"Modernità all'italiana. Origini e forme dello spettatore globale" (G. P. Caprettini)_Premessa

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Gian Paolo Caprettini

Modernità all’italiana Origini e forme dello spettatore globale

CARTMAN


Premessa Verso lo spettatore globale C’è un’unità d’Italia che non ha una precisa datazione, che non presenta riferimenti strettamente storico-politici ma che è di tipo etnico-culturale, antropologico, persino geografico e che, per certi aspetti, risale forse alla varietà delle culture italiche che hanno preceduto il dominio di Roma. Quando poi ci si affaccia alla modernità, la svolta è proprio da collocare intorno agli anni della nostra unità nazionale e politica, tra 1861 e 1915: le innovazioni tecnologiche, nei trasporti e nella comunicazione, dalla diffusione della stampa giornalistica all’arrivo del cinematografo, dall’illuminazione a incandescenza nelle città ai primi voli aerei, sull’orizzonte dell’affermazione di nuove ideologie e di nuove esigenze e sensibilità sociali, determinarono l’affiancamento anche traumatico del passato accanto al nuovo, delle tradizioni accanto alle invenzioni: pensiamo, ad esempio, alle prime vetture a motore che assomigliavano a carrozze semoventi o ai primi circuiti delle corse automobilistiche che si effettuavano negli ippodromi. Si presenta dunque tutta una serie di piccole e grandi rivoluzioni simboliche, dovute sicuramente a varie cause, dai nuovi ordinamenti scolastici alla diffusione dei media via etere, che avrebbero preparato, ad esempio, il passaggio dal suddito politico al suddito mediatico, e l’intreccio tra governanti e miti, attraverso molteplici sconvolgimenti epocali che, al tempo stesso, hanno visto la conquista, e le ridefinizioni, della democrazia. Nella prima parte di questo testo ho potuto individuare una serie di passaggi significativi, precursori di tante realtà contemporanee ma anche segnalatori di archetipi e costanti del nostro popolo-nazione. Soltanto a posteriori, devo confessarlo, mi sono reso conto che il filo rosso che stavo seguendo, nel labirinto multiforme dei fenomeni mediali, consisteva nell’individuare all’interno di un nostro dna, alcuni tratti specifici che dobbiamo appunto alla modernità e che, nella loro contraddittorietà, potessero salvare parte della nostra memoria-identità in tempi di inarrestabile globalizzazione. Nella seconda parte, teorica, mi sono mosso nell’iconosfera, soprattutto italiana, tra fotografia, cinema e media, per tentare di focalizzare, sull’orizzonte delle scoperte e degli avvicendamenti tecnologici, le esigenze del visibile, le tecniche, gli elementi dissonanti e le aspettative insite nell’espe-

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rienza comunicativa, da quelle più nettamente artistiche a quelle connesse con il bisogno di condividere tempi e spazi ma comunque tutte investite di ideazione, progettualità e applicazione di competenze. Per certi versi si potrebbe parlare di un processo che porta allo “spettatore globale” e che in questo libro inizia con lo sguardo esplorativo di un ragazzino, la piccola vedetta lombarda, sul campo di battaglia; continua con quella speciale disponibilità che ormai guida la regina Margherita di Savoia a incrociare con gli occhi il suo pubblico; e ancora, nella cinematografia di Alessandro Blasetti, incontra la cosiddetta Contessa di Parma che scende le scale sapendo di essere ammirata; e poi, tra i vari gesti visivi, intercetta Kirk Douglas che guarda in macchina e la diva (Sophia Loren) in mezzo agli operai che la attorniano (e che si sanno “voltare”, verso di lei ma anche verso l’apparecchio che li fotografa), sino ai paradossi televisivi, ecc. Insomma, la modernità di cui stiamo parlando inizia con la consapevolezza di essere osservati e di divenire sia soggetti di un’immagine che resterà sia oggetti di un’opinione degli altri, di una visibilità mediata che verrà diffusa e resa nota a chi non ha partecipato direttamente ai fatti. Perfino la satira politica illustrata, fin dalle sue origini, è possibile soltanto in un mondo dove il politico viene osservato, ritratto, fotografato, altrimenti come sarebbe possibile realizzare, e rendere efficace, una caricatura di un soggetto che rimanesse all’oscuro? La politica nell’era della visibilità, e poi dell’immagine, è sicuramente una politica che si è impoverita perché si è resa prigioniera di opinioni fuggevoli, di miseri pettegolezzi, di intercettazioni. Ma un risultato positivo della modernità è anche quello di aver avviato una democrazia che debba sostenere la prova del farsi vedere, del mostrarsi in pubblico – un pubblico prima principalmente teletrasmesso e ora raggiunto e radunato nel network della rete. Ho in mente una foto di un mio idolo di gioventù, John Fitzgerald Kennedy, che tiene, siamo nel 1961, un comizio in piedi su una sedia circondato da una ventina di spettatori improbabili ma lui, convinto propugnatore delle proprie tesi, è certo che quei pochi rappresentanti del country folk valgano – una volta messa in circolazione la notizia e l’immagine del comizio – tanto quanto un tradizionale rito elettorale. L’analisi delle storie e le considerazioni teoriche cercano dunque di afferrare, prima ancora che di capire, le ragioni di una spettatorialità diffusa, oggi planetaria, che ha reso l’utente-spettatore artefice egli stesso di immagini e, al contempo, loro diffusore. Sembra quasi, ormai, che il privato sia ciò che viene esibito e che viene richiesto agli altri di condividere mentre il

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pubblico sia diventato, invece, il luogo dell’insinuazione, delle ipotesi sconcertanti e avventate. Vedremo… Nel condurre le analisi ho privilegiato alcune serie concettuali del tipo semiosfera/iconosfera/atmosfera, visibilità/testualità, confine/frontiera, comprensione/traducibilità, simbolo/tecnica, relativismo/contestualità, distanza/prossimità, ordinarietà/spettacolarizzazione – anche nelle varianti comiche e trasgressive della carnevalizzazione; tutto questo sia per ridisegnare i termini di un dibattito sia perché occuparsi di testimonianze ed esperienze mediali non voglia dire disgiungerle dalle condizioni storicoculturali di riferimento che contribuiscono a fissarne limiti e attendibilità. Tutto ciò anche per valutare, da un lato, capacità di immaginario e adeguamento rispetto a nuove tipologie di trasmissione del senso, dall’altro, rispondenza a criteri condivisi di (ricerca della) verità. G. P. C.

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