ARTEMISIA EXTRA 2011/2012 - le ricerche del Centro Studi Italus

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ARTEMISIA EXTRA - Anno I - 2011-2012

A R T EX

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Anno I 2011-2012 Artemisia EXTRA

IN QUESTO NUMERO... Siamo giunti ad un anno dalla fondazione dell’Associazione Italus e dalla pubblicazione del bimestrale on-line “Artemisia”, oltre che dall’inizo delle attività degli organi di Italus quali il Centro Studi e, in un secondo momento, di Italus Edizioni. Per ricordare il primo anniversario ecco “Artemisia Extra”! “Artemisia Extra” è una raccolta annuale delle ricerche svolte dall’Associazione Italus tramite il suo Centro Studi. Le ricerche sono, state svolte da settembre 2011 a settembre 2012 e sono state tutte pubblicate sul bimestrale dell’Associazione Italus “Artemisia”. Alcuni articoli/ricerche del Centro Studi, sono stati ripubblicati anche su riviste, quali Fenix e Airone; da essi sono stati tratti articoli apparsi su quotidiani, come il Giornale dell’Umbria o Il Messaggero, oltre che su diversi siti internet. L’obiettivo principale delle ricerche del Centro Studi è quello di attirare l’attenzione e stimolare la curiosità del lettore, sperando che esso vada poi ad approfondire ulteriormente gli argomenti trattati dal Centro, perchè solo la conoscenza rende liberi. Iniziamo questo numero speciale con la sezione “Attualità”, riguardante approfondimenti su tematiche di attualità quali la crisi economica o il cambiamento climatico. Proseguiamo poi con le due sezioni “Storia e Archeologia” e “Mitologia e Folklore”, composte da ricerche e approfondimenti su siti archeologici, avvenimenti storici, miti e tradizioni popolari; segue poi la sezione “Religioni e Ricorrenze”, un’occasione per conoscere le varie religioni e le relative festività; infine, concludono il numero le rubriche “Uomini e Testimoniante” e “Underground”, la prima tratta brevi autobiografie di personaggi che hanno lasciato un segno nell’umanità, la seconda è un contenitore fatto di reportage e ricerche riguardanti vari argomenti e pratiche, quali la cristalloterapia o la legge d’attrazione, finalizzato cioè a far chiarezza su tematiche a volte poco chiare o controverse. Che dire, un’altra nostra sfida, sperando che abbia lo stesso successo delle altre iniziative dell’Associazione Italus. Vi auguro una buona lettura! Tommaso Dore Direttore di Artemisia


SOMMARIO COS’E’ ITALUS ----------------pag. 3 ATTUALITA’ -------------------pag. 12 Come fare la raccolta differenziata --------------------------------------pag.12 È l’uomo la causa del cambiamento climatico? -------------------------pag.14 La crisi economica del 2008 --pag.15 L’isola di plastica ---------------pag.17 La soia e il suo lato oscuro ----pag.18 STORIA E ARCHEOLOGIA -----pag.22 Il Paradiso sul mare di Anzio: casino’ o tempio massonico? --------------pag.22 La shoah -----------------------pag.24 La persecuzione pagana ------pag.28 I giochi olimpici ---------------pag.32 Riscoperta sui Monti Martani la dimenticata “stonehenge” dell’Umbria? -----------------------------------------pag.34 Se la prima Europa fu celtica, la prima Italia fu umbra? gli umbri erano celti? ------------------------------------pag.36 Sulle tracce di Priapo… --------pag.40 Umbria pagana, la montagna sacra di Torre Maggiore -------------------pag.42

RELIGIONI E RICORRENZE --pag.58 Il Neopaganesimo -------------pag.58 Il Natale ------------------------pag.61 L’Epifania -----------------------pag.62 La Quaresima ------------------pag.64 La Pasqua ----------------------pag.65 Feste e Rituali Primaverili -----pag.66 Ramadan -----------------------pag.68 UOMINI & TESTIMONIANZE -pag.69 Anna Göldi ---------------------pag.69 Charles Godfrey Leland -------pag.70 Gerald Brosseau Gardner -----pag.72 Gesù di Nazaret ---------------pag.73 Ipazia --------------------------pag.75 Maometto ----------------------pag.78 Mohandas Karamchand Gandhi ------------------------------------------pag.81 UNDERGROUND ---------------pag.82 La Cristalloterapia -------------pag.82 La Legge d’Attrazione: il Pensiero Positivo -----------------------------pag.83 PUBBLICAZIONI DEL CENTRO STUDI ------------------------------------pag.84

MITOLOGIA & FOLKLORE -----pag.46 Halloween ----------------------pag.46 La Strega ----------------------pag.47 L’Albero di Natale --------------pag.48 La Befana ----------------------pag.49 Il Carnevale --------------------pag.50 Le Uova di Pasqua e l’Uovo Cosmico -------------------------------------pag.53 La Dea Madre ------------------pag.55 La notte di San Giovanni ------pag.56 Ferragosto ---------------------pag.57 Artemisia è una rivista interattiva e ci tiene ad esserlo, noi non pontifichiamo ma comunichiamo, per cui ognuno di voi si senta libero di scriverci. Saremo lieti, per quanto possibile, di esaudire le vostre richieste e pubblicare i vostri lavori.


COS’E’ ITALUS?

COS’E’ L’ASSOCIAZIONE ITALUS ? ITALUS è un’Associazione Culturale Neopagana, a carattere nazionale, senza scopo di lucro, apolitica, fondata sul volontariato, che opera nel campo della spiritualità, della cultura, dell’ambiente e della solidarietà e che, tramite attività rivolte ai soci e alla collettività, intende favorire la crescita culturale, etica e spirituale degli individui. ITALUS è stata istituita e regolarmente registrata a Roma come associazione il 21 giugno 2011. E’ stata promossa da alcuni membri del gruppo spiritule il Quadrifoglio, costituito fin dal 2008 e aderente al movimento Neopagano della Wica Italica (www.wicaitalica.blogspot.com ). ITALUS s’ispira all’etica spirituale della Wica Italica ma è indipendente da essa, come è indipendente dal gruppo spirituale del Quadrifoglio. Italus è aperta a tutti i movimenti spirituali neopagani senza eccezione alcuna (www. neopaganesimo.blogspot.com ). ITALUS s’ispira a ciò che succede oltre le Alpi, e cioè alla cooperazione delle associazioni e movimenti neopagani, quindi se affini ai propri obbiettivi si è aperti e disponibili a collaborazioni con altre organizzazioni, associazioni o enti. Si tiene a specificare che ITALUS non si pone assolutamente in rivalità o in concorrenza con organizzazioni similari. ITALUS persegue i seguenti scopi: • diffondere valori etici universali di fratellanza e solidarietà fra i popoli; • sintetizzare armonicamente i diversi aspetti delle culture del mondo; • diffondere l’idea di uno sviluppo sociale, economico e tecnologico in armonia con la natura; • perseguire una visione egualitaria della società, anche supportando e proponendo progetti d’interesse sociale a sostegno dei meno privilegiati; • difendere e sostenere gli animali e gli esseri umani; • contribuire alla tutela della natura e del patrimonio artistico-culturale; • contribuire ad una “elevazione delle coscienze” partendo da un approccio privilegiato con la natura, considerata come luogo ideale della dimensione umana; • ricercare la crescita interiore e spirituale mediante il ricorso alla meditazione e

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L’Associazione si fonda dunque su un messaggio che non reca nuovi principi rispetto ai grandi insegnamenti del passato, ma tenta nuovi metodi di diffusione e un linguaggio chiaro e diretto, che possa agevolmente raggiungere la comprensione di chiunque voglia affrontare le problematiche relative alla crescita interiore. Gli associati hanno l’opportunità di recare un proprio contributo per quanto riguarda il sociale e l’ambiente e di confrontarsi su tematiche d’interesse spirituale, in un’ottica di miglioramento personale anche sul piano umano.

COS’E’ ITALUS ?

ad altre pratiche; • studiare le scienze naturali come supporto alla medicina occidentale; • studiare, praticare e tutelare la spiritualità comune Wicca e in generale neopagana, anche collaborando allo sviluppo di nuovi gruppi; • ripristinare l’originaria destinazione d’uso di antichi luoghi o edifici di culto pagano, preservandone l’integrità e valorizzandone l’importanza storico-artistica; • studiare e ricercare quelle pratiche, tradizioni e culti esoterici, pagani e sciamanici propri del territorio italiano (e in generale europeo) anche con apposite pubblicazioni; • ricercare la “purezza” della pratica e della spiritualità togliendo il velo del consumismo e della mercificazione.

ITALUS nasce anche con lo scopo di riportare alla luce l’antico credo pagano e reinterpretarlo attraverso la lente della realtà odierna, ma non è da considerarsi un’organizzazione prettamente religiosa: ciascun membro è libero di perseguire il proprio personale impegno religioso dal momento che, per l’associazione, scopo primario non è l’affermazione del Neopaganesimo in quanto culto “migliore”, ma la diffusione degli ideali e dei principi etici di solidarietà e fratellanza che essa professa. L’Associazione Italus non effettua in alcun modo opera di proselitismo, intesa a mostrare la Wica Italica, la Wicca o altri movimenti Neopagani come vere e uniche vie spirituali ma come alcuni dei tanti e validi percorsi, promuovendo lo scambio e il dialogo tra i diversi culti, religioni o spiritualità. L’Associazione non rifiuta la scienza e non rinnega la civiltà, ma crede che la scienza stessa debba offrire delle nuove risposte e insegnarci il rispetto per la complessità del mondo che ci circonda. I membri di ITALUS dovrebbero adottare la concezione di uno scambio aperto e costruttivo con il prossimo, consci che ogni essere vivente ha un proprio percorso e una propria saggezza che consideriamo sacro condividere con gli altri, e scegliere di agire “in armonia” verso l’Universo che ci circonda. I principali mezzi d’azione dell’Associazione consistono nell’organizzazione di eventi quali: incontri, seminari, conferenze, visite guidate; attività di meditazione (tramite danza, musica, canto, ecc.); attività artistiche (pittura, scultura, fotografia,

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COS’E’ ITALUS ?

ecc.); pubblicazioni di libri (in proprio attraverso Italus Edizioni www.italusedizioni. blogspot.com). Le attività sono rivolte agli associati e ai non iscritti. L’impegno nel sociale dell’Associazione si esprime anche attraverso azioni di sostegno e collaborazioni con associazioni animaliste, ambientaliste e umanitarie, con enti preposti alla tutela e alla divulgazione del patrimonio artistico e culturale. Ci si prefigge infatti di diffondere una nuova sensibilità nel pensare e nell’agire, nel rispetto totale del mondo in cui viviamo e di tutti gli esseri viventi che lo popolano. L’Associazione fornisce gratuitamente ai suoi associati (e non solo) ARTEMISIA, una rivista on-line, organo d’informazione e comunicazione dell’associazione, alla quale gli stessi potranno fornire i propri contributi. Al suo interno, l’Associazione ha attivo il CENTRO STUDI ITALUS (C.S.I.) che riunisce tutte le persone (professionisti e appassionati) interessate ad approfondire tematiche riconducibili agli scopi perseguiti dall’Associazione. L’Associazione fornisce un servizio di editoria tramite ITALUS EDIZIONI (www.italusedizioni.blogspot.it ), un modo vantaggioso dove chiunque, anche il non iscritto, può vedere stampata l propria opera. In futuro speriamo di poter attivare il G.V.A.I. (Gruppo di Volontariato dell’Associazione Italus), un gruppo di volontariato, da attivare in momenti di emergenza ambientale o umanitaria. E’ nostro ardente desiderio che gli intenti dell’Associazione Italus e i suoi risultati non restino parole, ma siano le basi per imparare nel concreto a migliorarci e vivere in armonia con noi stessi, gli altri e tutto ciò che ci circonda. Tenteremo di dimostrare che anche con piccoli gesti si può migliorare il mondo. L’Associazione Italus è alla ricerca di persone o gruppi come referenti, responsabili, seri, maturi, che abbiano voglia di creare, per poter estendere le proprie iniziative anche in altre regioni d’Italia. L’ISCRIZIONE all’Associazione richiede una quota di € 20,00 per i Soci Fondatori e Sostenitori, mentre per i Soci Ordinari la quota è di € 10,00. L’iscrizione va rinnovata annualmente e garantisce dei pass gratuiti in occasione di eventi organizzati dall’Associazione. Le donazioni o iscrizioni all’associazione e i suoi organi possono essere effettuati tramite PayPall (italus@live.it)

PER MAGGIORI INFORMAZIONI VISITARE IL SITO INTERNET: www.italus.info OPPURE SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: italus@live.it Ricordiamo che Italus è presente sul social network Facebook.

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COS’E’ IL CENTRO STUDI ? Il Centro Studi dell’Associazione Italus riunisce tutte le persone interessate, professionisti e semplici appassionati, che hanno un serio interesse per: • lo studio dei diversi aspetti delle culture del mondo; • la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale italiano (paesaggio e beni culturali); • lo studio, la pratica e la tutela della spiritualità comune wicca e in generale neopagana; • lo studio delle scienze naturali come supporto alla medicina occidentale; • uno sviluppo sociale, economico e tecnologico in armonia con la natura; • l’organizzazione di progetti d’interesse sociale. Il Centro Studi persegue i seguenti obiettivi: • pubblicare i risultati delle ricerche promosse dall’Associazione Italus sulla rivista on-line di “Artemisia” o realizzando eventuali monografie a stampa; • promuovere e partecipare a incontri, seminari, conferenze e convegni relativi agli scopi dell’Associazione; • collaborare con enti pubblici e privati che perseguano scopi analoghi a quelli dell’Associazione. Il Centro Studi Italus non è a scopo di lucro e le risorse per lo svolgimento delle proprie attività sono costituite dalle quote dei soci e da eventuali contributi di privati o enti pubblici. Il Centro Studi vuole essere un luogo dove poter evolversi culturalmente, riportando l’uomo a confrontarsi realmente con l’altro, facendone tesoro per evolversi anche umanamente. Può collaborare con il Centro Studi Italus chiunque condivida i principi e gli scopi dell’Associazione Italus. Il Centro Studi Italus è regolamentato dallo Statuto dell’Associazione. PER MAGGIORI INFORMAZIONI VISITARE IL BLOG: www.italuscentrostudi.blogspot.com OPPURE SCRIVERE ALLA SEGUENTE E-MAIL: italuscentrostudi@hotmail.it Ricordiamo che il Centro Studi è presente anche sul social network Facebook.

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COS’E’ ITALUS ?

COS’E’ ARTEMISIA ? Artemisia è una rivista strettamente legata alla vita dell’Associazione Italus è una pubblicazione on-line e dunque non cartacea. La scelta di creare una pubblicazione nasce dall’approccio dinamico che abbiamo adottato nei confronti del mondo e della realtà Wicca e Neopagana in un’ottica in cui l’Associazione, pur avendo dei punti fermi ed inviolabili di partenza, si pone in dialogo con sé stessa e con ogni eventuale soggetto interessato ad apportare il suo contributo e partecipare ad una crescita comune; molteplici sono i percorsi che è possibile affrontare nel corso della propria esistenza e in seno ad un movimento ricco e poliedrico quale è la Wicca si impara ad “osservare” fino a giungere, come nella Wica Italica, ad “una personale e positiva celebrazione della vita”. E’ stato adottato il nome di “Artemisia”, che era la pianta sacra ad Artemide conosciuta anche come Diana, ispirandoci proprio a Diana, Dea sempre giovane, l’unica che decise di regnare sulla terra e non nell’Olimpo, libera e indipendente. Così noi vogliamo che la rivista sia un mix di notizie sia di carattere sociale che culturale, sia scientifico che d’informazione riguardante il panorama neopagano e non solo, libera e indipendente al passo con i tempi. Artemisia, come organo di espressione dell’Associazione, si propone quindi come novità assoluta tra le pubblicazioni di associazioni del panorama neopagano. Come il pensatore, lo scienziato, ricerchiamo per quanto è possibile la verità, la purezza, e cerchiamo di farla conoscere. Cerchiamo dunque di presentare un’opera che aspiri, per quanto umilmente, a toccare le sfere del sociale, della comunicazione, dell’informazione, dando giustificazione di sé in ogni sua riga. La stessa spiritualità può essere definita come un tentativo di mettere in luce la verità, multiforme eppure una, che nasconde ogni suo aspetto. Il nostro tentativo è di scoprire nelle sue forme, nei suoi colori, nella sua luce, nelle sue ombre, negli aspetti della materia e nelle vicende della vita, ciò che è fondamentale, ciò che è durevole ed essenziale.

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Colpiti da tutti gli aspetti del mondo, sprofondiamo dunque nelle idee, nei fatti, i quali, una volta che da essi si è emersi, mettono in luce qualità del nostro essere che meglio s’adattano a quell’azzardata impresa che è il nostro sistema sociale. Consapevoli dell’umano senso comune, dell’umana intelligenza, del nostro comune


COS’E’ ITALUS ?

desiderio di pace, ci proponiamo di scrivere una rivista che stabilisca un dialogo con gli associati, informandoli e comunicandoli delle iniziative dell’Associazione e dei suoi risultati. Questa rivista è per noi uno spazio di conoscenza, informazione, svago e diffusione del modus vivendi neopagano e non solo. La nostra speranza è quella di creare un’opera che possa regalare al lettore piccoli momenti di benessere per il corpo e per lo spirito, una rivista che appunto “coccoli” l’individuo nella sua totalità, prendendosi cura del suo desiderio di conoscenza ma anche della sua quotidianità. Uno spazio di equilibrio fisico e spirituale nella freneticità della vita di tutti i giorni. Vogliamo comunicare, informare e trasmettere, in maniera rispettosa e non invasiva. Nel nostro piccolo cercheremo anche di far chiarezza sul panorama neopagano/ esoterico/alternativo, denunciando le speculazioni commerciali e i ciarlatani che speculano su ipotetici e spesso vani poteri: cercheremo di rendere più chiare le idee nella conoscenza e comprensione di questa realtà e non solo. La rivista Artemisia è una pubblicazione on-line e quindi non cartacea, sarà inviata gratuitamente in formato Pdf tramite indirizzo di posta elettronica ai tesserati dell’Associazione, ma sarà disponibile gratuitamente anche ai non iscritti dell’Associazione, infatti è possibile scaricarla in formato pdf attraverso il sito internet dell’Associaizone: www.italus.info .

PER MAGGIORI INFORMAZIONI SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: artemisiadirettore@hotmail.it OPPURE A: artemisiainterattiva@hotmail.it

Ricordiamo ch Artemisia è presente anche sul social network Facebook.

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COS’E’ ITALUS ?

COS’E’ ITALUS EDIZIONI ? L’Associazione Italus non crea solo eventi, ma offre anche servizi innovativi tra cui “Italus Edizioni”. Come previsto dalle leggi dello Stato Italiano le Associazioni possono trarre risorse economiche per il loro sostentamento dalle entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali. Per Statuto, tra i principali campi d’azione dell’Associazione Italus vi è la pubblicazioni di libri (in proprio o avvalendosi della collaborazione di case editrici). ITALUS EDIZIONI non è quindi un’impresa editoriale ma costituisce solo uno dei settori in cui l’Associazione può svolgere la sua azione, finalizzata in questo caso alla diffusione culturale, fornendo a chi voglia avere la possibilità di veder stampati i propri libri in modo economico. Italus Edizioni come maggior mezzo di diffusione utilizza Internet, in particolare Facebook ed E-bay. Crediamo fortemente nella libertà di espressione e consapevoli che molti hanno il desiderio di vedere pubblicate, o semplicemente editate in forma di libro, le proprie opere, come Associazione vogliamo offrire a chiunque ne abbia voglia la possibilità di realizzare il proprio sogno e di poter divulgare il proprio pensiero. Pubblichiamo libri, realizzati in vari formati, spaziando in ambiti disparati: saggistica e varia (storia, arte, fotografia, religione, filosofia, ecc.), narrativa, poesia, ecc. Non facciamo censura, ma non pubblichiamo libri a carattere diffamatorio o di stampo propagandistico.

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Italus Edizioni si distingue da altre case editrici per delle sue caratteristiche, quali: Il “Copyright” rimane in capo all’autore e non passa all’Associazione. Stampiamo per ogni titolo un minimo di 25 copie, dandone pubblicità tramite internet garantendo in tal modo un’efficace diffusione. Sarà l’autore a decidere quante copie realizzare e le eventuali ristampe. L’Associazione Italus stipula un contratto con ogni autore, atto a tutelare sia l’autore che l’Associazione. Il ricavato delle vendite per il 60% sarà destinato a finanziare l’operato dell’Associazione Italus, per il 40% sarà destinato all’autore del libro come giusto compenso


Italus Edizioni offre inoltre all’autore la possibilità di veder pubblicato successivamente il proprio testo da parte di case editrici eventualmente interessate (distribuzione commerciale e codice ISBN). Sarà premura dell’Associazione mettere in contatto l’eventuale casa editrice con l’autore; in questo caso l’Associazione annullerà il contratto stipulato senza richiedere alcun diritto od onere.

COS’E’ ITALUS ?

per la sua opera creativa.

PER MAGGIORI INFORMAZIONI VISITARE IL BLOG: www.italusedizioni.blogspot.it OPPURE SCRIVERE ALLA SEGUENTE E-MAIL: italusedizioni@live.it

Ricordiamo che Italus Edizioni è presente anche sul social network Facebook.

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COS’E’ ITALUS ?

CONTATTI Qui di seguito riportiamo gli indirizzi di posta elettronica dell’Associazione Italus, strumenti di contatto tra l’Associazione e il pubblico tesserato e non. Sito internet dell’Associazione Italus: www.italus.info http://italus.info E-mail per informazioni generiche sull’Associazione italus@live.it E-mail del Presidente dell’Associazione italuspresidente@hotmail.it E-mail del Consiglio Direttivo dell’Associazione consigliodirettivoitalus@hotmail.it E-mail della rivista on-line Artemisia, per collaborare e inviare articoli, immagini, ecc. o opere (grafiche o fotografiche) per la rubrica “Creatività”, o foto per la sezione “Percorsi Naturali” artemisiainterattiva@hotmail.it

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ARTEMISIA EXTRA ANNO I° 2011/2012

*** *** *** *** *** *** PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE ITALUS E DEL CENTRO STUDI:

Leron

DIRETTORE ARTEMISIA:

Tommaso Dore

GRAFICO E IMPAGINATORE:

Fracesco Voce

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E-mail per pubblicare vostre recensioni o segnalazioni nella rubrica di Artemisia “Recensioni & Post-it” post-it.artemisia@hotmail.it E-mail per comunicare con la rubrica di Artemisia “Oltre la soglia” di Astrosibilla (per richiedere o suggerire argomenti da approfondire) oltrelasoglia@live.it E-mail per comunicare con la rivista o inoltrare suggerimenti artemisiadirettore@hotmail.it E-mail per comunicazioni destinate al progetto “Segnala ad Italus” segnalaitalus@hotmail.it E-mail per il Centro Studi Italus italuscentrostudi@hotmail.it E-mail per Italus Edizioni italusedizioni@live.it

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Questa rivista non rappresenta un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001, essendo strumento informativo interno all’Associazione Italus. Il copyright degli articoli appartiene ai rispettivi autori.


ATTUALITA’ COME FARE LA RACCOLTA DIFFERENZIATA

I RIFIUTI VANNO SUDDIVISI IN: Organico (potature, scarti di cucina, fiori secchi ecc.); Carta e cartone; Vetro, lattine, plastica, tetrapak. Rifiuti indifferenziabili come gli indumenti e tessuti; Ingombranti; Medicinali scaduti; Bombole di gas esaurite; Pile; Olio alimentare esausto; Cartucce per stampanti e fotocopiatrici; Batterie per auto e moto; Amianto; Materiali ferrosi, oli e grassi usati, apparecchi elettrici ed elettronici.

ORGANICO Nei cassonetti marroni (coperchio marrone) si mettono: i rifiuti alimentari, gli scarti di cucina, i residui delle potature, i fiori secchi e le piante. I rifiuti vanno immessi sempre chiusi in sacchetti, ad eccezione delle potature. Chi ha un giardino o un orto a disposizione può riciclare direttamente tutto questo nel proprio compostatore. Per quantità superiori alla norma potete anche utilizzare le apposite stazioni ecologiche.

CARTA E CARTONE Nei cassonetti gialli (coperchio giallo) si mettono: i giornali e le vecchie riviste, la carta e il cartone, i vecchi libri e quaderni, le scatole e gli scatoloni ben piegati. Invece non vanno messi: plastica, carta oleata, copertine plastificate. In alcune località si effettuano la raccolta porta a porta della carta, e gli utenti ricevono appositi contenitori gialli.

VETRO, LATTINE, PLASTICA, TETRAPACK Nelle campane azzurre si mettono: i barattoli, le bottiglie in plastica e quelle in vetro, i flaconi in plastica, i cartocci del latte e dei succhi di frutta, le lattine delle bibite, gli imballaggi in plastica, gli imballaggi in polistirolo, i vasetti in plastica o vetro. Nelle campane non vanno messi: ceramiche, porcellane e lampadine.

RIFIUTI INDIFFERENZIABILI Nei cassonetti rossi (coperchio rosso) si mettono: i rifiuti che non possono essere riciclati, come le lampadine, il polistirolo (non gli imballaggi, che vanno nella campana azzurra), pannolini e assorbenti, oggetti in ceramica, stracci sporchi, scarpe rotte. Tutti i rifiuti devono essere chiusi in sacchetti. In questi cassonetti non bisogna gettare ciò che si può riciclare, ma nemmeno i rifiuti speciali come: pile e batterie, metallo, vernici e solventi, materiali elettrici ed elettronici, farmaci scaduti.

INDUMENTI E TESSUTI Nei contenitori bianchi si mettono: i vestiti usati e i tessuti che non servono più. In questi contenitori non bisogna mettere stracci e indumenti sporchi o scarpe rotte, carta, metalli, plastica, vetro, rifiuti. Vestiti e tessuti raccolti verranno

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ATTUALITA’

avviati al recupero presso aziende specializzate.

INGOMBRANTI Potete portare gli oggetti ingombranti, come i vecchi mobili, nelle apposite stazioni ecologiche. Gli oggetti ingombranti non devono essere abbandonati accanto ai cassonetti e, ancor meno, lungo le strade di campagna. Per chi abbandona rifiuti sono previste severe sanzioni.

MEDICINALI SCADUTI Nelle farmacie e presso gli ambulatori ASL sono disponibili i contenitori per i farmaci scaduti. Potete togliete i medicinali dalle scatole (queste possono essere riciclate nei contenitori gialli per la carta).

PILE Nei negozi che vendono pile e materiale elettrico si trovano anche i contenitori per la raccolta delle pile esaurite. Quando dovete comprare le pile nuove portate con voi quelle vecchie e lasciatele al negozio. Non gettate mai le pile nei cassonetti, né abbandonatele nell’ambiente, sono altamente inquinanti.

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BOMBOLE DI GAS LIQUIDO Le bombole esaurite di gas liquido sono potenzialmente molto pericolose e certamente inquinanti. Quando acquistate una nuova bombola i rivenditori sono tenuti a ritirare quella vecchia. Solo i rivenditori sono autorizzati al ritiro delle bombole usate. Non lasciate mai le bombole esaurite nei pressi dei cassonetti, né abbandonatele nell’ambiente, sono altamente inquinanti. Non gettatele nei cassonetti.

OLIO ALIMENTARE ESAUSTO Riciclare l’olio esausto (il residuo dell’olio di frittura) è importante perché inquina e perché la normativa vigente lo classifica come rifiuto speciale, prevedendone il recupero, il riciclaggio e il riutilizzo delle varie componenti. Anche l’olio vegetale esausto, come quello minerale è rigenerabile con conseguente risparmio di materie prime e minore impatto ambientale.

CARTUCCE PER STAMPANTI Toner esauriti per stampanti laser e fotocopiatrici, cartucce di inchiostri e prodotti simili possono essere raccolti dalle apposite stazioni ecologiche oppure depositati nei raccoglitori presenti nei negozi che vendono questi articoli.

BATTERIE PER AUTO E MOTO Chi vende o sostituisce le batterie di auto o moto è organizzato per lo smaltimento attraverso un consorzio obbligatorio. Non abbandonate le batterie esaurite, sono altamente inquinanti e rischiate, giustamente, di subire pesanti sanzioni. MATERIALI FERROSI, OLI E GRASSI, APPARECCHI ELETTRONICI Materiali ferrosi vari, oli vegetali e grassi animali usati, apparecchi elettrici ed elettronici, cavi, ecc. possono essere portati alle stazioni ecologiche, dove verranno posti in contenitori di raccolta separati ed avviati al trattamento e smaltimento più idoneo per ciascun materiale.

IL PROBLEMA AMIANTO L’amianto è un materiale particolarmente pericoloso quando viene rilasciato nell’ambiente sotto forma di piccole fibre. Per decenni è stato utilizzato nella fabbricazione di pannelli, depositi e coperture ondulate, nella forma del cemento-amianto (Eternit). Se l’Eternit è ancora in buone condizioni non è necessario rimuoverlo, ma se comincia a rompersi, sfaldarsi, sgretolarsi è arrivato il momento di intervenire contattando degli operatori specializzati nella rimozione dell’amianto. Non azzardatevi a rimuovere l’eternit, esso è altamente cancerogeno e pericoloso!!! Arved


Per analizzare in modo accurato le modificazioni del clima, le Nazioni Uni¬¬te hanno costituito una Commissione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico (IPCC) che raccoglie accademici provenienti delle nazioni del G8. Secondo quanto riportato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite (IPCC), la temperatura superficiale globale del pianeta sarebbe aumentata di 0,74 ± 0,18 °C durante gli ultimi 100 anni, almeno fino al 2005.

L’IPCC ha inoltre concluso nei suoi ‘studi di attribuzione’ delle cause che «la maggior parte dell’incremento osservato delle temperature medie globali a partire dalla metà del XX secolo è molto probabilmente da attribuire all’incremento osservato delle concentrazioni di gas serra antropogenici», attraverso un aumento dell’effetto serra. Viceversa i fenomeni naturali come le fluttuazioni solari e l’attività vulcanica hanno contribuito marginalmente al riscaldamento nell’arco di tempo che intercorre tra il periodo pre-industriale e il 1950 e hanno causato un lieve effetto di raffreddamento nel periodo dal 1950 all’ultima decade del XX secolo. Queste conclusioni sono state supportate da almeno 30 associazioni e accademie scientifiche, tra cui tutte le accademie nazionali della scienza dei paesi del G8. Le conclusioni raggiunte dall’IPCC sono basate anche da un’analisi di oltre 928 pubblicazioni scientifica dal 1993 al 2007, in cui si osserva che il 75% degli articoli accetta, esplicitamente o implicitamente, la tesi scientifica del contributo antropico al riscaldamento, mentre il restante 25% degli articoli copre unicamente metodologie o paleoclimatologia per cui non esprime opinioni in merito. Ci sono comunque ricercatori scettici sul ruolo antropico nell’attuale riscaldamento: essi rappresentano una minoranza nella comunità scientifica, sebbene negli ultimi anni il loro numero abbia conosciuto un significativo aumento. Tra questi “scettici” vi sono, tra gli

altri, anche il premio Nobel Kary Mullis, oltre che ex membri dei vari comitati IPCC come il meteorologo Hajo Smit o Philip Lloyd, nonché fisici dell’atmosfera come Fred Singer. Le criticità espresse da tali ricercatori sono diverse e variano dalla politicizzazione e estremizzazione dei documenti conclusivi dell’IPCC fino alle perplessità sulla possibilità di stabilire una relazione tra aumento di CO2 e riscaldamento globale. Alcuni di essi inoltre rimarcano il ruolo di altri fattori naturali sul clima tra cui il principale sarebbe la variazione dell’attività solare ma anche l’effetto dei raggi cosmici, che avrebbe un ruolo sul mutamento climatico. Le loro criticità trovano peraltro riscontro nella diminuzione della temperatura media globale che si è verificata approssimativamente tra il 1940 e il 1976, nonostante continuasse ad aumentare con la stessa costanza la concentrazione di CO2 nell’atmosfera nel medesimo intervallo di tempo, così come nell’abbassamento della temperatura globale osservato nell’ultimo decennio rispetto al picco del 1998. Viene in particolare messa in dubbio la validità degli attuali modelli climatici utilizzati che non sono in

ATTUALITA’

E’ L’UOMO LA CAUSA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO?

grado di ricostruire efficacemente il clima passato né sono stati in grado di predire il parziale raffreddamento dell’ultimo decennio. Queste tesi sono state raccolte in un documentario della CBC. Il matematico e fisico teorico Freeman Dyson, che fin dagli anni ‘70 teorizzava la necessità di attuare il sequestro del carbonio piantando nuovi alberi in aree enormi, nel 2007 ha invece rivalutato la questione del riscaldamento globale affermando che “l’allarmismo sul riscaldamento globale è fortemente esagerato” dopo aver calcolato che “il problema dell’anidride carbonica nell’atmosfera è un problema di gestione del terreno, non un problema meteorologico”. Secondo lo scienziato gli errori commessi sarebbero legati al fatto che nessun modello matematico atmosferico o oceanico è in grado di predire il modo in cui dovrebbe essere gestita la terra, infine sottolinea che dovrebbero avere maggiore priorità altri problemi globali. Molti sono gli scienziati che, pur riconoscendo il ruolo antropico, sono scettici riguardo alle misure adottate per contenere le emissioni e ritengo-

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ATTUALITA’

no il protocollo di Kyōto sia troppo blando e poco incisivo in termini di risultati sul clima. Ad aumentare la perplessità vi è il fatto che i principali emettitori di anidride carbonica (USA e Cina) non lo applicheranno sulle proprie economie. È tutt’oggi tema di accese discussioni la reale entità e gli effetti del riscaldamento, dovute al fatto che il clima terrestre non è considerabile come un sistema statico, avendo presentato nella sua storia cambiamenti graduali ma intensi anche senza l’intervento dell’uomo. Resta il fatto che dal 2500 a.C. al 700 d.C. la Terra ha avuto un piccolo raffreddamento; dal 700 d.C. al 1300 d.C. la Terra ha avuto un ottimo climatico, e la differenza era di ben 2 gradi più caldo di oggi; dal 1300 al 1850 la Terra ha subito una piccola glaciazione, gli inverni erano lunghi e il Tamigi a Londra si ghiacciava. Dal 1850 ad oggi si registra invece un riscaldamento dovuto al post glaciale, ma restiamo sostanzialmente

più freddi rispetto al periodo dal 700 al 1300 (-2 gradi). Considerando che tra il 1940 e il 1976 si è registrata una tendenza opposta, cioè un leggero raffreddamento. Sia ai tempi dell’Impero Romano che nel Medioevo le temperature medie erano quindi più alte che in altri periodi, permettendo la colonizzazione della Groenlandia e la coltivazione estesa di viti nell’Europa del Nord. Entrambi questi periodi sono stati seguiti da periodi di raffreddamento climatico: a Londra il fiume Tamigi gelava tanto da permetterne il passaggio a cavallo e lo svolgimento di mercati natalizi sulla sua superficie ghiacciata. L’estate del 2011 è stata alquanto anomala, stranamente fresca, con ondate di calore manifestatesi a fine stagione, mentre l’estate 2012 non è stata ltra le più calde dell’ultimo secolo (nonostante un certo giornalismo ci abbia voluto far credere il contrario), eppure il riscaldamento climatico dovrebbe avere effetti con-

trari. Di sicuro l’essere umano è capace di alterare (avvolte distruggere) gli eco sistemi, ma è davvero in grado di modificare il clima planetario? Bisogna sicuramente salvaguardare il territorio, l’ambiente e il pianeta tutto, perché è in esso che viviamo e ne vale la nostra salute. Ma a quanto servono gli allarmismi? Si spera che gli allarmismi non siano mossi da speculazioni economiche, non vorrei pensare che qualcuno vuole tenerci sotto tensione e magari ci specula, anche perché l’uomo è adattabile (a superato sia era glaciali che ere post glaciali), l’ambiente è mutevole, il Pianeta è vivo e di volta in volta si rigenera.

Francesco V.

LA CRISI ECONOMICA DEL 2008

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La decadenza economica degli anni 2000 si è cominciata a manifestare nell’incremento dei prezzi delle materie prime che ha seguito una riduzione del costo delle stesse nel precedente periodo 1980-2000; tuttavia solo dal 2008 l’incremento dei prezzi di queste materie prime, in particolare il rialzo del prezzo del petrolio e di alcuni cereali, si è fatto sentire a tal punto da cominciare a creare veri danni economici, minacciando con la fame nel terzo mondo, la stagflazione ed una riduzione del fenomeno della globalizzazione, il tutto accompagnato da un’ondata generalizzata di ribassi nelle borse di tutti i continenti. L’aumento dei prezzi delle materie prime si traduce poi nell’aumento dei costi finale di produzione dei beni di consumo. L’attuale crisi economica, originatasi negli Stati Uniti con la crisi dei subprime, ha avuto luogo dai primi mesi del 2008 in tutto il mondo. Tra i principali fattori della crisi

figurano gli alti prezzi delle materie prime, una crisi alimentare mondiale, un’elevata inflazione globale, la minaccia di una recessione in tutto il mondo, così come una crisi creditizia ed una conseguente crisi di fiducia dei mercati borsistici. Agli inizi del fenomeno molti autori ritenevano che non si trattasse di una vera crisi. Tuttavia, le pesanti recessioni e i vertiginosi crolli del PIL (Prodotto Interno Lordo) verificatasi in quasi tutte le economie avanzate del mondo, tra il 2009 e il 2010, hanno smentito queste ottimistiche previsioni. Innanzitutto bisogna specificare che la crisi economica non è “in Italia” ma colpisce tutti i paesi del mondo perché in un epoca di globalizzazione come la nostra tutte le economie sono collegate. Una delle principale cause di questa crisi parte dagli Stati Uniti e più precisamente dai mutui subprime, in poche parole mutui concessi a persone, che fin dall’inizio si sapeva che non fossero stati in grado di

estinguerli. Una volta che si sono manifestate le prime insolvenze le banche che li hanno concessi iniziarono ad avere problemi e non hanno concesso più i finanziamenti alle famiglie e alle imprese, e di conseguenza la crescita economica è iniziata a calare. In questo periodo di crisi sentiamo spesso parlare di rating, ma di cosa si tratta? Il rating è un metodo utilizzato per classificare sia i titoli obbligazionari, che le imprese in base alla loro rischiosità. In questo caso, essi si definiscono rating di merito creditizio da non confondersi ai rating etici che invece misurano la qualità della governance, o in generale della sostenibilità sociale ed ambientale di un’emittente (in questo caso lo Stato). Oggi, Standard & Poor’s e Moody’s sono le due maggiori agenzie di rating al mondo. Ma per meglio capire quale è l’origi-


ne di questa crisi e chi ne è il responsabile, dobbiamo risalire il corso del fiume a ritroso fino ad arrivare alla sua sorgente. Il “Signoraggio” possiamo tranquillamente dire che è il male dei mali, è una truffa monetaria legalizzata e che rende una Nazione debitrice nei confronti di un Gruppo bancario. Difficilmente sentirete parlare del “Signoraggio” ne in TV, ne nei giornali, ne nei libri, difficilmente i politici ne parleranno (si ha paura per farlo), stiamo comunque parlando della società più potente al mondo. Questo ente privato è la Banca Centrale Nazionale di ogni Nazione o Unione, che è una normalissima s.p.a, batte moneta e la presta (in realtà la presta e la vende nello stesso tempo) al nostro Stato. Il meccanismo del “Signoraggio” è molto semplice e diabolico: prendiamo il caso della BCE (Banca Centrale Europea), essa crea moneta cartacea, il tutto ha dei costi di produzione relativi all’acquisto e lavorazione delle materie prime (carta, inchiostro, distribuzione ecc…) tutti questi costi vanno a formare il “valore intrinseco” della banconota creata, esempio: il costo per la produzione di ogni banconota è di 30 centesimi, i trenta centesimi equivalgono al “valore intrinseco” del bene. Il “valore nominale” è il valore numerico che viene stampato sulla facciata della banconota creata, esempio: banconota da 500 €uro, i cinquecento €uro equivalgono al potere d’acquisto che quella bancono-

ta ha nel mercato. Il “Signoraggio” sta nella differenza che si ottiene dalla sottrazione aritmetica tra il “valore nominale” e il “valore intrinseco” (500 € - 30 centesimi) uguale: un guadagno di: 499.70 €uro ogni banconota prestata! La BCE è l’unico organo proposto per l’immissione di moneta all’interno di una Nazione, ha il monopolio per farlo e il tutto è legalizzato e concesso dalla legislatura Internazionale. Ora avviene che il nostro Stato contrae un debito con la BCE, che letteralmente ci fa un “mutuo” miliardario che va a formare tutto il nostro circuito monetario, (per circuito monetario si intendono tutti i soldi che circolano all’interno di una Nazione) prestito che il nostro Stato dovrà restituire con gli interessi! Quindi riassumendo: La BCE stampa una banconota al costo di produzione di 30 centesimi, esegue un prestito/vendita al nostro stato al “Valore nominale” di 500 €uro, in più mette gli interessi, dunque a ogni scadenza l’Italia dovrebbe restituire sia la somma iniziale più gli interessi maturati! Esempio: Mettiamo il caso che la BCE abbia stampato allo stato Italiano 100 Miliardi di €uro e gli mette un interesse del 3%, significa che la BCE europea per “stampare” quei 100 Miliardi ha speso una cifra irrisoria rispetto poi al guadagno che ne trarrà, a questo punto è ovvio che il debito iniziale (100 Miliardi) l’Italia non lo potrà mai estinguere e può

Se ora vi state ancora chiedendo il perché aumenta tutto (benzina, tasse,generi alimentari) avrete capito che il nostro Stato i soldi per pagare questi interessi non li ha, e di conseguenza strizza sempre di più le tasche dei suoi cittadini con rincari di ogni genere. Sono tante le domande che potremmo porci: I nostri politici che cosa fanno per salvaguardare i cittadini? È giusto sacrificare vite umane e benessere per i soldi? È giusto che il benessere di ogni singolo individuo dipenda da pezzi di carta e del loro valore? D’altronde sono solo carta.

