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gennaio/febbraio 2014

VDG MAGAZINE i VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 4 | N.33 | MENSILE | Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. C/RM/19/2011 | Belgio Euro 9,30 | Canton Ticino Ch.Fr. 11,50 | Costa Azzurra Euro 11.90 | Stati Uniti

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i Viaggi del Gusto

l’altra campania BELLEZZA CHE RESISTE

Oltre i veleni e la monnezza: viaggio tra i tesori e i sapori di una terra senza eguali INTERVISTE

CIBO & TERRITORIO

ALIMENTAZIONE

ITINERARI

PIACERI

CONSUMI E TENDENZE

Luigi De Magistris Mauro Rosati (Qualivita) Napoli, il Sannio, l’Irpinia Il Salernitano in 4 tappe

La mozzarella di bufala Il limone Sfusato d’Amalfi

La scelta vegetariana Celiachia: come affrontarla?

Vietri sul Mare, le ceramiche I prodotti “private label”: Ulturale, cravatte anema e core risparmio e qualità

Il marchio che certifica i migliori hotel e ristoranti in Italia e nel mondo


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editoriale

di Domenico Marasco

domenico.marasco@vdgmagazine.it

Siamo tutti napoletani

La Campania che non si arrende sia simbolo dell'Italia intera! Sarà anche banale, forse anche un pò fuori luogo in tempi grami e arrabbiati come questi, magari pure stucchevole. Ma non mi stancherò mai di dire che, malgrado tutto, il nostro è un Grande Paese. Ed anzi, oggi più che mai abbiamo bisogno di crederci e di non dimenticarcelo. L'Italia è il paese che più di ogni altro rappresenta la bellezza del vivere. Un paese che si destreggia tra gioie (poche, ultimamente) e dolori (molti), ma dove il piacere primeggia in ogni caso. Un paese che è sempre pronto a mostrare la faccia migliore, in particolare nei momenti difficoltà. Una terra piena di contrasti che la rendono ancora più bella, unica, straordinaria. Prendete la Campania, alla quale questo numero è dedicato: sembra che la vita l’abbiano inventata a Napoli. E proprio lì, non a caso, ne sanno apprezzare i lati migliori. Affrontando la sorte, ogni giorno, col sorriso e una meravigliosa, disincantata ironia. "Ma dai... che te ne fotte?" dicono i napoletani per consolare un amico afflitto dai problemi. Un'espressione che rende il concetto e racchiude un pò la filosofia partenopea. Quella che in sostanza, vuol dire: "Scurdammoce 'o passato", non ci pensiamo più e andiamo avanti. Ed è quello che i napoletani, e con loro tutti i campani, stanno cercando di fare, dopo l'esplosione del dramma-Terra dei Fuochi e il gioco al massacro che è seguito da parte dei media, inficiando l'immagine della regione e mettendo in ginocchio l'intero comparto agroalimentare. Tutto questo per causa di un territorio che equivale a meno dell'1% di tutta la Campania. Piuttosto che

parlarne a sproposito (per rivangare più o meno sempre lo stesso allarme che si sente fin dagli Anni '90), si fosse provato ad auspicare la rapida bonifica delle zone avvelenate da parte delle istituzioni competenti, ne avremmo guadagnato tutti. Noi ci auguriamo oggi che da un male possa nascere un bene, ma nel frattempo non vogliamo rinunciare a godere del restante 99% di questa meravigliosa regione. Ecco perchè abbiamo voluto provare ad aiutare la parte sana dei campani dedicando questo numero "all'altra Campania". Quella bella, buona, vera, che nemmeno le peggiori sventure riescono ad abbattere. Viva la Campania, dunque! E Viva l’Italia! Il paese dei lati peggiori ma anche dei lati migliori. Il paese amato da Dio, ma dove il diavolo sta facendo di tutto per distruggere le meraviglie che il Creatore ci ha donato. Non solo territori, panorami, cibi. Ma facce, dialetti, idiomi, stili di vita. Ogni microterritorio ha i suoi. Io, ad esempio, mi vorrei svegliare una mattina napoletano e l’altra siciliano. Ma non mi dispiacerebbe anche vivere da romano. E chi non vorrebbe essere toscano o emiliano? Capite adesso cos’è l’Italia? E allora, suvvia! Amiamola. Amiamoci. Buon 2014 e buon viaggio del gusto.

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sommario sommario gennaio - febbraio 2014

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14 La salute nel piatto

Essere vegetariani

16 Scienza & vita

Celiachia: come affrontarla?

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18 Almanacco di Barbanera 20 Appuntamenti

44 Cover story C’è una Campania che, lontana dai veleni e dalla monnezza, dalla diossina e dalla camorra, continua a produrre qualità e ad offrire impareggiabili bellezze, tesori e sapori. Tredicimila kmq di paesaggi, arte, meraviglie naturali e produzioni d’eccellenza. È “l’altra Campania”, quella vera. Quella che non ci sta ad essere identificata con la Terra dei Fuochi e i suoi disastri tossici. E ci spiega il perchè possiamo e dobbiamo “fidarci.”

panorama

inviaggio

30 Pagine nere

54 Benvenuti in Campania

L'Italia che non ci piace: becerume, politici e aziende rapaci, arte svilita.

32 Scenari alimentari Aziende italiane poco competitive. E i tedeschi, nel food export, ci stracciano

34 Concorrenza leale Frodi alimentari: se le riconosci, le eviti.

58 Napoli punto e a capo

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Borghi medievali, arte, vino, scenari bucolici: ecco i tesori del Beneventano

68 Irpinia senza tempo

mondo dei prodotti a marchio privato

In copertina: Positano (foto di Carlos Solito)

Scrigno di vicoli e meraviglie, la città del Vesuvio non smette mai di stupire

62 Il fascino del Sannio

Unioncamere ci spiegherà come fare

36 Consumi: il private label Prezzi bassi e qualità inaspettata: ecco il

Lo scrittore Carlos Solito ci introduce nell’angolo “più bello del Mediterraneo”

Avellino: terra di vini, genuina, verace, e avvolta in un silenzio che incanta

50 Mauro Rosati

72 Il Salernitano in 4 mosse

Le nuove sfide del cibo “made in Italy”: ne parliamo col direttore di Qualivita

Salerno, Amalfi, Cilento ed entroterra: una provincia tutta da vivere e godere



sommario sommario gennaio - febbraio 2014

magazine

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i Viaggi del Gusto Direttore Responsabile Domenico Marasco Coordinatore editoriale Francesco Condoluci Grafica e impaginazione Daniel Addai Carlo Fontana Editing Gilda Ciaruffoli Foto Editor Gianluca Congiu Foto Giulio Barreri Editore: Opera Italia Srl Via Pola, 15 20124 Milano

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Presidente: Roberto Patti Stampa: PuntoWeb Srl 00040 Ariccia (Roma) Distribuzione Italia ME.PE. S.p.A. Abbonamenti

cibo&territorio

104 Dulcis in fundo

80 La mozzarella di bufala

106 Il buono a tavola

Voluttuosa, unica, desiderata in tutto il mondo. Proprio come una diva

84 Rosso San Marzano Viene dal Perù, ma è in Campania che è assurto a “re dei pomodori”

88 L’oro giallo della Costiera

Bello, buono, profumato, divino. È il limone Sfusato: il principe d’Amalfi

94 La pasta di Gragnano

È la prima, tra le paste italiane, ad aver ottenuto l’Igp. Un primato meritato

96 I vini campani

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Aglianico, Fiano, Greco: con loro è nata la tradizione vinicola del Sud

108 Ospitalità italiana

piaceri 112 Le ceramiche di Vietri

Smalti e creatività: i segreti dell’arte che identifica il borgo amalfitano

Sito: www.vdgmagazine.it Segreteria: Monia Manzoni - Tel. 02.8688641 ufficiotraffico@vdgmagazine.it L’editore ha ricercato con ogni mezzo i titolari dei diritti fotografici senza riuscire a reperirli. È ovviamente a piena disposizione per assolvere quanto dovuto nei loro confronti

Per la vostra pubblicità: OPERA ITALIA Srl

114 Le mani raccontano Le cravatte estrose di Ulturale: simboli della scuola sartoriale napoletana

116 Camera con vista, Villa Toscana 117 Week-end, Madonna di Campiglio 118 Soste d’arte

100 Orto dei semplici, i friarielli

120 Libri

102 La scoperta, il fico bianco

122 Shopping

gennaio-febbraio 2014

Opera Italia Srl - Via Pola 15 - 20124 Milano Tel. 02.86886479 - fax 02.89053290 abbonamenti@vdgmagazine.it Il Servizio abbonati è in funzione dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 12,30. L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi periodo dell’anno. L’eventuale cambio di indirizzo è gratuito. Informare il Servizio abbonati almeno 20 giorni prima del trasferimento, allegando l’etichetta con la quale arriva la rivista. GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. leg. 196/2003 scrivendo a: Opera Italia Srl Sede legale: via Pola 15 - 20124 Milano Redazione: via Pola 15 - 20124 Milano tel. 02.8688641 - fax 02.89053290 Registrazione Tribunale di Milano n. 92 del 10/02/2011

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contributors gennaio-febbraio 2014

GIUSEPPE PULINA

CARLOS SOLITO

RICCARDO LAGORIO

FONDAZIONE VERONESI

ELENA CONTI

Sassarese dalla nascita 55 anni fa, insegna zootecnia speciale nell'università della sua città e con i sardi condivide, oltre all'aria ed alla terra, soprattutto il mare. Se lo incontrate, fategli le congratulazioni. È appena stato eletto coordinatore nazionale dei presidi e dei direttori delle facoltà universitaria di Agraria. pag.16

Fotografo, giornalista, scrittore e filmmaker, è nato a Grottaglie, in Puglia. Ha iniziato a viaggiare alle porte di casa, tra uliveti, gravine, grotte, masserie e lo Ionio. Instancabile cacciatore di storie e di sguardi in giro per il mondo, scrive e fotografa per i più importanti magazine di viaggi e lifestyle italiani ed esteri, e per i quotidiani nazionali. pag. 54

È nato a Brescia 45 anni fa, vive con la valigia sempre pronta, il blocnotes e la penna in mano, ferri del mestiere da cronista vecchio stampo. Allievo prediletto di Luigi Veronelli, viene definito un “food scout”. E di scoperte gastronomiche ne ha fatte davvero a migliaia. Ne è testimone la sua corporatura. pag. 80

È stata voluta da Umberto Veronesi nel 2003 essenzialmente per sostenere la ricerca scientifica. Ma il pallino del professore è stato sempre quello della divulgazione. Ecco allora che la Fondazione ha scelto VdG per spiegare al grande pubblico i concetti di salute e corretta alimentazione. pag. 14

Senese ma di famiglia fiorentina in cui convivono pacificamente guelfi e ghibellini, e d’aspetto nordico. Con un pedigree del genere, non poteva che darsi alle lingue straniere. Giornalista per caso, prima tv, poi carta stampata e uffici stampa. Ha lavorato per anni con Carlo Verdone al Terra di Siena Film Festival. Ma quando ha scoperto il Cappero di Pantelleria, è passata con leggerezza dal cinema all’agroalimentare di qualità. pag. 50

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GMI, il primo gruppo molitorio italiano, vi propone la linea Frumenta: la gamma di farine dedicata a chi ama cucinare e a chi sa bene quanto sia importante utilizzare materie prime di qualità per poter creare i piatti della tradizione italiana.

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la salute nel piatto

A cura della Redazione

scientifica Fondazione Veronesi testi di

Donatella Barus

donne, infine, prevalgono queste ultime. È un fatto che si moltiplicano anche i ristoranti vegetariani, oppure con un menù specifico a parte, e già sono spuntati qua e là anche i più restrittivi “templi” della cucina vegana: ancora una molto piccola minoranza, ma che si avverte in espansione. I nomi però non sono chiari a tutti. Dunque: per vegano si intende chi esclude dalla sua alimentazione non solo carne e pesce, ma anche tutti i cibi di derivazione animale (latte e formaggi, uova, miele). La scelta è dettata dalla volontà di rispettare gli animali non solo non uccidendoli per mangiarli, ma anche non sottraendo loro il latte che serve ai vitelli, le uova da covare e così via. La convinzione di base che abolire il consumo di carne renda la propria dieta più sana invece è comune a vegetariani e vegani. Varie voci dal mondo scientifico affermano che in questo modo, a tavola, probabilmente si disarmano diverse forme di tumore, oltre a prevenire molte malattie croniche e non. Ma le distinzioni non sono finite: ci sono vegetariani che ammettono il consumo di latte e formaggi, e allora si chiamano latto-vegetariani; altri aggiungono alla dieta pure le uova conquistandosi il complicato nome di latto-ovo-vegetariani. È però consigliabile non fare confusione quando si parla con adepti del vegetarianismo: spesso sono suscettibili sui distinguo!

C’è chi dice no... ... alla carne! Sono sempre di più le persone (spesso molto giovani, ma anche over 65) che eliminano dalla propria alimentazione cibi di derivazione animale. Una scelta che implica carenze nutrizionali? Non necessariamente, a patto che venga gestita nel modo giusto

Per saperne di più:

www.fondazioneveronesi.it

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Una scelta “giovane”: diventare vegetariano. O almeno così sembra e così si spiegherebbero i numeri in continuo rialzo. Dell’esercito di quasi 7 milioni di italiani che hanno detto addio a carne e pesce il gruppo più folto (13,5%) risulta essere quello dei ragazzi tra 18 e 24 anni. Dopo, un picco di “conversioni” a verdura, cereali e frutta si registra all’altro estremo delle età, oltre i 65 anni (più del 9%). Tra uomini e

Proteine, grandi assenti? Di fronte alla scelta di radiare dal proprio piatto carne e pesce, un’obiezione subito sollevata, specie se si tratta di giovani, è questa: e le proteine? Non costituiscono forse i “mattoni” del nostro organismo? Vero, però le proteine non sono unicamente di derivazione animale. Ne sono ricchi in primo luogo i legumi: fagioli, ceci, lenticchie, piselli, soia… e pure i cereali e, per chi li consuma, le uova e i formaggi. La soia dai multiformi impieghi contiene 86 gr di proteine ogni 100 gr di peso, i fagioli 23 gr, le mandorle 22 gr, la pasta all’uovo 13 gr, il parmigiano 33 gr. Sono questi gli alimenti vegetali e ovo-lattieri cui si può attingere per costruirsi e riparare i preziosi “mattoni” interni.


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scienza e vita

di Giuseppe Pulina Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari

Celiachia, come affrontarla? Cos’è questo disturbo sempre più diffuso del quale, nonostante se ne parli spesso, forse non sono ancora chiari cause e sintomi? Al momento non esistono medicine che fermino il decorso di tale malattia autoimmune, ma con una giusta dieta è possibile conviverci senza problemi

Il termine “celiaco” deriva dal greco koiliakós, “addominale”, ed è stato introdotto nel XIX secolo grazie a una traduzione di quella che viene generalmente considerata come una delle prime descrizioni in greco antico della malattia da parte di Areteo di Cappadocia. La celiachia è uno dei disordini più comuni nelle regioni popolate prevalentemente da individui di provenienza Europea (Europa, Nord e Sud America, Australia) e colpisce circa l’1% della popolazione generale. Recenti studi indicano una tendenza all’aumento della frequenza di celiachia nelle ultime decadi, ma i motivi non sono ancora chiari. Dato il crescente interesse per questo disturbo autoimmune, chiediamo maggiori dettagli al professor Luigi Montanari, docente di tecnologie alimentari all’Università di Sassari e Perugia. 16

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Cosa è esattamente la celiachia? La celiachia, che si manifesta in maniera violenta a livello dell’intestino tenue, è una “enteropatia su base autoimmune”, cioè una patologia causata da una reazione immunitaria sproporzionata ed errata scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti predisposti e suscettibili. Tra le cause della celiachia rientrano sia fattori genetici che ambientali: il glutine, appunto, ovvero la principale componente proteica delle farine di frumento, orzo, segale e avena. Il glutine è a sua volta costituito da glutenine e gliadine, e sono proprio queste ultime le responsabili delle reazioni autoimmunitarie. Altri cereali come il mais, il miglio, il riso sono cibi sicuri, così come gli “pseudocereali” come l’amaranto, la quinoa, il grano saraceno.


Quali sono i sintomi principali? Nei pazienti celiaci si riscontra un’azione molto marcata dei linfociti “T” e “B” che porta alla produzione di particolari anticorpi, la cui presenza è molto utile per la diagnosi, pur non essendo ancora chiaro se siano anch’essi responsabili del danno sulla mucosa o se ne siano una conseguenza (in ogni caso gli anticorpi scompaiono dal sangue dei pazienti quando seguono una dieta priva di glutine). I sintomi includono spesso diarrea cronica, ritardo della crescita nei bambini e stanchezza. La loro insorgenza è generalmente graduale e caratterizzata da un intervallo temporale di mesi o anni dall’introduzione di glutine. Tuttavia, in pazienti a dieta priva di glutine da molto tempo, l’occasionale ingestione di glutine può provocare una sintomatologia immediata.

Ci sono anche alterazioni a livello dell’apparato digerente? La malattia porta forti cambiamenti della mucosa intestinale, fino a un vero e proprio appiattimento dei villi intestinali, così da causare l’insorgenza di sintomi “secondari”: l’incapacità di assorbire i carboidrati e i grassi può causare perdita di peso (o una mancata o ritardata crescita nei bambini) e affaticamento; il malassorbimento del ferro può causare anemia da carenza di ferro e quello dell’acido folico e della vitamina B12 può essere responsabile di un’anemia megaloblastica; il malassorbimento di calcio e vitamina D (compensato dallo sviluppo di un iperparatiroidismo secondario) può infine causare osteopenia od osteoporosi. Una piccola parte di pazienti sviluppa un’anormale capacità di coagulazione per via della carenza di vitamina K, con un moderato rischio di sanguinamenti anomali. La celiachia è anche associata alla proliferazione batterica nell’intestino tenue, che può peggiorare il malassorbimento o causarlo nonostante l’adesione a una dieta idonea. Infine, la celiachia è stata correlata con una serie di altre condizioni mediche: ricorrenti aborti spontanei e infertilità; iposplenismo (ridotta funzionalità della milza), presente in circa un terzo dei casi e che può predisporre a infezioni; alterazione dei test di funzionalità epatica; patologie autoimmuni: diabete mellito di tipo 1, tiroidite autoimmune, cirrosi biliare primaria e colite microscopica; anomalie genetiche: sindrome di Down, Turner e William. Insomma, una quantità di manifestazioni atipiche che possono confondere la diagnosi. Come ci si deve comportare? Proprio a causa delle frequenti manifestazioni atipiche, si può dire che la celiachia è “sottodiagnosticata”, esponendo i pazienti alle complicanze della cronicizzazione (linfomi intestinali, infertilità), anche se attualmente si è verificata una minor incidenza di questi fenomeni rispetto a quella attesa fino a qualche tempo fa. Come test iniziale per la celiachia, si possono utilizzare specifici e sensibili test sierologici: è particolarmente suggerito il dosaggio degli anticorpi anti transglutaminasi (IgA), mentre quello delle IgA anti EMA è considerato un test di conferma del primo. Recentemente è stata introdotta la ricerca degli anticorpi IgG anti peptidi deaminati della gliadina (DPG), sensibili e specifici almeno quanto gli anti TG e gli anti EMA, potendo però essere evidenziati anche nei soggetti con deficit congenito di IgA e nei bambini entro i tre anni di età. Inoltre, l’indagine endoscopica e la biopsia intestinale rappresenta un test molto importante a cui dovrebbero essere sottoposti i soggetti con sospetta celiachia.

Dieta: l’unica soluzione La dieta senza glutine, stabilita in seguito alla consulenza di un dietista, è attualmente l’unica terapia in grado di garantire una vita regolare ai soggetti predisposti alla celiachia, ma si stanno studiando altre strategie terapeutiche. La dieta deve essere rigorosa poiché bastano minime quantità di glutine per impedire il miglioramento del quadro clinico. Non vi è nessun farmaco disponibile per prevenire i possibili danni o per evitare che il corpo attacchi l’intestino quando è presente il glutine. In molti paesi, i prodotti senza glutine sono disponibili su prescrizione medica e possono essere rimborsati. Infine, una piccola minoranza di pazienti risulta affetta da malattia refrattaria, il che significa che non migliorano, nonostante una dieta priva di glutine. Ciò probabilmente avviene perché la malattia è presente da così tanto tempo che l’intestino non è più in grado di guarire con la sola dieta o perché il paziente non aderisce completamente alla dieta o perché consuma inavvertitamente alimenti contaminati da glutine.

(*) Per saperne di più: www.celiachia.it gennaio-febbraio 2014

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almanacco di barbanera

di M. Pia Fanciulli

Nel cuore dell’inverno Il freddo avvolge la terra, ma le giornate continuano ad allungarsi. Con il nuovo anno si comincia a pensare alle semine nell’orto e nel giardino, mentre il frutteto chiede di metter mano alle potature. Timidamente i lavori riprendono, tra gli animali di Sant’Antonio e l’allegria del Carnevale

Sole e Luna GENNAIO Il Sole Il 1° sorge alle 07.28 e tramonta alle 16.39 L’11 sorge alle 07.27 e tramonta alle 16.49 Il 21 sorge alle 07.22 e tramonta alle 17.01 Le giornate si allungano. Il 1° gennaio si hanno 9 ore e 11 minuti di luce solare – mentre il 31 se ne hanno 9 e 59 minuti. Si guadagnano 48 minuti di luce solare.

Da ricordare 29-31 gennaio – / giorni della Merla Quando gennaio è all’epilogo, le temperature sempre più basse portano alla mente la leggenda che ha fatto sì che gli ultimi tre giorni del mese – i più freddi dell’anno – venissero chiamati “giorni della Merla”. La storia narra di come un tempo i merli fossero candidi come la neve. Fin quando un’ondata di gelo più intensa delle altre costrinse una merla a ripararsi nel comignolo di una casa. Fu così che, quando dopo tre giorni ritornò il sole, la merla riprese il volo ma le sue piume, a causa del fumo, erano diventate nerissime. Unica sopravvissuta al freddo, fu la capostipite dei merli neri.

Saggezza popolare • Sereno a Capodanno, sereno tutto l’anno. • Per Pasqua Befania (6 gennaio), l’anima della rapa se ne va via. • Gennaio dei gatti, febbraio dei matti. • Per San Valentino (14 febbraio) ogni uccello riprende il cammino.

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La Luna Il 1° sorge alle 07.01 e tramonta alle 17.05 L’11 tramonta alle 03.14 e sorge alle 13.22 Il 21 tramonta alle 09.38 e sorge alle 22.23 La Luna è al Perigeo mercoledì 1° alle 22 e giovedì 30 alle 11. È all’Apogeo giovedì 16 alle ore 03.

FEBBRAIO Il Sole Il 1° sorge alle 07.13 e tramonta alle 17.15 L’11 sorge alle 07.02 e tramonta alle 17.28 Il 21 sorge alle 06.48 e tramonta alle 17.40 Il 1° febbraio si hanno 10 ore e 02 minuti di luce solare – mentre il 28 se ne hanno 11 e 12 minuti. Si guadagnano 1 ora e 10 minuti di luce solare. La Luna Il 1° sorge alle 07.49 e tramonta alle 19.33 L’11 tramonta alle 04.28 e sorge alle 14.32 Il 22 sorge alle 00.25 e tramonta alle 10.36 Luna in viaggio A gennaio i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 26 e 27. A febbraio: 22, 23, 24, 27 e 28.

Belli e sani Con i rigori dell’inverno, tempi duri per la gola! Un certo pizzicore e il fastidio a deglutire, che esplode in un insopportabile bruciore, sono i sintomi del mal di gola. Per soffocare questa “tortura”, una delle più efficaci cure naturali consiste nel mettere poche gocce di tintura di propoli sulla lingua e deglutire, oppure diluirne 10 gocce in un bicchiere di acqua ed effettuare gargarismi per 2 o 3 giorni. La propoli è una miscela di sostanze resinose che le api raccolgono sulle gemme e sulla corteccia di alcuni alberi e che impastano con la loro saliva e la cera per rivestire l’arnia. Per preparare un’ottima crema da notte, nutriente e antirughe, sciogliere invece a bagnomaria, a calore moderato, 75 gr di burro di karitè; spegnere il fuoco e incorporare 20 gr di olio di macadamia e 5 di olio di rosa mosqueta. Conservare in barattoli puliti.

Orti e dintorni Diamo un’occhiata alle piante in casa. Se vediamo che la stella di Natale dopo aver rallegrato le feste perde pian piano le belle foglie rosse, basta potare i rami spogli, sistemarla in un ambiente caldo e buio, e rinvasarla poi a maggio. In ottobre ricomincerà a crescere. Sul terrazzo è invece il momento di controllare le coperture protettive sistemate in autunno. In caso di neve sarà bene rimuoverle dai rampicanti e dai sostegni, lasciandole invece sopra le cassette che ne saranno protette. Nei giorni di Luna calante potare in giardino i rami secchi di arbusti e rampicanti sempreverdi. Se non è gelato, lavorare il terreno per le colture primaverili rompendo la crosta superficiale. Nell’orto, ripulire tutte le piante e seminare aglio, cipolla e scalogno, sempre con freddo non intenso. In Luna crescente seminare in serra rucola, cicoria, ravanelli e pomodori. All’aperto seminare fave e piselli. In giardino, interrare i bulbi a fioritura primaverile, trapiantare e diradare i giaggioli. Posare infine dei nidi artificiali affinché in primavera gli uccelli possano agire da validi collaboratori contro i parassiti.


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appuntamenti gennaio - febbraio

di Gilda Ciaruffoli

Innamorarsi in riva al mare 9-17 febbraio Una terra a forma di arco, proprio come quello di Cupido. E tante frecce da scagliare per colpire gli innamorati nella settimana di San Valentino, quando la cittadina del porticciolo diventa la meta perfetta per chi ha voglia di sentir battere il cuore. Si parte sabato 9 e si chiude domenica 17 febbraio, per nove intensissimi e romantici giorni di festa durante i quali i ristoranti più rappresentativi della città offrono alle coppie che si fermano a cena il celebre Piatto ricordo di San Valentino, assieme a un menù pensato proprio per due, degustato brindando con mille bollicine di spumante, come la tradizione vuole per le grandi occasioni. Ma non solo. Alberghi e bed and breakfast riservano agli innamorati proposte particolari per uno speciale “week-end lungo” da giovedì 13 a domenica 16 febbraio con in omaggio due bellissime tazzine. Tutto questo però fa solo da corollario agli appuntamenti che si tengono in città, dove è tutto un romantico occhieggiare di cuori, frasi d’amore scritte su totem affissi lungo le vie, le piazze, le piazzette. 20

gennaio-febbraio 2014

Non manca per i partecipanti il sottofondo musicale fatto di colonne sonore, canzoni e dolci melodie che hanno fatto la storia; e neanche una mostra degli scatti fotografici selezionati fra quelli che hanno partecipato al concorso A Camogli, San Valentino in un clic. Se ancora non vi basta, potrete scrivere una frase d’amore, spontanea, allegra, triste, rassegnata, entusiasta, sincera, o curiosa... e condividerla con tutti, o lasciarvi incuriosire dalla speciale bilancia “pesa amore”, dai cuori da annodare alla rete dei pescatori, oppure dal mercatino dove tra orchidee, pizzi e merletti, lasciarsi coinvolgere da una rassegna di poesie. Per chi ama passeggiare mano nella mano, perfetta poi l’escursione al Passo del Bacio. E se alla fine non ne potrete più di tutta questa sdolcinatezza, ricordate che Camogli è anche la patria delle acciughe fritte, ottime e... salate! (di Edoardo Meoli)

Camogli (Ge) – Liguria

www.sanvalentinoinnamoratiacamogli.it

Scelti per voi dove mangiare Ristorante Rosa Ottima cucina. Da qui si gode il panorama più bello e fotografato della città. Cena per due: 110 euro Via Jacopo Ruffini, 13 Camogli Tel. 0185773411 www.rosaristorante.it

dove dormire Albergo La Camogliese Il pacchetto San Valentino prevede due notti a 150 euro a coppia Via Garibaldi, 55 Camogli Tel. 0185771402 www.lacamogliese.it



appuntamenti gennaio - febbraio

17 gennaio - 12 febbraio Sfida a colpi di formaggio

6 gennaio - 5 marzo Arance in nome della libertà! Torna come da tradizione lo Storico Carnevale di Ivrea, riconosciuto come manifestazione italiana di rilevanza internazionale. Un evento decisamente insolito in cui storia e leggenda si intrecciano e che raggiunge l’apice con la spettacolare Battaglia delle Arance, rievocazione della ribellione popolare alla tirannia, che si articola in tre giornate. La festa si conclude con la distribuzione di polenta e merluzzo in piazza.

