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L Adriano Manca con Giacomo Nicolella Maschietti, Valentina Tanni e

L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCA DEGLI NFT

ADRIANO MANCA [ filosofo e content writer ]

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11 marzo 2021. In pieno boom degli NFT, Beeple, al secolo Mike Winkelmann, vende Everydays: The First 5000 Days per 69 milioni di dollari durante un’asta online organizzata da Christie’s. La vendita lo fa balzare al sesto posto della classifica delle opere d’arte più costose di tutti i tempi e al terzo se si escludono le transazioni private.

La notizia fa rapidamente il giro del mondo, portando all’attenzione del grande pubblico gli NFT, acronimo di Non-Fungible Token. Segue un tripudio di articoli sul tema e interviste a collezionisti di arte digitale, che vanno di pari passo con lo scetticismo generalizzato sul valore di un file jpeg o di una gif, esacerbato dalla vendita record per 2,9 milioni di dollari del primo tweet di Jack Dorsey, CEO di Twitter.

COSA SONO, VERAMENTE, GLI NFT?

L’acronimo di NFT, dicevamo, sta per Non-Fungible Token. Ovvero? Partiamo da token: tradotto letteralmente dall’inglese significa ‘gettone’, come quello usato nelle sale giochi di un tempo o per far partire l’autoscontro. Il principio è molto simile. Sia la sala giochi che l’autoscontro sono una micro-economia che, per la sola durata della partita o della corsa, in cambio di un pagamento in moneta corrente fornisce un gettone con cui si può usufruire di un determinato servizio. Ora trasliamo questo esempio al fantomatico mondo delle blockchain e delle criptovalute, poiché comprendere gli NFT senza capire un minimo questo mondo equivale ad accontentarsi di una visione molto limitata del fenomeno.

Ogni blockchain offre dei servizi, che siano transazioni o mettere a disposizione Dopo il clamore per la vendita milionaria di Beeple e dopo aver attraversato una fase di contrazione durante l’estate, le principali piattaforme di vendita di NFT continuano a registrare incassi record. Sono frutto di speculazione o addirittura di riciclaggio di denaro? Intanto, però, artisti che fino a qualche mese fa guadagnavano ben poco dalla vendita delle proprie opere digitali, ora riescono a vivere della propria arte. In questo calderone si è gettato da poco anche un colosso come VISA, che ha comprato il suo primo NFT per qualche milione di dollari. È dunque il caso di fare un po’ di chiarezza, partendo dalle origini, per finire con una riflessione sull’arte digitale, il nostro rapporto con gli oggetti immateriali e la speculazione finanziaria nel mondo dell’arte contemporanea.

una piattaforma per la creazione di dapps (app decentralizzate). Per usufruire di questo servizio occorre pagare con il token nativo della blockchain scelta. Al momento, la più popolare è quella di Ethereum e il token si chiama ETH.

Passiamo al concetto di non-fungible. Riprendiamo l’esempio del gettone per la sala giochi: poniamo di averlo in tasca e di chiedere al nostro vicino di scambiarlo con il suo. La richiesta è insensata, perché i due gettoni hanno lo stesso identico valore, sono cioè fungibili. Ora invece poniamo di avere un biglietto del treno, un sola-andata per Roma. Lo scambiereste con uno per Milano? Non avrebbe senso, visto che la nostra destinazione è Roma, e soprattutto perché ogni biglietto è unico, identificato da una sigla ben precisa. Il biglietto del treno è un non-fungible token.

Creare un NFT sulla blockchain di Ethereum significa registrare su di essa un certificato di proprietà di un oggetto unico.

GLI NFT NELLA PRATICA

Creare un NFT sulla blockchain di Ethereum significa registrare su di essa un certificato di proprietà di un oggetto unico. Questo oggetto può avere un solo proprietario alla volta (per ora, ma anche questo sta cambiando) e, come ogni altra “cosa” sulla blockchain, il certificato è immodificabile. Ciò significa che non si può copiare l’NFT per rivenderlo in modo fraudolento, perlomeno non è semplice farlo.

Una precisazione è d’obbligo, perché quando si parla di NFT circola un malinteso. Quando qualcuno compra un NFT, non sta comprando il file digitale, gif o jpeg che sia; non sta comprando un’opera d’arte digitale. Comprando un NFT si compra un certificato di proprietà che rimanda (linka) a un file digitale, una cui copia è venduta insieme al certificato. A meno che non sia specificato,

comprare un NFT non implica l’acquisto dei diritti commerciali sull’opera digitale. Il certificato, che altro non è che l’NFT stesso, viene registrato (in inglese minted) e venduto con una serie di informazioni, i metadati, riguardanti l’opera digitale a cui rimanda, come l’autore e il tipo di file.