ATTUALITA’

solo limitarsi a pagare gli interessi annui che ammontano a circa 3 Miliardi di €uro. A questo debito vanno aggiunti tutte le spese che lo Stato intraprende per offrire servizi pubblici ai cittadini, quale istruzione e sanità. In tv quando parlano solo genericamente di “debito pubblico” chissà perché non spiegano mai cos’è!

L’unica soluzione possibile per uscire da questo sistema di denaro-schiavitù è che uno Stato inizi a stampare moneta da se, emettendo nel proprio circuito monetario, moneta in rapporto al numero demografico della popolazione, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo la Banca Centrale che non lo permetterà mai!

Paolo Loprez

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ATTUALITA’

L’ISOLA DI PLASTICA

tenuto non solo va ad alimentare il Nord Pacific Gyre, ma anche ad arenarsi su spiagge degli atolli. La più famosa perdita di carico è avvenuta nel 1990, quando dalla nave Hansa Carrier sono caduti in mare ben 80.000 articoli, tra stivali e scarpe da ginnastica della Nike che, nei tre anni successivi, si sono arenati tra le spiagge degli stati della British Columbia, Washington, Oregon e Hawaii. E questo non è stato l’unico caso: nel 1992 sono caduti in mare decine di migliaia di giocattoli da vasca da bagno e nel 1994 attrezzature per hockey su ghiaccio.

Il Pacific Trash Vortex, noto anche come Grande chiazza di immondizia del Pacifico (Great Pacific Garbage Patch), è un enorme accumulo di spazzatura galleggiante (composto soprattutto da plastica) situato nell’Oceano Pacifico, approssimativamente fra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord. La sua estensione non è nota con precisione: le stime vanno da 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km² (cioè da un’area più grande della Penisola Iberica a un’area più estesa della superficie degli Stati Uniti), ovvero tra lo 0,41% e il 5,6% dell’Oceano Pacifico, nell’area potrebbero essere contenuti fino a 100 milioni di tonnellate di detriti. L’accumulo si è formato a partire dagli anni cinquanta, a causa dell’azione della corrente oceanica chiamata Vortice subtropicale del Nord Pacifico (North Pacific Subtropical Gyre), dotata di un particolare movimento a spirale in senso orario, che permette ai rifiuti galleggianti di aggregarsi fra di loro. La Grande chiazza di immondizia si è formata nella zona di convergenza del Vortice subtropicale del Nordpacifico.

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Il centro di tale vortice è una regione relativamente stazionaria dell’Oceano Pacifico (ci si riferisce spesso a quest’area come la latitudine dei cavalli) al cui centro si accumulano notevoli quantità di rifiuti, soprattutto

plastica, e altri detriti, a formare una enorme “nube” di spazzatura che ha assunto l’informale definizione di Isola orientale di Immondizia o Vortice di Pattume del Pacifico. A 10 m di profondità è stata individuata una concentrazione pari a poco meno la metà di quella in superficie, con detriti che consistono principalmente di monofilamenti, fibre di polimeri incrostati di plancton e diatomee. I rifiuti galleggianti di origine biologica sono spontaneamente sottoposti a biodegradazione, e in questa zona oceanica quindi si sta accumulando una enorme quantità di materiali non biodegradabili come la plastica e rottami marini. Anziché biodegradarsi, la plastica si fotodegrada, disintegrandosi in pezzi sempre più piccoli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono, la cui ulteriore biodegradazione è molto difficile. Il galleggiamento di tali particelle, che apparentemente assomigliano a zooplancton, inganna le meduse che se ne cibano, causandone l’introduzione nella catena alimentare. In alcuni campioni di acqua marina presi nel 2001 il rapporto tra la quantità di plastica e quella dello zooplancton, la vita animale dominante dell’area, era superiore a sei contro uno. Occasionalmente, improvvisi mutamenti nelle correnti oceaniche provocano la caduta di interi container trasportati da navi cargo, il cui con-

A seguito di ricerche condotte con una serie ventennale di crociere scientifiche svolte fra il Golfo del Maine e il Mar dei Caraibi, la ricercatrice Kara Lavender Law ha riscontrato anche nell’oceano Atlantico un’elevata concentrazione di frammenti plastici, in una zona compresa fra le latitudini di 22°N e 38°N, corrispondente all’incirca al Mar dei Sargassi. Simulazioni al computer hanno individuato due altre possibili zone di accumulo di rifiuti oceanici nell’emisfero meridionale: una nell’oceano Pacifico a ovest delle coste del Cile e una seconda allungata tra l’Argentina e il Sud Africa attraverso l’Atlantico.

Giovanni Russo


Ogni anno, sembra che la ricerca sugli effetti della soia e dei suoi componenti sulla salute aumenti notevolmente. L’industria della soia sostiene che la soia abbia vantaggi potenziali che possono essere più estesi di quanto si pensava precedentemente. L’industria della soia multi-miliardaria insiste che i vantaggi per la salute che la soia offre superano di gran lunga qualsiasi pericolo potenziale. Quello che una volta non era che un raccolto secondario elencato nel manuale del Dipartimento degli Stati Uniti del 1913 (USDA), da utilizzare non come un cibo ma come prodotto industriale, ora copre 72 milioni di acri di terreno coltivato. Buona parte di questo raccolto viene utilizzato per alimentare polli, tacchini, maiali, mucche e salmoni. Un’altra grossa percentuale viene spremuta per produrre olio per margarina, grasso per pasticceria e condimenti per insalate. Il progresso tecnologico rende possibile la produzione di proteine di soia isolate da ciò che in passato era considerato un sottoprodotto - l’elevata proteina della soia priva di grassi - e di trasformare qualcosa che sembra orribile e puzza terribilmente in prodotti che possono essere consumati da esseri umani. Gli aromi, i conservanti, i dolcificanti, gli emulsionanti e le sostanze nutritive sintetiche hanno trasformato quello che era il brutto anatroccolo dei cibi lavorati, la proteina della soia, in uno dei cibi miracolosi della New Age, dei Vegan e in generale dei Vegetariani. Oggi la vendita della soia viene spinta verso il consumatore più agiato, non come cibo povero a buon mercato, ma come una sostanza miracolosa che eviterà l’insorgenza di malattie di cuore e cancro, delle vampate della gravidanza, costruirà ossa forti e ci manterrà per sempre giovani. La soia servirà da carne e latte per una nuova generazione di vegetariani. Ma la soia non solo è priva di proteine complete, di zinco e ferro, ma contiene composti che bloccano l’assorbimento di proteine, zinco e ferro

ATTUALITA’

LA SOIA E IL SUO LATO OSCURO

Semi di Soia

da altre sorgenti. I cibi a base di soia aumentano le richieste da parte del corpo di vitamina D e B12, elementi essenziali sia per la crescita che per lo sviluppo. Sostanze attive anti-tiroidee presenti in abbondanza nei cibi a base di soia inibiscono le funzioni della tiroide, conducono alla fatica e ai problemi mentali. I fitoestrogeni della soia possono inibire il normale sviluppo e nell’età adulta causare problemi di riproduzione e fertilità. Recenti ricerche hanno mostrato che questi fitoestrogeni sono implicati nello sviluppo del morbo di Alzheimers e della demenzia senile, promuovono l”invecchiamento” del cervello. Tutti i cibi a base di soia contengono MSG (glutammato di sodio), che causa problemi neurologici, incluso il comportamento violento. La giustificazione per incrementare il consumo di soia è basata sul concetto che dovremmo ridurre la quantità di grassi nell’alimentazione infantile. I grassi contengono molte sostanze nutrienti che sono vitali per la crescita e lo sviluppo, e contribuiscono alla funzione corretta del cervello e del sistema nervoso. I bambini nel periodo della crescita hanno bisogno di più grassi, non meno. Privare i bambini dei grassi di cui essi hanno bisogno è un crimi-

ne. Più soia nei pasti delle mense scolastiche significa più assenteismo, più ferite, più problemi d’apprendimento, più ADHD e più violenza. Le insufficienze nutrizionali si accentueranno e aumenteranno le malattie. La crescita del profitto delle industrie della soia avviene a spese dei nostri bambini !?! Solo negli USA vengono spesi 80 milioni di dollari dall’Unione dei Produttori di Soia per sostenere programmi atti a rafforzare la posizione della soia sul mercato e mantenere e aumentare la presenza della soia e dei prodotti da essa derivati sui mercati nazionali ed esteri. L’industria della soia si è rivolta alla Norman Robert Associates, un’agenzia di pubbliche relazioni, per ottenere l’inserimento di un maggior numero di prodotti di soia nei menu delle mense scolastiche. L’USDA (Dipartimento dell’Agricoltura Americano) ha risposto con la proposta di togliere il limite del 30 % di prodotti a base di soia nelle mense scolastiche. Il programma permetterebbe un uso illimitato della soia nelle mense scolastiche. Aggiungendo la soia ad hamburger, tacos e lasagne, i dietisti possono mantenere senza difficoltà il contenuto di grasso totale sotto il 30 % delle calorie, conformandosi perciò agli ordini del

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ATTUALITA’

governo. Negli USA il latte di soia ha procurato i guadagni più elevati, spiccando il volo dai 2 milioni di dollari nel 1980 a 300 milioni di dollari nel 1999. Le vendite di latte di soia sono in aumento in Canada, sebbene là il latte di soia costi il doppio del latte di mucca. Impianti per il trattamento del latte di soia stanno spuntando in paesi del terzo mondo come il Kenia, ad esempio. Anche la Cina, dove la soia è realmente un cibo dei poveri e dove la gente vuole più carne, non tofu, ha optato per la costruzione di fabbriche di soia in stile occidentale piuttosto che sviluppare praterie da pascolo. Solo alcuni decenni fa, la soia era considerata non commestibile, persino in Asia. Durante la dinastia Chou (dal 1134 al 246 a.C.) la soia era considerata uno dei cinque grani sacri, insieme a orzo, frumento, miglio e riso. Tuttavia, il pittogramma per la soia, che risale ai tempi precedenti, indica che non è stata mai impiegata come alimento, perché mentre i pittogrammi per gli altri quattro grani mostrano la struttura del seme e dello stelo della pianta, il pittogramma per la soia mostra la struttura della radice. La letteratura agricola del periodo parla frequentemente della soia e il suo uso nella rotazione dei raccolti. Apparentemente la semina della soia inizialmente veniva fatta come un metodo per fissare l’azoto nel terreno. La soia non è servita da alimento fino alla scoperta di tecniche di fermentazione, un po’ di tempo dopo durante la dinastia Chou. I primi cibi di soia vennero prodotti facendola fermentare come tempeh, natto, miso e salsa di soia. Più tardi, probabilmente nel II secolo d.C., gli scienziati cinesi hanno scoperto che un purée di soia cotta poteva essere fatto precipitare con solfato di calcio (gesso) o solfato di magnesio (sale inglese) per fare un caglio liscio, pallido, il tofu. L’uso di prodotti di soia fermentati e precipitati presto si estese in altre parti dell’oriente, particolarmente in Giappone e in Indonesia. I cinesi non hanno mangiato soia non-fermentata perché avevano altri

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legumi come le lenticchie e perché la soia contiene grandi quantità di tossine o “anti-nutrienti” naturali. Primi fra tutti ci sono dei potenti inibitori di enzimi che bloccano l’azione della tripsina (enzima che scinde le proteine) e di altri enzimi necessari per la digestione delle proteine. Questi inibitori sono proteine complesse, fortemente intrecciate che non vengono disattivate completamente durante la normale cottura. Possono produrre forti dolori allo stomaco, digestione ridotta delle proteine e insufficienze croniche nell’assimilazione degli amminoacidi. Le diete con elevate quantità di inibitori di tripsina causano l’ingrandimento e altre condizioni patologiche del pancreas, compreso il cancro. La soia contiene anche emaglutinina una sostanza coagulante che fa in modo che i globuli rossi del sangue si raggruppino insieme. Gli inibitori della Tripsina e l’emaglutinina sono inibitori della crescita. I composti inibitori della crescita vengono neutralizzati dal processo di fermentazione, cosicché una volta che i cinesi hanno scoperto come fare fermentare la soia, hanno incominciato a incorporare nella loro dieta alimenti a base di soia. In prodotti precipitati, gli inibitori dell’azione enzimatica si concentrano nel liquido piuttosto che nel caglio. Quindi nel tofu, gli inibitori della crescita sono presenti in quantità ridotte ma non eliminati completamente. La soia contiene anche sostanze che inibiscono le funzioni della tiroide!

La soia contiene elevate quantità di acido fitico, presente nella crusca o nella cuticola di tutti i semi. È una sostanza che può fermare l’assorbimento di minerali essenziali come calcio, magnesio, rame, ferro e specialmente zinco, nel tratto intestinale. Benché non sia molto conosciuto dal grosso pubblico l’acido fitico è stato studiato accuratamente; ci sono letteralmente centinaia di articoli sugli effetti dell’acido fitico nella letteratura scientifica. Gli scienziati sono completamente d’accordo che i regimi alimentari a base di cereali e legumi con elevate quantità di fitati favoriscono l’ampia diffusione di carenze di minerali nei paesi del terzo mondo. Le analisi mostrano che il calcio, il magnesio, il ferro e lo zinco sono presenti nei cibi coltivati in queste aree, ma l’alto contenuto di fitati della soia e dei cereali impedisce il loro assorbimento. La soia ha un livello di fitati più elevato di qualsiasi cereale o legume che sia mai stato studiato, e i fitati della soia sono estremamente resistenti alle tecniche normalmente usate per ridurli, come la lunga e lenta cottura. Solo un lungo periodo di fermentazione ridurrà significativamente il contenuto di fitati della soia. I giapponesi mangiano tradizionalmente una piccola quantità di tofu o miso come ingrediente di un brodo di pesce ricco di minerali, seguito da una porzione di carne o pesce. I vegetariani che consumano tofu e

Pianta di Soia


Gli effetti dell’insufficienza di calcio, magnesio e ferro sono ben noti, non così bene quelli dell’insufficienza dello zinco. Lo zinco è necessario per lo sviluppo e il funzionando ottimale del cervello e del sistema nervoso. Gioca un ruolo nella sintesi delle proteine e nella formazione del collagene. E’ coinvolto nel meccanismo di controllo del livello di zucchero nel sangue e in questo modo protegge dal diabete. E’ necessario per un sistema riproduttivo sano. Lo zinco è un componente chiave in numerosi enzimi vitali e gioca un ruolo anche nel sistema immunitario. I fitati presenti nei prodotti di soia interferiscono nell’assorbimento dello zinco in maggior misura che nell’assorbimento degli altri minerali. L’insufficienza di zinco può causare una sensazione “di vuoto” che alcuni (non tutti) vegetariani/vegani scambiano per un “alto livello” di illuminazione spirituale. Il fatto di bere latte vaccino è considerato come la ragione per cui i giapponesi di seconda generazione in America sono più alti dei loro predecessori. Alcuni ricercatori ritengono che il ridotto contenuto di fitati nella dieta dei giapponesi nati in America, quali che siano le altre carenze che possono esserci, è la vera spiegazione della maggiore altezza. E’ stato consigliato di alimentare i neonati che non possono essere allattati al seno o che hanno reazioni allergiche ad altre formule con preparati alternativi a quelli a base di soia. La ragione per cui ulteriori informazioni non sono disponibili su questi problemi è probabilmente una conseguenza della forza tremenda delle grandi società agricole che dominano il mercato americano della soia. Sebbene gli “esperti” della salute, e quasi ogni programma sulla salute & benessere radiofonico e televisivo, elogiano la soia come l’alimento miracoloso del nuovo millennio, i pediatri e la comunità medica dovrebbe saperne di più su questo argomento, e avvertire i pazienti dell’impatto

dannoso che il consumo di prodotti di soia può avere sulle funzioni della tiroide e non solo. Un’indagine fatta da un programma televisivo ha rivelato che, fra tutti quegli elogi, alcuni scienziati stanno ora sfidando questa fittizia saggezza popolare, e lasciano intendere che ci possono essere aspetti negativi riguardo a questo “alimento miracoloso”. Nuovi studi hanno fatto sorgere domande riguardo al fatto che gli ingredienti naturali della soia potrebbero aumentare o meno l’insorgenza di cancro al seno in alcuni soggetti femminili, influire sulle funzioni cerebrali nei soggetti maschi e condurre a latenti anomalie nello sviluppo dei neonati. Nel ottobre 2000, l’FDA ha pubblicato un bollettino sulla salute, concludendo che la soia può diminuire sia il livello di colesterolo che il pericolo di malattie di cuore. Ma due degli esperti di soia dell’ FDA - Doerge e il suo collega, Daniel Sheehan - si sono fatti avanti criticando le dichiarazioni della loro propria agenzia e hanno tentato di fermare la raccomandazione dell’FDA. La loro preoccupazione principale era che la pubblicazione potrebbe venire fraintesa come un’ invito ad usare le proteine della soia, al di là dei vantaggi esclusivamente per il cuore. Doerge e Sheehan hanno fatto presente che la ricerca mostra un collegamento tra il consumo di soia e i problemi di fertilità e i risultati sono una chiara indicazione degli effetti negativi a cui potenzialmente potrebbero essere soggetti gli esseri umani. La loro principale preoccupazione ha a che fare con il comportamento degli elementi chimici della soia. Oltre a tutte le sostanze nutrienti e le proteine, esiste una sostanza chimica naturale che imita l’estrogeno, l’ormone femminile. Alcuni studi mostrano che questa sostanza chimica può modificare lo sviluppo sessuale. E infatti, due bicchieri di latte di soia al giorno nel corso di un mese portano ad un assorbimento di questa sostanza chimica sufficiente a modificare la sincronizzazione del ciclo mestruale femminile. Lo stesso Sheehan afferma: “Si sta facendo un grande esperimento su neonati incontrollato. Stiamo espo-

nendo i neonati a delle sostanze chimiche presenti nei preparati a base di soia per bambini sapendo che la sperimentazione ha rilevato che vi sono degli effetti negativi, e non abbiamo mai fatto delle ricerche sulla popolazione per vedere se si riscontrano questi effetti”. Sembra che non ci sia quotidiano, rivista o programma di notizie che non abbia messo in risalto recentemente una storia sui sorprendenti benefici per la salute dei prodotti alimentari a base di soia e dei supplementi a base di isoflavoni della soia. Ma ciò che tutte queste storie favorevoli omettono di dire è che esiste un aspetto negativo molto reale – ma trascurato - del consumo abbondante o a lungo termine dei prodotti di soia. Uno studio è stato fatto in Gran Bretagna facendo prendere 60 grammi di proteine di soia al giorno per un mese a donne in pre-menopausa. Si è scoperto che questo esperimento ha interrotto il ciclo mestruale, e gli effetti dell’isoflavone sono continuati per tre mesi dopo che la soia era stata tolta dalla dieta. L’isoflavone è noto anche perché modifica le condizioni della fertilità e perché attua cambiamenti sugli ormoni sessuali. E’ stato dimostrato che gli isoflavoni causano gravi effetti negativi sulla salute di molti mammiferi compreso sterilità, malattie della tiroide e malattie del fegato. E questo pericolo è particolarmente grave per i neonati allevati con preparati a base di soia. Queste sono informazioni che l’industria della soia non vuole che ne veniate a conoscenza.

ATTUALITA’

caglio di fagioli di soia come sostituti della carne e dei prodotti caseari rischiano di auto-provocarsi una grave carenza di minerali.

La vendita di prodotti di soia è un grande business, e la domanda crescente di proteine di soia, di farine di soia, e di integratori di isoflavoni lo sta facendo diventare uno dei più grandi business mai esistiti. I ricercatori hanno identificato gli isoflavoni come agenti potenti capaci di sopprimere le funzioni tiroidee e causare o aggravare l’ipotiroidismo. Il Dr. Mike Fitzpatrick, uno scienziato dell’ambiente e ricercatore sui fitoestrogeni ha condotto studi approfonditi sulla soia, in particolare sull’uso preparati per l’infanzia a base di soia. Fitzpatrick si è assolutamente sicuro che i prodotti di soia

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ATTUALITA’

Prodotti vegetali a base di Soia possano avere effetti dannosi sia su adulti che neonati. In particolare, ritiene fermamente che i produttori di preparati per l’infanzia a base di soia dovrebbero rimuovere gli isoflavoni quegli elementi della soia che agiscono come agenti anti-tiroide – dai loro prodotti. Abbiamo sentito di tutto sui fitoestrogeni. Sono dei composti del mondo vegetale che imitano gli estrogeni, sono propagandati da alcuni come agenti miracolosi che prevengono il cancro, malattie di cuore e delle coronarie, osteoporosi (Tanto per nominarne alcuni). Ma c’è un lato molto più oscuro su questi composti, e cioè il fatto che disturbano il sistema endocrino. La soia contiene fitoestrogeno, e quindi nel corpo agisce in modo molto simile a quello degli ormoni e non deve sorprendere il fatto che interagisca con l’equilibrio delicato dei sistemi ormonali della tiroide. Questi composti possono in effetti aumentare il rischio di cancro alla mammella e causare malattie della tiroide. I produttori di preparati per l’infanzia a base di soia si rifiutano di rimuoverli dai loro prodotti nonostante sappiano che i neonati alimentati con tali preparati sono a rischio di danni irreversibili. I nuovi regolamenti della F.D.A. (Amministrazione Federale degli Alimenti e Medicinali) non permettono che venga inserito alcun tipo di dichiarazione di prevenzione del cancro sulle confezioni di alimentari, ma questo non ha impedito alle industrie

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e ai suoi marketing operators di farle nei loro opuscoli promozionali. “Oltre a proteggere il cuore”, dice una brochure di una società produttrice di vitamine, “la soia si è dimostrata un potente agente anti-cancro...i giapponesi, che mangiano soia in quantità 30 volte maggiore dei nordamericani, hanno un’incidenza più bassa di cancro della mammella, dell’utero e della prostata. Questo è vero. Ma i giapponesi, e gli asiatici in generale, hanno tassi molto più alti di altri tipi di cancro, in particolare il cancro dell’esofago, dello stomaco, del pancreas e del fegato. Gli asiatici di tutto il mondo hanno anche alti tassi di cancro della tiroide. La logica che collega tassi bassi di cancro degli organi di riproduzione al consumo di soia impone attribuzione di alti tassi di cancro alla tiroide e del sistema digestivo agli stessi cibi, in particolare perché la soia causa questi tipi di cancro in laboratorio. Ma quanta soia mangiano poi gli asiatici? Un sondaggio del 1998 ha rilevato che la quantità giornaliera media di proteine di soia consumata in Giappone era di circa otto grammi per gli uomini e sette per le donne, meno di due cucchiaini da tè. Il famoso Cornell China Study, condotto da Colin T. Campbell, ha scoperto che il consumo di legumi in Cina varia da 0 a 58 grammi al giorno, con una media di circa 12 grammi.

Migliaia di donne ora consumano soia convinte che le protegga dal cancro della mammella. Inoltre, nel 1996, dei ricercatori scoprirono che le donne che consumano proteine di soia isolate hanno avuto un’incidenza maggiore di iperplasia epiteliale, una condizione che fa presagire la presenza di tumori maligni. Un anno dopo, si è scoperto che il genistein (un supplemento contenente isoflavoni della soia) stimolava le cellule della mammella ad accelerare il ciclo cellulare, una scoperta che ha portato gli autori a concludere che le donne non dovrebbero consumare soia per evitare il cancro della mammella. Venticinque grammi di proteine isolate di soia contengono da 50 a 70 mg di isoflavoni. Alle donne in premenopausa bastano solo 45 mg di isoflavoni per subire effetti biologici significativi, compreso una riduzione di ormoni necessari per le corrette funzioni della tiroide. Senza considerare che le coltivazioni di soia hanno un grande impatto ambientale. Solo per diritto di cronaca, la prima causa del disboscamento della foresta amazzonica è dovuta proprio alla soia, la continua ricerca di terreni da destinare al mercato della soia sta distruggendo chilometri di foreste e terreni da pascoli. In Asia molti pastori sono in difficoltà perché i terreni da pascolo vengono destinati alla coltivazione della soia. A questo punto bisognerebbe riflettere! Vale la pena mettere a rischio la nostra salute, consumando un alimento sul quale le ricerche scientifiche non sono concluse e non risultano chiare? Perché dovremmo cambiare le nostra abitudini alimentari, diventare da onnivori vegetariani, andare contro natura?

Giovanni, da www.medicinenon.it


STORIA & ARCHEOLOGIA

IL PARADISO SUL MARE DI ANZIO: CASINO’ O TEMPIO MASSONICO?

Il Paradiso sul Mare, riviera di levante Il Paradiso sul Mare, con la sua scenografica e ariosa facciata, le soleggiate terrazze protese sull’azzurro del Tirreno e le torri-altane coronate da cupole argentee, nonostante il suo aspetto vago e solare, è invece uno degli edifici più misteriosi e originali di tutto il Novecento. Nella mente del suo ideatore, Giuseppe Polli, brillante imprenditore e noto commerciante di tessuti della Capitale, il Paradiso era stato concepito come casa da gioco e splendida passerella per il lancio della moda italiana. Costruito fra il 1919 e il 1924 sulla riviera di levante di Anzio, che già in quegli anni era una rinomata meta di villeggiatura dell’agiata borghesia romana, è fondato sulla viva roccia nella quale è stato ricavato un oscuro salone seminterrato, illuminato da torciere, da cui si dipartono

delle grotte che sprofondano nelle viscere della terra. Man mano che si sale verso la parte superiore dell’edificio, attraversando ampie scalee, si incontrano tre grandi sale circolari poggiate una sull’altra in un girotondo di pilastri e colonne, illuminate da ampie vetrate e caratterizzate da strutture murarie sempre più leggere fino ad arrivare alla terrazza rotonda sulla sommità della costruzione, una sorta di ara centrale all’aperto fiancheggiata dalle due torri-altane, simili ad antenne puntate verso il cielo. Una strana conformazione che sembra quasi voler far interagire le energie telluriche sotterranee con quelle cosmiche celesti… Non è un caso che il progettista del Paradiso sia stato l’ingegnere-architetto Cesare Bazzani (Roma, 18731939), un personaggio legato agli ambienti massonici e alla Casa regnante dei Savoia, molto noto per aver realizzato importanti opere

come la Biblioteca Nazionale di Firenze, la sistemazione di Valle Giulia con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e il Ministero della Pubblica Istruzione a Roma, nonché moltissime altre fabbriche sparse per tutta l’Italia che “messe insieme costituirebbero, loro sole, una città vastissima” (G. GIOVANNONI, Cesare Bazzani. Commemorazione, Roma 1939). Anche ad Anzio e a Nettuno Bazzani costruì numerosi edifici tra cui la sua enigmatica villa, chiamata “Montevile a Mare”, che si erge a pochi passi dal Casinò, e altri progetti dai nomi evocativi, come “Nettuneo” e “Belvedere Neroniano”, purtroppo rimasti sulla carta. Dato per certo il legame di Bazzani con la Massoneria, non è fuori luogo azzardare un’interpretazione in chiave esoterico-massonica del Paradiso. E’ abbastanza evidente infatti che la disposizione interna dell’edificio, col passaggio dall’oscuro salone scavato nella roccia alle più luminose ed aeree sale circolari superiori, nell’ottica della simbologia massonica allude al lavoro che l’iniziato deve compiere per purificarsi e dominare gli impulsi e le passioni, al programma iniziatico di crescita interiore che prevede il passaggio dalle tenebre alla luce e il riscatto dalla materia per il raggiungimento di un mondo di solo spirito in cui domina la ragione e il divino. Come già è stato evidenziato dalla critica “Il lessico architettonico di Bazzani è infatti talmente intessuto di simbologia esoterico e massonica da far sorgere l’ipotesi che buona parte della sua committenza [inclusa quella del Paradiso] possa appartenere alla Massoneria, e che si rivolga a lui anche per la sua particolare capacità di esprimersi con i simboli suggerendo discretamente archetipi massonici.” (M. GIORGINI, Con

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Particolare di una delle sale da gioco l’arte, per l’arte: ingegnere Cesare Bazzani, architetto, in AA.VV., Cesare Bazzani. Un Accademico d’Italia, Perugia 1988, p. 34). Nel 1923 Mussolini avviò una campagna antimassonica ordinando a tutti i massoni iscritti al Partito Nazionale Fascista di sciogliere i vincoli con le Logge. Forse per questo motivo alcuni dei simboli presenti nel Paradiso furono occultati, come nel caso della stella a otto punte sul cancello d’ingresso che allude alla stella a nove punte simboleggiante l’azione nei tre mondi materiale, psichico e divino. Ciò testimonia inoltre una tendenza del Bazzani a trasgredire alle regole impartite dal Regime nonostante si dichiarasse apertamente “fascista della prim’ora”. Anche altri elementi decorativi del Paradiso possono essere letti in

chiave simbolico-massonica: il pavimento a scacchiera bianca e nera, tipico dell’iconografia del Tempio massonico, è presente nel salone al piano terra, scavato nella roccia; le croci celtiche e le svastiche ricorrenti nei pavimenti delle terrazze, secondo antiche credenze pagane, simboleggiano il movimento rotatorio del sole e rimandano quindi al ciclo vitale della natura e dell’uomo; le corde annodate, raffigurazione simbolica del legame che unisce fra di loro i massoni, si trovano infine sulle colonne di una delle sale circolari. Nel 1925 il Fascismo sciolse le Logge e negli anni successivi i massoni più determinati a difendere la propria identità spirituale e morale furono mandati al confino o incarcerati, mentre quelli che decisero di rinunciare alle proprie idee continuarono

Ingresso alle grotte scavate nella roccia sottostanti all’edificio

a godere di molti privilegi e ad assumere ruoli di potere. Bazzani, verso il quale Mussolini in più di un’occasione aveva già dimostrato una certa insofferenza, per la sua appartenenza alla massoneria fu costretto a lavorare lontano da Roma, in provincia e in particolar modo a Terni. E’ proprio in questa città che l’architetto trascorse molto tempo negli ultimi anni della sua vita e, secondo alcuni studiosi, qui la sua vena creativa si esaurì ed egli cominciò a frequentare alcuni circoli esoterici locali... ma questa è un’altra storia… Il progetto del Casinò fallì miseramente quando nel 1925 il Ministro degli Interni Federzoni sospese il rilascio delle concessioni per l’apertura delle case da gioco, inclusa quella di Anzio. Successivamente Mussolini acconsentì eccezionalmente all’apertura dei casinò di San Remo, Venezia e Campione, ma non di quello di Anzio, dato che il Vaticano non poteva tollerare la presenza di un luogo di perdizione così vicino al centro mondiale della cristianità. Giuseppe Polli, per l’opposizione della Chiesa e dei “falsi puritani: nemici della libertà, dell’iniziativa privata e del progresso” (G. POLLI, Il mio Paradiso, Roma 1955, p. 70), vide così fallire la sua impresa che avrebbe dovuto essere uno dei centri propulsori per l’economia locale, basato sul trinomio Turismo – Casinò – Moda, come illustra la lapide posta presso il cancello sulla riviera di levante. Rimasto miracolosamente intatto a seguito dei bombardamenti scatenati su Anzio durante lo sbarco degli Alleati, il Paradiso dopo anni di abbandono è pervenuto al Comune di Anzio ed è stato adibito a scuola alberghiera. Il salone delle torciere e le grotte scavate nella roccia non sono ancora accessibili perché pericolanti. Ma nonostante tutto l’edificio continua ad esercitare un notevole fascino, tanto che è stato utilizzato come location cinematografica per numerosi film, tra cui: “Amarcord” di F. Fellini (1973), “Polvere di Stelle” di A. Sordi (1973), “L’emigrante” di P. Festa Campanile (1973), “Camerieri” di L. Pompucci (1995) e “Il Talento di Mister Ripley” di A. Minghella (1999). Tommaso Dore


Uomini nei campi di concentramento Il 27 gennaio è l’anniversario della liberazione dei reclusi sopravvissuti dal campo di concentramento e sterminio di Auschwitz, viene commemorato nel mondo come Giorno della Memoria, in cui ricordare la Shoah. Olocausto è una parola derivante dal greco λόκαυστος (olokaustos, “bruciato interamente”), essa definisce una tipologia di sacrificio, specificatamente della religione greca, ebraica e dei culti dei Cananei, nel quale ciò che si sacrifica viene completamente arso. Per estensione, si riferisce anche all’oggetto del sacrificio. Dalla seconda metà del XX secolo “l’Olocausto” è divenuto per antonomasia il termine con il quale ci si riferisce al genocidio compiuto dal Terzo Reich e dai suoi alleati a danno degli ebrei (circa sei milioni di vittime). Talvolta il termine viene riferito per estensione a tutte quelle persone, gruppi etnici e religiosi ritenuti “indesiderabili” dalla dottrina nazista: omosessuali, oppositori politici, Rom, Sinti, zingari, testimoni di Geova, pentecostali, malati di mente, portatori di handicap, prigionieri di guerra sovietici, ebrei etc. Dalla seconda metà del 1900 il termine “olocausto” è stato utilizzato per descrivere l’eccidio a cui gli ebrei hanno dovuto sottostare sotto il pe-

riodo nazista. Più recentemente è stato adottato il termine Shoah per descrivere la tragedia ebraica di quel periodo storico, anche allo scopo di sottolinearne la specificità rispetto ai molti altri casi di genocidio, di cui purtroppo la storia umana fornisce altri esempi. Shoah significa “desolazione, catastrofe, disastro”. Questo termine venne usato per la prima volta nel 1940 dalla comunità ebraica in Palestina, in riferimento alla distruzione degli ebrei polacchi. Da allora definisce nella sua interezza il genocidio della popolazione ebraica d’Europa. Ciò spiega come la parola Shoah non sarebbe sinonimo di Olocausto, in quanto la seconda si riferisce allo sterminio compiuto dai tedeschi nei confronti di ebrei, comunisti, Rom, omosessuali, testimoni di Geova, dissidenti tedeschi e pentecostali, mentre la prima definisce solamente il genocidio degli ebrei. Infine molti Rom usano la parola Porajmos o Porrajmos («grande divoramento»), oppure Samudaripen («genocidio») per descrivere lo sterminio operato dai nazisti. In aggiunta alle esecuzioni di massa, i nazisti condussero molti esperi-

menti medici sui prigionieri, bambini compresi. Uno dei nazisti più noti, il Dottor Josef Mengele, era conosciuto per i suoi esperimenti come “l’angelo della morte” tra gli internati di Auschwitz. La portata di quello che accadde nelle zone controllate dai nazisti non si conobbe esattamente fino a dopo la fine della guerra. Numerose voci e testimonianze di rifugiati diedero comunque qualche informazione sul fatto che gli ebrei venivano uccisi in grande numero. Quindi l’affermazione che tali eventi fossero sconosciuti non è corretta, alcune notizie filtravano e nel Novembre 1944 il giurista e ricercatore polacco Raphael Lemkin nel suo lavoro Axis Rule in Occupied Europe: Laws of Occupation - Analysis of Government - Proposals for Redres riportava le uccisioni di massa naziste fatte contro le popolazioni polacche, russe , indicando fra liquidati nel ghetto e morti in luoghi sconosciuti, dopo deportazioni ferroviarie, la cifra di 1.702.500 uccisi, secondo un dato fornito dallo “Institute of Jewish Affairs of the American Jewish Congress in New York”.

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LA SHOAH

Si tennero anche delle manifestazioni come, ad esempio, quella tenuta il 29 ottobre 1942 nel Regno Unito; molti esponenti del clero e figure politiche tennero un incontro pubblico per mostrare il loro sdegno nei confronti della persecuzione degli ebrei da parte dei tedeschi. I campi di concentramento per gli “indesiderabili” erano disseminati in tutta l’Europa, creati vicino ai centri con un’alta densità di popolazione “indesiderata”: ebrei, intellighenzia polacca, omosessuali, comunisti e gruppi Rom. La maggior parte dei campi di concentramento era situata nei confini del Reich. Molti prigionieri dei campi di concentramento morirono a causa delle terribili condizioni di vita o a causa di esperimenti condotti su di loro da parte dei medici dei campi. Alcuni campi, come quello di Auschwitz-Birkenau, combinavano il lavoro schiavistico con lo sterminio sistematico. All’arrivo in questi campi i prigionieri venivano divisi in due gruppi; quelli troppo deboli per lavorare venivano uccisi immediatamen-

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Dottor Josef Mengele, conosciuto per i suoi esperimenti come “l’angelo della morte” te nelle camere a gas (che erano a volte mascherate da docce) e i loro corpi bruciati, mentre gli altri venivano impiegati come schiavi nelle fabbriche situate dentro o attorno al campo. I nazisti costrinsero anche alcuni dei prigionieri a lavorare alla rimozione dei cadaveri e allo sfruttamento dei corpi. I denti d’oro venivano estratti (senza anestesia) e i capelli delle donne (tagliati a zero prima che entrassero nelle camere a gas) venivano riciclati per la produzione industriale di feltro. Oltre al campo di Auschwitz-Birkenau (in Polonia), attualmente sono considerati campi di sterminio o campi di concentramento quelli di Bełżec (Polonia), Sobibór (Polonia), Treblinka (Polonia), Chełmno (Polonia), Majdanek (Polonia) e Maly Trostenets (Bielorussia). In tutti questi campi (salvo Auschwitz e Majdanek) solo un piccolo numero di prigionieri veniva tenuto in vita per svolgere i compiti legati alla gestione dei cadaveri delle persone uccise nelle camere a gas. Il trasporto dei prigionieri nei campi era spesso svolto utilizzando convogli ferroviari composti da carri bestiame, con un ulteriore elemento di umiliazione e di disagio dei prigionieri.

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EBREI L’antisemitismo era comune nell’Europa degli anni venti e trenta (anche se le sue origini risalgono a molti secoli prima). L’antisemitismo di Adolf Hitler venne esposto nel suo libro del 1925, il Mein Kampf, che, inizialmente ignorato, divenne popolare in Germania quando Hitler acquistò potere politico. Con una serie di leggi le autorità tedesche limitarono sempre più le possibili attività della popolazione ebraica fino a giungere, nel settembre 1935, alla promulgazione delle leggi di Norimberga che, di fatto, esclusero i cittadini di origine ebraica da ogni aspetto della vita sociale tedesca. L’iniziale politica tedesca di obbligare gli ebrei ad un’emigrazione «forzata» dai territori del Reich raggiunse il suo apice nel corso del pogrom del 9-10 novembre 1938, passato alla storia con il nome di «Notte dei cristalli», quando circa 30.000 ebrei vennero deportati presso i campi di Buchenwald, Dachau e Sachsenhausen ed obbligati ad abbandonare, spogliati di ogni bene, la Germania e l’Austria (annessa nel marzo di quell’anno alla Germania) per poter riottenere la libertà. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale la politica di emigrazione forzata non poté più essere praticata con successo a causa delle difficoltà imposte dalla guerra stessa. La nuova «soluzione» si basò sul fatto che in molte città d’Europa gli ebrei avevano vissuto in zone ben delimitate. Per questo i nazisti formalizzarono i confini di queste aree e imposero una limitazione degli spostamenti agli ebrei che vi erano confinati, creando i ghetti moderni. I ghetti erano, a tutti gli effetti, prigioni nelle quali molti ebrei morirono di fame e malattie; altri furono uccisi dai nazisti e dai loro collaboratori dopo essere stati sfruttati nell’impiego a favore dell’industria bellica tedesca. Durante l’invasione dell’Unione Sovietica oltre 3.000 uomini appartenenti ad unità speciali (Einsatzgruppen) seguirono le forze armate naziste e condussero uccisioni di massa della popolazione ebrea che viveva in territorio sovietico. Intere comunità vennero spazzate via, venendo catturate, derubate di tutti i loro averi e uccise sul bordo di fos-

sati. Nel dicembre del 1941 Hitler decise infine di sterminare gli ebrei d’Europa, durante la Conferenza di Wannsee (20 gennaio 1942), molti leader nazisti discussero i dettagli della “soluzione finale della questione ebraica”. Le decisioni prese a Wannsee portarono alla costruzione dei primi campi di sterminio nel contesto dell’Operazione Reinhard che provvide alla costruzione ed all’utilizzo di tre centri situati nel Governatorato Generale: Bełżec, Sobibór e Treblinka che complessivamente, tra il 1942 ed l’ottobre del 1943, portarono alla morte di 1.700.000 persone deportate dai ghetti attraverso. Le «esperienze» maturate nei campi dell’Operazione Reinhard condussero all’ampliamento del campo di concentramento di Auschwitz, situato strategicamente in una zona di facile accessibilità ferroviaria, e alla creazione di quattro nuove grandi camere a gas ed impianti di cremazione presso il centro distaccato di Auschwitz II – Birkenau. Si calcola che durante la seconda guerra mondiale persero la vita circa sei milioni di ebrei. Le condizioni di abbrutimento e annichilimento della persona sono state riportate nelle pagine di Se questo è un uomo, capolavoro dello scrittore italiano Primo Levi, deportato ad Auschwitz e miracolosamente sopravvissuto alla prigionia nel campo di sterminio. OMOSESSUALI Gli omosessuali erano un altro dei gruppi presi di mira durante l’olocausto. Ad ogni modo il partito nazista non fece mai nessun tentativo di sterminare tutti gli omosessuali; in base alle prime leggi naziste, essere omosessuali in sé non era un motivo sufficiente per l’arresto, occorreva avere compiuto qualche atto omosessuale, punibile in base al paragrafo 175. Dopo la fine delle SA e il trionfo delle SS, però, la persecuzione si aggravò, anche se rimase sempre limitata ai gay tedeschi, ariani. Erano questi che rifiutando di unirsi alle donne intralciavano la crescita della “razza ariana”. I nazisti si disinteressarono in genere degli omosessuali maschi di altri popoli considerati “inferiori”, per concentrarsi e tentare di “curare” i maschi gay tedeschi.