Si tengono durante il periodo di Carnevale le sfide de La Ruzzola del formaggio, manifestazione antica all’insegna del recupero delle tradizioni locali; la Ruzzola è stata infatti portata a Pontelandolfo dalle popolazioni della Ciociaria che vi si insediarono intorno al 1300 per sfuggire a una violenta pestilenza. Il gioco viene tutt’ora praticato dai cittadini che si dividono in due squadre e si contendono la vittoria lanciando grosse forme di formaggio lungo la strada.

Pontelandolfo (Bn) – Campania www.eptbenevento.it

Ivrea (To) – Piemonte

www.storicocarnevaleivrea.it

8-10 febbraio Assaggi della... Madonnina!

Tre giorni. Cento vignaioli per un totale di 400 etichette in libera degustazione; 24 tra cuochi, pasticceri e pizzaioli che si alternano presentando i “Grandi piatti della cucina italiana” che possono essere acquistati e gustati comodamente al ristorante interno alla struttura. Sono questi i numeri del Milano Food&Wine Festival, evento dedicato ai grandi protagonisti del vino e della cucina d’autore. Domenica 9 febbraio dalle 13 alle 15, appuntamento speciale con Grande cucina, piccoli piatti, una carrellata di golosità proposte contemporaneamente dagli chef di 6 diversi ristoranti.

Milano – Lombardia

www.foodwinefestival.it

7-9 febbraio Genuino da vicino

11 gennaio - 4 marzo Una festa imperiale Il Carnevale Storico della Coumba Freida è una manifestazione antica, la cui origine risale al passaggio di Napoleone attraverso il Colle del Gran San Bernardo nel maggio del 1800. Le landzette, bizzarre maschere protagoniste di questa festa, sono caratterizzate da costumi e cappelli che ricordano le uniformi napoleoniche. La manifestazione si svolge in date diverse nei vari comuni della vallata.

località varie – Valle d’Aosta www.lovevda.it 22

gennaio-febbraio 2014

Pane, pasta, miele, olio, vino, formaggi, verdure e frutta, ma anche tisane, oli essenziali e prodotti per la cosmesi: protagonisti di Cibio, fiera genovese del gusto, sono alcune produzioni tipiche nazionali e biologiche presentate attraverso stand espositivi, degustazioni, laboratori e show cooking con chef professionisti.

Genova – Liguria www.cibio.info

8-11 febbraio Uno stivale goloso Fiera dedicata alle
eccellenze del settore enogastronomico e della ristorazione, Golositalia riunisce 350 aziende suddivise in 6 aree tematiche: food, wine, beer, professional technology, restaurant e area bio&vegan. Cinquanta gli eventi in programma, tra corsi di degustazione, di cucina e persino di galateo, dimostrazioni in diretta, incontri con operatori del settore e altro ancora.

Brescia – Lombardia www.golositalia.it


ph. ales&ales


appuntamenti gennaio - febbraio

12-16 febbraio La natura della passione Cioccolentino è la kermesse che celebra con la dolcezza del cioccolato la festa di San Valentino. Protagonista della manifestazione l’alta pasticceria ternana, interpretata dai più importanti maestri pasticceri del territorio; immancabili sono i corner delle aziende dolciarie provenienti da tutta Italia che propongono il meglio del "cibo degli dei". Ricco e articolato il programma delle attività all’insegna del dolce più amato e del claim 2014 “La passione è nella nostra natura!”; in programma lezioni di cioccolateria – rigorosamente artigianale –, momenti “sensoriali”, degustazioni e show cooking nelle vie del centro storico. Presente con il proprio laboratorio interattivo anche l’Università dei Sapori. La festa si inserisce nel programma degli Eventi Valentiniani che si svolgono durante tutto il mese nella città che ha dato i natali al santo dell’amore. Da ricordare anche la Festa della Promessa per le giovani coppie e le visite guidate con escursioni nei luoghi naturalistici, culturali ed enogastronomici dell’Umbria.

Terni – Umbria

www.cioccolentino.com www.sanvalentinoterni.it

15-16 febbraio Nella capitale dell’olio

Torna ExtraLucca. Due giorni per incontrare oltre 50 produttori italiani di oli extravergini di grande qualità selezionati dal Maestro d’olio Fausto Borella, nel cuore di Lucca, la città simbolo dell’olio di qualità italiano. Nelle sale affrescate della cinquecentesca Villa Bottini, accanto alle degustazioni di oli provenienti da tutto lo Stivale abbinati in modo corretto agli alimenti, si tengono incontri con gli chef e dibattiti.

Lucca – Toscana

www.extralucca.it

13-15 febbraio Per ritrovare la bussola! Un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati di viaggi. Bit – Borsa Internazionale del Turismo torna nella sua edizione 2014 forte di tante novità che ne hanno modificato durata e organizzazione. La manifestazione – che si tiene nei saloni di Fieramilano a Rho – ha carattere professionale ma si apre al pubblico non business nella giornata di sabato 15 febbraio.

Milano – Lombardia

www.bit.fieramilano.it 24

gennaio-febbraio 2014



appuntamenti gennaio - febbraio

22-24 febbraio, 1-3 marzo Un diamante (nero) è per sempre

15-17 febbraio La vera natura del vino Biologici, di tradizione e territorio, prodotti da vignaioli che hanno scelto di lavorare seguendo le leggi della natura per darci ogni anno la gioia di un prodotto unico e irripetibile. Sono questi i vini che si possono assaggiare alla Fonderia di Reggio Emilia dove si svolge la 6a edizione di Sorgentedelvino Live; 150 i vignaioli presenti e provenienti da tutta Italia e da alcune regioni europee per 800 vini in assaggio e vendita diretta: nomi eccellenti dell’enologia e piccole aziende emergenti selezionate per la qualità dei loro vini e la serietà del loro lavoro; zone di produzione blasonate accanto a territori, altrettanto vocati, ancora da scoprire.

Reggio Emilia – Emilia Romagna www.sorgentedelvinolive.org

15 febbraio-4 marzo Coriandoli di festa Non hanno quasi bisogno di presentazione le principali manifestazioni carnevalesche italiane. Le danze si aprono a Venezia, dove la festa inizia già il 15 febbraio a partire dalle 18, quando un grande spettacolo acquatico serale fatto di musica, colori e “fantastiche creature” prende vita sulle rive di Cannaregio. E avanti fino al 4 marzo, data in cui si conclude anche il Carnevale di Putignano (16-23 febbraio/2-4 marzo), in Puglia, che si vanta d’essere il più antico d’Europa. Arriva fino al 9 marzo invece il Carnevale di Viareggio, in Toscana, celebre per i suoi incredibili carri allegorici.

Località varie

www.carnevale.venezia.it www.carnevalediputignano.it viareggio.ilcarnevale.com

15-23 febbraio

21-23 febbraio

Antiquariato unico

La città dei golosi

È Unica Fine Art Expo il nome (e la dichiarazione d’intenti) della 28esima edizione della manifestazione internazionale di alto antiquariato che torna ai padiglioni di ModenaFiere: 4 i saloni che compongono l’esposizione – Modenantiquaria, Excelsior, Petra ed Eytt – dove si alternano su un’area espositiva di 20.000 metri quadri le proposte più prestigiose delle selezionatissime 200 gallerie che hanno reso la manifestazione una kermesse internazionale d’alto antiquariato sinonimo di eleganza e originalità.

Per tuffarsi in un mare di cioccolato, l’appuntamento è a Livorno con Choccolandia, dove famosi cioccolatieri e sapienti artigiani provenienti da tutta Italia offrono in degustazione ai più golosi le loro prelibate lavorazioni tipiche e mostrano a tutto il pubblico le loro decorazioni uniche. Accanto alle tradizionali produzioni, non mancano le sperimentazioni e le nuove tendenze in materia di ingredienti e di presentazioni.

Modena – Emilia Romagna

Livorno – Toscana

www.unicaexpo.it 26

gennaio-febbraio 2014

www.spazio-eventi.it

La Mostra Mercato Nazionale del tartufo Nero Pregiato torna ad avvicinare il pubblico ai sapori e ai saperi genuini della terra umbra e a far scoprire le eccellenze gastronomiche di altre regioni italiane, confermandosi palcoscenico privilegiato per raccontare i territori come veri e propri giacimenti golosi e culturali. Da non perdere gli incontri-degustazione del pregiato diamante nero della tavola, raccontato anche attraverso inediti e sapienti accostamenti culinari.

Norcia (Pg) – Umbria www.neronorcia.it

23-24 febbraio Patrimoni di Romagna Vini ad Arte con l’attesa Anteprima del Romagna Sangiovese Riserva attende gli eno-appassionati per una due giorni all’insegna del vino d’autore nella splendida location del MIC – il Museo Internazionale delle Ceramiche, vero patrimonio del territorio. Nelle stesse date si darà corso alla 13a edizione del Master del Sangiovese: il concorso, organizzato in collaborazione con l’Associazione Italiana Sommelier per promuovere gli ambasciatori del Sangiovese, che si presenta in forma rinnovata e segnata da un tocco di internazionalità, ancora più avvincente per il pubblico.

Faenza (Ra) – Emilia Romagna www.micfaenza.org



Soc. Agr. Stella di

Non lontano dalla cittadina di origine romana Aquileia e da Palmanova, storica città fortezza fondata nel ‘500 dai Veneziani, si trova il comune di Pocenia. In quest’area della provincia di Udine, nei pressi della Riviera Friulana, la coltivazione della vite trova il suo territorio ideale, tanto che è zona di produzione degli ottimi vini Friuli Latisana DOC. E’ proprio qui che si trova l’Azienda vitivinicola Anselmi Giuseppe e Luigi fondata nel 1928 dai nonni Anselmi che hanno trasmesso ai figli ed ai nipoti la loro esperienza, coltivando la terra con grande senso di appartenenza.

www.vinianselmi.it


Panorama Panorama 40 36

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44 Cover story

30 Pagine nere

C’è una Campania che, lontana dai veleni e dalla monnezza, dalla diossina e dalla camorra, continua a produrre qualità e ad offrire impareggiabili bellezze, tesori e sapori. Tredicimila kmq di paesaggi, arte, meraviglie naturali e produzioni d’eccellenza. È “l’altra Campania”, quella vera. Quella che non ci sta ad essere identificata con la Terra dei Fuochi e i suoi disastri tossici. E ci spiega il perchè possiamo e dobbiamo “fidarci.”

L'Italia che non ci piace: becerume, politici e aziende rapaci, arte svilita.

36 Consumi: il private label

da pag. 32 Rubriche

• Scenari Alimentari • Concorrenza leale

Prezzi bassi e qualità inaspettata: ecco il mondo dei prodotti a marchio privato

50 Mauro Rosati

Le nuove sfide del cibo “made in Italy”: ne parliamo col direttore di Qualivita gennaio-febbraio 2014

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pagine nere

di Francesco Condoluci

l’italia

NON ci p Quella di Pompei Quella dei ministri sepolta dai fast food menefreghisti Dicono ci sia dietro la camorra. Sarà anche così, ma diciamola tutta: in Italia spesso la criminalità organizzata non è altro che un alibi, un comodo capro espiatorio per celare l’insipienza e la cialtroneria del Paese, quello (formalmente) “legale”. A Pompei cinque (5!) sovrintendenti, dal 2009 a oggi, non si sono accorti che il terreno su cui sta sorgendo un ipermercato da 8 mila mq in costruzione, custodiva i resti di un antico “quartiere industriale” risalente a 2 mila anni fa. Sì, avete capito bene, un sito archelogico di eccezionale valore storico e artistico destinato a rimanere sepolto sotto uno di quei megastore pieni di negozi, fast food e vetrine. I resti pompeiani sono spuntati proprio sotto il cantiere, distante appena 500 metri dalla famosa Via dei Sepolcri. Ma anche al Ministero dei Beni Culturali si sono guardati bene dal fermare i lavori. Tutti complici dei camorristi che, secondo gli inquirenti, sarebbero invischiati con i gestori del centro commerciale? Forse. Ma il vero scandalo è un altro: l’indifferenza generale. E questa, purtroppo, penalmente non è perseguibile. Margaritas ante porcos

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gennaio-febbraio 2014

Anno nuovo, vizi vecchi. La ministra dell’Agricoltura, Nunzia De Girolamo, che nel 2013 a tutto s’era dedicata tranne che alle politiche agricole, ha iniziato anche il 2014 dedicandosi a ben altro. In questo caso alla sanità, ma non certo a quella “pubblica” e a favore dei cittadini, quanto piuttosto a quella del suo territorio, il Beneventano. Nostra Signora Delle Larghe Intese è stata pizzicata mentre, invece che preoccuparsi della definizione dell’Imu sui terreni agricoli, della nuova Pac o dell’accesso al credito per i giovani agricoltori, faceva riunioni a casa sua per decidere, assieme a una cerchia ristretta di uomini fidati, nomine e appalti in ambito sanitario. E giusto per non smentirsi, dopo averci abituato all’uso di termini non propriamente istituzionali, quando l’ex ministro Mastella ha censurato il suo comportamento, la Nunzia nazionale ha pensato bene di mandargli un sms stizzito in cui lo definisce "uomo di m…". Per questa storia, assieme a lei è finito sotto tiro l’intero governo Letta. Per cui, al momento di andare in stampa, potrebbe non essere più ministro. Ce ne faremo tutti una ragione. Recidiva


a che

piace Quella dal cattivo gusto senza limiti Al peggio, diceva bene qualcuno, non c’è davvero mai fine. E allora ecco che la volgarità, in tv, è diventata lessico comune. Le urla, nei dibattiti politici, sono ormai la regola. Sul web, il becerume – quello che augura al povero Pierluigi Bersani, colpito da emorragia, di tirare le cuoia e che minaccia di morte la ragazza che s’era espressa a favore della sperimentazione animale – è sempre più “social”. Ma la palma del cattivo gusto (gratuito) in questo numero, consentitecelo, vogliamo darla a quei geni che, nel dicembre scorso, hanno pensato bene di allestire in Corso Como, nel cuore di Milano e in pieno clima prenatalizio, un albero di Natale con cento vibratori color fucsia al posto delle tradizionali palline. “L’albero con i sex toys”, lo avevano allegramente definito i promotori dell’iniziativa che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto sponsorizzare il loro sito di vendita on-line di questi oggettini ameni. Ci hanno pensato i passanti a protestare con il Comune per far tirare giù l’obbrobrio. Va bene tutto, ma lasciateci credere che almeno il Natale sia ancora una festa pulita! Quanno ce vò ce vò

Quella che "con la cultura non si mangia"

Pav a rischio chiusura Il Parco Arte Vivente di Torino, centro d'arte e ricerca celebrato nel mondo è, ad oggi, a rischio chiusura a causa del mancato rinnovo della Convenzione che ne regola i rapporti con la città e del mancato stanziamento dei finanziamenti 2014. L’Associazione acPav ha lanciato un appello al sindaco Fassino. Per sottoscriverlo: parcoartevivente.it Salviamo San Michele La facciata della Basilica pavese continua a sgretolarsi. Rischia di andare perduto un capolavoro di inestimabile valore, importante polo di interesse turistico. Unici a mobilitarsi, con una raccolta fondi spontanea, i cittadini. Per saperne di più: www.sanmichelepavia.it

Quella dei "prendi i soldi (pubblici) e scappa" Non passa settimana o quasi, che il flemmatico Marchionne, il manager della Fiat appassionato di maglioncini blu e disinvolte acquisizioni finanziarie, non minacci – a maggior ragione adesso che ha messo le mani su Chrysler – di lasciare per sempre l’Italia. La solfa è sempre quella: troppe imposte, troppa burocrazia, costi del lavoro altissimi, pubblica amministrazione inefficiente eccetera eccetera. Per carità, l’uomo venuto dal freddo (del Canada) per salvare gli Agnelli, ha le sue ragioni. Fare impresa in Italia oggi è più dura che mai. Ma a sentirlo lamentarsi di continuo del nostro Paese, dove negli ultimi 5 anni ha tagliato oltre 15 mila posti di lavoro per assumere invece negli Usa (+62 mila), non può non venire in mente il dato che vuole la Fiat beneficiaria, negli ultimi 30 anni, di qualcosa come 7,6 miliardi di euro di fondi dello Stato, sotto forma di investimenti per la costruzione di impianti e per le ristrutturazioni e di incentivi alla rottamazione. Un bell’aiutino da parte di noi contribuenti, non c’è che dire. Ma il caso della Fiat è solo la punta dell’iceberg. Negli ultimi 10 anni, sono 27 mila le aziende che hanno lasciato le italiche sponde per delocalizzare all’estero. Molte, è vero, sono state costrette dai costi e dalle difficoltà, ma tutte le altre? Con la scusa della crisi, hanno salutato l’Italia andando altrove ad aumentare i fatturati risparmiando sulla manodopera. Quante di queste imprese hanno beneficiato di soldi pubblici? Tante, troppe. Al punto che nell’ultima legge di stabilità, è stato approvato un emendamento che impedisce alle imprese beneficiarie di contributi statali di spostare la loro produzione fuori dall’Italia per almeno 3 anni. “Prenditori” & imprenditori

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scenari alimentari

A cura dell’Osservatorio Agroalimentare Nomisma

Germania batte Italia 55 a 26 Non stiamo parlando di calcio, ovviamente, né di basket. Ma di export. E mentre da noi si discute della natura del made in Italy e le piccole imprese soffocano tra spese e tasse eccessive, i competitor internazionali festeggiano

Per saperne di più:

agroalimentare@nomisma.it www.nomisma.it

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Mentre in Italia impazza la “guerra del made in Italy” tra chi accusa l’industria di utilizzare derrate agricole non italiane e chi sottolinea l’importanza, più che dell’origine della materia prima, del know how di chi la trasforma, i competitor esteri non sentono crisi. Alcuni dati sono esplicativi. La propensione all’export dell’industria alimentare tedesca supera il 30% contro il 20% dell’Italia, ma nei valori assoluti il divario è abissale: 55 miliardi di euro contro 26, ben più del doppio. Anche la Francia ci surclassa, con 42 miliardi di euro e la Spagna ci tallona, con 22 miliardi. Rispetto ai tedeschi, produciamo più valore aggiunto: 24 miliardi contro 11, e questo dato non deve essere sottovalutato perché è dal valore aggiunto che si capisce quanto un settore sia importante per l’economia di un paese, visto che tale indice altro non è che la somma delle remunerazioni che vanno ai lavoratori (stipendi), agli imprenditori (utili), ai prestatori di capitale (interessi bancari e finanziari) nonché allo Stato (imposte dirette). E se il valore aggiunto prodotto dall’industria alimentare italiana è maggiore di quello tedesco, è anche grazie a un più alto posizionamento di prezzo dei nostri prodotti, segnale evidente di un generalizzato

apprezzamento da parte dei consumatori. Un confronto Italia-Germania rende meglio il paragone. Si pensi ad esempio alle nostre esportazioni di formaggi che, nel 2012, sono state pari a poco meno di 2 miliardi di euro: quelle tedesche hanno superato i 3,5 miliardi, ma il nostro prezzo medio all’export è risultato doppio (6,6 contro 3,1 euro/kg). Solo nel caso del vino l’Italia vince su entrambi i fronti. Quindi, perché la Germania esporta di più? Perché è più competitiva e non soffre di gap strutturali che invece limitano la propensione all’export delle nostre imprese. Il 70% del valore dell’export alimentare italiano è fatto dalle imprese con più di 50 addetti che nel nostro paese sono meno di 900 (pari ad appena l’1,5% del totale). In Germania la stessa tipologia conta quasi 2.900 imprese, pari al 9% del totale. Insomma, se un tempo si diceva “piccolo è bello”, questo paradigma sembra oggi scricchiolare e il sistema-paese non è in grado di supportare il settore: l’elevata tassazione che incide sul lavoro, o il costo industriale dell’energia elettrica che in Italia è superiore del 70% a quello medio europeo, sono macigni che spesso portano alla chiusura delle imprese, in particolare di quelle più piccole.


TRA I VIGNETI NELLA CAMPAGNA STORICA DI VENEZIA In the countryside of Venice La famiglia Candoni De Zan produce pregiati vini utilizzando uve selezionate The Candoni De Zan family produces prestigious wines from selected grapes grown in their vineyards

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concorrenza leale

A cura di Ospitalità Italiana Testo di Giovanni Cocco e Lucrezia Balducci

Frodi alimentari se le (ri)conosci, le eviti Su 3 prodotti acquistati dalle massaie nel mondo pensando che siano italiani, 1 è falso. Un dato di fatto che, a partire da questo numero, indagheremo cogliendone conseguenze e implicazioni. Che sono sì di ordine economico ma hanno anche importanti risvolti etici e sanitari

Per saperne di più:

www.concorrenzaleale.it www.10q.it

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“Concorrenza leale”, un concetto che tutti dovremmo conoscere o per lo meno aver sentito. Nel settore economico, ma non solo. Da questo numero di VdG magazine verrà affrontato in maniera approfondita guardando al comparto agroalimentare non solo come a un settore merceologico, ma come vero pilastro “antropologico” del made in Italy. Ed ecco innescarsi, in modo naturale, la collaborazione tra due realtà che credono che la cultura enogastronomica sia un fattore imprescindibile del tessuto socioeconomico italiano: ossia Concorrenza Leale, il blog di Ospitalità Italiana, e VdG magazine. L’obiettivo comune? Sensibilizzare i consumatori all’acquisto consapevole, a riconoscere il falso, ad assaporare un alimento che fonda le sue origini in Italia pur trovandosi in un piatto servito all’estero, come accade nel caso dei Ristoranti Italiani nel Mondo. Il progetto Ospitalità Italiana nasce infatti come supporto alle imprese della filiera ristorativa per far emergere le eccellenze e il vantaggio competitivo della loro attività sia in Italia che all’estero, riconoscendo nei ristoratori veri e propri ambasciatori del made in Italy di qualità. Sono oltre 1.500 i ristoranti italiani nel mondo certificati da Ospitalità Italiana, portabandiera di quella qualità enogastronomica italiana di cui tutti parlano, spesso

sfruttandone la notorietà. Dunque, il nemico a cui dichiarare guerra è la contraffazione. Sono principalmente due le caratteristiche che fanno ricadere un prodotto sotto la dicitura di “falso” e del cosiddetto italian souding: un prodotto è falso se nell’aspetto è uguale all’originale ma i suoi ingredienti non rispettano la composizione reale, sono di qualità inferiore o sono manipolati; un prodotto sfrutta l’italian sounding se non ha nulla di italiano ma marchio, etichetta o confezione utilizzano diciture o immagini che beneficiano della notorietà dell’Italia per aumentarne il valore. Il rischio dell’utilizzo di prodotti agroalimentari contraffatti, in più, non si esprime solo nel mancato rispetto degli standard di sicurezza e di qualità dell’alimento ma anche del lavoratore e del consumatore finale. Cosa fare, quindi? Informare, educare, distinguere il prodotto contraffatto da quello originale. Una parentesi, però, si rende necessaria. Non si tratta di “nazionalismo a tutti i costi”, ma di presa di coscienza sulle nostre scelte alimentari. Il fenomeno della contraffazione è certamente complesso e proprio per questo motivo Concorrenza Leale Ospitalità Italiana e VdG magazine vogliono intraprendere insieme questo percorso di approfondimento sul lato oscuro del falso made in Italy.



consumi&tendenze / private label

Un mondo di qualitĂ nascosta di Francesco Condoluci

Si stanno facendo largo nel carrello della spesa degli italiani. Sono i cosiddetti prodotti a marchio privato. Comprandoli, per un paniere standard di beni (alimentari, prodotti per la casa e per la persona), si spendono mediamente 60 euro, contro gli 83 euro degli equivalenti articoli di marca. E senza rinunciare alla qualitĂ 36

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In principio furono le white label. Confezioni dalle etichette anonime, completamente bianche, con su scritto solo il nome del contenuto. Roba che si vedeva, in Inghilterra, nei vecchi supermarket un bel po’ di decenni fa. Poi, con la crescita esponenziale degli ipermercati, le catene della Grande Distribuzione Organizzata hanno intuito le potenzialità commerciali di una linea di prodotti che avesse il marchio delle stesse insegne, da vendere a prezzi più bassi e in alternativa alle marche più famose e reclamizzate. E così hanno cominciato a vedersi sugli scaffali i primi prodotti col marchio dello stesso distributore, le cosiddette private label. Oggi, di questi prodotti – a marchio Coop, Conad o Esselunga, per intenderci – ne mettiamo a bizzeffe nel nostro carrello della spesa, molto spesso inconsapevoli della loro identità ma attratti dall’eccellente rapporto qualità-prezzo. Il packaging sarà anche meno accattivante e le etichette un po’ astruse, ma volete mettere la possibilità di risparmiare anche il 30% rispetto ai prodotti di marca più diffusi? I dati, del resto, parlano chiaro: complice la crisi che ha modificato le abitudini d’acquisto degli italiani anche nel comparto alimentare, le private label sono in costante crescita. Secondo una ricerca di Federdistribuzione, dal 2003 a oggi la spesa per i prodotti a marchio delle catene distributive è passata dall’11,3% al 17,6%, con una vera e propria impennata dal 2007 in avanti, negli anni cioè della crisi economica che, per converso, hanno visto in calo le marche industriali più note. Non a caso, da circa un decennio tutte le insegne della Gdo hanno a scaffale almeno una linea economica, facilmente riconoscibile perché coincidente con il nome della stessa catena, o contraddistinta da etichette di fantasia, come “Fior fiore” di Coop Italia, “Sapori & Dintorni” di Conad, “Piaceri Italiani” di Crai o “Terre d’Italia” di Carrefour, solo per citarne alcune. Molti consumatori peraltro non sanno che spesso sono le stesse aziende di marca a produrre a un costo inferiore le merci sulle quali poi il distributore appone il proprio marchio. «La qualità e la convenienza sono le leve che hanno spinto le vendite di private label negli ultimi anni in Italia: i prezzi sono inferiori rispetto ai prodotti gennaio-febbraio 2014

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consumi&tendenze / private label

Il mercato delle private label è ripartito in differenti segmenti: i prodotti dell’insegna raccolgono l’82,7% delle vendite, seguiti dai primo prezzo (5,6%) e dai premium (5,0%, +22,3% rispetto al 2010)

di grandi marche appartenenti alla stessa categoria merceologica, in quanto non gravati né dai costi pubblicitari sostenuti dalle aziende produttrici per promuovere i loro prodotti né da quelli di intermediazione per essere distribuiti» spiegano gli organizzatori di Marca, la rassegna fieristica di Bologna dedicata al private label. I prodotti firmati dalle catene, oltre a far risparmiare i consumatori grazie a prezzi competitivi, aiutano i distributori a legare sempre più i clienti alle loro insegne, a “fidelizzarli” alimentando la loro reputazione. Per questo motivo il numero di prodotti a marchio privato è in continua espansione sia per quantità che per tipologia e target: prodotto di lusso (superpremium), di elevata qualità (premium), equo-solidale (fair-trade), poco costoso. All’interno di questo assortimento, ovviamente i più gettonati sono quelli con i prezzi più bassi (classificati come primo prez-

Dietro al private label si celano centinaia di imprese italiane che provano a percorrere strade alternative alla crisi. Piccole realtà spesso sinonimo di qualità e tradizione

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gennaio-febbraio 2014

zo) e in particolare gli alimentari confezionati e il mercato del fresco, seguiti dal reparto “casa” e dall’ortofrutta.

