La voce silenziosa n. 39

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RIVISTE

Non dicere ille secrita abboce


© Cartman Edizioni 2013 Cartman Edizioni c.so M. d’Azeglio, 102 – 1026 Torino (Italia) tel./fax +39.011.6638685 +39.0118905849 www.cartmanedizioni.it – libricartman@gmail.com ISBN 13: 9788889671436 Impaginazione grafica: Giorgio Cordeschi Ideazione grafica di copertina: Ave Appiano In copertina: Paul Klee, Farbtafel, 1930 (elaborazione grafica di un dettaglio) Finito di stampare nel mese di giugno 2013


LA VOCE SILENZIOSA dell’Istituto dei Sordi di Torino

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numero a cura di Enrico Dolza

CARTMAN


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INDICE

Sordità plurale Enrico Dolza

7

Nascere sordi oggi: come il progresso tecnologico puo’ influire sulla disabilità Diego Di Lisi e Patrizia Consolino 13 Il Progetto NETWORK CIAO

35

Auditory Verbal Therapy: principi, tecniche e strategie Laura Maria Pagliero

39

Protesi acustiche e impianti cocleari: cosa è cambiato nel progetto abilitativo del bambino sordo? Leonarda Gisoldi 43 I fonemi diventano canzoni Gemma Loi, Alessandro Loi

49

“Il Campus” estivo dell’Istituto dei Sordi Gemma Loi, Patrizia Pozzi

55

I laboratori del “Giardino dei Sensi” all’Istituto dei Sordi: acquisizione di competenze professionali e stimolazione linguistica nei ragazzi sordi complessi Marianna Luca, Patrizia Pozzi 61 Logogenia e Logopedia: come integrare le competenze per migliorare la comprensione scritta dello studente sordo Elisa Franchi e Debora Musola 71

5


ItaGliamo (una parola sbagliata, per gioco!) Felicia Todisco

91

Il linguaggio: un oggetto naturalmente culturale Donata Chiricò

97

Altri sguardi, sguardi altrove: luoghi, persone e fatti dell’Istituto on the road

105

6


SORDITÀ PLURALE Enrico Dolza1

Se si guarda alla storia dell’educazione dei sordi si ha la sgradevole sensazione che le cose siano destinate a cambiare più o meno ogni cento anni, quasi si fosse vittima di cicli lunghi all’incirca un secolo. Tutto cominciò nel 1778 con l’apertura della prima scuola pubblica per sordi del mondo, quella di Parigi, voluta dall’abate De L’Epée, il cui metodo era apertamente orientato all’uso della Lingua dei Segni. Da Parigi il metodo gestuale si diffuse in gran parte d’Europa, Italia compresa, dove ha imperato pressoché indiscusso per circa un secolo, esattamente fino al 1880, anno del ben noto Congresso di Milano. Con il 1880 si apre un secolo, almeno formalmente, di oralismo puro, in cui gli Istituti per Sordi si posero come obiettivo principale la demutizzazione dei bambini sordi e in cui la lingua dei segni venne bandita dall’istruzione. Ma anche il periodo d’oro del metodo orale puro, o metodo tedesco come veniva anche chiamato allora, era destinato a soccombere al ciclo dei fatidici cento anni. Le avvisaglie della tempesta che si stava per abbattere sull’oralismo cominciarono a farsi vede negli anni sessanta del ’900 con gli studi pioneristici di William Stokoe sull’American Sign Language2, il cui riflesso sì è poi visto pochi anni dopo anche in Italia con le fondamentali ricerche di Virginia Volterra (1981)3 e di Grazia Attili e Pio Enrico Ricci Bitti (1983)4. Con gli anni ’80 dunque la Lingua dei Segni venne riscoperta, valorizzata, studiata, riconosciuta, proposta come strumento educativo e riabilitativo indispensabile. Si stava aprendo un nuovo ciclo secolare, un nuovo regno della lingua dei segni, destinato a durare forse fino al 2080? Tutto pareva propendere per una risposta affermativa, se non fosse che proprio in quegli stessi anni veniva brevettato 1

Coordinatore dell’Istituto dei Sordi di Torino

2 Stokoe, W. Sign Language Structure: An Outline of the Visual Communication Systems of the American Deaf, L’Aia: Mouton, 1960 3

Volterra, V. I segni come parole: la comunicazione dei sordi, Torino: Boringhieri, 1981

4

Attili, G. e Ricci Bitti, P. (a cura di) I Gesti e i Segni, Roma: Bulzoni, 1983

7


negli Stati Uniti il primo impianto cocleare. La paternità della creazione del primo impianto cocleare è attribuita ufficialmente ad Adam Kissiah, impiegato presso il Kennedy Space Center della Nasa, che nel Dicembre 1977 ottenne il rilascio del brevetto numero 4063048 e dello stesso anno è anche il primo impianto multicanale della Med-el5, tuttora una delle maggiori imprese costruttrici di impianti. L’impianto cocleare avrebbe cambiato la storia della sordità. Con l’avvento dell’impianto, con la sua evoluzione tecnologica e soprattutto con la possibilità di effettuare impianti in età pediatrica e sempre più precocemente, è stato il concetto stesso di sordità ad essere messo in discussione. Per la prima volta la sordità smetteva di essere pensata come una condizione esistenziale immutabile, di cui al massimo fosse possibile solo limitarne gli svantaggi e le conseguenze. Per la prima volta la sordità diventava qualcosa di superabile, di riparabile, di cancellabile, perché l’impianto sembrava essere in grado di restituire l’udito, un udito praticamente normale. Che poi il passaggio dall’udito al linguaggio non sia sempre così scontato, né automatico, questa è un’altra storia, spesso equivocata o sottovalutata, coscientemente o no. È un fatto che l’impianto ha anche rotto il ciclo secolare di alternanza tra oralismo e lingua dei segni. Questo lo si vede molto bene anche nel piccolo spaccato offerto dall’analisi dei nostri servizi. Sul finire degli anni ’90 l’Istituto aveva un’offerta formativa molto tradizionale, e morente: quello della scuola speciale. C’era una situazione cristallizzata al secolo d’oro dell’oralismo 1880-1980: un piccolo mondo di piccoli sordi, in un ambiente formalmente oralista e di fatto segnante. Sordità severe, profonde, nessun impianto, poche protesi, tanti figli di sordi. Una situazione che di certo non poteva durare, sia per gli orientamenti pedagogici sempre più pervasivi nella società italiana a favore dell’integrazione scolastica degli studenti disabili nella scuola di tutti, sia per l’avvento delle nuove tecnologie, di cui l’impianto cocleare era l’avamposto più esplosivo. Ben presto, negli stessi anni, non a caso, l’Istituto aprì i propri servizi agli studenti sordi frequentanti le scuole del territorio, offrendo la propria professionalità a Comuni e Consorzi di Comuni e mettendo a disposizione educatori professionali specializzati nell’assistenza alla comunicazione e all’autonomia. È molto interessante notare l’evoluzione, in un lasso relativamente ristretto di tempo, della tipologia di utenza seguita da questi due principali servizi dell’Istituto. 5

8

Fonte: http://www.medel.com/it/about-med-el/


Il semiconvitto: Anno

Numero alunni

Segnanti

Oralisti

1998

35

35

0

2006

45

42

3

2013

29

21

8

2018

?

?

?

Ancora relativamente al semiconvitto, incrociando altri dati: Anno

Numero (stranieri)

Di cui Impianti

Di cui Plurih

Età

1998

35

0

4 (0,11)

3-11a: 16 12-18: 19

2006

45

1

14 (0,31%)

3-11a: 20 12-18: 23

2013

29

6

9 (0,31%)

3-11a: 7 12-18: 22

Questi dati mostrano chiaramente alcune dinamiche irreversibili: da un lato il numero dei semiconvittori, che era sostanzialmente stabile negli anni ’90, cresce nei primi anni del nuovo millennio ancora sotto l’impulso di un generale sostegno ai progetti di bilinguismo italiano-lingua dei segni, successo peraltro confermato anche da quello di analoghi progetti in altre parti d’Italia nello stesso periodo. Ma con il diffondersi degli impianti cocleari in modo sempre più capillare e sempre più precoce, inizia il declino della necessità per molti studenti sordi di usare la lingua dei segni come strumento riabilitativo ed educativo. E in questo modo le richieste per il semiconvitto dell’Istituto, da un lato si riducono drasticamente, dall’altra cambiano. Aumentano gli stranieri e i bambini con pluriminorazione, specchio dei loro diversi e più ampi bisogni, anche di natura assistenziale; rassicurati dall’apertura delle scuole interne anche ai bambini udenti del territorio, arrivano studenti con impianto cocleare e famiglie che fanno scelte oraliste, inizialmente di fatto assenti.

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Ma d’altronde, che l’intero sistema dei servizi per la sordità fosse in un fermento capace di produrre cambiamenti epocali, lo si vede ancor meglio nei progetti educativi territoriali. Dati relativi ai servizi educativi territoriali. Anno Scolastico

Numero utenti

PROTESI

IMPIANTO

N

%

N

%

SCARTO%

2005/06

129

103

79,8%

26

20,2%

//

2009/10

144

94

65,3%

50

34,7%

14,5

2012/13

148

94

63%

54

36%

15,8

Anche qui incrociando altri dati, si ottengono interessanti informazioni aggiuntive: Età

N.

Con Impianto

Segnanti

Di cui figli/parenti di sordi

Di cui pluriminorati

0-6

24

14 (58%)

3

3

/

6-11

36

16 (44%)

4

2

2

Questi dati mostrano una tendenza chiarissima: il numero di impiantati, è in continua, costante, irreversibile crescita, soprattutto nella prima infanzia. Esiste ancora un forte squilibrio per fasce di età: se ad esempio analizziamo i protesizzati scopriamo che 65 sono di scuola media e superiore (su 75 totali in quella fascia di età, quindi la stragrande maggioranza) e 18 (su 19) sono gli universitari. Al contrario gli impiantati nell’età 0-6 sono 14 su 24 e i 10 non impiantati lo sono quasi tutti per motivi specifici: 3 sono figli di sordi segnanti, 6 hanno un ottimo recupero uditivo anche senza impianto e infine 2 non sono impiantabili per malformazioni fisiche. In definitiva questi dati cosa ci dicono? Ci dicono che di fatto tutti i bambini sordi che nascono oggi vengono impiantati, il non impianto è una scelta differenziale, se non scelgo l’impianto lo faccio per un ben chiaro e ragionato motivo.

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L’analisi di questa situazione, che per quanto parziale potrebbe tuttavia avere una certa sua indicatività statistica, ci pone di fronte a nuove domande. Com’è e cos’è la sordità oggi? Rispetto a un tempo certamente siamo di fronte ad una realtà estremamente varia e sfaccettata. La sordità come concetto monolitico e, direi, anche un po’ stereotipato, si è dissolta di fronte alla più ampia libertà e possibilità di scelta delle famiglie nel momento in cui ricevono la diagnosi del loro piccolo. La famiglia, a cui le istituzioni riconoscono il ruolo di primaria agenzia educativa, ha oggi il diritto e la facoltà di individuare tra le varie opzioni quella che ritengono più adatta al loro figlio e al loro contesto famigliare, senza dover passivamente accettare modelli di intervento imposti ideologicamente o dall’organizzazione dei servizi. Il risultato è che parrebbe quasi che lo stesso temine “sordità” sia svuotato di ogni significato di fronte alla realtà unica e irrepetibile di ogni bambino che incontriamo. Ma l’altra grande domanda che ci facciamo è cosa succederà alla Lingua dei Segni, sopravviverà agli impianti cocleari proprio nel secolo in cui, se si fosse seguito il ritmo della storia, avrebbe dovuto prevalere? Sicuramente sì, anche se dobbiamo aspettarci dei profondi cambiamenti, di cui in realtà possiamo scorgere sin d’ora alcune direzioni irreversibili. La Lingua dei Segni sta già infatti subendo, a ben guardare, due tipologie di mutazione in apparenza contraddittori, ma che in realtà nascondono un unico fenomeno di cambiamento sociolinguistico dei suoi utilizzatori. Da un lato una variazione quantitativa con un restringimento significativo nel numero dei segnanti: ci sono sempre meno sordi che la utilizzano, tanto che qualcuno anche in sedi pubbliche, come è avvenuto nei recenti dibattiti per il riconoscimento della Lingua dei Segni in Piemonte6, ne profetizza addirittura l’estinzione nel giro di pochi anni. Dall’altro una variazione qualitativa dei suoi utilizzatori: persone sorde e persone udenti che la scelgono liberamente come propria modalità di comunicazione, unica o meno che sia a fianco della comunicazione verbale. Con queste persone sta avvenendo anche un salto qualitativo in avanti, un’evoluzione della Lingua dei Segni, con un ampliamento lessicale e degli ambiti di utilizzo, sempre più vari e più “alti”, compresi quelli accademici e della cultura. Tra i segnanti non bisogna infine dimenticare quelli divenuti tali perché educati con la Lingua dei Segni (in forme anche spurie, come l’italiano segnato) 6 Legge regionale n. 9 del 30 luglio 2012 “Disposizioni per la promozione del riconoscimento della lingua dei segni italiana e per la piena partecipazione delle persone sorde alla vita collettiva” pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione del 02 Agosto 2012, n. 31

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per l’impossibilità di avere alternative: persone sorde con pluriminorazioni, stranieri immigrati tardivamente per i quali è fondamentale aprire un canale di comunicazione efficace in breve tempo e soprattutto fornito fuori tempo massimo per quanto riguarda l’acquisizione di una lingua verbale, fallimenti e ripensamenti di strade diverse intraprese precocemente. In tutti questi casi la Lingua dei Segni, più che la lingua di una comunità, è un indispensabile strumento riabilitativo. Un capitolo a parte lo meriterebbero ancora i cosiddetti “segnanti di ritorno”, piccoli sordi educati all’oralismo, che scoprono la lingua dei segni e la comunità dei sordi in adolescenza e nell’età adulta. La vera domanda finale che l’analisi di questa complessa situazione attuale ci pone è quindi infine ancora un’altra: essere sordi oggi è una scelta?

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NASCERE SORDI OGGI: COME IL PROGRESSO TECNOLOGICO PUO’ INFLUIRE SULLA DISABILITÀ ARGOMENTI SULLA SORDITÀ E SULLA SUA RIMEDIAZIONE Diego Di Lisi e Patrizia Consolino1

L’udito è uno dei sensi più preziosi. Grazie a esso si sviluppano le caratteristiche del linguaggio e della comunicazione verbale, si reagisce ai suoni del mondo esterno, si viene avvisati dell’avvicinarsi dei pericoli, si apprezza la musica. L’analisi che il sistema uditivo effettua sul suono o sul rumore si chiama percezione uditiva e avviene attraverso alcune fasi: -- Detezione: è il livello più elementare della percezione, cioè la capacità di sentire o meno. Pertanto se la detezione è assente tutte le analisi successive non possono prendere corpo -- Discriminazione: è la capacità di distinguere due o più suoni come uguali o diversi -- Identificazione: è la capacità di identificare un numero finito di suoni all’interno di una lista chiusa (closed set) -- Riconoscimento: è la capacità di riconoscere un numero infinito di suoni all’interno di una lista aperta (open set) 1 Il dottor Di Lisi e la dottoressa Consolino sono parte del Centro Infantile di Audiologia e Otologia dell’Ospedale Martini, ASL TO1 di Torino. L’èquipe è così composta: dott. Diego Di Lisi, responsabile ORL/Audiologia; dott.ssa Patrizia Consolino, audiofoniatra; dott.ssa Denise Calcagno dott.ssa Mara Mazziotti e dott.ssa Laura Pagliero, logopediste; dott.ssa Elisabetta Carnero, psicologa; dr. Andrea Lonardo e dott.ssa Marzia Marini, audiometrista; sig.ra Cristina Ratto, coordinatrice infermieristica e sig.ra Anna Castiello infermiera professionale.

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--

La Comprensione è il passaggio successivo: solo quando il suono è stato udito, discriminato, identificato e riconosciuto può essere compreso perché viene integrato dal sistema nervoso centrale con altre informazioni uditive e non

Il bimbo con problemi di udito acquisisce il linguaggio in tempi e modi specifici che dipendono da tanti fattori fra cui: -- precocità della diagnosi -- efficacia dei mezzi protesici -- tipo di approccio riabilitativo -- ambiente familiare Questo processo che ha luogo in un periodo relativamente breve (dalla nascita ai 3 anni) deve essere attentamente seguito e potenziato nei suoi vari aspetti. È molto importante porre attenzione ai prerequisiti della comunicazione: infatti il bimbo prima del linguaggio verbale utilizza altri mezzi per rappresentare la realtà, per esprimere desideri e intenzioni e sono proprio questi gli elementi che devono essere sfruttati e potenziati per l’azione educativa e riabilitativa. La parola, quella che ogni genitore attende con ansia, rievoca anche l’azione e l’immagine (uditiva, visiva e tattile). Il bimbo sordo giunge a comprendere e utilizzare una nuova parola solo dopo avere sperimentato ed interiorizzato attraverso il corpo, il movimento, il gioco, il disegno, i suoni, l’oggetto o il concetto a cui il termine si riferisce.

CENNI DI EMBRIOGENESI Il complicato processo che porta alla formazione del sistema uditivo è apprezzabile nell’embrione intorno alla terza settimana di gestazione, in cui si nota un’invaginazione nella regione cefalica dalla quale origina l’otocisti. Intorno al sesto mese di gravidanza il sistema uditivo è anatomicamente completo. Questo significa che le informazioni sonore sono in grado di raggiungere la corteccia e iniziare quel processo di costruzione delle sinapsi interneurali basilari per il successivo apprendimento del linguaggio. I primi 3 mesi di funzionamento del sistema uditivo all’interno dell’utero materno sono importanti. Anche se le informazioni che possono raggiungerlo sono frequenzialmente molto incomplete (passano infatti solo le frequenze

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gravi e di alta intensità, rappresentano già una base per la formazione delle sinapsi che predisporranno la corteccia cerebrale alla sua funzione uditiva.

CENNI DI ANATOMIA L’orecchio è diviso in tre parti: orecchio esterno, orecchio medio e orecchio interno. L’orecchio esterno è formato dal padiglione, detto padiglione auricolare, che raccoglie e incanala i suoni nel canale esterno dell’orecchio (meato uditivo esterno). Il canale dell’orecchio amplifica le onde sonore e in seguito le convoglia verso il timpano (membrana timpanica). Grazie alle sue peculiari caratteristiche anatomiche, il condotto uditivo esterno svolge un’azione protettiva nei confronti della membrana timpanica difendendola da agenti meccanici e traumatici esterni. La produzione del cerume a carico delle cellule è un processo naturale che serve a mantenere l’orecchio umido e pulito. Le onde sonore che entrano nel canale uditivo, colpiscono il timpano che entra in vibrazione. Nell’orecchio medio troviamo anche tre piccoli ossicini; essi sono il martello, l’incudine e la staffa, che si muovono come se fossero una struttura unica amplificando il movimento del timpano e trasmettendo le vibrazioni all’orecchio interno. È costituito da una impalcatura ossea che prende il nome di labirinto osseo e dalle strutture nervose contenute al suo interno ovvero il labirinto membranoso. Il labirinto osseo è formato nella sua porzione anteriore dalla coclea o chiocciola sede dei recettori uditivi. L’informazione raccolta dai recettori viene veicolata dal nervo acustico alle aree uditive cerebrali. Nella sua porzione posteriore, labirinto posteriore, sono presenti i 3 canali semicircolari: laterale, posteriore e superiore, dove sono situate le strutture nervose vestibolari deputate alla registrazione delle accelerazioni di tipo rotatorio della testa. Fra la coclea e i canali è posto il vestibolo con i due recettori nervosi denominati utricolo e sacculo sensibili alle accelerazioni lineari della testa. Le informazioni provenienti dal vestibolo e dai canali semicircolari, unite a quelle visive e muscolari ci consentono di mantenere la stazione eretta e l’equilibrio.

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CENNI DI FISIOLOGIA Le cellule di origine delle fibre afferenti del nervo cocleare si trovano nel ganglio spirale del Corti. Il prolungamento periferico di questi neuroni bipolari penetra nella chiocciola dove si mette in rapporto con le cellule acustiche ciliate dell’organo di Corti; il prolungamento centrale invece passa attraverso i canali longitudinali del modiolo dove gli assoni formano il ganglio spirale e vanno a formare la componente acustica dell’ottavo nervo cranico e inoltra lo stimolo ai nuclei cocleari del tronco encefalico, dove le fibre mantengono una organizzazione tonotopica, con le alte frequenze dirette al nucleo dorsale e le basse frequenze al nucleo ventrale. Lo stimolo in seguito va al nucleo complesso olivare superiore, che nell’uomo è rappresentato da una serie di nuclei posti nel tronco encefalico e che è considerato come la localizzazione periferica nella quale la maggiore parete delle fibre si incrocia. Le fibre salgono verso i lemnischi laterali fino al collicolo inferiore, attraversano il corpo genicolato mediale e si portano all’area della corteccia cerebrale posta a livello del lobo temporale (aree 41-42 di Brodmann). Dall’area della corteccia cerebrale partono alcune vie che scendono verso la periferia (discendenti): una raggiunge l’orecchio attraverso il fascio olivo cocleare (è importante nella protezione contro la sordità da rumore) e un’altra termina nei vari nuclei della via ascendente.

CLASSIFICAZIONE DELLA SORDITÀ INFANTILE In base alla sede dove è presente la lesione distinguiamo: La sordità trasmissiva: se la lesione è nell’orecchio esterno o medio. Tra le forme congenite ricordiamo le malformazioni mono o bi laterali dell’orecchio esterno-medio. Solo in caso di bilateraltà è indispensabile l’applicazione precoce di una protesi con vibratore osseo o di un impianto a vite osteointegrabile (BAHA: bone anchored hearng aid) in quanto una perdita di circa 60dB HL non permette la normale acquisizione del linguaggio. L’eventuale chirurgia estetica o funzionale deve essere programmata quando le dimensioni della teca cranica saranno completamente sviluppate (16-18 aa). Anche il colesteatoma congenito (la forma acquisita, più frequente, è secondaria ad otite cronica) può determinare sordità trasmissiva e necessita di intervento chirurgico urgente al fine di evitare gravi conseguenze erosive sia sull’orecchio medio e sulla catena ossiculare, sia sulle strutture vicine (meninge ed encefalo).

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La sordità neurosensoriale: se la lesione è a livello della parte nervosa dell’orecchio (chiocciola o nervo acustico). La classificazione che trova concordi la maggiore parte degli studiosi, suddivide le cause in 2 grandi gruppi: 1) forme ereditarie o genetiche e 2) forme acquisite. Le forme di ipoacusia infantile possono ulteriormente essere distinte, a seconda dell’epoca in cui ha agito la noxa (agente eziologico), in: ----

Prenatali: se presenti alla nascita Perinatali: se insorgono al momento della nascita Postnatali: se insorgono dopo la nascita

Poiché la presenza di un importante deficit uditivo bilaterale, se non adeguatamente trattato, compromette il normale sviluppo intellettivo e l’acquisizione del linguaggio, l’ipoacusia infantile può essere meglio classificata in rapporto all’acquisizione del linguaggio in: ----

forme prelinguali: si manifestano entro i 18 mesi di vita e compromettono l’acquisizione del linguaggio forme perilinguali: si manifestano tra i 18 ed i 36 mesi di vita e compromettono l’acquisizione del linguaggio come le forme prelinguali forme postlinguali: si manifestano dopo i 36 mesi di vita e compromettono meno o nulla le capacità linguistiche acquisite

1) Forme ereditarie I caratteri somatici sono conservati nel patrimonio cromosomico, trasmesso per il 50% dalla madre e per il 50% dal padre. In ogni cromosoma, in tutto 46 per ogni individuo, si trovano i geni che sono responsabili della trasmissione di ogni carattere. I geni sono presenti in coppia uno materno e uno paterno. La mutazione di uno o più geni che sintetizzano per le strutture dell’orecchio interno può provocare una sordità grave. La trasmissione può avvenire secondo due meccanismi principali: recessivo o dominante.

