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L FOCUS Jenny Saville e il Rinascimento a Firenze || 76 L FOTOGRAFIA Angela Madesani La fotografia in prima linea di Margaret Bourke-White ||

JENNY SAVILLE E IL RINASCIMENTO A FIRENZE

a città di Firenze accoglie una delle più L grandi pittrici viventi e voce di primo piano nel panorama artistico internazionale, Jenny Saville (Cambridge, 7 maggio 1970), protagonista di un progetto espositivo ideato e curato da Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento, in collaborazione con alcuni dei maggiori musei della città: Museo di Palazzo Vecchio, Museo dell’Opera del Duomo, Museo degli Innocenti e Museo di Casa Buonarroti.

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L'esposizione, promossa dal Comune di Firenze, organizzata da MUS.E e sostenuta da Gagosian, rappresenta un incontro unico tra antico e contemporaneo e invita il pubblico a scoprire l'opera di Jenny Saville attraverso una serie di dipinti e disegni degli Anni Novanta e lavori realizzati appositamente per la mostra.

Il percorso delinea la forte correlazione tra Jenny Saville e i maestri del Rinascimento italiano, in particolare con alcuni grandi capolavori di Michelangelo, come si può evincere sia dalla misura monumentale dei dipinti dell’artista britannica, tratto distintivo del suo linguaggio figurativo fin dagli esordi, sia dalla sua ricerca incentrata sul corpo, sulla carne, e su soggetti femminili nudi, mutilati o schiacciati dal peso e dall’esistenza, sulle maternità e i compianti.

Jenny Saville trascende i limiti tra figurativo e astratto, tra informale e gestuale, riuscendo a trasfigurare la cronaca in un’immagine universale, un umanesimo contemporaneo che rimette al centro della storia dell’arte la figura, sia essa un corpo o un volto, per dare immagine alle forze che agiscono dentro e contro di noi. Dall’impatto con l’esistenza e la nuova vita risorge una dimensione spirituale che credevamo perduta nell’arte d’avanguardia. L’artista si è lasciata alle spalle il postmoderno per ricostruire un serrato dialogo con la grande tradizione pittorica europea in costante confronto con il modernismo di Willem de Kooning e Cy Twombly e la ritrattistica di Pablo Picasso e Francis Bacon.

Sempre alla ricerca della verità in pittura per mettere a nudo l’immanenza espressiva del corpo, l’artista lavora sul modello in studio e sulla fotografia. Per costruire le sue immagini, così potenti e abbaglianti, così travolgenti e impressionanti, raccoglie fotografie e ritagli da giornali e cataloghi, mescolando storia dell’arte e archeologia, immagini scientifiche e di cronaca, senza creare gerarchie o distinguo tra bellezza e abiezione, brutalità e venustà, tenerezza e crudeltà.

I suoi soggetti appartengono alla tradizione classica: volti, corpi nudi, gruppi di più figure, figure distese o in piedi, maternità e coppie di amanti presentati in pose che ricordano la statutaria etrusca o modelli classici, dipinti e sculture della tradizione rinascimentale e moderna, l’arte egizia o arcaica.

IDENTIKIT DI JENNY SAVILLE

La percezione umana del corpo è così acuta e consapevole che il più piccolo accenno di un corpo può innescarne il riconoscimento

Jenny Saville

Nata nel 1970 a Cambridge, Inghilterra, Saville ha frequentato la Glasgow School of Art dal 1988 al 1992, trascorrendo un periodo all’Università di Cincinnati nel 1991. I suoi studi hanno concentrato il suo interesse sulle “imperfezioni” della carne, con tutte le relative implicazioni sociali e tabù. Saville è stata affascinata da questi dettagli fin da bambina; ha raccontato di aver visto i lavori di Tiziano e Tintoretto durante i viaggi con lo zio, e di aver osservato il modo in cui i due seni della sua insegnante di pianoforte, schiacciati insieme nella camicia, diventavano un’unica grande massa. Durante una borsa di studio nel Connecticut nel 1994, Saville ha potuto osservare un chirurgo plastico di New York al lavoro. Studiare la ricostruzione della carne umana è stato formativo per la sua percezione del corpo – la sua resilienza, così come la sua fragilità. Il tempo trascorso con il chirurgo ha favorito il suo approfondimento sui modi apparentemente infiniti in cui la carne viene trasformata e sfigurata. Ha esplorato le patologie mediche; visto i cadaveri all’obitorio; esaminato gli animali e la carne; studiato la scultura classica e rinascimentale e osservato coppie intrecciate, madri con i loro figli, individui i cui corpi sfidano le differenze di genere, e altro ancora.

