Ospitalità italiana Novembre 2014

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OSPITALITà ITALIANA MAGAZINE by VDG MAGAZINE I VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 4 | N.41 | MENSILE | EURO 2,90

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NOVEMBRE 2014

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L’ENERGIA DELLE IDEE VERSO EXPO 2015: VIAGGIO NEL MONDO DEL CAFFè

Dalle origini ai giorni nostri. Dai chicchi alle esperienze di consumo. Dalle tradizioni ai nuovi trend del più amato dagli italiani

CONSUMI&TENDENZE

Liscio, macchiato o ristretto? Giro d’Italia in 10 tazze ITINERARI

Trieste, la città del “capo” Napoli • Valle d’Aosta

alimentazione

FATTI E CONTRAFFATTI

Gli effetti benefici della caffeina La banda delle oliere anonime Anemici? I consigli di Veronesi Intervista a De Franceschi (Naf) CIBO&TERRITORIO

L’olio della Riviera dei Fiori Nebrodi, terra del suino nero

GLI APPUNTAMENTI DEL MESE

La settimana del torrone Il tartufo a San Miniato

A cura di magazine

i Viaggi del Gusto



magazine

editoriale di Domenico Marasco

domenico.marasco@vdgmagazine.it

Il magazine che promuove l'Italia

“Italian sounding” e “contributi prending” Un consiglio al presidente Renzi: tagli definitivamente gli aiuti pubblici alle aziende Di italian sounding – traduzione: (prodotti contraffatti) “che suonano italiani” – tutti ne parlano, ma pochi fanno veramente qualcosa per fermare questo fenomeno illegale che sottrae circa 70 miliardi al fatturato dell’agroalimentare italiano. E invece bisognerebbe alzare la voce in maniera forte e chiara, magari cominciando con un bel “vaffa” a quell’Europa miope e ottusa che, di fatto, fa solo l’interesse della grande industria e delle lobby del settore. E ad andarci di mezzo sono quelle centinaia di migliaia di medi e piccoli produttori italiani che non vengono tutelati dalle politiche pubbliche e che vedono mortificato il loro lavoro da normative comunitarie astruse e molto spesso inique, come ad esempio quella che da dicembre farà sparire l’indicazione dello stabilimento di provenienza dall’etichetta dei prodotti agroalimentari. Ci chiediamo perché il nostro governo, piuttosto che basare le sue politiche sull’erogazione di contributi pubblici ai soliti “prenditori”, non profonda invece le proprie energie, e quei fondi, per combattere le agropiraterie che tanto male fanno al Made in Italy di qualità. A proposito dei contributi a fondo perduto concessi alle aziende, al nostro Presidente del Consiglio che vorrebbe tagliare gli sprechi, diamo un consiglio: li azzeri completamente. Sappiamo tutti, d’altronde, come questi soldi pubblici vengono dati e vengono presi. In Italia abbiamo dei veri “specialisti” in materia: gente che passa tutto il proprio tempo a trovare il modo di drenare fondi allo Stato e vincere i bandi nazionali e regionali. Funziona sempre allo stesso modo, più o meno da 50 anni a questa parte. Per la promozione del vino nei Paesi extra-Ue, ad esempio, per il 2015 sono stati stanziati 109 milioni di euro. Vogliamo andare a vedere come verranno spesi e da chi? Caro presidente Renzi, glielo ripetiamo: azzeri questi contributi, li depenni una volta per tutte dal bilancio dello Stato.

Vedrà che l’Italia degli onesti, l’Italia “che merita”, scroscerà in un applauso liberatore. Ovviamente, per converso, si prenderà critiche feroci dalla casta dei prenditori, quella abituata ad acchiappare da sempre e a non pagare mai. Ma stia tranquillo: noi italiani che lavoriamo e produciamo senza aiuti, e siamo la maggioranza, saremo dalla sua parte. Perché noi italiani onesti vogliamo che sia lo Stato a promuovere il nostro Paese nel mondo, magari facendosi affiancare da un soggetto come la Rai che con le sue belle trasmissioni, da decenni promuove inconsapevolmente l’Italia. Dia un’occhiata a quello che fanno i francesi con Sopexa, i giapponesi con Jetro o gli spagnoli con Sabor de España. Spendono un decimo di quello che spendiamo noi e ottengono risultati migliori. I francesi in Cina, ad esempio, vendono dieci volte il vino che vendiamo noi italiani. Per cui, caro presidente, non perda tempo e istituisca un’unica regia per la promozione, facendola fare a chi, questa attività, la sa fare. Se non cambiamo rotta e non variamo una strategia di promozione ben fatta e ben gestita, non riusciremo mai ad essere veramente competitivi. La nostra rivista da anni promuove l’Italia migliore. L’abbiamo regalata fino al mese scorso ai viaggiatori della compagnia aerea Air One, oggi a quelli dei treni di Italo, e senza che da queste parti sia mai passato un solo centesimo di contributi da parte di enti o istituzioni pubbliche. Anche su questo numero continuiamo a promuovere l’Expo di Milano, raccontando stavolta il cluster del caffè. Un lavoro editoriale di pubblica utilità, fatto ovviamente senza aiuti da nessuno. Buon viaggio del gusto

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sommario sommario novembre 2014

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76 14 Almanacco di Barbanera 16 Appuntamenti

26 Scienza & vita

Caffeina, gli effetti benefici

28 La salute nel piatto

Alla fonte del ferro

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42 Cover story La sua storia attraversa cinque secoli e altrettanti continenti. Partito dal Corno d'Africa, il caffè si è radicato in ogni angolo del globo, fino a diventare "il re delle bevande" e assurgere a protagonista di miti, luoghi e tradizioni. Perchè il rito della tazzina che ogni giorno accompagna milioni di persone nel mondo, è una vera esperienza culturale, oltre che sensoriale. Anche ad Expo 2015 avrà un posto di primo piano. Vi guidiamo allora in un viaggio dal chicco alla tazza, dai campi fino alla tappa del consumo. Un percorso affascinante che vi farà scoprire anche le ragioni che fanno dell'espresso un simbolo dell'Italia nel mondo

panorama

cibo&territorio

32 Pagine nere

64 Giro d'Italia in 10 tazze

Governo schiavo dell'Ue e burocrazia soffocante: ecco l'Italia che non ci piace

34 Scenari alimentari

Napa Valley: un esempio di successo del comparto enoturistico Usa. Da imitare

36 Fatti e contraffatti Oliere prive di etichetta: un grosso rischio

68 L'olio della Riviera di Ponente Ecco il vero tesoro della provincia d'Imperia: un liquido dorato dai sapori dolci e delicati

72 Il tartufo di San Miniato

per tutti coloro che soffrono di allergie

38 Il personaggio Amedeo De Franceschi, dirigente Naf, ci spiega come si fa la lotta alle agromafie

54 Costumi & tendenze Caffè liscio, macchiato o deca? Scopriamo come e dove piace gustarlo agli italiani

58 L'Italia che merita Stava per chiudere, oggi è il caffè più famoso sul web: la storia di Carbonelli

60 Storia in cucina Il caffè di Asolo

Percorriamo da nord a sud il Bel Paese, in cerca delle molte declinazioni dell'espresso

Lo chiamano "l'oro bianco" dei colli pisani ed è novembre il mese più giusto per fargli la festa

76 Il suino nero dei Nebrodi

Sulle montagne del Messinese alla scoperta di una razza autoctona dalle carni magrissime

80 Gli chef scelgono il Grana

Il re dei formaggi diventa protagonista di 40 ricette firmate dai migliori "architetti di gusto"

84 L'orto dei semplici, la zucca 86 Il buono a tavola, ricette al caffè 88 Vigne&Vigneron: Trentodoc Un Metodo Classico, simbolo del territorio nato dalle uve che maturano in montagna

92 Wine Passion, il Recioto 94 Assaggiati da noi 8

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96 Perle d'Italia


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sommario sommario novembre 2014

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108 magazine

i Viaggi del Gusto Direttore Responsabile Domenico Marasco Coordinatore editoriale Francesco Condoluci Grafica e impaginazione Daniel Addai Editing Gilda Ciaruffoli

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Segreteria di redazione Monia Manzoni - Tel. 02.8688641 ufficiotraffico@vdgmagazine.it Foto Gianluca Congiu e Giulio Barreri Editore: Opera Italia Srl Via Pola, 15 20124 Milano Sito web: www.vdgmagazine.it Stampa: PuntoWeb Srl 00040 Ariccia (Roma) Distribuzione Italia So.Di.P. S.p.A. Via Bettola 18 20092 Cinisello Balsamo (MI)

Abbonamenti

inviaggio

piaceri

100 La Vallée in una coppa

116 Terre & Tradizioni Le macchine da caffè, una storia che

Seguite l'odore del cafè de Monseigneur e vi condurrà tra borghi, grolle e... Graal

104 Trieste, la città del "capo" Il porto friulano smercia il 30% del caffè: un invito per locali e assaggi nelle piazze

108 Na tazzulella 'e Napule

Miti, percorsi e curiosità della tradizione partenopea legata alla tazzina più amata

112 Una città in 24 ore, Potenza

viaggia in parallelo con quella dell'Italia

120 Le mani raccontano Dalle mozzarelle alle borse: la Tenuta Vannulo, delle bufale, non butta niente

122 Soste d'arte, Miradolo 124 Il ristorante,Taverna del Capitano

126 Compagne di strada, Hyundai 128 Libri letti per voi 130 Shopping 135 Mondo VdG 143 Il nostro catalogo di Natale

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Opera Italia Srl - Via Pola 15 - 20124 Milano Tel. 02.86886479 - fax 02.89053290 abbonamenti@vdgmagazine.it Il Servizio abbonati è in funzione dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 12,30. L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi periodo dell’anno. L’eventuale cambio di indirizzo è gratuito. Informare il Servizio abbonati almeno 20 giorni prima del trasferimento, allegando l’etichetta con la quale arriva la rivista. GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. leg. 196/2003 scrivendo a: Opera Italia Srl Sede legale: via Pola 15 - 20124 Milano Redazione: via Pola 15 - 20124 Milano tel. 02.8688641 - fax 02.89053290 Registrazione Tribunale di Milano n. 92 del 10/02/2011 L’editore ha ricercato con ogni mezzo i titolari dei diritti fotografici senza riuscire a reperirli. È ovviamente a piena disposizione per assolvere quanto dovuto nei loro confronti

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contributors novembre 2014

hanno collaborato a questo numero:

FRANCESCA SORO

CHIARA MAURI

GIOVANNA BENETTI

SUSANNA PAPARATTI

È nata, cresciuta e vive tuttora trai monti della Valle d'Aosta ma, spinta forse dal sangue sardo che le scorre nelle vene, sogna continuamente il mare . Dopo un'allegra e "sorboniana" esperienza di vita e di studi a Parigi, è tornata al lato italico del Monte Bianco per scrivere di Alpi e di enogastronomia. pag. 100

Dirige il Dipartimento di Scienze Economiche e Politiche presso l'Università della Valle d'Aosta ed anche il Master of Management of Food & Beverage presso la SDA Bocconi School of Management. E per non farsi mancare nulla, è il curatore scientifico del cluster sul caffè di Expo 2015, di cui ci anticipa i contenuti a pag. 42

Veronese di nascita, è passata da Milano e s'è fermata in Liguria. Giornalista, figlia d'arte, dall’amore viscerale per il cibo e il vino ha fatto un mestiere. Se volete parlare con lei, la trovate tra le “creuze”, i sentieri del Levante e del Ponente ligure, dove è sempre a caccia di ristoratori, vignaioli e ulivicoltori. pag. 68

Giornalista, romana, ma con discendenze calabre, cilentane e marchigiane. In tasca ha due diplomi di cucina e da sommelier. Dice di esser soprattutto “golosamente curiosa” ma non disdegna l'arte e la cultura. pagg. 108-120

Antonella Aquaro Lucrezia Argentiero Maddalena Baldini Laura Bernardi Locatelli Germana Cabrelle Olga Carlini Gilda Ciaruffoli Silvana Delfuoco Maria Pia Fanciulli Eleonora Fatigati Luigi Ferraro Marco Gemelli Beatrice Ghelardi Isa Grassano Riccardo Lagorio Claudio Modesti Nomisma Giuseppe Pulina Antonio Romeo Irene Tempestini Mariagrazia Tornisiello Fondazione Veronesi



ottobre almanacco di barbanera

di M. Pia Fanciulli

La natura che si riposa Le giornate si fanno più brevi, e si passa più tempo in casa. Anche la terra sembra prendersi una pausa, sebbene mai come in autunno inoltrato il bosco si ravviva con funghi e castagne. Così come forte è il richiamo della tradizione, con San Martino che regala il profumatissimo vino novello

Belli e sani L’umidità, oltre a causare disagi alle persone, lo fa anche agli ambienti. Uno dei suoi “regali” più frequenti è la comparsa di muffe su pareti e mobili. Con un’accurata bonifica a base di alcol denaturato, le muffe scompariranno evitando così anche di indebolire le difese immunitarie, specialmente dei bambini. Per gli anziani invece, una passeggiata di almeno 40 minuti al giorno, ovviamente nelle giornate meno fredde, aiuterà a contrastare la vecchiaia e fortificare il cuore

Orti e dintorni

Da ricordare

Sole e Luna

Sabato 1° novembre – Ricorrenza di Tutti i Santi Quello di Ognissanti, o Tutti i Santi come si è soliti dire, era un giorno importante pure per le previsioni meteorologiche: “Se il giorno dei Santi il sole ci sta, un buon inverno va”. La festa, che celebra tutti i Santi e i martiri del paradiso, risale alla fine del secolo VIII, quando l’episcopato franco la introdusse in sostituzione dei festeggiamenti per il Capodanno celtico che cominciava il 1° novembre. Fu però soltanto nel 1475 che papa Sisto IV la rese obbligatoria per la Chiesa. Tracce dei riti celtici sono rintracciabili in Halloween nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre.

Il Sole Il 1° sorge alle 06.32 e tramonta alle 16.54 L'11 sorge alle 06.45 e tramonta alle 16.43 Il 21 sorge alle 06.57 e tramonta alle 16.35

Saggezza popolare • Il tempo dei Santi è come quello di Natale. • Novembre bello o brutto in campagna muore tutto. • Per San Martino, si lascia l’acqua e si beve il vino. • Se la canna fa il pennacchio, molta neve e ghiaccio.

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Le giornate si accorciano Il 1° novembre si hanno 10 ore e 22 minuti di luce solare, mentre il 30 se ne hanno 9 ore e 23 minuti: si perdono, dall'inizio alla fine del mese, 59 minuti di luce. La Luna Il 1° tramonta alle 00.02 e sorge alle 13.43 L'11 tramonta alle 10.39 e sorge alle 20.50 Il 21 sorge alle 05.33 e tramonta alle 16.08 La Luna è al Perigeo lunedì 3 alle ore 1.00 e giovedì 27 alle ore 00.00. È all'apogeo sabato 15 alle ore 3.00. Luna in viaggio In questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 8 e 9.

In questo momento dell’anno c’è un acquisto importante da fare: un bel paio di stivali di gomma utili, oltre che per proteggersi da pioggia e fango, a fare i pochi lavori che orto e giardino richiedono. Se campagna e boschi ci attraggono con i caldi colori dell’autunno e con il piacere di andar per funghi o a raccoglier castagne, terra e fango non mancheranno da stivali o scarpe. Per cui ci vuole uno zerbino speciale! Se ne può costruire uno “raschiatutto” utilizzando i tappi delle bottiglie di acqua minerale, fissati con dei chiodi a una tavola di legno e con i dentini rivolti verso l’alto per trattenere il fango. In Luna crescente (dal 1° al 5 e dal 23 al 30) forzare i radicchi per l’imbiancatura. Legare e fasciare i gobbi affinché imbianchino e non gelino. Nel giardino coprire le specie sensibili al freddo con “tessuto non tessuto” e terminare la messa a dimora dei bulbi a fioritura primaverile. In Luna calante continuate invece (dal 7 al 21) la raccolta di cavolfiori, broccoli e finocchi. Seminare fave, piselli, cipolle e aglio. Porre al riparo gli agrumi e raccoglierne i frutti.


“A Villongo in provincia di Bergamo, sulle rive del Lago d’Iseo, coltiviamo le migliori qualità di uve per produrre vini Valcalepio D.O.C. e spumanti metodo classico di grande prestigio. La Rocchetta, con 20 ettari di vigneto utilizza esclusivamente le sue uve vinificandole con la supervisione di un enologo franciacortino, in modo da ottenere il massimo dal punto di vista qualitativo: vini unici per un’esperienza indimenticabile. T E L . 0 3 5 9 3 6 3 1 8 - W W W . P O D E R EC A S T E L M E R LO . CO M


appuntamenti lemaniraccontano novembre

di Gilda Ciaruffoli

Diciott’anni di mandorle e miele di Maria Grazia Tornisiello

A Cremona, nella città di Stradivari amata da Herman Hesse, ci aspetta un novembre dolcissimo, croccante e appiccicoso. Come il torrone, festeggiato con una manifestazione che nel 2014 diventa “maggiorenne” Venghino signori venghino, che la festa abbia inizio! Per 9 giorni di fila, dal 15 al 23 novembre, Cremona si trasforma in una vera e propria capitale del gusto a cielo aperto, ospitando la 18a edizione della Festa del Torrone. Con oltre 150 espositori provenienti dall’Italia e dal mondo, l’appuntamento rappresenta la gioia per i palati di grandi e piccini, già pronti ad assaggiare le novità del momento. Le piazze e le vie della città si colorano di eventi, 16

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spettacoli, palii e cortei storici, laboratori e degustazioni che rievocano l’origine del dolce cremonese. Sì, perché il torrone è parte integrante della cultura lombarda e non solo. Basti pensare che, secondo la tradizione, fece la sua comparsa più di 500 anni fa su un banchetto di nozze. E non un banchetto qualsiasi, bensì quello di Francesco Sforza, duca di Milano, e Bianca Maria Visconti che, il 25 ottobre 1441, si sposarono nell’Abbazia cremonese di San Sigismondo. E, dulcis in fundo, per mandar giù questo boccone amaro – dato che d’amore in questa unione non ce n’era nemmeno l’ombra – ecco servito, come dolce, del torrone modellato a forma di Torrazzo, la torre campanaria della città, da cui pare abbia preso il nome.


Secondo la tradizione, il dolce croccante a forma di Torrazzo fece la sua comparsa più di 500 anni fa in occasione del banchetto di nozze tra Francesco Sforza, duca di Milano, e Bianca Maria Visconti Passeggiando a tempo di musica

In carrozza, si parte! Tutti a bordo delle famose carrozze Centoporte per un emozionante viaggio a ritroso nel tempo. Sabato 15 novembre, in occasione della Festa del Torrone, una vecchia locomotiva a vapore del 1922 circolerà infatti sulla tratta Milano-Cremona e ritorno per condurre i passeggeri alla manifestazione, regalando loro un viaggio dall'atmosfera dolcemente retrò.

“... Sognati da uomini d’un tempo lontano Duomo, Torre e Palazzo sorgono maestosi e mi parlano, e alita dalle colonne e dai portici sorride l’eternità...”. Nel 1913 durante il suo soggiorno in Italia, il celebre scrittore tedesco Herman Hesse fece tappa a Cremona rimanendo particolarmente affascinato dalla piazza del Duomo e dal famoso Torrazzo che, con i suoi 112 metri e 502 gradini, è considerato il campanile storico più alto d’Italia. Un po’ di fiatone, ma scalarlo per godere dello splendido panorama sulla città e sul fiume Po è un'esperienza da fare. Ritornando con i piedi per terra, merita una visita la cattedrale con l’annesso battistero romanico e, poco distante, va data una sbirciatina al cortile del quattrocentesco Palazzo Fodri con i suoi affreschi e fregi, aperto eccezionalmente al pubblico in occasione della Festa del Torrone. Ma Cremona non è solo la patria del torrone e di altre prelibatezze gastronomiche come la mostarda, il cotechino o il salame Igp. Passeggiando per le sue vie, infatti, s’incontrano numerose botteghe di liutai, a testimonianza della sua vocazione musicale. È proprio qui infatti che nel 1644 nacque Antonio Stradivari, uno dei massimi liutai italiani divenuto celebre in tutta Europa per aver costruito oltre 1100 tra violini, viole e violoncelli suonati dai maggiori musicisti di ogni tempo. Il nuovo Museo del violino, inaugurato lo scorso anno all’interno del Palazzo dell’Arte, ospita una collezione di strumenti unica al mondo.

In apertura, un momento della Festa del Torrone nella piazza antistante il duomo di Cremona. Sulla sinistra spunta la base del Torrazzo

Scelti per voi dove mangiare Trattoria Bissone Una delle più antiche della città, offre piatti tipici della tradizione lombarda come il pasticcio di marubini in frolla. Prezzo medio: da 30 euro Via Pecorari, 3 Tel. 0732.23953 www.bissone.it Osteria Garibaldi Lo chef Paolo è alla continua ricerca di materie prime e di prodotti legati al territorio. Da non perdere le caramelle al torrone. Prezzo medio: da 35 euro Corso Garibaldi, 38 Tel. 0372.37365

dove dormire Albergo Visconti Tre stelle a conduzione familiare. Curato nei minimi dettagli, si trova a due passi dal centro storico. Doppia con colazione da 63 euro. Via Giuseppina, 145 Tel. 0372.431891 www.albergovisconti.it Hotel Duomo Cremona Situato vicino alla Cattedrale, coniuga perfettamente lo stile classico con un design contemporaneo. Doppia con colazione da 75 euro Via dei Gonfalonieri, 13 Tel. 0372.35242 www.hotelduomocremona.com

Per saperne di più:

www.festadeltorronecremona.it www.turismo.comune.cremona.it www.turismocremona.it

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appuntamenti novembre

di Gilda Ciaruffoli

1-30 novembre Nel cuore verde d’Italia

fino al 16 novembre La perla nera è servita Un borgo in festa per un mese intero. Inaugurata alla metà di ottobre, la Fiera nazionale del tartufo nero di Fragno propone un programma ricco di eventi legati al prezioso tubero. Tutte le domeniche è quindi possibile passeggiare lungo le strade del suggestivo borgo medievale tra le bancarelle del mercatino del tartufo, perdersi tra le degustazioni e acquistare specialità enogastronomiche locali.

Torna Frantoi Aperti, iniziativa dedicata alla valorizzazione dell’olio extravergine di oliva Dop Umbria e del turismo in campagna. L’edizione numero 17 coinvolgerà veri intenditori del buon vivere e del buon mangiare per 5 fine settimana consecutivi e vedrà i più bei borghi medievali umbri, le loro piazze, i palazzi, i teatri, gli uliveti, i frantoi (35 in tutto), le aziende agricole, gli agriturismi e le trattorie protagonisti assieme ai prodotti agroalimentari di qualità della regione. Nell’ambito della manifestazione si svolge anche, l’1 e il 2 novembre, Festivol – Trevi tra olio, arte, musica e papille: serie di iniziative che si svolgono nel centro storico della cittadina, incentrate sulla valorizzazione del pregiato olio locale.

Località varie – Umbria www.frantoiaperti.net, www.stradaoliodopumbria.it, www.festivol.it

Baganza (Pr) – Emilia Romagna www.tartufonerofragno.it

7 novembre Il Touring fa... 120 Sarà una tavolata immaginaria a unire l’Italia dal Trentino alla Sicilia in occasione del 120° anniversario della fondazione del Touring Club e del 50° compleanno dell’Unione Ristoranti del Buon Ricordo. Un menu speciale sarà creato in decine di ristoranti del Buon Ricordo in tutt’Italia a un costo fisso di 48 euro per persona): ciascuno chef lo rielaborerà a piacere e sarà evocativo della cucina di 50 anni fa o, addirittura, di 120 anni fa, in omaggio ai due anniversari.

Località varie www.touringclub.it www.buonricordo.com

3-5 novembre Che pizza il 2015!

fino al 16 novembre I ricci del Baldo È stata inaugurata a metà ottobre la manifestazione dedicata alle castagne e alla loro raccolta, in una terra vocata a questa delizia. Siamo a San Zeno di Montagna, borgo del monte Baldo affacciato sul lago di Garda dove, in occasione della rassegna San Zeno Castagne, Bardolino & Monte Veronese, i ristoranti aderenti propongono interi menù degustazione a base di castagne, in abbinamento con il vino rosso del territorio, il Bardolino. I prezzi dei menù vanno da 35 a 45 euro.

San Zeno di Montagna (Vr) – Veneto www.ristosanzeno.it 18

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PizzaUp è il simposio tecnico sulla pizza italiana. Tema di quest’anno è la digeribilità, intesa nella sua accezione più completa. Durante la terza giornata di manifestazione, aperta al pubblico, si terrà la presentazione e la degustazione delle pizze realizzate durante il simposio davanti a una giuria di giornalisti, che quest’anno dovranno eleggere la Pizza Italia 2015: la pizza che tra le sette in gara meglio interpreterà i temi del simposio.

Vighizzolo d’Este (Pd) Veneto www.pizzaup.it

8-16 novembre Rotonde delizie Tuttomele racconta una terra e la sua cultura attraverso i suoi frutti migliori. Nutrita la presenza di frutticultori che venderanno direttamente le loro mele. Da visitare anche Expomela, esposizione delle migliori qualità di mele dei 10 Comuni del Centro Incremento Frutticoltura Ovest Piemonte.

Cavour (To) – Piemonte www.cavour.info



appuntamenti novembre

13-14 novembre QUANDO ARTI E GUSTO SI SPOSANO È tutto pronto per la terza edizione del Seminario di formazione Food, Wine & Co. L’Enogastronomia e le Arti ideato da Simonetta Pattuglia – Direttore del Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media dell’Università di Roma Tor Vergata – e da Paola Cambria – giornalista e sommelier, e organizzato in partnership con Cinecittà Studios, la rivista Viaggi del Gusto e con il patrocinio di Ferpi-Federazione delle Relazioni Pubbliche Italiane. L’evento avrà come protagonista il settore enogastronomico e si svolgerà presso la sede storica di Cinecittà, la Sala Fellini e il nuovo Caffè (Roma, Via Tuscolana 1055). Saranno coinvolti specialisti del settore che, in qualità di relatori, mostreranno i numerosi legami tra il settore enogastronomico, la fotografia, la bellezza, i territori, il cinema, la pittura, la fotografia, l’architettura, il design e la musica. I partecipanti avranno modo di constatare le numerose possibilità date da un settore in continua crescita e le potenzialità date da un marketing e da una comunicazione sempre più strutturati, professionali e creativi. Previste inoltre degustazioni di eccellenze enogastronomiche.

Roma – Lazio www.economia.uniroma2.it/master/comunica&media

9 e 16 novembre I segreti della Vernaccia Appassimenti Aperti è la manifestazione che racconta un grande vitigno autoctono: la Vernaccia Nera. Caratteristica la visita agli Appassimenti, i luoghi dove l’uva viene riposta ad appassire, che apriranno le proprie porte ai visitatori, e dove si potrà ascoltare dalla viva voce dei produttori del lavoro, della passione e della cura meticolosa che sono alla base di questo vino straordinario.

Serrapetrona (Mc) – Marche www.appassimentiaperti.it

9 novembre Benvenuto olio nuovo Per festeggiare la prima frangitura dell’anno, l’azienda Dievole, storica villa nel territorio del Chianti Classico, si apre per una giornata particolare. Il protagonista è naturalmente l’olio extra vergine di oliva, celebrato dalla mattina con un benvenuto in cantina e una passeggiata guidata tra gli uliveti dell’azienda. Seguiranno una degustazione tecnica e un pranzo tipico. Prezzo a persona: 30 euro

Castelnuovo Berardenga (Si) – Toscana www.dievole.it 20

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appuntamenti novembre

21-30 novembre Tutti "puzzle" per il cioccolato #Cioccolatò 2014 è la kermesse dedicata al cioccolato made in Italy e internazionale, che presta un’attenzione particolare alle produzioni della tradizione cioccolatiera piemontese. L'evento torna in Piazza San Carlo dove saranno allestiti stand per ospitare incontri con esperti del settore, attività culturali e di animazione, in un vero e proprio puzzle di tradizione e artigianato dolciario che propone anche prodotti delle più importanti firme della dolcezza italiane.

Torino – Piemonte www.cioccola-to.it

15-17 novembre Golosità come stile di vita Rassegna-Mercato di enogastronomia fra le più curiose d’Italia, a Golosaria debuttano ogni anno tante novità. Presenti all’evento oltre 200 produttori alimentari e 100 titolari di cantine, selezionati per la loro eccellenza. Oltre a degustazioni e acquisti, ci sarà la possibilità di partecipare al Golosaria Lab: oltre 50 appuntamenti di incontro con Maestri del Gusto – chef, sommelier, produttori, critici – per show cooking, degustazioni, laboratori, conversazioni e confronti diretti.

22-23 novembre Una festa “speziale” Tornerà alla storica Stazione Leopolda di Pisa l’appuntamento con Dolcemente, l’evento dedicato alla pasticceria di alta qualità della tradizione italiana. Tema di quest’anno l’utilizzo delle spezie, raccontato attraverso itinerari che illustrano lo storico rapporto della città di Pisa con il mare e l’influenza delle tradizioni mediterranee nello sviluppo della cultura gastronomica contemporanea.

Pisa – Toscana www.dolcementepisa.it

3 dicembre Il baccalà ha il suo galà

Giunge alla 6 edizione la Settimana del Baratto che consente ai viaggiatori di alloggiare nei b&b italiani a costo zero pagando con ciò che si sa fare, si produce, si inventa. Migliaia le idee/baratto che animano ogni anno il “mercato” virtuale del sito promotore dell’iniziativa e che hanno reso possibile l’incontro tra le richieste dei gestori e le offerte dei viaggiatori.

Ai piedi dei Colli Euganei, nel padovano, si tiene la finale del Festival Triveneto del Baccalà verso Expo 2015. In degustazione, le 6 ricette finaliste al concorso (4 venete,1 trentina e 1 friulana), durato tre mesi e nato per innovare un piatto della tradizione. Chi volesse assaggiare il meglio di quanto hanno prodotto le cucine (innovative) del Nordest in fatto di baccalà, non ha che da prenotare un posto a tavola!

Località varie

Località varie

a

www.settimanadelbaratto.it 22

GourmArte è una tre giorni dedicata a foodies e amanti del buon bere, che avranno la possibilità di gustare vini, salumi, prodotti da forno, formaggi e quanto di buono e genuino nasce nel territorio lombardo. All’interno del percorso espositivo i visitatori conosceranno i prodotti dei Maestri del Gusto, ovvero aziende che si sono messe in luce per l’elevata qualità e l’etica; dei Custodi del Gusto, contadini, allevatori, artigiani, e vignaioli che hanno mantenuto viva una tradizione strettamente legata al territorio e al modo di interpretarlo; e degli Esploratori del Gusto, aziende con base in Lombardia, che si sono distinte per l’opera di divulgazione di prodotti particolarmente ricercati, selezionati nei territori d’origine. www.gourmarte.it

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E tu cosa mi dai?

L’arte del buon mangiare

Bergamo – Lombardia

Milano – Lombardia

17-23 novembre

29 novembre – 1 dicembre

novembre 2014

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scienza e vita

Se non fa bene, che piacere è? Che sia uno stimolante lo sappiamo tutti. Dopo una buona tazzina di caffè ci sentiamo più vigili e attenti. E non si tratta solo di suggestione: gli effetti benefici della caffeina sul nostro corpo sono provati scientificamente, e il loro numero è destinato a crescere. Terapie per la prevenzione o il trattamento di Parkinson e Alzheimer sembrano infatti essere dietro l’angolo 26

novembre 2014

di Giuseppe Pulina Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari

Bere una tazzina di caffè in Italia, come in molte parti del mondo, è un piacere quotidiano, talvolta un rito, un punto di orgoglio nazionale, quasi una bandiera. Oltre ad essere un piacere, ora sappiamo che una tazza di caffè ci aiuta a vivere meglio, con meno rischi di perdere la memoria o di ammalarci di Parkinson. La ricerca scientifica ha ormai svelato le profonde correlazioni fra l’assunzione di caffeina e alcuni effetti benefici. Una delle studiose di maggiore rilievo sull’argomento è la professoressa Micaela Morelli dell’Università di Cagliari alla quale abbiamo rivolto le nostre domande. Il caffè è da tutti considerato una bevanda eccitante. È questo il motivo che ti ha spinto ad approfondire gli studi nel campo neurologico? Diciamo subito che una bevanda così diffusa ha permesso di compiere studi epidemiologici su migliaia di persone, forti e deboli consumatori di caffè, e di correlare a questa abitudine lo sviluppo di determinate malattie. Gli studi hanno evidenziato l’efficacia che la caffeina avrebbe nel prevenire malattie che al momento non hanno alcuna cura, ma solo trattamenti sintomatici. Per quanto riguarda la malattia di Parkinson,


pre-clinici, svolti cioè su animali da esperimento, suggeriscono che la caffeina quando è associata all’assunzione di sostanze d’abuso come le amfetamine (metamfetamina ed ecstasy) peggiorano gli effetti tossici sui neuroni di queste droghe. A seconda del contesto in cui viene utilizzata la caffeina può quindi svolgere effetti positivi o peggiorare quelli negativi prodotti da certe droghe.

