Sant'Angelo in Lizzola 1047-1947. Luoghi, figure, accadimenti

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Comune di Sant’Angelo in Lizzola

Comune di Sant’Angelo in Lizzola

Cristina Ortolani

Sant’Angelo in Lizzola (1047-1947). Luoghi, figure, accadimenti

Cristina Ortolani

Sant’Angelo in Lizzola 1047-1947 Luoghi, figure, accadimenti





Comune di Sant’Angelo in Lizzola

Cristina Ortolani

Sant’Angelo in Lizzola 1047-1947 Luoghi, figure, accadimenti


Comune di Sant’Angelo in Lizzola

Provincia di Pesaro e Urbino

Cristina Ortolani Sant’Angelo in Lizzola 1047-1947. Luoghi, figure, accadimenti Comune di Sant’Angelo in Lizzola, 2011-2013 In copertina: Sant’Angelo in Lizzola, 1913. Gruppo di Santangiolesi alla Villa Marcolini (fotografia Cesare Lardoni); Il castello e la torre, 1916 circa (fotografia Uguccioni). Entrambe le immagini provengono dall’Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio Giovanni Gabucci Le immagini e i documenti riprodotti appaiono con l’autorizzazione degli aventi diritto. Il materiale raccolto è stato inserito con la massima cura; i responsabili della pubblicazione si scusano comunque per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti, e restano a disposizione degli aventi diritto per le immagini di cui non è stato possibile rintracciare i titolari del copyright. Testi originali di Cristina Ortolani: © Cristina Ortolani, il copyright delle immagini è dei singoli proprietari Informazioni: Comune di Sant’Angelo in Lizzola, tel. 0721 489711; www.comune.santangeloinlizzola.pu.it La pubblicazione è disponibile online all’indirizzo www.cristinaortolanistudio.it


Sant’Angelo in Lizzola: uno sguardo nel passato... e uno sul futuro Apprezziamo ancora una volta lo sforzo editoriale di Cristina Ortolani, curatrice del libro e ormai cittadina santangiolese onoraria, che dopo Montecchio: un paese lungo la strada e diverse altre pubblicazioni dedicate al nostro territorio, al territorio dei Comuni dell’Unione Pian del Bruscolo e alle donne, agli uomini, alle comunità che questo territorio vivono, torna per regalarci un piccolo ma importante passo nella nostra storia locale. Ma il nostro, oltre che un apprezzamento, è anche una soddisfazione per il compimento di un impegno che abbiamo preso durante la nostra esperienza amministrativa: la storia del paese di Sant’Angelo in Lizzola. Leggendo le pagine del libro mi vien da dire subito che il nostro non è un paese qualsiasi (e ne sono stato sempre convinto) e che dobbiamo essere consapevoli di chi siamo e di quel che possiamo fare come cittadini di uno splendido paese. Il lavoro che viene offerto a tutti i cittadini permette di ripercorrere le tappe più significative della storia recente e meno recente del nostro territorio, sullo sfondo della ben più grande e lunga storia generale dell’Italia. È la storia di un paese che parte dal feudalesimo, che diventa storia di campagna per diventare storia del passaggio dall’economia contadina all’economia moderna e contemporanea. Eppure leggendo queste pagine si hanno due sensazioni fondamentali. Il passato glorioso ed importante che è ben documentato e facilmente riscontrabile dalle “cronache” della Storia qui fedelmente riportate. Ma anche la sensazione che, durante quel passaggio “da campagna a fabbrica-città” (come si diceva un po’ di tempo fa, “sociologicamente” parlando), qui si sia sviluppata una forte resistenza al processo di depauperamento che spesso fu causato dall’abbandono delle campagna per altre soluzioni produttive. Credo che il passato se sarà trasformato in cultura viva ed importante, unitamente alla tenacia dei santangiolesi, alla loro voglia di fare ed intraprendere, alla loro laboriosità, possa rappresentare una indicazione importante per il futuro del nostro capoluogo. In questo decennio amministrativo abbiamo creduto e investito molto in questo paese, mai abbastanza, ma comunque molto. Per quello che il tempo che resta continueremo a farlo e lasceremo indicazioni a chi verrà, se vorrà, a farlo e a farlo in modo innovativo, perché se il passato è importante, sicuramente dovremo (e dovranno) avere uno sguardo attento, preciso e scrupoloso anche per il futuro, per i suoi rischi e per le sue potenzialità. Parafrasando celebri film si può tranquillamente affermare che, se è vero che “il passato non muore mai”…è anche vero che “non è mai abbastanza”. Rinnovo i ringraziamenti e le congratulazioni per l’autrice, che sono i ringraziamenti e le congratulazioni di tutta l’Amministrazione, e auguro a tutti buona lettura. Guido Formica Sindaco di Sant’Angelo in Lizzola 5



Luoghi, figure, accadimenti. Le figurine sullo sfondo Qui e non altrove s’inizia il nostro cammino, oggi e non domani, in quest’ora e non quando il sole sarà più alto. Hugo Von Hofmannsthal, La donna senz’ombra

Questo lavoro conclude una ricerca intorno a Sant’Angelo in Lizzola avviata nel 2007, scandita da tappe intermedie che tra il 2008 e il 2012 hanno visto la pubblicazione di alcuni dei materiali qui contenuti, proposti in forma di opuscoli, esposizioni, filmati. Conclude perché è ragionevole dare infine alle stampe - restituire - il frutto di un impegno condiviso nel corso degli anni con un gran numero di persone; allo stesso tempo, come sempre avviene, molte trame restano in sospeso, tracce che meriterebbero di essere dipanate e seguite una a una. E dunque questo libro, come si usa dire, “conclude ma non compie”. Alcune precisazioni sono utili. L’arco temporale indicato in maniera forse temeraria nel titolo è in realtà imbrigliato attraverso i “luoghi”, le “figure”, gli “accadimenti”, dettagli di volta in volta illuminati come in un primo piano cinematografico o - visti gli assidui riferimenti al teatro - da un “occhio di bue”. I due estremi cronologici 1047-1947 valgono a indicare un orizzonte, sul quale si proiettano interrogativi riguardo all’evoluzione di queste zone nel secondo dopoguerra, evoluzione di cui sembra di poter leggere oggi una parabola piuttosto chiara. La scansione in tre atti cui si aggiungono gli “appunti di viaggio” delle ultime pagine si articola in una panoramica sugli anni precedenti al 1584, anno dell’infeudazione di Sant’Angelo a Giulio Cesare Mamiani; una sezione centrale dedicata agli anni tra il 1584 e il 1855 e, infine, una terza parte che arriva, attraverso dei “lampi”, quasi veri e propri bagliori di magnesio, alla seconda guerra mondiale. Frammenti di storia che non sono necessariamente i più salienti quanto forse, per oggettive contingenze, i meglio rappresentati: la scelta su cosa inquadrare e cosa lasciare nell’ombra è orientata dalla sovrabbondanza documentaria alla quale ci si è trovati di fronte nel corso della ricerca. Una notazione stilistica: molti di questi documenti possiedono grande potenza evocativa, una capacità narrativa che si è deciso di non sacrificare, lasciando alla trascrizione di atti, inventari, lettere, rendiconti consiliari uno spazio il più ampio possibile. Ancora oggi Sant’Angelo in Lizzola si caratterizza per il suo legame con la famiglia Mamiani. Una rievocazione in costume celebra ogni estate la presa di possesso della contea da parte di Giulio Cesare Mamiani I, e i santangiolesi più radicati non nascondono l’orgoglio per la storia del proprio paese che, sostengono, “fino a prima della guerra era il più importante di queste colline, per il commercio e anche per la cultura”. Non è estranea a questa percezione la presenza in loco di un’altra nobile e celebre famiglia, quella dei Perticari, i cui ultimi eredi risiedono tuttora a Sant’Angelo, in un’abitazione di cui sono proprietari da almeno cinque secoli. Il rapporto tra i Mamiani e il loro feudo è ancora tutto da studiare: solo recentemente è stato ultimato l’inventario dell’Archivio storico comunale di Sant’Angelo, i cui documenti consentono di ripercorrere con precisione talora sgomentevole la vita della comunità dal XVI secolo a oggi. Una mole di materiali che, per avere un quadro meno parziale della 7


situazione, andrebbe posta a confronto almeno con l’altrettanto impegnativa quantità di carte conservata nell’Archivio della famiglia Mamiani della Rovere, conservato presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro. Gli spunti offerti costituiscono solo un primo tentativo di mettere insieme un ritratto dei Mamiani sullo sfondo del loro feudo. Una sorta di conversation piece dove nobili e popolani coesistono sullo stesso palcoscenico con pari dignità o, se si preferisce, tra storia e narrazione lo storyboard per un film, per una serie di scene da affrescare sulle pareti di un palazzo baronale o sui fondali di un teatro. Le pagine seguenti contengono ripetuti accenni a ricerche in atto e lavori svolti. L’invito è a seguire gli sviluppi di questo percorso, sia attraverso i materiali la cui stampa è in programma, sia attraverso la diffusione sul web o in formato digitale di notizie che via via si aggiungeranno. Allo stesso modo vale il rimando retrospettivo alle pubblicazioni citate in apertura, delle quali è riportato un elenco in calce, disponibili anche sul web. Nell’augurare buona lettura desidero esprimere il mio ringraziamento a Guido Formica, Sindaco di Sant’Angelo in Lizzola, che con rara costanza ha partecipato alla costruzione della ricerca sul ‘suo’ paese; a tutta l’Amministrazione comunale e ai dipendenti, preziosi per la collaborazione con le loro differenti competenze. Molti altri sono coloro i quali hanno contribuito alla ricerca: un elenco dei loro nomi, speriamo non troppo incompleto, è a pagina 282. Anche a loro, e ai tanti anonimi con i quali ho scambiato anche solo una parola su questioni santangiolesi va il mio grazie, per il tempo messo a disposizione di questo lavoro, e per l’attenzione dimostrata. Infine, il ricordo di una delle “figure” il cui nome ricorrerà più spesso nel racconto: don Giovanni Gabucci (1888-1948) vice parroco di Sant’Angelo, compulsivo raccoglitore di memorie e ordinatore di archivi, la cui opera infaticabile ci ha lasciato considerevoli documenti su borgo e castello. Molte delle immagini provengono dal suo archivio, conservato presso l’Archivio storico Diocesano, e in più d’una pagina la sua voce farà da guida al lettore, nel gioco di sguardi attraverso il tempo. Con la scoperta di alcune fotografie dai suoi album ha avuto inizio questa storia, ed è giusto che siano i suoi occhi a invitarci al cammino. Cristina Ortolani Sant’Angelo in Lizzola 2007-2013, un percorso di ricerca 2007, Scrigni della memoria, esposizione itinerante organizzata nell’ambito del progetto “Memoteca Pian del Bruscolo”; 2008, Giovanni Gabucci, frammenti per un ritratto, prima ricognizione sulla figura del ricercatore santangiolese, al quale nel 2011 è stato dedicato Il facchino della diocesi. Giovanni Gabucci (1888-1948), volume edito dalla “Memoteca Pian del Bruscolo”; 2008, Sant’Angelo in Lizzola, piccola guida per il visitatore; 2009, Un paese lungo la strada. Montecchio, storie e memorie tra XVIII e XX secolo; 2011, Sant’Angelo in Lizzola negli anni di Terenzio Mamiani, esposizione organizzata in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia; 2012, Ci siamo rimboccati le maniche. Montecchio, la ricostruzione raccontata dai protagonisti, filmato; 2012, In arte Fran. Omaggio a Mario Franci a cento anni dalla nascita, esposizione e libretto ricordo. Tra il 2010 e il 2013 alcune storie santangiolesi sono apparse su “Promemoria”, la rivista della Memoteca Pian del Bruscolo. Le pubblicazioni sono disponibili sul sito del Comune di Sant’Angelo in Lizzola (www.santangeloinlizzola.pu.it) e su www.cristinaortolanistudio.it. 8


Sigle e abbreviazioni AcSA AdP APSA ASP BOP

Archivio comunale di Sant’Angelo in Lizzola Archivio storico diocesano di Pesaro Archivio parrocchia di San Michele arcangelo di Sant'Angelo in Lizzola Archivio di Stato di Pesaro Biblioteca Oliveriana di Pesaro

ACM Biblioteca Oliveriana di Pesaro, Archivio di Casa Mamiani della Rovere (catalogo anni 15841909 a cura di R. Casabianca - G. Benelli) GG Archivio storico diocesano di Pesaro, archivio di Giovanni Gabucci. Salvo diversa indicazione i manoscritti sono tutti di Giovanni Gabucci Di seguito le sigle relative alle fonti citate più frequentemente: MF Biblioteca Oliveriana di Pesaro, Memorie storiche della famiglia Mamiani della Rovere estratte dai registri della cancelleria comunale nel feudo di Sant’Angelo, Archivio di Casa Mamiani della Rovere, b. 65, n. 12. MM Biblioteca Oliveriana di Pesaro, Gianfrancesco Mamiani, Memorie storiche riguardanti la famiglia Mamiani, Archivio di Casa Mamiani della Rovere, cartella n. 19, c.n.n PSM Archivio storico diocesano di Pesaro, Parrocchie, San Michele arcangelo di Sant’Angelo in Lizzola ACN Archivio parrocchia di San Michele arcangelo di Sant'Angelo in Lizzola, Giovanni Gabucci, A casa nostra, lettura tenuta al cinema “G. Branca” di Sant’Angelo nel marzo 1948; le citazioni sono tratte da Cristina Ortolani, Il facchino della diocesi. Giovanni Gabucci (1888-1948), Sant’Angelo in Lizzola 2011 DS Guido F. Allegretti (a cura di), La visita pastorale del cardinale Gennaro Antonio De Simone alla diocesi di Pesaro, Urbania 2007

Abbreviazioni b. c.n.n. fasc. ms.

busta carte non numerate fascicolo manoscritto

Avvertenza per la lettura

Il corsivo identifica titoli di libri, spettacoli, termini poco usati o in altre lingue, sia nel testo sia nelle note; i titoli di periodici e riviste culturali sono riportati tra “ ”. Tra “ ” compaiono anche le citazioni da documenti, manoscritti, fonti a stampa ecc. Dei siti Internet citati è dato l’url completo, seguito dal giorno e ora di consultazione. In linea generale, sono stati adottati per la trascrizione dei manoscritti criteri che ne facilitassero la lettura e la comprensione: salvo rare eccezioni sono state normalizzate le maiuscole e, ove utile, sciolte le abbreviazioni. Le note del redattore compaiono tra [ ], come gli omissis; le integrazioni tra < >. Infine, segnaliamo uno strumento utile alla comprensione delle unità di misura e del valore delle monete utilizzate nel corso dei secoli a Pesaro e nel feudo dei Mamiani, la tavola elaborata da P. M. Erthler in La Madonna delle Grazie di Pesaro, origine e primi sviluppi del santuario, Roma 1991, pp. 28-29.

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ai miei nonni, alle figurine sullo sfondo, a Elvira T.



I. Sguardi

da Clemente II ai Mamiani 1047-1584


Sant’Angelo in Lizzola, la zona del Brasco vista da via Fonte Lepri. Nella pagina precedente, panorama dal colle del Brasco (aprile 2012, fotografie C. Ortolani)

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Lizzola, Monte Sant’Angelo

Sant’Angelo è chiara derivazione agionimica e riflette il culto dell’arcangelo Michele patrono del paese. [...] Il toponimo Sant’Angelo in Lizzola proviene dall’unione dei due antichi castelli di Lizzola e Monte Sant’Angelo. Il primo fu fondato dalla famiglia dalla quale prese nome1.

Il toponimo Liciole o Liciola - in seguito Lizzola - è rilevato per la prima volta nell’elenco dei possedimenti confiscati al conte di Pesaro Alberico, e donati il 24 settembre 1047 da papa Clemente II ai monaci dell’abbadia dell’Apsella, situata ai piedi del colle sul quale sorge l’attuale abitato di Sant’Angelo in Lizzola, entro i confini del territorio comunale di Montelabbate. La conferma dell’investitura, datata 1060, parla di Castrum Liciole: ciò ha indotto alcuni storici a ritenere che “il permesso per la costruzione del castello fu accordato dall’abate di San Tommaso a qualche beneficiario in quell’intervallo di anni, forse a dei membri della stessa famiglia di Alberico che, a quanto sembra, assunse il cognome gentilizio de Lizzola”2. La distribuzione areale degli agiotoponimi si collega a circostanze storiche e a tradizioni religiose locali. San Michele, che riflette un culto molto importante nel medioevo (diffuso dai Longobardi cristianizzati che riconoscevano l’arcangelo Michele come protettore), si addensa in aree in cui appaiono testimonianze archeologiche di insediamento longobardo. Si riferiscono spesso al culto di san Michele anche agionimi come Sant’Angelo, Sant’Arcangelo3. Sant’Angelo in Lizzola negli studi di A. Degli Abbati Olivieri

Le ipotesi avanzate dagli storici sulle origini del castello di Sant’Angelo in Lizzola sono a tutt’oggi modellate sugli studi del pesarese Annibale Degli Abbati Olivieri Giordani, autore tra l’altro delle Memorie dell’Abbadia di San Tommaso in Foglia nel contado di Pesaro4, il quale riporta a sua volta notizie desunte da varie fonti, come gli Squarci o Spogli Almerici (trascrizioni di atti pubblici relativi alla città e al contado di Pesaro ad opera di Giovan Battista Almerici, vissuto tra il 1590 e il 1674), e la Cronaca di Pesaro di Tommaso Diplovatazio, composta tra il 1504 e il 1508 e pubblicata dallo stesso Olivieri nel 17715. Secondo il Diplovatazio il castello di Sant’Angelo in Lizzola nacque dalla fusione di due differenti agglomerati, quello di Lizzola, appunto, che l’Olivieri vuole approssimativamente coincidente con l’odierno paese, e quello vicino di Monte Sant’Angelo, che la tradizione colloca nella zona del colle del 15


Brasco - Fonte Lepri. Gabriele Calindri aggiunge che il castello di Lizzola fu “distrutto in tempo delle guerre fra Guelfi e Ghibellini”6. Il 17 marzo 1280 la comunità di Monte Sant’Angelo acquista per 500 lire di ravegnani dal comune di Pesaro il castello di Liciole, fatto interpretato dall’Olivieri come conseguenza della ribellione di Lizzola ai Malatesta. Le norme degli statuti della città di Pesaro avrebbero imposto la distruzione del castello ribelle, venduto invece alla comunità di Monte Sant’Angelo, il cui abitato, posto su un terreno ancora oggi franoso e ricco di acque era in rovina, forse anche a causa del terremoto che nella primavera del 1279 sconvolse l’Italia centrale7. Sindico del comune di Pesaro è nel marzo 1280 Guidone Pesarelli, un cui congiunto, tale Martino Pisarelli, aveva acquistato nel 1266 i terreni di Alberico di Manardo de Lizzola8. Liciola compare nell’elenco di castelli e comuni della Marca Anconitana che pagano il salario al podestà, datato 1283 ma evidentemente basato su documenti anteriori. Agli stessi Lizzola sarebbe da attribuire anche la torre che domina il castello: Or è noto che in que’ tempi chi s’insignoriva di un qualche castello vi fabbricava tosto una torre che servir potesse a sua difesa contro gli sforzi che facea la città per ricuperare le occupate sue giurisdizioni; così fecero i signori de Lizzola; sussiste ancora il corpo della gran torre da essi fabbricata nel castello di Sant’Angelo, e rimane ora annessa al palazzo baronale del sig. conte Mamiani9.

Nel 1355 “non esistevano più né il castello di Monte Sant’Angelo, né quello di Lizzola”: apparisce ciò manifestamente dal più volte ricordato giuramento di tutti i singoli uomini della città, e contado di Pesaro prestato in mano del nostro vescovo, a tal fine delegato dal cardinale Egidio [Albornoz]. Quel prelato, dopo preso per più giorni il giuramento degli uomini della città, girò tutta la diocesi a castello per castello, a villa per villa. Nel dì ultimo di settembre di quell’anno il ricevé dagli uomini de Genestreto, e de Monte Sicardi, e nel seguente primo di ottobre da quelli de Villa Sanctii Angeli in Lizzola, e da coloro de Castro Montis Abbatis, e passata indi la Foglia nello stesso dì, anche da quelli di Castro Montis Vetularum10.

L’Olivieri si riferisce alla Descriptio Marchiae Anconitanae, redatta per il cardinale Egidio Albornoz, datata 1357 ma in realtà realizzata intorno al 1360-’62. Pochi anni prima, nel 1351, gli Squarci Almerici registrano una quietanza fatta in Villa Sancti Angeli de Lyciola dal rettore della chiesa di 16


Sant’Angelo e Montecchio

Sant’Angelo11; per lo stesso anno ancora l’Olivieri segnala che il rettore della chiesa di Santa Maria di Monte Granario “fa quietanza di un legato alla medesima chiesa dagli eredi di Gaboarda, già moglie del fu sig. Raniero da Lizzola”12. Circa un secolo dopo, nel 1445, Sant’Angelo in Lizzola figura nell’elenco dei castelli che giurano fedeltà a Alessandro Sforza, signore di Pesaro, insieme con “Novilara, Monte Baroccio, Genestreto, Monte Ciccardo, Monte Santa Maria, Monte Gaudio, Farneto, Montelabate, Montelevecchie [oggi Belvedere Fogliense di Tavullia], Legabiccie [Gabicce], Casteldimezzo, Fiorenzuola”13. Dal 1389 il territorio del comune di Sant’Angelo in Lizzola si amplia arrivando a includere anche Montecchio, che poco più di un secolo prima, nel già citato documento del 1283, figurava tra i castelli “ultra Foliam versus Ariminum” (al di là del Foglia verso Rimini) della Marca Anconitana. La Villa Monticuli è citata nel 1386 in un inventario dei beni dell’abbadia di San Tommaso in Foglia, e ancora un documento di San Tommaso ne segna il passaggio nel 1389, alle dipendenze della Villa di Sant’Angelo in Lizzola14. Diverse analogie accomunano la scomparsa del castello di Montecchio all’annunciato smantellamento di Lizzola. Ambedue erano nuclei feudali presumibilmente separati dalla giurisdizione di Pesaro, detenuti da antiche consorterie gentilizie che con ogni probabilità furono sopraffatte dalle forze di parte guelfa. Il declino di Montecchio, quindi, potrebbe essere conseguente allo smantellamento delle sue installazioni militari (probabilmente una torre murata), deliberato dalla città nonostante la notevole rilevanza tattica del castello, o alla caduta in disgrazia di Bernardo di Guido dei Bandi, che dovette essere il suo ultimo signore, o semplicemente alla rovina causata dal sisma del 127915.

Lo stemma comunale “D’argento, al San Michele arcangelo in maestà, di carnagione, vestito di porpora, con le ali spiegate al naturale, impugnante con la sinistra la bilancia di nero e con la destra la lancia d’oro in banda, trafiggente le fauci, vomitanti fiamme di rosso, del drago rivoltato di verde, mirante verso destra e posto in punta” (Decreto del Presidente della Repubblica 7 giugno 1985; AcSA).

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Annibale degli Abbati Olivieri Giordani. Memorie dell’Abbadia di San Tommaso in Foglia nel contado di Pesaro, 1778 Necessario è però stabilire prima ove fosse questo Castrum Liciole. Io credo, che non debba altrove cercarsi fuor che nel precedente Castello di Sant’Angelo, il dominio del quale dura ancora nella discendenza di Giulio Cesare Mamiani, che ne fu nel 1584 dal duca Francesco Maria II investito. So, che in istrumento del 1283, conservato nell’Archivio secreto Vaticano... nel quale si annoverano i castelli, e le ville que detinentur per Comune Pensauri & non respondent Ecclesie Rom quia sunt de codem Comitatu Pensauri, tra quei castelli, que posita sunt citra Foliam versus Fanum... si contano separatamente Castrum Montis Sancti Angeli, Castrum Ginestreti, Castrum Liczole, quasichè non solamente questi due fosser diversi castelli, ma di più tra l’uno e l’altro posto fosse quello di Ginestreto. [...] Trovai di più nell’Archivio di Porto in Ravenna una carta... nella quale l’anno 1232 castellani castri Lizole & parochiani ecclesiarum S. Angeli, & S. Andree fanno un procuratore per ricevere l’assoluzione da una certa scomunica, il quale atto fu fatto ante portas Castri Lizole; e nella Cronaca di Pesaro del nostro Tommaso Diplovatazio all’anno 1266 leggesi: Hoc anno Castrum Lizzollae Comitatus Pisauri erat habitatum. Exstat quoddam Instrumentum Ser Amici Zannis de Casa Rotunda Not. publ. Pisaurensis cujus tenor talis est... . Nella stessa Cronaca del Diplovatazio troviamo all’anno 1280 un atto della università del castello di Monte Sant’Angelo. [...] Parerebbe per tanto, che due diversi castelli fossero Monte Sant’Angelo e Lizzola, che ambedue sussistessero nello stesso tempo come portano i citati documenti ricavati dall’Archivio Vaticano, e conseguentemente, che molto mal a proposito ò preteso di porre Lizzola nel presente castello di Sant’Angelo. Con tutto ciò persisto nello stesso sentimento, e son di avviso, che appunto il presente castello di Sant’Angelo fia, come ò detto, l’antico Castrum Liciole. Ò già avvertito da principio, che le tradizioni popolari non vogliano disprezzarsi. Or tra la gente di quei contorni corre una tradizione, che mi è stata da gravissime persone attestata, che il castello di Sant’Angelo fosse una volta situato non ove ora è, ma in un altro monticello poco discosto. Ciò supposto, tutto ben combinerebbe. Ognun sa, che la città di Pesaro, gelosa di ricuperare ciò che di sua giurisdizione occupato avevano, ovvero potessero occupare in avvenire, specialmente ne’ luoghi dalla città più lontani, le famiglie potenti, prese le più vigorose misure per riuscire nell’intento delle quali molte si trovano registrate nella nuova riforma degli Statuti [...]. Lizzola in què tempi più antichi fu dominata da alcuni Signori, la famiglia de’ quali ebbe dal castello il nome De Lizzola... Forse opera loro fu quel fortino, o torre di fabbrica molto stabile, e molto antica che fu poi della Comunità di Sant’Angelo, e che da questa donata ai conti Mamiani, vedesi ora unita al loro palazzo. Mi sia qui permesso, giacché l’occasione il comporta, e giacché certe notizie, benché tenui in se stesse, possono per altro servire alle volte a mettere in chiaro punti importanti per la Storia Patria, parlare alquanto di questa famiglia de Lizzola, della quale abbiamo memorie non certamente di que’ secoli più antichi, ma del secolo XIV. In uno strumento, che vidi in originale, 18


e copiò diligentemente più di un secolo fa nè suoi Squarci Giambattista Almerici... col quale strumento Monaldo abate di San Tommaso in Foglia l’anno 1338, essendo ricaduti al monastero moltissimi beni per morte senza figli di Oddone dei Bernardini, ne investì Malatesta, figliuol di Pandolfo Malatesti, che tiranneggiava Pesaro, in quell’Istrumento, dissi, più volte leggesi per lato ai medesimi beni heredes Dñi Rainerii de Lizzola; e nel codice in pergamena, spettante alla medesima Badia e conservato ora nell’Archivio del Capitolo, s’incontran sovente negli strumenti del 1387 res Dñorum de Lizzola, Dños de Lizzola, heredes Alberti qm Dñi Rainerii de Lizzola. Questo Raniero ebbe per moglie una signora Gabuarda, che nel suo testamento fece molti legati pii, le quietanze de’ quali si conservano nell’Archivio de’ PP. di San Domenico... La seconda di esse contiene prima la quietanza fatta nel 1351 In Villa Sancti Angeli de Lyciola dal rettore della chiesa sopradetta di Sant’Angelo [...] .Tre figli maschi ebbe Raniero da questa moglie, cioè Ceccolo, Giangio ed Alberto... e una femmina per nome Fosca, la quale nel 1326, dopo la morte di Raniero suo padre fu maritata in Bellecco di Giannozzo della casa dei Farneti. [...] Nel 1397 [Fosca] era già morta... Giangio si accasò, ed ebbe due figli Gentilino e Branca... Di queste figliuole di Branca parlasi pur nella pace fatta il dì 16 novembre 1388 dai commissari del duca di Milano tra i Malatesti, e il conte Antonio di Montefeltro... Uno degli articoli di quella fu, che i sudditi dell’una e dell’altra parte dovessero godere dei beni situati nei territori dei rispettivi signori [...]. Dalle quali parole parmi poter congetturare, che il detto Branca s’imbarazzasse in quelle guerre, che furon poi con detta pace sopite, e ribellatosi ai Malatesti perdesse la vita, e confiscati dai medesimi Malatesti tutti i di lui beni, si rifugiassero le sue figlie nel territorio del conte Antonio. [...] O’ già detto di sopra, che supposta verace la tradizione, che accennai, tutto ben si combinerebbe. Poterono i signori di quella famiglia, di cui largamente parlai, e forse anche il medesimo Raniero (giacché le parole citate della pace tra i Malatesti, e il conte di Montefeltro... son valevoli a far sospettare, che un qualche tempo egli avesse dominio in Lizzola, veggendosi il quondam unito non al nome di Raniero, ma a quello di Lizzola, e forse anche che figliuolo egli fosse di quel messer Alberico, nato da messer Manardo, che nel 1266 vendé i beni, come colla Cronaca del Diplovatazio di sopra si mostrò) poterono, dissi, vendere al comune di Pesaro la loro giurisdizione, assoggettandosi alla rubr. 104 lib. V Statut. [...] Poterono gli uomini di Lizzola in tale occasione, che fu certamente dopo il 1266, in cui sussisteva ancora, come abbiam veduto, quel castello, armarsi per sostenere i lor signori, e dar con ciò luogo alla disposizione della rubr. 150 lib III [...]. Poté per ultimo l’università del castello di Monte Sant’Angelo per una di quelle cagioni di allamamento di terreno, per cui vediamo nel codice in pergamena, più volte citato, dato a un fondo di quei contorni il nome Lamaticiarum, Pantani vel Lamaticiarum, e per cui vediamo in oggi rovinare il castello di Montelabate, o per altra simile, pensare a mutar di luogo, e trasferire in situazione più sicura la loro residenza, comprando a tal fine, e colla previa deroga a quella parte del citato statuto... nel 1280 dalla comunità di Pesaro il sito del diruto castello di Lizzola, e trasportando ivi le loro abitazioni, e la loro comunità. Così fece, 19


benché per altro motivo nel seguente secolo, la comunità di Novilara, come ò mostrato nelle memorie di questo castello ultimamente pubblicate. [...] Or, siccome l’università di Monte Sant’Angelo, non comparisce da lì in poi, come vedremo, se non col nome di Sant’Angelo in Lizzola, par necessario concludere, che il castellare, e le case da quella comprato fosse il sito del diruto castello di Lizzola col castellare, cioè colla torre, che non fu distrutta, e tuttora sussiste. E quanto ò divisato, tanto evidentemente dimostra il primo dei lati del Diplovatazio accennati a primo latere ejus via versus fontem S. Angeli, sussistendo ancora questa via, e questa fonte di Sant’Angelo, e restando appunto sotto le muraglie del presente castello di Sant’Angelo. Ma per quanto lecito sia in materie antiche, ed oscure valersi anche di congetture, pure lasciando stare a suo luogo i possibili, veniamo ai fatti, che rendono sempre più probabili quelli possibili. Nel 1355 non esistevano più né il castello di Monte Sant’Angelo, né quello di Lizzola. Apparisce ciò manifestamente dal più volte ricordato giuramento di tutti i singoli uomini della città, e contado di Pesaro prestato in mano del nostro vescovo, a tal fine delegato dal card. 20