Per ricapitolare: comprando un NFT si entra in possesso di un certificato di proprietà registrato sulla blockchain, legato a una copia (spesso un NFT viene venduto in edizioni, da 25 fino a 100 o più) di un’opera digitale. L’artista spesso invia al compratore una versione in alta qualità del file, o altri extra (e in alcuni casi una copia fisica dell’opera). Citando dal sito di Ethereum: “An NFT is minted from digital objects as a representation of digital or non-digital assets”. Da notare l’uso del termine “rappresentazione”, che conferma, dietro un linguaggio insolitamente concettuale per il mondo ipertecnologico della blockchain, quanto detto finora.

COSA DETERMINA IL VALORE DI UN NFT?

Con questa domanda si varca il confine di ciò che è più “facilmente” spiegabile riguardo agli NFT. Perché? Perché già valutare un’opera d’arte materiale è molto complesso e i fattori che ne determinano il prezzo sono molteplici e non sempre trasparenti. Quando poi cerchiamo di capire cosa determini il prezzo di un’opera digitale associata a un NFT, il compito si fa ancora più complesso.

Come può un file digitale, che può essere salvato da chiunque, essere venduto per cifre milionarie?

Partiamo dalla domanda da un milione di dollari: come può un file digitale, che può essere salvato sul proprio computer da chiunque, essere venduto per cifre milionarie? Inutile girarci attorno: chiunque può salvare sul proprio computer o smartphone Everydays: The First 5000 Days. Certo, parliamo di un file di qualità inferiore rispetto a quello inviato da Beeple a MetaKovan, il collezionista che ha pagato 42,329 ETH per aggiudicarsi l’opera.

Ma concentrarsi sulla disponibilità dell’opera, seppur in bassa qualità, non centra il bersaglio. Chi acquista un NFT non è

preoccupato dalla “copia-incollabilità”

dell’opera digitale che sta ricevendo. Un collezionista di NFT solitamente è piuttosto Tutti li vogliono, tutti li comprano. Tutti li rivendono forsennatamente. Pochi hanno realmente capito di che si tratta. Gli NFT sono esplosi nel 2021 sui mercati mondiali facendo movimentare quantità esorbitanti di denaro. Eppure, non è ancora ben chiaro se questo possa essere realmente considerato il mercato del futuro. Chi compra un NFT che corrisponde a un’opera artistica digitale possiede soltanto il certificato dell’opera. Si potrebbe cominciare da questo punto per analizzare con attenzione tutti i problemi di questa straordinaria tecnologia che ha rivoluzionato il mondo dei collectibles. Già, perché gli NFT in realtà hanno molto poco a che fare con l’arte. Il fenomeno si è diffuso nel 2020 con il collezionismo di figurine sportive. L’NBA ha prodotto immagini virtuali dei suoi giocatori, alcune delle quali sono state acquistate per diverse migliaia di dollari. Per quale motivo? Perché una figurina digitale non si deteriora, non può essere rubata o falsificata. La tecnologia NFT ha insomma reso unico qualcosa che fino a prima non poteva per sua intima natura esserlo: un file (un oggetto creato dagli informatici per essere replicato n volte con facilità). Scrivendo sulla blockchain che quel file è di proprietà di qualcuno, lo si rende raro, appetibile e commerciabile. Ciò non significa che il file in questione diventi privato. Al contrario, può tranquillamente restare online, accessibile a tutti. Può valere per un video registrato su YouTube o per una qualsiasi immagine in formato jpeg. Basterebbe solo questo per porsi la domanda se sia effettivamente uno strumento adatto per l’arte e il suo mercato. Comprare un NFT equivale a

comprare un’autentica, non l’opera.

La notizia sta soprattutto nelle cifre stratosferiche che vengono spese per accaparrarseli, spesso non c’è granché più da dire. Jack Dorsey, patron di Twitter, ha ceduto il suo primo tweet risalente al 2006. L’asta per il relativo NFT ha fatto salire il prezzo a 2,9 milioni di dollari. Il prezzo medio di un NFT a febbraio 2021 era di circa 4mila dollari, è sceso a 1.250 dollari ad aprile (secondo quanto riferito dalla CNN) per poi risalire ancora. Il ban da parte della Cina alle criptovalute ha provocato lo scorso luglio una battuta d’arresto violenta, il rimbalzo si è poi registrato a ottobre, quando il Bitcoin ha toccato i 50mila dollari.