LA POETICA DI JENNY SAVILLE Membro degli Young British Artists (YBA), il gruppo sciolto di pittori e scultori salito alla ribalta tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, Saville ha rinvigorito la pittura figurativa contemporanea sfidando i limiti di genere e sollevando domande sulla percezione che la società ha del corpo e del suo potenziale. Benché lungimirante, il suo lavoro rivela una profonda consapevolezza, sia intellettuale che sensoriale, di come il corpo sia stato rappresentato nel tempo e attraverso le culture – dalla scultura antica e indù, al disegno e alla pittura rinascimentale, al lavoro di artisti moderni come Henri Matisse, Willem de Kooning e Pablo Picasso. Nei volti impressionanti, nelle membra disordinate e nelle pieghe cadenti dei suoi dipinti, si possono percepire echi della Venere di Urbino di Tiziano (1532 ca.), del Cristo nella Deposizione dalla croce di Rubens (1612-14), dell’Olympia di Manet (1863), e di volti e corpi presi da riviste e giornali scandalistici. I dipinti di Saville rifiutano di inserirsi regolarmente in un arco storico; al contrario, ogni corpo si fa avanti, autonomo, voluminoso e sempre rifiutando di nascondersi.

MOSTRE E CARRIERA Jenny Saville attualmente vive e lavora a Oxford, in Inghilterra. Le sue opere sono incluse, tra le altre, nelle seguenti collezioni: Metropolitan Museum of Art, New York; The Broad, Los Angeles; Museum of Contemporary Art, San Diego; Saatchi Collection, Londra. Tra le sue mostre recenti si annoverano: 50° Biennale di Venezia (2003); Museo d’Arte Contemporanea Roma, Roma (2005); Norton Museum of Art, West Palm Beach, FL (2011, poi al Modern Art Oxford, Inghilterra, nel 2012); Egon Schiele-Jenny Saville, Kunsthaus Zürich (2014-15); Jenny Saville Drawing, Ashmolean Museum of Art and Archaeology, University of Oxford, Inghilterra (2015-16); Now, Scottish National Gallery of Modern Art, Edimburgo (2018); e George Economou Collection, Atene (2018-19).

I

n occasione della mostra dedicata a Jenny Saville, una vetrina aperta giorno e notte rende visibile il grande dipinto Rosetta II (2005-06), esposto sopra l’altare all’interno dell’antica cappella al piano terra. L’opera, che ritrae una giovane donna non vedente conosciuta dall’artista, si colloca nello spazio occupato in precedenza da una grande tavola di Ludovico Buti, raffigurante la Moltiplicazione dei pani.

La scelta iconografica di un episodio del Vangelo con al centro un miracolo si conformava alla funzione dello Spedale, all’epoca adibito a convalescenziario. La decisione di Jenny Saville riporta alla ribalta le funzioni di un complesso monumentale storicamente connotato da una forte vocazione sociale, ispirata a una delle principali virtù della religione cristiana: la carità.

A ribadire questo tacito dialogo, l’innovativo allestimento consente di istituire il confronto con il Crocifisso ligneo di Giotto sospeso al centro della navata di Santa Maria Novella, ben riconoscibile fin dall’esterno del sagrato quando il portale della basilica è aperto.

Nelle sale del Museo attigue alla cappella è esposta una serie cospicua di ritratti, sempre di grande formato e quasi sempre frontali. Sono volti di giovani di arcaica bellezza, un olimpo di divinità terrestri dagli sguardi intensi, che restano totalmente concentrati nei confini della propria irraggiungibile intimità. Nonostante la vita scavi sui volti, oltraggiandoli e sfigurandoli, la bellezza dei ritrattati, riflesso di una bellezza interiore, rimane intatta. I visi di Jenny Saville, monumentali e sensuali allo stesso tempo, ci indicano pertanto di cosa sia fatta la vera bellezza, illuminata di immensità ed energia purissima. Ne sono elementi rivelatori gli occhi sempre luminosi, capaci di comunicare tutto della persona.