ZINGARI La campagna Hitleriana di genocidio nei confronti dei popoli zigani principalmente Rom e Sinti dell’Europa venne vista da molti come un’applicazione particolarmente bizzarra della scienza razziale nazista. Gli antropologi tedeschi erano disorientati dalla contraddizione che gli zingari erano discendenti degli originali invasori ariani dell’India, che tornarono poi in Europa. Ironicamente, questo li rendeva non meno ariani della stessa gente tedesca. Questo dilemma fu risolto dal Professor Hans Gunther, uno dei principali scienziati razziali, che scrisse: «Gli Zingari hanno effettivamente mantenuto alcuni elementi della loro origine nordica, ma essi discendono dalle classi più basse della popolazione di quella regione. Nel corso della loro migrazione, hanno assorbito il sangue delle popolazioni circostanti, diventando quindi una miscela razziale di Orientali e Asiatici occidentali con aggiunta di influssi Indiani, Centroasiatici ed Europei. » Come risultato, nonostante le misure discriminatorie, alcuni gruppi di Rom, comprese le tribù tedesche dei Sinti e dei Lalleri, vennero risparmiati dalla deportazione e dalla morte. I restanti gruppi zingari soffrirono all’incirca come gli ebrei (e in alcuni casi vennero degradati ancor più degli ebrei).

dell’ascesa al potere nazista, dopo la capitolazione del Reich si contavano ancora 7.000 attivi evangelizzatori. Mentre gli altri erano condannati senza alcuna possibilità di salvezza per motivi razziali, politici o morali, solo per i Testimoni di Geova era prevista l’opzione della liberazione dal campo di concentramento attraverso una semplice firma di abiura.

Uomo con la stella di David (simbolo usato come distintivo dei “non ariani”) Nell’Europa Orientale, gli zingari venivano deportati nei ghetti ebraici, uccisi dagli Einsatzgruppen delle SS nei loro villaggi, o deportati e gasati ad Auschwitz e Treblinka. TESTIMONI DI GEOVA I Testimoni di Geova, malgrado la “dichiarazione dei fatti” del 1933 indirizzata dai Testimoni di Geova al governo tedesco in cui si richiamava l’attenzione di Hitler sul fatto che “Ci sia consentito richiamare l’attenzione sul fatto che in America, dove i nostri libri furono scritti, cattolici ed ebrei si sono alleati nel denigrare il governo nazionale tedesco e nel tentativo di boicottare la Germania a motivo dei principi sostenuti dal partito nazionalsocialista”, furono tra i primi ad essere presi di mira dallo stato nazionalsocialista con la deportazione nei campi di concentramento. Essi rifiutavano il coinvolgimento nella vita politica, non volevano dire “Heil Hitler” né servire nell’esercito tedesco. Nel 1933, la comunità religiosa fu messa al bando e la sua opera di predicazione fu messa fuorilegge. Nell’agosto del 1942, constatando che tutte le misure più drastiche non erano servite né a bloccare le loro attività né ad impedire le loro iniziative, Hitler stesso dichiarò con fervore in un discorso che “questa genìa deve essere eliminata dalla Germania”. Pur subendo numerosi colpi mortali, i Testimoni di Geova non furono sterminati. Da 25.000 all’epoca

ALTRI Dei Pentecostali deportati nei campi di sterminio non se ne conosce il numero preciso in quanto considerati malati di mente a motivo della glossolalia. In Italia venne emanata l’apposita circolare Buffarini Guidi che ne metteva al bando il culto. Le popolazioni slave erano tra gli obiettivi dei nazisti, soprattutto per quanto riguarda gli intellettuali e le persone eminenti, anche se ci furono alcune esecuzioni di massa e istanze di genocidio (gli Ustascia croati ne sono l’esempio più noto). Durante l’Operazione Barbarossa, l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica del 1941-1944, milioni di prigionieri di guerra russi vennero sottoposti ad arbitraria esecuzione sul campo dalle truppe tedesche o vennero spediti nei molti campi di sterminio per l’esecuzione, semplicemente perché erano di estrazione slava. Migliaia di contadini russi vennero annichiliti dalle truppe tedesche più o meno per le stesse ragioni.

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Alcuni membri eminenti dei vertici nazisti, come Ernst Röhm, erano conosciuti dai loro stessi compagni di partito come omosessuali, il che può rendere conto del fatto che la dirigenza nazista diede segnali contrastanti su come trattare con gli omosessuali. Alcuni dei leader volevano chiaramente il loro sterminio, mentre altri si limitavano a chiedere un rafforzamento delle leggi contro gli atti omosessuali, ma per il resto permisero agli omosessuali di vivere come gli altri cittadini. Le stime sul numero di omosessuali internati con il triangolo rosa e uccisi variano molto. Si va da un minimo di 10.000 fino a un massimo di 600.000. Questo ampio intervallo dipende in parte dal criterio adottato dai ricercatori per classificare le vittime: se solo omosessuali o anche appartenenti ad altri gruppi sterminati dai nazisti (ebrei, rom, dissidenti politici).

Il 24 agosto 1941, Adolf Hitler ordinò la fine del Programma T4, l’uccisione sistematica, definita dai nazionalsocialisti «eutanasia», dei malati di mente ed i portatori di handicap a causa di proteste da parte della popolazione tedesca. 12/17 MILIONI DI MORTI Il numero esatto di persone uccise dal regime nazista è ancora soggetto a ulteriori ricerche. Recentemente, documenti declassificati di provenienza britannica e sovietica hanno indicato che il totale potrebbe essere ancora superiore a quanto ritenuto in precedenza. Dai dati si deduce che i morti furono circa: Ebrei 5,9 milioni Prigionieri di guerra sovietici 2–3 milioni

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Polacchi non Ebrei 1,8–2 milioni Rom e Sinti 220.000-500.000 Disabili e Pentecostali 200.000– 250.000 Massoni 80.000–200.000 Omosessuali 5.000–15.000 Testimoni di Geova 2.500–5.000 Dissidenti politici 1-1,5 milioni Slavi 1-2,5 milioni Totale 12,25 - 17,37 milioni. SEGNI DI RICONOSCIMENTO I prigionieri, al loro arrivo, erano obbligati ad indossare dei triangoli colorati sugli abiti, che qualificavano visivamente il tipo di «offesa» per la quale erano stati internati. I più comunemente usati erano: Giallo: ebrei, due triangoli sovrapposti a formare una stella di David, con la parola Jude (Giudeo) scritta sopra; Rosso: dissidenti politici; Rosso con al centro la lettera S: repubblicani spagnoli; Verde: criminali comuni; Viola: Testimoni di Geova; Blu: immigranti; Marrone: zingari; Nero: soggetti “antisociali” e lesbiche; Rosa: omosessuali maschi. CONSEGUENZE L’Olocausto ha una serie di ramificazioni politiche e sociali che arrivano fino al presente. Il bisogno di una patria per molti rifugiati ebrei portò una parte di loro a emigrare in Palestina, gran parte della quale sarebbe ben presto diventata il moderno Stato di Israele. Questa immigrazione ha avuto un effetto diretto sugli Arabi della regione, che ne ha conseguito il discusso (infinito) conflitto israelopalestinese e quelli ad essi correlati. MEMORIA Nota vittima dell’Olocausto fu Frank, una ragazzina ebrea tedesca rifugiatasi in Olanda con la famiglia, che morì nel 1945; ha scritto un diario pubblicato in seguito alla sua morte dal padre, che ha rappresentato una delle più note testimonianze, a livello internazionale, delle persecuzioni naziste. Emblematica fu anche la figura della filosofa ebrea tedesca Edith Stein, scomparsa ad Auschwitz il 9 agosto 1942. Edith Stein, convertitasi al cattolicesimo e santificata ne-

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Auschwitz gli anni finali del pontificato di papa Giovanni Paolo II, incarna infatti la figura dell’ebrea convertitasi al cattolicesimo che la follia nazista non esita ad opprimere con tutta la sua cieca violenza. La radicalità dei suoi costumi religiosi (era diventata monaca di clausura tra le carmelitane) e la fierezza delle sue posizioni porteranno il Reich hitleriano a perseguitarla e a confinarla ad Auschwitz, dove della sua presenza non rimarrà più traccia.

Il 27 gennaio, anniversario della liberazione dei reclusi sopravvissuti dal campo di concentramento e sterminio di Auschwitz, viene commemorato nel mondo come Giorno della Memoria, in cui ricordare la Shoah.

Francesco Voce


Intorno al III° secolo d.C., a causa dell’affermarsi del Cristianesimo e di altre religioni di tendenza enoteistiche, iniziò il lento declino delle religioni pagane, declino inizialmente circoscritto all’interno dell’Impero Romano. Fu Galerio il primo imperatore romano a emanare un editto di tolleranza per tutte le religioni, ma sarà Costantino a agevolare l’ascesa del Cristianesimo e il declino del paganesimo. Nel 313 l’imperatore Costantino emanò l’Editto di Milano. L’Editto di Milano stabiliva, giustamente, la libertà di culto per tutte le religioni e pose fine alle persecuzioni contro i cristiani. L’errore fu che da questo momento la posizione del Cristianesimo come religione di stato si andò a consolidarsi sempre di più, a scapito delle religioni pagane.

Imperatore Costantino Nel III secolo l’impero era in profonda crisi, e all’imperatore Costantino serviva l’oro per sistemare le casse dell’impero. Essendo il Paganesimo una religione molto ricca, all’interno dei templi erano infatti custodite enormi quantità di oro, offerte sacre fatte dai fedeli, tutti questi beni erano indispensabili per l’imperatore Costantino. In questa situazione a Costantino era diventata molto utile per la salvezza economica dell’Impero la diffusione del Cristianesimo, per via

Imperatore Galerio del loro “comandamento della carità” e di un approccio alla vita terrena più remissivo. Ben presto il Cristianesimo si pose in rivalità con le esistenti religioni pagane, specie quando l’imperatore Costantino si convertì alla nuova religione. Intorno al 320 un nuovo editto, sempre emanato da Costantino, proibì i sacrifici e le pratiche divinatorie private. Con Costantino convertito al Cristianesimo anche i suoi figli ne furono influenzati, è il caso di Costanzo II. Nel 341 fu emanato un editto che proibiva i sacrifici pagani, anche in pubblico, e stabiliva che tutti i templi pagani dovevano essere chiusi. Ma la reazione fu di totale disaccordo, tanto che Costanzo II e suo fratello Costante emanarono nuovi leggi che preservavano i templi e stabiliva multe contro i vandalismi rivolti a tombe e monumenti, ponendoli quest’ultimi sotto la custodia dei sacerdoti pagani. Nel 356 venne emanato un editto che puniva con la morte i trasgressori delle precedenti legislazioni. In seguito ai privilegi concessi al Cristianesimo si assistette, spesso da gruppi di fanatici, a vari episodi di distruzione di sculture di divinità e luoghi di culto pagani, con la scusante della credenza che questi luoghi

o sculture fossero le dimore di demoni. Il 27 febbraio 380 i tre imperatori Graziano, Valetiniano II e Teodosio I promulgarono l’editto di Tessalonica. Con questo editto la religione Cristiana divenne ufficialmente religione di stato. Nel 381 fu proibita nuovamente la partecipazione a tutti i riti pagani, stabilendo che coloro che da cristiani si fossero convertiti ala religione pagana perdessero il diritto di fare testamento legale. Nel 382 fu emanato un emendamento il quale sanciva la conservazione degli oggetti pagani di valore artistico. Nel 383 il giorno di riposo, il dies solis, fu rinominato dies dominicus divenendo obbligatorio (nacque la domenica). In seguito a questi emendamenti vi furono varie rivolte, da parte dei pagani. Come reazione Teodosio irrigidì ulteriormente la sua politica religiosa e tra il 391 e il 392, furono emanate i decreti teodosiani, che attuavano in pieno l’editto di Tessalonica. Vennero interdetti gli accessi ai templi pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto, inasprendo ulteriormente le pene amministrative per i cristiani che si convertissero al paganesimo. L’inasprimento della legislazione “anti-pagana”, alimentò l’atteggiamento ostile e barbarico dei cristiani, molti templi pagani furono distrutti e provocarono varie rivolte da parte della comunità pagana. A partire dal 391 Teodosio I proibì il mantenimento di qualunque culto

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LA PERSECUZIONE PAGANA

Imperatore Teodosio

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pagano e il sacro fuoco nel tempio di Vesta (che da secoli ardeva ininterrotto) venne spento, decretando la fine dell’ordine delle Vestali. L’ultima gran sacerdotessa di Vesta fu Celia Concordia (384). I successori di Teodosio I, Arcadio in oriente e Onorio in occidente, ribadirono la proibizione di tutti i culti pagani. Un decreto del 408 sanciva che i templi erano edifici pubblici e come tali andavano conservati, liminandone gli elementi del culto pagano. Nel 415 ad Alessandria d’Egitto, il vescovo Cirillo di Alessandria (oggi Santo per la chiesa cristiana) fu responsabile del martirio della filosofa Ipazia. Le fonti ci narrano che fu presa da una banda di fanatici cristiani (guidati dal vescovo Cirillo) e trascinata in una chiesa dove fu fatta a pezzi e poi bruciata. Nel 435 Teodosio II ordinò la distruzione di tutti i templi pagani rurali sopravissuti. Durante il V secolo l’atteggiamento verso i templi cambiò, quelli che non furono distrutti vennero trasformati in chiese. La motivazione ufficiale fu la volontà di esorcizzare quei luoghi, in realtà il motivo era prettamente economico, era meno dispendioso riutilizzare un tempio che costruire una chiesa ex novo. Inoltre riadattando i templi per il nuovo culto si sperava di attenuare la forte ostilità esistente tra i due gruppi religiosi dei pagani e dei cristiani. Nella sua diffusione, il Cristianesimo lentamente riuscì a distruggere la paganità dell’occidente, privandone i miti del loro significato esoterico/ allegorico, schiacciandone le ideologie, abbattendo i suoi luoghi di culto, le accademie e le filosofie, eliminando fisicamente sacerdoti, filosofi ed intellettuali. La repressione venne attuata anche (specialmente) con la conversione di simboli, figure, divinità pagane in elementi accomunati alla figura di Satana, e quando questi simboli erano molto sentiti dalla popolazione diventavano simboli legati alla vita del Cristo (un esempio è la croce, simbolo per eccellenza solare). Tra il IX e il X secolo molti altri luoghi pagani, legati alla sacralità del territorio, furono recuperati e riutilizzati dagli eremiti per costruirvi eremi

e monasteri. A partire dal II millennio il termine “pagano” venne usato per identificare gli appartenenti a religioni non cristiane, spesso con una valenza dispregiativa, sinonimo di arretratezza e ignoranza. Più tardi venne adottato il termine “eretico” per identificare quegli uomini con idee o filosofie diverse o contrastante alla teologia Cristiana. Nel 1184 Papa Lucio III, durante il Concilio di Verona (presieduto anche dall’imperatore Federico Barbarossa), con la stipula “Ad abolendam diversa rum haeresum pravitatem” costituì l’Inquisizione.

Papa Lucio III L’Inquisizione (o Santa Inquisizione) fu quell’istituzione ecclesiastica atta ad indagare, a reprimere il movimento cataro e controllare i diversi movimenti spirituali e pauperistici e all’occorrenza punire, mediante apposito tribunale, i sostenitori di teorie o filosofie considerati contrarie o pericolose per l’ortodossia cattolica. L’intento ufficiale era quello di riportare gli eretici nella via della “vera fede”. Questo degenerò in una serie di condanne spesso ingiuste e infondate, dando vita alla (delirante) “Caccia alle Streghe”. Per Stregoneria si indica un insieme di pratiche magiche e rituali, spesso di derivazione pagana. La figura della strega ha radici precristiane, ed è presente in quasi tutte le culture, una figura a metà strada tra lo sciamano e l’uomo dotato di poteri occulti. La strega (stregone al maschile) è quindi esperta in varie discipline o comunque ne è a conoscenza di esse,

tra le discipline più note vi sono l’uso medico delle erbe, dei cristalli, delle pietre e la conoscenza delle “arte” divinatorie. Da sempre considerata una persona saggia, colta e dotta, ma l’alone demoniaco gli fu attribuito quando l’Inquisizione iniziò a dargli la “caccia”. Lo stesso Paracelso affermava di aver imparato di più da una strega che dai filosofi e dai medici del suo tempo. La Caccia alle Streghe fu avvalorata anche dal passo 22,12 del libro dell’Esodo, venne tradotto in: “Non lascerai vivere chi pratica magia”; in realtà l’espressione originale in ebraico intendeva: “... qualcuno che opera nell’oscurità e blatera”. L’imperatore tedesco Frederik II, nel 1224 emanò una legge con il quale ordinava che tutti i colpevoli di eresia venissero condannati al rogo. Nel 1252 Papa Innocenzo IV emanò la bolla “Ad extirpanda” con cui autorizzò l’uso della tortura, il successore Giovanni XXII estese i poteri dell’Inquisizione anche nella lotta contro la stregoneria. La prima strega della quale abbiamo notizie storiche certe, si chiamava Angele e venne condannata al rogo, a Tolone (Francia) nel 1274. Su richiesta dei sovrani di Spagna, Ferdinando e Isabella, Papa Sisto IV nel 1478 estese l’Inquisizione nelle terre di Spagna, con l’iniziale intento di debellare l’islam e successivamente (con la scoperta dell’America e l’inizio del colonialismo) fu estesa alle colonie dell’America centromeridionale e nel vice-regno di Sicilia, questa oggi viene conosciuta come l’Inquisizione Spagnola. In Italia la prima condanna di stregoneria, di cui si hanno notizie, risale al 20 marzo 1428 giorno in cui venne messa al rogo Matteuccia Di Francesco, essa fu condannata dal tribunale laico della sua città di Todi (Umbria, Perugia). La “Caccia alle Streghe” si concentrò soprattutto tra la fine del 1400 e la prima metà del 1600 e conobbe due ondate: la prima che andò dal 1480 al 1520 e la seconda dal 1560 al 1650. Nel 1536 su richiesta del re di Portogallo Giovanni III, il Papa Paolo III estese l’Inquisizione dal Brasile, alle Isole di Capo Verde, a Goa e fino in


In Europa l’ultima strega condannata a morte fu Anna Göldi, uccisa nel 1782 a Glarona, in Svizzera. Solo nel 2008 il parlamento Cantonale ha riabilitato la sua figura. Secondo alcune stime furono svolti circa 110.000 processi, svoltisi principalmente in Germania (50.000), in Polonia (15.000), in Francia (10.000), in Svizzera (9.000), nelle Isole Britanniche (5.000), nei paesi Scandinavi (5.000), in Spagna (5.000), in

nome al Tribunale dell’Inquisizione, denominandolo Sacra Congregazione del Santo Offizio. Nel Concilio Vaticano II durante il pontificato di Paolo VI, nel 1965, il Santo Offizio assunse il nome di Congregazione per la Dottrina della Fede (in latino Congregatio pro Doctrina Fidei), fin ad oggi ancora attivo.

Disegno d’epoca raffigurante una strega in volo su una scopa Italia (5.000) e in Russia (4.000). Brian Levack ha valutato un totale di giustiziati pari a circa 60.000 persone in soli tre secoli. In questi processi l’80% degli accusati era di sesso femminile, mentre in Estonia (60%), in Russia (68%) e in Islanda (90%) vi fu una predominanza maschile, dovuta forse al perdurare di una tradizione sciamanica orientata anche al sesso maschile. In Italia la maggior parte dei roghi si ebbero nella prima parte del ‘500 soprattutto nell’Italia Settentrionale ed in Toscana, con un solo caso a Benevento. Probabilmente perché nel meridione la figura della strega era ben integrata nel tessuto sociale, ancora oggi è possibile entrare in contatto con persone che praticano “rituali” considerati “stregonici”, come il togliere le fatture (il malocchio o affascinu) oppure creare talismani e amuleti di buon auspicio. In Italia le maggiori persecuzioni si sono svolte in: Val Camonica (1518-1521) la più grande caccia alle streghe del nostro territorio, dove vi furono tra i 62 e gli 80 roghi; a Como (1510 ca), con circa 60 roghi; in Val di Fiemme (1501-1505), con 11 roghi; a Mirandola (1522-1523), con 10 roghi; a Peveragno (Cuneo) (1513), con 9 roghi. Durante l’Ottocento la maggior parte degli Stati europei soppressero i tribunali dell’Inquisizione, pur mantenendo leggi che continuavano a condannare questa “pratica”. L’unico stato che ha mantenuto l’Inquisizione fu lo Stato Pontificio. Nel 1908 Papa Pio X cambiò il

Stime attuali parlano di circa 110.000 processi, svoltisi principalmente in Germania (50.000), Polonia (15.000), Francia (10.000), Svizzera (9.000), isole britanniche (5.000), paesi scandinavi (5.000), Spagna (5.000), Italia (5.000) e Russia (4.000). Brian Levack ha valutato le esecuzioni capitali al 55% dei processi, giungendo pertanto ad un totale di giustiziati pari a circa 60.000 persone in tre secoli. Anche se ormai, secondo recenti studi, si tende a considerare che le vittime in totale furono circa 9 milioni. In questi processi l’80% degli accusati era di sesso femminile, mentre in Estonia (60%), Russia (68%) e slanda (90%) vi fu una predominanza maschile. A differenza di quanto si crede comunemente, durante il Medioevo le persecuzioni furono rivolte soprattutto contro gli eretici (Catari, Valdesi, o Albigesi), e comunque contro “le altre fedi”, accusate di concubinaggio con il diavolo. È solo a partire dall’età moderna (dopo la scoperta delle Americhe, nel momento in cui nasce l’Umanesimo e in cui la stampa appare) che incomincia la caccia alle streghe vera e propria, persecuzione definita da alcuni sessista (probabilmente l’unica del genere nella storia), per via che spesso le torture sembrano richiamare più a repressioni sessuali che a torture atte per redimere il peccatore o peccatrice.

STORIA & ARCHEOLOGIA

India, questa conosciuta come l’Inquisizione Portoghese. L’Inquisizione Spagnola e Portoghese giustificò lo sterminio del 90% degli indios, del centro-sud America, da parte dei Conquistadores. I conquistadores spagnoli e portoghesi depredavano le terre in nome del Bene, di Cristo. Il processo alle streghe di Salem inaugurò nel 1692 l’inizio di una serie di persecuzioni, accuse ed esecuzioni capitali per il presunto reato di stregoneria. A seguito di tale processo vennero giustiziate 19 persone accusate di stregoneria; 55 fra uomini e donne vennero torturati per aver reso false testimonianze, 150 sospettati furono imprigionati ed altre 200 persone vennero accusate di stregoneria. In seguito i stessi giudici che condannarono e giudicarono queste persone chiesero scusa, ammettendo di aver compiuto una follia e di cercare di non ripeterlo mai più. Molte delle presunte streghe vennero torturate e bruciate vive, le motivazioni ufficiali erano varie, spesso erano mosse da accuse per ragioni futili. Spesso venivano accusate di stregoneria le balie, bastava che il bambino nascesse morto per riversare la delusione e il dolore emotivo verso colei che aveva assistito al parto. Macabramente furono accusati, torturati e in alcuni casi giustiziati anche bambini, di 17 anni, accusati di essere posseduti o di aver partecipato ai Sabba delle streghe. Durante le torture in cambio della riduzione dei tormenti, si invitava la strega o stregone di fare il nome di presunti complici, spesso si invitava di accusare qualche benestante del luogo, allo scopo di poter istituire il processo successivo, che consisteva alla confisca dei beni.

Ma si sa il pregiudizio tarda a morire! Nel 1944 Helen Duncan fu imprigionata per nove mesi creddendola colpevole di aver usato la stregoneria per affondare la nave in cui era morto il proprio marito. Solamente il 2 febbraio del 1998 lo Stato chiese scusa. Nel 1951 in Gran Bretagna furono abrogate le ultime leggi

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Tipica tortura ad opera della Santa Inquisizione contro la Stregoneria, questo permise a Gerald Gardner di pubblicare “Witchcraft Today” (stregoneria oggi), sancendo la diffusione della Wicca e quindi in un certo senso anche dello stesso Neopaganesimo. Nel 1985, una donna a San Diego perse il lavoro perché accusata di essere una strega. Nel 1999, negli Stati Uniti si istituì un gruppo di cristiani conservatori, su iniziativa di Bob Barr, in risposta al crescente fenomeno degli incontri per celebrare riti wiccan nelle basi militari. Il gruppo invitò i cittadini americani a una revisione dei diritti di libertà religiosa alla luce della morale cristiana. Barr sosteneva (e sostiene) che il Neopaganesimo fosse un prodotto di eccessiva libertà e che per sopprimerlo bisognasse irrigidire e limitarne tale concetto. Il 12 marzo 2000, nel corso di una celebrazione in Vaticano, per l’occasione del Giubileo, il Papa Giovanni Paolo II chiese «scusa», in mondovisione, per le colpe passate della Chiesa. Durante l’omelia chiese perdono per “… l’uso della violenza che alcuni di essi hanno fatto … per gli atteggiamenti di diffidenza e di ostilità assunti nei confronti dei seguaci di altre religioni”, sottolineando che

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si chiede perdono per aver adottato “… i mezzi dubbi per i fini giusti …” (era un fine giusto quello di bruciare le streghe?). Un perdono chiesto a Dio (non alle vittime). Un perdono chiesto per i figli della Chiesa (la comunità battezzata) e non per la Chiesa-istituzione. Purtroppo nessun nome di colpevole fu pronunciato e tutto si mantenne generico. Ci si riferì semplicisticamente al regime nazista come “pagano” tacendo sulle prese di posizione a suo favore dei vescovi tedeschi. I peccati a cui si riferiva il per credono vennero collocati a quelli commessi nel secondo millennio, forse perché i pagani massacrati precedentemente non meritavano scuse?

tramite l’uso delle Sacre Scritture, pur essendo corrotte e incomplete dalla manipolazione umana, mentre invece il pagano è un’idolatra, una blasfemo. Ancora oggi nella maggior parte dei paesi islamici vi è il divieto di fare proselitismo per i non musulmani, in alcune località i luoghi di culto non islamici sono obbligati a pagare la jizya (una tassa per essere tutelati e protetti dallo stato, preservandoli da eventuali attacchi violenti). Tutt’oggi il tasso di violenza nei confronti degli islamici che si convertono ad altri credi è molto alto. Solo nel 2011 in Arabia Saudita (paese islamico per antonomasia) i processi terminati con pena di morte contro la stregoneria sono stati circa 73, tra cui molte donne, come Amina Bent Abdellhalim Nassar decapitata in modo cruento, secondo Amnesty sarebbero 140 le persone che aspettano il boia per accuse simili. Oggi, in Occidente il paganesimo si è ripreso e inizia a diffondersi velocemente, in Asia e in Africa è invece ancora in atto, da parte dei cristiani (ma anche islamici), un tentativo di sradicare il paganesimo.

Resta comunque coraggiosa e lodevole la scelta della Chiesa Cattolica di chiedere scusa, anche perché nessuna religione ha finora chiesto scusa per errori commessi, considerando che religioni come l’Islam risultano ancora oggi molto ostili nei confronti dei culti pagani. Per il musulmano il proselitismo verso il paganesimo è un obbligo morale, meno invece verso i fedeli delle religioni monoteiste. Secondo l’Islam i fedeli alle religioni monoteiste posseggono già una “rivelazione”

Francesco Voce


GIOCHI OLIMPICI ANTICHI I Giochi olimpici antichi furono delle celebrazioni atletiche e religiose, svolte nella città della Grecia antica, Olimpia, storicamente dal 776 a.C. al 393 d.C. Le Olimpiadi avevano anche un’importanza religiosa, in quanto si svolgevano in onore di Zeus, re degli dèi. I vincitori delle gare venivano fatti oggetto di ammirazione e immortalati in poemi e statue, e fregiati di una corona di ulivo. I Giochi si tenevano ogni quattro anni e il periodo tra le due celebrazioni divenne noto come Olimpiade; i Greci usavano questa suddivisione per il computo degli anni. Per tutta la durata dei giochi venivano sospese le ostilità in tutta la Grecia: questa tregua era chiamata Ekecheiria. La partecipazione era riservata a greci maschi liberi, che potessero vantare antenati greci. La necessità di dedicare molto tempo agli allenamenti permetteva solo ai membri delle classi più facoltose di prendere in considerazione la partecipazione. L’origine degli antichi Giochi olimpici si è persa, anche se esistono molte leggende. Il primo documento scritto che può riferirsi alla nascita delle Olimpiadi parla di una festa con una sola gara: lo stadion. Da quel momento in poi tutti i Giochi divennero sempre più importanti in tutta la Grecia antica. Successivamente altri sport si aggiunsero alla corsa e il numero di gare crebbe fino a venti, e duravano sette giorni. Nell’antichità, si tennero in tutto 292 edizioni dei Giochi olimpici. A differenza dei Giochi olimpici moderni, solamente uomini che parlavano greco potevano partecipare alle celebrazioni, i partecipanti provenivano dalle varie città stato della Grecia, ed anche dalle colonie della Magna Gracia. I Giochi persero gradualmente importanza con l’aumentare del potere romano in Grecia: all’inizio furono benvoluti e aperti anche a Romani, Fenici, Galli e altri popoli sottomessi (Nerone, ad esempio, aprì un enorme edizione dei giochi a Roma in cui tutti gli atleti dell’Impero Romano poterono partecipare, lui compreso),

Olimpia, Grecia ma quando il Cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero Romano, i Giochi olimpici vennero visti come una festa “pagana”, e nel 393 d.C., l’imperatore Teodosio I, assieme al Vescovo di Milano Ambrogio, li vietò, ponendo fine a una storia durata oltre mille anni. Dopo quasi 15 secoli di interruzione, nel 1896 Pierre de Coubertin ristabilì i giochi olimpici cambiando un bel po’ di regole. GIOCHI OLIMPICI MODERNI I Giochi olimpici moderni continuano ad essere un evento sportivo quadriennale, essi prevedono la competizione tra i migliori atleti del mondo in quasi tutte le discipline sportive praticate nei cinque continenti. Il barone Pierre De Coubertin alla fine del XIX secolo ebbe l’idea di organizzare dei giochi simili a quelli dell’antica Grecia, e quindi preclusi al sesso femminile, ma su questo punto non venne ascoltato. L’interesse nella rinascita dei Giochi Olimpici crebbe quando le rovine dell’antica Olimpia vennero scoperte da degli archeologi tedeschi alla metà del XIX secolo. Contemporaneamente il barone

STORIA & ARCHEOLOGIA

LE OLIMPIADI

francese, Pierre de Coubertin, cercava una spiegazione alla sconfitta francese nella guerra franco-prussiana (1870-1871). Giunse alla conclusione che i francesi non avevano ricevuto un’educazione fisica adeguata, e si impegnò per migliorarla. De Coubertin voleva anche trovare un modo di avvicinare le nazioni, di permettere ai giovani del mondo di confrontarsi in una competizione sportiva, piuttosto che in guerra. E la rinascita dei Giochi Olimpici avrebbe permesso di raggiungere entrambi gli obiettivi. Il barone venne, a tal proposito, influenzato dall’esempio di William Penny Brookes, medico inglese promotore fin dal 1850 di un’iniziativa analoga nella cittadina britannica di Much Wenlock. De Coubertin presentò in pubblico le sue idee nel giugno 1894 durante un congresso presso l’università della Sorbona a Parigi. Il 23 giugno, ultimo giorno del congresso, venne deciso che i primi Giochi Olimpici dell’era moderna si sarebbero svolti nel 1896 ad Atene, in Grecia, la terra dove erano nati in antichità. Fu fondato il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) per organizzare l’evento, sotto la presidenza del greco Demetrius Vikelas.

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STORIA & ARCHEOLOGIA

Pier De Coubertin Le prime Olimpiadi dell’era moderna si svolsero ad Atene nel 1896, esse furono un successo. Con quasi 250 partecipanti, fu per l’epoca il più grande evento sportivo internazionale mai organizzato. La Grecia chiese di diventare sede permanente di tutti i futuri Giochi Olimpici, ma il CIO decise che le Olimpiadi avrebbero dovuto essere organizzate di volta in volta in una nazione diversa. Le seconde Olimpiadi furono assegnate a Parigi, Francia. Il movimento olimpico utilizza diversi simboli, principalmente ispirati alle idee e agli ideali espressi da De Coubertin. A partire dal 1924, vennero istituiti anche dei Giochi Olimpici invernali specifici per gli sport invernali. In più, esistono anche le Paralimpiadi, competizioni fra persone diversamente abili. A partire dal 1994 l’edizione invernale non si tiene più nello stesso anno dell’edizione estiva, ma sfasata di due anni. Probabilmente il simbolo più noto sono i cinque cerchi della bandiera olimpica, che viene issata ad ogni edizione dei Giochi a partire dal 1920. Essa raffigura cinque anelli, di diverso colore, intrecciati in campo bianco. Gli anelli sono cinque come i continenti: Europa, Asia, Africa, America e Oceania. L’intreccio degli anelli rappresenta l’universalità dello spirito olimpico. I colori scelti per i cinque cerchi sono (da sinistra a destra) blu, giallo, nero, verde e rosso. Insieme al bianco dello sfondo, questi colori

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Bandiera Olimpica erano presenti nelle bandiere di tutte le nazioni del mondo nel momento in cui furono scelti. La combinazione dei colori simboleggia quindi tutti i Paesi, ma esiste anche la credenza comune che il colore di ogni cerchio stia a rappresentare un determinato continente. Il motto dei Giochi olimpici è Citius, altius, fortius, ovvero “Più veloce, più alto, più forte”. La fiamma olimpica viene accesa ad Olimpia dai raggi del sole e poi portata da una staffetta di tedofori, introdotta dall’edizione della manifestazione a Berlino nel 1936, fino alla città che ospita i Giochi, dove viene impiegata per accendere il braciere olimpico durante la cerimonia di apertura. La fiamma olimpica arde nel braciere per tutta la durata dell’Olimpiade, e viene spenta nel corso della cerimonia di chiusura. Alle Olimpiadi del 2000 erano presenti 28 discipline sportive, secondo la classificazione adottata dal CIO. Bisogna comunque tenere presente che a volte più sport vengono raggruppati sotto lo stesso nome (per esempio, nel nuoto sono compresi anche i tuffi). Soltanto 5 sport sono sempre stati presenti alle Olimpiadi sin dal 1896: atletica leggera, ciclismo, scherma, ginnastica e nuoto. All’elenco andrebbe aggiunto anche il canottaggio, che era in programma nel 1896, ma le gare furono annullate a causa del maltempo. Nelle Olimpiadi invernali sono attualmente 7 le discipline sportive. Sci alpino, sci di fondo, pattinaggio di figura, hockey su ghiaccio, combinata nordica, salto con gli sci e patti-

naggio di velocità sono sempre stati presenti nei programmi dei Giochi olimpici invernali. Gare di pattinaggio di figura e hockey su ghiaccio erano già presenti nei Giochi estivi, prima dell’introduzione di Giochi invernali separati. Negli ultimi anni il CIO ha inserito nuovi sport nel programma olimpico, tra cui lo snowboard e il beach volley. Dagli anni venti in poi, nessuna disciplina è mai stata tolta dal programma olimpico, ma, viste le dimensioni ormai raggiunte dall’evento olimpico, il CIO si è riservato la possibilità di escludere alcuni sport dopo il 2004. Sport con poco seguito di pubblico o molto costosi potrebbero quindi rischiare di sparire dalle Olimpiadi. Baseball e softball, ad esempio, non saranno presenti a Londra nel 2012. Per le edizioni del 2016 il CIO prevede di avere 28 sport e vorrebbe quindi inserirne altri due oltre ai 26 previsti per il 2012. Gli sport in lista sono 7: baseball, softball (che tenterebbero il rientro) golf (presente nel 1900 e 1904), karate, pattinaggio, rugby a 7 (presente nel 1900, 1908, 1920 e 1924 come versione a 15) e squash. Il 27 luglio 2012 si sono svolti a Londra (Regno Unito) la XXX° Olimpiadi dell’epoca moderna, le prossime Olimpiadi saranno svolte nel 2016 a Rio de Janeiro (Brasile).

Arved


Sebbene il sito sia già da tempo noto agli abitanti del luogo e anche alla Soprintendenza Archeologica dell’Umbria, non ci risulta sia mai stato effettuato, né tantomeno divulgato, uno studio approfondito su tale insediamento. Noi, per primi, vorremmo porlo in relazione ad un analogo sito archeologico, il Sercol di Nuvolera, nel bresciano, avanzando l’ipotesi che entrambi possano essere frutto di una medesima cultura pre-romana che dominò su gran parte dell’Italia centro-settentrionale. La struttura si trova nel comune di Massa Martana, lungo il crinale di un rilievo montuoso dal nome evocativo (Monte il Cerchio), sopra un poggio in posizione dominante, a poco più di 900 metri di altezza s.l.m. Osservando le immagini satellitari del programma Google Earth, è ben visibile la sua forma ad anello, molto regolare, che spicca al margine di una zona boschiva. Le coordinate geografiche sono: 42°45’16.61’’ Nord - 12°34’12.48’’ Est. Ad un primo impatto sembrerebbe una radura contornata da alberi disposti in forma

perfettamente circolare. In realtà si tratta di querce cresciute intorno ad un enorme cerchio di pietre di circa 90 metri di diametro. Il luogo è completamente isolato e abbandonato a sé stesso. Il cerchio è composto da pietre calcaree di dimensioni variabili, giustapposte a secco, che formano un muro di circa 2,8-3,0 metri di spessore, per non più di un metro di sviluppo in altezza. Le pietre sono ricoperte da muschi e licheni, mentre gli arbusti e gli alberi cresciuti tutt’intorno hanno prodotto crolli e reso inaccessibili alcune aree. L’ingresso originario era a Sud, dove il cerchio di pietre s’apre naturalmente, sdoppiandosi e lasciando libero un varco di circa un metro per l’accesso. Altri due varchi, uno posto a Nord e l’altro a Sud-Est, sono stati realizzati in epoca recente, distruggendo parte dell’antica struttura, per consentire il passaggio di un tratturo (si vedono in loco numerosi sassi rotolati lungo i bordi del tracciato). L’area interna è suddivisa in due parti da un lieve salto di quota, lungo il crinale roccioso del colle, che in alcuni tratti mostra la presenza di

un rinforzo murario in pietra eseguito in modo simile alle strutture di tutto il resto dell’insediamento. Il sito attende da anni d’essere accuratamente rilevato e liberato dai rovi e dagli arbusti, allo scopo di poter rinvenire, forse, ulteriori elementi materiali che possano determinarne l’originaria destinazione d’uso. Infatti oggi l’interesse degli studiosi è focalizzato nel definire con chiarezza la funzione di una simile costruzione perfettamente circolare. Seguendo la datazione attribuita dalla Soprintendenza archeologica dell’Umbria, l’insediamento risalirebbe al VIII-VI secolo a.C., ad opera degli Umbri, uno dei più antichi popoli italici. Secondo una delle ipotesi più accreditate, questi si affermarono alla fine del II millennio a.C. e scaturirono dalla fusione tra un’etnia nordica indoeuropea con una preesistente popolazione indigena, la cosiddetta Civiltà Appenninica, influenzata dalla cultura piceno-adriatica (anch’essa d’origine indoeuropea) e poi da quella etrusca. Le fonti ufficiali indicano che il sistema insediativo prevalente fra gli Umbri, prima della romanizzazione del III secolo a.C., era costituito da una serie di villaggi fortificati d’altura per il controllo delle vie di comunicazione e la difesa dei territori appartenenti alle diverse comunità. Utilizzati saltuariamente nella stagione primaverile ed estiva da tribù di pastori transumanti, a partire dal IX-VIII secolo a.C. questi organizzarono più stabilmente le loro attività silvo-pastorali, stanziandosi in cellule disposte lungo tutta la catena montuosa dei Martani, che era parte di un grande percorso di crinale appenninico utilizzato fin dall’epoca preistorica per gli spostamenti lungo la penisola. Sono stati identificati tre principali poli di aggregazione: Monte Torre Maggiore, col suo celebre santuario italico fondato nel VI sec. a.C., Monte il Cerchio e Monte Martano (dove si trovano solo pochi resti).

STORIA & ARCHEOLOGIA

RISCOPERTA SUI MONTI MARTANI LA DIMENTICATA “STONEHENGE” DELL’UMBRIA ?