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a) trasmissione recessiva (70%): -- 1° possibilità Entrambi i genitori sono portatori di un gene mutato: è necessario la presenza di entrambi i geni mutati per avere l’espressione fenotipica cioè la presenza della malattia. Percentuali di probabilità: 50% figli portatori sani, 25% figli affetti da sordità, 25% figli non portatori e sani -- 2° possibilità Un genitore (indifferentemente madre o padre malato) deve incontrare un portatore per far si che si manifesti la malattia nei suoi figli. Percentuali di probabilità: 50% figli portatori sani, 50% figli malati b) trasmissione dominante (30%): Non ci sono portatori sani (almeno uno dei genitori è malato: basta che la mutazione sia presente su un solo allele per manifestare la malattia) 1° possibilità: padre sordo, madre udente Percentuali di probabilità: 50% figli sani, 50% figli sordi 2° possibilità: padre sordo, madre sorda Percentuali di probabilità: 100% figli sordi Esistono inoltre altri 2 meccanismi di trasmissione meno frequente che si manifestano solo nei maschi e sono trasmesse dalla madre portatrice sana). c) trasmissione legata al cromosoma X (meno del 5%) d) trasmissione mitocondriale (1-3%) La sordità può inoltre essere l’unica manifestazione di malattia o far parte di un corteo di sintomi: si distinguono quindi forme isolate e forme sindromiche Forme isolate: 70 % dei casi. Tra le sordità genetiche esiste un gene, meglio conosciuto come gene per la Connexina 26 o GJB2, situato sul braccio lungo del cromosoma 13, che presenta diverse mutazioni nei pazienti affetti da sordità. La Connexina 26 e la Connexina 30, tra le 13 note, sono proteine coinvolte nella formazione di speciali canali intercellulari che facilitano e permettono il passaggio di ioni e molecole e quindi permettono la stimolazione delle cellule sensoriali della coclea. La mutazione del gene Connexina è responsabile probabilmente di più del 50% delle sordità recessive non sindromiche caratterizzate da sordità bilaterale neurosensoriale di grado profondo, già presente alla nascita (congenita). Nella popola-

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zione mediterranea la mutazione più frequente di questo gene è la 35delG. La frequenza di portatore varia da 1/35 nell’Europa meridionale a 1/79 nell’Europa settentrionale. Ciò vuol dire che circa il 3% nella popolazione dell’area del mediterraneo è portatrice sana. La correlazione genotipo/fenotipo, cioè geni mutati versus grado di sordità, è difficile da chiarire ma è strettamente correlata al tipo di mutazione (attivante /inattivante) ed alla sua presenza su entrambi gli alleli. Il gene della Connexina 30 è posizionato molto vicino al gene della Connexina 26. Nei soggetti affetti da sordità con un solo allele mutato per Cx26 si è pertanto ipotizzata la presenza sull’altro allele di una mutazione per Cx 30. Il gene che codifica per la Connexina 31 è invece responsabile di una forma di sordità progressiva che compare in età adulta ed interessa preferenzialmente le frequenze acute. L’analisi del patrimonio cromosomico per la valutazione della mutazione della connexina 26 sono oggi possibili con un semplice prelievo di sangue periferico. La maggior parte delle mutazioni della Connexina 26 sono trasmesse tramite modalità recessiva, anche se alcune mutazioni sono causa di sordità dominante o di forme sindromiche (sordità associata a malattie della pelle). A tutt’oggi sono state identificate più di 80 mutazioni. Forme sindromiche: 30% dei casi. Sono quadri clinici complessi in cui l’alterazione genetica non si manifesta solo sulla sfera uditiva ma causa alterazioni più o meno generalizzate: malformazioni a livello cardiaco, tiroideo, oculare, cerebrale, osseo, cute. Alcune di queste sindromi sono associate ad anomalie dell’orecchio esterno e medio: determinando un quadro di sordità trasmissiva. 2) Forme acquisite Su base infettiva Durante la gravidanza, soprattutto alla fine del primo trimestre, periodo durante il quale si sviluppa l’orecchio interno, la contrazione di malattie infettive da parte della madre può essere causa di difetti di sviluppo della coclea, con conseguente grave ipoacusia. -- toxoplasmosi: 4% dei casi di ipoacusia prenatale -- citomegalovirus: 4% dei casi di ipoacusia prenatale -- rosolia: 7% dei casi di ipoacusia prenatale

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(circa il 25% dei casi di rosolia contratta nel terzo mese di gravidanza può dare ipoacusia prenatale con associazione di malformazioni a carico di altri organi e disturbi cerebrali) -- infezioni erpetiche o altre forme virali (morbillo, varicella, ecc.) rare Su base tossica. Sono attualmente rare e correlabili all’assunzione di sostanze ototossiche da parte della madre durante il 3° mese di gravidanza o da patologie materne che determinano una tossicosi endogena (diabete, insufficienza renale, insufficienza epatica) Su base ipossica. Sono conseguenti a parto distocico, prematurità, o basso peso alla nascita. Rappresentano circa l’11% dei casi di ipoacusia infantile grave e spesso si associano a turbe a carico del sistema nervoso centrale. Sono in diminuzione grazie alla riduzione dei rischi da parto. Da ittero. In caso di iperbilirubinemia superiore a 20 mg/100 ml, per lo più secondaria a incompatibilità del fattore Rh (eritroblastosi fetale) con conseguente emolisi, si può verificare il deposito di bilirubina nelle cellule del sistema nervoso centrale (nuclei cocleari e altri nuclei della via uditiva centrale). Si associano disturbi a carico del sistema nervoso centrale. Rappresentano il 4% dei casi di grave ipoacusia infantile e sono in diminuzione grazie alla sempre più diffusa prevenzione dell’ittero neonatale Postnatali. Sono riconducibili a malattie contratte dal bambino entro i 2 anni di vita. In questo gruppo sono più frequenti: -- meningoencefalite: si associa a volte a danni anche al sistema nervoso centrale. La lesione si localizza a livello dell’orecchio interno (coclea) provocando una labirintite ossificante con obliterazione dei canali endococleari. -- parotite: causa ipoacusia bilaterale grave in 1 caso su 200000. solitamente si tratta sordità monolaterale improvvisa e completa. Importante prevenire con vaccino. -- morbillo -- assunzione di farmaci ototossici (chemioterapici, antibiotici aminoglicosidici, ecc) -- gravi traumi cranici con frattura bilaterale della rocca

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DIAGNOSI La diagnosi di sordità infantile è un processo di sintesi clinico strumentale di notevole importanza. È indispensabile una valutazione globale delle abilità comunicative del piccolo paziente con test idonei, evitando le spesso inutili ospedalizzazioni. 1. Registrazione delle otoemissioni acustiche: le cellule ciliate esterne della coclea, sia spontaneamente sia stimolate dal suono, si contraggono emettendo dei suoni di debole intensità che vengono captati da un piccolo microfono molto sensibile inserito nel condotto uditivo esterno e registrate da un sistema di analisi computerizzato. Questo è il sistema con cui viene effettuato, attraverso degli strumenti portatili, lo screening uditivo neonatale. Esse hanno un’alta specificità ma testano solo la periferia acustica e non valutano tutta la via acustica. 2. La registrazione dei potenziali evocati uditivi (ABR): è una metodica non invasiva, che nel bambino piccolo può essere effettuata senza anestesia, durante il sonno spontaneo; si tratta di una specie di elettroencefalogramma sottocorticale della via acustica evocato da stimoli sonori (da un click: insieme di suoni composti dalle frequenze medioacute o da un tone burst frequenza per frequenza). 3. Impedenzometria: è una metodica oggettiva che consente di esaminare la funzionalità dell’orecchio medio e attraverso lo studio dei riflessi stapediali di ottenere delle risposte anche su un possibile danno neurosensoriale o recettivo della via acustica. 4. Audiometria infantile con condizionamento: si tratta di un training per l'esecuzione dell'audiometria tonale con risposte comportamentali condizionate. Mediante sedute successive di allenamento, diverso secondo l’età, il bimbo viene condizionato a rispondere allo stimolo acustico con un riflesso (orientamento, rinforzo visivo) o con un’azione volontaria (play audiometry nei bimbi più grandi) per la determinazione delle abilità uditive e della soglia tonale dettagliata. 5. Videoanalisi: consiste nell’analisi di un video che riprende il bambino nel suo ambiente familiare e che permette la valutazione delle sue abilità comunicative nei diversi momenti della sua vita di relazione. La videoanalisi effettuata inoltre durante le sedute di valutazione e rieducazione, consente di apprezzare in separata sede le diverse sfumature del suo percorso diagnostico-terapeutico.

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PROTESI UDITIVE Le protesi uditive possono suddividersi in: 1. protesi acustiche 2. protesi impiantabili (impianti cocleari, protesi ancorate all’osso) 1. Protesi acustiche Gli apparecchi acustici sono l'ausilio riabilitativo essenziale per potenziare la capacità uditiva residua. Generalmente ogni soggetto, anche con deficit profondo, possiede dei residui uditivi che possono essere utilizzati, mediante una adeguata amplificazione dei suoni, per permettere la detezione (presenza o assenza di un suono) e la discriminazione (suono uguale o diverso). Le protesi ricevono ed amplificano i suoni ambientali e li ripropongono con volume aumentato all’orecchio del soggetto ipoacusico. Indipendentemente dal modello e dalle caratteristiche elettroacustiche una protesi è essenzialmente composta da: -- microfono che capta i segnali sonori dall'esterno -- circuito amplificatore che elabora i segnali aumentandone l'intensità -- ricevitore che invia i segnali amplificati all'orecchio A seconda del tipo di ricevitore le protesi acustiche si distinguono in -- protesi per via ossea -- protesi per via aerea II ricevitore delle protesi per via ossea è costituito da un vibratore osseo che consiste in un piccolo dispositivo che emette vibrazioni che vengono trasmesse poi all'orecchio interno attraverso l'osso mastoideo. Queste protesi sono utilizzate nei casi di ipoacusia di tipo esclusivamente trasmissivo, causata da malformazioni congenite delle strutture dell'orecchio esterno e dell'orecchio medio, oppure da gravi otiti croniche con perforazioni della membrana timpanica. Le protesi per via aerea sono invece le più utilizzate e in questo caso la trasmissione del suono amplificato avviene tramite un auricolare (o chiocciola) inserita nel condotto uditivo esterno.

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In base all’elaborazione del segnale possiamo dividere gli apparecchi acustici in: a) Apparecchi acustici analogici Sono gli apparecchi tradizionali che agiscono con un sistema tradizionale di elaborazione del segnale che trasforma il suono (energia meccanica) in corrente elettrica: tramite il microfono captano il segnale in ingresso che viene amplificato e restituito in uscita in analogia con quello in entrata. Il risultato è che il suono (voce e rumore di fondo) all’uscita dell’apparecchio risulta più forte ma identico a quello in entrata (voce e rumore di fondo amplificati). Eventuali modifiche vengono apportate attraverso variazioni ai valori di corrente agendo sui trimmers di controllo. Questo tipo di tecnologia è disponibile nei modelli retroauricolari (da posizionarsi dietro il padiglione auricolare) o endoauricolari (da inserirsi completamente nel condotto uditivi esterno). Gli apparecchi acustici analogici, per gli aventi diritto, sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale. b) Apparecchi acustici digitali o programmabili digitalmente Sono apparecchi con amplificatori analogici (tradizionali) controllati da una sorgente esterna digitale che contengono un modulo di memoria, i cui dati vengono modificati mediante un computer. Sono apparecchi acustici che permettono intervenire su più controlli per cui risultano molto più flessibili rispetto agli apparecchi tradizionali. Poiché le situazioni di ascolto non sono tutte uguali, è possibile memorizzare differenti curve di risposta, selezionabili dal paziente per ottimizzare l’ascolto anche nelle condizioni difficili (presenza di rumore o più persone che parlano contemporaneamente). È possibile elaborare la curva di risposta dell’apparecchio acustico su diverse bande di frequenza per fornire guadagni e compressioni differenti per un adattamento ottimale. Con la tecnologia digitale il segnale acustico viene suddiviso in piccole bande che corrispondono alle bande critiche cocleari. La straordinaria flessibilità di questi apparecchi permette di correggere con precisione la maggior parte delle perdite di udito lievi, medie e medio-gravi. Questa tipologia di apparecchi rientra nella categoria dei “Riconducibili” per cui, per gli aventi diritto, una parte è a carico del Servizio Sanitario Nazionale e una parte a carico dell’utente.

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2. Protesi Impiantabili a) Vibrant. Si tratta di una protesi digitale che viene inserita chirurgicamente nell’orecchio medio e nella mastoide. Essa si compone di due parti (interna ed esterna). La parte interna, impiantata chirurgicamente, è costituita da un apparato vibratore che viene inserito a stretto contatto con la finestra rotonda in grado di stimolare meccanicamente le cellule acustiche residue attraverso la rampa timpanica. La parte esterna, che si applica sulla cute dietro l’orecchio alla quale aderisce per mezzo di un magnete che fa presa sulla parte interna, è costituita dal processore che riceve il segnale meccanico del suono, lo trasforma in segnale elettrico e lo invia alla componente interna che lo ritrasforma in stimolo meccanico. b) BAHA. Il sistema è costituito da una vite in titanio osteointegrabile che viene impiantata con un piccolo intervento chirurgico nell’osso della teca cranica in regione retroauricolare. Ad osteointegrazione avvenuta (circa 3 mesi dopo l’intervento) sulla vite viene applicato un processore esterno che contiene un sistema a vibrazione ad alta definizione in grado di stimolare direttamente la chiocciola per via ossea, superando i problemi legati alla trasmissione del suono. Trova indicazione nei casi di ipoacusia in cui non sia possibile usare gli apparecchi tradizionali (atresia auris, esiti di timpanoplastica radicale). c) Impianto Cocleare. L’impianto cocleare è un’endoprotesi uditiva ad alta tecnologia. È un dispositivo elettronico, molto sofisticato in grado di sostituire il funzionamento dell’orecchio interno, la coclea (organo del Corti o chiocciola). Infatti anche di fronte ad una grave o totale distruzione della coclea le informazioni acustiche trasformate in segnali elettrici dall’impianto cocleare vengono inviate direttamente al nervo e da questo al cervello. L’impianto cocleare è formato da due parti. La prima, il cosiddetto ricevitore-stimolatore, è la parte che viene impiantata e ha il compito di stimolare elettricamente il nervo acustico. È formata da un modulo di ceramica o titanio rivestito di un guscio di silicone che contiene un’antenna ricevente ed un microchip che decodifica le informazioni ricevute dal processore esterno e le invia in tempo reale agli elettrodi intracocleari che stimolano le fibre del nervo acustico. La seconda invece è applicata all’esterno, dietro all’orecchio, come una comune protesi acustica. Questo piccolo e sofisticato computer, chiamato processore o elaboratore del linguaggio, ha il compito di ricevere i suoni, elaborarli secondo strategie di codifica precise e personalizzate per ogni paziente e di trasferire alla parte interna i segnali e l’energia necessaria al funzionamento del sistema.

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LA PROTESIZZAZIONE INFANTILE Nel bambino piccolo è consigliabile una protesi che possa permettergli la detezione e la discriminazione dei suoni ambientali. La qualità deve essere ottimale (quindi consigliabile una protesi digitale) in quanto il bambino deve essere messo in grado di sfruttare al massimo la stimolazione sonora ed evitare eccessi di amplificazione dei suoni forti e aumentare la sensibilità dei suoni deboli (ad es. delle consonanti) in modo da apprendere al meglio il linguaggio. La protesi deve disporre di un sistema anti-feedback digitale adattivo, indispensabile nei bambini di pochi mesi che ancora non si sorreggono in piedi e nelle sordità gravi. Non sono adatte le protesi endoauricolari prima dell’adolescenza per il rapido modificarsi dell’anatomia del condotto uditivo esterno. È indispensabile un sistema di trasmissione FM in coincidenza del periodo scolastico al fine di rendere maggiore l’attenzione nei confronti dell’oratore, migliorando il rapporto segnale/rumore. Nell’applicazione infantile va tenuto inoltre conto di alcuni aspetti importanti. Prendere l’impronta dell’orecchio del paziente significa eseguire un calco del canale di ciascun orecchio, che servirà per la preparazione dell’auricolare su misura. È una procedura assolutamente indolore per la quale si utilizza una pasta in silicone morbido che, debitamente miscelata con il catalizzatore, indurisce nell’arco di 3-4 minuti. È consigliabile che il bimbo dorma durante l’operazione, al fine di evitare movimenti. Bisogna inoltre considerare che il condotto del bimbo modifica le sue dimensioni con l’accrescimento e che quindi la chiocciola va verificata e cambiata spesso. Nella fase di applicazione e programmazione, ci si serve di un computer per ottimizzare la taratura degli apparecchi ed i progressi del paziente vengono monitorati nel periodo che segue. Fare l’abitudine al nuovo apparecchio è un processo che richiede qualche settimana poiché bisogna lasciare tempo all’orecchio e, soprattutto al cervello, di abituarsi ai nuovi suoni. Man mano che il paziente si abitua all’amplificazione, si interviene sui parametri della regolazione per ottimizzarla in base alle necessità. L’esperienza dimostra che il termine del periodo di adattamento è di circa 4 settimane. Metodi di verifica della resa protesica nei bambini. La verifica della resa protesica è un momento fondamentale nella terapia protesica riabilitativa dei bambini. Essi richiedono tecniche di verifica specifiche che variano in funzione dell’età.

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Misura del guadagno di inserzione. Consiste nella misura dell’amplificazione erogata dall’apparecchio acustico a livello del timpano. Si utilizza allo scopo un sottilissimo tubicino sonda, la prova richiede circa 1 minuto per orecchio e non è assolutamente dolorosa. Audiometria comportamentale con strumenti sonori. Le prove vengono ripetute senza e con l’apparecchio acustico. Viene valutato il “guadagno funzionale” della protesi. La misura è meno precisa del guadagno di inserzione che è sempre da richiedere (se il bambino collabora). Valutazione della resa della riabilitazione logopedica. La collaborazione tra audioprotesista e foniatra deve essere stretta e continuativa in quanto gli esercizi logopedici possono essere anche un ottimo strumento di verifica della resa protesica. Compilazione di questionari per genitori e insegnanti di bambini in età scolare. Questi consentono la valutazione soggettiva dei benefici protesici nella vita di tutti i giorni. Le risposte ai questionari rappresentano pure una fotografia della soddisfazione d’uso e possono anche aiutare molto nella regolazione dell’apparecchio acustico. Ai bambini di età compresa fra i 2 e i 6 anni vengono proposti tests di percezione uditiva ed anche prove di audiometria vocale. Il materiale e le modalità di esecuzione dei tests sono ovviamente semplificate e adeguate a suscitare interesse e partecipazione. Nei pazienti adulti la verifica della resa protesica risulta essere molto più semplice e comprende il guadagno di inserzione, l’audiometria vocale con e senza competizione con parole e frasi di uso comune che fornisce il “guadagno funzionale” della protesi e la compilazione di questionari che consentono la valutazione soggettiva dei benefici protesici nella vita di tutti i giorni e del grado di soddisfazione dell’apparecchio.

LE INDICAZIONI ALL’IMPIANTO COCLEARE I criteri di selezione si sono modificati (e continuano a modificarsi) con il passare del tempo, man mano che si evolvono gli apparecchi e migliorano le performance degli impiantati. In generale sono candidabili adulti e bambini che abbiano perdita uditiva neurosensoriale bilaterale da grave a profonda, che non possano avvalersi dei normali ausili protesici acustici, che siano in buone condizioni fisiche e mentali e che possiedano le motivazioni necessarie per prendere parte proficuamente al lungo programma riabilitativo post-impianto. La causa della perdita uditiva costituisce una controindicazione all’inter-

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vento in casi come l’aplasia congenita del nervo uditivo o comunque quando si tratti di patologie congenite o acquisite del tronco o del tratto sottocorticale o corticale della via acustica. Vi possono poi essere alterazioni morfologiche dell’orecchio interno come nel caso della sordità secondaria a meningite in cui bisogna valutare attentamente l’eventuale presenza di fibrosi o ossificazione della coclea che, pur non costituendo una controindicazione assoluta, fanno necessariamente prevedere l’impossibilità di un corretto posizionamento degli elettrodi ed un risultato funzionale più scadente. Nel paziente postverbale i fattori fondamentali per la previsione delle possibilità di sfruttare l’impianto sono l’età di insorgenza e la durata della sordità, ma si può dire che una volta rispettate le condizioni di tipo uditivo ed extrauditivo, l’impianto cocleare possa avere un impiego clinico standardizzato. In caso di sordità preverbale congenita di grado severo o profondo è importante anticipare intorno ai 12 mesi l’età in cui sottoporre i bambini ad impianto cocleare. Infatti i primi anni di vita sono come già detto i più importanti per lo sviluppo non solo del linguaggio, ma anche di tutte quelle funzioni legate alla plasticità cerebrale (sviluppo della aree associative). Al momento la FDA pone l’indicazione all’impianto per bambini intorno all’anno di età, con perdita uditiva neuro-sensoriale bilaterale di grado severo o profondo, che non traggono beneficio dalle protesi convenzionali. Da quanto descritto ne consegue che i candidati all’impianto sono soggetti con: 1. Sordità bilaterale di tipo neurosensoriale di grado severo o profondo 2. Canale cocleare pervio 3. Protesizzazione acustica scarsamente efficace 4. Prerequisiti alla comunicazione verbo acustica presenti Fattori che condizionano la buona riuscita nell’adulto -- il momento di insorgenza della sordità -- la durata della deprivazione uditiva -- la causa della sordità -- la quantità di fibre nervose residue nell’orecchio interno (sopravvivenza neurale) -- il numero di elettrodi inseriti -- il loro posizionamento nella coclea

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Fattori che condizionano la buona riuscita nel bambino -- l’età al momento dell’impianto (più precoce è l’intervento migliori sono i risultati ) -- il tipo e la frequenza di riabilitazione -- il supporto familiare. Le indagini neuroradiologiche da effettuarsi nel preoperatorio al fine di verificare eventuali alterazioni a carico dell’orecchio medio, interno e della via acustica centrale sono la TAC delle rocche e mastoidi in sezione assiale e coronale e la RMN dell’orecchio interno, dell’angolo ponto cerebellare e dell’encefalo ad alta risoluzione. Procedura chirurgica Scopo dell’intervento è quello di alloggiare gli elettrodi all’interno del canale cocleare e di fissare il ricevitore/stimolatore alla struttura ossea della teca cranica della regione retroauricolare. L’intervento è eseguito in anestesia generale e dura di circa 2 ore. Il ricovero è di soli 2 giorni. Dopo la dimissione sono necessari ancora 2 o 3 controlli per verificare la guarigione della ferita. Tempi chirurgici standard: -- incisione della cute con approccio mini invasivo (circa 4 cm) -- mastoidectomia -- allestimento di nicchia ossea per l’alloggiamento del ricevitore stimolatore -- timpanotomia posteriore -- apertura della finestra rotonda o cocleostomia (fresatura di un foro in posizione antero-inferiore alla finestra rotonda) -- inserzione dell’array porta elettrodi nella rampa timapanica. -- telemetria delle impedenze degli elettrodi per verificarne eventuali corto circuiti -- misura della risposta neurale che delinea il potenziale d’azione del nervo dopo stimolazione elettrica. Permette di definire una soglia elettrica oggettiva che si colloca ampiamente nel range dinamico del paziente e può fornire indicazioni sullo stato funzionale del nervo acustico in aree selezionate.