Al primo piano viene riservato ampio spazio al disegno, che per Jenny Saville è un’attività quotidiana. L’artista lavora in uno studio dedicato esclusivamente a questa pratica, che si differenzia dallo spazio riservato ai dipinti per illuminazione e organizzazione di strumenti e arredi. Saville parte da disegni di carattere figurativo, sui quali interviene ripetutamente, fino ad arrivare a uno stravolgimento dell’impianto tradizionale della visione. L’incessante e vorticoso ritornare sulle figure denota una scrupolosa osservazione del corpo e dei suoi movimenti, in un’indagine che muove dallo studio del visibile per lasciar

MUSEO NOVECENTO

fino al 20 febbraio JENNY SAVILLE

a cura di Sergio Risaliti MUSEO NOVECENTO Piazza Santa Maria Novella 10 – Firenze 055 286132 Stazione di S. Maria Novella museonovecento.it

Basilica

S. Maria Novellavia della Scala via Palazzuolo piazza S. Maria Novella MUSEO NOVECENTO

via dei Fossi

emergere la complessità dei ‘moti dell’anima’. L’artista si sofferma sulle espressioni, i gesti e il loro costante mutamento. Coglie sfumature impercettibili, quasi impossibili da contenere e definire in un’unità compiuta. Rinnovando la più classica delle tradizioni rinascimentali, i disegni di Jenny Saville riescono a racchiudere e a fermare, in un’immagine imperitura, l’infinita molteplicità dell’io. In un’epoca in cui l’avanguardia modernista pare aver perduto la forza propulsiva del secolo scorso arrestandosi ai limiti del progresso, mentre la tradizione offre la possibilità di percorrere sentieri interrotti, ecco che i dipinti di Jenny Saville possono sconvolgere per il tipo di bellezza che fanno apprezzare. I suoi nudi, i ritratti, gli studi sulla maternità, i suoi ‘compianti’ sono così esageratamente moderni, eppure così compiutamente classici, che ci sentiamo strattonati in opposte direzioni e non possiamo restare indifferenti; ne veniamo sopraffatti e dobbiamo ammettere di dover fronteggiare la pittura con tutti i sensi, profondamente coinvolti e interrogati davanti a quello che non stentiamo a vivere come misterioso shock visivo.

Sergio Risaliti

Direttore del Museo Novecento

in alto: Jenny Saville, Installation view, Museo Novecento, Firenze 2021 © Jenny Saville. Tutti i diritti riservati, DACS 2021 Photo Sebastiano Pellion di Persano, Courtesy Gagosian

a sinistra: Jenny Saville al Museo dell'Opera del Duomo, Firenze © photo Ela Bialkowska OKNOstudio

MUSEO DI PALAZZO VECCHIO

l Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio

Iospita Fulcrum (1998-99), l’opera di maggior risonanza del presente progetto espositivo che consacrò definitivamente Jenny Saville con la sua prima mostra personale, Jenny Saville: Territories, da Gagosian a New York nel 1999. Il grande dipinto (3×5 metri circa) entra dialetticamente in antitesi con i capolavori riuniti nella sublime cornice del Salone delle Battaglie, così detto per gli affreschi realizzati dal Vasari e dalla sua scuola per celebrare le vittorie dei fiorentini contro gli avversari. Il Salone è arricchito da gruppi scultorei con le Fatiche di Ercole (1562-84) di Vincenzo de’ Rossi, nonché dal Genio della Vittoria (1532-34) di Michelangelo, straordinario esempio di contrapposto anatomico e di non finito. Dal punto di vista formale, il dipinto di Jenny Saville pare voler esibire un confronto con il linguaggio della scultura, date le dimensioni imponenti dell’opera e la forte plasticità delle figure. Lo spazio di rappresentazione di Fulcrum è interamente occupato dalla massa di tre corpi riversi. L’artista ci mette di fronte alla forte esuberanza delle carni, in una composizione densa e disturbante in cui mal si distinguono i volti e le individualità delle due donne e della giovinetta, costrette in un abbraccio dai toni drammatici. La violenza, il potere, l’egemonia maschile sembrano essere messi in chiaro dalla presenza eloquente di queste tre figure femminili, strette carnalmente e spiritualmente in un abbraccio che sa di difesa e di angoscia. fino al 20 febbraio JENNY SAVILLE

a cura di Sergio Risaliti MUSEO DI PALAZZO VECCHIO Piazza della Signoria – Firenze 055 2768325 Piazza Santa Maria del Fioremuseonovecento.it