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Fra questi tre nuclei principali, a spiccata vocazione sacrale, si frapponevano in diretta comunicazione visiva altri villaggi fortificati di minor importanza (Monte Rotondo, Monte del Colle, Monte Comune, Monte Torricella, ecc.), collocati su alture facilmente difendibili e circondati da mura e fossati di forma più o meno circolare o ellissoidale che ricalcano l’orografia a cono delle sommità collinari su cui sono edificati. Tuttavia, nel sito di Monte il Cerchio, la natura accidentata e irregolare del terreno, che presenta piani sfalsati e inclinati, non giustifica la perfetta regolarità del tracciato e lo rende ancor più stupefacente. Questo elemento, inoltre, costituirebbe un punto a favore della tesi che associa la perfetta geometria circolare a luoghi di culto e/o di osservazione astronomica, piuttosto che ad insediamenti realizzati per scopi difensivi. Si evidenzia, poi, l’utilizzo forse improprio del termine “castelliere”, normalmente impiegato per descrivere questo insediamento. Infatti, esso ha poco a che vedere con le omonime fortificazioni presenti in Istria o in area veneta e friulana, dove si riscontrano cinte murarie ampie e possenti alte fino a sei metri. Qui, al contrario, la presenza di bassissime muraglie farebbe scartare l’ipotesi di una sua costruzione a scopo difensivo. Tuttavia, non si può escludere che l’anello di pietra costituisse la base per una palizzata in legno, della quale però non resta alcuna traccia evidente. Al centro del complesso, invece, è visibile una lie-

ve depressione nel terreno roccioso, in corrispondenza della quale probabilmente si potrebbe rinvenire un pozzetto votivo, occluso dal terreno circostante franato. Nel tentativo di dare riscontro alle nostre ipotesi, attraverso il confronto con altri insediamenti simili, ci siamo soffermati sul Sercol di Nuvolera (Desenzano del Garda), reso noto a livello nazionale grazie all’opera meritoria di Armando Bellelli e Marco Bertagna, due archeologi dilettanti, che hanno sollecitato l’attenzione dei tecnici della Soprintendenza archeologica della Lombardia, i quali hanno dichiarato che il sito è di “difficile interpretazione, anche per la mancanza di strutture analoghe” ma di indubbio valore per le sue notevoli dimensioni. Sarebbe quindi “meritevole di indagini e studi approfonditi da parte della Soprintendenza e dei professionisti” (cfr. A. Bellelli, Una proposta di scavi al Sercol di Nuvolera, in “Il Corriere del Garda”, 23 luglio 2011. Vedi inoltre: M. Pari, Tutti lo chiamano “Sercol” ma per gli archeologi sono menhir di 2500 anni fa, in “Il Giorno”, 26 Maggio 2011). Anche il prof. Alberto Pozzi, uno dei più noti esperti italiani di megalitismo, si è interessato all’importante scoperta in Lombardia, affermando che si tratterebbe di un’area sacra destinata, molto probabilmente, all’osservazione della volta celeste, datandola in un arco temporale che va dal 1500 al 500 a.C.. Il luogo mostra caratteristiche tipologiche e costruttive molto simili a quelle del cerchio dei Monti Martani, con un diametro però inferiore, di circa 42

metri. Quello che si pensava fosse un insediamento raro, se non unico nel nostro Paese, avrebbe quindi un fratello maggiore nel cuore dell’Umbria, che risulta anzi essere l’esempio più sorprendente di questo genere di costruzioni perfettamente circolari per la dimensione del suo diametro, il più esteso fra quelli sinora individuati. Come è possibile, infine, che due manufatti così simili fra loro si trovino in aree geograficamente e culturalmente tanto lontane e diverse? Non ci risulta sia mai stato effettuato uno studio comparativo fra i due complessi archeologici e ciò invece potrebbe sciogliere molti interrogativi circa le loro possibili origini comuni. Potrebbero essere entrambi opera di una popolazione nordica indoeuropea, proveniente d’oltralpe, oppure di una civiltà autoctona della penisola? A questo punto scenderebbero in campo i Proto-Villanoviani e questi non potrebbero coincidere con gli antichi e misteriosi Umbri? Alcuni storici greci e latini, infatti, affermano le origini nordiche degli Umbri e che il loro territorio in tempi remoti avrebbe incluso gran parte dell’Italia settentrionale e centrale. Erodoto, ad esempio, li ricorda come abitatori delle regioni in cui scorrevano i fiumi Carpis ed Alpis, affluenti del Danubio, e afferma che prima delle invasioni dei Veneti, essi dovettero occupare anche il territorio padano (Erodoto, IV, 49, 3). Auspichiamo che al più presto possa iniziare una collaborazione fattiva fra gli studiosi e le istituzioni preposte per tutelare i due siti archeologici (nonché altri che si dovessero riscoprire) e per avviare un accurato rilievo topografico e un’analisi approfondita che ne svelino le origini e le funzioni.

Tommaso Dore Francesco Voce (Pubblicato nel mese di Luglio 2012 sulla rivista Fenix e sui quotidiani Il Messaggero e Il Giornale dell’Umbria; nel mese di Settembre 2012 è stato pubblicato sulla rivista Airone).


Particolare della carta del Pallottino relativa alle culture del IX secolo a.C. in cui si evidenzia la ‘Cultura di Terni’ Presentazione Maria Teresa Scozza, già presidente dell’Associazione Culturale Umru, costituita a Terni nel 1991 per promuovere e diffondere le teorie del prof. Manlio Farinacci sulle origini celtiche della bassa Umbria e Sabina, sta portando avanti da tempo con caparbietà e passione una ricerca che ho il piacere di presentare ai lettori della rivista Artemisia. Ho deciso di pubblicarla perché riguarda una vecchia diatriba tra archeologi intorno all’identificazione della cosiddetta ‘Civiltà Villanoviana’. A tal proposito è apparso di recente un articolo a firma dell’archeologo Alessandro Conti (cfr. Gli Etruschi e l’Italia unita, in “Canino 2008”, n. 3, settembre 2011, pp. 6-7) che svela le motivazioni politiche che nella seconda metà dell’Ottocento portarono ad identificare i ‘Villanoviani’ con gli Etruschi, tralasciando completamente gli Umbri. I letterati e i patrioti del tempo vedevano infatti nel popolo etrusco il “cemento unificatore della nazione” funzionale alla definizione dell’identità del nuovo Stato post-unitario. Una prova a supporto di queste affermazioni starebbe nel fatto che la Collezione Casuccini di reperti etruschi provenienti da Chiusi fu spedita nel 1865 al Museo Archeologico di

Palermo. Inoltre, gli Etruschi erano già famosi nelle corti di mezza Europa mentre ben poco si conosceva degli Umbri (Amra o Umru), un popolo preistorico la cui vasta necropoli di Terni sarebbe stata scoperta solo alla fine dell’Ottocento. In particolare, Giuseppe Micali, nel saggio L’Italia avanti il dominio dei Romani del 1821, aveva fissato il carattere ‘italico’ degli Etruschi che avrebbe poi avuto tanta fortuna nel clima nazionalistico dell’Italia risorgimentale, mentre gli studi di Giacomo Devoto sugli antichi Italici, con numerosi riferimenti agli Umbri, furono divulgati solo a partire dal 1931. Infine, sarà stato solo un caso che sempre gli stessi coniugi Cozzadini di Bologna si siano occupati degli scavi di Villanova e abbiano animato uno dei salotti più importanti di Bologna, frequentato da personaggi di spicco del Risorgimento? (Minghetti, Aleardi, Carducci, ecc.). I Villanoviani-Etruschi, infatti, furono strumentalizzati per rafforzare il senso di appartenenza degli italiani al nuovo Regno, seguendo l’idea di un’Italia unitaria e centralizzata in opposizione ai sentimenti autonomistici delle diverse ipotesi federaliste e multietniche.

Tornando alle ricerche della professoressa Scozza, se da un lato non ci sembra possibile assimilare gli Umbri alle popolazioni galliche scese in Italia a partire dal V secolo a.C., dall’altro crediamo invece si possano considerare come discendenti da un’etnia indoeuropea analoga a quella che diede origine alla cultura celtica in Europa. Come spiegare altrimenti le analogie riscontrabili fra la necropoli di Terni, quelle della ‘Civiltà di Golasecca’ (Canton Ticino, Lombardia e Piemonte) e, più in generale, quelle della ‘Cultura dei campi di Urne’ (Urnenfelder) di area transalpina e danubiana? Alcuni storici greci e latini affermano le origini nordiche degli Umbri. Possibile che pur essendo vissuti in un’epoca prossima a quella dei paleo-Umbri si siano sbagliati? Si sbagliano anche i molti studiosi contemporanei non allineati ai preconcetti e ai dogmi della cultura ufficiale di Stato? Per tutte queste ragioni il contributo che vi presento mi sembra molto attuale e meritevole di un approfondimento. Tommaso Dore

STORIA & ARCHEOLOGIA

SE LA PRIMA EUROPA FU CELTICA, LA PRIMA ITALIA FU UMBRA? GLI UMBRI ERANO CELTI?

La ‘Cultura di Terni’ Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, durante gli scavi eseguiti per la costruzione dello stabilimento delle Acciaierie di Terni furono rinvenute numerosissime tombe dell’Età del Ferro, risalenti al X-VI secolo a.C.. Luigi Lanzi, Ispettore agli Scavi e dei Monumenti per il Mandamento di Terni, considerando la densità delle tombe rinvenute, circa trecento, ipotizzò che la necropoli ne contenesse almeno duemilacinquecento, delle quali circa un migliaio furono distrutte durante i lavori di sbancamento. La scoperta della necropoli di Terni richiamò l’interesse di studiosi sia italiani che stranieri, “ma a tutt’oggi non esiste uno studio ‘completo’ dell’analisi dei corredi, delle strutture tombali e del rituale, a causa della completa dispersione dei dati

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Tomba con resti di cavallo dalla necropoli di Hallstatt (da Christiane Eluère, “I Celti, barbari d’occidente”, Electa-Gallimard, Milano, 1984, p. 24) di scavo e degli stessi materiali archeologici.” (Valentina Leonelli, La necropoli delle Acciaierie di Terni: contributi per una edizione critica, in “Indagini”, Ed. Cestres, n. 71, giugno 1996, p. 33). L’archeologo Massimo Pallottino, conscio della straordinaria particolarità di questi stanziamenti, li ha definiti con il termine di ‘CULTURA DI TERNI’, riconoscendone dunque il grande valore. Le testimonianze della ‘Cultura di Terni’ mostrano forti analogie con quelle delle culture celtiche di ‘Hallstatt’ e ‘La Thene’. Infatti gli insediamenti sono dello stesso periodo storico e presentano in parte tipologie di tombe, corredi funebri e simboli analoghi. Ad esempio, nella necropoli di Terni “la tomba II, avente circolo e fila di pietre ha nel suo lato destro una fossa in cui sono stati riconosciuti resti di cavallo.” (V. Leonelli, op. cit., p. 38). I Celti, come attestano i ritrovamenti nella necropoli di Hallstatt, seppellivano i loro cavalli e diversamente dai Romani non li mangiavano. Umbri (Umru) – Celti – Indoeuropei Da anni nella nostra città va avanti un dibattito tra chi pensa che gli Umbri siano di origine ‘celtica’ e chi nega decisamente questa ipotesi. Nel libro Il Vischio e la Quercia (Torino, 2001), dell’antropologo

Riccardo Taraglio, a pp. 43-44, si accenna agli studi del linguista Jean-Baptiste Bullet (1699-1775) il quale nella sua opera Memoires sur la langue Celtique ha elaborato un vero e proprio vocabolario celticofrancese: “Nell’opera di J.-B. Bullet è anche interessante la descrizione della colonizzazione dell’Europa da parte delle popolazioni celtiche e lo sviluppo successivo delle lingue moderne viste come derivazioni, e quindi dialetti, della lingua celtica. A proposito dell’Italia, J.-B. Bullet scrive che il più antico popolo della nostra penisola fu quello degli Umbri, discendenti di quei primi Celti (oggi diremmo Indoeuropei) che giunsero in Europa dalle regioni orientali. Nel momento in cui le coste della nostra penisola venivano colonizzate dai Greci, dal centro Europa i Celti si diressero in Spagna e quindi in Italia. I due popoli si incontrarono poi nel Lazio, originando dalla loro unione il ceppo latino. A questo proposito Bullet porta un esempio linguistico Umbri (Umru) – Celti – Indoeuropei Da anni nella nostra città va avanti un dibattito tra chi pensa che gli Umbri siano di origine ‘celtica’ e chi nega decisamente questa ipotesi. A questo proposito Bullet porta un esempio linguistico citando Dionisio d’Alicarnasso che, parlando della lingua latina, dice che essa non è né interamente barbarica né interamente

greca, ma una mescolanza dell’una e dell’altra, e Quintiliano, il quale osserva che l’idioma latino è zeppo di termini barbarici. E’ da notare inoltre che la lettera «V», ignorata dai greci e comune invece tra i Celti, è molto utilizzata nella lingua latina. Molti antichi autori latini attestano che gli Umbri siano stati una popolazione discendente dai Galli (indoeuropei) e Servio Mario, grammatico romano, cita: «Umbros Gallorum veterum propaginem esse, Marco Antonio refert» [gli Umbri sono un’antica propaggine gallica]. Oltre a questi anche Catone chiama i Galli «progenitori degli Umbri» e Zenodoto di Trezene, citato da Dionisio d’Alicarnasso, dice che gli Umbri si stabilirono nei pressi del Tevere, prendendo il nome di Sabini...”. Un altro autore francese che attesta la celticità degli Umbri è il Thierry, il quale nella sua Storia dei Galli, Parigi, 1845, scrive: “I vecchi Galli, detti Umbri, invasero l’Italia quattordici secoli prima dell’era Cristiana e sedici-diciassette secoli a.C. altri Celti si impossessarono dell’Occidente…”. Umbri: “La memoria di questo popolo giunge a noi come il suono delle campane di una città sprofondata nel mare”... Così esclamò lo storico Theodor Mommsen, probabilmente avendo notato che gli Umbri, pur essendo l’etnia più antica d’Italia, tuttavia non hanno storia. Nei libri dopo poche pagine e qualche volta poche righe, essi non vengono più menzionati e si parla di loro come Aborigeni, Indigeni, Villanoviani, Italici... mentre i Latini restano Latini, i Sabini - Sabini, i Piceni - Piceni, ecc. Elia Rossi Passavanti, nel volume Interamna Nahars, Storia di Terni dalle origini al Medioevo (Roma, 1932, pp. 24-29), riporta numerose testimonianze di scrittori greci e latini a proposito del misterioso popolo umbro e del suo dominio: “La tradizione classica ci ha sempre mostrato gli Umbri come uno dei popoli più antichi d’Italia e che aveva dominato su un territorio vastissimo. Dionisio d’Alicarnasso dice: «In molte regioni abitano gli Umbri e questa è gente fra i primi molto numerosa ed antica» [Rom. Ant. Lib. I, c. 19]. Altri scrittori li hanno chiamati: «il popolo più antico d’Italia» [Flor. Lib. I, cap. 7];


I Villanoviani sono gli antichi Umbri? Nel 1853 fu rinvenuta la necropoli di Villanova, un villaggio nei pressi di Bologna, e da tale scoperta il nome di ‘Civiltà Villanoviana’ fu successivamente dato ai vari ritrovamenti, sparsi per tutta la penisola, aventi caratteristiche simili. A Terni, a partire dal 1884, in occasione degli scavi per l’edificazione delle Acciaierie, venne alla luce una necropoli tra le più vaste d’Europa, segno che la zona era molto popolata fin dai tempi preistorici. Una gran mole di reperti archeologici venne qui alla luce e avrebbe potuto andare ad arricchire il nuovo Museo Archeologico della città, invece è rimasta chiusa nei depositi della Soprintendenza oppure, in minima parte, fa bella mostra di sé nei musei di Perugia, Spoleto e Roma. Ma veniamo al punto: cosa hanno in comune la località Villanova e Terni? Ce lo spiega ancora il Passavanti descrivendo l’originaria espansione degli Umbri lungo la penisola, dall’Agro Reatino all’Insubria o Isumbria nella pianura padana (pp. 2529): “Ma oltre la tradizione storica,

l’antichità e l’estensione verso nord e verso il sud d’Italia di questo popolo è dimostrata dai numerosi sepolcreti scoperti in varie parti della nostra penisola. L’archeologia moderna, in questi ultimi tempi, ci ha dato tante notizie fino a poco fa sconosciute, che servono a confermare la tradizione storica, come questa serve a confermare quelle scoperte. Però i moderni archeologi, impediti da non so qual pudore, queste scoperte e questa civiltà Umbra, non ebbero il coraggio di chiamarla Umbra. Da un villaggio, dove fecero una prima scoperta di una necropoli Umbra, Villanova, la chiamarono Villanoviana. Forse temevano fare ombra a qualche altra civiltà, che si era usurpata l’onore dovuto all’Umbra?!” Civiltà Villanoviana dunque e non civiltà Umbra come sarebbe stato più giusto chiamarla! In sostanza, mentre la tradizione classica ci ha sempre mostrato gli Umbri come uno dei popoli più antichi d’Italia che aveva dominato su un territorio vastissimo, il termine Villanoviano (di origine recente) è servito ai moderni archeologi per identificare una cultura ancora sconosciuta con la civiltà Etrusca. Oggi si continua a parlare di Villanoviani, Aborigeni, Italici, Galli, ecc. ma si ignorano completamente gli Umbri. Torniamo al Passavanti: “Gli Umbri avevano fondato nella valle del Po, ad Este e presso Bologna prima, dei centri importantissimi di popolazioni, che poi scesero verso il sud della penisola italica, estendendosi fino a Verrucchio e Rimini e proseguendo per la costa adriatica fino ad Ancona. Qui si arrestarono nettamente e, deviando, penetrarono attraverso le valli e i monti Appennini nel Piceno e nell’Umbria, ove lasciarono ricordi nelle necropoli di Nocera, di Monteleone di Spoleto e in Terni. Dall’Umbria passarono nella regione, che in seguito fu occupata dagli Etruschi e s’inoltrarono fino ad Allumiere, ove lavorarono nelle miniere di rame, a Civitavecchia e altre località del Lazio fino ad Antium. La maggior parte dei centri che poi divennero metropoli Etrusche, data dal periodo Villanoviano, od Umbro. Questa civiltà deve riportarsi ad oltre i mille anni innanzi l’era Era volgare, e a quell’epoca si riferiscono le urne funerarie, i cosiddetti rasoi lunati, i bronzi decorati e tanti altri oggetti

rinvenuti nei vari sepolcreti e i primi oggetti in ferro. Sul finire dell’IX secolo a.C. e sul principio dell’VIII, vicino alle tombe a incinerazione compaiono le tombe a inumazione come a Tarquinia, a Terni, a Bologna e nel Foro Romano. Man mano che si scende verso il sud della Toscana e nel basso Lazio questa civiltà si attenua, fino a scomparire affatto nella Campania, dove forse non penetrò. Tutto dimostra che questa grande civiltà Villanoviana sia quella che la leggendaria tradizione classica chiama civiltà Umbra, che aveva edificato tante città e centri abitati, da averne trecento soli nella regione poi occupata dagli Etruschi. All’epoca storica gli Umbri sono ridotti al territorio limitato, che occupano al presente. … Gli Umbri appariscono all’epoca romana, confinati nelle montagne dell’Appennino e l’est del Tevere. Ma una tradizione storica, mescolata evidentemente di qualche leggenda, li presenta come gli antichi padroni della gran parte dell’Italia centrale.” Così scriveva Elia Rossi Passavanti che amava la sua terra e soprattutto la ricerca della verità.

STORIA & ARCHEOLOGIA

«La gente più antica d’Italia è detta Umbra, perché si crede sopravvissuta alle inondazioni delle terre» [C. Plinii Secundi, Historiae Mundi, Lib. III, cap. 19]. Erodoto li ricorda abitatori delle regioni in cui scorrevano i fiumi Carpis ed Alpis, e prima delle invasioni dei Veneti essi avevano sede anche nel territorio padano.” [Erodoto, IV, 49, 3]. Si noti che i fiumi Carpis e Alpis sono affluenti del Danubio! L’elenco potrebbe continuare a lungo con Scylax di Cariando che scrisse: “La navigazione lungo le coste del territorio umbro può compiersi in due giorni ed una notte e che al medesimo territorio appartiene anche la città di Ancona.” [Periplo, 16f]. Strabone afferma infine: “L’Umbria inizia dagli Appennini e ancora più oltre dall’Adriatico. … Cominciando da Ravenna gli Umbri occupano Sarsina, Ariminum, Sesa e Marinum ed inoltre il fiume Metauro ed il tempio della fortuna…” e cita poi le città di Ocriculum, Interamna, Spoletium, Aesium, Camertes, Ameria, Tuder, ed Hispellum [Geografia, Lib. V, Cap. II, n. 10].

La conferma della Toponomastica Gli antichi scrittori romani sapevano che prima della grande potenza di Roma, in Italia era esistito un vasto dominio che risaliva all’Età del Ferro (intorno al X secolo a.C.) e tale dominio era quello degli Umbri che popolarono quasi tutta la penisola come molti nomi geografici tendono a dimostrare. Esaminando infatti i toponimi che si riferiscono agli Umbri presenti in ogni regione italiana, si potrebbe pensare che se la prima Europa fu celtica, la prima Italia fu umbra. A tal proposito ci viene ancora in aiuto il Passavanti (pp. 25-26): “Vari nomi geografici sparsi in quasi tutta la penisola Italica indicano chiaramente la permanenza e il dominio di questo popolo: - Umbria, piccola cittadina in provincia di Piacenza; - Umbrile, monte presso lo Stelvio; - Umbriatico, presso Crema; - Umbriano, monte della Garfagnana; - Ombrone, fiume della maremma Grossetana; - Ulubra o Ulumbra, cittadina di-

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STORIA & ARCHEOLOGIA

“Umbria et Ager Gallicus” dalla carta dell’Italia Romana ai tempi di Augusto (Atlante Storico dell’Istituto Geografico De Agostini) strutta che esisteva nel territorio di Velletri presso Cisterna; - Valle degli Umbri e Catino degli Umbri, nel Centro dei monti selvosi del Gargano; - Umbrio, fiume presso Catanzaro; - Piano dell’Umbrio, presso Nicotera.” Noi dal canto nostro, oltre le Alpi abbiamo trovato un passo alpino di nome Umbrail… Quanti altri toponimi riferibili agli Umbri esistono in Europa? Ne abbiamo trovati molti in varie parti del globo. Escludendo quelli del nuovo mondo, dati dagli emigrati italiani in quelle terre, ci limitiamo ad esaminare quelli esistenti in Europa e in Asia. Numerosi sono i toponimi in Portogallo, in Spagna e perfino in India. In Portogallo: Umbria, Umbrias de Camacho. In Spagna: La Umbria (in tre diverse località), Umbria de Arriba, Umbria Alta, Umbria Baja, Umbria de Matasamos. In India: Umbra (in due località) e Umbraj. L’inquadramento della regione degli Umbri nell’Italia romana al tempo di Augusto Dall’88 a.C., concessa la cittadinanza romana a tutti gli Italici liberi in seguito alla Guerra Sociale, l’Ita-

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antenati: Tito Livio ha scritto…, Erodoto ha affermato…, Strabone…, Dionisio d’Alicarnasso…, Plinio il Vecchio…, ecc. Essi hanno ragione su tutto e fanno scuola, però quando accennano alle origini degli antichi Umbri i capiscioni, come li chiamava il prof. Farinacci, storcono il naso e dicono che gli antichi scrittori avevano avuto una svista, che non erano ben informati... La cosa è curiosa perché loro a quei tempi c’erano, erano contemporanei o quasi degli Umbri e dovevano conoscere bene la situazione, loro c’erano… e sapevano. Oggi, tanti secoli dopo, i capiscioni, che a quei tempi non c’erano, si permettono di mettere in dubbio le loro opinioni, riconosciute sempre infallibili in altre questioni. Su Terni e la bassa Umbria è come se ci fosse un coperchio, un cappello, un elmo e qui i Celti non ci sono mai, mai e mai stati…

lia può essere considerata un’unica entità politica la cui storia coincide con quella di Roma. Nei primi anni dell’Impero Augusto accorda inoltre numerosi privilegi, fra cui l’esonero dal pagamento delle imposte. La penisola viene divisa in undici regioni secondo criteri etnico-linguistici rilevati per mezzo di censimenti. La divisione non ha carattere amministrativo ma è un riconoscimento della storia e delle tradizioni italiche. Dall’esame della pianta L’Italia ai tempi di Augusto si nota che la VI Regio è denominata Umbria et Ager Gallicus e che Interamna-Terni e Narnia-Narni fanno parte della stessa regione con Sena Gallica-Senigallia, terra dei Celti Senoni. Sembra evidente che i Romani concordassero con le teorie dell’ ‘altra storia’ che afferma la celticità della bassa Umbria e dunque si è portati a concordare con il Passavanti quando accenna che “qualcuno poi ha voluto chiamare gli Umbri antica propaggine gallica”. Nella città di Terni dopo la morte del prof. Manlio Farinacci non si è più parlato dell’interessante argomento legato agli ‘Umbri-Celti’. Anzi si può dire che è quasi vietato parlare di celtismo. Abbiamo poi notato che quando si vuole affermare una verità praticamente assoluta si citano i nostri

Maria Teresa Scozza


Insieme ad alcuni collaboratori del Centro Studi Italus, siamo andati alla scoperta delle tracce dell’antico culto di Priapo, il grande potere generatore e portatore primario di vita. Tracce sparse un po’ ovunque lungo la penisola italiana e accuratamente censurate dalla Chiesa di Roma. Chi non conosce, ad esempio, il “Gabinetto Segreto” del Museo Archeologico Nazionale di Napoli? In esso sono conservati molti oggetti e opere d’arte ritrovati negli scavi di Pompei ed Ercolano, a partire dal 1738, che riflettono la libertà dei costumi sessuali degli antichi romani. Nel Settecento, nonostante i fermenti riformatori, i costumi non erano altrettanto spregiudicati e i re Borbone decretarono l’istituzione di sale riservate agli “oggetti osceni”, per accedere alle quali era necessario un “Dispaccio particolare”. Nacque così il celebre “Gabinetto Segreto” che per decenni fu oggetto dello scandalo dei benpensanti e della curiosità dei viaggiatori e studiosi stranieri di tutto il Mondo. Tuttavia, qui vorremmo documentare due altri casi, meno conosciuti ma certamente non meno interessanti, di questo antico culto diffuso in tutto il pianeta e le cui origini si confondono con quelle dell’umanità. Il fallo di San Francesco ad Ascoli Piceno Nella principale piazza di Ascoli Piceno, piazza del Popolo, si erge la chiesa dedicata a San Francesco. Sopra la balaustra in travertino del campanile si staglia, incredibilmente, un fallo dello stesso materiale alto circa un metro! Si narra che l’insolita scultura fosse stata piazzata lì per dispetto dai maestri muratori che edificarono il tempio in quanto non furono pagati per il loro lavoro. Secondo questa tesi la vendetta sarebbe da attribuire al maestro comacino Matteo Roberti che eresse la torre campanaria nel 1444, ma non è così! Il monolite fallico non è altro che un antico betilo (il termine beith-el, di origine semitica, significa “Casa di Dio”). Fin dalla più remota preistoria il concetto di fecondità ven-

Affresco d’epoca romana raffigurante Priapo ne associato ad una divinità maschile che assunse la forma di un cippo eretto verticalmente sul terreno, unto periodicamente con olio, vino e sangue. Era considerato il principio universale della vita, la suprema forza generatrice, dal quale l’uomo sentiva di provenire e che perciò ha divinizzato, venerato e invocato con ogni forma di culto. “Così fece Giacobbe che unse la pietra sulla quale aveva dormito: dopo l’apparizione di Dio Padre, la conficcò nel terreno e chiamò quel luogo Beith-el, da qui Betlemme, dove nacque il Cristo, la luce per i

Cristiani. Lì nacque e s’incarnò il Principio e si diffuse nel mondo. Sicché il betilo, in forma fallica, venne ad assumere il significato di centro del mondo cristiano, come il campanile delle cattedrali romaniche e gotiche sparse per l’Europa. Torre su torre per raggiungere il cielo.” Infatti, prima che la mentalità degli uomini giungesse a trar motivo di scandalo dai più augusti misteri della natura, l’unione della Terra e del Cielo da cui si faceva derivare tutto ciò che ha vita, poteva meglio esprimersi per mezzo degli organi genitali.

Ascoli Piceno, campanile della chiesa di S. Francesco

I falli dei Santi Cosma e Damiano ad Isernia Su una collina poco distante dall’abitato di Isernia si erge l’eremo dei Santi Cosma e Damiano, dedicato ai due fratelli medici che subirono il martirio sotto l’imperatore Diocleziano. La chiesa dell’eremo fu costruita intorno al 1130 sui ruderi di un tempio pagano molto antico dedicato al culto di Priapo, dio protettore della virilità. Con l’avvento del Cristianesimo, il culto è continuato e non a caso, come vedremo, furono scelti i due santi medici come titolari della nuova chiesa. A parere di molti, il culto dei Santi Cosma e Damiano sarebbe una sopravvivenza del culto dei Dioscuri, Castore e Polluce, i figli gemelli di Giove e Leda. I Diòs Kouroi, col fi-

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SULLE TRACCE DI PRIAPO…

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STORIA & ARCHEOLOGIA

Isernia, lanterna dell’eremo dei SS. Cosma e Damiano sico di abili e possenti atleti, erano sempre pronti ad accorrere dove qualcuno era in pericolo e, pertanto, rappresentavano la soprannaturale forza ausiliatrice. Erano le figure sacre da invocare per ogni assistenza e in tal senso sono certamente assimilabili a Cosma e Damiano, intesi come medici soccorritori cui chiedere aiuto per il pericolo che temiamo di più: quello della salute personale. Durante il XVIII secolo, il ministro inglese William Hamilton descrisse la permanenza del culto di Priapo nel contado del Molise, del quale

avrebbe avuto notizia nel 1780 da una lettera anonima. Egli sosteneva che Priapo era stato sostituito con San Cosma e che la sua celebrazione avveniva come si faceva per il dio pagano. Hamilton era un antiquary (vale a dire un appassionato di antichità, specie d’epoca classica) alla costante ricerca di “cose remote e strane”. Non gli sarà parso vero poter annunciare al mondo la sopravvivenza in Italia d’un culto osceno e clamoroso come quello per Priapo! Ma gli elementi probatori serviti a Hamilton per avvalorare le sue teorie di eru-

dito e “pagano” britannico sarebbero per alcuni studiosi controversi. Ad ogni modo, da allora, molti scrittori si sono interessati, più o meno approfonditamente, a tale argomento e quasi tutti hanno accettato l’interpretazione che Hamilton ha dato della festa. In effetti, fino a qualche secolo fa, facevano bella mostra e addirittura venivano portati in processione molti simboli fallici. La lanterna cinquecentesca posta sulla sommità della cupola, di forma molto allungata, non sarebbe poi altro che un simbolo fallico!

Rif. bibl.: G. Carabelli, Veneri e Priapi, Bari 1996; M. Gioielli, Isernia festeggia i Santi Medici Cosma e Damiano, in Extra, XI, n. 33, 24 settembre 2004, pp. 16-17; G. Morganti, Voce di popolo (non sempre) è voce di Dio, contributo del 31.03.2010 dal sito internet www.ascolidavivere.it

Tommaso D.

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La recente e progressiva affermazione anche in Italia del Neopaganesimo, seppur tardivamente rispetto ad altri paesi dell’Occidente, in risposta alla richiesta di un nuovo tipo di spiritualità più attuale ed adeguato alle esigenze della società contemporanea, ci ha indotto a riscoprire le antiche radici pagane di una regione come l’Umbria che risulta solo apparentemente permeata da un misticismo cristiano totalizzante. Uno dei luoghi più significativi di questa riscoperta è il monte Torre Maggiore, presso Cesi (Terni), che costituì uno dei principali luoghi di culto pagano della Bassa Umbria fin dall’epoca pre-romana. La conca ternana a quel tempo era un crocevia di popoli: Umbri, Sabini, Piceni, Celti, Etruschi e infine Romani. Si può affermare che con il passaggio dall’Età del Bronzo all’Età del Ferro (ossia intorno al X-IX sec. a.C.) si avviò un processo di graduale assimilazione e osmosi fra diverse culture che diede origine a quella che l’archeologo Massimo Pallottino ha definito “Cultura di Terni”. La catena dei monti Martani si trovava in una posizione strategica e fu utilizzata fin dalla preistoria come percorso di crinale da Nord a Sud, lungo la penisola, e per gli

spostamenti dalla valle di Spoleto a quella di Acquasparta, in direzione Est-Ovest. Sulla vetta di questo percorso, a quota 1120 metri s.l.m., si erge fin dal VI secolo a.C. il santuario pagano di Torre Maggiore, il luogo di culto più elevato del territorio umbro, intorno al quale gravitavano una serie d’insediamenti d’altura abitati dagli Umru – il più antico nome rinvenuto nelle fonti scritte con cui gli Umbri furono chiamati –, un popolo probabilmente sceso da nord, di origine transalpina e indoeuropea, analogo a quello proto-celtico che diede luogo in Austria alla cultura di Hallstatt, e da cui discesero al centro della penisola gli Italici (tra cui gli Umbri e i Sabini). In particolare ci riferiamo ai Naharki di Interamna (l’attuale Terni), ossia gli Umbri abitanti presso il fiume Nera (Nahar), al confine con la Sabina. Con la dominazione romana nel III secolo a.C. e l’apertura del nuovo tracciato viario della Flaminia, risalente al 220 a.C., gli insediamenti d’altura furono abbandonati e la popolazione locale si trasferì a valle costruendo la nuova città di Carsulae. L’accesso al santuario di Torre Maggiore – toponimo derivato da Terra Majura o Ara Major – avviene ancora attraverso la soglia originaria, costituita da un enorme monolite

di pietra calcarea. Al centro del complesso si elevano i resti del podio del tempio principale e più antico, orientato secondo l’asse Est-Ovest e preceduto da un pozzetto votivo, in cui sono stati rinvenuti soprattutto bronzetti schematici di figure umane virili. Tutt’intorno, una serie di locali per il ricovero dei pellegrini, i laboratori per la produzione di ceramiche ed ex voto, e altri locali di servizio. Sul lato settentrionale del tempio fu trovata una testa in travertino raffigurante forse una divinità femminile, alla quale potrebbe essere stato dedicato il secondo tempio più recente, le cui fondazioni si trovano sulla sinistra, lungo l’asse Nord-Sud. Gli attuali resti risalgono all’età re pubblicana (dal III al I secolo a.C.), quando il santuario subì consistenti lavori di ristrutturazione e monumentalizzazione, sebbene le preesistenti strutture costituissero già uno dei più importanti centri di culto della zona. In prossimità del solstizio d’estate, nella notte del 24 giugno, la costellazione dell’Orsa Maggiore cade a perpendicolo sulla cima del Torre Maggiore, che rispetto al ciclo delle stagioni segnalava l’affermarsi dell’estate e dava inizio ai rituali propiziatori di fertilità, così importanti per l’antica civiltà umbra, basata essenzialmente sull’agricoltura e sulla pastorizia. Da questo santuario principale, tramite l’accensione di un grande fuoco, si trasmetteva il segnale del passaggio di stagione a tutta la Bassa Umbria e alla vicina Sabina, tramite gli altri santuari minori posti sulle alture circostanti, come quello di monte San Pancrazio a Calvi. Il panorama spazia infatti a 360° dalla valle spoletina, alla catena dei monti Martani, alle colline verso Todi e Amelia, alla conca ternana, fino ai monti Sabini e oltre. Sul culto che fu all’origine di questo luogo sacro o sui riti che vi si celebravano, possiamo solo avanzare qualche ipotesi, dal momento che ci troviamo di fronte ad una civiltà protostorica che ancora non conosceva

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UMBRIA PAGANA, LA MONTAGNA SACRA DI TORRE MAGGIORE

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la scrittura e data l’esigua consistenza dei manufatti rinvenuti. L’origine del santuario potrebbe essere legata alla presenza di una cavità carsica sul versante ovest del monte. Il fondamentale animismo delle religioni primitive, portò alla nascita di culti associati ad una serie di luoghi naturali, come fiumi, sorgenti, grotte e montagne. Le divinità connesse ai luoghi elevati sono diverse e tra queste vi sono Marte e Giove. Tali divinità erano collegate, inoltre, ai fenomeni atmosferici, ai temporali e quindi con il cielo. Il tempio principale del santuario era probabilmente dedicato a Marte italico, dio agreste e fecondatore, pacifico guaritore e protettore, guardiano dei campi e dei confini. Solo la successiva identificazione con il greco Ares conferì alla divinità romana la più nota caratteristica di bellicoso combattente e alcuni dei suoi attributi, come quello di dio del tuono e del fulmine, furono associati più comunemente a Giove. Il ritrovamento in loco di una saetta in bronzo dorato è stato collegato al culto di Iuppiter Fulguriator (cfr. L. Bonomi Ponzi, Il santuario di monte Torre Maggiore, in Terni – Interamna Nahars, a cura di C. Angelelli e L. Bonomi Ponzi, Roma 2006, pp. 113-115), ma il reperto potrebbe anche essere stato sepolto ritualmente ad indicare un luogo colpito dal fulmine e perciò ritenuto sacro, fulgor conditum (cfr. Cesi, capitale delle Terre Arnolfe, a cura di P. Rossi e C. Feliciani, Terni 2004, p. 124), oppure essere più semplicemente un ex voto. Claudia Giontella ha interpretato il santuario come auguraculum, ossia il luogo nel quale si prendevano gli auspici osservando il volo degli uccelli. Seguendo tale ipotesi, la porzione di cielo visibile tra la vetta del Torre Maggiore (l’Ara Major, l’arce maggiore dell’antica Terni) e il pianoro di Sant’Erasmo (l’Ara Minor) andrebbe a configurare la classica tipologia di “Tempio Celeste” degli Umbri (Verfale), definita dal glottologo Giacomo Devoto. Non una costruzione in muratura quindi – che infatti in origine non esisteva, a parte un altare o un pozzetto per le offerte – ma uno spazio ideale per le pratiche divinatorie, delimitato da due punti a terra e altri due punti proiettati nel cielo, attraverso il quale si sarebbe interpretato

il volo degli uccelli augurali da parte dell’Arsfertor sul punto più elevato, mentre nell’Ara Minor l’Aruspex iniziava il rito sacrificale. Una curiosità: l’ingegner Costanzi di Terni, nel 1930, pubblicò un libretto in cui sostenne che nelle viscere del Torre Maggiore e nell’adiacente monte Eolo di Cesi si trovavano i due accessi alle caverne carsiche in cui si rifugiarono gli antichi Umbri durante la sanguinosa guerra contro i Romani. Questi ultimi, una volta scoperti gl’ingressi vi appiccarono il fuoco facendo morire bruciati e soffocati dai fumi gli avversari, tranne alcuni che riuscirono a salvarsi attraverso una terza via d’uscita segreta dalle grotte, presso la zona in cui sarebbe poi sorta la città di Carsulae (cfr. F. Costanzi, Visioni preistoriche. Le caverne carsiche del Torre Maggiore…, Terni 1930). LA PERSISTENZA DEL CULTO PAGANO A TORRE MAGGIORE Al di là delle sue origini, l’aspetto di questo luogo che riveste maggior interesse riguarda il suo progressivo e lento abbandono o, meglio, la conferma della persistenza del culto pagano per molti secoli anche dopo l’affermazione del Cristianesimo. Infatti, nonostante il materiale di scavo attesti la frequentazione del tempio almeno fino all’inizio del IV secolo d.C., vi sono alcune fonti che documentano la prosecuzione dei riti addirittura fino alle soglie dell’età moderna. Dopo l’abbandono di Carsulae, a seguito di un terremoto nel IV secolo d.C., il santuario pagano di Torre Maggiore sopravvisse e fu meta della popolazione superstite che si era rifugiata a Casventum (San Gemini), Porcaria (Portaria) e Podi Ancziani (Poggio Azzuano), da cui parte unodei percorsi della strada detta del Carre o del Carro che s’inerpica sulla montagna verso l’area sacra. Sin dal 435 Teodosio II ordinò la distruzione dei templi pagani, ma nel corso del V secolo l’atteggiamento mutò, optando per la costruzione di nuovi edifici cristiani sui luoghi degli antichi santuari o, ancor meglio, la loro trasformazione in chiese, riadattandoli alle esigenze del nuovo culto. Un’astuta e vincente politica ripresa con successo ancora nel 601 da papa Gregorio Magno.