Egidio [Albornoz]. Quel prelato dopo preso per più giorni il giuramento degli uomini della città girò tutta la diocesi a castello per castello, a villa per villa. Nel dì ultimo di settembre di quell’anno il ricevé dagli uomini de Genestreto, e de Monte Sicardi, e nel seguente primo di ottobre da quelli de Villa Sanctii Angeli in Lizzola... . Dunque la descrizione della Marca inserita nel Codice Vaticano di sopra citato, era stata presa da qualche altra più antica descrizione, come sarebbe quella dell’istrumento del 1283... se pure non furono tutte e due improntate da altra anche più antica; poiché se nel 1280 l’università del castello di Monte Sant’Angelo comprò dalla comunità di Pesaro il diruto castello di Lizzola, non poteva nel 1283 esistere più questo, né esisteva naturalmente più l’altro, che sarà stato a quell’ora trasportato nel sito comprato. Gli uomini dunque, che formavano il castello di Monte Sant’Angelo ricovratisi dopo il 1280 dove fu Lizzola, composero la comunanza, che fu detta Villa Sancti Angeli in Lizzola [...]. In questo stato durarono le cose forse per tutto il secolo XIV, osservandosi nel codice membranaceo tante volte citato, nell’inventario de’ beni della nostra badia, incominciato dall’abate Giovanni da Tuderano il dì 1 Agosto 1386, ove descrive l’Archivio del monastero Item due sacchette, in quibus sunt instrumenta nova et vetera de Villa Sancti Angeli de Lizzola; e alla pag. 31 del medesimo codice ove si à liber seu quadernus pensionum Abbatie S. Thome in Folia, separatamente si registrano i pagamenti fatti dopo il tempo indicato da quelli de Villa Santcii Angeli in Licciola... e in questo sovente leggesi: 1388. Vanne Alberti de Villa S. Angeli in Licciola. 1389. In Curti Ville Munticuli, quamvis ad presens addita sit curie et custodie Ville S.ti Angeli in Licciola... e la collazione fatta dal medesimo abate il dì 23 febbrajo 1391 delle due chiese S.ti Angeli & S. Andree, unite, e poste in Curte Ville S. Angeli de Lizzola. Ma sul fine di quel secolo, o sul principio del seguente, incominciò questa villa a fortificarsi, e divenne il presente castello di Sant’Angelo. O’ tra le mie pergamene il testamento, che per rogito di Salvuccio da Mercatello notajo, fece nel 1404... Nicolaus Pytuli olim de Civitate Castelli, et nunc de Castro S. Angeli... [...] Non può dunque dubitarsi, che il Castrum Licciole delle bolle non sia il presente castello di Sant’Angelo; e per conseguenza, che il terzo lato nelle medesime bolle assegnato rivum qui temporaliter currit super Licciole, super Castrum Licciole non sia quel rivo, che di là da Sant’Angelo, rispetto a noi, raccoglie le acque, incominciando di sopra appunto al nominato castello, e va poi a unirsi, e terminare nell’Apsella. Che sia questo il lato indicato nelle bolle pontificie, e non l’altro rio, che scorre di qua da Sant’Angelo manifestamente si rileva dallo sboccare questo secondo rio non nell’Apsella, ma sotto Montelabbate nella Foglia, oltreché ben il dimostra anche l’aggiugnersi nella donazione di Clemente cum Monte Calvello et Valle Gelata, e in quella di Niccolò in oltre anche Castrum Licciole. Qual questo fosse, già si è veduto. Monte Calvello, che tante volte nominasi nelle enfiteusi della nostra Badia in Curte S. Angeli in fundo Montis Calvelli, resta circa mezzo miglio lontano da Sant’Angelo, e dicesi oggi semplicemente il Monte, o dalla chiesa, che si è fabbricata in cima, la Madonna del Monte. A. Degli Abbati Olivieri, Memorie dell’Abbadia di San Tommaso in Foglia, Gavelli, Pesaro 1778, pp. 53-73

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Chiese e ospedali

La chiesa di Sant’Andrea

La parrocchiale di San Michele arcangelo

Due sono dunque, secondo l’Olivieri, le chiese esistenti a Sant’Angelo in Lizzola sul principio del secolo XIII: Sant’Andrea e Sant’Angelo “de Lizzola”, citate in una bolla di Innocenzo III datata 1213 e nell’atto del 1232, con il quale gli abitanti del castello di Lizzola e i parrocchiani delle chiese di Sant’Angelo e Sant’Andrea eleggono un procuratore “per ricevere l’assoluzione da una certa scomunica”16. Già dalla fine del secolo XIII i documenti indicano Sant’Andrea come dipendente da Sant’Angelo17: “divenuta la chiesa di Sant’Andrea membro dell’altra andò deteriorando in sì fatta guisa che nel presente secolo [XVIII] fu intieramente demolita. Resta noto solo il sito ove essa fosse situata che è in piccola distanza dalla Serra villa della contessa Isabella Vita Ondedei”18, nei pressi della località Trebbio, appena fuori dal castello di Sant’Angelo in direzione Apsella, fondo che mantiene ancora oggi la denominazione di “Villa”. Monsignor Radicati, vescovo di Pesaro tra il 1739 e il 1773 ordinò la demolizione della chiesa di Sant’Andrea nel 1743, data confermata dai registri dei consigli comunali19. Nel 1794 la visita pastorale del vescovo di Pesaro monsignor Giuseppe Beni ricorda che la chiesa di San Michele è intitolata all’apparizione del santo “ed una volta a Sant’Andrea apostolo”20. “Ora [1912] l’area occupata dalla chiesa è in possesso del parroco, attigua alla località conosciuta col nome di Ortolano perché vi è l’orto di proprietà della famiglia Sallua”21. Il primo rettore della parrocchiale di San Michele arcangelo di cui si abbia notizia è Vincenzo, citato nel 1290 dalle Rationes Decimarum (i libri delle decime, dove venivano annotati i tributi in natura o in denaro, pari alla decima parte del raccolto o del reddito, che nel Medioevo i cittadini erano tenuti a versare alla chiesa)22. Nel 1352 “Filippo Bonanni da Sant’Anatolia, cappellano della cattedrale di Pesaro e rettore di Sant’Angelo in Lizzola rimborsa alla Camera Apostolica 30 fiorini, ingiustamente percetti sulla rendita della parrocchia”; allo stesso Bonanni il vescovo Biagio Geminelli affida tre anni dopo la lettura, nella cattedrale di Pesaro, del giuramento di fedeltà al cardinale Albornoz23. Nel 1373 “dompnus Jacobus rector ecclesiae Sancti Angeli in Liçola” è tra i religiosi presenti al sinodo indetto dal vescovo di Pesaro Leale Malatesta24, mentre nel secolo successivo due sono 23


i rettori censiti per Sant’Angelo: don Leonardo Salvuzio (rettore dal 1414 al 1449 circa) e don Antonio da Fossombrone (dal 1450 al 1490 circa) i cui nomi sono ricordati nei sinodi indetti dal vescovo di Pesaro Bartolomeo Casini e dal suo successore Giovanni Benedetti nel 145025. La serie dei rettori e cappellani di Sant’Angelo è meno lacunosa a partire dalla metà del secolo XVI, come dimostrano i meticolosi appunti di Giovanni Gabucci, ricavati dai libri della parrocchia e conservati presso l’Archivio storico diocesano di Pesaro26. Tra gli altri Gabucci cita per il 1564 “Bartolomeo Nursino rector di San Michele di Sant’Angelo”, identificandolo con Bartolomeo Nursini, segretario della duchessa Vittoria Farnese, moglie di Guidubaldo II della Rovere27, effettivamente censito dal Catasto sforzesco (1560) tra i proprietari di case a Sant’Angelo residenti a Pesaro28; a Bartolomeo Nursino si affiancano quell’anno due cappellani, don Battista del Peglio e don Girolimo Palmiero Ferrarese. Gabucci segnala poi per l’anno successivo don Camillo Mucciolo, probabilmente appartenente a una delle famiglie più note del paese, i Muccioli, “che si suppone facesse le veci del parroco”29. Poche fino al XVII secolo le notizie sulla chiesa di San Michele arcangelo: l’edificio attuale, più volte ristrutturato, fu costruito sulle fondamenta della vecchia chiesa a partire dalla fine del Seicento, e nel 1718 eretto in collegiata. Nel 1776 la relazione del priore di Sant’Angelo don Domenico Bertuccioli per la visita del cardinale De Simone sottolinea la distinzione tra “chiesa vecchia” e “chiesa nuova”: Dell’erezione della chiesa vecchia parocchiale di Sant’Angiolo sotto la protezione di San Michele arcangelo non v’ha memoria... [La chiesa nuova] fu eretta l’anno 1705 con vari assegnamenti, legati e contribuzioni di persone pie. La piccola chiesa contigua a questa collegiata, residuo della chiesa vecchia [...] dove v’è un solo altare col quadro della beatissima Vergine detta delle Grazie... [...] Il santo titolare è l’apparizione di San Michele gli 8 maggio di precetto”, la cui festa “si solennizza a spese delle confraternite, e del priore quanto alla cera30.

L’8 maggio si ricorda la cosiddetta “apparizione della Vittoria”: secondo la tradizione l’arcangelo Michele apparve al vescovo di Siponto Lorenzo Maiorano, annunciandogli la vittoria sui nemici che avevano attaccato il santuario di San Michele del Gargano. La tradizione data l’apparizione al 492, secondo gli studiosi essa sarebbe però da riferire alla battaglia tra Bizantini e Longobardi del 662-663, vinta dalle truppe del duca di Benevento, Grimoaldo I, accorse in difesa del sacro luogo31. Attualmente32 la festa parrocchiale di Sant’Angelo 24


è celebrata il 29 settembre, giorno della dedicazione a San Michele del suddetto santuario. L’esistenza di una“chiesa vecchia” è confermata dall’Inventario della parrocchia di San Michele arcangelo, redatto da Giovanni Gabucci nel 193233; lo stesso Gabucci affermava qualche anno prima venuti i parroci a stabilirsi nel castello di Sant’Angelo avevano una chiesa deforme, che ora non viene ufficiata ed è chiamata la chiesa vecchia, ed allora nel 1691 furono incominciati i fondamenti della nuova chiesa che fu terminata nel 1701 e nel 29 settembre dell’anno suddetto fu benedetta dall’arciprete di Ginestreto che cantò anche la prima messa. La chiesa della Natività della Vergine o della Scuola

A Sant’Andrea e San Michele si aggiunge dalla seconda metà del XV secolo la chiesa della Natività della Vergine, comunemente detta del Mercato o della Scuola, eretta nel 1449 e “soggetta al suolo Lateranense”34. Pesantemente danneggiata in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, verrà demolita nel 1952. Ancora secondo Giovanni Gabucci la chiesa della Scuola sarebbe sorta come oratorio della confraternita della Natività di Maria: [4 luglio 1449] Il capitolo Lateranense concede alla confraternita della Natività di erigere ecclesiam sive oratorium con altare, campanile, campana ecc. in solo Lateranensi con l’annuo compenso di pepe ed una [libbra] di cera per il cimitero35.

L’ospedale

Altre fonti indicano invece quale data di fondazione della Confraternita il 1499, avvertendo però che “l’atto [di fondazione] non si trova in questo archivio [parrocchiale]”36. Nel Catasto sforzesco del 1506 (del quale si dirà più avanti) la “confraternitas S. Mariae de Nativitate de castro S. Angeli” figura insieme con l’ “ecclesia S. Michaelis arcangeli de Sancto Angelo” e l’ “hospitale castri S. Angeli” tra gli enti ecclesiastici proprietari di beni sulla riva destra del Foglia37; nel successivo Catasto roveresco (1560) la “fraternita di Santa Maria” risulta proprietaria di un edificio nel borgo, mentre l’ “ospitale di Sant’Agnolo” possiede alcuni terreni e due fabbricati in fondo Guastaglia e Faeto38. In una scrittura notarile del 1568 Matteo di Carlo di Riguzolo in nome del capo massaro e il sindaco della chiesa parrocchiale danno in affitto per un anno, per la somma di un fiorino, l’ospedale di Sant’Angelo “con un pezzo di possessione” a Donino di Giorgio di Sant’Angelo [...] prometendo il detto Donino haver cura della robba de l’ospedale et allogiare li poveretti et usar diligentia che li poveri siano ben alogiati 25


e non permeter che ne l’ospedale se gioca a carte ne se faccia altro in inconveniente, ne lassar portar via da l’ospedale cosa alcuna per il quale affitto il detto Donino promette e s’obbliga di far fare un lenzolo di panno buono e recipiente di braccia dodici...39.

La visita apostolica del vescovo Girolamo Ragazzoni (1574) ci offre qualche notizia in più sull’ospedale e sui luoghi sacri santangiolesi nel XVI secolo: nella chiesa di San Michele arcangelo sono elencati tre altari, uno dedicato all’Epifania, uno a San Bernardino, e uno alla gloriosa Vergine. La chiesa di Sant’Andrea “de Valle Triciola” (o “de valle Urciola”) annessa alla precedente “è in corso di ricostruzione a fundamentis”, mentre insieme con la chiesa di Santa Maria “prope oppidum”, di nuovo indicata come “oratorio” è citato anche l’ “hospitale, non multus distans”. “Retti l’uno e l’altro da confraternita, non hanno rendite ma si sostentano con le elemosine. L’ospedale ha due letti”40. In tema di ospedali e ricoveri per viandanti la tradizione ricorda poco prima del “Trebbio”, ai piedi dell’attuale via Branca, il toponimo “Ospedaletto”, legato a una “casupola” di proprietà della stessa confraternita della Misericordia, situata nei pressi dell’attuale villa Carelli, e abbattuta nella seconda metà dell’Ottocento41. Proseguendo sulla strada maestra, di fronte alla villa del Barone, una volta proprietà dei Canonici di Sant’Angelo, c’è una vecchia casupola detta l’ospedaletto, perché quivi trovavano ospitalità i pellegrini che si temevano venire da luoghi infetti, perché per gli altri pellegrini v’era l’ospedale in cima al borgo, di fronte alla chiesa di Sant’Egidio, dipendente - come questo - dalla confraternita della Natività42.

Infine, annotiamo qui che ancora il Catasto sforzesco del 1506 registra in vocabolo Barellarum una “casa cum hospitale”, appartenente a Gualterius Alexandri Gualterii43.

Nella pagina seguente: Sant’Angelo in Lizzola, vista sulla valle del Foglia da Monte Calvello, aprile 2012. A pagina 22: la torre civica e palazzo Mamiani, sede del Municipio, aprile 2013 (fotografie C. Ortolani)

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L’ospedaletto



Orciai e boccalari

Nel 1932, durante i lavori per la costruzione della nuova navata della chiesa parrocchiale “sul limite delle vecchie mura fu rinvenuta una fornace rotonda usata per la cottura delle maioliche, e molti cocci delle medesime si trovarono nello scavare i fondamenti per la terza navata della chiesa”44; negli stessi anni le ricerche di padre Giuseppe Albarelli confermavano a Sant’Angelo la presenza nei secoli XV-XVI di numerosi ceramisti e vasai, accanto al celebre Jacomo Boccalaro, al quale dal 1931 è dedicata l’antica via delle Mura45. Già l’Olivieri ricordava del resto come la creta della zona, detta appunto “terra da pignatte”, fosse adatta “per far vasi da cucina”46, vocazione testimoniata ancor oggi dalla persistenza, tra Sant’Angelo e Montelabbate, di toponimi quali “ponte degli orciari” e “fornace”. Nel 1326 è censito a Sant’Angelo in Lizzola l’orciaio Foscolo, uno dei tre vasai noti tra Pesaro e il contado nel secolo XIV insieme con Ventura, orciaio a Monteciccardo nel 1355 e il forlivese Pedrino di Giovanni “dai boccali”, a Pesaro nel 1396. È significativo il fatto che molti vasai pesaresi del secolo successivo scendano in città da quei borghi che, come Montelabbate, Pozzo e appunto Sant’Angelo e Monteciccardo, guardano la valle del Foglia, trovandosi così vicini al fiume e ai boschi che forniscono rispettivamente argilla e combustibile. Queste condizioni ambientali favorevoli, insieme all’accertata dipendenza di quei territori dall’abbazia benedettina di San Tommaso in Foglia, fanno sospettare ancora in età medievale, una tradizione ceramistica primitiva. [...] Nel 1478 la bottega dei Paci da Sant’Angelo in Lizzola è diretta dai figli di Bartolo, Tommaso e Simone. Nell’elenco non viene citato il terzo figlio, Angelo, perché già da allora tiene vaseria propria a Fano. Sempre di Sant’Angelo è originaria la famiglia, prima detta “dei Figoli”, poi, conseguita ricchezza e nobiltà, dei Benedetti, che conduce un’altra importante bottega. Vi lavorano diverse persone della medesima famiglia: Angelo di Biagio (a Pesaro almeno dal 1447), i figli Francesco e Bernardino, il fratello Matteo e il figlio di quest’ultimo Alessandro. Nell’elenco del ’78 manca Vincenzo, fratello di Alessandro, che aprirà una bottega a Udine. Ma il componente più interessante è Francesco, che nel 1488 risulterà tornato a Pesaro dopo una lunga assenza in longiquis partibus Ungarie at aliis locis, e che quindi è finora il solo candidato per l’installazione, presso la corte di Mattia Corvino, di una fornace ricordata per un noto pavimento maiolicato (peraltro con caratteri stilistici pesaresi)47. 28

Vasai santangiolesi


Jacomo boccalaro

Nel 1496 “Francesco di Angelo da Sant’Angelo in società con Michele di Mastro Giacomo di Sant’Angelo in Lizzola prende in affitto unam apothecam figularie sita in dicta civitate et q[uarterio] s[ancti] Iacobi”. Il contratto della cui durata dn un anno, si estinse con la morte di Francesco, sopraggiunta già nell’agosto 149848. Il più celebre dei boccalari santangiolesi è però senz’altro il già citato Jacomo [Giacomo] di Antonio di Giacobuzio Cjache da Sant’Angelo in Lizzola, attivo a Venezia nel 1506, in qualità di lavorante nella bottega del durantino Bernardino Ciambotti49. Nel 1507 Jacomo acquista una casa in campo San Barnaba, area che andava sempre più caratterizzandosi per la produzione della ceramica, dichiarandosi maestro boccalaro e figlio di un quondam Antonio, originario di Sant’Angelo di Pesaro. La sua attività doveva essere già ben avviata ed egli doveva essere verosimilmente residente a Venezia da lungo tempo, poiché nella città vigevano severe leggi protezionistiche nei riguardi delle corporazioni d’arte locali50.

Negli anni successivi Jacomo ampliò la sua bottega acquistando due immobili confinanti; i documenti relativi ai suoi eredi, nei quali sono menzionati edifici e terreni affittati a collaboratori e artigiani, lasciano intuire un raggiunto benessere economico. Poche le opere attribuite con certezza al ceramista santangiolese ma, notano gli studiosi, tutte di elevata qualità formale e tecnica, come il piatto a traforo conservato presso il Victoria and Albert Museum, datata 1543: qualità che porrebbe la bottega di Jacomo, morto probabilmente nel 1546, tra le più quotate e influenti di Venezia. Il testamento, datato 3 gennaio 1544, offre notizie sulla sua discendenza: ceramista fu anche il figlio Gasparo, suo erede universale, che sopravvisse al padre solo pochi mesi; l’attività di famiglia fu portata avanti da Pasqualino de’ Zorzi, marito di Isabetta, una delle tre figlie di Jacomo. Anche le altre due sposarono dei maiolicari: Caterina fu moglie di Domenico da Venezia, che verosimilmente si formò con il suocero, mentre Lucia si unì nel 1544 a Francesco di Casteldurante, il quale esercitò in una propria bottega in zona San Tomà. Francesco, detto “dalle magioliche”, era a sua volta figlio di Piero di Angelo del Vasaio da Casteldurante, rimasto celebre per la descrizione della sua fornace in San Paolo lasciataci dal Piccolpasso51. Tra le persone menzionate [da Giacomo] nel testamento figurano anche una sorella, Antonia, abitante a Venezia e un fratello già defunto, Francesco, i cui eredi ugualmente risiedono in laguna: ciò avvalo29


ra l’ipotesi che possa essere stato già il padre di Jacomo, Antonio, a trasferirsi da Pesaro a Venezia. Poiché nelle zone intorno a Pesaro si estraeva argilla di ottima qualità che veniva esportata verso Nord, ed esisteva una grande tradizione della ceramica, non è da escludere che Jacomo abbia ricevuto un’educazione paterna all’arte figulina e che all’origine vi sia stata una bottega familiare.

Ceramisti santangiolesi nei secoli XV-XVI Dalle ricerche di Giuseppe Albarelli estrapoliamo i nomi dei ceramisti santangiolesi dei quali si ha notizia tra i secoli XV e XVI52. Tra parentesi gli estremi cronologici delle citazioni nei documenti e, ove presente, l’esatta indicazione riguardo al mestiere esercitato (boccalaro, figulo, vasaro). Alessandro di Matteo Benedetti da Sant’Angelo (1475-1530, figulo); Angelo di Bartolo di Giacomo Pace da Sant’Angelo (1480-1494, boccalaro); Angelo di Biagio Benedetti da Sant’Angelo (1447-1486); Bartolo da Sant’Angelo (1478); Bernardino di Alessandro di Matteo Benedetti da Sant’Angelo (1499-1537, boccalaro); Bernardino di Costantino Benedetti da Sant’Angelo (1477-1486, figulo); Francesco di Paolo di Taddeo da Sant’Angelo (prima del 1501, boccalaro); Giacomo di Giacobuzio Ciache da Sant’Angelo (1516); Girolamo di Bartolo di Pace da Sant’Angelo (1505); Girolamo di Simone di Angelo di Bartolo di Pace da Sant’Angelo (1489-1504, boccalaro); Lorenzo di Bartolo Allegrucci da Sant’Angelo (1484-1508); Lorenzo di Pace da Sant’Angelo (1498-1506, figulo); Matteo di Biagio Benedetti da Sant’Angelo (1460-1499, figulo); Michele di Giacomo da Sant’Angelo (1492-1496, figulo); Paolo di Taddeo da Sant’Angelo (1465-1484, vasaro); Simone di Bartolo di Pace da Sant’Angelo (14691489, figulo); Taddeo di Paolo da Sant’Angelo (1453-1465, figulo).

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“A far azurro oltramarino fino”, ricetta per colori, sec. XVI-XVII (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola). Nella pagina precedente: mastro Jacomo boccalaro, piatto, maiolica invetriata, 1543, dettagli (Londra, Victoria and Albert Museum, http://collections.vam.ac.uk/item/O163099/dish-jacomo-maestro). A pagina 33: Sant’Angelo in Lizzola, il castello visto da Ovest, aprile 2012 e, nell’immagine piccola, visto da Est, aprile 2013 (fotografie C. Ortolani)

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Ecclesiastici illustri Ben due vescovi sono indicati dagli Squarci Almerici come discendenti della famiglia di Biagio boccalaro: Giovanni e Cesare Benedetti. Creato vescovo appena ventottenne, Giovanni Benedetti resse la diocesi di Pesaro tra il 1419 e il 1451, e svolse incarichi di prestigio nello Stato pontificio: fu governatore di Borgo Sansepolcro, di Città di Castello e della regione Picena. Nicolò II lo inviò come ambasciatore a Siena, e nel 1447 effettuò la traslazione del corpo di San Terenzio dalla cripta al presbiterio del duomo di Pesaro. A lui si deve la fusione dei cinque ospedali cittadini nel più grande ospedale dell’Unione e, insieme con Alessandro Sforza, operò per l’istituzione del Monte di pietà nel 146953. Cesare Benedetti, vescovo di Pesaro dal 1586 al 1609, anno in cui morì, fu precettore di Guglielmo Gonzaga principe di Mantova e del duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere. Nominato vescovo da Sisto V, fece ricostruire il seminario pesarese54. Originario di Sant’Angelo fu anche Gabriele Foschi, frate della Famiglia agostiniana di Ancona, eletto vescovo di Durazzo nel 1507. Nel 1512 fu tra i “ponenti” della causa di canonizzazione di Francesco di Paola. Sacrista di quattro pontefici, tra cui Clemente VII, nel 1530 Foschi fu tra i cerimonieri nell’incoronazione di Carlo V d’Asburgo a Bologna. Morì a Roma nel 1534, e le sue ceneri furono traslate nella chiesa di Sant’Agostino in Ancona55. Giacomo da Pesaro Tra i santangiolesi illustri del XV-XVI secolo si annovera infine l’umanista Giacomo da Pesaro, nato intorno al 1410 da Simone, “magister” e Maria. Dopo i primi studi Giacomo si trasferì a Firenze, dove divenne allievo di Francesco Filelfo; con l’ambiente fiorentino restò in contatto fino al 1441, anno in cui tornò definitivamente nella città natale. A Pesaro esercitò l’arte notarile, e tenne forse una scuola di grammatica. Nel 1448 compose l’orazione funebre per Carlo Malatesta; del 1443 è invece l’orazione con la quale presentava a Sigismondo Pandolfo Malatesta la propria candidatura al posto di segretario, composta in occasione della vittoria riportata a Monteluro dal signore di Rimini sulle truppe pontificie capitanate da Niccolò Piccinino. “La richiesta dovette essere accolta perché se è di Giacomo la lettera che Sigismondo Malatesta spedì a Francesco Sforza, certamente egli avrebbe potuto stilarla solo in qualità di segretario del signore”56. 32



Sant’Angelo in Lizzola, 1506-1584. Aspetti di vita quotidiana

Nel 1507 entra in vigore a Pesaro il Catasto definito “sforzesco”, redatto nell’anno precedente, dopo che un incendio, appiccato forse intenzionalmente durante una rivolta scoppiata alla caduta del Valentino e al ritorno degli Sforza, aveva distrutto nel 1503 gli antichi catasti cittadini. Come sottolineano Girolamo Allegretti e Simonetta Manenti, ai quali se ne deve la pubblicazione, si tratta della più antica catastazione di Pesaro e del suo contado, utilizzata fino al 1560, anno al quale risale il catasto voluto dal duca Guidubaldo II Della Rovere (1514-1574). In entrambi i catasti compaiono anche i dati relativi a Sant’Angelo in Lizzola, non ancora subinfeudato ai Mamiani (nel catasto del 1560 non sono invece compresi i territori “segregati”, ossia Gabicce, Montelabbate e Mombaroccio, nel frattempo concessi rispettivamente ai Floridi e poi a Ottavio Mamiani, ai Leonardi e ai Del Monte); altre notizie sul territorio di Sant’Angelo nei secoli XVI-XVIII si ricavano dal Libro d’estimo conservato presso l’Archivio storico Diocesano di Pesaro (1584) e da quelli reperibili presso l’Archivio storico comunale di Sant’Angelo in Lizzola (1691, prima metà del sec. XVIII). Nel 1506 più del 70% del territorio di Sant’Angelo in Lizzola risulta costituito da terreno arativo (241.108 canne su una superficie complessiva di 340.424 canne, precisamente il 70,82%); 17.899 canne (5,26%) sono adibite a vigneti, 2.935 (0,86%) sono occupate da canneti, 845 (0,25%) da cortili e orti, 18.786 (5,52%) da terreno prativo, 26.350 (7,74%) da terreno selvato e, infine, 32.501 canne (9,55%) da terreno sodivo o sterile (1 canna o pertica = mq 27,27; nel calcolo per il 1506 non sono inclusi, salvo rare eccezioni, i beni di proprietà della chiesa). Nel catasto del 1560 (che comprende invece anche le proprietà ecclesiastiche) il terreno arativo è pari a 300.291 canne, le vigne a 21.001 canne, mentre sono inferiori rispetto al 1506 i valori relativi a canneti e vencareti (2.478), orti (93), prativo (12.815), selvato (23.507), sodivo/sterile (26.927). Nel 1506 il 57,2% del territorio è proprietà di residenti a Sant’Angelo (52,87% nel 1560), il 9% di residenti in altre comunità del contado (3,25% nel 1560), l’11,7% è in mano a residenti a Pesaro (13,50% nel 1560), il 22,1% è proprietà di forestieri (21,97 nel 1560); le proprietà della chiesa ammontano nel 1560 a 32.586 canne: 11.209 appartengo34

I catasti 1506-1560


no a religiosi/enti ecclesiastici locali, 19.394 canne a soggetti cittadini, 1.535 a soggetti di altre comunità del contado e 448 a forestieri57. Entro le mura del castello il Catasto sforzesco registra 93 case (116 nel 1560, insieme con una bottega e 2 mulini da olio), 9 nel fondo “Faeti”, 8 nei fondi “Campidonici” e “Silveplene”, 7 case nel fondo “Barellarum”, dove è censito anche un edificio pubblico; 6 case (2 con torre palombara) si trovano nel fondo “Rene” (Harine), 6 nel fondo “Rimporum”, 5 in fondo “Silvedonice” (nel 1560 fuori dalle mura si registrano 183 case, di cui una con palombara, 6 botteghe e un mulino da grano nel borgo)58. Tra i mestieri esercitati dai proprietari residenti a Sant’Angelo si rilevano barbieri, muratori, “ciavattini”, “calzolari”, canestrari, pignattari, sarti, fabbri, “magnani”59; tra i residenti a Pesaro spiccano, oltre al già menzionato Bartolomeo Nursini, “secretario della duchessa” residente nel quartiere di San Terenzio anche “m.ro Orazio di Biagio da Urbino, cuoco del signor duca”, residente nel quartiere San Giacomo (proprietario di 13.805 canne di terreno a Sant’Angelo, e di una casa in fondo Mandriglia), entrambi registrati nel Catasto del 156060. Tra i proprietari residenti a Sant’Angelo figurano sin dal 1506 numerosi nomi che ricorreranno nella storia grande e piccola del paese, dai Muccioli ai Lapi, dai Ciacca ai Cemmi, dai Mosca ai Marzi fino ai Donati, i Gabucci, i Gili, i Bartoli e altri ancora. A titolo esemplificativo riportiamo nella pagina seguente alcuni dei detentori delle maggiori proprietà, con particolare attenzione a case con torre palombara, edifici di pubblica utilità (mulino e cisterna) e aree di terreno di circa 5.000 canne61.

Sant’Angelo in Lizzola, destinazioni colturali 1506. Nella pagina seguente: proprietari santangiolesi 1506-1560.