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sigillatura della cocleostomia sutura della ferita chirurgica

Rischi chirurgici Sono gli stessi di qualsiasi operazione sull’orecchio eseguita in anestesia generale. Le complicanze chirurgiche rappresentano una percentuale ridotta e si dividono in maggiori e minori, in intra-operatorie e post-operatorie. Tra le prime vanno ricordate la paralisi del nervo faciale, il malposizionamento dell’array porta elettrodi ed il gusher, un’importante fuoriuscita di perilinfa (liquor) dall’orecchio interno, particolarmente frequente nei casi di malformazione (Mondini). Tra quelle post operatorie: la necrosi del lembo, l’estrusione e la migrazione del ricevitore e la dislocazione dell’array. Vaccinazioni e impianto cocleare Il problema del possibile rapporto tra impianto cocleare e sviluppo di meningite batterica è stato sollevato di recente negli USA dove la FDA ha preso una posizione ufficiale con un documento nel quale vengono riassunte tutte le informazioni attualmente disponibili su questo argomento. Nel soggetto portatore di impianto cocleare l’infezione sembra dovuta alla cocleostomia che in caso di otite acuta può costituire una via di accesso verso l’encefalo. Nei casi di meningite, in soggetti portatori di protesi cocleari, l'agente eziologico più frequentemente isolato è stato lo Streptococcus pneumoniae, ma sono stati isolati anche altri germi, fra cui l'Haemophilus influenzae di tipo b (Hib). Le vaccinazioni raccomandate sono tutte quelle disponibili contro gli agenti batterici di meningite (Streptococcus pneumoniae, Heamophilus influenzae tipo b, Neisseria meningitidis). Per quanto riguarda la scelta dei vaccini necessari si forniscono le seguenti indicazioni, recentemente diffuse dagli enti governativi statunitense e britannico che si ritengono del tutto pertinenti e condivisibili. Tali indicazioni sono temporanee e soggette a modifiche in base allo sviluppo di ulteriori conoscenze scientifiche. Per i portatori di protesi cocleare sono indicate le vaccinazioni contro alcuni organismi responsabili di meningiti anche nella popolazione generale, specie lo pneumococco. - Il vaccino antipneumococcico coniugato epta-valente è raccomanda-

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to per i bambini di età inferiore a 2 anni. Il calendario vaccinale prevede: Bambini di età inferiore ai 6 mesi: 3 dosi, la prima a 2 mesi, con un intervallo di almeno 1 mese tra le dosi e 1 quarta dose raccomandata durante il secondo anno di vita. Bambini bambini tra 7 e 11 mesi di età: 2 dosi con un intervallo di almeno 1 mese tra le dosi e una terza dose raccomandata durante il secondo anno di vita. Bambini di età superiore ai 12 mesi: 2 dosi con un intervallo di almeno 2 mesi tra le dosi. - Il vaccino antipneumococcico polisaccaridico 23-valente è raccomandato per i bambini di età superiore ai due anni : Bambini di età compresa fra i 2 e i 5 anni 2 dosi di vaccino antipneumococcico coniugato a distanza di due mesi una dall’altra, seguite almeno 2 mesi dopo la seconda dose da un’ulteriore dose di vaccino polisaccaridico 23-valente, al fine di proteggere da un numero maggiore di sierotipi. - Il vaccino anti Hamophilus influenzae di tipo b è raccomandato per: Bambini fino a 5 anni Il calendario vaccinale è lo stesso previsto per i bambini senza fattori di rischio. Bambini sotto i 12 mesi 3 dosi, nel 3°, 5° e 11°-12° mese contemporaneamente alle altre vaccinazioni dell'infanzia. Non sono previsti altri richiami. Bambini sopra i 12 mesi 1 dose di vaccino. Non sono previsti altri richiami. - Il vaccino antimeningococco C è indicato per: Bambini sotto i 12 mesi 3 dosi, la prima dose somministrata non prima dei 2 mesi e con un intervallo di almeno un mese tra una dose e l’altra. Bambini sopra i 12 mesi e gli adulti 1 singola dose. - Il vaccino antimeningococco tetravalente contro i gruppi A, C, Y, W-135 ò indicato per: Bambini al di sopra dei 2 anni ed adulti 1 dose e 1 richiamo dopo 3-5 anni.

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La regolazione dell’impianto L’impianto viene di solito attivato il giorno stesso o al massimo il giorno dopo la dimissione (attivazione precoce). Ciò è reso possibile dalla particolare tecnica chirurgica mini-invasiva che consente l’immediata cicatrizzazione della zona di impianto. L’attivazione dei canali di stimolazione è l’attribuzione di un range dinamico elettrico. Alla stimolazione elettrica del nervo corrisponde una sensazione uditiva. È importante che il percorso dell’attivazione avvenga in un ambiente confortevole, dove il paziente collabori e si senta a proprio agio con il medico e la logopedista che interagisce con lui. Nell’ambiente gioco è facile seguire il paziente pediatrico nelle sue espressioni comportamentali. Il bimbo impara a conoscere il compito richiesto con tecniche di gioco e l’osservazione del suo comportamento guida l’allestimento del range dinamico, ricercando presenza o assenza del suono e definizione del piano - forte (loudness). La regolazione del processore determina come verranno percepiti i suoni. La buona esecuzione del mappaggio dell’impianto è quindi la chiave del suo utilizzo ed è la condizione indispensabile per lo sviluppo dell’abilità uditiva. La regolazione della soglia di detezione del segnale elettrico (minima udibilità) e il livello in cui la sensazione è massima (soglia massima) vengono chiamati rispettivamente livello T (Threshold) e livello C (Confort). È possibile anche intervenire sulla regolazione della sensibilità del microfono, sull’equalizzazione del segnale e sul suo contrasto acustico. Queste misure ottenute specificamente per ciascun paziente, con la sua collaborazione o con l’osservazione comportamentale, verranno utilizzate per la creazione di un codice di stimolazione (strategia) che permetterà al soggetto di udire. Le risposte della telemetria neurale sono di grande ausilio quando si lavora con i bimbi molto piccoli per i quali la programmazione del processore sulla base delle sole risposte soggettive può risultare difficoltosa. Protesi acustica o impianto cocleare? La protesi acustica, tramite l’amplificazione, stimola le cellule nervose ancora funzionanti dell’orecchio interno e quindi sfrutta al meglio le strutture nervose dell’orecchio residue. Non si avrà ovviamente alcun beneficio dalla protesi in caso di sordità totale o profonda in quanto le cellule nervose non sono più funzionanti o lo sono solo in misura minima. L’impianto cocleare invece converte i segnali acustici in segnali elettrici

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che, oltrepassando le strutture danneggiate dell’orecchio interno, stimolano direttamente il nervo acustico; in tal modo il paziente, pur non avendo residui uditivi percepirà nuovamente i suoni anche se inizialmente verranno percepiti in modo inusuale. Bisogna ricordare che: -- tutti i suoni o rumori ambientali possono essere percepiti: i passi, le voci, lo squillo del telefono, il campanello della porta, le sirene, i fischi, il cinguettio degli uccelli, il vento, ecc. Inizialmente i suoni sembreranno molto simili tra di loro; ma con il potenziamento della percezione uditiva, l’allenamento e l’esperienza si faranno più chiari e differenziati. -- il soggetto sarà in grado di riconoscere il proprio feedback uditivo e di capire se parla troppo forte o piano e di adattare la propria voce al rumore ambientale -- più ci si allontana dalla data di nascita più lenti sono i miglioramenti; il bambino impiantato precocemente (entro i 18 mesi) impara spontaneamente, tramite l’impianto, a controllare non solo la propria voce ma anche l’articolazione. -- più del 70% dei pazienti impiantati è in grado, senza lettura labiale, di riconoscere un numero elevato di parole e frasi (dal 70 al 100%). -- il beneficio dell’impianto rispetto al telefono è molto variabile; tutti gli impiantati possono sentire lo squillo, il segnale di libero e occupato, la voce, la durata del discorso. Non sempre altrettanto bene per la parola. Da dati di letteratura si può dire che il 35% dei pazienti può sostenere una conversazione telefonica con qualsiasi persona, il 47% con persone famigliari, il 18% può comunicare secondo un codice prestabilito. -- l’impianto aiuta l’ascolto della TV. Utile per l’ascolto di TV e radio è l’uso dei sistemi di collegamento diretto con l’impianto o l’uso dei sistemi bluetooth o FM. -- il paziente che ha avuto precedenti esperienze sonore riferisce che la musica viene percepita anche se in modo diverso dalla normalità. -- l’adulto che ha avuto in passato un udito normale si adatta più rapidamente e meglio al segnale elettrico raggiungendo i migliori risultati nell’arco di 12/18 mesi. Anche nel bambino piccolo (2/4 anni), nato sordo o diventato tale prima dell’acquisizione della parola, il beneficio a livello di percezione uditiva si evidenzia fin dall’inizio, non altrettanto

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per soggetti più grandi preverbali. Ciò nonostante il "sentire" rappresenta anche per questi pazienti, immersi nel silenzio dalla nascita, una meravigliosa esperienza. I benefici vengono valutati sulla base di diversi parametri di misura: -- le prestazioni uditive (punteggi in open set, comprensione) -- lo sviluppo del linguaggio (livello semantico-lessicale, morfo-sintattico, esame fonemico) -- la qualità della vita -- il gradiente soggettivo di soddisfazione nei riguardi dell’impianto stesso (questionari) Esistono comunque alcuni punti inderogabili: -- nel bambino l’impianto deve essere preferibilmente effettuato precocemente a partire dall’ anno di vita, prima è indispensabile l’uso della protesi acustica e della terapia riabilitativa, -- nell’adulto con sordità grave congenita che non ha mai sfruttato l’udito, non porta l’apparecchio acustico, l’impianto non è consigliabile, a patto di fortissima motivazione personale -- l’impianto è generalmente consigliabile nelle sordità totali o profonde che non trovano beneficio dall’uso di apparecchi acustici, -- l’impianto deve essere effettuato presso un centro di riferimento che garantisca la presenza di un gruppo di lavoro affiatato composto da otochirurgo, audiofoniatra, logopedista, audiometrista, audioprotesista, neuropsichiatra. Obiettivi fondamentali da considerarsi alla base della rieducazione: -- stabilire con il bimbo una relazione significativa che rappresenta il prerequisito alla comunicazione. La richiesta di attenzione è fondamentale. -- costruire atteggiamenti di ascolto, affinché il bimbo si senta partecipe e di conseguenza possa fermarsi ed abbandonarsi alle proposte dell’altro. La pausa (assenza di suono o rumore) deve essere un momento carico di significato -- organizzazione spaziale, temporale e ritmica. -- educazione a comprendere ed elaborare i parametri del suono (pre-

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senza, assenza, intensità, frequenza, timbro) educazione vocale (stimolare a produrre voce) linguaggio (come già detto iniziando dalla motivazione ) e attraverso esperienze multisensoriali alla comprensione e produzione verbale

PRINCIPI DI RIABILITAZIONE Un bambino sordo profondo potrà acquisire spontaneamente il linguaggio e comunicare verbalmente se verranno rispettati questi presupposti: -- diagnosi e protesizzazione acustica precoce (entro i 4 mesi di vita) -- abilitazione uditiva immediata -- impianto cocleare entro i 12 mesi di vita -- sviluppo della percezione uditiva attraverso intensa stimolazione acustica -- sviluppo del linguaggio e di modelli linguistici normali attraverso esposizione alla lingua madre -- coinvolgimento della famiglia nel programma riabilitativo -- inserimento e integrazione del bimbo nell’ambiente scolastico normale. La riabilitazione uditivo-verbale, nei principi della Auditory Verbal Therapy, fa fede all’enorme potenzialità della moderna tecnologia protesica che sfruttata in modo competente può ripristinare la funzionalità uditiva sia in termini quantitativi che qualitativi. Il team riabilitativo è costituito da un medico coordinatore (audiofoniatra), da un logopedista e da un tecnico di audiometria. Il bimbo è seguito con programmi a breve e brevissimo termine al fine di monitorare costantemente e quantificare la maturazione uditivo verbale. A scadenze prefissate viene richiesta la presenza del consulente psicopedagogista, dell’educatore o dell’insegnante di sostegno se il bimbo è in età scolare. Compito di queste figure professionali è quello di relazionarsi con il bimbo utilizzando un normale gergo di conversazione per arricchire il numero di parole conosciute.

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IL PROGETTO NETWORK CIAO Centro Infantile di Audiologia e Otologia dell’Ospedale Martini di Torino

Lunedì 18 Marzo 2013 è stato inaugurato il Centro “CIAO”, Centro Infantile di Audiologia ed Otologia dell’Ospedale Martini di Torino, dotato di strumentazioni all’avanguardia nell’ambito della diagnosi e del trattamento precoce della sordità infantile. Il Centro, organizzato e curato dal Dott. Diego Di Lisi, rappresenta il consolidamento delle attività di Audiologia ed Otologia esistenti presso l’Ospedale Martini sin dal 2005, e diventa oggi, grazie al finanziamento della Compagnia di San Paolo sul progetto “Network CIAO: il metodo Torino”, un modernissimo centro di Audiologia infantile di terzo livello, interfacciato con le principali strutture di Neonatologia e di Pediatria del Piemonte. Tale progetto ha consentito di realizzare, oltre all’acquisizione di nuove apparecchiature interfacciate a mezzo di un unico software, la realizzazione di un sistema di consulenze in rete in cui si esprimono tutte le professionalità coinvolte nel delicato e complesso percorso diagnostico terapeutico della sordità infantile. La sordità ha infatti un ruolo di notevole rilevanza tra le malattie ad alto carico sanitario e sociale, poiché, in assenza di una diagnosi precoce che deve avvenire entro i primissimi mesi di vita del bambino, produce effetti che si amplificano in maniera esponenziale; certe difficoltà, legate inizialmente al deficit sensoriale, possono tramutarsi in vere e proprie disabilità di competenze affettive, relazionali e cognitive. Sono 7 milioni gli italiani che hanno problemi di udito, più di mezzo milione le persone adulte con sordità grave o invalidante e oltre 1000 i bambini che ogni hanno nascono con sordità congenita. Secondo dati epidemiologici recenti l’incidenza della sordità profonda nei neonati è stimata in 0,6 - 1,5 casi su 1000 nuovi nati (ossia circa 35 nuovi bimbi sordi ogni anno in Piemonte), anche se i flussi migratori cui stiamo assistendo in questi anni stanno determinando un incremento di questa patologia, causa il maggior numero di bambini provenienti da paesi con rischio sanitario più elevato.

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La prevenzione primaria attuata nei confronti delle malattie infettive (vaccinazioni, prevenzione delle infezioni in gravidanza, toxoplasmosi, rosolia, cytomegalovirus, herpesvirus, ecc) rappresenta la forma principale di prevenzione della sordità da cause esogene ed ha effettivamente contribuito a ridurne l’incidenza. Tuttavia la prevenzione secondaria rappresenta oggi, mediante lo screening uditivo alla nascita il modello certamente più efficace per individuare tutti i casi di malattia. La diagnosi precoce di sordità infantile, che coincide con un intervento pluridimensionale e pluriprofessionale particolarmente attento, è un processo di sintesi clinico strumentale di notevole importanza. È indispensabile una valutazione globale delle abilità comunicative del piccolo paziente con test idonei, evitando le spesso inutili ospedalizzazioni. Si avvale quindi di un’equipe multidisciplinare coordinata dall’ORL/Audiologo e di una serie di esami strumentali molto sofisticati che consentono di arrivare ad una diagnosi in tempi brevi (entro i 3 - 4 mesi di vita del bambino) onde poter avviare tempestivamente tutte le procedure di tipo rimediativo e protesico. Gli apparecchi acustici sono l'ausilio riabilitativo essenziale per potenziare le capacità uditive residue, mentre l’impianto cocleare è invece in grado di sostituire il funzionamento della coclea anche di fronte ad una grave o totale distruzione delle cellule sensoriali in quanto le informazioni acustiche vengono trasformate in segnali elettrici che stimolano direttamente il nervo acustico e la via uditiva centrale. In caso di sordità preverbale congenita di grado severo o profondo è importante anticipare intorno al primo anno di vita il momento in cui sottoporre i bambini ad impianto cocleare in quanto già i primi mesi sono fondamentali per lo sviluppo non solo del linguaggio, ma anche di tutte quelle funzioni legate alla plasticità cerebrale (sviluppo della aree associative). La ridefinizione dei modelli organizzativi sanitari oggi in corso condurrà certamente a sensibili vantaggi di ordine gestionale ed economico. Tuttavia solo un sistema cosiddetto “in rete”, al cui centro vi è l’utente e sul quale convergono le diverse professionalità, potrà farsi garante di un elevato standard qualitativo clinico ed assistenziale. Già da tempo il modello organizzativo del CIAO è stato quello di posizionare i pazienti al centro dei percorsi diagnostico terapeutici mentre le professionalità appartenenti ai diversi enti hanno ruotato intorno a lui. Ciò ha permesso al Martini di produrre il più alto numero di impianti cocleari in età pediatrica eseguiti in Piemonte, invertendo la tendenza delle famiglie a rivolgersi nei centri fuori Regione. I risultati sono stati non solo quantitativi ma

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anche qualitativi e soprattutto all’avanguardia, in quanto anche grazie alle professionalità Pediatriche ed Anestesiologiche operanti al Martini, sono stati operati bambini molto piccoli, al di sotto dell’anno di vita ed è stato eseguito il primo impianto bilaterale simultaneo della nostra Regione. Tutto ciò è stato possibile proprio con l’applicazione di quel concetto di rete o di “falangi di una stessa mano” che ha permesso di affidare al territorio molte fasi del processo (logopedia, educazione, appoggio scolastico, ecc.), e che ha consentito al Servizio di mantenere “nel palmo della mano” (simbolo CIAO) la responsabilità del percorso. Da quanto finora detto si evince come non sia certamente semplice mantenere elevato lo standard qualitativo clinico ma soprattutto assistenziale, tenuto conto del numero in costante crescita dei bambini presi in carico, anche in relazione alle sempre più scarse risorse economiche. Mentre questi ultimi infatti si moltiplicano e necessitano di costanti attenzioni, il numero degli operatori rimane sempre lo stesso, se non di meno. Il problema dell’aumento progressivo dei carichi di lavoro coinvolge generalmente tutte le eccellenze con attività di nicchia, su cui convergono tutti i pazienti. In ambito di audiologia infantile questo aspetto è particolarmente vero poiché la sordità è una disabilità che coinvolge il bambino nei suoi aspetti non solo clinici ma comunicativi e sociali le cui esigenze mutano con la crescita e che per questo necessitano di costante monitorizzazione per molti anni, se non per tutta la vita. Se si tiene conto che un singolo bambino sordo impiantato accede alle diverse prestazioni del servizio in media almeno 30 volte all’anno nei primi 2 anni e almeno 15 volte all’anno fino al compimento del percorso scolastico, si evince che ognuno compie circa 100 accessi solo nel periodo scolare. Se si considera che in genere per ogni accesso vengono eseguite in media 4 o 5 o più prestazioni (audiometria protesica, regolazione dell’ausilio, tests di percezione, mappaggio, speech tracking, ecc.) si ottiene un numero di prestazioni erogate per ogni singolo bambino pari a più di 500. Attualmente sono oltre 1500 i pazienti seguiti dal CIAO per ipoacusia, di cui oltre 200 portatori di impianto cocleare. La soluzione ideata per far fronte a tale approccio centripeto, contenuta nel concetto di “Metodo Torino” è quello di avvalersi delle grandi potenzialità derivanti dall’utilizzo del teleconsulto con i centri riabilitativi/ educativi operanti sul territorio tra i quali l’Istituto dei Sordi di Torino. Il Centro CIAO garantirà settimanalmente una sessione di teleconsulto con i Centri riabilitativi, utilizzando il software easymeeting; ciò permetterà di ridurre gli accessi in Ospedale ed al contempo di mantenere inalterato il potere di controllo ed indirizzo sul delicato iter riabilitativo dei piccoli pazienti.