RICICLAGGIO E INQUINAMENTO

Uno degli altri grandi temi legati agli NFT è la provenienza del denaro. Le criptovalute con cui si acquistano i token digitali non sono regolamentate. Acqui-

stando un’opera è possibile ripulire un possibile guadagno illegale senza

lasciare tracce, solo token. E ancora, se la decentralizzazione appare vincente perché slegata dalle regole fiscali e legislative vigenti, allo stesso modo non tutela e non garantisce nessuno. In caso di attacco hacker, è quasi impossibile rivalersi in sede legale. È notizia di pochi mesi fa quella di un artista italiano (che preferisce rimanere anonimo) che ha perso quasi mezzo milione di dollari in cripto a causa di un furto informatico. Il punto principale è che la blockchain Ethereum, che regge il grosso degli NFT mintati a livello globale, non è regolata e tutelata da nessun ente. Non esiste alcuna authority delle blockchain che ne vigili al di sopra. Non manca infine, tra le varie criticità, il tema ambientale. Per la “fabbricazione” degli NFT occorre una gigantesca potenza di calcolo basata su numerose strutture (server farm) sparse nel mondo intero. È il principio su cui si basa anche la creazione di criptovalute, chiamato mining. Un meccanismo estremamente energivoro che comporta, di conseguenza, enormi emissioni di gas a effetto serra. Insomma, se da un lato la tecnologia NFT ha permesso alle opere digitali di essere finalmente riconosciute e nobilitate (l’arte digitale esiste dagli Anni Sessanta, non è una prerogativa del 2021), porta con sé una lunga serie di problemi che dovranno essere affrontati al più presto. Resta difficile credere che si tratti di una bolla, sono stati spesi troppi denari da persone troppo influenti perché tutto collassi. Basti pensare che Christie’s da inizio anno ha totalizzato più di 100 milioni di dollari in vendite di NFT. Certo è altresì che acquistare a cuor leggero beni digitali in criptovaluta sia un’esperienza al momento molto speculativa. Ovviamente pericolosa.

IL MERCATO NEL MONDO E IN ITALIA

Se volessimo identificare una data formale d’inizio del fenomeno NFT globale potremmo indicare il 12 marzo 2021. In quella giornata un’opera dell’artista statunitense Beeple (all’anagrafe Mike Winkelmann, un graphic designer di Charleston, in South Carolina), intitolata Everydays: The First 5000 Days, è stata venduta da Christie’s per 69.346.250 dollari (60,2 al netto del premio). Si trattava di un collage di 5mila immagini (da cui il nome) che l’artista ha realizzato tra il 1° maggio 2007 e il 7 gennaio 2021. Da quel momento gli

scambi sui maggiori portali (Nifty Gateway, SuperRare, OpenSea) sono letteralmente impazziti. Si possono tutti consultare sul sito nonfungible.com,che raccoglie lo storico delle transazioni NFT categoria per categoria. I volumi globali a fine 2021 sono miliardari. Tuttavia, un’indagine più seria fa risalire a due o tre anni fa l’inizio del fenomeno, per lo più generato dallo scambio di collectibles digitali che hanno fatto la storia del web e figurine sportive. Se parliamo di Crypto Art e NFT pos-

siamo affermare, da italiani, di non

aver perso il treno. Cambi è stata la prima casa d’aste in Italia a entrare nel panorama degli NFT in partnership con SuperRare, uno dei più autorevoli marketplace online, peer-to-peer, creato nel 2017 e specializzato in edizioni singole e premium di token non fungibili (NFT) basati sulla blockchain Ethereum. Sono state messe in vendita per un tempo pari a sei mesi 18 opere di artisti tutti italiani. I risultati sono stati incoraggianti, anche se lontani anni luce dalle cifre delle major Christie’s e Sotheby’s. Quello che è parso estremamente intelligente è stato affidare la curatela della vendita a Serena Tabacchi e Bruno Pitzalis, due tra i professionisti più preparati del settore nel nostro Paese. L’asta Dystopian Visions ha di fatto riunito alcuni dei maggiori esponenti del movimento della Crypto Art italiana, proponendo una tematica legata a una visione futura del mondo. Serena Tabacchi è inoltre impegnata nella direzione del museo MoCda, uno spazio virtuale che dal 2018 propone il meglio dell’arte digitale internazionale con filtro curatoriale di alto livello. Da menzionare anche il progetto Moon Landing di Andrea Bonaceto, appena andato sold out su Nifty Gateway. L’artista ha rivisitato la celebre pagina del Corriere della Sera del 1969 con lo sbarco sulla Luna attraverso l’arte programmabile e l’intersezione tra arte visiva, musica e poesia. Un altro italiano che lo scorso marzo ha fatto sold out con un drop sullo stesso portale, DotPigeon, ha recentemente partecipato con alcune opere (sia fisiche che NFT) nello stand della galleria Nagel Draxler ad Art Basel. Si tratta della prima galleria che ha proposto Crypto Art alla prestigiosa fiera di Basilea. Dietro l’allestimento e la curatela c’era Kenny Schachter, artista e editorialista per Artnet News, fondatore del movimento NFTism. Per tornare all’Italia, è di questi giorni la notizia che Artissima e Fondazione CRT, insieme ad Artshell e LCA

Studio Legale, hanno lanciato il progetto Surfing NFT, offrendo a “cinque artisti e alle rispettive gallerie – selezionati da un comitato curatoriale internazionale attraverso una call – la possibilità di produrre un’opera digitale registrata con NFT su blockchain”.

