo piano fra cui Enzo Ferrari, Giulio Maria Crespi, i fratelli Rizzoli, i fratelli Zegna, i fratelli Panini di Modena, Silvio Berlusconi, e di tutti racconta episodi personali. A Modena, oltre che con Edizioni Panini, Pedrazzi ha lavorato in ruoli sempre di rilievo con Unione Industriali, Banca popolare Emilia-Romagna, Banco San Geminiano, Annovi e Reverberi, Camera di Commercio. Senza dimenticare, nei primi anni della giovinezza, una promettente carriera come cantante nella New Emily Jazz Band. Fu in quegli anni, e in quella veste, che Raffaello notò e fu notato dalla bellissima Iole, figlia e sorella degli antiquari modenesi Mezzacqui. Si incrociarono lungo i viali del Parco: lui era sulla sua Vespa 125, lei in bicicletta…

UN (SEMISERIO) DIARIO DI BORDO IN DIRETTA DAL PRESS OFFICE

Gioie e dolori del mestiere di addetto stampa Il libretto cita nel titolo l’incipit di milioni di lettere spedite dalla coppia di addette stampa ai giornali in anni e anni di carriera. Tra aneddoti divertenti, come il giornalista che pretende un’intervista con il regista senza curarsi del fatto che questi sia morto da anni, e richieste inverosimili, come quelle di modificare la situazione meteorologica per facilitare le riprese in esterno, il volumetto scorre veloce e ironico trasformandosi in un (semiserio) diario di bordo in diretta dal press office. “Il mestiere dell’addetto stampa”, spiegano le autrici, “è molto misconosciuto. Spesso ci capita di sentire parlare indifferentemente di comunicati stampa, conferenze stampa e rassegne stampa come se fossero la stessa cosa”. Ma, ovviamente, così non è ed è per questo che Balbiano e Franceschetti si sono ricavate una parentesi letteraria nel loro “fantastico delirio quotidiano” per mettere nero su bianco le regole del media relation, tra galateo e fair play. Un lavoro multitasking fatto di relazioni, discrezione, disponibilità e velocità. Un lavoro per equilibristi, dato che la tanto sospirata “libera professione” in realtà Maria Grazia Balbiano necessita di una gran quantità di coraggio, spirito di sacrificio Marta Franceschetti ed eclettismo (ma è anche possibile trovarsi a comunicare il Spettabile Redazione mondo circense). “Senza clienti non si esiste”, spiegano, “ma Cartman Edizioni, 2013 cercare un committente se si parte da zero non è uno scherzo e richiede una lunga gavetta che, per certi versi, non finisce mai”. Lo scritto ripercorre così stralci della lunga carriera professionale delle autrici aprendo un buco della serratura attraverso il quale sbirciare nelle redazioni dei giornali più blasonati e nelle agende delle addette stampa, con molte indicazioni teoriche sulla professione. “L’ABC è utile”, concludono, “ma è solo con il lavoro sul campo che si impara sul serio ed è per questo che vorremmo insinuare curiosità e attenzione per un mestiere che, troppo spesso, è considerato una professione ‘fine e che non impegna’ mentre, in realtà, è complessa e molto delicata”. F

Franco Barbieri

LA STORIA DI UNA COPPIA DI RAGAZZI DEGLI ANNI CINQUANTA

Quasi 60 anni di vita, amore e lavoro

Nunzia Manicardi


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