Dietro i grandi marchi Sì, ma con la qualità come la mettiamo? Questa è la domanda che molti consumatori si pongono, convinti come sono che le marche industriali, in ragione della loro fama e dei battage pubblicitari, siano qualitativamente migliori e più sicure. «La bontà organolettica e la sicurezza dei prodotti private label non si discutono, certificati come sono, con cura maniacale, dalle catene che li distribuiscono e che mettono la loro firma a garanzia – sostengono ancora i promotori di Marca – Le private label sono infatti prodotte tramite capitolati accuratissimi che impegnano il fornitore in termini di rigore ed eticità richiesti lungo tutta la filiera di produzione». Dietro i marchi della grande distribuzione, del resto, si nascondono centinaia di piccole e medie imprese italiane che, spesso, appoggiandosi alle catene distributive, provano a percorrere strade alternative alla crisi. Piccole aziende che, nella gran parte dei casi, sono sinonimo di qua-


Private label: è la crisi che spinge i consumi A cura dell’Osservatorio Agroalimentare di Nomisma La recessione è più dura di ogni previsione, sia per intensità che per durata. E anche i consumi si adeguano: si rinuncia al superfluo, si riducono gli sprechi, si razionalizza la spesa ma senza rinunciare alla qualità. Un "nuovo modello" del quale le scelte alimentari sono l’espressione più evidente: acquisti in promozione, ricorso ai discount, scelta di private label e primi prezzi fino ad arrivare alla riduzione delle quantità acquistate. Le famiglie non sono però disposte a rinunciare a tutto: si continua a preferire prodotti di origine italiana (32,8%), tenendo sempre un occhio alla convenienza (31,1%) e alla marca (industriale o private label, 14%). Nel 2012, in Italia, le vendite di prodotti a marchio del distributore hanno sfiorato i 9 miliardi, e dal 2007 a oggi il loro peso sul totale grocery è passato dal 14,8% al 21%. Un successo, quello delle private label, diffuso in tutta Europa e motivato dalla maggiore presenza in assortimento e dall’utilizzo più massiccio della leva promozionale da parte dei distributori, oltre che da una sempre maggiore propensione all’acquisto da parte dei consumatori. La marca commerciale ha completato gli assortimenti crescendo anche nelle fasce di prezzo più alte e in importanti nicchie di mercato (prodotti bio, benessere e salutistici), andando a coprire una parte importante della domanda per prodotti di alta qualità, molti dei quali riconducibili alle specialità tipiche regionali italiane. Il mercato delle private label è infatti ripartito in differenti segmenti: i prodotti dell’insegna raccolgono complessivamente l’82,7% delle vendite, seguiti dalla linea di prodotti primo prezzo (5,6%) e dai premium (5,0%, +22,3% rispetto al 2010), tra i quali ricadono appunto i prodotti tipici regionali, ma anche le linee della cura alla persona con ingredienti naturali. Anche la private label a marchio bio cattura l’interesse del consumatore, coprendo una quota delle vendite complessiva delle marche commerciali pari al 4,1% (+11,8% rispetto al 2010).

Il caseificio Castellan di Rosà, a conduzione familiare, è tra le poche realtà nazionali a produrre stracchino con metodi tradizionali. Il suo prodotto è distribuito come private label dalle principali catene della Gdo nazionale

lità e tradizione. È il caso, ad esempio, del caseificio Castellan di Rosà, in provincia di Vicenza, che dal 1972 lavora e confeziona il 50% della sua produzione di stracchino per aziende e centrali del latte di prim’ordine del Nord Italia. Una realtà produttiva rimasta sempre a conduzione familiare, con il fondatore Urbano che oggi è affiancato in azienda dalle figlie. «Il private label – racconta Sonia Castellan – si rivolge a noi perché in Italia siamo rimasti in pochi a produrre lo stracchino in modo tradizionale, controcorrente rispetto ai prodotti industriali che hanno maggior durata a scapito della genuinità. Produrre per i nostri clienti ci consente di lavorare indirettamente con le grandi catene come Coop, Conad, Auchan: l’unico svantaggio è rimanere nell’ombra perché se è vero che gli addetti ai lavori sanno benissimo come interpretare l’etichetta, il consumatore medio spesso la abbina solo al nome dell’incarto».Altra storia emblematica è quel-

la della calabrese Conserv di Giuseppe Laratta, un conservificio crotonese che nel 1996 era nato come piccola azienda produttrice di conserve naturali tipiche della dieta mediterranea. «Anche grazie alla produzione destinata ai marchi privati, siamo cresciuti fino a diventare un punto di riferimento per i grandi distributori nel campo delle conserve di pomodoro e peperoncino – ci illustra il direttore dell’azienda Francesco Martino – Oggi nel nostro stabilimento produciamo, trasformiamo e confezioniamo, per la Gdo, le nostre specialità: il peperoncino cherry farcito al tonno, formaggio, olive e acciughe ma anche passate di pomodoro, sughi e triti». Per scoprire quanta “qualità nascosta” vi sia dentro i prodotti private label, al consumatore non resta insomma che farsi furbo. E piuttosto che lasciarsi condizionare dagli spot, scegliere sullo scaffale leggendo bene le etichette. Non è solo una questione di risparmio. (ha collaborato Germana Cabrelle) gennaio-febbraio 2014

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consumi&tendenze / private label

Icam,

il cioccolato che fa gola a tutti Il “cibo degli dei”: già l’idea di addentarne un quadratino mette di buon umore. A rendere l’esperienza ancora più piacevole è scoprire, oltre il gusto, anche una bella storia italiana. Quella della famiglia Agostoni, che da 60 anni lavora per offrire un prodotto eccellente a un prezzo accessibile, secondo la filosofia del capostipite Silvio. Pioniera del "marchio privato", oggi è tra le prime aziende al mondo nel settore

di Francesco Condoluci

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Quando, nel lontano 1946, Silvio Agostoni, coraggioso imprenditore originario di Morbegno, iniziò a produrre nel suo laboratorio artigianale di Lecco tavolette e praline di cioccolato. Nessuno probabilmente avrebbe immaginato che da quell’idea in apparenza un po’ bizzarra per l’epoca – offrire agli italiani usciti stremati dalla guerra un qualcosa di “buono e dolce” da mangiare spendendo pochi spiccioli – sarebbe nata una delle storie imprenditoriali di maggior successo del Paese. Una straordinaria realtà produttiva che oggi, 60 e più anni dopo, da

Orsenigo, nel Comasco, dove ha sede il nuovo e modernissimo stabilimento inaugurato nel 2010, esporta il suo cioccolato in mezzo mondo e, nel suo settore, è la produttrice del marchio biologico più importante in Europa. Icam, questo il nome dell’azienda fondata da Agostoni, è diventata soprattutto una delle regine italiane del private label a livello globale, con una produzione annua di oltre 30 mila tonnellate di cioccolato e un fatturato da 120 milioni di euro. Il segreto di questo exploit? «Innanzitutto la famiglia – amano ripetere in casa Agostoni – che


“Il cioccolato non è un prodotto d’elite, ma un alimento nobile e di qualità, che dev’essere alla portata di tutti” (Silvio Agostoni)

è rimasta sempre al centro della conduzione aziendale e che, ormai da tre generazioni, si tramanda antiche ricette con passione e competenza». E poi le intuizioni che le hanno consentito di precorrere i tempi e conquistare i mercati. La prima, negli anni ’80, quando Icam iniziò l’approvvigionamento diretto del cacao dai paesi del Sudamerica e dell’Africa, con l’obiettivo di rifornirsi di materia prima di qualità, in un’ottica di rispetto etico e piena collaborazione con i coltivatori locali. La seconda, nel decennio successivo, nel momento in cui l’azienda lecchese vide

in anticipo la crescita dei grandi supermercati e le smisurate potenzialità dei marchi privati delle varie insegne della Grande Distribuzione Organizzata. Prodotti di qualità a un prezzo competitivo: con il private label, Icam ha spiccato infatti il salto definitivo nei mercati internazionali. Oggi a rappresentare Icam nel mondo c'è Angelo Agostoni, presidente del gruppo ed esponente della seconda generazione della famiglia (la terza, che già opera nel management aziendale, è pronta a subentrare nel prossimo futuro) vero anello di congiunzione tra passato e futuro. gennaio-febbraio 2014

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consumi&tendenze / private label

In questa immagine, Angelo Agostoni, presidente di Icam. Sotto, due scatti dell'azienda di Orsenigo

“Il cioccolato Icam non deve essere solo tecnicamente perfetto, ma straordinariamente buono!” (Silvio Agostoni)

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Icam e il private label: quando nasce il binomio? Abbiamo iniziato in Italia negli anni ’90, nel momento in cui Coop ha deciso di puntare in maniera importante su questo segmento di mercato. Le “marche bianche” e quelle di fantasia in realtà esistevano già come alternativa ai marchi propriamente detti, ma è stato in quegli anni che la Grande Distribuzione Organizzata ha cominciato a considerare il marchio privato come un vero elemento strategico. Coop all’epoca voleva creare un private label di alto livello, tendenzialmente il prodotto migliore che si potesse avere sullo scaffale con una valutazione anche superiore al market leader. Icam godeva già di un’ottima reputazione nel mondo della produzione del cioccolato, e non fu difficile trovare un accordo e portare a compimento il progetto. Da allora, quasi tutte le insegne della Gdo ci chiesero prodotti analoghi e in capo a 2-3 anni ci ritrovammo a essere quasi esclusivisti del settore. Per certi versi possiamo dire di essere stati dei pionieri nel panorama del cioccolato private label italiano.

Com’è cambiato il settore in questi 20 anni? In Europa il private label si è affermato prima, e tuttora ha una diffusione maggiore rispetto al nostro Paese. Ma mentre all’estero, perlomeno nell’approccio della Grande Distribuzione europea, è stato sempre proposto come una modalità di risparmio, in Italia è nato con una connotazione diversa, legata alla qualità. Negli ultimi anni tuttavia anche da noi il fattore convenience ha preso il sopravvento; un cambiamento forse inevitabile del resto: oggi il marchio privato è diventato un fenomeno globale, una sorta di risposta della Gdo allo strapotere della marca. In passato il distributore era considerato quasi al servizio della marca, oggi ritiene di essere il vero dominus della situazione e si serve del private label proprio per avere maggior potere nei confronti dei marchi affermati. C’è da aggiungere quindi che il marchio privato, rispetto a quand’è nato 25 anni fa, s’è trasformato radicalmente. Oggi infatti vi sono almeno due categorie di private label: i marchi privati per i prodotti di base, mass market, e i marchi privati dei prodotti premium. Una categoria, quest’ultima, sulla quale la Gdo sta puntando sempre più.


A proposito, tra tutte queste offerte, come fa il consumatore a orientarsi? Diciamo che ogni consumatore, frequentando i vari punti vendita, si fa una propria idea della serietà dell’insegna distributiva e si rende conto da solo se vi trova o meno prodotti di qualità e a prezzi adeguati. Quando, agli occhi dei consumatori, la credibilità di una catena è alta, il suo private label viene considerato quasi al pari delle marche più affermate. In Italia, di marchi privati con un livello alto di credibilità non ve ne sono moltissimi, mentre all’estero la situazione è più evoluta. Ma il private label, oltre che per i consumatori, è un vantaggio anche per i produttori? Indubbiamente fare un marchio privato oggi, ancora più di ieri, non è cosa facile. Il private label richiede una collaborazione approfondita con le insegne più importanti e tanti adempimenti con cui bisogna fare i conti. Anche Icam, che è una realtà importante in questo settore, deve dimostrare continuamente che i suoi impianti e le sue procedure sono allineate alle norme rigorose e alle esigenze poste dalla distribuzione moderna, in particolare da quella estera. In sostanza, il marchio privato di un certo livello, non è adatto al piccolo artigiano. Ci vogliono impianti moderni ed efficienti, capacità produttive e controlli di gestione avanzatissimi. Icam, in questo senso, viene considerata come un modello nel mondo. In futuro Icam punterà anche sul prodotto a marchio? Gli studi più qualificati dicono che, per quanto riguarda il largo consumo, il marchio privato nella Gdo avrà sempre più diffusione. Per cui la nostra strada è già tracciata. Ma come dicevo, c’è un segmento che oggi sta acquisendo sempre più importanza, ed è quello premium: prodotti di fascia più alta rispetto a quelli di primo prezzo, caratterizzati da qualità elevata. Nel mercato di oggi, sono proprio questi ultimi – capaci di soddisfare le esigen-

Icam in numeri Attualmente circa il 50% della produzione aziendale è destinato alle industrie e ai laboratori artigianali ma il restante 50% è suddiviso in egual misura tra private label e marchio Icam. In Italia, Icam, detiene circa l’85% di quota del cioccolato private label prodotto per i grandi brand di supermercati quali Coop, Conad, Auchan, Carrefour… e altri ancora sono in fase di acquisizione. L’azienda può annoverare tra i suoi clienti i marchi di maggior rilievo in Germania, Francia e Usa con l’obiettivo, nel medio periodo, di aprirsi anche ai mercati dei paesi emergenti quali Russia, Medio Oriente e Asia. Tutti i prodotti private label hanno standard qualitativi elevati, con oltre 100 ricette di cioccolato fondente, 80 al latte, 25 bianco e 11 gianduia. In tutto sono circa 3000 i prodotti in commercio, tra i quali anche articoli senza glutine e senza zucchero.

ze più raffinate con un eccellente rapporto di qualità-prezzo – a qualificare e distinguere le varie insegne distributive. Icam lo sa bene e, ad esempio nel biologico – vero punto di forza del segmento private label – è già leader: per le insegne in tutto il mondo la nostra importanza è pari a quella di operatori cento volte più grandi di noi. Ecco perché stiamo lavorando al rilancio del nostro brand. Abbiamo riscontrato che ci sono caratteristiche non riassumibili dalla marca della catena distributiva: parlo dell’italianità, elemento distintivo che viene richiesto in tutto il mondo, o della storia aziendale legata al concetto di “famiglia”. Ma non solo. L’idea è quella di proporre un prodotto altamente differenziato, e non sostitutivo, da quello generico del private label, che esprima anche tutto il lavoro che Icam da anni sta facendo nelle piantagioni di cacao e con i contadini di tutto il mondo. È una bella storia, dal sapore antico, che contiamo di raccontarvi presto... ovviamente attraverso una tavoletta di cioccolato. gennaio-febbraio 2014

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L'altra Campania C’è una parte (quella preponderante) della regione che, lontana dai veleni e dalla monnezza, dalla diossina e dalla camorra, continua a produrre qualità e ad offrire impareggiabili bellezze, tesori e sapori. Tredicimila kmq di paesaggi, arte, meraviglie naturali e produzioni d’eccellenza. È “l’altra Campania". Quella vera, pulita, onesta, genuina. Quella che non ci sta ad essere identificata con la Terra dei Fuochi e i suoi disastri tossici. E ci spiega il perchè possiamo e dobbiamo “fidarci”

Foto di Carlos Solito

di Francesco Condoluci

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Tredicimila chilometri quadrati di coste suggestive, isole da sogno, montagne vulcaniche, laghi nascosti, fertili pianure, paesi incantati, città d’arte, natura selvaggia. Tredicimila chilometri quadrati di territori unici al mondo, dalle produzioni gastronomiche di assoluta eccellenza. Si potrebbe dire che la Campania non è una regione, ma una summa completa, uno straordinario paradigma di tutte le impareggiabili bellezze con cui l’Italia viene identificata e celebrata nel mondo: paesaggi, arte, cultura, bel vivere, buona cucina. Eppure, di questi tredicimila chilometri quadrati di ricchezze e attrattive, ultimamente non sembra ricordarsi più nessuno. No, improvvisamente, nell’immaginario collettivo, la Campania è stata ristretta, trasfigurata e assimilata con una sola parte del suo territorio. Purtroppo quella cannibalizzata e deturpata dalla mano dell’uomo: ovvero la famigerata Terra dei Fuochi, la zona tra Napoli e il Casertano avvelenata dallo sversamento illegale dei rifiuti, anche tossici, e dai roghi perenni che da anni ammorbano l’aria di diossina. Una bomba ecologica mortale, che però, in termini di superficie, ricopre circa 840 ettari sugli oltre 1 milione e 300 mila complessivi di tutta la Campania. Ancora più eloquente la proporzione espressa in kmq: meno di 10 su 13.000. Numeri che, pur dicendo molto, tuttavia, sembrano valere a poco: oggi, con una superficiale e iniqua sineddoche, si dice Terra dei Fuochi e s’intende l’intera Campania. Di quella zona intossicata dai traffici della camorra, se ne parla (e basta) da più di vent’anni, ma negli ultimi mesi la terribile piaga della Terra dei Fuochi – un «dramma umanitario» l’ha definito il cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, riferendosi agli effetti dei roghi-killer sulla salute delle popolazioni residenti – ha conquistato le luci della ribalta per via delle dichiarazioni di un ex camorrista pentito e di uno studio eseguito dai militari americani sulla contaminazione delle falde acquifere tra Caserta e Napoli. gennaio-febbraio 2014

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l'altra Campania

Foto di Carlos Solito

Al resto ci ha pensato il tritacarne mediatico. Con i suoi titoli a effetto, le sue copertineshock e certi frettolosi sensazionalismi che, nel giro di qualche settimana, hanno finito per bollare indistintamente tutta la Campania come “una terra contaminata”. Come se tutte le bellezze e le ricchezze dei suoi 13 mila kmq di territorio fossero improvvisamente sparite, fagocitate da quegli 840 ettari avvelenati. Come se tutto ciò che viene prodotto dai campani fosse istantaneamente diventato a rischio per la salute. Una psicosi generalizzata che ha provocato ovvie e gravissime ripercussioni sull’immagine di tutta la regione, sulla sua attrattività turistica e in particolare sulle sue produzioni agroalimentari. La vendita delle mozzarelle di bufala è calata, molti distributori hanno disdetto i contratti di fornitura sottoscritti con aziende campane e la gran parte dei prodotti “made in Campania” viene guardata con sospetto sui mercati. In sostanza, con l’acqua sporca si è finiti per buttare via anche il bambino.

Qualità certificata. Ma non basta…

Unioncamere: «la qualità vince in Europa» La battaglia innescata dalla “Campania che resiste, nonostante tutto” ha anche nell’Unioncamere regionale una protagonista che combatte in prima linea. Il suo presidente Maurizio Maddaloni ci conferma che «l’intero sistema camerale provinciale e regionale è impegnato, a livello europeo, sul fronte della promozione della qualità dell’agroalimentare campano». Fino a fine febbraio a Monaco di Baviera resterà aperto un temporary shop realizzato da Unioncamere Campania con i migliori prodotti agroalimentari e dell’enogastronomia regionale. «Finora è stato un grande successo 46

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di pubblico e soprattutto di buyers pronti a fare ordinativi per la distribuzione in tutta la Germania e nel nord Europa – aggiunge Maddaloni – ciò significa che malgrado i titoli a effetto di alcuni organi di informazione, i nostri prodotti, grazie alla loro qualità, restano richiestissimi sui mercati internazionali. E non temono controlli: i nostri enti camerali provinciali rappresentano da sempre un’interfaccia fondamentale per le forze dell’Ordine, l’Agenzia delle Dogane e gli Istituti universitari di ricerca in tutti i progetti di salvaguardia e di promozione dei prodotti».

“L’altra Campania” però, quella che – lontana dalla camorra, dalla monnezza e dai veleni – malgrado tutto resiste e produce qualità come ha sempre fatto, non ci sta a farsi ghettizzare. E ci spiega il perché. «Questa tempesta mediatica che ha coinvolto l’intera agroindustria campana ignora anzitutto che la cosiddetta Terra dei Fuochi interessa meno dello 0,17% della superficie agricola utilizzata – commenta il presidente del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop, Domenico Raimondo – Bisogna dire a chiare lettere invece che una cosa sono i danni ambientali arrecati a una piccola porzione del territorio regionale, altro è la qualità delle nostre produzioni che il mondo intero ci invidia e tenta di imitare. Inutilmente, perché la fertilità dei nostri suoli e le competenze dei nostri agricoltori, allevatori e trasformatori non possono essere clonate e trasferite altrove».


Ma, al di là delle parole, perché i consumatori dovrebbero fidarsi e non lasciarsi contagiare dalla psicosi? Perché i nostri prodotti in nessun modo possono essere contaminati. E lo dimostrano le migliaia di controlli cui sono sistematicamente sottoposti. Il nostro Consorzio, ad esempio, ha sottoscritto un protocollo con le principali associazioni di consumatori, le quali hanno prelevato “alla cieca” campioni di mozzarella di bufala campana Dop e li hanno inviati, a nostre spese, a un prestigioso laboratorio tedesco che ne ha attestato pubblicamente la sicurezza; ci sembra di aver dimostrato nel modo più trasparente la nostra tesi. Basterà questo a convincere i mercati? Purtroppo no. Ci vuole una strategia in comune con le istituzioni. Il Ministero delle Politiche Agricole, in proposito, sta lanciando segnali concreti. Ci è stato proposto un tour nelle principali capitali estere per informa-

re i consumatori stranieri ed evitare che la psicosi si allarghi ulteriormente, senza che ve ne sia alcuna giustificazione scientifica. Anche la Regione Campania deve attivarsi e investire su un’efficace campagna d’informazione. Con l’approvazione del “decreto Terra dei Fuochi” è stato comunque fatto un grande passo avanti verso la mappatura ufficiale del territorio inquinato, fondamentale per consentire alle singole aziende di certificare la propria estraneità al problema.

I controlli effettuati sulle materie prime finora non hanno evidenziato gravi rischi per la salute

"I prodotti campani non sono contaminati: a dimostrarlo i referti di prestigiosi laboratori internazionali. Ma questo non basta: è necessaria una strategia in comune con le istituzioni" ( Domenico Raimondo, Consorzio Mozzarella di Bufala Campana DOP) gennaio-febbraio 2014

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l'altra Campania

ha danneggiato pesantemente la nostra città – ci spiega il primo cittadino partenopeo – Il Comune di Napoli ha chiesto un miliardo di euro di risarcimento. E lo sa perché? Perché l’acqua di Napoli è oggetto di un capillare e quotidiano controllo, cinque volte superiore a quanto stabilito dalla legge: la nostra società dell’acqua esegue 100 mila controlli in 70 punti dell’acquedotto, cioè viene controllata tutta la filiera idrica dalla fonte al punto di consegna, e lo fa insieme alla Asl, analizzando 135 sostanze a fronte delle 51 imposte dalla legge italiana. La riduzione di tutta una regione a “terra di inquinamento” è ingiusta e produce, come accaduto, danni incalcolabili sul piano economico e dell’immagine. Anche il caso della Pomì (l’azienda parmense che ha realizzato uno spot televisivo per specificare che utilizza “solo pomodori coltivati nella Pianura Padana”, n.d.a.) che giustamente ha prodotto scalpore e polemica, rappresenta una forma di razzismo economico e di speculazione del mercato che va assolutamente condannata.

Basta allarmismi i controlli ci sono già In alto il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, impegnato in prima linea a tutelare l'immagine della sua città e dell'intera Campania

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Se le aziende stanno cercando di difendere a suon di dimostrazioni scientifiche e campagne d’informazione che il “made in Campania” non merita il bollo d’infamia che gli è stato appioppato, c’è chi, dentro le istituzioni regionali, è andato anche oltre, arrivando alle carte bollate pur di difendere il buon nome del territorio. Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli, ha intentato causa al gruppo editoriale L’Espresso per la provocatoria copertina Bevi Napoli e poi muori del novembre scorso, dedicata all’inquinamento dell’acqua in città. «È stata una pagina di disinformazione che

In che modo, sindaco? In primis si deve evitare la distorsione del dibattito basato su una mistificazione della realtà. La denigrazione indistinta, che semina panico tra i cittadini, favorisce soltanto le tasche della camorra, unica capace di acquistare, avendo la liquidità necessaria, i terreni e le attività degli agricoltori che vi rinunciano perchè colpiti da certe campagne mediatiche. Nell’area della provincia fra Napoli e Caserta, la questione ambientale dovuta all’inquinamento prodotto dallo sversamento abusivo dei rifiuti e dalla loro combustione, esiste. Ne è responsabile la camorra, con la connivenza di una parte del sistema industriale del Nord, che se ne serviva per sversare abusivamente il proprio scarto produttivo, e una parte delle istituzioni, nazionali e locali, in alcuni casi conniventi, in altri distratte. Detto questo, la filiera agro-alimentare in Campania, così come gli stessi mercati, sono oggetto di controlli intensi e capillari. Il Comune ha firmato un protocollo con il mercato or-


L'esperto: In Italia il rischio inquinamento c’è quasi ovunque di Marco Scapagnini Piero Porcaro è il direttore del centro Sannio Tech, polo all’avanguardia in Italia nella sicurezza alimentare, focalizzato sulla sperimentazione di nuovi progetti legati alla qualità e all’arricchimento dei benefici nutrizionali degli alimenti. «Il nostro scopo è sviluppare progetti che valorizzino le eccellenze del territorio – ci spiega Porcaro, che specifica – quello più recente mira alla creazione di lieviti indigeni derivanti da vitigni autoctoni quali, ad esempio, Aglianico e Falanghina. In questo modo, le aziende produttrici locali potranno avvalersi di lieviti non importati ma soprattutto derivanti dalle stesse uve usate per la vinificazione». A lui abbiamo chiesto se è proprio vero che in Campania l’inquinamento chimico e ambientale delle materie prime è elevato. «Lo è come in ogni zona ad alto livello di industrializzazione – è stata la sua risposta – ricordiamo, infatti, che molti casi di inquinamento delle falde acquifere furono rilevati soprattutto nel Nord Italia a causa dell’alta concentrazione di industrie. La Regione, in tutti i casi, ha circoscritto le cosiddette zone a rischio, in modo da darne informazione al consumatore. Personalmente consiglio a chiunque di venire a scoprire i luoghi incantati della Campania, il Sannio in particolare, ricco di prodotti e materie prime eccellenti, aria pulita e splendidi villaggi medievali». Come a dire, venite a certificare di persona le qualità di questa terra!

Dal mercato di Napoli escono solo prodotti garantiti dal controllo di Asl e Università

tofrutticolo di Napoli, l’Asl, la Facoltà di Agraria dell’Università Federico II e l’Istituto zooprofilattico per un controllo dei prodotti agro-alimentari che escono dallo stesso mercato ortofrutticolo di Napoli.Vogliamo garantire la qualità dei prodotti immessi al consumo, indipendentemente dalla loro provenienza. È infatti un problema di livello nazionale, perchè il controllo degli alimenti è un diritto da garantire a tutti gli italiani, e l’inquinamento delle terre una problematica non solo della nostra regione, anche se qui si registra in modo massiccio. Cosa chiede invece alle istituzioni sovracomunali? Che procedano a una mappatura aggiornata dell’area inquinata, ovvero i circa 840 ettari già individuati. Una volta delimitati anche eventuali nuovi siti contaminati, si deve attuare la bonifica e procedere al loro isolamento e alla loro conversione in zone destinate ad attività no food, ristorando gli agricoltori. Oltre a garantire le risorse finanziarie per le bonifiche, sarebbe importante promuovere

anche una campagna di comunicazione istituzionale a sostegno del sistema agroalimentare campano, così duramente colpito. Si tratta di interventi che richiedono il necessario apporto della Regione e soprattutto del Governo. Un decreto legge è stato fatto, ma resta l’incertezza in merito alle risorse finanziarie per garantire le bonifiche, che sono oggi la vera e più importante opera pubblica nazionale. Lanci un messaggio-spot per rassicurare consumatori e visitatori sul fatto che, al di là della Terra dei Fuochi, c’è sempre “un’altra Campania” che merita di essere scoperta e apprezzata… La Campania e Napoli sono un’eccellenza, sul piano mondiale, dal punto di vista paesaggistico, culturale, artistico e, ovviamente, enogastronomico, proprio grazie a una condizione climatica e ambientale da sempre generatrice di prosperità. Una terra dai prodotti unici di origine garantita, dalle bellezze naturali e dall’offerta culturale senza rivali, capace di accogliere i suoi turisti senza temere concorrenza. gennaio-febbraio 2014

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Ilpersonaggio

Mauro Rosati “Il made in Italy nel mondo? Puntiamo sull’informazione” di Elena Conti

Qualità: un concetto che per il direttore generale di Qualivita è una vera condicio sine qua non. Da sempre. A maggior ragione da quando, nel campo dell’agroalimentare, è diventato una figura di riferimento a livello mondiale 50

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La fondazione che dirige opera per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari di qualità, quelli tutelati dall’Ue con i marchi Dop, Igp, Stg. Collabora con ministri, istituzioni ed esperti del settore di vari Paesi ma nella sua attività, per Mauro Rosati, i riferimenti diretti restano soprattutto i Consorzi di tutela e i produttori, con i quali mantiene rapporti costanti e determinanti per avere sempre una visione chiara della situazione. Le sue pubblicazioni sono una sorta di Bibbia nel settore: parliamo dell’Atlante Qualivita e della Guida, frutto delle informazioni raccolte nella banca dati Qualigeo voluta da Rosati anni fa, e ogni anno aggiornati con le schede dei nuovi prodotti italiani registrati in Europa.


«L’allarme Terra dei Fuochi è l’ennesimo esempio di autolesionismo all’italiana. Gli esami eseguiti escludono contaminazioni degli alimenti»

Gli eroi dello street food

Alla luce della sua esperienza, com’è cambiata la percezione dell’agroalimentare di qualità in Italia? Negli ultimi anni le cose sono cambiate moltissimo. Prima, quando esponevo i miei progetti, quasi mi prendevano per visionario, adesso Qualivita è una realtà attiva da oltre un decennio, e molti di quei sogni hanno preso forma. Inizialmente solo piccole pubblicazioni, poi sempre più ricche, fino ad arrivare all’Atlante Food&Wine che racchiude tutte le eccellenze italiane in un solo volume, tradotto anche in inglese per facilitare la conoscenza dei prodotti italiani all’estero, o alla Guida Qualivita Ice realizzata in giapponese.