GIACOMO NICOLELLA MASCHIETTI

Sophia the AI robot x Andrea Bonaceto, Sophia Instantiation, 2021 inserito nella comunità della Crypto Art e nel mondo delle criptovalute. Ad esempio, MetaKovan, all’anagrafe Vignesh Sundaresan, è il fondatore di Metapurse, una start-up legata al mondo degli NFT. Ciò che conta in questa comunità è il fatto di possedere un “pezzetto” di blockchain, di entrare nella storia di Ethereum e, per quanto riguarda l’opera, di essere l’unico proprietario del token che rappresenta l’opera digitale in questione – ed è questo che conta, dato che (quasi) tutto ciò che è sulla blockchain è immutabile.

Parallelamente al possesso di un NFT si è poi sviluppato un mondo virtuale per l’esposizione della propria collezione, il metaverso, di cui l’esempio più famoso è Decentraland, un luogo digitale dove si possono acquistare lotti di terreno (virtuali) e costruire gallerie da far visitare agli ammiratori dell’arte digitale.

Ciò che conta è possedere un "pezzetto" di blockchain, entrare nella storia di Ethereum.

UN PACCHETTO DI FIGURINE VIRTUALI?

In questo momento non sono le singole opere digitali a registrare incassi milionari, ma le collezioni generate automaticamente.

Un esempio è quello dei CryptoPunks creati da Larva Labs: sono 10mila personaggi pixelati generati da un algoritmo mixando una serie di proprietà come colore di pelle, capelli, occhi e molte altre. Ogni punk è diverso ma – qui sta l’elemento di scommessa – al momento di comprarne uno i collezionisti non sanno se il loro punk sarà raro o comune. Un po’ come acquistare un pacchetto di figurine sperando di scovarvi dentro quella introvabile. Al momento della vendita ufficiale, per ogni punk viene stabilito un prezzo base, dopodiché si sviluppa un fiorente mercato secondario per gli NFT che per grazia divina (o algoritmica) sono risultati essere i più rari del lotto.

Ribadiamolo: molti collezionisti di NFT non hanno alcun interesse artistico; anzi, molto spesso sono investitori in criptovalute che cercano solamente un altro modo di arricchirsi. Oggi il mercato degli NFT ruota attorno a queste figurine digitali dal valore potenzialmente milionario, grazie a una rarità digitale generata automaticamente da qualche riga di codice.

Nonostante i computer siano entrati nel mondo dell’arte oltre sessant’anni fa, ancora oggi quando si parla di “arte digitale” il discorso finisce sempre per situarsi nel contesto della novità. L’evento è ciclico: non appena una tecnologia cattura l’attenzione dei media, il dibattito parte da zero, rigenerandosi identico a se stesso. Si ragiona di materialità e immaterialità, di unicità e riproducibilità, di manualità e automazione, di vendibilità e non vendibilità come se fossimo nel secolo scorso. Dimenticando decenni di ricerca artistica e teoria dell’arte, oltre che ignorando tutte le forme di mercato che già si applicano da decenni su opere immateriali, mixed media e computer based. L’abbiamo visto succedere con le installazioni interattive negli Anni Ottanta, con la Net Art negli Anni Novanta, in tempi più recenti con l’arte che utilizza algoritmi di intelligenza artificiale, e quest’anno con la blockchain. Quando si tratta di mettere insieme arte e tecnologia, il mondo dell’arte dimostra di soffrire di una strana forma di amnesia culturale che impedisce al dibattito di evolversi e lo condanna all’eterna ripetizione. Dopo decenni di fotografia, arte concettuale, performance e videoarte – solo per citare alcune delle forme d’arte che con la loro stessa esistenza hanno messo in crisi il mercato – ci ritroviamo ancora a discutere sulla supposta “copiabilità” di un file digitale. Come se la proprietà di un’opera non fosse da sempre, in ogni caso, legata a un documento legale, di cui l’NFT rappresenta un’evoluzione, con pregi e difetti. Nel caso dei Non-Fungible Token, uno strumento che fino a pochi anni fa era conosciuto e utilizzato solo da un ristretto gruppo di crypto-entusiasti, intenti a scambiarsi online l’equivalente digitale di figurine rare, l’entrata trionfale nel mondo dell’arte è stata siglata da un numero. Questo numero, ripetuto come un mantra in ogni articolo sulla cosiddetta “crypto-arte” – definizione improvvisata che non identifica uno stile né un movimento – è 69 milioni. Ossia la cifra shock che un collezionista ha pagato a Christie’s per un NFT di Beeple, artista sconosciuto al sistema ma seguito da milioni di persone sui social. La notizia fa il giro del mondo, uscendo su tutti gli organi di stampa, dai quotidiani più blasonati ai blog con pochi lettori. Da quel momento, l’espressione “arte digitale” torna di moda e viene inserita in frasi stereotipate sul supposto futuro dell’arte nei “mondi virtuali” (sic), in mezzo a considerazioni di seconda mano sul tema della riproducibilità, dell’aura e dell’autorialità (con buona pace di Walter Benjamin e Michel Foucault), e a discutibili affermazioni sulla garanzia assoluta che la blockchain offrirebbe ai collezionisti. Per la prima volta nella storia dell’arte, il dibattito è trainato solo ed esclusivamente da considerazioni economiche e legali, con articoli che non fanno altro che mettere in fila numeri, record di vendita e tecnicismi sul funzionamento degli smart contract, accanto alle segnalazioni di un numero sempre crescente di truffe. In mezzo a tutta questa confusione, però, tra memoria corta, malafede e speculazione, c’è un aspetto che emerge prepotente. Se smettiamo per un attimo di guardare solo in superficie, sforzandoci di superare la spessissima coltre dell’hype, vediamo brulicare tante comunità di artisti che sono alla ricerca di moda-