Nostre elaborazioni da S. Manenti, G. Allegretti, I catasti storici di Pesaro, cit. (cfr. note 28 e 61)

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Edifici / località (c. = casa; f. = fondo) 1560

Cisterna nel castello 1 edificio nel castello 1 c. castello; 1 c. con palombara f. Campi Montiis 1 c. castello; 1 c. f. Campodonico; 1 c. Trebbio delle Barelle 1 mulino da grano f. Campodonico; 1 c. f. Montali 2 c. castello; 1 mulino da olio nel castello; 3 c. in f. Campodonico; 1 c. Piano di Montechio 1 c. con palombara f. Serre; 1 c. Trivi Martii (casalino) 1 c. castello; 1 c. f. Barellarum; 1 c. f. Rene; 1 c. f. Pantani 1 c. f. Rene; 1 c. f. Rimporum; 1 c. con palombara f. Trivi Martii 4 c. castello; 1 c. f. Montenovo; 1 c. f. Rena 1 c. castello; 1 c. f. Campi Donici; 1 mulino a grano f. Valtermine 1 c. castello; 1 c. f. Fontis; 1 c. f. Monticuli

1506

Gaspar & Georgii Antonii Georgii Gavello, m.r. Gostanzo di m.ro 1 c. castello; 1 c. f. Faeto; 1 c. f. Selvadonica Bastiano, fabro Gualterius Alexandri Gualterii 1 c. castello; 1 c. f. Barellarum (cum hospitale) Matheus Iacobi Muccioli 1 c. f. Barellarum Mateo e Bastiano di Ambrosino di Ciaca 2 c. castello; 1 c. f. Campodonico; 1 c. f. Selvadonica 1 c. castello; 1 c. con palombara f. Barellarum: 1 Nicolaus & Ioannis Nicolai Ciarle c. f. Monticuli Ser Petrus [P. Dominicus Francisci] 2 c. con palombara f. Fonctis; 2 c. con pozzo f. de Tobaldis* Trivi Martii

Dominicus Angeli Magistri

Battista di Matteo di Marzo & C.

Baldus Marci Marzi*

Antonius et Sanctes Christophori Mosche

Antonius Donati Angeli Fuschi

Iacomo di Antonio dell’Ape

Allegrucci, Biagio di Donino

Allegrucci, Battista di Iacomo

Comunitas Sancti Angeli Matheus Antonii Alegrutii

Proprietario

7.534

6.689

1.113

6.392

2.890

12.499

5.728

6.427

2.466

1.142

5.036

12.927

11.579

5.784

3.879

Terreni a Sant’Angelo (canne) 1506 1560 4 846 5.533

* I due figurano tra i detentori delle maggiori proprietà pesaresi (estensione superiore a 50 ettari, equivalenti a canne 18.333); nel Catasto del 1560 figura tra i proprietari santangiolesi residenti a Pesaro un ser Francesco di ser Pierdomenigo Tobaldi, detentore di una casa nel castello, una casa in fondo Selvadonica, una casa nella Serra di Monte Nuovo oltre a 10.935 canne di terreno. Per ragioni di spazio non sono state riportate le proprietà in altri comuni.

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Artieri, fanti e massari. Spigolature, 1526-1584 Il recente riordino dell’Archivio storico comunale di Sant’Angelo in Lizzola ha permesso di recuperare quasi tutti i libri del Consiglio della Comunità che, collazionati con gli altri materiali conservati presso lo stesso archivio consentono di seguire quasi giorno per giorno la storia santangiolese dei secoli XVII-XVIII. Ai documenti dell’Archivio comunale si aggiunge il I Libro dei verbali, che copre gli anni tra il 1526 e il 1556, conservato all’Archivio storico diocesano di Pesaro, dove è arrivato con ogni probabilità attraverso il lascito di Giovanni Gabucci insieme con il Libro d’estimo datato 1584 (il sacerdote santangiolese fu impiegato presso il comune di Sant’Angelo, dove ebbe tra l’altro l’incarico di archivista, e si può avanzare l’ipotesi che i libri siano rimasti tra le sue carte al momento della morte, nel 1948)62. Presso l’Archivio della parrocchia di San Michele arcangelo si trova invece un quaderno nel quale Gabucci trascrisse parte dei verbali del 1584-1585 (non si conosce al momento la collocazione dell’originale). Dai libri dei Consigli della Comunità, 1526-1585 Già prima dell’insediamento dei Mamiani la Comunità di Sant’Angelo è retta da dodici massari (consiglieri).Tra i compiti del consiglio, guidato dal capitano c’è anche l’assegnazione, mediante asta, degli appalti per le osterie di Sant’Angelo e di Montecchio, la “beccaria” (macelleria), il forno. Chi partecipa all’asta propone uno o due garanti, che “fanno sigurtà”. I massari nominano anche il piazzaro (notificatore di giustizia civile), la guardia e il portaro (addetto alla porta del castello). Tra i salariati della Comunità vi sono poi il barigello (esecutore di giustizia penale), nominato dal signore e normalmente forestiero, “considerato figura sinistra e ripugnante”63 e il predicatore; la difesa del castello è affidata a quaranta fanti, uomini della comunità dotati di picche, alabarde, archibugi. I gennaio 158464. Massari: Guido de Ciacca, Bastiano de Corado, Antonio di Giorgio, Domenico de Mucciolo, Jacomo de Lape, Battista de la Tura, Lorenzo de Gostanzo, Sarafino de Cemme, Battista Alegruccio, Antonio de Piero, Francesco de Ciacca, mastro Jacomo Barbiere. Adunanza dei massari alla presenza di Giovanni Francesco Racanati, capitano di detto castello. È data la capitananza delli massari a Domenico de Mucciolo, accettante per un anno col salario di 14 scudi... . 6 febbraio 1584. È concessa la gualdaria del castello per un anno ad Antonio de Benedetto de Donato con 15 fiorini di salario. 37


15 febbraio 1584. I massari hanno dato a fare il pane a vendere a Gaspardo de Gilio di Giorgio del medesimo luogo per un anno, con obbligo che ci sia sempre il pane da vendere del peso di due once per piccia [paio], con la pena di bolognini venti per ogni volta che manca il pane, dei quali metà per il capitano e metà per la Comunità. Nessuno può far pane da vendere senza il permesso del detto panfacolo, pena la multa di bolognini venti per volta divisi come sopra. 4 marzo 1584. È posta all’asta la beccaria e mastro Bastiano detto il Pino da Montefiore abitante a Montelabbate vinse detta beccaria a lire ottantadue de bolognini per un anno incominciando da Pasqua. Vien concessa al suddetto per il prezzo accennato, con la concessione da parte dei massari dei pascoli che sono in fondo al castello senza alcun premio. Nessuno può far carne per vendere senza il permesso del beccaro pena uno scudo e la perdita della carne. Nessuno può far porchette se 3 giorni prima non ha chiesto il permesso a mastro Bastiano pena 20 bolognini e la perdita della porchetta. Tutte le carni si dovranno vendere un quattrino meno del prezzo della città di Pesaro eccetto quella di bove ch’andarà per stima del capitano e delli massari. Se mancherà la carne pagherà ogni volta venti bolognini di multa. Nei mesi di luglio e agosto dovrà tenere per vendere due castrati la settimana con pensa, mancando, di venti bolognini per volta.

Nel 1585 i libri dei consigli registrano tra i salariati del castello il barbiere (lire 36), il barigello (lire 15), il capo massaro (lire 12); nell’aprile dell’anno precedente Giulio Cesare Mamiani ha preso possesso del castello di Sant’Angelo: compare nella vita della comunità il vicario, che governa in luogo del conte. [?] gennaio 1585. I massari hanno dato e confermato l’osteria a Giulio di Marino di Giorgio di Sant’Angelo per un anno dietro pagamento di 10 fiorini annui da pagarsi in rate mensili. I medesimi hanno dato e confermato a far il pane a Gaspardo di Gilio di Giorgio di Sant’Angelo, e lo faccia ben cotto e stagionato e da due oncie più della città, con la pena ogni volta farà il contrario. [...] Così hanno dato l’osteria di Montecchio a Cristofaro de Bastiano da Talacchio col pagamento di grossi 30 annui in rate mensili. Hanno dato la portaria a Mateo di Donino de Giorgio da Sant’Angelo col patto che... sia obbligato aver cura della porta continuamente, et serarla et aprirla secondo il bisogno. 1 marzo 1585. Li massari adunati come al solito hanno dato e confermato la beccaria a Bastiano detto il Pino da Montefiore per un anno incominciando da Pasqua di Resurrezione con la corrisposta di lire sessanta al capo massaro in rate mensili. [Bastiano] promette di far bene e diligentemente senza frode, vender la carne un quattrino meno della città e la bovina secondo la stima dei massari senza far mancare la 38


“Lista di tutti li fanti di Sant’Agnolo”, 1554, Libro dei verbali del Consiglio 1526-1556 (Archivio storico Diocesano, Pesaro)

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carne nei giorni deputati sotto la pena stabilita nei capitoli, e che gliela si dà secondo il solito con la reservatio dei fossi cum la casa sopra dicta beccaria, ed egli promette di non far cosa alcuna in pregiudizio della Comunità. [...] Poi si aggiunge che facendo il beccaro le porchette le prosegua a dare se li conviene, col permesso del Vicario; ma che nessun altro le può dare se non paga doi quatrini e mezza lira, e questo il detto macellaro lo concede alla compagnia del Sacramento... .

Dai libri della collegiata di San Michele Arcangelo Tra i documenti raccolti da Giovanni Gabucci negli anni Venti del Novecento ci sono anche diversi quaderni contenenti le trascrizioni dai registri dei battesimi, cresime, matrimoni e morti della parrocchia di San Michele arcangelo. Pur frammentari gli appunti di don Gabucci lasciano intuire un vivace spaccato di vita quotidiana tra i secoli XVI e XIX: barbieri, beccai, osti, fornai, levatrici, ciabattini, sarti, muratori, medici dei quali non sarebbe agevole, oggi, trovare altra traccia, nei pur copiosi documenti disponibili (alcuni dei nomi citati da Gabucci hanno riscontro nel Catasto del 1560). Sempre dagli appunti di don Gabucci proponiamo qui anche la rudimentale statistica offerta dai parroci e cappellani riguardo al numero delle nascite e delle morti negli anni 1568-1586. Particolarmente significative appaiono le testimonianze riguardanti i vasai, che si aggiungono alle già citate notizie sui ceramisti santangiolesi e, soprattutto, l’atto di battesimo di Giovanni Branca, i cui studi anticiparono di qualche secolo la nascita della macchina a vapore65. Da sottolineare la presenza a Sant’Angelo, sin dal 1573, di un “maestro di scola”, che confermerebbe ciò che circa due secoli dopo il parroco scriverà nella sua relazione per la visita del cardinal De Simone: “l’istituzione della scuola in Sant’Angiolo è antichissima”. Il maestro “viene eletto e pagato dalla communità”66. 15 febbraio 1564. [...] Qui si notarà tutti quelli che si batizarono nella chiesa de Sancto Michele. 1564. Fabro: Ubaldo; sarto: M° Cecco; cappellano: don Girolamo Palmiero, ferrarese; barbiere: M° Jacomo [anche 12 gennaio 1566]; beccharo: M° Stefano da Rimino [anche 4 aprile 1566]. 1565. Incomincia a battezzare don Camillo Mucciolo, in seguito rettore del Farneto; ciavattino, M° Damiano, lombardo. 1566. Murador: M° Rocco, lombardo; manischalcho: M° Giovanni Francesco abitante a Rimino; calzolaro: M° Luca; sarto: M° Benedetto Urbinate; Bartolomeo, rector di San Michele di Sant’Angelo; macellaro M° Stefano da Rimino; calzolaro M° Giovanni da Udene [anche 19 gennaio 1567]; canestraro: Camillo [anche 13 novembre 1567]. 1567. Fabro: 40


M° Baldo Gavello; M° Andrea da Genestreto; Gostanzo [morto nel 1567]; sarto: M° Angelo da Monte Montanaro. 1569. Ciavatino: Dioniso il zoppo, lombardo, habita Genestreto; Domenico di Gio. Jac. da Genestreto, 1569 [morto nel 1599]. 10 marzo 1569. [...] Ventura qual fu esposto a casa delli canonici alla badia chiamata volgarmente l’osteria nelli ripi fu batizato da me don Camillo Mucciolo. 1570. Pignataro: M° Luca; piazaro: Nicolò da Scorbara 1570; lanajolo: Bastiano. 19 febbraio 1570. Fra’ Giulio Riccio predicatore à sto loco dell’ordine delli franceschini. 24 agosto 1572. Fu contratta affinità tra Giulio di Bastiano dal Rio da Monte Cicardo et donna Gennara figlia di Simone del Tarlato da Sant’Angelo, et per dote li promise fiorini 155 et fiorini 25 promise Bernabeo di Gilio di Giorgio, et questo fu nella chiesa di San Michele ad castello in presentia di me don Ag. Ciarla... [in una nota qualche riga sotto Gabucci aggiunge che “i matrimoni dal 28 gennaio 1571 vengono notati dai cappellani Muccioli o Ciarla che furono presenti all’atto. Che il parroco non vi fosse?”]. 1573. Maestro di scola: M° Ludovico da Monte Baroccio. 1574. Nel foglio interno aderente alla pergamena si trovano le seguenti memorie. Adì 22 aprile 1574 fu la chiesa di San Michele del castello di Sant’Angelo... vista da Monsignor reverendissimo Razzone [Ragazzoni] Venetiano, vescuo già Santo Augustino, il quale fu mandato da la santità di papa Gregorio XIII. 1575. Capitano: Pier Gotio. 1576. Magnano: M° Antonio; maestro di scola: M° Ser Pompeo di ser Jacopo Vanni da Urbino (si sposa nel 1578 con donna Maddalena di Antonio il Rosso). 1579. Barbiere: M° Andrea da Rimino. 1580. Bastiano del speziale. 1581. Capitano: ms. Giovan Franco Racanati. 1585. Capitano: Battista Allegruccio (sepolto nel 1590).

Località ricordate Rimino [Rimini], Carpegna, San Donato, Montegaudio (Moto Gaudio), Schieti (Scieto – Schieto), Moto Luro [Monteluro], Monte l’Abate [Montelabbate], Ripe di Senigaglia, Sascorbara [Sassocorvaro], Mondaino, Via Piana, Mote Cicardo, Monte Cicardo [Monteciccardo], Monte Livecchi [Montelevecchie, oggi Belvedere Fogliense], Monte Montanaro, Montechio [Montecchio], Mondavio, Petriano, Monte Felcino [Montefelcino], Ginestreto, Monte Baroccio [Mombaroccio], San Marino, Meleto, Bagnacavallo, Brasco.

1568-1586. Sant’Angelo in Lizzola, nati / morti 1568. 31/29; 1569. 46/26 (“ne morì tra piccoli e grandi”); 1570. 38/40 (“tra piccoli e grandi”); 1577. 41/37; 1578. 35/29; 1579. 58/33; 1580. 36/39; 1581. 48/43; 1582. 45/38; 1583. 41/30; 1584. 39/39; 1585. 34/13; 1586. 48/23. 41


Completano il quadro alcune note tratte dal documentatissimo lavoro di Paolo Erthler sul santuario della Madonna delle Grazie di Pesaro, riguardanti i rapporti tra i Servi di Maria e Sant’Angelo in Lizzola, il cui abitato si trova a poca distanza dal convento dei Padri Serviti di Monteciccardo (il “Conventino”), costruito dal 1517 grazie a un lascito di Bernardino Fabbri. Su un totale di 95 frati presenti tra il 1469 e il 1687 nel convento dei Servi di Maria di Pesaro 40 provengono dalla città, 21 da Monteciccardo e altri 34 da vari paesi quasi tutti del pesarese; tra i santangiolesi oltre a Giuseppe (documentato nel 1530) e Nicola (1549), Erthler ricorda Girolamo Venerucci (presente nel 1549 e priore tra il 1562 e il 1564) e Virginio Passeri67. Priore a Pesaro tra il 1592 e 1593 e tra il 1600-1601 e 1605-1607, Passeri fu nel 1580 predicatore a Santa Maria della Consolazione di Ferrara, e nel 1591 maestro di teologia a Mantova.

I massari di Sant’Angelo, 1540, Libro dei verbali del Consiglio 1526-1556 (Archivio storico Diocesano, Pesaro)

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Giovanni Branca (1571-1645) “Io mi chiamo Giovanni Branca; la mia patria è Sant’Angelo di Pesaro, e sono in età di anni 74, ed abito da trent’anni in qua in questa città di Loreto”68. La dichiarazione è del 1645, anno in cui, poco prima di morire, Giovanni Branca è testimone in una causa civile; dal 1616 era architetto della Santa Casa di Loreto, incarico ottenuto dopo la vittoria al concorso romano del 1613. Secondo alcuni biografi Branca si sarebbe formato proprio a Roma nell’ultimo ventennio del XVI secolo; è certo che nella capitale gli fu conferita la cittadinanza onoraria, ma nel 1595, ci informa Giovanni Gabucci, “lo ritroviamo a Sant’Angelo, col titolo di maestro, padrino a un battesimo”. È ancora Gabucci ad affermare che Branca “già nel 1614 aveva occupato il suo studio” a Loreto, mentre secondo Domenico Bonamini vi sarebbe giunto nel 161569. Primo suo impegno in questa città furono i lavori di ristrutturazione dell’acquedotto, voluto da Sisto V e costruito nel primo ventennio del XVII secolo dagli architetti pontifici Carlo Maderno e Gian Domenico Fontana70. Nel 1621-’22 Branca progettò i baluardi pentagonali aggiunti alle mura del Sangallo e del Sansovino, e successivamente la porta Marina, caratterizzata dall’elemento decorativo delle api, simbolo della famiglia Barberini cui apparteneva papa Urbano VII; a Branca si deve anche la torre civica a fianco del palazzo comunale, successivamente rimaneggiata. Una tradizione non documentata gli assegna infine anche la paternità di palazzo Mamiani, a Sant’Angelo in Lizzola. L’avere però egli dedicato il suo libro Manuale di Architettura di cui appresso all’illustrissimo signor Giulio Cesare Mamiani della Rovere conte di Sant Angelo, ed il sentire quel suo già baronale palazzo [...] dei tempi in cui viveva questo architetto; vedendosi bella e ragionata distribuzione di scale e di appartamenti, e senza soccorso d’interni cortili, ambienti ovunque bene illuminati, lavoro certamente di mano maestra e con ogni studio immaginato ed eseguito, fa credere che il Branca vi abbia avuta come suona la fama qualche parte e direzione71.

Come si vedrà più avanti, secondo le fonti attualmente disponibili il palazzo santangiolese dei Mamiani sarebbe stato costruito a partire dal 1588: “le tradizioni popolari non vogliano disprezzarsi”, ammonisce l’Olivieri e dunque, in assenza di prove contrarie proponiamo lospunto senza ulteriori commenti. 43


Nel 1628 monsignor Tiberio Cenci, vescovo di Jesi e governatore di Loreto, nominò l’architetto “commissario agente e procuratore per li beni” della Santa Casa; morto il 24 gennaio 1645, Branca fu tumulato nella basilica di Loreto, nel sepolcro comune della Compagnia del Santissimo Sacramento72. Più che per le sue costruzioni, Giovanni Branca è oggi noto per le sue pubblicazioni, il Manuale di Architettura, appunto, trattato in sei volumi pubblicato ad Ascoli nel 1629, del quale si ebbero fino alla fine del secolo XVIII diverse edizioni e Le Machine, volume nuovo e di molto artificio da fare effetti meravigliosi tanto spiritali quanto di animale operazione, dedicato a monsignor Cenci sin dal 1628 e stampato a Roma sempre nel 1629. In quest’ultima pubblicazione Branca elenca le principali macchine esistenti ai suoi tempi e, ispirandosi all’eolipila di Erone Alessandrino crea uno strumento “per pestare le materie per fare la polvere”, azionato dalla forza del vapore e descritto nella tavola XXV. Da qualsivoglia figura si può cavare principi e fondamenti buoni per servirsene all’occasione. La figura XXV è fatta per pestare le materie per fare la polvere ma con un motore maraviglioso che non è altro che una testa di metallo con il suo busto segnato per A empito d’acqua per il foro B posto sopra carboni accesi nel focolare C che non possa esalare in altro luogo che nella bocca in sito D farà fiato cosi violento che la ruota E e il suo rocchetto F darà nella ruota G e con il suo Rocchetto H muova la ruota I quale con il rocchetto K muova la ruota L con il cilindro imperniato per alzare i due pistoni NO inseriti nelli sostegni PQ quali alzandosi a vicenda sopra i vasi di metallo M si pestano la polvere ed altre materie che abbisognano73.

Della sua macchina Branca costruì anche un modello, copia del quale si trova tuttora nel palazzo comunale di Sant’Angelo in Lizzola; per avere frutti significativi della sua scoperta occorrerà però attendere l’inizio del XVIII secolo, quando l’energia del vapore comincerà a essere applicata in campo industriale. Una riproduzione della macchina fu realizzata per l’Esposizione di Chicago del 193374. A Giovanni Branca fu dedicata nel 1841 una lapide ancora oggi visibile all’ingresso del castello di Sant’Angelo; nel 1971 l’amministrazione comunale organizzò in occasione del IV centenario della nascita dell’architetto una giornata di celebrazioni: la commemorazione fu affidata a Vincenzo Rubbo, professore del Politecnico di Milano, e in quella data, sigillata tra l’altro da un annullo filatelico speciale, fu inaugurato il monumento che coronava finalmente una serie di tentativi del paese di rendere omaggio a uno dei suoi figli 44


più illustri. Come annotava il presidente del comitato per le celebrazioni Enrico Garattoni, si sa infatti di una prima iniziativa che fu promossa allorquando Terenzio Mamiani, ultimo conte di Sant’Angelo, divenne ministro dell’Interno di un governo costituitosi per le Marche e la Romagna. Essa però non ebbe seguito in quanto il Mamiani, eletto presidente dell’apposito comitato, non solo non volle saperne ma vi si oppose. La cosa dovette suscitare notevole risentimento tanto che, quando a Pesaro si svolse il corteo funebre del Mamiani, i santangiolesi, indubbiamente per ripicca, non vi inviarono nessuna rappresentanza. Altro tentativo fu fatto dal Comune di Sant’Angelo nel 1874, che fallì, non avendo i cittadini e gli enti risposto all’appello per la raccolta dei fondi necessari all’erezione di un monumento. In tempi più recenti si ebbe un’ultima iniziativa nel 1950, ma l’azione dell’apposito comitato fu interrotta per la morte del promotore75.

“Macchina con la quale Giovanni Branca di S. Angelo in Lizzola dimostrò nel 1627 la sua scoperta della forza motrice col vapore acqueo” (ed. Giovanni Gabucci, stampa Scuola tipografica don Guanella, Roma, anni Trenta del Novecento, Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci). A pagina 47. Casa ove nacque Giovanni Branca, disegno di Mario Franci (anni Trenta del ‘900, Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci); l’edicola fatta costruire da Giovanni Foschi nel 1887, di fronte alla casa natale di Branca, maggio 2011 (fotografia C. Ortolani). A pagina 48: Sant’Angelo in Lizzola, stima della dote di Francesca di Paulo di Ciacca a cura di donna Fiore, moglie di Nicolò Branca e madre di Giovanni, 1584, dettaglio (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola).

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Della sottoscrizione promossa dall’Amministrazione comunale si ha notizia in realtà sin dal 187376, e sembra di poter annoverare almeno l’ipotesi di un ulteriore omaggio a Branca nel 1930, quando Gabucci afferma “ora Sant’Angelo in Lizzola, che ha il vanto di mostrare al forestiero l’umile casa ove il Branca vide la luce, vuol aggiungere qualcosa al freddo marmo [della lapide]: vuole, come monumento vivo, un istituto di beneficenza...”77. Sia l’opuscolo del 1971 sia lo studio di Giovanni Gabucci ricordano poi la querelle tra Sant’Angelo in Lizzola e Cannobio, indicato da alcuni studi del primo Novecento quale patria della famiglia d’origine dell’architetto. Proprio Gabucci approfondisce la questione, ricostruendo grazie ai documenti dell’archivio parrocchiale di Sant’Angelo un abbozzo di genealogia della famiglia Branca. “Adi 22 aprile 1571. Giovanni figlio di mastro Nicolò Branca fu batizato da me don Agostino Ciarla compar mastro Mercurio sarto, comar donna Giovana”: nell’atto, trascritto dal I Libro dei battesimi della parrocchia, non compare il nome della madre di Giovanni, Fiore, che Gabucci ricava da altri battesimi “nei quali essa fu comare”; Giovanni Branca ricevette la cresima da monsignor Roberto Sassatelli nel 1580. Più spesso di Nicolò compare suo fratello Bastiano, compreso anche nell’elenco “dei quaranta soldati che, sotto il comando di Iacomo di Lape, erano adibiti alla difesa del castello, e ciò fin dal 1556, cioè quattro anni prima dell’ipotetico trasferimento del Branca da Cannobio a Sant’Angelo in Lizzola”78. Nel Catasto roveresco Nicolò di Giovanni di Branca risulta proprietario di 40 canne di terreno e una casa in fondo Serra, mentre Bastiano di Giovanni di Branca possiede 302 canne di terreno e una casa in fondo Montali79. Nel già citato Libro d’estimo della comunità di Sant’Angelo del 1584 i fratelli Branca, registrati entrambi come muratori, risultano proprietari di case e appezzamenti di terreno con vigne e arativo in fondo Cerreto, fondo San Gianni e Monte Novo. I beni di Nicolò, che morì a ottanta anni il 16 dicembre 1610 passarono all’unico suo figlio Giovanni, e da questi alla Santa Casa di Loreto. In un primo tempo credetti trattarsi di una donazione, ma il padre Francesco Del Monte, archivista della Santa Casa mi fece notare come il Branca cedette i suoi possedimenti alla Santa Casa con atto del 5 gennaio 1638, in estinzione di debiti da lui contratti con la stessa amministrazione. Da accurate ricerche fatte a Loreto dal padre Del Monte (al quale va per questo tutta la mia riconoscenza) non sembra che il Branca formasse famiglia. [...] Gli eredi Branca per parte di Bastiano 46


proseguirono ad abitare a Sant’Angelo; e tutti ricordano ancora un vecchio carrettiere, Francesco Branca morto nell’aprile 1928, che con un certo senso di rispetto abitava nella modesta casetta ove nacque il suo glorioso antenato80.

Grazie a Giovanni Gabucci possiamo almeno approssimativamente individuare il luogo ove sorgeva la casa dove, secondo la tradizione, vide la luce Giovanni Branca: Venerdì 11 novembre 1921. Questa mattina ad un’ora dopo mezzanotte è morto coi sacramenti Giovanni Foschi, cieco da diversi anni, il quale nel 1887 fece edificare la celletta tutt’ora esistente avanti la casa ove nacque Giovanni Branca. L’immagine della Beata Vergine dalla quale piccino ebbi la sanità, come mi raccontava il babbo, è la medesima, rimpicciolita, esistente nella cella posta lì vicino al luogo detto il pozzalone, che è il giro della cella stessa (in cui si seppellivano i bambini morti senza battesimo), vandalicamente atterrata poco prima del 1887 da Luciano Del Monte che abitava ove ora sta Paolini, colono di Spongia. L’attuale cella porta la lapide Questa cella/ in onore/ di Maria SS. della Misericordia/ fu eretta/ da Giovanni Foschi di S.Angelo/ nell’anno 1887 e fu costruita dal capomastro Tucchi Biagio di qui81.

La “modesta casetta” fu venduta nel 1947 “dall’ultimo erede dei Branca, incurante della gloria del suo avo”82. Oltre ai discendenti dei Branca, gli Stati delle anime della parrocchia di Sant’Angelo registrano ancora nel 1711 una “casa della Santa Casa di Loreto”, nella zona detta “i Rimpi”, tra il castello e l’Apsella83.

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Note 1 C. Marcato, “Sant’Angelo in Lizzola”, in G. Gasca Queirazza et al., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Torino 1990. 2 M. Frenquellucci, Alle origini del Comune, Pesaro 1999, p. 148. 3 Marcato, “Agiotoponimi”, in Enciclopedia dell’Italiano, Treccani (2010), estratto da www.treccani.it/ enciclopedia/agiotoponimi_(Enciclopedia_dell’Italiano) (30 maggio 2013, 18.35). 4 A. degli Abbati Olivieri, Memorie dell’Abbadia di San Tommaso in Foglia nel contado di Pesaro, Gavelli, Pesaro 1778. 5 Memorie di Tommaso Diplovatazio patrizio costantinopolitano e pesarese, raccolte da A. Degli Abbati Olivieri, Gavelli, Pesaro 1771. 6 G. Calindri, Saggio statistico-storico del pontificio stato, Perugia 1829, p. 180. 7 V. Castelli, “Principali terremoti storici dell’area umbro-marchigiana”, http://emidius.mi.ingv.it/ GNDT/T19970926/schede1279-1879.html (19 novembre 2012, 14.55). 8 Olivieri, Memorie dell’Abbadia..., cit., pp. 53-54. 9 Olivieri, Memorie di Gradara terra del contado di Pesaro, Gavelli, Pesaro 1775, p. 60. 10 Olivieri, Memorie dell’Abbadia..., cit., p. 69. 11 Olivieri, Memorie di Gradara..., cit., p. 56. 12 Olivieri, Memorie della Chiesa di S. Maria di Monte Granaro fuori delle mura della città di Pesaro, Gavelli, Pesaro 1777, pp. 18-19. 13 Olivieri, Memorie di Alessandro Sforza, Gavelli, Pesaro 1785, pp. 29-30. 14 G. Gabucci, La patria di Giovanni Branca, estratto da “Studia Picena”, Fano 1930, p. 11. Per altre notizie su Montecchio e sui rapporti tra la frazione e il capoluogo comunale ci permettiamo di rimandare a C. Ortolani, Un paese lungo la strada. Montecchio, storie e memorie tra XVI e XX secolo, Sant’Angelo in Lizzola 2009. 15 Frenquellucci, Alle origini del Comune, cit., p. 148. 16 Cfr. p. 18. 17 Olivieri, Memorie dell’Abbadia..., cit., p. 143 e segg. 18 C. E. Montani, Memorie istoriche, ecclesiastiche e civili della città di Pesaro e suo territorio, tomo II, a cura di G. Stroppa Nobili, Pesaro 2012, c. 283 (pagine non num.). 19 AdP, Archivio di Giovanni Gabucci (d’ora in avanti: GG), Sant’Angelo in Lizzola, Appunti e ricerche per Sant’Angelo in Lizzola, 1911, p. 76 e L. Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola, la storia, i personaggi, Roma 1996, p. 151. 20 Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola..., cit., p. 139. 21 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Appunti e ricerche..., cit., p 36. 22 Gabucci, Elenchus ecclesiarum Pesaro, in “Studia Picena”, Pubblicazioni del Pontificio Seminario Marchigiano Pio XI, vol. IV, Fano 1928, pp. 113-133. 23 BOP, S. Ortolani, Storia della chiesa pesarese, ms 1663, tomo II, c. 46 e tomo I, c. 586. 24 M. Luchetti (a cura), Il “sinodo” di Leale Malatesta vescovo di Pesaro (1373), in “Frammenti”, rivista di studi dell’Archivio storico Diocesano di Pesaro, n. 2, Pesaro 1994, p. 41. 25 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Parroci, Prospetto dei parroci della priorale compilato dal priore Giuseppe Foschi, aggiornato dal priore don Vitale Zazzeri (1815, con aggiunte del 1926), c.n.n. 26 Ivi, Parroci, cc. 14-15. 27 Breve e succinta relazione storica sulla fondazione e pregi di Pesaro di Macrobio pesarese, Foligno 1821, p. 73. 28 G. Allegretti, S. Manenti, I catasti storici di Pesaro. Vol. I Le catastazioni comunali, Tomo 2 - Il Catasto roveresco (1560) - Tabulati, Pesaro 2004, p. 249. 29 Cfr. n. 25. Per i Muccioli, cfr. p. 149. 30 G. F. Allegretti (a cura) La visita pastorale del cardinale Gennaro Antonio De Simone alla diocesi di Pesaro, Urbania 2007 (d’ora in avanti: DS), pp. 197-198 e 202. 31 www.santuariosanmichele.it (29 gennaio 2013, 9.55).