piazza della Repubblica

via dei Calzaiuoli

piazza della

Signoria MUSEO DI PALAZZO VECCHIO

Ponte Vecchio

Fiume Arno

Museo degli Uffizi

in alto: Jenny Saville, Fulcrum, 1999, olio su tela 261.6 x 487.7 cm © Jenny Saville. Tutti i diritti riservati, DACS 2021 Collezione privata. Courtesy Gagosian

a sinistra: Vincenzo De' Rossi, Fatiche di Ercole, Ercole e il centauro Nesso, 1570 ca., Salone dei Cinquecento, Palazzo Vecchio, Firenze. © Fototeca dei Musei Civici Fiorentini

appassionato e coinvolgente dialogo di Jenny SaL' ville con le opere e le iconografie di Michelangelo raggiunge qui la sua acme. Nella sala dove si conserva la Pietà Bandini (1547-55 ca.), tra le ultime ‘fatiche’ del ‘divino’ Buonarroti, è esposto un disegno di grande formato – circa tre metri di altezza – a cui l’artista britannica ha iniziato a dedicarsi dopo un sopralluogo a Firenze due anni orsono. Dichiara Mons. Timothy Verdon, Direttore del Museo dell’Opera del Duomo: “Non sorprende che Jenny Saville, uno dei pochi artisti contemporanei a credere nell’eloquenza del corpo, abbia dedicato un’opera alla Pietà di Michelangelo, un’interpretazione profondamente personale esposta accanto al gruppo marmoreo del Buonarroti nella ‘Tribuna’, una sala creata durante l’ampliamento 2013-15 del museo e la riprogettazione specifica per il capolavoro di Michelangelo”.

Secondo Antonio Natali, Consigliere dell’Opera di Santa Maria del Fiore: “Si può ben capire il rapporto ideale fra la composizione di Jenny Saville e la Pietà di Michelangelo nel Museo dell'Opera del Duomo. Se ne può cogliere l’ascendente e financo

a sinistra: Jenny Saville, Pietà I, 2019-21, carboncino e pastello su tela, 280 × 160 cm © Jenny Saville. Tutti i diritti riservati, DACS 2021. Photo Prudence Cuming Associates. Courtesy Gagosian

in basso: Pietà di Michelangelo, Museo dell’Opera del Duomo, Firenze. Courtesy Opera di Santa Maria del Fiore. Photo Alena Fialová

Il corpo come espressione dello spirito è un tema chiave dell’arte rinascimentale, e il maestro che più sviluppò il concetto fu il fiorentino Michelangelo Buonarroti, la cui Pietà nel Museo dell’Opera del Duomo riassume lo sforzo dell’artista a dare alla carne un’anima. […]. L’atmosfera di ‘spazio sacro’ della Tribuna, idonea al gruppo rinascimentale, funziona anche per l’immagine della Saville, in cui, in analogia con la Pietà, i corpi intrecciati comunicano una rete di rapporti d’intenso pathos umano.

Mons. Timothy Verdon

Direttore del Museo dell’Opera del Duomo la fascinazione; eppure par di leggere nell’opera moderna qualcosa che precede nel tempo il marmo del Buonarroti, quasi discendesse dalle fonti medesime di lui”.

Il corpo levigato e lucente del Cristo della Pietà michelangiolesca, fortemente disarticolato nella sua posa, l’espressione amorevole di Nicodemo, che cela l’autoritratto dell’artista stesso e che sostiene il peso del Messia, lo strazio contenuto della Madre, trovano nel disegno Pietà I (2021) di Saville un naturale contraltare animato dagli intensi sguardi dei personaggi che sorreggono un giovane ragazzo, vittima forse della barbarie politica o ideologica, magari un migrante, un antagonista o un martire del terrore. Evitando di identificare spazio e tempo, Saville dichiara, in una versione contemporanea ma altrettanto universale e archetipica, la condanna di ogni violenza umana, facendo parlare con segni drammatici il tema della pietas, l’esperienza del lutto e del compianto. Wesperbild attuale e senza tempo, di una stessa universale poetica tragicità quanto quella del gruppo scultoreo realizzato da Buonarroti, l’opera di Saville pare esprimere sentimenti di dolore in una drammatica coincidenza con gli ultimi fatti della cronaca mondiale.