lità di riconoscimento e sostentamento al di fuori del sistema

tradizionale. Una nuova generazione di autrici e autori che non si fida del mercato così come l’ha conosciuto (a ragione, viene da dire), e che non si ritrova nei valori che le “vecchie” istituzioni esprimono. Questo legittimo desiderio di autonomia e di disintermediazione; questa prepotente necessità di un’alternativa, mi pare l’unica domanda importante che il mondo crypto pone oggi alla comunità dell’arte. Ed è una domanda che non possiamo e non dobbiamo ignorare.

12 DATE DA RICORDARE

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2015

Michael A. Noll, pioniere della computer art e della computer grafica, ottiene dalla Library of Congress il copyright per Gaussian Quadratic. È la prima volta che avviene per un’immagine realizzata con il computer.

Al Jewish Museum di New York apre Software – Information Technology: Its New Meaning for Art, una mostra a cura di Jack Burnham che tematizza la processualità del software e l’importanza dei sistemi informatici per la società del futuro, nonché per l’arte contemporanea.

Al Centre Georges Pompidou di Parigi apre Les Immatériaux, mostra curata da Jean-François Lyotard e Thierry Chaput sul tema del rapporto tra materiale e immateriale, anche in relazione all’emergere dei nuovi sistemi di telecomunicazione.

A Karlsruhe, in Germania, viene fondato lo ZKM | Center for Art and Media, uno dei primi musei al mondo interamente dedicati all’arte multimediale e interattiva, oltre che ai rapporti tra arte e scienza.

La galleria Postmasters di New York, in occasione della mostra Can you digit?, vende opere di artisti digitali su floppy disk.

Steve Sacks fonda a New York la Bitforms Gallery, una galleria privata che vende solo opere digitali, software based, net art e new media art.

Il museo Guggenheim di New York acquisisce net.flag di Mark Napier e Unfolding Object di John Simon. Sono le prime opere di Net Art comprate da un museo.

L’artista Rafaël Rozendaal mette a punto un contratto standard per la vendita di siti web d’artista. Il contratto è tuttora in uso in numerose gallerie.

L’artista Carlo Zanni lancia il progetto P€OPLE ¥rom MAR$, un servizio su invito che permette di acquistare opere video, new media art, sound art e software based art in edizioni limitate e illimitate.

La casa d’aste Phillips organizza Paddles ON!, un’asta di successo in collaborazione con Tumblr interamente dedicata ad artisti che usano le tecnologie digitali.

Viene fondata la Transfer Gallery a Brooklyn. La galleria vende quasi esclusivamente file digitali, tra cui software, videogiochi e gif animate, mettendo a punto specifici contratti.

Harm van den Dorpel e Paloma Rodríguez Carrington fondano la left gallery, che vende online file digitali in vari formati usando sia carte di credito che valuta crypto.