è stato dimostrato che nei forti bevitori di caffè (più di cinque tazze al giorno) è presente una ridotta probabilità di sviluppare la malattia rispetto a coloro che ne fanno un uso moderato. Potere prevenire una malattia degenerativa che colpisce gli anziani, creando seri problemi di deambulazione fino a portare all’immobilità completa, è una scoperta di estremo interesse, visto l’aumento progressivo della vita media. Questi studi hanno avuto una grande risonanza nella comunità scientifica internazionale perché per la prima volta è stato dimostrato che la malattia di Parkinson potrebbe essere prevenuta e curata e non solo trattata nei sintomi. Come agisce il caffè sul sistema nervoso? Studi sulle proprietà della caffeina nel campo delle malattie neurodegenerative sono in corso anche nei nostri laboratori dell’Università di Cagliari. Questi studi hanno dimostrato che le proprietà neuroprotettive della caffeina sono legate al blocco dei recettori di un neurotrasmettitore presente nel cervello: l’adenosina. Farmaci che agiscono su questi recettori come fa la caffeina sono in sperimentazione clinica nel trattamento della malattia di Parkinson. Allo stesso tempo però, altri studi, per ora ancora

Caffeina, elisir di lunga memoria: chi beve almeno tre tazze di caffè al giorno mostra meno problemi a ricordare cose o eventi rispetto a chi non supera il consumo di una tazza giornaliera. Differenza che diventa più marcata con l’avanzare dell’età, raggiungendo il massimo tra gli ottantenni

Sono stati dimostrati altri effetti positivi della caffeina? Certamente. Oltre ad influenzare la vita dei neuroni del nostro cervello, la caffeina sarebbe anche un elisir di lunga memoria. Chi beve almeno tre tazze di caffè al giorno mostra meno problemi a ricordare cose o eventi rispetto a chi non supera il consumo di una tazza giornaliera. Questa differenza tra forti e deboli bevitori, diventa più marcata con l’avanzare dell’età, raggiungendo il massimo tra gli ottantenni. È particolarmente interessante che nella malattia di Alzheimer, una malattia neurodegenerativa caratterizzata da una progressiva perdita di memoria, la caffeina riduca il declino cognitivo. Sembra che la caffeina, sia nei cervelli delle persone sane che di quelle malate di Alzheimer, moduli la plasticità neuronale (la capacità dei neuroni di modificare la loro struttura e funzionalità) rendendoli più reattivi agli stimoli. E l’effetto classico della caffeina è passato in secondo piano? No di certo. La caffeina è uno stimolante, aumenta cioè l’attenzione e la precisione nell’esecuzione di compiti specifici, diminuisce il bisogno di dormire, aumenta le prestazioni atletiche migliorando i tempi di reazione e la coordinazione muscolare. La caffeina è anche usata per incrementare le proprietà dei più comuni antidolorifici. Per questo motivo numerose bevande, prima tra tutte la Coca Cola, addizionano caffeina per aumentarne le proprietà stimolanti. Una convinzione pericolosa è invece quella che la caffeina sia in grado di contrastare gli effetti dell’alcol. La caffeina, maschera solamente l’effetto sedativo delle bevande a base di alcol e quindi senza accorgersene il bevitore raggiungere quantità tossiche, molto pericolose per sé per gli altri. novembre 2014

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A cura della Redazione scientifica Fondazione Veronesi

la salute nel piatto

testi di

Serena Zoli

Alla fonte del ferro Spinaci e carni rosse sono un toccasana per gli anemici. Sbagliato! O meglio, se quello di Popeye è chiaramente un mito a fumetti, mangiare più carne è solo una delle possibili risposte alla diminuzione dell’emoglobina nel sangue. Ancora una volta legumi, cereali e verdure infatti ci stupiscono con le loro infinite proprietà

Se sono anemico posso seguire una dieta vegetariana? Bella domanda. Per rispondere partiamo dalla malattia. “Anemia” alla lettera vorrebbe dire “non sangue, scarsità di sangue” e di solito si spiega che a scarseggiare sono i globuli rossi. Piuttosto conta la diminuzione del contenuto di emoglobina, ossia di una proteina contenente ferro in grado di legare l’ossigeno, che il globulo rosso trasporterà dai polmoni a tutte le cellule dell’organismo. La carenza di ferro è centrale (anemia marziale), ma non è l’unica causa di anemia: ci può essere carenza di acido folico o di vitamina B12. Ora, si sa che il ferro si trova soprattutto nelle carni, dunque adottare una dieta vegetariana può risultare rischioso. Ma occorre sapere anche che ci sono due tipi di ferro nell’alimentazione: il “ferro eme”, assorbito con molta facilità dal corpo umano, e che costituisce il 40% del ferro presente nelle carni e nel pesce, e il “ferro non-eme” che costituisce il 60% di quello presente nei tessuti animali e la totalità del ferro presente nelle piante (frutta, 28

novembre 2014

Anemico... a chi? Le cause della mancanza di ferro sono varie e agiscono da sole o in associazione con un apporto alimentare non adeguato, malassorbimento intestinale, aumentate perdite (emorragie mestruali, del tratto intestinale, etc..) oppure aumentate richieste dell’organismo (soggetti in crescita, atleti). Fra i sintomi tipici dell’anemia, i più comuni sono facilità a stancarsi, palpitazioni, vertigini, dispnea da sforzo, pallore, tachicardia, ipotensione.

verdura, cereali, noci) il quale ha una assimilazione molto più lenta e difficile. Dunque se l’anemia è di grado modesto, è possibile seguire una dieta a base di cibi vegetali, privilegiando gli alimenti più ricchi di ferro, quali i legumi – 100 gr di fagioli, ad esempio, possono contenerne fino a 9 mgr contro i 4 scarsi della carne di cavallo –, cereali in chicco e alcune verdure come rucola e radicchio (ma attenzione, dicono gli esperti: gli spinaci no, la storia di Braccio di Ferro non ha fondamento. Peccato!). Ci sono poi da evitare abbinamenti con caffè, tè, latte e suoi derivati poiché riducono l’assorbimento del ferro. Resta, infine, la regola principe: sentire il proprio medico e farsi seguire nel nuovo percorso vegetariano. Considerando anche che parecchio dipende dal tipo di scelta: essere ovolattovegetariani o vegani non è proprio la stessa cosa.

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www.fondazioneveronesi.it




Panorama Panorama

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42 54

42 Cover story

32 Pagine nere

54 Costumi & tendenze

La sua storia attraversa cinque secoli e altrettanti continenti. Partito dal Corno d'Africa, il caffè si è radicato in ogni angolo del globo, fino a diventare" il re delle bevande" e assurgere a protagonista di miti, luoghi e tradizioni. Perchè il

Caffè liscio, macchiato o deca? Scopriamo

rito della tazzina che ogni giorno accompagna milioni di persone nel mondo, è una vera

Governo schiavo dell'Ue e burocrazia soffocante: ecco l'Italia che non ci piace

34 Scenari alimentari Napa Valley: un esempio di successo del comparto enoturistico Usa. Da imitare

come e dove piace gustarlo agli italiani

58 L'Italia che merita Stava per chiudere, oggi è il caffè più famoso sul web: la storia di Carbonelli

esperienza culturale, oltre che sensoriale.

36 Fatti e contraffatti

60 Storia in cucina

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Oliere prive di etichetta: un grosso rischio

Il caffè di Asolo

Anche Expo 2015 avrà un posto di primo piano. Vi

guidiamo allora in un viaggio dal chicco alla tazza, dai campi fino alla tappa del consumo.

Un

per tutti coloro che soffrono di allergie

percorso affascinante che vi farà scoprire anche

38 Il personaggio

le ragioni che fanno dell'espresso un simbolo

Amedeo De Franceschi, dirigente Naf,

dell'Italia nel mondo

ci spiega come si fa la lotta alle agromafie

novembre 2014

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pagine nere

di Francesco Condoluci redazione1@vdgmagazine.it

l’italia

che NON

ci piace Addio etichette "trasparenti" gli italiani si piegano all’Ue Avete l’abitudine di leggere sull’etichetta dei prodotti alimentari la sede dello stabilimento di produzione? Bè, scordatevela. Tanto, dal prossimo 14 di dicembre, anche volendo, non potrete più farlo. Non potrete più sapere, in buona sostanza, in quale paese e in quale regione è stata prodotta la pasta che trovate sullo scaffale al supermercato. Non potrete più avere la certezza, quindi, che i biscotti che state comprando arrivano da un’azienda a pochi km da casa vostra piuttosto che da un altro paese dell’Unione europea. Al massimo, potrete leggere appunto la dicitura “Prodotto in Ue” giusto per essere sicuri che il salume che avete in mano non arriva dal Corno d’Africa. L’Italia era uno dei pochi Stati membri (se non l’unico) dell’Ue che ancora imponeva alle sue aziende di indicare la provenienza del prodotto, malgrado in Europa da anni non vi fosse più l’obbligo. “Esigenze di sicurezza” avevano detto a Bruxelles in passato le autorità italiane, le quali evidentemente non avevano nessuna voglia di dover sudare sette camicie per capire da dove cacchio arriva quel barattolo di marmellata segnalato come “a rischio”. E né tantomeno di vedere omologate le loro eccellenze a quelle degli altri Paesi. Giusto, giustissimo, sacrosanto. Peccato che improvvisamente le stesse autorità italiane – il Governo nella fattispecie – adesso non credano più che quelle informazioni al consumatore siano così necessarie e che non val la pena derogare alla normativa europea per imporre agli operatori di inserirle in etichetta. Con la loro non-azione (cioè scegliendo di non legiferare in materia) gli attuali governanti italiani, ci faranno adeguare al regolamento Ue 1169/2011 lasciando anche alle aziende italiane la possibilità di utilizzare etichette meno trasparenti ma – che diamine! – più europee. Così a Bruxelles saranno più contenti. Così come le agromafie. Ponziopilateschi 32

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Esselunga ingessata dalla burocrazia: 24 anni per aprire a Legnano!

Premessa: siamo e saremo sempre convinti che l’Italia sia il più bel Paese al mondo, la patria del “saper fare” per antonomasia, il regno della bellezza declinata in ogni sua forma possibile, la quintessenza del talento, della creatività, del buon gusto... Ma a volte, lo confessiamo, lo scoramento sul futuro di questo Paese non risparmia nemmeno noi che, dell’ottimismo, ne abbiamo fatto una religione. Neanche noi, in verità, siamo esenti dal porci dubbi atroci sul fatto che gli italiani – quelli capaci, onesti e pieni di virtù – possano davvero risollevarsi dalla crisi e tornare a imporre al mondo le proprie capacità e le proprie produzioni, la nostra “italianità” nell’accezione più alta del termine. Lo sconforto ci disarma, nella fattispecie, quando ci ritroviamo davanti all’idra dalle tante teste capace di uccidere il più coraggioso, più forte e più valoroso tra gli eroi. Quella piaga biblica e inesorabile che risponde al nome di burocrazia, quella metastasi che si nutre dei vezzi peggiori degli italiani: negligenza, ottusità, corruzione. Quel mostro in grado di fermare non solo i piccoli ma anche i grandi e illuminati imprenditori come Bernardo Caprotti, ad esempio, il patron di Esselunga, la più importante azienda della grande distribuzione organizzata italiana. Il buon Caprotti, di recente, ha scritto una lunga e accorata lettera al più importante quotidiano nazionale, nella quale spiega perché la sua azienda, malgrado gli sforzi e l’ingegno, non è mai arrivata ai livelli internazionali di altre realtà italiane come Armani, Luxottica o Pirelli. “Volete sapere il perché? – scrive l’imprenditore – perché per aprire un punto vendita a Legnano abbiamo dovuto aspettare 24 anni. E per quello di Firenze, che forse apriremo nel 2015, abbiamo avviato le pratiche nel 1970! Questa è la risposta di un’azienda che di problemi ne ha troppi, che si avventura ogni giorno in una giungla di norme, regole, controlli, ingiunzioni, termini, divieti che cambiano continuamente col cambiare delle leggi, dei funzionari, dei potenti. Uno slalom gigante con le porte che vengono spostate mentre scendi. Un’azienda affondata nelle sabbie mobili italiane – conclude Caprotti – oberata da un esiziale carico fiscale atto solo a sostenere tutto ciò che nel paese è sovvenzionato”. Senza parole



scenari alimentari

A cura dell’Osservatorio Agroalimentare Nomisma

Napa Valley, un modello da imitare? La lezione americana all'enoturismo è semplice: tanto più sono stretti i legami che uniscono i viticoltori alle realtà produttive, istituzionali e culturali che gravitano sulla stessa area, quanto più è possibile generare ricadute economiche e progresso sociale sul territorio. L'Italia però non sembra in grado di recepirla

L’enoturismo rappresenta una tipologia di vacanza che vede sempre più appassionati in giro per le cantine del Belpaese. Circa il 9% dei turisti stranieri che annualmente arrivano in Italia dichiarano di farlo con obiettivi enogastronomici, un fenomeno in continua crescita negli ultimi anni. Tuttavia, a ben guardare, si tratta ancora di una percentuale ridotta se confrontata con analoghe esperienze in altri paesi. Se infatti esiste un caso di successo nel mondo del vino che può costituire un modello di sviluppo territoriale da imitare, questo è rappresentato dalla Napa Valley. Area della California situata nella zona Nord della baia di San Francisco, è diventata nel tempo il bacino di produzione di una delle denominazioni di vino più conosciute degli Stati Uniti. Nonostante rappresenti solo il 5% della produzione di vino californiano, la Napa Valley presenta oggi un’enorme rilevanza per il settore vitivinicolo statunitense. La peculiarità dell’area non è solo quella di coltivare vitigni di qualità, ma di rappresentare una realtà produttiva in cui il vino è il fulcro di un’esperienza rurale che attrae milioni di visitatori ogni anno. Questa sinergia ha incrementato il valore emozionale riferito al prodotto finale e la percezione di qualità dello stesso. L’aspetto più interessante è che questa modalità di sviluppo territoriale viene favorita e coordinata a livello di sistema politico-amministrativo locale: qualsiasi modifica che riguardi il settore vitivinicolo (riduzione/ampliamento dei vigneti, modifiche tecniche della produzione, nuovi impianti, etc.) o le imprese della filiera (apertura di nuove strutture ricettive o attività manifatturiere, localizzazione delle attività economiche, etc.) è decisa in maniera condivisa tra i componenti della comunità locale: associazioni, imprese, cittadini, istituzioni. Il modello Napa, in sintesi, dimostra che tanto più sono stretti i legami che la vitivinicoltura crea con gli altri settori all’interno di un’area quanto più è possibile generare ricadute economiche indirette e progresso sociale per il territorio e le comunità locali. In Italia, culla della viticoltura, vi sono molte aree rurali dove i vigneti sono coltivati da secoli e che potrebbero svilupparsi economicamente, ma anche e soprattutto turisticamente, grazie all’impulso garantito da una gestione coordinata di questa coltura e delle attività ad essa connesse. Nel valutare la replicabilità dell’esperienza di Napa al di fuori dei confini degli Stati Uniti va messo in evidenza come forme di collaborazione territoriale tra imprese, istituzioni e comunità locali (wine routes, circuiti turistici) e una pianificazione condivisa dello sviluppo del territorio (policy ambientali, pratiche sostenibili di viticoltura ed enologia, centri di ricerca specializzati) siano dei presupposti imprescindibili per il raggiungimento di risultati duraturi.

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novembre 2014


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fatti e contraffatti

di

Claudio Modesti

La banda delle oliere anonime Extravergine e mercato. È il giusto momento per fare alcune considerazioni prima del 13 dicembre. Il consumo di olio di oliva in Italia è stimato in circa 840 mila tonnellate/anno. Sommando il quantitativo d’olio prodotto con quello importato e sottraendo a questa somma quanto abbiamo esportato, possiamo stimare approssimativamente che a dicembre mancheranno circa 165 mila tonnellate di olio di oliva sulle tavole degli italiani. Come verrà colmato questo divario? Non è certamente da considerare fantasiosa l’ipotesi che oli estratti da semi oleaginosi come il girasole e le arachidi si trasformino miracolosamente in extravergine insieme a oli di oliva di ignota provenienza resi commestibili con procedimenti chimici e resi appetibili con un idoneo camouflage.

... ma anche delle bottiglie rabboccabili: fraudolenti contenitori lesivi per la salute. Una riflessione in merito, nell’attesa (e nella speranza) che diventi finalmente applicativo il regolamento 1169/2011

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Europei di serie B La Coldiretti, nel trascorso 2013, aveva stimato in 450 milioni di euro il danno derivato dalle frodi nel settore. Per contenere questo fenomeno truffaldino, la proposta di legge sul divieto di utilizzo delle oliere e delle bottiglie rabboccabili (nei ristoranti e nella ristorazione collettiva) presentata al parlamento europeo da tutti i paesi produttori dell’Unione, andava nella giusta direzione. Ben quindici nazioni produttrici – sulla scia di quanto avvenuto in Portogallo dove le frodi si erano ridotte con l’introduzione del tappo antirabbocco e la proibizione delle oliere anonime – con viva soddisfazione attendevano il traguardo del gennaio 2014, momento che doveva sancire l’entrata in vigore della normativa. Il 23 maggio 2013 l’ennesimo colpo di mano di alcune nazioni non nuove a questi comportamenti: l’Inghilterra e l’Olanda, paladine delle lobbies dei ristoratori nordeuropei, inducono il commissario per l’agricoltura Dacian


Ciolos a ritirare il provvedimento. Un’altra sconfitta dei popoli del sud Europa da sempre considerati europei di serie B sui provvedimenti che riguardano le politiche agroalimentari. Non sarà superfluo ricordare a questo punto che la facoltà di riempire le oliere con “qualsiasi fluido oleoso” favorisce le frodi e danneggia la salute. 18 mesi dopo Ma veniamo all’oggi: perché è importante la data del 13 dicembre 2014? Perché in assenza di un “colpo di mano con destrezza” del commissario Ciolos, diverrà finalmente applicativo il regolamento 1169/2011 che stabilisce, tra le indicazione obbligatorie in etichetta, la presenza della data di scadenza dell’extravergine (18 mesi dal confezionamento). L'uso delle oliere rabboccabili è evidentemente in contrasto con il diritto dei consumatori di avere questa conoscenza. La nuova normativa sulle etichettature degli alimenti prevede anche l’indicazione obbligatoria di eventuali componenti allergizzan-

I soggetti allergici a mais, nocciole, girasole e arachidi che presentassero reazioni allergiche, anche minime, durante l’utilizzo di olio contenuto in bottiglie prive di etichetta presenti nei ristoranti o nelle mense dovrebbero immediatamente allertare i Nas per consentire i dovuti controlli e ottenere anche un eventuale risarcimento

ti presenti negli alimenti. Dato che quasi tutti i semi oleaginosi sono indicati come potenziali allergeni nel Codex Alimentarius, e che quindi deve essere segnalata la loro presenza anche in minime tracce, come faranno i consumatori a sapere se le oliere contengono extravergini di qualità in purezza oppure oli di oliva scadenti tagliati con oli di semi? Tutti coloro che sono allergici a mais, nocciole, girasole, arachidi e che presentano reazioni allergiche, anche minime, durante l’utilizzo di olio contenuto in oliere anonime e bottiglie con tappo rabboccabile presenti nei ristoranti o nelle mense dovrebbero immediatamente allertare i Nas. Questo per consentire il sequestro e l’analisi del contenuto delle oliere al fine di ottenere un risarcimento per il danno alla salute. “Per tutti gli alimenti sono rese accessibili e facilmente disponibili le relative informazioni obbligatorie”, art. 12.1 del nuovo regolamento sulle etichette e sulla pubblicità dei prodotti alimentari, UE 22 novembre 2011. Meditate, allergopatici, meditate...

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Ilpersonaggio

«Consumatori: al vostro servizio!» di Francesco Condoluci

Vent'anni fa, al suo primo incarico, diresse il laboratorio chimico di Pescara dell’ex Ispettorato repressione frodi del Mipaaf. Da allora ha votato la sua carriera alla tutela delle nostre eccellenze. Oggi, Amedeo De Franceschi dirige la divisione sicurezza agroalimentare del Corpo Forestale ed è l’uomo di riferimento delle agenzie internazionali di Polizia Interpol ed Europol per tutte le operazioni di contrasto alle agropiraterie 38

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Quali sono i prodotti italiani più colpiti dalle frodi alimentari? Le crisi alimentari degli ultimi anni stanno reindirizzando il consumatore europeo alla ricerca di cibi legati a tradizioni di cui l’Italia è leader mondiale. Così è aumentata l’attenzione verso le produzioni certificate, ovvero quei cibi ben riconoscibili per il bollino Dop o Igp, o semplicemente per un brand che li qualifica come “italiani”. Le produzioni certificate sono diventate l’equivalente delle griffe della moda e come queste vengono contraffatte; solo


che, diversamente da queste, il consumatore non riesce a riconoscere il cibo tarocco. I casi della mozzarella di bufala campana prodotta con cagliate congelate, oppure dell’olio d’oliva deodorato per poter essere venduto senza difetti organolettici ancora come extravergine, sono i più eclatanti dell’ultimo periodo.

Per difendersi dalle frodi alimentari bisogna riscoprire l’etichetta, facendo attenzione alla sede dello stabilimento di produzione, che purtroppo da dicembre 2014, se il parlamento italiano non legifererà altrimenti, andrà in pensione in quanto la nuova normativa europea 1169/2011 non obbliga più l’operatore a inserirla

Cosa incide di più, sul fatturato del nostro Made in Italy: le agromafie di casa nostra o l’italian sounding all’estero? Diciamo innanzitutto che il falso Made in Italy è in crescita perché la legislazione europea, tutta orientata a garantire il consumatore dal punto di vista della sicurezza alimentare, prevede pene lievi per chi delinque senza arrecare danno alla salute. Ecco perché il mercato è invaso dai tarocchi italiani. Le organizzazioni criminali hanno capito che basta cambiare l’etichetta per ottenere guadagni senza attentare alla salute e quindi senza incorrere nelle sanzioni introdotte nell’Ue all’indomani della “mucca pazza”. Direi quindi che i due meccanismi sono complementari: il mercato del falso internazionale è il naturale sbocco delle attività illecite organizzate che trovano il loro terreno fertile a distanza di migliaia di km dal luogo di origine degli alimenti. Per una regola aurea per chi delinque, che si può tradurre in: maggiore è la distanza dal luogo di produzione e minore è la conoscenza culturale del prodotto. Quali strumenti ha in mano il consumatore per difendersi dalle truffe sul mercato? Riscoprire l’etichetta, leggere la sede dello stabilimento di produzione, che purtroppo da dicembre 2014, se il parlamento italiano non legifererà in tal senso, andrà in pensione in quanto la nuova normativa europea 1169/2011 sulla presentazione dei prodotti alimentari non obbliga più l’operatore a inserirla. Ma tutto parte da una buona e necessaria educazione alimentare.

Naf e VdG insieme per mettere in guardia sulle frodi alimentari Dal prossimo numero il Nucleo Agroalimentare e Forestale (Naf) curerà sulle pagine di VdG la rubrica “Fatti e contraffatti” nella quale ogni mese analizzerà le frodi alimentari perpetrate ai danni dei consumatori, mettendo in guardia i lettori sui mille pericoli di cui è disseminata la “giungla dello scaffale”. Il Corpo Forestale è infatti impegnato per la lotta alla contraffazione dei prodotti agroalimentari a indicazione geografica Dop e Igp attraverso controlli sui territori di produzione finalizzati all’attività di prevenzione e contrasto dell’agropirateria. La sicurezza igienica, la salubrità e la conoscenza dell’origine e della provenienza di un determinato prodotto rappresentano dei requisiti fondamentali per l’orientamento all’acquisto dei consumatori, tali da poter “assicurare” loro “il diritto all’informazione” e la possibilità di “compiere scelte consapevoli”. Le attività di indagine e controllo sono coordinate a livello centrale dalla Divisione 2^ dell’Ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato con il Nucleo Agroalimentare e Forestale (Naf), una struttura centrale altamente specializzata nel contrasto alla criminalità in ambito agroalimentare e alla contraffazione dei prodotti di qualità. L’attività operativa è realizzata dagli 87 Comandi provinciali, dagli altrettanti Nuclei Investigativi di Polizia Ambientale e Forestale (Nipaf) e dai 1.100 Comandi stazione del Corpo forestale dello Stato. Il Naf opera su tutto il territorio nazionale svolgendo funzioni di coordinamento e indirizzo info-investigativo e di analisi in tema di sicurezza agroalimentare, fornendo supporto operativo e logistico ai Comandi territoriali del Corpo forestale dello Stato. Presso i quindici Comandi regionali sono presenti altrettanti Uffici dei referenti agroalimentari con il compito di analisi e coordinamento delle attività a livello regionale. novembre 2014

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ilpersonaggio

In apertura, Amedeo De Franceschi. Qui, un'operazione di controllo del Corpo forestale dello Stato

La legislazione europea è orientata a garantire il consumatore dal punto di vista della sicurezza alimentare e prevede pene lievi per chi delinque senza arrecare danno alla salute. Le organizzazioni criminali hanno capito che basta cambiare l’etichetta per ottenere guadagni senza attentare alla salute e quindi senza incorrere nelle sanzioni introdotte nell’Ue all’indomani della “mucca pazza” 40

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Quale sarebbe invece la ricetta per tutelare meglio le nostre produzioni di eccellenza? L’ufficializzazione dei metodi di analisi forense con la ricerca di parametri scientifici volti a caratterizzare in maniera univoca l’origine geografica del cibo e la determinazione di marcatori della qualità. Faccio un esempio: se l’olio extravergine di oliva Igp Toscano viene venduto a un prezzo di 10 euro al kg, chiunque può essere tentato di comprare e confezionare olio di provenienza tunisina o spagnola che costa decisamente meno e rivenderlo come toscano. Nel luglio 2011 il Corpo forestale dello Stato in collaborazione con l’Istituto agrario di San Michele all’Adige ha voluto verificare se le provenienze extracomunitarie, in particolare dalla Tunisia o comunque dal Nord Africa, potessero essere distinte rispetto a quelle di origine italiana con la tecnica degli isotopi stabili. Sono stati così esaminati circa 160 campioni

con gli isotopi stabili di olio nordafricano importato in Italia specialmente da grandi aziende confezionatrici e i risultati hanno confermato ciò che si intuiva da tempo, ovvero che esiste una forte differenza nei parametri scientifici degli oli di provenienza nord-africana da quelli della Penisola, i quali si caratterizzano ancora meglio viste le ridotte estensioni geografiche di riferimento; in altre parole, i parametri isotopici, ad esempio, dell’olio del Garda sono diversi da quelli dell’olio Terra di Bari, ma anche da quelli del toscano Terre di Siena. Perciò lo strumento che serve a scovare quei milioni di tonnellate di falso olio italiano oggi esiste ed è a nostra disposizione; manca solo un piccolo passo verso l’ufficializzazione del metodo di analisi.

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lI caffè,

l’energia delle idee di Chiara Mauri (Direttore del Master of Management in Food & Beverage SDA Bocconi School of Management)

La sua storia attraversa cinque secoli e altrettanti continenti. Partito dal Corno d'Africa, il caffè si è radicato in ogni angolo del globo, fino a diventare "il re delle bevande" e assurgere a protagonista di miti, luoghi e tradizioni. Perchè l'aroma caldo e stimolante che ogni giorno accompagna le giornate di milioni di persone nel mondo, è una vera esperienza culturale, oltre che sensoriale. Vi guidiamo in un viaggio dal chicco alla tazza, dalla pianta fino al rito del consumo. Un percorso affascinante che vi farà scoprire anche le ragioni che fanno dell'espresso un simbolo dell'Italia nel mondo 42

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l'energia delle idee

N

Una vera e propria “droga” Non esistono tracce scritte che ne documentino l’uso antecedenti al XV secolo. I primi a parlare dell’esistenza di un decotto in grado di 44

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La pianta del caffè si chiama Coffea. Le specie più diffuse sono la Coffea Arabica e la Coffea Canephora (o Robusta)

L’America Latina è considerata la culla del magico chicco. A torto. Pochi sanno che in realtà la pianta di Coffea arabica affonda le sue radici nel Corno d’Africa, negli altopiani etiopi della regione di Kaffa, che regalò anche il nome di battesimo alla bevanda

i numeri

ero. Caldo. Profumato. Energetico. Stimolante. La sua storia attraversa cinque secoli e cinque continenti e accomuna razze, religioni e lingue diverse, in ogni angolo del globo. Se, nella civiltà umana il riso è “il cibo dei popoli”, il caffè – da circa 500 anni a questa parte almeno – è certamente “il re delle bevande”. Più dell’acqua e più del vino, semplicemente perché diverso. Non un bisogno primario né un piacere inebriante, ma una vera e propria “esperienza sensoriale” che coinvolge tutti e cinque i sensi e si alimenta di gusto, di riti, tradizioni, luoghi e convivialità. Perché dentro una tazzina, c’è un mondo intero. Bastano tre dati a testimoniare la rilevanza del caffè per le culture e le economie locali e per l’umanità intera: ad esso è legata la vita di ben 26 milioni di persone, la stragrande maggioranza delle quali rappresentata da piccoli proprietari terrieri dei Paesi in via di sviluppo; ogni giorno nel mondo si bevono oltre 2 miliardi e 610 milioni di tazze di caffè; ogni individuo ne beve in media 136 in un anno. Un fenomeno di dimensione planetaria, in crescita continua. Eppure, malgrado ciò, sono poche le persone che si chiedono cosa ci sia alla sua origine. Sul tema, anzi, c’è molta approssimazione. Se entriamo in un bar e chiediamo al primo avventore di quale Paese è originaria la pianta del caffè, ci sentiremo quasi certamente rispondere che «viene dal Brasile». Niente di più sbagliato. L’America Latina è considerata a torto la culla del magico chicco, pochi sanno infatti che in realtà la pianta di Coffea arabica affonda le radici fin dai tempi più remoti nel Corno d’Africa, in particolare negli altopiani etiopi della regione di Kaffa, che regalò anche il nome di battesimo alla bevanda... Ma questa è solo una delle tante sorprese del nostro viaggio alla scoperta del caffè.

• 2.610.792.877 le tazze di caffè che si bevono ogni giorno nel mondo • 1 milione di milioni le tazze di caffè che si bevono ogni anno • 136 la media delle tazze di caffè che ogni individuo beve in un anno nel mondo • 161.000 milioni i litri di caffè consumati ogni anno nel mondo (contro i 242.000 milioni di acqua) (dati Euromonitor International®)


di Riccardo Lagorio Esistono oltre 70 varietà di caffè, che si diversificano per aspetto, quantità della produzione, forma, misura e sapore dei frutti. Rientrano nel genere coffea (la pianta del caffè) circa 90 specie di arbusti, ma solo alcuni di questi sono effettivamente coltivati per la produzione di caffè. Le specie più diffuse sono la Coffea Arabica e la Coffea Canephora (o Robusta) dalle quali derivano le due varietà più utilizzate al mondo di caffè. L’Arabica rappresenta circa i 3/4 della produzione mondiale; i suoi chicchi sono caratterizzati da una spaccatura centrale a forma di S, possiede note dolci e delicate con acidità poco rilevante e amaro assente. La varietà Robusta deve invece il suo nome alla resistenza all’attacco dei parassiti e alle variazioni climatiche. La bevanda che se ne ottiene ha note più astringenti e amare dell’Arabica, e un contenuto di caffeina più significativo. Ma il mondo del caffè, al pari di qualsiasi altro prodotto alimentare, è variegato. Basti sapere che nella specie Arabica esistono ibridi moderni che in un ettaro arrivano a produrre oltre 4 tonnellate di caffè e antiche varietà che non arrivano ai 200 kg. Di grande fascino sotto il profilo organolettico sono la Mauritiana (diffusa sulle isole Mauritius e Riunione, dal colore bruno) e la delicata quanto rara Stenophylla, originaria della Sierra Leone e catalogata da George Don solo nel 1894 (dal profumo di tè). Ma, tra quelle poco coltivate nel mondo, forse la più caratteristica è la Liberica. Questa pianta produce pochissimi frutti, grossi e duri che, a causa della mancanza di macchinari adatti alle loro dimensioni e consistenza, devono essere sbucciati a mano, e quindi poco convenienti per le grandi aziende produttrici.

le varietà

Dolce, amaro o delicato?

restituire forze e vigore all’organismo furono i Sufi yemeniti, mistici dell’Islam che traevano beneficio dalla caffeina per rimanere vigili ed entrare in trance durante i loro esercizi spirituali. In origine, però, non si usavano i chicchi tostati e triturati di caffè, ma le foglie della pianta e le scorze essiccate che rivestono il seme, servite sotto forma di infuso insieme alle spezie (cardamomo, cannella, zenzero) così come usa ancora oggi tra le tribù Oromo in Etiopia e tra gli stessi yemeniti, che associano il caffè alla masticazione delle foglie di qat: pianta locale consumata per i suoi effetti lievemente psicotropi. In origine il caffè venne quindi apprezzato come droga per le virtù della caffeina contenuta nelle varie parti commestibili della pianta e non per il caratteristico aroma che oggi tutti amiamo.

