Vdg italo ottobre 2014

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OTTOBRE 2014

EURO 2,90

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i Viaggi del Gusto

?B 9?8E :;? FEFEB? VDG MAGAZINE I VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 4 | N.40 | MENSILE

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Novara e il Vercellese Il Vialone Nano Il Golfo di Oristano La Piana di Sibari

Donato Lanati racconta la Georgia e S.Marino Mappe del gusto:Torino Il “bio” batte anche la crisi

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Passeggiare in Valle Isarco Conca (Costa d’Amalfi) Copia omaggio per i passeggeri di


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magazine

editoriale di Domenico Marasco

domenico.marasco@vdgmagazine.it

Il magazine che promuove l'Italia

Ripartiamo dall’Italia che merita La curatrice del Cluster Riso di Expo Milano 2015, Marialuisa Lavitrano, ad esempio Il nostro giornale continua il suo viaggio alla scoperta di Expo Milano 2015, dei suoi percorsi tematici, delle attrazioni che proporrà, ma anche delle straordinarie professionalità che renderanno possibile la realizzazione di questo evento mondiale. Tra tali qualificatissime risorse umane che danno lustro all’intero Paese, questo mese vogliamo rendere merito – inserendola di diritto nel novero di quella “Italia che merita” che da anni raccontiamo su queste pagine – alla figura della professoressa Marialuisa Lavitrano, medico, ricercatore, scienziato, docente universitario. Una donna di straordinaria passione e tenacia. Responsabile del laboratorio di medicina molecolare all’Università di MilanoBicocca e referente per la macro-area di Immunologia delle reti di eccellenza delle facoltà mediche lombarde. I suoi successi nel campo della ricerca oncologica faranno parlare di lei nel mondo. Abbiamo avuto l’onore e la fortuna di conoscerla, dal momento che sarà lei – in nome e per conto del suo Ateneo che fa parte del Comitato Scientifico di Expo col quale ci pregiamo di collaborare – a occuparsi anche del coordinamento scientifico del cluster del riso di Expo. Come è noto, la genialità dei cluster (i padiglioni tematici), grande novità della prossima Esposizione Universale, sta nel fatto che Paesi di tutto il mondo, uniti da un comune denominatore, s’incontreranno dentro la stessa area. Nel caso del cluster del riso, dentro lo stesso padiglione, sotto l’insegna del cereale più importante nella storia dell’uomo, troverete Paesi meno avanzati come la Cambogia, il Myanmar, la Sierra Leone e nazioni-leader come la Cina. In questo numero di VdG, abbiamo provato a raccontarvi, appunto, il riso in tutte le sue

svariate declinazioni: storiche, scientifiche, nutrizionali, culturali e gastronomiche. Abbiamo approfondito per voi le diverse varietà di riso esistenti e il loro utilizzo in cucina, vi abbiamo suggerito come stare attenti nella scelta del prodotto e come riconoscere le cultivar in base al loro aspetto. Non ci siamo, ovviamente, dimenticati del riso italiano che gioca un ruolo straordinario nel mondo, né tanto meno dei territori dove lo si produce. Potrete leggere dunque di Vercelli, Novara, Pavia – la cosiddetta “risaia d’Italia” – ma anche di Verona e Mantova dove viene coltivato il Vialone nano. Senza dimenticare la Sardegna nella quale risiede il più importante produttore italiano di riso Venere da seme, fino ad arrivare in Calabria nella Piana di Sibari, altra “terra del riso” forse poco conosciuta ai più. Abbiamo provato a suggerirvi, con interviste e ricette proposte dai migliori chef italiani, come si possono cucinare i risotti e quali vini abbinarci. Ecco, noi a questa Italia straordinaria, non ci stancheremo mai di credere. Un’Italia che può e che deve farcela a rialzarsi, facendo leva semplicemente sul proprio talento e le proprie capacità. Noi una mano proviamo a dargliela, raccontandone ogni mese un pezzo importante. Magari non basta, ma di certo aiuta. Vi lascio alla lettura. Buon viaggio del gusto!

ottobre 2014

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sommario sommario ottobre 2014

10 Almanacco di Barbanera

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12 Appuntamenti

20 Scienza & vita

Salviamo la biodiversità

24 La salute nel piatto

Sale, essenziale per la vita

36 Cover story Riso: cibo dei popoli fin dall'antichità. Semplice, sano e digeribile, ancora oggi il cereale più importante nella storia dell'uomo rappresenta l'alimento-base per 3 miliardi e mezzo di persone in tutto il globo. Nei paesi asiatici, spesso il termine è addirittura sinonimo di "pasto". Ma anche in Italia la risicoltura ha un ruolo strategico. Dal Vercellese a Verona fino in Calabria, le risaie italiane producono le varietà migliori al mondo, alimentando quella tradizione del risotto che è un caposaldo della nostra cucina. Ad Expo Milano 2015 il riso avrà un posto di primo piano. Andiamo allora alla scoperta di questo "gustoso" pianeta.

panorama 28 Pagine nere

L'Italia che non ci piace: polemiche inutili su Expo e politiche estere autolesioniste

Garanzia di salute e di tutela ambientale, i prodotti naturali battono anche la crisi

32 Consumi&tendenze Torino e i suoi locali: la nuova mappa per gustare meglio i sapori in pausa-pranzo

52 Fatti e contraffatti Risotti precotti: ecco come orientarsi su 54 La storia in cucina Le mondine: da "Riso Amaro" in avanti, un pezzo d'Italia che sta per scomparire

cibo&territorio 58 Novara e il Vercellese

ottobre 2014

64 Il riso Vialone Nano È nel Basso Veronese che il gigante del risotto trova la sua massima espressione

68 Risaie calabresi

30 Scenari alimentari: il bio

prezzi e qualità nella giungla dello scaffale

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Terre come scacchiere d'acqua, risoni di prima grandezza e tradizioni contadine

Tra la Piana di Sibari e l'area di Lamezia Terme alla scoperta del riso portato qui dagli arabi

72 Derivati risicoli

Dalle farine ai prodotti per le intolleranze, dalla birra alla cosmesi: versatilità assoluta

74 Zafferani d'Italia

Noti fin dall'antichità, quando toccano il riso lo trasformano in oro: conosciamoli meglio

78 Il buono a tavola 80 L'orto dei semplici, la rucola 82 Vino & Risotti Come il nettare di Bacco si abbina a ricette dai gusti originali e decisi: la parola agli chef

86 Wine Tour: Georgia e S. Marino Alla scoperta di due territori lontani ma uniti da ideali comuni e da voglia di libertà e di vino

92 Perle d'Italia


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sommario sommario ottobre 2014

110 magazine

i Viaggi del Gusto Direttore Responsabile Domenico Marasco Coordinatore editoriale Francesco Condoluci Grafica e impaginazione Daniel Addai

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Editing Gilda Ciaruffoli

120

Foto Editor Gianluca Congiu Foto Giulio Barreri Editore: Opera Italia Srl Via Pola, 15 20124 Milano Stampa: PuntoWeb Srl 00040 Ariccia (Roma) Distribuzione Italia So.Di.P. S.p.A. Via Bettola 18 20092 Cinisello Balsamo (MI)

Abbonamenti

inviaggio

piaceri

96 L'Oristanese

120 Il Cartiglio Cento di questi giorni per Livio Felluga:

Stagni, fenicotteri e risaie: l'avreste mai detto che stiamo parlando di Sardegna?

102 Conca dei Marini Tappa nel piccolo borgo della Costiera

la cartina in etichetta compie un secolo

122 Terre & Tradizioni L'arte dello sferruzzare: il doppio filo che lega Vercelli tra i colori caldi del Knitting

d'Amalfi, patria della "vera" sfogliatella

106 Sulle montagne Mainarde

124 Bellezza&benessere

Tra paesi antichi, natura e zampogne, un angolo del Molise di inaspettata bellezza

110 Autunno in Valle Isarco Breve viaggio tra i tesori dell'Altoatesino camminando tra borghi, chiese e castelli

Da chi sorride a chi usa l'olio di riso: due modi per mantenersi giovani

126 Ospitalità Italiana, Hong Kong 128 Compagne di strada, ix35

Opera Italia Srl - Via Pola 15 - 20124 Milano Tel. 02.86886479 - fax 02.89053290 abbonamenti@vdgmagazine.it Il Servizio abbonati è in funzione dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 12,30. L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi periodo dell’anno. L’eventuale cambio di indirizzo è gratuito. Informare il Servizio abbonati almeno 20 giorni prima del trasferimento, allegando l’etichetta con la quale arriva la rivista. GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. leg. 196/2003 scrivendo a: Opera Italia Srl Sede legale: via Pola 15 - 20124 Milano Redazione: via Pola 15 - 20124 Milano tel. 02.8688641 - fax 02.89053290 Registrazione Tribunale di Milano n. 92 del 10/02/2011

Sito: www.vdgmagazine.it Segreteria: Monia Manzoni - Tel. 02.8688641 ufficiotraffico@vdgmagazine.it L’editore ha ricercato con ogni mezzo i titolari dei diritti fotografici senza riuscire a reperirli. È ovviamente a piena disposizione per assolvere quanto dovuto nei loro confronti

Per la vostra pubblicità: OPERA ITALIA Srl

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114 Week-end mare, Botricello (Cz)

130 Libri letti per voi

Via Pola 15 - 20124 Milano Tel. 02.8688641 - fax 02.89053290 e-mail: ufficiotraffico@vdgmagazine.it

116 Viaggi per tutte le tasche

132 Shopping

Direttore commerciale Ruggero Marasco

136 Le selezioni di VdG

Prenotazione spazi e ricevimento impianti

ottobre 2014

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contributors ottobre 2014

hanno collaborato a questo numero:

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STEFANO CONTIN

CARLOS SOLITO

DONATO LANATI

MARIALUISA LAVITRANO

Ha origini venete, ma vive in Calabria. Ha studiato lettere e insegna lingue e letteratura italiana, ma nel tempo libero ama scorazzare sul Pollino armato di video e fotocamera. Se volete sapere perché andate su https://www.flickr.com/ photos/stefanocontin/ oppure fermatevi a pag. 70

Fotografo, giornalista, scrittore e filmmaker, è nato a Grottaglie, in Puglia. Ha iniziato a viaggiare alle porte di casa, tra uliveti, gravine, grotte, masserie e lo Ionio. Instancabile cacciatore di storie e di sguardi in giro per il mondo, scrive e fotografa per i più importanti magazine italiani ed esteri, e per i quotidiani nazionali. pag. 106

Lo chiamano l'enologo-scienziato. È uno dei winemaker più prestigiosi al mondo. Nelle classifiche del prestigioso Wine Spectator, i "suoi" vini sono sempre tra le prime posizioni. C’è bisogno di aggiungere altro? Sì. Che ha deciso di mettersi a scrivere per raccontarci di terre e ovviamente di vino. pag. 86

Campana di origine, lombarda d'adozione. Una vita dedicata alla alla ricerca medica. Docente alla Bicocca di Milano e un mucchio di altre cose, tra le quali cuoca eccellente. La sua ultima sfida? Curare il cluster del riso a Milano Expo 2015. pag. 36

MARCO GEMELLI

LUIGI FERRARO

Giornalista professionista dal 2007. Dopo essersi occupato per anni di cronaca ed economia, oggi vive a Firenze e collabora felicemente con diverse testate nel settore eventi, turismo ed enogastronomia. Ha ideato i progetti “Le cene della legalità” e “L’Opera a Tavola”, e fondato il sito www.itreforchettieri.it. pagg. 12 e 126

Calabrese di nascita, giramondo per lavoro, da 3 anni s’è stabilito a Mosca, dove fa lo chef al lussuoso Cafe Calvados, uno dei migliori della città. Valorizzare il made in Italy è la sua missione. Far conoscere i piatti calabresi in ogni angolo del globo, il suo sogno. Oltre a cucinare ama scrivere. pag. 79

ottobre 2014

Maddalena Baldini Piero Caltrin Olga Carlini Maurizio Casiraghi Gilda Ciaruffoli Umberto Cocco Silvana Delfuoco Maria Pia Fanciulli Eleonora Fatigati Francesca Frediani Natale Labia Riccardo Lagorio Gianfranco Manfredi Nomisma Giuseppe Pulina Marco Reis Antonio Romeo Irene Tempestini Mariagrazia Tornisiello Fondazione Veronesi

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L’EnoGastronomia e le Arti

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"Ho visitato Venezia in cambio di confetture e olio della mia terra". (Lucia, Napoli) "Abbiamo trascorso un week-end in Costiera Amalfitana in cambio di una tinteggiata al garage". (Fabio e Giulia, Lecce) "Ho soggiornato a Roma, in cambio di un servizio fotografico al B&B che mi ha ospitato". (Carlo, Verona)

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ottobre almanacco di barbanera

di M. Pia Fanciulli

Il tempo dell’ulivo La vendemmia cede il testimone alla raccolta dell’olio. Simbolo di pace, come l’altro grande protagonista del mese, San Francesco, che si auspica apra le porte ai tepori e al dolce sole dell’ottobrata

Sole e Luna Il Sole Il 1° sorge alle 06.57 e tramonta alle 18.42 L’11 sorge alle 07.08 e tramonta alle 18.25 Il 21 sorge alle 07.19 e tramonta alle 18.10

Da ricordare Venerdì 31 ottobre – Halloween È un dato di fatto che fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, in tutta la Pianura Padana e in alcune zone del centro Italia, era viva la tradizione delle cosiddette lümere della notte del 31 ottobre. Ciò vuol dire che l’usanza di intagliare zucche e illuminarle dall’interno con una candela, non è una novità importata dal mondo anglosassone. Di origine celtica, era infatti già giunta in epoche lontane nel nostro Paese. Oggi è tornata con gran forza per altre vie, ma c’è chi le zucche le sapeva già scolpire con maestria secoli fa.

Saggezza popolare • Per San Francesco (4 ottobre) parte il caldo e arriva il fresco. • Per Santa Teresa (15 ottobre) si semina a distesa. • Per San Simone (28 ottobre) il ventaglio si ripone. • Ottobre frondoso, inverno freddoso.

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Il 1° ottobre si hanno 11 ore e 45 minuti di luce solare – mentre il 31 se ne hanno 10 e 25 minuti: si perdono, dall’inizio alla fine del mese, 80 minuti di luce. Domenica 26, alle 03.00, le lancette dei nostri orologi devono essere spostate indietro di un’ora, alle ore 02.00. Si ritorna all’ora legale invernale (ora solare). La Luna Il 1° sorge alle 03.12 e tramonta alle 23.51 L’11 tramonta alle 10.17 e sorge alle 20.37 Il 21 sorge alle 04.45 e tramonta alle 16.56 La Luna è al Perigeo lunedì 6 alle ore 12. È all’Apogeo sabato 18 alle ore 08. Star bene con la Luna Il cervello funziona per immagini e le immagini generano stati d’animo. Se volete sentirvi al meglio, cambiate l’immagine che avete di voi stessi. Il 5 provate a vedervi seducenti, affascinanti, sorridenti, gentili e capaci: lo diventerete, e le conquiste non mancheranno!

Belli e sani

Con l’autunno pelle e capelli chiedono nuove attenzioni. E non è un caso se a darci una mano arriva un prodotto di stagione dalle mille virtù: l’olio d’oliva. Sarà infatti uno straordinario alleato della pelle, nutrendo il tessuto epidermico contro secchezza, smagliature e screpolature. Nel viso e nel corpo ripara le rughe, ravviva il colore e idrata in profondità. Se avete una pelle tendenzialmente secca, versate 2 gocce di olio essenziale di lavanda in 1 cucchiaio di olio d’oliva. Questa miscela, rigenerante e tonificante, dona una sferzata di vitalità ai tessuti. Per pelli tendenti al grasso, aggiungete 2 gocce di olio essenziale di salvia, con effetto antibatterico e cicatrizzante. Quanto ai capelli, restituisce vigore e lucentezza, frena la caduta, ripara le doppie punte, nutrendoli dalla radice alle estremità. Sciacquate la pelle con acqua tiepida, fate un leggero shampoo ai capelli dopo ogni trattamento.

Orti e dintorni Con le loro sfumature giallo e arancio, i grappoli di bacche dell’olivello spinoso portano una pennellata di colore nel mezzo delle giornate autunnali. Non solo. Rimanendo a lungo sulla pianta, anche quando per il freddo i rami sono ormai spogli, accompagnano la stagione invernale donando un aspetto più vivo al giardino. Cespuglio piuttosto diffuso allo stato spontaneo, ben si adatta però a una coltivazione domestica. Quanto alle poche cure che richiede, l’olivello ama i luoghi luminosi e assolati ma non teme il freddo e sopporta bene pure l’aria salmastra. Il momento migliore per piantarlo è in autunno: non ha particolari esigenze di terreno, purché sia ben drenato. Quanto ai lavori nell’orto, in Luna crescente seminare le fave sulla costa e a sud. Nel giardino piantare i nuovi rosai, i garofanini dei poeti e interrare i bulbi a fioritura tardo-invernale o primaverile. In calante piantare la carciofaia e potare le rose e gli arbusti sfioriti.


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appuntamenti lemaniraccontano giugno ottobre

di Gilda Ciaruffoli

In Toscana si fa "Cooltura" di Marco Gemelli

Internet, turismo on line, videogame e hi-tech. La terra di Dante si rinnova, anche nella proposta culturale e organizza un festival diffuso dedicato ai (ma soprattutto organizzato dai) giovani. Dal 9 al 19 ottobre l’intera regione si mobilita, coinvolgendo anche albergatori, consorzi e associazioni di categoria che proporranno offerte ad hoc per l’evento Una cosa è sicura: chi continua ad associare la parola "cultura" solo a musei, chiese, sale da concerto e così via, venendo in Toscana a metà ottobre avrà presto di che ricredersi. La Regione ha infatti varato per questo periodo – da giovedì 9 fino a domenica 19 – una serie di iniziative che hanno in sé una forte carica innovativa, raggruppate in un contenitore che in fondo è una scommessa sull’idea stessa di cultura: 12

ottobre 2014

renderla moderna, attrattiva. È su questo leitmotiv semantico che il Granducato ospiterà la prima edizione di Coolt, la Settimana della Cultura: il claim unisce la parola cool (forte, fresco, spiritoso) con la T di Toscana, mentre la cabina di regia è stata affidata a un team di 11 giovani, uno per provincia, con il compito di raccogliere spunti e creare connessioni. Se l’obiettivo è uscire dagli schemi tradizionali, lo sguardo non poteva dunque che essere orientato al nuovo che avanza: gli eventi clou spaziano dall’Internet Festival (Pisa, 9-12 ottobre) alla preview del Buy Tourism Online (Alberese, 12 ottobre) con approfondimenti sul rapporto tra culture e territorio, fino a un focus sul mondo dei videogame con Games in Tuscany (Firenze, 11 ottobre), senza dimenticare il settore dell’enogastronomia e quello del turismo culturale, con una guida su arte, natura e misteri dedicata alle famiglie con bambini (par-


Scelti per voi dove mangiare co di Collodi, 11 ottobre). E ancora: il LuBec di Lucca ha pensato a tre giorni di convegni (9-11 ottobre) dedicati al mondo della tecnologia nei beni culturali.

Un vissuto comune

In apertura, Firenze, dove si svolgerà il Games in Tuscany. Qui, un momento del Festival fatto dai giovani per i giovani. Sotto, la cantante Noa

Giubbe Rosse Da oltre un secolo è luogo di ritrovo di artisti e letterati. Qui a inizio Novecento nacque il movimento futurista. Aperitivo/buffet da 10 euro Piazza della Repubblica, 13/14 Firenze www.giubberosse.it

Questo però è solo l’inizio: Province, Comuni, musei, biblioteche, associazioni e fondaRistorante Sabatini zioni culturali hanno raccolto l’appello degli Storico locale che quest'anno festeggia il secolo di vita. Le sue organizzatori e hanno inviato oltre un centipanche sono prese da una chiesa naio di proposte per arricchire e aggiornare il sconsacrata del '500, ed è l'unico locale fiorentino a servire un calendario eventi in tempo reale.Ad esempio, intero menù flambè alla lampada non mancherà una rete di ristoranti e botted'argento. Si mangia con 40 euro ghe sparsi per tutte le province ma accomuVia Panzani, 9/a Firenze nati dalla valorizzazione dei prodotti tipici in www.sabatini.it contesti enogastronomici esclusivi: è il caso del complesso mediceo di Artimino (Prato), dove dormire dove la villa sarà aperta al pubblico con visite guidate e saranno allestiti menù rinascimenIl Giardino della Pieve Già antica dimora padronale e tali. Spazio anche alla musica: in cartellone il ora elegante B&b, ha aperto i concerto inaugurale del teatro Verdi, eseguibattenti meno di un anno fa con una mostra delle 11 acqueforti to dall’Orchestra della Toscana (sabato 18), di Marino Marini Il Teatro delle mentre lo stesso teatro ospiterà due giorni maschere. Camere da 60 euro dopo il concerto per la pace dell’artista israVia Barbaiano, 129 Cascina (Pi) eliana Noa. «La nostra ambizione principale www.ilgiardinodellapieve.com – ha sottolineato l’assessore alla cultura Sara Hotel Terme Bagni di Lucca Nocentini – è dimostrare che la cultura può Struttura antica e ricca di storia, rappresentare anche un grande catalizzatore per tutta la durata della sociale: entrando in musei, biblioteche, teatri Settimana della Cultura offre pernottamenti e trattamenti condividiamo con tanti altri, che siano cittaditermali da 134 euro ni o turisti, un segmento della nostra vita e dalPiazza San Martino, 1 Bagni di Lucca (Lu) la nostra terra, costruendo un vissuto comune. www.termebagnidilucca.it Inoltre vogliamo scommettere sulla messa in rete di un’offerta di cultura in Toscana ricca e variegata con l’economia territoriale della noPer saperne di più: stra tipica piccola-media impresa del turismo, www.coolt.toscana.it del commercio, dell’artigianato per supportarne il rilancio». Un ruolo di primo piano l’avrà la squadra «Vogliamo scommettere sulla messa messa su dalla Regione per raccogliere e ottimizzare le iniziain rete di un’offerta di cultura in Toscana tive: si tratta di undici ragazzi ricca e variegata con l’economia territoriale tra i 26 e i 34 anni, operatori della nostra tipica piccola-media impresa Upi con esperienza nelle podel turismo, del commercio, dell’artigianato litiche giovanili e nei rapporti per supportarne il rilancio» con le amministrazioni. ottobre 2014

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appuntamenti ottobre

di Gilda Ciaruffoli

3-19 ottobre Più scienza per tutti Oltre 150 gli eventi gratuiti, i laboratori e le mostre dedicate a piccoli e grandi, che si svolgeranno nelle piazze, nei teatri e nei palazzi storici delle Città Alta e Bassa in occasione di BergamoScienza. Per l'occasione verrà presentata in anteprima la mostra interattiva La trasformazione della materia di origine marina – cibo e materiali sul tema del mare, fil rouge dell’intera manifestazione.

fino al 31 ottobre

Bergamo – Lombardia www.bergamoscienza.it

Il fungo è veg!

Il mondo visto da un baloon

Partirà dalla città più affascinante del mondo, Venezia, e interpreterà il fungo come non lo avete mai visto prima. È Cocofungo, storica rassegna gastronomica trevigiana che quest’anno celebrerà le proprietà salutistiche di questo prodotto autunnale, con un’edizione che parlerà anche veg! Accanto alle classiche proposte che includeranno carne e pesce, in ciascuno dei menu sarà infatti presentato un piatto vegetariano; ciascuna delle serate in programma andrà così a comporre, a fine rassegna, un menu tutto da scoprire.

Località varie (Tv) – Veneto www.cocofungoradicchio.it

3-5 ottobre Visioni olfattive Evento contenitore di eventi dedicato ai fiori, alle piante e alla cultura del verde "per un giardinaggio evoluto", Orticolaria richiama quest’anno 250 espositori tra i quali i migliori vivaisti italiani e stranieri, artigiani, produttori di arredi e utensili per giardino. Ampio il programma di incontri, presentazioni di libri, tavole rotonde profumate ispirate al senso dell’olfatto.

Cernobbio (Co) – Lombardia www.orticolario.it 14

ottobre 2014

9-12 ottobre Il Matera Balloon Festival è il primo grande Festival Internazionale di mongolfiere nella Città dei Sassi, patrimonio mondiale dell’Unesco. Quattro giornate ad alta concentrazione di energia con eventi sportivi, arte, cultura, cibo a km zero, e naturalmente avvincenti competizioni aerostatiche con oltre dieci equipaggi di mongolfiere da tutta Europa, che sorvoleranno Matera e la Murgia due volte al giorno.

Matera – Basilicata

4-5 ottobre

www.materaballoonfestival.it

Oggi cucino io Piccoli quanto basta, per fare una grande cucina. Cuochi per un giorno è il Festival nazionale di cucina per bambini che propone, in due giornate di festa, decine di appuntamenti e laboratori in cui gli chef in erba potranno annusare, toccare, dosare, impastare, miscelare, modellare, cuocere e mettersi alla prova, imparando tante cose nuove. Non mancheranno vere e proprie lezioni di cucina con importanti chef stellati, per incuriosire anche mamma e papà.

Modena – Emilia Romagna www.cuochiperungiorno.it

10-12 ottobre Essere Cuochi? È una festa! Villa Santa Maria è il paese che ospita l’Istituto Alberghiero Marchitelli, tra le scuole di cucina più famose al mondo, fucina di talenti dal quale escono chef di fama internazionale. Non poteva che svolgersi qui, dunque, la 36a edizione della Festa Cuochi, con i suoi appuntamenti, convegni e isole del gusto il cui filo conduttore quest’anno è il pane.

Villa Santa Maria (Ch) – Abruzzo www.villasantamaria.com



appuntamenti ottobre

9-12 ottobre Chi la fa... l’affetta! Bologna celebra uno dei prodotti simbolo della sua antica storia gastronomica: la Mortadella Bologna Igp. Dopo il successo della "prima" dello scorso anno, MortadellaBò – il grande evento organizzato dal Consorzio Mortadella Bologna – si profila quest’anno ancor più ricco di spunti e iniziative. Quattro giorni che avranno come splendida cornice Piazza Maggiore con stand di degustazione e vendita, accanto ai quali saranno organizzate tavole rotonde e incontri di approfondimento, laboratori di degustazione e di cucina tenuti da rinomati chef, giochi e intrattenimenti a tema dedicati a tutta la famiglia, e ancora numerose iniziative che allargheranno alla città di Bologna il circuito della manifestazione: fra questi il coinvolgimento fattivo di ristoranti e botteghe del gusto, di locali da aperitivo, di musei e dell’intero tessuto commerciale.

Bologna – Emilia Romagna www.mortadellabo.it

12 ottobre La Carnia nel paniere Farine di Flor – Mulini, farine e delizie della Carnia: la cultura contadina e la lavorazione dei cereali sono al centro di questo appuntamento che vede protagoniste le molteplici varietà di farina (di granoturco, segala, canapa, frumento...) utilizzate un tempo fra le montagne di questa parte estrema del Friuli, e tutti i loro innumerevoli impieghi in campo gastronomico, dalla polenta ai biscotti, dal pane alla pastafrolla.

12 ottobre Sapori di Vallé È una grande vetrina dedicata alle eccellenze della produzione enogastronomica della Valle d’Aosta, il Marché au Fort, evento, che si svolgerà tra le suggestive mura del Borgo medievale e del Forte di Bard. Presenti oltre ottanta produttori di formaggi e salumi, carni e vini, mieli, frutta e dolci.

Bard (Ao) – Valle d’Aosta www.fortedibard.it 16

ottobre 2014

Sutrio (Ud) – Friuli Venezia Giulia www.carnia.it

12 ottobre Assaggiare, che passione Rassegna dedicata al B2B, Taste of Excellence si apre anche al pubblico che avrà modo di gustare le specialità prodotte dalle realtà italiane che hanno aderito all’iniziativa. Degustazioni e showcooking si svolgeranno presso la prestigiosa Aranciera, tra Villa Celimontana e le Terme di Caracalla.

Roma – Lazio www.excellencemagazine.it


GRUPPO BPER


appuntamenti ottobre

18-19 ottobre Le mille forme del Bitto Compie 107 anni la Mostra del Bitto, la più importante manifestazione enogastronomica della Valtellina, che mette in mostra i prodotti tipici della filiera agroalimentare provinciale, l’artigianato artistico, le tradizioni e il folclore. Il re dei formaggi valtellinesi animerà il centro storico della bella Morbegno in un percorso goloso che si snoderà a partire dalla storica piazza Sant’Antonio, dove verrà posizionato un tipico calecc, la struttura in cui anticamente i casari si dedicavano alla lavorazione del Bitto.

20-21 ottobre

31 ottobre

La carica dei 300

Com’è lento quel turista

Autochtona, il Forum nazionale dei vini autoctoni di Fiera Bolzano, ospiterà circa 100 produttori provenienti da 14 diverse regioni italiane, per un totale di più di 300 etichette. Bolzano si prepara ad accogliere i visitatori con degustazioni presso le enoteche della città nel week-end che precede la manifestazione: tutti coloro che in quell'occasione sceglieranno di assaggiare vini provenienti da vitigni autoctoni riceveranno direttamente un biglietto omaggio valido per l’ingresso alla kermesse.

Sono davvero tanti e diversi i УtrekkingФ che le 33 città che aderiscono alla rete nazionale offriranno agli amanti del turismo lento in occasione dell’evento Trekking Urbano 2014 (in alcuni casi, le iniziative si protrarranno anche il 1 e 2 novembre). Il programma delle visite a piedi prevede percorsi con diversi livelli di difficoltà, accessibili a tutte le età.

www.autochtona.it

13-14 novembre Food, Wine & Co.

www.mostradelbitto.com

23-27 ottobre 10 volte Terra Madre

Arte, cucina e Guerra Raccontare, attraverso L’Arte nel Piatto, una delle pagine più drammatiche del '900. Rendere il cibo cultura per non far dimenticare la Grande Guerra, per dare un’interpretazione nuova alla cucina di trincea. È dedicata alla celebrazione del centenario del tragico evento bellico l’edizione 2014 di Treviso: Dripping Taste, rassegna organizzata dal Gruppo Ristoratori della Marca Trevigiana, con anteprima a Oderzo sabato 11 ottobre.

Località varie (Tv) – Veneto www.trevisodrippingtaste.it 18

ottobre 2014

www.trekkingurbano.info

Bolzano – Trentino alto Adige

Morbegno (So) – Lombardia

18-19 ottobre

Località varie

Il Salone del Gusto e Terra Madre torna al Lingotto per festeggiare la sua decima edizione. Era il 1996 quando Slow Food organizzava la prima manifestazione dedicata al cibo e alle piccole produzioni alimentari di qualità, evento crescito negli anni e che oggi ha come temi conduttori l’Arca del Gusto – il progetto di Slow Food più rappresentativo per la tutela della biodiversità – e l’agricoltura familiare. Degustazioni, conferenze e incontri per un appuntamento imperdibile.

Torino – Piemonte www.salonedelgusto.it

È tutto pronto per la terza edizione del Seminario di formazione Food, Wine & Co. L’Enogastronomia e le Arti organizzato dal Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media dell’Università di Roma Tor Vergata, in partnership con Cinecittà Studios, la rivista Viaggi del Gusto e con il patrocinio di Ferpi-Federazione delle Relazioni Pubbliche Italiane. L’evento avrà come protagonista indiscusso il settore enogastronomico e si svolgerà presso la sede storica di Cinecittà, la Sala Fellini e il nuovo Caffè (Via Tuscolana, 1055). Saranno coinvolti numerosi specialisti del settore che, in qualità di relatori, mostreranno i numerosi legami tra il settore enogastronomico, la fotografia, la bellezza, i territori, il cinema, la pittura, la fotografia, l’architettura, il design e la musica. I partecipanti avranno modo di constatare le numerose possibilità date da un settore in continua crescita e le potenzialità date da un marketing e da una comunicazione sempre più strutturati, professionali e creativi. Oltre ai relatori indicati nel programma, saranno presenti anche numerosi sponsor tecnici e saranno previste molte degustazioni.

Roma – Lazio www.economia.uniroma2.it/master/ comunica&media



scienza e vita

Non sono tutti uguali La scomparsa di specie e razze animali, vegetali e microbiche, in agricoltura è una perdita inestimabile di risorse genetiche, frutto di millenni di evoluzioni naturali e innescate dall’uomo. Un problema sempre più scottante per l’umanità e il suo patrimonio vivente. Non a caso, fra i temi primari di Expo 2015, vi è la difesa della biodiversità animale. Proviamo a capire come e perché sia tanto importante salvaguardare le differenze nel campo della zootecnia

Al netto delle differenze di opinione tra gli studiosi, la definizione più semplice e onnicomprensiva di biodiversità è la seguente: “la diversità biologica è la varietà e la variabilità fra gli organismi viventi e i complessi ecologici in cui questa si manifesta” (U.S. Congress Office of Technology Assessment, Technologies to Maintain Biological Diversità, 1987). In questa intervista, Alessandro Nardone, professore emerito all’Università della Tuscia di Viterbo e tra i maggiori esperti mondiali di biodiversità degli animali domestici, ci introduce in questo mondo, illustrandoci i pericoli che corriamo a seguito della costante erosione della consistenza delle specie zootecniche allevate nel mondo. Come si è generata quella che oggi chiamiamo “biodiversità zootecnica”? È il risultato del processo evolutivo iniziato con la comparsa delle prime forme di vita e delle interazioni degli organismi viventi con l’ambiente. Della biodiversità globale oggi presente sulla Terra fa parte quella zootecnica, la risultante cioè dell’evoluzione naturale delle specie animali e degli interventi che l’uomo ha adottato a partire dalla domesticazione di alcune specie, iniziata quando, dopo l’ultimo periodo glaciale (circa 12 mila anni fa), l’uomo, da cacciatore-raccoglitore, si trasformò in agricoltore. Nei millenni seguenti, l’uomo addomesticò le specie che, più di altre, potevano dargli alimenti, pelli, fibre e lavoro, come i suini, i bovini e gli ovini. La diffusione dei popoli e dell’agricoltura in nuovi territori favorì l’adattamento ai vari ambienti delle specie già domesticate e la domesticazione di quelle nuove presenti in loco. 20

ottobre 2014

di Giuseppe Pulina Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari


Questo processo è ancora attuale ai giorni nostri? Sì, se pensiamo alla grande concentrazione nell’Est-Asiatico di bufali, particolarmente adattabili agli ambienti umidi e per questo utilizzati per i lavori nelle risaie, ma anche alla presenza dello Yak sui freddi altipiani himalayani e del bisonte nelle praterie del Nord-America. La biodiversità animale è stata determinante anche nel favorire i primi insediamenti umani in ambienti climaticamente estremi, come testimonia l’allevamento della renna nella zona artica e quello del cammello nelle zone desertiche tropicali. Bovini, caprini, ovini, suini, polli e cavalli, grazie alla loro variabilità genetica innata, vengono invece allevati diffusamente in gran parte delle zone abitate del pianeta. La biodiversità zootecnica non è costituita solo dalle differenze genetiche tra specie, molto rilevante è anche la diversità genetica entro le specie stesse. Come si sono formate le razze all’interno delle stesse specie? A seguito dell’adattamento ai differenti ambienti o dell’azione dell’uomo, che nei millenni più recenti ha fatto riprodurre i soggetti con i caratteri morfologici e produttivi ritenuti migliori. Dopo questo lungo processo naturale e antropico, secondo i dati Fao, agli inizi del ‘900 erano circa 7.700 le razze appartenenti alle 30 principali specie animali allevate. Bovini, ovini e polli avevano oltre 1.000 diverse razze ciascuno. Elevata era la variabilità nei cavalli (780 razze), suini (649) e caprini (598). La grande variabilità genetica di ciascuna specie, le diversificate caratteristiche morfologiche e produttive delle singole razze sono alla base della presenza di ciascuna di queste specie in oltre 100 Paesi nel mondo, ove forniscono prodotti alimentari differenti per qualità organolettiche, nutrizionali, tecnologiche. Perché oggi si pone il problema di preservare la biodiversità zootecnica? Perché gli uomini che per millenni hanno contribuito alla formazione di tante razze e popolazioni animali, nell’ultimo secolo ne hanno fatto estinguere circa 650. E tutto a causa di un imprudente uso delle scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche sviluppate a partire dal 1700. A seguito dell’acquisita capacità di esaltare le potenzialità genetiche delle razze più efficienti di alcune specie si è cercato di diffonderle anche in ambienti per loro inadatti sostituendo, quasi mai con successo, le popolazioni autoctone. Al contempo, per rispondere alla competitività del mercato globale, è stata perseguita la ottobre 2014

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scienza e vita

bientali e la qualità dei foraggi spesso favoriscono produzioni con qualità organolettiche di grande pregio atte a soddisfare le preferenze del consumatore o più in generale a rispondere meglio alle esigenze salutistiche e di sicurezza alimentare di una società sempre più longeva che cambia stili di vita e struttura demografica ed etnografica. Qual è la situazione in Italia? Il nostro Paese è fortemente interessato a preservare la biodiversità della zootecnica nazionale. Perché ha già pagato un tributo notevole con l’estinzione negli ultimi decenni di ben 65 razze, il 10% delle perdite mondiali. E poi perchè altre razze sono a rischio estinzione. Infine perché, nonostante tutto, l’Italia rimane uno dei 7 bacini di biodiversità zootecnica a livello mondiale, grazie all’ampia varietà di condizioni climatiche, pedologiche e orografiche del territorio nazionale che ha favorito il formarsi di tante razze autoctone e il buon adattamento di quelle cosmopolite. Ma non solo. L’interazione di questi effetti selettivi con le tradizioni culturali di popolazioni di antica storia insediate in vere e proprie nicchie ecologiche, ha influito sugli indirizzi di allevamento, le tecniche di produzioni e di trasformazione favorendo la produzione di prodotti tipici di alta qualità unici al mondo, in grado di valorizzare l’agroalimentare made in Italy nel mercato mondiale. L’Italia infatti è il secondo paese europeo con il maggior numero di prodotti zootecnici tutelati.