Una violenta azione repressiva del paganesimo in Valnerina e in generale nella Bassa Umbria e Sabina, si ebbe ad opera del monaco-condottiero Benedetto da Norcia (480-547), il quale poi dal 529, a Montecassino, diede vita al suo ordine religioso. Con il sopraggiungere dei monaci benedettini e poi nel XIII secolo dei frati francescani, furono costruiti, lungo il percorso sacro pagano di ascensione al monte Torre Maggiore, chiese ed eremi come S. Caterina e l’Eremita, per chi veniva da Sangemini, Poggio Azzuano o da Portaria, e come S. Maria de Fora e S. Erasmo, ecc., per chi saliva dal lato di Cesi. Questi luoghi cristiani costituirono vere e proprie postazioni di controllo sul passaggio dei pellegrini pagani allo scopo di scoraggiarne il culto e cercare di trasformare l’anti co percorso sacro in una via crucis attraverso il regolare svolgimento di processioni. Tuttavia, con la discesa in Italia dei Longobardi (568), fieramente pagani ed eredi della cultura germanica, si ebbe anche in Umbria un parziale rigurgito della vecchia religione, almeno fino alla loro conversione al Cattolicesimo, verso la fine del VII secolo. Dopo lo storico incontro di Terni, nel 742, tra Liutprando re dei ongobardi e Papa Zaccaria, che portò alla donazione alla Chiesa di alcune città dell’Italia centrale (fra cui Ancona, Osimo, Amelia e Orte, agevolando così il processo di formazione dello Stato Pontificio), la nascita nel 962 dello staterello delle Terre Arnolfe favorì invece un’ulteriore persistenza del paganesimo. Si trattava di una piccola regione posta fra Spoleto, Terni, Narni e Todi, con Cesi capitale, che l’imperatore Ottone I di Sassonia diede in feudo ad Arnolfo, suo consigliere, insieme al titolo di conte e vicario imperiale. Le Terre Arnolfe sopravvissero ancora a lungo ostacolando così il diretto controllo sull’area dei monti Martani da parte della Chiesa di Roma almeno fino al XVI secolo. Quindi, nonostante la feroce persecuzione operata dai benedettini e poi la più mansueta e persuasiva opera di conversione da parte dei francescani (S. Caterina e Romita degli Arnolfi), il monte Torre Maggiore, vuoi per la presenza protettiva dei Longobardi e dei Germani, vuoi per la particolare situazione amministra-


e restò spiritata… e cominciorno a piovere grandine, tuoni e saette, et alla fine bastonate…” tanto che si dovette rinunciare all’impresa. A meno di non voler dar fede ad una favola inverosimile come questa, la storia sembra essere stata inventata ad arte per spaventare e dissuadere chiunque dal recarsi al santuario pagano in cima alla montagna in un luogo che, ancora nel XVII, doveva essere teatro del culto. Infatti, come dimostra una veduta del territorio di Todi del 1637, a quel tempo la vetta era nota come Ara Major, i cui resti dovevano essere ancora ben visibili da lontano ed imponenti (cfr. Sul trattato del legno fossile minerale di Francesco Stelluti Accademico Linceo da Fabriano, Roma 1637, ristampa anastatica a cura di E. Biondi, Fabriano 1984). Per inciso, lo Stelluti fu costretto a rifugiarsi presso la corte dei Farnese di Parma in seguito a false accuse di stregoneria. Inoltre, anche nelle Memorie historiche della terra di Cesi raccolte da mons. Felice Contelori, pubblicate a Roma nel 1675, s’accenna alle consistenti rovine del tempio parlando di enormi massi fin lì trasportati. Il documento più interessante che attesta la prosecuzione del culto pagano sul Torre Maggiore è però una cronaca dell’Eremita degli Arnolfi, conservata nell’Archivio francescano provinciale della Porziuncola ad Assisi (busta “l’Eremita di Cesi”): “Nell’an. presente di N. S. 1650, è pervenuto nel nostro Convento de la Ss.ma Annuntiata dell’Eremita de’ P.P. Reformati di S. Francesco, frate Benedetto de’ Città di Castello, Guardiano del Convento di Porcheria [Portaria] di S. Pietro de’ P.P. Cappuccini di S. Francesco, Reli-

gioso di specchiatissima virtù. Seco havea il Fratello Laico fratel Lorenzo d’Amelia. […] Risolvemmo primieramente discorrere delli abusi e schiamazzi che ad ogni anno nascevano a motivo delle malsane feste che gruppi di poveri tappini facevano sù per la Via detta Del Carro fino al Monte Maggiore [Torre Maggiore]. Onde convenimmo procedere a solenni Processioni sù per cognominata Via ut ostacolare i malsani Riti imperetrati da quella Comunità di Infedeli.” Questa straordinaria testimonianza costituisce una prova inequivocabile del paganesimo mai estinto in almeno una parte della popolazione locale. Tutto ciò dimostrerebbe in modo logico e documentato che, nonostante l’accanimento dei secoli precedenti, solo a partire dalla seconda metà del Seicento il santuario s’avviò verso un inarrestabile abbandono. Ora, viste le difficoltà incontrate nell’estirpare l’antico culto dalla località, è possibile che qualcuno abbia pensato di agire drasticamente per la sua completa distruzione? Gli archeologi a tal proposito, a seguito dei recenti scavi effettuati dalla Soprintendenza hanno avanzato un’ipotesi inquietante: la dispersione in tutta l’area circostante di frammenti architettonici, come pietre, tegole, nonché di materiali votivi, proiettati anche a molti metri di distanza dai resti archeologici, farebbe presupporre una distruzione del santuario “per cause traumatiche volute”, forse quindi – azzardiamo noi – tramite cariche di esplosivo (cfr. L. Bonomi Ponzi, cit., p. 124). In Cesi redivivo, Terni Luglio-Agosto 1897 (numero unico), è scritto che in quell’anno, intorno al Torre Maggiore, erano stati posti i bersagli

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tiva delle Terre Arnolfe, nel cui territorio ricadeva, restò ancora meta di pellegrinaggio da parte di alcuni pagani. Inoltre la posizione isolata ed estremamente elevata ben poco si prestava alla costruzione di un edificio sacro cristiano ed era, proprio perché fuori mano, propizia alla permanenza di un culto di così lunga tradizione, risalente all’epoca preromana. Solo con l’assoggettamento definitivo delle Terre Arnolfe alla Chiesa di Roma, intorno alla metà del XVI secolo, iniziò il completo declino dell’area sacra pagana, il cui totale abbandono e distruzione avvennero probabilmente verso al fine del secolo successivo. Vi sono infatti alcune preziosissime testimonianze sull’ulteriore sopravvivenza del santuario e del culto pagano: Padre Faustino da Toscolano in un manoscritto del 1618, Itinerari di Terrasanta, ritrovato nell’archivio comunale di Todi e pubblicato nel 1992 a Spoleto dalla Proloco di Toscolano, nel primo capitolo intitolato Dell’ingresso e progresso nella Serafica Religione, et viaggi da mefatti fin a Napoli (pp. 63-65), narra una singolare vicenda ammonitrice: Una bambina di dieci anni, lasciata sola a casa dai genitori in una notte di Carnevale, fu persuasa da una vecchia sua vicina a recarsi con lei ad un “festino nobilissimo”, purché non proferisse parola. Trasportate fin sulla vetta del monte Torre Maggiore, vi “trovorno suoni, balli, molte persone cognite et apparecchi di tavole sontuose. La povera figliuolina scordatasi dell’ammaestramento della mala vecchia, e stupìta di tanta grandezza e festa disse: ‘Giesù Maria che belle cose!’. Et al proferir di tante parole subito il tutto disparve, restando la povera figliuola ignuda e sola in sì alto monte. La quale con continuo pianto e stridori cominciò a caminare, senza saper ove si fosse, né dove così di notte viaggiasse, miracolosamente s’accostò alla Romita nostro convento…”, dove fu accolta dai frati francescani e l’indomani ricondotta a casa dai suoi genitori. La bambina raccontò poi d’aver visto un inestimabile tesoro, la qual cosa giunse all’orecchio del Papa Paolo V che inviò da Roma suoi emissari per ritrovarlo. Condussero la giovane sul luogo ma non appena essa segnò col piede il punto dove scavare “subito gli entrorno spiriti nel piede,

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La tavola illustrativa del Territorio di Todi nella provincia dell’Umbria che apre il trattato dell’accademico linceo Francesco Stelluti (1637), fornita dal principe Federico Cesi, in cui è ben visibile l’Ara Major in cima al monte Torre Maggiore. di un poligono di tiro, allestito sui rilievi circostanti per lo svolgimento di esercitazioni di tattica bellica. Inoltre, “Sul monte Peracle (Torre Maggiore) si vedono le vestigia … di grandi fabbricati, e la strada ora nascosta detta del Carro, che partiva da Carsoli.” Le grandi rovine della stampa dello Stelluti, descritte anche dal Contelori, erano quindi forse ancora in piedi nel 1897? Furono danneggiate proprio in occasione di quelle esercitazioni militari? O ciò non potrebbe essere avvenuto nel 1943-44 durante i combattimenti e i bombardamenti che interessarono la città di Terni e le alture circostanti? In questo caso, però, la documentazione fotografica reperita presso l’Aerofototeca Nazionale dell’I.C.C.D. di Roma (R.A.F., 138/32, del 18-05-1944), non mostra alcun segno evidente di bombardamenti sulla vetta del monte e, anzi, le rovine del santuario risultano appena visibili, tanto da apparire come tracce sepolte dai sedimenti di terreno. E se invece fosse vera la prima ipotesi molto più sconcertante? L’ostinata sopravvivenza del paganesimo fino al XVII secolo avrebbe potuto condurre la Chiesa alla decisione di mettere fine una volta per tutte al pellegrinaggio degli infedeli, falliti tutti i precedenti tentativi di dissuasione e conversione? La distruzione sarebbe avvenuta allora repentinamente

e non, come è stato affermato, per un lento e naturale deperimento a seguito dell’abbandono del culto in età tardo-antica. Poi, l’Illuminismo e i moti rivoluzionari che seguirono, a parte i danni subiti dalla Chiesa, diedero un colpo di grazia ai culti agrari dell’antico paganesimo, che nell’arco di pochi decenni degenerò, soprattutto per merito della persecuzione ecclesiastica, in superstizione e stregoneria popolare. Chiudiamo, al di là delle ricostruzioni storiche più o meno condivisibili, con un suggestivo racconto, rivelatore forse del più autentico Genius Loci di queste montagne: “Qualcuno mi ha confessato che quando il giorno si sente alquanto depresso per motivi a lui ignoti e quindi inspiegabili, nella notte si reca sulla montagna di S. Erasmo e sale sopra un leccio per sedersi al primo incrocio di rami. Il che avviene tutto automaticamente come per predisposizione. Da qui guarda a lungo la Valle con tutte le sue luci sparse, piccole come tenui lucciole, poi comincia a fissar lo sguardo nel cielo, sia esso limpido o nuvoloso, finché non si sente assorbito in esso perdendo ogni sensazione del corpo. Dopo molto … ha un recupero di sensibilità fisica e scende dall’albero. Per un lungo periodo di tempo si sentirà sempre ‘in forma’ e vigorosamente rigenerato. … Che su queste montagne si ricevano

sensazioni di benessere e rinvigorimento dovute agli astri in cielo che vi proiettano i loro influssi positivi, è indubbio per questi giovani. Il ‘che’ accettano con convinzione senza troppo scavare col ragionamento.” (M. Farinacci, Mentalità Ternana Celto Pagana, Terni 1991, p. 12).

Tommaso Dore


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HALLOWEEN

Come tutti gli anni, nella notte tra il 31 ottobre e il 1novembre ricorre la festività di Halloween. La notte più magica e misteriosa dell’anno, la notte delle streghe, dei mostri e dei fantasmi. Ma cos’è Halloween? Le sue origini antichissime affondano nel più remoto passato delle tradizioni europee: viene fatta risalire a quando le popolazioni tribali usavano dividere l’anno in due parti in base alla transumanza del bestiame. Nel periodo fra ottobre e novembre, preparandosi la terra all’inverno, era necessario ricoverare il bestiame in luogo chiuso per garantirgli la sopravvivenza alla stagione fredda: è questo il periodo di Halloween. In Europa la ricorrenza si diffuse con i Celti. Questo popolo festeggiava la fine dell’estate con Samhain, il loro Capodanno. In irlandese antico Samain significa infatti “fine dell’estate” (Sam, estate, e fuin, fine). A sera tutti i focolari domestici venivano spenti, e riaccesi dai druidi che passavano di casa in casa con torce avvivate presso il falò sacro situato a Tlachtga, vicino alla reale Collina di Tara. Nella dimensione circolare-ciclica del tempo, caratteristica della cultura celtica, Samhain si trovava in un punto fuori dalla dimensione temporale che non apparteneva né all’anno vecchio e neppure al nuovo; in quel momento il velo che divideva dalla terra dei morti si assottigliava

ed i vivi potevano accedervi. I Celti non temevano i propri morti e lasciavano per loro del cibo sulla tavola in segno di accoglienza per quanti facessero visita ai vivi. Da qui l’usanza del trick-or-treat (in italiano “dolcetto o scherzetto?”). Oltre a non temere gli spiriti dei defunti, i Celti non credevano nei demoni quanto piuttosto nelle fate e negli elfi, entrambe creature considerate però pericolose: le prime per un supposto risentimento verso gli esseri umani; i secondi per le estreme differenze che intercorrevano appunto rispetto all’uomo. Secondo la leggenda, nella notte di Samhain questi esseri erano soliti fare scherzi anche pericolosi agli uomini e questo ha portato alla nascita e al perpetuarsi di molte altre storie terrificanti. Si ricollega forse a questo la tradizione odierna e più recente per cui i bambini, travestiti da streghe, zombie, fantasmi e vampiri, bussano alla porta urlando con tono minaccioso: “Dolcetto o scherzetto?”. Per allontanare la sfortuna, inoltre, è necessario bussare a 13 porte diverse.

Il nome “Halloween” deriva da “All Hallows Eve”, che vuole dire appunto “Vigilia di Tutti i Santi”, perciò “Vigilia della festa di Tutti i Santi”, festa che ricorre, appunto, il 1º novembre. Poiché la figura dei “Santi” è posteriore alla religione druidica, un altro etimo potrebbe essere “All allows even”, cioè “la sera in cui tutto è permesso”, incluso i defunti che escono dalle tombe per far visita ai vivi. Bisogna ricordare che non è vero che essa sia una festa prettamente nordica, ma usanze simili li ritroviamo anche nel mediterraneo e in Italia. In Calabria nella notte tra il 31 e il 1 novembre, i bambini bussano di casa in casa a chiede “mi fati i muoarti?” (trad. fate un’offerta per le anime dei

defunti?), anche in questa occasione non si facevano doni in moneta ma in cibarie, questa usanza era molto diffusa fino al secolo scorso. Usanza simile la ritroviamo in Sicilia, dove per l’occasione vengono preparati dei biscotti di pasta di mandorla a forma di osso, denominati appunti “ossi di morto”. L’elenco di usanze simili nel suolo italiano è lungo, e questo denota come Halloween sia una festa tipica europea, sia continentale che mediterranea. Halloween non ha nulla di diabolico! Se il Carnevale nasce come festa per scacciare i demoni o gli spiriti invernali e aiutare la terra a riprendersi dal lungo inverno, Samhain o Halloween va vista come quella festa che ringrazia la terra per ciò che ci ha donato e l’accompagna dolcemente nel suo riposo invernale. Cercando di esorcizzare e scacciare (con travestimenti e fuochi) gli spiriti infernali che potrebbero far diventare l’inverno rigido e lungo più del dovuto. L’alone di horror che riveste Halloween è dovuto solo all’avvento del cinema, che per speculare ha rivestito questa festa di un alone di mistero, di sangue e esoterismo. Quindi credenti o non, festeggiate sia il carnevale che halloween, d’altronde, al di la del significato molto profondo, sono dei momenti di spensieratezza e non hanno nulla di diabolico.

Francesco Voce

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La strega è una donna ritenuta dedita all’esercizio della stregoneria, ovvero, secondo la credenza popolare tradizionale, comune a molte culture, è una donna che si ritiene sia dotata di poteri occulti; il suo omologo maschile è stregone. La figura della strega ha radici che precedono il Cristianesimo ed è presente in quasi tutte le culture come figura a metà strada tra lo sciamano e chi, dotato di poteri occulti, possa utilizzarli per nuocere alla comunità, soprattutto agricola. Solitamente le streghe si distinguono in due categorie, streghe nere e streghe bianche. Secondo la tradizione, le prime hanno più probabilità di avere contatti con il male, mentre alle seconde, vengono attribuiti dei poteri di guarigione. Il termine deriverebbe dal greco “stryx, strygòs” e sta per “strige, barbagianni, uccello notturno”, ma col passare del tempo assunse il più ampio significato di “esperta di magia e incantesimi”. Nel latino medioevale il termine utilizzato era lamia, mentre nell’Italia dei giorni nostri il sostantivo varia molto a seconda della zona. Possiamo perciò trovare: Masca o Maggia (Piemonte) Stria o Bàsura (Liguria) Borde (Toscana) Strìa o Maggia (Lombardia, Emilia, Trentino Friuli-Venezia Giulia) Cogas, stria, brúscias o maghiargia (Sardegna) Strìa, Striga o Strigo (Veneto) Janara (Irpinia) Mavara (Sicilia) Magara o Megera (Calabria e Basilicata) Masciáre o Chivàrze (Taranto e provincia) Macàra (Salento) Stiara (Grecìa Salentina) Stroll’ca (Umbria)

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Sin dall’antichità, le streghe sono delle donne che hanno poteri magici, non di rado sono rappresentate accanto ad un filatoio o nell’atto di intrecciare nodi, a richiamare l’idea delle tessitrice (le moire greche), cioè capaci di interagire con il destino degli uomini. Inoltre, ogni strega spesso è accompagnata da qualche

LA STREGA

Il Sabba, quadro di Francesco Goya, 1795. In realtà il dio caprone non era collegato al Demonio ma era un’antico retaggio pre-cristiano che simboleggiava la fertilità. strano animale con caratteri mitologici/mistici o “diabolici” che fungerebbe da consigliere della propria padrona, quali gatto, corvo, civetta, topo o rana. E ancora, le loro stregonerie avvengono in giorni stabiliti in base al ciclo naturale, i Sabbat. Inoltre, un’altra immagine tradizionale e popolare della strega è la rappresentazione di essa in volo a cavallo di una scopa. Questa iconografia dichiara esplicitamente la sua parentela con la Befana, e l’appartenenza di entrambe le figure all’immaginario popolare dei mediatori tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Al giorno d’oggi, in ambito religioso si intende per “strega” il seguace della Stregoneria Tradizionale (quella Italiana chiamata Stregheria) o identificare (anche se poco usata) i “seguaci” della Wicca (erroneamente a volte considerata Stregoneria “moderna”), appartenente all’ambito del Neopaganesimo. Nella storia della letteratura la figura della strega e quella della maga sono spesso intrecciate partendo da Medea, che è al tempo stesso una sacerdotessa di Ecate, ed una guaritrice o avvelenatrice, passando

per Circe fino ad arrivare alle figure di Alcina nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, senza dimenticare le streghe e maghe della saga fantasy del Ciclo di Avalon, scritta da Marion Zimmer Bradley. In comune hanno la capacità di essere incantatrici e tessitrici di illusioni. Nella letteratura non italiana, come ne La Celestina, la strega è spesso presente come personaggio rilevante. Sono molto spesso presenti come antagoniste nelle fiabe popolari. Durante il medioevo le streghe furono oggetto di persecuzione da parte della religione cristiana, la famosa caccia alle streghe. Le vittime dell’inquisizione furono centinaia di migliaia, purtroppo molte di esse non erano vere streghe, ma vennero accusate di stregoneria solo per motivi religiosi, culturali ed economici.

Francesco V.


inverno quando tutto appare sterile. Ecco quindi il significato intrinseco dell’albero di Natale, cioè la fertilità e la rinascita. Per molto tempo, la tradizione dell’albero di Natale rimase tipica delle regioni a nord del Reno. I cattolici la consideravano un uso protestante. Furono gli ufficiali prussiani, dopo il Congresso di Vienna, a contribuire alla sua diffusione negli anni successivi. A Vienna l’albero di Natale apparve nel 1816, per volere della principessa Henrietta von Nassau-Weilburg, ed in Francia nel 1840, introdotto dalla duchessa di Orléans.

Quella dell’albero di Natale è, con il presepe, una delle più diffuse tradizioni natalizie. In genere l’albero di Natale in Italia è un peccio (Picea Abies) detto anche Abete Rosso. L’immagine dell’albero come simbolo del rinnovarsi della vita è un tradizionale tema pagano, presente sia nel mondo antico che medioevale, in seguito assimilato dal Cristianesimo. L’abete, essendo una conifera sempreverde, facilmente richiama il perpetuarsi della vita anche in Inverno. Presso molti popoli, in particolare gli Indoeuropei, l‘Albero Cosmico rappresenta la manifestazione divina del cosmo. Ne sono esempi l’albero Cosmico indiano “il puro, il Brahman. Tutti i mondi riposano in lui” (Katha Upanishad VI, 1), lo Yggdrasil germanico, il veterotestamentario Albero della Vita (Genesi 2, 3). L’usanza in ambiente Cristiano dell’albero di Natale è strettamente derivato dalla tradizione pagana, tuttavia, sembra che sia a Tallinn, in Estonia nel 1441, che fu eretto il primo albero di Natale con significati cristiani, nella piazza del Municipio, Raekoja Plats, attorno al quale giovani scapoli uomini e donne ballavano insieme alla ricerca dell’anima

gemella. Tradizione poi ripresa dalla Germania del XVI secolo. Ingeborg Weber-Keller (professore di etnologia a Marburgo) ha identificato, fra i primi riferimenti storici alla tradizione, una cronaca di Brema del 1570, secondo cui un albero veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. La città di Riga è fra quelle che si proclamano sedi del primo albero di Natale della storia (vi si trova una targa scritta in otto lingue, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510). Precedentemente a questa prima apparizione “ufficiale” dell’albero di natale (come oggi concepito dalla nsotra cultura) si può però trovare anche un gioco religioso medioevale celebrato proprio in Germania il 24 dicembre, il “gioco di Adamo e di Eva” (Adam und Eva Spiele), in cui venivano riempite le piazze e le chiese di alberi di frutta e simboli dell’abbondanza per ricreare l’immagine del Paradiso. Successivamente gli alberi da frutto vennero sostituiti da abeti poiché questi ultimi avevano una profonda valenza magica per il popolo. Infatti l’abete adobbato per i culti pre-cristiani rappresenta la Dea Madre, che è sempre fertile anche in

A tutt’oggi, la tradizione dell’albero di Natale, così come molte altre tradizioni natalizie correlate, è sentita in modo particolare nell’Europa di lingua tedesca, sebbene sia ormai universalmente accettata anche nel mondo cattolico (che spesso lo affianca al tradizionale presepe). A riprova di questo sta anche la tradizione, introdotta durante il pontificato di Giovanni Paolo II, di allestire un grande albero di Natale nella sede del cattolicesimo mondiale, piazza San Pietro a Roma.

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L’ALBERO DI NATALE

D’altronde un’interpretazione allegorica fornita dai cattolici spiega l’uso di addobbare l’albero come una celebrazione del legno (bois, in francese è sia inteso come “albero” sia come “legno”) in ricordo della Croce che ha redento il mondo (Padre Thomas Le Gal). Si noti la similitudine dell’albero con il pilastro cosmico chiamato Yggdrasill dalla mitologia nordica, fonte della vita, delle acque eterne, cui è vincolato il destino degli uomini: similitudini queste sincreticamente assorbite nel culto cristiano che celebra l’albero di Natale e la Croce stessa. La similitudine tra albero sacro e Croce fu usata anche dai missionari cristiani tra l’VIII e X secolo per convertire i popoli germanici in Europa centro-settentrionale.

Leron

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MITOLOGIA & FOLKLORE

LA BEFANA vecchia (in questo caso pieno di dolciumi), rientra invece tra i riti di fine Quaresima, sempre con il significato di porre fine all’anno vecchio. In quest’ottica l’uso dei doni assumerebbe un valore propiziatorio per l’anno nuovo. Un’ipotesi suggestiva è quella che collega la Befana con una festa romana, che si svolgeva all’inizio dell’anno in onore di Giano e di Strenia (da cui deriva il termine “strenna”) e durante la quale si scambiavano regali. La Befana si richiama pure ad alcune figure della mitologia germanica, Holda e Berchta, sempre come personificazione della natura invernale.

La Befana, corruzione lessicale di epifania (da cui anche “Pefana”), è una figura tipica di alcune regioni, diffusasi poi in tutta Italia. La Befana appartiene alle figure folkloristiche, dispensatrici di doni, legate alle festività natalizie. Secondo la tradizione italiana e di alcune parti nel mondo la Befana, raffigurata come una vecchia che vola su una scopa, fa visita ai bambini nella notte tra il 5 e il 6 gennaio (la notte dell’epifania) per riempire le calze lasciate da essi appositamente appese sul camino o vicino a una finestra. Inoltre, in molte case, per attirare benevolmente la befana, è tradizione lasciare un piattino con qualcosa con cui possa ristorarsi: generalmente si tratta di un mandarino, un’acciuga, un pezzo di aringa affumicata o qualche cipollina sotto aceto e un bicchiere di vino rosso. Nel caso i bambini siano stati buoni, il contenuto delle calze sarà composto da caramelle e cioccolatini, caramelle alla frutta, mandarini, noci, frutta secca e piccoli regali, in caso contrario conterranno carbone, (oggi si usa un preparato in zucchero colorato di nero a forma di carbone e molto duro da masticare). L’origine di questa figura va probabilmente connessa a tradizioni agrarie pagane relative all’anno trascorso, ormai pronto per rinascere come

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anno nuovo. Difatti rappresenta la conclusione delle festività natalizie come interregno tra la fine dell’anno solare (solstizio invernale, Sol Invictus) e l’inizio dell’anno lunare. Anticamente la dodicesima notte dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura pagana di Madre Natura. I Romani credevano che in queste dodici notti, figure femminili volassero sui campi appena seminati per propiziare i raccolti futuri. A guidarle secondo alcuni era Diana, dea lunare legata alla vegetazione, secondo altri una divinità minore chiamata Satia (=sazietà) o Abundia (= abbondanza). La Chiesa condannò con estremo rigore tali credenze, definendole frutto di influenze sataniche. Queste sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni che sfociarono nel Medioevo nella nostra Befana, il cui aspetto, benché benevolo, è chiaramente imparentato con la personificazione della strega. L’aspetto da vecchia sarebbe dunque una raffigurazione dell’anno vecchio: una volta davvero concluso, lo si può bruciare così come accadeva in molti paesi europei, dove esisteva la tradizione di bruciare fantocci, con indosso abiti logori, all’inizio dell’anno. In molte parti d’Italia l’uso di bruciare un fantoccio a forma di vecchia o di segare un fantoccio a forma di

Secondo una versione “cristianizzata”, i Re Magi, diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una signora anziana. Malgrado le loro insistenze, affinché li seguisse per far visita al piccolo, la donna non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentitasi di non essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci, uscì di casa e si mise a cercarli, senza riuscirci. Così si fermò ad ogni casa che trovava lungo il cammino, donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù. Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.

Francesco V.


Il carnevale è una festa che si celebra nei paesi di tradizione cristiana (soprattutto in quelli di tradizione cattolica). I festeggiamenti si svolgono spesso in pubbliche parate in cui dominano elementi giocosi e fantasiosi. Le prime testimonianze dell’uso del vocabolo “carnevale” (detto anche “carnevalo”) vengono dai testi del giullare Matazone da Calignano alla fine del XIII secolo e del novelliere Giovanni Sercambi verso il 1400. La parola carnevale deriva dal latino “carnem levare” (“eliminare la carne”) poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima. Quanto all’etimologia, il termine deriva da carne-(le)vare, riferito alla vigilia della Quaresima giorno in cui era interdetto l’uso della carne. Tradizionalmente nei paesi cattolici, il Carnevale ha inizio con la Domenica di Settuagesima (la prima delle nove che precedono la Settimana Santa secondo il calendario Gregoriano), finisce il martedì precedente il Mercoledì delle Ceneri che segna l’inizio della Quaresima. La durata è perciò di due settimane e tre giorni. In gran parte d’Italia l’inizio del periodo carnevalesco è tradizionalmente fissato il giorno successivo all’Epifania (7 gennaio). Il momento culminante si ha dal Giovedì grasso fino al martedì, ultimo giorno di Carnevale (Martedì grasso). Questo periodo, essendo collegato con la Pasqua (festa mobile), non ha ricorrenza annuale fissa ma variabile. Per questo motivo i principali eventi si concentrano in genere tra i mesi di febbraio e marzo. Per la Chiesa cattolica il Tempo di Carnevale è detto anche Tempo di Settuagesima. Essa considera il Carnevale (Settuagesima) come un momento per riflettere e riconciliarsi con Dio. La Chiesa cattolica ha però durante il corso della storia, condannato il Carnevale in quanto contrario ai dettami di rigore imposto dall’istituzione stessa. Secondo antiche tradizioni

il Carnevale durava l’intero periodo invernale, dal giorno di commemorazione dei defunti sino al primo giorno di Quaresima ed il travestimento serviva non a nascondere la propria identità sebbene a rimandarne ad un’altra. Anche se oggi è ben radicata nella tradizione cristiana, i caratteri della celebrazione del Carnevale hanno origini in festività ben più antiche, come ad esempio le dionisiache greche (le antesterie) o i saturnali romani. Nelle dionisiache e saturnali si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo ed anche alla dissolutezza. Sempre presso i Romani la fine del vecchio anno era rappresentata da un uomo coperto di pelli di capra, portato in processione, colpito con bacchette e chiamato Mamurio Veturio (l’anno per i romani iniziava a marzo in coincidenza dell’equinozio di primavera). Durante le antesterie passava il carro di colui che doveva restaurare il cosmo dopo il ritorno al caos primordiale. Nel mondo antico il Navigium Isidis (carro navale di Iside), la festa in onore della dea egizia Iside, importata anche nell’impero Romano, comportava la presenza di gruppi mascherati. In Babilonia poco dopo l’equinozio primaverile veniva riattualizzato il processo originario di fondazione del cosmo, descritto miticamente

dalla lotta del dio salvatore Marduk con il drago Tiamat che si concludeva con la vittoria del primo. Durante queste cerimonie si svolgeva una processione nella quale erano allegoricamente rappresentate le forze del caos che contrastavano la ricreazione dell’universo, cioè il mito della morte e risurrezione di Marduk, il salvatore. Nel corteo c’era anche una nave a ruote su cui il dio Luna ed il dio Sole percorrevano la grande via della festa verso il santuario di Babilonia, simbolo della terra. Questo periodo, che si sarebbe concluso con il rinnovamento del cosmo, veniva vissuto con una libertà sfrenata ed un capovolgimento dell’ordine sociale e morale.

MITOLOGIA & FOLKLORE

IL CARNEVALE

Da un punto di vista storico e religioso il carnevale rappresentò, dunque, un periodo di festa ma soprattutto di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l’ordine costituito, che però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva di nuovo, rinnovato e garantito per un ciclo valido fino all’inizio del carnevale seguente. Il ciclo preso in considerazione, è in pratica, quello dell’anno solare. Il noto storico delle religioni Mircea Eliade scrive nel saggio Il Mito dell’Eterno Ritorno: “Ogni Nuovo Anno è una ripresa del tempo al suo inizio, cioè una ripetizione della cosmogonia. I combattimenti rituali fra due gruppi di figuranti, la presenza dei morti, i saturnali e le orge, sono elementi che denotano che alla fine

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dell’anno e nell’attesa del Nuovo Anno si ripetono i momenti mitici del passaggio dal Caos alla Cosmogonia”. Le cerimonie carnevalesche, diffuse presso i popoli Indoeuropei, mesopotamici, nonché di altre civiltà hanno anche una valenza purificatoria e dimostrano il bisogno profondo di rigenerarsi periodicamente abolendo il tempo trascorso e riattualizzando la cosmogonia. La presenza dell’orgia nei cerimoniali che segnano divisioni periodiche del tempo, tradisce una volontà di abolizione integrale del passato mediante l’abolizione della Creazione. La confusione delle forme è illustrata dallo sconvolgimento delle condizioni sociali (nei Saturnali lo schiavo è promosso padrone, il padrone serve gli schiavi; in Mesopotamia si deponeva e si umiliava il re, ecc.), dalla sospensione di tutte le norme, ecc. Lo scatenarsi della licenza, la violazione di tutti i divieti, la coincidenza di tutti i contrari, ad altro non mirano che alla dissoluzione del mondo e alla restaurazione dell’illud tempus primordiale (“quel tempo”, il Grande Tempo mitico), che è evidentemente il momento mitico del principio (caos) e della fine (diluvio universale o ekpyrosis, apocalisse). Il carnevale si inquadra quindi in un ciclico dinamismo di significato mitico: è la circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi.

ro di Artemisia settembre/ottobre 2011). Infatti se il Carnevale è anche festa per scacciare i demoni gli spiriti invernali e aiutare la terra a riprendersi dal lungo inverno, Samhain o Halloween è quella festa che ringrazia la terra per ciò che ci ha donato e l’accompagna dolcemente nel suo riposo invernale. Cercando di esorcizzare e scacciare (con travestimenti e fuochi) gli spiriti infernali che potrebbero far diventare l’inverno rigido e lungo più del dovuto.

Il Carnevale riconduce ad una dimensione metafisica che riguarda l’uomo e il suo destino. In primavera, quando la terra comincia a manifestare la propria energia, il Carnevale segna un passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata dai vivi (anche Arlecchino ha una chiara origine infera). Le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate e per questo si prestano loro dei corpi provvisori, usando le maschere che hanno quindi spesso un significato apotropaico, in quanto chi le indossa assume le caratteristiche dell’essere “ soprannaturale “ rappresentato. Queste forze soprannaturali creano un nuovo regno della fecondità della Terra e giungono a fraternizzare allegramente tra i viventi . È interessante notare che vari significati cosmologici del Carnevale erano presenti anche nel Samhain celtico (già trattato nel primo nume-

Tra i più famosi vi sono: Il Carnevale di Venezia è conosciuto per la bellezza dei costumi, lo sfarzo dei festeggiamenti nella magica atmosfera della Laguna e consta di diversi giorni fitti di manifestazioni di svariato tipo: mostre d’arte, sfilate di moda, spettacoli teatrali ecc. La Puglia è la regione italiana con il maggior numero di manifestazioni abbinate alla lotteria nazionale del carnevale: il già citato Carnevale di Putignano, Carnevale di Massafra, Carnevale di Gallipoli, Carnevale Dauno a Manfredonia e il Carnevale Terranovese a Poggio Imperiale. Il Carnevale di Viareggio è uno dei più importanti e maggiormente apprezzati carnevali a livello internazionale. A caratterizzarlo sono i carri allegorici più o meno grandi che sfilano nelle domeniche fra gennaio e febbraio e sui quali troneggiano enormi caricature in cartapesta di

Il Carnevale per tradizione termina il Martedì grasso, ma non ovunque: fanno eccezione il Carnevale di Viareggio, il Carnevale di Ovodda, il carnevale di Poggio Mirteto, il carnevale di Borgosesia ed il Carnevalone di Chivasso. Anche il Carnevale di Foiano della Chiana termina la domenica dopo le Ceneri. In diversi Carnevali il martedì grasso si rappresenta, spesso con un falò, la “morte di Carnevale”. Uno dei carnevali più antichi d’Italia arrivato ai giorni nostri è il Carnevale di Verona, risalente al tardo medioevo ed il cui nome originale è Bacanàl del Gnoco. La fama dei Carnevali italiani travalica i confini nazionali e sono in grado di attrarre turisti sia dall’Italia che dall’estero. Il Carnevale più lungo d’Italia è quello di Putignano.

uomini famosi nel campo della politica, della cultura o dello spettacolo, i cui tratti caratteristici, specialmente quelli somatici, vengono sottolineati con satira ed ironia. Lo Storico Carnevale di Ivrea, famoso per il suo momento culminante della Battaglia delle Arance, è invece considerato uno tra i più antichi e particolari al mondo, seguendo un cerimoniale più volte modificatosi nel corso dei secoli. La battaglia ha il pregio di rappresentare, sotto forma di allegoria, la rivolta dei cittadini per la libertà dal tiranno della città, probabilmente raineri di Biandrate, ucciso dalla Mugnaia su cui si apprestava ad esercitare lo jus primae noctis. Fu quell’evento a innescare la guerra civile rappresentata dalla battaglia tra il popolo e le truppe reali che viene rievocata durante il carnevale, dove le squadre di Aranceri a piedi (ossia il popolo) difendono le loro piazze dagli aranceri su carri (ossia l’esercito) a colpi di arance a rappresentare le frecce, mentre tra le vie della città sfila il corteo della Mugnaia che lancia dolci e regali alla popolazione. Il Carnevale di Sciacca rinomato per la bellezza delle sue opere in cartapesta realizzate dai locali maestri ceramisti, è il carnevale più antico di Sicilia, con origini che risalgono al periodo romano. Oggi è caratterizzato da sfilate di bellissimi carri allegorici che percorrono l’antico centro della città accompagnati da gruppi mascherati che danno vita a coreografie realizzate sulle note di musiche a tema. Tutto ciò rende questo carnevale uno tra i più affascinanti e divertenti.


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Carnevale di Ivrea

Carnevale di Venezia

Carnevale di Viareggio

Carnevale di Putignano Arved

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LE UOVA DI PASQUA E L’UOVO COSMICO Greci e i Cinesi. Oggi si scambiano uova non solo tra la comunità cristiana ma anche in alcuni movimenti neopagani, come la Wicca e il Celtismo.

In periodo di festività pasquale l’uovo è per antonomasia il simbolo di questo periodo, insieme alla colomba. L’uovo e la colomba oltre ad essere simboli sono anche dei dolci tipici del nostro paese, ma la tradizione dell’uovo di cioccolato è recente, ma il dono di uova vere, decorate o dorate, è correlato alla festa pasquale sin dal Medioevo. Per i cristiani l’uovo è simbolo della rinascita dell’uomo in Cristo, ma esso è un simbolo “sacro” fin dai tempi antichi, come il caso del simbolo cosmogonico dell’uovo cosmico. Le uova hanno spesso rivestito il ruolo del simbolo della vita in sé, ma anche della sacralità: secondo alcune credenze pagane e mitologiche del passato, il cielo e il pianeta erano considerati due emisferi che andavano a creare un unico uovo, mentre gli antichi Egizi consideravano l’uovo come il fulcro dei quattro elementi dell’universo (l’acqua, l’aria, la terra e il fuoco). La stessa tradizione del dono delle uova è documentata già fra gli antichi Persiani, dove era diffusa la tradizione dello scambio di semplici uova di gallina all’avvento della stagione primaverile, seguiti nel tempo da altri popoli antichi quali gli Egizi, i quali consideravano il cambio di stagione una sorta di primo dell’anno, i

L’UOVO COSMICO L’uovo cosmico è un archetipo cosmogonico, le prime tracce sono documentate presso gli Assiro (Sumeri) Babilonesi, dalla Mesopotamia, nel 2.000 a.C., per poi diffondersi in India, nel 1.600 a.C., nella religione induista e nell’antico Egitto e nell’antica Grecia, con l’orfismo nell’800 a.C., e nei Pelasgi. Tardivamente si è diffuso anche in altre religioni orientali, occidentali e africane, come in Cina, nel 400, nella mitologia della creazione giapponese, nelle regioni europeee celtiche e in Africa presso la cultura Bambara. Nella religione induista, l’uovo cosmico, detto Hiranyagarbha, viene concepito un nucleo universale immerso nell’oscurità e dal quale il Signore Brahma lo ha reso manifesto, per mezzo dell’Aum, una sillaba che permette l’emissione respiratoria e che nell’induismo rappresenta il soffio vitale originale. Da questo si è sviluppato l’Universo, fino alla sua conclusione nel massimo degrado e poi da capo in una serie di cicli, chiamati kalpa.

Raffigurazione dell’Uovo Cosmico

Nella religione orfica, una storia mitica greca, si racconta come dall’uovo d’argento, deposto dalla Notte nell’oscurità dell’Erebo e fecondato da un soffio di vento del Nord, contenente il cosmo, sia nato Eros. Nel mito dei Pelasgi, si racconta la stessa storia in modo particolareggiato. Qui è la dea Eurinome, emersa dal caos e fecondata dal serpente Ofione, che depose l’uovo universale. Quest’uovo, come quello cinese è un uovo di un rettile mitico. Nella religione taoista cinese, nel IV secolo d.C., l’uovo cosmico viene descritto nel mito di Pangu, il creatore del mondo, coadiuvato dalla tartaruga, da Qilin, un drago con le corna, simile ad una chimera, dalla Fenice e dal dragone. Nella religione buddista zen giapponese all’inizio vi era un uovo con dentro il caos, al centro del quale vi era un seme creatore. Nella religione celtica il cerchio vuoto si chiama Oiw ed è il centro dell’evoluzione cosmica, simboleggiato dal Sole. Per i celti si chiama Glain, un uovo rossastro nato da un rettile marino che depone uova sulla spiaggia. Per i Bambara (popolo africano del Mali) all’inizio vi era un uovo vuoto che si riempie e si sviluppa a causa di un soffio creativo dello Spirito.

Raffigurazione dell’Uovo Cosmico, secondo la filosofia orfica con il dio Phanes


L’UOVO NELLA SIMBOLOGIA CRISTIANA In diverse tradizioni pasquali l’uovo continua a mantenere un ruolo durante tutto il periodo delle festività. Durante il periodo di Quaresima, in virtù del digiuno, le uova vengono spesso non consumate ed accumulate per il periodo successivo. Nella tradizione balcanica e greco ortodossa l’uovo, di gallina, cucinato sodo, da secoli viene colorato, tradizionalmente di rosso, simbolo della Passione, ma in seguito anche di diversi colori, in genere durante il giovedì santo, giorno dell’Ultima Cena, e consumato a Pasqua e nei giorni successivi. Il giorno di Pasqua, in molti riti, si compie la benedizione pubblica delle uova, simbolo di resurrezione e della ciclicità della vita, e la successiva distribuzione tra gli astanti. L’USO DI RAGALARE LE UOVA L’usanza dello scambio di uova decorate, così come li concepiamo oggi, si sviluppò nel Medioevo, quando questi venivano donate in regalo alla servitù. Nel medesimo periodo l’uovo decorato, da simbolo della rinascita primaverile della natura, divenne con il Cristianesimo il simbolo della rinascita dell’uomo in Cristo. La diffusione dell’uovo come regalo pasquale sorse probabilmente in Germania, dove si diffuse la tradizione di donare semplici uova in occasione di questa festività.

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Nell’antica religione egizia, è la Fenice a deporre l’uovo, dal quale rinascerà, ciclicamente. La Fenice è dotata di alito vitale dal quale nasce il dio dell’aria Shu. In prossimità della propria morte la Fenice costruisce un nido a forma di uovo e lì la Fenice brucia completamente ma da questa combustione si genera un uovo, che il Sole fa germogliare. Attualmente la cosmologia asserisce che prima di 13,7 miliardi di anni fa l’intera massa dell’universo era compressa in un volume di circa trenta volta la dimensione del nostro Sole, dal quale si espanse fino allo stato attuale per mezzo del Big Bang. Gli astrofici a partire dagli anni trenta hanno incominciato a parlare di un nucleo primordiale preesistente, sconosciuto e inconoscibile, dal quale si è sviluppato l’Universo per mezzo del Big Bang.