Franco Losi e Eike Schmidt con al centro il Tondo Doni di Michelangelo

Per una volta il futuro arriva dall’Italia, e non dalla Silicon Valley. Si chiama Cinello la start up italiana che ha inventato i DAW® (Digital Artwork), versioni digitali dei più grandi capolavori della storia dell’arte in edizioni esclusive e non copiabili. Mentre tutto il mondo si sta ancora stropicciando gli occhi per la diffusione degli NFT, Cinello era già all’opera da diversi anni nella digitalizzazione consapevole del patrimonio artistico italiano. Il brevetto dell’azienda depositato in tutto il mondo consente, infatti, di digitalizzare i masterpiece in concerto con il museo detentore dell’originale, tutelando l’opera come mai fatto prima. Con i DAW® (Digital Artwork) è possibile allestire mostre in tutto il mondo a impatto zero, e creare inoltre un nuovo ecosistema di collezionismo che possa produrre profitto per i musei detentori degli originali. Ogni DAW® è creato con il consenso del museo proprietario che ospita l‘opera d’arte ed è accompagnato da un certificato di autenticità firmato da Cinello e dal museo stesso. Tutti i ricavi sono equamente condivisi con i musei partner per garantire un nuovo flusso di entrate, senza introdurre alcun vincolo alla proprietà o ai diritti attuali. Ecco allora che proprio mentre si sta sviluppando la moda e il commercio degli NFT, legati a doppio filo con l’universo speculato delle criptovalute e con quello della blockchain Ethereum che ne ospita l’esistenza (e che ne condiziona i valori con le oscillazioni della moneta deregolamentata), l’invenzione dei DAW® indica la strada per un uso consapevole del digitale. È di alcuni mesi fa la notizia della vendita che ha fatto il giro del mondo del DAW® del Tondo Doni di Michelangelo, il cui originale è custodito alle Gallerie degli Uffizi, che hanno incassato 70mila euro grazie alla vendita a un collezionista privato. Il direttore del museo, Eike Schmidt, ha dichiarato: “Abbiamo letto tante scemenze in questi mesi in merito agli NFT, che l’arte finisce perché tutto si riduce ad algoritmo e altro… Fondamentalmente l’NFT è un’estensione, un certificato che rende un file collezionabile. Faccio dunque i miei complimenti a Franco Losi di Cinello che ha intuito fin dall’inizio come sia fondamentale fare qualcosa in più, che sia ibrido tra il materico e l’immateriale. Perché il DAW® è qualcosa che esiste sia in forma algoritmica che fisica, come immagine su uno schermo ma anche fornito della cornice tradizionale. E anche il certificato è doppio: c’è sia l’NFT che indica la proprietà su blockchain, sia la firma su carta dell’amministratore delegato di Cinello insieme alla mia di direttore. Come diceva Einstein della luce, che è sia materiale che immateriale, così il DAW® vanta questa doppia natura”.

Se parliamo di valore di un NFT è però impossibile non menzionare il riciclaggio di denaro. Convertire i profitti fatti con una criptovaluta in valuta fiat (euro, ad esempio) è un evento tassabile, e parecchio. D’altra parte, il mercato delle criptovalute è ancora de-regolamentato e, nonostante la blockchain sia nata per garantire una tracciabilità totale delle transazioni, a oggi è più che possibile che molti riciclino denaro convertendolo in criptovalute o, meglio ancora, in un bene intangibile come un NFT.

IL TRAMONTO DELLO SCIOVINISMO MATERIALE?

Perché spendere milioni per qualcosa di intangibile? Un Picasso lo puoi mettere in cassaforte, può essere esposto in una mostra, i suoi colori sono veri, è materia. Ma basta questo a giustificare il prezzo di un Picasso rispetto a quello dell’opera di Beeple? Ovviamente no: dietro la valutazione di un’opera, soprattutto oggi, ci sono tantissimi fattori. Eppure, difficilmente una casa d’aste motiverebbe il prezzo di una tela basandosi sulla qualità dei colori (non in senso estetico) o della tela stessa intesa come superficie. Perfino la tela su cui è dipinta Guernica non vale più di tanto. Se qualcuno cancellasse a colpi

Lo sciovinismo materiale consiste nel credere che ciò che è tangibile abbia maggior valore dell’intangibile, del digitale.

di acquaragia l’opera di Picasso, rimarrebbe solo un vecchio tessuto. Forse qualcuno la comprerebbe ancora per la sua provenienza, perché è appartenuta a Picasso o perché un tempo era la tela su cui era dipinta Guernica. E tuttavia, quando scopriamo che un jpeg o una gif sono stati venduti per migliaia di dollari il primo pensiero è: “Assurdo pagare così tanto per una cosa digitale”. Il retropensiero è qualcosa che potremmo chiamare sciovinismo materiale, cioè l’idea, radicata in tutti noi, che ciò che è reale è materiale e, quindi, che ciò che è tangibile abbia maggior valore dell’intangibile, del digitale. Certo, come esseri umani diamo immenso valore a cose immateriali come le storie, i brani musicali, le idee. Ma quando si tratta di dare una valutazione economica sorge un problema: pagheremmo milioni di dollari per un libro? Forse, se fosse un’edizione firmata, antica e legata a uno dei nostri scrittori preferiti. E rieccoci davanti allo stesso problema: trecento pagine di carta qualsiasi valgono milioni di dollari? La vera differenza sta nella materialità tanto del libro che del quadro. Perfino il modo in cui ci riferiamo a essi ce lo fa capire: usiamo una metonimia, diciamo il libro o il quadro per indicare in realtà l’opera che è stampata o raffigurata su di

essi. Qui entra in gioco quello che abbiamo definito “sciovinismo materiale”, il nostro radicato attaccamento ai supporti materiali, persino per le opere d’arte.