Il nostro Paese è fortemente interessato a preservare la biodiversità della zootecnica nazionale perché ha già pagato un tributo notevole con l’estinzione negli ultimi decenni di ben 65 razze, il 10% delle perdite mondiali

specializzazione produttiva. I sistemi di allevamento sono stati intensificati e così poche razze molto produttive, delle specie di maggiore interesse zootecnico come bovini e suini, sono le più diffuse e forniscono la gran parte delle proteine di origine animale. Tutto questo, oltre all’estinzione di talune razze, ha avviato anche un dannoso processo di erosione genetica entro le razze più produttive. Così molta biodiversità zootecnica è stata persa e altra è a rischio. Con quali conseguenze? La perdita di razze adattate ad ambienti estremi provoca la scomparsa sia di geni potenzialmente utili sia di insediamenti umani in aree marginali, presidi fondamentali per contrastare il degrado ambientale, conservare il paesaggio rurale, creare condizioni favorevoli al turismo. Le caratteristiche genetiche delle razze, le particolari condizioni am22

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Insomma, ogni razza che scompare è come un monumento che si sgretola... In un certo senso, sì. La scomparsa di una razza (qualunque sia la specie di appartenenza) quale genoma unico, come si è visto plasmato in tempi lunghi dalla natura e dall’uomo, è un evento irreversibile che va assolutamente evitato. Sia per le informazioni genetiche contenute, che possono essere utili per ottenere prodotti di particolare pregio e valore salutistico, sia per il loro possibile aiuto nel contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici o alle patologie emergenti.

"La diversità biologica è la varietà e la variabilità fra gli organismi viventi e i complessi ecologici in cui questa si manifesta". La scomparsa di una razza quale genoma unico, plasmato in tempi lunghi dalla natura e dall’uomo, è un evento irreversibile che va assolutamente evitato


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A cura della Redazione scientifica Fondazione Veronesi

la salute nel piatto

testi di

Serena Zoli

Il sale della vita Cinque grammi. È questa la quantità massima di cloruro di sodio che sarebbe opportuno assumere al giorno. Praticamente un cucchiaino da tè. E noi quanto ne ingeriamo invece? Mediamente il doppio. Limitarsi però ci salverebbe da una lunga lista di problemi e accidenti, spesso letali

Cum grano salis, scriveva Plinio il Vecchio parlando di quanto andava aggiunto – un grano di sale – a un certo contravveleno perché funzionasse. L’espressione è rimasta e, presa alla lettera, funziona tuttora, secondo la moderna scienza, quale indicazione di “contravveleno” rispetto a morbi molto diffusi oggi: ipertensione, disturbi cardiovascolari e ictus. Un grano di sale, quello da cucina per intenderci (cloruro di sodio), basta per la nostra alimentazione quotidiana. L’Organizzazione mondiale della Sanità specifica: al massimo 5 grammi al giorno. E noi di solito quanto ne ingeriamo? Almeno il doppio, dicono le indagini statistiche. E aggiungono che se ci limitassimo al consumo di un cucchiaino da the, noi italiani eviteremmo 67 mila infarti e 40 mila ictus all’anno. Non poco. Se agissimo, appunto, cum grano salis (detto, stavolta, in senso figurato). Perché il fabbisogno del nostro organismo è di appena 1-1,5 grammi pro die. Di più, fa aumentare la pressione del sangue, indurisce le pareti dei vasi sanguigni, svolge un’azione pro-infiammatoria e induce stress ossidativo. L’imputato principale è il sodio. Il quale molto spesso è “nascosto” nei cibi che compriamo già fatti, industriali o artigianali che siano. Come pane, intanto, si raccomanda quello toscano che è sciapo (“Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui”, scrive il toscano Dante): tutti i prodotti da forno, dalla pagnotta ai biscotti, ai grissini, alle merendine… sono ricchi di sodio. Occorre leggere bene la lista degli ingredienti. Insaccati, formaggi, conserve di pesce, patatine fritte ne hanno certamente di 24

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Basta la natura C’è anche il sale “buono”. È quello di potassio. Sono sali (al plurale) che migliorano la funzionalità dell’endotelio, il tessuto che riveste l’interno dei vasi sanguigni e produce sostanze vasodilatatrici, importanti contro l’ipertensione. Un maggior apporto di potassio aiuta, dunque, a prevenire disturbi cardiovascolari e a ridurre l’incidenza dell’ictus. Come ci si rifornisce di questo prezioso alimento? Mangiando ogni giorno almeno tre porzioni di frutta e due di verdure, che sono ricche anche di vitamine e antiossidanti, e da due a quattro volte la settimana dei legumi come pietanza. No agli integratori: basta la natura.

più, ma si mangiano di quando in quanto. I derivati dei cereali si consumano, invece, tutti i giorni. Tra i consigli degli esperti c’è di non mettere la saliera in tavola, di salare poco l’acqua per la pasta, di avere sempre e comunque la mano leggera col cloruro di sodio, grosso o fine che sia. Cambia il gusto dei cibi? Un po’ certo, ma occorre prendere l’abitudine a sapori diciamo più naturali. Inoltre, si può ovviare con l’aggiunta di spezie e aromi. E cum grano salis in testa.

Per saperne di più:

www.fondazioneveronesi.it




Panorama Panorama 54

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36 30

36 Cover story Riso: cibo dei popoli fin dall'antichità. Semplice, sano e digeribile, ancora oggi il cereale più importante nella storia dell'uomo rappresenta l'alimento-base per 3 miliardi e mezzo di persone in tutto il globo. Nei paesi asiatici, spesso il termine è addirittura sinonimo di "pasto". Ma anche in Italia la risicoltura ha un ruolo strategico. Dal Vercellese a Verona fino in Calabria, le risaie italiane producono le varietà migliori al mondo, alimentando quella tradizione del risotto che è un caposaldo della nostra cucina. Ad Expo Milano 2015 il riso avrà un posto di primo piano. Andiamo allora alla scoperta di questo "gustoso" pianeta.

28 Pagine nere

52 Fatti e contraffatti

Risotti precotti: ecco come orientarsi su

L'Italia che non ci piace: polemiche inutili su Expo e politiche estere autolesioniste

prezzi e qualità nella giungla dello scaffale

30 Scenari alimentari: il bio

54 La storia in cucina

Garanzia di salute e di tutela ambientale, i prodotti naturali battono anche la crisi

Le mondine: da "Riso Amaro" in avanti, un pezzo d'Italia che sta per scomparire

32 Consumi&tendenze Torino e i suoi locali: la nuova mappa per gustare meglio i sapori in pausa-pranzo

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pagine nere

di Francesco Condoluci redazione1@vdgmagazine.it

l’italia

che NON

ci piace Quella che, all'estero, si fa male da sola Durissime prese di distanza e sanzioni economiche perentorie nei confronti della Russia per via della crisi in Ucraina. Silenzio assoluto o quasi, rispetto al fondamentalismo islamico che, con l’avallo (diretto o indiretto ma comunque mai smentito) della petromonarchia saudita, sta spargendo sangue a piene mani in Medio Oriente. Certo, non si può dire che la politica estera del governo italiano in carica, si muova lungo una linea di coerenza. La solita logica “dei due forni”, cara ai vecchi dorotei, è dura a morire. Specie quando di mezzo ci sono input che arrivano da Oltreoceano. Il problema è che a furia di seguire pedissequamente le politiche targate Nato, il Belpaese ci rimette sistematicamente le penne. Basti pensare al danno che le nostre produzioni potrebbero subire sul piano dell’export, se la Russia, a seguito delle sanzioni, chiudesse davvero le frontiere, come ha minacciato. Vino, olio e Parmigiano reggiano non arriverebbero più sulle tavole dei russi. E i milioni di euro in meno nella nostra bilancia commerciale sarebbero circa 200. I nostri concorrenti, già si fregano le mani. Tafazzisti

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Quella che passa il tempo a fare polemiche invece che fatti

Bronzi sì, Bronzi no. Un’estate intera passata a parlare, commentare, pontificare, disquisire, discutere e accapigliarsi. La solita Italietta delle polemicuzze infinite e senza costrutto, non si è smentita nemmeno durante le ultime vacanze agostane, riuscendo nella difficilissima impresa di alzare un polverone inutile e stucchevole attorno al più elementare dei quesiti: ovvero cosa mostrare al mondo in occasione dell’Expo milanese. Accanto al David di Michelangelo (una copia), il commissario di Expo, dentro il Padiglione Italia nel sito espositivo, vorrebbe anche i Bronzi di Riace, la coppia di guerrieri ellenici ritrovati sulle coste calabresi nel 1972 e conservati nel Museo Nazionale di Reggio Calabria. Si potrà essere d’accordo o meno sull’opportunità di trasbordare le due statue bronzee (reduci da un lungo restyling che solo da pochi mesi le ha restituite alla fruibilità) dalla punta dello Stivale fino in Lombardia. Si potrà essere d’accordo o meno, se vogliamo, anche sull’opportunità di esporre gli originali o soltanto delle copie (come nel caso del David). Ma non è questo il punto. Quello che fa specie, più che altro, è lo scontro a cui ci hanno costretto ad assistere governanti e politici, e dietro di loro, a ruota, tutta una patetica, ridondante pletora di commentatori di ogni risma e parrocchia. Divisi in bande l’un contro l’altre armate e pronte a difendere con ogni mezzo la loro posizione favorevole o contraria al “prestito” dei Bronzi. Tra questi ultimi, qualche genio è arrivato addirittura a sostenere che i Bronzi non rappresentano l’Italia “dal momento che sono stati fusi in Grecia e ritrovati per caso in Calabria”. Sì, in effetti, ha ragione: anche i francesi, del resto, a tutti i visitatori che vanno al Louvre a vedere la Gioconda, si premurano di premettere che tuttavia “non rappresenta la Francia”. Bah. È finita, che come in tutte le cose che in questo Paese non si sa come risolvere, sul caso Bronzi-Expo hanno istituito addirittura una Commissione “per decidere”. Viene da chiedersi però se a qualcuno finora è venuto in mente che il vero problema da risolvere è come convincere i visitatori di Expo a spostarsi da Milano per andare (anche) a Reggio Calabria. E che qualunque soluzione andrebbe bene, purché si arrivi al risultato. Tutto il resto è fuffa. E nel frattempo, il tempo passa, la soluzione non arriva, ma in compenso le polemiche restano. Per la gioia di chi ci sguazza. Facce di bronzo


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scenari alimentari

A cura dell’Osservatorio Agroalimentare Nomisma

Lunga vita al bio Nonostante il calo del potere di acquisto delle famiglie, il trend delle vendite bio è in crescita: nella sola grande distribuzione +220% rispetto al 2005 e +17% solo nel primo semestre 2014 (a fronte di un -0,1% per il totale dei consumi alimentari). Ma a crescere non è solo la spesa: la Survey di Nomisma realizzata per l’Osservatorio Sana 2014 (la più importante fiera del biologico e del naturale in Italia) ha rilevato come, nel corso del 2014, le famiglie italiane che hanno acquistato un prodotto alimentare a marchio bio in almeno un’occasione sono salite al 59% (erano il 53% solo nel 2012); questo significa che in Italia le famiglie dove si acquista bio sono quasi 15 milioni. Si tratta di un risultato davvero inaspettato, soprattutto in tempo di crisi economica. Frutta e verdura fresche rimangono in cima alle preferenze: oltre il 40% dei consumatori italiani ha acquistato almeno un prodotto bio. Ma sono anche altre le categorie che riscuotono grande successo: uova, yogurt, olio extra vergine d’oliva, marmellate e miele. Oggi il bio incide sul totale della

La voglia di salute e benessere non sente la crisi. A dispetto della generale tendenza negativa delle vendite, i prodotti che promettono sicurezza alimentare, chiarezza della filiera e sostenibilità ambientale, stanno vivendo un momento di gloria destinato a durare

Per saperne di più:

agroalimentare@nomisma.it www.nomisma.it

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spesa alimentare degli italiani per circa il 2,4% (per complessivi 2,3 miliardi di euro, senza contare l’export che vale un ulteriore miliardo) e non si vedono ostacoli all’ulteriore crescita. Quali sono le ragioni di tanto interesse? Innanzitutto il consumatore trova in questi prodotti una soddisfazione alle esigenze di alimenti sicuri per la salute (principale motivazione di acquisto per il 70% delle famiglie acquirenti). E poi perché vi sono target molto sensibili al consumo di prodotti privi di pesticidi e chimica di sintesi. Non a caso la quota di famiglie acquirenti di prodotti a marchio bio è più elevata nei nuclei dove sono presenti bambini in età pre-scolare (la quota di chi acquista sale al 68%), nei vegetariani o vegani (78%), tra chi abitualmente fa la raccolta differenziata dei rifiuti (61%). Per i prossimi anni, inoltre, il consumo di alimenti biologici ha spazio di sviluppo non solo tra le mura domestiche ma anche fuori casa. Infatti l’indagine Nomisma-Sana mostra come già oggi il 14,5% degli italiani abbia consumato almeno un pasto (colazione, pranzo, cena) presso un locale che offre alimenti biologici. Una più articolata ripartizione dell’offerta tra diversi canali di vendita potrà servire ad ampliare la base di consumo, consentendo agli alimenti biologici di diventare un punto di forza anche per l’offerta della ristorazione commerciale.



consumi&tendenze

Torino, il buono che avanza di Silvana Delfuoco

È in evoluzione la città magica. Storici quartieri un tempo abbandonati al loro destino rivivono anche grazie al fiorire continuo di locali che fanno subito tendenza. Saltati gli orari della capitale operaia, anche la pausa pranzo trova una nuova connotazione. Il tutto con un’attenzione alla qualità... degna di un re! 32

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C’era una volta una Torino che prima, molto prima dell’avvento della Fiat, coltivava altre vocazioni… Era la città sabauda dei caffè storici e dei ristoranti del centro dove, tra stucchi dorati e arredi barocchi, lo stesso conte di Cavour non disdegnava un bicchiere di torinesissimo vermut come pure un piatto di agnolotti. Ed era anche la città operaia delle piole e delle bocciofile di periferia, regno indiscusso delle acciughe al verde e dei tomini elettrici, dove non era raro imbattersi negli epici gadan – spavaldi ma innocui bohèmien nati all’ombra della Gran Madre – protagonisti delle canzoni di Fred Buscaglione e di Gipo Farassino. Poi c’era la Torino delle birrerie e dei birrifici artigianali, i primi – per chi non lo sapesse – in Italia tra Otto e Novecento, così numerosi lungo il canale della Pellerina che allora attraversava limpido e scoperto il popolare Borgo San Donato, da consentire di celebrare annualmente una subalpina Oktoberfest. C’era infine la dolcissima città del cioccolato, qui declinato in tutte le sue forme: dalle praline, ai cremini, ai tartufi fino all’inimitabile gianduiotto, il primo cioccolatino a essere stato incartato. E così siamo arrivati alla Torino di oggi, che sembra avere tutte le carte in regola per avviarsi a diventare, come ormai si sente dire con sempre più insistenza, la futura capitale italiana del gusto.


Dalle 12 alle 17 Non è certo un caso se proprio a Torino, all’indomani delle Olimpiadi Invernali del 2006, fatidico spartiacque tra la vecchia capitale dell’automobile e la nuova città a vocazione turistica, nasceva il fenomeno Eataly, destinato in breve tempo a divenire, al di là di ogni possibile polemica, l’immagine del food italiano nel mondo. E questo proprio negli spazi ormai dismessi dell’ex fabbrica Carpano – ah il vermut! altro primato torinese – a due passi dagli ex stabilimenti della Fiat Lingotto, anche loro richiamati di recente a nuova vita per ospitare profumi e sapori dei torinesissimi Salone del Gusto e Terra Madre. Ed è stato anche grazie ai ristorantini tematici di Eataly che la città non più operaia, e quindi non più vincolata dai rigidi turni della fabbrica, ha scoperto

il piacere della pausa pranzo, prima limitata al casalingo barachin. È questa forse al momento la novità più significativa della ristorazione torinese, a cui si sono adeguati sia i locali storici che i sempre più numerosi emergenti “dalle 12 alle 17”. Senza però mai perdere di vista l’irrinunciabile omaggio alla tradizione. Come da M**Bun, la prima agrihamburgeria a km 0, che offre dallo spatuss di Fassone alla piemunteisa alle mitiche acciughe verdi. Un autentico successo, tale da intimorire persino i giganti del settore, e da consentire addirittura, in controtendenza con i tempi, la recente apertura del secondo locale. E in una città candidata a ospitare nel 2015 la prossima assemblea mondiale delle “Città del Bio” anche la dieta deve essere di qualità. Con questa idea, da subito vincente, quattro dinamiche madamin hanno aper-

In apertura, una veduta di Torino con la Mole in primo piano e le Alpi sullo sfondo. Qui, uno dei ristoranti di Eataly, sotto invece due immagini del MiaGola Caffè

Oggi Torino sembra avere tutte le carte in regola per avviarsi a diventare, come ormai si sente dire con sempre più insistenza, la futura capitale italiana del gusto. Non a caso qui è nato il fenomeno Eataly ottobre 2014

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consumi&tendenze

to le loro 500Calorie, un gratificante mix di benessere, buon cibo e simpatia, con materie prime rigorosamente controllate. Oppure si può optare per L’Aula Magna, una curiosa “cucina di classe” con tanto di banchi e cartine geografiche alle pareti, dove dalla cattedra si dispensano monopiatti vegetariani dall’ottimo rapporto qualità/prezzo. Per chi invece non sa rinunciare nemmeno a pranzo al piatto di pasta cotto al momento, siano ravioli ai tre arrosti o tajarin al burro e salvia, si sono attrezzati allo scopo numerosi dei pastifici artigianali, a partire dallo storico Defilippis nella centrale via Lagrange, elegante arteria dello shopping di lusso. Ma la prova del nove della ristorazione, qui come altrove, è riservata al momento della cena…

La rinascita comincia in cucina Al ritrovato piacere delle uscite serali dei torinesi ha certo contribuito, e non poco, il felice risanamento del vecchio centro storico. Quartieri fino a pochi anni fa assolutamente off limits a causa del degrado, come il Quadrilatero Romano, San Salvario o, più di recente, il popolare Borgo Vanchiglia sono adesso il fulcro della movida fino a tarda notte. E in attesa che lo storico Del Cambio di piazza Carignano, reduce da una lunga e complessa ristrutturazione, ritorni a essere il simbolo della ristorazione torinese di tradizione, in città ci si guarda attorno. Bella sorpresa, in pieno San Salvario, è lo Scannabue, all’angolo tra Largo Saluzzo e Via Baretti, il letterato dallo spirito irriverente e ribelle dal cui pseudonimo il locale ha preso il nome. E il gioco al paradosso continua anche all’interno: sotto gli arredi di un tipico salottino

Quartieri un tempo off limits a causa del degrado, come il Quadrilatero Romano, San Salvario o il popolare Borgo Vanchiglia, sono adesso il fulcro della movida fino a tarda notte 34

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Scelti per voi Eataly Una pizza Margherita: 6 euro Via Nizza, 230/14 Tel. 011.1950680 www.eataly.it M** Bun Un hamburger: 8 euro Corso Siccardi, 8/A angolo Via Cernaia Tel. 011.5617097 Via Rattazzi 4, dietro Via Lagrange
 Tel. 011.19704606 www.mbun.it 500Calorie Primo e contorno: 10 euro Via San Quintino, 33 Tel. 329.3985383 www.500calorie.it L’Aula Magna Prezzo medio: 6 euro Via Belfiore, 41b Tel. 328.6935730 Pastificio Defilippis Un piatto di pasta: 10 euro Via Lagrange, 39 Tel. 011.542137 www.pastificiodefilippis.it Del Cambio Menù degustazione 80 euro Piazza Carignano, 2 Tel. 011.546690 www.delcambio.it Scannabue Si mangia con 35 euro Largo Saluzzo, 25H Tel. 011.6696693 www.scannabue.it Magorabin Prezzo medio: 70 euro Corso San Maurizio, 61 Tel. 011.8126808 www.magorabin.com MiaGola Caffè Pranzo a 8.50 euro Via Giovanni Amendola, 6D Tel. 011.0371375 www.miagolacaffe.it

Qui, lo Scannabue, i cui interni ricordano un salotto inglese, quasi in contrasto con la sua cucina fortemente territoriale

inglese d’altri tempi nasconde una cucina rigorosamente di territorio e una stuzzicante carta dei vini. Per contro, nel non lontano corso San Maurizio, in una storica palazzina opera dell’Antonelli proprio di fronte alla Mole, il “torinesissimo” anche nel nome Magorabin – in dialetto, “l’uomo nero” che spaventa i bambini – rielabora l’amata tradizione in chiave inaspettatamente quasi esotica. Chi infine è alla ricerca dell’ultima novità, a patto che sia anche un convinto animalista, si può unire alla fila dei turisti arrivati apposta per entrare al MiaGola Caffè, il primo Cat Cafè italiano. Aperto da colazione a cena, offre piatti ovviamente anche vegetariani e vegani, da gustare in compagnia di sei mici ex-trovatelli disposti, se di buon umore, a lasciarsi coccolare fra una portata e l’altra. Cose che possono accadere solo qui, nella magica città che ospita l’Egizio, il Museo, come tutti sanno, più “gattofilo” al mondo!



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Riso,

il cibo dei popoli di Marialuisa Lavitrano (hanno collaborato: Maurizio Casiraghi e Massimo Labra, con il contributo di Anna Marchetti, Paola Palestini e Carla Favaro)

"Pane del mondo" fin dall'antichità, il cereale più importante nella storia dell'uomo è ancora oggi l'alimento-base per 3,5 miliardi di persone in tutto il globo. Nei Paesi asiatici, spesso il termine è addirittura sinonimo di "pasto". Ma anche in Italia la risicoltura ha un ruolo strategico: le nostre varietà sono le migliori al mondo e alimentano quella tradizione del risotto che è un caposaldo della cucina tricolore. Expo Milano 2015 dedicherà al riso un posto di primo piano. Andiamo allora alla scoperta di questo "gustoso" pianeta

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cibo dei popoli

U

Diecimila anni di selezione Tra i primi cereali domesticati dall’uomo – circa 10-12 mila anni fa, a partire da una specie spontanea cinese –, il riso subì una prima selezione già da parte dell’uomo preistorico che scelse le piante che presentavano spighe più resistenti. La diffusione delle piante di riso fu da subito ampia, soprattutto nelle valli fluviali della Cina, ma per il passaggio da una specie erbacea infestante a bassa resa a una pianta domestica capace di fornire una fonte essenziale per il nutrimento dell’uomo, dobbiamo aspettare l’avvento dei primi agricoltori. Il riso attuale, appartenente alla specie Oryza sativa L., venne domesticato probabilmente una sola volta tra 8.200 e 13.500 38

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Il riso si raccoglie da settembre a ottobre, ma i lavori iniziano prima, quando si toglie l 'acqua dalla risaia

Presso il Rice Research Institute, nelle Filippine, sono conservati più di 100 mila semi di riso (oltre 8 mila cultivar); l’International Rice Genebank conserva invece più di 117 mila tipi di riso. Queste banche dati di materiale biologico sono la “memoria” di 10 mila anni di selezione artificiale condotta dall’uomo

i numeri

n quinto della popolazione mondiale ne fa l'ingrediente-base della propria alimentazione. Per quasi tre miliardi e mezzo di persone, in tutto il pianeta, a tutt'oggi rappresenta il 20% delle calorie assunte giornalmente, ma nei Paesi più poveri dell'Asia questa quota arriva a superare anche il 50%. Ce n'è abbastanza insomma per poter affermare che il riso è un elementochiave della nutrizione umana. Ovviamente, il suo consumo varia da Paese a Paese, con picchi altissimi nelle aree asiatiche, dove il consumo pro-capite ammonta a oltre 100 kg all'anno e trend più bassi nel resto del mondo: in Italia, ad esempio, si attesta sui 5,6 Kg/ annui a fronte di un consumo di pane che invece è pari a 66 Kg l'anno a persona. Nella storia, il riso ha sempre camminato di pari passo con l'uomo, adattandosi a ogni ambiente e a ogni necessità dei diversi popoli che ne hanno fatto uso, tanto che la Fao lo definisce staple food per sottolineare il fatto che sia uno dei più importanti alimenti della civiltà umana. Per l’Italia, che ne è il maggiore produttore europeo, questo cereale rappresenta indubbiamente una coltura strategica.

• 720 milioni di tonnellate è la produzione mondiale di riso • Il 90% della produzione totale viene dai Paesi asiatici, Cina e India in testa • 160 milioni di ettari è l’area adibita a coltivazione di riso nel mondo • 1/10 dell’intera superficie terrestre adibita a uso agricolo (circa 1,5 miliardi di ettari) è coltivata a riso. • più di 200 milioni sono le aziende agricole che producono riso nel solo continente asiatico


I Presidi Slow Food di Maria Grazia Tornisiello

le eccellenze

Nel 2008 Slow Food, che da anni si occupa di difesa della biodiversità alimentare, ha creato un progetto d'identificazione, tutela e valorizzazione di “prodotti buoni”, i cosiddetti Presidi Slow Food. Tra questi, cinque sono stati attribuiti ad altrettante varietà di riso. In Italia il primato va al Vialone nano di Grumolo delle Abbadesse, in provincia di Vicenza, la cui coltivazione fu introdotta nel ‘500 dalle monache della vicina abbazia di San Pietro. Degli altri quattro Presidi Slow Food, due si trovano in Asia e più precisamente in Malesia e in India, uno in Madagascar e uno in Brasile. Il riso Bario viene coltivato nel nordest dello stato malese del Sarawak a un’altitudine di 1100 metri ed è impiegato per fare dolci e budini. Dalle valli indiane, a sud del Gange, arriva invece il profumatissimo Basmati, cucinato tradizionalmente con chiodi di garofano per esaltarne il saUN’ANTICA LEGGENDA COREANA pore. Nato probabilmente NARRA CHE TUTTE LE MATTINE dall'incrocio dell’autoctoUN CHICCO DI RISO COMPARIVA no riso rosso selvatico con SUL FOCOLARE DELLA MOGLIE il riso bianco giapponese giunto sull’isola verso DEL CONTADINO, S’INFILAVA l’anno 1000, l'Andasibe NELLA PENTOLA E LA DONNA del Madagascar è ricco di LO CUOCEVA SENZA MAI vitamine e ha un sapore SOLLEVARE IL COPERCHIO. particolare, caratterizzato UN GIORNO LA FIGLIA, SPINTA da note di nocciola. Infine, ultimo ma non certo per DALLA CURIOSITÀ, VI GUARDÒ importanza, è il riso rosso DENTRO, MA IL CHICCO brasiliano, originario dello SCOMPARVE E DA ALLORA TUTTI stato di Paraiba e famoso DOVETTERO LAVORARE per un maggiore contenuDURAMENTE PER PIANTARE to di sali minerali e proteine rispetto al riso bianco. IL RISO E RACCOGLIERLO

anni fa in Cina a partire da una specie di riso selvatico (Oryza rufipogon). Dalle valli cinesi la coltivazione raggiunse il Vietnam, l’India, lo Sri Lanka e le Filippine durante il secondo millennio a.C., l’Indonesia circa nel 1500 a.C. ed entro il 100 a.C., il Giappone. Dall’India venne quindi introdotto in Grecia e, attraverso la Sicilia, si diffuse nel Mediterraneo e nel Nord Africa. La prima osservazione confermata storicamente della presenza di riso coltivato in Italia è del 1475 come indicato da due lettere del duca Galeazzo Maria Sforza che autorizzano l’esportazione dal ducato di Milano di 12 sacchi di riso da semina verso Ferrara. In quegli anni evidentemente la produzione di riso era presente in Lombardia, Piemonte e Veneto, regioni in cui ancora oggi si concentra la maggior parte delle nostre produzioni. È tuttavia probabile che questa coltura fosse presente in Italia anche prima di tale data. Sono questi gli anni in cui il percorso del riso si interseca sempre più con la storia dell’uomo che seleziona le varietà più idonee, migliora i raccolti e le tecniche di propagazione. ottobre 2014

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verso expo

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Il "cluster" del riso Il riso sarà protagonista anche a Milano Expo 2015, con un apposito cluster (padiglione tematico) che racconterà il cereale più importante nella storia dell'uomo, sotto ogni declinazione. Il percorso tematico che è stato pensato parte dalla domesticazione del riso, passa per la selezione di migliaia di cultivar adattate alle condizioni locali, arrivando alle attuali problematiche e moderne tecnologie per migliorare le rese, la qualità e la sicurezza alimentare. Si tratta di un viaggio di oltre 10 mila anni, che tocca quasi tutti i continenti, e permette di entrare in contatto con la storia dell’uomo, dell’agricoltura e della biologia. Multidisciplinare, il percorso sarà corredato da una mostra fotografica di Gianni Berengo Gardin. All’interno del cluster saranno presenti alcuni dei Paesi produttori di riso nel mondo: Sierra Leone, Bangladesh, Cambogia, Laos, Myanmar. Queste nazioni saranno raggruppate e troveranno spazio sotto lo stesso progetto architettonico che mette a confronto diverse tradizioni, modi di interpretare il tema e soluzioni alle sfide comuni. Da un punto di vista strutturale, il Cluster Riso si presenterà agli occhi dei visitatori di Expo come una sorta di risaia in miniatura in cui sono riconoscibili le texture dei campi, i colori, i profumi e le ombre che accompagnano la crescita del riso. Nello spazio comune saranno presenti dei chioschi per la distribuzione del riso mentre tra le vasche che mimano le risaie si svolgerà un gioco interattivo rivolto al pubblico. Il posizionamento di schermi a sfioro sull’acqua delle vasche farà sì il padiglione si che il paesaggio naturale si fonpresenterà agli da con il paesaggio informatiocchi dei visitatori vo. Infatti, tra i campi e le vasche come una risaia d’acqua, messaggi più o meno in miniatura in cui nascosti interrogheranno il visisono riconoscibili tatore, affiorando a pelo d’actexture dei campi, qua. Leggende, miti, storie, incolori, profumi formazioni collegate al mondo e ombre che del riso faranno capolino coinaccompagnano la volgendo il visitatore in un avvincente gioco informativo. crescita del riso

(Non) ne resterà uno solo! Ma quando parliamo di riso a cosa ci riferiamo? Alla base vi sono principalmente due specie: l’Oryza sativa, il riso asiatico, di gran lunga la più diffusa e importante; e l’Oryza glaberrima, di origine africana, non molto diffuso, ma utilizzato spesso per incroci con altri tipi di riso. Accanto a queste due specie principali ne esistono almeno altre 23 selvatiche, di cui solo alcune sono strettamente imparentate con Oryza sativa e Oryza glaberrima, i “veri” risi. A sua volta Oryza sativa (la specie più diffusa) presenta diverse sottospecie: le principali sono Indica, caratterizzata da un chicco lungo e sottile e ampiamente diffusa nei climi tropicali (Cina Meridionale, Filippine, India, Europa meridionale, Usa meridionale), e Japonica, più adatta per coltivazioni in climi temperati e caratterizzata da un seme corto arrotondato. Quest’ultima sottospecie è ampiamente diffusa in Paesi come Giappone, Corea, Cina settentrionale, Brasile, Usa, Egitto, e nella maggior parte delle nazioni europee, inclusa l’Italia. Esistono poi varietà di riso che si sono adattate alla sopravvivenza in acque profonde, i cosiddetti deepwater rice: cultivar in grado di crescere oltre i 50 cm di profondità (si arriva anche a superare il metro), la maggior par-


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cibo dei popoli

In molti Paesi asiatici il riso permea cultura, vita quotidiana, feste e tradizioni. Persino il linguaggio. E non è possibile pensare a un pasto che non lo includa. In giappone, ad esempio, i termini che indicano il riso cotto sono sinonimi del termine pasto (la parola “gohan” ha entrambi i significati)

te delle quali deriva dalla sottospecie Indica. Queste varietà (diffuse in Bangladesh, Myanmar, Cambogia, Vietnam, Tailandia e alcune zone dell’India) sono molto interessanti per le particolari modifiche fisiologiche che hanno subito al fine di adattarsi allo stile di vita sommerso, esempio lampante di come l’universo del riso sia caratterizzato da grande biodiversità che si traduce in percorsi differenti lungo le filiere produttive prima di raggiungere la tavola.