Esempi di uova decorate

Esempi di uova Fabergè Sempre nel Medioevo prese piede anche una nuova tradizione: la creazione di uova artificiali fabbricate o rivestite in materiali preziosi quali argento, platino od oro, ovviamente destinata agli aristocratici e ad i nobili. Edoardo I, re d’Inghilterra dal 1272 al 1307, commissionò la creazione di circa 450 uova rivestite d’oro da donare in occasione della Pasqua. La ricca tradizione dell’uovo decorato è però dovuta all’orafo Peter Carl Fabergé, che nel 1883 ricevette dallo zar il compito di preparare un dono speciale per la zarina Maria; l’orafo creò per l’occasione il primo uovo Fabergé, un uovo di platino smaltato di bianco contenente un ulteriore uovo, creato in oro, il quale conteneva a sua volta due doni: una riproduzione della corona imperiale ed un pulcino d’oro. La fama che ebbe il primo uovo di Fabergé contribuì anche a diffondere la tradizione del dono interno all’uovo. In tempi più recenti l’uovo di Pasqua maggiormente celebre e diffuso è il classico uovo di cioccolato,

che ha conosciuto largo successo nell’ultimo secolo, arricchito al suo interno da un piccolo dono. Se fino a qualche decennio fa la preparazione delle classiche uova di cioccolato era per lo più affidato per via artigianale a maestri oggi l’uovo di Pasqua è un prodotto diffuso soprattutto in chiave commerciale. La preparazione delle uova di Pasqua delle più svariate dimensioni trova inizio anche più di un mese prima del giorno della Pasqua, come effettivamente accade anche per l’albero di Natale nel periodo natalizio. In molti altri paesi all’uovo di cioccolato viene ancora anteposto l’uovo di gallina solitamente cucinato sodo.

Francesco V.

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LA DEA MADRE Per esempio, per sovrintendere all’amore sensuale si diversificò in Ishtar, Astarte, Afrodite/Venere, alla fertilità delle donne in Ecate triforme, alla fertilità dei campi in Demetra, Flora, Cerere, Persefone/Proserpina, Diana, alla caccia in Kubaba, Cibele, Artemide/Diana. Inoltre, siccome il ciclo naturale delle messi implica la morte del seme, perché esso possa risorgere nella nuova stagione, la Dea Madre è connessa anche a culti legati al ciclo morte-rinascita e alla Luna, che da sempre lo rappresenta.

Venere di Willendorf, una delle più antiche e famose raffigurazioni della Dea Madre, risalente al Neolitico La Dea Madre o Grande Madre è una divinità femminile primordiale, presente in quasi tutte le mitologie note, in cui si manifesterebbe la terra, la generatività, il femminile come mediatore tra l’umano e il divino. Essa attesta l’esistenza di una presunta originaria struttura matriarcale delle civiltà pre-istoriche, composte da gruppi di cacciatori-raccoglitori. È una delle divinità più antiche, alcune sue raffigurazioni (testimonianze di antichi culti a Lei dedicate) risalgono addirittura al Paleolitico, famose sono le figure femminili, trovate in tutta Europa risalenti al Neolitico, denominate “Veneri”. Con gli spostamenti dei popoli e l’articolarsi delle culture, la Dea Madre si “moltiplicò”, o meglio la concezione di “Madre” si variegò in diverse simbologie, e quindi in diverse divinità femminili. Per cui pur continuando ad esistere Essa si diversificò in più personificazioni e di conseguenza in più culti.

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L’evoluzione teologica della figura della Dea Madre venne costantemente rappresentata da segnali di connessione tra le nuove divinità e quella arcaica. Finché le religioni dominanti ebbero carattere politeistico, un segno certo di connessione consisteva nella parentela mitologica attestata da mitografi e poeti antichi (ad esempio, Ecate è figlia di Gea; Demetra è figlia di Rea). Altro carattere che permette di riconoscere le tracce della Grande Dea nelle sue più tarde eredi, è la ripetizione di specifici attributi iconologici e simbolici che ne richiamano l’orizzonte originario. Nel mutare delle religioni, la memoria della Dea Madre, “signora” di luoghi o semplicemente di bisogni umani primari, si mantenne e si trasmise lungo le generazioni, dando luogo, come già citato, a culti forse inconsapevolmente sincretistici (la cui ultima propaggine il culto Mariano, della Madonna).

Nell’area mediterranea conosciamo i nomi e le storie di molte Dee che deriverebbero dal culto della Grande Madre: in area mesopotamica (V millennio a.C.): Ninhursag in area anatolica (II millennio a.C.): Cibele in area greca: Gea in area etrusca: Mater Matuta in area latina: Diana in area romana: Bona Dea o Magna Mater in area britannica: Dea Bianca inizialmente descritte come figure plurime o collettive (come i Dattili di Samotracia).

Nella psicologia di Jung la Grande Madre è una delle potenze luminose dell’inconscio, un archetipo di grande ed ambivalente potenza, distruttrice e salvatrice, nutrice e divoratrice. In Erich Neumann, che più di tutti gli allievi di Jung dedicò i propri studi ai vari aspetti del femminile, l’archetipo della Grande Madre (tendenzialmente conservativo e nemico della differenziazione) è il principale ostacolo allo sviluppo del Sé individuale, che per conquistare la propria parte femminile deve sviluppare le proprie capacità di separazione ed autoaffermazione. Oggi il culto e la venerazione della Dea Madre è molto diffusa nell’ambiente spirituale Neopagano, in particolare nel movimento spirituale della Wicca.

Il culto della Grande Madre prevede anche divinità maschili. Questo è un rapporto “mistico” tra la Grande Dea e il suo Compagno, caratterizzato dall’essere inizialmente minore di lei per età, spesso si presenta come una figura di giovane amante, assai simile ad un figlio, per poi diventare il suo consorte e infine colui che muore per generare (o consentire) la rinascita. Un rapporto particolare, complesso, che pone l’accento sulla concezione dualistica della Divinità. Francesco V.


La notte di San Giovanni, festività cristiana che viene celebrata il 24 giugno, è un giorno che la tradizione popolare vuole sia legata strettamente alle streghe. In particolare si pensa che in questo giorno le streghe siano molto più forti e le erbe officinali abbiano poteri curativi eccezionali. In realtà anche questa festa è un retaggio dell’antico paganesimo precristiano. L’importanza di questo giorno sta nel fatto che il sole in questo periodo sembra fermarsi, sorgendo e tramontando sempre nello stesso punto sino al 24 giugno quando ricomincia a muoversi sorgendo gradualmente sempre più a sud sull’orizzonte (a nord nel solstizio invernale). Anticamente non avendo strumenti precisi (come oggi) la popolazione celebrava i solstizi sempre in date successive a quelle reali (come anche nel caso del 25 dicembre), poiché ci si affidava solo ai cambiamenti visivi, oggi con la tecnologia che abbiamo a disposizione sappiamo che in realtà il solstizio estivo cade o il 20 o il 21 giugno (a seconda degli anni).

La notte di S. Giovanni, il 24 giugno appunto, rientra nelle celebrazioni solstiziali; il nome associatogli deriva dalla religione cristiana, perché secondo il suo calendario liturgico vi si celebra S. Giovanni Battista (come il 27 dicembre S. Giovanni Evangelista). In questa festa, secondo un’antica credenza il sole (fuoco) si sposa con la luna (acqua): da qui i riti e gli usi dei falò e della rugiada, presenti nella tradizione contadina e popolare. Non a caso gli attributi di S. Giovanni sono il fuoco e l’acqua, con cui battezzava... una comoda associazione, da parte del Cristianesimo, per sovrapporsi alle antiche celebrazioni... Così nel corso del tempo, c’e’ stato un mischiarsi di tradizioni pagane e ritualità cristiana che dette origine a credenze e riti in uso ancora oggi e ritrovabili per lo più nelle aree rurali. I FUOCHI DI S. GIOVANNI I falò accesi nei campi la notte di S. Giovanni erano considerati oltre che propiziatori anche purificatori e l’usanza di accenderli si riscontra in moltissime regioni europee e persino nell’africa del nord.

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LA NOTTE DI SAN GIOVANNI

I contadini si posizionavano principalmente su dossi o in cima alle colline e accendevano grandi falò in onore del sole, per propiziarsene la benevolenza e rallentarne idealmente la discesa; spesso con le fiamme di questi falò venivano incendiate ruote di fascine che venivano fatte precipitare lungo i pendii, accompagnate da grida e canti. Avendo una funzione purificatrice, vi si gettavano dentro cose vecchie, o marce, perché il fumo che ne scaturiva tenesse lontani gli spiriti maligni e le streghe (si riteneva che in questa notte le streghe si riunissero e scorrazzassero per le campagne alla ricerca di erbe da usare per le loro pratiche magiche).

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MITOLOGIA & FOLKLORE

FERRAGOSTO

Il Ferragosto è una festività che cade il 15 agosto in concomitanza con la ricorrenza dell’Assunzione di Maria.

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In Italia, il giorno di Ferragosto è tradizionalmente dedicata alle gite fuori porta e spesso caratterizzata da pranzi al sacco, grigliate e, data la calura stagionale, da rinfrescanti bagni in acque marine o lacustri. Molto diffuso anche l’esodo verso le località montane o collinari, in cerca sempre di refrigerio. Il termine Ferragosto deriva dalla locuzione latina feriae Augusti (riposo di Augusto) indicante una festività istituita dall’imperatore Augusto nel 18 a.C. che si aggiungeva alle esistenti e antichissime festività cadenti nello stesso mese, come i Consualia, per celebrare i raccolti e la fine dei principali lavori agricoli, oppure le feste in onore di Diana che si aprivano il 13 agosto per protrarsi per circa tre giorni, con processioni

e fiaccolate. L’antico Ferragosto, oltre agli evidenti fini di auto-promozione politica, aveva lo scopo di collegare le principali festività agostane per fornire un adeguato periodo di riposo, anche detto Augustali, necessario dopo le grandi fatiche profuse durante le settimane precedenti. Nel corso dei festeggiamenti, in tutto l’impero si organizzavano corse di cavalli e gli animali da tiro, asini e muli, venivano dispensati dal lavoro e agghindati con fiori. Tali antiche tradizioni rivivono oggi, pressoché immutate nella forma e nella partecipazione, durante il “Palio dell’Assunta” che si svolge a Siena il 16 agosto. Nell’occasione, i lavoratori porgevano auguri ai padroni, ottenendo in cambio una mancia: l’usanza si radicò fortemente, tanto che in età rinascimentale fu resa obbligatoria dai decreti pontifici.

Catus


RELIGIONI & RICORRENZE

IL NEOPAGANESIMO

Pentacolo o stella a cinque punte, simbolo usato da molti neopagani, rappresentante i 4 elementi (acqua, aria, terra e fuoco), più la quinta essenza cioè lo spirito (la vita). Il Neopaganesimo è un movimento multiforme sorto principalmente in Occidente negli ultimi decenni. Ad esso fanno parte un’eterogenea varietà di nuovi movimenti religiosi, ispirati ad una ripresa delle antiche spiritualità pagane. Il Neopaganesimo include tutte quelle nuove religioni che si rifanno in modo più o meno diretto ai culti pagani dell’Europa antica. Religioni come la Wicca, che talvolta viene definita la Vecchia Religione, oppure il Fyrnsidù, il cui nome significa letteralmente “antica tradizione”, si propongono come spiritualità nuove ma riportanti alla luce la Weltanschauung precristiana, ovvero quel modo di vedere il mondo che pone l’essere umano non al disopra ma all’interno del sistema della natura. Le religioni incluse nel Neopaganesimo spaziano da filosofie di vita che si richiamano ad una continuità con passate esperienze religiose politeiste (definiti ricostruzionisti o gentili), a sistemi di credenza ispirati sempre alle religioni politeistiche pre-cristia-

ne ma che adottano approcci nuovi, sincretici e universalistici (definiti eclettici). Il termine neopaganesimo (nuovo paganesimo) è un neologismo basato sul termine paganesimo popolarizzato a partire dal 1968 con la pubblicazione dei primi numeri del “Green Egg”, rivista neopagana gestita dalla Chiesa di Tutti i Mondi. Il lemma è oggi utilizzato tranquillamente dalla maggior parte delle comunità neopagane per indicare le religioni post-cristiane occidentali. Anche perché è difficile ripristinare riti e culti senza dover confrontarsi con l’evoluzione sociale, tecnologica, culturale che la società umana ha compiuto durante i secoli. Si specifica comunque, che se dagli eclettici il termine Neopagano viene comunemente accettato, per i ricostruzionisti tale termine è da alcuni sostituito dal lemma Paganesimo. STORIA Dopo l’avvento del Cristianesimo in Europa, la religione politeista (specie quella greco-romana), cominciò ad essere chiamata con l’appellativo

di “Stregoneria o Pagana”, in memoria delle sue antiche origini e del fatto che erano ancora in uso nelle campagne (pagano deriva infatti da “pagus” cioè abitante delle campagne). Dopo il 1700 in Europa la Stregoneria, o Paganesimo, sembrava essere stata del tutto annientata. Tuttavia, nonostante 1300 anni di sistematiche persecuzioni e di rastrellamenti condotti per secoli e su larga scala, così non fu . L’inizio di un lento e graduale risveglio dei vecchi credi pre-cristiani cominciò a manifestarsi in particolar modo verso la fine del 1800, grazie ai contributi letterari forniti dalle opere di Charles Godfrey Leland, in particolare da Aradia or the gospel of the witches, pubblicato a Londra nel 1899, testo che indubbiamente segnò l’inizio di un nuovo avvento che trovò il suo compimento solo poche decine d’anni dopo, quando, nei primi decenni del 1900, l’antropologa Margaret Murray riuscì a ricostruire parzialmente la storia della Vecchia Religione in Europa. Queste furono le prime pubblicazioni (seppur non scientificamente attendibili) che diedero il via a tutti quei movimenti che compongono oggi il Neopaganesimo. L’origine storica del Neopaganesimo è quindi da collocarsi nel XIX secolo, con l’emergere del Romanticismo in Europa, questo portò alla diffusione di fenomeni quali la risorgenza vichinga nelle isole britanniche ed in Scandinavia ed il movimento Völkisch in Germania. L’Inghilterra fu uno dei più forti epicentri della rinascita pagana, la quale comportò la comparsa dei primi gruppi druidisti e di associazioni di carattere occultistico quali l’Ordine Ermetico dell’Alba Dorata e l’Ordo Templi Orientis, le quali tentavano di mescolare nella propria dottrina elementi estrapolati dalla religione egizia, dalla Cabala ebraica e da al-

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RELIGIONI & RICORRENZE

Un esempio di rituale neopagano (in questa foto un rituale wiccan) tre tradizioni esotiche. Influenzati dal The Golden Bough di James George Frazer parecchi scrittori e artisti di prominenza furono coinvolti nell’attività occultistica. Notevole svolta per l’ambiente neopagano si manifestò nei primi anni cinquanta quando l’inglese Gerald Gardner “fondò” nel 1954 la Wicca, oggi la religione neopagana più diffusa nel mondo. Gli anni sessanta e settanta videro la risorgenza del Celtismo e la sistematizzazione dell’Etenismo con la nascita dell’Ásatrú negli Stati Uniti e in Islanda. Tra il 1980 e i tempi contemporanei si è registrata una crescita nell’approccio guidato dal ricostruzionismo, sia nei già presenti movimenti eteni e celtisti sia con la nascita di religioni quali l’Ellenismo, il Kemetismo e del movimento neopagano esteuropeo, oltre che di religiosità (minori) quali il Cadiscismo, la Via Romana agli Dèi e l’Olimpianesimo. DOTTRINA Il Neopaganesimo poggia su un universalismo e un’apertura al pensiero relativistico che conduce a un rigetto delle strutture più formali. Controtendenze sono riscontrabili tra i ricostruzionisti.

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La visione teologica è tuttavia generalmente caratterizzata da un

panteismo, un monismo, un enoteismo e un animismo di raccordo tra le differenti vie neopagane, sistemi che vedono gli Dèi come rappresentazioni delle forze della natura emanate dalla Divinità ancestrale. In quanto religioni umanistiche, relativistiche e razionalistiche, quelle neopagane non pongono l’uomo al disopra del cosmo (in qualità di essere prescelto o eletto da una qualche Entità trascendente), ma considerano l’uomo come uno degli infiniti prodotti dell’evoluzione delle cose, della natura, e dunque dell’attività ciclica e Divina che costituisce il sostrato dell’intera esistenza. L’essere umano è dunque divino come lo è ogni cosa, e il suo posto all’interno dell’universo lo colloca in posizione di gestore e amministratore della sua società, non dell’intero mondo naturale. Il compito dell’uomo è quello di garantire la costituzione di una società armoniosa, che sia caratterizzata da un equilibrio di pace interno (ovvero di reciproco rispetto tra i vari individui) ma anche esterno, ovvero di un equilibrio che garantisca l’ordine delle leggi naturali. A differenza delle Religioni abramitiche, che separano l’uomo dal mondo vedendo quest’ultimo come semplicemente creato in servizio alla società (annichilendolo), le religioni neopagane riallacciano i legami tra gli esseri umani e la natura di

cui sono parte integrante. Il rifiuto del trascendentismo tipico del Cristianesimo che pone Dio al di fuori del cosmo (in una dimensione spirituale opposta a quella materiale), oltre che della visione personale della Divinità (cioè in qualità di ente simile all’uomo), parallelo all’accettazione del fatto che in realtà la Divinità corrisponda al tutto, implica un annullamento della dicotomia tra il bene e il male. Nel Neopaganesimo questi non sono visti come due principi assoluti o due entità distaccate, ma sono semplicemente considerati inesistenti. Ciò che è bene e ciò che è male è una distinzione totalmente personale e versatile in base all’individuo, alla società, alla mentalità e al tempo storico. In genere tutti i movimenti spirituali neopagani sono aperti alla scienza. L’unione olistica della spiritualità e del sapere scientifico deriva dalla consapevolezza del fatto che il dominio esplorato dal secondo è quello fisico, ovvero di tutto ciò che l’essere umano può intendere con i propri cinque sensi, mentre il dominio della prima è quello della metafisica, cioè di tutto ciò facente parte delle infinite realtà possibili che l’uomo non è in grado di percepire o immaginare con le proprie percezioni. Il punto di contatto sta nel panteismo e in tutto ciò che logicamente ne deriva, tra cui la ciclicità dell’esistenza. Quest’ultima non è vista dalle religioni neopaga-


Un esempio di altare neopagano (in questa foto un altare wican italico) ne come una linea retta, ma come un insieme di processi ciclici che si dispiegano a partire dal principio di tutte le cose. OGGI Al momento è difficile se non impossibile stabilire una correlazione tra quanti sono pubblicamente neopagani e quanti aderiscono privatamente a questo credo, sebbene esistono, in alcune nazioni “molti “neopagani evitano di rendere pubblico la propria appartenenza al Neopaganesimo a causa di convenzioni sociali o circostanze ambientali. Alcuni sondaggi condotti tra il 1999 e il 2001 (tra cui il più vecchio effettuato dalla Congregazione della Dea, mentre uno studio, con dati del 2001, dall’American Religious Identification Survey) sul territorio nordamericano, calcolarono il numero dei neopagani spaziando dalle 307.000 unità (di cui 134.000 wiccani, 33.000 celtisti e 140.000 altri neopagani) alle 768.400, in una conferma generale del milione mondiale stimato da Adherents.com. Da queste statistiche si potrebbe dichiarare esplicitamente una crescita dei neopagani costante e crescente. Un’altra comunità neopagana consistente è quella del Regno Unito, collocata da alcuni studi di Ronald Hutton alle 250.000 persone. La cifra al 2007 è presumibilmente maggiore, ma mancano statistiche nu-

meriche attendibili. In termini relativi, il Neopaganesimo è attualmente il movimento religioso più rapidamente in crescita nel mondo. Tale diffusione, che sta avvenendo in modo capillare e a tutti i livelli della società, sta portando a conseguenze e cambiamenti di varia portata dal punto di vista culturale. Il tasso di crecita è stimato al 143% annuo su scala mondiale, con un numero assoluto che tenderebbe a duplicare ogni trenta mesi. Probabilmente l’1% della popolazione mondiale sarebbe di fede Neopagana con una prevalenza di fedeli Wiccan. La maggior parte delle conversioni si verifica nell’Occidente postcristiano, in grossomodo costituito dall’America sia settentrionale che meridionale, dall’Europa sia occidentale sia orientale, e dall’Oceania. Gruppi di neopagani hanno tuttavia preso piede in località, non definibili postcristiane o tradizionalmente cristiane, è questo il caso del Sudafrica o dell’India. In Italia, secondo delle stime statistiche sancite nel 199 dal CESNUR, si stima che vi siano circa 3.000 neopagani, di cui probabilmente la maggioranza wiccan. Ultime ricerche e studi fatti sul Neopaganesimo spiegano che i convertiti sono in maggioranza cristiani in quanto il Cristianesimo è visto oggi come una religione in decadenza (secolarizzata), la cui intolleranza

Le Religioni Neopagane principali sono: Wicca Celtismo o Druidismo Stregoneria Etenismo Kemetismo Dodecateismo o Ellenismo Via Romana agli Dei Cadiscismo Esteuropeo Olimpianesimo

Maggiori info su: www.neopaganesimo.blogspot. com

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e il cui dualismo trascendentistico hanno portato nel corso dei secoli alla demonizzazione della vita e del mondo, al degrado della natura, all’odio per il diverso e all’oppressione della donna. L’allontanamento dal Cristianesimo e la conversione ad altre religioni sono viste dai convertiti analizzati dal rapporto come un processo naturale e coincidente con il risveglio illuministico dell’uomo contemporaneo.

Francesco Voce

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IL NATALE

Il Natale è la festività cristiana che celebra la nascita di Gesù. Cade il 25 dicembre (il 7 gennaio nelle chiese ortodosse che adottano il calendario giuliano). Il termine deriva dal latino natalis, che significa “relativo alla nascita”. La celebrazione cristiana si è sovrapposta alla precedente festività pagana del Natalis Sol Invictus (celebrata attualmente dal movimento della Wica Italica, il significato è riportato nell’articolo sul Solstizio d’Inverno presente in questo numero). Secondo il calendario liturgico è una solennità al di sopra dell’Ascensione e alla Pentecoste, ma inferiore alla Pasqua, la festività cristiana più importante. È comunque la festa più popolarmente sentita tra i Cristiani e negli ultimi anni ha assunto anche un significato laico, legato allo scambio di regali, alla famiglia e a figure del folklore come Babbo Natale. Sono strettamente legate alla festività la tradizione, di origine medioevale, del presepe e quella, più recente, dell’albero di Natale. Nel corso dell’ultimo secolo, con il progressivo secolarizzarsi dell’Occidente, e in particolar modo dell’Europa Settentrionale, il Natale ha continuato a rappresentare un giorno di festa anche per i non Cristiani, assumendo significati diversi da quello religioso. In questo ambito, il Natale è generalmente vissuto come festa

legata alla famiglia, alla solidarietà, allo scambio di regali e a Babbo Natale. Al tempo stesso la festa del Natale, con connotazioni di tipo secolare-culturale, ha conosciuto una crescente diffusione in molte aree del mondo, estendendosi anche in paesi dove i Cristiani sono piccole minoranze. Tale è ad esempio il caso di India, Pakistan, Cina, Taiwan, Giappone e Malesia. Al di fuori del suo significato religioso, il Natale ha inoltre assunto nell’ultimo secolo una significativa rilevanza in termini commerciali ed economici, legata all’abitudine dello scambio di doni. A titolo di esempio, negli Stati Uniti è stato stimato che circa un quarto di tutta la spesa personale venga effettuata nel periodo natalizio. Il Natale è una festa accompagnata da diverse tradizioni, sociali e religiose, spesso variabili da paese a paese. In Italia tra i costumi, le pratiche e i simboli familiari del Natale è possibile ricordare il presepe, l’albero natalizio, la figura di Babbo Natale, il calendario dell’Avvento, lo scambio di auguri e di doni e alcune tradizioni di origine pre-cristiane, quali l’accensione di falò nelle piazze di alcunipaesi, oppure cantare stornelli tradizio-

nali accompagnandosi dal suono di zampogne (strumenti musicali agropastorali simili a cornamuse). In particolare il presepe, derivato da rappresentazioni medievali che la tradizione fa risalire a San Francesco d’Assisi, è una ricostruzione figurativa della natività di Gesù ed è una tradizione particolarmente radicata in Italia. L’albero di Natale è invece un abete (o altra conifera sempreverde) addobbato con piccoli oggetti colorati, luci, festoni, dolciumi, piccoli regali impacchettati e altro. Le origini risalgono al mondo tedesco nel XVI secolo, sulla base di preesistenti tradizioni pagane (Germani). L’albero viene allestito anche da alcuni movimenti neopagani quali la Wicca e la Wica Italica. Babbo Natale, presente in molte culture, è un vecchio con la barba bianca che distribuisce i doni ai bambini, di solito la sera della vigilia di Natale. Deriva forse dalla figura storica di San Nicola di Bari ma nella sua forma moderna si è diffuso a partire dal XIX secolo negli Stati Uniti. Molte tradizioni natalizie sono infine legate alla musica (canti natalizi come Tu scendi dalle stelle e Jingle Bells), a particolari piante (l’agrifoglio, il vischio, la stella di Natale) e pietanze sia dolci (panettone, pandoro e altri dolci natalizi) che salati (zampone, cotechino), spesso con


Esempio di Presepe

forte variabilità da regione a regione.

Il Natale non è presente tra i primi elenchi di festività cristiane, probabilmente perché i primi Cristiani non festeggiavano tale festa. Il processo attraverso il quale il 25 dicembre divenne la ricorrenza della nascita di Gesù per tutta la cristianità, incominciò infatti solo dopo la fine del III secolo, in sostituzione del più antico culto del Sol Invictus (rinasci-

ta del Sole). Le prime evidenze di una celebrazione provengono da Alessandria d’Egitto, circa 200 d.C., quando Clemente di Alessandria disse che certi teologi egiziani, “molto curiosi”, definirono non solo l’anno, ma anche il giorno della nascita di Gesù il 25 Pachon, corrispondente al 20 maggio del ventottesimo anno di Augusto ma fecero questo non perché ritenessero che il Cristo fosse nato quel giorno ma solo perché quel mese

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era il nono del loro calendario. Altri scelsero le date del 24 o 25 Pharmuthi (19 o 20 aprile). Riguardo alla Chiesa di Roma, la più antica fonte sulla celebrazione del Natale è il Cronografo del 354, compilato nel 354, che riporta “nel calendario civile il 25 dicembre è indicato come Natalis Invicti”, e sempre il 25 dicembre viene indicato come “ natus Christus in Betleem Iudeae”. È questo documento risalente al 354 che sancisce la “nascita” della festività natalizia.

Francesco V.

L’EPIFANIA L’Epifania od anche Epifania del Signore, è una festa cristiana celebrata il 6 gennaio, dodici giorni dopo il Natale. Nei Paesi in cui non è festività civile, viene spostata alla domenica tra il 2 e l’8 gennaio. L’Epifania è con l’Ascensione, la Pentecoste ed il Natale una delle massime solennità che la Chiesa celebra, inferiori di grado solo alla Pasqua. Il termine epifania deriva dal greco antico, epifàino (che significa “mi rendo manifesto”) e dal discendente sostantivo femminile epifanèia (che può significare manifestazione, apparizione, venuta, presenza divina). Il termine epifanèia veniva utilizzato dai greci per indicare l’azione o la manifestazione di una divinità (me-

Adorazione dei Re Magi

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diante miracoli, visioni, segni, ecc.). Nel III secolo i cristiani iniziarono a identificare con il termine Epifania, le manifestazioni divine (come i miracoli, i segni, le visioni, ecc.) di Gesù. In particolare, tra queste manifestazioni si sono sottolineate: l’adorazione da parte dei Re Magi, il battesimo di Gesù ed il primo miracolo avvenuto a Cana. Oggi con questo termine si intende, invece, la prima manifestazione pubblica della divinità, con la visita dei Magi (sacerdoti astronomi Persiani?) al bambino Gesù. Nel mondo ortodosso, alcuni usano il termine Epifania per indicare la festa che cade sempre il 6 gennaio (o tredici giorni più tardi nelle Chiese che seguono il calendario giuliano) e viene più correntemente chiamata Teofania. In questo giorno viene celebrato il battesimo di Gesù nel Giordano, mentre la visita dei Magi nelle chiese di rito bizantino viene celebrata il giorno stesso del Natale. I Magi sono stati interpretati come Re Magi per l’influsso di Isaia 60,3, e sono stati attribuiti (senza fonti storiche accreditate) loro i loro nomi di Melchiorre (semitico), Gaspare (camitico) e Baldassarre (iafetico). Secondo il Vangelo di Matteo (2,2) i Magi (non precisati nel numero), guidati in Giudea da una stella (o astro), portano in dono a Gesù bambino, riconosciuto come “re dei Giudei”

(Matteo 2,2), oro (omaggio alla sua regalità), incenso (omaggio alla sua divinità) e mirra (anticipazione della sua futura sofferenza redentrice) e lo adorarono. Con l’Epifania, quindi, si celebra la prima manifestazione della divinità di Gesù all’intera umanità, con la visita solenne, l’offerta di doni altamente significativi e l’adorazione dei magi, autorevoli esponenti di un popolo totalmente estraneo al mondo ebraico e mediterraneo. NELLE CHIESE ORIENTALI Nelle chiese cristiane ortodosse (che seguono il calendario giuliano), il 7 gennaio si celebra la Nascita di Gesù, a causa di una differenza di tredici giorni fra calendario gregoriano, in uso in occidente dal 1582, e il calendario giuliano precedente, ancora in uso in certe chiese ortodosse. NELLA CHIESA LATINA La festa dell’Epifania, dodici giorni dopo il Natale, è parte del Tempo di Natale e dà inizio al Tempo dell’Epifania. Il Tempo d’Epifania è un periodo del calendario liturgico tradizionale della chiesa cattolica latina e di diverse chiese protestanti. Nelle varie culture la celebzione dell’Epifania si accompagna a sim-

boli e tradizioni diverse di derivazione molto antiche (culti solari) a contaminazioni più recenti come: la Stella Cometa che guida i Re Magi (tradizione orientale contaminata dal cristianesimo); l’accensione di fuochi augurali (culti solari); lo scambio di doni; le feste popolari; la tradizione dei regali ai bambini (nella calza), soprattutto nei paesi di tradizione cattolica. In Italia, i doni sono portati dalla Befana (impersonificata da una vecchia brutta ma buona, legata secondo la tradizione all’adorazione dei Magi). In Spagna, i regali sono portati dai Re Magi. Non in tutti i paesi cristiani il 6 gennaio è riconosciuto come festività anche agli effetti civili. Oltre che in Italia (salvo che nel periodo 1978 / 1985), lo è in Austria, Croazia, Finlandia, in alcuni Länder della Germania, in Grecia, in Slovacchia, in Spagna, in Svezia, in alcuni cantoni della Svizzera, nella Repubblica Dominicana, in Polonia e nel territorio americano di Porto Rico.

Claudio


i quaranta giorni che impiegarono gli esploratori ebrei per esplorare la terra in cui sarebbero entrati; i quaranta giorni camminati dal profeta Elia per giungere al monte Oreb; i quaranta giorni di tempo che, nella predicazione di Giona, Dio dà a Ninive prima di distruggerla.

È il periodo che precede la celebrazione della Pasqua e che, secondo il rito romano, dura quarantaquattro giorni (partendo dal mercoledì delle Ceneri) mentre, secondo il rito ambrosiano, ne dura quaranta, a partire dalla domenica successiva al Martedì Grasso. Tale periodo è caratterizzato dall’invito insistente alla conversione a Dio, si pratica il digiuno ecclesiastico e altre forme di penitenza, la preghiera e la carità. La quaresima è uno dei tempi più importanti che la Chiesa cattolica e altre chiese cristiane, celebrano lungo l’anno liturgico. È un cammino di preparazione a celebrare la Pasqua che è il culmine delle festività cristiane. Sostanzialmente questo periodo vuole ricordare i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto dopo il suo battesimo nel Giordano e prima del suo ministero pubblico. Il carattere originario della quaresima è riposto nella penitenza di tutta la comunità cristiana e dei singoli. Si dice abitualmente che la durata della quaresima è di quaranta giorni: in realtà il calcolo esatto arriva (nel rito romano) a quarantaquattro giorni. Alla fine del IV secolo, e ancora oggi nel rito ambrosiano, la quaresima inizia di domenica (1º giorno), durava cinque settimane complete (5x7=35 giorni) e si concludeva il giovedì della settimana santa (altri 5 giorni), per un totale di quaranta

giorni esatti. Alla fine del V secolo l’inizio venne anticipato al mercoledì precedente la prima domenica (altri 4 giorni), e furono inclusi il Venerdì Santo e il Sabato Santo nel computo della quaresima: in tutto 46 giorni. Ciò fu dovuto all’esigenza di computare esattamente quaranta giorni di digiuno ecclesiastico prima della Pasqua, dato che nelle 6 domeniche di quaresima non era (e non è) consentito digiunare. Con la riforma del Concilio Vaticano II° il Triduo Pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo ha riacquistato una sua autonomia liturgica, e il tempo di quaresima termina nel rito romano del Giovedì Santo. Per cui oggi la quaresima dura dal Mercoledì delle Ceneri fino al giovedì santo, per un totale di quarantaquattro giorni; i giorni di penitenza prima della Pasqua restano però ancora 40. Mentre per il rito Ambrosiano la quaresima inizia la domenica dopo il mercoledì delle ceneri romano e termina anch’essa con il Giovedì Santo per un totale di quaranta giorni esatti a ricordo dei giorni di digiuno di Gesù nel deserto. Nella determinazione della durata ebbe grande peso il numero quaranta che ricorre nell’Antico Testamento molte volte: i quaranta giorni del diluvio universale; i quaranta giorni passati da Mosè sul monte Sinai;

Nel Nuovo Testamento ci sono alcuni passi chiave nei quali si parla di quaranta giorni: i quaranta giorni che Gesù passò digiunando nel deserto. i quaranta giorni in cui Gesù ammaestrò i suoi discepoli tra la resurrezione di Gesù e l’Ascensione Un altro riferimento significativo è rappresentato dai “quaranta anni” trascorsi da Israele nel deserto. Nella Numerologia il numero 40 in generale 40 significa penitenza, la peregrinazione lungo il sentiero della verità per giungere al Cielo (come diceva Sant’Agostino) . Secondo alcune correnti spirituali/esoteriche la stesa anima dopo la morte del corpo fisico attenderebbe 40 giorni prima di essere “giudicata” o reincarnarsi in una nuova vita (in un nuovo corpo).

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LA QUARESIMA

Arved

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La Pasqua è la principale festività del Cristianesimo. Essa celebra la risurrezione di Gesù che, secondo le Scritture, è avvenuta nel terzo giorno successivo alla sua morte in croce. La festa della Pasqua cristiana è mobile, viene fissata di anno in anno nella domenica successiva alla prima luna piena (il plenilunio) successiva all’equinozio di primavera (il 20/21 marzo). Gli stessi cicli lunari determinano anche la cadenza di altre celebrazioni e tempi liturgici, come la Quaresima e la Pentecoste. La Pasqua cristiana presenta importanti legami con la Pasqua ebraica. PASQUA EBRAICA La Pasqua ebraica, chiamata Pesach (pasa’, in aramaico) e significa “passare oltre”, celebra la liberazione degli Ebrei dall’Egitto grazie a Mosè e riunisce due riti: l’immolazione dell’agnello e il pane azzimo. La Pesach indica quindi la liberazione di Israele dalla schiavitù sotto gli egiziani e l’inizio di una nuova libertà con Dio verso la terra promessa. Gli ebrei che vivono entro i confini dell’antica Palestina celebrano la Pasqua in sette giorni. Durante la festa un ebreo ortodosso deve astenersi dal consumare pane lievitato e sostituirlo con il pane azzimo, come quello che consumò il popolo ebraico durante la fuga dall’Egitto; per questo motivo la Pasqua ebraica è detta anche ‘festa degli azzimi’. La tradizione ebraica ortodossa prescri-

Raffigurazione di Mosè

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LA PASQUA ve inoltre che, durante la Pasqua, i pasti siano preparati e serviti usando stoviglie riservate strettamente a questa ricorrenza. La Pasqua ebraica è fissata al giorno 14 del mese di Nisan del calendario ebraico, come prescrive la Bibbia (Esodo 12,1-18). Si tratta di un calendario lunisolare, quindi ogni mese inizia con la luna nuova e il quindicesimo giorno coincide con il plenilunio. La data corrispondente nel calendario gregoriano (quello usato dalla maggior parte dei paesi del mondo, tra cui l’Italia) varia di anno in anno entro un intervallo di circa 30 giorni. Il 14 del mese di Nisan dovrebbe corrispondere sempre al plenilunio successivo all’equinozio di primavera (20/21 marzo); ma poiché l’anno ebraico medio è di circa 6 minuti e mezzo più lungo rispetto all’anno tropico, nel corso dei secoli si sono accumulati alcuni giorni di ritardo. Attualmente la Pasqua ebraica cade sempre tra il 26 marzo e il 25 aprile questo intervallo di date però si sposta lentamente sempre più in avanti (circa 1 giorno ogni due secoli). PASQUA CRISTIANA La Pasqua con il Cristianesimo ha acquisito un nuovo significato, indicando il passaggio da morte a vita per Gesù Cristo e il passaggio a vita nuova per i cristiani, liberati dal peccato con il sacrificio sulla croce e chiamati a risorgere con Gesù. La Pasqua cristiana è quindi la chiave interpretativa della nuova alleanza e l’avvento del Regno di Dio, concentrando in sé il significato del mistero messianico di Gesù. Perciò, la Pasqua cristiana è detta Pasqua di risurrezione, mentre quella ebraica è Pasqua di liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Dal punto di vista teologico, la Pasqua racchiude in sé tutto il mistero cristiano: con la Passione, Cristo si è immolato per l’uomo, liberandolo dal peccato originale e riscattando la sua natura ormai corrotta, permettendogli quindi di passare dai vizi alla virtù; con la risurrezione ha vinto sul mondo e sulla morte, mostrando all’uomo il proprio destino, cioè la risurrezione nel Giorno Finale, ma anche il risveglio alla vera vita. La Pasqua si completa con l’attesa del-

Raffigurazione di Cristo Risorto la Parusia, la seconda venuta, che porterà a compimento le Scritture. I cristiani hanno dunque trasferito i significati della Pasqua ebraica nella nuova Pasqua cristiana, seppur con significativi cambiamenti, che le hanno dato un volto nuovo. Le Scritture hanno infatti un ruolo centrale negli eventi pasquali: Gesù, secondo quanto ci è stato tramandato nei Vangeli, è morto in croce nei giorni in cui ricorreva la festa ebraica; inoltre, questo evento venne visto dai primi cristiani come la realizzazione di quanto era stato profetizzato sul Messia. Questo concetto viene ribadito più volte sia nella narrazione della Passione, nella quale i quattro evangelisti fanno continui riferimenti all’Antico Testamento, sia negli altri libri del Nuovo Testamento, come nella prima lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: « Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è resuscitato il terzo giorno secondo le Scritture ». L’accento si pone dunque sull’adempimento delle Scritture, per cui i giudeo-cristiani, seppur continuando, a festeggiare la Pasqua ebraica, dovettero immediatamente spogliarla del significato di attesa messianica, per poi superare anche il ricordo dell’Esodo, per rivestirla di nuovo significato, cioè la seconda venuta di Cristo ed il ricordo della Passione e risurrezione. Catia Ludovichi


I rituali pasquali, che celebrano la morte e la resurrezione del Cristo, cadono nel periodo primaverile e ripropongono alcuni aspetti di una religiosità arcaica pre-cristiana che è ricca di simbologie propiziatorie collegate alla morte e rinascita della terra. La stessa Pasqua Cristiana richiama il culto di Estia o Vesta, le Vestali infatti celebravano nell’Equinozio di Primavera un particolare rito che involveva l’accensione di un cero (che venne in seguito anche questo assimilato dalla tradizione cristiana) simboleggiante la fiamma eterna dell’esistenza. A testimonianza di ciò è il fatto che la Pasqua segue sempre il primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera. Insomma nel periodo primaverile alcuni rituali e usanze rinnovano significati propiziatori. Mentre nella società contadina questi rituali avevano la funzione di ringraziare la terra per i suoi prodotti e favorire simbolicamente la fertilità, al giorno d’oggi tendono a rinnovare l’identità culturale delle comunità che li attua. Emblematica in tal senso i “tronchi” di Tarquinia, dove il lunedì dell’angelo si portano in processione per la città dei veri e propri tronchi, molto alti con in cima delle ghirlande, il tutto viene svolto come una marcia

dove trionfante segue il Cristo risorto accompagnato dagli spari di fucili. Altro caso è la festa del “Maggio di Accettura” in Basilicata, che si svolge in occasione della Pentecoste e nel corso della quale s’innesta una cima di un albero sul tronco di un altro albero, chiamato il Maggio, celebrandone il matrimonio. Nell’ambiente Neopagano è famosa la festa di Beltane. BELTANE Beltane o Beltaine (dall’antico irlandese Beletene, “fuoco luminoso”) è un’antica festa gaelica che si celebra attorno al 1º maggio. “Bealtaine” è anche il nome del mese di maggio in irlandese. C’è chi sostiene che il nome deriverebbe dal dio Bel, ma non vi sono prove e fonti a conferma di questo. È il giorno situato a metà fra l’equinozio di primavera ed il solstizio estivo, astronomicamente il giorno corretto sarebbe il 5 maggio, ma è ormai ben radicata la tradizionale data del primo. Fonti storiche del X secolo affermano che i druidi accendevano dei falò sulla cima dei colli e che vi conducevano attraverso il bestiame del villaggio per purificarlo ed in segno di buon augurio. Anche le persone attraversavano i fuochi, allo stesso

scopo. L’usanza persistette attraverso i secoli e dopo la cristianizzazione fino agli anni cinquanta, oggi son ritornati ad essere accesi dai nuovi druidi dei vari gruppi Celti Neopagani. Una delle celebrazione di Beltane più famose è quella che si tiene ogni anno la notte del 30 aprile a Calton Hill, presso Edimburgo (Scozia), a cui partecipano circa 15.000 persone. Nel Celtismo/Druidismo, Beltane indica una delle otto festività legate al ciclo delle stagioni. Nella Wicca Beltane o Beltaine indica uno degli otto sabbat, celebrato tra la notte del 30 prile e il 1º maggio. Oggi la festività riprende sia alcuni aspetti della festa gaelica (come i falò) e sia quelle della celebrazione germanica del Calendimaggio, sia nel significato di festa della fertilità che nei rituali (come la danza attorno ad un palo ornato di fiori e stringhe, di cui ogni danzatore tiene un’estremità). Beltaine viene celebrata con una rappresentazione rituale del rapporto fra il Dio e la Dea. La tradizione endemica europea di accendere fuochi e falò in occasione di festività primaverili o legate ad