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“San Michele arcangelo di Sant’Angelo in Lizzola”, www.arcidiocesipesaro.it/parrocchie/93-elencoparrocchie-e-chiese/394-chiesa-di-san-michele-arcangelo-in-santangelo-in-lizzola.html (15 maggio 2013, 17.20). 33 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Inventario della parrocchia di San Michele arcangelo - Sant’Angelo in Lizzola 1932, p. 10. 34 DS, pp. 202-203. 35 Gabucci, Sant’Angelo in Lizzola, Blocco storico santangiolese, 8 luglio. 36 PSM, n. 130, Questionario inerente la visita pastorale alla Confraternita della Natività di Maria in Sant’Angelo in Lizzola, 1941, p. 2. 37 Allegretti, Manenti, I catasti storici di Pesaro. Vol. I, Le catastazioni comunali, tomo 3, Il Catasto sforzesco (1506) - Tabulati, Pesaro 2000, p. XV. 38 Ivi, tomo 2, cit. p. 246. 39 AcSA, Archivio collegiata di San Michele Arcangelo, Introiti ed esiti, n. 159, Libro di varie spese fatte per il mantenimento della chiesa di S. Andrea. 40 G. Allegretti, La visita apostolica della diocesi pesarese (1574), in “Frammenti”, n. 2, Pesaro 1997, p. 104. I riferimenti tra ( ) sono tratti da Marco Di Giorgio, La visita apostolica alla diocesi di Pesaro del 1574, in Frammenti n. 1, Pesaro 1994, pp. 158-159. 41 P. Persi, E. Dai Prà, Ville e villeggiature sui colli pesaresi a sud del Foglia, Fano 1994, p. 249. 42 Gabucci, A casa nostra, lettura al cinema Branca di Sant’Angelo in Lizzola, 13 Marzo 1948, ms., Sant’Angelo in Lizzola, Archivio parrocchiale di San Michele Arcangelo (d’ora in avanti: ACN), in C. Ortolani, Il facchino della diocesi. Giovanni Gabucci (1888-1948), Sant’Angelo in Lizzola 2010, p. 25. 43 Allegretti, Manenti, I catasti storici di Pesaro. Vol. I, Le catastazioni comunali, tomo 2, cit., p. 206. 44 Ibid., p. 18. 45 AcSA, Deliberazioni podestarili, 31 ottobre 1931. 46 Olivieri, Delle figline pesaresi e di un larario puerile, Pesaro 1780, p. XI. 47 P. Berardi, La ceramica pesarese del Quattrocento, in Pesaro tra medioevo e Rinascimento, Venezia 1989, pp. 358-359. 48 A. Ciaroni, Maioliche del Quattrocento a Pesaro, frammenti di Storia dell’arte ceramica dalla bottega dei Fedeli, Firenze 2004, p. 12. 49 Ibid., p. 72. 50 Salvo diversa indicazione le notizie su Giacomo Boccalaro provengono da M. Picciau, “Jacomo da Pesaro”, Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani (2004). Le citazioni sono tratte dalla versione online: www.treccani.it/enciclopedia/jacomo-da-pesaro_(Dizionario_Biografico) (29 novembre 2012, 15.25). 51 Ciaroni, cit., pp. 72-74. Un elenco di vasai santangiolesi è anche in L. Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola, cit., pp. 209-210. 52 G. M. Albarelli, Ceramisti pesaresi nei documenti notarili dell’archivio di stato di Pesaro sec. XV-XVII a cura di P. M. Erthler, Bologna 1986, pp. 721-727. 53 Gabucci, La patria..., cit., p. 11; “Cronotassi dei vescovi della Diocesi di Pesaro”, www.arcidiocesipesaro.it/arcidiocesi/cronotassi/66-cronotassi.html (30 novembre 2012; 18.35). 54 Ibid. La cronotassi sopra citata riporta da altre fonti anche un diverso intervallo di date per il periodo di reggenza della diocesi di Cesare Benedetti: 1588-1609. 55 G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia 1852, vol. LIX, p. 186. 56 A. Ottaviani, “Giacomo da Pesaro”, Dizionario biografico degli italiani, vol. 54, Treccani (2000), www. treccani.it/enciclopedia/giacomo-da-pesaro_(Dizionario-Biografico) (1 dicembre 2012, 11.00). 57 Allegretti, Manenti, I catasti storici di Pesaro. Vol. I Le catastazioni comunali, tomo 3, cit. p. 238-239; tomo 2, cit. pp.280-282. 58 Ibid., pp. 247-248; tomo 2, p 294. 59 “Magnano: propriamente il fabbro che fa toppe e chiavi”, N. Tommaseo, Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua Italiana, Firenze 1838. 60 Cfr. n. 28. 32

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Allegretti, Manenti, I catasti storici di Pesaro. Vol. I, Le catastazioni comunali, tomo 3, pp. 247-248; tomo 2, pp. 203-208, p. 232; tomo 3, pp. 238-252. 62 Per le notizie biografiche su Giovanni Gabucci si veda Ortolani, Il facchino ..., cit. 63 Allegretti, Monte Baroccio. 1513-1799, Comune di Mombaroccio 1992, p. 95. 64 ApSA, Gabucci, Sunto dei Libri dei Consigli della Comunità di Sant’Angelo in Lizzola dal 1° gennaio 1584 all’11 ottobre 1600, ms., 1921. 65 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Appunti dai libri di Battesimi della Collegiata di San Michele Arcangelo, 1926. I Libro dei Battesimi (comprende: Battezzati 1564-1578, Cresimati 1564-1573, Matrimoni e Morti 1565-1573); II Libro dei Battesimi (comprende: battezzati dal 1574 al 2 maggio 1587, Cresimati nel 1580, Matrimoni dal 1574 al 26 aprile 1587, Morti dal 1571 al 1587). 66 DS, p. 204. 67 Erthler, La Madonna delle Grazie di Pesaro, origine e primi sviluppi del santuario, Roma 1991, pp. 500, 504-506, 551-552. 68 P. Mancini, Intorno Giovanni Branca della terra di Sant’Angelo in Lizzola presso Pesaro, in “Esercitazioni dell’Accademia Agraria di Pesaro”, anno VIII, 2° semestre, Pesaro 1841, p. 39. 69 D. Bonamini, Abecedario degli architetti e dei pittori pesaresi, a cura di Giovanna Patrignani, in “Pesaro città e contà”, rivista della Società Pesarese di Studi Storici, n. 6, Pesaro 1996, p.55. 70 Gabucci, La patria..., cit., pp. 14-15. 71 Mancini, cit., p. 41. 72 Gabucci, La patria..., cit., pp. 15-16. 73 Ibid., p. 45. 74 ACN, p. 27. 75 Celebrazioni del IV centenario della nascita di Giovanni Branca, 1971, opuscolo edito dal Comune di Sant’Angelo in Lizzola, Pesaro, s.d. 76 AcSA, Delibere consiliari 1868-1892, 28 aprile 1873. 77 Gabucci, La patria..., cit., p. 23. 78 Ibid., pp. 14-22. 79 Allegretti, Manenti, I catasti storici di Pesaro. Vol. I, Le catastazioni comunali, tomo 2, cit., p. 243 e 239. 80 Gabucci, La patria..., cit., p. 22. 81 In Ortolani, Il facchino..., cit., p. 85. 82 ACN, p. 27. 83 AdP, Stati delle anime, Sant’Angelo in Lizzola, parrocchia di San Michele arcangelo, 1702-1711. 61

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II. Luoghi, figure

Sant’Angelo in Lizzola, feudo dei Mamiani 1584-1855


Stemma della famiglia Mamiani della Rovere (Archivio storico Diocesano, Pesaro, Processi di nobiltĂ , Famiglia Mamiani). A pagina 56: il Ritratto di gentiluomo ignoto attribuito a Federico Barocci o alla sua bottega, nel quale alcuni studiosi hanno identificato Giulio Cesare Mamiani, 1575 - 1599 (San Pietroburgo, Hermitage)

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I Mamiani alla corte di Francesco Maria II della Rovere, duca di Urbino

1584. Sotto il dì 4 aprile il duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere investì del feudo di Sant’Angelo ed annessi nella diocesi di Pesaro, col titolo di conte, Giulio Cesare Mamiani nobile di Parma, in compenso del lungo servigio e fedele prestatogli in Pesaro nella qualità di suo gentiluomo di camera, rogito di Pietro Paolo Andreoli di Gubbio, e fu estesa l’investitura a tutti i suoi figli maschi, e discendenti maschi in infinito, col solo obbligo di pagare ogni anno per tributo allo stesso duca il dì di San Michele di settembre dodici reste di fichi secchi, ossia un mazzo di fichi1.

Il contratto feudale fu sottoscritto nel palazzo ducale di Pesaro, nella camera di residenza del duca verso la piazza grande, presso lo studio di Francesco Maria II, alla presenza di Guidubaldo Del Monte, Fabio Landriano conte di Montefelcino e Giovanni Tommasi, conte di Montebello. L’atto, rogato da Pietro Paolo Andreoli da Gubbio, è noto attraverso una copia notarile del 1754, conservata presso l’Archivio di Stato di Pesaro2. Giulio Cesare Mamiani, conte di Sant’Angelo

1584. Sotto il dì 6 aprile il conte Giulio Cesare Mamiani (rogito di Pietro Paolo Andreoli di Gubbio) prese nella torre di Sant’Angelo possesso del feudo, e quei massari e consiglieri giurarono fedeltà sì a lui, che a tutti i successori compresi nell’investitura, ciocché fecero, niuno discrepante, sì in vigore dell’istromento d’investitura come anche per lettera che a tale oggetto scrisse il duca al luogotenente di Pesaro, ordinando loro che riconoscessero il Mamiani nuovo padrone. 1584. Sotto il dì 3 ottobre il duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere (rogito di Pietro Paolo Andreoli di Gubbio) concesse al conte Giulio Cesare Mamiani e a suoi successori nel feudo di Sant’Angelo la casa ossia il palazzo e la torre ed ogni altro edificio che sua serenità aveva, ed a lui apparteneva prima della infeudazione di quel castello. Così pure in detto istrumento accordò il duca vari privilegi a favore del conte di Sant’Angelo pro tempore e degli stessi abitanti di quel feudo3.

Le notizie edite sinora sui conti di Sant’Angelo si basano fondamentalmente su un manoscritto dell’archivio di Casa Mamiani, nel quale è riassunta la storia della famiglia attraverso memorie “estratte dai registri della Cancelleria del feudo di Sant’Angelo in Lizzola”4, cui si aggiungono le Memorie storiche riguardanti la famiglia Mamiani raccolte da Gianfrancesco Mamiani5. Entrambi i manoscritti si fermano 55


ai primi anni del secolo XIX. Accurate integrazioni su Gianfrancesco e i suoi figli compaiono nei lavori dedicati a Terenzio Mamiani da Giorgio Benelli e Antonio Brancati, i quali hanno di recente approfondito la ricerca sull’ultimo conte di Sant’Angelo in Lizzola con tre importanti volumi. Una precisazione è d’obbligo. Non risulta che la genealogia completa dei Mamiani sia stata pubblicata: in particolare alla discendenza femminile la documentazione accenna solo raramente, qualche testamento e poche altre carte che, come di frequente in questi casi, meriterebbero ulteriori approfondimenti. L’albero genealogico pubblicato su queste pagine costituisce dunque un primo tentativo di sistemazione delle notizie sinora reperite, che andrà completato e aggiornato in altre sedi. I Mamiani hanno origini parmensi (Mamiano è anche il nome di una frazione di Traversetolo, in provincia di Parma): i documenti sopra citati ne ripercorrono la genealogia a partire dal 1360, anno in cui risulta vivente a Parma Giovanni Mamiani. A Giovanni segue Girolamo “nobile di Parma” per arrivare attraverso Gian Marco a Giambattista, che da Giulia Smeraldi ebbe nel 1553 Giulio Cesare, futuro I conte di Sant’Angelo in Lizzola.

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I Mamiani e Francesco Maria II della Rovere

Nel 1570 Giulio Cesare Mamiani fu nominato dal duca di Urbino Guidubaldo II Della Rovere cameriere segreto6 del figlio Francesco Maria II7; più d’uno studioso ricorda il ruolo dei Mamiani alla corte del duca di Urbino, che spesso li cita nel suo diario. Alla corte di Castel Durante aggiunse un braccio che destinò a biblioteca dove collocò tutti i suoi libri e dove passava i giorni interi con gli antichi sapienti e con gli uomini dotti della sua corte, e co’ suoi amici fra i quali ebbe carissimi soprattutti quei della famiglia Mamiani. E basta leggere il suo diario per vedere quanto tutti li amasse, trovandosi registrato in esso le nascite, gli incarichi dati loro, le ambascerie, i matrimoni e le morti, ciò che non fece di niun altra famiglia. Ecco i luoghi dove ne parla. A 4 aprile 1584: feci conte di S. Angelo castello nel territorio di Pesaro Giulio Cesare Mamiani da Parma, gentiluomo della mia camera. A’ 25 gennajo 1587: nacque Agnolo Mamiani. A’ 23 detto 1594: nacque Ottavio Mamiani. A’ 17 dicembre 1597: Francesco Maria mandato al duca di Savoja. 9 settembre 1598: partì il marchese della Rovere in Spagna con Francesco Maria Mamiani. 24 ottobre: partì Giambattista Mamiani per lo studio di Padova. Nel 1599 e nel 1608 e 1609 manda un Mamiani al granduca di Toscana; nel 1606 al duca di Mantova; nel 1610 in Francia per atto di condoglianza dopo ucciso Enrico IV. A’ 10 febbrajo 1645: il conte Francesco Mamiani partì da Fiorenza per sposar la moglie che è de’ conti della Gherardesca; 26 dicembre 1613: morì il mio conte Giulio Cesare Mamiani. Iddio t’abbia in cielo. 1647: partì di Pesaro per Boemia il conte Girolamo Mamiani e vi andò il conte Francesco Paciotto. 17 settembre 1617: partì Ottavio Mamiani per Napoli a visitar mia sorella inferma. 1623: morì in Roma il conte Agnolo Mamiani. Intesi come il conte Ottavio Mamiani era stato fatto del consiglio di guerra in Fiandra8.

Aggregato nel 1581 alla nobiltà di Pesaro9, dove “fu consigliere” ed ”esercitò il carico di gonfaloniere”, Giulio Cesare era “trattato ne’ libri publici col titolo d’illustrissimo, titolo in quel tempo inusitato, che non si dava senonché a persone di famiglie le più riguardevoli e più distinte”10. Sant’Angelo in Lizzola, 6 aprile 1584. Memoria faccio io Paolo Alegruccio come sotto il dì quattro del mese di aprile 1584 piacque al serenissimo duca Francesco Maria Feltrio dalla Rovere secundo, et d’Urbino duca sexto, infeudar et far conte di questo castello di Sant’Angelo il molto illustre ser Iulio Cesar Mamiani parmisano suo gentil homo, et darli tittolo di conte et ciò fu il mercor, il dì sexto poi del medesmo mese, et fu il venerdì il prefato conte Iulio Cesar prese possesso con molta sodisfatione sua et di questo castello et il quale venne a consegnarli il possesso il m.ro Galvasio [?] da Ugubio qual luogotenente di Pesaro et cancelliere di sua altezza serenissima et del tutto ne fu rogato da messer Pietropaolo da Ugubio cancelliere...11. 57


Un anno dopo l’assegnazione del feudo di Sant’Angelo in Lizzola Giulio Cesare I riceve dal duca il privilegio di aggiungere al proprio cognome quello dei della Rovere: 1585. Sotto il dì 1° gennaro il duca d’Urbino Francesco Maria II della Rovere con suo diploma dal segretario Giulio Veterani sottoscritto da tre consiglieri, e dal duca istesso, accordò al conte di Sant’Angelo Giulio Cesare Mamiani e a tutti li suoi discendenti maschi in infinito, l’immunità da ogni gravezza. Inoltre concesse in detto istrumento il duca al Mamiani, e suoi discendenti, di essere ascritti alla propria famiglia della Rovere, d’alzarne lo stemma, e portarne il nome. E finalmente concesse sì a lui che a ogni conte di Sant’Angelo pro tempore di tenere nel feudo di Sant’Angelo il sale venale, affinché si potesse vendere allo stesso prezzo che si vende in Pesaro dai ministri ducali, e di pagare il tributo dei fichi secchi non più nel giorno di San Michele, ma in quello della vigilia di Natale del nostro Signore Gesù Cristo12.

Tra i privilegi che i Mamiani difenderanno fino a metà Ottocento oltre a quello di poter vendere il sale senza la mediazione della tesoreria ducale, vi era anche la possibilità di nominare un giudice ordinario per le cause civili e penali, creare notai, dare accoglienza ai fuoriusciti per motivi politici, fortificare il castello e, infine, di tenere mercati e fiere. Anche Francesco Maria, figlio di Giulio Cesare ebbe gran peso alla corte di Francesco Maria II, del quale fu maestro di camera13 e ambasciatore presso la corte del re di Francia Ludovico XIII e presso i granduchi di Toscana14. “Intimo del duca, poteva più solo che tutti gli altri assieme”15. Nel 1623, alla morte prematura del diciottenne Federico Ubaldo, l’anziano Francesco Maria II Ripreso contro sua voglia, l’esercizio della suprema autorità dello stato sconvolto dai passati disordini e dalle matte profusioni di Federico... non più di tre giorni dopo la morte del figlio, cioè a 3 luglio con suo spaccio indiritto agli otto Comuni, gl’invitò a congregare il consiglio generale, affinché eleggesse definitivamente un soggetto che dovesse far parte di quella suprema magistratura. [...] Chiamò quindi da Pesaro Giulio Giordano, gentiluomo di gran merito e a lui affezionatissimo; chiamò da quella stessa città per primo segretario Marc’Antonio Gessi in cui pienamente confidava: il quale essendosi scusato, vi sostituì l’Inghirami da Volterra, mandatogli dal granduca; a cui aggiunse il prelato Malatesta, e Francesco Maria Mamiani suo principal ministro e favorito. Formò ancora una congregazione, composta di persone più intime, di cui era anima il Mamiani; e nella quale fu, prima di tutto, posto in consulta il collocamento della bambina Vittoria [figlia di Federico Ubaldo e Claudia de’ Medici], in cui tutta la 58

Giulio Cesare Mamiani della Rovere

Francesco Maria Mamiani della Rovere


casa roveresca era concentrata e che dalla madre Claudia era stata poco dopo la morte di Federico abbandonata. Discutevasi ogni giorno questo negozio; ma per l’importanza sua e per la difformità de’ pareri, ne andava in lungo la conclusione: sicché il duca, che in questo era accesissimo e non pativa indugi, fece da sé. Era venuto da Firenze a fare ufficio di condoglianza per parte di quella corte il conte Orso Elci, e poco dopo il cavaliere Andrea Cioli, tutti due principali ministri del granduca; i quali ristrettisi col Mamiani, in pochi giorni conclusero che Ferdinando ricevesse presso di sé la bambina per isposarla a suo tempo giacché egli trovavasi in età minore; e che il duca accompagnasse la nipote con una sua carta in cui erede universale la dichiarasse. E così seguì in termine piuttosto di ore che di giorni, e con celerità così risoluta, che, posta la bambina in una lettica accompagnata dal solo conte Mamiani e da sua moglie, che buone mercedi ne riportarono, si trovò prima condotta fra i serenissimi de’ Medici, che avesse riconosciuto il proprio avo; dal quale altra dote non riportava che un foglio sottoscritto dal duca il quale con sobrie ma pregnanti parole, diceva di prometterla sua erede e di consegnarla per tale16.

Ottavio Mamiani della Rovere, conte delle Gabiccie

Un anno dopo muore anche Francesco Maria Mamiani e il fratello Ottavio, tornato dalle guerre di Fiandra, “dove con grande onore aveva esercitato la milizia, gli succedé nel favore del duca”17. “In compenso del lungo e fedele servigio prestatogli”, nel 1625 questi sub infeuderà a Ottavio “il Castello delle Gabiccie nel pesarese, [...] esiggendo da esso e da tutti i conti futuri il tributo di quattro casci marzolini ogni anno, nel dì della Santissima Annunziata”18. Anziano e malato, Francesco Maria II della Rovere aveva sottoscritto nel 1624 la devoluzione degli Stati rovereschi allo Stato pontificio (un ruolo importante negli accordi tra le due parti fu svolto da Angelo Mamiani, quartogenito di Giulio Cesare). Nel 1631 si ritirerà a vita privata, dopo aver conferito al governatore pontificio gli affari del ducato, mantenendosi il solo diritto di giudicare cause particolari; poco dopo morirà a Urbania all’età di 83 anni19. Nello stesso anno Ottavio Mamiani è aggregato alla nobiltà urbinate. “Uomo di qualità, valore ed esperienza”, ambasciatore del duca di Urbino alla corte estense di Modena, nel 1635 sarà insignito dal re di Spagna dell’ordine di San Jago20 (Santiago de Compostela). Come quasi tutti i Mamiani chiederà di essere sepolto nella tomba di famiglia, nella chiesa di San Giovanni Battista, a Pesaro, “volendo essere portato alla chiesa suddetta vestito conforme all’uso dei fratelli della venerabile Compagnia del SS.mo Sacramento di Pesaro accompagnato dai Padri reformati e dai confratelli della Compagnia del SS.mo Sacramento”21. 59


Il palazzo di Pesaro Un inventario del palazzo pesarese dei Mamiani redatto nel 1615 riporta tra l’altro “un quadro del conte di bona memoria, di mano del signor Baroccio”, identificato da alcuni storici dell’arte con il Ritratto di gentiluomo dell’Hermitage di San Pietroburgo. Ancora lo stesso inventario segnala tra gli arredi di palazzo Mamiani altre due opere di Federico Barocci, una Santa Caterina e un San Sebastiano di cui restano oggi solo le copie22. Corami “oro e verdi, con fregi d’oro e rossi”, “figurati e istoriati”, tappezzerie e arazzi “a buscaglia con animali” e accessori “giallo e turchino”, colori araldici della famiglia, completano insieme a una nutrita serie di dipinti e una ancor più ricca mobilia l’imponente elenco degli arredi della residenza di città dei Mamiani, edificata a partire dal 1599 su progetto di Guidubaldo Del Monte. Il palazzo, costruito unificando diverse proprietà, risulta terminato negli anni 1609-1610: fino ad allora Giulio Cesare, che nel 1576 aveva sposato Virginia Fantini, figlia del mantovano Marco, maestro di camera di Guidubaldo II della Rovere, abitò insieme con la famiglia in casa della moglie, nell’odierno palazzo Zongo, a poca distanza da piazza del Popolo23.

Pesaro - Piazza Mamiani, cartolina datata 1927 (edizioni Nobili, Pesaro). Nella pagina seguente: Pesaro - Monumento a Terenzio Mamiani... opera dello scultore Ettore Ferrari, cartolina datata 1927 (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci)

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Alla morte di Giulio Cesare palazzo Mamiani sarà diviso tra i figli Francesco Maria e Ottavio. L’ala corrispondente all’attuale palazzo Gradari, nella quale sono ospitati alcuni uffici comunali, è ciò che resta della parte assegnata al primogenito Francesco Maria, di proprietà dei Mamiani fino al 1666; l’ala ereditata dal fratello Ottavio sarà invece demolita dopo varie vicende negli anni Settanta del Novecento. Il suo posto è ora occupato dal palazzo progettato dall’architetto Velio Mazzei come hotel Mamiani, ben presto però anch’esso adibito a uffici24. Come si vedrà più avanti da Ottavio discenderà Terenzio Mamiani, protagonista del Risorgimento e ultimo conte di Sant’Angelo in Lizzola. A Terenzio è dal 1952 intitolata l’antica piazza “della Pescaria”25, sulla quale il palazzo di famiglia si affacciava insieme alla cappella di Sant’Ubaldo, voluta dalla comunità di Pesaro tra il 1610 e il 1618 a scioglimento del voto fatto per la nascita di Federico Ubaldo, atteso erede di Francesco Maria II, nato dal duca e da Livia della Rovere il 16 maggio 1605, giorno dedicato appunto a Sant’Ubaldo. Immagini ottocentesche mostrano la piazza prima e dopo la morte di Terenzio, celebrato nel 1896 con il monumento di Ettore Ferrari, in seguito collocato nei giardini a fianco di Rocca Costanza.

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Il palazzo di Sant’Angelo Diviso tra Pesaro e Castel Durante (dal 1635 Urbania), dove Francesco Maria II aveva trasferito la corte ducale e dove nel 1613 morirà, Giulio Cesare Mamiani non dovette risiedere con troppa regolarità a Sant’Angelo in Lizzola. Scarsi allo stato attuale delle ricerche i documenti riguardanti il palazzo santangiolese dei Mamiani: dalle fonti disponibili sembra tuttavia che la sua costruzione preceda il progetto della residenza di città. Nel 1609, sotto il dì 13 novembre Giulio Cesare Mamiani della Rovere conte di Sant’Angelo fece il suo ultimo testamento (rogito di Giacomo Testa da Barchi), nel quale istituì suoi eredi i propri figli maschi ed ordinò diversi legati, tra i quali quello del palazzo di Sant’Angelo a favore del primogenito26.

Secondo Gabucci i Mamiani “abitarono in un primo tempo un modesto palazzetto - dove sta l’amico Pipana [Mariotti] - e ce n’è il ricordo nello stemma della famiglia murato in fondo al corridoio d’ingresso”. Nel 1588, fatte atterrare alcune casupole ed i ruderi del vecchio maniero dei Lizzola, ma lasciando intatta la massiccia torre quadrata, vi costruirono il superbo palazzo che tuttora sussiste, ma che subì qualche cambiamento sotto il VI conte Giulio Cesare III, forse su disegno del nostro Branca27.

Il “modesto palazzetto” è stato identificato con l’edificio situato al civico 8 di via Morselli, sulla cui porta si legge la data 155928. [...] I due dadi che formano il capitello base all’arco del portone d’ingresso portano scolpita la leggenda IVLIVS CAESAR III | Co. S. Angeli VI°. Da questa iscrizione sembrerebbe dover far risalire la costruzione del palazzo agli anni fra il 1679 e 1702 poiché la reggenza del castello tenuta dal detto conte va fra i due anni citati. Ma uno sguardo anche superficiale alla costruzione fa pensare che il VI conte di Sant’Angelo abbia ridotto il suo palazzo, forse alla forma attuale, rimaneggiando l’antico fabbricato poiché l’esistenza di una fuga di archi (ora chiusi) visibili esternamente sul lato destro e nella parete posteriore del palazzo fanno pensare giustamente ad un lavoro più antico. [...] Che Giulio Cesare III abbia, se mai, cangiato la primitiva struttura, conservando le mura perimetrali, lo si scorge (oltre che dall’accennata fuga di archi) anche dalla scala a chiocciola in pietra per salire alla torre, ove gli scalini sono tagliati in modo da formare anche la spina della scala, lavoro mirabile (come faceva notare il prof. Francesco Filippini) che ricorda le scale dei torricini di Urbino esistenti in quel palazzo ducale, costruito da Luciano Laurana29.

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La torre è attualmente adibita a sede espositiva, e ai diversi piani si accede attraverso una scala in legno, che tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta30 ha sostituito la “stretta e malsicura” scaletta ricordata da una cronaa del 198231. L’intero edificio, negli anni Trenta del Novecento acquistato dal Comune, ha subito pesanti mutamenti in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, che ne hanno distrutto un piano; in anni più recenti anche il seminterrato è stato ristrutturato, e dal 2003 ospita l’archivio comunale, la biblioteca e una sala riunioni. A fianco del portale è oggi apposta una piccola lapide con la data 1567, della quale non è stato possibile accertare la provenienza. Gli interni e le decorazioni

Anticamente il palazzo era anche affrescato e diversi anni fa se ne scorgevano tracce in una camera della torre. Si sa che le stanze del piano terreno erano quasi tutte dipinte a paesaggio e a giardino (come nel palazzo prefettizio di Pesaro). Ora non rimane di pittura che qualche camera al piano nobile ed il grande salone dominato dallo stemma di famiglia, ove il conte Giovanni Francesco Mamiani fece dipingere nel 1788 dal pesarese Tommaso Bacciaglia le decorazioni ed i paesaggi e dall’urbinate Carlo Paolucci le immagini del duca Francesco Maria II e degli antenati della sua casa; pitture che nelle leggende furono però deturpate dal vandalismo dei soldati di Francia calati in Italia al tempo della Repubblica Cisalpina32.

Una traccia delle decorazioni “a paesaggio e giardino” negli interni di palazzo Mamiani resta nell’Abecedario degli architetti e dei pittori pesaresi di Domenico Bonamini, alla voce “Sasso mastro Gironimo”: [Il nome di Gironimo Sasso] si trova in un esame fatto a Vincenzo Sassetta in sua età d’anni 64 così deporre: “Depongo aver dipinto in compagnia di mio padre e fratelli il secondo appartamento del palazzo di Sant’Angelo de’ signori conti Mamiani a fogliami ecc.”. Sospetto che il padre di questo Vincenzo Sassetta sia stato Gironimo Sasso. Vero è però che la famiglia Sassetta in Pesaro è antica ed io mi ricordo aver veduti altri esami fatti a costoro33.

Come anticipato, è in corso una ricerca che consentirà probabilmente di precisare anche l’apporto di Paolucci e Bicciaglia al palazzo baronale di Sant’Angelo; nel frattempo sono da segnalare lettere del 1792 di Tommaso Bicciaglia a Gianfrancesco Mamiani “sui tentativi fatti presso il pittore Carlo Angelini Paolucci per invitarlo ad andare a Sant’Angelo in Lizzola per dipingere certi ritratti, forse dei Mamiani, con nomi e date”34.