La salute vien mangiando Oryza sativa è dunque la specie coltivata su circa il 95% della superficie risicola mondiale. Ma, a fronte di un’unica specie, l’uomo ha selezionato migliaia di cultivar adattate alle diverse aree geografiche. Ad oggi, le varietà di riso coltivate nel mondo sono migliaia e differiscono dal punto di vista nutrizionale nel contenuto di vitamine, amminoacidi essenziali… Caratteristiche alle quali contribuiscono anche i trattamenti subiti dopo la raccolta. Quale riso, quindi, si addice maggiormente alla dieta delle diverse popolazioni tenendo conto sia delle esigenze nutrizionali sia delle eventuali concomitanti condizioni patologiche (come ‘’diabete di tipo 2’’ e obesità)? Le diverse varietà sono inoltre adatte per cotture specifiche e differenti e questo è strettamente connesso alla struttura del se42

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Lungo, tondo, colorato. Purchè sia italiano… di Riccardo Lagorio

il made in italy

Arancini, risotti, minestre, timballi. Acquistate una scatola di riso ben sapendo quale sarà l’utilizzo finale, potendo scegliere tra le numerose varietà messe a punto nel nostro Paese attraverso incroci mirati, specie durante gli anni Venti e Trenta del secolo scorso. E grazie a quegli sforzi l’Italia è ancora oggi il Paese in Europa dove si produce una maggiore quantità di riso, riconducibile a circa 1 milione di tonnellate all'anno. Tra quelle più diffuse, il Balilla e l’Originario (dal chicco tondeggiante) servono per minestre e arancini; per timballi o riso in bianco sono preferibili il Sant’Andrea e il Roma, mentre per i risotti il Carnaroli, il Vialone nano e l’Arborio sono quelli più indicati in funzione di ciò che si vuole ottenere (risotto all’onda, paniscia o mantecati). Le aree a maggiore concentrazione sono nel Piemonte orientale (Vercelli, Biella, Alessandria e Novara), Pavia e Mantova in Lombardia, e Veneto (Verona e Rovigo, ma anche alcune zone del Vicentino). Senza dimenticare la Sibaritide in Calabria, il Ferrarese e un’ampia porzione del territorio bonificato durante gli anni del fascismo nell’attuale provincia di Oristano. Anche il riso può avere certificati d’origine tutelata dall’Europa, come accade per il vino. È il caso del riso di Baraggia Biellese e Vercellese Dop (la Baraggia è un particolare terreno che fu fondale marino, poi ghiacciaio e infine plasmato dal vento e dai fiumi. Qui le varietà a Dop sono Carnaroli, Baldo, Arborio e Sant’Andrea), del riso Vialone nano veronese Igp e del riso del Delta del Po Igp (dove si coltiva Volano, Carnaroli, Baldo e Arborio): 10 mila ettari in tutto sul totale di 219 mila coltivati a riso in Italia. Negli anni Novanta la capacità italica nel condurre gli incroci sul riso ha permesso di fissare le caratteristiche di risi dal colore nero (come il Venere e l'Artemide) e ramato (Ermes), anche profumati, consentendo di dare un tocco esotico e cromatico ai piatti preparati.

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la normativa

me-frutto di riso, alla componente zuccherina ma anche a quella proteica. Le cultivar di riso vengono classificate in 4 categorie: Indica, Japonica, Aromatica e Glutinosa. Questi gruppi non vengono considerati realmente equivalenti né da un punto di vista agricolo, né da un punto di vista alimentare; le diverse cultivar, anzi, hanno dinamiche commerciali differenti e non è anomalo osservare variazioni opposte nei prezzi sul mercato. Tra le principiali differenze, il contenuto in amilosio e amilopectina (polisaccaridi del glucosio): l’amilosio è digerito molto più lentamente dell’amilopectina, dunque più è alta la sua percentuale, più basso è l’indice glicemico (IG) del riso. Dal momento che è importante evitare picchi troppo elevati della glicemia dopo i pasti, bisogna fare molta attenzione alla grande variazione degli IG di varietà diverse di riso. L’IG, inoltre è influenzato dal tempo e dal tipo cottura (un riso cotto al dente presenta un indice glicemico

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Nella pagina precedente: tramonto su una risaia indonesiana. In questa immagine, dettaglio di una risaia con i chicchi da cogliere ancora ricoperti dal loro guscio ruvido e legnoso (lolla)

Le cultivar che si trovano in Italia appartengono principalmente alla sottospecie Japonica, dai semi grandi e tondeggianti, anche se, con la globalizzazione, anche nel nostro Paese si è cominciato a produrre risi dal seme allungato, tipico dei Paesi asiatici

Anche la legge vuole la sua parte di Riccardo Lagorio che Agricole e Forestali stabilisce di conNon solo la biologia e la genetica concerto con quello dell’Industria anche in tribuiscono a portarci in tavola il riso. In base alle evoluzioni scientifiche (come Italia vige infatti una legge che regge la la creazione di nuova varietà, per esemmateria dal 1958 e di cui si sta da tempo pio). Nella confezione sappiamo che c’è discutendo una possibile riforma. Essa riso Carnaroli o riso Roma, insomma. La fissa i criteri di riconoscibilità di ciò che nuova bozza di legge vorrebbe dividere acquistiamo distinguendo il riso in quatinvece il mercato in due: il riso identifitro categorie (comune, semifino, fino e cato da una delle denominazioni tradisuperfino) in base alla forma che ha il zionali (Arborio, Rochicco (tondeggiante, ma e Baldo, Carnaroli, schiacciata, ellittica o In materia di riso è Ribe, Vialone nano, affusolata). Ogni categoria è costituita da a tutt'oggi valida Sant’Andrea, Origivarietà che vanno speuna legge del '58, la nario, Padano e Rosa Marchetti) e il riso apcificate sulla confeziocui possibile riforma partentente a tutte le ne e che annualmente il Ministero delle Politiè al vaglio da TEMPO altre varietà classifica-

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to secondo la più spiccia nomenclatura di riso medio, lungo e tondo e che si potrà distinguere per la sua attitudine in cucina, senza conoscerne la varietà specifica (per risotti, per minestre e così via). In virtù della nuova legge, il riso sarà vendibile in purezza ma anche in miscela (ciò che la legge del 1958 oggi, a tutela del consumatore, vieta espressamente). Il legislatore potrebbe quindi permettere di denominare "Arborio" anche le varietà simili (ciò varrebbe anche per tutte le altre varietà tradizionali), imponendo solo che l’Arborio autentico sia accompagnato dall’aggettivo Classico. Magra consolazione. Il riso rischia di perdere la propria identità…


Dal cuore dell’Italia Tenute del Cerro offre al mondo una gamma di vini per permettere di scoprire ed assaporare la piÚ autentica gioia di vivere italiana

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Dalla lolla al negozio: ce lo spiega Riso Gallo di Francesco Condoluci Leggero, sano, digeribile. Ma soprattutto “sicuro”. Tra le tante virtù del riso, e di quello italiano in particolare, a spiccare, oltre all’accurata selezione delle varietà, è certamente la semplicità che sta alla base del suo ciclo produttivo. Oggi come cento anni fa. Dai tempi delle antiche pilerie agli stabilimenti moderni, è davvero cambiato poco. I processi di lavorazione sono rimasti intatti: pochi, trasparenti e senza aggiunte di sostanze pericolose. Per verificarlo, siamo andati in casa di Riso Gallo, a Robbio, in Lomellina, nel cuore della regione risiera italiana per eccellenza. Attorno al quartier generale dello storico marchio “col galletto” – la cui storia è iniziata ancora prima dell’Unità d’Italia – la vista si perde dietro agli ettari ed ettari di risaie. I risicoltori della zona sono legati alla Riso Gallo da un contratto annuale “di filiera” che blocca il prezzo e garantisce loro la vendita dell’intera produzione, mettendoli al sicuro dalla volatilità del mercato. A loro tocca preparare il terreno, sommergerlo d’acqua per la semina, diserbarlo a giugno e poi provvedere alla mietitura dopo l’estate. Una volta raccolti, i risoni (i chicchi allo stato grezzo coperti dal guscio ruvido e legnoso che viene chiamato lolla) vengono portati allo stabilimento dell’azienda di Robbio dove, una volta superato il rigoroso controllo di qualità, passano alla fase di lavorazione. E qui la sorpresa: niente catene di montaggio nè apparati ipertecnologici. Alla Riso Gallo, malgrado sia un player mondiale del settore (esporta in 77 Paesi del mondo, tra cui anche la Cina!) i macchinari per la lavorazione del riso bianco sono rimasti quelli di parecchi decenni fa. «Le innovazioni ser46

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Nasce ancora prima dell’Unità d’Italia lo storico marchio “col galletto”. E poco è cambiato nei decenni nei metodi di lavorazione e nei macchinari utilizzati dall'azienda di robbio. non ce n'era bisogno: il ciclo produttivo del riso è semplice e non richiede troppa tecnologia

vono a poco, questi macchinari sono perfettamente in grado di adempiere allo scopo», ci spiega Marco Devasini, il direttore marketing, «la pilatura avviene attraverso il tradizionale sistema a pietra, come un secolo fa, attraverso le sbiancatrici modello “Amburgo” del 1898. Questo processo consente un’abrasione del chicco più delicata per far sì che le caratteristiche organolettiche del riso rimangano inalterate conservandone il valore nutritivo, ma soprattutto quello gastronomico». Eliminate le impurità, si arriva alla sbramatura che separa il granello dalla lolla, per mezzo dello sbramino fatto da due rulli. E poi, in ultimo, ecco la sbiancatura, che raffina il chicco eliminando il pericarpo, la pellicina che lo ricopre. L’unica concessione alla tecnologia, la Gallo l’ha riservata all’installazione dei separatori ottici che permettono di esaminare il riso chicco per chicco scartando i grani che presentano


il ciclo produttivo

difetti di colorazione. Alla fine, il riso bianco rappresenta in media il 60% del risone raccolto in risaia. A questo punto ci pensa il settore confezionamento a preparare i pacchi per lo scaffale. «Come ha visto, Riso Gallo rappresenta la perfetta armonia tra l’antica tradizione del riso e la modernità – aggiunge Devasini – da sempre l’azienda si caratterizza per l’attenzione alla qualità, alla ricerca, alla sperimentazione». A Robbio, infatti, la Gallo ha messo su un Centro Ricerca e Sviluppo all’avanguardia che collabora con prestigiose Università e Istituti di Ricerca internazionali, un laboratorio di analisi sensoriale per lo svolgimento dei panel di degustazione affidati a gente del posto, e una cucina sperimentale riservata allo studio dei nuovi prodotti. È grazie a quest’apparato che l’azienda ha conquistato il 22% del mercato italiano. Ma attenzione: «Riso Gallo non fa solo prodotti da grande distribuzione», tengono a sottolineare da queste parti, «il nostro fiore all’occhiello è un Riso Carnaroli Gran Riserva, maturato 1 anno, che produciamo in quantità limitata e distribuiamo solo nelle gastronomie e nella ristorazione di altissima qualità. È il prodotto perfetto per un risotto d’autore ed è fatto di chicchi grandi e corposi, altamente selezionati e calibrati (solo un chicco su tre diventa Gran Riserva,NdR), grazie ad almeno un anno di maturazione, garantisce una maggiore resistenza in cottura e un maggiore assorbimento dei condimenti».

Le diverse cultivar di riso non vengono considerati realmente equivalenti né da un punto di vista agricolo, né da un punto di vista alimentare; hanno dinamiche commerciali differenti e non è anomalo osservare variazioni opposte nei prezzi sul mercato

più basso dello stesso riso cotto per tempi lunghi), oltre che dagli altri alimenti che sono presenti nel piatto di riso. Ci sono anche molti esperti che consigliano il consumo di riso integrale, perché più ricco di acidi grassi essenziali, ferro, calcio, fosforo e di vitamine, soprattutto "E", che rendono questo prodotto decisamente migliore, dal punto di vista nutrizionale, rispetto del riso brillato (cioè già ripulito e lavorato). Come anche il parboiled, ovvero il riso grezzo sottoposto a uno speciale processo di precottura che ne riduce la collosità e aumenta la resistenza alla cottura del seme favorendo la solubilizzazione delle vitamine e dei sali, aumentando il potere nutritivo del chicco. Diverse varietà di riso, infine, presentano chicchi neri e rossi dovuti alla presenza di composti antiossidanti – come il riso Venere, cultivar prodotta recentemente in Italia incrociando rare cultivar di riso nero cinese con delle varietà italiane – e possono dunque avere effetti salutistici nel controllo dello stress ossidativo.

Chicco, il futuro è… sostenibile In molte nazioni in via di sviluppo, il riso è considerato l’elemento chiave per garantire un’autosufficienza alimentare della popolazione. Per queste ragioni, negli ultimi anni, le variazioni sulla disponibilità e sul prezzo del riso hanno generato molte preoccupazioni. L’International Rice Research Institute ha ottobre 2014

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cibo dei popoli

I risi italiani? Ecco la “ricetta” giusta di Francesco Condoluci Semplificare, comunicare meglio, tutelare di più il prodotto. È questa, secondo l’Ente Nazionale Risi, la “ricetta” giusta per dare forza al riso italiano. Dal 1931, l’organismo interprofessionale con sedi a Milano e Vercelli, si occupa di promuovere la risicoltura Made in Italy, attraverso il sostegno tecnico agli agricoltori, le analisi commerciali per la filiera, le ricerche per migliorare le produzioni. A Roberto Magnaghi, direttore responsabile del centro ricerche dell’Ente Risi, abbiamo chiesto di fotografare lo stato dell’arte della filiera risicola italiana. «Dagli anni ’90 è in fase di crescita – ci ha risposto – è aumentata la superficie coltivata, è stata migliorata la resa per ettaro e quindi la redditività. Attualmente abbiamo 219 mila ettari di risaie, 150 tra riserie e pilerie e circa 4.100 risicoltori. Il punto di forza della nostra risicoltura è il suo panorama varietale, che con circa 100 varietà coltivate, è in grado di soddisfare le esigenze del consumatore in tutto e per tutto. Sul piano qualitativo, inoltre, la nostra produzione è tra le migliori del mondo. Quello che manca, invece, è un marchio unico che ci tuteli nel mondo, una comunicazione più efficace e una normativa più snella che aiuti il consumatore a scegliere bene sullo scaffale.

In effetti, sulla materia riso, in Italia, c’è un certo deficit di comunicazione… È vero. Diciamo che si paga dazio a certe subculture tipiche del nostro Paese che pensano al riso come a un prodotto “che fa solo bene” e niente più. E invece il riso italiano, rispetto ad altre varietà prodotte fuori, ha delle qualità straordinarie anche in termini di gusto. È l’unico, ad esempio, che si presta alla preparazione dei risotti, caposaldo della nostra cucina. Bisognerebbe diffondere di più e meglio la cultura del risotto nel mondo. La Francia e l’Inghilterra, su questo piano, sono mercati sensibili. Expo potrebbe essere la vetrina giusta. E poi occorre sfatare il mito della “cottura troppo lunga”, ma per fare questo si deve investire in comunicazione, partendo dall’educazione alimentare dei ragazzi nelle scuole. 48

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Roberto Magnaghi, direttore responsabile del centro ricerche dell’Ente Risi

L'ANALISI

Perché? Quali sono le criticità? La prima è legata alla concorrenza. Negli ultimi anni, in Europa arrivano quantitativi ingenti di riso lavorato dalla Cambogia, la quale in considerazione del suo status di Paese in via di sviluppo, gode di condizioni speciali riguardo alle esportazioni e non paga i 175 euro di dazio a tonnellate previsti. Questo ci penalizza in termini di export e di aumento dell’invenduto riverberandosi anche sull’occupazione. Stiamo chiedendo al Governo e all’Ue di intervenire con una clausola di salvataggio. Altro problema è quello delle classificazioni normative in Italia: ce ne sono troppe. Come Ente Risi, in rappresentanza dei risicoltori italiani, stiamo lavorando a una nuova norma per semplificare ed evitare confusioni ma dando comunque una garanzia di qualità.

più di una volta sottolineato che sarebbe necessario produrre globalmente circa 8-10 tonnellate di riso in più, per mantenere il costo per tonnellata intorno ai 300 dollari e garantire così a tutti un accesso sostenibile a questo alimento. Come tutte le colture moderne, annuali e intensive, anche il riso è soggetto all’attacco di patogeni di diversa origine (virale, batterica, fungina) che sono in grado di compromettere in modo preponderante le rese produttive arrivando a determinare perdite medie del 20-30% se non del 50%. Il riso del futuro deve quindi fortificarsi sia a livello genetico che colturale per poter implementare la resa per ettaro; in tale contesto una stretta collaborazione tra ricerca scientifica, centri di breeding e produttori rappresenta la chiave essenziale per nutrire il pianeta in modo più efficiente nel rispetto della sostenibilità.



cover story

cibo dei popoli

Quasi una filosofia di vita di Piero Caltrin

Per i cinesi la cucina è legata alla cultura, alla medicina, al modo di guardare lo scorrere del tempo. E il riso ne è protagonista: le differenze nel modo di cucinarlo e i cambiamenti accorsi durante i secoli raccontano l’evolversi del Paese. Di seguito alcune storie di villaggi, poeti e tradizioni

Di Men è un piccolo villaggio cinese situato alla sorgente del fiume Chengshu nella provincia del Guizhou. Qui il clima è prevalentemente piovoso e l'economia verte attorno alle piantagioni di riso. Quasi ogni famiglia ha un granaio dove conserva il riso coltivato, da cui trae fonte di sostentamento. I granai sono palafitte sull’acqua per prevenire incendi, assalti di topi o insetti e per mantenere in umido il riso. Qui troviamo i granai più antichi della Cina e il riso è un culto, un dono, un simbolo di prosperità. Dopo un mese dalla nascita di un bambino, per esempio, la famiglia del marito porta in dono a quella della moglie ceste di riso su cui si ripongono delle uova come simbolo di nuova vita e del completamento del nucleo familiare. Ma questa è solo una delle storie che vedono il riso protagonista in Cina. Nonostante la sua enorme estensione territoriale e quindi la grande varietà della sua cucina, il riso mantiene infatti il primato nei consumi: il 65% dei cinesi mangia riso come principale carboidrato. E ogni regione lo interpreta a suo modo.

La ricetta della felicità La Cina è anche il più antico paese al mondo in cui è stato coltivato il riso su terreni paludosi (dal VI millennio a.C., come testimoniato 50

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da diversi siti del neolitico nella Cina Orientale). Settemila anni fa si è iniziato a piantare il riso anche sulle rive del fiume Changjiang. Oggi si possono ammirare le risaie a terrazza che sono il più alto connubio fra natura e lavoro dell’uomo. Intere colline tutte terrazzate da campi di riso, bellissime da ammirare dopo le grandi piogge perché riflettono spettacolari giochi di luci. Le più note sono quelle di Longsheng nel Guangxi e quelle di Jiabang nel Guizhou.A seconda del clima delle regioni cambia poi il tipo di riso, i suoi profumi e il suo utilizzo. Questa materia prima così varia subisce inoltre infinite trasformazioni, e gli spaghetti di riso ne sono un esempio evidente. Nella provincia del Guizhou per esempio uno dei piatti base della dieta è proprio la zuppa piccante di spaghetti di riso, che viene consumata a colazione, pranzo e cena. La procedura di lavorazione del riso è lunga e complicata: i chicchi vengono messi a bagno crudi e si lasciano ammorbidire, poi si pressano finché non diventano una pasta morbida ma gelatinosa. Questa pasta si stende su delle basi di alluminio e si cuoce a vapore. Dopo la cottura si ottengono dei fogli di pasta di riso che si avvolgono e si mettono a riposo nei granai, quindi si tagliano, ottenendo così gli spaghetti di riso.Anche nel Guangdong il riso si mangia sotto forma di spaghetti, ma molto differenti da quelli del Guizhou. Nati 150 anni fa, sono rinomati in tutto il paese per essere sottilissimi, trasparenti e morbidi. Ma la Cina conserva ancora oggi un’infinità di tradizioni culinarie che si sono diffuse e sviluppate. Il cibo qui, infatti, non è solo nutrimento per il corpo, ma ha un significato molto più profondo: un pasto ben curato può portare felicità, armonia, benessere fisico e soprattutto mentale. Così Marco Polo celebrava la cucina cinese: “Nessun’altra cucina al mondo ci regala, praticamente dal nulla, così tanta felicità”. Per saperne di più:

Ufficio Nazionale del Turismo Cinese Via Nazionale, 75 – Roma Tel. 06.4828888 www.turismocinese.it www.facebook.com/turismocinese www.instagram.com/turismocinese

In apertura: risaie a terrazza a Longsheng, Guangxi. Sotto, damigelle d'onore durante un matrimonio tradizionale nel Guizhou. Qui lo zongzi: riso in foglie di bambù, bollito o al vapore

Tempi moderni Un millennio di anni fa la coltivazione agricola in Cina si divideva in riso a sud e grano al nord, questo ha generato abitudini alimentari e tradizioni molto differenti. Il passaggio dalla società contadina a quella industriale però ha modificato le abitudini alimentari dell’intero paese. Un esempio tipico è quello di zongzi e niangao, due specialità oggi diffuse in tutta la Cina. Lo zongzi si compone di pasta di riso glutinoso riempita con una farcitura e poi avvolta in foglie di bambù, il tutto viene bollito o cotto al vapore. Nasce come piatto tipico della Festa delle barche drago come commemorazione della morte del poeta Qu Yuan ma oggi sono diffusi anche come alimento quotidiano. Il niangao è invece la torta del Capodanno cinese, un dolce preparato con riso glutinoso. Ha le su più antiche Quando lo stato di Qin origine a Ningbo città della provincia conquistò lo stato di Chu, del Zhejiang. La sua preparazione è per il dolore il poeta molto lunga. Il riso viene messo a bagno Qu Yuan si suicidò fino a farne una pasta che verrà battuta nel fiume Miluo. al punto da diventare molto densa. La popolazione lanciò Questa pasta viene poi cotta a vapore. quindi nell'acqua Veniva portato nei campi dai contadini pacchetti di riso come pranzo, oppure cucinato con per evitare che i pesci carne o verdure. Oggi non solo è la divorassero il suo corpo. torta tipica del Capodanno cinese ma Da qui nasce la tradizione è anche un cibo diffuso in tutto il paese durante tutto l’anno. degli zongzi

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fatti e contraffatti

di

Claudio Modesti

lattia da denutrizione. Quelli che vanno evitati invece sono i risi della sottospecie japonica (come i nostri Baldo, Vialone nano, Arborio, Carnaroli) sottoposti a trattamento parboiling, perché perdono molte caratteristiche organolettiche e non sono più adatti ai risotti.

Non è tutto riso quel che cuoce... Ci sono preparazioni precotte, essiccate, surgelate e aromatizzate che, con tutte queste elaborazioni, alla fine nulla conservano delle preziose caratteristiche dell’oryza. Eppure sullo scaffale costano un occhio della testa! Per cui attenti all’etichetta… e ai dettagli 52

agosto-settembre ottobre 2014 2014

Dal genere oryza (nome scientifico del riso) si differenziano due specie: l’oryza sativa e l’oryza glaberrima, con quest’ultima che equivale al famoso riso rosso del Niger, celebre nel mondo per le sue proprietà ipocolesterolemizzanti. L’oryza sativa dà origine invece alle 150 mila varietà coltivate nel mondo e distribuite tra le sottospecie japonica e indica. Nonostante questa rilevante biodiversità, alcune multinazionali hanno creato, a fini profittevoli, risi geneticamente modificati e attualmente proibiti sul mercato europeo. Risotti farlocchi… Diverso è il discorso legato al commercio di riso parboiled (partially boiled, parzialmente bollito) ritenuto, a torto, come frutto di processi industriali. Il procedimento parboiling, in realtà, è una tecnica indiana risalente a 2000 anni fa: il riso non mondato viene cotto parzialmente a vapore o bollito e poi essiccato prima della pilatura. Con questo metodo la vitamina B passa dalla crusca al chicco, e tale caratteristica, negli anni, ha contribuito a salvare milioni di persone dal beri-beri, una ma-

…e profumati (ma solo nel prezzo) Sul nostro mercato sono presenti, inoltre, molte preparazioni precotte, essiccate e surgelate le quali, pur inattaccabili sul piano legale, suscitano perplessità per i loro prezzi al consumo. Nei risotti in busta, ad esempio, vengono utilizzati risi parboiled parzialmente cotti e disidratati. Prendiamo il risotto ai funghi porcini messo in commercio da alcune aziende: in media vengono utilizzati 25 gr di funghi porcini per 1 kg di riso insieme a maltodestrine (carboidrati complessi e idrosolubili), estratto di lievito e aromi. L’esigua quantità di porcini utilizzati lascia supporre che il sapore sia determinato da un uso sapiente di aromi non naturali e dall’estratto di lievito che mima le funzioni del glutammato monosodico. Il costo al kg del risotto in esame, è di circa 11 euro, mentre un kg di un buon riso parboiled ne costa mediamente 2,70: ne consegue che pochi centesimi di aromi e funghi porcini vengono fatti pagare a carissimo prezzo! Se analizziamo poi un kg di risotto alla milanese surgelato le cose cambiano poco: il prezzo della busta con dentro riso cotto a vapore, aromi, conservanti, il solito estratto di lievito e (una vaga idea di) zafferano, è di 10 euro. E vogliamo parlare del riso carnaroli al tartufo? Un kg di tale prodotto contiene 10 gr di tartufo essiccato e aromi. Posto che 1 kg di tartufo estivo fresco può essere acquistato mediamente a 70 euro e che l’aroma di tartufo (il famigerato bismetiltiometano) ha invece un costo irrisorio, nulla giustifica il prezzo sullo scaffale di quasi 17 euro! L’aroma di sintesi chimica, inoltre, caratterizza il riso in maniera pressoché esclusiva dato che il tartufo essiccato ha perso/ modificato il suo profumo. Ai consumatori, dunque, diciamo: piuttosto che soggiacere a queste beffe legalizzate perché non optate per un bel risotto con burro da centrifuga e parmigiano? Etichetta di risotto precotto alla milanese. Da notare la percentuale irrisoria di zafferano nella preparazione


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la storia in cucina

A.A.A. mondine cercasi Pare non se ne trovino proprio più di donne disposte a lavorare tutto il giorno con la schiena curva e i piedi a mollo nell’acqua per liberare le piantine di riso dalle erbacce. E capirne le ragioni non è difficile! Celebrato dal capolavoro neorealista Riso amaro, non si tratta però solo di un mestiere ormai desueto: è soprattutto una pagina fondamentale della storia italiana

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di Maria Grazia Tornisiello

“Se otto ore vi sembran poche provate voi a lavorare e sentirete la differenza di lavorar e di comandar…”. Così cantavano le mondine nei primi anni del ‘900 per rivendicare le “otto ore” come massimo orario di lavoro giornaliero. Una grande vittoria ottenuta nel 1906 quando il deputato socialista Modesto Cugnolio riuscì a far approvare in Parlamento una clausola che in seguito sarebbe stata estesa a tutti i tipi di contratti agricoli e che prevedeva proprio la riduzione a 8 ore della giornata di lavoro nelle campagne. Quello della monda (pulizia), era un lavoro molto diffuso nell’Italia settentrionale tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo e a farlo erano soprattutto donne di bassa estrazione sociale che, pur di guadagnare qualche soldo, lasciavano le proprie famiglie per andare a lavorare nelle risaie. Famosa quella di Molinella in provincia di Bologna luogo simbolo delle prime lotte delle mondine e del movimento operaio dove, cantando all’unisono “Saluteremo il signor padrone per il male che ci ha fatto che ci ha sempre maltrattato fino all’ultimo momen’…”, più di 6 mila mondine chiesero e ottennero migliori condizioni lavorative. Persino il famoso regista neorealista, Giuseppe De Santis, mentre si trovava di passaggio alla stazione di Torino, rimase talmente affascinato dal canto di un gruppo di mondine di ritorno dalla risaia, che ebbe l’idea di farci un film. Fu così che nel 1949 nacque il capolavoro Riso Amaro con l’indimenticabile Silvana Mangano nel tragico ruolo della giovane e bella mondina Silvana Meliga. Ma forse non tutti sanno che le riprese del film si svolsero nelle campagne vercellesi, in particolare nella Tenuta Selve a Salasco e nella Cascina Veneria a Lignana. Quest’ultima, che appartiene oggi alla famiglia Bertoldo di Novara, è la più grande azienda risicola monocorpo d’Europa. In pratica l’intero processo produttivo, dalla raccolta alla lavorazione, dal confezionamento del prodotto finito alla vendita, viene realizzato interamente sul posto. Le moderne tecniche agricole avranno certamente contribuito a rendere il lavoro nei campi meno duro, ma nelle risaie la fatica si fa ancora sentire, a tal punto che è sempre più difficile trovare donne che abbiano voglia di stare tutto il giorno con la schiena curva e i piedi a mollo nell’acqua per liberare le piantine di riso dalle erbacce infestanti. Non ha prodotto alcun risultato nemmeno l’annuncio pubblicato dall’Ente Nazionale Risi per la ricerca di mondine presso il proprio Centro di Ricerche in provincia di Pavia. Che dire? A.A.A. mondine cercasi.


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Cibo&Territorio Cibo&Territorio

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58 Novara e il Vercellese

74 Zafferani d'Italia

Noti fin dall'antichità, quando toccano il riso lo trasformano in oro: conosciamoli meglio

Terre come scacchiere d'acqua, risoni di prima grandezza e tradizioni contadine

64 Il riso Vialone Nano

È nel Basso Veronese che il gigante del risotto trova la sua massima espressione

68 Risaie calabresi

82 Vino & Risotti

da pag. 78 Rubriche

• Il buono a tavola • L'orto dei semplici • Perle d'Italia

Come il nettare di Bacco si abbina a ricette dai gusti originali e decisi: la parola agli chef

86 Wine Tour: Georgia e S. Marino

Tra la Piana di Sibari e l'area di Lamezia Terme

Alla scoperta di due territori lontani ma uniti da

alla scoperta del riso portato qui dagli arabi

ideali comuni e da voglia di libertà e di vino

72 Derivati risicoli Dalle farine ai prodotti per le intolleranze, dalla birra alla cosmesi: versatilità assoluta ottobre 2014

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cibo&territorio

Il mare dove si specchiano le Alpi di Silvana Delfuoco

Una rete di strade che si intrecciano solcando terre d’acqua, dove storia, cultura contadina e buona tavola son come chicchi di un piatto ricco di gusto. Siamo in Piemonte dove, tra le province di Novara e Vercelli, arriviamo a toccare il cuore di una tradizione che non scuoce

Le chiamano “terre d’acqua”, o anche “mare a quadretti”, per il rigoroso reticolato che disegnano su territori un tempo paludosi così rinati a nuova vita. Sono le risaie, paesaggio tipico delle pianure del Vercellese e del Novarese, specchi regolari che si rincorrono in lontananza fino a perdersi all’orizzonte. Nate nel corso del XV secolo grazie al duro lavoro dei monaci cistercensi, nei tempi moderni si occupò invece di loro il laicissimo conte di Cavour, nelle vesti di brillante riformatore agrario. Si deve a lui infatti se ancora oggi nella pianura vercellese continuano a vivere le risaie più rappresentative d’Italia, e certo anche d’Europa. Come dire: felice connubio tra il sacro e il profano. Succede, in Italia. 58

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I nostri chicchi È l’Originario, conosciuto anche col nome di Balilla, la più antica varietà di riso coltivata in Italia, presente anche nelle risaie del Vercellese insieme con le altre varietà a granello tondo per circa un 20% della semina. Ma il grosso della produzione della zona si divide tra il tipo Indica, dai granelli lunghi e affusolati, ottimo per insalate e contorni, e quelli a granello fino e superfino, come Carnaroli, Arborio, Roma, Baldo o Sant’Andrea, i più utilizzati per i risotti o per la preparazione del riso parboiled. E qui è situata anche l’unica Dop italiana: il riso di Baraggia e Vercellese. Una qualità che deve il suo pregio anche all’unicità del suo


territorio, come ci spiega il presidente dell’Ente Nazionale Risi, Paolo Carrà: «La Baraggia si trova ai piedi della collina morenica della Serra d’Ivrea e delle colline biellesi e valsesiane, dove il clima, influenzato dalla vicinanza con la catena del Monte Rosa, ha temperature inferiori a quelle della pianura vercellese. Una condizione ottimale, che garantisce ai granelli maggiore consistenza e minore collosità dopo la cottura». E il futuro potrebbe riservare altre sorprese. L’Ente nazionale Risi possiede infatti una singolare Banca del Germoplasma dove si conservano tutte le varietà coltivate in Italia dalla metà dell’Ottocento a oggi. «È nostra intenzione – continua il presidente Carrà – far riscoprire al consumatore che ricerca il prodotto della tra-

dizione alcune varietà che hanno fatto la storia della risicoltura italiana. Al momento, tra le procedure di valutazione in corso presso la Regione Piemonte, si è concluso l’iter di registrazione per l’antica varietà Maratelli, curato dall’azienda agricola Cascina Canta di Gionzana, alle porte di Novara, che ne ha conservato il seme».

Campanile che si specchia nelle risaie: un suggestivo panorama nel Novarese

La coltivazione del riso in Italia ha raggiunto nel 2013 circa 219 mila ettari, di cui 114 mila in Piemonte, divisi tra la provincia di Vercelli, che copre oltre il 60% della superficie, e quelle di Novara, Alessandria e Biella ottobre 2014

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cibo&territorio

«Ci è piaciuta subito questa cascina, quando siamo arrivati qua negli anni ’60 – ci racconta Eusebio Francese, dall’alto dei suoi 87 anni memoria storica della Cascina Canta – L’abbiamo rimessa in sesto e abbiamo iniziato con la monocoltura del Maratelli, che avevamo portato dal Vercellese e di cui eravamo rimasti gli unici depositari. E ora, finalmente, la soddisfazione del decreto che ci riconosce come i soli titolati alla conservazione del marchio!». Una vita che sa di romanzo, la sua, che è un piacere stare ad ascoltare tra le mura di quella che, da queste parti, è nota come la “cascina dei misteri”: pare infatti vi si riunissero fate e spiriti, e l’avesse eletta a rifugio segreto il Biondin, bandito-gentiluomo vissuto agli inizi del ’900.