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Collaborano con il Centro alcune delle principali associazioni locali e nazionali di pazienti audiolesi: APIC (Associazione Portatori Impianto Cocleare), FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi), che a sua volta fa parte della FISH (Federazione Italiana Superamento Handicap), nonché la neonata associazione “Ciao, Ci Sentiamo”, costituita dagli utenti del servizio di Audiologia Pediatrica dell’Ospedale Martini. L’attività di queste associazioni è principalmente di Audit e di bilancio sociale con sostegno alle diverse attività di supporto al Centro, come l’aiuto psicologico alle famiglie e la tutela dei diritti delle persone sorde. Tali associazioni tuttavia, in quanto ONLUS, si sono rese disponibili a contribuire, anche in minima parte ed a diverso titolo, al supporto finanziario di risorse umane e strutturali del CIAO mediante la promozione di iniziative culturali finalizzate alla sensibilizzazione del problema della disabilità uditiva nella scuola e nella società, lanciando un volano virtuoso e responsabile di “auto-sostentamento”, nella consapevolezza del momento di crisi economica del nostro sistema pubblico che, sempre più povero, è invece chiamato ad esaudire bisogni di salute sempre più onerosi a causa dei rivoluzionari quanto costosi progressi tecnologici della moderna medicina. Per contattare l’associazione: ciaocisentiamo2013mail.com

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AUDITORY VERBAL THERAPY: PRINCIPI, TECNICHE E STRATEGIE Laura Maria Pagliero1

Dopo l’esperienza formativa effettuata dalle Logopediste nel 2008-2009, la (ri)abilitazione logopedica presso il Centro “Network Ciao”, segue i principi fondamentali dell’Auditory Verbal Therapy” (AVT, in italiano Terapia Udivito-Verbale), ottenendo un significativo miglioramento dello sviluppo comunicativo verbale e di integrazione sociale. La Terapia Uditivo-Verbale prevede l’applicazione di tecniche, strategie, condizioni e procedure che promuovono l’acquisizione ottimale del linguaggio parlato attraverso l’ascolto. Nel momento in cui il metodo uditivo-verbale viene osservato con il necessario grado di attenzione, competenza, guida e amore, molti bambini sordi imparano a sviluppare una competenza conversazionale eccellente (Ling 2002) (Estabrooks, 2000). Il risultato del metodo uditivo-verbale consiste nel fatto che bambini sordi crescano in ambienti normali di apprendimento e di vita, e ciò permette loro di divenire cittadini indipendenti. Il gruppo di lavoro è normalmente composto dall’audiologo, l’audiometrista, il logopedista il bambino e la famiglia. Nello specifico della cultura e dell’organizzazione dei servizi di cui disponiamo in Italia a questa èquipe vanno aggiunti i servizi sociali ed educativi, l’educatore professionale, il pediatra e gli insegnanti. Il metodo uditivo-verbale sostiene il massimo utilizzo del canale uditivo al fine di imparare il linguaggio e porre l’accento sull’ascolto piuttosto che sulla vista: in questo l’AVT si differenzia profondamente dai metodi oralisti tradizionali in cui al contrario veniva posta particolare attenzione all’addestramento alla labiolettura. La terapia logopedica con l’AVT necessita di svolgersi quindi nelle migliori condizioni acustiche e per questi stessi motivi risulta di fondamentale importanza la “geografia” della seduta, intesa 1

Consulente Logopedista, Centro Network CIAO – Ospedale Martini, Torino

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come la posizione dei partecipanti e l’attenzione per il setting terapeutico. Ogni sessione prevede la partecipazione del terapista, del bambino e del genitore. Il Terapista siede normalmente dalla parte dell’orecchio migliore, il genitore dall’altro lato del bambino. Qualora i bambini siano molto piccoli, possono essere seduti sul seggiolone. La Terapia Uditivo-Verbale si basa su 10 principi che riguardano in particolare l’aspetto diagnostico e la protesizzazione, il coinvolgimento della famiglia, il modello riabilitativo da seguire e l’inserimento dei bambini ipoacusici in gruppi di coetanei udenti: 1. promuovere la diagnosi precoce, seguita da una immediata gestione audiologica e da una terapia uditivo-verbale 2. raccomandare l’uso della tecnologia appropriata e all’avanguardia per ottenere il massimo beneficio dalla stimolazione uditiva 3. guidare e insegnare ai genitori ad aiutare il loro bambino a usare l’udito come la principale modalità sensoriale dello sviluppo del linguaggio verbale senza l’uso dei segni e della lettura labiale 4. promuovere la diagnosi precoce, seguita da una immediata gestione audiologica e da una terapia uditivo-verbale 5. raccomandare l’uso della tecnologia appropriata e all’avanguardia per ottenere il massimo beneficio dalla stimolazione uditiva 6. guidare e insegnare ai genitori ad aiutare il loro bambino a usare l’udito come la principale modalità sensoriale dello sviluppo del linguaggio verbale senza l’uso dei segni e della lettura labiale 7. guidare e insegnare ai genitori a usare modelli di sviluppo normale di ascolto, parole, linguaggio, cognizione e comunicazione 8. guidare e insegnare ai genitori a aiutare il loro bambino ad auto-controllare il linguaggio verbale attraverso l’ascolto (feed-back uditivo) 9. somministrare valutazioni diagnostiche formali e informali per sviluppare piani di lavoro adeguati, per monitorare i progressi e valutare l’efficacia del trattamento per il bambino e la famiglia. 10. favorire l’educazione in classi con coetanei udenti e con servizi di supporto idonei fin dalla prima infanzia. Ogni attività proposta al bambino deve comprendere obiettivi per le seguenti aree: -- ascolto -- articolazione (livello fonetico-fonologico)

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linguaggio sviluppo cognitivo (e comprensione) comunicazione

e deve tenere conto del -- livello di sviluppo del bambino, -- le abilità specifiche raggiunte in ogni area -- l’età uditiva All’interno di ognuna delle aree dell’ascolto, ci sono quattro livelli di capacità uditive: -- detezione è la capacità di rispondere alla presenza o assenza di suoni. In questo modo, il bambino impara a rispondere, a fare attenzione ai suoni e a non rispondere quando questi non sono presenti -- discriminazione è la capacità di percepire somiglianze e differenze tra due o più stimoli uditivi. Il bambino impara a fare attenzione alle differenze tra i suoni, o a rispondere differentemente a differenti stimoli -- identificazione/riconoscimento è la capacità di riprodurre uno stimolo uditivo con nomi o di identificare attraverso l’osservazione di un’immagine, attraverso la scrittura, o la ripetizione il suono percepito -- comprensione è la capacità di comprendere il significato delle parole rispondendo a domande, seguendo un’istruzione, parafrasando, o partecipando ad una conversazione. La risposta del bambino deve essere qualitativamente differente rispetto agli stimoli presentati. (Erber 1977). Le tecniche previste dal Metodo possono essere raccolte in quattro ampie categorie: 1. Enfasi acustica (acustic highlighting) -- aumentare l’udibilità del messaggio -- far completare una frase al bambino (auditory closure) -- Catturare l’attenzione del bambino tramite il suono -- chiedere... “Che cosa hai sentito?” -- cambiare il compito da set chiuso a set aperto -- avvicinarsi al bambino

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indicare al bambino di ascoltare attentamente

2. Strategie per facilitare l’ascolto e stimolare la produzione -- usare un sinonimo -- fornire alternative -- ripetere una strategia già usata -- riformulare la frase in modo diverso -- classificare per categoria semantica -- chiedere o fornire una definizione -- ripetere la parte della storia che contiene la risposta -- suggerire gli opposti 3. La tecnica dell’attendere...il processamento 4. Voce, ritmo e melodia! La frequenza prevede un’unica seduta logopedica settimanale in quanto durante la sessione, si verificano le acquisizioni e si pianificano i nuovi obiettivi per la settimana successiva. È la famiglia che ha il compito di stimolare quotidianamente il bambino e proporgli le attività specifiche per il raggiungimento degli obiettivi stessi; è il genitore che deve diventare in grado di generalizzare le attività e di proporne di nuove in ambito quotidiano.

Bibliografia Warren, E. (2000) Auditory Verbal Therapy, Miami, Florida, M. Ed, traduzione a cura di Chiara Brogiato Erber, N.P. & Witt, L.H. (1977) Effect of stimulus intensity on speech perception by deaf children, in Journal of Speech and Hearing Disorders, 42 (2), 271-278 Ling, D. (2002) Chapter 9 - Evaluation. Speech and the Hearing-Impaired Child: Theory and Practice, Washington, DC: Alexander Graham Bell Association for the Deaf and Hard of Hearing, pp. 135-172.

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PROTESI ACUSTICHE E IMPIANTI COCLEARI: COSA È CAMBIATO NEL PROGETTO ABILITATIVO DEL BAMBINO SORDO? Leonarda Gisoldi1

Durante i primi anni di vita, attraverso interazioni eccezionalmente complesse, il bambino raggiunge la maturazione del sistema nervoso: ogni nuova acquisizione è il risultato dell’integrazione dei diversi sistemi sensoriali con l’ambiente sociale e fisico. Così l’organizzazione dei processi mentali come il pensiero, il linguaggio, la creatività, la capacità di risolvere problemi ma anche l’attività motoria, la percezione, la memoria, l’attenzione e l’apprendimento sono il risultato di processi interattivi che codificano, trasformano e manipolano le informazioni provenienti da varie fonti. Un armonico sviluppo richiede, quindi, capacità intatte e ricche opportunità interattive e ambientali in cui esercitarle. Ogni danno biologico2 che interferisce con queste esperienze può distorcere l’interazione tra ambiente sociale e bambino. Le conseguenze dovute alla sordità grave e gravissima (> di 70 dB Hl come media delle frequenze 500-1000-2000 Hz) insorta in età perlinguale (prima dei 18-24 mesi) si riflettono, inevitabilmente, su tutte le azioni collegate al buon funzionamento dei centri e delle vie nervose e non, condizionando oltre al funzionamento della percezione uditiva, lo sviluppo del linguaggio verbale e dei rapporti sociali. Nel passato l’individuazione della sordità era lasciata al sospetto dei ge1 Logopedista presso ASL TO 2 e docente al Corso di Laurea Triennale in Logopedia presso l’Università degli Studi di Torino. 2 “Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri.” Convenzione sui diritti della persona con disabilità (ONU-New York 13.12.2006).

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nitori o dei pediatri concretizzandosi spesso tardivamente talora oltre il secondo anno di vita, per contro è evidente come l’identificazione e la diagnosi precoce nelle sordità prelinguali diventino essenziali per raggiungere l’obiettivo di ridurre gli effetti che l’impairment uditivo può avere sullo sviluppo del linguaggio e delle competenze cognitive e relazionali del bambino. È evidente, quindi, come analizzare i cambiamenti accorsi nella gestione delle sordità infantili prelinguali mettendo il focus solo sull’evoluzione della tecnologia protesica è senz’altro riduttivo giacché si è assistito negli ultimi decenni ad una importante trasformazione del complesso processo di identificazione e diagnosi precoce con lo sviluppo di programmi di screening neonatale universale della sordità (SNUS). Tutto ciò ha aperto nuove frontiere per i professionisti che si occupano di abilitazione ed educazione del bambino sordo in quanto si sono dovute mettere a punto nuove competenze protesiche, tecnologiche, pedagogiche e metodologiche anche in rapporto all’abbassamento dell’età di presa in carico. Facendo riferimento ai principi e alle linee guida contenute nei programmi di rilevazione e di intervento precoce sulle sordità infantili presenti nella dichiarazione del 2007 del J.C.I.H3 (applicati al 95% di tutti i neonati statunitensi) si possono così riassumere le principali tappe a cui fare riferimento: -- 1. alla nascita (entro il primo mese di vita): screening con TEOAE (Otoemissioni Acustiche Evocate Transitorie) e ABR (Potenziali Evocati Uditivi); -- 2. entro i primi 3 mesi di vita: diagnosi audiologica formale da completarsi con le valutazioni collaterali entro i 6 mesi; -- 3. entro i 6 mesi di vita: avviamento ad interventi medici, protesici, chirurgici, educativi, abilitativi…. -- 4. ai 9, 18, 24-30 mesi: sorveglianza rigorosa delle tappe di sviluppo generale auxologico, cognitivo, uditivo, del linguaggio. Sul territorio italiano sono ancora molte le Regioni lontane da questi standard ma laddove ciò è realtà (Linee Guida della Regione Emilia Romagna, Toscana e Campania), definita la diagnosi nei centri di riferimento secondo un percorso che richiede normalmente poche settimane, il risultato finale vede una consistente popolazione di lattanti con sordità grave e gravissima accedere ad altri due importanti step della gestione delle sordità infan3 Position Statement 2007 “Principles and Guidelines for early Hearing Detections and Intervention Programs” www.pediatrics.org; Pediatric Library.

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tili: la rimediazione protesica e la presa in carico logopedica. L’evoluzione della tecnologia protesica garantisce attualmente una buona affidabilità delle applicazioni protesiche precoci; grazie soprattutto alla tecnologia digitale si può oggi disporre di apparecchiature potenti e dotate di sistemi di regolazione molto sofisticasti; inoltre la progressiva miniaturizzazione, il migliorato design ed i materiali più confortevoli per le chiocciole hanno reso disponibili strumenti veramente flessibili che ben si adattano alle necessità della protesizzazione pediatrica. Accanto a ciò alla fine degli anni ‘90 si è sviluppata la tecnica dell’impianto cocleare4, questo tipo di soluzione, diverso dagli strumenti illustrati precedentemente in quanto necessita di un intervento chirurgico, può essere considerata una delle maggiori conquiste tecnologiche in ambito biomedico. Nel 1990 l’organismo statunitense Food and Drug Administration (FDA) ne approvava l’utilizzo nei bambini di età superiore a due anni affetti da sordità prelinguale bilaterale gravissima con insufficiente beneficio protesico, nel 2000 tale limite di età è stato abbassato ad un anno di vita e vi è stato un allargamento dei criteri di accesso (bambini con sordità grave, comorbilità con altre disabilità, sordità monolaterale..); attualmente in molti Paesi vi è un numero crescente di centri implantologici dove vengono impiantati bambini anche nel loro primo anno di vita. Personalmente pur non essendo coinvolta in questa fase decisionale che spetta al team diagnostico e alla famiglia accuratamente informata, ritengo che la scelta se candidare un bambino all’impianto cocleare sia molto complessa in quanto intervengono due esigenze in apparenza contrastanti tra loro. Da un lato occorre decidere in tempo utile per sfruttare il periodo di massima plasticità del SNC in modo da trarre i maggiori benefici dalla stimolazione uditiva e dall’altro lato occorre acquisire tutte le informazioni cliniche necessarie a supportare un atto chirurgico che avrà molte probabilità di provocare una lesione permanente al recettore cocleare con la conseguente perdita dei residui uditivi presenti. Occorre quindi raccogliere tutti gli elementi clinici per essere sicuri che quel bambino con l’amplificazione 4 “L’impianto cocleare può essere molto semplicemente definito come un dispositivo elettronico in grado di stimolare direttamente le fibre residue del nervo acustico in soggetti sordi profondi che non traggono soddisfacente beneficio dalle protesi acustiche convenzionali. Il nervo, stimolato da questi segnali elettrici, invia il messaggio ai centri corticali superiori per la percezione e la decodificazione. In altre parole, potremmo affermare che l’impianto cocleare si fa carico delle funzioni che una chiocciola danneggiata non può più svolgere, trasmettendo direttamente il messaggio sotto forma di impulsi elettrici alle strutture neurali retro cocleari. In una concezione più ampia potremmo quindi parlare di chiocciola artificiale ”(A. Zaghis, 1997).

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acustica ottimale non raggiungerà adeguati risultati nell’ apprendimento del linguaggio verbale. Appare evidente come questa scelta, che ha un grande contenuto etico e deontologico, non può prescindere da una accurata valutazione funzionale globale del bambino effettuata da tutto il team diagnostico di cui fa parte a pieno titolo anche il logopedista. Ecco, quindi, come oggi l’efficienza e la tempestività dell’intervento sulla sordità prelinguale non può esaurirsi nella identificazione, diagnosi e rimediazione protesica del bambino ma necessita di una accurata gestione del processo abilitativo-riabilitativo. Da un lato i logopedisti delle strutture di diagnosi si sono dotati di protocolli di monitoraggio dell’evoluzione delle abilità percettive e comunicativo-linguistiche adatti alla giovane età dei bambini, facilmente somministrabili, affidabili e replicabili dall’altro i logopedisti dei servizi riabilitativi territoriali hanno iniziato ad accogliere bambini sordi sempre più piccoli forniti di ausili rimediativi maggiormente sofisticati e potenti che li hanno sollecitati a “riposizionare”, per molti di loro, gli obiettivi abilitativi nei domini percettivo-uditivo e comunicativo-linguistico. Queste considerazioni non devono farci dimenticare che la riabilitazione in età evolutiva deve coniugare la specificità dell’intervento con la dimensione evolutiva in atto rispettando precise condizioni ecologiche di attuazione. Metodologie, processi, strategie, ambienti,… devono tener conto della peculiarità del bambino, non solo per il doveroso rispetto alla persona, ma per rendere efficace lo stesso processo educativo. Non è questa la sede di approfondire l’articolazione della presa in carico logopedica, il ruolo della famiglia, l’importanza della rete dei servizi e molti altri aspetti in quanto vanno oltre l’oggetto della presente relazione ma, a fronte di una estrema eterogeneità della popolazione dei bambini sordi (età, portatori di protesi retroauricolari, portatori di impianto cocleare, competenti in lingua dei segni, figli di genitori udenti, figli di genitori sordi, figli di immigrati, ecc..), ritengo doveroso ribadire che il fine ultimo, da sempre perseguito, rimane quello del raggiungimento della migliore competenza linguistica verbale in rapporto alle caratteristiche e potenziali del bambino. Ovviamente grandi sono le modificazioni che nel tempo si sono adottate negli strumenti, nelle metodologie, nelle strategie, nelle tecniche; infatti il logopedista deve saper cogliere, sulla base delle caratteristiche individuali del bambino, del suo contesto famigliare, del suo profilo di funzionamento e degli specifici obiettivi, cosa utilizzare “in quel momento e con quel bambino” cercando di non cadere nell’adesione a “Un Metodo” di trattamento con percorsi riabilitativi rigidamente definiti. L’attuale precocità di intervento, soprattutto grazie all’impianto cocleare,

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determina tra i professionisti un aumento delle aspettative rispetto allo sviluppo uditivo e linguistico. Tuttavia gli studi su larga scala hanno, fin da subito, segnalato anche una considerevole variabilità nei risultati tra gli stessi portatori di impianto cocleare: alcuni bambini riescono a giungere ad una comprensione del parlato anche senza l’ausilio della labiolettura o, addirittura, comunicano al telefono mentre altri non sviluppano un’abilità sufficiente per poter discriminare un segnale verbale se non con il supporto visivo. Non vi è una chiara spiegazione di come mai alcuni individui dimostrino risultati assolutamente eccezionali mentre altri manifestino risultati meno buoni, con gamma di performance percettiva ampia perfino tra bambini con una storia audiologica simile e portatori dello stesso modello di impianto. Questa variabilità nelle performance uditive solleva oggi molte importanti domande e, a seconda delle risposte che otterremo, è probabile che sarà necessario rimodellare l’approccio abilitativo-riabilitativo alla sordità. Quali sono i fattori che meglio predicono l’outcomes che potrà ottenere il bambino? Quali sono le abilità sulle quali maggiormente investire nel programma di abilitazione uditivo-comunicativo? Quali sono le misure più efficaci per valutare la bontà di un trattamento? A queste domande non vi sono ancora risposte univoche e certamente un grosso aiuto potrà arrivare dalle neuroscienze e, nello specifico da coloro che, tramite valutazioni psicometriche e di neuroimaging, studiano i processi percettivi, cognitivi e comportamentali correlandoli con i meccanismi anatomo-funzionali che ne sottendono il funzionamento.

BIBLIOGRAFIA A. Quaranta, E Arslan, S. Burdo, D. Cuda, R. Filipo, N. Quaranta, “Linee Guida per l’applicazione dell’lmpianto Cocleare e la gestione del Centro Impianti Cocleari”, Argomenti di Acta Otorhinolaryngologica Italica 2009; 3: 1-5 BURC N.26 del 30 /06/2008 Regione Campania “Linee Guida per l’iter terapeutico riabilitativo dei soggetti affetti da ipoacusia neurosensoriale grave/profonda bilaterale da protesizzare o già protesizzati con impianto ­cocleare” e “indicazioni relative al cambio della esoprotesi cocleare o processore”

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D. Cuda, “Impianti Cocleari”, Quaderni Monografici di Aggiornamento A.O.O.I. 2008 Deliberazione della Giunta regionale Emilia Romagna 23/5/2011 n° 694 “Screening uditivo neonatale e percorso clinico e organizzativo per i bambini affetti da ipoacusia in Emilia-Romagna - Approvazione linee guida per le aziende sanitarie” L. Gisoldi, A. M. Sapuppo “Presa in carico logopedica multidimensionale e multimodale del bambino sordo in età prescolare” cap. 34 in “Presa in carico e intervento nei disturbi dello sviluppo”, Erickson, Gardolo (Tn) 2009 OMS “ICF CY: versione per bambini e adolescenti”, Erickson, Gardolo (Tn) 2007 Position Statement 2007 “Principles and Guidelines for early Hearing Detections and Intervention Programs”www.pediatrics.org; Pediatric Library R. Luppari (a cura di) “Eziologia, diagnosi, prevenzione e terapia della sordità infantile preverbale”, Quaderni Monografici di Aggiornamento A.O.O.I. 2007 S. Berrettini (a cura di) “ Linee Guida per la conduzione dello screening audiologico neonatale nella Regione Toscana” 6/6/2007 Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n° 2389 S. Berrettini, E. Arslan, A. Baggiani, S. Burdo, E. Cassandro, D. Cuda, R. Filipo, P. Giorgi Rossi, P. Mancini, A. Martini, A. Quaranta, N. Quaranta, G.Turchetti, F. Forli ”Analysis of the impact of professional involvement in evidence generation for the HTA Process, subproject “ Cochlear Implants”: methodology, results and recommendation”, Acta OtorhinolaryngolItalica, 2011; 31: 273-280.

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I FONEMI DIVENTANO CANZONI Nuove attività per lo sviluppo della percezione uditiva, della comprensione e delle abilità articolatorie Gemma Loi, Alessandro Loi

Nella pratica logopedica con bambini che presentano difficoltà comunicativo-linguistiche, mi sono spesso domandata se le attività proposte e persino quelli che vengono definiti “giochi logopedici”, siano davvero percepiti come un momento divertente o almeno non eccessivamente impegnativo. Una rapida analisi delle attività e dei giochi logopedici più usati mi ha portato ad osservare che, affinché essi risultino efficaci al raggiungimento di obiettivi specifici, sia indispensabile un certo livello attentivo da parte dei bambini ed inoltre che sia determinante un setting strutturato che non sempre si adatta ai tempi e ai modi di tutti. La percezione da parte dei genitori che la logopedia sia un “compito” impegnativo, associata alla scarsità di tempo determinato dai ritmi di vita moderna, si traducono spesso in una difficoltà nel riproporre a casa le attività consigliate dalla logopedista, per giungere ad una generalizzazione delle abilità apprese durante le sedute logopediche. Se ciò accade i miglioramenti attesi stentano a verificarsi o avvengono in modo più rallentato. Ho provato a ragionare su possibili attività di stimolazione uditivo-linguistica che potessero essere più flessibili, più fruibili e più adattabili alla vita quotidiana dei bambini, e possedere contemporaneamente le seguenti caratteristiche: -- aumentare il livello di attenzione uditiva; -- migliorare l’umore e la motivazione del bambino, fattori indispensabili per l’apprendimento; -- sviluppare la memoria verbale di parole e frasi; -- incrementare l’ascolto selettivo di fonemi critici; -- stimolare (in modo non richiestivo) la produzione orale, in particolare la produzione di un determinato fonema critico; -- possibilità di un setting non strutturato e di un tempo non “dedicato”.

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migliorare l’umore del genitore ed essere considerato dallo stesso come “facilmente utilizzabile” e non impegnativo.