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Palazzo Mamiani e il castello di Sant’Angelo, 2008-2013 (fotografie C. Ortolani)



I ritratti sono elencati in una nota conservata da Giovanni Gabucci, non datata né firmata: Camminando da quella di Francesco Maria a cavallo e girando a destra: 1° Francesco Maria II Della Rovere Duca di Gubbio di Urbino e di Pesaro concesse il feudo di S. Angelo in Lizzola a Giulio Cesare Mamiani il 4 Agosto 1584. Morì il Duca Francesco in Casteldurante il 28 Aprile 1631; 2° Sopra la porta finta - Giulio Cesare I dei Conti Mamiani in S .Angelo in Lizzola morì d’anni 60 nel 1613; 3° Sopra la porta della camera da pranzo - Francesco-Maria Mamiani - fondatore del Priorato di Parma e Piacenza morì d’anni 44 nel 1624; 4° Seguita - Giulio Cesare II conte di S. Angelo in Lizzola istituì suoi eredi i luoghi pii. Morì d’anni 18 nel 1636; 5° Seguita - Federico Mamiani di Girolamo capitano di cavalleria beneficò il comune di S.Angelo. Morì d’anni 48 nel 1654; 6° Seguita - Girolamo Mamiani V conte di S. Angelo in Lizzola valoroso nelle armi morì d’anni 50 nel 1679; 7° Seguita - Giulio Cesare III, VI Conte di S. Angelo in Lizzola, uomo di pietà religiosa morì in Bologna d’anni 53 nel 1702; 8° Seguita - Sopra la porta del salotto: Giacomo Carlotto Mamiani giovane di ottima speranza morì d’anni 14 nel 1702; 9° Seguita - Federico Mamiani devoto alla cristiana pietà d’anni 21 rinunciò il feudo al fratello Vincenzo nel 1704; 10° Sopra la fenestra all’angolo - Vincenzo VIII conte di S. Angelo in Lizzola protesse il commercio e l’industria. Morì d’anni 72 nel 1763; 11° vicino la fenestra - Giulio Cesare Mamiani Della Rovere nominato per suoi meriti I conte di S. Angelo in Lizzola da Francesco Maria II Della Rovere eresse questo palazzo nel 1588; 12° a lato - Giovanni Francesco Mamiani Della Rovere cittadino pesarese e conte di S. Angelo e Montecchio, ristorò ed ornò questo palazzo con disegno e pittura di Tommaso Bacciaglia pesarese e con figure di Carlo Paolucci d’Urbino nel 1788; 13° Sopra la fenestra vicino allo ingresso ______ ; 14° Giuseppe Mamiani conte X (IX) amante della giustizia e delle belle arti - morì d’anni 33 nel 1767; 15° Sopra la porta d’ingresso alla sala - Giovanni Francesco Della Rovere ultimo conte di S. Angelo in età di anni 26 formò la serie cronologica dei suoi antecessori nel 176835.

Altrove Gabucci riferisce circa il “grandioso stemma del soffitto rovinato per il bombardamento dell’Agosto 1944, completamente cancellato nei restauri sapientemente fatti [nel] 1945”36. I perduti affreschi del salone consentirebbero dunque secondo Gabucci di datare al 1588 la costruzione dell’edificio. Ipotesi non suffragata dalle carte ma plausibile, almeno a quanto sembra suggerire una supplica indirizzata al conte il 25 agosto 1585 da alcune donne del castello, proprietarie di una casa la quale “si ritrova a essere nel disegno ove intende fabbricare il suo palazzo”:

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La supplica di donna Antonia e donna Fiore, 1585

Donna Antonia mogliere de Bartholo de Ceccho de Bartolo sorelle insieme Donna Fiore mogliere de Agustino de *** et figliole di Ottaviano de Christoforo de Santi da Sancto Agnolo fidelissime subdite di vostra signoria illustre gli espongono et umilmente narrano si come se ritrovano havere nel castello di Sancto Agnolo [oltre ai beni] dell’heredità di loro patre una casa, quale ritrovandosi essere nel disegno dove vostra signoria illustre intende fabricare il suo palazzo desiderano quella venderglila per quel prezzo che di già sono restate in apontamento con il suo vicario, la onde per tale effetto supplicano quella per sua bontà si compiacci farli grazia et darli licentia che esse possino venderli detta casa liberamente, non obstante bandi decreti o cosa alcuna altra incontrario attento maxime che il prezzo di essa intendeno rivestire in luogo stabile et fruttuoso per esse oratrice, et comettere anco al suo vicario che in tale instrumento che si farà di detta vendita interponghi la sua autorità et decreto, et anco che accomodi il lor estimo che per detta casa havessero in quel luogo illustre et cetera. [...] Pertanto, il nostro vicario, chiamati i parenti più prossimi delle donne, qualora abbia trovato essere vere le cose [sopra] descritte, e ad esse interponga la sua cauta autorità in altri beni, disponga che sia adattato l’estimo, nulla ostando alla nostra costituzione. Il conte Giulio Cesare37.

Supplica di donna Antonia e donna Fiore al conte di Sant’Angelo, proprietarie di una casa ubicata “nel disegno dove vostra signoria illustre intende fabricare il suo palazzo”, 1585, dettaglio (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

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Il palazzo baronale dei Mamiani fa bella mostra di sé nella tavola dedicata a Sant’Angelo in Lizzola da Francesco Mingucci, compresa nella serie di vedute donate a papa Urbano VIII Barberini nel 1626, che il pittore pesarese realizzò presumibilmente “in pochi mesi”, con l’intento di donare al nuovo signore delle terre dei Della Rovere “un catalogo illustrato dei domini di nuovo acquisto”38. Un inventario del 1801 compilato da Gianfrancesco Mamiani, padre di Terenzio, delinea gli interni del palazzo, strutturato in “un’entrata da basso”, che attraverso la scalinata illuminata da un lampione di vetro conduceva al piano nobile; il corridoio si apriva sulla sala, arredata con dodici sedie, tavola da pranzo, tavolini da gioco, canapè e credenza; l’inventario parla poi di un “corridore a mezzogiorno”, e di altre cinque camere tra cui quella “detta dei frati”. Colpisce nel diligente elenco di Gianfrancesco un certo qual tono dimesso, in linea con la quotidianità di famiglie nobili e antiche, dotate di un cospicuo patrimonio di terreni e immobili ma non di un’altrettanto consistente liquidità di denaro.

Francesco Mingucci, Sant’Agnolo, 1626 (da Città e castella. Tempere di Francesco Mingucci Pesarese, Torino 1991)

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La vendita di palazzo Mamiani, 1855

Dopo la morte di Gianfrancesco il palazzo passerà al primogenito Giuseppe e quindi a Terenzio, che nel 1855, ormai lontano dai luoghi natii lo venderà per 2.100 scudi ai fratelli Giuseppe e Pietro Bartoli. Tra gli obblighi dei compratori, i quali si impegnano, dopo aver versato un acconto, a saldare l’importo in rate annuali di 100 scudi entro il 1871, anche il peso e pagamento dell’annuo perpetuo canone di scudi 2 gravante la torre del suddetto palazzo a favore della Santa Sede, e sua R. E. A., eseguibile in Roma nella Camera de’ tributi nella vigilia o festa de’ gloriosi SS. apostoli Pietro e Paolo con la prestazione del consueto omaggio dovuto alla stessa R.E.A. in ricognizione dell’atto dominio sopra la torre del palazzo medesimo.

Nell’atto di vendita, rogato dal notaio pesarese Luigi Bertuccioli “il già palazzo baronale Mamiani situato entro le mura castellane di Sant’Angelo” risulta composto di 4 piani compresovi il piano-terra, con una torre unita allo stesso palazzo, marcato dal civico numero tre 3, contraddistinto in mappa dal numero settecentotrentanove 739, di estimo scudi 475, avente per lati il terreno Marcolini, il vicolo pubblico, lo spiazzale della chiesa e la casa comunale39.

Il registro fabbricati di Sant’Angelo precisa nel 1876 che l’interno della “casa civile” di proprietà dei fratelli Bartoli era suddiviso in 30 vani40. Inventario dei mobili esistenti nel mio casino di Sant’Angelo, maggio 180141 Nell’entrata da basso: una cassabanca d’abete. A mezza scala: un lampione di vetro con quadro della B.V. Annunziata. Nel corridore finita la scala: un cassa banco di abete, sette mensolette di gesso inverniciate di rosso, otto quadretti in legno con carte francesi di vedute inverniciate alla chinese, trenta quadretti più piccoli simili con campanello che corrisponde alla camera da letto vicina. Nella sala: tre tavolini a impiallacciatura co’ quali si forma una tavola grande da mangiare, una tavola [con] serratora di abete da mangiare per 4 persone con suo cassetto lungo; una credenza d’abete con due spartimenti e due chiavi, due canapè di noce coperti di calancà42 con due cuscini lunghi e due corti, dodici sedie di noce compagne col sedile di sgarza fina; il paracamino al camino con due coprifuochi di ferro, due ferri alle fenestre con due tendine di tela; cinque quadri con vedute dipinte da Carboni con cornice a velatura, sette mensolette di gesso inverniciate di color verde, cinque quadretti in legno con vedute di carte francesi con vernice alla chinese, cinquantatre quadretti più piccoli simili. Nel corrido69


re a mezzogiorno: un cassa banco di abete; due carte geografiche di Germania. Nella camera che guarda mezzogiorno, e ponente: un letto finito con due trespoli, cinque tavole, pagliaccio, materazzo, cuscino lungo e due corti; un canterano di noce e scrittorio, tre cassetti con sue maniglie di ottone e chiavi; un tavolino da gioco con carta verniciata alla chinese; un genuflesso rio di noce con sedile di sgarza fina; due ferri con sue tendine di tela fina alle finestre; un quadro con B.V. e Bambino con cornice dorata; uno specchio con cornice dorata, due placche con cornice dorata; una croce al genuflesso rio intarsiata di madre perla; nella camera di mezzo, a ponente; un letto incassato con pagliaccio, materazzo, cuscino lungo e corti; un credenzone di abete a cinque spartimenti con serratura e chiave, un taccaferraiolo [gancio attaccapanni] attaccato al suddetto credenzone; un canterano di noce con tre cassetti, maniglie di ottone, serratura e chiave; un tavolino tondo coperto di bazzana43; una sedia di apoggio di noce coperta di raso rosso; due sedie di faggio coperte di sgarza; tre quadri con vedute dipinte dal Carboni con cornice in velatura, un secchiello dell’acqua e asta di cristallo, un quadro col crocefisso, la Maria e San Giovanni dipinto sul legno; un ferro da tendina colla sua tendina di seta; nella camera dipinta a ponente e tramontana; un letto finito con due trespoli, cinque tavole, pagliaccio, materasso, cuscino lungo e due cortine, un canapè per due persone coperto di calancà, quattro poltrone di Venezia imbottite e coperte di calancà; un tavolino da gioco; due quadretti laterali al letto di rame dipinti con santi; due ferri con due tendine di tela fine; un lavamano verniciato color turchino. Nella camera detta dei frati ponente e tramontana: un letto finito con due trespoli, cinque tavole, pagliaccio, materasso, cuscino lungo e corto; un tavolino serratura con suo cassetto; un inginocchiatore di noce; un comoto di noce con suo vaso44; un crocefisso di gesso con suo baldachino di legno; un ferro con sua tendina di tela due quadretti ottangolari con santi; un quadretto con relliquia; undici quadri vari; una mensoletta di legno; una cassa di noce; due sedie; una credenza al muro, uno specchio con cornice nera. Nella camera a levante e mezzogiorno: un letto finito con due trespoli; sei banche, pagliaccio, materasso, cuscino lungo e due corti, un canterano di noce con tre cassetti e una chiave; due tavolini di gioco verniciati; un comodo con suo vaso, un inginocchiatore di noce; un lavamani, cinque sedie di noce con fodera; uno specchio con cornice dorata; sei placche con cornice dorata; un crocefisso; un quadro con Beata Vergine e Bambino senza cornice; due quadri con cornici nere, sei mensolette di legno. [Sul retro] Biancaria in Sant’Angelo @dic. 1802. n. 8 lenzuola da padrona; 12 lenzuola da famiglia; 31 salviette; 9 foderette; 10 sciugamani; 5 tovaglie; 2 pettinatori.

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I Mamiani, conti di Sant’Angelo Alla morte di Giulio Cesare I il feudo passò al figlio primogenito Francesco Maria, che ne prese possesso il 20 gennaio 1614. La morte di Giulio Cesare Mamiani della Rovere. I conte di Sant’Angelo

24 dicembre 1613. Memoria faccio io Donino Alegruccio como è piaciuto a S. D. M. [Sua Divina Maestà] chiamare a sé la bona memoria del ill.mo sig. conte Giulio Cesare Mamiani della Rovere nostro amorevolissimo patrone quale alli 20 del presente passò di questa vita essendo a Castel Durante, et fu di venerdì alle doi ore di notte, et il sabato fu levato il corpo di là per condurlo a Pesaro, et la sera fu posato al Gallo, et la dominica a bon ora fu di lì condotto a Pesaro et sepolto a San Giovanni con grandi onori accompagnato da tutti li chierici e tutta la città et che fu al sono dell’Ave Maria et andassimo di quassù ad accompagnarlo il sig. vicario messer Girolamo Martii et Cesare Allegrucci, messer Andrea Rossi et io Donino Allegruccio et per strada ne fu presentato una lettera dell’ill.mo sig. conte Francesco Maria nostro patrone successor della bona memoria dell’ill.mo suo padre dell’infrascritto tenore cioè Massari nostri amatissimi, sendo piaciuto a S.D.M. di chiamare a sé il sig. conte Giulio Cesare nostro patre tanto amorevole quanto voi stessi sapete, et havete potuto conoscere per il paterno e bon governo che di voi e di cotesti sudditi sempre ha tenuto sino all’ultimo della vita sua, ha parso conveniente di farne consapevoli con quista nostra sì per significarne il dolore, et afflicione, che sentimo, et doverete sentire voi tutti come anco perché sappiate ch’essendo succeduti noi in luogo suo e nel dominio di cotesto castello procureremo sempre con ogni nostro potere dimostrarvi col mezzo di nostri effetti l’amor particular che v’ha portato e così adesso et sempre vi promettiamo con offrirci di spendere noi suddetti e questo habbiamo in vostro benefitio ogni volta che farà di bisogno, e Dio vi conforti. Di Pesaro li 20 dicembre 1613, vostro amorevolissimo sempre Francesco Maria conte di Sant’Angelo.

Per le esequie la Comunità di Sant’Angelo delibera che si chiamino venticinque sacerdoti, et che li si dia un paulo per ciascheduno, et che si comprino torce otto d’una libra e mezzo l’una et facole dicidotto di once tre l’una per fare dette esequie et che vi si trovino tutti li massari, et più gente che sia possibile et fu ancor deputato messer Girolamo Martio, et sig. Cesare Alegrucci che debba stara assistente a dette esequie. E perché stiamo d’ora in ora aspettando che il sig. conte Francesco Maria nostro patrone venghi a pigliare il possesso del castello, sendo anco in obbligo di appresentare qualche cosa al sig. conte si risolve di donarli per ora cose magnative come capponi, formaggio, agnelli et un paro de galli d’India.

Il 1 gennaio 1614 “tratenendosi la venuta del conte”, scrivono i massari, “è bene di vedere di far provedere quello che si deve donare 71


oltre le cose da magnare”. Si decide così di “far provedere di un paro di sotto coppe d’argento o di un paro di candelieri d’argento”, per un valore di “ventiotto o trenta scudi” circa45. Nato a Pesaro nel 1579, il secondo conte di Sant’Angelo ebbe per madrina la duchessa di Urbino Livia della Rovere. Fondatore nel 1623 del priorato di Parma e Piacenza nell’Ordine di santo Stefano papa e martire, nel 1615 sposò a Firenze Costanza della Gherardesca: la coppia ebbe un solo figlio, Vittorio Angelo Giulio Cesare, nato a Urbania il 5 settembre 161846. Informati dal conte con una lettera, i massari di Sant’Angelo celebrano tempestivamente l’arrivo dell’erede:

Francesco Maria Mamiani della Rovere, II conte di Sant’Angelo

6 settembre 1618. [...] Nel qual consiglio si è letto una lettera del sig. conte della bona nova del felice parto della sig.ra contessa et haver fatto un figlio maschio, da noi tutti desiderato che per segno della bona nova, al Imbasciatore, se li è donato scudi dieci, così risoluto dalla Comunità, et si ordinò si dovesse fare dimostrazione di tal alegrezza, si debbia fare di fochi raggi, e pigliar della polvere per sparare et per dar segno della bona nova habbiamo havuto la resoluzione di pigliare libre dieci di polvere, et più se bisognarà, pigliare della legna, et altro accio si possa fare quanto bisogna. 18 settembre 1618. Nel qual consiglio fu da me Donino Allegruccio proposto, che si fa bisogno per nostro debito per mandare persone del consiglio a rallegrarsi con il sig. conte ill.mo per la nascita del sig. contino, et insieme, a presentar alla sig.ra contessa, si risolve che li capi massari facciano quella provvisione, che si conviene per il bisogno comprare capponi, marzapani, zucaro, confezioni, tondini fino alla cifra di scudi quindici incirca, et di tutto questo fu data autorità a me Donino Allegruccio et Bartoccio Cemmi, di fare quanto farà bisogno a tal effetto47.

“Morì il detto conte Francesco Maria in età d’anni 44 in Urbania il 29 febbraio 1624”, e Costanza della Gherardesca prese possesso del feudo per il figlio ancora “in età pupillare”48. Pochi anni dopo, nel 1636, anche Giulio Cesare II muore, ad appena diciotto anni. Come il padre e come molti dei Mamiani anch’egli chiede di essere sepolto nella chiesa di San Giovanni Battista di Pesaro “nella sepoltura de’ suoi maggiori, vestito con l’habito di Santo Stefano, accompagnato dai confratelli della compagnia del Santissimo Sacramento”; nel testamento dispone vari lasciti in favore di chiese, monasteri e opere di carità pesaresi oltre a duecento scudi per la comunità di Sant’Angelo. Ai frati del convento di San Giovan72

Giulio Cesare II, III conte di Sant’Angelo


ni di Pesaro assegna millecinquecento scudi perché siano celebrate messe in suo suffragio per venticinque anni e “per adornare più nobilmente l’altare di San Francesco”. Ai cugini Federico e Flaminio lascia rispettivamente un crocifisso di coralli e la spada, allo zio Ottavio “un ritratto del medesmo conte Ottavio con l’effigie di lui mentre era giovinetto”, mentre al principe Giovan Carlo de’ Medici (1611-1663), non ancora creato cardinale ma già accorto collezionista, destina “un quadro di pittura di mano del Baroccio con l’immagine di San Sebastiano”. Al nipote di Giovan Carlo, don Lorenzo de’ Medici (1599-1648), Giulio Cesare II lascia la sua “chinea [cavallo o mulo da sella] con la sella et altri fornimenti di veluto” e “un quadro dell’imagine di S.M. Maddalena opera del Baroccio”, supplicando “l’altezza serenissima à degnarsi di gradire, e ricevere questo debol segno dell’infinita divozione”49. Figlio del granduca di Toscana Ferdinando III, Lorenzo de’ Medici (1599-1648) era fratello di Claudia, vedova di Federico Ubaldo della Rovere; nel 1623 anche Lorenzo fu tra i componenti la delegazione inviata a Urbino per trattare il ritorno in patria di Claudia. Amante della scherma e dell’equitazione, due anni prima aveva già fatto visita alla sorella a Urbino, prendendo parte anche a numerose battute di caccia50. Il giovane conte non si dimentica poi della vecchia balia, donna Girolama da Sant’Angelo, alla quale lascia cento scudi, né della “famiglia di casa, tanto a quella che serve alla sua persona, quanto a quella che serve alla prefata contessa Gostanza sua madre”: a loro assegna settecento scudi, “da distribuirsi nella maniera che piacerà ad essa s.ra contessa volendo che in detta famiglia sia compreso anco mastro Ventura suo sarto”. Alla madre Costanza andranno la “casa o palazzo che è dentro nel suo castello di Sant’Angelo con tutti li mobili, et altre cose che si trovano in esso, per goderlo, e disporne come ad essa sig.ra sua Madre piacerà”; inoltre tutti gl’altri suoi beni mobili, stabili, censi, crediti, ragioni et attioni propri et enfiteutici e qualunque altri suoi effetti, gioie, ori, argenti et altro presenti et avvenire in qualunque luogo esistenti esso sig. testatore instituì, nominò e volse che fosse con piena ragione herede universale la prefata contessa Gostanza sua madre sinché viverà, tanto in stato vedovile, come maritandosi, e dopo la sua morte. [...] Detto testatore non vuole che detta sig.ra contessa sua madre sia obligata né far inventario alcuno ne di dar sigurtà, né di render conto di cosa alcuna essendo già ad esso sig. testatore nota la sua bontà, fedeltà et 73


integrità e non altrimente molestata né con scomunica né monitorio né con altro per ragion alcuna. Item che si dia al sig. Giovanni Maria Cavalca o suoi heredi scudi mille correnti, et il resto della sua robba vuole che esso mons. vescovo insieme con quelli che saranno di Casa Mamiani di questa città distribuischi in usi pij a Pesaro51.

“In seguito”, commenta però Gianfrancesco Mamiani nelle Memorie già citate, “la R. F. di San Pietro di Roma ereditò tutto l’asse del suddetto testatore, perché non nominò quali opere pie doveansi fare dagli amministratori nominati”52. Alla scomparsa di Giulio Cesare II si aprì una lite per l’eredità tra Federico (primogenito di Girolamo, terzo figlio di Giulio Cesare I) e Ottavio Mamiani. Pochi mesi prima di Giulio Cesare II era morto infatti anche Girolamo, già ambasciatore del duca di Urbino alla corte dell’imperatore di Ungheria e valente uomo d’armi (nel 1615 “levò una compagnia di 229 uomini di fanteria armati di picche, della quale fu capitano nello stato milanese in servizio della maestà cattolica del regno di Spagna”). Angelo, quartogenito di Giulio Cesare Mamiani, era scomparso nel 1623 a Roma, dove era “residente” del Duca di Urbino “presso il sommo pontefice Urbano VIII, col quale trattò la pacifica riversione dello stato d’Urbino alla santa sede”53. Giambattista (1581-1627), secondogenito di Giulio Cesare, aveva scelto la vita ecclesiastica e non poteva dunque aspirare al titolo di conte di Sant’Angelo: abate commendatario della cattedrale di San Cristoforo di Urbania, dove fu sepolto, era stato ambasciatore del duca di Urbino presso il doge di Venezia Leonardo Donà. Lo storico durantino Enrico Rossi riferisce “dei pessimi rapporti intercorsi tra l’abate Mamiani e l’arcivescovo di Urbino e quelli altrettanto difficili con lo stesso duca Francesco Maria II, che per un certo periodo lo fece rinchiudere nel carcere di San Leo sotto l’accusa di simonia”54. Riconosciuto come “erudito e poeta tra i migliori del Seicento, sebbene alquanto bizzarro”55, Giambattista è ricordato per le Rime, una raccolta di idilli, epitalami e favole pastorali edita per la prima volta a Milano nel 1620, e la tragedia Lucrezia, pubblicata a Venezia nel 1625. “Parlando l’investitura che debba succedere di primogenito in primogenito” il feudo fu assegnato a Federico, il quale ne prese possesso per procura nel maggio 1637. Anche Costanza della Gherardesca avanzò delle pretese circa l’eredità, reclamando il possesso del palazzo di Sant’Angelo che però “spettava al conte pro tempore” e dunque a Federico, il quale arrivò finalmente a Sant’Angelo nel settembre 163956. 74

L’abate Giambattista Mamiani della Rovere

Federico Mamiani della Rovere, IV conte di Sant’Angelo


1639, Li 10 settembre. Il cardinale Antonio Barbarini cameriere di Santa Chiesa approvò la sentenza emanata dal giudice deputato a favore del conte Federico Mamiani rispetto al possesso dovutogli del palazzo, torre e annessi del feudo di Sant’Angelo, e contro la contessa Costanza Gherardesca, che pretendeva esserne l’erede, supponendo quello bene libero, che non lo è, e però fu anche tenuto il conte Federico dalla suddetta sentenza favorevole a risarcire, e mantenere in buono stato sì il palazzo che la torre ed annessi. 1639, Li 20 settembre. Per rogito di Felice Brandi notaro di Vado e vicario di Sant’Angelo diocesi di Pesaro, il conte Federico Mamiani prese il possesso del palazzo, torre ed annessi di Sant’Angelo suo feudo, in virtù della sentenza favorevole ottenuta dall’ecc.mo Barbarini, e successivo mandato di imissione avendo però prima il conte Federico fatta l’obbligazione a rifare i miglioramenti opportuni alla fabbrica57.

Girolamo Mamiani della Rovere, V conte di Sant’Angelo

A Sant’Angelo il IV conte, che nel 1646 risulta a servizio dello Stato pontificio come capitano di cavalleria, morì quarantottenne nel 1654. Dal suo matrimonio con Violante Martinozzi di Fano nacquero Lucrezia, Girolamo, Vincenzo, missionario gesuita e Giulio Cesare Francesco. Con una lettera inviata da Pesaro il 19 ottobre 1638, Federico informava i suoi sudditi della gravidanza della moglie, “entrata nel sesto mese con buona prosperità” e, “essendo nostro desiderio di far allevare la creatura costì” chiede “di provedergli d’una balia di buon latte, e sangue, polizia e d’ogni altra buona condizione che suol bramarsi in simili occorrenze”58. Anche Girolamo ricoprì importanti incarichi militari: nel 1657 fu maresciallo di campo del re di Francia, nel 1672 governatore dell’armi di Ancona e successivamente di Urbino. In questa veste nel 1678 passò in rassegna la fanteria di Mombaroccio59. La Comunità di Sant’Angelo celebrò con un certo fasto il matrimonio di Girolamo con Lucrezia degli Abbati Olivieri (1676), come dimostra la Nota della spesa per le allegrezze fatte per la venuta dell’ill.mo sig. conte Girolamo, il cui importo ammonta a 179 scudi e 35 baiocchi. All’argentiere pesarese Pietro Grana furono commissionati “un cattino di oncie 39 e un paio di candellieri d’oncie 27”, per i quali si spesero 100 scudi e 72 baiocchi “di moneta ducale”; il rinfresco in onore dei conti costò 28 scudi e 90 baiocchi, impiegati per l’acquisto di “un vitello, gallinacci, caponi, piccioni casalini e nostrani, formaggio”; 4 scudi e 30 baiocchi si spesero per “quattro carri di legne per fare i fuochi”, mentre “raggi e girandole” costarono 20 scudi e 80 baiocchi, quasi quanto le quarantadue libbre di polvere (20,50). “Per 75


condurre in Sant’Angelo le suddette robbe, e per mercede pagata a diverse persone per diverse cose” la spesa fu di 3 scudi e 43 baiocchi; infine, il tamburino ricevette come compenso 42 baiocchi60. Girolamo morì a 50 anni nel 1679, senza eredi. Il feudo passerà al fratello Giulio Cesare Francesco, in favore del quale Vincenzo, missionario della Compagnia di Gesù, aveva rinunciato ai diritti ereditari. A Giulio Cesare Francesco accadde di prendere parte in un ruolo non secondario alla cosiddetta glorious revolution, la “rivoluzione gloriosa” che nel 1688 portò i sudditi inglesi a offrire la corona a Gugliemo III d’Orange, per evitare che il regno inglese finisse nelle mani di un cattolico. Ambasciatore di sua cugina la duchessa di Modena Laura Martinozzi61 (moglie di Alfonso IV d’Este), Giulio Cesare Francesco fu anche gentiluomo di camera del re Giacomo II d’Inghilterra, che aveva sposato Maria Beatrice, figlia di Laura e Alfonso IV. “Toccò a lui l’alto onore di trasportare il real bambino fuori del regno, in oggi Giacomo III, essendo in quel punto insorta la rivoluzione contro la real casa Stuart ed a favore di Giorgio principe d’Oranges”. Giacomo II fu costretto alla fuga, e morì in esilio in Francia nel 1701; il figlio trascorse gran parte della sua vita a Roma, dove visse sotto la protezione dei pontefici. In testimonianza di tutto ciò, [Giulio Cesare Mamiani] ebbe per regalo dalla regina Maria Beatrice di lui cugina, per gratitudine del trasporto fatto del detto real bambino di lei figlio, un grosso brillante legato in un anello d’oro. Ebbe per brevetto... la protezione del re di Francia ed in occasione che serviva la regina [Cristina] di Svezia in Roma sposò Teresa Listi romana, dal qual matrimonio nacquero cinque figli maschi, cioè Federico Francesco primogenito..., Giacomo Carlotto secondogenito..., Girolamo terzogenito..., Vincenzo vivente [nel 1756] quartogenito..., ed Angelo quintogenito62.

Gli Stati d’anime della parrocchia di Sant’Angelo del 1687 e 1691 indicano - fatto piuttosto raro - la presenza in paese della famiglia del conte: nel 1687 nella “casa dell’ill.mo conte di Sant’Angelo” sono registrati la contessa Teresa, “figlia del già Pancrazio Listi e moglie del sig. conte Giulio Cesare Mamiani della Rovere di anni 24”, i loro figli Federico e Girolamo, di 4 e 3 anni, le signore Vittoria e Laura, figlie di Giovanni Pietro Roti, di 26 e 24 anni, cui si aggiungono quattro servitori tra i 45 e i 27 anni e quattro “donne” tra i 41 e i 27 anni; nel 1691 troviamo nel “palazzo delli sig. conti” anche “Giulio Cesare figlio del già Federico Mamiani della Rovere d’anni 42”, insieme con i figli Federico, Girolamo, Carlo e Vincenzo63. Giulio Cesare III Mamiani si spense a Bologna nel gennaio 1702, 76

Giulio Cesare Francesco Mamiani della Rovere, VI conte di Sant’Angelo


Federico Francesco Mamiani della Rovere

Vincenzo Mamiani della Rovere, IX conte di Sant’Angelo

presso il convento di San Francesco. Tra i suoi figli il primogenito Federico Francesco rinunciò al feudo in favore del fratello Giacomo Carlotto, che morì pochi mesi dopo il padre ad appena 14 anni; senza eredi scomparvero anche il diciottenne Girolamo e il piccolo Angelo, morto a Urbino a 10 anni. Nel 1751 Federico Francesco morì a Sant’Angelo, dove fu sepolto nella Collegiata64, dopo aver rinnovato la rinuncia al feudo anche in favore del fratello Vincenzo, al quale passerà il titolo di conte di Sant’Angelo. Cameriere segreto del granduca Cosimo III di Toscana, Vincenzo si unì in matrimonio nel 1711 con Maria Mamiani della Rovere (detta Olimpia), nipote di Ottavio. Dal 1748 una lapide voluta dalla comunità santangiolese lo ricorda sull’arco d’ingresso del castello, signore “da noi amatissimo”, che superò ogni altro “nel beneficare noi, e questa nostra terra”; sia Olimpia sia Vincenzo furono sepolti nella collegiata di San Michele65. Vincenzo conte di Sant’Angelo morì senza figli l’anno 1763, e quindi fu suo successore nel feudo Giuseppe Mamiani, per essere antecedentemente morti Federico fratello di Vincenzo e Gianfrancesco Antonio padre di Giuseppe sino dall’anno 1760. Avea poi preso in moglie Giuseppe sino dall’anno 1758 la marchesa Marianna Malaspina di Fosdinovo, famiglia delle più illustri d’Italia, e da questo matrimonio nacquero Gianfrancesco juniore nel 1761 e Giulio Cesare nel 1762. Morì Giuseppe nel 1767, e pertanto sì il feudo di Sant’Angelo, che il priorato di Parma passò in Gianfrancesco suo figlio primogenito, vivente tuttora nel 1813. S’ammogliò questi nel 1789 con la contessa Vittoria Montani e ne ebbe quattro figli viventi, cioè Giuseppe, Terenzio, Filippo e Virginia66.