Dove il riso abbonda Cascina Canta è certamente il posto giusto per iniziare un tour alla scoperta delle risaie novaresi. Tante le sorprese dietro l’angolo, come l’antico borgo di Castelbertrame nei pressi di Biandrate. Un tempo punto strategico della Via Francigena controllato dall’Ordine Templare, oggi ha scelto di ricordare la sua storia nel Museo etnografico dell’attrezzo agricolo, in un suggestivo alle60

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Archivio Provincia di Vercelli

La leggenda del Maratelli

C’erano una volta le mondine… È ormai tramontata l’epoca eroica delle mondine: la diffusione della meccanizzazione a partire dagli anni ’50 del ’900 ha permesso un radicale mutamento nei criteri di sistemazione delle risaie con una migliore razionalizzazione del territorio. Così la coltivazione del riso in Italia ha raggiunto nel 2013 circa 219 mila ettari, di cui 114 mila in Piemonte, divisi tra la provincia di Vercelli, che copre oltre il 60% della superficie, e quelle di Novara, Alessandria e Biella. Tutte impegnate a preservare la produzione delle tipiche varietà italiane.

stimento che rievoca il lavoro al ritmo delle stagioni. Poco lontano si trova la Riserva Naturale della palude di Castelbetrame, facilmente accessibile a piedi o in bicicletta. Nella Palude, che dal 1986 fa parte della Riserva Naturale delle Lame del Sesia, oltre a un’ampia superficie a risaie ci sono spazi erbosi e alberi ad alto fusto, paradiso per gli amanti del birdwatching. In dirittura d’arrivo invece la Strada del Riso Vercellese di Qualità, che da pochi mesi ha ottenuto il riconoscimento ufficiale della Regione Piemonte. «Siamo nati a seguito del progetto EU-rice che raggruppa anche Spagna, Portogallo, Grecia e Bulgaria, le principali aree risicole europee, di cui Vercelli è capofila – spiega il direttore dell’Associazione promo-


In vacanza nelle Terre d'acqua? di Marco Reis

Il fiume Po attraversa una zona coltivata a risaie. In alto, un dettaglio

In dirittura d’arrivo la Strada del Riso Vercellese di Qualità, che da pochi mesi ha ottenuto il riconoscimento ufficiale della Regione Piemonte. Le danze si sono aperte a fine settembre con una serie di attività sul territorio che proseguiranno per tutto il 2015

Si può fare. Anzi, nel Vercellese è un piccolo boom. E l'Associazione delle Città del riso apre la strada: decine di gruppi e alcune migliaia di turisti "individuali" è il bilancio dell’ultimo anno, che vede un incremento del 15-20% in questo 2014. «Di sicuro non invitiamo nessuno a fare lunghe permanenze in piena estate – sorridono all’Associazione – quando diventiamo… la terra delle zanzare! Ma da settembre a giugno, dal taglio del riso all’allagamento delle risaie che crea "il mare a quadretti" su 100 mila ettari di campagna, italiani e stranieri restano folgorati dalla sorpresa, sia gastronomica che paesaggistica e culturale». La prima leva è naturalmente la cucina tipica di risaia, a cominciare dal risotto. E il Vercellese custodisce la regina dei risotti: la panissa, magico incontro tra il riso e la civiltà del maiale. Era il piatto unico delle mondine, diventato poi la bandiera di una cucina di territorio unica nel suo genere. Insieme ai salumi (il favoloso salame ‘dla duja), alle rane, ai grandi piatti piemontesi. Poi, la città: Vercelli, 2500 anni di storia, monumenti di rara bellezza. Un viaggio nella Terra d’acqua può cominciare da qui, per scoprire poi una campagna unica: quella che era la più grande foresta planiziale del nord Italia ed è ora una tavola da biliardo, livellata al laser da trattori guidati via satellite (per lavorare risaie lunghe anche centinaia di metri e andare perfettamente dritti i navigatori satellitari sono l’unico sistema!), irrigata da 9 mila chilometri di canali che diramano da un grande fiume artificiale che va dalla parte sbagliata: è il Canale Cavour, milioni di metri cubi d’acqua indirizzati a nord-ovest (mentre i fiumi scendono a sud) grazie all’intuizione di un agrimensore semi-sconosciuto che valutò i giusti, minimi avallamenti della pianura. Da dove cominciare? A scelta. Da una visita alla "cabina di regia" delle acque, in città, al Consorzio dell’Ovest Sesia, accompagnata da quattro passi nel centro storico. O da una buona panissa in uno delle decine di ristoranti tipici. Poi la scoperta della campagna, magari in un agriturismo che mostri le sorprendenti tecniche di lavorazione del riso, o all’ecomuseo vivente di Fontanetto Po, o nei tanti piccoli sorprendenti angoli che i viaggiatori spaventati dall'uniformità del paesaggio non riescono a vedere… C’è persino un sorriso di accoglienza per i camperisti, con 14 aree-sosta. Il "Paesaggio dell’uomo", insomma, riserva grandi sorprese... e non solo a tavola.

Per saperne di più:

www.cucinavercellese.it www.risotour.it www.cittadelriso.it. www.camperinrisaia.it

trice Giovanni Gabriele Varalda – Abbiamo iniziato proprio in queste settimane con una serie di attività sul territorio che proseguiranno per tutto il 2015». Costituito da due aree risicole tra loro diverse – la storica zona delle Grange a sud, dove la risicoltura ha avuto inizio, e la Baraggia piemontese a nord, sotto il massiccio del Monte Rosa – il Vercellese è una terra di paesaggi dal suggestivo contrasto. «Attraverso queste due aree stiamo mettendo a punto una serie di itinerari – continua Varalda – tenendo conto anche del fatto che nelle due zone la risicoltura ha una tradizione differente». La Baraggia infatti, dove il clima è certamente più freddo, è terra di borghi fortificati e di castelli, che ha in Buronzo l’esempio più significativo con il suo ricetto arroccato, ricco di misteriose leggende che parlano di antiche tombe e tesori maledetti. Pochi km di distanza separano, o per meglio dire uniscono, la Baraggia vercellese a quella biellese, dove si trova un altro celebre ricetto, quello di Candelo, con il suo borgo medievale perfettamente conservato.

Un viaggio nel tempo Suggestioni completamente diverse sono invece quelle che sorprendono il visitatore lungo la Strada delle Grange, attraverso una vasta pianura irrigua unica al mondo. È il paesaggio di Riso amaro, il cui ricordo è ancora tangibile tra le mura di Cascina Veneria a Lignana, dove il film fu girato. Se però volete vivere davvero una full immersion negli anni ’50 cercate il Museo della risaia di Tenuta Colombara a Livorno Ferraris. Qui, grazie a un minuzioso lavoro di recupero, sono stati ripristinati gli antichi locali della cascina, dai laboratori al dormitorio delle mondine, con tutta la loro attrezzatura originale. Oppure spingetevi fino all’Antica riseria Mulino di San Giovanni a Fontaneto Po, dove una turbina centenaria mette in moto tutto il complesso degli antichi macchinari, ancora perfettamente efficienti. Così vive e preziose queste testimonianze di ottobre 2014

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cibo&territorio

Scelti per voi dove mangiare

Archivio Provincia di Vercelli

Cinzia – Da Christian e Manuel Regno di due giovani talenti della ristorazione, del riso e non solo. Prezzo medio senza vino: 95 euro Corso Magenta, 71 - Vercelli Tel. 0161.253585 www.hotel-cinzia.com

In questa pagina due momenti della lavorazione del riso, qui la separazione dei chicchi e sotto la trebbiatura

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un’epoca appena trascorsa e già irrimediabilmente lontana che quasi dispiace doverle tristemente classificare come “archeologia industriale”. Per finire non può mancare una visita al luogo da dove tutto ha avuto inizio, l’Abbazia di Santa Maria di Lucedio nei pressi di Trino. Dell’antico monastero cistercense non sono rimaste che alcune strutture architettoniche, tra cui l’originale campanile a pianta ottagonale, ma l’atmosfera è ancora quella di un medioevo leggendario: cripte segrete, fiumi sotterranei e anche un misterioso spartito del diavolo capace di evocare inquietanti presenze...

Alla Torre Stagionalità, territorio e qualche novità. Prezzo medio: 42 euro Via 1° maggio Romagnano Sesia (No) Tel. 0163.826411 www.ristoranteallatorre.it

dove dormire

Archivio Provincia di Vercelli

Da settembre a giugno, dal taglio del riso all’allagamento delle risaie che crea "il mare a quadretti" su 100 mila ettari di campagna, italiani e stranieri restano folgorati dalla sorpresa paesaggistica e gastronomica

Balin Un antico cascinale in mezzo alle risaie, dove Balin cucina la “mia panissa”. Prezzo medio: 52 euro Frazione Castell’apertole, 6 Livorno Ferraris (Vc) Tel. 0161.47121 www.balinrist.it

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"Nano" in risaia gigante in cucina di Riccardo Lagorio

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È tra le varietà più longeve della storia risicola italiana. Ha chicchi tondeggianti e minuti. Lo si coltiva dal Pavese al Mantovano, dal Polesine al Vicentino. Ma è nel Basso Veronese che trova il suo regno... e nel risotto alla pilota la sua massima espressione L’attribuzione di nomi varietali al riso è pratica abbastanza recente, se si pensa che le prime selezioni colturali hanno inizio nell’Ottocento (ovvero 350 anni dopo l’introduzione della diffusione massiccia del cereale in Italia), con l’obiettivo di ridurre i danni provocati dalla propagazione del brusone, un fungo che mina le condizioni vitali della pianta. Ma è nel marzo 1935 che il professor Romeo Piacco pubblica su Il Giornale di Risicoltura un saggio dedicato al riso Nano dal titolo L’origine del Nano e il suo impiego nella ibridazione.

Andiamo alle origini Era il periodo in cui l’adozione di politiche autarchiche faceva sbocciare numerose invenzioni italiche nel mondo agricolo (e non solo). Tra le circa 200 varietà di riso messe a coltura in Italia, il Vialone nano rappresenta di fatto una di queste scoperte, ottenuta nel 1937 tramite un incrocio delle varietà Nano e Vialone presso la Stazione Sperimentale di risicoltura di Vercelli, dove il Piacco lavorava. La varietà Vialone era stata selezionata una trentina d’anni prima da Ettore De Vecchi, risicoltore

Pila e puntel Il Vialone Nano è ideale per risotti e minestre, ma il suo utilizzo è imprescindibile per la preparazione del risotto alla pilota. Il nome rimanda ai pilarini o piloti, ossia i conduttori della pila, luogo dove si raffina il riso. Il riso alla pilota è uno dei piatti forti della cucina mantovana, che si basa sulla particolarità della cottura, dalla giusta proporzione tra riso e acqua, e sulla presenza della salamella sbriciolata. La sua variante più diffusa è il risotto col puntel, ovvero il risotto servito con l’aggiunta di braciole di maiale.

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compagne di strada Una leonessa nel Basso Veronese

Un bello scorcio di Isola della Scala, in provincia di Verona. Qui si concentrano numerose delle 70 aziende agricole appartenenti al Consorzio di tutela del Vialone nano veronese

di Sant’Alessio con Vialone, nel Pavese, ed era caratterizzata da dimensioni notevoli (le piante raggiungevano i 135 cm e male resistevano all’allettamento) che semplificavano la trebbiatura manuale e da una notevole resistenza alle malattie. Il Nano possedeva dimensioni più ridotte (arrivava a 60 cm di altezza) e dall’incrocio nasceva una varietà di riso semifino, ma soprattutto adatto ai nuovi processi di trebbiatura meccanica. Solo un altro grande riso italiano, il Balilla, può vantare una storia più longeva. Sin dalle prime campagne di raccolta si intuivano le grandi potenzialità del Vialone Nano: resistenza alle malattie, chicchi più grossi di quelli all’epoca in commercio e buona tenuta alla cottura. Si diffuse perciò con facilità nelle risaie di Pavia e poi nel Mantovano, nel Polesine e nel Veronese, zone dove non veniva applicata la tecnica del trapianto e che risultavano ricche di fontanili, sino alla parte meridionale del Vicentino. Benché il consumo fosse dapprima prevalentemente 66

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locale, le buone caratteristiche organolettiche come il mantenimento dell’integrità del chicco e l’adattabilità a ingredienti diversi, nonché la resistenza alla cottura fecero spiccare il volo alla commercializzazione del Vialone nano su scala nazionale a partire dagli anni Sessanta. «In poche stagioni il Vialone Nano sostituì il Bertone, il Francone, l’Ostigliese anche nel Basso Mantovano – ricorda Alberto Chiodarelli che coltiva 20 ettari nelle valli di Ostiglia (Mn) – A Ostiglia per decenni abbiamo continuato a cercare nel riso venduto dalle botteghe quelle caratteristiche dell’Ostigliese, coltivato un tempo nelle nostre campagne, che presentava striature rossastre, ma il Vialone nano oggi è assai apprezzato per tutte le preparazioni gastronomiche della tradizione, in particolare il risotto alla pilota».

Il tesoro del Basso Veronese Ma dove il Vialone nano ha raggiunto notorietà suffragata dalla tutela europea è il Bas-

Sguardo accattivante: è ciò che colpisce prima di ogni altra cosa nel profilo della Nuova Seat Leon, figlia del nuovo pianale Volkswagen che è protagonista anche in Audi A3 e in Volkswagen Golf. Lo sguardo accattivante si traduce in luci diurne led, che si estendono anche agli anabbaglianti e agli abbaglianti. Tondeggiante il bagagliaio, che mostra una buona capacità di carico ed è arricchito da alcuni interessanti particolari come le reticelle e i ganci dove appendere piccoli oggetti. L’abbiamo trovata così: ricca di personalizzazioni la Nuova Seat Leon, compreso l’assistente di corsia. Molto interessante ad esempio il display Lcd a colori posto nel cruscotto dinnanzi agli occhi del guidatore, che può scorrere numerosissime informazioni tramite i pulsanti sul volante. La guida è agevole sui percorsi tortuosi, mentre lungo i rettilinei ci ha colpito la capacità di accelerazione: 10,7 secondi da zero a cento. Il prezzo della versione base è di 17 mila euro, qualcosa di più per la versione completa di personalizzazioni come quella che abbiamo provato lungo le strade del Basso Veronese.


so Veronese. Lì nacque nel 1973 il Consorzio di tutela, che aveva come caposaldo la pratica dell’avvicendamento delle colture in risaia controllando le fasi di coltivazione, conservazione e lavorazione del cereale. Ma soprattutto intraprese una massiccia campagna promozionale promuovendo tra consumatori e professionisti l’uso del Vialone nano veronese esaltandone le caratteristiche positive, tanto che, in occasione dei pranzi ufficiali per i capi di Stato durante il G8 de L’Aquila del 2009, venne utilizzato il Riso Vialone Nano Veronese Igp. Il marchio europeo arrivò in verità nel 1996 coinvolgendo un’areale di 24 Comuni con al centro Isola della Scala, dove si concentra la presenza di numerose delle 70 aziende agricole appartenenti al Consorzio mentre le riserie sono una decina, di piccole e medie dimensioni e applicano lavorazioni artigianali nelle operazioni di sbramatura, sbiancatura, spazzolatura e lucidatura del riso. Il ciclo di produzione del riso Vialone nano veronese Igp copre buona parte dell’anno: la preparazione dei terreni avviene in primavera con il livellamento, la semina e l’allagamento della risaia, uniforme per tutta la superficie. La germinazione avviene in immersione a cui segue un periodo di asciutta per l’ancoramento dell’apparato radicale al terreno. Vengono effettuate successive inondazioni e conseguenti asciugamenti del terreno, a seconda delle necessità delle piante, sino a fine settembre, quando si procede alla raccolta del riso con mietitrebbia. Il riso grezzo (risone) si essicca e infine viene lavorato per ottenere i chicchi che ritroviamo nelle confezioni pronte per essere vendute con l’indicazione ben evidente della dicitura riso Vialone nano veronese a Indicazione Geografica Protetta (Igp). Nella fattispecie hanno forma tondeggiante e lunghezza tra i 5 e 6 mm mentre la cottura (per insalate di riso, risotti, timballi e minestroni) tiene per anche 15 minuti: ottimo in cucina come numerosi professionisti testimoniano.

Un'antica pila, luogo dove si raffina il riso. Da qui il nome risotto alla pilota

Dove il Vialone nano ha raggiunto il massimo della sua notorietà è il Basso Veronese. Lì nacque nel 1973 il Consorzio di tutela, che intraprese una massiccia campagna promozionale di grande successo, tanto che lo portò anche sulle tavole del G8 nel 2009. Il marchio europeo arrivò infine nel 1996

Scelti per voi dove mangiare

dove dormire

Ristorante L’Artigliere Un navigato chef di origini bresciane interpreta con creatività e buon gusto la tradizione, apportando personali, talentuose, soluzioni. Anche elegante locanda. Si mangia con 50 euro Via Boschi, 5 Isola della Scala (Vr) Tel. 0456630710

B&b Le Tortore Nel contesto di un riposante parco, il silenzio è interrotto solo dai rilassanti rintocchi del campanile. Aree comuni curate tanto quanto le spaziose camere. Doppia da euro 50 euro Via Giuseppe Sani, 27 Melara (Ro) Tel. 3402703135

Agriturismo Le Clementine La bella struttura in stile Liberty è ideale per chi desidera piatti popolani e ricchi di gusto. Salumi di casa e arrosti di carne di bassa corte tra le portate più interessanti. Anche camere. Si mangia con 28 euro Via Colombano, 1239 Badia Polesine (Ro) Tel. 0425597029

Hotel Leon Bianco Ristrutturato di recente, offre camere spaziose e dotate di ogni confort. Gradevole la vista da quelle che danno sul Canal Bianco. Doppia da euro 80 euro Piazza Cavour, 9 Adria (Ro) Tel. 042641399

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Chicchi a Mezzogiorno

di Gianfranco Manfredi

Nella Sibaritide, in Calabria, alla scoperta delle risaie piÚ meridionali d’Italia. Non solo liquirizia, agrumi e olio quindi, ma anche una produzione inattesa che vanta persino un importante ruolo nella difesa dell’ecosistema locale

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Foto di Stefano Contin

Nel Sud che non ti aspetti c’è anche il riso – e di qualità eccezionale – rigorosamente “made in Calabria”. Nella regione c’è una tradizione importante di riso e risaie. Comincia mille anni fa con l’arrivo degli arabi, poi ha ulteriori impulsi e uno sviluppo abbastanza fiorente tra la fine dell’800 e la prima metà del secolo scorso. Oggi il più noto riso calabrese è quello della Piana di Sibari, dove centinaia di ettari di risaie producono, senza anticrittogamici, straordinarie varietà di Arborio, Gange, Carnaroli e Karnak. Anche il raccolto 2014 – che sta per iniziare – si conferma un’ottima annata. Pochi sanno che l’area sibarita è la regione risicola più a sud d’Italia, che segna l’economia e il paesaggio e sta affermandosi sul mercato grazie alla qualità del prodotto e all’intelligenza di un management dinamico e motivato. Ma un itinerario del riso in Calabria, prima di addentrarsi fra le risaie della Sibaritide, non può prescindere da una sosta a Lamezia Terme, in un’azienda sita proprio accanto all’aeroporto, a due passi dallo svincolo dell’A3. Qui sorge, infatti, la Trigna, un agriturismo “storico” perché testimonia una saga familiare che inizia in Sicilia, alla fine dell’800, e si svolge nella Piana di Lamezia attraverso tre secoli. È la storia dei La Ferla, pionieri siciliani delle bonifiche calabresi e importanti produttori di riso. Circa 90 anni fa esportavano riso da seme nella patria piemontese delle risaie: il “Risone La Ferla” venne infatti premiato a Vercelli come “miglior riso da seme” dall’Istituto Sperimentale Risi.

Settecento ettari di risaie Se la Piana di Lamezia custodisce le vestigia di questa grande tradizione, quella di Sibari ospita aziende importanti che attualmente coltivano ben 700 ettari di risaie tra i comuni di Cassano allo Ionio, Corigliano Calabro e dintorni ed eseguono in loco l’intero ciclo produttivo. Per garantire qualità al consumatore, vengono infatti realizzate tutte le fasi di lavorazione, essiccazione, sgusciatura, sbiancatura, selezione ottobre 2014

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In Calabria, l’intensa insolazione e le temperature miti consentono alle spighe di giungere a maturazione in 140 giorni, 15 in meno dei cugini del Nord. La fertilità di terreni argillosi e ricchi di limo e la vicinanza del mare creano infine condizioni particolarmente felici per le risaie

In apertura, la risaia di Sibari. Qui, foto storica di mondine nella risaia di Trigna. Nella pagina accanto il parco del Pollino, le cui acque contribuiscono a mantenere il delicato equilibrio idrico della zona

dei chicchi fino al confezionamento. Anche il riso da seme è autoprodotto per assicurare un alto potere germinativo e l’assenza di malattie. Nella grande pianura cosentina, le risaie sono spettacolari, specie a primavera, quando sono lucide “a specchio” perché irrigate per colmazione. «A maggio – spiegano gli esperti della riserìa Magisa di Villapiana – i campi vengono inondati nel rispetto della tutela ambientale, con un livello di acqua che non supera i due centimetri». Nel giro di qualche decennio (lo sviluppo delle risaie comincia dopo il 1980) questa parte del Sud ha

così aggiunto il riso di qualità a un già ricco paniere enogastronomico. Accanto alla liquirizia di Rossano (la plurisecolare Amarelli è stata fondata nel 1731), a fantastici agrumi (dalle Clementine Igp ai limoni di Rocca Imperiale, alle arance bionde e rosse), agli extravergini biologici, a inedite tipicità come l’amaro digestivo Ulivar ricavato dalle olive, agli ottimi vini della Tenuta del Castello di Montegiordano – che schiera in faccia allo Jonio magnifici filari dominati da un castello seicentesco –, accanto a tutto questo, dicevamo, dalle risaie è arrivata un’altra eccellenza. L’intensa insolazione e le temperature miti consentono alle spighe di

Il vescovo risicoltore È fra i maggiori produttori nazionali di riso varietà Karnak l’azienda agricola Terzeria, una tenuta di oltre 600 fertilissimi ettari, di cui 200 dedicati alle risaie. Appartengono alla Curia vescovile di Cassano allo Jonio, guidata da monsignor Nunzio Galantino, il presule di recente nominato da Papa Francesco segretario generale della Conferenza episcopale italiana. La diocesi calabrese possiede la Terzeria dal 1935, grazie a una donazione della famiglia Rovitti. Per

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circa settant’anni, però, i terreni, concessi in affitto, avevano reso assai poco. Finché quindici anni fa non è arrivato il vescovo Domenico Graziano che ha deciso di conservare alla Chiesa la proprietà, mettendo al riparo le finalità sociali, e affidando a professionisti laici la gestione imprenditoriale. È questa la storia – di idee, uomini, volontà e competenze – che ha creato il mito del “vescovo risicoltore”. Monsignor Galantino ha dato nuovi impulsi all’opera

del suo predecessore e la Terzeria è diventata un’azienda-modello. Nelle risaie impiegano tecnologie d’avanguardia come il controllo satellitare per rendere ottimale il fabbisogno irriguo riducendo al minimo la bagnatura dei campi perfettamente livellati. La produzione della Terzeria prende la strada delle riserìe del Nord Italia ma una parte viene lavorata in loco e commercializzata come “riso di Sibari”. Per tutti, “Il riso del Vescovo”.


Il fattore ambientale In totale, le aziende della Piana di Sibari arrivano a una produzione annua di circa 34 mila tonnellate di riso. E c’è di più. Il riso calabrese oltre ad avere un significato economico ha un alto valore ambientale. «Grazie alla risicoltura – spiega Luigi Nola, manager di Campoverde Spa – in questo territorio prevalentemente salmastro, si favorisce il controllo delle risalenze saline impedendo la desertificazione dei terreni. Perciò si sta pensando di espandere la risicoltura in tutta l’area». La sommersione “a scorrimento” delle risaie con l’acqua potabile che scende dal Pollino, respinge insomma il sale in profondità con un riequilibrio naturale della falda acquifera. E così, insieme al cereale più consumato al mondo, in Calabria si coltiva anche l’ecologia.

Grazie alla risicoltura in questo territorio salmastro, si favorisce il controllo delle risalenze saline impedendo la desertificazione dei terreni. Per questo motivo si sta pensando di espandere la risicoltura in tutta l’area

Foto di Stefano Contin

raggiungere una maturazione completa (il ciclo produttivo, qui, è di 140 giorni, 15 in meno dei cugini del Nord). Al fattore climatico s’aggiungono la fertilità di terreni argillosi e ricchi di limo e la vicinanza al mare che, con la salsedine, crea condizioni particolarmente felici. Questo terroir, unito alla purezza dell’acqua che inonda i terreni e alle brezze che soffiano sui campi, si traduce in risi dalle notevoli qualità organolettiche e vocazione-gourmand.

Scelti per voi dove mangiare La Fonte Poco distante dalle risaie e dagli scavi. In menu, risotto di Karnak con crostacei e frutti di mare e il Carnaroli con gamberi e radicchio. Prezzo medio: 35 euro Contrada Fonte Piccola - Villapiana (Cs) Tel. 0981.56254 www.ristorantelafontevillapiana.it Locanda di Alia Sintesi di gusto, tradizione e fantasia, l’interpretazione del riso dello chef Gaetano Alia. Da provare il risotto di Sibari alla liquirizia. Prezzo medio: 50 euro Via Ietticelli, 55 - Castrovillari (Cs) Tel. 0981.46370 www.alia.it Ferrocinto Wine Bar Moderna enoteca-bistrot dalla golosa cucina incentrata sui prodotti. Piattobandiera il risotto moro e magliocco, mantecato col formaggio silano e una riduzione del vino della casa. Prezzo medio: 33 euro Via Alfieri, 58 Rende (Cs) Tel. 329.7475443

dove dormire La Locanda di Alia Raffinato 4 stelle, con piscina circondata da alberi antichi. Doppia da 110 euro Via Ietticelli, 55 - Castrovillari (Cs) Tel. 0981.46370 www.locandadialia.it

Villa Fabiano Palace Hotel Confortevole 4 stelle con piscina, ottimo centro benessere e ampi parcheggi. Doppia da 90 euro Via Cristoforo Colombo, S.S 19 Rende (Cs) Tel. 0984 838620 www.villafabiano.it Agriturismo Trigna A due passi dall’aeroporto di Lamezia Terme, un agriturismo con piscina e la cucina mediterranea dello chef 23enne Hamza Hanzaz. Bilocale da 70 euro C.da Trigna - Lamezia Terme (Cz) Tel. 0968.209034 – 340.7910363 www.agriturismotrigna.it

dove comprare Masseria Fornara c/da Fornara - Cassano allo Ionio (Cs) Tel. 0981.415141 www.risomasseriafornaradisibari.com Magisa Via S. Maria Del Monte, Z.I. - Villapiana (Cs) Tel. 0981.56220 www.risodisibari.com Terzeria Piazza Divina Provvidenza, 1 Francavilla Marittima (Cs) Tel. 0981.994290 Tenuta del Castello C.da Castello - Montegiordano (Cs) Tel. 0981.935320 www.tenutadelcastello.it

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Non solo risotti di Riccardo Lagorio

Eclettico e versatile, nasce chicco ma si trasforma con successo in farina colorata, pasta (perfetta nei casi di intolleranza al glutine) e persino birra. Per non parlare dell’olio, particolarmente amato dalle donne non tanto per le sue performance in cucina, comunque eccellenti, quanto per il suo ruolo da protagonista nella cura quotidiana della loro bellezza 72

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Se credete che il riso si presenti sempre sotto forma di chicco, ecco che in queste righe vi daremo buone ragioni per farvi cambiare idea. Del resto la fantasia è elemento fondamentale della gastronomia italiana. Dato che il nostro oggetto di discussione appartiene alla famiglia dei cereali, la cosa più semplice e facile da pensare e realizzare è la farina. Ideale per dolci che vogliono essere privi di glutine, ma anche per polente, pronipoti del pultum romano a base di legumi e cereali. In quest’ultimo caso si possono utilizzare anche farine colorate, ovvero ottenute da risi aromatici con pericarpo nero o rosso, come il riso Venere o Ermes. Ci ha pensato Claudio Cirio nella sua Cascina Falasco di Casalbeltrame in provincia di Novara portandosi dei risi neri dalla regione cinese dello Huang Xu Reng e incrociandoli con risi locali. Macinandone i chicchi si ottiene una farina ideale per biscotti, salati o dolci, e polente appunto. Se del Venere o dell’Ermes si cucineranno i chicchi, sappiate che sono profumati e venduti integrali: non perderete così il contributo di sali minerali e vitamine. La farina di ri-


Chicco liquido Ricordando solo per inciso che riso diventa bevanda alcolica nazionale giapponese sotto il nome di sake, nella patria del vino (e ultimamente dei micro birrifici), c’era da aspettarsi che qualcuno avrebbe utilizzato questo cereale per farne birra. Eccolo: il Birrificio Sant’Andrea ha messo a punto una birra ad alta gradazione (10,5°) che si abbina perfettamente a cibi dal gusto impegnativo come formaggi stagionati e cioccolato ma anche in accompagnamento a sigari. Le varietà di riso utilizzate sono Venere, Baldo, Carnaroli ed Ermes. E il riso così diventa... liquido. Come l’olio di riso, che si ottiene attraverso un complesso procedimento. Al pari dell’olio extravergine di oliva, va conservato al riparo dal sole ma rispetto a questo ha un punto di fumo più elevato. Per questo l’olio di riso è particolarmente adatto a friggere, oltre ad essere consumato crudo grazie al sapore delicato su pietanze e verdure. Ma l’olio di riso è apprezzato e utilizzato anche dall’industria cosmetica per il potere emolliente e idratante, in particolare negli unguenti posti in commercio contro gli inestetismi della cellulite e per prevenire le smagliature. Chi l’avrebbe mai detto che il modesto chicco di riso non solo nutre il pianeta, ma si trasforma anche in elemento risolutivo delle vanità estetiche?

La pasta di riso è un'ottimo sostituto per un primo piatto classico, adatto agli intolleranti al glutine

so è adatta anche alla panificazione mentre le gallette di riso, leggere e gustose, si ottengono gonfiando il chicco di riso attraverso l’azione congiunta di calore e notevole pressione. Benché non abbiano tuttora una vasta diffusione rispondono alla necessità di avere sul mercato dei prodotti simili ai cracker, ma ancora privi di glutine.

Pasta per tutti La diffusione della tecnologia legata alla realizzazione di riso parboiled (che, nella lingua di Shakespeare, sta per partially boiled, bollito in parte), inizialmente adoperata per consentire al riso di non scuocere, sta riscuotendo crescenti favori nella produzione della pasta di riso. Infatti è stato accertato che questo tipo di lavorazione consente di mantenere inalterate le proprietà del riso integrale. Ma soprattutto risulta ideale per la trasformazione del riso in pasta. Ci ha pensato Giuseppe Viazzo, dell’omonima storica riseria, a creare il Riso di pasta, come dice lui. «Non si tratta di una normale pasta

La lavorazione "parboiled" consente di mantenere inalterate le proprietà del riso integrale. E risulta ideale per la trasformazione del cereale in pasta di riso, che per colore e consistenza differisce molto da quella di grano duro dopo la cottura. Siamo riusciti a mantenere gusto e forma accattivanti utilizzando peraltro anche la trafilatura a bronzo. Questo impegno nasce dalla consapevolezza che sempre più persone sono insofferenti al glutine. Penne, fusilli, tortiglioni... per non far perdere a nessuno il gusto tutto italiano della pasta». Nel nuovo spaccio in centro a Vercelli si trovano anche torte, pizze e preparati gastronomici tutti a favore di chi soffre di celiachia. Per saperne di più:

www.aziendaagricolafalasco.com www.risodipasta.it www.bsabeer.it

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Zafferani d’Italia Caliamoci nei panni delle antiche tzaffaranaias che vagavano per i borghi sardi con il loro prezioso carico dorato e percorriamo lo Stivale, dalla provincia di Trento a quella di Enna, passando per L’Aquila, per scoprire dove questa pungente spezia ha trovato casa. E dove viene utilizzata da sempre anche come medicina e persino nell’arte di Riccardo Lagorio Riso e zafferano. Un amore a prima vista che accende d’un giallo vivace il lattescente chicco. Un gesto normale, quasi automatico, quello che avvicina il riso alla pregiata spezia coltivata per circa l’80% del fabbisogno mondiale in Iran. Sino all’Ottocento tuttavia la messa a dimora dei bulbi era molto diffusa anche in Europa; solo negli ultimi due secoli si è assistito a un tracollo quasi verticale dovuto alla scarsa possibilità di meccanizzarne il processo di raccolta, all’alto contenuto di manodopera necessaria per la produzione e al brevissimo periodo in cui è possibile staccare gli stigmi senza che vengano danneggiati da agenti atmosferici quali raggi solari e pioggia. È comunque certo che già gli antichi Romani lo utilizzassero per profumare le scene dei teatri e irrorare i bagni e i divani durante le riunioni conviviali delle famiglie più ricche. La 74

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dissoluzione dell’Impero romano portò con sé la scomparsa pressoché totale dello zafferano dalla penisola. Ma le potenzialità di coltivazione emersero nei secoli successivi, tanto che il nostro Paese vanta tre denominazioni d’origine protette dall’Unione europea benché a macchia di leopardo siano numerose le altre aree investite dal fenomeno zafferano.

Il profumo della storia

In apertura, stigmi di zafferano, da preferire alla polvere volendo avere la certezza di acquistare vero zafferano senza aggiunta di altre spezie simili

Come riconoscerlo? Lo zafferano in polvere è ovviamente più soggetto a manomissioni, prestandosi a inique aggiunte di polvere di paprika, curcuma e cartamo. Riconoscere l’autentico zafferano in stigmi può invece essere più semplice: al tatto deve rilasciare una sostanza oleosa; in seconda battuta, se si sfregano gli stigmi di zafferano con della carta paglia, questi non devono lasciare impronte d’olio. Inoltre, la combustione di stigmi veri di zafferano ne trasforma il colore in violetto o arancione, mentre le altre sostanze, simili allo zafferano, rimangono gialle. Un’altra prova empirica per verificare se abbiamo acquistato vero zafferano è quella di mettere gli stigmi in un po’ di olio: in questo caso lo zafferano vero non rilascia il colore giallo. Infine il profumo e il gusto devono essere piacevolmente amarognoli.

A partire dal Trentino, dove a Maso Giomo, accanto a erbe officinali, ogni anno Giovanni Poli raccoglie circa 300 gr di stigmi, venduti perlopiù nel piccolo spaccio aziendale e nei mercatini. «La pianta dello zafferano bene si addice all’altitudine e all’esposizione solare dell’altopiano del Monte Baldo e non richiede particolari attenzioni. I bulbi interrati in agosto sviluppano dei fiori. La raccolta inizia quando i fiori incominciano a spuntare, verso la metà o fine di ottobre, e si protrae per poco più di venti giorni. I fiori vanno raccolti di buon mattino (infatti con il sole si schiuderebbero rendendo facile, con la manipolazione, il deterioramento degli stigmi) e si ripongono in ceste. Poi con rapidi gesti delle dita si staccano gli stigmi che, posti su setacci, vengono essiccati». Sono invece oltre 100 i soci della Cooperativa Altopiano di Navelli che immette sul mercato circa il 90% dello zafferano prodotto in Italia, lo zafferano dell’Aquila Dop. Gina Sarra ne è l’anima. «La quantità varia a seconda delle annate. Sono tra 50 e 80 i kg che solitamente riusciamo a raccogliere sul nostro altopiano a 800 metri sul livello del mare. Di certo è che a Navelli è nato lo zafferano italiano, poiché fu introdotto proprio dal navellese domenicano Santucci di ritorno dalla Spagna 700 anni fa». Di certo hanno fatto la fortuna dello zafferano aquilano le caratteristiche organolettiche e le spiccate capacità Lo "zafferano italiano" pare sia nato coloranti; si dice ana Navelli, in provincia de L'Aquila, che quelle medicapoiché fu introdotto proprio mentose. Affermano dal navellese domenicano Santucci infatti da queste pardi ritorno dalla Spagna 700 anni fa ti che il loro zafferaottobre 2014

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Un prezioso consiglio. In cucina occorrerà fare attenzione a non mescolare lo zafferano con altre spezie: il gusto evanescente e garbato si eclissa facilmente quando usiamo anche cannella, chiodi di garofano, coriandolo e pepe

Scelti per voi no sarebbe in grado di curare alcune patologie dell’apparato cardiocircolatorio. Certo è che anche a San Gimignano, nel Senese, ci esibiscono documenti duecenteschi che attestano quanto fosse importante allora per l’economia locale la produzione della spezia e l’esportazione verso le repubbliche di Genova e Pisa. Senz’altro rilevante fu il ruolo giocato dallo zafferano di San Gimignano, che è un prodotto Dop dal 2003, nell’arte pittorica fiorentina e senese ed accrebbe il già influente ruolo degli Speziali, ai quali era affidato il delicato lavoro di pesatura degli stigmi del croco. Lo zafferano di San Gimignano Dop è oggetto di una significativa riscoperta sia sul piano gastronomico sia sotto l’aspetto farmacologico: lo si ritrova per esempio nella schiacciata allo zafferano e nel pane con la vernaccia e zafferano.