Il mio percorso formativo-professionale mi ha portato alla conoscenza di strade alternative per stimolare il linguaggio orale anche in bambini penalizzati sul piano sensoriale-percettivo, cognitivo, motorio-prassico ideate da personalità di rilievo in ambito scientifico. Molta curiosità mi hanno suscitato la prof. Zora Drezancic, musicista e insegnante ed il prof. Estabrook, entrambi fondatori di un metodo per stimolare il linguaggio verbale in bambini sordi (rispettivamente il metodo “Zora Drezancic” e il metodo “Auditory Verbal Teraphy”). Ambedue hanno trovato nel ritmo e nella musica un alleato per stimolare l’ascolto e l’apprendimento del linguaggio. Inoltre va considerato che spesso nei bambini con deficit comunicativolinguistici, anche se lievi (es. disturbi fonologici, ritardi di linguaggio, ecc.), oltre alle difficoltà percettivo-uditive si possono riscontrare blocchi relazionali secondari e talvolta anche lievi inibizioni intellettive, essendovi una correlazione tra l’evoluzione degli aspetti cognitivi, emotivi e linguistici. Nel tenere conto di questa globalità, studi intrecciati tra esperti del linguaggio e musicoterapisti hanno dimostrato come l'esperienza musicale possa essere considerata un possibile strumento con funzioni positive rispetto a ciascuno di questi aspetti. Forse proprio queste conoscenze e il desiderio di una logopedia più “ecologica”, più “a misura di bambino” mi hanno progressivamente condotto a pensare che la canzone potesse essere la soluzione ideale. La canzone contiene in sé tutte le caratteristiche sopra elencate poiché è naturale, migliora l’umore e diverte sia gli adulti sia i bambini. Si può cantare da soli o insieme agli altri e si può cantare sempre e ovunque e poiché cantando ci si diverte è molto più probabile che il genitore segua le indicazioni logopediche “cantando” piuttosto che facendo altre attività più strutturate. Tale convinzione mi ha guidata e spinta a creare testi e filastrocche, che potessero stimolare l’ascolto, l’attenzione, la produzione linguistica con una particolare attenzione per i singoli fonemi della lingua italiana. L’incontro professionale con Alessandro Loi (conduttore di musica in culla, musicista e insegnante di musica) ha reso possibile la trasformazione di quelle filastrocche in canzoni, con melodie da lui stesso create e poi cantate dai piccoli Andrea, Chiara e Davide. Le canzoni, suonate ed arrangiate dallo stesso Alessandro Loi e da Angelo Dalmasso (musicista e insegnante), si sono dimostrate un veicolo creativo e originale per arrivare al cuore, all’orecchio, al cervello e infine alla verbalità dei bambini.

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Presentazione del materiale Il materiale creato si propone come strumento abilitativo per il corretto sviluppo degli aspetti percettivo-uditivi sia nei bambini con una evoluzione linguistica regolare ma non ancora completa sia nei bambini con deficit comunicativo-linguistici primari (ritardo di linguaggio con particolare attenzione ai disturbi fonetico-fonologici e dislalie) e secondari (sordità ed altre patologie comunicativo-linguistiche). Tali attività, pensate per supportare il logopedista nel trattamento percettivo-uditivo e linguistico del bambino, hanno la caratteristica di inserirsi perfettamente nelle metodiche e tra gli obiettivi della scuola per l’infanzia. Anche i genitori, sostenuti dalla logopedista, potranno trovare nelle canzoni un prezioso alleato per consolidare i miglioramenti percettivo-uditivi e fonetico-articolatori impostati durante le sedute, in modo divertente e senza la necessità di trovare il tempo ed il luogo adatto. Il materiale è composto da 22 canzoni, ciascuna delle quali stimola in modo intensivo un particolare fonema della lingua italiana, e da un volume di attività con 22 capitoli, ognuno dei quali fa riferimento ad una delle canzoni. Ogni capitolo, oltre al testo della canzone e alla storia che ad essa fa riferimento, presenta alcune attività che supportano la percezione uditiva e stimolano l’evoluzione linguistica a più livelli: dalla stimolazione di ogni fonema specifico fino alla comprensione, meta di integrazione tra percezione e cognizione. Le attività presenti in ogni capitolo sono: domande per la comprensione e la stimolazione del fonema bersaglio, attività per il riordinamento della storia, attività per l’arricchimento lessicale, attività di previsione lessicale (cloze). Al fondo di ogni capitolo sono presenti le immagini in bianco e nero (disegnate da Patrizia Pozzi e Simone Becucci) che riproducono le fasi principali di ciascuna storia.

Le canzoni Il lessico e la morfosintassi utilizzati sono più semplici nelle canzoni contenenti i fonemi che per primi compaiono nello sviluppo linguistico, diventando più complessi in quelle successive, per esempio quelle con i gruppi consonantici. Gli argomenti delle canzoni richiamano esperienze, conoscenze ed emozioni che fanno parte del patrimonio collettivo di ciascuno ed anche per questo al secondo ascolto si rivelano già così “familiari”.

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Dal punto di vista strettamente musicale le canzoni sono state sviluppate secondo le modalità utilizzate nel “metodo Gordon” (uno dei più sofisticati modelli di didattica musicale, nato dall'intuizione di poter insegnare la musica come un qualunque altro linguaggio ai bambini o ai neonati, con varietà di stimoli e di loro complessità assimilabili a quelle che i neonati ascoltano nella loro lingua madre) e nella metodologia di “Musica in Culla” (che al metodo Gordon aggiunge un importante apporto teorico-pratico legato alla psicologia di Stern). Quindi c'è stata la più grande varietà di modi (ionico, dorico, locrio, scale arabe e tanti altri), tempi (¾, 4/4, 7/4, 12/8 e altri), e ritmi (bossa nova, blues, country, popolare, swing...); il corpus di canzoni presenta così un livello di complessità a volte maggiore di quello che si trova in diverse canzoni “da grandi”, ma sempre con una grande chiarezza che per i bambini risulta facilmente comprensibile. Anche le note utilizzate per il canto sono in massima parte racchiuse nel range di note che i bambini sentono e cantano con più facilità. Ogni canzone è cantata da bambini con melodie che risultano gradevoli anche agli adulti. Ascoltare, comprendere e cantare canzoni: osservazioni sulla sperimentazione svolta nella scuola per l’infanzia “San Francesco di Sales” dell’Istituto dei Sordi di Torino Il materiale e le canzoni sopra descritte sono stati proposti a gruppi di 7-8 bambini distinti per fascia di età nel corso di un laboratorio sperimentale presso la scuola per l’infanzia “San Francesco di Sales”. I gruppi identificati sono stati due per ciascuna fascia d’età (treenni, quattrenni, cinquenni) per un totale di 6 gruppi; il laboratorio sperimentale è stato realizzato dal mese di ottobre 2012 a marzo 2013. Più volte sono stati inseriti, nei gruppi così formati, bambini portatori di impianto cocleare di altre scuole per l’infanzia, allo scopo di verificare se le canzoni ed il materiale proposto potesse adattarsi alle esigenze di bambini con uno sviluppo percettivo-uditivo non completo o deficitario.

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Ascoltando la storia “cantata” i bambini si sono trovati in una situazione inconsueta in cui stimoli uditivo-linguistici e musicali, si sono intrecciati sostenendosi gli uni con gli altri per il raggiungimento di obiettivi differenziati ma strettamente connessi: 1. Sviluppo della percezione uditiva (attenzione uditiva, memoria uditiva, discriminazione figura-sfondo, interiorizzazione del modo e del tempo della melodia, comprensione di parole, di frasi, del racconto). 2. Incremento della memoria a medio e lungo termine di parole e frasi facilitata e resa più stabile dalla presenza della melodia. 3. Sviluppo pneumofonico fino al raggiungimento di una corretta intonazione e un corretto senso ritmico e miglioramento articolatorio. 4. Produzione ridondante del fonema bersaglio in posizione iniziale o intermedia, in sillaba semplice e gruppo consonantico ma anche “auto-stimolazione” del fonema bersaglio, per la tendenza spontanea a cantare in momenti differiti (con la voce o “nella testa”) le parti più ridondanti delle canzoni. 5. Raggiungimento progressivo dell'audiation, ovvero del pensiero musicale astratto: la capacità di comprendere una melodia al di là dell'attimo, ma nel suo intero svolgimento (con tutte le implicazioni rispetto al pensiero astratto tout court). 6. Stimolazione di immagini mentali partendo dalla storia/canzone.

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L’attività di gruppo ha favorito, oltre alla stimolazione delle regole sociali, anche il continuo confronto tra i bambini rispetto ai contenuti della canzone e alle sensazioni, ricordi che esse hanno suscitato, creando ulteriori occasioni di crescita linguistica e cognitiva. L’utilizzo di materiale di supporto, come le immagini, ha permesso una migliore comprensione anche in quei bambini che mostravano difficoltà a comprendere la canzone o la narrazione della stessa. La canzone inoltre ha rappresentato uno straordinario strumento per sostenere l’umore e la motivazione dei bambini, facilitando la gestione di eventuali situazioni critiche, e dimostrandosi teatro favorevole per l’apprendimento spontaneo.

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“IL CAMPUS” ESTIVO DELL’ISTITUTO DEI SORDI attività ludico-riabilitative di gruppo per lo sviluppo comunicativo-linguistico

Gemma Loi, Patrizia Pozzi1

Apprendere è crescere; apprendere è cambiare e non c’è apprendimento senza motivazione. Molte ricerche psicologiche ed etologiche concordano sul fatto che il gioco rappresenti, soprattutto in età evolutiva, un veicolo impareggiabile per aumentare la motivazione e favorire l’apprendimento. Per i bambini non esiste gioco più attrattivo di quello fatto con i coetanei. E tra bambini si ride, ci si diverte, si litiga, ci si confronta, insomma si comunica. Il gruppo permette inoltre, grazie alla possibilità di giocare e interagire, non solo un maggior numero di situazioni comunicative spontanee ma anche l’attivazione del piano emotivo, intellettuale, relazionale e sociale, fattori che determinano una maggiore possibilità di imparare.

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Logopediste del Centro Audiologopedico dell’Istituto dei Sordi di Torino

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IL CAMPUS L’idea del “Campus” da cui scaturiscono cinque giornate ricche di stimoli, nasce proprio dall’intento di creare una situazione di gruppo motivante per favorire, attraverso attività ludiche, lo sviluppo del linguaggio e il miglioramento delle abilità di ascolto in soggetti sordi di età compresa tra i 6 e i 15 anni. Al “Campus” si scopre un nuovo modo di far logopedia, giocando insieme e divertendosi. Le figure coinvolte nell’organizzazione e conduzione del “Campus” sono le logopediste, coadiuvate dagli educatori. Il modulo compilato dai genitori al momento dell’iscrizione, con una descrizione sintetica del quadro comunicativo-linguistico di ogni bambino, permette prima dell’avvio del “Campus”, di ipotizzare la costituzione di due gruppi: uno composto da bambini con percorso oralista e l’altro da bambini prevalentemente segnanti (LIS) o con modalità comunicative gestuali. Ciò consente di definire gli obiettivi più importanti (in comprensione e in produzione) per ciascun gruppo. Partendo dagli obiettivi è possibile ideare giochi dedicati e modificare giochi già esistenti per renderli più funzionali alle esigenze di ciascun gruppo. La maggior parte di essi sono proposti ai due gruppi in momenti e con modalità differenti.

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Gli obiettivi identificati per il gruppo dei bambini oralisti sono stati: -- Attenzione uditiva tra più interlocutori e rispetto del turno comunicativo. -- Riconoscere frasi con più elementi critici. -- Identificazione di strumenti in brani musicali. -- Riconoscere parole e frasi in canzoni. -- Migliorare le abilità morfo-sintattiche. -- Sviluppare la previsione lessicale partendo da storie o filastrocche. -- Arricchire le immagini mentali (partendo da input non visivi) per sviluppare le abilità descrittive. -- Incrementare la comprensione del testo. -- Imparare a creare storie partendo da parole non collegate tra loro. Per il gruppo dei bambini con maggiore difficoltà verbale gli obiettivi sono stati i seguenti: -- Rispetto del turno comunicativo. -- Sviluppo dell’attenzione uditiva verso rumori e suoni ambientali e loro identificazione. -- Coordinazione uditivo-motoria con brani musicali. -- Discriminazione e identificazione di strumenti musicali. -- Comprensione di ordini semplici scritti. -- Comprensione del testo scritto facilitato (Sym-writer). -- Miglioramento delle abilità frasali e morfo-sintattiche orali e scritte. La giornata-tipo del “Campus” inizia con il ritrovo dei partecipanti nei locali dell’Istituto e con un momento di gioco libero, prosegue con le attività mirate differenziate per i due gruppi condotte dalle logopediste per arrivare al pranzo in cui ci si ritrova tutti insieme. Nel pomeriggio dopo il gioco libero, vengono proposte nuove attività dalle logopediste fino al momento della merenda e ad uno spazio finale di condivisione con i genitori. Il momento del ritrovo e del gioco libero rappresenta una fase importante per i ragazzini: è lo spazio dedicato al riallacciarsi di amicizie e alla formazione di nuovi legami ed è anche il tempo in cui i ragazzini possono scegliere quale gioco fare, se da tavolo o di movimento, organizzandone in

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modo autonomo regole e modalità. Gli educatori intervengono nelle situazioni di conflitto mediando tra le parti e favoriscono la comunicazione tra i ragazzini che utilizzano codici diversi.

L’inizio del gioco strutturato con le logopediste corrisponde alla divisione in due gruppi. Le attività che sottendono obiettivi logopedici specifici, sono distanti dalla classica forma riabilitativa a tavolino: le attività percettivouditive si affrontano con il “gioco della scopa”, con il “Bolero” di Ravel piuttosto che con la decifrazione di uno speciale “codice Morse” o, perché no, improvvisandosi batteristi; la comprensione del testo diventa una “caccia al tesoro” o un percorso ad ostacoli; le abilità frastiche scaturiscono da “parole travestite” o divertendosi a doppiare film muti e così via. Insomma ogni proposta assume una veste ludica che permette ai ragazzini di divertirsi e nello stesso tempo di effettuare una efficace stimolazione delle abilità comunicativo-linguistiche. Nel primo pomeriggio riprendono le attività con le logopediste dopodiché si fa merenda tutti insieme e ci si confronta su cosa è piaciuto di più e su cosa non è piaciuto, cercando di trovare le motivazioni. All’uscita è previsto un momento di colloquio con le famiglie in cui si riferisce sul comportamento e sulla partecipazione alle attività dei singoli ragazzini e si consegna ai genitori il programma svolto.

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Ogni giorno vengono effettuate riprese video e fotografie per documentare le attività proposte ai partecipanti e a fine giornata ci si confronta fra operatori sulla relazione tra attività proposte e obiettivi nonché sulle reazioni da parte dei ragazzini.

Il materiale video e fotografico elaborato viene presentato alle famiglie durante il pomeriggio del venerdì, giorno in cui si conclude “Il Campus”. Ge-

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nitori e parenti hanno modo di vedere slide di presentazione degli obiettivi logopedici, foto e video dei giochi svolti e i ragazzini possono rivedersi dal di fuori e ricordare le emozioni vissute. Arriva il momento delle premiazioni in cui ad ogni partecipante viene riconosciuto l’impegno dimostrato attraverso un ricordo simbolo del “Campus”. Il momento dei saluti è ricco di emozioni: parole, gesti, voci e segni si mischiano; qualcuno sfoggia il premio con aria trionfante; abbracci inaspettati; una profusione di strette di mano e la richiesta da parte delle famiglie e dei ragazzini stessi di ripetere l’esperienza; l’orgoglio da parte nostra di aver realizzato un progetto innovativo e stimolante e la voglia di riprovarci l’estate successiva. Come ogni progetto “Il Campus” ha visto una fase ideativa, una di realizzazione e una di bilancio finale che ha dato il via ad una serie di spunti e riflessioni. Oltre agli obiettivi logopedici individuati inizialmente l’interazione tra i partecipanti ha permesso di raggiungere altri risultati di carattere relazionale, metacognitivo e comportamentale: la capacità di cooperare nell’esecuzione di un compito; la spinta comunicativa capace di trovare strategie di interazione efficaci; il manifestarsi di atteggiamenti empatici; una maggiore consapevolezza delle proprie abilità e dei propri limiti rispetto alle attività svolte; lo sviluppo delle autonomie personali e sociali. Per noi operatori la valorizzazione di ogni occasione comunicativa, anche di quelle difficili e la necessità di mantenere il focus sul singolo partecipante pur in una situazione di gruppo per tempi prolungati, ha rappresentato una sfida professionale che ha stimolato la voglia di mettersi in gioco... giocando!

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I LABORATORI DEL “GIARDINO DEI SENSI” ALL’ISTITUTO DEI SORDI: ACQUISIZIONE DI COMPETENZE PROFESSIONALI E STIMOLAZIONE LINGUISTICA NEI RAGAZZI SORDI COMPLESSI Marianna Luca1, Patrizia Pozzi2

I laboratori socio-riabilitativi sono attività diurne, slegate da progetti scolastici, volte al potenziamento delle autonomie, della comunicazione e della socializzazione che si rivolgono a ragazzi ultra sedicenni con disabilità sensoriale e deficit aggiuntivi. I laboratori possono anche avere valore orientativo e formativo rispetto ad un possibile inserimento lavorativo. Il numero degli utenti prevede un minimo di 4/5 ragazzi per gruppo con la possibilità di attivare qualora fosse necessario più gruppi di lavoro, sia al mattino sia al pomeriggio suddivisi per fasce d’età. Gli utenti possono partecipare per un numero e un orario (full-time, parttime) di presenze settimanali che varia da 2 a 5 giorni a seconda di quanto deliberato dalle commissioni UVH/UVM. Le attività si svolgono dal lunedì al venerdì con orario 8.30-16.00. Nel primo momento della giornata vi è l’accoglienza dalle 8.30 alle 9.15, momento dedicato all’accogliere gli utenti, ricevere eventuali comunicazioni, togliersi la giacca e prendere posto nel laboratorio delle attività, in questo momento di solito si prepara una bevanda calda da bere tutti insieme mentre si sta attenti a ciò che gli utenti vogliono comunicarci. Le attività si svolgono dalle 9.15 alle 13.00 e possono svolgersi all’interno 1 Marianna Luca è la coordinatrice dei Laboratori Socio-Riabilitativi dell’Istituto dei Sordi di Torino 2 Patrizia Pozzi è logopedista presso il Centro Audiologopedico dell’Istituto dei Sordi di Torino.

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come all’esterno dell’Istituto e si differenziano a seconda di come sono state programmate e i relazione alla stagione. A metà mattinata si effettua una pausa per lo spuntino e per il soddisfacimento delle esigenze igienico-sanitarie personali. All’interno dell’Istituto vi è un bar nel quale i ragazzi possono acquistare la merenda sperimentandosi nel concetto di utilizzo del denaro, chi lo desidera può portare uno spuntino da casa. Finita la pausa si riprendono le attività fino alle ore 13.00. Dalle 13.00 alle 14.00 si consuma il pranzo preparato all’interno della struttura con cucina casalinga e dopo il pranzo vi è un momento dedicato al relax: dalle 14.00 alle 14.30 gli utenti possono colloquiare, giocare tra di loro, svolgere le attività che desiderano sempre sotto la supervisione degli educatori. Alle 14.30 fino 16.00 si svolgono i laboratori pomeridiani e in uscita si scrivono eventuali comunicazioni di eventi importanti alle famiglie e ci si congeda salutandosi. Le attività proposte sono: -- Laboratorio di manualità: attività legate a potenziare e sviluppare maggiormente le abilità manuali, la creatività la motricità fine attraverso la realizzazione di oggetti o pannelli. -- Laboratorio del feltro: attività legate alla lavorazione del feltro grezzo al fine di creare tessuti per il confezionamento di accessori. -- Laboratorio di cucina: attività legate alla preparazione di cibi più o meno elaborati per migliorare le opportunità di vita indipendente, volte anche all’ orientamento lavorativo. -- Laboratorio di giardinaggio: attività legate al mantenimento dell’area verde all’interno dell’istituto dei sordi “Giardino dei sensi”; (semina, potatura, taglio erba). -- Uscite: nel corso dell’anno vengono organizzate uscite in luoghi più o meno lontani con lo scopo di imparare ad utilizzare i mezzi e ad orientarsi in luoghi e spazi diversi. -- Laboratorio di Aikido: attività svolta una volta alla settimana con lo scopo di prendere coscienza del proprio corpo e della propria fisicità esercitando un’attività fisica. -- Laboratorio del fare: comprende una serie di attività legate alla costruzione di qualcosa; falegnameria, creazione giochi da tavolo ecc.. -- Laboratorio di comunicazione: attività volte alla stimolazione linguistica nei ragazzi.

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Il laboratorio di comunicazione è per noi di particolare importanza perché ovviamente la nostra utenza è composta di fatto esclusivamente da ragazzi e ragazze sorde, i quali, benché adulti, hanno ancora tutti la possibilità di migliorare le loro strategie comunicative e linguistiche. Il “laboratorio di comunicazione” è gestito da due logopediste dell’Istituto e si pone come macro-obiettivo la stimolazione linguistica nei ragazzi sordi complessi. Il gruppo che fa parte del laboratorio di comunicazione è composto da ragazze e ragazzi sordi che in molti casi presentano disabilità associate di grado diverso e che hanno seguito percorsi riabilitativi differenti: alcuni di loro utilizzano le protesi e si avvalgono della verbalità, altri comunicano quasi esclusivamente mediante la L.I.S. (Lingua Italiana dei Segni), altri ancora utilizzano forme di comunicazione mimico-gestuale e non possiedono un codice linguistico. L’idea di proporre un laboratorio di comunicazione a ragazzi sordi in gran parte maggiorenni ha dato la possibilità a noi logopediste di pensare il nostro lavoro in una chiave diversa e ci ha poste di fronte ad una serie di interrogativi ovvero: quali obiettivi di tipo comunicativo-linguistico formulare e con quali aspettative? Come conciliare le attività con le esigenze e le inclinazioni proprie di ciascuno? In che modo attivare l’interesse?

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L’identificazione degli obiettivi e la scelta delle attività da presentare non è stata semplice in quanto l’eterogeneità del gruppo dal punto di vista delle competenze cognitivo-comunicative, l’età dei partecipanti e la loro scarsa motivazione relativamente a proposte di carattere linguistico imponevano dei paletti di cui bisognava tener conto. Dopo una serie di riflessioni si è giunti all’individuazione dei seguenti obiettivi a carattere comunicativo-linguistico, metacognitivo, relazionale e comportamentale: -- crescita del bagaglio semantico-lessicale; -- sviluppo della comprensione del testo scritto facilitato; -- stimolazione alla produzione del testo scritto e/o dell’espressione grafica; -- promozione alla creazione di immagini mentali per lo sviluppo di abilità descrittive sui versanti mimico-gestuale, verbale e scritto; -- sviluppo della consapevolezza del significato, della relazione tra gli eventi e delle motivazioni che sottendono alle procedure effettuate; -- aumento dell’attenzione e della capacità di concentrazione; -- sollecitazione della memoria a lungo termine; -- promozione della creatività e dell’iniziativa personale; -- aumento della consapevolezza di sé e degli altri, sviluppo della capacità di cooperazione e di aiuto verso i compagni in difficoltà; -- rispetto delle regole e aumento del senso di responsabilità; -- rispetto del turno comunicativo; -- aumento delle capacità di tolleranza alle frustrazioni. La scelta dei temi proposti ha preso spunto dalle esperienze vissute dai ragazzi nell’ambito dei laboratori socio-riabilitativi di panificazione e pasticceria in modo da utilizzare un contesto a loro conosciuto a livello esperienziale. Nella prima parte dell’anno si è affrontato un percorso legato alla storia del pane e sul pane, con riferimenti al passato e al presente; dopo il periodo natalizio, in concomitanza con l’inizio del laboratorio sull’arte bianca, ha preso corpo un ambizioso progetto di costruire insieme ai ragazzi un fotoromanzo dal titolo “Omicidio all’Istituto dei Sordi”. La trasmissione dei contenuti è avvenuta sfruttando diversi canali comu-

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nicativi e secondo un codice che si può a tutti gli effetti definire “multimodale”, infatti il linguaggio verbale è stato utilizzato in associazione con espressioni mimico-gestuali, segni della LIS, mentre il testo scritto è stato corredato da disegni, immagini e simboli grafici (programma Sym-Writer).