I figli di Ottavio Mamiani e Giulia Manelli

Prima di concludere questa panoramica sulle vicende della famiglia Mamiani occorre aggiungere che da Giulia Manelli, sposata nel 1636 per procura, Ottavio ebbe Francesco Maria e Ottavio Antonio, nato postumo, del quale fu padrino il cardinale Antonio Barberini, nipote di papa Urbano VIII e primo legato pontificio dopo la devoluzione67. Ottavio Antonio morì celibe e senza figli nel 1660; Francesco Maria, gentiluomo di camera del granduca di Toscana, sposò Olimpia Fontana, vedova del conte Merlini di Forlì: dalla loro unione nacque nel 1664 Giambattista. Aggregato nel 1688 alla nobiltà di Cesena, Francesco Maria morì a Pesaro nel 169368. Appartenente a una famiglia di nobiltà assai antica, Giulia Manelli della Rovere è descritta in un documento conservato tra le carte di casa Mamiani come una dama altiera, e superba, e di sua opinione, come anco di genio vendi77


cativo a segno tale che fra la buona memoria del sig. conte Francesco Maria suo figlio, e della sig.ra contessa Olimpia Fontana di lui moglie, e nuora di detta sig.ra contessa Giulia vi sono state molte, e molte discordie. [...] Tanto con me come con altri faceva mille lamentazioni a segno tale che detto sig. conte Francesco Maria con sua consorte per non poder più continuare in tante inquietudini si risolveva di partire di Pesaro per abandonare la propria casa, et andarono ad habitare alla Rocca Contrada [Arcevia] patria di detta sig.ra contessa Giulia... ove si trattennero per il spazio di quasi due anni, e per quanto l’aria non li conferiva di lì partirono, et andarono ad habitare in Fano...69.

“Bravo matematico”, autore di “molti scritti di tal scienza e anche molte machine meccaniche”, Giambattista Mamiani sposerà nel 1695 Felice Giordani: dalla coppia nasceranno Maria Francesca detta Olimpia, la quale, come detto sopra, grazie a una dispensa andrà in sposa a Vincenzo Mamiani e, postumo, Francesco Antonio. Sia Giambattista sia Francesco Antonio furono come Francesco Maria Mamiani gentiluomini di camera del granduca di Toscana, e Francesco Antonio fu nominato nel 1750 “gentiluomo di cappa e spada” del cardinale Prospero Lambertini, papa Benedetto XIV. Dall’unione di Francesco Antonio con la pesarese Teresa Gavardini nascerà nel 1732 Giuseppe, nonno di Terenzio Mamiani70.

Editto di Gianfrancesco Mamiani della Rovere, 1786, dettaglio (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

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Giambattista e Francesco Antonio Mamiani della Rovere

Giuseppe Mamiani, X conte di Sant’Angelo


Luigi Vincenzo Mamiani della Rovere (1652-1730) Tra gli uomini d’arme e i gentiluomini di corte che popolano la genealogia dei Mamiani spiccano anche alcuni religiosi, come Giambattista, poeta e abate della chiesa di San Cristoforo, cattedrale di Urbania ma soprattutto il gesuita Vincenzo, nato nel 1652 da Federico e Violante Martinozzi di Fano. Dalla provincia di Venezia della Compagnia di Gesù, nella quale fu accolto nel 1668 a soli sedici anni, nel 1684 fu destinato alla provincia brasiliana, dove ad Amatuba, nella diocesi di Bahia, pronunciò i voti definitivi nel 1686. Vincenzo, che prese il nome di Luigi, fu poi inviato nella regione del Maranhão per evangelizzare le popolazioni Kiriri - termine usato dagli Indios Tupi della zona costiera per designare gli abitanti delle regioni impervie dell’entroterra. I gesuiti, primi missionari a raggiungere il Brasile, vi si trovavano dal 1549; dal 1551 il papa Giulio III aveva istituito la diocesi di Bahia, rendendola autonoma dall’isola di Madeira, e nel 1553 si era formata la provincia gesuitica brasiliana. Impervi e difficilmente raggiungibili, i luoghi dove Luigi Vincenzo Mamiani esercitò la propria missione non dovevano essere molto dissimili dal ritratto, notissimo, che ne dà Roland Joffè nel film Mission (1986): foreste impraticabili, fiumi impetuosi, popolazioni sospettose e ostili, per non parlare dei bandeirantes, razziatori che deportavano e riducevano in schiavitù le popolazioni. Luigi Vincenzo Mamiani è ancora oggi ricordato per gli studi sul problema della comunicazione linguistica tra evangelizzatori ed evangelizzandi, e per il Catecismo da doutrina christãa na lingua brasilica da nação Kiriri, pubblicato nel 1698 a Lisbona (ed. moderna Rio de Janeiro 1942), un catechismo in lingua portoghese/Kiriri concepito per offrire ai missionari uno strumento di comunicazione. Rientrato in Europa nel 1701, Mamiani si stabilì a Roma, nella casa professa della Compagnia. A Roma, dove morirà nel 1730, pubblicò un trattato di teologia morale e altre opere, e fu interpellato anche nel contesto della cosiddetta “Disputa dei riti”, controversia sorta tra la Compagnia di Gesù e la curia romana, che intorno al rapporto inculturazione/missione appassionò per oltre un secolo gli ambienti intellettuali di tutta Europa.

G. Di Fiore “Luigi Vincenzo Mamiani della Rovere”, in Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, estratto da www.treccani.it/enciclopedia/mamiani-della-rovere-luigi-vincenzo_(Dizionario-Biografico) (6 maggio 2013, 18.00).

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I Mamiani e il feudo tra il 1797 e il 1860

Gli studi di Antonio Brancati e Giorgio Benelli su Terenzio Mamiani hanno illuminato più da vicino anche le figure dei suoi famigliari, a cominciare dal padre Gianfrancesco (1761-1828). I documenti ci restituiscono l’immagine di un uomo austero, schivo e profondamente affezionato alla famiglia, forse più a suo agio “nella quiete del suo feudo piuttosto che nella trafficata vita cittadina e nella sua casa di Pesaro”71, il quale ebbe comunque un ruolo di primo piano sulla scena politica pesarese: Gianfrancesco fu infatti gonfaloniere di Pesaro nel travagliato periodo tra il 1797 e il 1814. Costretto nel 1798 a rinunciare al titolo di conte dalle leggi della Repubblica Cisalpina, fu reintegrato nei suoi diritti nobiliari e feudali nel 1814 quando, alla caduta del Regno Italico, i territori di Pesaro tornarono a far parte dello Stato pontificio. In quell’anno, nell’ultimo suo mandato da gonfaloniere, Gianfrancesco presentò le chiavi della città a papa Pio VII, rientrato dall’esilio francese. Il “Motu proprio” emanato dal pontefice nel 1816 per riorganizzare l’amministrazione dello Stato della Chiesa tolse nuovamente ai Mamiani i diritti feudali, ponendo le basi per una disputa tra i conti di Sant’Angelo e la Camera Apostolica che si protrarrà anche dopo la morte di Gianfrancesco, avvenuta nel 1828. La soppressione dei diritti feudali comportava dal 1817 la cessazione del versamento ai feudatari di 450 scudi annui da parte della Camera Apostolica: apertasi nel 1823, la vertenza tra quest’ultima e i Mamiani non risulta ancora chiusa nel 1835, come dimostra una lettera di Filippo Mamiani alla madre72. Davvero complessa e ricca di sfumature, la vicenda tocca tempi e questioni ben più ampi dei diritti di una famiglia baronale in decadenza, collocandosi sullo sfondo di un fervore intellettuale e politico che caratterizzò Pesaro in quello scorcio di anni. Insieme con l’altra famiglia celebre di Sant’Angelo, i Perticari, i Mamiani furono al centro di quel gruppo di persone che a Pesaro “seppero utilizzare il loro intelletto e la loro cultura come armi vincenti contro l’oscurantismo della chiesa e l’acceso giacobinismo nostrano e pro francese”. Un gruppo nel quale spiccano tra le altre le figure del marchese Carlo Mosca Barzi (1720-1790), autore delle celebri Lettere sopra la limosi80

Gianfrancesco Mamiani della Rovere

La vertenza con la Santa Sede


na, stampate a Pesaro nel 1765 e poste all’indice l’anno successivo, e di suo figlio Francesco Maria, al quale si ispirò Stendhal per alcuni tratti del conte Mosca della Certosa di Parma, e che a villa Caprile ospiterà nel febbraio 1797 Napoleone Bonaparte. ”I Cassi, i Perticari, i due Antaldi, Mamiani e quant’altri faranno tesoro delle esperienze compiute nel ventennio francese, e saranno pronti a sostenere con la penna e con l’azione i movimenti di opposizione politica, nel segreto delle sette o alla luce del giorno, e sapranno intraprendere, dopo il 1815, il lungo percorso verso l’unificazione e l’indipendenza d’Italia”73. Nel 1829, in una supplica inoltrata a Pio VII Giuseppe Mamiani ripercorre - prevedibilmente senza troppa oggettività - le tappe della vertenza, stigmatizzando un anno dopo la morte del padre il comportamento dei “ministri camerali, intenti sempre al lucro del pubblico erario”. [...] Francesco Maria II duca di Urbino, e signore di Pesaro, chiamò da Parma il patrizio Giulio Cesare Mamiani, per servirsene in affari importantissimi, e trovandosi oltremodo contento, volle rimunerare i servigi ricevuti concedendogli in feudo la terra di Sant’Angelo di Pesaro, con tutti i diritti regi, e tra questi i diritti di percepire i dazi camerali già imposti, e la facoltà d’imporne dei nuovi, come dalla concessione del giorno 4 aprile 1584. Godé la famiglia Mamiani dell’ottenuto compenso sotto il regime ducale, e nella transazione eseguita il 30 aprile 1624 tra la Santa Sede e Francesco Maria IV ultimo duca di Urbino... seguitarono i Mamiani a godere dei loro diritti anche sotto il regime pontificio, diritti, che furono confermati con Breve apostolico di Urbano VIII del giorno 14 giugno 1624, e con una cosa giudicata fra i terrazzani ed i Mamiani, emanata li 11 giugno 1706 dall’ecc.mo Tanara, confermata da decisione apostolica di Benedetto XIII di felice memoria [...] e da nuovo chirografo di Benedetto XIV di santa memoria del giorno 3 gennaio 1754 si consolidarono le ragioni del Mamiani. Nell’anno 1801 in cui aboliti gli antichi pesi camerali fu ad essi surrogata la dativa reale, e personale, i ministri della rev.da Camera Apostolica si crederono in diritto di esiggere dai terrazzani di Sant’Angelo di Pesaro la nuova imposta, ma reclamando questi sul doppio peso a cui eran soggetti, l’uno verso il barone, e l’altro verso la Camera, dimandarono di essere esonerati, per cui conoscendosi dalla santa memoria di Pio VII che era ingiusta la doppia gravezza alle preci dei terrazzani in data del 7 luglio 1805 rescrisse che in esecuzione del Motu Proprio dell’anno 1801 nel feudo di Sant’Angelo s’intendevano soppresse le gabelle a favore del barone, rimanendo a quelle surrogata la dativa, egualmente nella sua giustizia decretò che a ristorare le perdite del Mamiani, si dovesse al medesimo pagare annualmente una corrisposta nella somma da conciliarsi coi ministri della rev.da Camera Apostolica. 81


In seguito di che essendo stata progettata una somma, che il Mamiani ricusava di accettare, i ministri camerali vel costringevano, assegnandogli il termine perentorio di un mese per la stipolazione dell’istromento. Obbedì il cavalier Gian Francesco, e commettendone l’incarico al suo procuratore il giorno 1 marzo 1808. [...] Fu stipulata solenne transazione, nella quale furono promessi al Mamiani annui scudi 450, di lui vita natural durante, e dopo la sua morte annui scudi 400 alla di lui famiglia. Piacque poi ai camerali di aggiungere in quella stipolazione che se per disposizione sovrana venisse abolita la dativa reale nel Ducato di Urbino, o nel luogo ove esista il sudetto feudo di Sant’Angelo, allora in tal caso la rev.da Camera Apostolica non sarà più tenuta ad obbligata somministrare all’ill. mo sig. conte Mamiani il compenso suddetto, ma esso dovrà tornare al pieno e libero possesso dell’istesse collette, diritti baronali e vassallaggi. Dopo la pubblicazione però del Motu proprio 5 luglio 1816, i ministri camerali, intenti sempre al lucro del pubblico erario crederono verificata la circostanza in cui il conte Mamiani potesse essere spogliato dei suoi diritti, e reclamando gli art. 19 e 183 del detto Motu proprio, il giorno 9 marzo 1823 lo citarono innanzi l’estinto tribunale collegiale camerale, per sentirsi dichiarare che non aveva più diritto alla percezione, che anzi doveva restituire le somme percette dopo la pubblicazione dell’indicato moto proprio, e senza alcuna difesa del Mamiani istesso da quel tribunale fu ammessa l’istanza della rev. Camera. Fu da questa appellato, e portata la causa al tribunale della piena camera, e proposta il giorno 6 luglio corrente, fu confermata la sentenza di prima istanza. Ha diritto il Mamiani a nuova discussione, perché causa tanto grave, ed involuta, non puol essere ultimata con un solo esperimento innanzi il pieno tribunale camerale, ma l’entità della causa, e le circostanze che l’accompagnano, giacché quattro soli giudici han giudicato, e potrebbero anche in appresso giudicare... consigliano a supplicare la santità vostra onde voglia degnarsi di deputare una congregazione di eminentissimi cardinali.[...] La entità della causa stessa, dalla quale dipende il lustro, e la sussistenza di una cospicua famiglia persuadono a maturare il giudizio, perché una precipitosa sentenza non abbia a portar l’ultimo crollo a loro, che in ogni circostanza prestarono luminosi servigi al sovrano, e che sostennero danni gravissimi nella presentazione delle cedole nella soppressione dei luoghi di Monte, e nelle calamitose circostanze politiche furono obbligati a vistosissime contribuzioni, perché gli’invasori mal soffrivano che si segnalassero per attaccamento al loro legittimo sovrano, e con enormi pagamenti volevano sopprimere l’amor loro.

Ancora nel 1858 Pietro Bartoli, che tre anni prima aveva acquistato dai Mamiani il palazzo baronale di Sant’Angelo, scrive a Giacomo Salvatori, amministratore dei beni di Terenzio, presentando “istanza per essere riconosciuto proprietario, e nel tempo stesso legittimo presentatore del canone nell’annuale festività di San Pietro”74. 82


Il feudo di Sant’Angelo in un disegno dall’archivio di Casa Mamiani, metà sec. XVII (Biblioteca Oliveriana, Pesaro)

L’intervento di Giulio Perticari

Nel 1804 la lite, che opponeva agli antichi feudatari di Sant’Angelo il Comune di Sant’Angelo e i “terrazzani” (possidenti compresi), vide l’intervento di Giulio Perticari, il quale in udienza privata chiese sostegno al papa. Perticari, che diverrà amico di Giuseppe Mamiani e che avrà un ruolo importante nell’educazione culturale di Terenzio, si fa in questo caso paladino dei diritti dei “tanti miserabili sagrificati all’ingiustizia del feudalismo”: 14 aprile 1804. I Santangelesi devono intanto ringraziare il segretario di stato della premura, ch’egli s’è presa a loro riguardo; dire, che intanto stanno ponendo all’ordine i documenti necessari per convalidare l’esposto, e prevenire ogni difficoltà. [...] Non vedo l’ora di terminare con lode queste faccende per poter rimpatriare per poter giovare a tanti miserabili sagrificati all’ingiustizia del feudalismo, ed alla avarizia d’uno solo. 13 giugno 1804. Hanno fissata massima di non decider nulla sul nostro affare, temendo la massa di tutti gli altri popoli de’ feudi romani, in cui scapiterebbe enormemente il pubblico erario, che si vuol riempire colla giustizia, e coll’oro, e se fa d’uopo col sangue. Noi siamo stati de’ primi a mover la pedina, e noi siam quelli che dobbiam lottare anche per gli altri, né certamente ci stanchiamo per questo, né manchiam di 83


coraggio [...]. Se non sarà possibile di veder posto un termine a questo sciagurato affare, almeno faccia respirare il popolo facendo sospendere al barone l’esercizio de’ suoi pretesi diritti, e non permettere, che la città vada alle fiamme, mentre i magistrati fanno consiglio75.

Nel 1754 il nonno di Giulio, Giuseppe Antonio Perticari, si era trovato al centro di una controversia con il consiglio comunale di Sant’Angelo: in qualità di cancelliere del Sant’Uffizio a Savignano si riteneva infatti esonerato dal pagamento delle tasse (sia quelle dovute al Comune sia quelle dovute ai Mamiani), ai sensi di una bolla di Benedetto XIV. Nel 1808 il Comune e i Perticari addivennero a una transazione, rinunciando a parte delle tasse non pagate e accettando un rimborso ridotto76. Nel 1816 il “Motu proprio” emanato da Pio VII sancì in tutte le popolazioni e comunità dello stato, ove esistono i baroni, sono e s’intendono fin da ora soppressi, ed aboliti tutti i diritti tendenti ad obbligare i vassalli alla prestazione di qualunque servigio personale; tutti quelli di successione ereditaria riservata ai medesimi baroni sotto qualunque denominazione; tutte l’esenzioni dal pagamento dei dazj comunitativi dovuti dai medesimi baroni...; tutte le esazioni dei dazj pretese dai medesimi baroni; tutte le privative de’ forni, macelli, ed altri simili proventi... in fine tutte le semplici regalie... senza che si possa dai baroni pretendere alcun compenso per tali abolizioni77.

Tra gli altri cambiamenti che la riforma progettata dal cardinale Ercole Consalvi (1757-1824) portò nei territori dello Stato pontificio vi fu la suddivisione in 17 delegazioni. La delegazione di Pesaro e Urbino, di prima classe, aveva a capo un cardinale legato; alcuni comuni più piccoli vennero poi appodiati a centri più grandi: a Sant’Angelo fu aggregato dunque per un breve periodo anche Montelabbate, l’antico feudo dei Leonardi, che nel 1819 reclamò - e conseguì - la propria autonomia. Monteciccardo, sotto il governo francese per breve tempo appodiato a Sant’Angelo insieme con Ginestreto, fu invece nel 1817 dichiarato comune principale, con appodiati Montegaudio e Monte Santa Maria. “Diritti costituiti e privilegi di prelati e vescovi prevalsero sull’interesse pubblico”, ostacolando la piena attuazione della riforma progettata dal segretario di stato romano. Il cardinal Consalvi, che nonostante le resistenze incontrate a Roma aveva saputo ottenere al Congresso di Vienna la restituzione di quasi tutti i territori italiani dello Stato pontificio, dovette constatare “la potente opposizione del vertice e delle ali estreme dell’opinione politica..., senza poter contare su uno schieramento fedele nelle strutture amministrative centrali e periferiche”78. 84

il “Motu proprio” del 1816 e la riforma del cardinale Ercole Consalvi



Albero genealogico della famiglia Mamiani della Rovere Giovanni Mamiani

vivente a Parma nel 1360

Girolamo

nobile di Parma, vivente nel 1419

Gian Marco

nobile di Parma, vivente nel 1469 sposa Elisabetta Cavicca di Parma

Giambattista

nobile di Parma, vivente nel 1560 sposa Giulia Smeraldi di Parma

Marco Antonio

nobile di Parma, vivente nel 1579 sposa Margarita Biondi di Parma

Alberto

nobile di Parma, sacerdote (1630-Pesaro, 1650)

Ludovico

nobile di Parma, vivente nel 1584

?

sposa a Pesaro ...Cavalca

Giulio Cesare Mamiani della Rovere (Parma, 1553-Casteldurante, 1613) nobile di Parma, dal 1581 nobile di Pesaro I Conte di Sant’Angelo in Lizzola (1584) nel 1576 sposa a Pesaro Virginia Fantini

Francesco Maria

Giambattista

II Conte di S. Angelo (Pesaro, 1581-Casteldurante (Pesaro, 1579-Urbania 1624) sacerdote nel 1615 sposa a Firenze Costanza della Gherardesca (+ Pesaro, 1665)

Vittorio Angelo Giulio Cesare III Conte di S. Angelo (Urbania, 1618-Pesaro, 1636)

Lucrezia (n. 1635)

Girolamo

V Conte di S. Angelo (Pesaro, 1639-1679)** sposa nel 1676 Lucrezia degli Abbati Olivieri

Federico Francesco

(Pesaro, 1683-S. Angelo 1751)

Fonti Memorie storiche della famiglia Mamiani della Rovere estratte dai registri della cancelleria comunale nel feudo di Sant’Angelo (Biblioteca Oliveriana, Pesaro). “Luigi Vincenzo Mamiani della Rovere”, Enciclopedia Treccani, www.treccani.it/enciclopedia/mamianidella-rovere-luigi-vincenzo_(Dizionario-Biografico) (12 giugno 2013, 12.35). I dati relativi alla seconda metà dell’Ottocento e al Novecento sono tratti da una ricerca di Paola Gennari, condotta sui registri della diocesi di Pesaro, dalla quale provengono anche le integrazioni riguardo alla discendenza femminile dei Mamiani. Come anticipato nelle pagine precedenti si tratta di una ricostruzione parziale, che auspichiamo possa essere di qualche utilità per eventuali, futuri approfondimenti. 86

Girolamo

(1684-Cesena, 1702) VII Conte


Girolamo

e 1627)

Federico

IV Conte di S. Angelo (Urbino, 1606-S.Angelo in L., 1654) sposa Violante Martinozzi di Fano

VI Conte di S. Angelo (Pesaro, 1645-Bologna, 1702) sposa a Roma Teresa Listi

Margherita

(Pesaro, 1587-Roma, 1623)

Ottavio

(Pesaro, 1594-1642) I conte delle Gabicce (1625)

vedi pagina seguente

Flaminio

(+ Ferrara, 1643)

Giulio Cesare Francesco

(n. 1686)

Angelo

(Pesaro, 1583-1636) nel 1596 sposa Ippolita Gradari di Pesaro

Giacomo Carlotto VIII Conte di S. Angelo (Pesaro, 1688-1702)

Vincenzo

gesuita (Pesaro, 1652-Roma, 1730)

Vincenzo II

(Pesaro, 1691-1765) IX Conte di S. Angelo sposa Maria Francesca Mamiani detta Olimpia (Pesaro, 1697 -S. Angelo in L. 1755) (vedi pagina seguente)

Angelo (Pesaro, 1692-Urbino, 1702)

87


Ottavio

(Pesaro, 1594-1642) I conte delle Gabicce (1625) nobile di Urbino (1631) nel 1636 sposa per procura Giulia Manelli di Roma

Giulia

Francesco Maria

(n. 1632)

Ottavio Antonio

(Pesaro, 1638-Cesena, 1693) nel 1663 sposa Olimpia Fontana vedova Merlini nobile di Cesena (1688)

(Pesaro, 1642-1660)

Giambattista

(Pesaro, 1664-Cesena, 1698) sposa nel 1695 Felice Giordani di Pesaro

Maria Francesca

Giovan Francesco Antonio

detta Olimpia sposa Vincenzo Mamiani (vedi pagina precedente)

Vittoria

(1730-1734)

(Pesaro, 1699-1760) sposa Teresa Gavardini di Pesaro

Costanza (n. 1730)

Nicola

Giuseppe

(Pesaro, 1732-1767) X Conte di Sant’Angelo sposa nel 1758 Marianna Malaspina di Fosdinovo

Gianfrancesco

Maria

(Pesaro, 1761-1828) XI Conte di Sant’Angelo sposa nel 1789 Vittoria Montani

Terenzio

(S. Angelo in L, 1794-Pesaro, 1847) XII Conte di Sant’Angelo

(Pesaro, 1799-Roma, 1855) XIII Conte di Sant’Angelo sposa Angela Vaccaro (Genova, 1827-Pesaro, 1909)

Maria

(n. 1835)

88

(n. 1705)

(+ 1735)

(n. 1760) sposa nel 1778 Antonio Baldassini di Fano

Giuseppe

Lodovico

Laura

(n. 1836)

Olimpia (n. 1839)

Tommaso

(n. Pesaro, 1763) sposa Maria Francesca * (vedi pag. seg.)

Filippo

Giulio Cesare

(Pesaro, 1764-1832) sposa Antonia Rossi (n. 1780) ** (vedi pag. seg.)

Margarita

(n. Pesaro, 1805-1855) sposa nel 1833 Maddalena Baritoni (n. Faenza, 1813)

Giulio Cesare

(1840-1918) sposa Silvia Prati (1845-1888) sposa Antonia Mamiani ved. Bruscolini (1850-1921)

Adelaide

(1807)

(1843-1846)


* Tommaso

**

Giulio Cesare

(Pesaro, 1764-1832) sposa Antonia Rossi (n. 1780)

(n. Pesaro, 1763) sposa Maria Francesca

Agata

(n. 1788)

Vincenzo Francesco (n. 1794)

(n. 1802)

Angela

Tomaso

(n. 1804)

Guidubaldo

(1799-1887) sposa nel 1821 Luigia Paolucci (n. 1802)

Carolina

Matilde

Amalia

n. 1822 sposa nel 1847 Teresa Ercolessi (1815-1889)

(n. 1823) sposa Ubaldo Marini (n. Gubbio, 1800) sposa Romualdo Caballini

(1824-1897) sposa nel 1854 Filippo Smerczek (n. Znaim, Moravia, 1818)

Giulio Cesare

Antonia

Luigia

(1848-1913) sposa Maria Coraducci n. Monte S. Maria, 1851

(1850-1922) sposa nel 1867 Antonio Bruscolini (1844-1892) sposa nel 1903 G. C. Mamiani ved. Prati (1840-1918)

(n. 1852) sposa nel 1871 Giulio Valazzi (Pesaro, 1843-Chiavari, 1898)

(1826-1903) sposa nel 1846 Francesco Oliva (Mombaroccio, 1822-1892)

Sveva

G. Francesco

(n. 1856) sposa nel 1880 Giovanni Fattori (n. San Marino, 1855)

Guidubaldo (1871-1916) sposa Marietta Regusa (n. Teramo, 1867)

?

Alberto

(Pesaro, 1895-Milano, 1918)

Violante (n. 1766)

(Pesaro, 1895)

Giuseppa (n. 1768)

Ida

(1878-1965) sposa nel 1898 Virgilio Signani (+ Migliarino, 1900) sposa nel 1904 Enrico Pesci (Velletri, 1863-Pesaro, 1918

Giuseppina Signani

(n. Migliarino, 1900) sposa nel 1924 Luigi Settimio Belluzzi (n. San Marino, 1895)

Terenzio

(1880-1929) sposa nel 1909 Vienna Galluzzi (1882-1969)

Bianca Pesci

(1905-2001) sposa nel 1928 Luigi Pagani (Procida, 1901-Pesaro, 1955)

Virginia

(Pesaro, 1810-Cesena 1883) sposa nel 1829 Giovanni Ghini (Cesena, 1790-1846) sposa nel 1854 ... Borsatti (Cesena)

89


Sant’Angelo in Lizzola intorno al 1880 in un dipinto di Nazzareno Mariotti, riprodotto su una cartolina degli anni Venti del ‘900 (stampa Stab. Delle Nogare e Armetti - Milano, ed. Garattoni Timo - Sant’Angelo in Lizzola; Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci) A pagina 85: la porta d’ingresso al castello con lo stemma dei Mamiani, maggio 2013 (fotografia C. Ortolani)

90


Luoghi, figure, accadimenti, 1584-1718

Il profilo seicentesco di Sant’Angelo in Lizzola, iconicamente fissato da Francesco Mingucci nel 1626, è tuttora riconoscibile nella ‘skyline’ che si può osservare provenendo da Ginestreto. La torre resta l’elemento di identificazione più forte, e il castello visto dal Mingucci non appare molto dissimile dallo scorcio raffigurato in un dipinto del santangiolese Nazzareno Mariotti, databile al penultimo decennio del secolo XIX e riprodotto su una cartolina degli anni Trenta del Novecento. Sant’Angelo, l’assetto urbanistico tra XVI e XVIII secolo

Un panorama di circa 60 anni fa, ecco come si presenta il castello recinto dalle sue alte mura, ed il borgo che si allunga verso sud. Questo è un lavoro di un sapore un po’ primitivo perché il suo autore, Nazzareno Mariotti, fu un autodidatta... ma però [sic] non è diverso da come lo vediamo presso a poco oggi, aggiuntavi solo la nuova casa parrocchiale costruita nel 1932. Il paese però fin dal 1921 aveva allargata la sua cerchia con la costruzione della via di circonvallazione dedicata al sommo poeta di nostra gente Dante Alighieri. In conseguenza di ciò sorsero i nuovi fabbricati con il salone cinema ed il palazzo scolastico. [...] Il viale Monti è fiancheggiato dalle alte mura che recingono il castello a ponente, che aveva un torrioncino di difesa che ruinò verso il 191679.

È stato più volte osservato che i paesaggi del Mingucci sono fortemente tipizzati, e dunque non perfettamente rispondenti al “vero”; si rintracciano tuttavia nella tavola dedicata a Sant’Angelo alcuni elementi caratterizzanti il paese, dal palazzo dei Mamiani alla collegiata fino alle case del borgo, sgranate sulla strada. Elementi che si ritrovano anche nel dipinto ottocentesco, il quale aggiunge al profilo dell’abitato il complesso delle proprietà dei Lapi passate sul finire del Seicento ai Perticari, con la villa e la chiesa di Sant’Egidio e, poco più avanti in direzione del castello, il palazzo dei De Pretis poi Marcolini, distrutto nella II guerra mondiale. In secondo piano, dietro le figure dei contadini, il viale alberato rimpianto da Terenzio Mamiani negli anni dell’esilio e, a quanto la riproduzione consente di leggere, la fonte nel disegno reso celebre da Romolo Liverani, dopo i lavori del 1846-1847. Svetta a fianco della torre il campanile della chiesa di San Michele, ricostruita nel secolo XVIII e, poco lontano, sul Monte Calvello, la chiesetta della Madonna del Monte, eretta nel 1611. 91


Ai disegni del Liverani (1851) occorrerà rivolgersi per avere maggiori dettagli sul castello e sul borgo di Sant’Angelo, dominato dal teatro Perticari, per il quale l’artista dipingerà scenografie e sipario. Nel frattempo, ancora Giovanni Gabucci suggerisce un’insolita immagine del castello visto da ovest, offerta da una tela conservata presso la parrocchia di San Michele arcangelo, raffigurante i santi Caterina, Emidio e san Luigi Gonzaga. Molto deteriorata, la tela è parzialmente protetta dalle veline; il disegno del castello è comunque sufficientemente leggibile: un campanile si staglia sul piccolo agglomerato di edifici racchiuso dalle mura, ma non è agevole riconoscervi la torre, accennata invece in una delle copie del particolare fatte negli anni Venti del Novecento dallo stesso Gabucci. Agli schizzi del sacerdote si ispirò forse la scelta di ornare, inopinatamente a detta di molti, la torre e il palazzo Mamiani con una fila di merli, dopo i danni causati dalla seconda guerra mondiale. La tela è ricondotta dal catalogo dei beni culturali della diocesi di Pesaro all’ambito marchigiano e datata all’ultimo decennio del sec. XVII80; un inventario del 1816 la colloca insieme con il quadro con San Bonaventura, San Donino e San Francesco di Paola nella chiesa del cimitero di Monte Calvello. Gabucci attribuisce entrambi i lavori a “Filippo Farroni della scuola bolognese”, datandoli al 174981.