Giallo oltremare Il 2009 fu l’anno in cui anche lo Zafferano di Sardegna ricevette il riconoscimento di denominazione d’origine protetta. In Campi76

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dove mangiare S’apposentu La passione di Roberto Petza per la propria terra e i suoi prodotti ha fatto di questa località campidanese uno dei templi gastronomici sardi. Si mangia con 50 euro Vico Cagliari, 3 Siddi (Vs) Tel. 070.9341945 L’Angolo d’Abruzzo Continuità di sapori. È questo il motto della famiglia Centofanti dove stagionalità e tradizione sono i pilastri di una cucina agropastorale e curata. Pranzo da 25 euro Piazza Aldo Moro, 13 Carsoli (Aq) Tel. 0863.997429 Al Fogher Giusta dose di fantasia ed estro caratterizzano le preparazioni, che privilegiano i prodotti dell’entroterra ennese. Si mangia con 45 euro S.S. 117 bis, km 3 Piazza Armerina (En) Tel. 0935.684123

dano s’ipotizza la reintroduzione dello zafferano negli anni della dominazione bizantina per opera di monaci basiliani. «Ma la diffusione dello zafferano da San Gavino Monreale, uno dei centri più importanti per la produzione della spezia in Sardegna – dice Antonio Casti, storico e coltivatore di stigmi – avvenne per mezzo di singolari figure, le tzaffaranaias, che assicuravano lo smercio di gran parte del prodotto locale e ricoprivano un ruolo sociale fondamentale nell’economia del Campidano. Si trattava di donne di una certa età che percorrevano, talvolta a piedi o con mezzi di fortuna, anche lunghi tragitti per vendere lo zafferano o scambiarlo con altra merce». Così che nella cucina locale sono numerose le pietanze con la presenza di zafferano. La reconquista dello zafferano passa anche dalla Sicilia. Lo fa tramite Carla La Placa, maestra d’arte per la ceramica che ha lasciato un buon lavoro a Catania per dedicarsi all’azienda agricola di famiglia, in agro di Villarosa nell’Ennese. «Salvaguardia della biodiversità e multifunzionalità stanno alla base del mio impegno. Qui coltiviamo grano Timilia e Maiorca, mandorle Pizzuta d’Avola e cece Sultano, ecotipo siciliano, piccolo, rotondo e bianco. Ma anche zafferano». Gli stigmi si utilizzano anche nella cagliata per la produzione del piacentinu ennese Dop: ancora una volta il potere colorante dello zafferano attrae fatalmente a sé il bianco candore. Qui del latte di pecora.

Per saperne di più:

www.masogiomo.it www.coopaltopianodinavelli.com www.sangimignano.com www.sardegnaagricoltura.it www.sangiovannello.it


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il buono a tavola

Tradizione vs ricerca ... con il riso il pareggio è assicurato! Il cereale che è stato importato in Italia intorno all’anno mille non dimostra infatti la sua età. Raffinato e versatile, è tuttora estremamente moderno, adatto a tutti gli stili di vita e di cucina: vegetariano, vegano ma anche tradizionalmente cremoso per gli irriducibili lussuriosi del palato

volta sfumare. Si porta il riso a cottura continuando a mescolare. Cinque minuti prima di ritirare il risotto dal fuoco si incorpora lo zafferano, si toglie il tegame dal fuoco e si manteca il risotto con il rimanente burro e il Parmigiano grattugiato.

Arancine di riso Ingredienti per 4 persone: 2 dadi per brodo 300 gr di riso per risotti 150 gr di tritato di manzo 75 gr di tritato di maiale 50 gr di concentrato di pomodoro 1 grossa cipolla 2 carote 2 coste di sedano sale e pepe 100 gr di Parmigiano Reggiano 2 cucchiai di olio d’oliva 1 cucchiaio di burro 1 bicchiere di vino rosso 1 bustina di zafferano

Le ricette di Antonio Romeo... Risotto alla milanese Ingredienti per 4 persone: 300 gr di riso Carnaroli 70 gr di burro 50 gr di midollo di bue 1 l di brodo di manzo e gallina 1 piccola cipolla 60 gr di Parmigiano grattugiato 1 punta di cucchiaino di zafferano oppure 16-20 pistilli Preparazione: Versare in una tazza un po’ di brodo bollente sopra lo zafferano. Rosolare lentamente la cipolla finemente tritata in 40 gr di burro e il midollo sbianchito e pestato. Far insaporire il riso mescolandolo in un tegame con un cucchiaio di legno. Si versano poi vari mestoli di brodo bollente lasciandoli di volta in 78

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Antonio Romeo, docente dell'Istituto Alberghiero Ipsseoa di Soverato (Cz), ci propone il suo punto di vista sul riso: grandi classici, che hanno scritto la storia d'Italia, dalla preparazione dolce e lenta

Preparazione: In un tegame preparare il brodo con i dadi. Quando giunge a ebollizione, aggiungere il riso e lo zafferano. Lasciare cuocere per circa 12 minuti a fuoco lento. Quando il riso è cotto, aggiungere il ragù, il Parmigiano grattugiato e il burro. Lasciare raffreddare il riso in un piatto largo. Creare quindi con esso delle piccole palline. Passarle prima nella farina, dopo nelle uova battute e poi nel pangrattato. Friggere in abbondante olio caldo e rimuovere quando saranno di un bel colore dorato. Per il ragù: mettere in una padella olio, cipolla, carote e sedano tritati e lasciare cuocere finché non siano cotti. Aggiungere la carne macinata, mescolare e cuocere a fuoco vivace. Lasciare rosolare, aggiungere il sale, il pepe e il concentrato di pomodoro. Innaffiare con vino rosso, far evaporare, aggiungere un po’ d’acqua, coprire il tegame e cuocere per circa un’ora.


…e quelle di Luigi Ferraro Riso zucca gialla e caviale Ingredienti per 4 persone: 200 gr di riso Carnaroli di Sibari 50 gr di burro 10 gr di olio extravergine d’oliva 15 gr di porro 15 gr di scalogno 20 gr di vino bianco 400 gr di circa di brodo vegetale 80 gr di Parmigiano Reggiano 100 gr di zucca gialla 10 gr di caviale 40 gr di caviale nero sale e pepe Preparazione: In una pentola far sciogliere 20 gr di burro e i 10 gr di olio, aggiungere lo scalogno e il porro tritati e far imbiondire, versare il riso e farlo tostare, sfumare con il vino e far evaporare, versare man mano il brodo vegetale facendo cuocere il tutto lentamente. A fine cottura aggiungere dei cubetti di zucca precedentemente rosolati con olio e rosmarino, regolare di sale e pepe e togliere dal fuoco, far riposare coprendolo per almeno un paio di minuti. Mantecare in fine con burro e parmigiano. Rivestire gli stampi con la zucca al centro, versare il risotto e sopra adagiare del caviale nero, una chips di zucca e basilico fritto. Completare con un filo di olio extravergine.

Variazione di quaglia, funghi, spuma al formaggio e tartufo nero Ingredienti per 4 persone: Per il riso: 60 gr di riso Vialone nano, 25 gr di porcini, 25 gr di champignon, 20 gr di chiodini, 20 gr di olio, 5 gr di olio all’aglio, 10 gr di scalogno, 20 gr di vino bianco, 30 gr di fondo bruno, 300 gr di brodo vegetale, 1 gr di timo, 2 gr di prezzemolo, 2 gr di aneto, 20 gr di burro, 20 gr di Parmigiano, 20 gr di olio al tartufo, 4 gr di tartufo nero Per la quaglia: 500 gr di quaglia (2 quaglie), 40 gr di porcini, 20 gr di olio, 80 gr di burro chiarificato, 2 gr di rosmarino, 2 gr di sesamo bianco Per la spuma al formaggio: 100 gr di ricotta, 80 gr di mascarpone, 60 gr di Parmigiano, 4 gr di olio al tartufo, pepe bianco

Luigi Ferraro executive chef al Café Calvados di Mosca fa uscire il riso dai soliti schemi e accostamenti, proponendoci ricette innovative nelle quali, comunque, l'eclettico cereale sa farsi notare!

Preparazione: In una padella mettere l’olio e lo scalogno tritato e far rosolare per qualche minuto, aggiungere il riso e farlo tostare, sfumare con il vino e far evaporare, aggiungere il brodo poco alla volta. A parte rosolare i funghi con l’olio all’aglio e il timo, condire con sale e pepe e unire il fondo bruno. A metà cottura del riso unire la salsa ai funghi e continuare la cottura aggiungendo brodo. A fine cottura coprire il riso e far riposare per qualche minuto, mantecare con burro, olio al tartufo e parmigiano, prezzemolo e aneto tritato e pepe nero al mulinello. Per la quaglia: Disossare le cosce e farcirle con i porcini, il rosmarino, sale e pepe; avvolgere in pellicola, mettere sotto vuoto insieme al burro chiarificato e cuocere a 58° C per circa 60 minuti. Prendere i petti e condirli con sale e pepe, rosolarli con l’olio e finire la cottura in forno a 170° C per un minuto. Per la spuma al formaggio: mettere tutti gli ingredienti in planetaria e montare fino a quando si otterrà un composto spumoso. Per la composizione: alla base del piatto mettere qualche goccia di fondo bruno, disporre il risotto e sopra una quenelle di spuma e qualche scaglia di tartufo, vicino adagiare da una parte la coscia e dall’altra il petto scaloppato, completare con olio al basilico e germogli. ottobre 2014

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orto dei semplici

di M. Pia Fanciulli

Coltiviamolo così La rucola regala la bella soddisfazione di dare raccolti tutto l’anno: basta proteggerla dal freddo e seminarla scalarmente dall’inverno all’autunno. La cassetta e il terriccio Preferisce terriccio leggero e fertile, ma è in grado di adattarsi ovunque. Gli ortolani alle prime armi dovranno solo avere l’accortezza di interrare il seme a 1/2 cm di profondità evitando ristagni idrici. Sono sufficienti dei vasetti anche piccoli, di 10-12 cm di diametro.

Rucola, il piacere è…tutto tuo! Pianta assai generosa che poco chiede e molto dà, vanta una storia secolare che ci fa entrare negli orti degli antichi romani, convinti ch’essa fosse propizia all’amore fisico. Facile da coltivare, può essere un ottimo inizio per chi ha voglia di dedicarsi all’orto sul balcone senza rischi di insuccesso

Mese impegnativo per la rucola! Siamo infatti nel momento dell’anno in cui oltre a continuarne la raccolta, se ne fa pure la semina, in piena terra o anche in una semplice cassettina di legno da proteggere dal freddo con un telo trasparente. Molto utilizzata in cucina per il suo sapore piacevolmente aromatico, la rucola (Eruca sativa) entra nella preparazione di insalate, nel condimento di profumate pizze, nelle frittate e in altri prelibati piatti, tra cui un insolito pesto. E per quanto la si associ all’estate, è in realtà presente a lungo pure negli orti invernali, pronta ad arrivare fresca in tavola dove i suoi principi attivi stimolano l’appetito, hanno azione diuretica, antinfiammatoria, emolliente e depurativa. Il suo nome, affiancato da diverse varianti popolari di cui forse la più nota è il romanesco rughetta, deriva dal termine latino urere, che vuol dire bruciare, probabilmente dovuto al suo sapore piccante. Originaria dell’Europa e dell’Asia occidentale, si trova anche allo stato spontaneo, rucola selvatica, da non confondere con la domestica, da cui si distingue tanto nella forma delle foglie quanto nei fiori, gialli in quella spontanea, 80

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bianchi venati di violetto in quella coltivata. La sua presenza negli orti risale al tempo dei romani che ne utilizzavano foglie e semi ai quali attribuivano proprietà afrodisiache. Già Columella, nel I secolo d.C., parlava dell’eruca che “accanto al protettore degli orti, Priapo, si pianta, ed i lenti mariti a Venere spinge”. Oggi, tornata protagonista in cucina dopo un periodo di decadenza, la rucola è coltivabile con facilità persino sul balcone. In tempi passati, grazie al suo contenuto di vitamina C, si ricorreva alla rucola per combattere lo scorbuto. Oggi, che la si gusta più per piacere che per dovere, mangiarla non può comunque che farci bene perché oltre al suo buon sapore, questa insalata ha diverse virtù. Ricca di ferro, potassio, calcio e fosforo, ha la capacità di favorire la digestione e la diuresi, aiuta il fegato, stimola l’appetito. Senza dimenticare come una tisana preparata con rucola, menta e santoreggia abbia effetto rilassante e tonificante. E il rucolino, meno noto del limoncello, ma altrettanto efficace nel favorire la digestione? È un amaro tipico della tradizione campana, che si produce ad Ischia e si sorseggia a fine pasto.

La semina In pratica è possibile seminarla tutto l’anno. Anzi, si raccomanda la semina scalare proprio per poterla raccogliere di mese in mese. Bene quindi anche la semina in semenzaio a gennaio e febbraio, ma per il resto dell’anno si può interrare il seme direttamente all’aperto. La pianta resiste bene alla siccità – ovviamente senza esagerare – che conferisce più sapore alle foglie. Quando le piantine saranno alte circa 3 cm vanno diradate lasciando spazio alle più belle. Amano un’esposizione soleggiata, ma sopportano una parziale ombra. Punti deboli Pur adattandosi bene a diverse temperature e contesti, suo grande nemico è il freddo. Teme particolarmente gelo e vento. Buono a sapersi Non ha particolari esigenze, ma è bene ricordare che va annaffiata solo sporadicamente, con 1 o 2 bicchieri d’acqua, lasciando il terreno asciutto per un paio di giorni prima di ripetere l’annaffiatura. Raccolta e conservazione La raccolta si fa scalare 40 giorni dopo la semina. Importante non estirpare ma tagliare le foglie alla base, permettendo così la ricrescita e più raccolti nel tempo. Molto delicata, la rucola si conserva poco anche in frigorifero. Quindi l’ideale sarebbe metterla a bagno in acqua come fosse un fiore, oppure in frigorifero con le radici avvolte nella carta inumidita e in un sacchetto di plastica bucherellato. Resisterà così 2/3 giorni.



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Nasce nell’acqua, muore nel vino di Maddalena Baldini

C’è senza dubbio il risotto tra i principali piatti portabandiera della cucina italiana. Certo, le proposte degli chef non fanno altro che rendere unico un ingrediente che già si contraddistingue per la sua versatilità. Se poi si abbina a un vino della Penisola, il noto detto calza alla perfezione! “Occorre di carbone un vivo fuoco,/la casseruola; cento grammi buoni/di burro e di cipolla qualche poco./Quando il burro rosseggia, allor vi poni/il riso crudo, quanto ne vorrai/e mentre tosta l’agiti e scomponi…”. Così Giovanni Pascoli inizia la sua descrizione dedicata alla preparazione del risotto, precisamente quello alla milanese nel quale, dopo aver unito un poco alla volta il brodo “diluire/di zafferano un poco […]/perché in giallo lo abbia a colorire”. Di grande diffusione e successo culinario, il riso è uno degli alimenti più utilizzati al mondo. In Italia, com’è noto, la produzione è vasta così come le varietà usate come base dei risotti da mettere in tavola. Piatti che, spesse volte, rappresentano il “cavallo di battaglia” di rinomati ristoranti. 82

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Vercelli: Carnaroli e Timorasso «Noi lo diciamo sempre: abbiamo seminato un chicco di riso e da lì sono nati i Costardi Bross e il nostro ristorante – dice Christian Costardi, che con il fratello Manuel gestisce il Ristorante da Cinzia a Vercelli – il risotto è uno dei piatti che descrive maggiormente il territorio. E secondo noi uno dei piatti che maggiormente rappresenta l’Italia nel mondo!». In menu non può mancare la Panissa «il piatto tipico della città, è sempre presente in carta. Piace molto anche La Primavera di riso Carnaroli, grazie alla sua freschezza – prosegue Christian – Quello che continua a renderci orgogliosi è poi il Costardi Tomato Rice nato da un ricordo dell’infanzia quando, all’asilo, si mangiava il riso con il pomodoro. Oggi lo prepariamo in modo diverso e la variante creativa sta anche nella sua presentazione in lattina! Un piatto fatto con Carnaroli, pomodoro, un tocco di basilico e limone è un omaggio alla Pop Art e all’artista Andy Wharol». E il vino? «Ne consigliamo uno che si produce in una piccola zona dell’Alessandrino: il Timorasso che nasce dall’omonima uva a bacca bianca, una tipologia autoctona abbandonata e poi ripresa circa trenta anni fa. Corposo e di buona struttura si caratterizza per toni fruttati e floreali e risulta adatto anche per qualche anno di invecchiamento.Tra i produttori suggeriamo quello di Walter Massa».

Pinot Grigio, una scelta “certosina” È uno dei più amati simboli di Milano, il risotto alla zafferano. Nato, secondo la leggenda, dalla creatività di un artista operativo della Fabbrica del Duomo, che cosparse di polvere gialla – usata per dipingere le vetrate – il riso bollito che doveva essere presentato alle nozze della figlia del capo mastro, riscuotendo grande successo. Oggi, nella capitale meneghina, c’è chi propone variazioni sul tema, come Paolo Ghirardi, chef dell’Hilton di Milano. «Da noi il legame con i risotti è doppio: sono parte integrante della

In apertura Christian Costardi all'opera. Qui: il Pinot Grigio La Delizia; a sinistra Paolo Ghirardi dell’Hilton di Milano e il suo Risotto alla certosina

«Il risotto è uno dei piatti che descrive maggiormente il vercellese. E che maggiormente rappresenta l’Italia nel mondo!» dichiarano i Costardi Bross del Ristorante da Cinzia storia del capoluogo lombardo e anche della mia personale, in quanto piemontese. Quello che vi propongo è il Risotto alla certosina che unisce ingredienti diversi tra loro come porcini, pesce persico, gamberi e cosce di rane». In abbinamento, un Friuli Grave Doc Pinot Grigio «vino con caratteristiche delicate, dell’azienda La Delizia. Si distingue per la sua eleganza, anticipata da un bel giallo paglierino, per poi aprirsi in un ventaglio di profumi campestri e dal sapore armonico e asciutto. Si presta alla perfezione per questo risotto, perché si accosta a tutti i sapori proposti senza alterarli». ottobre 2014

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Internazionale qb Una voce anche da Forte dei Marmi, località della Versilia nota per “dettare” mode e tendenze, dove Valentino Cassanelli, chef del Principe, dà una visione più internazionale delle sue ricette. «Il riso, come alimento, è alla base di tutte le culture gastronomiche del mondo: con il curry in quella thailandese o indiana, nel sushi, con i fagioli alla messicana... Ecco perché, quando preparo il risotto ho la consapevolezza di creare una pietanza che abbraccia il mondo con semplicità».

Il Risotto affumicato con gambero, limone candito, caviale e germogli di cipollina di Davide Botta

Nelle terre del Vialone nano Dalla Lombardia al Veneto, terra del Vialone nano. Davide Botta, chef del Ristorante L’Artigliere di Isola della Scala (Vr) ne fa una delle basi della sua cucina: «Tra i piatti più amati dai nostri clienti c’è, al primo posto, senza dubbio il Risotto affumicato con gambero rosso crudo, limone candito, caviale e germogli di cipollina. A seguire ho molte richieste anche per il Risotto al radicchio rosso veronese con fonduta di gorgonzola dolce e gel di Amarone, una ricetta che assembla alcuni prodotti della tradizione regionale». «Anche per i vini, in Veneto, c’è solo l’imbarazzo della scelta – prosegue Botta – ma io voglio andare un po’ fuori dai confini e fare tappa nelle cantine alle

Per Davide Botta il riso è alla base della cucina. Forte il legame con il territorio nella scelta degli ingredienti, dal radicchio all'Amarone. Per i vini però punta alla Franciacorta porte di Brescia. Un Franciacorta Brut fa buona compagnia alle mie ricette a base di riso. Mi permetto di consigliare il Riserva 60 mesi di Borgo la Gallinaccia. Un Metodo Classico elegante e dal perlage fine, con profumi che spaziano dai sentori fruttati a quelli tipici dei lieviti. Al gusto, la sua struttura lo rende adatto per accompagnare piatti dai sapori ricchi».

Scelti per voi

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Ristorante da Cinzia Menu degustazione da 60 a 120 euro Corso Magenta, 71 - Vercelli Tel. 0161.253585/253857 www.hotel-cinzia.com

L’Artigliere Prezzo medio 50 euro Via Boschi, 5 - Isola della Scala (Vr) Tel. 045.6630710 www.artigliere.net

Hilton Prezzo medio 60 euro Via Luigi Galvani, 12
- Milano Tel. 02.69831 www.hiltonhotels.it

Principe Prezzo medio 75 euro Viale Amm. Morin, 67 - Forte dei Marmi (Lu) Tel. 0584.783636 www.principefortedeimarmi.it

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Quale ha ottenuto più successo? Tra i molti che presentiamo in ogni stagione il Risotto al peperone giallo leggermente arrostito con una spruzzata di yuzu giapponese, gamberi del tirreno crudi e salvia fritta, ha ricevuto molti complimenti. Un vino adatto che ben si associa a questa ricetta? Mi sposto al sud e suggerisco un vino della Costiera Amalfitana, il Furore Bianco Fiorduva dell’Azienda Marisa Cuomo, un prodotto dai sentori fruttati di pesca e albicocca, accenni di frutta secca e note floreali che si legano con armonia agli ingredienti del piatto. Anche in bocca si svela con freschezza, morbido e aromatico, segnato da un’importante versatilità.



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In vino… libertas di Donato Lanati

Georgia e San Marino, terre lontane accomunate dallo stesso principio ispiratore, anzi due: libertà e tradizioni. Sulla prima hanno basato la lotta per l’indipendenza, sulle seconde hanno costruito la loro fortuna. A raccontarci questa storia parallela è Donato Lanati, l’enologo che, già cittadino georgiano, adesso è Console Onorario della Repubblica di San Marino in Georgia: un altro comune denominatore tra i due Paesi 86

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Ci sono storie apparentemente lontane nel tempo o nello spazio che, inconsapevolmente, corrono su binari paralleli, senza mai incontrarsi. È il caso – uno dei tanti, s’intende – delle due comunità di San Marino e della Georgia. Distanti per geografia e radici culturali, questi due Paesi – l’una, la Serenissima, appesa a una rocca nel cuore dello Stivale; l’altra, l’ex repubblica sovietica affacciata sul Mar Nero – vantano, nelle proprie vicende di ieri e di oggi, medesimi ideali che hanno finito per plasmarne la stessa struttura statuale e un comune denominatore sul quale hanno costruito la loro fortuna. Se libertà e autonomia sono le bandiere che (dopo aver identificato entrambe le civiltà nel corso dei secoli) tuttora sventolano fieramente sia sul Monte Titano che a Tbilisi, è la ferrea conservazione delle proprie tradizioni la peculiarità che unisce, in un simbolico ponte culturale, georgiani e sanmarinesi. In un mondo globalizzato e vieppiù omologato come quello attuale, queste due storie, credetemi, stanno lì a dimostrare che esistono ancora, sul pianeta, popoli e luoghi che mantengono intatte tutte le loro distinte caratteristiche “di nicchia” che improntano le rispettive culture e fanno ancora oggi da solido puntello per il futuro. E, quale neoconsole onorario di San Marino in Georgia, mi piace pensare di poter essere io quell’ideale “scambio ferroviario” che permetterà ai due binari di potersi in qualche modo incrociare. Il compito di un Console Onorario è infatti quello di fortificare il legame tra i due Paesi sul piano culturale, economico e umano.

Metodo antico, successo moderno Quando nel 2008, l’Unesco ha inserito il centro storico della Città di San Marino tra i Patrimoni dell’Umanità lo ha fatto perché rappresenta la testimonianza della continuità di “una repubblica libera fin ottobre 2014

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In apertura e nella pagina a destra, San Marino. Qui, un paesaggio vitato in Georgia. A destra, la sede del Consolato della Repubblica di San Marino in Piazza della Libertà a Tbilisi con le bandiere dei due Stati

dal Medio Evo”. La libertà, appunto, come filo conduttore di una storia secolare. Considerata la Repubblica più antica del mondo dopo quella Romana (III Secolo d.C.), San Marino, per tutto il Medioevo e il Rinascimento riuscì a difendersi dai tentativi di annessione allo Stato della Chiesa. Nel 1797 fu riconosciuto Stato Indipendente da Napoleone e dal Congresso di Vienna del 1815. L’unicità di San Marino sta anche nel non avere una vera e propria costituzione scritta ma di basarsi ancora sulle antiche consuetudini e sugli statuti della Repubblica risalenti al XVII secolo. Tutto questo ha fornito al mondo una sorta di “garanzia secolare” che le ha permesso di istituire recentemente, primo Paese al mondo, la Borsa Merci Internazionale: una sorta di piattaforma telematica di 88

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Se libertà e autonomia sono le bandiere che sventolano fieramente sia sul Monte Titano che a Tbilisi, è la ferrea conservazione delle proprie tradizioni la peculiarità che unisce, in un simbolico ponte culturale, georgiani e sanmarinesi


scambio di beni materiali, merci e servizi, a livello mondiale, che ha come garante la stessa Repubblica di San Marino. Medesima “garanzia secolare” che la Georgia, d’altro canto, fornisce al mondo con i vini in anfora (comparsi per la prima volta 6 mila anni fa!) oggi diventati punto di riferimento internazionale e tanto apprezzati in America con la denominazione di orange wines. Per entrambi gli stati possiamo parlare dunque di “metodo anticosuccesso moderno”.

L’origine della vite Con 5 milioni di abitanti e circa 70 mila kmq di territorio incastrato tra le due catene del Grande e Piccolo Caucaso, la Georgia (autonoma dall’Unione Sovietica dal 1991) ha dovuto confrontarsi spesso con imperi molto più grandi e potenti per difendere la sua indipendenza. Ma è riuscita sempre a conservare una solida identità religiosa, un alfabeto e una lingua unica. Ed è assai singolare, date le circostanze, che sia rimasta indipendente per quasi mille anni, fino agli inizi dell’800. Così come San Marino, la Georgia vanta un patrimo-nio culturale articolato e rimasto intatto nei secoli da cui riesce ad attingere le proprie risorse economiche. La viticoltura, ad esempio, sul suo territorio, è presente fin dal IV millennio a.C., epoca nella quale esistevano già le cantine con dentro le enormi anfore di terracotta. Questo fa della Georgia, di diritto, uno dei centri primari di domesticazione della vite coltivata (a tutt’oggi) ad altitudini comprese tra i 20 e i 1000 metri sul mare, ove si possono trovare esemplari di Vitis Vinifera Silvestris, capostipite di tutte le varietà di vite. L’emozione della storia e della tradizione che oggi vengono trasmesse al consumatore provengono da una cultura formata in millenni e costruita con sacrifici infiniti, sagge intuizioni e sforzi sovraumani, per spingere all’estremo il

Donato Lanati e il vescovo Meuke David col quale produce il vino Alaverdi Tradition. La singolare collaborazione tra il Vescovo georgiano, tenace cultore della tradizione, e un enologo italiano avvenirista e futuribile come Lanati, non è la metafora di un Paese ma una sicurezza di continuità tra passato, presente e futuro! Sotto, Lanati con lo staff di Alaverdi e Badagoni; nella pagina a fianco con Pasquale Valentini, Segretario di Stato Affari Esteri a San Marino

Donato Lanati con il Primo Ministro Irakli Gazibashvili

Donato Lanati, candidato come enologo dell’anno al prestigioso Premio Wine Enthusiast 2014, dal 2005 è impegnato con l’importante cantina Badagoni nel produrre vini di qualità nella zona di Kakheti ottobre 2014

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Scelti per voi dove mangiare Ristorante Righi Locale storico. Lasciatevi consigliare dal Maitre Sommelier Giacomo Paganelli tra le 450 referenze in cantina. Menù Degustazione da 35 euro Piazza Libertà, 10 Repubblica di San Marino Tel. 0549.991196 www.ristoranterighi.com Phaeton Piatti della tradizionale cucina georgiana e vini del territorio. Beliashvili st. Tbilisi (Georgia) Tel. +995.322.452013 www.phaeton.info-tbilisi.com

dove dormire Grand Hotel San Marino Sistemazione moderna ed elegante a due passi dal centro storic. Doppia da 82 euro Viale Antonio Onofri, 31 Repubblica di San Marino Tel. 0549.992400 www.grandhotel.sm Georgian House Accoglienza dallo stile classico nel centro storico. Vakhtang VI st., 38 Tbilisi (Georgia) www.georgianhousetbilisi.com

dove degustare Cantina Sociale di San Marino Strada di Montecchio, 11 Repubblica di San Marino Tel. 0549.902617 www.terradisanmarino.com Badagoni Freedom Squame, 4 Tbilisi (Georgia) Tel. +995.322.936243 www.badagoni.ge

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Qui, una bella immagine di San Marino. Sotto, Donato Lanati con il dottor Gogi Salakaia, direttore generale di Badagoni, Cantina georgiana tra le più avanzate in tecnologia al mondo

dialogo dell’uomo con la vite e il terreno, per cogliere tutto il meglio di questa sensibilità e fare di “un metodo antico un successo moderno”. Personalmente, ogni volta che vengo in Georgia, dove dal 2005 sono impegnato con la cantina Badagoni a produrre vini di qualità nella zona di Kakheti, avverto lo spirito dell’origine della vite e del vino; non vado lì per stravolgere le tradizioni, ma per ascoltare la gente e difendere le varietà e il territorio, proprio come seppe fare questo popolo nel suo cammino nella storia per affermare la propria civiltà. Per me è un’emozione unica

lavorare nella patria della vite, ma anche uno stimolo e un onore. È stata poi una sorpresa scoprire la particolare umanità delle persone, aspetto che non si studia, né si ricerca, ma che si apprezza solo frequentando il luogo. La Georgia è in grado di produrre uno dei più importanti vini al mondo e sta iniziando studi sui 500 vitigni autoctoni che sono una vera cassaforte di biodiversità. Su questo ideale ho l’appoggio anche del Primo Ministro Gazibashvili con il quale sto lavorando in sinergia per rendere la viticoltura georgiana un punto di forza a livello mondiale.



perle d'Italia

di Maddalena Baldini

Tradizione di germe di grano

Nomination da… enologo La rivista Wine Enthusiast ha comunicato le nomination per l’ambito premio di Wine Enthusiast’s 2014 Wine Star Award. Tra i personaggi di stima mondiale, rappresentanti assoluti nel comparto delle bevande, anche l’Italia è presente con un nome d’eccezione: Donato Lanati, enologo di fama internazionale. Il vincitore sarà annunciato il 25 novembre mentre, la serata di premiazione, sarà il 26 gennaio 2015 nella Sala da Ballo Celeste della New York Public Library’s, durante l’evento Wine Star Trophies. Oltre a Lanati sono in nomination anche Virginia Willcock, direttore enologo delle Cantine Margaret River’s Vasse Felix dal 2006, in Australia; Charles Smith dello stato di Washington; Celia Welch della California e Angelos Iatridis della Grecia. Per saperne di più: www.winemag.com

Un pastificio gestito sin dal 1860 direttamente dalla famiglia Morelli a San Romano, piccola località alle porte di Pisa. È da qui che è partita la storia di successo della pasta al germe di grano. Ancora oggi il Pastificio Morelli conserva questa tradizione, mettendo sul mercato un'accurata selezione di paccheri, linguine, straccetti, pappardelle e spaghetti. La materia prima è sempre eccellente, unita a una lenta trafilatura al bronzo e a un'essiccazione a bassa temperatura per almeno 36 ore. In più c'è la possibilità di personalizzare i prodotti in base alle esigenze di chef e ristoratori. Per saperne di più:

www.pisacittapalcoscenico.it

Premio Professionalità Italiana Lo scorso 19 settembre nella Salle Empire dell'Hotel de Paris a Montecarlo, è stato conferito il premio Professionalità italiana a Luigi Ferraro, chef dell’esclusivo ristorante Cafe Calvados di Mosca. Ferraro si unisce ai molti nomi dello spettacolo e della politica che, nelle scorse edizioni, hanno ricevuto il premio, quest’anno però con un dettaglio fondamentale: quello di aver aperto anche al comparto eno-gastronomico la possibilità di essere una vera testimonianza di professionalità italiana all’estero. Per saperne di più:

www.cafecalvados.ru

L’oro dei boschi Dante sempre più tricolore L’olio extravergine di oliva Dante ha fatto il cambio d’abito e si presenterà sugli scaffali con un importante restyling. Un nuova etichetta e una nuova grafica che, in maniera ancora più diretta, colloca l’Olio Dante tra i garanti del “100% italiano”. Sull’etichetta a sfondo bianco campeggerà infatti il tricolore e tutti i loghi e le medaglie storiche ottenute durante le Esposizioni Universali così da creare un legame evidente tra modernità e tradizioni sotto l’immancabile valore qualitativo che l’Olio Dante Oleifici Mataluni mettono in tavola dalla metà del 1800. Per saperne di più: www.oleificimataluni.com 92

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Prezioso prodotto dei boschi, il fungo porcino (Boletus) di Borgotaro è un'Igp dalle incredibili qualità olfattive e aromatiche. La zona specifica nella quale è possibile la raccolta (sotto rigoroso controllo) è la dorsale appenninica tra l'alta Toscana e l'Emilia. Si caratterizza per un odore intenso e molto gradevole, con un mix di humus e selva, compatto e consistente sia nel gambo di colore chiaro, sia nel cappello che può variare nelle tonalità del castano fino al colore bruno rossiccio. Ottimo per i sughi, è perfetto anche se cucinato fritto o conservato sott'olio. Per saperne di più:

www.fungodiborgotaro.com



Settimo piano del Radisson Blu es. Hotel, Roma

Fresco, italiano e semplice prenotazioni 06.444841 | 06.44484384 ristorante.sette@radissonblu.com

Via Filippo Turati 171, 00185 Roma w w w. e s c o nc e p t . i t

RISTORANTE

Ristorante Sette

SETTE


InViaggio Viaggio In 96 110

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96 L'Oristanese

106 Sulle montagne Mainarde

Tra paesi antichi, natura e zampogne, un angolo del Molise di inaspettata bellezza

Stagni, fenicotteri e risaie: l'avreste mai detto che stiamo parlando di Sardegna?