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FESTE E RITUALI PRIMAVERILI

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equinozi e solstizi è la traccia indelebile degli antichissimi riti legati ad un Dio e ad una Dea della fertilità, che unendosi donano nuova vita alla terra, rendendola ricca di frutti, quindi fertile. IN ITALIA In Italia è molto ben radicata questa usanza di accendere falò in vari periodi dell’anno, sempre inc concomitanza con i solstizi o gli equinozi. In alta Valle Camonica (BS), la piccola comunità di Pontagna, frazione del comune di Temù, festeggia la notte tra il 15 ed il 16 di agosto (nella tradizione Cristiana è la festa di Santa Giulia) con grandi fuochi accesi in alto sui monti, ben visibili da fondo valle. Analogamente, ad Avezzano è tradizione accendere fuochi in onore della Madonna di Pietraquaria la notte del 26 aprile. In Calabria nel comune di Scandale (Kr) si usa accendere per ogni quartiere dei grandi fuochi nella sera del 18 marzo (oggi in onore a San Giuseppe, che si celebra il 19 marzo), ma anticamente erano legati all’equinozio primaverile. Sempre in Calabria a Crotone si usava (oggi meno) accendere grandi fuochi nella sera del 12 dicembre, anche questi anticamente legati al solstizio invernale ma oggi legati alla festa di S. Lucia (che si celebra il 13 dicembre). IL CALENDIMAGGIO Il calendimaggio è una tradizione viva ancor oggi in molte regioni d’Italia come allegoria del ritorno alla vita e della rinascita: fra queste la Liguria, la Lombardia, l’Emilia-Romagna, la Toscana, l’Umbria e la zona delle Quattro Province (Piacenza, Pavia, Alessandria e Genova). Il Calendimaggio o cantar maggio trae il nome dal periodo in cui ha luogo cioè l’inizio di maggio, ed è

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una festa stagionale che si tiene per festeggiare l’arrivo della primavera dalla funzione rituale magico-propiziatorie. Simbolo della rinascita primaverile sono gli alberi (ontano, maggiociondolo) e i fiori (viole, rose) con cui i partecipanti si ornano e che vengono citati nelle strofe dei canti. In particolare la pianta dell’ontano, che cresce lungo i corsi d’acqua, è considerata il simbolo della vita ed è per questo che è spesso presente nel rituale. Si tratta di una celebrazione che risale ai celti strettamente legata a Beltane, ma legati anche agli etruschi e liguri che celebravano l’arrivo della bella stagione, essendo questi popoli tutti molto integrati con i ritmi della natura. In diverse città si è formalizzata in una vera e propria consuetudine dotata di regole interne e a carattere fortemente spettacolare, come la Maggiolata a Firenze o il Calendimaggio ad Assisi. Oggi in alcuni luoghi si celebra durante tutto il mese di maggio questa tradizione, come nel caso dal Festival del Maggio Itinerante. Nelle province della Montagna pistoiese il Calendimaggio viene celebrato nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio e consiste nell’itinerare lungo il paese cantando i canti del Maggio sotto ogni casa. A seconda della località in cui si svolge questa festa troviamo forme e nomi differenti, qui ne elenchiamo solo alcune delle più famose: Calendimaggio ad Assisi (PG) Calendimaggio a Vernasca (PC), in val d’Arda Cantar Maggio su tutta la Montagna Pistoiese, dove per tutto il mese si svolge il Festival del Maggio Itinerante, Carlin di maggio a Corte Brugnatella in val Trebbia (PC),

Cantamaggio a Prataccio, provincia di Pistoia Santa Croce, in una zona compresa fra i comuni di Brallo di Pregola, Bobbio e Corte Brugnatella, nelle province di Pavia e Piacenza E bene venga maggio a Monghidoro (BO) Galina grisa o Galëina grisa in val Tidone, a Pianello Val Tidone o a Cicogni, frazione di Pecorara, (PC) e a Romagnese (PV) Maggio a Santo Stefano d’Aveto (GE) Cantamaggio a Terni (TR) Maggiolata a Firenze (FI) Pianta dal Macc a Canzo (CO) Cantar le uova nell’Alessandrino Seveso, nella frazione di San Pietro, è presente nella prima domenica e nel primo lunedì di maggio una festa detta di Calendimaggio. La Maggiolata a Castiglione d’Orcia in provincia di Siena nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio

Leron


Il Ramadan detto anche il Digiuno è, secondo il calendario musulmano, il nono mese dell’anno e ha una durata di 29 o 30 giorni. La parola, in arabo, significa “mese caldo”, il che fa ritenere che un tempo (quando i mesi erano legati al ciclo solare) esso fosse un mese estivo. In origine, il mese di Ramadan era, come il suo nome stesso (mese caldo) mostra, un mese estivo; ma successivamente Maometto stesso adottò un calendario puramente lunare di dodici mesi che, perciò, cambia posizione anno per anno. Dato che il calendario islamico è composto da 354 o 355 giorni (10 o 11 giorni in meno dell’anno solare), il mese di Ramadan di anno in anno cade in un momento differente dell’anno solare, e quindi man mano cade in una stagione diversa. Nel corrente anno 2012 (per gli Arabi 1433) il Ramadan inizia il 20 Luglio e termina il 18 Agosto. Il Ramadan, per la rigorosa osservanza del digiuno diurno che ostacola il lavoro e per il carattere festivo delle sue notti, costituisce un periodo eccezionale dell’anno per i fedeli islamici in tutti i paesi a maggioranza musulmana: la sua sacralità è fondata sulla tradizione già fissata nel Corano, secondo cui in questo mese Maometto avrebbe ricevuto una ri-

velazione dall’arcangelo Gabriele. Il digiuno durante tale mese costituisce il quarto dei Cinque pilastri dell’Islam e chi ne negasse l’obbligatorietà sarebbe kāfir, colpevole cioè di empietà massima e dirimente dalla condizione di musulmano. In alcuni paesi a maggioranza islamica il mancato rispetto del digiuno è sanzionato penalmente. Nel corso del mese di Ramadan i musulmani praticanti debbono astenersi - dall’alba al tramonto - dal bere, mangiare, fumare, dal praticare attività sessuali e dall’abbandonarsi all’ira. Chi è impossibilitato a digiunare (perché malato o in viaggio) può anche essere sollevato dal precetto, ma appena possibile, dovrà recuperare il mese di digiuno successivamente. Dal momento che lo scopo del devoto è quello di purificarsi da tutto quello che di materiale esiste nel mondo corrotto e corruttibile, e dal momento che ogni ingestione gradevole è considerata corruzione del corpo e dell’anima, è vietato anche fumare e, secondo alcuni, profumarsi perché in entrambe le azioni s’ingerirebbero sostanze estranee e da entrambe le azioni si trarrebbe un godimento illecito che distoglierebbe dagli aspetti penitenziali cui mira l’istituzione. L’ingestione involontaria di cibi, di sostanze liquide o gassose

non costituisce comunque rottura di digiuno. Vale la pena però sottolineare che l’uso del profumo nel corso del digiuno è ammesso da una parte dei dotti musulmani che vietano esplicitamente solo l’inalazione di incenso. Il motivo di questa relativa tolleranza sta forse nel fatto che il profeta Maometto amava molto i profumi e ne faceva abbondante uso per il fastidio che egli provava per i cattivi odori, tanto da vietare a chi avesse mangiato aglio o cipolla di partecipare alla preghiera collettiva del mezzodì di venerdì in moschea. Per alcuni dotti dello Sciismo, come ad esempio Najm al-Dīn al-Muhaqqiq al-Hillī, invece, se il fumo e il profumo non costituiscono violazione dell’obbligo, in caso di rapporti carnali, la prima violazione dell’obbligo di astensione nel corso del digiuno comporterebbe la fustigazione e, in caso di recidiva, addirittura la pena di morte. Quest’opinione rimane nella quasi totalità dei casi non applicata nei fatti. Le donne incinte o che allattano, i bambini e i malati cronici sono esentati dal digiuno e dovrebbero al suo posto, secondo le loro possibilità, fare la carità come ad esempio nutrire le persone bisognose indipendentemente dalla loro religione, gruppo etnico o dalle loro convinzioni. Quando tramonta il sole il digiuno viene rotto. La tradizione vuole che si debba mangiare un dattero perché così faceva il Profeta. In alternativa si può bere un bicchiere d’acqua. Al termine del mese di Ramadan, viene celebrato lo Id al-fitr (“festa della interruzione [del digiuno]”), detta anche la “festa piccola”.

RELIGIONI & RICORRENZE

RAMADAN

Il significato spirituale del digiuno è stato analizzato da molti teologi. Si attribuisce ad esempio al digiuno la dote di insegnare all’uomo l’autodisciplina, l’appartenenza ad una comunità, la pazienza e l’amore per Dio. Un’altra interpretazione è che il digiuno e l’astinenza sessuale per un mese intero ricordi al praticante le privazioni dei poveri e quindi lo invogli a versare la zakat (la tassa coranica verso i diseredati). Francesco V.

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UOMINI & TESTIMONIANZE

ANNA GÖLDI

Anna Göldi Anna Göldi, o Göldin, (Svizzera, Sennwald, 24 ottobre 1734 – Glarona, Svizzera, 13 giugno 1782), fu l’ultima donna ad essere condannata a morte per stregoneria in Europa. Nacque da Adrian e Rosina Büeler, quarta di otto figli. Il nonno era porta-bandiera, una nomina ritenuta di prestigio, ma a seguito di litigi col sindaco per questioni di terreni, fu condannato alla prigione ed al pagamento di una cospicua somma per insulti ed aggressioni; fuggì in Italia e di lui non si seppe più nulla. Così Adrian, padre di Anna, allora undicenne, dovette continuare l’estinzione della multa inflitta al padre. La famiglia si ridusse in povertà e perse il prestigio. Anna dovette guadagnarsi la vita andando a fare la serva presso il sindaco Enderlin a Maienfeld. Successivamente trovò impiego presso il panettiere Bernegger a Sax, ove rimase cinque anni e mezzo per poi, dal 1762 al 1765, lavorare nella casa del pastore di Sennwald. Di bella presenza, durante questa permanenza conobbe Jakob Rhoduner, del quale rimase incinta e che la lasciò sola arruolandosi come mercenario in Olanda. A 31 anni partorì segretamente un bambino che

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morì la stessa notte in circostanze non conosciute e lei fu condannata per infanticidio agli arresti domiciliari per sei anni. Dal 1765 al 1768 lavorò presso la famiglia del landamano Cosmus Heer, per poi trasferirsi nel cantone di Glarona, a Mollis, dove prese servizio presso il pastore Johann Heinrich Zwicky. Durante il suo lavoro intrecciò una relazione amorosa con il figlio Melchior e dopo sei anni rimase nuovamente incinta; la famiglia Zwicky la mandò a partorire a Strasburgo. Di questo figlio, nato nel 1775, si sono perdute le tracce. Nel 1775 ritornò nel glaronese a lavorare presso il rilegatore Tinner stringendo amicizia con i coniugi Steinmueller, che le furono vicini fino alla fine. Nel settembre 1780 la Göldi fu assunta presso la famiglia del medico, dottore e giudice Johann Jakob Tschudi-Elmer. La piccola Anna Maria di 7 anni (figlia dei coniugi Tschudi-Elmer) l’accompagnava anche nelle passeggiate e visite presso gli amici Steinmueller. Fu lì che il 19 settembre 1781 avrebbe dato alla piccola Anna Maria un biscotto (“Läkerli”). Un mese dopo fu trovato il primo spillo di una lunga serie nella tazza della piccola Anna Maria. Si disse allora che quel biscotto, consumato dagli Steinmueller, fosse stato stregato da Anna Göldi e contenesse spilli. Nei giorni seguenti se ne trovarono regolarmente nel cibo della bambina. La sospettata serva si confidò a Johann Jakob Tschudi pastore e parente stretto della famiglia, che la cacciò in malo modo. Si recò prima dai Steinmüller, poi dalla sorella Barbara a Sax. La bambina però cominciava ad aver strane convulsioni e sempre più spilli si trovavano nel suo cibo. Iniziarono così tutti a convincersi della sua colpevolezza; le autorità di Glarona affissero manifesti di ricerca

emettendo una taglia di 100 corone, somma notevole. Anna fuggì scendendo la valle del Reno verso San Gallo, quindi verso Herisau nell’Appenzello e Degersheim, dove trovò un lavoro come cameriera (una lapide ricorda ancora il suo passaggio); lì fu arrestata il 21 febbraio 1782 e portata a Glarona. La gente convinta della colpevolezza della Göldi pretendeva che questa togliesse il malocchio alla piccola. Il 15 marzo 1782 Anna Göldi visita la piccola Anna Maria e dopo qualche massaggio, la ragazzina ricominciò a camminare e smise di vomitare gli spilli. Questa “guarigione” fu intesa come prova dell’essere una strega. Anna Göldi fu rinchiusa in prigione e sottoposta ad interrogatori e torture. Fino all’ultimo si proclamò innocente. Il dottor Tschudi, che ottenne i servigi di Anna nel periodo in cui servì presso di lui, si dette gran daffare presso i suoi colleghi giudici e le autorità di Glarona affinché venisse condannata. Il 6 giugno il consiglio evangelico glaronese con 32 voti contro 30 la giudicò colpevole di essere un’avvelenatrice (“Vergifterin”) e il 13 giugno 1782 Anna Göldi morì per decapitazione. Il 27 agosto 2008, a più di 226 anni dall’esecuzione, il parlamento cantonale di Glarona ha deciso di riabilitare Anna Göldi.

Sabrina


doo. Nel 1870 si trasferì in Inghilterra, dove studiò la cultura degli zingari, qui collaborò anche con lo scrittore esoterico Bulwer Lytton. In Francia si dedica alla ricerca sulle streghe delle campagne, convincendosi che la stregoneria rapresentava una forma di ribellione sociale. Nel 1888 si trasferì in Italia, a Firenze, dove resterà fino alla morte il 20 marzo 1903, a 79 anni e pochi mesi dome essere morta la moglie Isabel.

C. G. Leland Charles Godfrey Leland nacque a Filadelfia il 15 agosto 1824 e morì a Firenze il 20 marzo 1903. Fu folclorista e e giornalista americano, autore del IXX° secolo, famoso per gli studi antropologici sulla religione etrusca/ romana, ma anche su culture come quella degli zingari e degli indiani d’america. Leland fu uno dei primi ad interessarti dei culti pre-cristiani, e affermò di aver rivelato in Italia un culto superstite stregonesco derivante dalla cultura etrusco/romana. Charles Godfrey Leland ebbe fin da piccolo contatti con la stregoneria, si dice che la sua bambinaia (irlandese) lo rendeva partecipe a strani riti occulti. Studia prima a Princeton, poi per due anni in Germania a Heildelberg e Monaco. Nel 1848, il suo carattere ribelle lo porta a partecipare a Parigi alla Terza Rivoluzione Francese, a fianco dell’occultista Eliphas Levi. Leland non nascose mai le sue idee anarchico-socialiste. Tornato in America, studia diritto nel 1853 e in seguito divenne giornalista. Nel 1869 ricevette una cospicua eredità paterna che gli consentì di potersi dedicare pienamente alle sue ricerche antropologico, la sua vera passione. Studiò sul campo le tradizioni degli indiani d’America e la magia Voo-

Leland fu un personaggio curioso e alquanto bizzarro, era convinto di avere un’antenata strega, aveva immense collezioni si libri e documenti/reperti folklorici su vari paesi e culture, camminava sempre con le tasche piene di amuleti, conosceva anche molte lingue ed era un bravo disegnatore. Nel corso della sua intensa esistenza fondò varie associazioni e scrisse oltre cinquanta libri tra cui: 1855: Meister Karl’s Sketch-book 1864: Legends of Birds 1871: Hans Breitmann Ballads 1872: Pidgin-English Sing-Song 1873: The English Gipsies 1879: Johnnykin and the Goblins 1882: The Gypsies 1884: Algonquin Legends 1891: Gyspsy Sorcery and Fortune Telling 1892: The Hundred Riddles of the Fairy Bellaria 1892: Etruscan Roman Remains in Popular Tradition: una edizione italiana di Etruscan Roman Remains è stata pubblicata in 2 voll. dall’Editore Rebis nel 1997 con il titolo Il Tesoro delle Streghe e un’altra parziale intitolata Streghe, esseri fatati ed incantesimi nell’Italia del nord di Elfi Edizioni nel 2004 1893: Have you a Strong Will? or how to Develop it or any other Faculty or Attribute of the Mind and render it habitual - edito post mortem e pubblicato in italiano dall’Editore Bocca di Torino con il titolo La forza della volontà. Metodo per sviluppare e rinvigorire la Volontà, la Memoria ed ogni altra facoltà mentale col sistema dell’auto-suggestione (1909-

1913 -1921) 1896: Legends of Florence Collected from the People (2 vols.): La traduzione italiana del primo volume dell’opera “Legends of Florence” è stata pubblicata dalle Ed.Rebis con il titolo “Firenze Arcana” nel 2004; i racconti del secondo volume stanno apparendo a puntate sulla rivista “Elixir” dello stesso editore. 1899: Unpublished Legends of Virgil (traduzione italiana dal titolo “Le leggende inedite di Virgilio” ad opera delle Edizioni Saecula) 1899: Aradia, or the Gospel of the Witches: Esistono cinque edizioni italiane di “Aradia”: la prima edizione ufficiale è stata pubblicata dalle Edizioni Rebis (il Gatto Nero) nel 1994, le altre dalla Casa Editrice All’Insegna di Istar 1994, dalle Edizioni Lunaris 1995, da Olschki Editore 1999, da Stampa Alternativa 2001, oltre un’edizione privata stampata a Firenze nel 1991, curata da P.L.Pierini 1899: Have You a Strong Will? 1901: Legends of Virgil 1902: Flaxius, or Leaves from the Life of an Immortal.

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CHARLES GODFREY LELAND

Leland fu forse il primo a trattare argomenti quale la forza del pensiero o meglio conosciuta come la forza della mente (o pensiero positivo), tratto questi argomenti nel 1893 con il libro “Have you a Strong Will? or how to Develop it or any other Faculty or Attribute of the Mind and render it habitual”, edito in Italia post mortem dall’Editore Bocca di Torino con il titolo “La forza della volontà” (1909- 1913 -1921). Ma il libro che resta più di tutti legato al nome di Charles Godfrey Leland è “Aradia il Vangelo delle Streghe”. Leland riferisce di averlo ricevuto dalla sua principale fonte di informazioni sulle tradizioni della stregoneria italiana, una donna che lo scrittore chiama Maddalena. Il resto del materiale è il frutto delle ricerche di Leland sul folklore e sulle tradizioni italiane, tra cui altre informazioni fornite da Maddalena. Leland racconta di essere venuto a conoscenza dell’esistenza del Vangelo nel 1886 ma Maddalena impiegò undici anni per procurargliene una copia. Dopo aver tradotto e

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di Diana (Capitolo IV), incantesimi per ottenere l’amore (Capitolo VI). La parte narrativa occupa la minoranza del testo e si compone di brevi racconti e leggende sulla nascita della religione delle streghe e sulle gesta dei loro dei. L’opera di Leland restò poco conosciuta fino agli anni cinquanta, quando iniziarono a essere discusse anche varie altre teorie sulla sopravvivenza di rituali pagani.

Aradia, copertina della prima edizione, 1899 sistemato il materiale occorsero altri due anni per la sua pubblicazione. I quindici capitoli descrivono le origini, le credenze, i rituali e gli incantesimi tradizionali della stregoneria pagana italiana. La figura centrale di quella religione è la Dea Aradia (figlia di Diana e Lucifero), venuta sulla terra per insegnare la pratica della stregoneria ai contadini perché si opponessero ai signori feudali e alla Chiesa Cattolica Romana. Il capitolo I presenta le prime streghe come schiave che sono sfuggite ai propri padroni che iniziano delle nuove vite come “ladre e persone malvagie”. Diana manda loro sua figlia Aradia per insegnare a queste ex schiave la stregoneria, della quale possono usare la potenza per “distruggere la malvagia stirpe degli oppressori”. Le allieve di Aradia diventano così le prime streghe e perpetueranno quindi l’eredità di Diana. Leland fu colpito da questa cosmogonia: “in tutte le altre Scritture di tutti i popoli è l’uomo... a creare l’universo; Nella società delle streghe è la femmina a rappresentare il principio fondamentale”. Interi capitoli sono dedicati a rituali e formule magiche. Tra questi il modo per consacrare farina e altri alimenti per una festa rituale in onore di Diana, Aradia e Caino (Capitolo II), una scongiurazione da recitare quando si trova una pietra bucata o una pietra rotonda per trasformarla in un amuleto per ottenere il favore

simile culto possa essere davvero sopravvissuto. Gli studiosi sono divisi; alcuni valutano false le affermazioni di Leland sulle origini del manoscritto, mentre altri ne sostengono l’autenticità e lo considerano una documentazione unica sulle credenze popolari. Si può benissimo definire Charles Godfrey Leland , come uno dei precursori del movimento Neopagano, in particolare della stregoneria e della Wicca.

Oggi “Aradia il Vangelo delle Streghe” è considerato il primo vero testo della rinascita della stregoneria nel XX secolo, e il libro è in effetti ripetutamente citato come estremamente importante per lo sviluppo del movimento della Wicca e della Stregoneria. Il testo apparentemente conforta la tesi di Margaret Murray che la stregoneria della prima epoca moderna e del Rinascimento rappresenti le usanze sopravvissute di antiche credenze pagane; dopo l’affermazione di Gerald Gardner di aver incontrato seguaci della religione delle streghe nell’Inghilterra del XX secolo le opere di Michelet, della Murray e di Leland furono d’aiuto per sostenere perlomeno la possibilità che un

Ritratto di Maddalena

Arved


In oriente Gardner ebbe modo di alimentare i suoi interessi per l’antropologia e l’etnologia: nel Borneo conobbe i Dayak e nel 1937 fece ricerche archeologiche in Malesia. Questi studi antropologici erano amatoriali, ma in seguito ci si riferì a lui come dottor Gardner. Nel 1936, ritiratosi in pensione all’età di 52 anni, tornò in patria.

Gerald B. Gardner Gerald Brosseau Gardner (Great Crosby, 13 giugno 1884 – Mar Mediterraneo, 12 febbraio 1964) è stato un esoterista britannico, fondatore del movimento spirituale della Wicca, per altri solamente il diffusore. Nacque a Great Crosby, nel Lancashire, vicino Liverpool, in Inghilterra da una famiglia benestante (proprietaria della società “Joseph Gardner & Sons”, la più antica e importante società di import di legname), che aveva al proprio servizio una eccentrica bambinaia irlandese di nome Josephine “Corn” Mc Combie. Gardner soffriva d’asma, e la domestica si offrì di accudirlo e portarlo con sé nel continente, verso un clima più adatto. Gardner quindi non ricevette un’educazione formale (inglese). Corn si sistemò in Asia, dove Gardner restò fino alla fine dell’adolescenza. Nel 1908 Gardner si trasferì in Borneo per spostarsi successivamente a Ceylon e in Malesia dove lavorò dapprima come coltivatore di caucciù e di tè e in seguito, dopo il 1923, trovò lavoro presso il servizio postale come funzionario doganale in Malesia. Nel 1927 sposò Donna Rosedale, figlia di un ecclesiastico anglicano, alla quale rimase legato fino alla morte di lei, avvenuta nel 1960.

Tuttavia la sua passione non solo per l’antropologia, ma anche per il mondo dell’occulto, segnò il resto della sua vita. Membro della Massoneria, aveva aderito a un ordine druidico ed era in contatto tramite la Co-Massoneria britannica con quasi tutti gli ambienti esoterici, teosofici ed occultistici dell’Inghilterra Meridionale. Si associò anche alla confraternita occulta della Fellowship of Cotona, un gruppo di matrice rosacrociana dove trovò, secondo quanto affermato da lui, la congrega alla quale fu iniziato. Pubblicò un autorevole testo contenente le sue ricerche sulle armi (un’altra sua passione) del Sud-Est asiatico e sulle pratiche magiche: Keris and other Malay Weapons (1936). Dal suo ritorno in Inghilterra si diede, apparentemente su consiglio medico, al naturismo, e cominciò ad occuparsi di occultismo. Pubblicò due libri fantasy: A Goddess Arrives (1939) e High Magic’s Aid (1949), seguiti dai suoi lavori più importanti: Witchcraft Today (1954) e The Meaning of Witchcraft (1959). Nel 1964, dopo vari attacchi di cuore, Gardner morì in mare, su una nave di ritorno dal Libano. Fu sepolto a Tunisi dove tutt’ora è la sua tomba. Gardner disse di essere stato iniziato nel 1939 ad una corrente di stregoneria religiosa che riteneva essere una continuazione del paganesimo europeo. Doreen Valiente, una delle sacerdotesse di Gardner, in un libro pubblicato da Janet e Stewart Farrar identificò la donna che l’aveva iniziato con Dorothy Clutterbuck, riferendo che Gardner le avesse parlato di una donna che chiamava Old Dorothy (vecchia Dorothy). Lo studioso Ronald Hutton, inve-

ce, sostiene nel suo Triumph of the Moon che la tradizione a cui aderì Gardner venisse piuttosto da membri del Rosicrucian Order Crotona Fellowship, e in particolare dalla donna conosciuta col “nome magico” Dafo. Leo Ruickbie nel suo Witchcraft out of shadows dopo aver analizzato le prove documentali al riguardo, concluse che Aleister Crowley (con il quale Gardner si incontrò in Italia, in specifico a Cefalù in Sicilia) giocò un ruolo cruciale come ispiratore della nuova religione pagana di Gardner. Gardner, nei sui due libri sull’argomento, si riferisce alla stregoneria religiosa col nome di “Wica” o “The Craft”, ma la sintassi di Gardner venne presto sostituita per consuetudine da “Wicca”. Il termine Wica, risalirebbe all’antico anglosassone, indicherebbe “saggio” e “stregone”. A differenza di wicca che sarebbe l’adattamento di wicce/witch “strega / stregoneria”.

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GERALD BROSSEAU GARDNER

Bibliografia: 1936: Keris and Other Malay Weapons 1939: A Goddess Arrives (romanzo) 1949: High Magic’s Aid (romanzo) 1954: Witchcraft Today (edizione in lingua italiana: La stregoneria oggi, Venexia, Roma, 2007) 1959: The Meaning of Witchcraft.

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UOMINI & TESTIMONIANZE

GESU’ DI NAZARET

Gesù di Nazaret Gesù di Nazaret (Betlemme o Nazaret, 7-2 a.C. – Gerusalemme, 2636) è il fondatore del Cristianesimo, religione che lo riconosce come il Cristo (Messia) atteso dalla tradizione ebraica e Dio fatto uomo. Secondo la tradizione cristiana, le principali fonti testuali relative a Gesù sono i quattro vangeli canonici (Matteo, Marco, Luca e Giovanni). Per quanto concerne le ricerche storiche sulla sua vita le principali fonti si trovano nel Nuovo Testamento, in particolare nelle lettere di Paolo e nei vangeli sinottici. Gli ultimi secoli hanno visto infatti lo sviluppo di ricerche volte a valutare l’attendibilità storica dei vangeli, inclusi gli elementi soprannaturali e miracolosi, sia a ricostruire il profilo del Gesù storico. La storicità di Gesù è generalmente riconosciuta dagli studiosi, ma, tra questi, vi è anche chi ha ricondotto tale figura all’elaborazione di un mito. Dai vangeli appare come la predi-

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cazione e l’operato di Gesù abbiano riscosso nella società ebraica coeva un limitato successo, conseguito peraltro principalmente tra i ceti più bassi. Il breve periodo della sua predicazione si concluse con la morte in croce, richiesta, secondo i vangeli, dalle autorità ebraiche. Dopo la morte, i seguaci di Gesù ne sostennero la risurrezione e diffusero il messaggio della sua predicazione, facendone una delle figure che hanno esercitato maggiore influenza sulla cultura occidentale. NASCITA Sia Matteo che Luca collocano la nascita di Gesù a Betlemme, in Giudea, «al tempo di re Erode». Mentre Matteo vi dedica un breve accenno (Mt1,25-2,1), Luca sviluppa la narrazione motivando il viaggio di Giuseppe e Maria da Nazaret a Betlemme con un censimento indetto da Augusto mentre governava Quirinio (Lc2,1-20). L’accenno a questo “primo censi-

mento” di Quirinio rappresenta un problema di difficile soluzione: l’unico censimento (il “secondo”?) indetto da Quirinio che ci è noto da altre fonti storiche avvenne infatti nel 6 d.C., quando Erode il Grande era già morto (4 a.C.). Non si conosce con esattezza la data di nascita di Gesù. La data tradizionale del Natale al 25 dicembre è tardiva (IV secolo) in quanto sostituzione della più antica festa pagana del Natalis Sol Invictus, e ancor più tarda la datazione all’anno I° a.C., in quanto risalente al monaco Dionigi il Piccolo (VI secolo). Secondo la maggior parte degli studiosi contemporanei, la nascita va collocata negli ultimi anni di re Erode, attorno al 7-6 a.C. Quanto a un eventuale matrimonio di Gesù, i vangeli canonici e le altre opere neotestamentarie non fanno alcuna menzione di una sposa di Gesù o di suoi figli, e sulla base di questo silenzio la tradizione cristiana lo ha pertanto identificato come celibe. A supporto del suo celibato viene citato solitamente il detto di Gesù relativo all’«eunuchia per il regno» (Mt19,10-12). Alcuni studiosi hanno però rilevato che la scelta celibataria di Gesù sarebbe incompatibile con l’ambiente giudaico del tempo, dove erano esaltati matrimonio e fecondità. Secondo il racconto dei vangeli, dopo alcuni anni di predicazione, Gesù fece il suo ingresso a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua ebraica. Al suo arrivo in città fu accolto da una folla festante che lo acclamava come Messia, evento ricordato nella tradizione cristiana la Domenica delle Palme. I sinottici collocano dopo l’ingresso a Gerusalemme la “purificazione del tempio”, che Giovanni colloca invece in occasione della prima Pasqua. Il racconto degli eventi che portarono alla morte di Gesù è riportato parallelamente dai quattro vangeli, seppure con alcune differenze ed aggiunte proprie. Dopo l’Ultima Cena, tenuta in città, Gesù si recò nel podere chiamato Getsemani, sul monte degli Ulivi, poco fuori Gerusalemme, dove sostò in preghiera. Qui un gruppo di guardie del tempio


(soldati ebrei agli ordini delle autorità sadducee), guidato dall’apostolo traditore Giuda Iscariota, procedette al suo arresto. In seguito, Gesù fu condotto da Anna, ex sommo sacerdote e suocero del sacerdote in carica Caifa, poi da Caifa, quindi dal Sinedrio, che ne stabilì la condanna a morte per bestemmia, essendosi equiparato a Dio. Gesù fu crocifisso all’ora terza (nove di mattina); morì all’ora nona (tre del pomeriggio). Secondo i vangeli, la sua morte fu accompagnata da eventi straordinari: venne l’oscurità su tutta la terra, vi fu un terremoto e la risurrezione di «molti santi». In seguito, Giuseppe di Arimatea chiese a Pilato il corpo di Gesù e, dopo averlo avvolto in un lenzuolo (o in teli, secondo Giovanni), lo depose nel suo sepolcro personale, che si trovava presso il Golgota. È impossibile stabilire con certezza la data della morte di Gesù. I quattro vangeli sono concordi nel collocarla di venerdì, ma, mentre per i tre sinottici questo giorno coincideva con la Pasqua ebraica (15 nisan), per Giovanni si trattava della vigilia di Pasqua (14 nisan). La cronologia sinottica porta a ipotizzare come data venerdì 27 aprile del 31 d.C., mentre

quella giovannea venerdì 7 aprile del 30 d.C. o venerdì 3 aprile del 33 d.C. La datazione giovannea del 7 aprile 30 è compatibile con la probabile datazione dell’inizio del ministero pubblico nel 28 e con l’accenno giovanneo delle tre Pasque. I Vangeli dicono che, quaranta giorni dopo la risurrezione, Gesù ascese al cielo. In altri testi sacri cristiani, come l’Apocalisse di Giovanni, si parla del ritorno di Gesù, che le chiese cristiane attendono, definito “seconda venuta” o “parusía”, ritorno che dovrà coincidere con il giorno del Giudizio e l’inizio di «un nuovo cielo e una nuova terra» (Ap21,1). Gli studiosi moderni ritengono che la risurrezione si tratti di una mistificazione degli apostoli, o di una convinzione sorta a seguito di allucinazioni, o della riproposizione nel mondo giudaico di un mito diffuso nella religiosità ellenistica, babilonese e fenicia, relativo ad una divinità che muore e risorge (come il Dio della Wicca). STORICITA’ La storicità di Gesù, ovvero la sua esistenza come effettivo personaggio storico, è la tesi storiografica quasi universalmente condivisa tra

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Classica rappresentazione della crocifissione di Gesù

gli studiosi, e si contrappone alla tesi del mito di Gesù, che negava appunto la sua esistenza storica. Come per altri fondatori di movimenti religiosi (Maometto, Joseph Smith per i mormoni), anche nel caso di Gesù le fonti disponibili sulla sua opera sono state redatte principalmente nella cerchia dei seguaci. La principale fonte di informazioni sulla vita di Gesù è costituita dai testi scritti dai primi cristiani. È invece più limitato il numero di testi non cristiani contemporanei a Gesù che ne parlino in modo esplicito. Gli scritti del Nuovo Testamento sono stati redatti, anche sulla base di precedenti fonti orali, in un arco di tempo compreso tra il 50 d.C. e la fine del I secolo/inizio del II. Alcune informazioni sono inoltre contenute anche nella cosiddetta letteratura subapostolica. Il più antico artefatto archeologico che potrebbe essere correlato a Gesù è la cosiddetta Iscrizione di Nazaret. Esistono inoltre evidenze archeologiche dell’esistenza di Ponzio Pilato e di altri personaggi citati nei vangeli (Caifa, Simone di Cirene). Scavi condotti negli ultimi due secoli inoltre confermano l’attendibilità delle descrizioni fornite dai vangeli in relazioni a luoghi quali la Piscina di Siloe e la Piscina di Betzaeta, così come la pratica della crocifissione a Gerusalemme nel I secolo d.C. Si hanno inoltre evidenze archeologiche degli antichi villaggi di Nazaret e Cafarnao e attestazioni della presenza di cristiani nei primi secoli. Se oggi la storicità di un certo numero di fatti (l’origine galilea, il battesimo a opera di Giovanni Battista, l’attività di predicazione, la costituzione di un gruppo di discepoli, la presenza di una controversia sul tempio, la crocefissione) costituisce un nucleo condiviso tra gli studiosi, rimane invece molto incerta e difficile l’analisi delle altre vicende tramandateci dalle fonti.

Matteo R.