L’ultimo lavoro di Rosati, Street Food Heroes, Guida al miglior cibo di strada italiano, edito da Gribaudo IF Idee editoriali Feltrinelli, mette su carta l’esperienza di un viaggio fatto dall’autore, mentre registrava in giro per l’Italia le puntate del programma tv Street Food Heroes, la cui prima edizione è andata in onda nei mesi scorsi sui canali Mediaset. In tempi di crisi il cibo di strada rappresenta il modo più economico e veloce per la pausa pranzo. Ma, secondo l’esperienza di Rosati, i locali che emergono, in un panorama estremamente variegato, sono quelli che hanno puntato sulla qualità dei prodotti, animati da una nuova generazione di ‘’street chef’’ che propone cibi semplici, veloci ed economici, ma soprattutto realizzati con materie eccellenti, spesso Dop, Igp e bio.

E per il futuro? Stiamo lavorando a nuove pubblicazioni digitali; siamo appena usciti sulla piattaforma iBook di Apple con la collana completa dell’Atlante Qualivita Food&Wine, realizzato in collaborazione con Aicig e Federdoc e il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole e Alimentari: sette volumi digitali, in inglese e italiano. Le pubblicazioni digitali sono uno strumento per rendere veloce, fruibile e dinamica l’informazione sui prodotti Dop, Igp, Stg ma anche per contrastare l’agropirateria. Nei prossimi mesi, usciremo con altri iBook Qualivita, nelle lingue dei Paesi con i mercati di maggior interesse. I dati del Rapporto Qualivita pubblicato recentemente con Ismea, parlano di un settore con tanti segni positivi, nonostante la crisi, ma ci sono criticità come quella della Terra dei Fuochi… La vicenda della Terra dei Fuochi rischia di portare il nostro Paese nel caos. Il tutti contro tutti che si sta vivendo in queste ore, lascia sul terreno di battaglia morti e feriti. E a farne le spese rischia di essere tutto il made in Italy del comparto agroalimentare, asset fondamentale per l’economia nazionale. D’altro canto, esami effettuati su molti campioni di prodotto hanno dimostrato che non ci sono rischi né contaminazioni, niente diossina, niente mercurio, niente arsenico, solo il retrogusto amaro dell’ennesima dimostrazione di autolesionismo da parte di noi italiani. Afidop e Aicig si sono stretti al Consorzio di Tutela Mozzarella di Bufala Campana Dop. Il che significa che chi lavora e produce qualità sa benissimo che colpire un’eccellenza italiana, da qualsiasi zona questa provenga, è un vulnus per tutto il made in Italy.

Per saperne di più:

www.maurorosati.it www.qualivita.it

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l’analisi sullo stress ossidativo, acceleratore del processo di invecchiamento

Evergreen

il check up medico che comprende gli esami di laboratorio, ecografie, ECG

“VORREI ESSERE PIÙ GIOVANE”

la visita fisiatrica e termale

la valutazione sulla corretta alimentazione indispensabile per uno stile di vita sano

l’indicazione dell’attività fisica più adatta a quella persona e della corretta postura, elementi importanti per mantenere allenate le fasce muscolari e prevenire atteggiamenti dannosi per il nostro assetto muscolo scheletrico

la valutazione estetica per proporre trattamenti estetici finalizzati all’obiettivo da raggiungere.

Sono questi gli elementi che, sapientemente integrati, danno origine al percorso Long Life Formula. Attraverso Long Life Formula ci si prefigge l’obiettivo di “insegnare” il corretto stile di vita durante la permanenza presso la Clinica del Ben Essere, ma anche di depositare un seme perché sia sempre viva la consapevolezza di come prendersi cura di sé stessi per una vita più lunga e sana.

Weight Loss “VORREI PERDERE PESO”

Relax “SONO STRESSATO, VORREI RILASSARMI”

Clean “HO UNO STILE DI VITA SREGOLATO, VORREI DISINTOSSICARMI”

Energy “VORREI ESSERE PIÙ IN FORMA”

Sport “VORREI DEDICARE UN PERIODO ALL’ATTIVITÀ FISICA MIGLIORE PER ME”

Re-Start “SONO APPENA STATO OPERATO, VORREI RIPROGRAMMARE IL MIO STILE DI VITA”

PER INFO - tel. 0543 412800 - www.longlifeformula.it - info@longlifeformula.it Clinica del Ben Essere, presso le Terme di Castrocaro


InViaggio Viaggio In 62 72

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54 Benvenuti in Campania

68 Irpinia senza tempo

Avellino: terra di vini, genuina, verace, e avvolta in un silenzio che incanta

Lo scrittore Carlos Solito ci introduce nell’angolo “più bello del Mediterraneo”

58 Napoli punto e a capo

72 Il Salernitano in 4 mosse

Scrigno di vicoli e meraviglie, la città del Vesuvio non smette mai di stupire

Salerno, Amalfi, Cilento ed entroterra: una provincia tutta da vivere e godere

62 Il fascino del Sannio Borghi medievali, arte, vino, scenari bucolici: ecco i tesori del Beneventano gennaio-febbraio 2014

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inviaggio

Bellezza che resiste Il Vesuvio incombente, i tumulti, la camorra, i rifiuti che bruciano: non c’è minaccia che tenga. Quella campana resta, malgrado tutto, una terra che, ancora oggi, val la pena guardare con gli occhi degli antichi Romani che la definivano “Felix”. A raccontarcela, lo scrittore e fotografo che l’ha scelta come buen retiro

testi e foto di Carlos Solito

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Inizio col silenzio. Benedetto sia il silenzio. E qua ce n’è, oh se ce n’è. In esatta antitesi alla tachicardia della metropoli Napoli, del suo hinterland e di Caserta. C’è chiasso di venti, fruscii, scrosci e schianti di risacca. Questo silenzio sa di muschio, rocce ferruginose, iodio e da quiete scuote, mischia i sensi. Questo silenzio si chiama entroterra e mare, si chiama in molti modi: Matese, Sannio, Irpinia, Cilento, Picentini, Lattari, le valli Telesina, Caudina, dell’Ofanto, del Sele, si chiama Appennino e Tirreno. Questo silenzio ha una geografia di vette, colline, pianure, insenature, arenili, onde

ambasciatrici di storie, dèi, culti. Echi omerici e virgiliani. Ulisse ed Enea qui hanno piantato leggende e ricordi impastati nella ricetta “classica” del mito. Qui la natura ha esagerato o, come direbbero da queste parti, ha scialato. Si è presa dei lussi assurdi che fanno invidia ad altri angoli di Mediterraneo e con ingordigia ha messo su, a suon di rocce vulcaniche e calcaree, uno spettacolo di paesaggi impossibili che hanno fatto letteralmente impazzire sciami di ricercatori dall’ossessa razionalità scientifica e artisti di ogni genere ed epoca. Diacronia e sincronia nel paesaggio e nella storia hanno


Dire Campania è come raccontare in una sola parola una storia lunga migliaia di anni. Scandirla per bene è come recitare una preghiera

generato suggestioni a non finire, andirivieni di ogni civiltà e il parto di nuove razze, lingue e culture firmatarie di capolavori d’arte, architettura e pensiero. Questa porzione d’Italia, di Sud, di Mediterraneo, senza esitazione e nella declinazione più nobile del termine, io la definisco Campania sprecona!

Mappa di un viaggio impensabile In apertura: la Torre a Mare, un'antica torre di avvistamento saracena. che troneggia sull'alta scogliera affacciata sulla spiaggia di Marina di Praia, uno degli scorci più romantici e affascinanti della Costiera Amalfitana

E si sprecano davvero i paesaggi, i bei borghi, i monumenti, le vestigia del passato che da nord scivolano verso sud con un’affannosa sequenza, neanche contemplati dalle riviste, dai depliant turistici. Il primo, nobile, altissimo calcare al confine col Molise è quello del monte Miletto che apre il sipario a un pezzo d’Appennino davvero ardito, zeppo di endemismi vegetali e animali, con morfologie uniche e vette che sfiorano, e in alcuni casi superano, i duemila metri di altitudine. Dal Matese al Taburno-Camposauro, dai monti Tifatini ai Lattani con il vulcano di Roccamonfina, dal Partenio ai monti di Sarno, dai vulcani dei Campi Fle-

grei al Vesuvio, dai Picentini ai Lattari e dagli Alburni al grande massiccio del Cilento ci sono luoghi da stupore, gran parte dei quali protetti da parchi nazionali e regionali, con paesi presepe. Sono tanti, tantissimi, zeppi di monumenti, viuzze e tutto ciò che di bello l’estro creativo di architetti, artisti, artigiani e maestranze ha potuto concepire dall’antichità al neoclassicismo. E così tra boschi di faggi a perdita d’occhio, castagneti monumentali, sorgenti, fiumi, cascate, canyon, altipiani e campagne piene di sole si fa il pieno di castelli, santuari, conventi, abbazie, cattedrali, palazzi nobiliari, certose e tutto ciò che la nomenclatura urbana di stile contiene. Qualche luogo piccolo, pieno di grandezze? Roccarainola, Sessa Aurunca, Letino, Sant’Agata dei Goti, Cusano Mutri, Cerreto Sannita, Pietrelcina, Morcone, la stessa Benevento, Nusco, Rocca San Felice, Calitri, Cairano, Valva, Oliveto Citra, Olevano sul Tusciano, Santo Stefano del Sole, Albori, Morigerati, Roscigno Vecchia, Castelcivita, Sant’Angelo a Fasanella, Sacco, Roccadaspide. Luoghi lontani da raggiungere dopo curve e saliscendi, dopo viaggi impensabili alle porte di casa.

Camminando nel mito “E arrivammo alla terra dei Ciclopi superbi e senza legge,/ i quali fidando negli dèi immortali, non piantano, non arano mai:/ nasce tutto senza semina e senza aratura,/ il grano, l’orzo e le viti che fioriscono di grappoli/ sotto la pioggia di Zeus./ Assemblee non conoscono, né consigli, né leggi,/ vivono in cave spelonche sulle cime più alte dei gennaio-febbraio 2014

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inviaggio

Un angolo di Costiera Amalfitana, con le sue calette e le sue guglie che si tuffano nel Tirreno

stata cavata dai Giganti Lestrigoni. Ma i miti qui non finiscono mai e le messe di ricordi s’incuneano nella geografia e relativa etimologia. Il lago di Averno porta degli inferi, e quello di Lucrino con le Stufe di Nerone, e ancora quello di Fusaro noto per il Casino di caccia del re Ferdinando IV di Borbone costruito nel 1782 da Carlo Vanvitelli. Baia, sotto il castello aragonese, è una folla di rovine romane mentre Capo Miseno, fiero di una torre d’avvistamento e un faro, ricorda ancora una volta l’Eneide e l’Odissea. Ogni pietra di tufo ha il mito dentro, e lo vomita mille volte e mille altre ancora. Dirimpetto Procida dai colori pastello e Ischia a cui i primi coloni greci nell’VIII secolo a.C. diedero il nome di Pithecusa. Oltre il più giovane dei vulcani flegrei, Monte Nuovo, Pozzuoli fa chiasso proprio come l’originaria Puteoli romana, il porto più importante dell’impero prima dell’apertura dello scalo di Ostia. Nota per il suo bradisismo, che ciclicamente fa rimbalzare il bel rione Terra, la gloria antica si legge sul tempio di Augusto, l’anfiteatro Flavio e sulle colonne del tempio di Serapide. L’espressione maxima della fabbrica di fuoco dei Campi Flegrei è sicuramente la Solfatara: gas, soffioni, fanghi ribollenti e pietre glassate di zolfo giallo, ricordano, come il Forum Vulcani di Strabone, la dimora del dio Vulcano.

Il canto del vento e delle sirene monti, ciascuno/comanda alla moglie e ai figli,/ non si curano gli uni degli altri...”. È ai Campi Flegrei, ai crateri, alle baie, ai laghi, ai coni vulcanici, che rimanda uno dei passi più celebri dell’Odissea. È questa la Campania felix – terra felice – tanto cara all’aristocrazia romana che qui volle ville imperiali, impianti termali, opere d’ingegneria uniche e caverne oracolari. Cuma con l’Antro della Sibilla nel quale la sacerdotessa di Apollo dispensava i suoi vaticini ai pellegrini. Bacoli con la cisterna di Piscina Mirabilis, terminale dell’acquedotto di Serino, che per quant’è grande sembra davvero essere 56

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Dopo Napoli, la Penisola Sorrentina. Con l’azzurro che lambisce scogliere a picco tra i borghi di Vico Equense e Meta e Sant’Agnello e Massa Lubrense. Ma soprattutto l’elegante Sorrento poggiata su una scogliera di tufo giallo, proprio come i grossi limoni per le campagne terrazzate. Tutt’attorno i segni dell’affezione del patriziato romano alla Penisola: primi fra tutti i ruderi della villa di Pollio Felice, a punta del Capo, intorno al ninfeo dei Bagni della Regina. Oltre il villaggio di pescatori di Marina della Lobra ecco il promontorio di Punta Campanella, nota ai greci col nome di Ateneo e ai romani di Minervae. Qui c’è una


costante: il vento sta semp comm’a nu pazz tra le paurose falesie di Baccoli, Mitigliano, Ieranto e Montalto. Protetta da una riserva naturale marina estesa per oltre mille ettari, Punta Campanella si allunga in mare e come un indice addita un altro luogo di precipizi e calcare e mare blu cobalto e fragranze mediterranee e reminiscenze classiche: Capri. Poco più in là, verso sud, la cosiddetta costa delle Sirene, meglio nota come Costiera Amalfitana. In realtà sono gli ultimi scampoli dei monti Lattari prima del tuffo nel Tirreno. Il calcare si avvita e salta in canyon e gole e guglie e si spalanca in antri tappezzati da gibbose concrezioni e valli verdi con cascate. Verticali qui sono anche i paesi. Grappoli di case pastello punteggiate da cupole maiolicate e striate da viuzze e scalinate, cinti da porticcioli di barche colorate. Positano, Praiano, Furore, Amalfi, Atrani, Ravello, Minori, Maiori, Cetara fanno una cinta di bellezza inserita dall’Unesco nell’elenco del Patrimonio mondiale dell’umanità.

Terra madre Dopo Salerno e la foce del generoso Sele è Paestum a ricordare ancora una volta il grande dono campano di terra madre che tutti accoglie e nessuno rifiuta: a fondarla, con il nome di Poseidonia, furono gli Achei che nel 600 a.C. mossero da Sibari. Tra ulivi e pini e brezza marina, i templi di Hera, Nettuno e Cerere sono gli eterni fari di una Magna Grecia nobile di pensiero che ha dato tanto alla storia della regione. Alle spalle lunghe spiagge sfilano piatte verso Agropoli. È questa la porta del Cilento, sull’alto di un promontorio. È questo l’inizio di una nuova costa capricciosa di scogliere e cale che esprime l’apoteosi sul promontorio di Palinuro, assediato dal Tirreno e dal vento, da Nettuno e da Eolo. Altro luogo divino è punta degli Infreschi, oltre Camerota. Giù giù, invece, sotto il monte Bulgheria si apre il sipario del golfo di Policastro con Sapri. Quanta Campania, ma non è tutta! Quanta bellezza da sfiorare, annusare, accarezzare. Vivere. Amare.

In alto, una corsa per i vicoli di Corricella a Procida. Sotto, da sinistra: il Castello Aragonese che svetta sull'isolotto collegato all'isola di Ischia tramite un ponte in muratura; un coltivatore di tabacco con le foglie raccolte nelle piantagioni irpine e un pescatore con le sue reti

Qui la natura ha “scialato”. Si è presa dei lussi assurdi che fanno invidia ad altri angoli di Mediterraneo e con ingordigia ha messo su, a suon di rocce vulcaniche e calcaree, uno spettacolo di paesaggi impossibili

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Napoli

punto e a capo Ogni stagione è buona per visitare questa città , scrigno di meraviglia e contraddizioni, sapori forti e storie affascinanti da (ri)scoprire vagando tra i vicoli e le piazzette del centro, per avere conferma della sua capacità di tornare ad alzare sempre la testa fiera, dopo ogni sventura di Olga Carlini 58

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Panoramica del golfo di Napoli: sullo sfondo il Vesuvio e, bagnato dalle onde, Castel dell'Ovo

Nacque dall’amore sfortunato di Partenope per Ulisse l’isolotto di Megaride. La bella sirena infatti, rifiutata dal leggendario viaggiatore, si lasciò morire tra i flutti, e il suo corpo esanime trovò requie solo sulle sponde di quello stretto lembo di terra emersa dalle acque del Tirreno, a pochi metri dalla costa. Su quella stessa terra visse Lucullo e venne eretta una possente struttura nelle segrete della quale Virgilio (poeta sì ma anche mago, nella credenza popolare), nascose un uovo, sul quale si sarebbe retto tutto l’edificio: la sua rottura ne avrebbe comportato il crollo nonché una serie di incredibili sventure... Stiamo ovviamente parlando di Castel dell’Ovo, sorto proprio su quell’isola che gli studiosi vogliono alle origini della storia di Napoli. Uscendo dal clima mitico che pervade questo luogo, infatti, le antiche cronache ci raccontano che proprio qui, nel IX secolo a.C., “mercanti e viaggiatori anatolici e achei” fondarono quello che sarebbe stato il primo insediamento del futuro capoluogo campano. Il cui nome non poteva altri che essere Partenope.

San Michele e la Malafemmina Ed è proprio da Castel dell’Ovo che partiamo per questo viaggio tra i vicoli, le leggende e le migliori cucine napoletane. O meglio, dalla vicina riviera di Chiaia (il nome deriva dalla ghiaia che caratterizza la strada) passeggiando lungo la quale si costeggia la Villa Comunale, uno dei principali giardini storici all’ombra del Vesuvio. Proseguiamo quindi in direzione Villa Pignatelli, splendida costruzione neoclassica ottocentesca, che oggi ospita il Museo delle Carrozze. Bello sarà perdersi nei coloriti vicoletti prospicienti, tra i quali si può cercare la casa di Eduardo Scarpetta, commediografo padre dei De Filippo, dove è possibile osservare nell’atrio le statue dei personaggi delle sue commedie. Poco distante Mergellina, dove la Chiesa di Santa Maria del Parto, soprannominata dal popolo Chiesa della Malafemmina, spunta gennaio-febbraio 2014

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Qui, in primo piano, Villa Pignatelli: splendido edificio neoclassico che oggi ospita il Museo delle Carrozze. In basso, piazza del Gesù

Una fenestrella su Marechiaro “Quanno sponta la luna a Marechiare / pure li pisce nce fanno a ll’ammore”... Sono noti in tutto il mondo i versi immortali di uno dei più grandi autori napoletani, Salvatore Di Giacomo (18601934), dedicati all’antico borgo del quartiere Posillipo. La località è stata negli Anni Sessanta uno dei simboli della Dolce Vita, famosa per le sue frequentazioni hollywoodiane e per i suoi ristoranti tipici che affacciano sullo splendido panorama del golfo. Da Marechiaro si può infatti ammirare la vista panoramica sulla città di Napoli, dal Vesuvio alla Penisola Sorrentina a Capri. Celebre la sua fenestrella, che la leggenda vuole sia stata lo spunto, con il suo geranio, proprio per la celebre canzone di Di Giacomo (che probabilmente nella realtà non vide mai né finestra né geranio, e che oltretutto non amava particolarmente i versi da lui stesso scritti e musicati in un secondo tempo da Paolo Tosti). Tutt’oggi è possibile ammirare la fenestrella nella sua semplice bellezza, adornata in ogni stagione da un immancabile fiore rosso. 60

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sulla sommità di una piccola collinetta al centro di un minuscolo borgo medioevale di marinai dal quale è possibile godere un panorama inedito del golfo e delle isole. Sul primo altare della chiesa, da non perdere il San Michele che atterra il demonio, con la serpe diabolica che ha il volto bellissimo della donna, la malafemmina appunto, che tradizione vuole sia stata innamorata del vescovo Diomede Carafa. Tanti i locali che vale la pena visitare in zona. Tra questi, per gustare pesce freschissimo scoprendo un’incantevole vista sul golfo, ottima la Terrazza Calabritto, dove il patron Enzo Politelli propone un’insalata di polpo con le patate deliziosa e un’introvabile spigola di mare.

Profumo di caffè e sartù Spostiamoci dunque nel centro storico greco-romano, il ventre di Napoli: Piazza del Gesù Nuovo. Qui potrete ammirare la magnificenza architettonica della chiesa gesuita, nata su un precedente palazzo eretto nel 1470 dal Sanseverino. Poco distante il Monastero di Santa Chiara (citata nella splendida Munasterio ‘e Santa Chiara, canzone emblema dei disastri della guerra) dove osservare il grandioso chiostro ricco di suggestioni e la tomba dei Durazzo. Inoltrandovi per il Decumano, e smarrendovi tra i suoi coloriti negozi, non perdetevi il forse poco noto Palazzo Venezia, residenza dell’Ambasciata veneziana alla corte dei Borboni, con il


Storie d’amore, morte e magia Napoli è una città bella e misteriosa, eccessiva in tutto, anche nella crudezza delle sue leggende. E Piazza San Domenico è uno dei teatri di alcune vicende oscure, sulle quali la voce popolare ha ricamato nei secoli riportandole a noi come storie dal fascino nero. Qui si racconta infatti che, nel 1590, il compositore Carlo Gesualdo Principe di Venosa sorprese la moglie Maria d’Avalos con il suo amante, il Duca Fabrizio Carafa: uccisi entrambi, la leggenda vuole che portò i corpi sullo scalone del suo palazzo (oggi al civico 9) esposti alla pubblica vergogna. Nello stesso Palazzo visse il Principe di Sansevero, Raimondo di Sangro, esoterista, alchimista, massone, letterato e inventore; tra le storie che lo riguardano, la più nota è quella relativa all’uccisione di sette cardinali con le cui spoglie avrebbe realizzato poltrone! Ma di lui si dice anche che fosse riuscito a riprodurre la liquefazione del sangue come avviene nel miracolo di San Gennaro e che avesse fatto resuscitare alcuni gamberetti di fiume essiccati... Non perdete dunque una visita al Museo Cappella San Severo, dove restare stupefatti di fronte alla tragica magnificenza del Cristo Velato.

Piazza Plebiscito: con i suoi 25 mila metri quadrati di superficie è una delle piazze più grandi d'Italia

Scelti per voi dove mangiare Pizzeria Starita Situata nella zona di Materdei, uno dei quartieri più caratteristici del centro storico, accoglie in un locale ospitale e rustico. Prezzo medio: 15 euro Via Materdei, 27/28 Tel. 081.5573682 www.pizzeriastarita.it Tartufi che passione Il locale offre degustazioni di alta cucina a base di tartufi italiani, accompagnati da ottimi vini. Prezzo medio: 35 euro Vico Satriano, 8 www.tartufichepassione.it

suo diluvio di giardini pensili racchiusi all’interno. Prossima tappa Piazza San Domenico, dove si può godere dell’armonioso insieme architettonico magari sorseggiando un ottimo caffè napoletano accompagnato da una fragrante sfogliatella dell’antico bar Scaturchio, punto di riferimento per la dolcezza partenopea dal 1905. Dopo aver visto, nella Chiesa di Sant’Angelo a Nilo, il magnifico bassorilievo dell’Assunzione di Donatello, la passeggiata si può concludere, passando per San Gregorio Armeno e le botteghe dei pastori, alla Chiesa di S. Lorenzo. Il viaggio nelle viscere della chiesa è intrigante, tutto vestigia greche e romane. Sazi di arte e cultu-

dove dormire M Gallery Palazzo Caracciolo Palazzo Caracciolo, con i suoi oltre 800 anni di storia, è una splendida fortezza a guardia dell’intimità dei suoi ospiti. Camere a partire da 79 euro Via Carbonara, 112 www.mgallery.com Palazzo Decumani Un palazzo del primo novecento trasformato in una residenza di charme a 4 stelle. Camere da 100 euro Piazzetta Giustino Fortunato, 8 Tel. 081.4201379/081.4109144 www.palazzodecumani.com

ra, è arrivato il momento di appagare anche il palato e a venirci incontro è Antonio Tubelli, un’istituzione con il suo Timpani e Tempura. Pochi i tavoli, ma il posto è certamente quello giusto per scoprire alcune delizie che hanno fatto la storia della cucina napoletana, in tutta la loro genuina classicità. Come il vero sartù di riso, o il gateau di patate, i timpani di pasta in varie versioni, i friarielli e un originalissimo timballo di scammaro, antico piatto povero della zona, da gustare a occhi chiusi, perché neanche una briciola, perché neanche il profumo di questa giornata passata nel cuore di Napoli, vada perduto. O dimenticato. gennaio-febbraio 2014

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inviaggio

Il fascino discreto del Sannio

Da Sant’Agata dei Goti, cittadina medievale, a Cerreto Sannita, borgo celebre per le ceramiche, passando per Benevento: un itinerario tra scenari e tesori inconsueti. Con tante bontà da gustare e portare a casa di Claudia Cassinari

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In apertura, uno scorcio di Sant'Agata dei Goti, borgo medievale a 40 minuti di strada in auto da Benevento

Poco battuto, in parte ancora selvaggio, un po’ austero ma di grande bellezza e carattere: l’entroterra campano che confina con il Molise e ad est con la Puglia è un territorio con un passato lungo 30 secoli, segnato da battaglie rimaste nella storia: la sconfitta dei Romani a opera dei Sanniti alle Forche Caudine (321 a.C.), la vittoria di Roma su Pirro (275 a.C.), lo scontro tra Carlo d’Angiò e Manfredi di Svevia (1266). Oggi, fortunatamente, più che per cause belliche, il Sannio beneventano merita grande attenzione, tra le altre cose, per i suoi paesaggi maestosi, i suoi giacimenti culturali e per l’ottima produzione di olio extravergine d’oliva, la ricca gastronomia e, last but not least, per l’eccellenza dei vini.

Sant’Agata: arte e vino

Sannio

Campania

Silenzioso e misterico, con alle spalle una storia guerriera, il borgo di Sant’Agata de’ Goti è l’ideale punto di partenza per un itinerario nelle terre di Benevento. Proprio qui, in questo paese aggrappato a uno sperone roccioso e costruito sulle rovine dell’antica città sannita di Saticula, a partire dal 1960, per opera della famiglia Mustilli, sono stati reimpiantati peraltro i vitigni autoctoni della zona – Falanghina, Greco, Aglianico e Piedirosso – che tante soddisfazioni hanno saputo regalare negli anni. Il cuore medievale di Sant’Agata è poi un vero scrigno d’arte: la chiesa dell’Annunziata custodisce infatti l’affresco di un grande Giudizio Universale, tra le più importanti realizzazioni della pittura tardogotica campana. Meritano una visita anche il Duomo, preceduto dall’atrio porticato medievale, e le cantine storiche di Palazzo Rainone, l’agriturismo dei Mustilli che nelle sue viscere cela un suggestivo intrico di grotte e cunicoli scavati nel tufo, dove si conservano le barrique per l’invecchiamento.

Le vivaci atmosfere nel capoluogo Da Sant’Agata de’ Goti ci vogliono 40 minuti d’auto per raggiungere Benevento, il capoluogo del Sannio, da cui, dopo i fondatori Sanniti, pasgennaio-febbraio 2014

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Gusto sannita al 100% Prima provincia campana per produzione vitivinicola, con oltre 60 tipologie di vini, sei Doc e due Igt, e una tradizione che risale ai Greci e ai Romani, Benevento è territorio conosciuto anche per salumi, oli, formaggi, frutta e carni. Rinomato l’olio extravergine d’oliva che, prodotto con antiche varietà di olive come l’Ortice e l’Ortolana soprattutto a San Lupo e San Lorenzo Maggiore, si distingue per colore verde, bassa acidità e retrogusto fruttato. Tra i formaggi, da menzionare il caciocavallo fatto con latte di mucche podoliche che si trova a San Giorgio la Molara e a Castelfranco in Miscano. Nella frutta invece la regina è la mela Annurca (tradizionale, Bella del Sud e Rossa del Sud), apprezzata per la polpa succosa, croccante e acidula, e coltivata a Moiano e Sant’Agata dei Goti. Tra i salumi, eccelle il prosciutto di montagna di Pietraroia, la cui lavorazione prevede la rifilatura a mano del coscio, la salatura, la pressatura in torchio di legno e la classica stagionatura nei sottotetti delle case che consentono una ventilazione naturale. Anche la carne è di notevole qualità: un posto a sé merita quella ovina di Laticauda, una delle più pregiate d’Italia, per la sua morbida consistenza e il delicato sapore.