Mercato e consumi Oggi nel mondo si producono oltre 144 milioni di sacchi di caffè, numero

Arabica

Mista

che cresce in parallelo all’aumento dei consumi. Tale aumento, a sua volta, diventa ricchezza per i Paesi produttori. Date le caratteristiche dell’ambiente e dell’ecosistema ideali per la sua crescita, il caffè viene coltivato in Paesi localizzati in un’area di 5.000 km di larghezza attorno all’Equatore. Sono circa 50, con il Brasile al primo posto. Il caffè, come detto, è una risorsa vitale per l’economia dei Paesi in via di sviluppo, per i quali rappresenta non di rado la coltivazione più importante. Per oltre 20 milioni di coltivatori e le loro famiglie costituisce l’unica fonte reale di reddito; per una dozzina di Paesi dell’Africa Orientale è il principale prodotto di esportazione; per 7 Paesi la quota media delle esportazioni di caffè ha superato il 10% sul totale delle esportazioni. Questi dati fanno intuire immediatamente la rilevanza del caffè per molte nazioni, per le quali rappresenta una parte significativa del

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l'energia delle idee

usi e costumi

Negli Usa, il caffè è assimilabile a una bevanda; in America Latina e in Europa invece soddisfa un bisogno meno primario e più complesso: un sorso di energia, un momento di pausa. In italia, ancora più che altrove, ha senso affermare allora che “si gusta il caffè” anziché “si beve un caffè”

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A ogni Paese la sua tazza Le abitudini di consumo di caffè sono molto differenti nel mondo. In Nord America la tazza di caffè è decisamente più grande rispetto alle altre aree del mondo: 0,319 litri medi per tazza, ben distanti dai 0,185 litri dei Paesi dell’Europa dell’Est e dell’Australasia e dagli 0,117 litri dell’America Latina. Incrociando la dimensione media della tazza con i grammi di caffè contenuti per tazza o, meglio ancora, con i grammi medi di caffè contenuti in un litro di acqua, si intuiscono le modalità di consumo prevalenti nei vari Paesi e quindi le caratteristiche della tazza. Nel Nord America si beve una tazza di caffè grande (0,319 litri, poco meno di una lattina di aranciata o cola), che contiene 8,32 gr di caffè; la bevanda risulta quindi poco concentrata, da sorseggiare in un tempo piuttosto lungo. La tazza dell’Europa Occidentale è la più concentrata: 0,138 litri (meno della metà di quella americana) con sciolti 5,518 grammi di caffè. Ne risulta una bevanda molto concentrata: 40,018 grammi/litro. I dati medi per macro-aree nascondono modalità di preparazione e consumo tipiche dei singoli Paesi. Per esempio in Italia la concentrazione di caffè per litro d’acqua è molto elevata, arrivando a 107,1 grammi, essendo condizionata dall’elevatissimo consumo dell'espresso, che richiede un impiego di caffè maggiore. novembre 2014

prodotto interno lordo e delle entrate fiscali. Per quanto attiene ai consumi, il numero di tazze di caffè bevute nel mondo aumenta a un tasso medio annuo del 2,6% e si stima che nel periodo 2015-2017 crescerà ancora del 9,2%. Circa metà della popolazione mondiale beve caffè, il 24% degli individui che bevono caffè ne bevono più di 12 tazze ogni settimana, ed è praticamente impossibile che in una casa o in un ufficio non ci sia nemmeno una confezione di caffè. Con questi numeri, il consumo di caffè non è troppo distante da uno dei bisogni primari dell’uomo, quello dell’acqua. Nel mondo ogni anno si bevono infatti 242 mila milioni di litri di acqua in bottiglia a fronte di 161 mila milioni di litri di caffè. Osservando l’andamento dei consumi in termini di litri di caffè bevuti e di tonnellate di caffè consumate si individuano poi le diverse abitudini dei vari Paesi: laddove il rapporto litri/tonnellate è elevato, come avviene negli Usa, il caffè è assimilabile a una bevanda; laddove avviene il contrario, come in America Latina o in Europa, il caffè soddisfa un bisogno meno primario e più complesso: un sorso di energia, un momento di pausa, di relazione, e allora ha senso affermare che “si gusta il caffè” anziché che “si beve un caffè”. Nel mercato mondiale del caffè ci sono tantissime marche che si contendono i consumi; le prime cinque in


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l'energia delle idee

ordine di classifica di vendite nel 2012 erano Nescafè (Nestlé, Svizzera), Jacobs (Germania), Nespresso (Nestlè, Svizzera), Folgers (Usa) e Tchibo (Germania). Nel loro insieme, queste 5 marche coprono circa un quarto del mercato, ma Nestlè in questo piccolo gruppo ha una posizione di dominanza assoluta conquistata con due marchi: lo storico Nescafè e il recente Nespresso.

Il punto di vista dei produttori Parlando di marchi, inevitabile però guardare all'altra faccia della medaglia, quella dei coltivatori. Mentre i costi di produzione del caffè continuano ad aumentare, infatti, i prezzi riconosciuti dal mercato a questi ultimi sono volatili. La diversa dinamica dei costi di produzione e dei prezzi di vendita penalizza gli agricoltori, i cui sforzi sono vanificati da fattori che non riescono a controllare (e il cui lavoro, non possiamo dimenticarlo, è costanemente minacciato da importanti fenomenti metereologici, vista la localizzazione geografica dei Paesi produttori intorno all’Equatore). Una delle soluzioni più efficaci individuate per affrontare questo problema è lo sviluppo di accordi di collaborazione con i Paesi produttori orientati al miglioramento della qualità delle produzioni e per questa via al miglioramento dei prezzi. A questo proposito, l’Organizzazione Internazionale del Caffè (ICO) ha varato la risoluzione 407, che stabilisce gli standard qualitativi al di sotto dei quali il caffè verde non può essere esportato mettendo così il coltivatore in grado di vendere il caffè prodotto secondo standard definiti (privo di chicchi di bassa qualità e di corpi estranei) a un prezzo superiore. In questo senso, lo sviluppo di programmi di sostenibilità e le connesse certificazioni – nonché le partnership nate tra imprese operanti nei mercati di consumo, distributori e torrefattori con le imprese agricole operanti nei mercati alla

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le curiosità

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Tazzine esotiche di Riccardo Lagorio Caffè Blue Mountain. La provenienza è la Giamaica. Si tratta di una selezione dal gusto dolce e priva d’astringenza. La sua reputazione l’ha reso tra i più costosi caffè al mondo. Caffè di Sant’Elena. Dalle piantagioni di Rosemary Gate, sull’isola famosa per l’esilio di Napoleone, questo caffè possiede chicco lucente. L’aroma è floreale e fruttato, il gusto deliziosamente caramellato. Caffè di Agaete. È l’unico caffè prodotto in Europa, di varietà Typica. Beh, non proprio sul continente, ma nelle isole Canarie. Assai aromatico, si caratterizza per il colore bruno intenso ed aromi persistenti. Se ne producono circa 2 tonnellate all’anno. Caffè dello zibetto. È un caffè accuratamente lavorato e tostato che proviene dai chicchi ingeriti ed escreti da parte dello zibetto delle piante, che abita nelle foreste indonesiane. Gli enzimi digestivi dello zibetto eliminano in pratica parte delle proteine che conferiscono sapore amaro al risultato finale. Lo si conosce anche con il nome di Kopi luvak, dal termine zibetto in indonesiano. Caffè La Esmeralda. Per anni è stato tra i caffè più cari al mondo, venduto all’asta. Proviene dalla proprietà La Esmeralda a Boquete, Panama. La coltivazione denominata Monataña, che cresce tra i 1700 e 1800 metri di altitudine, regala note di nocciola, cioccolato amaro e vaniglia.

La certificazione Fairtrade garantisce che gli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo siano protetti e possano costruirsi un futuro sostenibile. La FaitradeLabelling Organization svolge una funzione di controllo, garantendo che i prodotti a marchio FairTrade siano conformi agli standard del commercio equo


produzione, finalizzate al trasferimento di conoscenze e tecniche di coltivazione – sono tutte realtà orientate ad aumentare la qualità del caffè all’inizio della catena del valore, in modo che i coltivatori possano ottenere una quota superiore del valore aggiunto.

I migliori al mondo A volte è difficile persino immaginare in quali condizioni estreme i coltivatori di caffè si trovino a lavorare. Come in Guatemala (Paese partecipante al cluster del Caffè di Expo 2015) dove troviamo piantagioni situate ad altitudini fino a 1.900 metri. Siamo a Huehuetenango, ai piedi dei Cuchumatanes, la più alta catena montuosa non vulcanica del Centro America, in una delle aree più vocate del Paese per la caficoltura. Le correnti d’aria calda provenienti dall’istmo di Tehuatepec, incontrando l’aria fredda che soffia sulle montagne dei Cuchumatanes, consentono di coltivare caffè fino a vette altrove inaudite. Il caffè del Guatemala – la cui coltivazione fu introdotta dai padri Gesuiti, nel 1773 – è uno dei migliori del mondo. Ma parlando di eccellenza e

verso expo 2015

Un rendering del cluster del caffè, allestito in occasione di Expo 2015

Il padiglione tematico Mercato, piante e produzione, viaggio e compravendite, importazione e torrefazione, esperienze di consumo. Questi sono i cinque temi la cui successione rispecchia il percorso ideale del visitatore del cluster Caffè di Milano Expo 2015. L’architettura e quindi il layout del cluster dovrebbero essere configurati secondo un percorso ideale “dalla pianta alla tazza di caffè”, dalla produzione all’esperienza di consumo. Si comincia dalle piantagioni dei Paesi produttori: la loro localizzazione, le tipologie di caffè, i rischi e i problemi. Si passa all’esportazione verso i grandi porti, quindi alla torrefazione, al confezionamento in varie tipologie di packaging, al consumo vero e proprio. In questa ultima fase dovrebbe essere dato spazio anche alle macchine per la produzione del caffè e alla loro tecnologia. Oltre a dati, tendenze, interpretazioni che riguardano gli attori e le operazioni di mercato, quindi che coinvolgono gli aspetti economici legati al mondo del caffè, i contenuti toccano diversi altri elementi della cultura e della società: il caffè non è solo un prodotto, ma è un mondo di relazioni sociali, una cultura, un rito, una fonte di ricchezza per chi lo produce e di piacere per chi lo consuma, persino un soggetto di famose opere d’arte. Per il visitatore si prospetta un vero e proprio viaggio, accompagnato all’esterno del padiglione, da grandi fotografie in bianco e nero scattate da Sebastiao Salgado nei Paesi produttori.

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l'energia delle idee

l'ESPERTO

Luigi Odello:

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“Un buon caffè? Si riconosce a naso”

Docente di Analisi Sensoriale presso Università italiane e straniere e presidente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè, Luigi Odello ci spiega come bastino pochi secondi per valorizzare o vanificare la qualità racchiusa nei chicchi provenienti da ogni angolo del globo. E invita a chiudere gli occhi e ad affidarsi all’olfatto per giudicare la bontà di un espresso.

di Laura Bernardi Locatelli

Odore di muffa, medicinale, fumo e bruciato sono presenti in troppe tazzine. Si compiono molti errori dietro al bancone, a partire dalla scelta della miscela che privilegia il risultato visivo alla qualità. Perché crema e buon corpo non sono sufficienti a fare un grande espresso

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Come si riconosce un buon caffè? Non serve essere esperti per riconoscere odori di muffa, medicinale, bruciato, fumo, e simili... La qualità inizia dall’assenza di difetti. Non lasciatevi ingannare dalla vista: avvicinate la tazzina al naso e abbandonatevi alle sensazioni che vi procura. Cogliete sentori di fiori, frutta fresca, frutta secca ed essiccata, cacao e vaniglia, pepe e qualche altra spezia, o almeno alcune di queste? Al gusto è equilibrato (non molto acido e non molto amaro), sciropposo e setoso, senza un briciolo di astringenza? Perfetto, ora affondate la vostra

mente nel piacere e aprite pure gli occhi. La crema è color nocciola con riflessi fulvi di trama finissima? Ci avrei scommesso. Quali sono le regole fondamentali per prepararlo al meglio? Per l’espresso Italiano il barista è guidato da una formula inderogabile: 25 millilitri in 25 secondi usando 7 grammi di caffè per tazza. Quando la soddisfa ha buone possibilità di dare al cliente il caffè che desidera, sempre che abbia operato con attrezzature pulite e abbia scelto una buona miscela. Questa regola sembra una sciocchezza, ma se metteste alla prova il vostro barista come facciamo alla competizione Espresso Italiano Champion (Odello è segretario dell’associazione Espresso Italiano, ndr) con un macinadosatore starato (che quindi fa granellini troppo piccoli o troppo grandi) vi rendereste conto che non è poi così facile. L’espresso Italiano necessita sempre di un professionista per la sua preparazione.


Quali sono gli errori più frequenti dei baristi? Ne commettono una quindicina almeno: scarsa pulizia delle attrezzature, mancanza di controllo della temperatura della macchina e del tempo di estrazione, pressatura del caffè nel filtro insufficiente, particelle di caffè sul bordo del filtro…. Il peggiore però riguarda la scelta della miscela. Spesso il barista non giudica il caffè in base alle sue caratteristiche sensoriali, ma per la facilità di ottenere un risultato che soddisfi la vista, dalla crema alla struttura. Ecco perché invitiamo tutti a non guardare la tazzina quando ci viene servita. E tantomeno a valutare il tempo che impiega lo zucchero ad affondare: una delle peggiori indicazioni che sia mai stata data per confondere il consumatore.

la ricetta per l’espresso migliore? Una buona base di caffè naturali (Brasile o India) e qualche lavato del Centro America, associati a caffè dell’Africa Orientale (Kenya, Etiopia) da tostare lentamente (15/20 minuti), lasciare riposare, confezionare e servire Quali sono le miscele migliori o più pregiate ? Quelle che evidenziano i caratteri di cui abbiamo parlato. Quale ricetta per l’espresso Italiano? Una buona base di caffè naturali (Brasile o India) e qualche lavato del Centro America (Colombia, Guatemala, Costarica etc.) associati a caffè dell’Africa Orientale (Kenya, Etiopia) da tostare lentamente (15/20 minuti), lasciare riposare, confezionare e servire. Esistono abbinamenti ideali con piatti e ricette? Matrimoni d’amore sono generati dall’incontro con il cioccolato, la crema, lo zabaione e ogni elaborato che abbia le classiche note apportate dal lievito e dalla cottura in forno. Quanto conta il servizio nella degustazione? Molto, perché una parte del piacere del caffè giunge dal rito, l’altra dall’annuncio dell’aroma. Se vogliamo mettere l’accento su qualcosa che si fa troppo poco è l’offerta di un bicchierino di acqua prima dell’espresso.

La tostatura è un momento cruciale nella lavorazione del caffè: in un solo quarto d’ora si determinano infatti gusto e aroma finale

storia, sarebbe impossibile non citare quella dello Yemen e del porto di al-Makkha, sinonimo di caffè per quasi mille anni. Fu qui che i primi chicchi arrivarono dall’Africa ed è la parola al-Makkha, modificata in Mocha, che divenne il soprannome universale della nera bevanda. Quando i turchi conquistarono lo Yemen, il caffè di Mocha era già bevuto in tutto il mondo islamico e il suo gusto era diverso dal caffè turco, forte e fangoso. Il caffè yemenita è sì forte ma senza residui. Il gusto è simile a quello di un miscuglio di chiodi di garofano, cardamomo, zucchero e acqua. Si prepara con il metodo shatter, che prevede l’immersione di un cucchiaio colmo di caffè macinato speziato in acqua calda e viene servito in grandi bicchieri di vetro.

Chicchi in viaggio Per passare dalla pianta alla tazza, il caffè, ancora in chicchi verdi, compie il giro del mondo. Raccolto dal-

le piante e messi i chicchi in sacchi di juta, il caffè viene stivato sulle navi e comincia il suo viaggio dai luoghi di produzione ai luoghi di consumo. Durante il percorso vengono adottati tutti gli accorgimenti necessari per evitare il deterioramento dei chicchi e la formazione di muffe, condense e odori che potrebbero compromettere la qualità. Arrivato nei porti dei Paesi di destinazione, viene messo in depositi dedicati per essere successivamente smistato nei vari mercati e raggiungere le imprese di torrefazione, le tosterie.

L’arte di miscelare e tostatare I primi importatori di caffè sono Stati Uniti e Germania, seguiti da Italia, Giappone e Francia. Il suo viaggio però non si ferma qui: parte dei chicchi importati infatti vengono esportato verso nuove destinazioni. Quando finalmente i sacchi raggiungono la tosteria, i chicchi vengono depositati su di un nastro novembre 2014

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l'energia delle idee

di Riccardo Lagorio Il mondo del caffè scoraggia chi voglia conoscere qualcosa in più sul contenuto del pacchetto di caffè. E la propaganda che si può raccogliere presso i torrefattori non aiuta molto a capire il dettaglio. La nomenclatura del contenuto nel pacchetto si rifà a concetti molto vaghi: si va dal Gusto intenso al Gran aroma, dalla Crema oro alla Qualità classica spesso senza specificare le varietà utilizzate, l’origine e tantomeno le modalità di torrefazione.

trasportatore. La prima selezione avviene al vibrovaglio, un grande setaccio che separa tutti gli oggetti di dimensioni maggiori rispetto al caffè che possono essere rimasti. A questo punto, il caffè verde viene immagazzinato nei silos. L’ultima selezione è affidata a macchine bicromatiche, che fotografano ogni chicco e riconoscono ed eliminano quelli immaturi o fermentati. Bastano infatti pochi chicchi imperfetti per compromettere la qualità di una tazzina. I chicchi di origini diverse vengono miscelati ed è nella capacità di mettere a punto la miscela “giusta” – i giusti aromi, il dolce, l’amaro... – che risiede il vantaggio competitivo dell’impresa di torrefazione. Ci sono varie tecniche di miscelatura: si può usare il sistema a “componenti fissi”, cioè una ricetta che stabilisce una volta per tutte gli ingredienti e le relative quantità, oppure si 52

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occhio alla salute

Il caffè prima di essere tostato, in chicchi verdi

Il futuro è verde di Riccardo Lagorio Grazie soprattutto al contenuto naturale in acidi clorogenici, il caffè, anche decaffeinato, è tra le fonti dietetiche più abbondanti di antiossidanti. Che se ne vanno però al momento della tostatura. Il compito del torrefattore dovrebbe essere quindi anche quello di trovare la temperatura più bassa adatta sì a creare fragranze caratteristiche, ma adeguata a non far perdere quelle sostanze così benigne. O di inserire una certa quantità di caffè verde (essiccato ma non tostato) nella propria miscela evitando che questa esprima l’astringenza del caffè verde. In Italia lo ha fatto Lucaffè, proponendo una miscela equilibrata di caffè tostato a basse temperature e caffè verde, ricca di gusto.

le etichette

Gran aroma, può bastare?

scelgono di volta in volta i migliori caffè, rimodulando la quantità degli ingredienti. Tuttavia l’eccellenza delle materie prime non basta a una miscela perfetta, né le corrette proporzioni di ogni ingrediente. Contano anche il processo produttivo e la tostatura. Con la tostatura, i chicchi si trasformano in grani bruni e friabili. In un cruciale quarto d’ora la temperatura cresce fino a circa 200°C: in questo intervallo di tempo si sviluppano circa 800 sostanze, responsabili del gusto e dell’aroma finale. Il chicco perde il 20% del suo peso e acquista il 60% del suo volume: ovvero perde peso e conquista gusto! A chiudere il ciclo è il momento del raffreddamento che deve lasciare intatti gli aromi migliori e preservare il caffè da ogni traccia di umidità.

La questione dei prezzi Come avviene per numerosi prodotti di risonanza mondiale, anche il caffè viene contrattato alle Borse Merci. Sulla base delle contrattazioni, le Borse ogni settimana predispongono un listino prezzi a cui compratori e venditori possono fare riferimento. Per il caffè le Borse più importanti sono quella di New York e quella di Londra: a New York vengono negoziate le qualità di Arabica e a Londra quelle di Robusta. Influssi ambientali, aumento dei consumi, qualità del caffè, oscillazione dei costi supplementari (petrolio, trasporto, assicurazioni) sono alcuni dei fattori che ne determinano le fluttuazioni di prezzo. Per quello che riuguarda l’ultimo periodo, possiamo vedere come, dopo un biennio di calo, a marzo 2011 il caffè ha raggiunto il livello di 1,14 dollari per libbra, il picco più alto negli ultimi 30 anni, poi ha cominciato a diminuire. Nel giugno 2013 l’indicatore ICO, standard di riferimento mondiale per il prezzo del caffè verde, segnala un calo del 7.4%, il livello più basso raggiunto dal 2009.



consumi&tendenze

Liscio, macchiato, ristretto o…? di Isa Grassano

Più della metà degli italiani non potrebbe rinunciare al caffè della mattina. E anche se è casa propria il luogo preferito per gustarsi in pace una tazzina fumante, ci sono certamente locali che hanno fatto (e fanno) la storia di questa deliziosa bevanda e che sarebbe proprio il caso di visitare almeno una volta nella vita 54

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«Per prima cosa Dio creò il caffè, altrimenti non ce l’avrebbe fatta a fare tutto il resto».
L’autore di questa frase che circola sulla rete non è noto, ma rende bene l’importanza di questa bevanda, per affrontare al meglio la giornata. Sì perché, secondo una recente indagine di AstraRicerche, il caffè preferito, quello a cui più della metà dei consumatori non rinuncerebbe mai, è quello bevuto la mattina appena svegli: ben il 58%. I dati confermano che la prima tazzina si consuma prevalentemente a casa propria (89%) – in particolare le donne (92%) ultra 45enni (94%) – ma non mancano i numerosi affezionati del bar (78%) che considerano questo rito un momento per incontrare e conoscere altre persone. Già Giuseppe Verdi amava ricordare che "il caffè è il balsamo del cuore e dello spirito" e la pensano così la maggior parte dagli italiani, dei quali il 36% risulta essere debole consumatore con 1-2 tazzine al giorno; ci sono poi i medi consumatori (36%) con 2-3 tazzine e i forti consumatori (27%), con più di tre. Ne fanno un uso maggiore gli uomini almeno fino ai 54 anni, poi scatta un senso di moderazione. Ciascuno, però, ha le sue abitudini irrinunciabili, e per gustarlo al meglio non mancano le proposte di bar, caffetterie storiche e locali all’avanguardia.


Si racconta che Beethoven contasse pazientemente i sessanta chicchi necessari alla preparazione di ogni tazza, in modo che il suo caffè risultasse sempre della stessa forza Classici intramontabili A Trento ci sono decine di modi di richiedere questo “elisir bruno”. Serve quasi un traduttore o un dizionario. Qualsiasi sia la scelta, ci si può fermare per una pausa al Caffè degli Specchi che, sin dal 1839, rappresenta un po’ il simbolo della città, tanto da essere incluso nei locali storici d’Italia. Da qui sono passati importanti artisti, letterati, politici e imprenditori, tra cui Italo Svevo, James Joyce e Franz Kafka. Puntano sulle interpretazioni più insolite anche al Pedrocchi, nella piazza centrale di Padova, costruito nel 1831 su disegno dell’architetto Giuseppe Japelli che affascina per l’ambiente baroccheggiante, tutto dorature, stucchi e specchi. Qui un assaggio goloso e insolito è appunto il “Pedrocchi”, un espresso con sciroppo di menta, schiuma di latte e una spolverata di cacao amaro. Al Caffè Coloniale, nel cuore di Verona, si può selezionare la miscela di Arabica per farsi preparare l’espresso dal gusto desiderato, scegliendo tra sei alternative provenienti dalle varie parti del mondo, dal brasiliano Santos Montecarmelo all’indiano Nuggets. Le preparazioni spaziano dal caffè “del Re o Maraja”, al “li per li”. Impossibile spiegare, vanno solo provati. Richiama golosi da tutto il mondo, anche il caffè speciale del Bar Gelateria Campanella a Polignano a Mare, che ha visto nascere il mito di Domenico Modugno. Cinque gli ingredienti: caffè, zucchero, scorza di limone, panna e amaretto del "Super Mago", tutto servito tiepido in bicchieri di ve-

Tutti a scuola Ormai è un plus: le aziende produttrici organizzano sempre di più corsi e giornate per avvicinare i professionisti e gli appassionati a questo “mondo aromatizzato”. In quest’ottica, Illy ha istituito l’Università del Caffè, a Trieste, per offrire le migliori opportunità di formazione. Ricco il calendario: il 25 novembre, per esempio, si tiene un corso su “Espresso alla perfezione”. Non mancano serate di degustazione e cene a tema dedicate agli intenditori. Educa al gusto anche il Lavazza Training Center, a Torino, con un programma didattico che spazia dalla storia alle nuove ricette. In Calabria infine si trova l’Accademia di Caffè Mauro che propone corsi per osservare e gustare il caffè attraverso la vista, l’olfatto e il palato, per affinare la capacità di percepirne pregi e difetti, aroma, gusto e corposità. Lo slogan dell’Accademia recita infatti “non esiste un solo caffè né un solo modo di berlo”. Per saperne di più:

www.unicaffe.com www.lavazza.it/it/passione_caffe/training-center http://caffemauro.com/it/accademia_caffe

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consumi&tendenze

Scelti per voi

Qui, lo storico Pedrocchi di Padova, il cui caffè caratteristico è aromatizzato alla menta con panna e cacao. Nella pagina precedente le sedi dei corsi di degustazione e storia del caffè organizzati da Illy e Lavazza

"Il caffè è il balsamo del cuore e dello spirito" sosteneva Giuseppe Verdi. E la pensa così anche la maggior parte dagli Italiani, dei quali il 36% risulta essere debole consumatore con 1-2 tazzine al giorno; ci sono poi i medi consumatori (36%) con 2-3 e i forti consumatori (27%), con più di tre tro. Curioso l’accostamento tra caffè e limone, di cui si sente il retrogusto, ma molto armonioso nel gusto, tanto da essere stato apprezzato negli anni anche da svariati personaggi dello spettacolo, da Pippo Baudo a Gianni Morandi, da Michele Placido a Lina Wertmuller. Infine, a Lecce si fa tappa presso lo storico Bar Alvino (aperto da oltre 100 anni) per coccolarsi con un caffè in ghiaccio con latte di mandorla, accompagnato magari da un delizioso “pasticciotto”, dolce di pasta frolla ripieno di crema.

Qualche “aromatica” novità Non solo locali storici. Numerose le nuove aperture che fanno proprio del caffè uno dei punti di forza. Per cominciare, seguiamo l’inconfondibile profumo di vaniglia e caffè che aleggia invitante tra i tavoli al nuovo Fracca56

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ro Café, recentemente aperto a Castelfranco Veneto. Una miscela 100% Arabica di una rinomata torrefazione veneta, tostata con maestria, dal gusto piacevole, che viene utilizzata per espressi ma anche per cremosi cappuccini e cioccolate in tazza. Dedicato a chi ama le due ruote, è il Bianchi Cafè & Cycles, il primo bike shop dello storico marchio aperto da qualche settimana a Milano, a due passi dal Duomo, con officina e caffè. Concept store (come quelli già esistenti a Stoccolma, Tokyo, Sälen, Malmö e Vasteras), il suo fiore all’occhiello è la collaborazione dello chef Davide Oldani, appassionato di sport e ciclismo. Ci si accomoda a sorseggiare una tazzina di caffè (ma anche molto altro) circondati dai miti che hanno fatto grande la casa celeste (fu fondata nel 1885 proprio a Milano).

Caffè degli Specchi Piazza Unità d’Italia, 7 Trieste Tel. 040.661973 www.caffespecchi.it Caffè Pedrocchi Via VIII Febbraio, 15 Padova Tel. 049.8781231 www.caffepedrocchi.it Caffè Coloniale Via Viviani, 14c Verona Tel. 045.8012647 www.casa-coloniale.com Bar Gelateria Campanella Piazza Garibaldi, 22 Polignano a Mare (Ba) Tel. 080.4240025 Bar Alvino Piazza Sant’Oronzo, 30 Lecce Tel. 0832.246748 www.caffealvino.it Fraccaro Café Via Circonvallazione Ovest, 25/27 Castelfranco Veneto (Tv) Tel. 0423.491421 www.fraccarodolciaria.it Bianchi Cafè & Cycles Via Felice Cavallotti, 8 Milano http://bianchicafecycles.com


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storiedall'italiachemerita

Carbonelli, il caffè italiano 2.0 di Antonella Aquaro

Lo scorso anno, in occasione dello Smau, si sono meritati il premio di innovazione e Ict per il marketing digitale e l’e-commerce. Loro il merito di aver aperto la strada a un nuovo modello di sviluppo per le torrefazioni, decisamente social. E pensare che non ci fosse stata la crisi forse niente di tutto questo sarebbe successo Alle spalle, una storia che ha dell’incredibile. È la case history Carbonelli, commercianti di caffè dal 1981. Un’attività classica, il torrefattore, che dopo un periodo di stabilità impatta con crisi economica e rischio chiusura. Nel frattempo, in Rete, gli echi dell’e-business. All’epoca eBay era poco più che un nome, ma i Carbonelli decidono comunque di tentare la carta dell’on-line con il risultato di riuscire, in pochi anni, a decuplicare il proprio fattura58

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to diventando uno dei migliori venditori della piattaforma nella categoria PMI. Ma facciamo qualche passo indietro.

Il tuffo nella Rete Anno 2001: è già crisi. L’instabilità aziendale porta i Carbonelli a mettere in discussione il sistema della grande distribuzione e nel frattempo iniziano a familiarizzare con i social network. Nel giro di poco, internet è il fenomeno e Facebook, Google+, Instagram, Pinterst, Twitter, Youtube diventano così i canali ufficiali della comunicazione Carbonelli. Ma al di qua dei tentacoli virtuali c’è Melito di Napoli. È qui che i fratelli Carbonelli – Luca e Luigi – sono cresciuti fra sacchi di juta e aromi di caffè infusi di passione paterna. Un anfratto d’Italia, non esattamente meta turistica, e in più gravato, come tutti, da crisi, trappole burocratiche e livelli di tassazione proibitivi. «La tentazione di espatriare c’è stata – confessa Luca Carbonelli, Responsabile marketing e vendite – ma le radici e l’impulso di resistere sono stati più forti». E oggi direi


anche premianti. I Carbonelli hanno infatti saputo trasformare le difficoltà in risorse. Le vendite non andavano e nel 2006, insieme al fratello – responsabile produzione – Luca decide di lanciarsi in Rete e fa bingo. In un’unica soluzione ha scongiurato il fallimento, ridato vigore all’attività e inaugurato un nuovo modello di sviluppo per le torrefazioni; risultati a cui è andato il premio di innovazione e Ict per il marketing digitale e l’e-commerce Smau 2013.