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IPAZIA

Raffigurazione di Ipazia e Oreste Ipazia è stata una matematica, astronoma e filosofa del IV secolo d.C. Rappresentante della filosofia neoplatonica pagana, la sua uccisione da parte di una folla di cristiani in tumulto, per alcuni autori composta di monaci detti parabolani, l’ha resa una martire del paganesimo e della libertà di pensiero. Ipazia nacque ad Alessandria d’Egitto nella seconda metà del IV secolo, si crede che possa essere nata tra il 255 e il 370 d.C., anche se per mancanza di fonti non è possibile stabilire con precisione l’anno della sua nascita. Si sa di un fratello di nome Epifanio, dedicatario sia del Piccolo commentario alle Tavole facili di Tolomeo, che del IV libro dei Commentaria a Tolomeo, del padre Teone. Dubbia è la possibilità che avesse un altro fratello di nome Atanasio. Nulla si sa della madre, è invece noto il padre, «Teone, il geometra, il filosofo d’Alessandria », che studiava e insegnava ad Alessandria, dedicandosi in particolare alla matematica e all’astronomia — osservò l’eclisse solare del 15 giugno 364 e

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quella lunare del 26 novembre — e che sarebbe vissuto almeno per tutto il regno di Teodosio I (378-395). Le fonti antiche sono concordi nel rilevare come non solo Ipazia fosse stata istruita dal padre nella matematica ma, sostiene Filostorgio, anche che «ella divenne molto migliore del maestro, particolarmente nell’astronomia e che, infine, sia stata ella stessa maestra di molti nelle scienze matematiche». Filostorgio non è soltanto uno storico della Chiesa, ma anche un appassionato, se non un esperto, di astronomia e di astrologia, e le sue affermazioni trovano conferma in Damascio il quale scrive che Ipazia «fu di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene dalle scienze matematiche alle quali lui l’aveva introdotta, ma non senza altezza d’animo si dedicò anche alle altre scienze filosofiche». Ipazia aveva tutti i titoli per succedere al padre nell’insegnamento di queste discipline nella comunità alessandrina. Infatti Ipazia, già almeno dal 393 era a capo della scuola alessandrina, come ricorda Sinesio, giunto ad Alessandria da Cirene per

seguirvi i suoi corsi. La mancanza di ogni suo scritto rende però problematico stabilire il contributo effettivo da lei prodotto al progresso del sapere matematico e astronomico della scuola di Alessandria: a dire del Kline, quella scuola «possedeva l’insolita combinazione di interessi teorici e interessi pratici che doveva rivelarsi così feconda un migliaio di anni più tardi. Fino agli ultimi anni della sua esistenza, la Scuola alessandrina godette di piena libertà di pensiero, elemento essenziale per il fiorire di una cultura e fece compiere importanti passi avanti in numerosi campi che dovevano diventare fondamentali nel Rinascimento: la geometria quantitativa piana e solida, la trigonometria, l’algebra, il calcolo infinitesimale e l’astronomia». Secondo alcune fonti, ad Ipazia si attribuiscono la perfezionamento dell’astrolabio (antico strumento astronomico usato per localizzare i corpi celesti) e l’invenzione dell’idroscopio (strumento per pesare i liquidi). Sempre per la mancanza di suoi scritti la ricostruzione del pensiero filosofico di Ipazia si rivela alquanto difficoltosa. In assenza di opere autografe e di riferimenti espliciti occorre fare riferimento agli scritti del suo allievo Sinesio, che sono quelli ritenuti più attendibili. Christian Lacombrade dopo aver analizzato le caratteristiche degli scritti del giovane Sinesio, fondatamente influenzati dal suo soggiorno alla scuola d’Alessandria, afferma che i maggiori maestri che influenzavano l’insegnamento di Ipazia era Porfirio (filosofo e teologo greco, seguace della filosofia neoplatonica), mentre minore rilievo vi avrebbe avuto Giamblico (filosofo greco), sottolineando che Ipazia avrebbe soltanto illustrato il pensiero neoplatonico, senza elevarsi «a una concezione generale del mondo, non ha creato, come qualsiasi autentico filosofo, nessun sistema originale». Resta il fatto che Sinesio rimase devotissimo alla sua maestra per tutta la vita, un atteggiamento che sembra dimostrare che egli avrebbe ascoltato ad Alessandria molto più di


altre scienze filosofiche. La donna, gettandosi addosso il mantello e uscendo in mezzo alla città, spiegava pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo». Risulterebbe dal passo che Ipazia, iniziato il suo percorso culturale dallo studio delle scienze matematiche fosse approdata alla «altre scienze filosofiche», ossia alla «vera filosofia», che raggiunge il suo culmine nella dialettica. Un altro elemento che viene sottolineato dalle fonti antiche è il pubblico insegnamento esercitato da Ipazia verso chiunque volesse ascoltarla: l’immagine data di una Ipazia che insegna nelle strade sembra sottolineare un comportamento la cui audacia sembra quasi voluta, come un gesto di sfida e, a questo pro posito, va rilevato che quando Ipazia comincia a insegnare, nell’ultimo decennio del IV secolo, ad Alessandria sono stati appena demoliti i templi dell’antica religione per ordine del vescovo Teofilo, una demolizione che simboleggia la volontà di distruzione di una cultura alla quale anche Ipazia appartiene e che ella è intenzionata a difendere e a diffondere. I cosiddetti decreti teodosiani, emessi dall’imperatore Teodosio tra il 391 e il 392, avevano sancito la proibizione di ogni genere di culto pagano ed equiparato il sacrificare nei templi al delitto di lesa maestà punibile con la morte. Socrate Scolastico sottolinea la particolare insistenza del vescovo Teofilo per ottenere dall’imperatore decreti che mettessero fine ad Alessandria ai culti dell’antica religione, e così avvenne. Fu risparmiato il

Vescovo Teofilo

tempio di Dioniso, che il vescovo ottenne in dono dall’imperatore, per essere trasformato in chiesa: già da anni un altro storico edificio, il Cesareo, il tempio di Augusto, era stato trasformato in cattedrale cristiana e costituiva il luogo di celebrazione più importante della comunità cristiana. Una particolare resistenza opposero gli elleni alla distruzione del Serapeo, il tempio più antico e prestigioso della città. Oltre al culto di Giove Serapide, vi erano celebrati i culti di Iside e delle divinità egizie e vi erano custoditi i loro «misteri». Teofilo fece tutto quello che era in suo potere per danneggiare e distruggere la religione ellenica, espose persino pubblicamente, per sacrilegio, gli oggetti di culto dei templi distrutti. Il gesto provocò, nonostante il carattere “pacifico” dei pagani, l’ultima resistenza degli elleni. Sconvolti dal gesto sacrilego, tramarono tra loro una cospirazione ai danni dei cristiani, dopo aver ucciso e ferito molti di loro, occuparono il tempio di Serapide. L’imperatore stesso, da Costantinopoli, appoggiò la comunità cristiana, sollecitando gli elleni a convertirsi: questi abbandonarono il tempio, che fu occupato dai cristiani. Il giorno prima della sua distruzione Olimpio, l’ultimo sacerdote del Serapeo, fuggì in Italia. Nessuna fonte attesta il comportamento tenuto da Ipazia durante queste drammatiche vicende, né gli eventuali rapporti intercorsi tra lei e il vescovo Teofilo. Sappiamo che il risalto ottenuto nella città di Alessandria dalla personalità di Ipazia è immediatamente successivo a quei fatti e coincide altresì con l’affermazione, prodottasi nell’Impero orientale, del movimento politico e culturale degli elleni, sostenitori tutti della tradizionale cultura greca indipendentemente dalle singole adesioni a una particolare religione. Il prestigio conquistato da Ipazia ad Alessandria ha una natura eminentemente culturale, ma quella sua stessa eminente cultura è la condizione dell’acquisizione, da parte di Ipazia, di un potere che non è più soltanto culturale: è anche politico. Scrive infatti lo storico cristiano ortodosso Socrate Scolastico: «Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura,

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una semplice esposizione del pensiero di alcuni filosofi. Sinesio, come dimostrano le sue lettere a Ipazia e ad altri, fece parte per tutta la vita di un circolo di iniziati alessandrini, con i quali condivise la filosofia allora insegnata. Ipazia gli avrebbe insegnato a considerare la filosofia «uno stile di vita, una costante, religiosa e disciplinata ricerca della verità». In tutte le opere filosofiche di Sinesio è individuabile costantemente l’insegnamento di Ipazia. Sembra quasi che il rapporto tra Sinesio e Ipazia fosse uguale a quello che ebbero Socrate e Platone. Ipazia «era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola platonica riportata in vita da Plotino e a spiegare a chi lo desiderava tutte le scienze filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei da ogni parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico». In questo passo, Socrate Scolastico, scrivendo intorno al 440, indica che ad Alessandria l’unica erede del platonismo interpretato da Plotino (filosofo greco e padre del neoplatonismo) era stata Ipazia. Se si ammette la correttezza della successione delineata da Socrate Scolastico, ne deriva che Ipazia escluse dal suo insegnamento della filosofia neoplatonica la corrente magico-teurgica, inaugurata da Giamblico e continuata nella scuola ateniese, per ricondurla alle fonti di Platone attraverso la mediazione di Plotino. Resta da capire se Ipazia aderiva a un platonismo derivato da quello di Plotino, o se invece, rifacendosi a una tradizione più o meno consolidata, proponeva un pensiero adeguato al tempo in cui si trovava a vivere e pensare. Nell’opinione di Socrate Scolastico, Ipazia è considerata filosofa nel senso alto del termine e degna erede di Plotino. Un’altra testimonianza proviene da Damascio, che alla fine del V secolo si stabilì ad Alessandria. Egli scrive che Ipazia «di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene attraverso le scienze matematiche a cui era stata introdotta da lui ma, non senza altezza d’animo, si dedicò anche alle

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accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale » (Socrate Scolastico, cit., VII, 15). Quasi un secolo dopo, anche il filosofo Damascio riprende le sue considerazioni: Alla morte di Teofilo nel 412 salì sul trono episcopale di Alessandria Cirillo: questi «si accinse a rendere l’episcopato ancora più simile a un principato di quanto non fosse stato al tempo di Teofilo », nel senso che con Cirillo «la carica episcopale di Alessandria prese a dominare la cosa pubblica oltre il limite consentito all’ordine episcopale». In tal modo, tra il prefetto di Alessandria Oreste, che difendeva le proprie prerogative, e il vescovo Cirillo, che intendeva assumersi poteri che non gli spettavano, nacque un conflitto politico, anche se Cirillo e i suoibsostenitori tentarono di occultare le vere ragioni e posero la questione nei termini di una lotta religiosa riproponendo lo spettro del conflitto tra paganesimo e cristianesimo. Nel 414, durante un’assemblea popolare, alcuni ebrei denunciarono al prefetto Oreste quale seminatore di discordie il maestro Ierace, un sostenitore del vescovo Cirillo. Ierace fu arrestato e torturato, al che Cirillo reagì minacciando i capi della comunità ebraica, e gli ebrei reagirono a loro volta massacrando un certo numero di cristiani. La reazione di Cirillo fu durissima: l’intera comunità ebraica fu cacciata dalla città, i loro averi furono confiscati e le sinagoghe distrutte. Ma il prefetto Oreste non poté prendere provvedimenti contro il vescovo Cirillo (oggi considerato santo dalla chiesa cristiana), poiché per la costituzione del 4 febbraio 384 il clero veniva a essere soggetto al solo foro ecclesiastico. Nel pieno del conflitto giurisdizionale tra il prefetto e il vescovo, dai monti della Nitria intervennero a sostegno di Cirillo un gran numero di monaci, i cosiddetti parabolani. Formalmente degli infermieri, di fatto costituivano un vero e proprio corpo di polizia che i vescovi di Alessandria usavano per mantenere nelle città il loro ordine.

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Vescovo Cirillo, oggi considerato Santo dalla Chiesa Cattolica Costoro, usciti in numero di circa cinquecento dai monasteri e raggiunta la città, si appostarono per sorprendere il prefetto mentre passava sul carro. Accostatisi a lui, lo gli gridavano contro molti insulti. Egli allora, sospettando un’insidia da parte di Cirillo, proclamò di essere cristiano e di essere stato battezzato dal vescovo Attico. Ma i monaci non badavano a ciò che veniva detto e uno di loro, di nome Ammonio, colpì Oreste sulla testa con una pietra. Accorsero cittadini di Alessandria, dispersero i parabolani e catturarono Ammonio conducendolo da Oreste: questi, rispondendo alla sua provocazione pubblicamente con un processo secondo le leggi lo condannò a morte. Tempo dopo rese noti questi fatti ai governanti, ma Cirillo fece pervenire all’imperatore la versione opposta. Non si sa quale fosse la versione dei fatti approntata da Cirillo, ma la si può immaginare dal fatto che il vescovo fece collocare il cadavere di Ammonio in una chiesa e, cambiatogli il nome in Thaumasios — «ammirevole» — lo elevò al rango di martire, come se fosse morto per difendere la sua fede. In questo clima, maturò l’omicidio di Ipazia, poiché, riferisce lo storico della Chiesa Socrate Scolastico, «s’incontrava alquanto di frequente con Oreste, l’invidia mise in giro una calunnia su di lei presso il popolo della chiesa, e cioè che fosse lei a non permettere che Oreste si riconciliasse con il vescovo». Era il mese di marzo del 415, e correva la quaresima, un gruppo di cristiani, guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere Ipazia

mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli. Il filosofo pagano Damascio si era recato ad Alessandria intorno al 485, quando ancora vivo e denso di affetto era il ricordo dell’antica maestra. Divenuto poi scolarca della scuola di Atene, scrisse, cento anni dopo la morte di Ipazia, la sua biografia. In essa sostiene la diretta responsabilità di Cirillo nell’omicidio: accadde che il vescovo, vedendo la gran quantità di persone che frequentava la casa di Ipazia, «si rose a tal punto nell’anima che tramò la sua uccisione, in modo che avvenisse il più presto possibile, un’uccisione che fu tra tutte la più empia». Anche Damascio rievoca la brutalità dell’omicidio: «una massa enorme di uomini brutali, veramente malvagi [...] uccise la filosofa [...] e mentre ancora respirava appena, le cavarono gli occhi». Dopo l’uccisione di Ipazia fu aperta un’inchiesta. A Costantinopoli regnava di fatto Elia Pulcheria, sorella del minorenne Teodosio II (408-450), che era vicina alle posizioni del vescovo Cirillo d’Alessandria e come il vescovo fu dichiarata santa dalla Chiesa. Il caso fu archiviato, sostiene Damascio, a seguito dell’avvenuta corruzione di funzionari imperiali. Anche secondo Socrate Scolastico, la corte imperiale fu corresponsabili della morte di Ipazia, non essendo intervenuta, malgrado le sollecitazioni del prefetto Oreste, a porre fine ai disordini precedenti l’omicidio. A partire dall’Illuminismo, Ipazia viene considerata una vittima del fanatismo religioso e una martire laica del pensiero scientifico. Nel Settecento lo storico britannico Edward Gibbon definì la sua morte una «macchia indelebile sul carattere e sulla religione di Cirillo d’Alessandria». Ipazia fu celebrata in romanzi, poesie, opere teatrali e quadri.

Arved


Maometto in una rara miniatura dell XI secolo in cui è ritratto senza velo Maometto (arabo: ‫ابو القاسم محمد بن‬ ‫ عبد الله بن عبد المطلب الهاشمي‬, AbūlQāsim Muhammad ibn Abd Allāh ibn Abd al-Muţţalīb al-Hāshimī; Mecca, 570 circa – Medina, 8 giugno 632) è stato fondatore e profeta dell’Islam, considerato dai musulmani l’ultimo di una lunga catena profetica, di cui egli avrebbe occupato una posizione di assoluto rilievo, “messaggero” di Dio (Allah) e Sigillo della profezia. Maometto (che nella sua forma originale araba significa “il grandemente lodato”) nacque in un giorno imprecisato (che secondo alcune fonti tradizionali sarebbe il 20 o il 26 aprile di un anno parimenti imprecisabile, convenzionalmente fissato però al 570) a Mecca, nella regione peninsulare araba del Hijaz, e morì il lunedì 13 rabī dell’anno 11 dell’Egira (equivalente all’8 giugno del 632) a Medina. Sia per la data di nascita, sia per quella di morte, non c’è tuttavia alcuna certezza e quanto riportato costituisce semplicemente il parere di una maggioranza relativa di tradizionalisti. La sua nascita sarebbe stata segnata, secondo alcune tradizioni, da eventi straordinari e miracolosi. Appartenente a un importante clan di mercanti, quello dei Banu Hashim, componente della più vasta tribù dei

Banu Quraysh di Mecca, Maometto era l’unico figlio di Abd Allāh b. Abd al-Muhalib ibn Hāshim e di Āmina bint Wahb, figlia del sayyid del clan dei Banu Zuhra, anch’esso appartenente ai Banu Quraysh. Orfano fin dalla nascita del padre (morto a Yathrib al termine d’un viaggio di commercio che l’aveva portato nella palestinese Gaza), Maometto rimase precocemente orfano anche di sua madre che, nei suoi primissimi anni, l’aveva dato alla balia Kalīma bt. Abī Dhuayb, della tribù dei Banu Sad b. Bakr, che effettuava piccolo nomadismo intorno a Yathrib. Oltre alla madre e alla nutrice, due altre donne si presero cura di lui da bambino: Umm Ayman Baraka e Fātima bint Asad, moglie dello zio paterno Abū Tālib. Importante fu l’affettuosa e presente sua zia Fatima bint Asad, che Maometto amava per il suo carattere dolce, tanto da mettere il suo nome a una delle proprie figlie e per la quale il futuro profeta pregò spesso dopo la sua morte. Alla Mecca - dove, alla morte della madre, fu portato dal suo primo tutore, il nonno paterno Abd al-Muttalib ibn Hāshim, Maometto ebbe occasione di entrare in contatto sin dalla più tenera età con i hanīf, monoteisti che non si riferivano ad alcuna religione rivelata. Nei suoi viaggi fatti in Siria e Yemen con suo zio paterno

Abu Tàlib, Maometto conobbe poi le comunità ebraiche e quelle cristiane, e dell’incontro col monaco cristiano siriano Bahīra, che avrebbe riconosciuto in un neo fra le sue scapole il segno del futuro carisma profetico. I numerosi viaggi intrapresi per via dell’attività mercantile familiare – dapprima con lo zio e poi come agente della ricca e colta vedova Khadīja bt. Khuwaylid - dettero a Maometto occasione di ampliare in maniera significativa le sue conoscenze in campo religioso e sociale. Sposatosi nel nel 595 Khadìja bint Khuwàylid (che restò finché visse la sua unica moglie), egli poté dedicarsi alle sue riflessioni spirituali in modo più assiduo. Khadìja fu il primo essere umano a credere nella Rivelazione di cui Maometto era portatore e lo sostenne con forte convinzione fino alla sua morte avvenuta nel 619. A lui dette quattro figlie, Ruqayya, Umm Khulthūm, Zaynab e Fātima, oltre a due figli maschi (al-Qàsim e Abd Allah) che morirono in tenera età. Nel 610 Maometto, affermando di operare in base a una Rivelazione ricevuta, cominciò a predicare una religione monoteista basata sul culto esclusivo di Dio, unico e indivisibile. In effetti il concetto di monoteismo era diffuso in Arabia da tempi più antichi e il nome Allah (principale nome di Dio nell’Islam) significa semplicemente “Iddio”. Gli abitanti dell’Arabia peninsulare e della Mecca, salvo pochi cristiani e zoroastriani e di ebrei, erano per lo più dediti a culti politeistici e adoravano un gran numero di idoli. Questi dèi erano venerati anche in occasione di feste, per lo più abbinate a pellegrinaggi (in arabo: mawsim). Particolarmente rilevante era il pellegrinaggio panarabo, detto hajj, che si svolgeva nel mese lunare di Dhu l-Hijja (“Quello del Pellegrinaggio”). In tale occasione molti devoti arrivavano nei pressi della città, nella zona di Mina, Muzdalifa e di Arafa. Gli abitanti della Mecca avevano anche un loro proprio pellegrinaggio urbano (la cosiddetta umra) che svolgevano nel mese di rajab in onore del dio tribale Hubal e delle altre divinità panarabe, ospitate

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MAOMETTO

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dai Quraysh all’interno del santuario meccano della Kaba. Maometto, come altri hanīf, era solito ritirarsi a meditare, secondo la tradizione islamica, in una grotta sul monte Hira vicino alla Mecca. Secondo tale tradizione, una notte, intorno all’anno 610, durante il mese di Ramadan, all’età di circa quarant’anni, gli apparve l’arcangelo Gabriele (in arabo Jibrīl o Jabrāīl, ossia “potenza di Dio”) che lo esortò a diventare Messaggero (rasul) di Allah con le seguenti parole: «Leggi, in nome del tuo Signore, che ha creato, ha creato l’uomo da un grumo di sangue! Leggi! Ché il tuo Signore è il Generosissimo, Colui che ha insegnato l’uso del calamo, ha insegnato all’uomo quello che non sapeva». Turbato da un’esperienza così anomala, Maometto credette di essere stato soggiogato dai jinn e quindi impazzito tanto che, scosso da violenti tremori, cadde preda di un intenso sentimento di terrore. Secondo la tradizione islamica Maometto poté in quella sua prima esperienza teopatica sentire le rocce e gli alberi che gli parlavano. Non gli fu facile accettare tale notizia ma a convincerlo della realtà di quanto accadutogli, provvide innanzi tutti la fede della moglie e, in seconda battuta, quella del cugino di lei, Waraqa ibn Nawfal, che alcuni indicano come cristiano ma che, più verosimilmente, era uno di quei monoteisti arabi che non si riferivano tuttavia a una specifica struttura religiosa organizzata. Dopo un lungo e angosciante periodo in cui le sue esperienze non ebbero seguito, Gabriele tornò di nuovo a parlargli per trasmettergli altri versetti e questo proseguì per 23 anni, fino alla morte nel 632 di Maometto. Al contrario di una “utile” tradizione che vorrebbe Maometto “analfabeta” (così da rendere del tutto impossibile l’accusa che il Corano fosse una sua personale elaborazione poetica), il profeta dell’Islam era uomo tutt’altro che ignorante, anche perché la sua professione di commerciante l’aveva portato in contatto con altre lingue e altre culture ed è difficile credere che potesse essere analfabeta. L’equivoco deriva dall’espressione

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Ka’ba, il santuario più sacro dell’Islam situato nella città della Mecca a lui riferita di al-Nabī al-ummī che può voler dire in effetti “il profeta ignorante” ma anche, e più verosimilmente, “il profeta della comunità (araba)” o “il profeta di una cultura non basata su testi sacri scritti”. Peraltro a Istanbul, presso l’antica residenza dei sultani ottomani del Topkapi, è conservato (ed è tuttora oggetto di venerazione) una lettera autografa attribuitagli nella quale intima ai cristiani copti di convertirsi all’Islam. Maometto cominciò dunque a predicare la Rivelazione che gli trasmetteva Jibrīl, ma i convertiti nella sua città natale furono pochissimi per i numerosi anni che egli ancora trascorse a Mecca. Fra essi il suo amico intimo e coetaneo Abu Bakr (destinato a succedergli come califfo, guida della comunità islamica che si fondò con lenta ma sicura progressione malgrado l’assenza di precise indicazioni scritte e orali in merito). Maometto ripeté per ben due volte per intero il Corano nei suoi ultimi due anni di vita e molti musulmani lo memorizzarono per intero ma fu solo il terzo califfo Uthmān b. Affān a farlo mettere per iscritto da una commissione coordinata da Zayd b. Thābit, segretario del Profeta. Così il testo accettato del Corano poté diffondersi nel mondo a seguito delle prime conquiste che portarono gli eserciti di Medina in Africa, Asia ed Europa, rimanendo inalterato fino ad oggi, malgrado lo Sciismo vi aggiunga un capitolo (Sura) e alcuni brevi versetti (ayat). Nel 619, l’”anno del dolore”, mori-

rono tanto suo zio Abu Talib, che gli aveva garantito affetto e protezione malgrado non si fosse convertito alla religione del nipote, quanto l’amata Khadìja. Fu solo dopo ripetute insistenze che Maometto contrasse nuove nozze, tra cui quelle con Āisha bt. Abī Bakr, figlia del suo più intimo amico e collaboratore, Abu Bakr. L’ostilità dei suoi concittadini tentò di esprimersi con un prolungato boicottaggio nei confronti di Maometto e del suo clan, con il divieto di intrattenere con costoro rapporti di tipo economico commerciale, i troppi vincoli parentali creatisi però fra i clan della stessa tribù fecero fallire il progetto di ridurre a più miti consigli Maometto. Nel 622 il crescente malumore dei Quraysh nel veder danneggiati i propri interessi - a causa dell’inevitabile conflitto ideologico e spirituale che si sarebbe radicato con gli altri arabi politeisti lo indussero a rifugiarsi con la sua settantina di correligionari, a Yathrib, trecentoquaranta chilometri più a nord di Mecca, che mutò presto il proprio nome in Madīnat al-Nabī, “la Città del Profeta” (Medina). Il 622, l’anno dell’Egira (emigrazione), divenne poi sotto il califfo ‘Omar ibn al-Khattàb il primo anno del calendario islamico, utile alla tenuta dei registri fiscali e dell’amministrazione in genere. Inizialmente Maometto si ritenne un profeta inserito nel solco profetico antico-testamentario, ma la comunità ebraica di Medina non lo accettò come tale. Nonostante ciò, Maometto predicò a Medina per otto anni.


Due anni dopo Maometto morì a Medina (8 giugno 632), dopo aver compiuto il Grande Pellegrinaggio detto anche il “Pellegrinaggio dell’Addio”, senza indicare esplicitamente chi dovesse succedergli alla guida politica della Umma (comunità islamica). Lasciava nove vedove - tra cui Āisha bt. Abī Bakr - e una sola figlia vivente, Fatima, andata sposa al cugino del profeta, Alī b. Abī Kālib, madre dei suoi nipoti al-Hasan b. Alī e al-Husayn b. Alī. Fatima, piegata dal dolore della perdita del padre e logorata da una vita di sofferenze e fatiche, morì sei mesi più tardi, diventando in breve una delle figure più rappresentative

e venerate della religione islamica. Nell’Occidente medievale Maometto fu considerato per oltre cinque secoli un cristiano eretico. Dante Alighieri - non consapevole del profondo grado di diversità teologica della fede predicata da Maometto, per l’influenza su di lui esercitata dal suo Maestro Brunetto Latini, che riteneva Maometto un chierico cristiano di nome Pelagio, appartenente al casato romano dei Colonna, lo cita nel canto XXVIII dell’Inferno tra i seminatori di scandalo e di scisma nella Divina Commedia assieme ad Ali ibn Abi Tàlib, suo cugino-genero. Il motivo per cui Dante lo colloca tra i seminatori di discordie e non tra gli eresiarchi è probabilmente dovuto a una leggenda medievale che parla di Maometto come vescovo e cardinale cristiano, che poi avrebbe rinnegato la propria fede, deluso per non aver raggiunto il papato o per altra ragione e avrebbe creato una nuova religione «mescolando quella di Moisè con quella di Cristo». Al di la del miscuglio delle due religioni monoteiste all’epoca già esistenti, tutto il resto non è confermato da nessuna fonte per cui è da ritenersi una pura leggenda medievale. Maometto ebbe tantissime mogli: Khadija bint Khuwaylid Sawda bint Zamaa b. Qays Āisha bint Abī Bakr al-Siddīq (Aisha, figlia del futuro primo Califfo Abu Bakr); afa bint Umar (figlia del secondo futuro Califfo Umar b. al-Khattab); Zaynab bint Khuzayma b. al-Hārith, detta poi “Madre dei poveri”; Umm Salama Hind bt. Abī Umayya b. al-Mughīra al-Makhzūmiyya Zaynab bint Jahsh b. Riāb al-Asadiyya Juwayriyya bint al-Hārith b. Abī Dirār Ramla bint Abī Sufyān (Umm Habība bt. Abī Sufyān); Rayhana bint Amr Sāfiya bint Huyay b. Akhtab Maymūna bint al-Hārith b. Hazn Māriya bint Shamūn b. Ibrāhīm, detta la Copta (al-Qibtiyya). Pur avendole sposate, non ebbe rapporti coniugali con Asmā bt. alNumān (malata di lebbra) e Amra bt. Yazīd che dimostrò immediatamente tutta la sua ostilità per tale unione, ottenendo così di venir subito ripudiata e di tornare tra la sua gente (i B. Kilāb). Ma la moglie più importante per Maometto fu comunque Khadīja che

aveva sposato prima della “Rivelazione” e che per prima aderì alla religione islamica. Fu anche un forte sostegno economico, e ancor più morale, soprattutto di fronte alle angherie dei notabili pagani della città ostili al marito. Da lei Maometto ebbe quattro figlie femmine (Zaynab, Ruqayya, Umm Kulthūm e Fātima) e due maschi (al-Qāsim e Abd Allāh, detto anche āhir e ayyib). Da Māriya la Copta ebbe invece Ibrāhīm. Secondo l’Islam non è possibile avere più di quattro mogli. In virtù della rivelazione divina di un versetto del Corano fu consentito a Maometto di superare questo limite, ed alcuni dei suoi matrimoni furono contratti per sanzionare alleanze o conversioni di gruppi arabi pagani, dal momento che gli usi del tempo prevedevano che si contraesse un vincolo coniugale fra le parti per rafforzare un importante accordo che si intendeva concludere. Maometto ebbe anche sedici concubine ma solo dalla sua schiava, che sposò, la copta Māriya, ebbe un figlio: Ibrāhīm, deceduto a otto mesi.

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Nello stesso tempo, con i suoi seguaci, condusse attacchi contro le carovane dei Meccani e respinse i loro contrattacchi che tendevano a metter fine alle azioni ostili che i musulmani portavano contro le loro carovane. Maometto, nel corso di quel confronto armato che portò alla prima vittoria di Badr, alla disfatta di Uhud e alla finale vittoria strategica di Medina (Battaglia del Fossato) contro le tribù arabe politeiste della Mecca e i loro alleati, espulse tutti gli ebrei di Medina. In occasione dei due primi fatti d’armi furono esiliate le tribù ebraiche dei Banū Qaynuqā e i Banū Nahīr, mentre dopo la vittoria nella cosiddetta battaglia del Fossato (Yawm al-Khandaq), i musulmani decapitarono circa 700 uomini ebrei della tribù dei Banū Qurayza che si era arresa ai seguaci del Profeta dopo 25 giorni di assedio, mentre le donne e i bambini furono venduti come schiavi. Nel 630 Maometto era ormai abbastanza forte per marciare sulla Mecca e conquistarla. Tornò peraltro a vivere a Medina e da qui ampliò la sua azione politica e religiosa a tutto il resto del Hijaz e, dopo la sua vittoria nel 630 a hunayn contro l’alleanza che s’imperniava sulla tribù dei Banu Hawazin, con una serie di operazioni militari nel cosiddetto Wadi al-qura, a 150 chilometri a settentrione di Medina, conquistò o semplicemente assoggettò vari centri abitati (spesso oasi), come Khaybar, Tabūk e Fadak, il cui controllo aveva indubbie valenze economiche e strategiche.

Fra le mogli sposate successivamente la più importante (malgrado non gli desse figli) fu Āisha, figlia di Abū Bakr, nata verso il 614. Secondo numerose attestazioni di diversi hadīth ella aveva 6 anni in occasione del suo matrimonio formale e 9 anni al momento della prima consumazione e fu con lui fino alla sua morte nel 632, mentre secondo qualche altro hadith Aisha aveva 7 anni quando contrasse il matrimonio e 10 quando lo consumò. Il Profeta la sposò dopo un ordine divino ricevuto dall’arcangelo Gabriele. La questione dell’età di Āisha, giustamente, costituisce una violazione etica la relazione con una fanciulla così giovane, ovviamente questo agli occhi dei non-musulmani (per i fedeli musulmani la giustificazione è dovuta all’ordine ricevuto dall’arcangelo Gabriele). Un’altra controversia dell’Islam è data dalla sua poca tolleranza verso le altre religioni e culti. Federica Loprete

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MOHANDAS KARAMCHAND GANDHI detto Mahatma (grande anima) Nel 1945 il partito laburista inglese diede la libertà all’India, ma all’inaugurazione del parlamento Gandhi non fu presente; era a Calcutta, dove indù e musulmani da parecchi mesi si facevano la guerra per le strade e Mahatma coraggioso pellegrinò nelle zone più agitate per porre pace tra le due fazioni. Con il suo ultimo digiuno Gandhi riuscì a far riappacificare le due parti, ma un fanatico indù, Nathuram Godse, incolpando al Mahatma la vanificazione della conquista delle moschee, il 30 gennaio 1948 gli sparò tre colpi di rivoltella a meno di un metro, uccidendolo. Mahatma Gandhi è colui più di altri che ci ha dimostrato che si possono ottenere diritti, libertà e giustizia anche senza l’uso della violenza.

Gandhi Mohandas Karamchand Gandhi fu figlio di un ministro del principe Rajkot, quindi appartenente ad una casta nobile, i cui membri non devono avere a che fare con i paria, che vengono trattati come animali nonostante lavorino tantissimo. Gandhi si rese conto di questa gravissima ingiustizia sin da ragazzo, quando una volta aiutò un ragazzo spazzaturaio nel suo lavoro. Dodici anni dopo, quando divenne avvocato, viaggiando lavoro in Sudafrica, si rese conto della misera situazione dei settantamila “kulis”, i quali non potevano votare, possedere terre, circolare liberamente tra le varie province. Gandhi iniziò così a parlare alle folle di “kulis” che da diffidenti diventarono attente e sempre più numerose. L’avvocato indiano non li esortò mai ad una rivoluzione violenta, ma a una rivolta morale, silenziosa, secondo il principio “l’odio genera solo altro odio”. All’inizio del 1914, con la pressione del re d’Inghilterra sul Sudafrica, le leggi ingiuste vengono abrogate dopo che i “kulis”, furono imprigionati, picchiati e frustati ingiustamente, senza risposte violente da parte

loro. Gandhi nel 1915 ritornò in India (dove gli inglesi avevano sottomesso milioni di “sporchi indigeni”) e cominciò a viaggiare con un bastone, arrangiandosi, per conoscere meglio il suo paese dopo anni e soprattutto per unire indù e musulmani, bramini e “paria”. Nel 1920 Mohandas disse agli indiani di non comprare le stoffe inglesi, ma di fabbricarsele da soli, così, l’arcolaio divenne un simbolo di libertà insieme al tricolore. Nel 1930 iniziò la marcia del sale, contro il monopolio inglese; Gandhi camminò con i suoi seguaci fino al mare dove tutti insieme iniziarono a far bollire l’acqua per estrarre il sale, gesto seguito in tutta l’India. L’ordine dei poliziotti fu quello di arrestare chi violava la legge, ma in poche ore le prigioni indiane furono traboccanti di gente. Anche Gandhi fu arrestato, ma la rivolta continuò; quando all’esercito giunse l’ordine di sparare sulla folla, gli ufficiali si rifiutarono di dare l’ordine ai loro uomini. Gandhi durante la sua prigionia digiunò per i “paria”, perché non venissero considerati impuri e intoccabili e riescì nel suo intento.

Il sogno di Gandhi non era quello dell’autosufficienza individuale e neanche dell’autosufficienza familiare ma dell’ autosufficienza della comunità villaggio. I britannici credevano in metodi di produzione centralizzati, industrializzati e meccanizzati. Gandhi rovesciò questi principi e intravide modi di produzione decentralizzati, domestici, artigianali. Disse: “Non produzione di massa ma produzione delle masse. La comunità villaggio dovrebbe essere l’espressione dello spirito familiare, un’estensione della famiglia piuttosto che una collezione di individui in competizione fra loro!” Sarebbe bello un giorno se seguissimo tutti il suo esempio!

Mikael


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LA CRISTALLOTERAPIA A tutto questo bisogna aggiungere e specificare, che: i cristalli e la cristalloterapia deve essere considerata come supporto ad eventuali cure mediche e non come sostitutive. Le pietre e i cristalli hanno effetto solo se noi siamo mentalmente predisposti ad averne beneficio, se noi non apriamo la nostra mente l’energia del cristallo difficilmente viene trasmessa.

Esempio di una seduta di cristalloterapia La Cristalloterapia è un metodo di “medicina” naturale che si prefigge di eliminare disfunzioni o malesseri mediante la collocazione di cristalli di quarzo o di altri minerali in determinati punti del corpo. Ogni cristallo è dotato di una sorta di “campo energetico” proprio, e ha quindi la capacità di entrare in contatto con ogni forma vivente del regno animale e vegetale Il cristallo opera nel corpo umano sui piani fisico-emotivo, mentale e spirituale, riportando l’equilibrio e l’armonia. Fin dall’antichità, dal mondo classico al Medioevo, le proprietà ed i presunti effetti dei minerali sono state oggetto di studio. Alle pietre era attribuito un preciso influsso terapeutico, specifico per ciascuna patologia, come affermato ad esempio nella Naturalis historia di Plinio o dal trattato Sulle rocce di Teofrasto.

tatto col minerale. I cristalli vengono usati soprattutto per scopi “terapeutici” e di “trasformazione spirituale”, per ricaricare l’aura energetica dell’organismo.

Ogni cristallo ha degli effetti differenti; la scelta del cristallo, acquistato o trovato in natura, deve essere fatta anche sull’intuito e sulle sensazioni ed emozioni ricevute dal con-

4) Elisir: viene posto il minerale in una caraffa o un bicchiere (di vetro) pieno d’acqua e in seguito si beve l’elisir che si è caricato delle energie possedute dalla pietra.

Infine bisogna essere consapevoli che il cristallo o la pietra ha la caratteristica di agevolare la guarigione ma non di sostituire le cure scientifiche dell’odierna medicina. Nessuno può reputarsi medico senza opportune qualifiche e competenze. Diffidate sempre da coloro che chiedono denaro o che promettono l’impossibile!

Per l’utilizzo terapeutico vengono adottati metodi differenti: 1) Terapia per contatto: uno specialista tiene la pietra in mano e la passa sulle parti del corpo da trattare. 2) Amuleto: portare con sé il minerale (in tasca, come ciondolo o braccialetto) nella vita quotidiana, al lavoro e in casa, per il tempo necessario ad ottenere l’effetto desiderato. 3) Meditazione: in gruppo o da soli, con il cristallo addosso o in mano ci si concentra sul disturbo, tentando di ristabilire l’armonia nell’animo.

Leron

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LA LEGGE D’ATTRAZIONE: IL PENSIERO POSITIVO te volte preoccupandoci di una persona cara abbiamo raccomandato di stare attendo durante la guida? Questo implica l’idea di possibili incidenti. Non sarebbe meglio augurare un arrivo felice? Qua introduciamo anche un altro principio (fondamentale nel Reiki) .. solo per oggi non preoccuparti, ossia non occuparti in anticipo (PRE) di qualcosa che probabilmente non accadrà. I nostri pensieri rappresentano un ruolo fondamentale nella nostra vita e creano comunque le nostre esperienze future. Quindi è fondamentale imparare ad esser vigili su tutto ciò che pensiamo e che diciamo, e imparare a trasformarli perché diventino di aiuto e non di ostacolo per creare la vita che desideriamo. Ultima, importantissima cosa: siate grati all’universo e ringraziatelo sempre. Un sorriso a tutti voi con l’invito a resettare la vostra mente solo al positivo….

“Pensare sempre positivo” questa è la mia filosofia di vita, questa è stata la mia trasformazione, la mia evoluzione spirituale attuata anche grazie ad una serie di letture che vi nominerò di seguito. Molti di voi avranno già sentito parlare della legge di attrazione e del pensiero positivo. In commercio possiamo trovare numerosi libri (The Secret di Ronda Byrne - Chiedi e ti sarà dato di Mike Dooley). La legge di attrazione è una legge naturale, è la legge dell’universo secondo la quale siamo noi ad attrarre tutto quello che entra nella nostra vita. I nostri pensieri o i nostri sentimenti trasmettono delle vibrazioni all’universo e l’universo risponde alle nostre vibrazioni mandandoci quello che chiediamo. In questo modo vengono attratte a noi persone, fatti e avvenimenti. E’ importante tenere a mente questo concetto, perché la legge di attrazione è imparziale, vale

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a dire che pensando positivo attiriamo positività mentre pensando negativo attiriamo negatività. Quindi una volta fatto nostro questo concetto, per fare entrare nella nostra vita tutto il benessere e la felicità che ognuno di noi desidera e merita dobbiamo per prima cosa permettere che questa legge si metta in moto per noi… chiedendo e formulando soprattutto pensieri positivi ricordando che i pensieri diventano fatti reali. Partiamo cambiando il nostro modo di pensare che non deve essere basato su quello che ci manca ma su quello che vogliamo sia già parte di noi. Desideriamo un lavoro? Vediamolo già realizzato. Fate vostro questo principio e la vostra vita cambierà in positivo. Più vibrazioni positive invierete e più torneranno a voi amplificate. Poniamo una particolare attenzione al nostro modo di parlare. Quan-

Claudia Grappasonni


PUBBLICA ZIONI DEL CENTRO STUDI

GUIDA FOTOGRAFICA DELL’ITALIA La GUIDA FOTOGRAFICA DELL’ITALIA nasce all’interno del progetto Percorsi Italiani del Centro Studi. Gli autori sono stati coloro che hanno partecipato (e partecipano) al progetto, inviando al Centro Studi dell’Associazione Italus, foto e brevi informazioni riguardanti i siti e i luoghi che vi stanno più a cuore o che riteniate siano interessanti da pubblicizzare o visitare. Il Centro Studi ha creato una guida fotografica riguardante i parchi, le aree marine protette e i siti considerati Patrimonio dell’Umanità. Consci dell’era in cui viviamo, ci interessa farli conoscere con un approccio diverso dalle solite guide turistiche, infatti questa è un’informazione basata su fotografie atte a suscitare al lettore la curiosità di andare ad approfondire e visitare fisicamente i luoghi che segnaliamo. Ci riserviamo dunque di presentare un qualcosa di leggero, fotografico, artistico, non una comune guida turistica ma un vademecum delle bellezze italiane! Specifichiamo che questo è una guida fotografica creata grazie al contributo di coloro che hanno aderito al progetto “Percorsi Italiani”, non è un lavoro che completa l’intento del progetto (che è molto più ampio) ma è sicuramente un primo passo. Ci auguriamo che il lavoro che abbiamo svolto nel selezionare le foto e comporre la guida possa soddisfare le vostre aspettative. Ci teniamo a sottolineare che questa guida è gratuita e a livello economico non ha avuto alcun costo se non un paio di settimane di lavoro di impaginazione e assemblaggio da parte dei responsabili di “Percorsi Italiani”. Abbiate cura e difendete il vostro territorio! Potrete visualizzare on-line la Guida al seguente indirizzo:

www.issuu.com/ITALUS

oppure richiedere gratuitamente la Guida, in formato Pdf, scrivendo a:

italuscentrostudi@hotmail.it

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PUBBLICAZIONI DEL CENTRO STUDI

NEOPAGANO CENSIMENTO 2011 / 2012 Il “NEOPAGANO CENSIMENTO” è stato ufficialmente aperto il 10 gennaio 2011 e si è concluso il 01 febbraio 2012; ha interessato esclusivamente gli aderenti alle spiritualità neopagane italiane. I dati son stati poi trasmessi, tramite mail o tramite raccolta dati, al Centro Studi Italus. Al Censimento hanno aderito 1340 persone, di cui solo 812 hanno inviato i dati utili richiesti per stipulare la statistica. Il Censimento si è svolto interamente su Internet (per via e-mail e utilizzando il social network di Facebook), invitando chiunque ad aderire e specificare: il movimento neopagano di appartenenza, la città e la regione di nascita, la città e la regione di residenza. I grafici del Censimento sono stati costruiti basandosi sul numero dei singoli aderenti al censimento e ai vari movimenti neopagani. Siamo consapevoli che non è un censimento risolutivo e che non chiarisce e delinea la situazione neopagana italiana; secondo i dati ufficiali CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) i pagani in Italia sarebbero circa 13.000, facendo un calcolo riteniamo di aver creato un censimento dove solo il 6% dei pagani (stimati dal CESNUR) hanno aderito. Siamo però certi che il “Neopagano Censimento” così come è stato formulato possa dare un’idea generale della situazione italiana, nel suo piccolo delinea, in linea di massima, la distribuzione e la diffusione su scala nazionale dei vari movimenti neopagani. Potrete visualizzare on-line il Censimento al seguente indirizzo:

www.issuu.com/italuscentrostudi

oppure richiedere gratuitamente il Censimento, in formato Pdf, scrivendo a:

italuscentrostudi@hotmail.it

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ARTEMISIA EXTRA è una raccolta annuale delle ricerche svolte dall’Associazione Italus tramite il suo Centro Studi, che di volta in volta sono state pubblicate sui vari numeri di Artemisia. Le ricerche sono state svolte da settembre 2011 a settembre 2012 e sono state tutte pubblicate sul bimestrale dell’Associazione Italus di Artemisia. Alcuni articoli/ricerche del Centro Studi, sono stati pubblicati su riviste, quali Fenix e Airone, o su quotidiani, quali Il Giornale dell’Umbria e Il Messaggero, oltre che su diversi siti internet. L’obiettivo principale delle ricerche del Centro Studi è quello di attirare l’attenzione e stimolare la curiosità del lettore, sperando che esso vada poi ad approfondire ulteriormente gli argomenti trattati dal Centro, perché solo la conoscenza rende liberi. Potrete visualizzare on-line “Artemisia Extra” al seguente indirizzo: www.issuu.com/italuscentrostudi http://issuu.com/artemisia1 oppure richiedere la rivista in formato Pdf, scrivendo a: italuscentrostudi@hotmail.it italus@live.it artemisiadirettore@hotmail.it

PUBBLICAZIONI DEL CENTRO STUDI

ARTEMISIA EXTRA 2011 / 2012

*** *** *** Se all’interno delle ricerche riportate in questo numero vi fossero delle incongruenze il Centro Studi vi invita a segnalarle scrivendo alla seguente E-mail: italuscentrostudi@hotmail.it Provvederemo ad apportare le opportune modifiche. Grazie! TUTTI I DIRITTI SUI CONTENUTI E LE RICERCHE DEL CENTRO STUDI SONO DI PROPRIETA’ DEI RISPETTIVI AUTORI, PERTANTO POSSONO ESSERE PUBBLICATE CON L’OBBLIGO DI CITARE L’AUTORE E LA FONTE, CIOE’ IL CENTRO STUDI DELL’ASSOCIAZIONE ITALUS. In caso di utilizzo delle ricerche del Centro Studi Italus, si prega di avvisare il Centro Studi scrivendo alla E-Mail: italuscentrostudi@hotmail.it

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PROSSIMO NUMERO DI ARTEMISIA EXTRA Settembre 2013

Per maggiori informazioni riguardanti Artemisia scrivere alla seguente E-mail: italuscentrostudi@hotmail.it artemisiadirettore@hotmail.it Per maggiori informazioni riguardanti l’Associazione Italus visitare il seguente indirizzo internet: www.italus.info http://italus.info oppure scrivere alla seguente E-mail: italus@live.it


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