102 Conca dei Marini

110 Autunno in Valle Isarco

Tappa nel piccolo borgo della Costiera d'Amalfi, patria della "vera" sfogliatella

Breve viaggio tra i tesori dell'Altoatesino camminando tra borghi, chiese e castelli

da pag. 114 Rubriche

• Week-end mare • Viaggi per tutte le tasche

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inviaggio

Umida, lagunare

Sardegna di Umberto Cocco

Archivio fotografico Assessorato al Turismo della Provincia di Oristano

È una terra di stagni, laghi e fenicotteri rosa il Campidano oristanese. Dove ricercare la migliore bottarga di muggine, tappeti dalle trame antiche, culti di pagano mistero. Brindare quindi a Vernaccia e visitare le risaie, inaspettate a queste latitudini

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Sono i paesaggi d’acqua della Sardegna, una grande zona umida naturale (tra le più vaste d’Europa), di stagni, lagune, e ora anche di risaie. Siamo nella piana irrigua del Campidano oristanese, fra i contrafforti del Montiferru, del Monte Arci, e il mare, con il golfo di Oristano e le punte della tenaglia, Capo Frasca a sud, Capo San Marco a nord. Da sempre fuggiti, questi luoghi ora sono una terra felice, con stagni e mare gonfi di pesce, le coltivazioni in successione in tutta la piana benedetta dall’acqua del Tirso, ormai domata. E le risaie, coltivate da meno di 70 anni, che in questi contesti si sono inserite senza andare a impattare sul paesaggio circostante, ma anzi arricchendolo e impreziosendolo. Insomma, un paradiso di biodiversità che si è guadagnato una raffica di


Sardegna

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Campidano oristanese

tutele europee sui suoi siti. Camminando a queste latitudini verso sera non è raro imbattersi in stormi di fenicotteri rosa (qui li chiamano genti arrubia, gente rossa) che dopo aver passato buona parte della giornata nelle risaie a rifornirsi di cibo si trasferiscono negli stagni per passare la notte. Oppure incontrare armoniosi aironi cinerini che con la loro solenne andatura incutono rispetto in chi li ammira, ed eleganti garzette che con il loro bianco sgargiante punteggiano di macchie abbaglianti le verdi risaie.

La penisola del Sinis A settembre è finita l’ultima grande festa di queste piane: la Corsa degli scalzi, che a centinaia hanno condotto a Cabras il simulacro

del santo protettore dall’avamposto costiero, San Salvatore, fra ali di folla, implorandone la protezione. Forse da qui può cominciare il viaggio nell’Oristanese, dalla penisola del Sinis. Dall’ipogeo al centro del villaggio che racconta una lunga storia di invasioni, cacciate e fughe: sotto la chiesa del XII secolo, la grotta scavata nella roccia in età neolitica, un pozzo sacro per il culto delle acque di epoca nuragica, e sulle pareti iscrizioni in caratteri punici, greci, latini, arabi. Pitture di culti pagani: quello del dio Sid, il guaritore, per i punici; per i Romani del dio Asclepio. A nord del golfo di Capo San Marco, le sterminate spiagge del Sinis, Is Arutas, Su Maimoni, la lunga scogliera di arenaria regno degli uccelli che si spinge sino a S’arena

In apertura: Cabras, vedute degli scavi di Tharros. Sotto, fenicotteri nello stagno di pauli majori, Santa Giusta

Città di laguna A Cabras si trovano molti spacci del muggine e relativa bottarga proveniente dalla laguna gestita da una Cooperativa. Cabras è il paesone di pescatori raccontato da Giuseppe Fiori in Baroni in laguna, dove il dominio di pochi sulla massa di pescatori in regime quasi schiavile, è stato rotto da alcuni decenni, da quando la laguna è stata comprata dalla Regione e affidata in gestione ai sottomessi di prima. Poco distanti i “giganti” del Monti Prama nei quali le popolazioni della zona stanno appassionatamente cercando un nuovo mito fondativo, proprio in queste settimane, con una campagna di scavi in corso. ottobre 2014

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inviaggio

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Tutta questione di sinergie

Il Golfo di Oristano con la Foce del Fiume Tirso e relative risaie

Da Capo San Marco per tutta la penisola, il Sinis è un immenso giacimento culturale, spettacolare contesto ambientale. Ora, a ottobre, con le risaie non più allagate che ingialliscono nel paesaggio non troppo desertico, fra lentischi, palme nane, oasi agricole. E per miracolo quasi nessun villaggio turistico per chilometri e chilometri anche lungo la costa

scoada, e alle spiagge di Capo Mannu di recente scoperte dai surfisti. Ed eccolo, il Capo San Marco, San Giovanni di Sinis, con una delle più antiche chiese sarde, del VI secolo, e Tharros, la città fenicio-punica sul mare – anzi su due mari – che attira folle di visitatori, il porto strategico riparato dal maestrale, dove si stringe un istmo percorribile a piedi. All’orizzonte il grande catino aperto della Sardegna centro occidentale, mentre da una delle torri del Sinis e dal Capo San Marco lo sguardo può andare a Capo Caccia a nord, Alghero, e a meridione sino alle isole di San Pietro e Carloforte.

Qui si beve Vernaccia Da Oristano, dalla Cantina sociale della Vernaccia, davanti alla basilica del Rimedio, comincia un viaggio alla scoperta dei vini dell’Oristanese, e poi tornando a Cabras alla cantina privata con più storia alle spalle, dei fratelli Contini. Ci sono a Cabras altre due cantine private della Vernaccia (Silvio Carta e Francesco Atzori), altre nei paesi di questa sponda destra del Tirso, a San Vero Milis (Josto Puddu) e a Zeddiani (fratelli Serra). Assaggi di buona Vernaccia sono possibili nei bar di questi paesi, a cominciare da Solarussa.

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Elisabetta Falchi è Assessore regionale all’Agricoltura della Regione Sardegna ma è anche una risicoltrice. Da più di 60 anni, infatti, quella del riso è un’importante realtà economica dell’agricoltura isolana soprattutto grazie alla Diga del Tirso sul Lago Omodeo. Scopriamola insieme Assessore Falchi, quando è iniziata l’esperienza risicola in Sardegna? Si cominciò negli anni ’40 del secolo scorso nella zona della bonifica di Arborèa pensando che i notevoli volumi di acqua necessari per l’irrigazione avrebbero contribuito al dilavamento e all’allontanamento del sale dagli strati superficiali del terreno. Ben presto la risicoltura trovò le sue condizioni ideali in alcune aree dell’Oristanese dove, unica coltura praticabile, consentì l’utilizzo e la conseguente valorizzazione dei terreni paludosi e di quelli a bassa fertilità che costituiscono una delle più vaste aree umide d’Europa. In tale contesto le risaie si sono inserite in maniera del tutto naturale e anzi, hanno svolto un ruolo di “fiancheggiamento” e collegamento con effetti ambientali di grande rilievo. Al contrario di quanto normalmente si afferma, infatti, le risaie non “assorbono” e poi “sprecano” grandi quantità di acqua: l’irrigazione necessaria per la coltivazione del riso, alimentando le falde, consente anzi un notevole apporto d’acqua dolce agli stagni. Questo processo, limitando i fenomeni di eutrofizzazione, favorisce l’aumento della produttività del pescato e il miglioramento di qualità del prodotto, principalmente orate e muggini (cefali). Intanto, nel corso degli anni, tra gli agricoltori è andata sempre Il riso sardo è molto apprezzato sul mercato poiché il vento marino comporta una bassa umidità con conseguente assenza di malattie fungine, nonché un colore molto bianco dopo la lavorazione


«Attualmente sono un centinaio le aziende risicole su una superficie di circa 3300 ettari e le varietà messe a coltura sono numerose: da quelle tradizionali, Balilla e Lido, a Volano, Carnaroli e Baldo» afferma Sandro Stara della sede di Oristano dell’Ente Nazionale Risi più affermandosi la monocoltura risicola con conseguente specializzazione delle aziende. Gli agricoltori hanno quindi dovuto dotare le proprie aziende di nuovi macchinari e attrezzature sostenendo investimenti assai elevati. Essendo il mercato del riso detenuto e gestito dalla grande industria, però, solo una concentrazione dell’offerta avrebbe consentito di raggiungere una contrattazione del prezzo accettabile: si rese dunque indispensabile la nascita di un efficiente sistema di Cooperative di produttori, al fine di affrontare uniti, e con maggiore peso commerciale, le impegnative fasi di produzione, contrattazione e commercializzazione. Grazie quindi all’acquisita capacità imprenditoriale da parte degli agricoltori, a tecniche di lavorazione sempre più raffinate, ma soprattutto per merito delle condizioni climatiche che favoriscono un’elevata potenzialità qualitativa, la risicoltura in Sardegna è oggi una realtà fiorente e ha raggiunto picchi di produzione degni di considerazione a livello nazionale. Quanto e quale riso viene prodotto? La superficie coltivata nell’Isola raggiunge i 3.500 ettari, di cui 3 mila nella sola Provincia di Oristano: per questo quando si parla di risicoltura sarda ci si riferisce quasi esclusivamente al territorio oristanese. Il 30% della produzione è destinato alla riproduzione, cioè alle sementi, e il restante 70 alla produzione di riso per l’alimentazione. Rispetto a quello prodotto nel continente, il riso sardo alimentare si distingue per le ottime caratteristiche organolettiche e per l’assenza di difetti e macchie causati dalle fitopatie meno presenti sull’isola. Se ne coltivano diverse varietà di cui alcune storiche come il Carnaroli o il Balilla, ma si stanno affermando anche altre di più recente introduzione come i risi aromatici, tipo il Basmati o i colorati tipo il Venere.

Questo contesto è compatibile con lo svilupparsi di un circuito turistico eno-gastronomico-ambientale? Grazie al favorevole contesto in cui opera, la risicoltura coniuga ed esprime un indiscutibile esempio dello stretto legame tra l’attività produttiva e la morfologia dell’ambiente nel pieno rispetto del concetto di multifunzionalità, perno centrale del dibattito sul futuro delle politiche agricole e agroambientali in Europa. Da parte mia, ritengo che solo in un’ottica di collaborazione si riuscirà a realizzare quel sinergico circuito turistico enogastronomico-ambientale che tanto gioverà a tutta l’economia della Provincia di Oristano ormai quasi pronta a decollare. Purché ci sia la volontà di tutte le parti. Questo è il mio positivo e finale auspicio.

Elisabetta Falchi è Assessore regionale all’Agricoltura della Regione Sardegna

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Atmosfere d’altri tempi

Il Duomo di Oristano. Sotto, la Corsa degli scalzi di settembre che va da Cabras a San Salvatore

La risicoltura in Sardegna cominciò negli anni ’40 del secolo scorso nella zona della bonifica di Arborèa. Ben presto però trovò le sue condizioni ideali in alcune aree paludose dell’Oristanese dove era l'unica coltura praticabile

Appena al di là del ponte sul Tirso, il capoluogo della provincia, Oristano. Città piccola e ordinata che nel bel centro storico conserva le tracce dell’età giudicale, della grandezza di Eleonora d’Arborea, giudicessa legislatrice che è uno dei miti dei sardi e delle donne, e dei dominii medievali trasformati nel corso dei secoli in palazzotti dei grandi agrari. Nell’Antiquarium Arborense un percorso archeologico racconta la lunga storia di questi luoghi, ricostruisce la vicenda di Tharros, le sovrapposizioni, il riuso delle pietre per edificare Oristano; nella vicina chiesa di San Francesco, il Cristo ligneo di Nicodemo (tra XIV e XVI secolo), considerato il più importante simulacro di Sardegna. Il mercato merita una visita per l’umanità che circola fra i banchi di pesce, la verdura e la frutta. Non lontana, in via Mazzini, la cartolibreria di Giovanni Corrias, con vecchie collane di libri con ancora il prezzo in lire, cartoline, penne e compassi, involontario vintage dove curiosare per ore.

Polenta e arselle A sud d’Oristano, s’apre la piana bonificata di Arborèa, l’opera idraulica più costosa del secolo scorso, avviata con la costruzione della diga del Tirso nel 1921. Fra idrovore, canali e stagni, ecco Arborèa, esempio del razionalismo italiano del Ventennio, con torri e silos, la casa del Fascio, le strade regolari.Allevano, gli arborensi, bestiame da latte e coltivano ciò che occorre a un sistema quasi autosufficiente: tutto il latte vaccino consumato in Sardegna è confezionato qui, hanno la loro banca cooperativa, e costumi propri, e la Sagra della polenta in autunno, originale più di tutte. Ed è andando per queste strade numerate e 100

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dove mangiare Ristorante da Gino Presso la Torre di Mariano. Il pesce viene pescato spesso dallo stesso gestore, Nazzaro. Prezzo medio, bevande escluse: 25/30 euro Via Tirso, 13 Oristano Tel. 0783.71428

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Scelti per voi

Movida Siamo nel paese della Vernaccia. In tavola risotti e spaghetti ai ricci o alle orziadas: attinie prelibatissime. Alle pareti due quadri di Antonio Amore, il più importante artista oristanese dell’ultimo mezzo secolo. Si mangia con 25 euro Via Gramsci, 24 Solarussa (Or) Tel. 0783.374081 Su Cardulèu Carni di Mèlina, razza bovina locale, o pecora in antiche ricette sarde dell’interno. Prezzo medio: 30 euro via Sant’Agostino, 1 Abbasanta (Or) Tel. 0785.563134 – 345.8342224 www.sucarduleu.it

dove dormire Hotel Duomo Casa del XVII secolo sulla strada lungo la quale si corre la Sartiglia a carnevale, giostra equestre in maschera di grande suggestione. Doppia da 120 euro Via Vittorio Emanuele II, 34, Oristano Tel. 0783.778061 www.jostoalduomo.net Hotel Mistral Moderno, non lontano dal centro storico, gestito dalla famiglia Sanna. Doppia a 70 euro Via Martiri di Belfiore, 2 - Oristano Tel. 0783.212186 www.hotel-mistral.it B&b Antico Borgo In un paese di collina bandiera arancione del Touring Club. In autunno si va nei boschi alla ricerca di funghi, o nella non lontana Giara alla ricerca dei cavallini selvatici dell’altopiano. Doppia a 70 euro Via Sant’Ambrogio, 5 Laconi (Or) Tel. 0782.869047 – 340.2767339 www.anticoborgoweb.it

Barche di pescatori a Marceddì, località nota, assieme a Capo Frasca, per le sue arselle, le più buone della Sardegna

Un tempo queste terre erano malariche, e arrivavano i predoni dal mare. I sardi riparavano nell’interno, spaventati: hanno coltivato da allora miti di salvezza e incubi sotto forma di saraceni, barbareschi, scorribande dei goti. Antonio Gramsci, che era di queste parti, la osservava questa angoscia diventata anche sentimento politico: “Il nemico viene sempre dal mare” diritte che si arriva all’estremità meridionale dell’Oristanese, a Marceddì, villaggio di pescatori poveri e raccoglitori di arselle ormai emancipati all’accoglienza turistica. Si vedono ancora, chini sull’acqua, nello specchio fra Marceddì e Capo Frasca, con le arselle più buone della Sardegna in vendita nello spaccio della Cooperativa accanto alla chiesetta, e cucinate nei ristoranti meta delle escursioni dei sardi che cercano buoni sapori di mare e laguna, anche d’inverno.

latino, Santulussurgiu. Da qui comincia un viaggio alla ricerca di formaggi ovini e vaccini, nei minicaseifici biologici. Vini ottimi di proprietà a Neoneli, Samugheo, e a Mogoro nella parte meridionale una grande cantina cooperativa. Qui è anche aperta la mostra dell’artigianato artistico, si vedono i tappeti della tradizione sarda. Così anche a Samugheo, nel Museo del tappeto, mentre a pochi chilometri, in uno dei paesi più belli dell’isola, Busachi, con le case in trachite, può accadere di vedere le donne in costume tradizionale, e non solo le anziane. Siamo a monte dalla diga vecchia del Tirso (Cantoniera) e da quella nuova (Eleonora d’Arborèa). Così tutto si tiene, siamo tornati ai paesaggi umidi, con il grande lago Omodeo che dà l’acqua al Campidano oristanese, e alle risaie.

L’altro Oristanese Coi primi rilievi ecco i contadini in Marmilla, i pastori nel Montiferru e gli altipiani attraversati dal Tirso a nord, fra Sedilo, Pauli-

Per saperne di più:

www.penisoladelsinis.it www.costadelsinis.it www.gooristano.it

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Il dolce abbraccio della Costiera di Francesco Condoluci

Di lei si innamorarono Jackie Kennedy, Gianni Agnelli e buona parte del jet-set degli anni ’60. Ma oggi, la mondanità, Conca dei Marini la lascia ad altri, riservandosi il lusso della tranquillità. Dalle casette a filo di mare alla roccia sulla quale svetta il Monastero di Santarosa - dove è nata la famosa “sfogliatella” - è tutto un saliscendi di scorci unici e viste mozzafiato. Con il mare che, pur splendido, qui è solo un pretesto

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Campania

Conca dei Marini

Strano destino quello di Conca dei Marini. Chi muove verso la Costiera Amalfitana da Napoli non può che fermarsi nella coloratissima Positano, “chè per quanto è bella non pare neanche vera” come scriveva John Steinbeck. Chi ci arriva invece da Salerno incontra Amalfi e, inevitabilmente, si lascerà stregare dall’incanto del Duomo e dei suoi vicoli. Conca si trova esattamente tra i due comuni più celebrati della Costa: un mucchio di case bianche in calce che viene giù dall’alto della collina di San Pancrazio, lembo dei Monti Lattàri, e dopo un balzo di circa 400 metri si tuffa in picchiata dentro le acque del Golfo dello Smeraldo raccolte dentro una piccola baia delimitata dal promontorio di Capo di Conca, il punto della Costiera più proteso verso il mare. Il mare, già. Chi pensa che siano le calette esclusive e le acque cristalline che le bagnano, la ragione ultima per una tappa in Costa d’Amalfi, si sbaglia di grosso. Il mare, qui, è solo un pretesto. «Questa è una montagna che spunta dal Mediterraneo e non viceversa», dicono da queste parti per rendere l’idea. In effetti, qui la gente, che ha sempre vissuto "di remo e di vanga", ha un piede in acqua e l’altro sui monti. In mezzo, a scandire albe e tramonti e a dividere terra e mare, ci sono le scale. Centinaia, migliaia di scale. Soprattutto a Conca dei Marini. Dove c’è chi, il paese, lo chiama “Conca dei gradini”.

Su e giù per scalinatelle infinte

Una suggestiva immagine di Capo di Conca, il punto della Costiera più proteso verso il mare, bagnato dalla calda luce del tramonto

Condannata dalla geografia a vivere all’ombra di Amalfi e Positano, Conca, appena gliene si dà l’occasione, si prende la rivincita, conquistando il visitatore che alla mondanità delle “sorelle” più celebrate, preferisce una quieta bellezza. Non è un caso che qui, nella parte bassa del paese, tra le casette a filo di mare del vecchio borgo marinaro, abbiano trovato ristoro, tra gli altri, la principessa Margaret d’Inghilterra e

Uno smeraldo in fondo al mare La lingua di roccia sporgente nel mare che abbraccia Conca dei Marini formando l’ansa a cui il paese deve il suo nome, custodisce una delle perle più sfavillanti di tutta la Costiera: la mitica Grotta dello Smeraldo accessibile solo in zattera e famosa per il presepe subacqueo e per il colore abbagliante delle sue acque, frutto di uno straordinario gioco di riverbero della luce solare che dall’esterno riesce magicamente a penetrare in profondità.

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L'ingresso della Tonnarella, ristorante aperto da Umberto Lauritano negli ambienti di una storica tonnara

La verità, vi prego, sulla sfogliatella! Tutti sanno che la sfogliatella Santarosa è uno dei dolci tipici della pasticceria partenopea. Ma dove nasce veramente? «Nel 1600, una delle monache di clausura del Monastero di Santa Rosa, mescolando un po’ di semola cotta al latte, frutta fresca, zucchero e liquore di limone, creò un ripieno a cui sentì il bisogno di dare un involucro, modellando così una sfoglia a forma di cappuccio – ci racconta Tiziana Carbone, consulente turistico e anima del concorso gastronomico dedicato ai pasticcieri del Santarosa Conca Festival che da tre anni ad agosto è un appuntamento fisso – Nacque così la sfogliatella Santarosa, da Rosa da Lima, Santa a cui era dedicato il convento. Per un secolo la sua ricetta venne

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custodita gelosamente. Poi un furbo oste napoletano, Pasquale Pintauro, riuscì a carpirla, la modificò levando le amarene e introdusse la variante “riccia” con strati sottili di sfoglia ripieni di semola, uova, canditi, latte e zucchero. E iniziò a produrla a Napoli, dove in breve diventò una specialità tipica». Ma la sfogliatella è solo la dolcissima ciliegina (o meglio amarena!) sulla torta di una tavola, quella di Conca, che per ogni portata vanta sfiziose specialità. Così, tra i primi, spiccano gli spaghetti o’piennl, dove i pomodorini piennoli sono quelli coltivati sui Monti Lattàri. Tra i secondi, cucina di pesce a parte, troviamo il coniglio servito nelle foglie di limone. Il vino più apprezzato è un rosso autoctono, il Piedirosso (detto per’e palummo, piede di piccione) che si beve in caraffa con dentro le percoche, le pesche tagliate a pezzi. Nel caffè infine è d’obbligo mettere ’a shcurzetta, una buccia di limone che gli conferisce un tocco sublime di sapore. L’alternativa è un bicchiere di Cunciertu, amaro da fine pasto fatto con una decina di erbe e frutto della sapienza dei monaci.

l’avvocato Agnelli, la famiglia Chandon (quelli del celeberrimo champagne Moët et Chandon) e Jacqueline Kennedy. Ad innamorarsene, si dice, furono anche le janare, le streghe della credenza popolare campana che un tempo ne infestavano il promontorio. Oggi che di megere sul Capo non v’è più traccia, sulla sua sommità svetta solinga la torre circolare del ’500, un tempo vedetta contro le invasioni piratesche e oggi eterna sentinella di tutta la cala, tra le più incantevoli dello Stivale. Se non ci credete, andateci quando c’è luna piena e le luci dei pescherecci, che in queste notti vanno a pesca di totani, ne illuminano le acque antistanti: vi sembrerà d’essere di fronte a quadro di Van Gogh. Dopo il Capo, verso Amalfi, appena prima della scogliera di Vettica, giù in fondo a una cascata di scalini s’apre la Marina, un pezzetto di Eden scavato nella roccia, una spiaggia che in passato ospitò anche una tonnara, chiusa a metà del secolo scorso. I resti si vedono ancora, ma nei molazzeni, i locali dove si portavano i tonnacchi appena pescati, oggi ci sono i tavoli e le cucine della Tonnarella, il ristorante che Umberto Lauritano, detto O Bacchiss, ebbe l’intuizione di aprire negli anni ’60, quando su questi ciottoli ci camminavano i divi del jet-set internazionale. «Il nostro piatto forte restano gli “spaghetti alla Jacqueline” – racconta Franco, il figlio, attuale gestore – zucchine, pancetta, basilico e un formaggio che fanno qui vicino ad Agerola, il provolone del Monaco: il tutto fritto nella sugna del maiale. La moglie di

Si dice che due americane, capitate molti anni fa da queste parti, non appena messo piede a Capo di Conca, si siano messe a pregare “che Dio le facesse morire in quel momento, per essere seppellite lì e riposare per sempre in quell’angolo di Paradiso”


Scelti per voi dove mangiare Ristorante O’Bacchiss La Tonnarella Imperdibili, oltre agli “spaghetti alla Jackie”, i tubetti coi totani e per secondo tagliata di tonno servita col sale grosso, cannolicchi o gamberi freschi. Si mangia con 25 euro Via Marina, 1 - Conca dei Marini (Sa) Tel. 089.31939 www.ristorantelatonnarella.com

compagne di strada

Il Suv per tutti La necessità aguzza l’ingegno. Nel caso di Dacia, mai detto fu più veritiero. In tempi di budget striminziti, la casa automobilistica del gruppo Renault ha realizzato un piccolo miracolo: una macchina bella, funzionale, di stile e personalità, a un prezzo senza eguali e con performance imbattibili nei consumi. È la Duster, il Suv campione di essenzialità che sta conquistando stuoli di automobilisti in tutto il mondo. Noi compresi, a maggior ragione dopo averla provata su un itinerario sconsigliato ai deboli di cuore come la Costiera Amalfitana. Dove sulla serpeggiante statale 163, la Duster - in versione 1.5 dCi da 110 cv - ha risposto alla grande, superando senza sforzo, col suo cambio a 6 velocità, qualunque declivio. Bagagliaio ampio, abitacolo comodissimo e guidabilità eccellente sono punti di forza di una vettura solida e low cost, ma solo nel prezzo. Per il resto, fidatevi, nell’allestimento Lauréate completo c’è tutto: display touch screen, navigatore satellitare, sensori di parcheggio posteriori, cruise control... Dacia Duster 1.5 dCi 110 CV 4X2 Lauréate: prezzo di listino 17.619 euro

Lido Capo di Conca Proprio sotto la Torre Bianca. Da provare gli scialatielli ai frutti di mare. Prezzo medio: 20 euro Via Capo di Conca Conca dei Marini (Sa) Tel. 089.831512 www.capodiconca.it

Il seicentesco Monastero di Santarosa oggi trasformato in un lussuoso hotel, nel rispetto della struttura originale

John Kennedy ne andava ghiotta. C’è pure una foto che ha fatto storia, dove la si vede mangiare qui assieme alla sorella». Per tornare su al centro del paese, dove vivono quasi tutte le settecento anime che vi risiedono abitualmente, bisogna armarsi di forza e coraggio e rifare a ritroso tutte le strette, infinite, scalinatelle che punteggiano l’abitato. Dai limoneti spuntano case e terrazzini e a guardar giù si godono vedute mozzafiate del Capo di Conca, alle quali fanno da schermo le cupole delle tante chiesette disseminate per il borgo: San Pancrazio, Sant’Antonio da Padova, San Giovanni Battista, San Michele Arcangelo. In alto si erge invece austero il Monastero di Santa Rosa. Eretto nel 1681 per volere di suor Rosa Pandolfi, dopo l’Unità d’Italia rimase abbandonato per decenni, finchè un albergatore romano non se ne invaghì, rilevandone la proprietà per trasformarlo in un complesso alberghiero che di recente è diventato un lussuosissimo hotel. Con vista sul mare dall’alto, superfluo aggiungerlo.

Per saperne di più:

www.concadeimarini.eu www.torrecapodiconca.it www.santarosaconcafestival.com

Euroconca – Da Claudio Per gustare la sfogliatella tipica di Conca anche in versione salata. A mò di cuoppo con dentro acciughe, calamari e gamberi, oppure come contorno di uno spaghetto allo scoglio. Prezzo medio: 25 euro Via Smeraldo, 67 Conca dei Marini Tel. 089.831621/338.1783798 www.euroconca.it

dove dormire Monastero Santa Rosa Hotel & Spa Magnifico resort per ritemprare corpo e mente. La piscina Infinity affacciata sulla costiera, vale da sola il prezzo del soggiorno. Camere da 390 euro Via Roma, 2 Conca dei Marini (Sa) Tel. 089.8321199 www.monasterosantarosa.com Hotel La Conca Azzurra Albergo a mare, dove ogni camera ha un grande terrazzo privato con vista sulla costa. Lido privato e ristorante con cucina tipica, a picco sugli scogli. Doppia da 97 euro Via Smeraldo, 35 - Conca dei Marini (Sa) Tel. 089.831610 www.concaazzurra.com Amalfi Residence Nel cuore del centro storico, deliziosa casa-vacanza con miniappartamenti finemente arredati. Balconi, ovviamente, panoramici. Appartamenti da 120 euro per due persone Via Sant’Angelo, 5 Conca dei Marini (Sa) Tel. 089.873588 www.amalfiresidence.it

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inviaggio

Mainarde: senti che musica… testi e foto di Carlos Solito

Molise settentrionale, provincia di Isernia, scampolo meridionale di uno dei Parchi Nazionali più antichi d'Italia. Appennino allo stato puro con tanto di paesini medievali, natura da màlia, arti e tradizioni. Seguiteci, dunque, nella patria degli zampognari

È qui, nell’alto Molise, che l’Appennino centrale allunga le sue ultime propaggini tra i rilievi delle Mainarde, montagne di tutto rispetto. Sia per le loro altitudini che superano i duemila metri con le vette dei monti Mare e Meta, che per la morfologia a tratti davvero selvaggia e vertiginosa, e gli estesi boschi di faggi misti a roverelle, aceri, ornielli e carpini. E poi per le verdi vallate inorgoglite da fiumi e specchi d’acqua, le tante orchidee – circa 50 specie – che colorano e profumano i sotto106

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boschi, le vaste testimonianze dei ghiacciai del Quaternario fatte come circhi e valli a “U”. E anche per i segni dell’uomo: per la storia e l’arte scritta tra piccoli abitati medievali e monumenti religiosi come la millenaria abbazia di San Vincenzo, per le tradizioni che vantano la costruzione della zampogna a Scapoli, per la gastronomia ancora straordinariamente legata ai sapori di un tempo. Un’oasi di insospettabile bellezza incastonata come un gioiello nell’angolo più settentrionale del Molise tra Abruzzo e Lazio, proprio dove corrono i confini dello storico Parco Nazionale istituito l’11 gennaio del 1923 per Regio Decreto. Ma le Mainarde e


Molise

La Pompei monastica

la loro maestosa sintesi delle bellezze appenniniche sono state incluse nell’area protetta solo nel 1990. “Meglio tardi che mai!” esclamerebbero – se solo potessero – orsi, camosci, cervi, caprioli, lupi, linci, gatti selvatici e aquile, oggi più sicuri di aggirarsi o volteggiare tra paesaggi dove “la natura è protetta”. Di sicuro ne sono contenti gli abitanti dei centri di Rocchetta, Pizzone, Castelvuovo al Volturno, Castel San Vincenzo e Scapoli che hanno apprezzato i vari interventi e le attenzioni del Parco sui rispettivi territori con recuperi ambientali, delle emergenze architettoniche, e soprattutto delle tradizioni, l’anima di questa terra.

Ma che bel paesello… Difficile scegliere da dove cominciare. Ogni luogo, ogni paese è giusto per aprire il tour tra i paesaggi delle Mainarde. Arrivando da Isernia, Frosinone o Cassino lungo le arterie principali, il punto di partenza migliore è sicuramente Colli al Volturno dall’intricato centro storico con viuzze, piazzette, porte antiche, archi e scale in pietra. Tra i quartieri Cittadella, Teglia e Sant’Antonio si gironzola per arrivare alla chiesa Madre dedicata alla Vergine, costruita nel XVII secolo su una preesistente struttura dell’anno Mille circa, con al suo interno un crocifisso ligneo e una fonte battesimale in pie-

Tra i monumenti religiosi più insigni del Molise, e fiore all’occhiello della valle del Volturno, l’abbazia di San Vincenzo al Volturno è molto battuta da turisti e amanti dei monumenti. Fu fondata nell’VIII secolo dai benedettini e in poco tempo divenne importantissima in tutta Europa fino a quando fu brutamente saccheggiata dai saraceni nell’881. Risorse nel XII secolo sulla riva opposta del fiume con più robuste fortificazioni e l’antico nucleo è costantemente oggetto di scavo da parte degli archeologi che per via della sua grande struttura e delle scoperte straordinarie l’hanno definita una Pompei monastica. Antiche pavimentazioni, mura e soprattutto la cripta dell’abate Epifanio, una delle più antiche testimonianze della pittura italiana prima del Mille, a croce latina con volta a botte completamente ricoperta da affreschi bizantini che riproducono la Natività, la Crocefissione, il Martirio di Santo Stefano e San Lorenzo, il Cristo Benedicente, la Madonna col Bambino tra i tre Arcangeli, una processioni di Vergini, le Pie Donne e l’Angelo al Sepolcro. ottobre 2014

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inviaggio

tra. Da vedere anche la chiesa di San Leonardo decorata da affreschi di varie epoche, la chiesa di Sant’Antonio e, nei pressi della località Serra del Lago, parte di una cinta muraria sannitica. Lungo la statale158 in bella posizione tra gli oliveti troneggia l’abitato di Cerro al Volturno incoronato dalla possente mole del castello che a un primo colpo d’occhio pare il prolungamento naturale della rupe sulla quale si aggrappa il centro. Originario del X secolo con torrioni angolari del Quattrocento, il maniero è noto agli italiani perché per tanti anni ha rappresentato il francobollo da duecento lire emesso il 22 settembre 1980 per la serie “castelli d’Italia”. Costeggiando il rio Jemmare, in alcuni punti incassato in gole calcaree, si entra a Pizzone adagiato sul fianco di un colle come un presepe con le chiese Madre di San Nicola e Santa Liberata e il centro dell’Ente Parco dell’orso bruno marsicano. Ed è proprio Pizzone l’avamposto del pianoro le Forme dal quale parte un sentiero che in circa quattro ore raggiunge la vetta della Meta passando per boschi di faggi e la fiabesca valle Pagana frequentata da camosci e gheppi. L’itinerario punta nuovamente indietro per salire a Castel San Vincenzo, panoramica su uno sperone di grigio calcare in vista di un grande lago artificiale dove vale In apertura: Rocchetta Vecchia al Volturno. Qui, Il fiume Volturno e le Mainarde innevate la pena visitare le chiese di San Martino, Santo Stefano e San Filippo Neri. Se in paese sentirete parlare invece dell’eremo di San Michele, farete bene a farvi indicare dove si trova: vale davvero un viaggio l’escursione di circa un’ora per boNelle borgate di Ponte e Fonte Costanza a Scapoli, sopravvive una delle schi e sorgenti nella valle di Mezzo per raggiunarti più antiche e importanti per l’intero Appennino: il costruttore di zamgere un’alta caverna con la piccola architettura pogne. Realizzate soprattutto in legno di ulivo e ciliegio, costituite da due canne in legno di differenti lunghezze facenti capo a una testata e un sacra dedicata al Principe degli Angeli. A Casteotre di pelle di pecora o capra che contiene delle ance, le zampogne qui lnuovo Volturno si passeggia per un borgo ricovantano dei bravi artigiani in grado di realizzarle come nei tempi antichi. struito del tutto in seguito a un beffardo evento E, ovviamente, anche di suonarle. Tra insospettabili botteghe, Luigi Ricci e Umberto Di Fiore producono diverse decine di accaduto alla fine del secondo conflitto monzampogne ogni anno per una fascia di amatori e diale, quando truppe inglecollezionisti che, fortunatamente, cresce sempre si e americane – con la proSono montagne di tutto rispetto, di più. E a Scapoli non poteva mancare il Museo messa di una ricostruzione ai della Zampogna allestito dall’associazione cultule Mainarde. Per le loro altitudini rale Circolo della Zampogna con strumenti realizlocali – distrussero il centro e la morfologia selvaggia. zati nella zona, di altre parti d’Italia ed estere. antico per registrare un doPer la storia scritta tra piccoli abitati cumentario propagandistico Per saperne di più: medievali, le suggestive tradizioni su eventi accaduti durante la www.museodellazampogna.it www.zampogna.org e una gastronomia che sa di antico guerra contro i tedeschi. Og-

Qui è sempre Natale

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Scelti per voi dove mangiare Locanda Belvedere Tipicità dell’entroterra interpretate dal giovane chef Stefano Rufo. Menù a partire da 35 euro Contrada Pratola Castelnuovo al Volturno (Is) Tel. 338.1730892 www.locandabelvedere.eu Terra Nostra I migliori ravioli alla scapolese e arrosti di carne con insaccati del luogo. Menù a partire da 25 euro Via Fonte La Villa, 1 - Scapoli (Is) Tel. 0865.954135

dove dormire B&b La Sorgente Struttura cinta da un verde giardino, e camere con vista sull'Appennino. Doppia da 70 euro Via Sandro Pertini, 12 Rocchetta al Volturno (Is) Tel. 393.9518804 www.bb-lasorgente.com B&b Noce Spagnola Pietra, legno e ferro battuto sono “gli ingredienti” delle camere di questo B&b, dove si respirano atmosfere di un tempo. A persona: 40 euro Via Garibaldi, 9 Rocchetta al Volturno (Is) Tel. 389.1093933 www.nocespagnola.com

Qui, Umberto di Fiore e le sue zampogne. Sotto, da sinistra: l'Abbazia di San Vincenzo al Volturno, un momento della Festa dell'Uomo Cervo che si svolge durante l’ultima domenica di Carnevale e un dettaglio del fiume Volturno

gi Castelnuovo è noto per la festa dal gusto pagano dell’Uomo Cervo durante l’ultima domenica di Carnevale. Si entra a Scapoli, la patria della zampogna, passeggiando tra i vicoli impreziositi da portali e fregi in pietra, dominati dal palazzo Battiloro. Per conoscere meglio il borgo medievale occorre superare la porta dello Sporto e seguire il cammino di Ronda in posizione panoramica sull’abitato, le Mainarde e la valle del Volturno. D’obbligo la sosta gastronomica, come tradizione vuole, per i grandissimi ravioli alla scapolese ricchi di ricotta, uova e carne tritata: tra i simboli del food

molisano. A pochi chilometri c’è il suggestivo paese fantasma di Rocchetta al Volturno Vecchia con il castello Battiloro il cui abbandono seguì a un bombardamento durante la Seconda Guerra Mondiale e a una frana innescata dallo stesso. Passeggiare nel borgo medievale è una full immersion nella pietra tra strade lastricate, portali finemente scolpiti fino alla chiesa di Santa Maria nella quale si trova un fonte battesimale, in calcare, del XII secolo. Per finire, sempre a Rocchetta, si visita la chiesa rupestre della Madonna delle Grotte decorata da affreschi medievali.

dove comprare Zampogne Luigi Ricci Via Cannine, 10 Scapoli (Is) Tel. 0865.952078/328.6429300

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inviaggio

Lungo il sentiero del castagno di Gilda Ciaruffoli

Nasce in Valle Isarco la tradizione del TÜrggelen, ovvero la passeggiata autunnale alla scoperta dei piÚ tradizionali sapori altoatesini e del vino novello. Ma questa zona è anche terra di grandiosi castagneti, i cui frutti accompagnano le degustazioni con la loro polposa dolcezza. Da Vipiteno fin quasi a Bolzano, tra borghi antichi, castelli e chiese, vette innevate e masi accoglienti, percorriamo insieme questo cammino dei sensi seguendo una strada di foglie rosse 110

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Alto Adige Vipiteno Bolzano

Castagne e speck sono tra i protagonisti del Törggelen assieme al vino nuovo. Per una sosta di gusto durante la tipica passeggiata autunnale tra le cime delle Dolomiti

Esistono parole intraducibili. Così legate alla storia, alle tradizioni e al comune sentire di una popolazione che il loro significato in altre lingue deve essere raccontato, spiegato. Non si può sintetizzare in un solo termine. Questo vale ad esempio per Törggelen. Nel 1866, il volume Tirolisches Idiotikon che lo riporta per la prima volta ne individua il significato con l’uso di “bere il vino novello in autunno”. Vero e proprio rito che portava i locali a camminare da un maso all’altro per assaggiare il nuie (il vino nuovo), le castagne (kösten) e gli altri prodotti di stagione, pare che la primogenitura del Törggelen sia da ricercare in Valle Isarco: qui infatti la vitivinicoltura raggiunge la latitudine più settentrionale d’Italia e la modesta resa della vendemmia di Schiva, prima di tutto – ma anche di Sylvaner, Müller Thurgau, Kerner, Gewürztraminer, Veltliner – non consentiva al vino di durare più di un anno. L’attesa per il novello – in novembre, e per il succo d’uva (susser) in ottobre – era quindi altissima. Attorno ai tavoli dei masi si riunivano contadini, parenti e amici di città, che approfittavano dell’evento per godere dei colori intensi dell’autunno altoatesino, dei rossi e dei gialli di foglie che facevano da cornice a cieli limpidi e cime imbiancate, dal Sassolungo, al Gruppo del Sella, dalle Odle allo Sciliar. Ne approfittavano anche per assaggiare le bontà che il maso offriva loro: speck genuino, kaminwurzen (salamini affumicati), pane di segale, burro e formaggio di malga (come il graukäse, da consumare condito con cipolle). E ne approfittano ancora, visto che oggi la parola Törggelen ha ampliato il proprio significato e sta a indicare la scampagnata autunnale, da compiere rigorosamente a piedi tra i masi nelle zone della viticoltura, o poco più in alto, fino al limite dei castagneti.