Santa Caterina, sant’Emidio e san Luigi Gonzaga, sec. XVII, dettaglio (Ufficio Beni Culturali e Artistici della Diocesi di Pesaro, fotografia C. Ortolani). Nella pagina seguente: lo stesso dettaglio in due disegni di Giovanni Gabucci, 1922 e 1924 (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio Giovanni Gabucci)

92


Borgo e castello

La mappa del Catasto gregoriano della prima metà dell’Ottocento mostra ancora il castello racchiuso dalla cinta muraria, più volte restaurata sin dagli anni dei Mamiani. Appare chiaro l’orientamento verso ovest dell’abitato, al quale si accedeva un tempo dall’odierna via Branca, al termine dell’impietrata che sale dalla strada proveniente dall’Apsella. Qualche notizia sull’assetto urbanistico di borgo e castello nei primi anni di governo dei Mamiani si deduce dal già citato ibro d’estimo di Sant’Angelo in Lizzola, con le rilevazioni compiute nel periodo immediatamente successivo all’insediamento di Giulio Cesare I, che il 2 luglio 1584 scriveva da Urbino al suo vicario a Sant’Angelo “ad ogni buon effetto, et per le considerazioni che si son havute, si dia principio alle cose dell’appasso, come più pienamente se ne è ragionato colli capi massari... cominciando dalla parte più lontana del castello”82. Le registrazioni degli appassatori, datate 1584-1587, arricchiscono i dati del catasto del 1560. Il capitano Jacopo di Antonio de l’Ape (Lapi) è ancora uno dei maggiori possidenti di Sant’Angelo: tra le sue proprietà anche il mulino da olio nel borgo che nel secolo successivo passerà ai Perticari, e dal quale nel 1851 Gordiano Perticari ricaverà il teatro dedicato al fratello Giulio. Le registrazioni relative a M° Iacopo barbiero e Luca del Baldo di Serafino confermano poi l’esistenza del ponte tra castello e borgo, dove si concentrano le botteghe: M° Iacopo barbiero già di Tomasso di Giorgio di Sant’Angelo... ha nel borgho di Sant’Angelo apresso il ponte di detto castello [...] una casa e due botteghe. Luca del Baldo di Serafino da Sant’Angelo... ha nel borgho di detto Castello, appresso li beni della Comunità di Sant’Angelo [...] e li fossi di detto castello due botteghe e case.

Un’altra bottega nel borgo è di proprietà di Domenico di Marco di Cemme, e in più punti si fa riferimento alla “strada del mercato” e 93


alla “fonte Scola”, toponimo che sembra comparire qui per la prima volta; la comunità di Sant’Angelo risulta infine proprietaria della torre e di una “casa di sua residenza... apresso la porta e li fossi”83. La fonte Scola non compare nel pur nutrito elenco di toponimi desumibile dal Catasto gregoriano e dagli Stati delle anime, mentre è frequentemente citata nell’estimo del feudo del 1584. Non è chiaro se sia da identificare nell’odierna “fonte vecchia” o se faccia riferimento a un’altra vena d’acqua, effettivamente esistente vicino alla chiesa della Scuola: ancora oggi al centro di piazza Perticari, fino alla prima metà dell’Ottocento terreno di proprietà dei De Pretis, si trova una fontana. Nel 1609 risultano comunque pagati 7 grossi a “mastro Patrignano per una giornata per havere rifatto il muro alla fonte Scola”84, alla quale nel 1657 risulta annesso un “lavatore”85. Nel 1603 il conte Giulio Cesare ordina al vicario che

La fonte Scola

se la porta del castello non è troppo buona si faccia di nuovo, et poi che si guasti l’horto che è sopra detta porta facendosi di sopra far gli sboccatori per l’acqua... voglio che sia cura nostra di far che ogni sera si serri bene la porta del castello, et alzi il ponte, et che le chiavi della porta serrata siano date in mano nostra.

Dà inoltre disposizioni affinché sia fatta riempire “la conserva”86, ossia la neviera, dove era stivata la neve necessaria a conservare le carni, di cui però non è nota l’esatta ubicazione. Tra gli interventi di manutenzione del castello i libri dei consigli della Comunità riportano nel luglio 1613 delle non meglio precisate “riparazioni al ponte”87, mentre il 27 ottobre 1624 i massari discutono sulle richieste del conte, il quale “desidera che s’accomodi la cisterna, e la fonte del castello, e parimenti che si accomodi la muraglia del castello dove fa più bisogno”. Se per la cisterna si dispone di vedere “quello che occorrerà di fare”, e per la muraglia “si veda di far accomodare dove bisognerà prima che il male vada più oltre”, per la fonte le riparazioni sono rimandate “al tempo debito, non parendo al presente tempo di mettervi mano”88. I documenti del feudo Mamiani citano sin dagli ultimi anni del Cinquecento anche “la prigione”: come nel caso della neviera, le fonti disponibili non consentono di individuare con certezza dove si trovassero le celle, che la tradizione vuole nei sotterranei di palazzo Mamiani. Nel 1596 il conte scrive al vicario che “il conte di Montelabbate ricercandomi di voler far condurre costì un priggione da Montelabbate... mi contento che lo riceviate e che lo facciate mettere in una di cote94

Il castello


I salariati della Comunità

Il bargello

ste priggioni la più secura”89, e tra le spese annotate dal vicario nell’aprile 1609 troviamo “15 matoni comperi da mastro Bastiano Gavello per mettere nella prigione et sul piancito del castello, e più 10 chiavi grandi per la prigione et la chiave del barigello et la chiave delli ceppi”. Tra le uscite di quell’anno figurano poi 60 scudi per “il maestro di scola, e capellano della Scola”, “scudi trentacinque e mezzo” per il barigello, 10 per il “barbiero”, 11 per il gualdaro, mentre “mastro cristofaro Ciacca riceve “grossi quindeci per accomodare l’horlogio”90. Una perentoria comunicazione inviata dal primo conte di Sant’Angelo al vicario, datata Casteldurante, 17 maggio 1607, testimonia che il bargello è, nel microcosmo paesano, figura controversa, dalla condotta poco edificante: Mi scrive don Amato che il bargello, et la sua femina non si sono confissati né communicati, per la solennità della prossima Pasqua passata, come comanda santa chiesa che ogni christiano debba fare et perché intendo, et voglio che quei, che stanno al servizio mio, vivino christianamente, ordinarete al bargello da parte mia, che adempisca hora in queste parti quello che comanda santa chiesa, confissandosi, et communicandosi, et che mandi via subito quella donna anco per il male essempio, et scandolo, che può dare a coteste persone, et mi avvisarete poi sopra ciò il seguito, et state sano che Dio vi guardi, et conservi91.

Il bargello si dimostrò evidentemente refrattario agli ordini del conte, che poco più d’un mese dopo, il 26 giugno 1607, sempre da Casteldurante scrive Dovrà di quest’hora esser comparso così il nuovo barigello con le patenti, in virtù delle quali voglio credere, che lo avrete messo subito in possesso dell’ufficio et che havrete licentiato l’altro conforme all’ordine mio, et però non ne dirò altro92. La campana civica, 1657

I dodici massari si riuniscono “al suono della campana” nella “casa comunale”, che ospiterà le adunanze pubbliche fino al 1935, anno in cui il Comune acquisterà l’antico palazzo dei Mamiani. Proprio alla campana sono riservate diverse sedute consiliari nel 1657, quando arrivano in paese due maestri di fonderia per rifare la campana, cioè uno da Fano et uno da Verona, et dopo lungo discorso ...fu tratto con quello da Fano che si chiama m.ro Girolamo Santoni con m.ro Horatio Teggi suo compagno, quali promisero rifare detta campana maggiore di questa Comunità del peso di libbre 1.200 o 1.700 incirca, e quella levare, et mettere su nel campanile, per il prezzo in tutto di scudi trenta. 95


Il 4 giugno 1657 la comunità si impegna a “darli commodità di casa a lavorare, e letto”, a “far condurre tutta la terra che li bisognasse per fare le forme” e a fornire legna, cera, sego e filo di ferro, oltre a trecento mattoni per “fare la fornace, una tavola di noce di lunghezza di piedi 5 in circa, et darli commodità di canapo et legnami che occorrerà per mettere su la campana”. Una volta ultimato il lavoro si apre una controversia tra il vescovo, che dovrebbe benedire la campana, e il consiglio dei massari, che afferma di non poter sostenere la spesa per il trasporto. Poco più d’un mese dopo, il 7 luglio, il capo priore comunica che “la campana sarà fatta mercordì prossimo e che è solito farla benedire, però si risolva se si ha da mandare la campana a Pesaro o a Candelara dove sarà mons. vescovo, overo farlo venir qua, e fare manca spesa che sarà possibile”. Il 10 luglio “fu risoluto con consenso di tutti i priori di sfugire le spese, et evitare il pericolo, et per esserci memoria certa che fu benedetta dal suddetto [vescovo] l’anno 1613 non far fare altra benedizione”; il 13 si legge in consiglio “una lettera scritta dal rettore di Sant’Angelo da Pesaro al sig. capitano Jacomo Lapi nella quale si dice che “mons. ill.mo vescovo vole che si benedica la campana grossa rifatta di novo, altrimenti non vole che il sig. rettore permetta che si metta nel solito campanile”. Fu risoluto mandare il rettore Giorgi a Pesaro a supplicare mons. ill.mo vescovo stante la povertà di questa Comunità che si voglia compiacere di non aggravare questa Comunità con detta spesa per fare detta benedizione, e non potendosi far di non benedirla che vogli far grazia d’honorare questa comunità dimani.

Il vescovo afferma la propria autorità, e scrive ai priori queste precise parole. Se la metterete su nel campanile, cioè senza benedirla, non la sonarete che io non voglia. [...] Fu risoluto far riporre la campana in una stanza sicura sinché si farà quello occorrente, riservata la bona grazia delli priori, e così fu detto che si licenziassero li mastri, e pagarli la loro mercede.

La contessa però “non intende, mentre non sia obligata questa comunità farla benedire, di dare licenza che si faccia spesa non solita, e chi la vol fare la facci per suo conto”. La questione sembra chiudersi il 12 agosto, con la proposta dei capi priori di “mandare per li campanari e far mettere su la campana grossa”93. Alla prima metà dei Seicento risalirebbe infine l’istituzione della fiera: nel 1638 il conte comunica al consiglio di voler “nobilitare il suo castello con il mercato per attirare il concorso di gente a detto mercato”. Il 96

La fiera, 1638


Proprietà del Comune tra XVII e XVIII secolo

consiglio accetta la proposta “senza alcuna discrepanza”, anche “per giovare ai cittadini che ànno grano da vendere, et biada, come anche per tirare che venghi grano forestiere in questa piazza”94. Come si vedrà più avanti, i documenti consentono di stabilire con esattezza l’ubicazione della sede comunale solo a partire dalla metà dell’Ottocento; il libro d’estimo settecentesco, contenente registrazioni della prima metà del secolo, riporta tuttavia un elenco delle proprietà della Comunità di Sant’Angelo, tratteggiando altri particolari sulla fisionomia dell’abitato tra i secoli XVII e XVIII. Communità di Sant’Angelo. Ha nella corte di Sant’Angelo e fondo Fonte il sito con fontana appresso Francesco Maria Giorgi e le strade; ha il sito con mori nel giro del castello appresso la strada e le mura del castello; ha un casino su le mura del castello; ha un scoperto lati la chiesa di Sant’Angelo; ha una casa appresso la piazza – lati sig. conte; ha una casa sopra la porta; ha nel borgo la casa per il macello; ha la casa del forno e l’ostaria; ha una casa nel borgo fondo Impietrata con piedi 80 di terra incirca95.

Tintori nel borgo

Oltre al già citato “molino da olio” e “la casa d’habitatione”, lo stesso estimo registra tra le proprietà della famiglia Perticari nel borgo anche “una casa con scoperto, più la chiesa... due case... e in più la casa ove si fa la tentoria”96. Tra gli artigiani che esercitano il loro mestiere a Sant’Angelo il tintore è uno dei più interessanti, documentato per circa due secoli a partire dal 1696, anno al quale risale una nota dal libro di bottega di mastro Domenico Caterba (o Caterbi)97, grazie alla quale lo spaccato di vita santangiolese si accende di reali risonanze cromatiche. Caterba, che negli stessi anni possiede tre case nel castello98, annovera clienti provenienti da molti paesi vicini, come Ginestreto, Monteciccardo, Monte Santa Maria, Montegaudio e, progressivamente allontanandosi verso le Cesane di Urbino anche da Fontecorniale, Casarotonda, Serra di Genga, Petriano; verso la piana del Foglia non mancano Montecchio e Talacchio e, risalendo alla Romagna, Montegridolfo. Significativa la pur ristretta gamma dei colori e dei tessuti elencati: color di muschio, color tabacco, color cannella, rosso e giallo utilizzati per tingere rascia99, mezzalana100, panno101, lanetta102, un campionario che ci consente di immaginare proprio come in un dipinto di genere il paese e i suoi abitanti, nei cromatismi tipici del vestiario delle classi popolari dell’epoca103. Da sottolineare anche che normalmente il tintore abbisognava per il suo lavoro di grandi quantità di acqua corrente, dettaglio che potrebbe corroborare l’ipotesi di una fonte nei pressi del Borgo. 97


Ancora nel 1929 i documenti registreranno a Sant’Angelo la presenza di una tintoria, intestata a Napoleone Giovagnoli e al figlio Giuseppe104; tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento troviamo Giuseppe Guidi, che esercita l’arte dei colori come suo padre Raffaele, nella bottega di via Borgo 12105. Prima dei Guidi, nel 1813 risulta presente nel borgo Giuseppe Berti, “tintore di tele di lino e lana”, che “può annoverarsi fra gli artisti pregevoli della sua categoria”106 e, nel 1776, “Pietro e Simone Damiani fratelli carnali tintori”107. Angelo Marcolini, pronipote di Elisa Bartoli e Luigi Marcolini, localizzava la bottega dei Giovagnoli di fronte al palazzo di famiglia nel Borgo, a pochi metri da palazzo Perticari108. Il Libro d’estimo ci informa poi dell’esistenza di una “fornace in Fondo Trebbio” e della presenza di un frantoio dentro il castello, “vicino le mura del medesimo”, verosimilmente uno di quelli elencati nelle memorie di Gianfrancesco Mamiani tra i beni della famiglia, proprietaria di “un mulino indiviso col sig. Giacomo Lapi in Sant’Angelo presso le mura, d’altro mulino... colle sue masserizie in detto castello, lati la muraglia castellana e la strada”109.

Sant’Angelo in Lizzola, Libro d’Estimo, sec. XVIII: le proprietà del Comune, dettaglio. Nella pagina seguente: Quaderno dell’anno 1609 fatto da me Tib. Randi Vicario del mese di aprile, dettaglio (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

98


I giorni del carnevale, 1595-1608 31 gennaio 1595. [Il conte di Sant’Angelo al vicario, da Pesaro] Lasciarete che il capitano possa per tutto questo carnevale andar a casa sua per farlo con la sua famiglia, che fra tanto n’ordinarò poi ciò ch’haverete da fare per la sua espedittione, et state sano, che Dio vi contenti110. 18 febbraio 1607. Caso degno di memoria, che descritto si trova in un libro intitolato Thesaurum Concionatorum, che sta nella libraria de’ Padri de’ Servi di M.te Ciccardo in una carta avanti il frontespizio di d. libro, et è il seguente. Mentre si ballava in Sant’Angelo castello di Pesaro, e Contea del molto illustre signor Giulio Cesare Mamiani della Rovere da Parma alli 18 febraio 1607 alle ore 9 di notte incirca nel molino di mastro Girolamo di Marzo entro il castello una giovine chiamata Giulia figlia di mastro Hipolito d’Andrea calzolaro da Casa Rotonda d’Urbino, invitata a ballare da un suo favorito, appena presa la mano morì di morte subitania avanti che cominciasse a ballare, oh duro, e duro caso, specchio nuovo da ballarini. Questo successe la notte della domenica della sessagesima dal volgo chiamata la Domenica de’ parenti [La domenica che introduce la settimana di carnevale]111. 17 gennaio 1608. [Il conte di Sant’Angelo al vicario, da Casteldurante] Acciò che la gioventù di cotesto mio castello habbia occasione di passar questo carnevale allegramente, mi contento che si possono far le maschere, et però glie ne darete la licenza conforme a i decreti, et al solito di gli altr’anni, provedendo in quanto sarà possibile, che non soccedano scandali112.

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Artieri, fanti e massari, 1584-1631 1586. Vasaro: M° Paulo da Pesaro; spedalero: Vincenzo da Schieto [Schieti], morì nel 1605 di anni 80. 1587. [...] In questo libro per osservanza del Sacro Concilio Tridentino, a perpetua memoria si farà nota di tutti i battezzati de la parochia di San Michele di S.to Ag.lo, co’ il dì mese millesimo et nome del batezante, e de i padrini co’ la nota de i confirmati. Nella seconda parte di questo libro si farà similmente memoria de i matrimoni. Cominciando nel principio dell’anno 1587. Con la nota ancora de i morti. Il che si farà con diligenza e osservanza del sodetto concilio e per obedir al Diocesano sinodo, et ordini particolari di monsignor rev.mo. 10 agosto 1587. Venne comissione da monsignor rev.mo che sotto pena di excomunicatione nessuno fintantoché non sonocompiute le messe, e divini offici, ardischi giochar a veruna sorta de giochi, e che non si possi ballare fintantoché no è detto vespere sotto la medesima pena... . 3 aprile 1588. Venne comissione di monsignor rev. mo di notificar al popolo che tutti debbono confessarsi e communicarsi la Pasqua di resuretione sotto pena di excomunicatione et che verranno o vadi fuori de la Diocesi a confessarsi se no portarà la fede in scritto no gli si debba crede. 1589. Polveraro: M° Augusto. 1591. Capitano: Giovan Francesco de L’Ape (muore nel 1623). 1594. Alfiere: Baldo Serafini (anche nel 1595); barbiere: M° Iacomo Georgij; macelaro: M° Pompeo Monte Baroccio; polveraro: M° Agnolo. 1595. Barigello: Giulio Biasolino da Mercatello (anche nel 1599); polveraro: M° Fulgetio; maestro di scola: M° Tomasso Penazza; spedalero: Tomasso (la moglie morì nel 1607, ed è indicata anche come priora). 1596. Chirurico: M° Francesco. 1601. Coglitrice [levatrice]: donna Gironima di Giovannino. 1603. Alfiere: Francesco Maria Martij. 1604. Barigello: Hortensio Ricci da Fossombrone. 1606. Barbiere: Benedetto Riccio. 1609. Barigello: Giovanni Venantio da Nociera (anche nel 1612). 1613. Barigello: Guidubaldo di Francesco da Montemaggiore. 1614. Ostetrica: donna Donnina Martio. 1616. Levatrice: donna Antonia Tura. 1617. Barigello: Antonio da Nocera. 1620. Levatrice: donna Juditta Allegrucci. 19 gennaio 1623. Donna Santina Di Baldo di Rocco dopo d’haver ricevuti li santi sacramenti morì d’anni cento incirca. 1624. Cerusico: M° Agostino Portico113.

Vicari 1587. M° Berardo (moglie: madonna Margharita). 1587 e 1588. Ms. Bernardino Marino (nel 1588 nasce il figlio Giovanne). 1590 e 1592. Ms. Lodovico Rossi. 1595 e 1596. Ms. Antonio Venatij da Casteldurante (moglie: donna Antonia). 1601 Ms. Piergentile Gangelli dalla Pergola (moglie: madonna Aurora). 1606. Ms. Attilio (moglie: Isabella Ghirola). 1617 e 1618. Polidoro Amici da Fossombrone (moglie: donna Cintia). 1624 e 1626. Gio. Thomasso Vita da Sascorbara (moglie: Francesca). 100


Toponimi tra i secoli XVII e XIX Senza alcuna pretesa di completezza, con l’obiettivo di offrire niente più che una prima ricognizione, elenchiamo qui i principali toponimi di Sant’Angelo in Lizzola, ricavati dai documenti utilizzati per questa ricerca114. Tra i più antichi vi sono i fitonimi, che rimandano ai tempi in cui colline della valle del Foglia, come accennato sopra, erano caratterizzate da boschi e selve: Montecarbone (un tempo Monte Carbone), Cerreto (Cereto), Faeto e fosso del Farneto (cerri e farnie sono delle specie di quercia, faeto è chiaramente derivante da faggeto)115; Montecalvello (Monte Calvello) è invece legato evidentemente a una sommità dalla vegetazione meno folta. Connesso alla presenza di alberi è anche il Ronco, “appellativo comune nei dialetti e nella toponomastica italiana settentrionale e centrale, con riferimento a ‘luogo disboscato’ e quindi ‘terreno coltivato’ o anche ‘pascolo’”116. Alcuni toponimi segnalano la presenza di acque e terreni poco stabili, da Fontelepre (Fonte Lepre o Fonte Lepri, in alcuni documenti più antichi Fonte leve) a via dell’Acqua salata fino a strada della Lamma (sulla scorta dell’Olivieri Luigi Michelini Tocci segnala Lamaticci)117, dal latino lama (pantano, palude, campagna paludosa), mentre Tuffi rimanda probabilmente alla natura del terreno tufaceo. Più consueti, infine, il già citato Ospedaletto (Ospitaletto), la Villa (dal latino villa, termine che in origine si riferisce a ‘dimora di campagna’ o ‘fattoria con podere’, in italiano antico “‘paese... la ‘frazione più importante di un comune’: ricordiamo la villa Sanctii Angeli ancora dall’Olivieri), la Serra (“nel senso di ‘serrare’, ‘chiudere’ si ritrova impiegato solitamente in aree pianeggianti..., ma come oronimo ed appellativo geografico dal significato di ‘altura’ può assumere qualche significato più particolare”)118, e anche il Trebbio (trivium, incrocio di tre strade) e la Badia (quest’ultimo attestato sia nei pressi dell’abbadia di San Tommaso in Foglia sia vicino al confine con Monteciccardo). San Matteo e Sant’Andrea ci ricordano l’esistenza delle rispettive chiese; infine, sia gli Stati delle anime sia il Catasto gregoriano registrano anche un “San Carlo”, forse derivante da un’edicola sacra, non lontano da val Termine, connesso al latino terminus, pietra di confine, in questo caso con i territori di Monteciccardo.

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Sant’Angelo in Lizzola, Catasto gregoriano, prima metà del sec. XIX, mappa del castello e del borgo (foglio n. 7). Nella pagina precedente, dall’alto in senso orario, dettagli delle mappe di: Trebbio (foglio n. 6), La Serra (foglio n.2), La Villa e Ospitaletto (foglio n. 6), Fonte Lepri (foglio n. 6), Il Brasco (foglio n. 5), Monte Calvello (foglio n. 6) (Archivio di Stato di Pesaro)

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Dodici reste di fichi secchi “Duodecim restes ficuum aridorum”119, dodici reste di fichi secchi da consegnarsi ogni anno in settembre, in occasione della festa di San Michele. Mutato dopo la devoluzione nel pagamento di due scudi “eseguibile in Roma nella Camera de’ Tributi nella vigilia o festa de’ gloriosi SS. Apostoli Pietro e Paolo”120, il canone simbolico richiesto da Francesco Maria II a Giulio Cesare Mamiani consacra - diremmo oggi - una delle eccellenze enogastronomiche del territorio. “Gli squisiti fichi ricordati per la loro bontà dal Bembo, dal Castiglione e dal Tasso”121 sono un “prodotto di punta” di tutte le colline pesaresi: [1581] Egli è il territorio di essa città molto ameno, et quasi tutto pieno di belle vigne, de olivi, de fichi et de altri fruttiferi arbori, onde si cavano soavissimi frutti e delicatissimi vini. De fichi se ne seccano tanti, come mi fu detto, che non sono solo sufficienti per Pesaro, ma eziandio per andarne altrove, però sono in gran estimazione in Bologna, Faenza, Cesena, Forlì, Bertinoro et in altre città della Romagna122.

Nel 1703 una guida tedesca ribadisce la qualità dei fichi di Pesaro, i quali “eccellono su tutto, ed in Italia si parla molto di essi”123; più o meno le stesse parole scritte nel 1770 da Laurence Echard: “non si parla per l’Italia che de’ fichi di Pesaro”, che “avanzano tutti gli altri frutti nella bontà, e nella riputazione”124. Non si può non menzionare qui l’appellativo di “giardino d’Italia”, che le colline pesaresi meritarono da parte di Joseph Jerome de Lalande, uno dei più conosciuti viaggiatori settecenteschi125.

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[20 settembre 1584] L’obligo che habbiamo di pagar il censo a sua altezza serenissima viene alli 29 del mese presente però vi diciamo che habbiasi all’ordine il mazzo di fichi che si deve per farne questo effetto a tempo suo. [27 settembre 1584] Sabato prossimo che sarà il dì di San Michele si deve pagar il censo al sig. duca serenissimo. Fate di esser qui sabato di buon’hora, et portate con voi il mazzo de fichi che havemo per obbligo di pagarsi, procurando che sieno belli, come confidiamo che farete.... [23 dicembre 1594] Questa sera al suon dell’Ave Maria sono arrivati qui gli doi mandati con il mazzo di fichi, che da me si stava aspettando con infinitissimo desiderio, et ho dubbitato che poiché non erano comparsi fin à quest’hora, che non venisse più per il sfortunato tempo nel qual ci troviamo... Sono venuti ben condizionati, et resto sodisfatto della diligenza, si come faccio delli fichi, poiché sono belli126.

Merita almeno una segnalazione il Libro delle pere e dei frutti dell’Archivio comunale, dove nel 1592 Paolo Allegrucci annota “tutte le pere ed altri frutti di campo imbarcati da Francesco Mellini di Talacchio per essere trasportati nel porto di Pesaro nell’anno 1592”127. Il territorio comunale è abbondante in modo di piante di fichi, che niun altro circondario lo eguaglia, ed i fihci secchi provenienti dal medesimo essendo assai stimati, formano un particolare, e vantaggioso ramo d’industria per gli agricoltori128.

Comunicazione del conte Giulio Cesare Mamiani al vicario di Sant’Angelo, 1584, dettaglio. Nella pagina precedente: bolletta del macinato, seconda metà del sec. XVII (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

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I secoli XVI e XVII: aspetti demografici Non è il caso di soffermarsi qui su questioni metodologiche riguardanti il difficile raffronto tra i dati demografici dei secoli XVI e XVII, ottenuti da rilevazioni statistiche parziali e condotte a fini particolari (religiosi, militari, annonari...), e le notizie più sistematiche raccolte dai censimenti dello stato italiano a partire dal 1861. Alla scarsa omogeneità di metodo si aggiunge un aspetto geografico: occorre tener conto che spesso il territorio della parrocchia, ai cui registri ricorriamo per le informazioni anagrafiche fino all’Unità d’Italia, non coincideva perfettamente con i confini comunali. Gli Stati d’anime di San Michele arcangelo comprendono per esempio anche le famiglie residenti a Montecchio, nella zona dell’Arena, che solo negli anni Quaranta del Novecento diventerà di competenza della parrocchia montecchiese di Santa Maria Assunta. Accettata dunque l’inevitabile percentuale di astrazione che ogni statistica porta con sé, riportiamo qui alcuni numeri che consentono di seguire almeno a grandi linee l’evoluzione demografica di Sant’Angelo in Lizzola. Negli anni tra il 1591 e il 1668 la popolazione di Sant’Angelo passa da 748 a 821 abitanti (Ginestreto: 894/986; Monteciccardo: 785/636; Monte Santa Maria: 332/240; Montegaudio: 283/208; Montelabbate: 410/395; Mombaroccio: 1.392/1.448)129. Tra il 1687 e il 1813 gli stati delle anime non registrano variazioni sostanziali nel numero degli abitanti di Sant’Angelo in Lizzola (816/834, con punte minime di 731 nel 1702)130, che solo nel 1828 supereranno le 1.000 unità (1.383)131. Nel 1813, con Ginestreto e Monteciccardo appodiati, Sant’Angelo contava 3.203 abitanti132. Dall’insediamento del Legato apostolico nel 1631, fino all’invasione francese del 1797, Pesaro e le campagne circostanti sono coinvolte solo di riflesso dalle guerre di successione che scuotono l’equilibrio politico degli Stati d’Europa. Riflessi che hanno comunque un forte impatto sulle condizioni di vita della popolazione, regolarmente tenuta nei secoli XVI-XVIII a predisporre alloggio e viveri per le truppe di passaggio, “con grandissimo disturbo de’ cittadini”, annota Domenico Bonamini, “obbligati a pascere quella gente avida al denaro, sporchissima, insaziabile e quasi priva dell’uso della ragione per essere continuamente ubbriachi dall’eccessivo bere del vino”133. Tra il 1701 e il 1709 lo Stato della Chiesa fu coinvolto nella guerra di devoluzione spagnola, che vide anche in Italia i combattimenti tra le 106

Popolazione 1591-1668


truppe austriache e quelle franco-spagnole; la guerra si concluse con una tregua, in seguito alla quale gli austriaci abbandonarono le terre dello Stato pontificio. Il 29 maggio 1707, prosegue Bonamini, Il passaggio degli eserciti all’inizio del XVIII secolo

Le carestie tra XVII e XVIII secolo

passò l’armata imperiale in numero di 13.000 soldati tra fanti e cavalli. Qui si fermarono la notte accampandosi i soldati a cavallo nei prati e rimorti di Miralfiore sulla riva del fiume, e quelli a piedi nei prati vicino alla marina sotto le mura della città. Varj generali alloggiarono in città in case Gozze, Deplovatazj, Santinelli di Piazza e Mamiani Sant’Angelo. [...] Il pubblico regalò i signori generali, ed ai soldati tutti fu data la razione di pane, vino, carne, legna, erba, biade per cavalli, ed altro conforme le tappe per ordine pontificio134.

Per avere un’idea dell’effetto del passaggio degli eserciti sulla popolazione in quegli anni basti pensare che nel 1701 in città si contavano poco più di settemila abitanti (7.253; 21.976 tra città, ville e contado)135. Lungo tutto l’arco del Seicento - e non solo - la popolazione italiana è duramente provata dalle ricorrenti carestie: tra le più gravi le fonti citano quelle del 1636, 1648, 1669, 1693 e, nei secoli successivi, degli anni 1776, 1796-1802 e 1816. Tra il XVI e il XVII secolo un peggioramento climatico che coinvolse l’intero continente europeo, definito nei termini di piccola era glaciale, causò la rovina dei raccolti, compromessi dall’alternarsi di siccità e alluvioni, gelo prolungato e caldo eccessivo (è stato calcolato che per l’area pesarese la riduzione della temperatura media fu di circa un grado); anche la legna per il riscaldamento venne a mancare, a causa del progressivo disboscamento del territorio, attuato per lasciare spazio ai coltivi136. Per fronteggiare la richiesta di grano il conte di Sant’Angelo ordina nel 1606 che sia predisposta “al solito” la rassegna dei cereali, stabilendo anche misure affinché “non si commettano fraudi intorno all’estrazione [esportazione] de’ grani” dalla propria giurisdizione: Essendo gionto il tempo del raccolto del grano, ho risoluto oltre quello che in simil proposito vi dissi a bocca, ordinarvi, come fo con questa, che usiate ogni diligenza maggiore, perché non si commettano fraudi intorno all’estrazione de’ grani da cotesta mia giurisdizione, come sapete, che si fece l’anno passato et che si è fatto in altro tempo; et però sarà cura vostra insieme co’l capitano Giovan Francesco Lapi, di porre la notte di guardia a i passi, adoperando poche persone ma fidate, et sicure, con andar spesso girando, et traversando, sì di giorno come di notte, per tutto paese, et trovando contraventori, procurarete di haverli nelle mani, et al suo tempo condannarli nelle pene che per giustizia si doveranno; non guardando né a fatica, né a disaggio che bisognasse prendere. Solleciterete insieme di far, secondo il solito, la 107


rassegna delle covate, et stime di esse, et ne lascierete intendere in mio nome con i miei huomini, che possiedono, o tengono o lavorino beni nella corte di Monte l’Abbate, che stiano in cervello di non far cosa, che pregiudichi loro, et me [...] perché se altrimente faranno, ò si sottoporranno i pesi, et obbligo, che non hanno in tal particolare, li farò castigare in modo che saranno essempio ad altri. Quanto all’accomodamento delle strade, et piantar de mori, non prendo adesso tempo opportuno, per le facende c’hanno i contadini, et per la stagione di metterci mano, sarà peso vostro il ricordarmelo al suo tempo. Potendosi similmente hora far risoluzione, che sia buona, intorno al deliberare, se sia bene, che dal publico si comprino grani per benefitio dei poveri, poi che la rasegna non è ancor fatta, et doverà esser quella che darà norma di ciò che doveremo fare in tal particolare, però me ne rescriverete quando mi mandarete la detta rassegna, che in quel tempo s’andarà pensando a quello si doverà fare et state sano, che Dio vi conservi137.