fino al 20 febbraio JENNY SAVILLE

a cura di Sergio Risaliti MUSEO DELL'OPERA DEL DUOMO Piazza del Duomo 9 – Firenze 055 2302885 museonovecento.it

piazza della Repubblica

piazza del Duomo MUSEO DELL’OPERA DEL DUOMO

via dei Calzaiuoli

Piazza della Signoria

Fiume Arno

Museo Ponte degli Vecchio Uffizi

È come se Jenny fosse stata insieme a Michelangelo nel manipolo d’artisti che sbalordivano al cospetto degli affreschi di Masaccio al Carmine, sui quali lo scultore MUSEO DI PALAZZO s’era affaticato in copie d’attori e posture. VECCHIO Nella piramide familiare disegnata da Jenny Saville [Pietà I, 2019-21, N.d.R.] rivive l’impaginazione solida della Sant’Anna Metterza e nei protagonisti si sente allignare l’energia umanissima della stessa razza rude dei popolani che animano le ribalte della cappella Brancacci.

Antonio Natali

Consigliere dell'Opera di Santa Maria del Fiore

ei due dipinti di

NJenny Saville esposti nella Pinacoteca del Museo degli Innocenti è racchiusa la concezione della figura femminile in relazione alla maternità.

Tra la Madonna col Bambino (1445-50 ca.) di Luca della Robbia e la Madonna col Bambino e un angelo (146576), opera giovanile di Botticelli, il grande quadro The Mothers (2011) di Jenny Saville, di forte impatto evocativo, rivela il fulminante cortocircuito atemporale di questa tematica, accolta in un edificio dove, fin dai tempi del progetto di Brunelleschi, si è avvertito il bisogno di un impegno nell’accoglienza dei bambini abbandonati e nella promozione e tutela dei diritti dell’infanzia. Un secondo dipinto di grandi dimensioni, Byzantium (2018), mostra una diversa versione di Pietà in cui il lavoro grafico accompagnato da interventi di colore assai risentiti sembra non essersi fermato alla ricerca della giusta posa, seguendo altresì il movimento dei corpi. “Il tema della maternità compare prepotentemente quando l’artista stessa diviene madre” — sottolinea la Direttrice scientifica del Museo degli Innocenti Arabella Natalini.

“Il rapporto con i figli alimenta la sua creatività e genera nuove opere vigorose, come ‘The Mothers’, dove Saville si ritrae durante la gravidanza della secondogenita mentre tiene in braccio il primo figlio, scalpitante fino a ‘sdoppiarsi’ in quel movimento indomito che caratterizza la prima infanzia. Se in questo quadro convivono simultaneamente l’attesa della nascita e i primi anni di vita, con ‘Byzantium’ l’artista ci pone in presenza della perdita. La morte, sodale della vita, si incarna in un corpo ‘vivissimo’, tratteggiato naturalisticamente, con gesti veloci e mobili, in contrasto con il volto statico della figura ieratica che lo sostiene e con il fondo oro, atemporale e immobile”.

fino al 20 febbraio JENNY SAVILLE

a cura di Sergio Risaliti MUSEO DEGLI INNOCENTI Piazza della SS. Annunziata 13 – Firenze 055 2037122 museonovecento.it

Sandro Botticelli, Madonna col Bambino e un angelo, 1465 ca., tempera su tavola La maternità e la ‘cultura dell’infanzia’ rappresentate nelle opere di Della Robbia e Botticelli, a confronto con il forte impatto visivo delle due di Saville, The Mothers e Byzantium, ci fanno riflettere sull’universo della cura dei più piccoli e sull’investimento di sensibilità, attenzioni ed energie che tale cura richiede. Una riflessione che trova ambientazione ideale nell’edificio progettato dal Brunelleschi che, ieri come oggi, è dedicato all’accoglienza e all’educazione dei bambini.

Maria Grazia Giuffrida

Presidente dell’Istituto degli Innocenti

Jenny Saville, The Mothers, 2011, olio e carboncino su tela, 270 x 220 cm © Jenny Saville. Tutti i diritti riservati, DACS 2021. Collezione di Lisa e Steven Tananbaum. Photo Mike Bruce. Courtesy l’artista e Gagosian

piazza San Marco

Galleria dell’Accademia

via dei Servi

Basilica della

SS. Annunziata

piazzaSS. AnnunziataMUSEO DEGLI

INNOCENTI

Il corpo e la carne sono da sempre temi cari a Jenny Saville che, con la sua pittura materica, genera opere dirompenti tramite le quali affronta l’esistenza della specie umana e, attraversando la propria, quella delle donne innanzitutto. Il suo corpo diviene così oggetto e soggetto di un’indagine reiterata dove la carne, le pieghe, la pelle prendono forma monumentale ricordandoci al tempo stesso la forza e la fragilità della vita.