Artigiani digitalizzati «Per superare la crisi non avevamo un riferimento, semplicemente perché non esisteva. Osservavamo da vicino Illy, la loro brand identity e il modo in cui i loro prodotti parlavano di qualità e valori aziendali». Uno spunto importante, a cui i Carbonelli hanno aggiunto esperienza e valori aziendali per disegnare su misura il vestito da indossare. «Una volta definita la strategia di vendita on-line volevamo far sapere al mondo che esistevamo escludendo a priori i canali settoriali». L’obiettivo di famiglia diventa così condividere l’offerta delle proprie miscele di caffè in grani e cialde con i circa 7.000.000.000 potenziali clienti on-line. Come fare? La risposta, arrivata nel tempo, è consultabile al sito www.caffecarbonelli. it. Un sito che parla, e anche tanto, di azienda e prodotto. Della capacità di trasmettere on-line il sapore del caffè. Dell’utilizzo appropriato dei social-network, luogo virtuale dove la bevanda non è necessariamente l’oggetto del discutere, o dello shopping, ma diventa spunto per informare o intrattenere. Un esempio, il blog Il Salotto del Caffè, un format di discussione ideato dalla stessa Torrefazione che vede l’attualità e i suoi protagonisti chiamati a “raccontarsi” sorseggiando una tazzina di caffè (Carbonelli ovviamente!). Sotterrato il problema concorrenza («Non nego di tenere sott’occhio i competitors, ma la Rete è un mercato sconfinato

Spedito on-line il 60% delle vendite, il cliente rimane comunque centrale per l’azienda che fa dell’attenzione (spedizioni gratuite in tutt’Italia) e dell’ascolto (attivo un numero verde per supporto alla clientela) i cardini della propria filosofia

dove&come Torrefazione Carbonelli Via Carlo Alberto Dalla Chiesa, 45 Melito di Napoli (Na) Tel. 081.7115288 www.caffecarbonelli.it

dove c’è posto per tutti!»), i Carbonelli si concentrano sulla brand identity. Le foto, i video e i testi diventano così gli strumenti per aprire l’azienda al pubblico trasformando il vecchio torrefattore in “artigiano digitalizzato”. Spedito on-line il 60% delle vendite, il cliente rimane comunque centrale per l’azienda che fa dell’attenzione (spedizioni gratuite in tutt’Italia) e dell’ascolto (attivo un numero verde per supporto alla clientela) i cardini della propria filosofia. E tutto ciò è sinonimo di successo? «Il successo è una formula complessa, nel nostro caso, fitta di tempo e studio». In pochi anni l’azienda, in totale 2 dipendenti, ha infatti già realizzato 2 revisioni del blog e 5 ristrutturazione del sito, senza tralasciare consulenze esterne e lavori conto terzi. Un bel da fare che non riesce, comunque, a togliere tempo all’attività di beneficenza: al link Caffè sospeso e solidale è attiva una raccolta fondi per la Onlus “Aiutare i bambini”. novembre 2014

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la storia in cucina

di Germana Cabrelle

La caffetteria con "licenza poetica" Incastonato in un bel palazzo sulla piazza principale del paese, lo storico Centrale di Asolo ha accolto e affascinato, con la sua eleganza in perfetto stile Jugendstil, tutti, ma proprio tutti i grandi nomi dell’arte e della letteratura, dello spettacolo e dell’industria. Un vero mito, da oltre due secoli

Giosuè Carducci, Gabriele D’Annunzio, Eleonora Duse, Robert Browing, Ernest Hemingway, Henry James, Hugo von Hofmannsthal, Freya Stark. Sono solo alcuni dei nomi che campeggiano sul retro delle rosse sedie “da regista” che riempiono di colore e memoria (tutti i nomi citati sono passati di qui negli anni) Piazza Brugnoli nelle giornate di sole. Siamo ad Asolo, in provincia di Treviso, ai tavoli di quel “salotto nel salotto” che è, dal 1796, il Caffè Centrale, gestito oggi dai fratelli Emanuele ed Ezio Botter, e nel novero dei locali storici d’Italia. Noto come il paese “dai cento orizzonti” per la sua posizione panoramica privilegiata, arroccato com’è sulle prime colline trevigiane, di Asolo e del suo Caffè si sono innamorati in tanti: «Grandi artisti, poeti, pittori e imprenditori – racconta Lele Botter – Ai tavolini di Piazza Brugnoli si sono seduti Yoko Ono e Michelangelo Antonioni, Gianni Agnelli e Marcello Mastroianni, Orson Welles e 60

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Catherine Deneuve. Del resto, il borgo tutto è un posto bellissimo, che ispira la creatività, e il palazzo che ospita il Caffè fu, in origine, un circolo culturale, luogo di incontro e fucina di idee». Fortunatamente il passare degli anni non ha minimamente intaccato il fascino del locale, ancora oggi il migliore indirizzo in città (e non solo) per incontrarsi all’ora dell’aperitivo, prima di cena, o per leggere il giornale la mattina presto sorseggiando un caffè, quando l’arome dolcee-amaro proveniente dal Centrale si diffonde all’alba come un filo caldo nell’aria tra i portici di Asolo. Qualcuno ricorda che nelle vecchie fotografie e cartoline di una volta si leggeva l’insegna Caffè Bigliardo, ma il volumetto dei Locali Storici d’Italia che viene pubblicato annualmente con il patrocinio dei Ministero per i Beni e le Attività Culturali, racconta che alla fine del ’700, il locale nacque come Società del Casino, secondo la moda dell'epoca dei caffè francesi, e due dei suoi membri ordirono contro Napoleone nel 1808. Solo nel 1839 l’attività ebbe “licenza politica” di caffetteria. Ristrutturato nel 1973, richiama per anima lo Jugendstil d’oltralpe, ovvero le espressioni artistiche dell’Art Nouveau tedesca di Vienna e Monaco con ingresso, ambienti, sedute a muro e tavolini originali. Così, fedele al suo imprinting teutonico, in oltre due secoli ha scandito la storia di Asolo ed è tuttora sinonimo di gusto raffinato e alta qualità.

Caffe Centrale Via Roma, 72 Asolo (Tv) Tel. 0423.952141 www.caffecentrale.com




Cibo&Territorio Cibo&Territorio 76

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64 Giro d'Italia in 10 tazze

80 Gli chef scelgono il Grana

Il re dei formaggi diventa protagonista di 40 ricette firmate dai migliori "architetti di gusto"

Percorriamo da nord a sud il Bel Paese, in cerca delle molte declinazioni dell'espresso

68 L'olio della Riviera di Ponente Ecco il vero tesoro della provincia d'Imperia: un liquido dorato dai sapori dolci e delicati

72 Il tartufo di San Miniato Lo chiamano "l'oro bianco" dei colli pisani

88 Vigne&Vigneron: Trentodoc Un Metodo Classico, simbolo del territorio nato

da pag. 84 Rubriche

• L'orto dei semplici • Il buono a tavola • Assaggiati da noi • Perle d'Italia

dalle uve che maturano in montagna

92 Wine Passion Il Recioto

ed è novembre il mese più giusto per fargli la festa

76 Il suino nero dei Nebrodi Sulle montagne del Messinese alla scoperta di una razza autoctona dalle carni magrissime novembre 2014

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cibo&territorio

Regione che vai, espresso che trovi di Silvana Delfuoco

Partiamo insieme per un Giro d'Italia in dieci tazze: un viaggio dei sensi lungo lo Stivale inseguendo il caldo profumo della bevanda pi첫 amata al mondo

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In Campania si beve preceduto da un sorso d'acqua o arricchito con la scurzetta (di limone); a Trieste ce ne sono cinquanta declinazioni: dal nero a quello alla macchia; a Torino lo sublimano nel Bicerin; a Milano si apre al gusto internazionale. È vero, il caffè espresso, mito dell'italian style, subisce infinite variazioni dal nord al sud della penisola, come da ovest a est. Cerchiamo di capire meglio queste mille sfumature grazie ad Andrej Godina, uno dei coffee expert tra i più preparati oggi in Italia nonché nostra guida (ahimè soltanto virtuale) in un viaggio su e giù per lo Stivale alla scoperta delle tazzine più amate dagli italiani. «Al nord piace di più l'Arabica, che ha un gusto dolce e dei sentori legati alla pasticceria: un caffè che sa di biscotto, di cioccolato, di pan tostato – esordisce Godina – Dalla Toscana in giù, arrivando più o meno fino alle Marche, si prediligono invece miscele in cui cominciano a entrare percentuali di Robusta, l'altra delle due varietà più note della pianta del caffè, fino ad arrivare circa a un 50%. Il contenuto della tazzina si fa più ristretto e cremoso, e anche con un gusto più tendente all'amaro. Intendiamoci: amaro non significa che per berlo si debba aggiungere per forza lo zucchero! Questa è una scelta del tutto personale e indipendente dalla regione, visto che interessa circa una metà dei consumatori. Pare infine sia il pubblico femminile a preferire il caffè con l'aggiunta di latte, il classico macchiato».

Paese che vai... Un nord più dolce e chiaro, e un sud più scuro e cremoso, quindi. E fin qui, forse, c'era quasi da aspettarselo. Ma che dire dei miti che accompagnano il rituale della tazzina fumante? Resistono la scurzetta di Napoli o il nero triestino? «Beh di scurzette a Napoli io proprio non ne ho viste! Non generalizziamo. Il caffè con la scurzetta infatti è sì campano, ma lo si beve in Costiera, a Napoli non sanno proprio cosa sia – spiega Godina – Invece a Trieste, e lo dico con cognizione di causa visto che ci sono nato, ci sono tanti modi peculiari di chiamare il caffè. Quello normale è il nero, poi c'è il caffè capo in b, cioè un cappuccino in bicchiere, che sarebbe poi un macchiato un po' più lungo servito in bicchieri di vetro.

Al nord piace più l'Arabica, che regala al caffè sentori di biscotto, cioccolato, pan tostato. Dalla Toscana in giù si prediligono miscele in cui cominciano a entrare percentuali di Robusta: il contenuto della tazzina si fa più ristretto e cremoso, con un gusto più tendente all'amaro

Un'esperienza preziosa Lo sapevate che, senza muoversi da Milano, si può intraprendere un aromatico mini tour sensoriale su e giù per lo Stivale a base di caffè? Basta entrare alla caffetteria Lavazza, presso Eataly Smeraldo, dove sono in degustazione cinque caffè regionali díItalia: tutti da assaggiare, ovviamente, prima di poter scegliere quello che fa per noi! Dalla Bavareisa Torinese, con cioccolato e crema di latte, al Caffè Padovano, dove la panna si aromatizza con la menta, alle calde estati del sud, che richiedono un ghiacciato caffè alla Salentina con fresco latte di mandorla, dalla rotondità della nocciola del caffè Napoletano fino a chiudere, davvero in bellezza, con un aroma di liquerizia corretto al brandy del caffè Calabrese. novembre 2014

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cibo&territorio

Scelti per voi Chichera Caffè Dove gustare preparazioni tipiche della zona trentina. Via Malfatti, 4 Mori (Tn) Caffè San Marco Ricette segrete e il fascino dellíambientazione storica Via Cesare Battisti, 18a Trieste www.caffesanmarcotrieste.eu Florian Il più antico caffè italiano, inaugurato nel 1720. Piazza San Marco, 56 Venezia www.caffeflorian.com Al Bicerin Per un assaggio dolceamaro simbolo della città. Piazza della Consolata, 5 Torino www.bicerin.it Una golosa tazza di caffè viennese i cui ingredienti "segreti" sono cioccolato, panna e cannella

E poi ci sono il caffè viennese, il caffè corretto con la grappa bianca delle zone montane... Voglio dire che quello che sicuramente resiste ancora oggi in Italia, magari non proprio in ogni città ma in tante piccole micro aree, sono le ricette diverse che rispecchiano diverse abitudini di prendere il caffè». «Interessante per esempio il caso della caffetteria Sant'Eustachio a Roma – conclude Godina – Qui è infatti possibile assaggiare una preparazione particolare: una sorta di schiuma al caffè che non si trova da nessun altra parte. Non è un'abitudine locale, la si trova solo qui».

Omologato? Ma mi faccia il piacere! Scendendo verso sud, a colpire è senza dubbio l'uso della napoletana, tradizionale caffettiera dall'aspetto (e dall'uso) singolare immancabile nelle cucina delle famiglia partenopee. Ma non solo. Oggi infatti il suo utilizzo si sta diffondendo anche nei locali pubblici, e non solo al sud, visto che ora il caffè fatto con la cuccuma lo si può gustare anche al Bistrot della Stazione Centrale di Milano: tenuto caldo nel thermos o preparato al momento con la napoletana da sei per la gioia di chi, per un buon 66

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caffè, sarebbe disposto a perdere anche il treno! E di stazione in stazione, siamo arrivati alle isole. «In Sicilia, in particolare – prosegue Godina – perché le tendenze in Sardegna si avvicinano piuttosto a quelle dell'Italia centrale, tra Toscana e Lazio: un caffè di tostatura media, ricco di aromi e equilibrato. In Sicilia invece si predilige un caffè molto ristretto, molto corto, con una crema spessa un po' più scura e un gusto amaro ancora più pronunciato. E forse sale un pochino anche la percentuale di chi lo prende zuccherato». Qui è tradizione la tazzina dell'amicizia che va condivisa, sia a casa che al bar, con l'ospite gradito, in segno di simpatia e massima confidenza, abitudine che affonda le sue radici nella cultura mediterranea. Difficile credere dunque che una "Italia del caffè" tanto variegata corra il rischio di avviarsi verso l'omologazione. «E infatti non è così – conferma senza esitazioni Andrej Godina – Al punto che persino un'azienda di grandi dimensioni, come la Illy, ha dovuto introdurre differenziazioni del gusto nella sua miscela distribuita nel sud d'Italia». Perché il caffè italiano avrà anche mille gusti, ma una sola qualità. Garantisce il Made in Italy.

Costadoro Coffee Lab Diamante Qui il caffè espresso si gusta anche con la crema gianduja. Via Teofilo Rossi di Montelera, 2 Torino www.costadorodiamante.it Bistrot Milano Centrale Per provare il caffè con la cuccuma. Piazza Duca díAosta, 1 Milano www.milanocentrale.it Caffè Ditta Artigianale Si può scegliere, oltre alla miscela, anche il metodo di preparazione, dal drip brew al syphon. Via dei Neri, 32 Firenze Tel. 055.2741541 SantíEustachio Una schiuma al caffè da leccarsi i baffi, unica in Italia. Piazza di SantíEustachio, 82 Roma www.santeustachioilcaffe.it Gran Caffè Gambrinus Locale simbolo della città. Via Chiaia, 1 - Napoli http://grancaffegambrinus.com Caffè Sicilia Per un espresso fatto con speciali miscele. Da gustare, ovviamente, con il meglio della pasticceria siciliana. Corso Vittorio Emanuele, 125 Noto Tel. 0931.835013


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cibo&territorio

L’autunno dorato della Riviera dei Fiori di Giovanna Benetti

Celebrato, amato e prodotto nel rispetto del territorio e delle tradizioni, l’olio nella provincia di Imperia è considerato più di un alimento. È parte integrante della cultura locale. Il suo sapore dolce e delicato ci accompagna in un itinerario del gusto alla scoperta dell’entroterra ligure

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Liguria

Riviera dei Fiori

Novembre è il mese dell’olio, si sa. E nel territorio di Imperia, dove i primi ulivi vennero introdotti nel XII secolo dai frati cistercensi, questo prodotto viene celebrato con due manifestazioni di rilievo internazionale: il Forum della dieta mediterranea e Olioliva, che si rincorrono e sovrappongono tra il 13 e il 16 del mese, servendo al pubblico una tavola ricca di buone pratiche alimentari, filiere di qualità, materie prime d’eccellenza... tutti sinonimi del prezioso oro giallo, soprattutto in Liguria. A garantirne e a promuoverne la qualità, dal 2001, è il Consorzio dell’extravergine di oliva. Tre le menzioni geografiche riconosciute in tutta la regione: Ponente savonese (provincia di Savona), Levante (provincia di Genova e La Spezia), e ovviamente Riviera dei Fiori, nella provincia di Imperia. Una terra, quest’ultima, tutta da scoprire anche quando l’estate è solo un pallido ricordo, per lasciarsi scaldare dal gusto dolce e delicato dell’olio prodotto dalle tante, interessanti e spesso storiche realtà che puntellano le Valli Argentina, Prino e Impero.

Fin su al borgo antico Dunque, usciamo dall’autostrada a Taggia e imbocchiamo la statale 548 per Badalucco.A poco meno di 10 km, nella ripida Valle Argentina, si arriva in questo borgo medievale fortificato del quale rimangono ancora le 5 porte e le tipiche case in pietra. Gli abitanti sono solo 1300, ma nonostante questo il paese è vivo, animato da giovani entusiasti e stranieri che hanno deciso di trasferirvisi. I ruderi del castello dei conti di Ventimiglia sui quali venne edificata la chiesa di San Nicolò nel 300, la parrocchiale di Santa Maria Assunta e San Giorgio di stile barocco, due ponti – uno, l’antico ponte di Santa Lucia del 1551, e l'altro, del 1614, intitolato alla Madonna degli Angeli –, sono alcune delle ricchezze artistiche del borgo. È questo il regno di Franco Boeri, detto Roi, soprannome di famiglia. Frantoiano da quattro generazioni, possiede con la moglie Rossella 20 ettari a ulivi, cultivar taggiasca, a Montalto, Morga e Gaaci tra i 350 e i 600 metri di altezza. Da poco segue anche 2 mila novembre 2014

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cibo&territorio

smetici a base di olio. La moglie si dedica alla fattoria didattica e al nuovo nato in mezzo agli ulivi, l’agriturismo: L’Adagio, ricavato da due frantoi abbandonati ristrutturati, dal quale si gode un panorama da sogno.

Giù nella conca d’oro

Per la Riviera dei Fiori, secondo quanto riportato dal Consorzio, le aziende nel 2012-2013 erano costituite da quasi 500 olivicoltori, una trentina di frantoiani e poco più di 30 confezionatori. E secondo la campagna del 2013-2014 sono stati prodotti quasi 5 mila quintali di olio ulivi del golf di Sanremo. L’azienda Olio Roi esporta in tutto il mondo ed è sede didattica dell’Università degli Studi di Scienze gastronomiche di Pollenzo. Franco si occupa del frantoio, della produzione e della vendita dell’olio col figlio Paolo. Ha due tipi di frantoi: il tradizionale con macine in pietra e presse, e il moderno, in acciaio, ciclo continuo ed estrazione a freddo. Carte Noire, Riva Gianca, Gaaci Riviera dei Fiori e il Cru Morga, sono le etichette dei suoi oli extravergine Dop. Il top è il Gaaci, da piante situate a 600 metri di altezza; è giallo paglierino carico, ha buona pasta dolce, note di mela verde ed erbe selvatiche, fondo non troppo piccante. Ultimo arrivato il Cru Morga, dal nome della zona, una conca che dà le spalle alla montagna: è dolce, con sentori di frutta secca e profumo di mela. Nei laboratori di Roi escono pure olive taggiasche in salamoia, denocciolate, una ricca gamma di sottoli tipici liguri e co70

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In apertura, una panoramica di Imperia, vista dal mare; a 7 km il borgo di Dolcedo (foto in alto)

Dalla Valle Argentina si ridiscende al mare, direzione Genova, per risalire verso la Valle Prino e, a 7 km da Imperia, trovare Dolcedo, suggestivo paesino di 1000 abitanti dove i monaci di Lerino introdussero l’ulivo. Già nel XIV secolo la zona veniva chiamata “conca d’oro”, perché vocata per l’olio: basti pensare che un tempo esistevano più di una ventina di frantoi. Passeggiando per il borgo di origine medievale, i cui primi insediamenti sono a Castellazzo per opera delle suore benedettine di Caramagna (Cn), si arriva alla parrocchiale di San Tommaso Apostolo della prima metà del ’700, con facciata barocca. Alle porte del paese, contornato da ulivi centenari, vi è il frantoio dell’azienda Benza, dove vivono Claretta e il figlio Gigi. In attività dal 1853, vanta 20 ettari di ulivi a Imperia, Dolcedo, Valloria. Molte delle piante sono state recuperate dall’abbandono con pazienza e passione da Gigi. L’azienda fa parte del Consorzio Tesori della Riviera assieme ad altre realtà del Ponente e del basso Piemonte, con l’intento specifico di promuovere il territorio. Ha 2 frantoi: il tradizionale con macina a pietra e il moderno a sistema continuo. Grazie al primo ricavano il loro fiore all’occhiello: il Primuruggiu (primo fiotto). Macinate le olive, la pasta ottenuta è posta nei fiscoli, poi impilati. Per pressione naturale l’olio sgorga subito: quantità ridotta, ma eccelsa qualità. Alla vista colpisce il bel giallo, al naso oliva e carciofo e in bocca si rivela dolce e saporito, con una punta vagamente amara e piccante in chiusura. Gigi estrae anche il Buon Olio, il Dulcedo e il Cru Turé. È questo l’ultimo arrivato e l’unico loro Dop Riviera Ligure Riviera dei Fiori. Le olive sono raccolte nell’uliveto Turé; oltre all’olio vendono an-


Scelti per voi dove mangiare Trattoria Ca’ Mea Funghi preparati in mille modi. Prezzo medio: 38 euro, vini esclusi Località Ravezza Badalucco (Im) Tel. 0184.408173 www.ristorantecamea.it Casa della rocca Nel centro storico, cucina locale rivisitata anche a base di pesce. Menu degustazione a 35 euro Via Ripalta, 3 - Dolcedo (Im) Tel. 0183.280138 www.casadellarocca.it Trattoria Nazionale Gestita da più di 100 anni dalla stessa famiglia. Ricette tramandate dalla notte dei tempi. Pezzo medio: 35 euro vini esclusi Via IV Novembre, 29 Chiusavecchia (Im) Tel. 0183.52412/335.8199356 www.trattorianazionale.com

dove dormire L’Adagio Agriturismo che si compone di due case, arredate con materiale di recupero: i dischi vecchi del frantoio si trasformano in tavolini e i divani. Mini suite: 90 euro Regione Roglietto, 15 Badalucco (Im) Tel. 335.7226309 www.ladagio.it Agriturismo Benza Si può scegliere di soggiornare in una dimora immersa nel verde degli ulivi o in una delle antiche case in pietra tipiche di Valloria; 70 euro a notte in agriturismo. Via Dolcedo, 180 - Imperia Tel. 0183.280132 www.agriturismobenza.it Agriturismo Dinoabbo Sepolto nel verde degli ulivi, meta di amanti della natura e della pace, a fianco dell’azienda agricola. Doppia da 75 euro Via Roma, 2 bis - Lucinasco (Im) Tel. 0183.52411 www.dinoabbo.it

Gigi Benza all'opera nel frantoio dell'azienda di famiglia a Dolcedo

che olive in salamoia e pasta di olive. Hanno anche loro un agriturismo, e a Valloria, borgo famoso per le porte dipinte, a qualche chilometro da Dolcedo, hanno restaurato vecchie case. È Claretta che segue il tutto.

Sotto lo sguardo vigile di Bruna Raggiungendo nuovamente la costa verso Genova, dopo aver imboccato la statale 28 e prese le indicazioni per Chiusavecchia, seguiamo per Lucinasco, paese di circa 240 anime a 500 metri di altezza, sepolto tra gli ulivi. Da visitare, la chiesa romanica della Maddalena (1400) appena fuori paese in mezzo al bosco, la parrocchiale barocca e quella di Santo Stefano vicina a un laghetto, il Museo Lazzaro Acquarone (scultore locale del 1600) con la sezione d’arte sacra ed etnografica e la casa contadina. Qui si trova anche l’Azienda Dinoabbo, con i suoi venti gli ettari di terreno. Fiore all’occhiello della zona, nasce negli anni ’60 come frantoio. Danila e Gianni si occupano del frantoio tradizionale e degli uliveti,

Roberta dell’agriturismo e la signora Bruna, la madre, sovrintende. Gli oli prodotti, sono: l’oiu de s’ciappa affiorato e l’olio da centrifuga. Il primo segue lo stesso procedimento utilizzato da Benza per il Primuruggiu: l’olio sgorga dalla pasta messa nei fiscoli. Qui si raccoglie ancora a mano in un contenitore, utilizzando lecca (padella) e cassa (pentola) e si travasa più volte. L’olio da centrifuga, invece, subisce un altro trattamento: il carrello coi fiscoli viene posto sotto la pressa e portato a una pressione di 300 atmosfere. Il liquido ottenuto viene immesso nella centrifuga che separerà l’olio dall’acqua. Lucinasco, così come Badalucco e Dolcedo, fa parte dell’Associazione nazionale città dell’olio, pietra miliari di un cammino autunnale fatto di gusto e profumi dell’entroterra, alla scoperta dell’altra faccia della Liguria.

Per saperne di più:

www.promoimperia.it www.recomed.eu

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L'oro bianco di San Miniato di Beatrice Ghelardi

Profumo e gusto inconfondibili, il tartufo è un frutto magico della terra. Un’occasione per conoscere quello che si nasconde nel sottobosco pisano è la Mostra Mercato Nazionale di novembre, grazie alla quale scoprire l’arte dei tartufai e quella del bel borgo appollaiato lungo la Via Francigena 72

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Foto Enzo Signorelli

cibo&territorio


Foto Enzo Signorelli

Caccia grossa

Qui, una suggestiva immagine di San Miniato avvolto nelle nuvole. In apertura, il tartufo bianco in una sfiziosa ricetta

Siamo in autunno, la stagione del foliage, quella in cui i boschi si tingono di toni caldi. È tempo di tartufo bianco pregiato. San Miniato ne è ricca, nella sua campagna distesa lungo la Via Francigena, spettacolare se vista dalla Rocca federiciana simbolo della città. «Il tartufo è un fungo ipogeo. Il bianco nasce tra la metà di settembre e la fine di dicembre e ha bisogno di tre elementi: terreno argilloso o sabbioso, clima temperato e mite con grosse piogge estive e alberi con cui entrare in simbiosi. La nostra è una zona privilegiata», spiega Delio Fiordispina, presidente della Fondazione San Miniato Promozione. Superficie liscia, non verrucosa e colore giallo chiaro, con sfumature di verdicchio, quando è fresco, e tendenti al marroncino chiaro appena si asciuga. L’interno, marrone nella tonalità nocciola, è percorso da una fitta ragnatela di vene bianche che gli danno un aspetto marmorizzato. Il profumo è pentrante. La raccolta del tartufo sulle colline sanminiatesi iniziò alla fine del 1800. «Alcuni romagnoli – prosegue Fiordispina – vennero qui e ci insegnarono questa preziosa arte; al-

tri, arrivati per la bonifica dei fiumi, si insediarono in zona. Sanminiatesi intraprendenti come Eugenio Gazzarrini cominciarono quindi a commercializzare il bianco di San Miniato e a farlo conoscere così in tutta Italia». L’esperienza dei tartufai sanmiatesi si tramanda di padre in figlio. I commercianti, una decina nell’area, lo esportano nel mondo. Nelle varianti di stagione lo troviamo nei migliori ristoranti, ora anche in Brasile, Cina, Russia, India e parte del Sud Africa. A tavola è ottimo con i tagliolini di pasta fresca. Da provare anche con le uova al tegamino, un altro classico, e nella ricetta di tradizione della città: la stracciatella del Genovini, fatta con uova, brodo di carne, Parmigiano e una grattugiata di “oro bianco”.

Per cavare i tartufi la sveglia è al mattino presto. I boschi di pioppi, tigli, querce, salici, noccioli, tra i migliori ambienti per la ricerca del bianco, sono trafficati da tartufai e cani dal naso addestrato, meticci o di razza, come i Lagotti, che sanno fiutare la gustosa “preda” a decine di metri di distanza. Un’esperienza che affascina anche i viaggiatori: durante tutto l’anno da queste parti si possono infatti prenotare escursioni guidate nei boschi alla ricerca di Tuber Magnatum Pico. Così fino a dicembre si fa la caccia del bianco, da gennaio ad aprile del marzuolo, da maggio ad agosto dello scorzone. Si scopre in questo modo anche l’habitat del tartufo, come cresce, come si raccoglie, come si apprezza in cucina, come si addestrano i cani. Una bella esperienza anche a tavola: la passeggiata si chiude sempre con un momento di gusto.

Toscana

Seguendo Federico II e Napoleone Un tartufone di 2520 grammi. Lo trovò a San Miniato il tartufaio Arturo Gallerini, detto “Bego”, nel 1954, con il suo cane Parigi e fu regalato al Presidente degli Stati Uniti d’America Eisenhower. Un monumento in ferro battuto in città celebra questo primato. È stato forgia-

San Miniato

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Foto Aurelio Cupelli

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Scelti per voi dove mangiare Pepenero Da assaggiare il tortello ripieno di Parmigiano liquido con tartufo. Per la privacy c’è Peperino, il ristorante solo per due. Prezzo medio: 45 euro (escluso tartufo) Via IV Novembre, 13 Tel. 0571.419523 www.pepenerocucina.it

Un momento di una passata edizione della Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco di San Miniato

to dal vivo, nel 2012, da un team di fabbri italiani guidati dal sanminiatese Massimiliano Benvenuti. Si trova in un giardinetto, sulla strada che unisce Piazza del Duomo e Piazza San Francesco con Viale Garibaldi. Questo è il punto di partenza ideale per un tour a San Miniato. La città di crinale collegava nel Medioevo l’Europa settentrionale a Roma. Fu luogo privilegiato da imperatori come Federico II di Svevia e da papi come Gregorio XV. Passeggiando, visitiamo il Duomo e scendiamo nella grande Piazza della Repubblica, sede del Seminario Vescovile. Incontriamo Piazza

del Popolo e, lungo Via IV novembre, alcuni palazzi signorili, come Palazzo Grifoni. Poi arriviamo al Conservatorio di Santa Chiara, custode di uno splendido museo. Da Piazza del Seminario possiamo anche raggiungere il palazzo del Comune con la sala affrescata delle Sette Virtù, per arrivare a Piazza Bonaparte e fino all’Accademia degli Euteleti, dove è conservata la maschera funeraria di Napoleone. Non può certo mancare una visita alla Rocca di Federico II, sulla sommità del colle, dalla quale si apre una vista panoramica sulla valle che dà le vertigini.

Il tartufo più grande Un laboratorio del gusto a cielo aperto, animato da chef e produttori, in cui si incontreranno il tartufo e le eccellenze di oltre cento espositori: vino, olio extravergine d’oliva, salumi, dolci tipici, formaggi; prodotti naturali a base di tartufo, come il burro, i salumi, la pasta, il miele, il sale. Quattro i fine settimana interessati dalla 44ª Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco di San Miniato (15-16, 22-23, 29-30 novembre, 6-7-8 dicembre), il primo dei quali sarà dedicato a Napoleone – che passò da queste parti in gioventù per ricercare l’attestato di nobiltà (qui si trovava infatti il ramo aristocratico della sua famiglia) e tornò su queste terre da generale – con presentazioni di libri e prodotti tipici. Tra gli invitati illustri, Edoardo Raspelli, guru della gastronomia italiana. Da ricordare: la giornata di premiazione del più grande tartufo bianco di San Miniato esposto e venduto alla Mostra e di quello più grande rinvenuto nella stagione tartufigena. Per saperne di più: A dicembre il tartufo incontrerà infine le atmosfere natalizie, www.sanminiatopromozione.it www.sanminiatoturismo.it per una festa dei sensi e dello spirito.

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Papaveri e Papere Cucina toscana dalle presentazioni insolite. Notevole il tortello di patate, con broccoli, nocciole e tartufo bianco. Si mangia con 40 euro (escluso tartufo) Via Dalmazia, 159/D Tel. 0571.409422 www.papaveriepaolo.com Antico Ristoro Le Colombaie In un fienile ristrutturato, da provare il tortello con sfoglia di farro, ripieno di carne bianca e tartufo bianco, con crema di Pecorino e scaglie di tartufo bianco. Prezzo medio menù 35 euro (escluso tartufo) Via Montanelli – Località Catena Tel. 0571.484220 www.lecolombaie.eu

dove dormire Villa Sonnino Villa cinquecentesca immersa in un parco. Doppia da 85 euro Via Castelvecchio, 9/11 Tel. 0571.484033 www.villasonnino.com Hotel San Miniato Nel centro storico, hotel con area benessere sorto su un ex convento del XIV secolo. Doppia da 85 euro Via Aldo Moro, 2 Tel. 0571.418904 www.hotelsanminiato.com Miravalle Palace Hotel Ubicato in un palazzo medievale del centro. Doppia da 100 euro Piazza del Castello Tel. 0571.418075 www.albergomiravalle.com



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Lassù dove razzolano i maiali di Riccardo Lagorio

I Nebrodi: montagne sopra il mare, dove il suino ha la faccia scura e la carne magrissima. Siamo nel Messinese, alla scoperta della razza autoctona del “Nero siciliano”, dalle origini all’impegno per valorizzarne la qualità. Con un “assaggio” dei suoi salumi pregiati, dalle lavorazioni più classiche alle elaborazioni più moderne 76

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Sicilia. Vi portiamo al mare a novembre? Potrebbe anche essere, ma questa volta lo scenario è una catena montuosa dal verde intenso e aria mite tutto l’anno, i Nebrodi, che si innalza nel nord dell’isola dal Tirreno sino a quasi 2000 metri. Una sorta di abbaglio per coloro che conoscono quella terra per campi imbionditi di grano e arsi colli estivi. Le falde dei Nebrodi si protendono quasi fin sulle spiagge, abitate dai coloni ellenici e cartaginesi più di 2000 anni fa. Furono loro a battezzare le montagne con il nome dell’animale in cui più spesso si imbattevano, il cerbiatto, nebros. Cancellati nel corso dei secoli dall’incedere umano i cerbiatti e molti degli animali selvatici che popolavano le vallate, i Nebrodi rappresentano,


Magro... come con salame!­

con i loro villaggi e le strade che si srotolano intorno a improbabili cocuzzoli, un paesaggio dove natura e storia stringono legami tuttora forti. In molti dei paesi si è mantenuta intatta la struttura medievale dalle vie anguste e profumate di gelsomino che fuoriesce dai cortili chiusi. Come a Naso, dove la produzione delle maioliche (maduni di lustro) e dei laterizi hanno caratterizzato l’economia e l’architettura locale per almeno 300 anni. O come a San Fratello, fondato dai longobardi al seguito di Adelaide di Monferrato: è per questo motivo che vi si parla uno strano dialetto dove si colgono reminiscenze lombarde e francesi. È assai probabile che l’isolamento di questi territori sia all’origine della razza equina Sanfratellana,

portata da quei primi colonizzatori padani dopo la sconfitta degli arabi e selezionata negli ultimi mille anni dal paziente lavoro dell’uomo. Il cavallo Sanfratellano possiede manto nero, è robusto e gagliardo, ma altrettanto docile. Per questa ragione molto apprezzato da chi pratica sport equestri.