Il pane è divenuto nel laboratorio di comunicazione, oggetto di racconto e riflessione: ai ragazzi è stata presentata la storia del pane attraverso testi semplificati e insieme si è ragionato sulla terminologia legata alle operazioni proprie del fare il pane e sui rudimentali processi di panificazione dell’antichità, cercando di trovare analogie e contrasti con la realtà di oggi e con le esperienze pratiche da loro vissute nell’ambito del laboratorio di panificazione. Dalla storia del pane si è passati alle storie sul pane, compiendo un percorso che dalla leggenda del pane di Natale ha portato alla visione di un simpatico video di Mister Bean alle prese con la preparazione di un improbabile panino.

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La verifica dei contenuti è avvenuta attraverso schede di complessità diversa da completare, riordino di sequenze, domande verbali e scritte ed anche tramite la richiesta di mimare quanto raccontato, attività questa che ha incontrato non poche reticenze ma che poi si è dimostrata utile strumento di riscontro di quanto effettivamente compreso dalla spiegazione.

Concluso il percorso sul pane si è passati a un tipo di lavoro completamente diverso e innovativo: la costruzione di un fotoromanzo ambientato nei locali dell’Istituto in cui fossero protagonisti proprio i ragazzi del laboratorio di comunicazione. Dopo una spiegazione sulle caratteristiche proprie del fotoromanzo è stato proposto ai ragazzi di scegliere che tipo di storia volessero raccontare, se di paura, d’amore o altro e alla fine una democratica votazione ha sancito la vincita del genere “giallo” prevedendo nella storia nientemeno che l’omicidio di uno dei ragazzi del laboratorio.

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La sceneggiatura, i ruoli dei personaggi, le foto, le didascalie, i fumetti e il montaggio sono stati oggetto di un lavoro di costruzione che ha coinvolto in prima persona i ragazzi, ognuno con le proprie capacità, in tal modo i partecipanti sono diventati agenti attivi nelle fasi di produzione dell’elaborato e forse hanno scoperto in loro stessi propensioni che non avrebbero mai immaginato: qualcuno si è dimostrato piuttosto abile nel trovare l’inquadratura giusta per le foto, qualcun’altro ha scoperto di avere vocazioni registiche o attorali e così via.

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Dal punto di vista comunicativo-linguistico e rispetto agli obiettivi prefissati all’inizio dell’intero percorso, gli spunti offerti da questo tipo di attività sono stati molteplici e fra gli altri val la pena di ricordarne alcuni come: l’acquisizione di termini specifici nuovi; la costruzione di immagini mentali relativi alle scene da fotografare; la creazione di una storia fatta di eventi concatenati e consequenziali; l’elaborazione del discorso indiretto nelle didascalie e diretto nei fumetti; la cooperazione nella costruzione e nel montaggio delle scene; il rispetto delle regole e dei tempi imposti dalla fase di costruzione di un elaborato del genere ed infine la spinta a provare, ognuno con le proprie caratteristiche e capacità, a far venir fuori da se stessi la propria creatività e a volerla condividere con gli altri. In linea generale l’intera esperienza vissuta con i ragazzi all’interno del laboratorio di comunicazione ha rappresentato per noi logopediste una vera e propria sfida professionale: le fasi di elaborazione di obiettivi e attività hanno dovuto fare i conti all’atto pratico con le esigenze e le peculiarità di un gruppo così eterogeneo. Talvolta il percorso è stato caratterizzato da momenti di difficoltà generati da stanchezza, incomprensioni o scarsità di motivazione ma nella maggior parte dei casi il lavoro è stato proficuo, stimolante e arricchente sia per noi che per i ragazzi coinvolti.

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A conclusione e testimonianza di questa avventura resterà il nostro fotoromanzo “Omicidio all’Istituto dei Sordi” che magari non sarà annoverato tra i classici del settore ma ricorderà a noi logopediste e ai ragazzi un periodo di crescita a livello comunicativo-linguistico, cognitivo, relazionale e più in generale umano che sottende all’idea stessa di comunicazione, non a caso titolo e ispirazione del nostro laboratorio.

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LOGOGENIA E LOGOPEDIA: COME INTEGRARE LE COMPETENZE PER MIGLIORARE LA COMPRENSIONE SCRITTA DELLO STUDENTE SORDO. Il testo come palestra per scoprire il funzionamento della lingua italiana scritta

Elisa Franchi e Debora Musola Cooperativa Logogenia

Introduzione Nel lavoro con il bambino o con l’adolescente sordo c’è un momento in cui occorre guidarlo alla comprensione del testo scritto: sia il logopedista sia l’assistente alla comunicazione, e anche l’insegnante di sostegno devono costruire con lui un percorso che gli permetta di accedere alle informazioni veicolate dalla lingua scritta. Questa infatti è un potente e imprescindibile veicolo di informazioni, tanto più nella realtà di oggi, in cui (forse) stanno sparendo i libri, ma non certo la lingua scritta, che si usa costantemente con tutti i mezzi elettronici e in tutti gli ambienti. Per il bambino sordo, tuttavia, il testo – oltre che preziosa fonte di informazione grazie ai contenuti che veicola – può diventare anche un modo di accedere alla lingua e di immergersi in essa. In questo contesto, nell’approccio della Logogenia sottolineiamo il ruolo della lingua scritta non tanto (o non solo) per le informazioni che essa veicola, quanto come fonte di informazione - in sé - su come la lingua stessa funziona. Spostiamo dunque l’attenzione nostra e di chi lavora con noi dal contenuto del testo al testo in sé, dalle informazioni contenute nel testo alle informazioni che il testo fornisce sul funzionamento della lingua. In questo lavoro vorremmo offrire un resoconto di come anche nella pratica

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logopedica (ed eventualmente anche nel lavoro dell’assistente alla comunicazione) si possa operare questo spostamento del focus dell’attenzione dal contenuto del testo al contenitore, ossia al testo stesso come struttura o sequenza di strutture linguistiche1.

Modalità di lavoro e tipo di testi utilizzato Le proposte che illustreremo costituiscono ovviamente una possibile integrazione di quanto già si fa per aiutare il bambino sordo nella comprensione del testo, affiancandosi ad esse e non certo sostituendole. Le modalità di lavoro sono le seguenti: --

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il testo viene letto autonomamente e in silenzio: la lettura ad alta voce, infatti, sposterebbe l’attenzione verso la corretta articolazione delle parole e dei fonemi, mentre in questi momenti è preferibile che tutta l’attenzione sia sulla comprensione. il testo viene lasciato sotto gli occhi: è esso stesso la fonte di informazione e non si tratta di lavorare sulle abilità di memoria, per cui il testo, come oggetto di lavoro, deve sempre essere disponibile. il testo non va adattato: va scelto un testo adatto all’età del bambino per contenuti e complessità degli enunciati, ma non vanno eliminate le difficoltà morfosintattiche “naturali”.

Osserviamo di seguito cosa intendiamo per testo “adatto” ma non “adattato”, che mantenga le difficoltà morfosintattiche “naturali” della lingua italiana. Ci sembra infatti evidente che, se da un lato il testo adattato favorisce l’accesso al contenuto, dall’altro impoverisce la stimolazione linguistica che il bambino può ricevere, dato che avrà contatto con una lingua in qualche modo artificiale, deprivata di molti “ingredienti” fondamentali. (1) Un giorno Lara e Luca vanno al parco con la nonna. Vogliono andare sullo scivolo, ma lo scivolo è bagnato di pioggia. La nonna asciuga lo scivolo con un fazzoletto di carta. Luca e Lara giocano 1 Abbiamo proposto queste attività a logopedisti e assistenti alla comunicazione durante brevi laboratori in diverse città d’Italia, ma soprattutto ne abbiamo verificato a lungo termine l’applicabilità con le logopediste del Centro Audiofonologico dell’Istituto dei Sordi di Torino, durante un anno di formazione e supervisione. A breve raccoglieremo i tanti spunti raccolti in queste esperienze nel volume Percorsi di Logogenia/2. Strumenti per la comprensione del testo con il bambino sordo.

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sullo scivolo asciutto2. In (1) abbiamo riportato un esempio di testo specificamente elaborato per bambini con sordità che tuttavia per il tipo di approccio al testo che qui proponiamo, dovrebbe essere adattato rendendolo più naturale e ricco, ad esempio come proponiamo in (2) o in (3): (2) Un giorno Lara e Luca vanno al parco con la nonna. Vogliono andare sullo scivolo, ma è bagnato di pioggia. La nonna lo asciuga con un fazzoletto di carta, così Luca e Lara giocano sullo scivolo asciutto. (3) Un giorno Lara e Luca vanno al parco con la nonna. Vogliono andare sullo scivolo, che però è bagnato di pioggia. La nonna lo asciuga con un fazzoletto di carta, così loro giocano sullo scivolo asciutto. La differenza tra (1) e le proposte in (2) è minima, ma introduce nel testo due elementi che consideriamo fondamentali: la presenza di pronomi oggetto e l’assenza dei soggetti realizzati. Si tratta di due tratti peculiari e distintivi della sintassi italiana, che permettono di restituire alla lingua del testo la sua naturalezza e una ricchezza sufficiente per poter stimolare anche l’elaborazione della lingua oltre che la comprensione e l’elaborazione dei contenuti.

Livelli di informazione nel testo e livelli di indagine della comprensione

Per capire un testo occorre innanzitutto sapere che esso contiene informazioni, ossia che è una fonte di informazioni. Spesso il piccolo lettore sordo viene aiutato nella comprensione di un testo con un ampio lavoro di anticipazione delle informazioni: viene guidato chiedendogli, ad esempio, cosa può capire dalla copertina del libro, cosa può immaginare dal titolo, o dai disegni. Successivamente, molte energie sono indirizzate alla spiegazione o anticipazione del contenuto del testo, che viene veicolato con una lingua adattata, o con un’altra lingua (ad esempio tradotto in LIS laddove è possibile) o trasformato in un’appropriata sequenza di immagini. Tutte queste operazioni fanno spesso da corollario inevi2 Basoli, M., Ferraboschi, A. e Tagliapietra, S.(2008) Stimolare le abilità percettivo-uditive. Storie e script per bambini ipoacusici. Erikson, Trento.

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tabile ogni qual volta il bambino o il ragazzo sordo devono comprendere un testo, ma purtroppo riteniamo che implicitamente gli suggeriscano che in realtà il testo, per lui, è troppo difficile e che le informazioni date dal testo possono o debbano essere ricavate in altro modo, da altre fonti. Si evita (spesso sistematicamente) il confronto diretto del bambino prima e del ragazzo poi con il testo, per fare in modo che questo non ostacoli il suo accesso ai “contenuti”. Tutta questa modalità di lavoro, se non controbilanciata da altri approcci, impedisce al bambino di scoprire che il testo contiene informazioni. È dunque utile che ad un certo punto (e non troppo tardi) il bambino, quando si avvicina a un testo, scopra che le informazioni che ne ricaverà sono contenute proprio nel testo, prima di tutto e soprattutto nel testo e che lui le può ricavare proprio dal testo, e non dal logopedista, o dai disegni. Un buon modo per costruire questa esperienza è saltare il processo di anticipazione, eventualmente proponendo testi senza disegni e senza altre fonte di informazioni extra-testuali. Sintetizziamo dunque cosa serve per capire un testo. Occorre comprendere: -- le parole e le informazioni esplicite che esse veicolano; -- le informazioni grammaticali; -- le informazioni implicite. Se per tutti è ovvio che questi tre livelli di informazione si intersecano nella costruzione dei significati di ogni testo, non altrettanto evidente è la necessità, nel lavoro con il bambino sordo (ma non solo con lui) di indagare attentamente e di costruire meticolosamente la comprensione delle informazioni ad ognuno di questi livelli. Abbiamo potuto appurare, infatti, che molti materiali che propongono attività di comprensione del testo, suggeriscono domande che vertono soprattutto sul livello della comprensione delle informazioni lessicali e raramente sugli altri due livelli. Ne riportiamo un esempio in (4)3. (4) Billi la volpe è proprio affamata; da qualche giorno nel bosco piove e i piccoli animali restano al riparo nelle loro tane, così la volpe 3 I. Pagni (2010) Comprensione e produzione verbale. Storie e attività per il recupero e il potenziamento. Erickson, Trento. Tra parentesi quadre sono riportate le possibili risposte tra cui il bambino deve scegliere.

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fatica a trovare il cibo. Finalmente oggi c’è il sole e Billi si avvia verso la fattoria, sperando di riuscire a catturare un coniglio o una gallina. Si avvicina silenziosamente al recinto, ma a un tratto attiva la macchina del contadino, Billi si spaventa, si nasconde dietro a un cespuglio e decide di aspettare la notte. CHI È BILLI? [volpe] - [bambina] - [cane] BILLI VORREBBE … [bere] - [mangiare] - [dormire] DOVE VA A CERCARE IL CIBO? [fattoria] - [bosco] - [città] COSA VORREBBE MANGIARE BILLI? [mucca] - [gallina] - [gatto] [coniglio] - [uccello] - [contadino] BILLI SI NASCONDE PERCHÉ VEDE … [cane] - [automobile] [gallina] DOVE SI NASCONDE BILLI? [roccia] - [albero] - [cespugli] Quando si affronta un lavoro secondo le modalità che stiamo illustrando, è dunque assolutamente necessario integrare questa verifica della comprensione, con un lavoro che si focalizzi su informazioni anche degli altri livelli. Riteniamo che sia importante anche per l’operatore, perché solo in questo modo può avere una percezione reale di cosa veramente il bambino ha capito del testo considerato. Ad esempio, verificando ulteriormente la comprensione del testo in (4) con un bambino che aveva precedentemente risposto correttamente alle domande lessicali, abbiamo scoperto che non aveva capito perché gli animali restavano nelle loro tane e perché la volpe Billi fosse affamata. Riportiamo dunque in (5) uno stralcio di testo e l’esemplificazione di una possibile verifica della comprensione su più livelli4. (5) I genitori di Marco vedevano pericoli dappertutto. E Marco, mentre i suoi amici giocavano nel cortile, doveva stare in casa, da solo, con i suoi giochini noiosi o a guardare la TV. 4 [A] identifica le produzioni dell’adulto operatore e [B] le produzioni del bambino o dell’adolescente con cui sta lavorando.

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[A] Chi gioca nel cortile? [B] Marco e i suoi amici. [A] Leggi bene! [B] I suoi amici [A] Cosa fa Marco? [B] Deve venire in casa a giocare con i suoi giochini noiosi. Le domande riportate sopra indagano solo informazioni esplicite. In (6) l’indagine della comprensione prosegue verificando se il bambino ha accesso anche alle informazioni grammaticali e implicite. (6) [A] Quali amici giocano nel cortile? [B] Gli amici di Marco [A] Marco è contento di stare a casa? [B] no [A] Perché Marco sta a casa? [B] Perché la mamma e il papà vedevano pericoli [A] Se Marco usciva, i suoi genitori erano tranquilli? [B] no [A] Se Marco usciva, i suoi genitori erano preoccupati? [B] sì [A] C'erano davvero pericoli in cortile? [B] sì È evidente da questo esempio che se al primo livello di indagine sembrava che il bambino avesse ben compreso il testo, il secondo livello di indagine fa emergere la mancata comprensione di una informazione fondamentale. Riportiamo in (7) un esempio analogo, che esemplifica il tipo di domande necessarie per indagare la comprensione su più livelli di informazione. (7) Mara era una bambina piena di paure. […] Per il suo compleanno la sua madrina le regalò uno scialle rosso ricamato con fili d'oro, dicendole – È uno scialle magico, chi lo indossa perde ogni paura!5 [A] Cosa regala la madrina? [B] la madrina regala uno scialle rosso [A] Perchè la madrina regala lo scialle rosso? [B] Perché c'è il compleanno di Mara 5

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M. J. Sacrè e I. Mylo (1994) Lo scialle magico, Edizioni Arka, Milano.


[A] La madrina poteva regalare un libro, una penna, un fiore. Perchè sceglie lo scialle? [B] Perché lo scialle è magico. [A] Che magie fa? [B] fa i fili d'oro Anche in (7), solo l’approfondimento dell’indagine e la verifica della comprensione di informazioni implicite permette di scoprire che la bambina non ha compreso una informazione implicita ma cruciale del testo letto.

Lessico e implicazioni La comprensione delle informazioni lessicali, se è completa, porta con sé la comprensione di una serie di implicazioni che a loro volta sono spesso fondamentali per la comprensione delle informazioni implicite. Osserviamo l’esempio in (8). (8) All’improvviso Andrea lancia la pallina troppo in alto, tra i rami di un grande albero. La palla rimane incastrata, allora i due bambini decidono di arrampicarsi a riprenderla6. [A] La palla dove è rimasta? [B] Incastrata sull’albero [A] Disegna una palla incastrata su un albero. [il bambino disegna una palla vicino ai rami] [A] Disegna un aquilone incastrato su un albero. OK [A] Disegna un nido incastrato su un albero. OK [A] Disegna una palla incastrata su un albero. OK In questo lavoro la verifica della comprensione di sofferma su un solo aspetto della parola incastrata ma non ne indaga una conseguenza fondamentale: la pallina incastrata può cadere da sola? Solo se il bambino davvero coglie questa informazione possiamo dire che ha “capito” la parola 6

I. Pagni (2010), cit.

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incastrata e soprattutto possiamo agevolmente proseguire nella comprensione del testo, in cui l’azione successiva è tutta incentrata sugli sforzi dei bambini per recuperare la pallina incastrata. La comprensione delle implicazioni dei significati lessicali è molto legata alla modalità in cui il significato lessicale è stato indagato e fatto scoprire (o dato, o dato per scontato!) al bambino, e al livello di precisione con cui tutte le informazioni del testo sono state indagate. Nell’esempio sopra riportato, occorrerebbe far fare al bambino l’esperienza di rimanere incastrato o di incastrare qualcosa, perché solo così potrebbe scoprire autonomamente che qualcosa di incastrato è difficile da muovere o non può muoversi da solo. Osserviamo un altro esempio in (9). (9) Margherita si alza, corre e arriva in classe un attimo prima del suono della campanella. I suoi bambini la stanno aspettando. Lei li saluta affettuosamente, poi si siede, sfinita. A un tratto, Margherita appoggia la testa sul banco e si addormenta!7 [A] Dove appoggia la testa Margherita? [B] SUL BANCO [A] Cosa fa dopo Margherita? [B] E SI ADDORMENTA (dorme) Fin qui sembra che la comprensione proceda bene: il bambino sembra aver capito cosa fa Margherita. Osserviamo però cosa accade alla domanda successiva, riportata in (10). (10) [A] Perché Margherita appoggia la testa sul banco? [B] [non risponde] [A] Margherita ha male alla testa e così la appoggia sul banco? [B] Sì – NO [A] Cosa fa Margherita quando appoggia la testa sul banco? [B] addormenta [A] Perché Margherita ha appoggiato la testa sul banco? [B] [non risponde] 7

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N. Costa (1997) Margherita maestra dormigliona, Emme edizioni, Trieste.


In questo caso il bambino sembra non riuscire a immaginarsi perché Margherita appoggi la testa sul banco, e non riesce così a vedere la correlazione tra questo gesto e l’addormentarsi. Per guidarlo alla comprensione di questa informazione implicita sono necessari due passaggi: da un lato indagare più accuratamente alcune informazioni precedenti, date dal testo: perché Margherita corre e che è sfinita. Serve inoltre che il bambino faccia direttamente l’esperienza delle azioni che compie Margherita, ad esempio guidandolo con le frasi in (11) – (13). (11) Dormi. Dove dormi? Hai appoggiato i piedi sul banco? Hai appoggiato le gambe sul banco? Hai appoggiato il libro sul banco? Cosa hai appoggiato sul banco? [la testa] (12) Dormi. Dormi per terra. Dormi sul banco. Dormi con i piedi sul banco. Dormi seduto sul banco. Dormi con la testa sul banco.

(13) Tu dove dormi? [letto] Margherita dove dorme? Dorme sul letto?

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Dorme sulla poltrona? Dorme sulla sedia? Dorme con i piedi sul banco? Dorme con i piedi sulla sedia? Dove dorme Margherita? Come dorme Margherita? Dormi come dorme Margherita. La verifica delle informazioni lessicali fatta in questo modo porta con sé alcuni vantaggi. Innanzitutto, si appura con precisione la comprensione del lessico. In secondo luogo, l’utilizzo di frasi nella forma di domande e ordini mostra implicitamente anche il funzionamento grammaticale della parola di cui stiamo verificando la comprensione8. Infine, questa modalità permette al lettore di sperimentare una azione e le sue conseguenze: se appoggi la testa sul banco, se proprio lo fai, forse ti viene la sensazione o la voglia di poter dormire, e allora capisci perché anche Margherita l’ha fatto. Il punto cruciale per l’operatore è chiedersi costantemente che cosa si sta immaginando il nostro lettore mentre legge il testo che gli proponiamo. Spesso, quando si fa leggere un testo a un bambino o a un ragazzo sordo, si ha la sensazione che legga senza raffigurarsi del tutto con precisione quello che legge. Alle volte, a partire da pochi segnali che capisce e interpreta, si raffigura altro rispetto a quello che immagina l’operatore9. Altre volte, si rappresenta delle immagini, delle azioni, piuttosto scollegate tra loro, soprattutto prive di quei nessi dati dalle implicazioni, grazie ai quali 8 Questo tipo di approccio e la modalità di far scoprire al bambino contemporaneamente il contenuto delle parole e il loro funzionamento lessicale è illustrato in Franchi e Musola (2012) Percorsi di Logogenia/1. Strumenti per l’ampliamento del lessico con il bambino sordo, Cafoscarina, Venezia. 9 Un ottimo esempio di questo fatto l’ha riportato Silvia Ceria ad un recente convegno: una bambina sorda legge “Barone Rosso” in una storia di Linus e capisce “barbone”. Questo, nella nostra immaginazione è un povero mendicante, ma nella sua rappresentazione è solo una faccia con una grande barba. Se non si verifica approfonditamente cosa il bambino si raffigura quando legge, non possiamo neanche immaginare quanto distante dalla nostra possa essere la sua rappresentazione.

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però è possibile compiere inferenze. Proprio per aiutare il bambino a farsi una corretta rappresentazione mentale del contenuto dei testi, si può riportare alla sua realtà questo contenuto facendolo “agire” compiendo azioni e mimando situazioni analoghe a quelle che ha letto. Con il cosiddetto Acting Out possiamo dunque fargli rappresentare e impersonare i personaggi e le situazioni del testo in modo che si renda conto di cosa c’è nel testo e di tutte le conseguenze implicate dalle diverse situazioni. Nella nostra proposta utilizziamo questa intuizione in un modo più strettamente linguistico e come guida alla comprensione di singole informazioni. Facciamo impersonare o immaginare singole azioni o situazioni, guidando il lavoro con frasi che riconducono sempre precisamente alla struttura lessicale e sintattica del testo. Il lavoro è sempre mirato sulla singola informazione più che sul’insieme del contenuto di un testo: si lavora su una informazione lessicale, o sulla comprensione di una informazione grammaticale o su una specifica informazione implicita. In questo modo, c’è un costante aggancio al testo e un continuo tornare al testo, che resta sempre presente come fonte di informazione, in modo specifico e minuzioso, non solo come spunto da cui ricavare il canovaccio di questa sorta di piccola rappresentazione. Osserviamo un esempio di questo tipo di lavoro, utilizzato per indagare la percezione delle implicazioni e per guidare il lettore a costruirsi quelle corrette. (14) Sulla strada di un paese passano due carri. Un carro avanza lento e silenzioso. Sopra, c'è una botte piena di vino rosso. L'altro, che porta una botte vuota, avanza velocemente e rumorosamente10. [A] Dove passano i due carri? Sulla strada di un paese [A] Cosa avanza lento e silenzioso? Un carro [A] Perché il carro è lento e silenzioso? Perché c'è una botte piena di vino rosso. [A] La botte piena fa andare veloce il carro? no 10 C. Cornoldi e G. Colpo (1998) Prove MT di Correttezza e Rapidità nella Lettura, Giunti O. S., Firenze.