Nel caso degli NFT crediamo che non ci sia alcun supporto, che l’opera d’arte sia completamente smaterializzata, persa in un etere, come tutti gli oggetti digitali con cui, nonostante tutto, interagiamo quotidianamente, ma ai quali non riconosciamo una patente di realtà come invece facciamo per tavoli, tele o libri. Ma la verità è che gli ogget-

ti digitali sono “fantasmi” solo in superfi-

cie – essi hanno un supporto, solo che è remoto. Sono le schiere in costante aumento di server, stipati in magazzini ventilati ventiquattr’ore su ventiquattro per tenere in piedi Internet. Distrutto il server, distrutto l’NFT (ma è stata trovata una soluzione anche a questa eventualità, rendendo gli NFT dei “quasi fantasmi”).

I server sono lontani ed è banale dirlo, ma non possiamo toccare un’opera digitale e questa limitazione sensoriale ci insospettisce, ci rende scettici sull’effettivo valore dell’oggetto. Certo, c’è poi un discorso commerciale da considerare. Per replicare un

oggetto digitale dobbiamo semplicemente

fare un clic destro mentre per replicare un libro dobbiamo stampare un’altra copia, ma ciò non basta a spiegare la differente percezione che abbiamo degli oggetti digitali rispetto a quelli materiali.

UNA QUESTIONE DI ESCLUSIVITÀ

La seconda causa “portante” della sfiducia nei confronti degli NFT è l’esclusività. Un collezionista compra un’opera materiale a un prezzo esorbitante perché sarà l’unico proprietario di quest’opera. Potrà metterla in un caveau o esporla nel proprio salotto. Potrà ammirarla nel cuore della notte, farne ciò che vuole, perché sarà l’unico a essere in possesso materiale dell’opera. Chiaro, anche un’opera digitale correlata a un NFT può essere esposta con una cornice apposita. Ma continua a venir meno il principio di esclusività del collezionismo d’arte materiale. Infatti, se anche comprassimo un NFT in edizione singola, chiunque potrebbe salvare sul proprio desktop lo stesso jpeg che noi stiamo pagando milioni.

La risposta dei sostenitori degli NFT è: anche se avessi la copia, il vero e unico proprietario sarebbe il collezionista che ha comprato l’opera digitale, perché fa fede la blockchain. Ma qui sta la seconda componente di quello che abbiamo chiamato sciovinismo materiale. Se anche mettessimo da parte il nostro scetticismo riguardo agli oggetti digitali, non saremmo comunque disposti a rinunciare all’esclusività che ci garantisce l’acquisto di un’opera materiale. Essere l’unico proprietario di un’opera dà al collezionista un potere, uno status e una capacità di godimento di quest’ultima che gli NFT a oggi non possono pareggiare. Forse in futuro si venderà un’opera digitale associata

BLOCKCHAIN

NFT

Registro digitale le cui voci sono raggruppate in “blocchi”, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso della cri ografia.

Una risorsa digitale basata su blockchain con scarsità e unicità verificabili, e che per questo assume un valore economico o qualitativo.

WALLET

Portafoglio digitale di criptovalute per pagare con lo smartphone in qualsiasi momento, la cui integrità è garantita dall’uso della cri ografia. Pia aforma decentralizzata del Web 3.0 per la creazione e pubblicazione peer-to-peer di contra i intelligenti basata su blockchain che a ualmente alimenta la maggior parte del mercato NFT.

MINT

Coniare un NFT iscrivendolo sulla blockchain di Ethereum, un registro pubblico immutabile a prova di manomissione.

Sempre più persone spendono una mole significativa del proprio tempo interagendo con oggetti digitali.

a un NFT in modo tale che nessuno possa copiarla. Allora chi compra sarà l’unico proprietario di un’immagine digitale e potrà decidere ad esempio di permetterne l’esposizione in un museo, o in una galleria privata, o semplicemente ammirarla privatamente e godersi l’esclusività totale dell’opera.

WORLD OF WARCRAFT E DINTORNI

Abbiamo parlato degli apocalittici, ma che dire degli integrati? Da tempo c’è chi gioca online, una volta a World of Warcraft e oggi a Fortnite, creando un avatar e dotandolo di accessori ottenuti faticosamente dopo ore e ore di gioco. Per chi passa la maggior parte del proprio tempo su una piattaforma online, immerso nella digitalità, un accessorio raro per il proprio avatar ha molto più valore di una sua controparte materiale, di una camicia da indossare a una festa di compleanno, per fare un esempio banale.

Sempre più persone spendono una mole significativa del proprio tempo interagendo con oggetti digitali e questo porterà sicuramente a un cambio di paradigma nella nostra percezione del valore e dell’importanza degli oggetti digitali. Un certificato di

autenticità digitale forse sarà più impor-

tante di uno cartaceo che attesta la medesima cosa. E in questo forse sta la contraddittorietà degli NFT: essi ci mettono di fronte a questo attaccamento ancestrale alla materialità e al suo possibile superamento.

Acquisire gli oggetti non serve solo a far progredire il personaggio del gioco: il tempo che impiego per sconfiggere un nemico e conquistare l’arma leggendaria è un lavoro che mi dà qualcosa che posso rivendere.