Una meritata rivincita Ma quest’area è conosciuta soprattutto per la presenza di allevamenti di suino Nero, meglio conosciuto con l’aggettivazione dei Nebrodi. Poche razze suine possono vantare una purezza di sangue tanto veritiera quanto integrale come questa. La sua evoluzione fu ostacolata dall’insediarsi dei musulmani sull’isola nel IX

Vincenzo Pruiti è il tecnico regionale che segue le aziende sotto l’aspetto agronomico, dell’alimentazione animale e della gestione dell’allevamento per il Consorzio Terre dei Nebrodi. Ci rivela che «particolare attenzione viene posta al metodo di allevamento, prevalentemente semibrado in querceti e castagneti, con alimentazione basata su orzo germinato e favino, ideali a rendere le masse muscolari saporite. La particolare genetica del suino Nero fa sì che il grasso sia solo esterno alla muscolatura e quindi particolarmente adatto alla trasformazione in salumi tendenzialmente magri. Certi tagli anatomici come il carré risultano al tempo stesso succosi e croccanti per la particolare consistenza della carne».

Sicilia Nebrodi

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secolo. Pare certo che ai tempi venisse allevato solo nelle aree interne, tra cui l’Ennese e le aree dei Nebrodi, dove le comunità cristiane non avevano mai smesso di abitare. Qualche secolo più tardi intervennero incroci tra suini locali e di razza Napoletana e sino agli albori del Novecento quegli individui mantennero le caratteristiche che ancora oggi determinano i soggetti Neri dei Nebrodi, tra cui il pelame nero, il grugno appuntito, le orecchie cadenti sugli occhi, groppa inclinata e taglia medio-piccola. Tutte qualità che permettono di essere buoni camminatori su qualsiasi terreno. Per non dire della carne, magra e poco marezzata. Oggi che in molte aree del Paese si tenta di dare vita a disinvolti incroci per giungere alla creazione di razze che possano ricondursi a quelle dal manto nero, sui Nebrodi dal 1985 è iniziato il ripopolamento della razza autoctona favorendo il recupero di una tradizione salumiera collaudata. Sino a quell’anno, con l’inserimento di razze estranee al patrimonio genetico siciliano, si era privilegiato il gigantismo nella massa muscolare correndo quasi il rischio di perdere gli ultimi soggetti di razza Nera. Ma il rinato interesse generale verso le produzioPelame nero, grugno appuntito, orecchie cadenti sugli occhi, ni e tradizioni locali ha portato a una svolta, concretizzatasi in pargroppa inclinata e taglia medio-piccola: è così che si presenta ticolare a Galati Mamertino con un Nero dei Nebrodi. Poche razze suine possono vantare la costituzione di un Centro Seruna purezza di sangue tanto veritiera quanto integrale come questa vizi del Consorzio Terre dei Nebrodi, aperto a chi cresce Nero dei Nebrodi secondo rigorose condizioni di allevamento. L’idea è quella di permettere la produzione di salumi e la loro stagionatura in Ampie vallate, dolci pendii e paesaggi dolomitici. Boschi, laghi, cascate e pauno spazio collegiale e di conseguenza poco scoli. Cavalli, aquile e grifoni. Bisogna percorrerli i sentieri del Parco dei Neoneroso per l’azienda che ne fa parte. In virtù brodi per scoprire il volto di un'altra Sicilia, diversa rispetto a quella assolata e calda nota ai più. Una “terrazza” con davanti le splendide Isole Eolie, dietro della mera copertura esterna di grasso, le carla maestosità del vulcano Etna, e nel mezzo suggestivi paesini come San Marni di Nero dei Nebrodi sono particolarmente co D’Alunzio, Naso, Alcara Li Fusi e Galati Mamertino, Longi. Chiese ed abbaadatte alla creazione di capocolli, pancette e zie, Musei, castelli, borghi medievali e rupestri. Un tesoro tutto da scoprire. salami. Grazie ai millenari rapporti con l’area Anche grazie alla Fabio Reisen, Tour Operator di Torrenova (Me). Escursioni in trekking, a cavallo oppure in mountain bike durante tutto l’anno... perché monferrina la macinatura della carne per oti Nebrodi offrono uno spettacolo diverso in ogni stagione. tenere il salame è a grana grossa mentre il pePer saperne di più: pe viene aggiunto in grani. Poco sale e nasce www.fabioreisen.com un grande salume…

Trekking nel Parco

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Scelti per voi dove mangiare Ristorante La Falda Dalla cucina di Salvatore Parafioriti escono preparazioni di buona e ottime materie prime. Si pranza con 28 euro Contrada San Basilio Galati Mamertino (Me) Tel. 0941436056 Enoteca Degusto Gustosi piatti a base di carne di Nero dei Nebrodi. Pranzi da 10 euro Via Cavour, 155 Galati Mamertino (Me) Tel. 0941434809 Masseria Santa Mamma Prodotti allevati e raccolti nell'annessa azienda agricola. Prezzi da euro 25 euro Strada Badetta - Acquedolci (Me) Tel. 3476792228

Qui, e in apertura, due scorci dei Nebrodi. In particolare in questa foto la suggestiva Cascata di Catafurco. Nelle altre immagini, il suino Nero al pascolo allo stato semibrado e i prosciutti del Consorzio Terre dei Nebrodi

Le carni di Nero dei Nebrodi sono particolarmente adatte alla creazione di capocolli, pancette e salami.Grandi classici. Ma vengono anche proposte dai ristoratori locali in piatti e preparazioni meno tradizionali, come hamburger, spalla cotta e prosciutto cotto

Leggera e versatile Il prosciutto crudo veniva elaborato per autoconsumo; oggi esce da qui per le catene all’ingrosso a 45 euro/kg, ma sul mercato ne spunta anche 60. Visto il successo e la disponibilità di materia prima, i ristoratori locali propongono la carne di Nero dei Nebrodi in tante varianti, anche innovative. È il caso degli hamburger di Nero dei Nebrodi, con provola dei Nebrodi e cipolla di Giarratana (altre star locali); di spalla cotta disossata alle erbe aromatiche cotta al forno e affumicata con legno di faggio; ma soprattutto di prosciutto cotto. Ci ha pensato Salvatore Parafioriti, cuoco nel ristorante di famiglia. «Disosso innanzitutto la coscia, la massaggio con sale affumicato, la inserisco in un sacco per sottovuoto assieme a semi di finocchio selvatico, olio e limone e infine cuocio a vapore per 16 ore a 80 °C. I clienti l’apprezzano molto per la leggerezza e la sugosità». Il suino Nero si presta anche alla preparazione di ragù, o come variante per le arancine.Versatile, ricca di ferro e dall’ottima consistenza al taglio: la carne del Nero dei Nebrodi si fonde nella cultura di questi paesi arroccati sulle alture siciliane. Il mare si vede, certo. Ma a novembre il protagonista, lo avete capito, è un altro.

dove dormire B&b Sogni d'oro Nel centro storico.Si organizzano escursioni nel territorio. Doppia da 50 euro Corso Umberto I, 19 Longi (Me) Tel. 328.9183451 www.lastretta.it B&b Belvedere Semplicità e accoglienza nel cuore di Galati. Doppia da 20 euro Via Largo Alloro Galati Mamertino (Me) Tel. 0941.435068

dove comprare Azienda Agricola Borrelli Salumificio familiare dove il Nero è protagonista. Contrada Forte - Sinagra (Me) Tel. 0941594436 Macelleria Bruno Carni di ottima fattura. Salame e pancetta di Nero qualificati. Via Vittorio Emanuele, 16 Mamertino (Me) Tele. 0941434928 Centro Servizi del Consorzio Terre dei Nebrodi Prodotti realizzati con i suini Neri che appartengono ai soci. Via Cavour snc Galati Mamertino (Me) novembre 2014

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Design firmato Grana Padano di Maddalena Baldini

Un progetto nato dalla collaborazione con gli Istituti Alberghieri di tutta Italia, chef d’eccezione e il Consorzio di Tutela è sfociato in un volume che raccoglie 40 ricette. Variazioni di gusto che trovano sintesi nel prodotto del Made in Italy più consumato al mondo Una sana alimentazione è sinonimo di cultura, di sviluppo e di civiltà. È simbolo della forza di un territorio che fa bella mostra di sé in altri Paesi. È immagine di un passato di spessore dove la storia e il lavoro hanno camminato parallelamente per confluire in un obiettivo comune. Ecco cosa rappresenta il Grana Padano, prodotto Dop della pianura che abbraccia il Nord-Est Italia, eccellenza nata dall’energia contadina, oggi vanto ed emblema del Made in Italy nel mondo.

Architetti del gusto Stiamo parlando di uno dei formaggi più amati e consumati, anima di un’economia attiva – 132 caseifici che producono 4,5 milioni di forme con un export che supera 1,5 milioni –, che, con la sua vivace attività, il Consorzio di Tutela presenta sempre con una nuova veste e con nuovi spunti di sviluppo. Idee e progetti che si realizzano anche in maniera alternativa come quello presentato in occasione dello scorso Festival della Letteratura di Mantova, Quaranta variazioni geometriche sul tema Grana Padano, un percorso tra cucina e design sulla mappa di 40 ricette tracciata da 80

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Tonnarelli ai carciofi di Cupello con pallotte croccanti di Grana Padano e arrosticino di coniglio alla maggiorana Ricetta dello Chef Fabrizio Ferrari Per 4 persone: 320 gr di tonnarelli 4 carciofi di Cupello 1 dl di olio evo 100 gr di Grana Padano Riserva 1 aglio rosso di Sulmona 150 gr di pane raffermo 2 uova 200 gr di coniglio Un mazzetto di maggiorana 4 spiedi in legno sale e pepe 1 l olio di semi di arachide Preparazione: Pulire i carciofi e porli in casseruola a stufare lentamente con poco olio evo, parte dell’aglio rosso, poca acqua, sale e pepe, finché risulteranno ben passati e morbidi. Conservare a parte e tenere il liquido di cottura. Impastare il pane raffermo sbriciolato con il Grana Padano, le uova e due spicchi d’aglio. Comporre delle palline che poi andranno fritte in olio di semi di arachide e conservate a parte. Disossare il coniglio, ottenendo dei piccoli pezzi che andranno infilati negli spiedi in legno e messi a marinare con la maggiorana fresca sale, pepe e poco olio. Cuocere su graticola a fuoco alto ottenendo così degli arrosticini ben coloriti. Cuocere i tonnarelli in acqua salata e a due terzi di cottura passare nel liquido dei carciofi aggiungere acqua di cottura, Grana Padano, olio evo e mantecare. Comporre un nido di tonnarelli, sistemare al centro un carciofo con un poco del suo sugo ristretto di cottura, guarnire con le palline di formaggio e appoggiare l’arrosticino di coniglio. Finire con poco olio evo.

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Gnocchetti “Soffiati” al Grana Padano, Cous-Cous di Broccoli e Tartufo Nero Ricetta dello Chef Stefano Cerveni Ingredienti per 4 persone Per gli gnocchetti: 125 gr di acqua 50 gr di burro 75 gr di farina 00 2 uova 120 gr di Grana Padano Riserva grattugiato poco sale e pepe Per la crema e il cous cous di broccoli: 1 broccolo verde 1 cipolla piccola 2 dl di latte 50 gr di burro sale e pepe 20 gr di tartufo nero fresco Procedimento Per la crema di broccoli: separare il gambo dalla parte alta del broccolo, tagliare a tocchetti, rosolare con la cipolla tritata ed il burro; bagnare con il latte e portare a cottura, aggiungendo acqua nel caso asciughi troppo. Frullare il tutto aggiungendo sale e pepe, fino ad ottenere una crema vellutata. Per il cous cous: sbriciolare la parte superiore del broccolo, sbollentare per pochi istanti in acqua salata, scolare e raffreddare bene, lasciando la verdure ancora croccante. Per gli gnocchetti: far bollire l’acqua con il burro, aggiungere la farina setacciata e mescolare bene fino ad ottenere un impasto omogeneo; togliere dal fuoco e raffreddare. Mettere l’impasto in planetaria, aggiungere le uova, il Grana Padano, sale e pepe. Con un sac à poche con bocchetta piccola e liscia, formare dei gnocchetti su una placca, infornare e cuocere a 170° per 10 minuti, fino a che i gnocchetti saranno dorati e gonfi. Mettere un velo di crema di broccoli in un piatto piano ben caldo all’interno di un coppa-pasta rotondo da 10 cm circa di diametro. Cospargere tutta la superficie di broccolo a pezzetti sbollentati e fare una leggera pressione per compattare il tutto. Adagiare sopra la base ottenuta gli gnocchetti ancora caldi, una julienne di tartufo e servire. 82

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chef d’eccezione: Danilo Angè, Stefano Cerveni e Fabrizio Ferrari. A guidare il percorso, oltre al Direttore Generale del Consorzio Tutela Grana Padano, il dottor Stefano Berni, anche Bruno Gambarotta autore del saggio introduttivo dove si parla di geometrie e quindi di design, materia che ben si abbina all’estetica del Grana Padano: basta pensare alla semplice spaccatura e alla perfezione degli spicchi nei quali si taglia la bella forma tonda, alle scaglie che si staccano, all’aspetto ordinato ed etereo di un prodotto che potrebbe svolgere il ruolo di protagonista in cucina non solo come ingrediente ma anche, virtualmente, come componente d’arredo. Contributo fondamentale per la realizzazione

del libro quello degli chef che, nella loro abilità ai fornelli, hanno saputo congiungere alla perfezione il Grana Padano facendolo diventare “l’eroe” di ricette nuove e dai toni creativi. La finalità del volume Quaranta variazioni geometriche sul tema Grana Padano sta anche in questo: dare un’ulteriore opportunità a questo prodotto caseario, non solo “ottimo e immancabile corredo” ma fonte di ispirazione per piatti mai provati, forti delle potenzialità che esprime e in grado di primeggiare per qualità, valori nutrizionali e sapore. I tre chef, i tre architetti del gusto, hanno raccolto ricette che abbracciano antipasti, primi e secondi in una e vera propria “variazione” di assaggi e idee: a scaglie, grattugiato, in abbinamento, fuso, lavorato come una mousse… in ogni


Risotto al Grana Padano, salsa di pere e zafferano, capperi e limone

I tre chef, i tre architetti del gusto, hanno raccolto ricette che abbracciano antipasti, primi e secondi in una vera e propria “variazione” di assaggi e idee: il Grana Padano è proposto a scaglie, fuso, lavorato come una mousse… modo il Grana Padano esprime il meglio di sé e si sposa con gli altri ingredienti come pasta, carne, pesce e verdura.

A scuola di cucina con Grana Tra le principali iniziative volte alla valorizzazione di questo eccezionale prodotto, troviamo anche A scuola di cucina con Grana Padano, progetto didattico realizzato dal Consorzio all’interno degli Istituti Alberghieri di tutta Italia e dei Centri di Formazione Professionali con l’obiettivo di far conoscere al futuro della ristorazione il valore di questo prodotto. Chiamati a prendere parte al progetto, gli chef Danilo Angè, Stefano Cerveni e Fabrizio Ferrari protagonisti del volume hanno risposto con entusiasmo. «Questa esperienza mi ha permesso di rivivere l’ambiente scolastico. In più mi ha consentito di trasmettere la mia esperienza alle nuove generazioni per una forte valorizzazione dei prodotti del territorio e del Grana Padano», ha affermato Angè, al quale si è associato Cerveni, ribadendo l’importanza di professionalità da trasmettere agli studenti: «L’Istituto Alberghiero deve formare in primis la figura dello chef dal punto di vista tecnico ma anche umano. Questa professione è fatta di sacrificio ma anche di passione e l’unione di queste due cose sarà un buon trampolino di lancio per il futuro». «La figura dello chef formatore è fondamentale – conclude Ferrari – Il patrimonio delle risorse umane e la potenzialità degli studenti degli Istituti Alberghieri sono davvero multiformi e il progetto del Consorzio dà l’opportunità di scoprire queste realtà e di stimolare gli studenti».

Ricetta dello chef Danilo Angè Ingredienti per 4 persone 320 gr di riso Carnaroli 80 gr di capperi piccoli sotto sale 80 gr di cipolla 300 gr di pere decana 3 gr di zafferano 1 limone 20 gr di zucchero brodo vegetale 40 gr di burro 120 gr di Grana Padano Riserva olio extravergine di oliva sale e pepe Per le cialde di Grana Padano: 100 gr di Grana Padano Oltre 16 mesi 80 gr di pistacchi sgusciati e spellati Procedimento: Dissalare i capperi, disporli su una placca e farli seccare in forno a 120°C per circa 2 ore. Sbucciare le cipolle, tagliarle a julienne, disporle in un sacchetto da cottura, coprire con l’olio e condizionare sottovuoto. Cuocere nel bagno termostatato a 60°C per un’ora, raffreddare, filtrare e conservare l’olio. Sbucciare le pere, privarle del torsolo, tagliarle a cubetti, farle cuocere in padella per pochi minuti e frullare con lo zafferano. Tagliare la scorza del limone a julienne, farla sbollentare in acqua zuccherata per due minuti, scolarla e se risulta ancora amara ripetere l’operazione cambiando l’acqua. Per le cialde: miscelare il Grana Padano con i pistacchi tritati, formare un leggero strato su una placca, cuocere in forno a microonde per 2 minuti e lasciare raffreddare. Tostare il riso con l’olio aromatizzato alla cipolla, coprire con il brodo vegetale, cuocere per circa 15 minuti e togliere dal fuoco. Mantecare con il burro e il Grana Padano, sistemare di sale e pepe e lasciare riposare per due minuti. Versare il risotto nei piatti di portata e completare con la salsa di pere, le scorzette di limone, i capperi e le cialde di Grana Padano. novembre 2014

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orto dei semplici

di M. Pia Fanciulli

Coltiviamola così Soprattutto adatte alla coltivazione in vaso sono le zucche ornamentali, più piccole della classica e ingombrante zucca da orto, la Cucurbita maxima. Posizione soleggiata e frequenti annaffiature in estate garantiranno la buona crescita dell’una e delle altre. La cassetta e il terriccio La zucca ama terreni e terricci ricchi, umidi e ben drenanti, in posizione riparata. Importante avere vasi o cassette piuttosto capienti perché la pianta e i frutti richiedono spazio. Per le varietà rampicanti, prevedere dei supporti per farle crescere. La semina Si effettua in Luna crescente in semenzaio ad aprile, mettendo un seme a 3-4 cm di profondità, disposti di taglio, in ogni singolo vasetto. Il trapianto, sempre in fase crescente, si effettua a maggio, mettendo una pianta per ogni vaso. Annaffiare di frequente con clima secco intorno alle piante evitando ristagni.

La zucca dei prodigi Direttamente dall’orto, arriva sulle tavole autunnali con i sapori della più antica tradizione. Un ortaggio gustoso e salutare, tra i grandi protagonisti del buon mangiare, capace anche di regalarci un pizzico di immortalità

Cucurbitacee imparentate con cetrioli e meloni, le zucche si consumano da oltre 10.000 anni. Dagli Indios dell’America centrale, ma anche dalle regioni asiatiche, sono giunte al resto del mondo, fino ad arrivare alla più antica tradizione emiliana, dove la polpa di zucca entrava cotta al forno nel rito del ripieno dei tortelli. Quanto al nome, la parola sembra derivi dal latino cocutia, “testa”, poi trasformato in cocuzza, cozucca e infine zucca. Perché poi nel linguaggio comune si dica: sei uno zuccone, a indicare una persona sciocca, è presto detto. Quel suo suonare a vuoto, bussandoci sopra, quando è matura, sembra proprio alludere a una testa priva di cervello. Ma a parte questo, pieno di gusto, il dolce ortaggio si schiude a vari significati simbolici. Chi non ricorda la prodigiosa zucca di Cenerentola trasformata in carrozza, o la notte di Halloween, quando la zucca illuminata dall’interno si fa 84

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ponte tra noi e il mondo della magia e del mistero? È un dato di fatto che fino agli Anni ’50 del secolo scorso in tutta la Pianura Padana e in alcune zone del centro Italia fosse viva la tradizione delle cosiddette lümere della notte del 31 ottobre. Ciò vuol dire che l’uso di intagliare zucche e illuminarle dall’interno con una candela non è una novità importata dal mondo anglosassone: di origine celtica era infatti già giunta in epoche lontane nel nostro Paese. E se fa bene allo spirito, quella polpa di colore arancio giova anche al nostro benessere. Alimento a basso contenuto calorico, grazie alla presenza di betacarotene, vitamine A, B ed E, possiede ben note proprietà antiossidanti. Ma è anche generoso di minerali come calcio, sodio, potassio, fosforo, rame, magnesio, ferro, selenio, manganese e zinco. Non è allora un caso se i cinesi, mangiando semi di zucca, conquistavano l’immortalità.

Punti deboli Le lumache sono ghiotte di zucca, ma mettere della cenere intorno alla pianta eviterà il loro avvicinamento. Inoltre, poiché particolarmente soggette agli attacchi di funghi, è importante che l'aria circoli liberamente sia intorno che tra le foglie della pianta. Buono a sapersi Meglio non piantarla vicino a patate e meloni. Ci si accorgerà che è tempo di raccoglierle quando le foglie appariranno secche e dal rumore di vuoto interno che farà la zucca se colpita con le nocche delle dita. Per avere zucche belle grandi, diradare i frutti lasciandone due per pianta. Raccolta e conservazione Si raccoglie da agosto fino a tutto ottobre in Luna crescente per il consumo fresco, in calante in caso di preparazione di confetture, composte o altra forma di conservazione. Importante nella raccolta recidere il fusto lasciando però una parte di picciolo. Se si intende conservare la zucca intera, è bene lasciarla sulla pianta il più a lungo possibile, poi riporla in un luogo fresco, arieggiato e riparato dal gelo.



il buono a tavola

Una sferzata di creatività in cucina Storico ingrediente dei dolci italiani più classici, il caffè può dare un profumo tutto nuovo anche a ricette salate ed è protagonista della pasticceria moderna, esaltato da abbinamenti inconsueti

Procedimento: Per il Pan di Spagna: unire le uova con lo zucchero, montare in planetaria e aggiungere la miscela di farina e polvere di caffè. Sistemare nella teglia da Pan di Spagna e cuocere a 160° per 25 minuti, quindi far raffreddare su una griglia. Per la crema: bollire il latte a parte; montare i rossi d’uovo con lo zucchero e aggiungere la farina; infine aggiungere il latte con la tazzina del caffè ristretto, passare il tutto al colino e cuocere a bagnomaria. Raffreddare la crema, unirla con la panna montata, tagliare il Pan di Spagna a disco, bagnarlo con del caffè zuccherato e farcire con la crema al caffè. Decorare la torta con crema al caffè e chicchi di caffè.

Tagliatelle al caffè, con noci e gorgonzola Per le tagliatelle: 400 gr di farina 00 40 gr di caffè solubile 4 uova grandi 5 gr di sale; acqua q.b. Per la salsa: 200 gr di gorgonzola 100 ml di latte pepe macinato q.b. 120 gr di noci sale q.b.

Il gusto della tradizione

Torta Moka

Ingredienti per 4 persone: Per il Pan di Spagna: 2 uova 60 gr di farina 40 gr di zucchero polvere di caffè Per la crema: 2 tuorli d’uovo 100 gr di farina 150 gr di zucchero 500 ml di latte 200 ml di panna 100 gr di zucchero a velo 1 tazzina di caffè ristretto Per decorare: Panna montata e chicchi di caffè 86

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Antonio Romeo, docente dell'Istituto Alberghiero Ipsseoa di Soverato (Cz), ci propone il caffè come protagonista, con il più classico Pan di Spagna, di una golosa torta, ma anche di un primo piatto sfizioso

Preparazione: Mettere in una ciotola la farina, il caffè solubile, il sale, le uova sgusciate e impastare aggiungendo poca acqua, quanta ne basti per ottenere un composto compatto liscio e omogeneo. Avvolgere la pasta ottenuta in un panno umido e lasciarla riposare in un luogo fresco per almeno un’ora. Con un matterello ricavare delle sfoglie di pasta dello spessore di 1 mm, arrotolare le sfoglie sulla parte più corta fino a ottenere dei cilindri di pasta che vanno tagliati con un coltello a uno spessore di circa 1 cm e mezzo. Mettere in un tegame, a fuoco dolce, il latte e il gorgonzola affinché quest’ultimo si sciolga, aggiungere le noci tritate grossolanamente e stemperare la salsa fino a ottenere una crema fluida. Aggiungere il pepe macinato e aggiustare di sale.
Lessare le tagliatelle al caffè in abbondante acqua salata e scolarle al dente, quindi unire alla salsa preparata, allungandola, se necessario, con un po’ di acqua di cottura.


Il piacere della creatività

Caffè, cioccolato e ribes rosso Ingredienti per 4 persone: Per la mousse al cioccolato bianco: 125 gr di cioccolato bianco 34% 20 gr di acqua 15 gr di glucosio 20 gr di tuorlo d’uovo 250 gr di panna fresca Per il tartufo al caffè: 100 gr di panna fresca 200 gr di cioccolato al 72% 20 gr di rhum 5 gr di caffè solubile 30 gr di burro morbido 30 gr di granella di mandorle Per la salsa al caffè: 150 gr di latte fresco 50 gr di panna fresca 45 gr di tuorli 30 gr di zucchero 5 gr di polvere di caffè Per la salsa al ribes: 100 gr di ribes rosso 1 gr di menta 4 gr di zucchero di canna 30 gr di acqua frizzante 5 gr di rhum

Luigi Ferraro, executive chef al Café Calvados di Mosca, ci offre una ricetta moderna e complessa che esalta l'aroma del caffè grazie al profumo del rhum e al gusto pungente del ribes

Per la chips di mandorle: 8 gr di succo d’arancia 1 gr di buccia d’arancia 20 gr di zucchero a velo 5 gr di farina 8 gr di burro 10 gr di mandorle a scaglie Procedimento: Per la mousse al cioccolato bianco: sciogliere il cioccolato a bagnomaria, bollire a parte acqua e glucosio poi aggiungere al cioccolato e girare fino ad amalgamare i due composti; unire quindi i tuorli e in fine la panna semimontata. Conservare in frigo per 6 ore. Per il tartufo al caffè: portare a bollore la panna con il caffè e versarla sul cioccolato sminuzzato fino a creare una crema lucida, poi unire il burro e amalgamare fino a ottenere un composto omogeneo; aggiungere la granella di mandorle e il rhum amalgamare il tutto e mettere il composto in frigo per almeno 3 ore. Con l’impasto che avete lasciato raffreddare formare delle sfere. Per la salsa al caffè: portare a bollore latte, panna e polvere di caffè, versare su zucchero e tuorlo precedentemente amalgamati, girare per bene e rimettere il tutto sul fuoco fino a 82°C. Filtrare e abbattere. Per la salsa al ribes: unire tutti gli ingredienti e far macerare per 3 ore in frigo, poi frullare e filtrare. Per la chips di mandorle: unire tutti gli ingredienti e far riposare in frigo per almeno 6 ore; su un foglio di carta forno versare il composto e cuocere in forno per qualche minuto. Per la composizione: alla base del piatto spennellare la salsa di liquirizia, adagiare da un lato la mousse di cioccolato bianco e dall’altro il tartufo al cioccolato, versare la salsa di amarene Fabbri e completare con la chips di mandorle, menta fresca e amarene Fabbri. novembre 2014

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vigne&vigneron

Trentodoc: un Classico, sempre di moda di Maddalena Baldini

Da più di un secolo i vigneti del Trentino producono uva che si trasforma in “bollicine di montagna”. Eccellenza e qualità che nel 2007 è divenuta marchio collettivo, sotto il controllo dell’Istituto di Tutela giunto oramai ai vent’anni di attività Era il lontano 1902. E un giovane enologo dell’Istituto di San Michele all’Adige intuì che la regione francese dello Champagne aveva molte affinità con la sua, il Trentino. A quel giovane enologo, che rispondeva al nome di Giulio Ferrari (sì, proprio lui!), il merito di aver segnato l’inizio per una pacifica rivoluzione all’interno dell’enologia non solo trentina ma italiana, una rivoluzione fatta di perlage, destinata a segnare le sorti della spumantistica nazionale. È vero, in Francia si produceva Champagne da circa 200 anni, e pure in Italia alcuni esperimenti di spumantizzazione erano stati fatti, come quello di Grancia e di Carpenè nella seconda metà del 1800, dando però origine a prodotti dai toni dolci. Intuizione e intraprendenza assoluta dunque quella di Ferrari che, come lui stesso dichiarò, diede vita allo “Champagne italiano”, nato con la stessa lavorazione e le stesse uve, Chardonnay e Pinot nero, della 88

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Trentino-Alto Adige

Fototeca Trentino Sviluppo S.p.A. - Foto di Ronny Kiaulehn

Trento

Francia. Oggi, a distanza di più di un secolo, il Trentino è una delle regione simbolo dell’eccellenza spumantistica, con un complessivo di circa 10 mila ettari vitati dove, Chardonnay, Pinot nero, Pinot bianco e Pinot meunier, la fanno da padroni. Ogni anno si producono circa 8 milioni di bottiglie e, una buona parte di questa cifra, esce dalle cantine Ferrari Lunelli di Ravina di Trento, uno dei marchi più prestigiosi, conosciuto e apprezzato anche dal mercato estero. L’intuizione di Giulio Ferrari per la produzione di uno spumante dalla lunga rifermentazione in bottiglia ha avuto conferma su tutto: sull’adattabilità del territorio, sulla coltivazione e lavorazione delle uve, sulla crescita costante dei numeri e sul successo di questo prodotto. A primo impatto una regione come il Trentino, con la sua conformazione prevalentemente montuosa, porterebbe a pensare alla produzione di vini differenti. In realtà la definizione degli spumanti Trentodoc come “bollicine di montagna” è perfetta. I vigneti, memori della loro secolare tradizione, si legano perfettamente all’ambiente e salgono sino a 800 metri sopra il livello del mare. Immediatamente si pensa alla temperatura montana e alle escursioni di un ambiente alpino. Nulla di più favorevole per le uve che godono positivamente di questi sbalzi termici così come godono di riflesso del clima mite che le abbraccia durante il giorno, grandi vantaggi quindi che vanno ad arricchire i sentori e gli aromi degli spumanti, trasportati al naso dal perlage che sale verso l’alto. novembre 2014

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Fototeca Trentino Sviluppo S.p.A. - Foto di Carlo Baroni

vigne&vigneron

Un secolo di cooperazione «Forte nella cooperazione, il Trentino ha saputo valorizzare il proprio territorio e i propri prodotti come vino e spumante facendo leva sulla corresponsabilità, sull’imprenditorialità diffusa e sull’emancipazione». Luca Rigotti, presidente delle Cantine Mezzacorona, sottolinea l’importanza nella storia del Trentodoc, e in quella della sua regione, del modello cooperativo del quale la sua cantina, che quest’anno festeggia i 110 anni dalla fondazione, è un modello da imitare nel settore del vino e non solo. A Rigotti abbiamo chie-

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sto quali siano i punti di forza di questa importante realtà produttiva: «Dobbiamo subito pensare a una formula di successo e di democrazia economica, soprattutto per il mondo contadino che in tutti questi anni ha rappresentato il valore assoluto. Le sicurezze e le garanzie che diamo ai nostri 1600 soci sono una base salda dalla quale partire per avere qualità, tutto proiettato verso il mercato e la diffusione dei nostri prodotti. I numeri sono chiari, basta vedere l’export che rappresenta l’85% dell’intero fatturato».