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[A] La botte piena fa andare piano il carro? sì [A] Perché? Perché si rompe la botte / Perché la botte è piena. Questo studente elabora delle ipotesi sulle implicazioni del racconto che sta leggendo, ma sta andando nella direzione sbagliata. A questo punto, invece di dirgli semplicemente ciò che non ha capito, proviamo a fargli immaginare un’esperienza che lo aiuti a percepire da solo le implicazioni della situazione descritta nel racconto con le proposte che seguono. [A] Sulla schiena hai uno zaino con 10 libri. Cammini velocemente? no perché sono pensanti [A] Sulla schiena hai uno zaino con un libro. Cammini velocemente? sì [A] Perché? Perché è leggero [A] Perché la botte piena fa andare piano il carro? Perché è pensante [A] Cammini con un vassoio. Sul vassoio c'è una bottiglia piena. La bottiglia si muove? [B] no Perché la bottiglia è piena [A] Cioè? è pesante [A] Cammini con un vassoio. Sul vassoio c'è una bottiglia vuota. La bottiglia si muove? sì perché è leggera e anche rumorosa [A] Tu sei la botte vuota. Fammi vedere come fa la botte a muoversi. [A] Cosa c'è sull'altro carro? c'è una botte vuota [A] Il carro con la botte vuota è silenzioso? no [A] Il carro con la botte vuota è rumoroso? sì [A] Perché? Perché nella botte è vuota e continuava a correre con il carro

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Nella prosecuzione del lavoro è importante avere ben chiaro il tipo di informazioni che si stanno indagando e da quali implicazioni esse siano ricavabili: da un lato la velocità dei carri, dall’altro il fatto che facciano o meno rumore. L’esempio dello zaino pieno di libri permette al ragazzo di immaginare la pesantezza e le sue conseguenze sulla velocità, mentre l’esempio della bottiglia sul vassoio lo aiuta ad immaginarsi il fatto che ciò che è leggero, se trasportato, si muove e quindi può anche far rumore.

Le informazioni grammaticali nel e dal testo Nell’elenco delle informazioni da indagare proposto in apertura, abbiamo incluso le informazioni grammaticali. Queste sono le informazioni date dagli elementi grammaticali, che spesso sono tralasciate o liberamente interpretate dal bambino o dal ragazzo sordo che legge il testo. (15) La Luna dice: “Io so fare gli gnocchi!” [A] La luna sa fare gli gnocchi? [B] No, perché c’è IO, non è LA LUNA (16) Sì, io ho conosciuto Iqbal. Penso spesso a lui, specie di notte, quando mi sveglio perché ho freddo o perché sono troppo stanca per riuscire a prendere sonno. Nella stanza sotto il tetto, dove ci fanno dormire i nostri padroni italiani, c’è una finestra strana […] al mio paese non ci sono finestre così. Ma qui in Italia è tutto tanto diverso dal Pakistan11. [A] Chi sta raccontando la storia? Iqbal [A] Chi racconta è maschio o femmina? Maschio [A] Dove si svolge? In Pakistan In (15) la corretta interpretazione del pronome io è impedita da una sorta di interferenza da parte delle conoscenze grammaticali apprese meccanicamente, senza tener conto del fatto che io può riferirsi alla luna se si riporta un discorso diretto, come in questo caso. In (16) invece l’interferenza è causata dal fatto che la ragazzina sorda che 11

F. D’Adamo (2001) Storia di Iqbal, EL, Trieste.

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stava leggendo la prima pagina di questo romanzo aveva già visto il film. Risponde quindi alle domande dell’operatore non in base alle informazioni linguistiche ricavabili dal testo che ha appena letto (e che ha ancora sotto gli occhi) ma in base a ciò che ricorda del film che ha visto12. Le informazioni grammaticali sono spesso tralasciate dai lettori sordi anche perché da parte degli operatori c’è la tendenza, più o meno marcata, a non prestarvi specificamente attenzione, dandole per scontate o esplicitandole, ad esempio “traducendole” implicitamente nelle domande di verifica. Proprio questo accade con le domande di verifica della comprensione in (18) relative al testo in (17). (17) Stanotte ho fatto un sogno: ero in campagna e vicino a una vigna uno gnomo mi guardava mentre mangiava gnocchi, beveva succo di prugne e intanto disegnava un castello13. (18) [A] Quando ha fatto un sogno? [B] STANOTTE [A] Dov’era l’autore nel sogno? [B] CAMPAGNA In questo caso l’operatore letteralmente perde un’occasione d’oro: regala al bambino l’informazione che nel racconto è presente anche il narratore, l’autore. È importante notare, infatti, che di fronte al testo in (17) la maggior parte dei lettori sordi crede che ci sia un unico personaggio, lo gnomo: la presenza del narratore è del tutto nascosta nei pronomi (mi) e nella morfologia verbale (ho - ero). Osserviamo in (19) come una semplice domanda può essere il primo passo verso questa consapevolezza. Il testo di riferimento è sempre quello riportato in (17). (19) [A] Cosa faceva lo gnomo? [B] Lo gnomo mangiava gli gnocchi e beveva il succo di prugne e intanto disegnava il castello [A] Cosa guardava lo gnomo? [B] Un gnomo mi guardava: mangiava gli gnocchi e beveva il succo di prugne e intanto disegnava il castello 12 “Iqbal”, di C. Th Torrini, Italia 1998. 13 A. De Filippis (2000) L’impianto cocleare. Manuale operativo, Elsevier Masson, Milano.

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[A] Cosa guardava? [B] --- [non sa rispondere] La differenza tra la verifica proposta in (18) e quella proposta in (19) è importante: in (18) l’informazione sintattica viene in qualche modo tradotta per il bambino, così che lui non ne può fare esperienza e l’operatore non può verificare se effettivamente sarebbe stato in grado di capirla. Si sottrae al bambino la difficoltà, il confronto con il testo e con le informazioni che esso veicola. In (19), invece, si mette in luce la difficoltà, si focalizza l’attenzione su di essa. È un passaggio cruciale, perché solo se il bambino scopre che nel testo c’è una qualche informazione che per ora gli sfugge potrà essere interessato a farsi accompagnare nella sua scoperta. Osserviamo in (20) come può facilmente innestarsi questo meccanismo di scoperta: in questo lavoro di gruppo con tre ragazzine, è sufficiente che una scopra che la protagonista è “femminile” perché si inneschi una sorta di caccia al tesoro per reperire tutti i luoghi del testo in cui questa informazione si manifesta. (20) L'estate scorsa mio padre mi ha mandata al supermercato a comperare una scatola di maccheroni, del riso e due pomodori. Io, invece, sono tornata a casa con un cane! Ecco com'è andata. Sono entrata in un supermercato della catena Winn-Dixie e mi sono quasi scontrata con il direttore che, tutto rosso in faccia, gridava – Chi ha fatto entrare qui dentro quel cane rognoso? All'inizio non ho visto nessun cane, ma un plotone di dipendenti della Winn-Dixie che correva e si sbracciava come il direttore. Poi, finalmente, da dietro un angolo, è sbucato il cane. Un cane brutto, che aveva l'aria di divertirsi un mondo. Si è fermato proprio davanti a me e mi ha sorriso14. [A] Chi è il protagonista? Un figlio di papà [A] Il protagonista è un maschio o una femmina? [B1]: è un maschio [A] Secondo te? [B2] no, non si sa. [B3] No, perché ha la figlia femmina

14 K. DiCamillo (2002) Il cane più brutto del mondo, Mondadori, Milano.

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[A] Bravaaaaa!!!! [A] Ci sono altre parole che fanno capire che la protagonista è una femmina? [B2] Sì, sono quasi scontrata [A] Ce ne sono altre? [B3] Sì, sono entrata in supermercato della catena … [B1] Sì, sono tornata Per poter più facilmente lavorare sulle informazioni date dagli elementi grammaticali presenti nel testo è necessario che nel testo ci siano. Come abbiamo già detto, in molti materiali - soprattutto quelli creati ad hoc per l’attività logopedica - gli elementi sintattici sono volutamente presenti in modo ridotto. Se questa scelta ha un suo senso in specifiche fasi del lavoro di abilitazione al linguaggio, è importante tuttavia cercare di reintrodurre gli elementi grammaticali nei testi su cui si lavora. Solo così infatti il bambino scoprirà anche attraverso la lettura il funzionamento della lingua, si misurerà e scoprirà il significato degli elementi grammaticali e si costruirà gli strumenti linguistici per affrontare, prima o poi, testi “veri”, in cui - come sappiamo - gli elementi grammaticali (pronomi, preposizioni, frasi relative, soggetti non espliciti, ecc.) sono naturalmente frequenti. Nel nostro approccio al testo, proponiamo dunque di creare dei materiali che con gradualità re-introducano gli elementi grammaticali nei testi che ne sono privi, così che il bambino li possa usare come palestra per “farsi le ossa” e preparasi ad affrontare testi reali. Osserviamo in (21) un esempio di testo senza pronomi e senza soggetti impliciti e in (22) come lo stesso testo può essere arricchito di questi elementi. (21) Lo gnomo Pagnotta abita in montagna. La sua casa è il tronco di un albero. Ragno Telò è il suo nemico e per dispetto tesse la tela davanti alla porta di Pagnotta. Lo gnomo Pagnotta si difende e fa scappare il ragno con lanci di castagne e pigne. Quando arriva la sera lo gnomo sera raduna i suoi amici, l’agnello, il cigno e la cicogna ed insieme vanno allo stagno15. 15 A. De Filippis (2000) L’impianto cocleare. Manuale operativo, Elsevier Masson, Milano.

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(22) Lo gnomo Pagnotta abita in montagna. La sua casa è il tronco di un albero. Ragno Telò è il suo nemico e per dispetto tesse la tela davanti alla sua porta. Lui si difende e lo fa scappare con lanci di castagne e pigne. Quando arriva la sera raduna i suoi amici, l’agnello, il cigno e la cicogna e insieme vanno allo stagno.

Le informazioni implicite Le informazioni implicite sono ciò che rendono piacevole la lettura: servono a tenere desta l’attenzione e a non appesantire il testo. Talvolta esse si possono ricavare facendo ricorso a conoscenze generali pregresse. Altre volte derivano da una complessa rete di indizi che si ricavano da molte fonti: indizi grammaticali, indizi lessicali. Osserviamo in (23) uno stralcio di racconto da cui il bambino non è riuscito a ricavare l’informazione implicita che Margherita non è un’alunna16. (23) Margherita si alza, corre e arriva in classe un attimo prima del suono della campanella. I suoi bambini la stanno aspettando. Lei li saluta affettuosamente, poi si siede, sfinita. A un tratto, Margherita appoggia la testa sul banco e si addormenta! [A] Cosa fa Margherita quando suona la sveglia? [B] Margherita si alza, corre e arriva in classe [A] Sì, cioè dove va? [B] va a scuola [A] Ma Margherita ...chi è? [B] È una bambina È importante che prima di tutto l’operatore sia consapevole della presenza di informazioni implicite, che possono nascondersi anche in testi apparentemente semplici e molto brevi in cui possono essere ricavate solo rico16 Gli stralci di racconto sono molto utili da utilizzare perché possono essere brevi a piacimento, e quindi non affaticare il bambino e l’operatore con l’impresa di affrontare un intero testo di una o due pagine. Inoltre, essendo appunto stralci, lasciano implicite molte informazioni che nel racconto intero erano probabilmente esplicitate in precedenza. In questo modo, gli stralci si rivelano utilissimi per guidare e allenare il piccolo lettore a ricavare dal testo molte informazioni grammaticali e implicite.

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struendo una trama di informazioni lessicali e grammaticali. Osserviamo come nella storia di Bianchina riportata in (24) la comprensione dell’ultima frase “L’erba alta l’aveva salvata” sia tutta legata alla precisione con cui il bambino si crea l’immagine di come e dove Bianchina aveva fatto il nido: non sull’albero ma sotto, non sull’erba, ma fra l’erba, e (implicitamente) in modo da nasconderla alla vista. (24) L’ochetta Bianchina aveva fatto il nido sotto un grande albero, fra l’erba. Arrivò un cacciatore e sparò all’oca, ma Bianchina non morì. L’erba alta l’aveva salvata17. Un accurato lavoro di verifica e guida alla comprensione delle informazioni lessicali e grammaticali, che permetta al bambino passo dopo passo di immaginarsi e immedesimarsi in ciò che sta leggendo, può con naturalezza portare dalla mancata comprensione delle implicazioni – come esemplificato in (25) - alla comprensione non solo delle informazioni implicite, ma anche a quel processo creativo che a tutti permette di “completare il quadro” suggerito da un racconto con nostre informazioni e aggiunte personali, come mostra l’esempio di (26). (25) Ciccio è il suo peluche preferito. In quale scatola sarà finito? In meno di dieci minuti, tutto il pavimento è ingombro di giocattoli. [A] Perché il pavimento è ingombro di giocattoli? [B] Non c'è scritto [B] Perché sono i giocattoli preferiti di Marco. [B] Perché ci sono piene di scatole

(26) Oh, se è per questo – risponde l'autista – ho anche un elefante sul balcone, ma non so se potrò tenerlo, perché si soffia il naso con le lenzuola della signora Teresa. Chi ha un elefante? L'autista. 17 A. De Filippis (2000) L’impianto cocleare. Manuale operativo, Elsevier Masson, Milano.

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Dove ha un elefante? Ha un elefante sul balcone. Che cos'è un balcone? Cosa non sa l'autista? Se può tenerlo. Perché l'autista forse non può tenere l'elefante? Perché l'elefante si soffia il naso con le lenzuola della signora Teresa. Dove sono le lenzuola della signora Teresa? Non c'è scritto. È vero, non c'è scritto, ma puoi capirlo. Io penso che c'è un'altra casa vicina e con il poggiolo vicino a un altro poggiolo che c'è l'elefante. Le lenzuola della signora Teresa sono sul poggiolo. Perché le lenzuola della signora Teresa sono sul poggiolo? Perché prima erano bagnate. E dopo? Sono asciutte. Perché si asciugano? Perché c'è un bel sole.

Conclusioni Le proposte qui brevemente illustrate costituiscono un approccio che può essere adottato in affiancamento a quanto tradizionalmente si fa per guidare la comprensione dei testi. In queste attività, il testo è usato come fonte di informazione sul funzionamento della lingua più che come fonte di contenuti. Il testo diventa quindi una palestra, un laboratorio per scoprire come funzionano tanti aspetti della lingua. Si tratta di attività che da un lato si svincolano dalla necessità di trasmettere dei contenuti, e che intendono sviluppare uno strumento di autonomia, facendo scoprire al bambino e poi al ragazzo sordo che egli può davvero capire la lingua dei testi, scoprire il significato delle parole nuove e individuare e capire le informazioni “nascoste”. Certamente, in un certo senso, si tratta di proposte “dispendiose”.

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Si può pensare che sottraggano tempo - soprattutto se applicate in ambito scolastico - al raggiungimento degli obiettivi centrati sull’ampliamento delle conoscenze. D’altra parte, queste attività possono costruire nel bambino gli strumenti per ottenere poi, autonomamente, conoscenze e accesso all’informazione. Si tratta quindi di un investimento per il suo futuro e per la sua autonomia. Nella nostra esperienza diretta, e anche attraverso le esperienze di altri operatori che hanno messo in pratica queste attività, abbiamo verificato che queste proposte possono essere messe in atto utilmente e proficuamente sia in ambito logopedico sia in ambito scolastico. Necessitano tuttavia di un contesto di lavoro individuale e richiedono un’attitudine appropriata, paziente, che non si focalizzi sul raggiungimento del risultato immediato e sull’idea di arrivare necessariamente “alla fine del testo”. In questo modo si può scoprire infatti che anche il lavoro su due righe può rivelarsi un’occasione per esplorare la lingua, il lessico, la grammatica e le conoscenze del mondo e per scoprire tutte le informazioni che due piccole righe di parole possono racchiudere.

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ITAGLIAMO

(UNA PAROLA SBAGLIATA, PER GIOCO!)

Percorso di lingua italiana rivolto a bambini sordi dai 5 ai 13 anni di età. Felicia Todisco1

La Fondazione Gualandi a favore dei sordi di Bologna ha come fondamentale finalità quella di promuovere una migliore qualità della vita delle persone sorde e a tal fine organizza da tempo esperienze educative per bambini, adolescenti e adulti, con lo scopo di favorire lo sviluppo comunicativo e linguistico e la socializzazione. Nel corso degli anni, è aumentato l'impegno per affermare l'importanza dell'intervento precoce, della ricerca e della sperimentazione di forme nuove di esercizio, che affiancassero, senza sostituirli, approcci a carattere riabilitativo o scolastico. Nel mese di giugno 2013 si concluderà la seconda edizione del laboratorio ItaGliamo, progetto nato dalla naturale evoluzione del percorso sperimentale Leggere, capire, farsi capire, realizzato nel 2011 per alcuni studenti di scuola superiore, sordi, italiani e stranieri, che avevano chiesto aiuto per affrontare le loro difficoltà nello studio. Dopo aver già sperimentato nel corso degli anni differenti forme di sostegno in tal senso, si decise di costruire una proposta nuova, che ponesse attenzione solo alle difficoltà legate alla competenza linguistica di ognuno, ignorando del tutto i contenuti disciplinari o i metodi di studio. La scelta è stata influenzata dall'esperienza, dal confronto con altre testimonianze di lavoro e da incontri di studio sul problema, che hanno fatto maturare una nuova consapevolezza riguardo alle conseguenze, cognitive e sociali, di una mancata acquisizione della lingua nel periodo critico di crescita. Ha avuto molta influenza l'incontro con la Logogenia, metodo di studio e 1

Pedagogista, Fondazione Gualandi a Favore dei Sordi, Bologna.

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approccio di lavoro, conosciuto in varie occasioni formative presso la Fondazione con Bruna Radelli, Elisa Franchi e Debora Musola. Di fronte alla proposta di approfondire la conoscenza e l’uso della lingua, solo la metà degli adolescenti, che ne avevano fatto richiesta ha aderito al progetto, a dimostrazione della difficoltà che persiste, nei sordi e tra gli operatori che a vario titolo se ne occupano, nel riconoscere e condividere la reale natura e la dimensione del problema delle persone sorde di fronte ai testi in lingua scritta. L'esperienza con questi adolescenti non ha certo potuto risolvere le loro difficoltà ma ha avuto il merito di evidenziare il valore del lavoro a la correttezza della scelta. I risultati hanno inciso sulla loro motivazione allo studio e alla lettura, sull'atteggiamento a scuola di fronte alla lingua scritta e ci hanno permesso di strutturare, per l'anno successivo, una proposta di lavoro analoga rivolta a bambini sordi di fasce d'età più precoci. Il laboratorio ItaGliamo, ha la finalità di avvicinare i bambini sordi alla lingua scritta, evidenziando gli elementi essenziali della struttura linguistica e del suo funzionamento. L’itinerario che si offre cerca di incidere sui naturali processi di acquisizione, attraverso un'offerta selezionata e mirata sulle difficoltà.

Le caratteristiche È un laboratorio, cioè un'occasione per fare, per costruire i significati a partire dalla forma e dall'organizzazione di parole e frasi, e anche uno spazio dove fare Italiano è divertente come un gioco di scoperta e di confronto. Si lavora con un piccolo gruppo, piuttosto che in un rapporto individuale con un adulto, perché non sia vissuto dai bambini come un ulteriore lavoro in aggiunta ai percorsi scolastici e riabilitativi ma come un'occasione divertente di scoperta e comunicazione attraverso la lingua. Si utilizza la scrittura, perché la lingua si può avvicinare e acquisire a prescindere dal canale uditivo - concetto ampiamente condiviso in ambito scientifico. L'uso della lingua scritta permette di lavorare attraverso il canale visivo e di superare le eventuali differenze comunicative dovute alle scelte educative di famiglie segnanti o oraliste, oltre a consentire l'applicazione di strategie di lavoro suggerite dalla Logogenia, che è stato il nostro approccio teorico di riferimento.

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Gli strumenti: dalle palle di carta alla telecamera, alla macchina fotografica, alla LIM.... Non è mai stato prioritario l'utilizzo di uno strumento in particolare quanto piuttosto la sperimentazione di modi alternativi, innovativi e originali, utili a stimolare e motivare la curiosità e la scoperta della lingua e capaci di far affrontare la fatica del compito. Nel 2011/12 ItaGliamo è stato rivolto a due fasce d'età, dai 7 ai 9 anni e dai 10 ai 13 anni, con incontri settimanali della durata di un'ora e mezza, nel periodo da novembre a giugno. Nel 2012/13, l'offerta è stata ampliata da un percorso rivolto ad un piccolo gruppo di bambini dai 5 ai 7 anni, ItaGliamo piccolissimi, con incontri settimanali di un'ora. L'obiettivo di questa proposta è lavorare precocemente sugli aspetti che fanno da prerequisito alla lettura e alla scrittura, cioè sulle abilità metalinguistiche e metafonologiche. A tale scopo la Fondazione si è avvalsa della collaborazione del personale specializzato dell'Istituto Sordi di Torino, che ha da tempo sperimentato progetti analoghi nelle scuole del territorio. L'articolazione dei percorsi di Itagliamo, ha sempre previsto un momento iniziale, di 4 incontri circa, dedicato all'osservazione globale delle competenze linguistiche di ogni partecipante, attraverso attività mirate a cogliere la loro capacità di riconoscimento degli elementi morfologici e sintattici. Qualche esempio: Cos'è scrivere? Come si scrive ?

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Giusto o sbagliato? (Foto 2 e 3 LIM )

Dividi e dimmi chi mangia.

LARAGAZZACHESTAMANGIANDOILGELATOSICHIAMALUCIA

Dividi e mostrami cosa sta facendo.