Arabella S. Natalini

Direttrice del Museo degli Innocenti

Jenny Saville, Aleppo, 2017 - 18, pastello e carboncino su tela, 200 x 160 x 3.2 cm © Jenny Saville. Tutti i diritti riservati, DACS 2021 Foto: Lucy Dawkins, National Galleries of Scotland. Collezione dell'artista. Courtesy Gagosian La Casa Buonarroti, sebbene dedicata dall’Ottocento alla celebrazione della memoria e dell’arte di Michelangelo, si è già aperta in passato all’arte moderna e contemporanea […]. Continuando con questa tradizione, il palazzo di Via Ghibellina, residenza della famiglia Buonarroti e oggi sede del museo, è divenuto uno dei ‘luoghi’ della mostra fiorentina della celebre artista britannica Jenny Saville ove le sue opere possono mettersi in rapporto con i capolavori del sommo artista.

Alessandro Cecchi

Direttore della Fondazione Casa Buonarroti

Michelangelo Buonarroti, Madonna col Bambino, 1525 ca., penna, 54, 1 x 39, 6 cm. Firenze, Casa Buonarroti, inv.71 F © Fondazione Casa Buonarroti

n questo luogo della memoria e

Idella celebrazione del genio di Michelangelo, i disegni di Jenny SaL’incontro fra Jenny Saville e il cosiddetto ‘cartonetto’, ovvero il grande e finito disegno di Michelangelo Buonarroti con la ville Study for Pietà I (2021) e Mother and Child Study II (2009) presentano un omaggio consapevole e per nulla anodino ai disegni e ai bozzetti michelangioleschi (151720). Non mancano tuttavia, con dipinti quali Aleppo (2017-18) e Compass (2013), le tematiche care alla poetica di Saville, così tenacemente legate alla contemporaneità.

Pietà, compianti e deposizioni, moderni e antichi allo stesso tempo, rispondono alla cronaca dei nostri giorni, perché le tragedie della vita e della morte, del conflitto e del sopruso, sono sempre in corso, sempre attuali. Disegni di forte impatto emotivo e segnico concertano con una delle opere su carta più celebri e ammirate del Buonarroti, il cosiddetto ‘cartonetto’, Madre con bambino (1525 ca.). Completano questo dialogo due bozzetti in terracotta, uno attribuito a un artista della cerchia di Michelangelo e l’altro di Vincenzo Danti, una riproduzione in piccola scala della Madonna Medici, oltre a una coppia di piccole invenzioni michelangiolesche per una Trasfigurazione e un’urna cineraria etrusca.

Scocca qui “con piena evidenza” – come ricorda la Presidente della Fondazione Casa Buonarroti Cristina Acidini – “la scintilla dell’intesa a distanza tra i disegni e i bozzetti di Michelangelo e le opere di Saville, la quale, come lui, non solo pone al centro la figura umana, ma ne esplora la fisicità fino allo sforzo, mettendo alla prova le proprie capacità nel raggiungere, con una materia artistica perennemente gravida, i limiti del sostenibile”. Madonna che stringe al seno il Bambino, è stato commovente per l’artista anzitutto, ma anche per noi della Casa Buonarroti che vi assistevamo. L’occhio dell’artista perlustrava l’immagine con intelligenza amorosa, rivelando a se stessa e a noi il segreto della nascita di volumi pieni e già scultorei, attraverso il segno potente del divino maestro.

Cristina Acidini

Presidente della Fondazione Casa Buonarroti

Borgo degli Albizi

via Pandolfini via Verdi CASA BUONARROTI via Ghibellina

via dei Benci piazza Santa Croce

Basilica di Santa Croce

Biblioteca Nazionale

lungarno alle Grazie

Ponte alle Grazie fino al 20 febbraio

Fiume Arno JENNY SAVILLE

a cura di Sergio Risaliti CASA BUONARROTI Via Ghibellina 70 – Firenze 055 241752 museonovecento.it