Sessanta chilometri di gusto Sì, perché proprio la castagna è il principale prodotto che accompagna le degustazioni di vino in Valle Isarco. E non è un caso, visto che i castagni da queste parti prosperano imponenti e per secoli il loro dolce frutto è stato alla base della dieta contadina locale. L’autunno dunque offre la possibiliottobre 2014

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inviaggio

La Valle Isarco è lunga circa 80 km. Percorretela seguendo il Keschtnweg per assaporare con tutti i sensi il gusto polposo, caldo e dolce dell’autunno altoatesino tà al viaggiatore goloso di scoprire questa lingua di Alto Adige – lunga nel complesso circa 80 km, dalle sorgenti del fiume Isarco al Brennero fino alla foce nell’Adige a Bolzano – da un punto di vista unico, quello del Keschtnweg, il “sentiero del castagno”. Che parte dalla splendida Abbazia di Novacella, antico centro di cultura e scienza fondato nel 1142 (nella chiesa conventuale osservate bene il soffitto della seconda cappella a sinistra… rimarrete sorpresi) e prosegue per 60 km fino a raggiungere le porte di Bolzano. Prima tappa (o meglio, prima deviazione!), Bressanone. Barocca città vescovile cinta da mura, con il suo bel Duomo e il vicino forte asburgico di Fortezza che domina la valle – e che oggi è uno dei più grandi spazi espositivi di tutto l’arco alpino –, Bressanone ospita dal 3 al 5 ottobre la Festa del pane e dello strudel. Il primo è rigorosamente a marchio di qualità “Alto Adige” e dunque nella sua preparazione non possono essere utilizzati conservanti, emulsionanti o lievitanti artificiali. Il secondo invece è quello tipico, a base di mele, frutto simbolo dell’Alto Adige (festeggiato per altro poco lontano, a Naz-Sciaves, il 12 ottobre).

Di maso in maso­ Ma torniamo sul sentiero del castagno. E raggiungiamo i prati di Scezze, ancora ricchi di tracce preistoriche da scoprire, nei pressi dei quali prospera uno dei castagneti più belli della zona. Dopo aver fatto tappa alla piccola chiesa romanica di San Cirillo, con il suo bel soffitto ligneo, si raggiunge Velturno dove visitare il castello rinascimentale, l’annesso Museo della civiltà contadina, e rimpinzarsi in occasione 112

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Sempre più in alto Da Novacella, salendo verso nord, incontriamo Vipiteno, sede della comunità comprensoriale Alta Valle Isarco. Il delizioso centro storico, tutto case colorate e negozietti di artigianato tipico (nonché ottimi panifici!), vive all’ombra della quattrocentesca Torre delle Dodici che, con i suoi 46 metri d’altezza, divide la città vecchia dalla nuova. Inserita tra i Borghi più Belli d’Italia, Vipiteno è attraversata dal fiume Isarco, e deve il suo sfarzo alle antiche miniere d’argento della vicina Val Ridanna, la cui storia viene fatta rivivere nel Mondo delle Miniere in località Masseria: una tappa da non perdere. Ma la Val Ridanna è anche un’ottima meta

per trekking nel verde o per una pausa relax presso la più grande Spa della zona, quella dell’Hotel Schneeberg. Comode da raggiungere sono anche la Val Giovo e le valli di Vizze e di Fleres nonché la Val Racines con la splendida Gola di Stanghe, l’unica gola rocciosa al mondo che passa per un territorio di marmo bianco: tutte mete imperdibili, in ogni stagione. Nelle vicinanze da non perdere anche Castel Tasso, splendidamente conservato e del quale si ha notizia dal 1100, e Castel Wolfsthurn, a Mareta, che conserva al suo interno intatto l’originale arredo barocco e ospita il Museo provinciale della caccia e della pesca.


del Keschtnigl, manifestazione che dal 18 ottobre al 9 novembre celebra vino e castagne con degustazioni e tour enogastronomici. Tappa ideale per il Törggelen è qui il maso Radoarhof immerso tra castagni che raggiungono anche i 300 anni. Si prosegue quindi a mezzacosta, toccando la seicentesca chiesetta di Sant’Antonio e fermandosi presso la cittadina medievale di Chiusa. Divenuta celebre perché ritratta in Nemesi, tra le più celebri incisioni di Albrecht Dürer, che se ne era innamorato dopo un soggiorno alla fine del Quattrocento, la cittadina è da sempre calamita per gli artisti e le sue antiche osterie hanno visto sedersi ai tavoli di legno e bere pinte di birra e sidro una lunga schiera di personaggi celebri. A proteggere Chiusa il grandioso monastero di Sabiona, dove le suore benedettine vivono in assoluta clausura. Passeggiando tra vigneti, castagneti, prati e boschi, si raggiunge quindi il pittoresco borgo di Villandro con i suoi storici masi: lo Johannserhof e il nobiliare Gravetsch, prima di tutto, già sede dei signorotti di Villandro. Nonché il maso Röckhof risalente al XV secolo dove è riuscita a preservarsi una vecchia specie di vite: il Furner Hottler, del quale qui si trovano gli ultimi 450 vitigni esistenti. Tra possenti rocce di porfido e cascate spumeggianti, il sentiero del castagno prosegue fino a Barbiano, con la sua torre pendente (pare sia più inclinata di quella di Pisa) e alle vicine cascate. Bellissime. Svariati i siti che varrebbe la pena visitare in zona: su tutti il misterioso Tre Chiese, antichissimo santuario sorto intorno a una fonte, con tre cappelle gotiche dall’indiscutibile fascino. Siamo ormai al limitare della Valle Isarco, ma il sentiero del castagno prosegue sul Renon attraverso Auna di Sotto e Signato, in un susseguirsi di splendidi castagneti e antichi masi, dove inebriarsi di nuie e kösten, per assaporare con tutti i sensi il gusto polposo, caldo e dolce dell’autunno altoatesino.

Nella pagina accanto, il colorato centro di Vipiteno con la Torre delle Dodici che divide la città vecchia da quella nuova. Qui, una veduta aerea delle belle strutture che compongono l'Hotel Schneeberg Family Resort & Spa; sotto, bambini ai bordi del laghetto dell'hotel

Scelti per voi dove mangiare Unterwirt Ottima cucina del territorio. Prezzi da 60 euro Gudon - Chiusa (Bz) Tel. 472.844000 www.unterwirt-gufidaun.com Kleine Flamme Una stella Michelin premia un menù innovativo. Si cena con 50 euro Citta Nuova, 31 - Vipiteno Tel. 0472.766065 www.kleineflamme.com

dove dormire Hotel Schneeberg Family Resort & Spa Vasta struttura che ha alle spalle una bella storia familiare e che proprio alle famiglie è

votata con ampi ambienti attrezzati dedicati al divertimento (acquatico e non) dei bambini. Grazie alla bella Spa e alla puntuale organizzazione degli spazi è l’ideale anche per chi voglia prendersi una pausa di relax e per l’escursionista che qui troverà un ottimo punto di partenza per scoprire Val Ridanna e ovviamente Valle Isarco. A due passi dal Mondo delle Miniere. Pacchetti per 4 giorni con mezza pensione e buono di 20 euro per la Spa) da 259 euro Ridanna/Masseria, 22 - Racines (Bz) Tel. 0472.656232 www.schneeberg.it Hotel Pupp Piccolo hotel dal design contemporaneo e dalle scelte architettoniche ed energetiche sostenibili. Doppia da 94 euro Altenmarktgasse, 36 - Bressanone Tel. 0472 268355 www.small-luxury.it

Per saperne di più: www.valleisarco.com

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week-end mare

di Maddalena Baldini

Un’oasi di benessere nella Calabria Ionica Sulle acque del Golfo di Squillace si affaccia Marina del Marchese, un Resort capace di coniugare natura e professionalità. Ambiente raffinato dal design curato, cucina eccellente e massima attenzione ai dettagli. Qui l’estate sembra durare tutto l’anno

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Il fascino della Costa Ionica parla da sé e, agli occhi dei turisti, appare ancora più suggestiva, se la si vive nel Resort a Quattro Stelle Marina del Marchese. Siamo a Botricello, nella zona orientale della Calabria, tra Catanzaro e Crotone, immersi nel Golfo di Squillace tra mare e spiagge. Il Resort è poco distante da queste bellezze naturali, composto da due aree distinte, il Marina del Marchese e il Marina di Bruni, rispettivamente di 64 camere il primo e di 67 camere, un poco più distaccate e riservate, il secondo. Un luogo ideale per le vacanze delle famiglie e non solo, tra scorci naturali che spaziano dalle tamerici alle verdi piante di capperi, dai fichi d’India alle diverse varietà floreali. Paesaggio sì, dunque, e bellissimo, ma anche vicine località che regalano ai turisti un tocco di storia come Capo Colonna, il promontorio dove sorgeva l’antico tempio di Hera Lacinia; il borgo medievale di Gerace o la meravigliosa Tropea con tutti i suoi sapori. Tutti possono godere del territorio ma il cerchio si chiude se si è ospiti della Marina del Marchese. Una struttura moderna e ben attrezzata, arredata con classe ed eleganza, una vera e propria cittadina che regala il meglio ai turisti: campo da tennis, campo da beach volley, due piscine per gli adulti e due per i bambini, area giochi e mini club che accoglie i picco-


li ospiti dalle 9 del mattino alle 18 del pomeriggio, un'area spettacoli. Animazione sempre viva per il giorno e per la sera, bar e spazio di ristoro che completano l’offerta con il Ristorante Banchetto dei Reali, tra piatti regionali e nazionali, capaci di soddisfare le richieste e i gusti degli ospiti. In più ogni settimana la struttura propone una serata dedicata alla cucina calabrese e una serata di Gala a bordo piscina con aperitivo e menù a base di pesce. Per gli appassionati escursionisti la Marina del Marchese ogni giorno suggerisce tappe e tour differenti nelle vicine località, un modo utile per far divertire i turisti e far loro conoscere la Calabria e il suo entroterra. Il giusto equilibrio Nasce dall'idea imprenditoriale di Luca Mori e dei tre fratelli Gianni, Amalia e Cornelia Laino che dal 2013 si impegnano in prima persona nella gestione di questa struttura. Ruolo importante che spartiscono con il direttore Marco Procopio, anche lui protagonista del successo delle ultime stagioni. «Il nostro territorio ci regala già molto, mare, spiagge e natura, basta puntare su questa base in modo sensato per avere la certezza di fare un lavoro eccellente. Anche l’estate appena trascorsa ci ha portato grandi soddisfazioni! Questo perché la nostra politica di gestione ha trovato un giusto equilibrio tra i servizi che offriamo e i costi. Il nostro obiettivo poi è quello di crescere in maniera costante, portando anche migliorie al Resort che ci vengono direttamente consigliate dai turisti. Il rapporto diretto con il pubblico e le persone che ospitiamo diventa perciò fondamentale per avere consigli e per capire cosa desiderano trovare i turisti con le loro famiglie».

dove&come Marina del Marchese Beach Resort Via Marina di Bruni III Trav. - Botricello (Cz) Prezzo per una camera alta stagione: max 150 euro Tel. 0961.967490 www.marinadelmarchese.com

«Il nostro territorio ci regala già molto: mare, spiagge e natura. Basta puntare su questa base in modo sensato per avere la certezza di fare un lavoro eccellente»

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viaggi per tutte le tasche

di Piero Caltrin

Itinerari d’autunno I mesi più freddi dell’anno sono il momento perfetto per visitare città e paesi dove, oltre a rilassarci, possiamo godere degli aspetti culturali che ci offre la destinazione scelta. L’agenzia di viaggi online Logitravel.it rende la scelta molto più facile proponendoci diverse offerte e sempre alle migliori condizioni: city breaks in Europa, week-end così come una scappatella al sole di Sharm el Sheikh o delle Canarie

La città dell’amore Parigi, ad esempio, è una delle tante destinazioni che Logitravel ti mette a disposizione, dal solo hotel fino a pacchetti che includono i voli o i treni di andata e ritorno. La capitale francese invita a percorrere i suoi grandi boulevard e gallerie, visitare i musei e monumenti più celebri come la Tour Eiffel o l’Arco di Trionfo, senza rinunciare a una giornata nel mondo della fantasia di Disneyland Paris. Un fine settimana in hotel 4* con prima colazione e voli inclusi da 155 euro a persona con Logitravel.it

London time La vivacità di Picadilly Circus, la maestosità di Buckingham Palace, il Big Ben, la tranquillità di Hyde Park o delle spettacolari viste di Londra dal London Eye… Londra è la città che fa tendenza e che non dorme mai, dove puoi scegliere di vedere un musical o fare shopping in uno dei suoi mercati, vere e proprie attrazioni turistiche. Soggiorno in hotel 3* con prima colazione e voli diretti da 114 euro a persona con Logitravel.it

La perla del Danubio Budapest è la città con il più alto numero di sorgenti termali del mondo, divisa dal Danubio, grandioso fiume fonte di ispirazione per molti artisti. Enormi ponti uniscono le due rive, e le due anime della città: Buda, antica sede reale ed elegante zona residenziale, e Pest, cuore economico e commerciale della città. Perdetevi tra le sue strade piene di storia e capirete perché Budapest viene visitata ogni anno da più di 6 milioni di turisti. City break di 3 notti in hotel 4* con prima colazione e voli a partire da 125 euro a persona 116

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Per saperne di più:

www.logitravel.it/viaggi

La città delle cento torri Con i suoi monumenti, palazzi, ponti e musei, la città di Praga, sembra avvolta da magia, storie e segreti in attesa di essere svelati. Con la sua atmosfera medievale, è impensabile non visitare la Città Vecchia e la sua piazza, il Ponte Carlo, l'orologio astronomico nella piazza del Municipio, il Castello di Praga, il Clementinum… Weekend in hotel 4* con prima colazione e voli da 105 euro a persona con Logitravel.it

Nostalgie mediterranee Se non riuscite a stare lontani dal mare anche in autunno, invece, la vostra destinazione è Malta. Situata tra la Sicilia e il Nord Africa, vanta oltre 7000 anni di storia sullo sfondo di uno spettacolare paesaggio, formato da acque azzurre dalle quali emergono le sue isole minori, dove il tempo sembra essersi fermato. Da non perdere: la bellissima città di Valletta, i Templi Megalitici e l’Hal Saflieni Hypogeum. Un fine settimana in hotel 3* con prima colazione e voli inclusi da 95 euro a persona con Logitravel.it

Dove è ancora estate Ma se anche il Mediterraneo “vi va stretto” allora è tempo di partire per Tenerife, isola canaria in cui è possibile godersi sole e spiaggia durante la maggior parte dell’anno. Qui si respira anche la storia che emerge dai villaggi, chiese, conventi e palazzi signorili, mentre il paesaggio offre piscine naturali, paesaggi lunari, una vegetazione lussureggiante e il Teide, il terzo vulcano più grande del pianeta, Patrimonio dell'Umanità Unesco. 7 notti in hotel 3* con All Inclusive, voli e trasferimenti da 339 euro con Logitravel.it

Un classico intramontabile Altro paradiso a poche ore dall’Italia è il Mar Rosso con Sharm El Sheikh in testa grazie alle sue temperature piacevoli e ai suoi paesaggi spettacolari. Quello che originariamente era un villaggio di pescatori oggi è sicuramente una delle principali destinazioni per gli amanti delle immersioni subacquee e della buona vita notturna. 7 notti in hotel 4* con All Inclusive, voli e trasferimenti a partire da 265 euro con Logitravel.it

È sempre tempo di crociera Se, infine, quello che avete in mente è una vacanza sul mare che vi permette di scoprire ogni giorno una nuova città, Logitravel propone un’ampia scelta di itinerari, ad esempio quello della Costa Diadema con partenza da vari porti italiani.

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Le 3 azioni giuste per vendere il prodotto italiafoodwine Il mercato giusto

Una fiera permanente di vini e cibi italiani AÉ>iVa^V jc ^bbZchd Z higVdgY^cVg^d WVX^cd Y^ egdYdii^ V\gdVa^bZciVg^ igde" ed edXd XdcdhX^ji^ Z bVa Y^hig^Wj^i^# BVa" \gVYd jcV YdbVcYV Xdc ediZco^Va^i| Y^ XgZhX^iV ^aa^b^iViV! cdc hZbegZ aÉd[[ZgiV g^ZhXZ V gV\\^jc\ZgZ ^a bZgXVid#

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Piaceri Piaceri 120

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120 Il Cartiglio

Rubriche

la cartina in etichetta compie un secolo

• Ospitalità Italiana • Compagne di strada • Libri letti per voi • Shopping

122 Terre & Tradizioni

da pag. 126

Cento di questi giorni per Livio Felluga:

L'arte dello sferruzzare: il doppio filo che lega Vercelli tra i colori caldi del Knitting

124 Bellezza&benessere Da chi sorride a chi usa l'olio di riso: due modi per mantenersi giovani

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Foto di Luigi Vitale

ipiaceridiBacco

Le Mappe di Livio di Olga Carlini

Felluga, il patriarca dell’enologia friulana, ha compiuto 100 anni. Il primo a mettere in etichetta il territorio, quando ancora l’idea di Doc non era nemmeno nell’aria. Ecco la sua “Storia di un viaggio intorno” 120

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Acquistare una bottiglia di vino equivale sempre a un momento di grande piacere. Il piacere di poter scegliere tra migliaia di bottiglie ordinatamente esposte sugli scaffali, scegliere di degustare un vino rosso, un bianco, uno giovane delicatamente profumato o un intenso barricato. Senza dubbio – quale che sia la scelta finale – quel particolare momento equivale sempre a una parentesi ricca di suggestioni, non solo dipendenti dal vino, che resta l’indiscusso protagonista, ma anche da tutti quegli elementi che compongono la grandezza di un marchio. Il packaging – o più comunemente la bottiglia con le sue linee più o meno slanciate – e l’etichetta, vera e propria carta di identità enòica nella quale si condensano informazioni tecniche, indicazioni di luogo e anno e naturalmente il gusto estetico di un brand traducibile in grafiche audaci, segni minimali, etichette d’artista o – come nel caso di Livio Felluga – di etichette-mappe che comunicano nell’immediato l’appartenenza a un luogo, a uno specifico terroir, insistendo sull’identità del vino e del brand.

Cossa go fato de grande? Oggi Livio Felluga ha compiuto 100 anni e la sua storia varrebbe 100 di queste pagine. Da


Foto di Luigi Vitale

Friuli Venezia Giulia

Cormons

Isola d’Istria si trasferisce ancora bambino a Grado, poi in Friuli, dall’Italia all’Africa e alla Scozia per otto lunghi anni “dati alla patria”. Negli anni cinquanta ritorna finalmente alla sua amata collina, a Brazzano – dove ha sede l’azienda – e a Rosazzo dove acquista i primi terreni e dove pianta i primi Tocai, Pinot, Merlot. Il vino però, si sa, bisogna venderlo e non solo in Friuli. «Ma a Milano e a Roma – nelle parole di Livio Felluga – sanno da dove viene? Era il ’56. Sono andato a Udine da un amico antiquario e ho comprato una carta geografica. È così che nasce l’etichetta, tanti anni prima delle Doc. Del mio vino, ho dichiarato la provenienza. Mi sembra una cosa semplicissima. Cossa go fato de grande?» Moltissimo! Ancora a capo di cinque generazioni di produttori di vino, la sesta – quella dei figli – è tutta in azienda, amando e tutelando prima di tutto la campagna e poi la cantina. Quella campagna – fra i Colli Orientali del Friuli e il Collio dove si estendono i 155 ettari vitati di Livio Felluga – distesa tra il mare e l’arco alpino, caratterizzata da un particolare microclima e una speciale composizione del terreno di origine alluvionale in grado di trasmettere profumi e aromi unici a vini nobili come Picolit, Terre Alte, il Sossó, Abbazia di Rosazzo, Illivio, Sharis,Vertigo…. vini che conservano la qualità di sempre identificati dall’ormai iconica etichetta che, a ben pensare, si può definire come “la Mappa di Livio”. Per saperne di più:

www.liviofelluga.it

Cento di questi vini Un uomo dal valore immenso, Livio Felluga, che il 1 settembre scorso ha compiuto 100 anni. Per festeggiarlo il 20 settembre, sulle “sue” colline di Rosazzo, è stato svelato il Vigne Museum, l’opera permanente di Yona Friedman e Jean Baptiste Decavèle omaggio alla tradizione e alla cultura di un mestiere antico che ha caratterizzato il territorio e lo ha reso famoso a livello internazionale. Un convegno dal titolo Arte e Impresa a tutela del paesaggio rurale ha aperto la Giornata, mentre a chiuderla è stata la presentazione di 100 il nuovo vino bianco Livio Felluga dedicato ai 100 anni del patriarca dell’enologia friulana.

Storia di un uomo Livio Felluga e la mappa-etichetta. Una storia lunga quasi sessant’anni che nel cinquantenario della cantina festeggiato nel 2006 ha visto andare in stampa un pregiato volume: 50 anni di carta geografica. Storia di un viaggio intorno a cura di Elena Commessatti. Tante le firme che vi hanno preso parte, dal critico d’arte Gilberto Ganzer, all’astrofisica Margherità Hack, dallo scrittore Tullio Avoledo al matematico Furio Honsell, dall’esperto di “immagini mobili” Rinaldo Censi all’immancabile geografo e docente universitario Mauro Pascolini. Oltre 200 pagine per raccontare la storia della famosa etichetta-mappa che altro non è se non la storia di un uomo, di Livio Felluga, fondatore dell’azienda e patriarca dell’enologia friulana nel mondo.

In apertura, una delle storiche mappeetichette; qui Rosazzo, dove Felluga ha piantato i suoi primi Tocai, Pinot e Merlot

Era il ’56. Sono andato a Udine da un amico antiquario e ho comprato una carta geografica. È così che nasce l’etichetta, tanti anni prima delle Doc. Del mio vino, ho dichiarato la provenienza. Mi sembra una cosa semplicissima ottobre 2014

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terre&tradizioni

Vercelli sul filo della street art di Silvana Delfuoco

Nella cittadina piemontese, il martedì sera si sferruzza. E lo si fa insieme, presso il primo Knit-Hotel d’Italia. O ancora meglio, ogni ottobre, da tre anni a questa parte, in occasione del festival Knitting. L’appuntamento quest’anno è per domenica 5, ma le realizzazioni verranno lasciate in esposizione per i successivi 15 giorni 122

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«È un evento di Yarn Bombing, cioè di puro allestimento urbano per colorare la città nel passaggio dall’estate all’autunno, attraverso realizzazioni colorate di lana create con i ferri o l’uncinetto». Cosa sia il Knitting ce lo spiega l’instancabile animatrice della manifestazione vercellese, Sabrina Micillo, sorridente nella hall dell’Hotel Matteotti di Vercelli, l’albergo di famiglia. È qui infatti, nel primo Knit-Hotel riconosciuto nell’Italia del nord, che ha avuto inizio questa singolare avventura. «Cercavamo un’idea per ravvivare il centro cittadino con eventi da organizzare ogni anno nel mese di ottobre – continua Sabrina – Siccome a me piace lavorare a maglia, ho cercato un po’ di informazioni in giro e così ho scoperto il mondo del knitting. Una realtà all’estero già molto diffusa e da noi solo agli inizi. Con il passaparola abbiamo coinvolto nonne, zie, amiche unite dalla stessa passione e ormai da tre anni ci troviamo tutti i martedì sera qui in hotel per sferruzzare insieme. Tutto con spirito di puro volontariato».

La sciarpa di Cavour Così, grazie alla fantasia di un gruppo di signore vercellesi, le nebbie autunnali che sono solite ingrigire il panorama cittadino vengono improvvisamente squarciate da un’esplosione di colori. Ecco il Conte di Cavour arringare la folla dall’alto del suo piedestallo proteggendosi la gola dai primi freddi con un caldo sciarpone patriottico; e Garibaldi, che scruta pensieroso l’orizzonte mentre sfoggia una calda versione del suo abituale poncho argentino. Infine, per gli amanti della velocità, ecco in attesa un’autentica Fiat 500 dall’inedita carrozzeria multicolore: un “prestito” all’evento vercellese della Scuola


L’Europa è “ai ferri corti” Un’attività, quella del knitting che è riduttivo liquidare come “moda del momento”. Meglio vederla come una forma di creatività manuale di gruppo, tanto più che lo Yarn Bombing, nato qualche anno fa in Texas, ha fatto ormai il suo ingresso ufficiale nel mondo delle street art. In Europa si sferruzza senza posa da Parigi a Oslo e anche in Italia sono in crescita gli knitcaffè. Il loro punto di riferimento nazionale è l’Associazione DoKnitYourself di Milano, dove si organizzano anche corsi per neofiti e appassionati. Nel 2012 il gruppo do-knityourself e gli studenti del Naba, la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, hanno lavorato insieme per assemblare un abito composto di varie pezze differenti, preparate nel corso dell’anno dai knitascoltatori di Radio DeeJay. Ne è risultato un modello “in crescita”, al momento indossato da ventisei persone, presentato anche al Musée Les Arts Decoratifs di Parigi. Ora l’Associazione Culturale Coinvolgente di Milano ha in progetto una lunga sciarpa da regalare al Naviglio Grande per “proteggerlo dalla nebbia del gelo e dell’indifferenza”. Si accettano collaboratori, milanesi ma anche non.

In foto, scampoli delle passate edizioni di Knitting. Qui le associazioni di knitting di Verona, Milano e Ternengo

Grazie alla fantasia di un gruppo di signore vercellesi, le nebbie autunnali che sono solite ingrigire il panorama cittadino vengono improvvisamente squarciate da un’esplosione di colori di Maglieria del vicino comune di Ternengo. Tutto per uno spettacolo insolito e divertente, pronto ad arricchirsi ogni volta di nuove sorprese. Gli allestimenti vengono infatti lasciati in città per i quindici giorni successivi all’evento di apertura, che quest’anno è previsto per domenica 5 ottobre, e poi ritirati e lavati per l’anno successivo. A organizzare il tutto il gruppo del “martedì sera”. «Ma non solo! Non prendiamoci tutto il merito – risponde pronta Sabrina – Al nostro gruppo di lavoro si sono unite fin dalla prima edizione anche le donne del Carcere Circondariale di Vercelli, l’Associazione Anfass per l’assistenza ai disabili, e le Case di Riposo sul territorio. Queste realtà realizzano sepa-

ratamente quadrotte e triangoli che poi il comitato promotore assembla per le varie creazioni». Sull’esempio di Vercelli, qualcosa si muove anche in altre parti d’Italia. Un evento collettivo di knitting nel maggio 2013 a Faenza ha infatti colorato di rosa il centro storico e feste di piazza a base di “installazioni a maglia” si sono svolte nei mesi scorsi in vari paesi della Toscana. Che sia davvero scoccata l’ora della riscossa delle nonne e dei loro mitici ferri da calza? Chissà! Come tutti sappiamo, il futuro ha un cuore antico…

Per saperne di più:

www.wivavercelli.it www.do-knit-yourself.com

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bellezza e benessere

di Francesca Frediani

metabolismo dei fibroblasti, le cellule del derma. Poi in polvere, ricavata dagli amidi, utilizzata per la preparazione di ciprie, talco, paste o singolarmente: l’amido di riso, se diluito nell’acqua, è ottimo per placare infiammazioni cutanee e lenire le pelli più problematiche e delicate.

Il riso ti fa bella Ridere è la miglior ginnastica facciale. Mette in moto tutti i muscoli del viso verso l’alto, al contrario delle espressioni tristi e cupe, e aiuta a non far cedere i contorni del viso. Come se il benessere fosse racchiuso in una parola però, anche i candidi chicchi alimentari aiutano a mantenersi in forma... per continuare sorridere!

Per saperne di più:

www.adelesparavigna.it

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Dai chicchi del riso vengono estratti alcuni fra i principi attivi più efficaci per la bellezza delle pelli delicate. Per saperne di più abbiamo intervistato una nota esperta, la dermatologa Adele Sparavigna, che gestisce anche un prestigioso istituto di ricerca sulla tollerabilità, efficacia e non tossicità dei prodotti cosmetici. In cosmetica si fa uso di estratti dal riso? Certamente. Il riso è uno degli ingredienti di origine naturale più utilizzati nella dermocosmesi, non solo per fini propriamente estetici, ma anche curativi, assicurati dalle sue ricche proprietà. I suoi componenti, altamente dermocompatibili, ne fanno una valida scelta per la realizzazione di differenti preparati cosmetici destinati sia alle pelli più problematiche (sensibili, infiammate e affette da dermatosi), che a quelle più delicate di neonati e bambini. In quali forme viene utilizzato? Come olio, estratto dal germe e dalle pellicole che avvolgono esternamente il chicco: rappresenta uno degli oli più ricchi di insaponificabili, sostanze solubilizzate note per la loro azione diretta sulla regolazione del

Quali sono gli attivi e su che cosa agiscono? Il riso è ricco di tocoferoli naturali (vitamina E), tocotrienoli e soprattutto di gamma-orizanolo e acido ferulico, potenti antiossidanti in grado di contrastare efficacemente il danno generato dai radicali liberi, proteggendo la pelle sia dallo stress ossidativo che dai danni indotti dal sole, in particolare dagli uva, invecchiamento cutaneo incluso. L’acido linoleico, linolenico e oleico sono invece naturali emollienti, lenitivi e idratanti; si comprende bene quindi l’uso di questo cereale nella preparazione di creme anti-età, preparati solari, detergenti e, nel complesso, di prodotti per pelli secche, sensibili e delicate. La mitica “polvere di riso”, usata come cipria, ha ancora un suo utilizzo? Forse è poco conosciuta come cosmetico, ma rappresenta un buon sostituto della classica cipria, poiché maggiormente assorbente e opacizzante, dunque adatta in caso di pelle grassa e acneica. Regala un finish migliore, ovviamente avendo cura di scegliere la tonalità che più si adatta al proprio incarnato, che non sia dunque troppo chiara. Per i suoi componenti naturali e con dermocompatibili è poi particolarmente indicata nei casi di pelle sensibile, infiammata o solita a sviluppare reazioni cutanee allergiche da contatto.