Eleganza nel bicchiere Metodo Classico per eccellenza il Trentodoc, regolato da un rigido disciplinare di produzione che contempla l’utilizzo di Chardonnay, Pino nero, Pinot bianco e Pinot meunier, nella vinificazione in bianco o in rosato. Il Metodo Classico, rispetto al metodo Charmat o Martinotti, si caratterizza per una lavorazione più complessa e per tempi di attesa più lunghi. Una volta imbottigliato infatti si aspetta che i lieviti facciano il loro lavoro per dare il via alla seconda rifermentazione o fermentazione in bottiglia, dalla quale scaturiscono i processi che daranno origine all’anidride carbonica o perlage, la fitta colonna di bollicine che sale dal fondo del calice verso la superficie. I tempi di riposo possono variare da un minimo di 15 mesi per la versione Brut ai 24 per i millesimati fino ai 36 per le Riserve. Fase fondamentale è quella del remuage, una procedura che in casi particolari viene fatta ancora a mano. Consiste nel ruotare le bottiglie collocate precedentemente negli appositi cavalletti o pupitres così da raccogliere verso il collo i residui o i lieviti esausti che dovranno essere poi eliminati con il processo di sboccatura. Invitante, dal giallo paglierino con sfumature dorate – molto più intense se si tratta di una Riserva – si arricchisce di un perlage sottile e fitto, sempre in movimento, il quale, salendo verso la superficie, trascina con sé profumi e sentori. Crosta di pane, profumo dato dai lieviti, nocciole, accenni di fiori bianchi e di frutta si legano a una struttura ben bilanciata; rotondo e delegante, vanta un ottimo equilibrio tra acidità ed effervescenza.

Territorio ed eccellenza «Trentodoc è per sua natura sinonimo di eccellenza e di unicità – dichiara Enrico Zanoni, presidente del'Istituto Trento Doc – Il nostro spumante di montagna racchiude in sè il territorio, che si esprime con caratteristiche esclusive, figlie di condizioni climati-


Fototeca Trentino Sviluppo S.p.A. - Foto di Ronny Kiaulehn

In apertura, vigne tra le montagne trentine. Qui e a sinistra, il Trentodoc fa bella mostra di sé e del suo vivace perlage

Scelti per voi dove mangiare

che e ambientali inimitabili. Queste – insieme alla tradizione trentina nella produzione del Metodo Classico (è stata le prima Doc riconosciuta in Italia, la seconda al mondo ndr), al disciplinare, alla cura e alla passione delle quaranta case spumantistiche che lo producono – rendono unica ogni bottiglia di Trentodoc”.

anche i momenti conviviali della quotidianità. Le nostre bollicine di montagna hanno nell’abbinabilità un ulteriore pregio distintivo: si sposano alla perfezione con aperitivi, primi o secondi piatti ma si abbinano anche a finger food e a creazioni gourmet, basta cercare la tipologia più adatta fra le 120 etichette prodotte.

Dottor Zanoni, quali sono le potenzialità ancora da sfruttare per il mercato? Come Istituto Trento Doc siamo quotidianamente impegnati per ottimizzare le nostre strategie promozionali e consolidare la conoscenza del marchio territoriale (apposto su ogni bottiglia) che rappresentiamo. In Italia abbiamo ancora margine di crescita. Guardiamo con interesse anche all’estero, dove esistono potenzialità interessanti.

Come definirebbe il Trentodoc per una comunicazione nazionale e internazionale? L’Istituto Trento Doc ha l’onore ma anche la responsabilità di rappresentare e promuovere al meglio il Metodo Classico trentino, il lavoro e le competenze che le case spumantistiche esprimono da oltre cento anni, riuscendo a coniugare tradizione e capacità di guardare al futuro. Riassumerei Trentodoc in due parole: territorio ed eccellenza. Territorio perché il legame con la nostra terra è imprescindibile, causa-effetto dell’eccellenza e del successo delle bollicine di montagna. Eccellenza, perché scegliere un Trentodoc significa scegliere qualità, riconosciuta da critici e appassionati.

Il Trentodoc può essere presente sulla tavola di tutti i giorni? Trentodoc significa eccellenza e qualità, proprio per questo si tratta di uno spumante adatto alle grandi occasioni ma che sa rendere unici

Seguendo l'esempio di Giulio Ferrari «Per noi, promuovere e far vivere sotto tutti gli aspetti il Trentodoc è stata ed è una cosa spontanea e fortemente voluta – dichiara Camilla Lunelli, proprietaria delle Cantine Ferrari Lunelli – la nostra forza sta certamente nel territorio ma, nella stessa maniera, restiamo ancorati alla tradizione. Giulio Ferrari è il simbolo della nostra cultura vitivinicola e vogliamo che il suo contributo e la sua intuizione possano essere stimolo anche per gli anni futuri».

La Casa del Vino Il seicentesco palazzo de Probizer, a Isera, ospita un’enoteca nella quale fanno capolino sugli scaffali le etichette di circa 30 aziende. C’è in aggiunta la possibilità di sedersi al tavolo per assaggiare piatti locali, con possibilità di pernottamento. Prezzo medio per la cena: 25 euro Doppia da: 90 euro Piazza San Vincenzo, 1 Isera (Tn) www.casadalvino.info Locanda Margon Preziosa residenza del Cinquecento, protagonista anche durante il Concilio di Trento perché ospitò vescovi e prelati di tutta Europa. In più, secondo quanto si narra, sembrerebbe aver ospitato anche l’Imperatore Carlo V. Oggi di proprietà della famiglia Lunelli Ferrari, ospita un interessante ristorante. Menù Veranda a 34 euro; menù Salotto Gourmet da 85 euro Via Margone di Ravina, 15 Trento Tel. 0461.349401 www.locandamargon.it

dove dormire Maso Fiorini Otto camere, immerse nel verde. Doppia con colazione da 80 euro Via Maso Fiorini, 1 Isera (Tn) Tel. 339.4261630 www.masofiorini.it Maso Bòtes Pietra, acciaio e vetro: materiali storici che raccontano il territorio per una struttura dalle linee contemporanee. Doppia da 110 euro Loc Varignano Varignano di Arco (Tn) Tel. 347.8558334 www.agriturismomasobotes.it

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wine passion

di Gilda Ciaruffoli

Aria nuova nel Vicentino Terra di profumati bianchi quella di Gambellara, dove dalla Garganega nascono vini da pasto, spumanti e passiti da scoprire. Lungo una Strada che, seppur “breve”, è animata da eventi, iniziative e voglia di fare rete. A portare alta la bandiera di questo “vulcanico” angolo di Veneto un affiatato gruppo di vignerons under 40

Quattro comuni – Gambellara, Montorso Vicentino, Montebello Vicentino e Zermeghedo –, poco più di un migliaio gli ettari coltivati, una ventina di cantine e un vitigno, la Garganega, per due denominazioni: Gambellara Doc e Recioto di Gambellara Docg. Una “botte” davvero piccola, insomma, quella del Consorzio Tutela Vini Gambellara (presieduto da Giuseppe Zonin), nella quale sta però un “vino” molto buono, fatto di collaborazione e iniziative. Grazie anche alla massiccia presenza di giovani, alla guida delle aziende vinicole e non solo. Come Luca Framarin, 20 anni lo scorso settembre e da 2 presidente della Strada del Recioto e dei vini Doc Gambellara, che con il Consorzio opera in sinergia dando vita, ad esempio, a realtà come quella delle Barchesse del vino, vero e proprio centro culturale e di aggregazione che ospiterà la sede di entrambe le associazioni, una biblioteca, un centro di informazioni turistiche, un’enoteca... «I padri hanno creato un patrimonio e i figli ne stanno raccogliendo l’eredità, attualizzandola» commenta la sommelier Mariuccia Pelosato, che ci introduce anche alle caratteristiche uniche di questa zona vinicola. «Siamo 92

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Qui, Giuseppe Zonin e Luca Framarin. In alto, un panorama delle vitate terre di Gambellara

Per saperne di più:

www.consorziogambellara.com www.stradadelrecioto.com

in una terra vulcanica, ogni versante delle nostre colline, toccato in modo diverso dalle eruzioni, conferisce qualcosa di unico al suo vino. Importante ad esempio la presenza di basalto: dove si trova in gran quantità, i vini saranno profumati e a bassa gradazione; meno ce n’è invece più il vino sarà delicato e alcolico. Recenti studi hanno identificato sette zone tra quelle vitate a Gambellara, i cui vini sono accomunati comunque da un’elevata mineralità e da un’alcolicità che tendenzialmente non supera i 12,5°, capaci però di reggere bene anche piatti strutturati, come il capretto di Gambellara». Una chicca della tradizione locale, come lo è anche il Vin Santo di Gambellara che si affianca all’asciutto e delicato Gambellara Doc e all’ambrato Recioto, nato da uve appassite per 5 mesi, con i suoi intensi profumi di frutta matura e vaniglia. «Meno noto di quello Toscano e Trentino, il nostro Vin Santo vanta però un lievito indigeno mai catalogato prima e legato indissolubilmente al territorio, che lo rende unico», ci spiega Framarin. Per valorizzarne storia e qualità si è dato vita a un progetto di sperimentazione, Sapore di Vin Santo, per studiare, conoscere meglio e diffondere gusto e storia di questo prodotto inimitabile. Ambasciatori del progetto 4 produttori: Nicola Menti, Michele Zonin, Vincenzo Vignato e lo stesso Framarin, trent’anni in media e tanta voglia di far conoscere al mondo il bello e il buono della loro piccola grande terra.



la pagella assaggiati da noi

Colli Tortonesi Doc Barbera Superiore Bruma d’Autunno 2008 • Vitigno: 100% Barbera • Gradazione alcolica: 14° • Prezzo:19 euro Voto: 94/100

Cascina I Carpini S.p. 105, 1 - Fraz. San Lorenzo Pozzol Groppo (Al) Tel. 0131.800117 www.cascinacarpini.it

Un rosso dai toni brillanti, con tocchi violacei. I profumi sono quelli dei grappoli di Barbera che spaziano dalle note di frutta rossa matura, ai toni floreali di viola, per chiudere con accenni speziati di pepe. Degustandolo, si avverte immediatamente la sua buona acidità e il suo tannino ben bilanciato. Ottimo il ritorno aromatico al quale si uniscono persistenza, eleganza e un delicato retrogusto di vaniglia e torrefazione. Da provare con la cucina tradizionale piemontese, grigliate di carne, salumi e formaggi di media stagionatura.

Primitivo di Manduria Dop Moi 2011 • Vitigno: 100% Primitivo • Gradazione alcolica: 14° • Prezzo: 8,50 euro Voto: 91/100

Vigne & Vini Via Amendola, 36 Leporano (Ta) Tel. 099.5315370 www.vigneevini.eu

Gli influssi del Mar Ionio rilasciano la loro positività su queste uve che si trasformano in un vino dal colore rosso vivace con sfumature viola. Dal bicchiere salgono profumi di frutta rossa matura, note di ciliegie sotto spirito e di confettura. In chiusura accenni di spezie e torrefazione. Degustandolo si scopre un vino dalla buona struttura, composto e di buon equilibrio; la sua ricchezza si completa con gli aromi di liquirizia che, in chiusura, danno una lunga persistenza al gusto. Un rosso piacevole da bere a tutto pasto, con salumi e formaggi di media stagionatura o carne rossa.

di Maddalena Baldini

Valtellina Superiore Docg Inferno 2010 • Vitigno: Chiavennasca o Nebbiolo 95%, 5% Pignola • Gradazione alcolica: 13,5° • Prezzo: 14 euro Voto: 92/100 Nel bicchiere, dopo aver riposato 18 mesi in rovere e altri 4 in bottiglia, mostra un bel colore rubino. Il risultato è eccellente anche nel bouquet fruttato che alterna profumi di more e mirtilli, rosa e viola. In bocca è rotondo e ben strutturato, ottimo il gusto speziato di noce moscata al quale si lega un accenno di tostato. Persistente, asciutto e sapido, si chiude con note di frutta. Perfetto per menù decisi dell’area valtellinese, con piatti a base di carni rosse o selvaggina alla cacciatora. Nino Negri Via Ghibellini, 3 - Chiuro (So) Tel. 0342.485211 www.ninonegri.net

Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore Verde Ca’ Ruptae 2013 • Vitigno: 100% Verdicchio • Gradazione alcolica: 13° • Prezzo: 13 euro Voto: 92/100

Terre Siciliane Igt Inzolia Terre di Giumara 2013 • Vitigno: 100% Inzolia • Gradazione alcolica: 12,5° • Prezzo: 8 euro Voto: 90/100

Caruso e Minini Via Salemi, 3 Salemi (Tp) Tel. 0923.982356 www.carusoeminini.it

Bianco che prende vita da uve coltivate poco fuori Marsala. Invitante il colore giallo paglierino con toni verdi ai bordi al quale si aggrega un ricco ventaglio di profumi che alternano frutta a polpa bianca come mela e pera a sentori floreali di acacia e ginestra. Un vino che anche al palato sfoggia aromi di frutta, arrotondati da buona mineralità e da una spiccata freschezza che regala equilibrio e una buona persistenza. Ideale per gli aperitivi, si adatta alla perfezione alla cucina di mare esaltandone al meglio i differenti sapori. 94

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Sfumature verdi fanno da cornice a un colore giallo paglierino brillante. Al naso salgono profumi di frutta, note di agrumi e erbe aromatiche. Al palato è arricchito da una freschezza evidente e da una buona acidità che bilancia la sensazione alcolica. Persistente nel finale e dal gusto deciso è perfetto come vino da tutto pasto, ottimo da abbinare a menù a base di pesce oppure ai risotti con frutti di mare e verdure. Moncaro Via Piandole, 7/a Montecarotto (An) Tel. 0731.89245 www.moncaro.com



taste perle d'Italia

di Maddalena Baldini

Dolci sapori contadini

Il lonzino di fico è un dolce della tradizione contadina marchigiana, diffuso soprattutto nella provincia di Ancona. Una miscela di fichi dottati (una varietà che matura a settembre) essiccati, noci e mandorle tritate con un tocco di anice stellato, il tutto impastato con un poco di mosto e avvolto nelle stesse foglie di fico. La tradizionale e pratica forma del salame lo rendevano perfetto per essere consumato in occasione delle feste o nel fine pasto. Tutta questa tradizione oggi rimane e al lonzino è stato giustamente riconosciuto il presidio Slow Food. Degustandolo si avvertono note dolci di frutta secca e, inevitabilmente, il buon sapore dei fichi. In alcune versioni si trova anche l'aggiunta del cedro. Per saperne di più:

www.fondazioneslowfood.it

Il vino della storia Il Moscato di Scanzo nasce dall’omonima uva autoctona già conosciuta verso la metà del 1300, anche se si parla del territorio molti secoli prima. Siamo nella provincia di Bergamo, a Scanzorosciate, e la Docg, arrivata nel 2009, ha consolidato il valore di questo vino da meditazione, ottenuto dall’appassimento dei grappoli sui graticci per un periodo che va dai 20 ai 50 giorni. Ottimo per essere bevuto da solo, si presta anche per accompagnare dolci a base di cioccolato o formaggi dai gusti decisi, tipici della zona come lo strachitunt. Si presenta con un colore rubino e regala profumi intensi di frutta rossa, ciliegia e fiori; il sapore è dolce, richiama i toni fruttati con un delicato retrogusto di mandorla. Per saperne di più:

www.consorziomoscatodiscanzo.it

Il Re dei Salumi Uno dei salumi più apprezzati in Italia, simbolo d’eccellenza all’estero. La produzione e la stagionatura avvengono in alcuni comuni della provincia di Parma dove i suini vengono allevati (alcuni arrivano anche dalla Lombardia) e macellati. A essere selezionata la parte più magra, la coscia, poi immagliata in una rete di corde e ricoperta, in parte, da un leggero strato di grasso per conservare bene la carne durante i mesi della stagionatura. Ciò che più conta è il risultato finale: tagliato mostra un colore uniforme, rosso deciso, striato in bianco dalla lieve venatura di grasso. L’assaggio regala un gusto dolce e bilanciato; può essere stagionato anche oltre i 20 mesi. Fondamentale è il marchio del Consorzio di Tutela. Per saperne di più:

www.consorziodelculatellodizibello.it

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Il Franciacorta che seduce Dalla Lombardia (o meglio, da quell'angolo di Lombardia compreso tra le colline bresciane e il Lago d'Iseo) a Londra. Tra perlage, eleganza e nuove creazioni di lusso. È quanto riconosciuto all'azienda La Montina di Monticelli Brusati (Via Baiana, 17), in provincia di Brescia, cantina nota nel territorio per l'eccellenza e per la qualità dei suoi spumanti. Ora La Montina fa bella mostra di un altro importante riconoscimento: il primo premio ottenuto al Luxory Packaging Awards a Londra. Un premio prestigioso, ottenuto per il nuovo look della Shopping Bag custode del loro Franciacorta Docg Rosé Demi Sec. Una rivoluzione di classe ed eleganza per rivestire un prodotto che ben si associa al mondo femminile. Ampio spazio è stato dato, nel progetto, alla creatività di un team di esperti come Susanna Bonati (direttrice della rivista Comunicando), Mauro Neri (titolare dell'agenzia Zen Arte), Giò Gatto (stilista e creatore) e al Gruppo Cordenons (leader per la produzione di carta). Il risultato? Una creazione tutta Made in Italy che prende le forme di una bag decorata da rose di pizzo, unione di femminilità e seduzione. I manici sono sempre di pizzo annodati a mano e completati da una chiusura in velluto, con il tocco finale dato dalla carta madreperlata. La borsa è stata inoltre studiata proprio per far adagiare la bottiglia in orizzontale, dando ulteriormente la sensazione di una vera e propria bag. «Grande la soddisfazione e l'orgoglio per la nostra azienda – afferma Michela Bozza, Marketing Manager de La Montina – per questa creazione unica, simbolo di novità e di classe che ha saputo conquistare il pubblico italiano e anche quello londinese». È possibile acquistare la shopping bag con bottiglia direttamente in azienda: il formato piccolo al costo di 17 euro; il formato grande a 22,50 euro, Iva inclusa. Per saperne di più:

www.lamontina.it


La Monodose de iGreco: nata grande, fatta piccola

Nello scrigno di marmo È un tesoro custodito nelle cave di marmo di Carrara il lardo di Colonnata, dai sapori unici, solitamente affettato sottile e mangiato con il pane toscano (quello senza sale), meglio se tiepido così che possa sciogliersi leggermente e rilasciare aromi e gusti. Fatto con il lardo di suino, la parte dorsale fino alle natiche, è un prodotto Igp, arricchito da spezie come pepe, cannella, coriandolo con l'aggiunta di erbe aromatiche quali il rosmarino, salvia e origano. Le conche di marmo che da secoli custodiscono il lardo per la stagionatura restano il simbolo e l'elemento chiave di questo prodotto fatto in tutto il comprensorio delle Alpi Apuane nella provincia di Massa Cararra. Si caratterizza per la sua forma rettangolare, la parte inferiore con la cotenna e quella superiore ricoperta dalle erbe aromatiche e dalle spezie. In alcuni casi, nell interno, è segnato da una striscia rosea di carne magra. Per saperne di più:

Associazione di Tutela del Lardo di Colonnata, Tel. 0585.768069

Pratica. Sana. Ecologica. Sostenibile e senza pensieri. Ideale in qualunque situazione: al ristorante, nelle mense aziendali, in viaggio, persino in ufficio. Un inno alla genuinità perché perfettamente in linea con la dieta e uno stile corretto di alimentazione. Un prodotto a impatto ambientale zero, visto che non inquina, può essere riutilizzata e soprattutto scongiura gli sprechi. Parliamo della bottiglietta monodose di olio extravergine d'oliva prodotto da iGreco, l'azienda agricola calabrese, di Cariati in provincia di Cosenza, che ha fatto dell'alta qualità e del legame con il territorio, una filosofia di vita prima ancora che un atout aziendale. L'olio de iGreco è, da anni, infatti uno dei più apprezzati del panorama olivicolo, perché 100% italiano, ricco di proprietà nutritive e soprattutto sintesi di un'esperienza millenaria che coniuga tradizione e innovazione. Ma iGreco hanno voluto andare oltre, adeguandosi ai tempi e ai nuovi orientamenti dei consumi. Così è nata la "monodose", piccole confezioni da 10,12,15 e 20 ml (realizzate con o senza aggiunta di aceto balsamico di Modena Igp e aceto di vino bianco) capaci di soddisfare il fabbisogno giornaliero di olio (10-20 ml), elemento insostituibile per il nostro organismo, evitando sprechi ed esagerazioni. Basta svitare il tappo e nella monodose, dal design semplice e prezioso (con etichetta personalizzabile), e il consumatore vi troverà tutto "il senso della Calabria", il claim scelto da iGreco per il loro olio. La bottiglietta è stata progettata per servire la ristorazione, garantendo oltre al risparmio e alla praticità (di uso e di trasporto) anche la qualità del prodotto, grazie al colore scuro della confezione che protegge l'olio dalla luce schermando le radiazioni luminose che ne accelerano l'invecchiamento. L'assenza di ossigeno ne preserva invece le qualità organolettiche. Un grande olio in una piccola bottiglia: provare per credere. Per saperne di più:

www.igreco.it

A caccia di tartufi Tra le prelibatezze che la natura offre, i profumi e i sapori del tartufo restano inconfondibili. La raccolta di questo fungo che vive sottoterra, composto principalmente da acqua, fibra e sali minerali, è davvero unica, anche per il prezioso quanto affascinante contributo del cane. L'azienda Le Ife, nella provincia di Isernia, oltre alla raccolta lavora questo frutto della terra, prima con selezioni accurate, poi lo sottopone a un processo di lavatura per dedicarsi quindi a trasformazione e conservazione. Le Ife presenta una vasta gamma di prodotti, dai tartufi freschi alle polente e alle farine. È possibile avere anche tartufi freschi da abbinare a menù specifici. Per saperne di più: www.leife.it novembre 2014

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Family Hotel Lido Ehrenburgerhof


InViaggio Viaggio In 100 112

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100 La Vallée in una coppa

108 Na tazzulella 'e Napule

Seguite l'odore del cafè de Monseigneur e vi condurrà tra borghi, grolle e... Graal

da pag. 112

Miti, percorsi e curiosità della tradizione

Rubriche

partenopea legata alla tazzina più amata

• Una città in 24 ore

104 Trieste, la città del "capo" Il porto friulano smercia il 30% del caffè: un invito per locali e assaggi nelle piazze

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La Val d'Aosta in una coppa di Francesca Soro

In attesa che le alte cime alpine e le piste si imbianchino di neve, i primi freddi di novembre invitano a conoscere la più piccola regione d'Italia attraverso un itinerario suggestivo, alla scoperta di quel particolare calore fatto di condivisione, di legno, caffè bollente profumato alle spezie, frutti autunnali e potenti elisir alcolici La Valle d’Aosta è per molti territorio di natura selvaggia, cime aspre e incombenti e imponenti castelli retaggio di un passato di nobili fasti e decadenze. Ed è proprio ai piedi di uno dei più celebri e conosciuti manieri medievali, il castello di Fénis, che viene custodita oggi la storia della coppa dell’amicizia e quella del suo alter ego più misterioso, con cui la si confonde spesso: la grolla.

Coppa, Grolla e Graal... È a Fénis, paese della valle centrale situato a una quindicina di chilometri da Aosta nell’Envers, ossia nel versante meno soleggiato, che sorge il Mav, il Museo dell’Artigianato Valdostano. Nella splendida struttura in pietra e vetro, uno spazio specifico è stato dedicato a ognuno dei due manufatti le cui radici sprofondano negli anfratti ancora poco illuminati dei secoli passati, forse dei millenni. La coppa dell’amicizia è una ciotola realizzata al tornio in legno di acero, melo o pero e munita di coperchio e beccucci che spuntano da una silhouette bassa e panciuta. Il suo utilizzo è legato a momenti di tradizionale convivialità. Il gruppo di amici fe100

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Valle d'Aosta

Fénis

steggia in allegria sorseggiando un buon caffè alla valdostana, conosciuto anche come café de Monseigneur, aromatizzato con spezie e scorze di agrumi e rinforzato con grappe o liquori: si beve ognuno dal proprio beccuccio, girando verso destra e facendo attenzione a non posare la coppa tra un passaggio e l’altro, altrimenti la tradizione presagisce l’agguato della mala sorte. Anche la grolla è una sorta di calice, ma dalla forma verticale e senza beccucci. Dal suo nome, che in francese arcaico significa proprio “recipiente” o “coppa”, sembra abbia un legame con il Graal, il sacro calice che ha ricevuto le ultime gocce dal costato del Cristo morente sulla croce. Oggi la grolla è l’oggetto simbolo della Valle d’Aosta e viene regalata in occasioni particolari, quando si vogliano sottolineare sentimenti di ammirazione, di amicizia e di riconoscenza.

Envers boscoso e verticale Sempre sul versante dell’Envers, il nostro itinerario prosegue verso Saint-Marcel, paese albergo che si snoda su una lingua verticale che parte da una riserva naturale lungo la Dora finovembre 2014

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Il caffè alla valdostana “In una coppa dell’amicizia, già preparata facendola bollire nel burro fuso per un paio d’ore affinché non si crepi, si passa dell’acqua bollente, per preriscaldare.
A questo punto si versano nella coppa tante tazze di caffè quante sono le persone a tavola, si aggiunge un quarto della quantità del caffè in grappa, un bicchierino di cognac, un bicchierino di Génépy, un pizzico di cannella, due chiodi di garofano, bucce di limone e arancio (senza la parte bianca), zucchero quanto basta, posto però sul bordo esterno della coppa.
Si accendono i vapori degli alcoli che evaporano, si lascia sviluppare la fiamma per circa un minuto, fino a quando lo zucchero non comincia a formare caramello, e poi si beve bevendo dai becchi e passando la coppa, di mano in mano, attorno al tavolo, girando verso destra”. (tratta da Ottoz du Val d’Aoste, il Génépy dal 1902)

Per visitare il Mav di Fénis chiamare il numero 0165.763912

no quasi a un’altitudine di 2000 metri dove stupisce un panorama mozzafiato dal Monte Bianco al Cervino al Monte Rosa. Ma non c’è solo il paesaggio: per nulla trascurabile lo è anche l’aspetto storico di Saint-Marcel, dove sono state trovate incisioni rupestri e un insediamento fortificato risalenti all’epoca primitiva, si ergono il castello medievale antica proprietà dei Signori Challant, la chiesa parrocchiale del XVI secolo, lo splendido Santuario di Plout meta di pellegrinaggi tradizionali, e si trovano giacimenti minerari già conosciuti e sfruttati prima dell’epoca romana, che, oggi completamente abbandonati, sono meta di collezionisti e di studiosi. Tra boschi, pascoli e villaggi che si raccolgono ancora intorno ai mulini e ai for-

Molto più di un souvenir Coppe dell’amicizia e grolle sono disponibili in una vasta gamma di grandezze e finiture nelle 6 boutique de L’Artisanà, sparse in tutta la Valle, che offrono, attraverso un marchio di qualità gestito dalla Regione, la possibilità di portarsi a casa un pezzo autentico di Valle d’Aosta. A Introd, davanti al Parc Animalier, si possono visitare il laboratorio e il punto vendita di Les Amis du Bois dove vengono lavorati oggetti tipici in legno; a Villeneuve, in località Champagne 34, la cooperativa Le Tournage lavora gli oggetti in legno al pantografo e al tornio, per poi intagliarli e rifinirli a mano.

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ni delle tante frazioni, è nato un percorso di Merenderie che, promuovendo una prelibata specialità locale, il prosciutto crudo di SaintMarcel, parte da una delle aziende leader nella produzione di grappe e distillati: tra i prodotti che La Valdôtaine crea da molti decenni c’è il Génépy, il tipico liquore valdostano realizzato con l’infusione di Artemisia glacialis, una piantina che cresce sopra i 2000 metri. Il suo sapore inconfondibile, dolcemente erbaceo, rende più morbido e aromatico il caffè alla valdostana.

Tra vigneti e santità... Arrivando alle porte di Aosta, sulla destra si erge la Distilleria St. Roch, la più antica della Valle, alla cui abilità e intraprendenza si de-


Scelti per voi dove mangiare Bistrot La Bonne Etape Ai piedi del castello di Saint Marcel, lo chef Paolo Vai propone nel menù autunnale fonduta, tournedos con la polenta e foie gràs marinato maison. Da non perdere è il tiramisù con pane nero e caffè alla valdostana. Prezzo medio: 35 euro Loc. Surpian, 73 Saint Marcel (Ao) Tel. 0165.768767 www.labonneetape.it Trattoria degli Artisti “Pam Pam” Nel cuore pedonale e storico di Aosta. Imperdibili il risotto con il cavolo verza mantecato alla fontina e lardo di Arnad oppure il brasato al Blanc de Morgex. Prezzo medio: 35 euro Via Maillet, 5/7 - Aosta Tel. 0165.40960 www.trattoriadegliartisti.it Bar Ristorante Le Solitaire Nel parco nazionale del Gran Paradiso, cucina tipica con piatti della tradizione: gnocchi alla fonduta, crespelle alla valdostana, polenta concia, semifreddo al pane nero. Prezzo medio menù: 15 euro La Fabrique, 15 Rhêmes-Saint-Georges (Ao) Tel. 0165.907504

dove dormire Le Coffret Pietra, vetro e legno si fondono in questa casa rurale del 1779 trasformata in un b&b di charme. Doppia da 95 euro Frazione Jayer, Saint-Marcel (Ao) Tel. 0165.778751 www.lecoffret.it Le Rêve Charmant Maison d’hôtes con 6 camere dedicate ai più importanti personaggi della storia valdostana. Da non perdere le Private Spa situate all’interno delle suite benessere. Doppia da 110 euro Via Marché Vaudan, 6 Aosta Tel. 0165.238855 www.lerevecharmant.com Il Fienile della Nonna In un edificio del 1742, 6 appartamenti esclusivi. Soluzioni per 4 persone da 200 euro al giorno Frazione Villes Dessus, 78 Introd (Ao) Tel. 0165.94110 www.ilfieniledellanonna.it

Ad Aymavilles il paesaggio si arricchisce dell’inconfondibile armonia dei filari. Qui, le vigne di Costantino Charrère

Versare nella coppa dell’amicizia un superbo distillato di vitigno autoctono non sarebbe certo stata pratica consueta per le generazioni passate, che avrebbero destinato il prezioso elisir a una degustazione esclusiva... ma perché non sperimentare ora? vono la celebre grappa Sant’Orso, intitolata al santo più famoso della regione, e più recentemente, molti distillati premiati a livello europeo. Versare nella coppa dell’amicizia un superbo distillato di vitigno autoctono non sarebbe certo stata pratica consueta per le generazioni passate, che avrebbero destinato il prezioso elisir a una degustazione esclusiva, ma perché non sperimentare ora? Da non dimenticare il Génépy Ottoz, il primo, nato nel 1902, e conosciuto soprattutto nella sua versione verde brillante. Imperdibile la tappa tra le vie pedonali della vecchia Aosta, dall’Arco d’Augusto fino alla zona Croix de Ville, poi lo sguardo punta nuovamente verso le pendici delle montagne, questa volta da Aymavilles a Introd. Pochi chilometri fuori dall’antica Augusta praetoria, nome romano di Aosta, il paesaggio autunnale si arricchisce dell’inconfondibile armonia dei vigneti: una

fermata nelle aziende agricole e nelle cantine della zona è d’obbligo. Tra queste Les Crêtes di Costantino Charrère, vigneron valdostano le cui etichette hanno ottenuto grandi riconoscimenti. Proseguendo oltre Aymavilles si arriva a Introd, il cui nome significa “tra le acque” proprio a causa della sua posizione tra la Dora di Rhêmes e il torrente Savara. Da qui ha inizio il Parco Nazionale del Gran Paradiso e qui finisce il nostro itinerario. Difficile pensare ora a qualcosa di più stuzzicante per preparare il palato a una merenda sinoira, di una passeggiata a Les Combes, nei luoghi che Papa Wojtila aveva eletto a villeggiatura alpina privilegiata, oppure nel Parc Animalier, o tra i saloni del castello di Introd, nella cui spianata è ancora possibile vedere la magnifica e rara struttura in legno di un granaio quattrocentesco. “Santé, e que vo fiyeye di bien”! (dal patois: “Salute e che ben vi faccia”). novembre 2014

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Trieste, la città del “capo” di Riccardo Lagorio

Ancora oggi circa il 30% del caffè importato in Italia passa per il porto dell'elegante centro friulano, il più importante del Mediterraneo. Inevitabile quindi che le sue strade e piazze pullulino di locali dove degustarlo declinato in varianti altrove impensabili. Locali storici dall’atmosfera retrò, fascinosamente mitteleuropea, dove si sono incontrati a discutere e creare artisti come James Joyce, Italo Svevo, Umberto Saba... 104

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Friuli-Venezia Giulia

Trieste

In estrema sintesi e in barba ad acutezze storiche, l’egemonia commerciale nell’Adriatico settentrionale ha baciato tre città: Aquileia, Venezia e Trieste. A ciascuno di questi centri corrisponde un segmento della storia nella supremazia anche politica, di cui si riscontrano finanche oggi tracce nell’urbanistica e nelle condizioni e abitudini sociali. In particolare il periodo di maggior splendore di Trieste coincide con la condizione di primo porto dell’Impero asburgico che, a partire dal 1719, ha lasciato numerose testimonianze storiche e artistiche. Punto d’incontro fra culture mediterranee e mitteleuropee, ancora oggi conserva il fascino di quel tempo: basta soffermarsi sull’attuale Piazza Unità d’Italia che si apre sul mare. All’interno di questo perimetro si elevano incantevoli edifici come il Municipio con la sua torre dell’orologio, la Prefettura ornata di mosaici e arricchita dalla loggia, e quella che era la sede del Lloyd Triestino, la più antica società di spedizioni della penisola. Punto di riferimento per i viaggi e per gli scambi commerciali, queste attività ne hanno caratterizzato la crescita in maniera indissolubile da quando la città giuliana ereditò da Venezia il primato nei traffici nel Mediterraneo, in particolare negli scambi di caffè.