La fotografia in prima linea di Margaret Bourke-White

Angela Madesani

Margaret Bourke-White è stata una professionista nel senso più completo del termine. “La mia vita e la mia carriera non hanno nulla di casuale. Tutto è stato accuratamente progettato”, diceva. Nata a New York nel 1904, figlia dell’alta borghesia imprenditoriale, studia fotografia con la pittorialista Clarence H. White. Apre il suo primo studio fotografico a Cleveland, in Ohio, nel ‘28. Influenzata dall’attività del padre, in un primo tempo si dedica alla fotografia di industria, architettura e design. Tra i suoi clienti più importanti, le acciaierie Otis. La fotografa – perfezionista, ambiziosa, mai spaventata dal lavoro – riesce a dare una chiave autoriale alla fotografia industriale. Le sue inquadrature, il suo utilizzo delle luci sono magistrali. Risale al 1929 la sua conoscenza con Henry Luce, caporedattore di Time, che la invita a collaborare con la neonata rivista Fortune. Margaret accetta, ma vuole rimanere indipendente, condizione che mantiene sino al 1936. Dello stesso anno è la pubblicazione di una sua fotografia sulla copertina del primo numero di Life. Luce aveva, infatti, comprato i diritti di una storica rivista umoristica americana, per dare vita a quella che in breve sarebbe diventata la più famosa rivista illustrata e di fotogiornalismo al mondo. La foto aveva per soggetto i lavori ultimati per la costruzione della diga di Fort Peck, nel Montana. Un’immagine che rappresenta in pieno la ricostruzione, nell’epoca del New Deal, che segna gli anni della presidenza Roosevelt.

UNA FOTOGRAFA SENZA PAURA

Nel 1930 è la prima tra i fotografi occidentali ad andare in Unione Sovietica, dove ottiene il raro permesso di fotografare Stalin. Suo, infatti, è il primo ritratto non ufficiale del dittatore, con circolazione autorizzata al di fuori del territorio sovietico. “Con il mio entusiasmo per la macchina come oggetto di bellezza, sentivo che la storia di una nazione che cercava di industrializzarsi, praticamente da un giorno all’altro, era disegnata su misura per me […]. Nonostante il mio approccio non fosse tecnico, frequentai le fabbriche a sufficienza per capire che l’industria produce una storia, le macchine si sviluppano e gli uomini crescono insieme a loro. Era un’occasione unica per osservare un Paese nel passaggio da un passato medievale a un futuro industriale”.

Per Life, dove la chiamano “Maggie l’indistruttibile”, è corrispondente di guerra durante il secondo conflitto mondiale. Documenta così, nel 1941, l’assedio di Mosca ed è al seguito dell’esercito americano in Italia. È presente alla liberazione di Buchenwald, di cui racconta le atrocità commesse. Nel 1947 è in Pakistan e in India, dove realizza la famosa fotografia di Gandhi che lavora all’arcolaio. Qualche anno dopo arriva in Sudafrica, dove descrive l’Apartheid e discende nelle profondità della terra per narrare la terribile vita dei minatori d’oro neri. IMMAGINI E PAROLE

La sua forza è stata quella di capire quanto stava accadendo nel mondo per trovarsi nel posto giusto al momento giusto, senza mai realizzare immagini sensazionaliste. Lei stessa nella sua preziosa autobiografia, Portrait of Myself, redatta negli anni dolorosi della malattia, scrive: “Mi svegliavo ogni mattina pronta a ogni sorpresa che il giorno mi avrebbe portato.

fino al 27 febbraio PRIMA, DONNA. MARGARET BOURKE-WHITE

a cura di Alessandra Mauro Catalogo Contrasto MUSEO DI ROMA IN TRASTEVERE Piazza S. Egidio 1b museodiromaintrastevere.it

a sinistra: Margaret Bourke-White al lavoro in cima al grattacielo Chrysler, New York City, 1934 © Oscar Graubner. Courtesy Estate of Margaret Bourke White

a destra: Greensville, Carolina del Sud, 1956. © Images by Margaret Bourke-White. 1956 The Picture Collection Inc. All rights reserved

Amavo il passo veloce delle commissioni di ‘Life’, la felicità di attraversare l’ingresso di un nuovo territorio. Tutto poteva essere conquistato. Niente era troppo difficile. E se avevi tempi stretti, tanto meglio. Dicevi sì alla sfida e costruivi la storia”. Una storia che Margaret ha costruito sino al 1971, l’anno della sua morte, prima con le immagini e poi con la scrittura.

LE SEZIONI DELLA MOSTRA A ROMA

La mostra dedicata a Margaret Bourke-White dal Museo di Roma in Trastevere è divisa in undici sezioni.