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Vista sulla piazza e sulla chiesa di Santa Sofia, importate monumento religioso beneventano

sarono Romani, Longobardi, Normanni e Angioini.A prima vista austera e sfuggente, la città poco a poco rivela i suoi tesori, a partire dalle 91 chiese esistenti: tra le quali spicca l’insolita Santa Sofia, a pianta metà circolare e metà stellare. I tanti poli teatrali, il Museo del Sannio e la vita culturale legata all’Università ne vivacizzano l’atmosfera; l’Arco di Traiano e il maestoso teatro di Port’Arsa ne ricordano ancora oggi il ruolo di importantissima stazione romana lungo la strada per Brindisi. Di costruzione (molto) più recente è invece l’Ortus Conclusus, giardino-museo a cielo aperto installato nella corte dell’antico convento di San Domenico, dove l’artista beneventano Mimmo Paladino ha collocato intense opere di scultura contemporanea. Tracce dei Romani si trovano anche nella gastronomia sannita: nella specialità del torro-

ne o cupedia, ad esempio, anticamente proposta per strada da venditori ambulanti chiamati cupetari. La fama del torrone di Benevento, a base di nocciole, miele e albume d’uovo, si diffuse rapidamente nel XVII secolo ma è sotto il dominio dei Borboni, nell’Ottocento, che l’antica cupeta beneventana diventa prelibatezza natalizia per eccellenza, iniziando una tradizione arrivata fino a noi. Dal torrone al croccantino il passo è breve, così come da Benevento a San Marco dei Cavoti, patria di questa gustosa variante. Qui nel 1891, dopo aver lavorato nelle migliori pasticcerie di Napoli, Innocenzo Borrillo decide di mettersi in proprio e apre un laboratorio artigianale dove

L'arco di Traiano a Benevento. A sinistra, la cupedia, il tipico torrone alle nocciole


inizia a sperimentare una variazione sul tema di sua invenzione (i famosi “Baci”): ovvero un impasto di mandorle e nocciole ricoperto di cioccolato fondente extrafine. Il successo è immediato e dura ancora oggi nell’antica bottega di via Roma, dove a proseguire l’attività ora c’è il nipote del cavalier Borrillo che si chiama proprio come il nonno.

Scenari bucolici e tradizioni Tra colline ricoperte di uliveti, vigneti e paesaggi rurali, risaliamo la valle Telesina, una delle più interessanti della provincia beneventana, dove rivivono ancora antichi rituali religiosi e sopravvivono tradizioni artigianali altrove scomparse. Paesini aggrappati a speroni rocciosi, silenziosi centri storici con case di pietra e fitti boschi dominati dagli scorci del Taburno e del Matese, fanno venir voglia di fermarsi ogni momento. La prima sosta è tra i vigneti di Solopaca, territorio di produzione di uve pregiate e una delle sei Doc del Beneventano. Saltare una degustazione alla cantina sociale di via Bebiana è peccato mortale. Ma, giusto per non eccedere troppo, dopo il vino, nel Sannio scopriamo anche l’acqua. Che da questi parti non manca. Sulla nostra strada c’è infatti Telese, frequentata fin dall’Ottocento per il suo complesso termale. Nelle vicinanze, un quieto lago ideale per una rilassante gita in barca. Da non perdere anche una tappa

Uno scorcio del lago di Telese, poco lontano dal centro abitato

a Guardia Sanframondi, borgo dominato dal castello del X secolo e famoso per i riti penitenziali dell’Assunta, una manifestazione religiosa che si svolge ogni sette anni in agosto (l’ultima è stata nel 2010),a ricordo dei riti d’espiazione medievali: un corteo di uomini incappucciati che si flagellano con chiodi e catene sfilando per le vie della cittadina, secondo culti remoti. Nella non lontana Cerreto Sannita, si può passeggiare invece per le vie del centro barocco (ricostruito dopo il terremoto del 1688) e fare acquisti della rinomata ceramica cerretese nelle botteghe artigianali. Da vedere il Museo della Ceramica sito nel convento francescano e nel chiostro monumentale.

Per saperne di più: www.eptbenevento.it www.bn.camcom.it www.santagatadegoti.eu

Scelti per voi dove mangiare La Rete Locale rustico con giardino e vetrate panoramiche a 14 km dal capoluogo. Da assaggiare, cicatielli al cinghiale, gnocchi al tartufo e formaggi, cosciotto di maiale con castagne. Menù medio: da 40 euro Via Masseriola – Ceppaloni (Bn) Tel. 0824.46574 www.ristorantelarete.com Da Nunzia Storica trattoria familiare del centro. Tra le specialità della signora Annunziata, scarparielli fatti in casa con pomodoro, basilico e formagg;

padellata beneventana (fritto di patate e peperoni); ammugliatielli (budelline di agnello alla griglia o al forno). Menù da 25 euro Via Annunziata, 152 – Benevento Tel. 0824.29431

dove dormire Hotel Villa Traiano A due passi dalle mura longobarde, 19 camere e una suite ricavate in una villa privata del Novecento. Roof-garden con vista sul centro storico. Doppia b&b da 120 euro al giorno Viale dei Rettori, 9 – Benevento Tel. 0824.326241 www.hotelvillatraiano.it

Agriturismo Mustilli Solo 6 stanze d’atmosfera, arredate a tema e con mobili di famiglia, nel settecentesco palazzo Rainone. Al primo piano c’è il ristorante, con cucina tradizionale del territorio. Doppia in mezza pensione a 55 euro, menù medio ristorante 25 euro Piazza Trento, 4 – Sant’Agata dei Goti (Bn) Tel. 0823.718142 www.mustilli.it

dove comprare Premiata Fabbrica di Torroni Cav. Innocenzo Borrillo Via Roma, 64 San Marco dei Cavoti (Bn)

Tel. 0824.984060 www.borrillo.com Frantoio Uliveto Contrada Laureto San Lorenzo Maggiore (Bn) Tel. 0824.813545 Ceramica artistica Vecchia Cerreto Corso Umberto, 74 Cerreto Sannita (Bn) Tel. 0824.860017 Cantina sociale Solopaca Via Bebiana, 44 Solopaca (Bn) Tel. 0824.977921 www.cantinasolopaca.it

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Irpinia,

dove il tempo s’è fermato Quella di Avellino è una provincia appartata e genuina che custodisce tesori storici, prodotti straordinari e sapori dimenticati. Tra pascoli di montagna e borghi trasformati in paesi-albergo di Olga Carlini

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Irpinia

Campania

Un’oasi di pace, aria pura. Fatta di monti piuttosto che di mare. Di paesi e panorami sconosciuti ma così belli da riempire occhi e cuore. Di formaggi al posto degli agrumi e di salumi invece che di pizza. La chiamano il "tetto della Campania", ma il suo nome "ufficiale" lo prende dall’antico popolo degli Irpini. È una terra piena di sorprese ma anche di eccellenze, come quelle vitivinicole: in pochi kmq ci sono infatti ben tre Docg (Greco di Tufo, Fiano, Taurasi) e aziende ai vertici dell’enologia nazionale.

Nella valle dell’Ofanto Nel capoluogo irpino si arriva facilmente, sia dall’Adria-

tico sia dal Tirreno, con l’autostrada NapoliCanosa-Bari. Ottime strade, come l’Ofantina, si snodano sui versanti dell’Appennino e portano a paesi dove la storia s’incarna in nobili palazzi, chiese e castelli; dove il folclore è ancora sentito e l’artigianato attivo. Avellino è a cavallo tra antico e moderno: il Duomo, la barocca Torre dell’orologio che svetta per 40 metri sulle intricate viuzze del centro, i superbi palazzi, l’ex carcere borbonico con pianta a stella oggi trasformato in polo culturale; e l’antica Dogana, datata X secolo, simbolo della vocazione commerciale della città: qui si fissavano i prezzi dei prodotti agricoli che influenzavano anche i mercati napoletani e amalfitani. Da queste parti, la gastronomia è sovrana. Ma anche spostandosi in provincia, per i gourmand, ogni meta è quella giusta: Bagnoli, capitale del tartufo meridionale, e poi Sant’Angelo dei Lombardi, Montella, Atripalda, Serino. La cucina è sapida e robusta, basata su paste fatte in casa, latticini e salumi che dai pascoli e dall’aria di montagna acquistano sapori memorabili. Una sosta obbligata è Castelvetere, sulla statale Ofantina bis in direzione Foggia, uno dei centri più caratteristici della zona, stretto sulle rive del fiume Calore attorno a un castello di epoca longobarda. All’entrata dell’abitato la Fontana dello Zoppo, che fin dal Medioevo offriva ristoro a chi arrivava, poi la Casa dei Forni, così detta per la presenza di dieci bocche dove si cuocevano i pani secondo tradizione. Nel cuore del borgo case di pietra addossate e sovrapposte, scalette e terrazzini e porte sono state recuperate offrendo un esempio di quel nuovo modello di attività turistica che punta sui paesi-albergo e su un “turismo consapevole”.

Sul "tetto della Campania" Facciamo quindi tappa a Montemarano, dove la tarantella – gloria storica locale – non è l’unica attrattiva: siamo infatti nella zona del Taurasi, primo vino Docg d’Italia, gennaio-febbraio 2014

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inviaggio

Scelti per voi dove mangiare Antica trattoria Martella Piatti tradizionali ormai rari come i bucatini al soffritto e gli gnocchetti allardiati. Formaggi e salumi della migliore produzione irpina. Prezzo medio: 30 euro Via Chiesa Conservatorio, 10 Avellino Tel. 082.531117 www.ristorantemartella.it Il Porcellino Per chi vuol tuffarsi nella cucina tipica più rustica. Ravioli al porcellino, carni alla griglia su pietra lavica, formaggi, tartufi e pane fatto in casa. Menù medio da 40 euro Via Campolungo Sant’Angelo dei Lombardi (Av) Tel. 0827.23694 www.porcellino.it

dove dormire Borgo di Castelvetere “Albergo diffuso” con 17 alloggi indipendenti e ben attrezzati. Possibilità di soggiorni a tema, corsi di cucina tipica e attività artigiane. Una notte in b&b: 35 euro a persona. Via Castello, 1 Castelvetere (Av) Tel. 082765786 www.borgodicastelvetere.it B&b Palazzo Zampaglione Aristocratico palazzo con annessa cappella privata settecentesca. La padrona di casa, che cura tutto personalmente, mette a disposizione doppie a 120 euro. Via Berrilli, 10 Calitri (AV) Tel. 0827.38006 www.palazzozampaglione.it

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In apertura il forte di Quaglietta. Qui, una veduta del paese di Montella, famoso per la sua castagna Igp

che prende il nome dal vicino borgo medioevale. Qui, questo rosso perfetto da servire coi formaggi, raggiunge vette di autentica perfezione, configurandosi come un esempio ideale di vinificazione di uno dei più antichi vitigni italiani, quell’Aglianico tanto caro al poeta latino Orazio. Montemarano vale una tappa anche per la produzione di caciocavallo: le donne che lavorano alla cagliata, alla porzionatura e alla forma sono uno spettacolo di forza e destrezza che resta impresso. A un solo chilometro e mezzo c’è Paternopoli, appollaiato su una collina fitta di vigneti, ulivi e frutteti, e appena più distante, Montella, paese della castagna Igp. I castagneti che lo circondano offrono paesaggi di profonda suggestione: nel tempo di raccolta e lavorazione, le aziende aprono le porte per far conoscere l’antica essiccazione dei frutti su gratali alimentati da legna di castagno. Tra le specialità, le castagne “del prete”, dal gusto dolce e affumicato. Non lontano è il Lago Laceno, dove si scia e, al rifugio in vetta, si può gustare il tartufo nero di Bagnoli Irpino, i funghi e altri prodotti del sottobosco. Qui vicino si staglia Quaglietta, un fortilizio di età longobarda situato sulla sommità di una rocca ricadente nel comune di Calabritto. Il suo profilo è uno dei più

affascinanti di tutto il territorio. Fra la valle dell’Ofanto e quella del Calore, vi è invece Nusco, il “balcone dell’Irpinia” e, a 30 km, Calitri con le sue case allineate sullo sperone che si affaccia sulla valle e sale deciso, con larga curva; al culmine il Borgo Castello. La vista spazia dai Monti Picentini a quelli della Basilicata, vicinissima, e in lontananza alla Puglia. Testimone di millenni di civiltà, il borgo è tutto un fiorir di botteghe, atelier di artisti del legno e del ricamo, laboratori di ceramica, residenze nobiliari come il maestoso Palazzo Zampaglione; da non perdere la degustazione dei formaggi affinati in grotta. Per dire addio, anzi arrivederci, è d’obbligo una foto accanto alla chiesetta di Santa Lucia, con la più bella veduta di Calitri!


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Il Salernitano Fiera del suo glorioso passato, Salerno è oggi un centro moderno, pulsante di vita. E la sua provincia è un vero caleidoscopio di bellezze e sapori, tutto “da gustare”: dalla Costiera Amalfitana, al Cilento all'Agro Nocerino-Sarnese di Francesco Condoluci 72

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Ci sono tanti modi di guardare Salerno. Dal mare, puntando lo sguardo dal “lunato golfo” cantato da D’Annunzio. Da nord, dalle alture dei Monti Lattari che sovrastano l’incantevole Costiera Amalfitana. Dall’alto del castello longobardo di Arechi che ne domina, ieratico, il centro storico. Dal basso, infine, dalle case strette nei vicoli che si raccolgono sotto il Monte Bonadies attorno al quale la città si inerpica e dispiega il suo intreccio nervoso di salite e discese. Da qualunque punto scegliate di ammirarla, comunque, la nobile Salerno vi

stupirà per la sua eclettica bellezza, frutto di secoli di maquillage architettonici orditi dai suoi molteplici dominatori; per la vivacità culturale e commerciale che si riverbera nei suoi musei, nei tanti siti di interesse artistico, nei suoi negozi; per la movida che contraddistingue la zona compresa tra l’arenile del porto commerciale e il cuore vecchio della città, pullulante di locali e gente dedita allo “struscio”. Città d’arte e di piaceri ma senza eccessi, città di storiche tradizioni mediche e mercantili, città di mare e di vento, Salerno – che si dà pregio anche


in quattro mosse d’essere stata, per 8 mesi, tra il 1943 e il 1944, la prima Capitale dell’Italia liberata – è fondamentalmente luogo di buon vivere, dove tutto è comodo e a portata di mano per i forestieri che vi sostano prima (o dopo) di aver fatto tappa in Costiera, nelle spiagge del Cilento o agli scavi archeologici di Paestum. Così come Reggio Calabria è il sublime terminale sud di un’autostrada-calvario, Salerno, della famigerata A3, è la splendida ouverture: le due città, accomunate dalla sventura d’essere l’Alfa e l’Omega di uno dei tratti autostradali più disastrati al mondo, si somigliano però anche

per una bellezza a cui non viene sempre resa giustizia. Rispetto a Napoli, ad esempio, Salerno soccombe certamente per monumenti e grandeur storica, ma a differenza della “capitale del Sud”, non ha mai conosciuto l’onta della monnezza dilagante (anzi, primeggia nelle classifiche della raccolta differenziata) né il terrore della camorra sanguinaria. Un’oasi (quasi) felice, insomma, in un contesto non sempre altrettanto sereno. La provincia di Salerno – la più estesa della Campania, con i suoi quasi 5 mila kmq di superficie – del resto, nel suo complesso può fregiarsi di racchiudere

Da sinistra: uno scorcio di Salerno vista dal mare; una panoramica della Costiera Amalfitana; le fertili terre sulle rive del fiume Sannio; il sito archeologico di Paestum

Campania

Provincia di Salerno

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inviaggio

Santa Maria di Castellabate, la maggiore frazione del comune di Castellabate in provincia di Salerno

Sosta d’arte in città Devota a San Matteo l’evangelista, Salerno gli ha voluto consacrare il suo Duomo normanno, costruito sulle rovine di un tempio romano e contenente lo splendido mausoleo rinascimentale della regina Margherita di Durazzo, la cui reggia invece è stata trasformata nel Museo Archeologico Provinciale nel quale è possibile ammirare ceramiche campane, sannitiche e lucane di età ellenistica e altri pregevoli reperti come una Testa di Apollo del I secolo a.C. Non potrà mancare quindi una tappa nell’area archeologica di Fratte, ove sono custoditi i resti della necropoli etrusco-sannitica, e una visita al Castello Arechi, vero dominus della città risalente ai bizantini, oggi museo espositivo. 74

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alcune tra le aree più belle del mondo. Al punto che è quasi impossibile riuscire a districarsi in questo caleidoscopio di meraviglie senza dividere preventivamente in tre macrozone il racconto del Salernitano.

Tra vicoli e ceramiche La statale 163 è l’unica via d’accesso alla Costiera Amalfitana, avamposto settentrionale della provincia salernitana. Un susseguirsi di tornanti, saliscendi e stradine strette come budelli che pare di stare sulle montagne russe. La carreggiata, a strapiombo sul mare, segue il profilo della costa, aprendo alla vista panorami mozzafiato. Da Salerno, s’incontra quasi subito Vietri sul Mare,nota soprattutto per la raffinata tradizione della ceramica, quindi Cetara che della qualità dei suoi prodotti ittici, tonno e alici in particolare, ha saputo fare motivo di vanto e ricchezza. Le splendide cupole maiolicate delle chiese di San Francesco e di San Pietro vi lasceranno in-

cantati ma se seguite la bussola del palato, allora non potrete andarvene senza aver assaggiato la specialità del posto: la colatura di alici, appendice moderna del romano garum, (frutto della conservazione delle alici sotto sale) e oggi condimento gourmet per verdure fresche o spaghetti. Mandata già la colatura, è il caso di riprendere la strada per approdare nei paesi-fiori all’occhiello della Costiera: Maiori, Ravello e appunto Amalfi. Vere suggestioni per gli occhi, una dietro l’altra, che fanno rischiare la sindrome di Stendhal. Il viaggio si conclude a Positano: in mezzo vigneti e limoneti, spesso degradanti verso il mare e posti in posizione impervia. Vini di pregio, da vitigni autoctoni (Tintore, Ginestra, Pepella), oltre a sua maestà lo Sfusato Amalfitano, sono le eccellenze che è vietato non assaggiare.

Un angolo di terra fertile All’estremo nord della provincia, confinante con Napoli, si apre il cosiddetto Agro Noceri-


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no-Sarnese, fertile piana formata da due aree bagnate dal fiume Sarno. Dicono che il segreto della sua prosperità sia nelle ceneri e nei lapilli del Vesuvio che finiscono sui terreni trasformandosi in un ricco fertilizzante naturale. Da queste parti, non a caso, nascono prodotti ortofrutticoli straordinari come il pomodoro San Marzano e il cipollotto nocerino. Se del primo – vera “star” mondiale del made in Italy – si sa tutto o quasi, pochi sanno invece che il cipollotto nocerino, dal bulbo tenero e da una spiccata dolcezza della polpa, è un ortaggio antichissimo che compare già negli affreschi delle case pompeiane. Oggi rappresenta un pò la nuova scommessa dell’agricoltura salernitana. Gustarlo nelle salse o come componente di magnifiche frittate è una voluttà indescrivibile. Appagato il gusto, vi suggeriamo di visitare anche la Basilica di Materdomini, il Castello di Mercato San Severino e il Battistero paleocristiano di Nocera Superiore.

Scelti per voi dove mangiare Ristorante del Golfo Locale storico con specialità marinare e ottima cantina. Prezzo medio: 40 euro Via Porto, 57 – Salerno Tel. 089.231581 www.ilristorantedelgolfo.it La Caravella Ceramiche antiche alle pareti, cucina che parte dalla tradizione e si rinnova in elaborazioni di pregio. Menù medio da 80 euro Via Camera, 12 – Amalfi (Sa) Tel. 089.871029 www.ristorantelacaravella.it

Atrio della cattedrale metropolitana di Santa Maria degli Angeli e di San Matteo a Salerno

Verace Cilento Le sue meravigliose spiagge ogni anno finiscono nella speciale classifica delle Bandiere Blu e la magnificenza della sua costa attrae turisti da ogni dove, ma se avete voglia di chiudere il vostro viaggio nel Salernitano assaporandone “la fetta” più verace, è il caso che non vi fermiate al mare ma vi avventuriate nelle zone interne del fantastico Cilento. Meno celebrato del litorale e dei pittoreschi centri – Castellabate, Acciaroli, Palinuro, Scario, Sapri – che si affacciano sulle acque cilentane, l’entroterra è un microcosmo a sé, un pezzo di mondo rurale sopravvissuto alla modernità. Il turismo di massa non ha ancora scoperto infatti questa terra costellata da paesaggi montani aviti e fascinosi, borghi desolati e irreali come Roscigno Antica, e grotte incantante come quella di San Michele a Sant’Angelo a Fasanella. La porta d’accesso al Cilento è la Piana di Paestum, zona del famoso sito archeologico ma anche di pregiatissime produzioni gastronomiche come la mozzarella di bufala (in una

Città d’arte, piaceri e buon vivere, Salerno è anche capoluogo della provincia più estesa della Campania, che racchiude alcune tra le aree più belle del mondo versione meno sapida e decisa rispetto a quella di Aversa) e il carciofo, conosciuto qui fin dai tempi dei Borboni e oggi utilizzato in cucina in mille modi per la sua versatilità e compattezza. Ma la tavola cilentana non può dirsi tale se non contempla anche il fico bianco: dolce, pastoso, sembra nato apposta per farsi farcire di frutta secca (noci, mandorle) e ricoprire di cioccolato. Perfetto per chiudere “con dolcezza” un tour goloso nel Cilento.

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Cibo&Territorio Cibo&Territorio 88 94

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80 La mozzarella di bufala

Voluttuosa, unica, desiderata in tutto il mondo. Proprio come una diva

94 La pasta di Gragnano È la prima, tra le paste italiane, ad aver ottenuto l’Igp. Un primato meritato

84 Rosso San Marzano

96 I vini campani

Aglianico, Fiano, Greco: con loro è nata la tradizione vinicola del Sud

Viene dal Perù, ma è in Campania che è assurto a “re dei pomodori”

da pag. 100 Rubriche

• Orto dei semplici • La scoperta • Dulcis in fundo • Il buono a tavola • Ospitalità italiana

88 L’oro giallo della Costiera Bello, buono, profumato, divino. È il limone Sfusato: il principe d’Amalfi

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cibo&territorio

Cuore di latte 80

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D’aspetto candido e panciuto, nasce in Campania da latte di bufala e se ne ha notizia sin dal XII secolo. Come scegliere la piĂš fresca? A darci le dritte migliori è nientemeno che il principe De Curtis di Riccardo Lagorio


Fosse una diva del cinema, non potrebbe essere che Sofia Loren. Entrambe vantano forme morbide e voluttuose, origini campane veraci e un successo che non conosce confini. Ammirate, desiderate, famose in ogni angolo del globo: così come l’affascinante protagonista di film-culto come Matrimonio all’italiana o Ieri, oggi e domani è l’intramontabile icona del cinema italiano, la mozzarella di bufala resta l’indiscussa primadonna della tavola in Campania, stuzzicante testimonial della gastronomia tricolore sulla scena internazionale. E non ci sono contraffazioni e scandali (la “mozzarella blu”, gli steroidi, la diossina) che tengano: quella della bufala Dop sui mercati esteri, da anni, è una crescita inarrestabile. Nel suo genere, del resto, questo formaggio fresco e dal sapore dolce come il latte da cui viene prodotto, non ha competitor veri e propri. Di fatto, come amano ripetere quelli del Consorzio di Tutela, la mozzarella di bufala campana Dop «è un prodotto unico che, fuori dai confini della sua terra di origine, diventa altro: una mera imitazione che nulla ha a che vedere con la bontà della mozzarella di bufala campana certificata».

‘O ciato e bbufala «Ti fai dare mezzo chilo di quella di Aversa, freschissima! Assicurati che sia buona: pigliala con due dita, premi la mozzarella, se cola il latte te la pigli, se no desisti!». Così Totò, l’indimenticato principe della risata, in una memorabile scena del film Miseria e nobilità catechizzava Enzo Turco sulla riconoscibilità della freschezza della bufala. In Campania, del resto, queste dotte e gustose disquisizioni si fanno da secoli e la disputa su quale sia il gusto migliore – se quello dolciastro e leggero di Battipaglia, quello neutro di Mondragone o quello salato e corposo diAversa

Le terre della mozzarella Il viaggio alla scoperta delle origini di questa straordinaria eccellenza campana può avere come punto di partenza le Valli del Volturno, un’area che, “bufala” a parte, vanta anche meraviglie paesaggistiche di primissimo piano. Come lo splendido litorale domiziano: Baia Domizia, Mondagrone, Capo Miseno, Castel Volturno, Marina di Varcaturo, con le loro fortezze, i castelli e le antiche ville. A pochi chilometri da qui, Caserta, sede della celeberrima Reggia, dimora del XVIII secolo voluta da Carlo di Borbone e progettata dal Vanvitelli, definita “l’ultima grande opera del Barocco italiano” e Patrimonio dell’Umanità Unesco. Di straordinaria bellezza il Museo dell’Opera e il piccolo Teatro di Corte; immenso infine il parco, animato da fontane e giochi d’acqua. Lasciata la Reggia, visitate Casertavecchia, un borgo medioevale dove è possibile scoprire siti unici come il duomo di San Michele Arcangelo dell'XI secolo e la contigua chiesa dell’Annunziata. gennaio-febbraio 2014

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cibo&territorio

Minestra alla mozzarella Ingredienti (4 persone): 200 gr di mozzarella di bufala 100 gr di pecorino grattugiato 200 gr di pane tostato e tagliato a cubetti 3 uova prezzemolo tritato pepe noce moscata brodo di carne q.b.

Il termine mozzarella è stato inserito nel vocabolario gastronomico italiano da Bartolomeo Scappi nella seconda metà del Cinquecento

che Totò richiama – è ancora aperta. Quel che è certo è che non bisogna mai riporla in frigorifero: la mozzarella da poco fatta deve colare del suo latticello. Solo così si riconosce il vigore di questo prodotto tanto famoso quanto copiato. A dire il vero, un altro metro di pregio gli anziani mastri caseari di Mondragone ce l’avevano: la vera mozzarella doveva lasciare in bocca un retrogusto di ciato ‘e bbufala, il fiato, l’alito di bufala cioè. Quel sapore e quel delizioso latticello che rilascia il primo morso, invade la bocca, fa trasudare di liquido vivido le labbra, le unge, le ravviva e risveglia, sono senz’altro il metro per individuare l’originale mozzarella, termine inserito nel vocabolario gastronomico italiano da Bartolomeo Scappi nella seconda metà del Cinquecento. Tuttavia esistono evidenze che il prodotto esistesse già molti secoli prima: nel XII secolo ad esempio i monaci del monastero di San Lorenzo in Capua offrivano una prova ai componenti del capitolo che si recavano in 82

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processione da loro. La prova è la pasta, ottenuta dall’unione di latte di bufala e caglio di vitello, opportunamente fermentata, su cui si versa acqua calda. Se ne fa appunto una prova di filatura. Ne nasce la mozzarella: i fili infatti si mozzano (operazione da cui trova origine il nome del prodotto) per raggomitolarsi in sfere, trecce, nodini e ovolini. Riposti in apposita salsetta, liquido con acqua, sale e latticello, possono rimanere al massimo per 4 giorni (ma dipende anche dalla temperatura a cui sono mantenuti) per non perdere le caratteristiche organolettiche più significative. Più passa il tempo, perciò, più avrete difficoltà ad assaporare ‘o ciato ‘e bbufala. La si può gustare da sola o in abbinamento con dei deliziosi pomodori maturi. In cucina è perfetta per la realizzazione di primi e secondi piatti mediterranei o nella preparazione della pizza napoletana. Ottimo l’abbinamento con vini giovani e dal sapore asciutto che ne esaltano le qualità organolettiche.

Preparazione: Tagliate a cubetti la mozzarella e incorporatela alle uova sbattute col formaggio pecorino. Unite il prezzemolo tritato, pepate e grattateci sopra un po’ di noce moscata. Mettete il brodo sul fuoco e quando bolle incorporatevi le uova con il formaggio. Quando riprenderà a bollire la minestra sarà pronta. Versate nei piatti in cui avrete distribuito il pane.

Occhio ai consumi Prima di tutto si chiama mozzarella solo se l’origine è il latte di bufala; perché si abbia la certezza di acquistare un prodotto di pregio si dovrà cercare l’apposito marchio rilasciato dall'Unione europea con il nome di "mozzarella di bufala campana". Va consumata entro 4-5 giorni dalla produzione. Prima del consumo, scaldare a bagnomaria.