LUCAALZALAPALLACONIPIEDI

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Prova a dirmi chi é Viola. (Foto 2 )

Dall'osservazione è stato possibile ottenere importanti informazioni sul livello di competenze e sulle difficoltà sulle quali cominciare a lavorare. Le modalità con cui si sono svolti gli incontri ricalcano quelle dell'osservazione, si sono utilizzati dialoghi scritti, crucintarsi e giochi linguistici, drammatizzazione, istruzioni per la realizzazione di disegni a comando o foto di gruppo, ordini da impartire o eseguire, ecc.. Il lavoro quotidiano è sempre stato registrato sia nell'offerta che nell'esito, attraverso documentazione cartacea, fotografica o video. Il gruppo di lavoro è costituito da educatori professionisti con differente formazione ed esperienza di lavoro con i sordi, supportati da incontri di supervisione e formazione sulle tematiche linguistiche. Il rapporto educatore bambino è sempre stato di uno a due. Ognuna delle scelte fatte dal punto di vista organizzativo e tematico, ha mostrato nel tempo sia il suo valore che i limiti, ponendoci sempre nuove domande. La scelta di lavorare sulla lingua con un gruppo, ad esempio, ha mostrato i suoi vantaggi nel livello di partecipazione e nelle dinamiche di correzione reciproca, di proposte alternative a ciò che il compagno decideva di fare o scrivere, nella costruzione comune del significato. Allo stesso tempo il gruppo, sempre caratterizzato dall'eterogeneità, rispetto al tipo di sordità,

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modalità comunicative, livelli di competenza, ha limitato, a volte, la possibilità di approfondire sul momento le difficoltà del singolo. Infatti fin da subito si è sentita la necessità di ritagliarsi, durante gli incontri, degli spazi in cui lavorare in modo mirato in coppia, ragazzo educatore, su un elemento specifico. Altro tema, su cui il gruppo ad oggi ancora si interroga, riguarda l'utilizzo delle immagini o delle situazioni di gioco, elementi di contesto che fanno da supporto emotivo e cognitivo al lavoro ma a volte hanno distratto dall'organizzazione sintattica scritta, impedendo di coglierne il meccanismo. Si lavora per cercare un equilibrio tra il puro allenamento tecnico, linguistico e l'aspetto creativo, per garantire un'esperienza di lingua vissuta e giocata con piacere, che lasci addosso il gusto di imparare nonostante la fatica. Ci si interroga sulla necessità di più specifiche modalità di misurazione dell'efficacia del lavoro, del confronto e formazione con gli insegnanti, sulla ricaduta a scuola del percorso e sulla stessa nostra formazione. Questi dubbi e criticità ci portano di anno in anno a modifiche migliorative della struttura del percorso che lasciano al laboratorio il suo carattere sperimentale.

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IL LINGUAGGIO: UN OGGETTO NATURALMENTE CULTURALE Donata Chiricò1

Oggi come in passato la questione dell’origine del linguaggio resta il grande mistero delle scienze dell’uomo e della vita. Da questo punto di vista l’età moderna ha visto avvicendarsi due opposti paradigmi: il dualismo di origine cartesiana e il sensismo di impronta condillachiana. Appiattendo la corporeità a mera materia in movimento, il primo ha fatto della biologia una branca della fisica meccanica e, quindi, ha prodotto una separazione tra scienze della vita e filosofia. Dal canto suo il secondo, impegnato a riportare (contro l’innatismo di matrice cartesiana) il linguaggio tra gli oggetti ‘fisici’, si è ritrovato nell’impossibilità di spiegarlo sulla base di premesse coerentemente sensiste (Chiricò 1999). È esattamente ciò che succede a Condillac il quale da una parte mette in evidenza che ogni facoltà cognitiva (faculté de l’âme) non è altro che ʺla sensazione stessa che si trasformaʺ (1754:311) e che ʺla facoltà di sentireʺ è ʺl’unica origineʺ di tutte le facoltà dell’anima (1755:419), dall’altra parte chiude il Trattato sulle sensazioni senza che alcuna delle esperienze sensibili sia stata in grado di generare il linguaggio e senza che l’uomo-statua che ne è il protagonista sia stato in grado di distinguersi da un “animale capace di farsi carico della sua sopravvivenza (1754:11). Grazie anche allo stimolo rappresentato dalla scoperta del sanscrito e della conseguente teoria della parentela delle lingue (W. Jones, 1786), la scienza linguistica che si impone a partire dai primi anni del XIX secolo è la grammatica comparativa (Vergleicehende Grammatik, F. Schlegel 1808), ovvero lo studio delle ʺstrutture interne delle lingueʺ (in particolare la morfologia flessiva) e delle loro affinità genetiche. In questo clima, un oggetto così generale e all’epoca eminentemente filosofico quale l’origine del linguaggio, perde progressivamente di attrattiva fino al punto da diventare il grande assente della riflessione ottocentesca sulla facoltà linguistica. Sul 1

Docente presso la Facoltà di Lettere dell’Università della Calabria

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fronte più specificamente epistemologico, si assiste così ad una separazione tra la filosofia e lo studio dei fenomeni linguistici e tra quest’ultimo e le scienze empiriche. Come ha giustamente rimarcato Giulio Lepschy, a quel punto ʺuna grande occasione viene perduta: quella di trasformare l’indagine sull’origine del linguaggio nel punto di partenza di una cooperazione tra scienza del linguaggio e scienza della naturaʺ (1990:387). Tuttavia, l’interesse per le condizioni ‘materiali’ del linguaggio guadagna i medici, in particolare i neurologi. Nello momento in cui appare il termine ʺlinguisticaʺ e si fa strada l’idea che solo la grammatica comparata è adatta a fondare una ʺscienzaʺ del linguaggio, i lavori di Franz Gall (1758-1828) e Johann Spurzheim (1810-1819) fondano la frenologia o scienza delle ʺfunzioni del cervelloʺ e di ciascuna delle sue partiʺ (Gall, 1822-1825). Malgrado il fatto che essa esprimesse una visione ingenua dei rapporti tra cervello e mente-linguaggio, al suo interno trovano posto temi estremamente moderni quali il rapporto tra ambiente e innato e tra componenti primitive (animali) del comportamento e intelligenza umana. Jean-Baptiste Bouillaud (1796-1881), eminente medico della Charité di Parigi prende le mosse proprio dalle indicazioni di Gall secondo cui doveva esistere una ʺsede del linguaggio articolatoʺ, e dichiara che una serie di dati empirici provenienti dallo studio di soggetti affetti da lesioni cerebrali permettono di confermare l’esistenza di un centro nervoso specializzato nell’articolazione dei suoni (1825:27). È noto che bisognerà attendere quasi quarant’anni e la determinatezza di Paul Broca (1824-1880) prima che la medicina approvi l’idea che ci fosse una regione del sistema nervoso specializzata nella produzione dei movimenti necessari alla produzione del linguaggio (Broca, 1865). Bisogna dire che tanto dall’interno della nascente neurologia quanto fuori di essa, nessuno sembrò comprendere che gli studi di Broca (il quale nel 1878 aveva, tra l’altro, individuato il lobo limbico) erano in grado di rilanciare il discorso sull’origine del linguaggio a partire da una riflessione sulle funzioni e l’organizzazione del cervello. Tuttavia, proprio qualche anno dopo la decisione della Société de Linguistique (1866) di Parigi di vietare qualsiasi lavoro che avesse come oggetto l’origine del linguaggio, Charles Darwin (1809-1882) evoca specificamente quelle ʺstrane malattie del cervello in cui è lesa in modo particolare la parolaʺ a sostegno dell’ipotesi che ci possa essere uno stretto legame tra questo organo e ʺl’uso continuato del linguaggioʺ, ovvero tra ʺil cervello al suo attuale stato di evoluzione e la facoltà di parlareʺ (1871:122). In tempi a noi vicini, i dati provenienti dalla paleoantropologia ci permetto-

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no, in una certa forma, di superare il problema dell’origine del linguaggio in quanto ci mettono a disposizione una datazione secondo la quale il linguaggio verbale avrebbe 35-40 mila anni (per taluni 50-60 mila). È questa la periodizzazione attribuita ad un fossile ritrovato in prossimità del Monte Carmelo in Israele e del quale è stato possibile provare che fosse dotato di un apparato fonatorio tipico dell’uomo moderno (Lieberman, 1975:206). Da questo punto di vista, l’affermazione del linguaggio verbale sarebbe, cioè, da mettere in relazione con la scomparsa degli uomini di Neandertal i quali si estinsero misteriosamente in un periodo compreso tra 30 mila (Arsuaga, 2002:111) e 40 mila anni (Pollack, 1994:170). Altrimenti detto, l’ipotesi è che sapiens anatomicamente moderni apparvero per la prima volta in Africa Orientale all’incirca 125 mila anni fa e iniziarono prestissimo a migrare coabitando con sapiens di tipo neandertaliano fino a quando questi ultimi non furono soppiantati dai Cro-Magnon i quali, appunto, giunsero in Europa dall’Africa più o meno 40.000 anni fa. Bisogna evidenziare che non è del tutto inverosimile suggerire che in questa improvvisa quanto impenetrabile scomparsa dell’uomo di Neandertal, possa aver giocato un ruolo importante il fatto che quest’ultimo non fosse dotato del corredo anatomico-funzionale (tratto vocale sopralaringeo a due canne) necessario alla produzione di suoni verbali (Lieberman 1975:197200). Del resto, alla fine degli anni ’90 un gruppo di ricercatori guidati dal noto antropologo molecolare Svante Pääbo riuscì ad isolare tracce di DNA di Neandertal sufficienti per determinarne la sequenza e scoprì 27 differenze tra la sequenza neandertaliana e quella standard umana. Questo dato, confermato tre anni dopo da William Goodwin, depone a favore dell’ipotesi che l’uomo di Neandertal non abbia apportato alcun DNA all’attuale pool genico umano e che le due specie si siano diversificate tra 500 e 700 anni fa (Davies 2001:225-226), ovvero prima dell’estinzione di Homo erectus (avvenuta, come si sa, più di 300 mila anni fa) o più o meno nello stesso periodo. Tornando alla questione dell’origine del linguaggio, nel corso di uno studio sulla cosiddetta “sindrome unertan”, i cui sintomi principali sono rappresentati dall’assenza di una deambulazione bipede, gravi ritardi mentali e un uso molto primitivo del linguaggio (Tan, 2005:250), è stato suggerito che la transizione dall’Homo habilis (che ha 2 milioni di anni) all’Homo erectus (che ne ha 1 milione e 800 mila) non rappresenti il prodotto dell'evoluzione, bensì l’effetto di una mutazione genetica (ivi:253) e che il tipo di intelligenza e di linguaggio sviluppato dall’uomo è una “proprietà emergente” del sistema motorio (ibidem). Su questa base si è ritenuto di poter sostenere

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che, così come la stazione eretta, il linguaggio appare in senso proprio, ovvero “emerge”, per discontinuità, in conseguenza di modificazioni morfologiche e funzionali indotti da nuovi geni. Bisogna dire che già Eric Lenneberg aveva suggerito che “alcuni principi specifici di categorizzazione e di ricombinazione che incontriamo di continuo sia nella percezione della parola che nella sua produzione […], siano modificazioni di principi fisiologici che compaiono nella coordinazione motoria” (1967: 261) e proprio per questo aveva attirato l’attenzione sui livelli di maturazione e di accrescimento fisico richiesti dalla produzione di linguaggio verbale (ivi:182). In effetti, un punto di vista filogenetico la sua affermazione è stata resa possibile da un insieme di trasformazioni che ha riguardato la morfologia e le dimensioni del corpo nonché la struttura delle cellule nervose, la riorganizzazione anatomica delle diverse regioni del cervello (in particolare a partire da Homo habilis) e il progressivo incremento del suo volume (50% in Homo habilis rispetto agli australopiteci, 70–80% in Homo erectus, 100% in Homo sapiens). In particolare, il processo di ominazione avrebbe implicato (Geschwind 1965) la comparsa di una struttura encefalica interamente nuova e tipicamente umana (il lobo parietale) specializzata nell’integrazione complessa delle informazioni provenienti da vista, udito e tatto, vale a dire di quel genere di attività che vengono considerate un “prerequisito” (Tobias 1991:103) dell’acquisizione del linguaggio. Che ci sia stato o meno un gene che ha indotto la stazione eretta e la motilità fine che l’accompagna, quello che è certo è che essa appare dopo le prime manifestazioni di cultura materiale (Tobias, 1991:116) e quando ormai il cervello dell’Homo habilis (che, appunto, precede l’Homo erectus) era stato protagonista di una decisa espansione del cervelletto, dei lobi frontali e parietali e di una vera e propria “accentuazione” (ivi:159) di due regioni corticali normalmente conosciute come aree linguistiche: l’area di Broca (motoria) e l’area di Wernicke (uditiva). Arrivati a questo punto, bisogna precisare che la nozione di gene è estremamente indeterminata già per i genetisti. Sono proprio loro che mettono in evidenza il fatto che nella biologia molecolare è stato molto importante “fare come se esistessero delle entità chiamate « geni»”, ma questi ultimi altro non sono che astrazioni, “utensili intellettuali” per ordinare dei dati (Falk, 1984:199). Malgrado il fatto che l’evoluzione sia divenuta un soggetto fondamentale della biologia, la genetica molecolare e l’ingegneria genetica forniscono due tipi di contributi: da una parte una migliore conoscenza dei geni che si possono isolare a partire dalle differenti specie e dei quali possono essere confrontati le sequenze i base, dall’altra parte una miglio-

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re conoscenza dei meccanismi di mutazione. Questi contributi, molto importanti e tuttavia frammentari, gettano luce sulle componenti elementari dell’evoluzione, ma non riescono minimamente a fornire informazioni sulla globalità del processo. Autorevoli genetisti ritengono, infatti, che l’evoluzione avrebbe fatto con i geni quello che i cantori dell’antica Grecia facevano con i poemi omerici, vale a dire cucire e ricucire “pezzi di geni e di genomi, producendo innumerevoli rapsodie genetiche” (Kourilsky 1987:132). Bisogna inoltre saper che i geni e la loro espressione proteica determinano i tipi (pattern) di interconnessione tra i neuroni (modificazione dei canali ionici, vale a dire intensificazione o riduzione degli ioni e conseguente modifica del numero di contatti delle sinapsi e della loro potenza) e, quindi, determinano una componente delle funzioni mentali (sia normali sia patologiche). Ma bisogna allo stesso tempo chiarire che fattori relazionali e sociali (compresa la parola e l’attenzione, le emozioni e i sentimenti che essa attiva) modificano stabilmente la funzione dei geni, vale a dire l’espressione proteica che interessa le sinapsi e, dunque, i circuiti neuronali (Kandel 1999, 2001). Questo vuol dire che gli stimoli ambientali (le relazioni, la sessualità, i sentimenti, la parola) possono modificare la funzione dei geni e, quindi, l’architettura del cervello in modo tale che si può dire che la ‘cultura’ finisce per esprimersi come ‘natura’. Per non parlare del fatto che individui che parlano lingue diverse hanno genomi differenti (Pollack, 1994, 175). Insomma, se leggiamo ed ascoltiamo i biologi molecolari e i genetisti, ci rendiamo conto che l’utilizzo, per così dire predittivo e normativo che si fa della genetica, è un fatto che avviene per lo più sopra la testa degli addetti ai lavori. Esso ha a che fare con la vecchia e pessima, quando non ideologica, pratica di parte anche della tradizione umanistica di vedere nella natura un fattore di determinatezza piuttosto che di differenza, un destino piuttosto che una possibilità. Senza voler qui addentrarci nella questione di quanto potrebbe risultare pericoloso (in termini sociali, pedagogici e politici) immaginare un mondo popolato da esseri umani di cui sia possibile conoscere, addirittura prima della nascita, la loro destinazione biologica e l’insieme di comportamenti ai quali essi sarebbero “programmati” dall’ontogenesi e dalla filogenesi, è importante ricordare a quanti chiedono al progetto genoma più di quanto chiedano alla politica e a se stessi, che, almeno per il momento, e in particolare per quanto riguarda un comportamento complesso quale il linguaggio, la genetica non fornisce alcuna nuova informazione sulla specificità dell’uomo in rapporto ai primati (Kourilsky, 1987:139) con i quali, del resto, condividiamo il 98% circa del nostro patrimonio genetico. Nessun gene

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della coscienza, nessun gene dell’intelligenza, nessun gene del linguaggio. Con buona pace di tutti gli innatisti (filosofi e non), bisogna ricordare che se rimaniamo ancorati alla nozione di genotipo o di ‘eredità’, rischiamo di finire come la Societé de Linguistique nel 1866 e di dover dichiarare l’ostracismo nei confronti di tutte quelle questioni e quei fatti che ci obbligano ad essere quanto meno circospetti quando parliamo di ‘natura umana’ o di ‘istinto’ del linguaggio. Chiunque si sia occupato di filosofia del linguaggio piuttosto che di antropologia o di filosofia dell’educazione sa che in luoghi diversi del mondo vengono sistematicamente ritrovati bambini che, per motivi disparati, sono cresciuti lontano dai loro simili. Si tratta di cosiddetti “bambini selvaggi”, di bambini, cioè, vissuti in natura o in condizioni di reclusione. È noto che nessuno di questi bambini è in grado di parlare, addirittura di articolare suoni, compreso chi tra di loro aveva avuto il tempo di acquisire il linguaggio prima dell’allontanamento dalla società. È noto, altresì, che su più o meno una settantina di casi noti alla letteratura specialistica, solamente il 12% è bipede. Insomma, se ammettiamo che l’evoluzione ha ‘selezionato’ nel corso della nostra filogenesi il linguaggio verbale, dobbiamo altresì ammettere che l’esclusione dalla società precipita la natura umana a più o meno 2 milioni di anni fa. Siamo obbligati a riconoscere che la filogenesi può essere cancellata da un’assente o cattiva educazione, dalla mancanza di cure e di legami emotivi, dalla solitudine, dal silenzio senza condivisione. Il che è esattamente ciò che per certi versi sta accadendo alla nostra specie nel suo complesso la quale sembra tendere ad arrestare quel processo di “incivilimento” a cui – come ricorda Freud – dobbiamo sì “una parte di ciò che soffriamo”, ma soprattutto “il meglio di ciò che siamo divenuti” (1932:299).

Bibliografia Arsuaga, Juan Luis (2002), A cena dai Neanderthal, trad. it. Milano, Mondadori, 2004 Broca, P. (1865), Sur le siège de la Faculté du langage articulé, in HécaenDubois, La naissance de la neuropsychologie du langage, 1825-1865, Paris, Flammarion, 1969, pp. 108-121 Condillac, E. B. (de) (1754), Traité des sensations, Paris, Fayard, 1984,

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pp. 311-429 Condillac, E. B. (de) (1755), Traité des animaux, Paris, Fayard, 1984, pp. 9-307 Chiricò, D. (1999), “Condillac: il linguaggio tra sensibilità e società”, Bollettino Filosofico Dipartimento di Filosofia Università della Calabria, 15, Cosenza, Brenner, 1999, pp. 75-87 Darwin, Ch. (1871), L’origine dell’uomo, trad. it. Roma, Editori Riuniti, 1966) Falk, R. (1984), The Gene in Search of an Identity, in “Human Genetics”, 68, 1984, pp. 195-204 Freud, S. (1932), “Perché la Guerra?”, in Il disagio della civiltà e altri saggi, trad. it. Torino, Bollati Boringhieri, 2003, pp. 281-299 Gall, F.J. (1822-1825), Sur les fonctions du cerveau et sur celles de chacune de ses parties, Paris, Baillière Geschwind, N. (1965), “Disconnexion syndromes in animals and man”, Brain, LXXXVIII, pp. 237-294 Kandel, E. (1999), “Biology and the future of Psychoanalys: a New Intellectual Framework for Psychiatry Revisited”, American Journal Psychatry, vol. 156, pp.505-524 Kandel, E. (2001), “The Molecular Biology of Memory Storage: a Dialogue between Genes and Synapses”, Science, vol. 294, 1030-1038 Kourilsky, Ph. (1987), Les artisans de l’hérédité, Paris, Odile Jacob Lenneberg, H. (1967), Fondamenti biologici del linguaggio, trad. it. Torino, Bollati Boringhieri, 1982 Lepschy, G. (1990), Storia della linguistica, Bologna, il Mulino Lieberman, Ph. (1975), L’origine delle parole, trad. it. Torino, Bollati Boringhieri, 1980 Pollack, R. (1994), Signs of Life. The language and Meanings of DNA, Houghton Mifflin Company Tan, U. (2005), “Quadrupedality, Primitive language, and Severe Mental Retardation. A new theory on the Evolution of Human Mind“, NeuroQuantology, 4, pp. 250-255 Tobias, Ph. (1991), Il bipede barcollante, trad. it., Torino, Einaudi, 1992 (1982, I ed.)

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ALTRI SGUARDI, SGUARDI ALTROVE: LUOGHI, PERSONE E FATTI DELL’ISTITUTO ON THE ROAD

Lubiana, 20-22 novembre 2012 Luisa Accarco, Enrico Dolza, Marianna Luca, Simona Picciolo e Marco Vozza con 4 studenti dell’Istituto: Anna Amato, Alessandro Avvampato, Emanuele Giolito e Giuseppe Manzi hanno partecipato alla Conferenza Finale del progetto europeo ACTrain e workshop di ceramica per sordi italiani e sloveni. Oulx, Valle di Susa, 30 novembre 2012 Giulia Garis e Roberta Neirotti avviano un corso di formazione sulla sordità rivolto ai maestri di sci della rinomata stazione sciistica piemontese. Savigliano, Cuneo, 3 dicembre 2012 Enrico Dolza e Luisa Accardo sono invitati a presentare le problematiche e i servizi a favore degli studenti sordi nell’ambito dei Corsi di Laurea per Educatori dell’Università di Torino, sedi di Savigliano e Torino, un grazie speciale alla professoressa Cecilia Marchisio. Berlino, 10-11 dicembre 2012 Enrico Dolza ha presentato una relazione sui corsi di italiano per stranieri al Max Plank Institute di Berlino nell’ambito della Conferenza Internazionale “Deaf World – Hearing World”. Vercelli, 22 febbrario 2013 Luisa Accardo e Marta Saija cominciano la frequenza ad un corso per Facilitatori di gruppi di auto-mutuo-aiuto… che sia il primo seme per un progetto dell’Istituto rivolto ai genitori? Milano, 13 marzo 2013 Luciano Candela e Enrico Dolza, con Catterina Seia presentano il Dizionario di Arte contemporanea in Lingua dei Segni Italiana al folto gruppo di dipendenti sordi del Gruppo Unicredit.

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Roma, 15 marzo 2013 Simona Bonanno, Enrico Dolza ed Enrica Maglione presentano all’Istituto Statale dei Sordi il Manuale di Lingua Italiana per sordi stranieri. Rimini, 19 aprile 2013 Luciano Candela con Brunella Manzardo (Dipartimento educazione, Castello di Rivoli) presentano al Museo Archeologico Verrucchio il Dizionario di Arte contemporanea in Lingua dei Segni Italiana. Ancona, 20 aprile 2013 Luciano Candela con Brunella Manzardo (Dipartimento educazione, Castello di Rivoli) presentano al Museo Nazionale Omero il Dizionario di Arte contemporanea in Lingua dei Segni Italiana. Istanbul, 19-28 aprile 2013 Luisa Accardo, Enrico Dolza, Stefania Gabriele, Cristina Gallino e Cristina Riccardi con 19 studenti dell’Istituto sono ospitati dall’Istituto Statale dei Sordi di Istanbul, nell’ambito del programma di mobilità Comenius, finanziato dall’Unione Europea.

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Questo numero della rivista La Voce Silenziosa dell’Istituto dei Sordi di Torino è stato reso possibile da un contributo della Cochlear Italia s.r.l. Via Larga 33 40138 Bologna


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