La prima L’incanto delle acciaierie, propone il lavoro realizzato durante gli anni giovanili nel campo della fotografia industriale. Conca di polvere, la seconda sezione, documenta i lavori di tematica sociale, portati a termine durante gli anni della Grande Depressione nel Sud degli Stati Uniti. La terza è dedicata alla proficua collaborazione di Bourke-White con Life, mentre Sguardi sulla Russia racconta gli anni sovietici di Margaret, durante i quali documenta le fasi del piano quinquennale.

La quinta sezione, Sul fronte dimenticato, esamina il periodo della Seconda Guerra Mondiale, epoca in cui la fotografa è corrispondente in Europa per Life. La liberazione di Buchenwald è documentata in Nei Campi. Qui la fotografa, sconvolta da quanto si trova di fronte, dichiara: “Per lavorare dovevo coprire la mia anima con un velo”. La settima sezione guarda all’India, alla sua indipendenza e alla separazione dal Pakistan.

Il Sudafrica durante l’Apartheid è il protagonista dell’ottava sezione, mentre è un lavoro a colori del 1956 a costituire il nono capitolo della mostra, Voci del Sud bianco, incentrato sul tema del segregazionismo nel Sud degli Stati Uniti.

In alto e a casa è la penultima sezione, che raccoglie le più importanti immagini aeree di Bourke-White. La sezione conclusiva, biografica, è intitolata La mia misteriosa malattia, in cui la fotografa, colpita dal morbo di Parkinson, è il soggetto del reportage dal grande Alfred Eisenstaedt.

INTERVISTA ALLA CURATRICE ALESSANDRA MAURO

Qual è il testimone, umano e professionale, lasciato da Margaret Bourke-White alle generazioni successive?

Mi affascina la sua costruzione del personaggio, una costruzione fatta scientemente, in modo sistematico. Margaret ha sconfitto una serie di barriere apparentemente insormontabili, arrivando dove voleva arrivare. Al punto che, alla fine della sua vita, nel momento della malattia, diventa lei stessa soggetto dei ritratti che Alfred Eisenstaedt le fa, non temendo di andare contro l’immagine che aveva creato di sé. Era così forte da permettersi di dimostrarsi debole. La sua è stata una lezione di vita e di fotografia importante e spero che la mostra riesca a porre in evidenza questi due aspetti.

Vorrei affrontare un problema un po’ annoso, che riguarda le mostre di fotografia: materiali vintage o ristampati?

Secondo me è un problema che va affrontato a seconda dei casi. Talvolta ha senso fare delle mostre in cui si recuperano i vintage, ma Bourke-White non aveva una grande passione per le foto d’epoca e inoltre già negli Anni Trenta, tra i primi a farlo, realizzava delle gigantografie giocando con i formati e gli ingrandimenti. Lavorando alla preparazione della mostra insieme a Life, abbiamo recuperato una serie di stampe ai sali d’argento, non vintage, realizzate una trentina di anni fa. Mancavano alcune immagini che sono state ristampate in occasione della mostra, per esempio la sezione di fotografie a colori del 1956. Per alcune mostre di fotogiornalismo non sempre è così importante mostrare materiali vintage. In questo caso, ad esempio, avrei mai potuto non esporre il suo ritratto a Gandhi, funzionale per capire la sua modalità operativa, così connaturata alla tradizione di Life?

In che senso?

Bisogna considerare che Life è nata e ha avuto la sua massima espansione in un momento in cui il mezzo di comunicazione più diffuso era la radio. Life svolgeva il compito di colmare con le immagini le informazioni solo sonore. I ritratti “alla Life” dovevano essere come quelli di Margaret: immediati, sintetici, spesso frontali e senza possibili doppie letture. Così i lettori potevano subito ritrovarvi tutti gli elementi identificativi di un particolare personaggio. Se oggi di ogni personaggio abbiamo mille immagini e a un fotografo chiediamo di mostrarci qualcosa di più, per Margaret e i suoi colleghi di Life era diverso.

Oggi possono ancora esistere personaggi come lei?

L’attualità ha bisogno di essere raccontata in modo diverso, perché è cambiato il mondo, in particolare quello dell’informazione. Esiste oggi un equilibrio differente tra fotografia privata e fotografia pubblica, documentazione intima e documentazione storica. Per Margaret era completamente diverso: infatti noi non conosciamo le sue immagini private e sembra che negli ultimi anni della sua vita abbia distrutto tutta la documentazione che non voleva fosse tramandata.

[ha collaborato Celeste Sgrò]

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