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Ingredienti scelti e selezionati esclusivamente dalla produzione isolana come zucchero, vaniglia, miele di agrumi, nocciole, stimolano il palato con inaspettate combinazioni di sapori e profumi. Fiasconaro S.r.l. P.zza Margherita. 10 - 90013 Castelbuono (PA) - 0921.677132 www.fiasconaro.com


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Rosso San Marzano di Marishel Fecchi

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È probabile che anche lui venisse un tempo utilizzato come pianta ornamentale, con il rosso dei suoi frutti che colorava giardini e orti. Inevitabile però che il profumo intenso che lo caratterizza conquistasse i campani, dei quali divenne presto ingrediente amatissimo. Fresco, pelato o secco che sia, scopriamone i segreti e conosciamo meglio la terra che lo vede crescere rigoglioso

Campania San Marzano sul Sarno

Porta con sé l’estate, il San Marzano. Anche in pieno inverno. E condisce di sole e profumi mediterranei i primi piatti più genuini e le pizze migliori. Considerato dai più il pomodoro “da sugo” per eccellenza, è opinione comune che si tratti di un prodotto rigorosamente "made in Campania". E non a torto. La Dop infatti ne limita la zona di produzione all’area dell’Agro Nocerino-Sarnese, territorio che si estende in provincia di Salerno, con propaggini in quelle di Napoli e di Avellino. In realtà però le sue origini sono decisamente più esotiche. A Napoli infatti il primo San Marzano pare sia arrivato dal Perù nel 1770, sotto forma di dono da parte dei reggenti locali, anche se il Vecchio Continente di pomodori ne aveva già visto alcuni esemplari importati dagli spagnoli a partire dal XVI secolo. Per lunghi anni però ci si era privati del gusto succoso e ricco del prezioso ortaggio perché, vista la sua bellezza folgorante, ci si era limitati a

considerarlo una pianta ornamentale: pare che, ancora alla metà dell’800, negli Stati Uniti, un gruppo di anarchici tentò di avvelenare l’allora Presidente Abramo Lincoln convincendo il cuoco della Casa Bianca a preparare un piatto usando come ingrediente questo particolare frutto rosso!

Non sei cambiato per niente! Fu dunque un lento cammino quello che portò il pomodoro a essere apprezzato anche in cucina, tanto da meritarsi il nome di “pomo del paradiso” o “dell’amore”, dal momento che gli italiani riconobbero in esso proprietà afrodisiache. Particolare fortuna la ebbe proprio la varietà Solanum lycopersicum che, una volta toccato suolo campano, vi attecchì con successo, crescendo rigoglioso proprio in provincia di Salerno, nei pressi di un paesino che sorgeva sulle sponde del fiume Sarno: San Marzano, per l’appunto. Le condizioni che questi particolari semi trovarono nella vasta pianura della zona infatti erano ideali: clima mediterraneo, caratterizzato da un’umidità relativa dell’aria piuttosto elevata, suolo di origine vulcanica, quindi particolarmente fertile, ricchezza dell’acqua. Un contesto ottimale che, sommato alla fisionomia di questa varietà già “perfetta” all’origine, fece sì che, nel corso dei secoli, l’ortaggio non dovette subire sostanziali modifiche genetiche, risultando ancora oggi invariato rispetto al suo antenato che circa 300 anni fa attraversò l’Oceano. Nessuna manipolazione in laboratorio dunque, tanto che oggi non esiste una cultivar del San Marzano ben definita e i vari tipi odierni sono derivati per selezione naturale dal vecchio progenitore. gennaio-febbraio 2014

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cibo&territorio Tecniche di essiccamento Vero bijoux per il palato è il San Marzano essiccato. Per realizzare questa delizia, è necessario tagliarlo a metà nel senso della lunghezza e lasciarlo asciugare al sole con la parte del dorso rivolta verso l’alto, cospargendolo con un pizzico di sale per tenere lontani gli insetti; i singoli pezzi vanno ritirati ogni sera per essere preservati dall’umidità, operazione da ripetere per alcuni giorni, fino a quando diverranno ben secchi, quasi rattrappiti. Un piccolo, semplice piacere capace di trasformare quasi per magia un normale piatto di pasta in un trionfo di gusto. L’unico ostacolo? Per realizzare la ricetta sarà necessario aspettare la prossima estate!

Come allora dunque il pomodoro di San Marzano Dop si presenta con una forma allungata, un colore rosso vivo e una polpa dal sapore tipicamente agrodolce quasi completamente priva di semi.

Una terra “succosa” Caratteristica tipica della coltivazione del San Marzano è l’allevamento in verticale su pali di legno collegati a fili orizzontali. Questa modalità di coltura influisce in modo determinante sulla qualità delle bacche che, non avendo contatti con la

Nel corso dei secoli, il San Marzano non ha subito sostanziali modifiche genetiche: quello che gustiamo oggi è lo stesso pomodoro che attraversò l’Oceano 300 anni fa 86

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terra, risultano integre e pulite. E non solo, disegna anche il paesaggio dell’Agro Nocerino-Sarnese, uno dei principali polmoni dell’agricoltura campana (notevole ad esempio anche la produzione di castagne, nocciole, funghi e tartufi). A fiorire nella zona però non sono solo i rossi San Marzano. Ricca infatti è anche la produzione di tabacco, canapa e fibre tessili, mentre degne di nota sono le risorse culturali e turistiche diffuse sul territorio. Imperdibile ad esempio l’area archeologica di Nuceria Alfaterna, bacino di testimonianze dei fasti del passato assieme alle tante ville e castelli come Villa Calvanese a Castel San Giorgio, il Castello Doria ad Angri o il Castello Fienga di Nocera, così come pure le numerose torri che punteggiano i tracciati delle antiche vie consolari. La zona è anche uno dei punti di partenza privilegiati per andare alla scoperta dei tesori della regione, essendo posizionata favorevolmente a pochi chilometri da Pompei, Positano, Sorrento e dall’impareggiabile Costiera Amalfitana.

Il bello dei “pelati” Dunque, se il pomodoro San Marzano viene raccolto principalmente tra agosto e settembre, com’è possibile gustarne il vero aroma e i giusti profumi anche in pieno inverno? Grazie alle confezioni di “pelati”. Semplice. Modalità che al San Marzano si confà particolarmente vista la sua sottilissima buccia, così facile da togliere, che lo rende perfetto per questo impiego. Tanto più che la prima iniziativa a carattere industriale per l’inscatolamento dei pomodori interi ha avuto proprio in Campania i suoi natali. L’industria dei “pelati” infatti è sempre stata vanto della regione grazie alla notevole presenza di questo alimento che, una volta trasformato dalle numerose attività sorte nel territorio, veniva commercializzato su scala nazionale ed esportato in numerosi paesi dell’Europa e delle Americhe già dall’inizio del Novecento.

Per saperne di più: www.consorziopomodoro sanmarzanodop.it


Mangia integrale vivi meglio


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L’oro giallo È il principe incontrastato di questa terra bella e suggestiva come poche altre in Italia, dove “l’onde s’incontrano colle montagne”. Parliamo del limone Sfusato di Amalfi, orgoglio del territorio, unico anche per la sua bontà nutrizionale, che a primavera bagna di sole e aromatico profumo i giardini affacciati sul mare di Sergio Tarantino Non è un limone qualsiasi. Profumo intenso, polpa tenera e succosa. Ma soprattutto un colore giallo pieno, come quello del sole che bacia la sua terra quasi tutto l’anno. È lui: lo Sfusato, principe regnante della Costiera Amalfitana, ricca di suggestioni e colori come pochi altri angoli del nostro Paese. Una gioia per gli occhi in ogni periodo

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dell’anno, la seconda. Una vera goduria per il palato, il primo. Che si raccoglie più volte nell’arco dei dodici mesi, anche se la sua stagione d’elezione è quella primaverile.

Bello, buono... divino! Un identikit preciso distingue il Limone Igp Costa d’Amalfi: dimensioni medio-grandi, forma affusolata del frutto (da cui “sfusato”), una buccia di medio spessore, colore dell’oro con un aroma


della Costiera e un profumo intensi grazie alla ricchezza di oli essenziali e terpeni. Scarsa la presenza di semi in una polpa ricca e morbida, quasi dolce, tra le più ricche di vitamina C. E proprio a questo si deve la diffusione così massiccia in Costiera. Per un popolo di naviganti, infatti, era prezioso disporne per la sua efficacia nella lotta allo scorbuto (malattia causata proprio dalla mancanza di vitamina C). Se il limone possiede un sapore tipicamente forte e aspro che lo porta a essere centellinato, accuratamente dosato, la varietà che nasce sugli splendidi terrazzamenti della “divina” Costa d’Amalfi ha un sapore talmente dolce ed elegante da poter essere gustato anche da solo. Anzi, di più: il meglio lo dà proprio se assaporato come un frutto, al naturale, preparato a insalata. Provare per credere: basta tagliarne qualche fettina sottile, aggiungendo eventualmente

un po’ di cannella, di sale o di aceto (ma i più golosi hanno facoltà di guarnirlo anche con zucchero a velo o con un leggero sbuffo di cioccolato fondente fuso) per avere pronto un delizioso piatto per concludere con genuina originalità il pasto. Come è facile immaginare, lo Sfusato è anche utilizzatissimo come condimento nel pesce, negli antipasti, nei primi, sulle carni: non esiste piatto di terra o di mare che non risulti valorizzato e ingentilito grazie all’aggiunta del suo succo, della sua polpa fatta

Campania Amalfi

Non esiste piatto di terra o di mare che non risulti valorizzato dallo Sfusato

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Sfusato in bottiglia Tra le svariate modalità d’impiego del limone d’Amalfi, quella sicuramente più nota è la sua trasformazione in un liquore dal sapore morbido e dal profumo intenso, conosciuto in tutto il mondo con il nome di Limoncello. Digestivo naturale molto aromatizzato, originale e puro (è privo infatti di conservanti, additivi e coloranti), di colore giallo chiaro e con una fragranza di limone davvero inebriante, viene servito freddo o ghiacciato, per concludere pranzo o cena o anche fuori dai pasti. E tante sono le botteghe e i negozietti che lungo la costa producono ancora artigianalmente qualche bottiglia di questo delizioso nettare dorato, creato seguendo una antica ma semplice ricetta. Ingredienti: 12 limoni 1,5 l di acqua 1 l di alcool puro 95° 500 gr di zucchero

Preparazione: Lavare accuratamente i limoni e tagliare con un pelapatate o un coltellino la scorza a listarelle, facendo attenzione ad asportare unicamente la parte gialla poiché quella bianca renderebbe amara la bevanda. Versare l’alcol in un recipiente di vetro per conserve coperto, aggiungere le scorze e lasciare in infusione per una settimana all’ombra, possibilmente in un ambiente fresco. Dopo sette giorni fare bollire in un pentolino l’acqua con lo zucchero, lasciare raffreddare e aggiungere il liquido all’alcol. La dose dell’acqua può essere diminuita per aumentare il tasso alcolico del limoncello, a seconda dei gusti. Lasciare riposare per tre settimane circa, dopodichè versare il tutto in una bottiglia filtrando la rimanenza delle scorze con un colino. Filtrare nuovamente il tutto con una garza per far sì che il liquore risulti limpido. Fare poi raffreddare in frigorifero per qualche ora prima di servire.

a poltiglia o della sua buccia grattuggiata. Alcuni bar della zona propongono addirittura il “caffè al limone”... Molto meglio però orientarsi sui dessert, sulle famose Delizie, sui babà al limoncello, sulle torte, sui profitteroles, sui cioccolatini al limone. O sui follovielli: uva passa con canditi e fichi avvolti in foglie di limoni, “impacchettati” e poi cotti in forno. Magari da accompagnare all’infuso di bucce di limone immerse in alcol puro; ma anche a un semplice bicchiere d’acqua gasata servito con una fetta di Sfusato che rilascia il suo aroma nel liquido: una chicca semplice ma deliziosa, da provare.

Nei secoli fedel

I terrazzamenti della Costiera impreziositi dai giardini di limoni

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Non è difficile da immaginare: in primavera l'aroma inebriante dello Sfusato impregna completamente l’aria della Costiera dove nasce, una perla non per niente soprannominata “divina” con quel suo susseguirsi di baie, insenature, strapiombi costellati da una serie di gioielli incastonati nella roccia a picco sul mare: 40


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Dalla terra,

la vita

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chilometri di stupore dai quali non poteva che nascere un tesoro tanto prezioso! Talmente diffusa è la sua coltivazione in appezzamenti spesso scoscesi, visto il territorio piuttosto impervio, da creare, a primavera, dei veri e propri giardini di limoni riconoscibili anche per la copertura delle piante con le cosiddette pagliarelle. E non c’è comune del territorio che non vanti splendide distese dal colore giallo intenso: Amalfi, Cetara, Conca dei Marini, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti, Vietri sul Mare... Attualmente il limone amalfitano viene coltivato su circa 400 ettari, con un raccolto medio annuo di circa 8 mila tonnellate. Ma "l’oro della Costiera" è qui padrone di casa ormai da secoli: gli archivi ne documentano la presenza sin dal 998, anche se il periodo aureo della produzione e del commercio dello Sfusato si colloca attorno alla seconda metà del XIX secolo. Da diversi anni inoltre si fregia dell’Indicazione Geografica Protetta ed è controllato da un apposito Consorzio. La raccolta avviene nel periodo che va dal 1° febbraio al 31 ottobre e deve essere effettuata rigorosamente a mano, poiché va impedito il contatto diretto del frutto con il terreno.

Una veduta notturna di Amalfi, regno dello "Sfusato"

Lo Sfusato viene coltivato nel territorio della Costiera Amalfitana da secoli: gli archivi documentano la sua presenza in questa terra "divina" sin dal 998

Un limone (d’Amalfi) al giorno... Da studi recenti è emerso il potere antiossidante di questo frutto nonché la sua funzione coadiuvante, da un punto di vista terapeutico, perché interviene in azioni antinfettive, stimola il sistema immunitario, combatte lo stress, protegge i fumatori da alcune malattie, aumenta le prestazioni sportive e agisce su crescita e prevenzione della senescenza. Oltre che essere benefico in caso di raffreddore, influenza e per la cura di gastriti e affezioni intestinali.

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Una pasta da primato di Elena Conti

Incredibile. Fino a oggi l’Italia, patria di spaghetti, bucatini e maccheroni, non vantava neanche una Igp nel comparto paste alimentari. A ricevere per primo il prestigioso riconoscimento, il prodotto simbolo di Gragnano 94

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Festa grande per i pastai gragnanesi. Dopo 500 anni in cui la città in provincia di Napoli ha legato il nome e la reputazione a quella della sua pasta, finalmente il suo prodotto più tipico ha ottenuto l’Igp, un acronimo che ne sintetizza tutte le caratteristiche di qualità e tipicità legandole a una particolare provenienza geografica. Un traguardo importante per i pastifici che producono nel rispetto della lavorazione artigianale più antica: «A Gragnano il profumo del grano adesso è più intenso – commenta Giuseppe di Martino, Presidente del Consorzio Gragnano Città della Pasta che raggruppa la maggior parte dei pastifici locali e rappresenta il 90% della produzione dell’area sia in termini di volumi che di fatturato – Festeggiamo così 8 anni di lavoro e 500 anni di storia e tradizione». Costituito nel 2003, il Consorzio ha permesso la diffusione di questa eccellenza gastronomica, sempre più apprezzata e amata da chef e consumatori. Secondo quanto previsto dal Disciplinare di produzione, come “pasta di Gragnano” è da intendersi il prodotto ottenuto dall’impasto della semola di grano duro


Più italiana di così... Nel 2013 l’Italia ha registrato 13 nuovi prodotti di cui 4 Dop e 9 Igp; fra questi ultimi non solo la pasta di Gragnano Igp ma anche i maccheroncini di Campofilone Igp: due novità che vanno a coprire un vuoto inaccettabile per un paese che, pur dovendo da sempre buona parte della sua fama gastronomica proprio ai suoi primi piatti, non aveva fino a oggi nessun prodotto registrato nella “Classe 2.7. Paste alimentari”. Dalla Campania alle Marche dunque, dove i maccheroncini nati nello splendido borgo medievale in provincia di Fermo sono un vero e proprio must. «Queste due registrazioni aprono scenari economici nuovi per un comparto che vale circa 4,5 miliardi, di cui la metà di esportazioni» spiega Mauro Rosati, direttore generale della Fondazione Qualivita. «Fino a ieri le azioni commerciali del comparto erano esclusivamente oggetto dei grandi brand privati, mentre oggi sono raggiungibili nuovi obiettivi, soprattutto per le piccole aziende che, avvalendosi dei marchi geografici, potrebbero usufruire di facilitazioni soprattutto nei mercati internazionali. Un altro traguardo che potrebbe essere raggiunto attraverso l’utilizzo delle denominazioni di orgine è la realizzazione di una pasta 100% italiana certificata. Infatti – conclude Rosati – con l’adozione di disciplinari di produzione, si garantirebbero allo stesso tempo sia la provenienza e la qualità delle materie prime italiane, sia il metodo di produzione».

Il Presidente della Commissione Agricoltura UE, Paolo De Castro, in occasione della manifestazione organizzata a Bruxelles per festeggiare il conferimento dell'Igp alla pasta di Gragnano

con la purissima acqua della falda acquifera locale; ha un particolare profumo di grano maturo e un sapore sapido, dal gusto deciso. L’aspetto rugoso è tipico della trafilatura al bronzo, e alla cottura si presenta di consistenza soda ed elastica, con un’ottima e lunga tenuta. A Gragnano, l’utilizzo della trafila in bronzo si è mantenuto nel tempo nonostante la diffusione delle trafile in teflon: è solo grazie a questo materiale, infatti, che nel corso della fase di estrusione è possibile trattenere l’impasto nei punti di contatto con la trafila stessa, provocando delle micro asperità che consentono alla pasta, una volta cotta, di catturare e trattenere facilmente il sugo e incrementano la superficie di contatto con le papille gustative esaltando anche la materia prima e conservandone il tipico sapore di grano. L'inserimento nel Registro delle Dop e Igp è, infine, un’ottima occasione per creare un segmento di prodotto più elevato, con remunerazioni diverse per i produttori, dove il vantaggio distintivo sarà proprio la provenienza del grano, che ultimamente e sempre più spesso è oggetto di attenzione da parte dei consumatori, preoccupati da tanti allarmi che hanno coinvolto il prodotto Ogm proveniente all’estero.

A caccavella alla sorrentina Le caccavelle di Gragnano sono dei chioccioloni rigati da farcire e portare a cottura in un tegamino di terra cotta. La pasta viene scottata e poi riempita di carne macinata saltata con olio e aglio, ricotta, mozzarella a cubetti, parmigiano e aromi; viene quindi ricoperta di salsa di pomodoro e passata in forno per 15 minuti. Da servire caldissima nel suo tegamino.

Scelti per voi dove comprare Pastificio Di Martino Via Castellammare, 82 Gragnano (Na) www.pastadimartino.it La fabbrica della pasta di Gragnano V.le San Francesco, 30 Gragnano (Na) lafabbricadellapastadigragnano.it

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Il sole È nell’entroterra campano, e in particolare nella provincia di Avellino, che si è inaugurata la tradizione dei grandi vini meridionali. Il Taurasi è stato la prima Docg del Sud. Aglianico, Fiano e Greco i vitigni più affermati, nobili testimoni di questa terra, fedeli compagni del cibo di Giorgio Casentini C’è poco da fare: al di là delle chiacchiere, il vino è buono quando è buono e cattivo quando è cattivo. Come ogni altro alimento, del resto. E in Campania, possiamo dirlo senza tema di smentita, il vino è buono! Come a Napoli sono buoni – quando sono buoni – i maccheroni, la pizza alla diavola, la zuppa di maruzze e di cozze, le melanzane a scapèce. L’immagine di questa regione che con arguzia, ingegno e olio di gomito rifiuta la sconfitta e le sventure che periodicamente bussano alla sua porta, è da-

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ta anche dalla sua cifra enologica in continua ascesa. Lo dicono le statistiche, lo attestano gli istituti enologici che eseguono le selezioni clonali sulle varietà Aglianico, Fiano e Greco richieste da tutti i produttori italiani, con buona pace dei principi che regolano la conservazione del patrimonio genetico autoctono.

L’ellenico che fu caro a Veronelli Del resto l’odierno Aglianico – presente in un territorio di grande tradizione vitivinicola, che comprende 17 comuni, tutti in Irpinia,


nel calice provincia di Avellino – non l’ha mica piantato lì il Padreterno, ma vi è stato introdotto sotto il nome di Vitis Hellenica, all’epoca della fondazione di Cuma. Ed è proprio dalla Vitis Hellenica che si ricava il Taurasi, vino accurato nel quale l’Aglianico (distorsione dal termine “ellenico”) trova la sua massima espressione, dai profumi decisi ma delicati, dal retrogusto persistente e meritevole di prolungato invecchiamento. Fu questo il primo vino del caldo Sud a ottenere la Docg. E come non ricordare l’elogio che il buon Luigi Veronelli fece del Taurasi Cinque Querce (definendone “maestosa” l’annata 1998) consegnando così per sempre alla storia il nome e l’azienda di Salvatore Molettieri in agro di Montemarano? Sempre in zona, ma a Fontanarosa, borgata prossima a Taurasi, c’è un’altra cantina che, se vi trovate da quelle parti, merita decisamente una visita. È quella di Pasqualino Di Prisco: la sua azienda dal

1995 rappresenta l’unica espressione territoriale in etichetta e, a differenza di Molettieri col quale ha comunque una storia quasi analoga, il Taurasi che produce ha decisi e stupefacenti sentori di tabacco. Segni chiari di futura longevità, a tratti riscontrabili anche nel Taurasi della Tenuta Ponte, prodotto in agro di Luogosano, provincia di Avellino.

Bianchi, nobili e avellinesi Ma la vera sorpresa, in queste straordinarie terre campane, è andare a mangiare in un ristorantino di paese e scoprire, quando mai l’avreste detto, che invece del classico vinello della casa, dispone di una carta dei vini di tutto rispetto. Se siete fortunati, in questo peregrinare mangia-bevereccio, potrà anche capitarvi in sorte di imbattervi in un Fiano di Avellino 2006 Pietracupa, prodotto da Sabino Loffredo a Montefredane: un bianco di grande stoffa, da mandare giù senza tanti

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winepassion

Per chi non s’accontenta

Uno scorcio delle terre dell'Aglianico , in Irpinia, nella provincia di Avellino

complimenti, mentre assaporate mozzarelle di bufala, formaggi caprini, caponate, polipetti in umido, totanetti ripieni e pezzogne appena pescate. Il Fiano, da sempre considerato uno dei più nobili vitigni italiani a bacca bianca (la sua più antica citazione in un documento ufficiale è in un registro degli acquisti della corte di Federico II della prima metà del XIII secolo), ha molteplici sfaccettature e si diversifica a secondo delle zone di produzione, delle cure ricevute in cantina e dell’onestà dei produttori. Il Pietracupa, ad esempio, si differenzia notevolmente dal Fiano in purezza (il disciplinare prevede la possibilità di un 15% di Greco, Coda di Volpe e Trebbiano Toscano) di Guido Marsella. Questo vino è figlio di una raccolta ritardata non solo per esigenze climatiche, ma soprattutto per l’affermata volontà del produttore di assicurarsi la piena maturazione e la massima concentrazione delle uve. Le piacevoli note di mandorla, pompelmo, cedro, susina, erbe aromatiche e le sue sensazioni minerali, fanno 98

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dimenticare una gradazione forse eccessiva. Il Fiano, che sta diventando uno dei prodotti più rappresentativi del nostro Paese, è del resto il vino con cui la Campania si è fatta strada nel mondo enologico. Era conosciuto ai latini con l’appellativo di Vitis Apiana, che deriva da ape, insetto particolarmente attratto dal sapore dolce di quest’uva. Tuttavia quest’antico vitigno, diffuso in provincia di Benevento, Napoli, Caserta e Avellino rischia – se il suo sviluppo non sarà limitato all’interno dei territori in cui è in grado di esprimersi con maggiore personalità – di diventare una sorta di Chardonnay partenopeo. Sempre nell’Avellinese, terra che di fatto ha dato “il la” alla grande tradizione dei vini meridionali, trova infine il suo humus preferito il Greco di Tufo, in una zona molto limitata e molto propizia alla coltivazione della vite, dove questo bianco armonico dal profumo intenso e fruttato – che deve il suo nome alla presunta origine greca e alla roccia tufacea su cui cresce l’uva – ha raggiunto una tipicità ineguagliabile.

Aglianico, Fiano, Greco: questi nomi sono ormai affermati nell’universo campano del bicchiere, ma negli ultimi anni, a conferma della ritrovata vena enologica del territorio, sono emersi alcuni grandi vini in zone, per così dire, meno ovvie, come i vigneti intorno a Paestum, dove alcuni produttori (Montevetrano, De Conciliis e Maffini, per citare i più noti) propongono vini di classe, sfruttando quasi esclusivamente la ricchezza delle varietà autoctone. Villa Matilde, a nord della zona di Falerno del Massico – dal nome del vino più celebrato del mondo antico, il Falernum – produce ad esempio, da ormai mezzo secolo, ottimi rossi a base di Aglianico e Piedirosso e bianchi in costante evoluzione, a base di Falanghina.


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orto dei semplici

di M. Pia Fanciulli

Coltiviamoli così I vasi e il terriccio Le rape vanno coltivate in vasi o cassette abbastanza profondi con terriccio capace di trattenere l’umidità. Crescono meglio nelle zone a clima mite e temperato-umido, temono la siccità e le temperature elevate.

Il segreto dei friarielli Protagonisti della cucina partenopea, il nome allegro fa il verso allo “sfriggere” dell’olio nella padella dove vanno cotti. Forse però non tutti sanno che dietro questo ortaggio dalle poche pretese si nascondono le ben più note cime di rapa!

Sono così amati dai napoletani da aver dato il nome a una delle più note zone della città. Quando infatti, un secolo fa, la collina del Vomero e quella di Posillipo erano ancora uno straordinario luogo di orti e terrazzamenti, questa parte di Napoli venne chiamata “o colle de’ friarielli”. Nascono dalle cime di rapa o broccoletti (Brassica rapa, sottospecie silvestris), delle quali rappresentano le infiorescenze appena sviluppate. Già presente nella magra dieta dell'uomo preistorico, la rapa è da sempre cibo povero, particolarmente utile in epoca di carestie; la sua capacità di conservarsi a lungo, fino al raccolto successivo, permetteva infatti l'accumulo di scorte. Plinio, storico naturalista romano, ci ricorda come già nell’antichità le rape fossero “il terzo prodotto della Transpadania” dopo il vino e il grano, e siano nate “per nutrire tutti gli esseri viventi”: gli animali con il loro fogliame, e l'uomo con le loro cime. Oggi, le cime di rapa, e dunque i friarielli, sono considerate una vera e propria leccornia, che i napoletani – tradizional100

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mente chiamati mangiafoglie per la loro passione per le verdure – hanno ovviamente saputo elaborare al meglio. La prima regola per ottenere un perfetto piatto di friarielli è selezionare la materia prima: i mazzetti non devono essere troppo fioriti mentre le foglie devono essere ancora tenere e dal colore brillante. Dopo averli lavati, mantenendoli un po’ bagnati, si fanno rosolare con un paio di spicchi d’aglio e il peperoncino nell’olio extravergine d’oliva. È proprio da tale “sfrigolamento” che i friarielli prendono il nome (ovvero dal verbo friere che in napoletano vuol dire friggere). Con cosa si mangiano? Gli abbinamenti sono molteplici. Ci si può condire un’ottima pasta, oppure si possono gustare con la scamorza alla brace. Buonissimi con la pizza, il classico dei classici – quello che se si va a Napoli, soprattutto in inverno, non si può non mangiare – è però un piatto di friarielli con la salsiccia. Delizia Doc! Una curiosità: appena fuori Napoli si chiamano friarielli non le cime di rapa, ma i peperoncini verdi dolci.