Convivialità internazionali All’incessante attracco di navi zeppe di caffè verde seguì presto l’apertura delle botteghe di caffè a cui facevano da corollario ditte d’importazione e commercio, torrefanovembre 2014

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Un caffè con Molly Bloom La prima evidenza storica relativa alle botteghe da caffè risale alla licenza di apertura ottenuta da Benedetto Capano nel 1768 per la vendita in esclusiva di “acque fredde e calde, tè, cioccolata, limonate, ed acque sciroppate”. Allora si voleva seguire l’esempio dei locali alla moda di Venezia ma con un’impronta negli arredamenti e nei servizi tipicamente asburgica. Le botteghe si moltiplicarono mentre nel frattempo Trieste era divenuta l’emporio dove i popoli del centro Europa si approvvigionavano sempre più spesso. E così ciascun caffè si specializzò con una propria clientela: i caffè meta dei letterati o dei funzionari imperial-regi o ancora degli uomini d’affari e, in un secondo momento, degli irredentisti di cultura italiana. Aprì i battenti nel 1830 il Tommaseo grazie all’intraprendenza di Tommaso Marcato, padovano, che attirò da subito l’interesse di artisti, politici e uomini d’affari grazie allo sfarzo delle specchiere fatte arrivare dal Belgio e degli affreschi commissionati al pittore Giuseppe Gatteri. Diciott’anni dopo l’apertura fu dedicato a Niccolò Tommaseo, il linguista e patriota dalmata e qui si levò nel 1848 il primo grido Viva l’Italia! Agli inizi del Novecento al Tommaseo si ebbe l’intuito di introdurre un’assoluta novità commerciale, il gelato. Fu frequentato da Giuseppe Pasquale Besenghi degli Ughi, letterato e tra i primi nell’Ottocento a percepire l’italianità in termini politici risorgimentali, mentre in tempi recenti è stato il caffè prediletto da Claudio Magris, che qui ha concepito il suo capolavoro, Danubio. Dal 1954 è tutelato come monumento storico e artistico mentre a fine 1997 è stato restaurato nel segno degli originari ambienti e arredi. Nei primi giorni del 1914 fu aperto il Caffè San Marco, da subito vessillo dell’irredentismo e distributore di passaporti falsi a patrioti antiaustriaci per scappare in Italia. Per questa ragione venne devastato nel maggio del 1915 dalla polizia asburgica e fu riaperto solo al termine del primo conflitto mondiale. Presenta un superbo bancone intarsiato,

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In apertura il Canal Grande di Trieste; qui gli interni dello storico Caffè degli Specchi

tavolini in marmo e ghisa, specchiere e opere del simbolista Napoleone Cozzi, del neorealista Ugo Flumiani e del postimpressionista Pietro Marussig. Italo Svevo e Umberto Saba, il poeta dialettale Virgilio Giotti e il romanziere Giorgio Voghera furono assidui frequentatori del San Marco e spesso lavoravano qui. Fu fondato invece nel 1900, come riportato nel mosaico all’ingresso, il Caffè Pirona. James Joyce, che abitava poco distante, progettò qui Ulisse e stese buona parte di A portrait of the artist as a young man tra un bicchiere di Malvasia istriana e una fetta di presnitz. Infatti il locale è ben noto per la sua arte pasticciera, immortale come Leopold e Molly Bloom: putizza, pinza e fave triestine.

zioni, aziende per la lavorazione dei chicchi. A cavallo tra Ottocento e Novecento poi, la lavorazione del caffè si trasformò in industria fino all’inaugurazione, nel 1904, della Borsa del caffè. Ancora oggi circa il 30% del caffè importato in Italia passa per il porto di Trieste, in assoluto il più importante del Mediterraneo, fatto che coerentemente si innesta su una particolare tendenza della città in atto sin dalla fine del XVIII secolo e forse importata dalla Vienna imperiale insieme alle tante altre usanze austriache che sono sopravvissute sino a noi: la realizzazione di punti di ritrovo raffinati e signorili dove incontrare persone, leggere o conversare. Un salotto, insomma. Che trova la sua massima espressione, ovviamente, davanPer saperne di più: www.caffetommaseo.com ti a un caffè. Così la scura bevanda da quasi www.caffesanmarcotrieste.eu tre secoli non diventa mero rito del mattino www.pirona.it o del dopo pasto, ma il simbolo di un modo di essere, di una condizione Dal 1998 a Triste il Natale prende e di una appartenenza socia“Le Vie del Caffè”: protagonisti le. Tutto si traduce ai tempi concerti, spettacoli teatrali... nostri in un consumo che si mise en scene che, abbandonati può definire… smodato: 10 i soliti palcoscenici, si trasferiscono kg pro capite all'anno contro nei principali locali storici della città i 4,5 del resto d’Italia. Mol-


I triestini fanno del caffè un uso "smodato": ne consumano infatti 10 kg pro capite all'anno contro i 4,5 del resto d’Italia. Anche la densità di esercizi pubblici straccia la media nazionale: sono 1 ogni 300 abitanti (in sostanza, un centinaio in meno che in tutto il resto del Paese)

Scelti per voi dove mangiare Ristorante Al Lido Una passione tramandata da generazioni, il mare sempre accanto. Inevitabile che la cucina parli di pescato, proposto in piatti tradizionali giuliani e dalmati. Si mangia con 33 euro Via Cesare Battisti, 22 Muggia (Ts) Tel. 040.273338 Locanda Mario Fascino da locale semplice ma curato, dedicato a chi predilige pietanze da raccoglitori, con rane e lumache in primo piano. Anche gagliardi piatti di selvaggina. Pranzo da 25 euro Località Draga Sant’Elia, 22 San Dorligo della Valle (Ts) Tel. 040.228193

dove dormire Grand Hotel Duchi d’Aosta Raffinato gusto mitteleuropeo dove spazi comuni e camere ricordano i fasti dello stile imperiale. Delizioso il thermarium. La doppia parte da 130 euro Piazza Unità d’Italia, 2 Trieste Tel. 040.7600011 Hotel Coppe Un palazzo del settecento ristrutturato in forme architettoniche moderne. L’eleganza non ha epoche. Doppia da 135 euro Via Giuseppe Mazzini, 24 Trieste Tel. 040.761614

Piazza Unità d'Italia con il Municipio e la sua torre dell’orologio elegantemente illuminati. Sulla bella piazza affacciata sul mare, si elevano anche altri incantevoli edifici come la Prefettura ornata di mosaici e arricchita dalla loggia

to è rimasto di quei fasti, a cominciare dalle attività di pubblico esercizio che si svolgono all’interno dei cosiddetti caffè storici. Peraltro la densità di esercizi pubblici straccia la media nazionale, assestandosi su 1 ogni 300 abitanti nel capoluogo (un centinaio in meno che nel resto del Paese) e connotandosi quindi come elemento tipico della triestinità. Ma Trieste fa sentire la propria superiorità anche nel variopinto vocabolario italico per la definizione di caffè, con una miriade di particolarità che vanno dal goccia (un caffè con al centro una goccia di schiuma di latte, un caffè macchiato insomma), al capo (espresso macchiato caldo in tazzina) nelle varianti di capo in b (espresso macchiato caldo servito in bicchiere di vetro sfaccettato), di capo in b special (macchiato in bicchiere di vetro con tanta schiuma e spolverata di cacao), di cibiesse (capo in b

senza schiuma) e almeno una dozzina di altre colorate espressioni. Queste sono solo le premesse di un nuovo slancio, poiché Trieste si prospetta a divenire un centro nevralgico e strategico, dato l’allargamento dell’Europa ad est e il conseguente intensificarsi dei flussi commerciali tra il Mediterraneo e l’Europa centrale. Anche l’interesse per l’arte e la cultura si intensificano, generando atmosfere da crocevia cosmopolita rappresentate dal Centro Internazionale di Fisica Teoretica di Miramare (fondato dal pakistano Abdus Salam nel 1964), dall’Area Science Park di Padriciano (un incubatoio che serve da raccordo tra mondo scientifico e imprenditoriale), dai Centri Studi Elettra Sincotrone di Basovizza, agli osservatori astronomici e geofisici riconosciuti a livello internazionale. Nulla di nuovo per un’antica capitale… novembre 2014

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‘Na tazzulella ‘e Napule di Susanna Paparatti

È difficile da credere ma un tempo, nel capoluogo partenopeo, il caffè, così nero e misterioso, si diceva portasse sfortuna. E sarà forse ancora più sorprendente scoprire che se non fosse stato per gli austriaci, l'aromatica bevanda non sarebbe certo uno dei principali simboli della città. Ma le curiosità non finiscono qui... 108

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Campania

La cuccumella. Il caffè sospeso. Il grande Eduardo e la sua lezione memorabile sulla preparazione della napoletana e “o cuppitello”, il beccuccio di carta che salva l’aroma in caffettiera. La tazzulella messa in musica da Pino Daniele. Se gli italiani, della nera bevanda d’origine esotica, ne hanno fatto un simbolo del loro way of life, i napoletani gli hanno eretto un monumento, arrivando a farla identificare con la loro stessa città. Come la pizza, il Vesuvio e Pulcinella. A Napoli, se i colori sono mille, il profumo invece è uno: quello che ti accoglie appena metti piede nel centro, quello che si leva dalle tazzine fumanti nei bar storici e ti accompagna da Piazza Plebiscito alla vicina Piazza Trieste e Trento – così chiamata nel 1919 dopo l’annessione delle due città allo Stato Italiano, in epoca borbonica era piazza San Ferdinando – cuore della Napoli neoclassica, la stessa che ha visto nascere il Teatro San Carlo, la Galleria Umberto I, e il Gran Caffè Gambrinus, storico fornitore della Real Casa e oggi tappa imprescindibile per chi desideri assaggiare un espresso come Dio comanda. Si narra che qui, nel 1892, Matilde Serao festeggiò la nascita del quotidiano Il Mattino, da lei diretto e fondato assieme al marito Edoardo Scarfoglio. Tra i frequentatori di questo caffè letterario Gabriele d’Annunzio, Oscar Wilde, Ernest Hemingway, Benedetto Croce, Jean Paul Sartre e poi Murolo, Scarpetta, Totò e i fratelli De Filippo.

Tutto merito di Maria Carolina Aperto a fine Ottocento, l’elegante Gambrinus richiama, nelle architetture Liberty delle sue sale, lo spirito dei caffè viennesi e parigini. Stucchi su pareti e soffitti, specchi, lampadari di Murano, dipinti e affreschi. Ma a Napoli, i richiami a Vienna, vanno ben oltre la pura estetica. È proprio alla capitale austriaca infatti che la città deve la sua tradizione più cara, quella che l’ha resa celebre nel mondo. Secondo una delle tesi storiche più accreditate, il caffè sarebbe giunto al seguito di Maria Carolina D’Asburgo-Lorena, venendo intro-

Napoli

Offrilo al prossimo tuo Lo spirito con il quale il napoletano concepisce la parentesi del caffè è ben riassunto nella vecchia pratica del “caffè sospeso” ancora oggi in voga. C’è chi dice che la tradizione sia “nata” perché un signore, avendo appreso di una buona nuova mentre era al caffè, decise di offrirlo a tutti i presenti. Per chi la esercita oggi, la pratica di lasciare pagato un caffè alla cassa – da qui il termine “sospeso” – è soprattutto un modo per consentire di bere una tazzina a chi non può permettersela. Al di là della genesi, resta la poesia di condividere qualcosa con chi non si conosce e forse mai si conoscerà.

L’uomo che ha trasformato la napoletana Quando nel 1979 dalla Alessi gli chiesero di mettere a punto una macchinetta napoletana in acciaio inox, Riccardo Dalisi lavorò sulle sue forme tanto che dalla classica napoletana nacquero numerose sculture in latta e, ovviamente, la macchina per l’Alessi: «Doveva essere per sei persone, mi imposi perché fosse da sei e mezzo, per rispettare la tradizione della nostra mezza tazza – spiega dal suo studio – più tardi feci una napoletana anche per il locale La Caffettiera, e mi si aprì il mondo delle napoletane marionette (serie di personaggi in latta, come Totocchio, sintesi di Totò e Pinocchio, a cui l’architetto-designer diede vita a partire dalla napoletana classica ndr)». novembre 2014

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Secondo una delle tesi storiche più accreditate, il caffè sarebbe giunto a Napoli nel XVIII secolo al seguito di Maria Carolina D’Asburgo-Lorena, venendo introdotto sulle tavole partenopee più come simbolo di potere che per il piacere del suo caldo aroma dotto sulle tavole partenopee più come simbolo di potere che per il piacere del suo caldo aroma. A Vienna infatti i primi Kaffeehaus furono aperti nel ’600 ed entrarono talmente a fondo nella cultura nazionale che per la nuova regina – giunta a Napoli come sposa di Ferdinando di Borbone nel 1768, con la volontà di far prevalere il potere austriaco sulla cultura spagnoleggiante – fu naturale pensare di poter imporre la propria influenza anche attraverso la suadente bevanda. Un’intuizione geniale che forse contribuì a garantire agli Asburgo – con alterne vicende e fino all’avvento di Napoleone – il governo della città, ma che certamente fece entrare il caffè nel cuore dei napoletani, dove sarebbe rimasto per sempre.

La tradizione si rinnova Di locali votati alla “religione del caffè”, non a caso, se ne aprono ancora oggi. Un altro di quelli classici da segnalare è il Gran caffè la Caffettiera a Palazzo Calabritto che, dal 1982, si è imposto come punto di ritrovo fra i più eleganti della città. Ad impreziosirlo è la bellissima macchinetta napoletana che l’architetto Riccardo Dalisi ha realizzato come scultura da esporre. A chi desidera invece gustare una tazzina “alternativa” (ma non nella qualità) suggeriamo il Bistrot Anhelo nel cuore di Chiaia, in Via Bisignano, una location d’atmosfera decisamente hi-tech e raccolta (solo 24 i coperti). 110

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In apertura, una foto storica del Gran Caffè Gambrinus; qui, il Golfo di Napoli e, nella pagina successiva, gli interni del moderno Anhelo

Delizia e trattenimento di Marco Gemelli E se nell’immaginario collettivo è Napoli la città del caffè, diverse e tutte interessanti le teorie (o leggende...) che ci raccontano come la nera bevanda sia diventata un must del capoluogo partenopeo. Storie dalle quali emergono personaggi come Pietro Della Valle, avventuriero del Seicento che nel carteggio col medico partenopeo Mario Schipano e con gli intellettuali del tempo raccontava di una bevanda scura diffusa tra i musulmani e i turchi “come delizia e trattenimento” ogni volta che si riunivano in conversazione, e descriveva il modo di preparare il caffè promettendone una testimonianza: “Quando io sarò di ritorno – scriveva loro – ne porterò meco e farò conoscere all’Italia questo semplice che infino ad ora forse le è nuovo”. E mentre nei decenni successivi a Napoli il nero infuso si consolidava soprattutto come bevanda casalinga, anche a causa delle dispute tra

medici circa i suoi effetti benefici o dannosi, in città come Venezia, Firenze e Roma fiorivano i locali aperti apposta per consumarlo. Per inciso, pare che a sdoganare la tazzina a Napoli sia stato un trattato del 1794 del gastronomo Vincenzo Corrado, che per l’occasione venne impreziosito da una canzonetta a difesa del caffè firmata da don Nicola Valletta, l’uomo che elevò la jettatura partenopea al rango di scienza. Era infatti diffuso il sospetto che il caffè portasse male, scuro veicolo di cattiva sorte, ed era quindi opportuno tirare in ballo un’autorità del settore per contrastare superstizioni e sinistre dicerie. Risultato: come racconta Stendhal, solo tre anni dopo la morte di Valletta il caffè a Napoli era considerato un antidoto contro la jettatura. E all’ombra del Vesuvio come nel resto d’Italia ancora oggi il caffè domina incontrastato come bevanda più amata.


Scelti per voi dove mangiare A’ taverno do’ re Cucina regionale e creativa. Menù medio da 40-50 euro Fondo Supportico di Separazione, 2/3 P.zza Municipio Tel. 081.5522424 Friggitoria Vomero Vero street food partenopeo. Menu da 15 euro Via Cimarosa, 44 Tel. 081.5783130 Zì Teresa Cucina tradizionale di pesce. Menù medio 40-50 euro Borgo Marinari, 1 Tel. 081.7642565

dove dormire Palazzo Decumani Hotel di charme nel centro storico; a novembre in offerta, doppia: 100 euro Piazzetta Giustino Fortunato, 8 Tel. 081.4201379 www.palazzodecumani.com B&b Domus Rosa Tre moderne camere bomboniera in un contesto d’epoca. Doppia da 90 euro Vico Santa Luciella, 3 Tel. 081.5516005 www.domusrosa.it B&b Carafa di Maddaloni Antica dimora nobiliare e centro di arte e cultura. Doppia da 80 euro Via Maddaloni, 6 Tel. 081.5513691 www.bb-carafa.com

È quella delle torrefazioni l'altra faccia della medaglia del caffè partenopeo. Una tradizione di qualità tenuta viva da aziende note a livello internazionale e da piccole realtà familiari che portano avanti da anni una ricerca delle miscele eccellente, quasi di nicchia All'origine dell'aroma Sul Golfo convivono anche alcune fra le maggiori torrefazioni italiane divenute vere e proprie aziende, ma non mancano tuttavia interessanti realtà a conduzione familiare che hanno saputo portare avanti nel tempo una ricerca delle miscele eccellente, quasi di nicchia. Tra queste, dal 1948, c’è Passalacqua, che seleziona le varietà di caffè all’origine e le tosta secondo i gusti partenopei. Il suo caffè viene servito in alcuni bar cittadini, ma lo si può acquistare per uso domestico. Luca Ferrari del Bistrot Anhelo elabora invece da tempo per il suo caffè, marcato “anHeLo”, una selezione di chicchi provenienti da piantagioni bio di Brasile, Centro America ed Etiopia. Una tostatura che si rifà ad alcune “ricette” della tradizione ma con una “messa a punto” personale. Oltre che nel suo locale, si trova anche in pochi selezionati caffè e alberghi italiani e stranieri.

Marinella, cravatte e chicchi Ogni mattina alle 6.30 in punto apre lo storico negozio-laboratorio di cravatte a Riviera di Chiaia. Poi va a prendere un caffè e, da quel momento sino alle 9,30, ne offre a clienti e amici una tazzina accompagnandola con una sfogliatella. Durante la giornata gli altri caffè consumati con i dipendenti costituiscono una pausa d’obbligo: «È un rito che si rinnova da sempre – spiega Maurizio Marinella – sin da quando c’era mio padre, tanto che Matilde Serao paragonò il nostro negozio a una farmacia di paese. Dove tutti potevano incontrarsi e discutere». Fra le sue eleganti e infinite creazioni anche un foulard e una cravatta a tema.

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una città in 24 ore

di Lucrezia Argentiero

dove mangiare Due torri Locali ricavati dalla base di una torre aragonese, un tempo parte della cinta muraria della città. Menù da 25 euro Via Due Torri, 6/8 Tel. 0971.411661 Gran Caffè Nel cuore del centro storico dal 1952, a gestione familiare. Piazza Mario Pagano, 102 Tel. 0971.22824

dove dormire

Potenza in 5 tappe Un volto moderno e un cuore antico. Così appare la città lucana dall’alto dei suoi 819 metri sul livello del mare, record tra i capoluoghi di regione. Vi si arriva grazie alle scale mobili, le più lunghe d’Europa, o salendo infiniti scalini. E da lassù il mondo sembra tutto diverso Bersi un caffè in piazza Prima tappa è Piazza Mario Pagano che divide, in due segmenti uguali, Via Pretoria, uno dei luoghi più amati dai potentini. Vi si affaccia l'ottocentesco Palazzo del Governo, sede degli uffici della prefettura, e il teatro Francesco Stabile con le sue volte affrescate. Di fronte la magnifica chiesa di San Francesco D’Assisi, eretta nel 1274. Poco distante la chiesa romanica di San Michele. D'obbligo infine una sosta allo storico Gran Caffè.

Attraversare il Basento Il ponte Musmeci (il nome lo deve al suo progettista, l’architetto Sergio Musmeci), è concepito come un enorme vegetale, in cui i pilastri sono sostituiti da un’unica struttura a foglia accartocciata, volta a sorreggere la campata. Un’architettura che affascina di giorno ma ancora di più di notte quando si illumina superbamente di una serie di luci al neon che sembrano accompagnare l’andirivieni delle auto.

Visitare la Cattedrale È intitolata a San Gerardo, patrono della città, ed è posta sul punto più alto dell’abitato. All’interno è conservato un sarcofago di epoca romana nel quale, nel 1644, il vescovo Michele De Torres fece deporre i resti mortali del santo. Vale la pena fare anche un giretto nei dintorni tra i vicoletti e le scalinate che portano alla vicina Porta San Gerardo.

Raggiungere il castello di Federico A circa 20 km si trova Castel Lagopesole (così è anche il nome del piccolo borgo che sorge ai piedi del castello ed è una frazione di Avigliano), l’ultimo dei baluardi voluto da Federico II di Svevia, uno dei più belli del sud Italia. A pianta rettangolare, racchiuso fra quattro torri angolari, è posto in posizione collinare e domina l’intera valle. È un Museo narrante: un allestimento multimediale accompagna nell’universo dello Stupor Mundi; la Sala dei Reperti invita a giocare con le quattro postazioni interattive per visualizzare su schermisilhouette i personaggi del tempo, dalla castellana allo scudiero, dal cavaliere allo speziale. www.ilmondodifederico.it

Scoprire antichi tesori Un viaggio nella memoria della civiltà Lucana: è quello che propone il Museo Archeologico cittadino. Fiore all’occhiello della struttura è la Nereide a cavallo di un delfino, una lamina di bronzo raffigurante la ninfa delle acque. 112

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Grande Albergo Struttura di prestigio con ampia vista panoramica sui monti circostanti. Doppia da 115 euro Corso XVIII Agosto, 46 Tel. 0971.410220 www.grandealbergopotenza.it Hotel Pretoria All’interno di un palazzo storico. Poche ma accoglienti camere. Doppia da 75 euro Via XX Settembre, 4 Tel. 0971.37100 www.pretoriahotel.it

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Le macchine da caffè, una storia che viaggia in parallelo con quella dell'Italia

120 Le mani raccontano Dalle mozzarelle alle borse: la Tenuta Vannulo, delle bufale, non butta niente

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• Soste d'arte • Il ristorante • Compagne di strada • Libri letti per voi • Shopping • Il nostro catalogo di Natale novembre 2014

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Storia di una caffettiera di Marco Gemelli

Dalla classica Bialetti degli anni ’50 all’automatica simbolo del “caffè del 2000”: le evoluzioni della “macchinetta per il caffè” hanno seguito e segnato la nostra storia per oltre un secolo. A vincere però è sempre lei: la moka, che con il suo design inimitabile e la ritualità che porta con sé ha ancora il primo posto nel cuore degli italiani

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Per rendersi conto della sua importanza, basterebbe aprire il bagaglio di un passeggero italiano in partenza per l’estero: chissà in quanti casi, tra camicie e pantaloni, troveremmo una macchina per il caffè, magari avvolta al pari di una reliquia pagana. Già, perché se l’espresso è uno dei simboli distintivi dell’italianità in tutto il pianeta, tanto che in Spagna e Portogallo la caffettiera viene chiamata semplicemente “italiana”, la moka – in tutte le sue possibili varianti, dalla cuccuma napoletana in giù – è lo strumento attraverso cui il rito del caffè continua a tramandarsi generazione dopo generazione.

Uno specchio dei tempi Questione di fondi Eppure, anche se oggi per semplicità chiamiamo moka quasi ogni tipo di macchina, di versioni ne esistono diverse: oltre alle più conosciute, ad esempio, ci sono quelle a filtro, a stantuffo, più tutte quelle nate fuori dall’Europa. In fondo, la storia della caffetteria non può che essere strettamente legata alla storia del caffé tout court. Non a caso, il nome moka deriva dalla città di Mokha, nello Yemen, una delle prime e più rinomate zone di produzione della qualità Arabica. Le prime di cui si abbia notizia sono infatti africane: la jabena dell’Etiopia, un bricco di terracotta grezza sormontato da un piccolo beccuccio, e il bollitore turco ibrik (da cui deriva l’italiano “bricco”). Fino a metà Ottocento il metodo di preparazione del caffè più utilizzato era quello di bollirne i fondi, mentre da quella data in poi ingegneri e inventori di mezza Europa si arrovellarono per tentare di risolvere il problema di come separare i fondi dalla bevanda. Fu in quel periodo che, sull’asse tra Torino e Napoli, nacquero o si diffusero le caffettiere moderne: ognuna ha un padre, una data e un luogo di nascita, e spesso una storia degna di essere raccontata.

Nella battaglia tra la tradizione della moka e l’innovazione delle macchine espresso, vince la prima: su 41,7 milioni di italiani dediti al caffè, secondo un’indagine condotta qualche anno fa, il 73% continua a utilizzare la caffettiera casalinga mentre il 27% preferisce la macchina espresso, sia manuale che automatica. Anzi, per certi versi l’evoluzione della macchina per il caffè diventa metafora per raccontare quasi settant’anni di storia italiana: come la diffusione capillare della moka di Bialetti è il simbolo del boom economico, così la macchina espresso manuale è specchio degli anni Ottanta, quella a capsule è icona degli anni Novanta e infine l’automatica – dove basta premere un tasto e aspettare – ha accompagnato l’Italia alle soglie del terzo millennio.

Sull’espresso Napoli-Torino A dispetto del nome, ad esempio, la cuccuma napoletana non trova origine ai piedi del Vesuvio bensì in Francia nel 1819, grazie al parigino Morize, anche se poi ebbe grande diffusione nel capoluogo partenopeo; la prima macchina per il caffè espresso fu inventata dal torinese Angelo Moriondo nel 1884, mentre l’intuizione della prima moka novembre 2014

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terre&tradizioni

Qui, gli interni del Mumac di Binasco con la sua collezione di macchine per il caffè, la più completa al mondo; sotto, il manifesto firmato Leonetto Cappiello. Nelle pagine precedenti, una classsica moka Bialetti, una Condor Extra Lusso del 1926 e una cuccuma napoletana

Piaceri reali In Italia, il miglior modo per scoprire la storia delle caffettiere è una visita al Mumac, tra i più articolati e completi musei al mondo dedicati a questo tema. Allestito all’interno della storica sede del Gruppo Cimbali a Binasco (Milano), il Mumac accoglie una delle più grandi collezioni di macchine per caffè espresso oggi esistenti, la Collezione Maltoni, e rappresenta un tributo al settore della caffetteria Made in Italy, pensato come un viaggio attraverso gli anni: «Lungo le sei sale del percorso espositivo – spiega il curatore Enrico Maltoni, che ha trasformato la sua passione in un’esposizione museale grazie all’incontro col gruppo Cimbali – l’evoluzione delle macchine si svela attraverso oltre un secolo di storia mostrandone al visitatore le trasformazioni sia dal punto di vista del progresso tecnologico, che dello sviluppo industriale e dei mutamenti culturali e di costume. Da gennaio sarà aperta al pubblico una biblioteca con 560 volumi, che comprende testi risalenti al 1580. Il Mumac conserva molti pezzi unici, inclusa una macchina della Condor di Torino usata in un bar di Parigi ma di proprietà di re Vittorio Emanuele, che aveva investito capitali entrando nella società, a dimostrazione del fatto che anche i reali credevano nel successo del caffè espresso». Per saperne di più:

www.mumac.it www.coffeemakers.it

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è merito di un altro piemontese, Alfonso Bialetti, che nel 1933 venne ispirato osservando la moglie fare il bucato con una lavatrice a base di lisciva (un detersivo economico in uso in quegli anni, ndr) il cui meccanismo di funzionamento era del tutto simile a quello che ripropose nella sua caffettiera. Da quel momento, la storia della macchina del caffé segue due filoni distinti e paralleli, legati rispettivamente alla cucina di casa o al bancone del bar, entrambi luoghi di socialità e convivio. Nel primo caso abbiamo la cuccuma napoletana come simbolo della città partenopea e quale suo sacerdote il grande Eduardo De Filippo. Nel caso del bar, invece, al primo brevetto di Moriondo – e all’idea del milanese Luigi Bezzera di commercializzarlo, nel 1901 – fecero seguito pionieri del settore come Desiderio Pavoni e Pier Teresio Arduino, ideatori di macchine che assicuravano velocità di mescita, dimensioni contenute, facilità e sicurezza d’esercizio. Due fattori, la velocità e il metodo di preparazione, che si contendono persino l’etimo della parola “espresso”: alcuni lo intendono nel senso di rapido, altri invece lo fanno derivare da ex presso, premuto fuori, in quanto il processo avviene sotto pressione. Nel secondo dopoguerra il caffé era comunque un business, e ciò dava ampi margini al genio italico. Lo stesso Arduino ideò nel 1951 un carrello trasportabile, il “Carrel bar” che divenne presto presente in ogni stazione ferroviaria, mentre in pieno futurismo aveva affidato al pittore Leonetto Cappiello il manifesto che si può definire ancora oggi simbolo delle macchine per il caffè espresso: un elegante viaggiatore che si sporge da un treno per gustare una tazzina. In tutta risposta, qualche anno più tardi Bialetti commissionò al fumettista Paul Campani l’icona del marchio, il famoso “omino con i baffi” (che è una caricatura dello stesso Bialetti). Negli stessi anni arrivarono altri protagonisti italiani, da Achille Gaggia – ideatore della “crema caffè” più aromatica, sostanziosa e densa dei normali espresso – alla Faema che nel 1961 inventò il primo distributore automatico di caffè espresso all’italiana.


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lemaniraccontano lemaniraccontano

Una bufala nella borsetta di Susanna Paparatti

Nell’insolito contesto di un’azienda casearia famosa per le sue mozzarelle, la Tenuta Vannulo in provincia di Salerno, per dare un senso di continuità alla filiera naturale, è nata una raffinata “bottega della pelle” dove si creano manufatti di alto artigianato che evocano, nelle forme ma anche nei colori e nelle lavorazioni, la vita di campagna e le sue tradizioni 120

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Le borse sono esposte in bella mostra, ordinatamente adagiate sugli scaffali illuminati, così come le valigette da uomo, i portafogli, le cinte e gli svuota tasca, come gli oggetti da arredo e da scrivania. All’apparenza potremmo trovarci in un negozio del centro in qualsiasi città, se non fossimo, invece, in aperta campagna, all’interno della Tenuta Vannulo di Capaccio Scalo, rinomata per la produzione di mozzarelle, formaggi e yogurt ottenuti dal latte delle sue bufale, praticamente a chilometro 0. Dal pascolo alla spalla si potrebbe dire ma, sottolineano gli artefici di tutti questi capolavori, non si tratta delle “loro” bufale: «Le nostre non sono da carne – spiega Nunzia Pecoraro “allieva” di Patrizio Bello, Maestro Artigiano – vivono allegramente per fare annutoli, così si chiamano i loro piccoli, e dare latte, e vivono molto. Il pellame viene dalla Toscana, già sottoposto alla concia, rigorosamente vegetale e pronto per essere tagliato e poi assemblato».A dare forma a ogni idea è un giovane stilista toscano che ha disegnato i modelli della collezione permanente – la clientela affezionata li considera oramai dei must –, alla quale ogni anno se ne aggiungono altri con forme sempre più inconsuete. La pelle prende poi forma sotto le mani esperte dei due che, dopo aver intagliato i pezzi da assemblare, e averli messi uno accanto all’altro come fossero dei puzzle, iniziano la cucitura a macchina e a mano, la rifinitura e la lucidatura finale.