È il concetto di play-to-earn, giocare

per guadagnare. Ma già altre piattaforme permettono il commercio di asset dei giochi, come i loro modelli 3D.

Tabacchi: Nella comunità blockchain la proprietà crea uno status. Per esempio, quando VISA ha acquistato un CryptoPunks lo ha messo come avatar del profilo di Twitter. Hackatao: C’è anche un riconoscimento per il creatore. Se io artista creo un asset per il gioco e viene venduto, acquisisco delle royalties.

Hackatao, Queeny – Hack the Tao, 2021. Courtesy gli artisti & The Sandbox

Hackatao, duo composto da Sergio Scalet (Transacqua, 1973) e Nadia Squarci (Udine, 1977), partecipa al mondo della Crypto Art e degli NFT dal 2018, ben prima del recente boom di questa tecnologia. È stato di recente annunciato il suo videogioco Hack the Tao, collaborazione con la piattaforma The Sandbox di Animoca Brands, un metaverso regolamentato proprio tramite NFT, cioè tramite registrazione della proprietà di ogni cosa che esiste nel suo mondo virtuale (i suoi lotti di terra, la sua valuta, i suoi oggetti) su uno di quei registri digitali condivisi detti blockchain. Per saperne di più, ne abbiamo parlato su Google Meet con SergioScalet e SerenaTabacchi, head of publishing per Sandbox in Italia.

Intanto, cos’èSandbox?

Serena Tabacchi: The Sandbox dà ad artisti e creativi la possibilità di creare esperienze di gioco, oggetti e panorami multimediali in questo metaverso realizzato in voxel, a cubetti come Minecraft, senza necessità di usare codice. Lo fa usando due sistemi: il VoxEdit, che permette di creare oggetti virtuali che diventano poi NFT, e il Game Maker, che permette di creare gli spazi che poi raccolgono questi oggetti. Gli oggetti possono essere messi sul marketplace e venduti nel mercato primario e secondario poi su OpenSea.

Quindi ora posso acquistare come NFT, all’interno di The Sandbox, delle opere di Hackatao?

Hackatao: Sì. Sono collezionabili ma anche giocabili. Diventano dei tool creativi: potete acquistare degli oggetti digitali creati da artisti e usarli per creare un gioco personale. Il nostro interesse per Sandbox è nato dalla nostra passione per i videogiochi: volevamo far vivere la nostra arte all’interno di un videogioco e coinvolgere la nostra comunità.

Però ci sono molte piattaforme che permettono di fare cose simili. Penso che il vostro interesse specifico versoSandbox sia dovuto all’implementazione degli NFT.

Hackatao: Sin da subito è diventato chiaro che questa tecnologia avrebbe cambiato anche il mondo dei videogiochi, oltre a quello dell’arte, perché permette di creare un’economia reale.

Anche questa è una cosa che esiste già: agli artisti può essere riconosciuta una percentuale sulla vendita delle opere da loro realizzate per un videogioco.

Hackatao: Non avremmo accettato una collaborazione con un gioco costruito con un sistema tradizionale di royalties. Con la blockchain c’è un sistema automatico, non devo fidarmi di chi fa i calcoli, non devo fare i controlli. La blockchain risolve il problema della fiducia e non hai bisogno di strutture centralizzate.

La blockchain ha dato all’arte digitale quello che le mancava, cioè un’economia e un mercato?

Hackatao: L’arte digitale prima doveva piegarsi alle regole dell’arte tradizionale. Ora il mercato è più veloce, più liquido, più in linea con i nostri parametri. Poi hai questa comunità bellissima, globale, con cui interagisci, crei insieme e costruisci.

Quindi anche se le edizioni esistevano già nell’arte digitale, ma il problema è che non ci si fidava della certificazione di autenticità di quelle edizioni?

Tabacchi: Sì, perché un tempo dovevi magari fidarti di un pezzo di carta. Ora hai un certificato immutabile su blockchain.

Ci vuole ancora una certa fiducia però, perché sono un mercato e un concetto di proprietà ancora scarsamente regolamentati.

Hackatao: Noi che viviamo questo mondo dall’interno ci troviamo spaesati quando ci confrontiamo con un mondo reale che vuole farti rientrare in certe dinamiche burocratiche che la tecnologia ha già risolto. A un certo punto la blockchain inizierà a dar fastidio: agli Stati, a un certo tipo di economia… Perché è una tecnologia sovranazionale che ci fa vivere in un mondo senza confini. Mentre poi abbiamo bisogno di un pass per valicare una frontiera o andare in un ristorante. Chi è entrato in questo mondo abbraccia un po’ anche il motivo per cui è nato pure il Bitcoin: se ci fosse andata bene l’economia tradizionale non saremmo qua.

MATTEO LUPETTI

hackatao.com | sandbox.game

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