La dermatologa Adele Sparavigna



ospitalità italiana

di Marco Gemelli

A cena dove “lucevan le stelle” Si chiama Tosca, come la celeberrima opera di Puccini, e le passeggere mode gastronomiche internazionali si permette di guardarle dall’alto verso il basso, trovandosi al 102° piano del Ritz Carlton di Hong Kong. Tra le nuvole, a vivere d’arte (culinaria) e d’amore (per lo stile unico del Belpaese), è lo chef Pino Lavarra Da questa cucina al 102° piano dell’hotel più alto del pianeta stanno nascendo le linee guida per tutti gli altri ristoranti dei 90 Ritz Carlton sparsi nel mondo: e anche se il Tosca di Hong Kong non ha proprio l’aria di essere un laboratorio – così puntuale nei suoi già rodati meccanismi di sala e di cucina – essere il flag restaurant di una delle catene alberghiere top a livello mondiale significa anche dover dettare le tendenze. Ne è ben consapevole lo chef Pino Lavarra, 45 anni, pugliese di nascita e giramondo per professione, da Oxford alla Malesia, dalla costiera amalfitana alla baia di Hong Kong. Al Tosca il suo obiettivo è stato uno sin dall’inizio: affiancare alla tradizionale cucina italiana la componente estetica, trasformandola in una cucina d’autore, che non tralasci il gusto. «L’Italia è ancora preda di stereotipi e cliché – racconta Pino, mentre ci serve spaghetti verdi (merito della clorofilla di basilico) con carpaccio di pescespada e ragù di calamari – ma negli ultimi 15 anni ha riscoperto il valore aggiunto di un buon impiattamento, che è espressione di una passione personale oltre che di rispetto del cliente. Qui vogliamo mettere nel piatto l’Italia 126

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dove&come Ristorante Tosca Ritz-Carlton Hong Kong Austin Rd W, 1 – Hong-Kong www.ritzcarlton.com

www.10q.it

migliore lavorando non solo sulla valorizzazione delle materie prime ma anche su quell’estetica che il nostro Paese esprime benissimo in altri settori. I principi del design per me sono le geometrie, le architetture e la cromaticità, giochi di consistenze e temperature diverse. Ma tra le armonie e i contrasti scelgo le prime: il tempo delle dissonanze è passato». Per un ristoratore italiano a Hong Kong il rischio è di inseguire il gusto locale tradendo l’essenza della cucina del sud Italia, ma Pino ha le idee chiare: «Gli ospiti mi chiedono una cucina fusion perché va di moda – spiega, servendo un tris di mozzarelle, con la bufala che tra viaggio e dogana ci mette tre giorni ad arrivare dall’Italia – ma anche se non ho pregiudizi o dogmi tendo a far apprezzare il piatto come lo amo io: se c’è un ingrediente che mi piace lo utilizzo, ma non mi sbilancio mai troppo sui gusti del posto. Credo nel valore della conoscenza e cerco di assimilare tutto, ma alla fine non tradisco la mia filosofia». E al Tosca, tra le intuizioni di Pino Lavarra e il savoir faire del manager napoletano Francesco Del Gaudio, il futuro della cucina italiana sembra in ottime mani.


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compagne di strada

di Francesco Condoluci

Con l’ix35 tutto è possibile Noi ci siamo andati in Umbria, percorrendo comodamente 1000 km e più di autostrada e strade extraurbane. La nuova Hyundai è un’auto solida e compatta ma non per questo poco slanciata. Cinque posti “veri” a bordo e un bagagliaio che ci puoi caricare dentro una casa: cosa chiedere di più? Molto, molto altro. Fidatevi

È possibile avere una macchina possente ma sprintosa, grande ma non ingombrante, di classe ma non eccessivamente costosa, tecnologicamente dotata ma facile da guidare? Quando i tecnici della Hyundai hanno progettato la ix35, certo, si saranno posti queste domande. E la risposta, alla fine, è stata “sì, è possibile”. Ecco perché il crossover di marca coreana, appena uscito dalla catena di montaggio, in uno dei suoi allestimenti migliori, è stato ribattezzato, con un suggestivo gioco di parole, Xpossible. «Provatela, non ve ne pentirete», ci avevano detto. Li abbiamo accontentati. E siamo saliti a bordo della ix35, in versione 1.7 CRDi da 116 cavalli, per andare in Umbria a scoprirne le piacevolezze dell’arte, della natura e della tavola. Mille km e più di autostrada e strade extraurbane secondarie per raggiungere il territorio che attraversa il lago Trasimeno e cinge i borghi medievali di Assisi, Perugia, Spello. Ma a bordo della Hyundai, val la pena sottolinearlo, sono sembrati quasi una piacevole e rilassante passeggiata. Ritoccata un anno fa, la ix35 ci è piaciuta innanzitutto per il design esterno, morbido e sinuoso. Più alta di qualche centimetro rispetto ai competitor del suo segmento, quest’auto, 128

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solida e compatta – ma non per questo poco slanciata –, ha misure perfette sia per un single in cerca di avventura e libertà che per una famiglia attenta al comfort e allo spazio. Cinque posti “veri” a bordo, per un’abitabilità fantastica, e un bagagliaio che ci puoi caricare dentro una casa: cosa chiedere di più? Molto, molto altro, fidatevi. Per esempio una plancia accattivante e multifunzione dotata di tutti gli strumenti multimediali utili a rendere il viaggio sicuro e ancora più gradevole (navigatore con telecamera di retromarcia, Bluetooth, uscite per collegare tablet, smartphone, iPod) oppure un abitacolo insonorizzato e stabile, a bordo del quale si ha tutto il silenzio e la quiete necessari a godere delle bellezze panoramiche che ci passano accanto. A farvi arrivare, presto e senza patemi, a destinazione, ci pensa infine il motore turbodiesel che, pur solo con la trazione anteriore, se la cava benissimo anche nei tratti più ruvidi, mostrando una certa grinta e inaspettate doti da sprinter. Il tutto senza andare a incidere troppo sui consumi. Non vi pare vero? E invece sì: Xpossible. Hyundai ix35 1.7 CRDi Xpossible 2WD Prezzo di listino: 26 mila euro



libri letti per voi

di Eleonora Fatigati

La quarta via

Milano la dolce

L'uomo, oltre lo chef

Maria Angela Silleni ha girato a piedi per i quartieri della città meneghina, entrando in qualunque bottega sembrasse interessante e scambiando qualche parola con i negozianti. Così è nata questa guida dedicata a chi ama il food e le sue storie. Cosa ti ha colpito nei gestori dei locali che hai visitato? Oltre alla qualità delle proposte, la felicità nel raccontarti l'impegno che ci mettono nel preparare o selezionare i prodotti in vendita. C'è una bottega in particolare che vuoi segnalarci? Senza dubbio il grissinificio Edelweiss. Non so uscire da lì a mani vuote. I loro grissini, lunghissimi, croccanti e saporiti, sono davvero irresistibili. A chi è rivolta la guida? Principalmente ai milanesi che non conoscono altro che le botteghe del loro quartiere e che vogliono scoprire qualcosa di eccellente: a volte basta spostarsi solo di qualche via, per assaggiare una brioche speciale o trovare l'ingrediente che mancava per la preparazione di una ricetta.

Chiediamo a Gianni Rizzotti di raccontarci il suo ultimo libro: un viaggio fotografico nella vita degli chef lontano dai fornelli.

La pecora nera editore 312 pg 7,90 euro

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Come sono gli chef fuori dalla cucina? Persone come noi, con le loro passioni legate allo sport, alla musica e ai ricordi di infanzia. Vivono giornate piene di ore di lavoro, ma la famiglia è al centro dei loro pensieri. Pietro Leeman ha voluto farsi ritrarre con la figlia durante una partita di ping pong e Oliver Glowig abbracciato alle sue bambine: due papà come tanti. Come è stato il lavoro sul set? Sono uomini e donne che sanno mettersi in gioco con ironia e creatività e si sono lasciati dirigere da me fidandosi dei miei suggerimenti. Dalle foto pare si siano anche molto divertiti... Direi proprio di sì: Giancarlo Perbellini si è tuffato in smoking in piscina più volte mentre Gennaro Esposito ha indossato una maschera subacquea con all’interno dei pesciolini rossi. Skira Editore 157 pg 70 euro

Sedotti e abbandonati dal sistema che loro stessi hanno creato e alimentato. Ridimensionati drasticamente nelle funzioni e posizioni sociali. Economicamente in tracollo. Egoisti e narcisisti per decenni, si scoprono oggi spettatori inermi di un degrado sociale e culturale che la loro miopia verso la collettività e le generazioni a seguire ha fertilizzato. Sono i ceti medi analizzati e raccontati nel libro di Franz Foti, giornalista e docente di Comunicazione politica e Giornalismo presso l’Università dell’Insubria di Varese. Il volume ne ripercorre la storia, dall’ascesa al declino senza apparente via d’uscita, complice una crisi che non è stato in grado di prevedere prima e gestire poi. E propone una soluzione: la quarta via. Una sfida che va raccolta da chi sogna una democrazia orizzontale e partecipata, in cui l’interesse della collettività vince quello del sistema dei poteri oligarchici. «Per restituire ai disarmati le armi dell’azione culturale e civile – spiega Foti – dobbiamo ricomporre e, in alcuni casi, comporre una società dei valori, del merito, della solidarietà e della giustizia sociale in un’ottica totale di bene comune, in una cornice etica e culturale rivisitata. E solo dai ceti medi, oggi, può partire una rivoluzione che percorra la quarta via». Editori internazionali riuniti 384 pg 16,90 euro



shopping shopping

di Irene Tempestini

Campioni di stile Italiano, bello, vincente, di classe. Difficile non notare le similitudini tra Fabio Fognini e Capri Watch, il brand simbolo del Bel Paese che conquista: tutto e tutti. È nata così una partnership in virtù della quale il campione, divenuto il testimonial maschile dell’azienda, indossa oggi un grintoso cronografo blu e argento, resistente fino a 100 metri e 10 atmosfere. Coperto dalla speciale garanzia quinquennale della Capri Watch, il prezzo del modello in foto è di 199 euro (sul sito www.capricapri.com)

La scarpa che respira Elegante e comoda la nuova linea pensata da Geox per lui. Ideale per l’ufficio o per lunghe passeggiate, lo stivaletto della casa nostrana è realizzato con il celebre materiale Geox respira. Disponibile cognac, grigio, marrone e blu. Prezzo: 112 euro

La classe non è acqua Mai detto fu più appropriato per descrivere l’elegante Signature Bag di Max Mara. L’oggetto icona della casa di moda trae ispirazione dagli anni ’60: grande attenzione per i dettagli della tradizione artigianale proprio come si usava fare un tempo. Disponibile in diverse tonalità del vitello e in due misure. Prezzo: 895 euro

La libreria in tasca Divoratori di romanzi con poco tempo da dedicare alla lettura? Niente paura, c’è il Kobo. Ideale per leggere in metro, sul treno o in autobus, il dispositivo elettronico ha le stesse proprietà della stampa su carta ed è dotato di schermo tattile con tocco naturale. Non vi basta? Ha un design colorato ed è in grado di contenere tutta la vostra libreria. Prezzo: 79 euro

Il trench per ogni occasione Primi freddi, primi spolverini. Elegante e avvolgente il soprabito effetto damascato pensato da Compagnia Italiana. Professionale in ufficio, elegante per un aperitivo chic, casual indossato con un paio di jeans: il trench adatto a ogni occasione. Prezzo: 298 euro

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105.net

ALVIN e DJ GIUSEPPE

105

SPACCA 105 MUSIC & CARS Dal lunedì al venerdì alle 16.00

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CITTADELLA, CAMMINARE NELLA STORIA Cittadella è l’unica città medievale di tutta Europa con Camminamento di Ronda di forma ellittica completamente percorribile. L’Ufficio Turistico Iat si trova all’interno della Casa del Capitano, in Porta Bassano. È il punto di riferimento dei turisti che esplorano la nostra città e coincide con l’ingresso del Camminamento di Ronda. Al suo interno è disponibile materiale turistico - promozionale di Cittadella, di Padova e della sua provincia, nonchè materiale informativo anche sulle provincie limitrofe. L’Ufficio gestisce anche la vendita dei souvenirs e la biglietteria del Camminamento di Ronda. Su richiesta, l’Ufficio svolge attività di intermediazione per le prenotazioni alberghiere e di organizzazione di itinerari guidati della città e del territorio circostante. Inoltre si possono prenotare in Ufficio Iat i Laboratori Didattici, per insegnare ai bambini antichi mestieri medievali. In alcune occasioni importanti durante l’anno il Camminamento viene aperto di notte, con l’illuminazione di candele e fiaccole.

Trento

CITTADELLA Milano Brescia rino

Padova Verona

Udine Gorizia Trieste

Cittadella in provincia di Padova, si può raggiungere facilmente da tutte le località turistiche di maggior interesse poichè si trova in una posizione geografica strategica e centrale nella regione del Veneto. È inoltre perfettamente compatibile con altre destinazioni turistiche importanti nel territorio. Si possono quindi programmare escursioni giornaliere abbinando Cittadella alle seguenti mete consigliate: 9 Venezia 9 Padova 9 Verona 9 Vicenza 9 Bassano del Grappa

9 Abano Terme 9 Arquà Petrarca e Colli Euganei 9 Belluno


Cinta Muraria

La cinta muraria di Cittadella è uno dei pochi esempi di sistema difensivo con Camminamento di Ronda ancora percorribile, perfettamente conservata nel tempo e giunta ai giorni nostri ancora integra. È quindi uno dei sistemi difensivi più belli in Europa. Le mura si elevano ad un’altezza media di 14 metri, ma nei torrioni posti a vedetta delle porte si arriva anche a 30 metri. Esse, di forma ellittica, si sviluppano per una circonferenza di 1461 metri ed hanno uno spessore medio di circa 2,10 metri. La muraglia si alterna a 36 torri di varie dimensioni: i 4 torrioni in corrispondenza delle porte di accesso, 12 torri quadrangolari di 6x4 metri in pianta e con un’altezza di circa 22 metri, e 16 torresini di base più ridotta di 6x3 metri per un’altezza di 15. La distanza fra ciascuno di questi elementi è di circa 40 metri e ciascuno di questi intervalli di mura è coronato da un parapetto con 10 merli “guelfi” a due spioventi lisciati. In alcuni punti a causa di rifacimenti posteriori sono presenti anche merli ghibellini, o a coda di rondine. Le mura sono pressoché prive di fondamenta e a sostenerle provvedono i terrapieni appoggiati all’interno e all’esterno di esse, ricavati con materiale di riporto delle fosse. Attorno corre un ampio fossato alimentato da acque sorgive che un tempo raggiungeva un livello tale da permettere la vita di abbondante pesce con una larghezza e una profondità doppie dell’attuale: esso serviva da difesa quando, nella fortezza medievale, i ponti levatoi sostituivano gli attuali ponti in muratura. La costruzione delle mura ha richiesto il lavoro di molte persone per vari anni; in un primo tempo ci si limitò all’allestimento di strutture difensive di terra e di legno, alla costruzione delle porte di accesso e del fossato. Con una serie di interventi successivi si crearono le opere in muratura. Alla prima fase corrispose l’impianto delle quattro porte e di quasi tutte le torri e i torresini su cui poggiavano cortine murarie piuttosto basse; nella seconda si provvide all’innalzamento della muraglia e al suo completamento con gli archetti e i merli.

Camminamento di Ronda

Il Camminamento di Ronda è una passeggiata a 15 metri d’altezza sopra le mura di Cittadella. Era l’ antico camminamento di guardia che serviva per difendere la città dall’alto in caso di attacchi nemici. Il recente restauro ha consentito la messa in sicurezza dell’antico Camminamento di Ronda, per permettere ai visitatori di ammirare la città da punti di vista inediti e privilegiati, un’ esperienza unica di “Camminare nella storia”. La passeggiata è lunga quasi due chilometri e all’interno del percorso sono visitabili le stanze di rievocazione e allestimento medievale nella Casa del Capitano. Inoltre all’interno della Torre di Malta si può visitare il Belvedere alto quasi trenta metri, il Museo dell’Assedio e il Museo Civico Archeologico. Dall’alto il paesaggio spazia sulla campagna circostante, si possono ammirare i Colli Euganei, i Monti Berici, la Pedemontana con le città murate di Marostica e Asolo, il Monte Grappa. L’ingresso al Camminamento è a Porta Bassano presso la Casa del Capitano, all’Ufficio Turistico Iat.

Eventi e Manifestazioni

• Carnevale - Febbraio Sfilata dei carri allegorici per le vie del centro, musica e balli fino a sera e per concludere la giornata lo spettacolo piromusicale. • Fiera di S. Giuseppe - Marzo Esposizioni di prodotti tipici, florovivaismo e artigianato, per le vie del centro storico. • Tramonto in musica - Estate Camminamento di Ronda al tramonto con sottofondo musicale medievale. • Rievocazione Medievale - Settembre Ambientazioni medievali, accampamenti di uomini d’arme, l’arcieria storica, musici e giullari, i giochi storici, il mercato medievale e gli antichi mestieri. • Fiera Franca - Ottobre Esposizioni di prodotti tipici, di artigianato locale, di banconi enogastronomici in tutto il centro storico. E la storica fiera del bestiame. • Cittadella a Natale - Dicembre Caratteristico mercatino con le tipiche casette in legno. Mostra dei Presepi.

I Nostri Servizi • Visite guidate del centro storico di Cittadella Camminamento di Ronda • Visite guidate nei dintorni di Cittadella • Attività didattiche per bambini e adulti: i laboratori medievali • Accoglienza al gruppo con figuranti medievali in abito o musici medievali • Serata in esclusiva sopra il Camminamento di Ronda by night • Prenotazioni di: degustazioni tipiche, pranzi o cene anche a tema medievale • Prenotazioni di pernottamenti alberghieri • Prenotazione di attività sportive nel Parco del Fiume Brenta • Noleggio barche a motore o remi nelle acque che circondano le mura • Location servizi fotografici matrimoniali

Historia Tourism è l’ Associazione Culturale che gestisce l’Ufficio Turistico Iat di Cittadella e il famoso Camminamento di Ronda. Per informazioni e prenotazioni: Ufficio Iat - Casa del Capitano | Porte Bassanesi, 2 | 35013 Cittadella | Padova Tel +39 0499404485 - fax +39 0495972754 | turismo@comune.cittadella.pd.it | http://turismo.comune.cittadella.pd.it


maGazine

selezioni

CVA Canicattì: cultura di territorio Giovanni Greco, presidente CVA Canicattì: «480 soci e un unico fine: produrre vini di qualità con l’obiettivo di farci riconoscere come produttori di una specifica area della Sicilia»

Da oltre quarant’anni CVA Canicattì è sinonimo di un progetto produttivo che coniuga le peculiarità di un territorio unico e straordinario, quello dell’entroterra agrigentino, con una strategia produttiva innovativa e moderna. La sintesi di questa filosofia sono vini di qualità che legano la cultura del territorio all’esaltazione, nel bicchiere, delle qualità pedoclimatiche di una zona naturalmente legata alla viticoltura d’eccellenza. «Siamo impegnati – spiega Giovanni Greco, presidente CVA Canicattì – in un lavoro che ha l’obiettivo di far riconoscere, con più vigore, la nostra realtà di produttori d’area con l’autenticità del nostro lavoro forti di una tradizione e di un territorio davvero vocato alla produzione di vini di qualità». Per CVA Canicattì quindi il territorio continua a essere la base di tutta una filosofia produttiva? Vogliamo comunicare con i nostri vini questo alto profilo di qualità che si fa unicum con quel forte legame che accomuna tutti i nostri soci alla cultura produttiva del territorio. La nostra realtà, negli ultimi anni, attraverso investimenti soprattutto in campo tecnologico, si è impegnata a definire un nuovo e più alto concetto di qualità vitivinicola volta a esprimere al meglio le peculiarità di un territorio straordinario.

In apertura i vitigni nati all'ombra del tempio di Giunone, nella Valle dei Templi, che hanno portato alla nascita di Diodoros. Sotto, da destra, Giovanni Greco e il gruppo dei soci CVA

Gli ultimi nati in casa CVA testimoniano quanto sia profondo anche il legame con la storia e il vissuto di queste terre… Certamente sì. Da un po’ di anni abbiamo avviato un programma di collaborazione con il Parco della Valle dei Templi che ha portato alla nascita di Diodoros, il vino prodotto con le uve che crescono nel vigneto posto sotto il tempio di Giunone. L’obiettivo è volere affermare un modello, in un territorio ricco di storia dove l’agricoltura svela il senso e l’origine della civiltà, che individua nel recupero delle antiche colture e nella tutela della biodivesità, gli strumenti per salvare il paesaggio. Per noi la Valle è un vero e proprio museo dell’agricoltura, da valorizzare anche con la viticoltura, l’elemento a più alto valore economico e di immagine del comparto agricolo siciliano.

CVA Canicattì Contrada Aquilata snc Canicattì (Ag) Tel. 0922.829371 www.cvacanicatti.it



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Fracchiolla, leader nei serbatoi inox Da oltre 40 anni, passione, internazionalità, ricerca e concretezza sono i pilastri su cui la Industrie Fracchiolla costruisce i propri successi. Innovazione, costante ricerca industriale ed esperienza in campo enologico sono le sue armi vincenti La Industrie Fracchiolla è un'azienda leader a livello internazionale, specializzata nella progettazione, costruzione e installazione di serbatoi inox, per il settore alimentare, chimico e farmaceutico, di qualsiasi dimensione realizzati anche sul posto, e cantine chiavi in mano. Serbatoi di stoccaggio e di processo. Fermentatori birra; cristallizzatori; Dissolutori; serbatoi di miscelazione (con agitatore) sia riscaldati che refrigerati di qualsiasi capacità per prodotti pastosi, liquidi, semi-liquidi, granulati, prodotti in polvere. Da oltre 40 anni, passione, internazionalità, ricerca e concretezza sono i pilastri su cui l’azienda costruisce i propri successi. Puntando sull’innovazione tecnologica, sulla costante ricerca industriale e sull’esperienza in campo enologico, la Industrie Fracchiolla favorisce l’attuale evoluzio-

ne verso una produzione vinicola di qualità mediante raffinati vinificatori automatici e autoclavi di spumantizzazione in acciaio inox. Le modernissime tecniche di lavorazione, la cura dei particolari e l’affidabilità dei prodotti offerti, i prezzi competitivi, la puntualità nell’evasione delle commesse supportata dall’assistenza tecnica professionale e tempestiva, sono alcuni dei fattori che hanno reso competitiva la Industrie Fracchiolla a livello internazionale e che sostengono l’incremento continuo delle sue esportazioni.

L'attività della Industrie Fracchiolla favorisce l’attuale evoluzione verso una produzione vinicola di qualità mediante raffinati vinificatori automatici e autoclavi di spumantizzazione in acciaio inox. Fiore all’occhiello della Società è la Techno Press

Industrie Fracchiolla Spa SP 133 per Valenzano Km 1,200 Adelfia (Ba) Tel. 080.4596944 www.fracchiolla.it Saremo presenti al Padiglione 5 stand E036

Saremo presenti al Padiglione 7 stand 425



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Giovani, carini... e pasticceri! Il laboratorio di pasticceria Pistì nasce a Bronte, ai piedi dell’Etna, più di dieci anni fa. Nel 2000 Nino Marino e Vincenzo Longhitano (in foto) unirono le loro forze per dare vita a una piccola produzione di alta pasticceria. Nello stesso anno, subito dopo il debutto al Cibus di Parma, le numerose richieste da parte della grande distribuzione rendono necessario l’acquisto di un’intera pasticceria al centro di Bronte. Ben presto lo spazio della pasticceria non basta più e allora viene rilevata un’autocarrozzeria, con tutti i macchinari dentro, per velocizzare le operazioni e aumentare la produzione. Il reparto produttivo continua a crescere e nel 2009 si inaugura una nuova realtà progettata per gestire al meglio tutti i fattori produttivi, all’interno di uno spazio di ben 4 mila metri quadrati. Il piccolo laboratorio diventa un’enorme laboratorio di pasticceria. Oggi Pistì è un punto di riferimento per il territorio di Bronte e proprio grazie

Il territorio, la sua storia, le sue risorse e i suoi saperi; la qualità delle materie prime, dei processi di produzione e dei prodotti; la creatività nella ricerca e il rispetto di ambiente e lavoro. Tutto questo ha fatto di Pistì un grande laboratorio di pasticceria artigianale premiato da un successo di mercato in controtendenza con l’andamento globale

alla scelta di privilegiare uno standard qualitativo eccellente impiega stabilmente 40 dipendenti, ai quali se ne aggiungono altri 130 nel periodo di alta stagione, e in un momento come quello che stiamo attraversando continua ad assumere nuovo personale. Qualità totale Lo stretto legame di Pistì col territorio, la sua storia e i suoi saperi è all’origine della cura scrupolosa che l’azienda rivolge alle materie prime e alla loro lavorazione. L’attenzione alla qualità del lavoro in ogni passaggio produttivo, il rispetto per l’ambiente e una felice unione tra artigianalità, ricerca costante e creatività sono il segreto della fortuna di questa azienda. Il coraggio di privilegiare la qualità rispetto ai grandi volumi è stata una scelta lungimirante, premiata da una crescita costante. Questo successo non ha mai impedito ai fondatori di restare fedeli al proprio principio di “grande laboratorio di pasticceria artigianale”, che non può certo raggiungere i numeri dell’industria, ma garantisce una produzione di altissimo livello, curata nei minimi dettagli. L’impresa è giovanissi-


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I mille sapori di Pistì

ma: i fondatori oggi hanno trentotto anni, i dipendenti non superano i trenta. È la “generazione 2.0”, rapidissima a leggere il presente. Questa concezione di impresa esalta la ricerca, lo sviluppo e la creazione di nuove ricette e prodotti, senza mai perdere di vista il Sistema Qualità Pistì, fondato sul concetto di “total-quality”: dalla selezione delle materie prime alla confezione del prodotto finito, l’azienda si attiene a precise metodiche per garantire uno standard qualitativo elevato, provato dalle numerose certificazioni ottenute (ISO 9001:2008, ISO 14001:2004, FSSC 22000:2010, Certificazione Kosher…). Pistì è stata fra le prime aziende a ricevere l’autorizzazione alla vendita e alla trasformazione di PistacchioVerde di Bronte Dop, e può vantare nel proprio palmarés il documento giustificativo che la autorizza alla vendita di prodotti da produzione agricola con metodi biologici: una certezza per ogni consumatore. La qualità è anche nel rapporto con l’ambiente, lo provano l’applicazione di una severa raccolta differenziata ai processi produttivi e l’installazione di più di 3 mila metri quadrati di pannelli fotovoltaici, che permettono a Pistì di produrre autonomamente tutta l’energia di cui ha bisogno. Pistì V.le J.F. Kennedy, z.a. lotto, 12/13 Bronte (Ct) Tel. 095.691148 www.pisti.it

Pistì è il nome dei dolci di alta qualità, ormai anche di largo consumo. In ogni proposta è racchiusa la storia di un patrimonio artigianale fatto di antiche tradizioni e materie prime dalle qualità uniche, combinate fra loro per dare vita a prodotti davvero speciali, in grado di far vivere al grande pubblico un’esperienza di gusto unica. Tra i prodotti di questa linea ci sono paste di mandorla, croccanti, torroni, cioccolato, marzapane, creme e panettoni, tutti nati dalla cura e dall’attenzione per la qualità delle materie prime e per ogni passaggio della loro lavorazione, unite alla creatività che ha sempre caratterizzato la ricerca dell’azienda e si concretizza in dolci squisiti ma anche molto belli da vedere e confezionati con gusto.

Pistì è stata fra le prime aziende a ricevere l’autorizzazione alla vendita e alla trasformazione di PistacchioVerde di Bronte Dop, e può vantare nel proprio palmarés il documento giustificativo che la autorizza alla vendita di prodotti da produzione agricola con metodi biologici: una certezza per ogni consumatore


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Innovatori per tradizione Un nuovo sito internet, servizio e-commerce, una pagina Facebook in ascesa. E ancora un packaging di altissimo livello, un’etichetta tutta nuova e un'importante riorganizzazione commerciale e di marketing. La piemontese Cantina Coluè propone i suoi Dolcetto, Barbera, Nebbiolo, Barolo... in modo tutto nuovo!

Nata nel 1824 a Diano d’Alba, la Cantina Coluè, una delle aziende più antiche di tutta la Langa, pioniera dell’imbottigliamento del Dolcetto, è recentemente passata a un processo di modernizzazione e innovazione, mantenendo sempre fermi i concetti di tradizione nel campo della vinificazione e delle colture. La cantina vinifica esclusivamente uve prodotte nei propri vigneti, seguendo la produzione dalla vite sino alla bottiglia, secondo quella tradizione tramandata di generazione in generazione che sostiene che un grande vino nasce solo da un grande vigneto. Il rilancio del marchio Coluè, vista la conferma costante dell’altissima qualità dei propri vini, sta passando attraverso un'attenta riorganizzazione commerciale e di marketing. L’utilizzo di un packaging dai massimi livelli qualitativi, a partire dalla bottiglia Albeisa, le capsule in stagno, i tappi rigorosamente di sughero sardo e un restyling completo dell’etichetta, si sono affiancati a un'attività sui media sempre più capillare. Il nuovo sito internet, completo di e-commerce è un punto di riferimento per i piccoli produttori, men-

tre la pagina facebook ha decuplicato in soli sei mesi le visite da parte dei propri fans. Coluè produce il Dolcetto di Diano d’Alba, caratterizzato da note fruttate di mora e ribes; il Dolcetto di Diano d’Alba selezione superiore Sorba, pluripremiato e prodotto solo nelle annate migliori; la Barbera d’Alba dall’elevata gradazione, ideale per gli abbinamenti con la selvaggina; il Nebbiolo d’Alba con il suo caratteristico colore dai riflessi aranciati e gli inconfondibili aromi di rosa, lampone, viola e cannella. Coluè è inoltre produttore storico del "Re dei vini" e "vino dei Re", sua Maestà il Barolo, di cui è in commercio l’annata 2007, oltre che poche bottiglie da collezione delle annate precedenti. Alla cantina Coluè sono innovatori per tradizione.

Cantina Coluè Via San Sebastiano, 1 Diano D’Alba (Cn) Tel. 0173.468557 www.colue.it Facebook "Cantina Coluè"



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Il tonno buono, non solo d'estate Nel mercato italiano distribuisce i marchi Auriga e San Cusumano, in cui racchiude tutta l’esperienza e la qualità acquisite in 80 anni di attività. È l’azienda Nino Castiglione, che a Erice opera nel rispetto dell’ambiente marino e del suo territorio per permetterci di portare in tavola pesce buono e certificato

Auriga e San Cusumano: due linee di tonno in scatola che si distinguono per sapore, profumo, leggerezza. In entrambi i casi si tratta di tonno confezionato in Sicilia da un’azienda, la Nino Castiglione, che lavora il pesce da oltre 80 anni e che oggi è la prima produttrice italiana di tonno in scatola a private label per la Grande Distribuzione. Auriga e San Cusumano sono lavorati secondo i dettami della tradizione siciliana da maestranze locali, che sanno come confezionare il tonno affinché mantenga caratteristiche nutritive e organolettiche elevatissime. Grazie al suo apporto proteico, il tonno in scatola è un sostituto della carne ideale ed economico e il suo contenuto di omega 3, grassi utili nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, lo rende un alimento salutare e ottimo per completare la nostra dieta. Auriga e San Cusumano sono prodotti nel rispetto dell’ecosistema marino e dell’ambiente. Sono infatti ottenuti esclusivamente da materia prima certificata dolphin safe che garantisce una pesca selettiva che non danneggia i delfini. La Nino Castiglione ha di recente ottenuto anche la certificazione Friend of the Sea che attesta il solo utilizzo di tonni adulti pescati in bacini non sovrasfruttati. La linea Auriga, marchio storico della Castiglione da sempre sulle tavole dei siciliani, offre più tipologie di peso e confezione. La linea San Cusumano, che oltre al tonno in scatola e in vetro comprende anche ventresca, sgombro, salmone, sardine e bottarga, offre una gamma completa di prodotti in grado di soddisfare anche il consumatore più esigente. Un nome, una garanzia L’azienda Nino Castiglione, con una produzione annua di 100 milioni di scatolette, è il primo produttore italiano di tonno in scatola a private label per GD e GDO. L’azienda, che opera nel settore dal 1933, rappresenta una realtà industriale prestigiosa, dotata di moderni stabilimenti, im-


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In queste immagini, le belle latte Nino Castiglione, lo stabilimento e un momento della lavorazione artigianale del tonno

La lavorazione del tonno è realizzata esclusivamente da maestranze locali che, cresciute in un contesto vocato da sempre alla pesca del tonno, realizzano il prodotto finito secondo i metodi dell’antica tradizione siciliana pianti produttivi all’avanguardia, laboratori per il controllo qualità, linee di confezionamento e un’ottima organizzazione logistica. Al suo interno la lavorazione del tonno è realizzata esclusivamente da maestranze locali (200 i dipendenti) che, cresciute in un contesto vocato da sempre alla pesca del tonno, realizzano il prodotto finito secondo i metodi dell’antica tradizione siciliana. L’intero processo produttivo, dall’approvvigionamento della materia prima al confezionamento, è interamente tracciabile e certificato, così da poter fornire tutte le informazioni sul tipo di tonno utilizzato, la zona di pesca, il metodo di cattura. La tracciabilità è principio fondante di un altro valore aziendale: la sostenibilità. Sensibile alla salvaguardia dell’ecosistema marino, la Nino Castiglione condivide il pro-

tocollo dell’Unione Europea che bandisce la pesca illegale e non regolamentata. Il tutto con l’idea di educare il consumatore, attraverso la diffusione di prodotti sani e nutrienti, a un’alimentazione corretta e responsabile, e senza perdere mai di vista la mission aziendale: coniugare l’antica tradizione locale della pesca del tonno con l’innovazione dei processi produttivi, nel rispetto dell’ambiente e della dignità dei lavoratori.

il tonno buono

Nino Castiglione C/da San Cusumano Erice (Tp) Tel. 0923.562888 www.ninocastiglione.it Nino Castiglione


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Il pistacchio è Marullo Si chiamano Pestuccio, Pistuccia, Farinì e Patepì. In comune hanno il sapore unico e inconfondibile della frutta secca d’alta qualità. Sono i prodotti dell’azienda brontese che, alle pendici dell’Etna, produce e vende dolcezza da più di 50 anni

Marullo e Pistacchio verde di Bronte Dop rappresentano un connubio di eccellenza e qualità tutta Made in Italy. L’azienda Marullo nasce tra gli anni ’60 e ’70, nella cittadina siciliana di Bronte, situata alle pendici del vulcano Etna, come piccola attività a conduzione familiare per la commercializzazione del pistacchio, il business dell’azienda era focalizzato unicamente sulla lavorazione e sgusciatura del prodotto. Oggi Marullo con i suoi valori di qualità, tradizione, cura dei clienti ed efficienza è una realtà moderna e all’avanguardia per la selezione e la lavorazione della frutta secca, affermata ormai da tempo in Italia e all’estero per l’esportazione di prodotti finiti e semilavorati per l’industria dolciaria. Dal sapore unico e inconfondibile della frutta secca d’alta qualità e dal vero pistacchio brontese, nascono i prodotti Marullo: anche l’industria alimentare e quella dolciaria trovano nell’azienda Marullo il partner ideale per la produzione di semilavorati al pistacchio, mandorla, nocciola e pinolo, grazie a una politica produttiva tailor made che risponde alle esigenze dei clienti realizzando così prodotti su misura. Per gli appassionati del gusto e per la grande distribuzione Marullo presenta: il pesto di pistacchio Pestuccio, una sfiziosa ricetta che esalta il sapore del pistacchio, il condimento ideale per un primo piatto dal gusto nuovo con tutto il sapore della tradizione mediterranea; la crema di pistacchio Pistuccia, l’alimento adatto per la colazione o lo spuntino di tutta la famiglia, ideale anche per creme e dolci; la farina di pistacchio Farinì, un tocco d’arte culinaria, ricco e gustoso per impreziosire, esaltare e arricchire ogni piatto di pasta o fetta di torta; il patè spalmabile Patepì, gustoso patè spalmabile per spuntini sfiziosi, happy hour e ricchi antipasti. Quattro bontà dal gusto unico e intenso per trasformare ogni pietanza, dolce o salata, in una delizia esclusiva.

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