Seguendo ritmi antichi L’idea delle borse e della pelletteria in generale è nata nel 2007 da Antonio Palmieri, titolare della tenuta, proprio per dare un senso di continuità a tutta la filiera naturale. È anche per questo che ogni elemento, che sia una tracolla oppure un accessorio da scrivania, trae ispirazione dagli oggetti di campagna. Ma non si pensi che per questo siano di facile realizzazione rispetto ad altri di griffe famose. La loro è una produzione necessariamente limitata, potremmo dire di nicchia. La borsa che richiama il cestino per le uova, ad esempio, è composta da molti elementi che si ripetono e devono essere identici, nulla è lasciato al caso. Dalla


fuscella per le ricotte invece nasce il portapenne anch’esso complesso, dal basco il portariviste, dai cesti di campagna, la tipica lavorazione intrecciata. La divisione dei compiti, fra allieva e maestro, è organizzata nei minimi dettagli con rituali scanditi: «Che dire, le donne sono più pazienti e certi lavori rientrano nelle loro corde – ci spiega Patrizio, già perito chimico che dal lontano 1996 si è dedicato a questo lavoro con grande passione, in parte seguendo le orme del padre calzolaio – come la smerlatura di alcune borse che Nunzia esegue con precisione certosina». Ci narra che determinati oggetti hanno bisogno anche di alcuni giorni di lavoro, che un conto è tagliare i pezzi di pelle adoperando le fuscelle – sono le sagome ottenute dal cartamodello realizzate poi in ferro, che tagliano a pressione – un altro è farlo manualmente tagliando, seguendo quelli di cartone. Qui mano ferma e precisione sono d’obbligo e Nunzia d’altronde prima era ricamatrice: vogliamo parlare di precisione? Fra i vezzi che contraddistinguono l’intera gamma spicca in rilievo la “V” di Vannulo. All’apparenza ottenuta con un punzone che ne imprime la lettera ma talvolta l’alchimia dei mastri pellettieri va lontano e, a seconda dei casi, la ottiene inserendo sotto la pelle dei rialzi sagomati. Comunque

dove&come Tenuta Vannulo Via Galileo Galilei, 101 c/da Vannulo Capaccio Scalo (Sa) Tel. 0828.727894 www.vannulo.it

Nelle foto le varie fasi della vita del pellame di bufala, dal laboratorio al prodotto finito. A colpire sono la paziente lavorazione artigianale e i colori naturali

chi desidera vederli all’opera non ha altro da fare che sbirciare nel laboratorio, dove si è accolti con allegria. Rifuggano però da questa bottega gli amanti dei colori sgargianti, il rosso, il verde, il blu o, anatema, il viola. Qui anche la mazzetta cromatica segue e rispetta la natura, usando solo pellami che non vengono alterati con cromie “imposte”, andando dal cipria al beige chiaro sino, volendo essere proprio audaci, al marrone. Il pellame “respira”, non ha subito alcun trattamento oltre la concia e la tinta. Ogni movimento nel laboratorio segue ritmi antichi, a garantire l’eleganza delle rifiniture; dalla ritualità dei passaggi, la regolarità e la pulizia delle cuciture perché, spiegano ancora, nulla di peggio che vedere borse rifinite da punti irregolari o malfermi. novembre 2014

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soste d’arte

di S elfuoco Gilvana ilda CD iaruffoli

Un castello per San Sebastiano di Silvana Sono oltre 40 i capolavori ospitati dallaDelfuoco Fondazione Cosso all’interno delle ristrutturare stanze del maniero di Mirandolo, gioiello immerso in un giardino di camelie e rose antiche Si vede che era destino, per il neo gotico castello di Miradolo, immerso in uno dei più lussureggianti parchi romantici del Piemonte, di proseguire nella sua vocazione di dispensatore di bellezza. Così lo aveva voluto tra fine Ottocento e primo Novecento la contessa Sofia di Bricherasio, che tra le sue mura era cresciuta. Un tempo semplice cassina di campagna, trasformata in castello da suo padre, era diventato, grazie all’impegno di Sofia e di suo fratello Emanuele, un vivace cenacolo artistico tra il Pinerolese e il Torinese. E questo il castello è tornato a essere oggi, ancora una volta grazie alla sensibilità femminile, quella di Maria Luisa Cosso e di sua figlia Paola Eynard. Sono loro ad averlo restituito alla sua antica vocazione, riaprendolo nel 2008. «Quando l’ho visto per la prima volta era piuttosto malmesso – ci ha raccontato la signora Cosso – ma sapevo già che era quella la sede giusta per l’idea che accarezzavo da molto tempo: dar vita a una Fondazione, che diffondesse cultura a favore del territorio». E così, fiore all’occhiello della Fondazione Cosso sono diventate le mostre d’arte, sempre frutto di un grande lavoro di ricerca. Ultima in ordine di tempo San Sebastiano – bellezza e integrità nell’arte tra ’400 e ’600, a cura di Vittorio Sgarbi. Oltre quaranta i capolavori esposti, dalla terracotta invetriata di Andrea della Robbia, ai quadri di Tiziano, Rubens, Guercino, Guido Reni, Luca Giordano... 122

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The Factory Photographs In oltre trent’anni David Lynch ha fotografato i monumenti decadenti dell’industrializzazione, rovine di un mondo che va scomparendo. Le fotografie in bianco e nero testimoniano la sua fascinazione per le fabbriche, la passione quasi ossessiva per comignoli, ciminiere e macchinari, per l’oscurità e il mistero. Centoventiquattro le opere esposte tra foto e video. fino al 31 dicembre Mast Via Speranza, 42 – Bologna www.mast.org

Marc Chagall. Una retrospettiva È la più grande mostra mai dedicata in Italia al maestro russo, con oltre 220 opere realizzate a partire dal 1908, data in cui realizzò il primo quadro, Le petit salon, fino alle ultime, monumentali opere degli anni ‘80, capolavori spesso inediti ed esposti qui per la prima volta o provenienti dai maggiori musei del mondo. fino all’8 marzo 2015

fino all’1 febbraio 2015

Castello di Miradolo San Secondo di Pinerolo (To) www.fondazionecosso.com

Palazzo Reale Piazza del Duomo, 12 – Milano www.comune.milano.it/palazzoreale



il ristorante

di Maddalena Baldini

Lo chef che guarda il mare Ne parla anche lo scrittore latino Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, elencando una serie di bellezze paesaggistiche, dalle viti agli olivi, fino a descrivere il mare e i colori delle acque. Siamo a Marina del Cantone, nella parte finale del Golfo di Napoli, l’ultimo tassello di un mosaico che abbraccia Sorrento, Positano e la Costiera Amalfitana. Luogo di pescatori, scogliere e mare azzurro, che sono un tutt’uno con la vita dei suoi abitanti. Come la famiglia CapuUn locale dove la raffinatezza to, un'istituzione nella ristorazione losi sposa con le delizie di una cucina cale. A partire dal nonno Alfonso, provivace e fantasiosa: nulla di più bello prietario di una salumeria, di un che scoprire l’originalità dei piatti piccolo forno e di un frantoio, passando per il figlio Salvatore, al quale va il di Alfonso Caputo mentre merito di aver inaugurato il ristorante dalla terrazza si domina il Tirreno La Taverna del Capitano, fino ad Alfonso Caputo, nipote del capostipite, chef del ristorante di famiglia che vanta oggi due stelle Michelin. «La mia è una passione spontanea – ci racconta Alfonso – devo molto a mia madre, abilissima nel selezionare le materie prime, i prodotti locali e anche ai fornelli: è lei che più di tutti ha fatto nascere in me l'amore per la ristorazione». Cenare alla Taverna del Capitano significa assaporare la tradizione enogastronomica campana alla sua massima espressione: «l’attenzione alle materie prime è sempre alta – prosegue Alfonso – Tutto quello che arriva nella mia cucina è sottoposto a una rigida “se124

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lezione all’ingresso”». Ed è stata proprio questa attenzione alla qualità a far innamorare la professoressa Marialuisa Lavitrano, curatrice del Cluster del riso di Expo 2015, che ci ha suggerito entusiasta la cucina di Caputo. «Qual è il piatto che la professoressa ha preferito? – ci racconta soddisfatto lo chef – Le Linguine di Alfonso, fatte con semola di grano duro, alghe di mare rosse, con fegato e crudo di polpo. Un concerto di ingredienti che hanno trovato un perfetto sodalizio del piatto, nel quale aggiungo osso di seppia grattugiato per conferire sapidità». Un'attenzione tutta particolare è rivolta anche alla carta dei vini, e il consiglio di Alfonso ricade sulla produzione locale: «La Costiera Amalfitana vanta vini eccellenti – conclude infatti – e ogni turista, a parer mio, dovrebbe degustare i prodotti che escono dalla cantina di Marisa Cuomo e dall’Abbazia di Crapolla».

dove&come La Taverna del Capitano Piazza delle Sirene, 10/11 Marina del Cantone Massalubrense (Na) Prezzo medio: 80 euro Tel. 081.8081028 www.tavernadelcapitano.it



compagne di strada

di Francesco Condoluci

Hyundai i40: anche i coreani hanno la loro “maggiorata” Uomini d’affari e professionisti "in cravatta regimental" siete avvisati: c'è una nuova signora in città, bella, solida e sicura di sè. Noi l'abbiamo portata in vacanza in Campania e il viaggio è stato davvero un piacere Fosse una bella donna, potrebbe essere una seducente pin-up, come Rita Hayworth ad esempio, l’indimenticabile rossa protagonista del film Gilda. Forme generose ma non ingombranti, linee flessuose e tentatrici, passo felpato e un colpo d’occhio così elegantemente sexy da far girar la testa a chiunque, in particolare uomini d’affari e professionisti in cravatta regimental. Gente dal palato fino e le esigenze sofisticate. Eh sì, la Hyundai i40 Wagon è proprio un gran bel “tocco” di automobile. Una “signora macchina”, di quelle che ovunque ti lasci portare, ti fa fare un figurone. Nei grandi spazi e nel traffico urbano, nei viaggi a lunga percorrenza e nelle occasioni mondane. La casa coreana l’ha disegnata su misura per i gusti europei, infatti è stata progettata e viene prodotta in Germania. VdG ne ha testato la versione “business”, quella con motore turbodiesel 1.7 e 136 cavalli di potenza: il top della serie. Ricavandone un’impressione a tratti stupefacente. La sua lunghezza, 477 cm, le dona una comodità insuperabile dentro l’abitacolo – moderno, attrezzatissimo, finemente allestito e con un divano posteriore così largo che pare di stare in salotto – e ovviamente anche nel baule, di capacità superiore alla media e assai pratico, con la soglia a soli 59 cm da terra. E tutto que126

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sto senza andare a discapito del design, affusolato e, come detto, gradevolissimo alla vista. Alla guida, la i40 ha rivelato altresì uno sterzo preciso, una sicurezza invidiabile e un comfort assolutamente eccellente, specie nei lunghi rettilinei che abbiamo percorso per arrivare fino in Campania, ma senza deludere tuttavia anche nelle curve e nelle controcurve. Anzi. Il potente motore 1.7 CRDi ha assicurato quel vigore adeguato alla stazza della nostra “maggiorata” di origine orientale, che anche in termini di consumi riesce a farsi apprezzare. La “Business”, non a caso, ha come target ideale i viaggiatori da migliaia di chilometri all’anno. Gli appassionati di tecnologia gradiranno invece le dotazioni minuziose dell’equipaggiamento full optional: dalla plancia multimediale all’avviso di cambio involontario di corsia, dai sensori di parcheggio anteriori e posteriori alla telecamera di retromarcia. Se decidete insomma di portarvi a casa la bella coreana, sappiate che il costo sarà più che proporzionato al piacere che ne ricaverete. Anche perché Hyundai vi garantirà per 5 anni senza limiti di chilometraggio e con assistenza stradale inclusa. Hyundai i40 Wagon 1.7 CRDi 136 CV Business Prezzo di listino: 31.650 euro



libri letti per voi

di Eleonora Fatigati

Per esploratori ribelli e curiosi

Peposo, acquacotta e fantasmi Andrea Gamannossi torna a mischiare mistero e cucina, aggiungendo un pizzico di tradizioni toscane per insaporire il tutto! Con quale evanescente creatura evocata nei tuoi racconti andresti a cena? Sicuramente la fata del racconto Dolce come una vaniglia, creatura generosa e bellissima che, grazie ai suoi poteri, riesce a salvare la vita a un bambino malato Qual è la gita fuori porta tra mistero e gola che ci suggeriresti? Sceglierei di visitare Volterra, nota da sempre come città magica. Sembra che fin dall’antichità fosse luogo d’incontro delle streghe di Mandriga, che vi celebravano il rito del Sabba. E poi, dentro le antiche mura, possiamo gustare le ricette di una volta, a base di selvaggina, legumi e verdure. C’è un ingrediente “segreto” o “misterioso” che rende i piatti della tradizione toscana così eccezionali? Le antiche origini, che conferiscono ai piatti toscani quel certo “non so che” che li rende unici. E la bontà degli ingredienti che provengono proprio da questa terra. Sarnus Edizioni 167 pg 15 euro

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Elogio della malerba Chiediamo a Nino Costa e Serenella Amadori di raccontarci la loro passione per la botanica applicata alla cucina. Perché dedicare un libro alle erbacce? Perché si sta estinguendo la conoscenza di queste erbe, delle loro proprietà, dei loro utilizzi, soprattutto in cucina. Le erbacce sono i precursori delle piante che seminiamo nei nostri orti o che compriamo al mercato. Sono le “fondatrici” dell’agricoltura: come i chenopodi selvatici (bietola selvatica, farinaccio, amaranto), per esempio, che si sono trasformati in bietole, barbabietole, spinaci, quinoa. Come è strutturata la guida? Dopo un breve elogio delle malerbe, vengono sinteticamente descritte le piante utilizzate nelle ricette che chiudono il libro. C’è un’erba che amate più delle altre? Io (Serenella, ndr) amo in particolare le insalatine: sono buonissime e mi ricordano le prime raccolte da bambina assieme a nonna Rosina, che tanta importanza ha avuto nella mia vita. Effequ 156 pg 12 euro

Viaggio appassionato e guida minuziosa per chi ha voglia di scoprire una Roma insolita, che si nutre della forza dei personaggi che descrive e di cui ripercorre le gesta. Oltre alla “grande bellezza”, agli occhi sornioni della politica e ai fasti papalini, gli autori Rosa Mordenti, Viola Mordenti, Lorenzo Sansonetti e Giuliano Santoro regalano ai lettori una nuova prospettiva di ricerca storica narrando gli episodi e i luoghi della ribellione romana: dal caffè Greco di via Condotti che ospitò tantissimi geni, tra cui uno degli ultimi ribelli del nostro secolo, Andrea Pazienza, alla chiesa medievale meglio conservata in città, quella Basilica dei Santi Quattro Coronati dedicata all’opera e al martirio di quattro scalpellini cristiani. Dai quartieri popolari della Resistenza, alla Casa dei bambini della Montessori, ai punti di ritrovo dei movimenti studenteschi. Roma è stata ed è ancora un’officina brulicante di volti e percorsi, eco lontane ma straordinariamente presenti grazie alle ricostruzioni storiche meticolose degli autori e alle mappe precise, divise per quartiere, di cui è corredato il manuale. Per viaggiatori curiosi e dallo spirito ribelle. Voland 377 pg 16 euro


Montepremi totale: € 14.000 – Termina il 20 novembre – Assegnazione finale entro il 12 dicembre 2014 – Info e regolamento completo su www.virginradio.it


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di Irene Tempestini

It’s (not) too late Se siete dei ritardatari perenni, non potrete fare a meno del nuovissimo orologio Dude. Disponibile in diversi colori, è dotato di cinturino regolabile, realizzato in morbido silicone, e ha uno schermo grande e luminoso, ideale per leggere l’ora anche con poca luce. Inoltre grazie a Dude non dovrete più temere gli acquazzoni: è water resitant. Prezzo Dude: 39,99 euro; Dude Fat: 45 euro

L'inverno s'illumina Vi proteggerà dal freddo il cappello pensato da Le Camp per la stagione invernale, in città o in montagna. Non solo utile, questo accessorio è anche di tendenza grazie alla particolare applicazione gioiello posta sul lato e allo spiritoso pon pon. Prezzo: 79 euro

Stile sicuro La giacca firmata Emporio Armani è il capo ideale per essere sempre eleganti e alla moda in ogni situazione. In ufficio vi garantirà stile e serietà, mentre se abbinata a una paio di jeans potrete sfruttarla per i vostri aperitivi con le amiche. Prezzo: 550 euro

Come veri artisti Iniziamo a pensare al Natale? Nella wishlist dei vostri bambini non potrà mancare Photo Pixel Art. Questo divertente puzzle composto da chiodini colorati permette di riprodurre le proprie foto come un’opera d’arte. Come realizzare i vostri capolavori? Il procedimento è semplice: basta caricare la foto da riprodurre sul sito www.quercettiart.it, seguire le istruzioni per stampare le schede guida da posizionare sulle tavolette e quindi riempirle con i chiodini. Ideale per liberare l’artista che è in voi. Prezzo: 42 euro

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Chic fin nei dettagli È dedicata alle fashion victim e a tutte coloro che non vogliono mai passare inosservate la simpatica cover di i-Pant. Realizzata in silicone, è adornata da una stilosa scarpa con il tacco che conferisce alla cover un effetto 3D. La suola rossa della scarpa crea un piacevole contrasto con il resto della custodia a tinta unita. Prezzo: 19,99 euro


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di Maddalena Baldini

Per chi vuol essere Smart Promuovere, intrattenere e informare. Come è possibile farlo contemporaneamente? Samsung propone lo Smart Signage Tv, la tecnologia adatta per tutte le attività commerciali

Un nuovo supporto di “comunicazione” nasce in Samsung, è lo Smart Signage Tv, un incrocio intelligente tra una televisione e uno schermo Large Format con il quale è possibile intrattenere ogni tipologia di clientela. Una tecnologia adatta per tutte le attività commerciali, bar, ristoranti, studi medici, palestre e negozi. Lo Smart Signage Tv è dotato di tutto ciò che serve per informare e per intrattenere visto che su una parte dello schermo sarà possibile vedere i normali programmi televisivi e sull’altra saranno trasmessi i messaggi promozionali. Un sistema alternativo per modernizzare un esercizio commerciale con la possibilità di dare sempre informazioni alla clientela di passaggio e di aggiornare in maniera costante chi è già fidelizzato. Uno strumento dalle molte funzioni, sempre al passo con le attività commerciali, in una sintonia perfetta tra la qualità della tecnologia Samsung e la volontà di intrattenere, informare e promuovere in modo differente e alternativo. Con uno strumento solo si potranno così ottenere il massimo dei risultati visto che lo Smart 132

novembre 2014

Signage Tv è facile da Un'idea accattivante per ogni locale programmare, i cono negozio al passo con i tempi: tenuti si aggiornano con semplicità e il deè la tv che intrattiene e informa, grazie al suo sign elegante e raffischermo in grado di trasmettere nato regala un tocco contemporaneamente il programma preferito di classe alla struttura commerciale. Gli e l'informazione promozionale schermi degli Smart Signage Tv sono in grado di funzionare fino a 16 ore al giorno senza interruzioni, anche in condizioni di elevata temperatura o umidità, e per questo sono più durevoli dei tradizionali televisori progettati invece per funzionare fino a un massimo di 8 ore giornaliere. Inoltre, questa affidabilità è confermata anche dalla garanzia di 3 anni. Affidabilità completa anche dal punto di vista tecnico Samsung Electronics Italia con una risoluzione di 1920x1080 Full HD, luVia Donat Cattin, 5 minosità di 350 nit, 256 Mb di memoria dispoCernusco sul Naviglio (Mi) nibile, WiFi e Access Point integrati, supporto www.samsung.com da tavolo e kit mini-staffe da parete.



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Le 3 azioni giuste per vendere il prodotto Il mercato giusto

Una fiera permanente di vini e cibi italiani AÉ>iVa^V jc ^bbZchd Z higV" dgY^cVg^d WVX^cd Y^ egdYdi" i^ V\gdVa^bZciVg^ igdeed ed" Xd XdcdhX^ji^ Z bVa Y^hig^Wj^i^# BVa\gVYd jcV YdbVcYV Xdc ediZco^Va^i| Y^ XgZhX^iV ^aa^b^iV" iV! cdc hZbegZ aÉd[[ZgiV g^ZhXZ V gV\\^jc\ZgZ ^a bZgXVid#

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MondoVdG I nostri eventi, le iniziative e il meglio dei prodotti enogastronomici italiani selezionati per voi e disponibili presso i nostri store


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I “giganti” della genuinità Poco distante dal sito archeologico di Mont'e Prama, presso lo Stagno di Cabras e il Golfo di Oristano, l’azienda Sa Marigosa è oggi la più importante Organizzazione di Produttori di meloni, angurie e carciofi in Sardegna

L'azienda Sa Marigosa sorge nella Penisola del Sinis, tra lo Stagno di Cabras e il Golfo di Oristano. È nata nel 1986 come società giovanile agricola, cui core business era (ed è) garantire la migliore qualità dei prodotti ortofrutticoli attraverso l’attento controllo di tutte le fasi della filiera produttiva. L’amore per i prodotti del Sinis è l’ingrediente fondamentale dell'attività aziendale, e ha permesso a questa piccola realtà di diventare oggi la più importante Organizzazione di Produttori di melone, anguria e carciofo in Sardegna, con altissime produzioni di diverse cultivar, tra cui spicca il carciofo Spinoso di Sardegna Dop. Per offrire un prodotto di assoluta eccellenza e per il consolidamento di una filiera controllata e trasparente, l’azienda ritiene di fondamentale importanza il bagaglio di esperienza decennale che il personale interno e i collaboratori hanno accumulato, vero valore aggiunto delle produzioni Sa Marigosa. Così come lo sono la ricerca di nuove tecnologie e l’utilizzo di tutti i possibili metodi e mezzi produttivi e di difesa dalle avversità delle produzioni agricole, volti a ridurre al minimo l’uso di agrofarmaci e a razionalizzare la fertilizzazione, nel rispetto dei principi ecologici.


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Linea del Fresco Una terra che fa la differenza Due le linee di prodotto che nascono da questa filosofia, quella dei Freschi e quella dei Sott’olio, entrambi realizzate con materie prime raccolte da campi di proprietà, inseriti in una sorta di paradiso di fertilità, dove l’agricoltura ha avuto sempre un ruolo cruciale nella storia e nell’economia del territorio. Siamo nell'estremità nord-occidentale del Campidano, una terra che presenta caratteristiche climatiche e pedologiche uniche in Sardegna. Il terreno, di origine vulcanica, è costituito da sedimenti di origine marina e basalti effusivi, formatisi circa 35 milioni di anni orsono. Rocce sedimentarie, calcari e arenarie, dunque, caratterizzano il terreno arricchendolo di componenti saline e minerali uniche, che lo rendono adatto alla coltivazione di svariati prodotti agricoli, conferendogli un gusto e una tipicità particolari. Il clima, tipicamente mediterraneo, è mitigato dal mare e dagli stagni di Cabras, che svolgono un’importantissima funzione termoregolatrice, creando le condizioni ideali per una molteplicità di specie vegetali e animali, alcune delle quali rappresentano una caratteristica esclusiva di questo territorio. Come in tutte le zone marine pianeggianti, l’escursione

L’amore per i prodotti del Sinis è l’ingrediente fondamentale dell'attività Sa Marigosa, e ha permesso a questa piccola realtà di diventare oggi la più importante Organizzazione di Produttori di melone, anguria e carciofo, in particolare del carciofo Spinoso di Sardegna Dop termica giorno/notte è assai limitata e le temperature medie giornaliere oscillano tra i 10° di gennaio e i 24° di luglio, con una media annuale di 17,6 °C. Le brinate sono molto rare e le nevicate quasi assenti. Gli apporti idrici annuali, dovuti a precipitazioni di carattere piovoso, alla rugiada e a sporadiche grandinate, presentano una distribuzione annua notevolmente irregolare, con un picco importante durante la stagione invernale e un’assenza quasi totale di piogge nel corso dell’estate. Il giusto grado di umidità bilancia perfettamente la stagione calda con le piogge invernali, e l’evaporazione delle acque dolci e lagunari favorisce la circolazione dell’aria grazie a una benefica brezza marina. Le caratteristiche uniche di questo territorio sono oggi preservate e valorizzate nell’Area Marina Protetta del Sinis, un riconoscimento importante, voluto dall’Unione Europea, che rappresenta il simbolo di questo splendido scorcio della Sardegna centro occidentale. Non dimentichiamo infine la ricchezza culturale di questo lembo di isola: è infatti proprio nei pressi dello stabilimento di produzione Sa Marigosa che si può ammirare il sito archeologico di Mont'e Prama, dove sono stati ritrovati i famosi Giganti di Sardegna.

Carciofo nelle tipologie: Spinoso di Sardegna Dop, Tema, Violetto, Romanesco, Madrigal, Terom, Sambo. Melone nelle tipologie: Cantalupo a polpa arancione e Piel de Sapo, tradizionale sardo, a polpa bianca. Angurie nelle tipologie: Crimson, Baby Sugar e Regina del Sinis “Senza Semi”.

Linea Sott’olio Carciofo Sott’olio in molteplici ricette, in olio di semi di girasole e in olio extra vergine d’oliva italiano. Peperoni in agrodolce, zucchine e melanzane sott’olio. Creme spalmabili di: carciofo, melanzana e peperone; e lavorazioni più elaborate come i peperoncini ripieni con crema di carciofo e muggine affumicato, la crema di carciofo con bottarga di muggine e la crema di carciofo con muggine affumicato. Sa Marigosa S.P. 7 km 5,900 Riola Sardo (Or) Tel. 0783.290945 www.samarigosa.it


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Cantina Tollo: un sorso di natura Ambasciatrice delle eccellenze vinicole abruzzesi nel mondo, dagli Anni ’90 è tra i maggiori produttori italiani di vini biologici

Cantina Tollo Viale Garibaldi, 68 Tollo (Ch) Tel. 0871.96251 www.cantinatollo.it

Nel territorio compreso tra le attuali città di Pescara, Chieti e Ortona, al cui centro sorge Tollo, la coltivazione della vite ha origini antichissime. È qui, fra le verdi colline abruzzesi che digradano dalle catene appenniniche verso l'Adriatico, che nel 1960 nasce Cantina Tollo, grazie alla volontà di un piccolo gruppo di promotori di valorizzare le eccellenze del proprio territorio. Con oltre 3 mila ettari coltivati a vigneto, Cantina Tollo è oggi tra le più importanti realtà vitivinicole italiane, e tra i principali protagonisti della grande ascesa che coinvolge l'intera viticoltura abruzzese. Da oltre cinquant’anni l’azienda pone al centro della propria strategia lo sviluppo della qualità, cui deve il raggiungimento degli importanti successi conseguiti, a livello internazionale oltre che nazionale. La passione per la qualità si traduce anche nel rispetto del territorio e del consumatore, che vuol dire attenzione alla sostenibilità nelle sue diverse accezioni, ambientale in primis. Per questo oggi Cantina Tollo è tra i maggiori produttori italiani di vini biologi-

ci: l’azienda ha attuato politiche di riconversione produttiva sin dai primi Anni ’90 e oggi sono 50 i viticoltori impegnati sul fronte del bio. I loro vigneti si estendono dalle colline del litorale alle pendici della Maiella per 237 ettari, con una potenzialità di 45/50mila quintali di uve. In un microclima ideale, caratterizzato dalle miti brezze marine e dalle fresche correnti montane, nascono vini attenti alle esigenze di un consumatore sempre più informato, come l’Heliko Trebbiano d’Abruzzo Dop senza solfiti aggiunti, il Montepulciano d’Abruzzo Dop Biologico e il Trebbiano d’Abruzzo Dop Biologico. Vini improntati alla naturalità e al benessere del territorio, dell’ambiente e della persona. Un impegno riconosciuto e premiato dal mercato, come dimostrano le 100 mila bottiglie di vini biologici vendute nel 2013 (triplicate rispetto al 2012). «L’impegno nella produzione della qualità ci ha premiati sia sui mercati nazionali sia all’estero», commenta Andrea Di Fabio, Direttore Commerciale e Marketing di Cantina Tollo. «Lavoriamo con passione utilizzando gli strumenti dell’innovazione e della ricerca scientifica che ci permettono di avere rese limitate dai vigneti e tecniche di viticoltura a basso impatto ambientale, al fine di produrre vini rispettosi dell’ambiente e del consumatore».


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Genuini sapori d’Abruzzo Terra affascinante e misteriosa, in questa regione nel cuore dell’Italia i prodotti della tradizione portano con forza la loro testimonianza. Qui nulla sembra essere fuori posto, dal mare alla montagna (dal bicchiere al tagliere) lungo un sentiero che conduce a una tavola conviviale

L’autunno abruzzese ha i colori e i profumi decisi del Montepulciano d’Abruzzo Dop. E nella terra amata e cantata da Gabriele D’Annunzio, dove il Gran Sasso e la Majella vegliano su abbazie, monasteri e castelli, e l’orizzonte ha il respiro e il profumo del mar Adriatico, il Montepulciano d’Abruzzo Dop prende il nome di Riserva Cagiòlo, rosso vanto della Cantina Tollo che dal 1992 lo produce con successo. Uve di Montepulciano in purezza regalano al Cagiòlo un colore rubino con riflessi viola, per un vino che all’ossigenazione si apre regalando sentori di frutta matura, more e ciliegie in primis, alle quali seguono sensazioni speziate per chiudere con accenni di cacao e liquirizia. L’affinamento, prima in barrique per 12 mesi e per un altro anno in bottiglia, regala corpo e struttura ma senza eccessi di spigolosità anzi, al gusto mostra un tannino morbido e vellutato completato dagli aromi fruttati che rientrano nel finale di gusto. Nulla di più adatto che affiancare a una Riserva di Montepulciano il sapore stuzzicante e gradevolmente piccante della Ventricina del Vastese. Un insaccato simbolo dell’intera regione, composto da un minimo di carne suina all’80% più un 20% di grasso. La carne deve essere rigorosamente tagliata a punta di coltello per formare

dei cubetti di 3-4 cm circa ai quali si mescola un trito dolce di peperone, una percentuale di peperoncino e un’aggiunta di finocchietto. L’impasto dopo essere stato a riposo per 48 ore viene insaccato – un tempo si usava lo stomaco/ventre del maiale, dal quale ha poi preso il nome – e lasciato a stagionare almeno per 120 giorni. Il risultato finale è un salame a grana grossa, con un peso variabile da 1 a 2 kg, dalla forma che richiama un ovale, assimilabile a quella del culatello. Al taglio mostra un colore aranciato, dato dal peperoncino, e si possono distinguere i pezzi di carne magra e quelli di grasso presenti nell’impasto. Il sapore e i profumi speziati si legano alle note dolci della carne, in un concerto di sapori che ci regala un punto di vista unico e indimenticabile sull’Abruzzo e i suoi tesori.

Cantina Tollo Viale Garibaldi, 68 Tollo (Ch) www.cantinatollo.it Salumificio Sorrentino Via Cuna Re di Coppe, 9/11 Mozzagrogna (Ch) www.salumisorrentino.com


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Echi etruschi dal cuore d’Italia Con la sua gamma unica di vini provenienti da tenute site in Umbria e Toscana, Tenute del Cerro ci porta a scoprire e assaporare la più autentica gioia di vivere italiana

Rappresenta oggi la concretizzazione di un grande progetto enologico, Tenute del Cerro. Un progetto che considera l’agricoltura nella sua accezione migliore, ponendo al centro la Natura e le sue espressioni locali con l’obiettivo di valorizzarne le caratteristiche per produrre alcune tra le eccellenze italiane più apprezzate al mondo. Ad oggi il Gruppo conta 5 tenute di cui 4 vitivinicole, in due tra le più importanti regioni dell’Italia enologica (Toscana e Umbria) con quasi 5 mila ettari di terreno di proprietà, dei quali circa 300 corrispondono a vigneti. Un patrimonio che costituisce l’anima profonda delle Tenute del Cerro che il management dell’azienda ha posizionato al centro di un designo volto a configurare sempre di più ogni cantina come ambasciatrice della sua denominazione. I riconoscimenti che la stampa italiana e internazionale hanno attribuito al Vino Nobile di Montepulciano Fattoria del Cerro, al Brunello di Montalcino La Poderina, al Montefalco Sagrantino Còlpetrone, al Vermentino e al Val di Cornia Monterufoli sono il frutto di un lavoro costante in armonia con il territorio e dell’impegno di uno staff altamente qualificato e intimamente legato alla storia dei vini che ogni cantina produce. Il Sangiovese, il Sagrantino e tutti gli altri vitigni specifici di ogni tenuta, prima ancora di essere la base fondamentale di un progetto commerciale, sono soprattutto elementi imprescindibili del vivere quotidiano degli uomini e delle donne che lavorano in azienda. È questo personale senso di partecipazione che spiega anche il profondo legame che Tenute del Cerro ha voluto esplicitare nella sua nuova brand identity, che nel packaging e nelle etchette dei suoi prodotti attinge dalla storia degli Etruschi per costruire una marca ricca di passato ma che guarda al futuro con un linguaggio nuovo che va oltre gli stereotipi del mondo del vino e sa differenziarsi dallo stile classico delle etichette italiane. Dal cuore dell’Italia la volontà manifesta delle Tenute del Cerro è quella di offrire una gamma unica di vini per permettere ad ogni appassionato di scoprire ed assaporare la più autentica gioia di vivere italiana.

www.tenutedelcerro.it - www.drinktoremember.it



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