La semina Si può fare anche scalarmente, in Luna calante, da aprile fino a settembre, senza interrare troppo profondamente il seme: sono sufficienti buchette di 1-2 cm. Un successivo diradamento lascerà una distanza di 8-10 cm tra le piante per le rape da radice, e uno spazio di circa 35-40 cm per le rape da broccoletti o da cime. Queste ultime si possono anche seminare in agosto, senza diradamento, per poi raccoglierne le foglie nella primavera successiva. Punti deboli Le rape da broccoletti o cime di rapa possono venire trapiantate occasionalmente, in genere alla fine dell’estate, mentre non si trapiantano le rape da radici. Il trapianto va preferibilmente effettuato con Luna crescente. Importante anche annaffiare le piante regolarmente durante i periodi asciutti per evitare che diventino dure e legnose. Buono a sapersi Tra le piante orticole, le rape sopportano bene anche un’esposizione non in pieno sole, vegetano pure con un po’ d’ombra. Inoltre, volendo coltivarle nell’orto, ben si associano a pomodori, spinaci e bietole da coste. Raccolta e conservazione Le cime di rapa si raccolgono staccando le infiorescenze e le foglie insieme allo stelo centrale ingrossato prima che i fiori gialli comincino ad aprirsi. La raccolta va preferibilmente effettuata con Luna crescente. Nei climi più freddi si possono conservare nelle scatole o in sacchi di rete in luogo fresco e asciutto.


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la scoperta

di

Giovanni Russo

Il fico bianco del Cilento Ai tempi degli antichi Romani era considerato “il pane dei poveri”, ma non c’è voluto molto a capire che questa prelibatezza, essiccata, magari farcita con frutta secca o ricoperta di cioccolato, poteva avere successo ben oltre i confini campani. E così è stato (ed è ancora) Introdotta sul territorio dai Greci intorno al VI secolo a.C., la pianta di fico pare aver trovato fin da subito il suo habitat ideale nel soleggiato Cilento. Se la cultivar Dottato è presente in tutto il Meridione, è a sud di Napoli che, nel corso dei secoli, è stato selezionato uno specifico tipo di tale varietà: il fico bianco del Cilento, appunto, al cui prodotto essiccato, nel 2005, è stata riconosciuta la Dop. Già negli scritti di celebri autori di epoca romana, in particolare Catone e Varrone, si parla delle straordinarie qualità nutritive dei fichi essiccati, ai tempi comunemente usati come alimento base per i lavoratori nei campi. Una sorta di “pane dei poveri”, che però, già nel ’400 risulta essere stato venduto su scala nazionale come golosa “chicca” natalizia. Assieme all’ulivo, le piante di fico caratterizzano da millenni il paesaggio rurale cilentano e rappresentano l’icona della locale civiltà contadina nonchè il simbolo dell’odierno Parco Nazionale del Cilento. Contraddistinto dal colore giallo chiaro uniforme 102

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della buccia che diventa marroncino dopo la cottura in forno, il frutto essiccato ha caratteristiche uniche dovute anche al microclima della zona di produzione, quella collinare dei piccoli borghi in prossimità di Agropoli, fra cui Eredita, Prignano e Cicerale. Qui, grazie all’azione mitigatrice del mare, alla protezione degli Appennini dalle fredde correnti invernali e alla particolare conformazione del suolo, si sviluppano infatti le condizioni ideali per una produzione di eccellenza. La raccolta avviene fra luglio e settembre rigorosamente a mano, per evitare di lacerare la buccia. L’essiccazione sulle grate e la lavorazione del prodotto si svolgono nella stessa area geografica, nel rispetto di tradizioni antichissime tramandate da generazioni. Una volta secchi, i fichi vengono pressati a mano, dorati in forno oppure farciti con mandorle e noci, aromatizzati con scorza di limone e finocchietto selvatico e ricoperti di cioccolato fondente e zucchero di canna. Da un felicissimo e vincente connubio tra tradizione e innovazione sono infine nate, negli anni, produzioni accattivanti come i fichi mondi o mmunnati (considerati i migliori in assoluto); il capicollo, una sfoglia di fichi mondi avvolta a mano e farcita con noci di Sorrento, finocchietto selvatico e bucce di agrumi; il fagottino di fichi con uvetta, scorzette di arancia e mandorle amalgamate in una soluzione di rhum e melassa di fichi, ottima quest’ultima anche in abbinamento con formaggi, macedonie o gelato.


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dulcis in fundo

di Iginio Massari

Napoli, si comm' nu' babà Un excursus sentimental-letterario. Un itinerario tra ricordi e suggestioni, vicoli e sapori, da percorrere in compagnia di poeti, viaggiatori e filosofi. Un quadro romantico e goloso della città barocca vista con gli occhi innamorati del maestro della pasticceria italiana

Se non ci fossero, bisognerebbe inventarli; e inventarla. Mi riferisco ai napoletani e a Napoli. Una volta, di ritorno da un seminario di pasticceria, mi sono chiesto se è nata prima la città o prima i suoi abitanti. Ovvero: i napoletani sono fatti così perchè vivono su una “bomba”, qual è il Vesuvio, pronta a esplodere in ogni momento, o sono stati loro, geneticamente così esuberanti e focosi, a trasformare il suolo col loro temperamento? Napoli da sempre freme di vita. Sono convinto che, in un contesto come questo, si possa vivere gioiosamente, così come morire senza particolari nostalgie del proprio luogo d’origine. Ne sanno qualcosa Virgilio e Leopardi, che qui vollero essere sepolti, Boccaccio e Petrarca che da questi luoghi trassero ispirazione e fama, e il solito “nomade” Goethe che, nella sua lettera a Herder inviata da Napoli il 17 maggio 1787 scriveva che qui, prima volta per lui, l’Odissea era una parola vivente. Un’odissea, proprio, che si alternò tra fuoco e mare per due sorrentini veraci quali Giordano Bruno e Torquato Tasso: forse le due più genuine espressioni dello spirito campano; l’uno tutto fiamme, l’altro ondeggiante tra voluttuose fantasie e malinconiche riflessioni. Come il confronto fra (e mi si perdoni il paragone giocoso)... un babà e una zeppola! Entrambi dolci di antiche origini, nobile il primo, più popolare la seconda, entrambi soffici. Il babà è una sfida estrema dell’equilibrio: da queste parti si dice che una goccia di 104

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rum è poco e due sono troppe, c’è il rischio che “infiammi”. Con la zeppola, invece, non si corrono di questi rischi, ma si può soffrire di nostalgia: guarnita da un po’ di crema pasticcera e da una rossa amarena imbevuta di sciroppo, e gustata in un sol boccone come tradizione vuole, non si fa in tempo ad assaporarne la morbida sensualità che già si accusa la malinconia per la brevità del piacere. Del resto, non è effimera anche l’esistenza? Al di là di queste mie modeste riflessioni, ho sempre pensato comunque che visitare una città, viverla, comprenderla attraverso i suoi spazi, la sua gente, i suoi monumenti, sia il fine di un viaggio. Ma come si fa a

Non si fa in tempo ad assaporare la morbida sensualità della zeppola che già sale la malinconia per la brevità del piacere comprendere Napoli? Bisognerebbe disporre di una chiave, una possibilità di interpretazione per rendere omogenee tutte le diversità. Mi è successo, per la verità, una volta, complice una “piramide” di struffoli. In questo piatto sembrano rivivere l’inventiva e la gioiosità tutte napoletane: irregolari palline di pasta legate con zucchero, miele, frutta candita spezzettata e profumata con l’acqua di fior d’arancio e l’acqua di


mille fiori, fritte in strutto e impilate una sull’altra a far l’effetto di una montagnola di golosità vivacizzata dai diavulilli, cilindretti multicolori di confetto dai poteri – dicevano – rinvigorenti; concludono la decorazione le ciliegine di frutta candite, verdi e rosse. Una piramide informe, pronta, senza alcun preavviso, a rovesciarsi in una “lavica densità” per via del miele. Dolce instabile, imperfetto, ma certamente generoso, perfino ridondante. Come il barocco che, a Napoli, par quasi sbocci per germinazione spontanea. Così come spontanea è la cordialità dei ristoratori ai quali, più che a molti altri, spetta il difficile compito di ricomporre ogni giorno, nella

Il babà è una sfida estrema dell’equilibrio: da queste parti si dice che una goccia di rum è poco e due sono troppe, c’è il rischio che “infiammi” mensa comune, l’umanità del mondo. A buon diritto Napoli fu chiamata la “grande, luminosa e gentil città” dal partenopeo Gian Battista Vico, che ben conosceva i suoi simili: semplici come i personaggi delle commedie di Eduardo de Filippo, esuberanti come i fuochi di Piedigrotta, ma anche malinconici come le canzoni (le poesie?) di Salvatore Di Giacomo. Certo, il mare e il sole con la luna giocano qui le loro carte migliori: quel Marechiaro il cui movimento rivive nelle volute delle sfogliatelle, e il sole, che abbaglia di giorno tanto da indurre a invocare la luna per la notte, le cui rotondità rivivono nella forma della pastiera. Piccolo monumento alla vita, fatto di grano, simbolo di ricchezza, uova, emblema della vita, ricotta di bufala, a rappresentare l’abbondanza; e poi, ancora, canditi, cannella, vaniglia, acqua di fior d’arancio, zucchero a velo... Dolce trionfale, si divide in mille “raggi” per accontentare tutti. Ne basta poco, infatti, uno spicchio e si è sazi. E innamorati. gennaio-febbraio 2014

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di Antonio Romeo

il buono a tavola

Docente istituto alberghiero IPSSEOA di Soverato (Cz)

Panzetta di agnello con carciofi Ingredienti: • 2 carrè di agnello • 1 dl di olio extravergine d’oliva • 4 carote • 10 gr di pepe verde in grani • 4 zucchine medie • 1/2 kg di mollica di pane • 4 spicchi d’aglio • 150 gr di pecorino Moliterno • 2 uova intere • 1 l di latte • 1 bicchiere di vino bianco • 1 ciuffo di prezzemolo e basilico • 1/2 bicchiere di vino rosso • 4 carciofi • 1 fegato di agnello • sale

L’anima di un popolo, nel piatto Se c’è un posto in Italia che, più di qualunque altro, esprime nella propria gastronomia vizi, virtù e spirito dei suoi abitanti, quello è certamente Napoli. Una tradizione che ha radici secolari e si è formata mescolando elementi greci, romani, bizantini, arabi, francesi e austriaci. Gustosa e informale, è un inno alla creatività. Simbolo ne è la pizza, ma tante sono le golosità partenopee con le quali stuzzicare il palato

Sartù di riso Ingredienti: • 200 gr di riso carnaroli o arborio • 2 fasci di cipolline verdi • 150 gr di sugna • 70 gr di battuto di lardo • 1 l di acqua • 1 bicchiere di vino bianco • 3 uova • 3 scatole di pelati San Marzano da 250 gr • 200 gr di carne trita • 150 gr di burro • 50 gr di pane raffermo 106

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• 1 kg di piselli • 150 gr di Parmigiano Reggiano • 200 gr di caciocavallo • 4 cucchiai di pan grattato • 300 gr di mozzarelle “fior di latte” • 150 gr di fegatini di pollo • concentrato di pomodoro • sale Procedimento: Fare delle polpettine con la carne macinata e friggerle. Rosolare i fegatini e cuocere i piselli. In un tegame, ammorbidire le cipolline con la sugna e il lardo, aggiungere il vino e fare evaporare. Ag-

Procedimento: Rosolare il fegato di agnello con olio e aglio e bagnarlo col vino rosso. Tritare il fegato e aggiungerlo alla mollica di pane raffermo ammollato nel latte con formaggio pecorino, uova, pepe verde in grani, basilico, prezzemolo e sale. Aprire a libro il carré d’agnello, salare e pepare. Farcire il carré con il composto, legare e porre in una teglia con le carote, le zucchine e l’aglio, ungere con l’olio e bagnare con vino bianco. Salare, pepare e far cuocere nel forno a 200°C per 30 minuti. Estrarre dal forno e spolverare con pecorino Moliterno, reintrodurre nel forno per altri 10 minuti. Far riposare per 5 minuti. Tagliare il carré a costolette. Tagliare a julienne sottile i carciofi, scottarli nell’olio bollente e contornarvi le costolette.

giungere concentrato di pomodoro, piselli, fegatini e polpettine, lasciare insaporire per 5 minuti e verificare di sale. In una pentola alta, mettere acqua fredda, sale, pepe, un cucchiaio di sugna e, al primo bollore, aggiungere il riso. Coprire e far cuocere per 15 minuti senza mai scoprire. Far intiepidire. Quindi aggiungere uova, Parmigiano e sale. In uno stampo ricoperto di burro e pan grattato porre parte del riso e al centro mettere la farcia di piselli, fegatini e polpette con il fior di latte e il caciocavallo tagliato a dadini; ricoprire con dell’altro riso e infornare per 15-20 minuti a 180°C. Accompagnare il sartù con una salsa di pomodoro San Marzano.



ospitalità italiana

di Olga Carlini

Un secolo di cucina e cultura Quella di Umberto, ristorante del quartiere Chiaia – salotto buono di Napoli e bomboniera di eleganza – è una storia che si dipana lungo quattro generazioni, che dei fondatori hanno tenuto viva la passione e la vocazione all’accoglienza In principio fu Don Umberto. Era il 1916 quando Ermelinda e Umberto Di Porzio aprirono questa piccola trattoria dall’atmosfera squisitamente familiare, dove gustare un ricco menù di piatti della tradizione napoletana. Oggi, a distanza di poco meno di un secolo, seppur tra innumerevoli difficoltà, è ancora la famiglia Di Porzio, ormai alla 4a generazione, a gestire il ristorante, con la stessa passione tramandata di padre in figlio e un’imprescindibile attenzione all’ospite che rivela una professionalità quasi innata, rispettata e coltivata nei decenni. Oggi, ai piatti legati alla storia del territorio si affianca una sezione di proposte stagionali e una di pizze napoletane. Barcamenarsi in questo ampio ventaglio di leccornie non è facile. In cucina infatti Alessandro Teo, nipote di 4a generazione di Umberto, "sforna" a tutte le ore (il ristorante è aperto anche a pranzo) piatti gustosi che stuzzicano l’appetito e la curiosità. Come i deliziosi polipetti affogati o i tubettoni d’o treddeta (mezzi occhi di lupo di Gragnano con olive, capperi e pomodorini, il cui nome è mutuato dal soprannome del capostipite Umberto), paccheri alla genovese (o genovese di baccalà), baccalà alla Napoletana (in cassuola) e le insuperabili polpettine di nonna Ermelinda. Imperdibili poi le pizze, quella Verace 108

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Ristorante Umberto Via Alabardieri, 30/31 Chiaia – Napoli Prezzo medio: 35 euro Menù bimbi: 10 euro Tel. 08141855/3355710654 www.umberto.it

Napoletana e la San Marzano su tutte. In cantina ci sono circa 300 etichette e la carta dei vini è consultabile via iPad, in modo da arrivare al tavolo già preparati e magari costruire un menù attorno alla bottiglia preferita. Fa anche questo parte di quell’arte dell’ospitalità coltivata da Umberto e dai suoi discendenti per generazioni, alla quale si affianca oggi anche una passione per l’arte vera e propria: una sezione della sala ristorante infatti è dedicata alle mostre di artisti napoletani e non, organizzate con cadenza bimestrale con l’aiuto di varie associazione culturali; il locale inoltre organizza degustazioni e corsi legati all’enogastronomia in collaborazione con le più importanti realtà di questo ambito (Slow Food, Avpn, Ais). Ma soprattutto è evidente, in occasione di una cena da Umberto, l’impegno del personale nel gestire il ristorante con la passione e la competenza che ci si può attendere da una famiglia votata da quasi un secolo all’accoglienza e alla riproposizione delle ricette, dei vini e dei piatti della più genuina cultura partenopea.

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Piaceri Piaceri 112

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112 Le ceramiche di Vietri

Smalti e creatività: i segreti dell’arte che identifica il borgo amalfitano

114 Le mani raccontano Le cravatte estrose di Ulturale: simboli della scuola sartoriale napoletana

da pag. 116 Rubriche

• Camera con vista • Week-end sulla neve • Soste d’arte • Libri • Shopping

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terre e tradizioni

È una tradizione antica quella della “prima perla” della Costiera Amalfitana. In questo borgo dichiarato dall’Unesco Patrimonio Artistico dell’Umanità, colori, smalti e creatività sono infatti protagonisti fin dal XV secolo. Nonostante una storia così importante, però, c’è chi non smette di guardare al futuro di Irene Tempestini 112

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Vietri sul Mare, la ceramica abita qui Sembra un’opera di Gaudì ma non lo è. Eh già, perché siamo a Vietri sul Mare, non a Barcellona. Anche se l’estasi non è da meno, quando ci si ritrova di fronte allo storico Palazzo Solimene, fabbrica progettata nel 1954 dall’architetto torinese Paolo Soleri – su commissione di Vincenzo Solimene – e paradigma dell’artigianato vietrese: quella produzione di ceramica che fa del pittoresco borgo una delle capitali mondiali di questa tradizione artistica mediterranea. Composto da un corpo corredato da otto torrioni, la sua spettacolare facciata è tempestata di vasi grezzi in ceramica smaltati

di verde e rosso mattone. Ma ancora più preziosi sono i manufatti custoditi all’interno: oggetti prodotti da oltre mezzo secolo in collaborazione con designer, architetti e artisti internazionali. Il palazzo, che fa eco appunto alle architetture ardite dello spagnolo Andoni Gaudì, si distingue non solo per la straordinaria suggestione estetica ma anche per la sua natura ecosostenibile. È annoverato infatti tra quelle opere che Soleri ha raggruppato sotto il termine “arcologia”, neologismo da egli stesso coniato per indicare «un’idea ambientalista di città che ha l’obiettivo di contrastare il consumo di grandi


spazi di territorio da parte delle megalopoli contemporanee in continua espansione». E se il palazzo voluto dal ceramista Solimene è di fattura relativamente recente, la tradizione artigianale con cui oggi Vietri sul Mare viene identificata nel mondo ha origini lontane. Risalgono infatti al XV secolo, anche se fu solo nell’800 che le coloratissime, quanto uniche al mondo, ceramiche vietresi assursero a eccellenze riconosciute anche al di fuori del territorio nazionale, tanto da far guadagnare al borgo campano la consacrazione di “capitale della ceramica”.

L’arte del buon vivere Tra i volti oggi più rappresentativi della ceramica vietrese nel mondo, Pierfrancesco Solimene (e il cognome deve essere in qualche modo garanzia di qualità, visto che tra lui e Vincenzo non corre alcuna parentela). Creatività, inge-

In apertura, Palazzo Solimene. In questa pagina, una veduta panoramica della "capitale della ceramica"; sotto, le tipiche ceramiche vietresi. Qui Pierfrancesco Solimene nel suo laboratorio

Quattro passi nell’arte Città di origine etrusca (l’antica Marcina) dominata successivamente da Sanniti, Lucani e Romani, Vietri sul Mare oggi si struttura in sei piccoli borghi – Raito, Marina, Albori, Benincasa, Dragonea e Molina – e si distingue per la Chiesa di San Giovanni Battista, celebre per la sua cupola cinquecentesca rivestita da centinaia di scandole (maioliche a forma di pesce verdi, gialle e azzurre), per il suo Museo della Ceramica nella Torre di Villa Guariglia a Raito, per il Museo Cargaleiro, progettato nel 2003 dall’omonimo artista portoghese, per il Palazzo della Guardia e l’Arciconfraternita. Chi ama il mare, certamente apprezzerà la sottostante spiaggia della frazione Marina, dominata dalla cinquecentesca torre che un tempo faceva da vedetta contro il pericolo saraceno. Per saperne di più: www.ceramicavietrese.eu www.pesoalleimmagini. blogspot.it

gno e un legame fortissimo per la terra natia: queste le caratteristiche del produttivo artista che, conseguita la laurea all’Accademia di Belle Arti di Napoli, a Vietri ha scelto di tornare. «Dopo il diploma, l’azienda paterna era in difficoltà – ci spiega – Così abbiamo aperto una bottega a Cava de’ Tirreni, a 2 km da Vietri, dove, grazie all’impegno mio e della mia famiglia, siamo riusciti a rilanciare l’attività». Forse per senso del dovere, forse per una passione inscritta nel dna – la famiglia Solimene fa ceramica da ben tre generazioni – Pierfrancesco ha trovato a Vietri sul Mare la sua dimensione, tanto che suggerisce l’artigianato come rimedio allo stress metropolitano. «Il mio lavoro vive di sacrifici, ma anche di piccole soddisfazioni – prosegue – il fattore trainante è l’immutata passione per quest’arte». Tante le iniziative di Pierfrancesco a sostegno della ceramica vietrese, grazie alla quale la tradizione campana è sbarcata persino a New York: «Ho in cantiere numerosi altri progetti, tra i più importanti il Peso alle Immagini, curato da me e Rosario Vicidomini. Un anno fa abbiamo pensato di mettere alla prova giovani disegnatori italiani e stranieri con l’arte della ceramica. Da questo esperimento è nata una residenza estiva che ha dato luce a opere interessanti, tutte convogliate in una mostra itinerante». «Non so se la mia esperienza può essere un modello – conclude Solimene – Forse però oggi, nel contesto economico in cui ci troviamo, riabbracciare antiche attività manuali può portare, oltre che all’apprendimento di un mestiere, a una migliore qualità della vita». gennaio-febbraio 2014

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lemaniraccontano

Cravatte

anema e 'core Un gruppo di amici creativi (e “stilosi”). Una secolare tradizione sartoriale. Un sogno che, nato e cresciuto a Napoli, si è presto affermato nel mondo. Dietro alle originalissime e sempre eleganti cravatte Ulturale c’è tutto questo, e tanto altro ancora...

di Francesco Condoluci 114

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Stravaganti, a dodici pieghe che ne esaltano l’asimmetrica eleganza. Vintage, con un taglio che fa molto Anni Sessanta. Misteriose, con quel taschino nascosto nel quale occultare i propri segreti. E persino apotropaiche, con un cornetto in corallo agganciato all’interno a proteggere dal malocchio. Le cravatte Ulturale, certo, non sono cravatte per tutti. «Volevamo farne un oggetto del desiderio, un vero biglietto da visita per gli uomini che le avrebbero indossate, un accessorio esclusivo, che si facesse notare, ma senza mai eccedere, com’è nello stile puramente italiano». I grandi successi, si sa, nascono da grandi ambizioni. E dieci anni fa, nel fondare l’azienda Ulcea, Vincenzo Ulturale e gli amici Giancarlo Auriemma, Sergio Crispini, Ciro Esposito e Massimo Massaccesi,

si erano posti esattamente quest’obiettivo: fare sì che le loro originalissime creazioni – realizzate a mano secondo gli stilemi della scuola sartoriale napoletana e utilizzando solo selezionati tessuti italiani e inglesi – diventassero dei veri e propri status symbol. Oggi, grazie a una rete di distribuzione mondiale, le cravatte Ulturale, anche quelle con dentro il napoletanissimo cornetto “anti-sfiga”, pendono al collo persino di ricchi uomini d’affari giapponesi e distinti manager sudcoreani. «Attenzione però – puntualizza, con il suo inconfondibile accento partenopeo, il vulcanico Auriemma, presidente e responsabile commerciale del gruppo – la nostra produzione è esclusiva e ci tiene a mantenere la stessa linea anche nella distribuzione. Per noi, la selezione è un valore irrinunciabile.


In apertura, i modelli della linea Tié (con cornetto) e 00tie (con taschino). Qui, un dettaglio della lavorazione artigianale delle cravatte. Sotto: Vincenzo Ulturale e Giancarlo Auriemma

“Il lusso non è nel marchio o nella confezione, ma è sapersi differenziare con le idee: la continua ricerca dell’unicità, la funzionalità e la capacità di resistere al tempo” (Giancarlo Auriemma) In un mondo in cui della cravatta si era detto tutto, Ulturale ha voluto innovare attraverso modelli e collezioni sorprendenti, diventando specialista delle personalizzazioni. La sola strada da percorrere è offrire ai clienti capi sartoriali particolari nella foggia, durevoli, raffinati e, soprattutto, tali da rappresentare un pezzo unico nel loro guardaroba».

Quel “dettaglio” che parla di te Cravatte, insomma, da indossare con classe e anche con la giusta dose di ironia. I nomi dei pezzi forti della collezione Ulturale, del resto, la dicono lunga: a cominciare dalla linea Tié, appunto la cravatta sette pieghe al cui interno si cela lo scaramantico cornetto in corallo mediterraneo con montatura dorata, per finire a quella 00tie ("zerozerotie" con pronuncia all’inglese stavolta) che nasconde tra

dove&come Ulturale Cravatte Via Carlo Poerio, 115 Napoli Tel. 081.2481151 www.ulturalecravatte.it

le pieghe un segretissimo taschino, alla James Bond per intenderci. Idee che nascono dalla mente estrosa di Giancarlo Auriemma e prendono forma nelle mani sapienti dello stilista Vincenzo Ulturale. «La manifattura è realizzata in quattro, cinque, talvolta sei passaggi a mano che fanno delle nostre cravatte, impreziosite da tessuti di qualità in seta jacquard, garza di seta, seta stampata e cashmere, degli oggetti esclusivi, prodotti in numero limitato e anche su misura», spiega ancora Auriemma, aggiungendo, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che tutti i componenti delle cravatte Ulturale – i cornetti, gli shopper, gli astucci e le confezioni di solito abbellite con un Pulcinella in terracotta – sono assolutamente “made in Napoli”. Ma Ulturale, c’è da dire, non è partita da zero: dietro la nuova azienda Ulcea che, nata nel 2004, quattro anni dopo è arrivata ad aprire un esclusivo shop monomarca in via Carlo Poerio, nel salotto buono di Napoli, in realtà c’è il mezzo secolo di esperienza della famiglia Ulturale, il cui capostipite Mario (ancora oggi, seppur ottuagenario, brillante collaboratore dell’atelier) già nel 1948 confezionava cravatte. Vincenzo, tra gli spezzi e le cartelle colori di vecchi campionari di seteria e drapperia, c’è cresciuto dunque. Nei primi Anni Ottanta è maturato il progetto di dare vita a una produzione sartoriale di cravatte di livello: poi sono arrivati i primi successi e infine il sodalizio con gli amici che ha consentito il definitivo salto di qualità. «Il mondo della cravatta è sempre stato incline a scelte prevedibili – chiosa Vincenzo Ulturale – ognuno la propone con dimensioni, materiali o disegni sempre simili, offrendo una riconoscibilità del prodotto. La domanda che mi sono posto io è: cosa accade quando si vuole essere riconosciuti per se stessi? Ecco che Ulturale ha fatto della versatilità uno stile, per dare al proprio cliente non una cravatta dalla diversità improvvisata, ma la cravatta “giusta” per esprimere stili, tradizioni e messaggi unici». gennaio-febbraio 2014

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camera con vista

di Olga Carlini - foto di Luca Vangelisti

Così accogliente... così raffinata È Villa Toscana, e non ci sono parole più adatte per descriverla. Country Accomodation sorta nel cuore della Costa degli Etruschi, è il regno della signora Tiziana che ha fatto dell’ospitalità (e del gusto, anche in tavola) una vera filosofia di vita

Campiglia Marittima (Li) 116

La si scorge al termine di un lungo viale di pini e oleandri fioriti, Villa Toscana Country Accomodation. Una grande villa padronale con alcune dependance, che offre ospitalità in camere e appartamenti circondate da uno splendido giardino con parco e piscina. Avvicinandosi alla struttura, da ogni parte si apprezzano inattesi scorci di natura; sorprendono i colori suggestivi dei roseti e i profumi intensi delle erbe aromatiche. E subito si capisce di essere in un luogo pieno di charme dove ogni dettaglio è curato con passione, amore ed eleganza. Per la proprietaria, la signora Tiziana, l’ospitalità infatti è una filosofia di vita, e già all’arrivo è come ritrovarsi tra vecchi amici, nella semplicità delle cose familiari e della tradizione contadina. Le stanze semplici e raffinate sono dotate di ogni moderno comfort; una grande ed elegante sala con camino è il luogo di ritrovo per colazioni e degustazioni dei prodotti agricoli che l’azienda trasforma in ottime confetture e conserve a marchio Toscagennaio-febbraio 2014

nogoloso. Qui, circondati da gentilezza e discrezione, non si avrebbe neanche più voglia di andar via... Ma siamo sulla Costa degli Etruschi, un angolo di Toscana dove dolci colline ricoperte da uliveti secolari e dai vigneti di Bolgheri ormai famosi nel mondo, incontrano il mare e ammirano l’isola d’Elba; siamo al confine tra le provincie di Livorno e Grosseto, in Alta Maremma, e vale la pena lasciare la Villa per visitare il territorio, raggiungendo anche in inverno il vicino mare, premiato con numerose Bandiere Blu, o i bei centri storici di Populonia, Campiglia Marittima, Suvereto e Castagneto Carducci ricchi di storia e cultura. Da non perdere poi il famoso viale alberato dei cipressi di Bolgheri, le Strade del Vino con le grandi cantine di antiche famiglie toscane, i Parchi Naturali ed Archeologici e le Terme Etrusche con sorgenti di acqua calda e ricca di sostanze minerali, bellissime destinazioni per escursioni da fare in ogni momento dell’anno partendo da Villa Toscana.

dove&come Azienda Agricola & Agriturismo Villa Toscana loc. Granai, 16 – Venturina Campiglia Marittima (Li) Prezzo medio: 55 euro a persona Tel. 0565.853462 Cell. 335.6911674 www.villatoscanavacanze.it


week-end sulla neve

dilga Olga Carlini di O Carlini

Tutto sulla “perla delle Dolomiti” Da due anni unita con le piste di Pinzolo-Doss del Sabion, Madonna di Campiglio è il cuore della Skiarea più grande del Trentino: 150 km di piste mozzafiato a tutto divertimento. Per voi un itinerario tra discese ardite, ristoranti gourmet, wellness e appuntamenti glamour

Aria frizzante e uno skyline di cime definite che si staglia nel cielo terso e limpido dell’inverno alpino. Siete arrivati in montagna, tra le Dolomiti di Brenta, in uno dei luoghi più belli al mondo nonché Patrimonio mondiale Unesco, e le scintillanti distese di ghiaccio dell’Adamello-Presanella. Siete nella “perla delle Dolomiti”: Madonna di Campiglio, così elegante, vestita di bianco, agghindata a festa. Indossate sci o tavola, e iniziate dalla Pradalago facile o dalla 5 Laghi per sciogliere un po’ le gambe, ma non dimenticate il Canalone Miramonti, la pista che ha ospitato alcune tra le più famose gare della storia dello sci alpino, la Schumacher Streif e la DoloMitica sul versante di Pinzolo; 150 sono i chilometri di piste della Skiarea Campiglio, oltre 60 gli impianti, due i collegamenti con le aree sciistiche vicine, da un lato Folgarida Marilleva e dall’altro Pinzolo, straordinario belvedere a 360° sulle Dolomiti di Brenta. Potete sciare dall’alba al tramonto, e anche di notte sulla pista illuminata del Miramonti. Per chi ama le mirabolanti evoluzioni con tavola o sci, è d’obbligo un salto nella zona Grostè, all’Ur-

dove&come APT Madonna di Campiglio Pinzolo Val Rendena Via Pradalago, 4 Madonna di Campiglio (Tn) Tel. 0465.447501 info@campigliodolomiti.it www.campigliodolomiti.it

sus Snowpark, uno tra i migliori cinque di tutte le Alpi. Sganciati sci e scarponi, potete degustare ottimi piatti della gastronomia locale sia nei rifugi d’alta quota, aperti anche la sera e raggiungibili con il gatto delle nevi, che in uno dei numerosi ristoranti gourmet della località, su tre dei quali brilla la stella Michelin. Il pomeriggio prosegue con una passeggiata nel centro, tra wine bar, cioccolaterie, boutique e negozi alla moda, gallerie d’arte e d’antiquariato. Una sessione di wellness, in uno dei raffinati hotel della località, regala preziosi momenti di relax prima di una divertente serata in uno dei disco club o après ski più in voga. Se poi siete alla ricerca degli eventi più originali del momento, segnate in agenda Unforgettable Wrooom, la mostra-evento che fino al 2 febbraio celebra il Formula 1 & Moto Gp Press Ski Meeting sulla neve svoltosi per 23 anni nella stazione turistica. Integrato nel percorso espositivo e interattivo la Seven Star Cinema Suite di Adeum, il cinema più luxury d’Europa. Sempre a gennaio, dal 23 al 26, si accendono i motori della Winter Marathon, gara di regolarità per auto storiche; mentre a marzo il Carnevale Asburgico, rievoca i fasti dei soggiorni imperiali di Sissi e Francesco Giuseppe. Per pianificare il vostro viaggio o scegliere la struttura che meglio risponde ai vostri desideri, consultate il sito www.campigliodolomiti.it, ricco di informazioni e idee originali. gennaio-febbraio 2014

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soste d’arte

di Gilda Ciaruffoli

Gola. Arte e scienza del gusto Cinque ambienti espositivi, dedicati ad altrettanti temi, in cui le intuizioni di alcuni protagonisti dell’arte contemporanea sono affiancate da exhibit scientifici che esplorano i meccanismi attraverso i quali l’evoluzione ha nascosto dietro al piacere di un attimo una complessa valutazione delle proprietà nutrizionali del cibo. Marina Abramovic intenta a mangiare una cipolla cruda o Sophie Calle che illustra la sua dieta monocromatica sono solo due dei grandi nomi che portano il loro contributo a questa complessa riflessione su sensi, piacere, manie e mistificazioni legate ai nostri pasti quotidiani. 31 gennaio – 12 marzo La Triennale, Milano www.golinellifondazione.org – www.triennale.it

Come una vera diva Proprio come una star in tour mondiale, la Ragazza con l'orecchino di perla dell’olandese Jan Vermeer, dopo aver fatto tappa a Tokyo, San Francisco e New York, sbarca a Bologna, unica "data" europea del viaggio intrapreso in occasione della temporanea chiusura del Mauritshuis Museum de L’Aia – sua sede stabile – per restauro. Con lei in mostra una serie di opere dei più interessati autori della Golden Age olandese. 8 febbraio – 25 maggio Palazzo Fava, Bologna www.genusbononiae.it

Foto di Giacomo Gatti

Mantegna e Bellini visti da Olmi

Genesi È l’ultimo grande lavoro di Sebastião Salgado, tra i più importanti fotografi del nostro tempo: un'impresa iniziato 9 anni fa, per un totale di 32 viaggi e migliaia di scatti. In mostra oltre 200 fotografie di straordinario impatto emotivo che raccontano la rara bellezza del nostro pianeta, vista attraverso uno sguardo appassionato. In contemporanea esposte a Palazzo Franchetti 130 foto di paesaggi iperreali, più veri del vero, surreali, spesso impossibili di Franco Fontana. 1 febbraio – 11 maggio Casa dei Tre Oci, Venezia – www.treoci.org 15 febbraio – 18 maggio Palazzo Franchetti, Venezia – www.palazzofranchetti.it 118

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È un’inquadratura, un frammento di pellicola scolpito nel tempo. O almeno così sembra. Il movimento dato dalla disperazione, dal pianto, dal dolore di una madre attonita di fronte al figlio ormai inerme, è cristallizzato. Il Cristo morto del Mantegna tutto questo lo è sempre stato, ma oggi, nella ricollocazione pensata, voluta e quasi costruita con le sue stesse mani dal maestro Ermanno Olmi, ogni emozione è enfatizzata. Inserita in un nuovo contesto di pareti nere, priva di cornice, l’opera emerge in tutta la sua immediata bellezza. A introdurla, nell’ambiente precedente, la Pietà di Giovanni Bellini. Pinacoteca di Brera, Milano www.pinacotecabrera.net


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libri letti per voi

di Eleonora Fatigati

La “star” di tutte le guide

Coccolati anche “fuori casa”

Come non l’avete mai... letta

Non smette mai di stupirci. Dopo il manuale sulle 101 cose gratis da fare in Italia e la guida ai Viaggi con le amiche, Isa Grassano, giornalista e “viaggiatrice”, ci regala un’altra chicca: il vademecum dei locali più glamour d’Italia, indispensabile per chi è in cerca di posti très chic dove dichiararsi alla propria bella o, più semplicemente, farsi accarezzare… vista e palato.

Di solito preferisce berla. Ma ogni tanto (questa è la seconda volta... e non sarà l’ultima) si concede anche di trasformarla nella protagonista dei suoi libri. Quello tra Marco Cattaneo – milanese, 60enne, dermatologo di professione, scrittore per divertissement – e la birra è un amore viscerale, mai sazio. Una passione senza confini che, stavolta, lo ha convinto a raccontarci di come questa “bionda venuta da lontano” ha accompagnato la Storia d’Italia.

È lo spirito della “divina” Audrey Hepburn che ha ispirato questo libro? Beh, in ogni donna c’è sempre un po’ dell’indimenticabile Holly del film che ha ispirato il titolo. Lei diceva che “Tiffany è un posto meraviglioso perché lì dentro non può accadere niente di brutto”. Io sono andata in cerca di luoghi che ispirano quel tipo di sensazione: in questo caso ristoranti, pasticcerie, salotti che sanno regalare veri momenti di felicità. Posti dove possono succedere solo cose belle, insomma. Qualche esempio? Scegliere tra oltre 270 suggerimenti non è facile. Ma se proprio devo, mi faccio guidare dalle mie origini lucane e consiglio di fare tappa al Duomocafè di Matera, un incantevole caffè letterario nel cuore della città dei Sassi, il cui concept è stato studiato per il relax dell’anima e del corpo. I libri antichi, gli arredi raffinati, la gastronomia, la Spa: qui davvero il piacere si può declinare ai cinque sensi. Newton Compton Editori 272 pagine 12 euro

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Davvero val la pena leggere questo libro sulla birra, piuttosto che berne un buon boccale? No, bere è sempre meglio. Ma tra un boccale e l’altro può essere anche divertente apprendere come la birra si sia fatta spazio nel costume, nella vita e nelle abitudini degli italiani, dall’Evo antico al primo decennio del 2000. C’è un episodio particolare della Grande Storia legato alla birra? Più di uno. Chi immagina, ad esempio, che una delle micce che spinse gli italiani a intervenire nella Grande Guerra, fu accesa… dalla birra? Nel marzo 1915, a Venezia, dentro un carico di barili di birra provenienti da Berlino vennero rinvenuti fucili francesi. Il sospetto che si trattasse di spionaggio infiammò gli animi degli interventisti contro i tedeschi e gli austriaci. Nel libro si accenna anche al legame tra la birra e la massoneria e tante altri episodi gustosi. Edizioni ilmiolibro.kataweb.it 152 pagine 20 euro

Compagna di viaggio imperdibile per chi non vuole rinunciare all’eccellenza della cucina nazionale, la nuova edizione della Guida Michelin Italia ci propone tante novità, mostrandosi anche in tempo di crisi in sintonia con le esigenze dei suoi lettori. Si registra infatti un’impennata di esercizi che propongono pasti a meno di 25 euro e un’ascesa del numero di ristoranti che offrono cucina regionale di alta qualità a prezzi contenuti, classificati con il simbolo Bib Gourmand. La guida riconosce ogni anno le tavole più meritevoli premiandole con una, due o tre stelle. Quest’anno si registrano 36 stelle assegnate: doveroso citare il ristorante Reale dello chef Niko Romito, il solo a essere stato premiato con tre stelle. Qualità dei prodotti, personalità dello chef nei piatti, equilibrio delle ricette sono i criteri di valutazione degli ispettori Michelin che, oltre ai ristoranti, visitano anche strutture alberghiere e ne valutano il grado di confort, accoglienza, qualità della ristorazione e livello di manutenzione. La guida si completa inoltre di mappe e luoghi d’interesse turistico per ogni città che tocca. Michelin Italiana 1360 pp 22 euro



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di Lucia Lipari

Il mio angolo di paradiso

Lusso a portata di mano L’universo Blumarine si arricchisce di sofisticate collezioni di accessori. Stampe, ricami e inediti patterns con mix and match di materiali e scintillanti strass che definiscono uno stile inconfondibile. In foto: clutch in satin con dettagli in metallo dorato e chiusura gioiello. Prezzo: 400 euro

Nel blu dipinto di blu

Gioielli raffinati e retrò dal design tipicamente italiano danno vita alla linea Nostalgia, parte della collezione Eden di Misis. In foto: orecchini rosa in argento placcato oro 18 kt, zirconi rubi e velluto verde, con perla barocca d’acqua dolce. Prezzo: da 229 euro

Il digitale torna alle origini

Come stupire tutti sulle piste da sci o a passeggio per le vie del centro protetti dal riverbero della neve? Con gli occhiali folletto Co-Balto dalle lenti blu di Yobe dalle linee sensuali e retrò (o geometriche e funky a seconda del modello). Prezzo: 149 euro

Edizione speciale dell’orologio O clock by Fullspot, nato dalla mente creativa di Emanuele Magenta, fashion director del brand, che richiama i primi accessori digitali Anni 50. O clock digital è proposto in 6 varianti colore (nero, giallo, carta da zucchero, seppia, verde, rosso) e i cinturini e le casse sono intercambiabili, dando vita a oltre 1200 possibili combinazioni. Prezzo: 29 euro

Un lucchetto per la vita Pomellato e Vogue Italia hanno realizzato un bracciale per la Fondazione dell’Istituto Europeo di Oncologia, legandolo a una raccolta fondi i cui ricavati saranno devoluti in favore della ricerca. A impreziosirlo un lucchetto e un charm con l’acronimo della Fondazione rivisto: faboulous, immense, exceptional, oustanding. Prezzo: 90 euro 122

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Britpop da viaggio Hackett London presenta il borsone da viaggio e da palestra in cotone tartan con inserti grigio melange a formare la bandiera inglese, e un doppio manico di corda blu con passaspalla in pelle. So british! Prezzo: 193 euro


shopping

di Olga Carlini

Nelle immagini, in senso orario: il momento della premiazione con le tre Miss finaliste, al centro l'italiana Luna Voce; sotto con lo stilista Luigi Auletta

Medaglia d’oro all’Italian style Miss Italia vincitrice della World Top Model 2013, insieme allo stilista Luigi Auletta: per la bellezza e il “saper fare” nazionali l’ennesimo importante riconoscimento

Grande successo del brand italiano Impero Couture nella capitale ungherese, definita la Parigi dell’Est per la sua eleganza e la sua meravigliosa quanto inedita architettura austro-ungarica. All’interno del prestigioso Klotild Palace, nel contesto assolutamente unico dei saloni del Buddhabar Hotel, si è svolta la finalissima della World Top Model. Un evento dedicato alla bellezza e alla moda, a cui hanno partecipato giovani Miss venute da ogni parte del mondo insieme ai media e a numerose personalità del jet-set internazionale. A farsi notare, in questa sontuosa atmosfera, in un contesto raffinato e magico, i meravigliosi abiti da sera Impero Couture, indossati dalle modelle. Si sono classificate al secondo e terzo posto Miss Montenegro e Miss Repubblica Ceca, mentre vincitrice è stata incoronata la bellissima Miss Italia, Luna Voce, di origine calabrese, che indossava un abito il cui splendore è stato di certo

determinante nelle difficili selezioni e scelte della Giuria. Allo stilista Luigi Auletta, l’organizzazione ha poi conferito il Premio Wtp quale migliore stilista dell’anno. Un riconoscimento più che meritato, per capacità imprenditoriali e per una non comune creatività artistica. Presente all’evento anche Magdolna Ruzsa, affermata stilista ungherese e proprietaria di Fidji Style (la più importante boutique di moda in Vàci utca, la centralissima via dello shopping di Budapest) che, innamoratasi delle creazioni Impero Couture, ha voluto acquistarle per esporle insieme ad altri suoi top brand come Versace, Cavalli, Dior, Paciotti... Come dicono i francesi: Chapeau! Per saperne di più: Info export: chirenti@yahoo.it www.imperocouture.com gennaio-febbraio 2014

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selezioni

Fette di tradizione irpina Qual è il "segreto" della qualità dei salumi prodotti dalla Masseria Valenzio? A dir la verità ce n’è più d’uno. Come l’allevamento del bestiame con alimenti auto prodotti, la cura puntuale nel seguire l’intera filiera, l’assenza di conservanti e l’impiego di tecniche tradizionali. Per apprezzarli al meglio poi, da non perdere l’opportunità di degustarli direttamente nelle grotte di stagionatura!

A Calitri, nel cuore dell’Irpinia, terra ricca di tradizioni enogastronomiche, l’azienda agricola Masseria Valenzio si occupa della produzione di salumi tipici di eccellenza, seguendo completamente la filiera di produzione. L’allevamento dei maiali è gestito direttamente e le due tipologie, il Nero Casertano e Large White, crescono allo stato semi brado; all’alimentazione poi viene dedicata particolare attenzione in quanto ad essa è riconducibile l’alto profilo delle qualità organolettiche del prodotto: per questo i maiali vengono nutriti esclusivamente con cereali e foraggi prodotti nei terreni aziendali. La lavorazione delle carni e la conseguente produzione degli insaccati – prosciutto, salame piccante, salame dolce, soppressata, lardo, guanciale, pancetta, capocollo e cotechino stagionato – avviene in proprie strutture ed è curata da personale altamente specializzato; questo consente di garantire

elevati standard qualitativi attraverso l’utilizzo di soli ingredienti naturali senza l’uso di conservanti e additivi. I salumi vengono fatti stagionare e affinare in grotte antiche di arenaria e pietra locale, anch’esse di proprietà dell’azienda. La ricerca e la ristrutturazione di questi locali, che sono situati nel centro storico di Calitri, è stata effettuata per ricreare un ambiente identico a quelli antichi, dove gli abitanti del luogo riponevano i prodotti ottenuti coltivando la terra e allevando gli animali. Le grotte possiedono condizioni microclimatiche tali da conferire ai salumi il loro tipico sapore e sono in grado di far rivivere al visitatore – grazie a degustazioni in loco – atmosfere di un tempo passato, quando il cibo era davvero il frutto del territorio e veniva realizzato con ingredienti di qualità e con saperi antichi che, grazie a realtà come quella della Masseria Valenzio, si sono tramandati fino a oggi.

Azienda agricola Masseria Valenzio Via Tedesco, 26 – Calitri (Av) Tel. 392.2457239 www.masseriavalenzio.com


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Gusto ed etica: ricetta perfetta! Utilizza esclusivamente prodotti dall’origine garantita e controllata, come il pomodoro pachino Igp, o pesce pescato esclusivamente all’amo e mai a mattanza, l’azienda Campisi Salvatore, storica realtà siciliana che, per le sue conserve e le sue salse, punta tutto su tradizione, sviluppo e qualità della materia prima

L’azienda familiare Campisi nasce nel 1854 a Marzamemi, in un piccolo borgo intriso di storia e tradizioni che, forte delle caratteristiche dovute alla particolare fascia climatica in cui è situato, è sempre stato connesso all’attività della pesca e, in particolare, della tonnara. L’azienda Campisi Salvatore è stata abile nell’utilizzare ciò che la natura ha spontaneamente fornito alla zona, avviando un processo di crescita endogena del territorio, volta alla sua valorizzazione e nel pieno rispetto degli equilibri naturali.

Basare l’azienda sul trinomio vincente di valori, risorse naturali e sviluppo ha reso merito a Campisi che è riuscita a coniugare il fare economia al saper vivere nel rispetto della propria terra e dell’uomo. Legata al mare da oltre un secolo, Campisi produce e trasforma una vastissima gamma di prodotti ittici, dal tonno rosso al pescespada, dalle ricciole alla pregiatissima bottarga, dal mosciame (prosciutto di tonno) fino alla raffinazione del pescato in pesti e paté. Ma non è da dimenticare che Marzamemi

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è situata nel comune di Pachino: negli ultimi anni l’azienda si è dunque dedicata anche alla lavorazione e trasformazione di prodotti vegetali, primo fra tutti “l’oro rosso” della tradizione locale, il pomodoro di Pachino Igp, conosciuto nel mondo per la sua infinita dolcezza. «La lavorazione è rimasta la stessa che tradizionalmente gli abitanti del luogo si tramandano da generazioni – ci racconta Paolo Campisi – Genuinità, freschezza della materia prima e rigidi controlli garantiscono inoltre il massimo della qualità dei nostri prodotti». Tale aspetto richiama uno dei valori fondamentali dell’azienda Campisi, ovvero il suo codice etico. Consapevole del fatto di vivere dei frutti della terra e del mare, l’azienda rispetta il territorio prevedendo la lavorazione di prodotti dall’origine garantita e controllata, come il pomodoro pachino Igp o l’utilizzo di pesce pescato esclusivamente all’amo e mai a mattanza, all’insegna di un sano rapporto uomo-natura. Le attenzioni per l’identità del territorio unite al controllo di tutti i processi di lavorazione e alla genuinità degli ingredienti fanno di Campisi una realtà che sposa gli antichi sapori della terra e del mare di Sicilia.

Campisi Salvatore Via Marzamemi, 12 Pachino – Marzamemi (Sr) Tel. 0931.841166 info@campisiconserve.it www.campisiconserve.it Campisi Salvatore srl Corso Vittorio Emanuele, 103 Noto (Sr) Tel. 0931.573354 Ristorante Campisi “specialità di mare” Via Felice Anerio, 25 – Roma Tel. 06.8606634/334.1572120


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Spazio al gusto

Sempre un passo avanti Dal 1994, Bioitalia produce alimenti secondo le tradizioni della dieta Mediterranea, utilizzando materie prime da agricoltura biologica. Nata con l’intento di proporre prodotti di alta qualità, espressione del gusto e delle tradizioni regionali, oggi l’azienda punta tutto sulla sicurezza e sulla salute del consumatore, senza dimenticare il palato Fin dalla sua costituzione, Bioitalia ha scelto la via della sicurezza alimentare proponendo prodotti rispettosi dell’ambiente e dell’ecosistema, di alta qualità e al giusto prezzo, grazie all’integrazione tra agricoltura biologica e tecnologia industriale. Negli ultimi anni, questo intento ha preso in particolare due forme innovative e di grande interesse per il consumatore. Stiamo parlando, in primo luogo, dell’adozione di un capillare sistema di tracciabilità di filiera secondo la norma Iso 22005, che vede Bioitalia, in quanto capofiliera, responsabile della scelta e della qualificazione delle aziende agricole fornitrici, con una garanzia di qualità che deve venire dalla conoscenza personale degli agricoltori coinvolti; l’azienda è inoltre responsabile degli impianti di stoccaggio e trasformazione, e controlla tutto il processo di lavorazione dalla mate-

ria prima al prodotto finito. Ad oggi è stata costituita la filiera per il grano, il pomodoro e l’olio, ma Bioitalia sta lavorando per riuscire a ottenerla anche sugli altri prodotti. In secondo luogo, l’azienda, dopo 3 anni di studi volti alla ricerca di un’alternativa alle latte comunemente in commercio (caratterizzate dalla presenza di BPA, composto molto discusso, il cui utilizzo ha recentemente messo in allerta i mercati di tutto il mondo), presenta sul mercato la propria linea di legumi biologici in lattine senza BPA: una gamma completa di legumi in un imballaggio sicuro. Una scelta questa che implica per Bioitalia costi aggiuntivi – e che per questo motivo, ad oggi, la gran parte delle realtà aziendali del settore non ha ancora condiviso – ma che dimostra ancora una volta come la salute dei consumatori sia per l’azienda campana sempre al primo posto.

E se Bioitalia vuol dire salute, anche i sensi vanno sul sicuro! Ce lo dimostrano i premi vinti dall’azienda, come ad esempio quelli ottenuti dal pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop e dal paté di zucchine. Il primo è uno dei prodotti simbolo della tradizione campana, ed è stato scelto e votato dai consumatori all’interno del Sana Novità 2013. Il secondo, invece, è nato da un progetto di ricerca in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli, ed è stato selezionato da una giuria di giornalisti come prodotto innovativo tra oltre 150 sfidanti nella categoria del biologico, presso la fiera internazionale di Anuga 2013.

Bioitalia Loc. Isca del Mulino Buccino (Sa) info@bioitalia.it http://bioitalia.it


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L’azienda Quignones di Licata consolida la sua presenza in Europa guardando a est e sbarcando in casa dei maggiori produttori di vino mondiale, i francesi. Ne abbiamo parlato con il titolare, Alfredo Quignones, che ci ha introdotto anche alla speciale arte dell’accoglienza siciliana!

selezioni

Anno nuovo, orizzonti nuovi «Stiamo vivendo un momento di grande fermento grazie a una radicale azione di rinnovamento che abbiamo varato nelle scorse settimane». Così Alfredo Quignones ci introduce, entusiasta, alle novità che stanno dando nuovo lustro all’azienda della quale è titolare, posta sulle colline di contrada Sant’Oliva che guardano al mar Mediterraneo. «Abbiamo un nuovo assetto commerciale – prosegue Quignones – che siamo certi si ripercuoterà su tutta la nostra attività». L’azienda in questo periodo punta a una politica commerciale del tutto nuova grazie alle scelte del titolare e al contributo di nuove figure professionali altamente specializzate nel settore vinicolo. I vini Quignones, già protagonisti su tutto il territorio nazionale, grazie a questa nuova azione imprenditoriale saranno presto presenti in tutti i Paesi europei e extraeuropei, che si aggiungono a quelli in cui sono già in distribuzione da anni (Germania, Belgio, Danimarca, Olanda e Svizzera). «Dal punto di vista strettamente produttivo – spiega ancor Alfredo Quignones – abbiamo deciso di correre incontro a quelle che sono le nuove esigenze del mercato e per tale motivo i

nostri vini, già per i prossimi imbottigliamenti avranno come caratteristica di riferimento una grande freschezza, risultato questo che verrà raggiunto diminuendo il tempo del passaggio in barrique. I sentori barricati vengono sempre meno apprezzati dal consumatore, anche se l’affinamento in legno conserva sempre il suo fascino e il suo pregio nella vinificazione dei vini importanti». E in questa nuova ottica rientra anche la realizzazione in azienda di ambienti per la degustazione, aperti al pubblico e ai clienti: una sala professionale, per la degustazione nelle migliori condizioni, e un locale più simile a un Wine Bar, in cui si possono provare le diverse qualità di vino con gli opportuni abbinamenti, in un clima distensivo e confortevole: perché l’accoglienza, in Sicilia, non è un dovere ma sempre e solo un piacere!

Aziende Agricole Quignones C.da Sant’ Oliva – Licata Tel. 0922.773744 – www.quignones.it


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Naturale, come l’amore In principio, nel 2002, era un’azienda vinicola. Il rinnovamento è iniziato in vigna e, nel giro di pochi anni, ha portato alla vinificazione diretta della uve. Infine, come se non bastasse l’intraprendenza di Patrizia Iannella, titolare di Torre a Oriente, anche Cupido c’ha voluto mettere lo zampino… Nasce dall’amore per la terra e da una tradizione territoriale e familiare, l’avventura di Patrizia Iannella e Torre a Oriente. L’azienda si trova a Torrecuso, a circa 20 Km da Benevento, immersa tra le colline del Taburno. Solo 10 gli ettari di terreno vitato, ai quali si affiancano due piccole sale per la vinificazione e maturazione in acciaio e una barriccaia. Sarebbe sufficiente mezz’ora per visitarla tutta, ma quando Patrizia inizia a raccontarne la storia si finisce per restare ad ascoltarla ore. E così si scopre come già i suoi genitori fossero conferitori di Aglianico e Falanghina presso grandi aziende campane: attività dalla quale nacque la sua passione e iniziò a delinearsi il progetto, in parallelo con la laurea in Agraria e con i successivi studi per il dottorato, di prendere in mano l’attività, convinta che un’azienda sia qualcosa in cui si deve credere senza pensare solo al proprio tornaconto e che il vino vada fatto in vigna lavorando il meno possibile in cantina. E tra una spiegazione e l’altra, visitando Torre a Oriente, Patrizia racconta anche le origini dei nomi dei suoi vini, permeate

di storia locale e familiare. Dal 2006 Patrizia ha infatti cominciato a vinificare parte delle sue uve dando vita a una produzione che garantisce qualità e tutela del consumatore attraverso un sistema di rintracciabilità, e che è possibile scoprire direttamente in azienda, grazie a uno show room interno che all’occorrenza si trasfoma in daily tasting. Ma l’evoluzione di questa giovane realtà imprenditoriale non finisce qui. Nel 2013 infatti l’azienda viticola si fonde con un’azienda olivicolo/cerealicolo, grazie anche allo zampino di Cupido che ha fatto incontrare Patrizia e Giorgio Gentilcore, dell’azienda agricola Gentilcore, situata nell’alto Sannio, realtà totalmente biologica e votata alle lavorazioni naturali, la cui produzione include legumi meno noti (cece nero, fagiolo biondo del Fortore...)e l’olio extravergine Il Cuore d’Ortice. Questo felice matrimonio darà presto i suoi frutti: tanti i progetti in cantiere infatti, come quello di un Aglianico da uve Surmature che sia vicino a un passito ma che conservi serbevolezza e profumi del suo territorio; il ten-

tativo di avere bollicine di Falanghina; la sperimentazione di oli aromatizzati ottenuti per molitura diretta delle olive con basilico e rosmarino… Sempre più grande è infatti il desiderio, nei due giovani, di diventare azienda multifunzione, ove poter trasformare ciò che i due territori offrono, ma anche offrire ospitalità al fine di portare, non solo il Sannio nel mondo, ma anche e soprattutto il mondo nel Sannio.

Località Mercuri I,19 - Torrecuso (Bn) Tel. 0824.874274/874376 Fax 08241811075 www.torreaoriente.eu




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