Il 22 marzo dello stesso anno, “vedendo che le cosa del legname va ogni giorno di male in peggio, tagliandosene in cotesto territorio senza alcuna considerazione; acciò non resti in breve tempo à fatto spogliato di arbori”, da Pesaro il conte aveva inviato al vicario un decreto per “poter far procedere contra i trasgressori di esso”138. Le malattie legate alle precarie condizioni igieniche quali malaria, tifo petecchiale e tisi aggravano la situazione, e la popolazione infantile è decimata dalle malattie esantematiche e dal vaiolo; sempre meno frequente ma non completamente debellata, anche la peste si fa sentire nelle nostre campagne: l’epidemia del 1630 resa celebre da Alessandro Manzoni proietta le sue ombre fino a Sant’Angelo, e con un bando del 16 giugno la contessa Costanza ordina, “pena la vita” e la “confiscazione dei beni”, di murare capanni e altri luoghi che possano offrire riparo a persone infette dal “male che va serpando”, e di non dare accoglienza ai forestieri a meno che siano provvisti delle “fedi di sanità”. Sentendosi dognintorno, che i popoli convicini e lontani ad altro non attendono che a far provisioni e rimedij per evitare il pericolo del male contagioso che tuttavia va serpando con timore, e terrore di tutti gli huomini, e desiderando la ill.ma contessa di preservare questo suo diletto popolo con tutte le diligenze e rimedi possibili da così crudele influenza, poscia comanda che ognuno indifferentemente di questa sua giurisdizione osservi gli ordini, e provisioni sottoscritte. Che tutti i padroni di celle, imagini e maestadi, che sono nel territorio e giurisdizione di Sant’Agnolo, debbano nel termine di tre giorni averle fatte murare affatto, ed in modo, che non vi possa entrar dentro alcuna per108

La peste del 1630


sona. Com’anche nel medesimo termine ognuno debba aver guastati ò abbrugiati tutti i cappanni che sono fuori in campagna [...] senza replica alcuna. Di più non possa l’oste, che fa l’ostaria in questo borgo e castello alloggiare la notte persona alcuna forestiera, che non abbia fede alla sanità fatta, riffermata di fresco, che non passi tre giorni. Così non possa lasciar fermare alcuno a mangiare, a bere, che non abbia le sue fedi come sopra. Similmente l’oste di Montecchio si governi sullo stesso modo per il giorno, senza alloggiar persona alcuna per la notte. Così la guardia solita, che sta alla porta non possa lasciar entrare dentro il castello persona alcuna di qualsivoglia luogo che non abbia le sue fedi come sopra. Oltre di ciò ognuno abitante, o possidente case, abitazioni, casalini o altri siti dentro al castello debba nel termine di due giorni nettare, far nettare, pulire, lavare e portar via ogni sorta di immondezza, ò lordura puteolente che sia sottostante publichi androni, o dietro la mura, dove confinano con le suddette loro case, abitazioni, casalini o siti et onde tener netto e pulito ogni cosa, e non sia alcuno che abbia ardire di fare o portare in luogo pubblico lordura puteolente ò gettare alcuna cosa che possa portare infezione ò mal odore. E nessuno abitante, né dentro al castello né fuori in campagna possa alloggiare persona alcuna forestiera la notte [...] senza darne conto al vicario, e mostrargli le fedi.... Agiungendo che tutti i casi al presente bando, per ordine e comissione espressa dell’Ill.ma padrona la pena della vita, e confiscazione de beni...139.

I massari di Sant’Angelo, 1657, Libro dei Consigli (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

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Chiese e luoghi sacri, 1611-1718

Le chiese del Trebbio e di Monte Calvello, 1611 Il secolo XVII vede a Sant’Angelo la nascita di ben cinque chiese, tutte fuori dalle mura, la cui costruzione precede la ristrutturazione della parrocchiale di San Michele, dal 1718 eretta in collegiata. Sempre nella prima metà del Seicento è restaurata per la prima volta anche la chiesa della Scuola. Le prime a sorgere sono la chiesa della Beata Vergine del Carmine al Trebbio e quella della Madonna del Monte, “erette dal molto reverendo don Gio. Bernardino Giovanetti, di cui è cappellano il sacerdote don Francesco Muccioli... L’erezione cadde il 22 giugno 1611”140. Trasformata nel 1924 in un frantoio, tuttora attivo, la chiesa del Trebbio ci è nota attraverso un disegno di Giovanni Gabucci, che riferisce anche di “un affresco ritenuto del Pandolfi”, del quale però non si hanno altre notizie141 eccetto quelle riportate da un Inventario della chiesa del Carmine della prima metà del Settecento, che tra gli arredi cita “...un altare con l’imagine della Beatissima V. del Carmine con la sua cornice indorata, e attorno il muro pitturato con il suo baldachino sopra”142. Si fa memoria come in questa chiesa vi erano moltissime reliquie con quella ancora della santissima croce, quasi tutte legate in argento, e che il signor conte Santaguzzi [Fantaguzzi] di Cesena, erede del fu signor conte Rota, le portò tutte con sé come fossero state sue, ma che realmente erano della chiesa, come il sudetto signor conte Rota protestò prima di morire, e che non per altro motivo egli le aveva da gran tempo tenute in casa se non per meglio custodirle dalle intemperie delle stagioni. Fu scritto in tempo di monsignori Radicati di felice memoria, ma rispose che erano sue e non volle mai restituire cosa alcuna143.

Comunemente nota come “Madonna del Monte”, la chiesa del cimitero è dedicata a santa Maria Assunta. Tuttora officiata sporadicamente e molto amata dai santangiolesi, subì negli anni vari restauri: nel 1837 la chiesa subì un restauro generale... Il 3 Gennaio 1917 un incendio distrusse non solo l’altare e tutto l’ornato in legno ma rovinò in parte anche la Chiesa che per l’incuria del Municipio ebbe ben presto scoperto tutto il tetto e crollata l’orchestra: però si scoprì completamente l’affresco, che venne sapientemente restaurato nel 1940 dal 110



Giovanni Gabucci, Chiesa del Trebbio prima della sua trasformazione e, nella pagina seguente, Serra di Sant’Angelo, 1924. Nella pagina precedente, sullo sfondo: Il Monte Calvello, 1916 o 1917, fotografia Uguccioni; in primo piano: Chiesa di Monte Calvello - altare e affresco della Madonna, fotografia G. Andreatini, 1926 (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci)

professor Renato Paolucci di Rimini, dopo che la chiesa era stata riaperta al culto fin dal 15 Agosto 1921144.

Per quanto riguarda i lavori del 1837, basandosi su un’iscrizione sul muro della sacrestia Gabucci afferma che la chiesa fu decorata da Andrea Guadagnini, pittore, fratello del parroco di San Michele don Serafino145. Morto a 75 anni nel 1869, Andrea Guadagnini “aveva studiato a Roma. Di lui rimane lo sfondo attorno al quadro dell’altar maggiore in collegiata, e forse la tela dietro il Crocefisso della Scuola”146. “Un quadro posto in cornu evangelii con cornice verniciata rappresentante Santa Catterina, Sant’Emidio e San Luigi; altro simile cornu epistole rappresentante San Bonaventura, San Donino e San Francesco di Paola”: insieme con le due tele citate in precedenza, un inventario del 1816 segnala tra gli arredi della Madonna del Monte anche il quadro (in realtà un affresco) dell’altare con cornice...; la veste [della Madonna] di raso color di perla con i recami trasportati, ed il baldacchino dipinto di tela con il suo ornato; la tela color di rosa scolorato col nome di Maria dipinto in oro e due angeli, che sostengono la corona, per coprire la detta immagine147.

Nel 1855 l’affresco sarà riprodotto in un’incisione, realizzata quale ex voto per lo scampato pericolo del colera. 112


Sant’Isidoro della Serra Poco più avanti, sulla strada che da Sant’Angelo conduce all’Apsella, si trovano i resti della chiesa di Sant’Isidoro confessore, detta anche di Sant’Isidoro agricola, eretta nel 1625 dal “signor Domenico Marzi, chierico di Sant’Angiolo”148. Per questa chiesa Giovanni Giacomo Pandolfi (1567-post 1636) dipinse la tela raffigurante Maria con i santi Isidoro e Domenico, datata 1626, recentemente restaurata e conservata presso il Museo diocesano di Pesaro. Da sottolineare, a soli tre anni dalla canonizzazione del santo, avvenuta nel 1622, l’intitolazione a Isidoro di Madrid, patrono degli agricoltori, la cui festa si celebra il 15 maggio149. Nel 1778 la chiesa risulta annessa alle proprietà della contessa Isabella Antonelli Hondedei, che “possiede in questa corte padronale una possessione con il casino, mulino da olio, chiesa, giardini con frutti e casa colonica, in fondo La Serra”150. Dell’edificio, dal secondo decennio del Novecento ceduto in affitto al Comune per essere adibito a scuola elementare, e già allora seriamente compromesso151, resta oggi solo un rudere, al cui interno è ancora visibile l’altare. Mercoledì 19 novembre 1947. Sopralluogo alla chiesa di Sant’Isidoro della Serra, richiesta dal Comune per fare la scuola. La chiesa misura mt 11,40 di lunghezza, 6 di larghezza, altezza mt 8 fino alla corda dei travi (5 al cornicione). La sagrestia è larga come la chiesa mt 6, lunga m 5,40, alta 3,20 (fino ai travi). Porto con me la pietra sacra, già fuori dell’altare con un angolo rotto, ma il sepolcro delle reliquie intatte152.

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Sant’Angelo in Lizzola, Sant’Isidoro della Serra, ottobre 2008. Nella pagina precedente: Giovanni Giacomo Pandolfi, La Vergine Maria con i santi Isidoro e Domenico di Guzman, 1626 (Ufficio Beni Culturali e Artistici della Diocesi di Pesaro; fotografie C. Ortolani)

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San Matteo Sempre nella zona del Brasco sorgeva la chiesa di San Matteo, costruita nel 1659 per volere della famiglia Marzi, in particolare del “signor don Matteo Marzi da Sant’Angelo rettore di Monte famiglia Marzi, in particolare del “signor don Matteo Marzi da Sant’Angelo rettore di Monte Cicardo”. Scarse le notizie in merito: dalla visita pastorale del cardinal De Simone sappiamo che in essa vi erano due altari, uno dei quali dedicato a Santa Monica153. Secondo un manoscritto di don Oreste Marchionni, parroco di Sant’Angelo in Lizzola dal 1947 al 1990154, l’edificio, già in stato di degrado, fu in seguito acquistato da don Giuseppe Foschi, originario di Monteciccardo, priore di Sant’Angelo dal 1807 al 1830155. Un’annotazione di Giovanni Gabucci datata 1925 aggiunge che la chiesa “era addossata alla casa della colonia Giusti, e nell’ultimo censimento il priore Zazzeri avanzò reclamo per rivendicare l’area della chiesa comprendente l’attuale loggia e il terreno antistante”156.

La chiesa di Santa Maria della Rena Dalla parrocchia di San Michele arcangelo dipende anche la chiesa della beata Vergine della concezione dell’Arena, eretta nel maggio 1711 “dalli signori don Giacomo e Francesco fratelli Cemmi, dotata d’un iuspatronato laicale ma pingue”. Caratterizzata dalla pianta ottagonale la piccola chiesa aveva un solo altare, “con un quadro grande in cui vi sono impresse le immagini della santissima concezione di Maria Vergine, dell’apostolo san Giacomo Maggiore e di San Francesco d’Assisi”. La chiesa è oggi compresa nel territorio di competenza della parrochia montelabbatese dei santi Quirico e Giulitta. La visita del cardinal De Simone segnala infine la presenza di tre edicole sacre (“celle”): Vi sono tre celle. La prima alla Villa verso il Trebbio, spettante a’ signori canonici di Sant’Angiolo come eredi della fu signora Giovanna, moglie del fu capitano Ubaldo Magni. La seconda verso la strada del Forletto e la strada che conduce al Pantano e alla casa de’ Contini verso i Montali, e spetta mantenerla a Pasquale Bassi alias Banchetta come erede. La terza verso la strada di Monte Gaudio, detta la cella di San Carlo, il di cui mantenimento spetta a’ signori Contini157.

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Sant’Egidio Adì 7 agosto 1776, di mattina, Sant’Angelo fu visitata da me canonico Giuseppe Ciacchi convisitatore nella prima visita fatta da sua eminenza il signor cardinale De Simone, vescovo zelantissimo della città e diocesi di Pesaro. Fu visitata in primo luogo la chiesa abbaziale di Sant’Egidio, appartenente per eredità de’ signori Lapi al nobil uomo e benefiziato signor Andrea Perticari... e la ritrovai con tal magnifica decenza proveduta e adorna che, sommamente lodando le sante premure ed intenzioni religiose del benefiziato, desiderai fosse immitato da tutti gli altri rettori e benefiziati”158.

Posta all’inizio dell’attuale via Roma, sulla strada che segna il confine con Monteciccardo, la chiesa di Sant’Egidio è, insieme con alcune case contigue, ciò che resta del complesso di edifici posseduti dalla famiglia Perticari nel borgo di Sant’Angelo, passati ai Perticari dopo il matrimonio di Angiola Lapi con Giulio Perticari, bisnonno dell’omonimo e più celebre letterato. Nel 1684 don Agostino Lapi e i suoi fratelli Pietro e Gordiano, figli del capitano Giacomo [Jacomo] Lapi, danno inizio alla costruzione della chiesa “la quale fu piantata nei beni spettanti alli detti signori fondatori, cioè nell’entrare del paese a cima il borgo, lati la strada publica [attuale via Roma], la suburbana [attuale strada provinciale n. 26] e li beni Lapi”. Divenuta a tutti gli effetti giuspatronato laicale della famiglia Lapi nel 1689159, la chiesa è tuttora di proprietà degli eredi della

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famiglia Perticari, che ne hanno promosso il restauro dopo i danni provocati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Caso rarissimo nella nostra zona, Sant’Egidio presenta pressoché intatto l’impianto decorativo, dominato dalle tele dipinte tra il 1685 e il 1694 da Giovanni Venanzi (Pesaro, 1627-1705), allievo di Guido Reni e Simone Cantarini, attivo in Pesaro dal 1650, passato a Parma alla corte dei Farnese e in tarda età rientrato a Pesaro. Spiccano tra le opere del Venanzi i due episodi della vita di Sant’Egidio160, monaco eremita vissuto in Francia, patrono degli storpi, dei lebbrosi, dei tessitori161. A pianta ottagonale, la chiesa custodisce la sepoltura della famiglia Lapi “ed in questa vi sono le ceneri del fu signor don Agostino Lapi fondatore”162. L’altare rivestito di oro zecchino e il crocefisso di cedro del Libano, attribuito al veneziano Francesco Pianta il giovane163, completano l’arredo della chiesa. Tra le funzioni officiate un tempo in Sant’Egidio appare particolarmente rilevante la festa del titolare, solennizzata il 1° settembre con la messa solenne cantata, il vespro, la benedizione e l’esposizione per tutta la giornata della reliquia del santo164. Nel giorno di Sant’Egidio aveva luogo anche una delle più longeve fiere di Sant’Angelo, documentata almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento.

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Sant’Angelo in Lizzola - altare della chiesa di Sant’Egidio, 1930 (fotografia C. Lardoni). Nella pagina precedente: G. Gabucci, Campanile della chiesa di Sant’Egidio, Sant’Angelo in Lizzola, Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci). A pagina 117: la chiesa di Sant’Egidio, agosto 2008 (fotografia C. Ortolani)

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San Michele arcangelo Nel fervore di lavori che caratterizza Sant’Angelo nell’ultimo decennio del XVII secolo parte importante ha la costruzione della nuova chiesa parrocchiale, che nel 1718 sarà eretta in collegiata. Come si è detto ancora nel 1776 la relazione per la visita del cardinale De Simone si riferisce alla collegiata come alla “chiesa nuova”, edificata nel 1705 grazie ad alcuni lasciti, tra i quali quelli di don Cristoforo Rossi, abate di San Giacomo di Pesaro e di suo fratello don Giovanni Maria Rossi, donna Aura Maria Giovanetti e di monsignor Avi vescovo di Pesaro. [...] La Comunità poi di Sant’Angelo si addossò il mantenimento della sudetta chiesa”165. Il Libro mastro per la fabrica della chiesa di San Michele arcangelo parocchiale precisa che la chiesa fu costruita “sopra li fondamenti vecchi” a partire dal 1691 (tra il 1689 e il 1690 furono redatti i progetti, il cui costo ammontò a 7 scudi). Una nota delle spese per il triennio 1692-1695, nella quale si parla di “12 migliaia di mattoni” necessari per la costruzione dell’edificio, riporta tra l’altro i lavori per “riparar le rovine della sagrestia, coro e chiuder l’arco maggiore”; lo stesso documento cita la “porta del sale”, la “fonte del castello e il lavatore”166. Nel 1705 fu “completato il coro dell’altar maggiore e, dopo aver aggiustata la cornice del quadro dei Santi apostoli collocato nell’oratorio, venne inaugurato il quadro dell’Addolorata e di San Giovanni evangelista, opera del pittore Giuseppe Oddi”167. Il quadro di Giuseppe Oddi (fine secolo XVII-1728) con San Giovanni evangelista ad portam latinam immerso nell’olio bollente si trova tuttora in collegiata168. La chiesa mostra oggi con poche modifiche la struttura definita nel secolo scorso: il timpano della facciata, aggiunto nel 1913 dal priore don Vitale Zazzeri e costruito da Andrea Gabucci, padre di don Giovanni, è coronato da una piccola lapide datata 1710. La memoria paesana ricorda che la collegiata

G. Oddi, San Giovanni evangelista

è rimasta troppo bassa, sproporzionata perché, come si legge nel Libro della Fabbrica della Chiesa - “per istigazione di perversi e prepotenti non fu permesso proseguire, onde convenne abbassare le finestre e coprire”. E il prepotente fu il conte [Vincenzo] Mamiani il quale non permise che la chiesa superasse in altezza il suo palazzo, e che il campanile sorpassasse la torre. Nel 1913 il priore Zazzeri fece innalzare il timpano sulla facciata, e dalla munificenza del papa Pio XI fu costruita nel 1932 la terza navata sull’area della vecchia e cadente casa parrocchiale, che venne sostituita da una nuova canonica eretta dallo stesso pontefice169.

Tra gli arredi interni degni di nota sono “il coro in noce, un artistico genuflessorio e gli armadi della sagrestia lavorati da Venanzio Guidomei 120

V. Guidomei, gli arredi interni


di Ginestreto che aveva i suoi beni anche a Sant’Angelo170. Al maestro lignaro Guidomei, attivo nella prima metà del Settecento, si devono anche il coro e gli arredi della sagrestia del santuario del Beato Sante di Mombaroccio (1721), e il coro di San Francesco di Camerino171. Il 29 agosto 1718, su petizione del parroco don Bernardino Magni e del vescovo di Pesaro monsignor Filippo Spada, San Michele arcangelo fu proclamata da papa Clemente XI Albani (1649-1721) “insigne collegiata”. “Al parroco fu soppresso il nome di rettore e fu assegnato il nome di priore, e dichiarato unica e prima dignità e capo del Capitolo”172: lo stato di “collegiata” comporta infatti la presenza di un capitolo, ossia un gruppo di sacerdoti nominati dal vescovo allo scopo di rendere più solenne il culto. Fonti settecentesche indicano in sette il numero dei canonici di San Michele173, mentre nel 1848 il capitolo della collegiata di Sant’Angelo conta dodici canonici compreso il priore, i quali si riunivano ogni mese e avevano il diritto di indossare durante le funzioni una veste particolare. L’abito della nostra dignità, il priore, è il rocchetto, e mozzetta paonazza filettata di ermellino attorno attorno, gli altri canonici poi hanno il solo rocchetto, e la mozzetta color paonazzo. [...] L’abito che portano [i canonici] in coro è la cotta, e mozzetta rossa. Il loro servigio è quello di andare in coro tutte volte che sono obbligati174.

Gli altari e i dipinti

Anche due note di Giovanni Gabucci accennano alle caratteristiche della veste dei canonici di San Michele: “nel Capitolo del 16 settembre 1780 si propone di chiedere al pontefice la mozzetta paonazza con filettatura, asole e bottoni rossi ed il rocchetto, in luogo della cotta e mozzetta nera”175; nella seconda metà del Settecento il priore “per intromissione del conte Mamiani ebbe la mozzetta rossa filettata in ermellino in luogo di quella violacea che passò ai canonici, che avevano la mozzetta nera, questa passò allora ai mansionarii”176. Sette gli altari elencati nella relazione per il cardinale De Simone: l’altare maggiore dedicato a San Michele con il “suo quadro”; l’altare della Santissima Annunziata, anch’esso “con il suo quadro” (successivamente l’altare comparirà negli inventari come “altare del Santissimo Sacramento”, mutuando il nome dalla confraternita alla quale spettava il suo mantenimento)177; l’altare di San Francesco, “mantenuto dalli canonici Rossi come eredi del fu don Gio. Maria Rossi, uno dei due fondatori della collegiata”; l’altare di San Bernardo, fondato nel 1650 con un lascito di Andrea Agostini; l’altare di San Giuseppe, citato per la prima volta nella sacra visita del vescovo di Pesaro Alessandro Avio, 121


eretto probabilmente dalla famiglia Allegrucci nel 1688; l’altare di San Giovanni, già citato, eretto grazie a un lascito di donna Aura Giovanetti nel 1699; l’altare di San Giorgio, eretto da don Francesco Maria Rossi nel 1703, davanti al quale “v’è un’immagine della beatissima Vergine detta della Misericordia, lasciata da certi missionari”178. La tela è oggi posta nella navata destra della chiesa, e datata dall’Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Pesaro al ventennio 1590-1610179. Una nota contenuta nel Libro delle occorrenze della chiesa di San Michele precisa riguardo all’altare di San Giorgio Prima che l’altare è stato eretto da don Francesco Maria Rossi à proprie spese, e stabilita la capella nel sito presente, eletto per arbitrio concessoli dal sig. rettore, et altri assistenti alla fabbrica, per non esservi altro Instante. 2° E poi con la precedente notificazione per editti fu dato possesso dal cancelliere vescovile al benefiziato del Ius Patronato ivi fondato. 3° Che il nuovo quadro condecente è stato fatto per detta cappella con la considerazione di quel sito, e luce180.

La nota non è datata, e non è dunque con certezza riferibile all’olio San Giorgio e il drago e San Biagio vescovo, sul quale si legge l’iscrizione “frat. De Georgys da Saludecio 1709”181. Tuttora presenti in chiesa, sommati ai paramenti e alle suppellettili conservati in sacrestia, questi dipinti testimoniano una certa opulenza di arredi della collegiata santangiolese. La pala dell’altare maggiore, raffigurante la Madonna con Gesù Bambino tra i santi Michele arcangelo, Giovanni Battista, Francesco d’Assisi, Terenzio è ricondotta all’ambito baroccesco (secolo XVII); di scuola locale ma di autore ignoto e databili al primo decennio del secolo XVIII (16901704) anche l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi e il San Francesco d’Assisi riceve le stimmate182. Del 1702 è infine la Madonna con Gesù Bambino in gloria tra i santi Giovanni Battista e Bernardo attribuita da storici locali a Giovanni Venanzi183. Altre opere si conservano in sacrestia in attesa di restauro, come l’Ultima cena (1540-1560)184, le tele raffiguranti la Madonna del Rosario e la Madonna con Gesù Bambino tra i santi Sebastiano e Rocco provenienti dalla chiesa della Scuola e quella più volte citata con Santa Caterina d’Alessandria, sant’Emidio vescovo e martire e san Luigi Gonzaga. Sei statue ornano le nicchie di San Michele: nella navata sinistra si trovano sant’Emidio, san Francesco di Paola, sant’Antonio da Padova; a destra vi sono invece sant’Antonio abate, san Pasquale Baylon e l’Addolorata. “San Francesco di Paola, san Pasquale e sant’Antonio di Padoa” compaiono già nella relazione del priore Bertuccioli del 1776185. 122


La collegiata di San Michele arcangelo ai primi del ‘900 (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci); in primo piano: la collegiata, gennaio 2011 (fotografia C. Ortolani)

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Nel 1767, ricordano gli atti del capitolo della collegiata, si procede all’acquisto dell’organo: don Benedetto Mancini, maestro pubblico, ha dal capitolo una commendatizia per recarsi in Pesaro col canonico Angeli per l’acquisto di un organo. Il medesimo è eletto organista della collegiata col salario annuo di scudini 12 dei quali 7 da darsi dal capitolo e 5 dal priore. Nel capitolo seguente del 4 gennaio 1768 si riduce l’onorario a una quarantina di paoli, perché il Mancini ha anche il servizio della scuola pubblica.

Sei anni dopo, nel 1773 “È presentato il conto delle due campane risultante in scudi 33, bajocchi 56,4 a carico del capitolo e altrettanti a carico del priore oltre il materiale della campana rotta”186. Spettava alla Comunità anche il mantenimento della “casa d’abitazione del priore e paroco, la quale è ristretta assai, deforme ed orrida”. [...] In questa chiesa collegiata ne’ giorni festivi d’uffiziatura vi sono alle volte molte messe, alle volte tre o quattro. Nelle feste fuori dell’uffiziatura ve ne sono alle volte tre sole, alle volte quattro o cinque, o sei o sette e più ancora. Anche nell’altre chiese figliali v’è la messa nei giorni festivi187.

Molte di queste celebrazioni furono mantenute almeno fino agli anni precedenti la seconda guerra mondiale: per il Novecento ce ne restano dettagliate notizie nei diari di don Giovanni Gabucci. Le Confraternite Tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo nascono a Sant’Angelo tre confraternite, che si aggiungono alla già nominata confraternita della Natività: la compagnia del Rosario, quella del Sacramento e quella delle Stimmate di San Francesco. Tutte possiedono un oratorio per le adunanze dei confratelli, mentre solo tre hanno il monte frumentario: la compagnia del Rosario, quella del Sacramento e quella della Natività188. Nel 1843 sarà istituita la compagnia della Madonna del Carmine, presso l’omonima chiesetta del Trebbio; nel primo decennio del XX secolo nasceranno inoltre, presso la collegiata, le pie unioni di San Michele arcangelo e del Santissimo Rosario sotto il patrocinio della Vergine di Pompei189. Ancora oggi esiste infine la confraternita di Sant’Antonio, che “si raduna tutti gli anni in occasione della festa del santo”190.

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L’acquisto dell’organo, 1767


La confraternita della Natività e la chiesa della Scuola Una delle rare immagini della chiesa della Natività della Vergine è riprodotta su una cartolina dei primi del Novecento, che mostra una facciata essenziale, le cui linee solide si affacciano sul futuro piazzale Europa. L’assetto della chiesa è il frutto del restauro ultimato nel 1858 ma già nel 1625, avverte Giovanni Gabucci, la chiesa fu rimaneggiata una prima volta. Verso sud si stende il borgo, all’imbocco del quale, semplice e severa la chiesa della Scuola, della quale la guerra ha lasciato intatta solo la facciata.[...] Subì un restauro nel 1625 di cui ci rimane memoria in una piccola lapide murata a fianco dello stipite della porta principale. Nel 1858 fu ridotta allo stato attuale con la spesa di circa 900 scudi in ringraziamento a Gesù crocifisso per essere stato il paese preservato dal colera nel 1855. E fu tutto un lavoro di cittadini, perché ne fece il disegno il perito architetto Pietro Bartoli, il lavoro fu assunto dal capomastro Biagio Tucchi che passò l’invernata a rotare pazientemente i mattoni per il nuovo rivestimento della facciata. Nel 1928 la chiesa fu dedicata ai nostri fratelli caduti nella guerra 1915-’18. [...] Ora [1948] l’immagine del crocefisso è stata frantumata dalla guerra nell’infausta notte del 26 Agosto 1944, le salme dei caduti riposano in collegiata nella tomba dei Mamiani191. 125


Gabucci fu sempre particolarmente legato alla chiesa del borgo, e ancora oggi non sono pochi coloro i quali, allora ragazzi, lo ricordano celebrare “l’ufficio” sotto il crocifisso miracoloso; nel 1928 il sacerdote si spenderà inesausto per la realizzazione della cappella dei Caduti, della quale si dirà più avanti. Nel 1941 descrive l’interno della chiesa, avanzando anche indicazioni riguardo alle opere d’arte che in essa si conservavano: la chiesa d’allora benché della stessa grandezza non è quale ora la vediamo perché era più bassa, al piano della strada e con cinque altari. L’altare maggiore dedicato alla Natività di Maria, col quadro del celebre Cotignola, il medesimo che vediamo ora sull’altare di destra. Da un lato l’altare del Rosario della confraternita omonima col quadro del Pandolfi e l’altare di Santa Maria Maddalena, di jus patronato delle suore di Pesaro. Dall’altro lato l’altare del crocifisso con l’immagine taumaturga di Gesù che ora veneriamo all’altar maggiore e altro col quadro di San Rocco che era a spese della comunità192.

La Natività della Vergine e, nella pagina seguente, la Beata Vergine del Rosario della chiesa della Scuola (fotografie di Cesare Lardoni, 1931). Nella pagina precedente: Chiesa della Scuola e Corso, cartolina, 1910 circa (Archivio storico Diocesano di Pesaro; archivio G. Gabucci)

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La Beata Vergine del Rosario

Nell’attribuire al Pandolfi la Beata Vergine del Rosario Gabucci segue l’ipotesi avanzata da Francesco Filippini, storico dell’arte originario di Ancona, fratello di Romolo, medico condotto di Sant’Angelo; tuttora conservato presso la sacrestia della chiesa di San Michele arcangelo, il dipinto è ricondotto dall’Inventario dei beni culturali dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici a un generico “ambito marchigiano”, e datato al 1590-1610. Piuttosto danneggiata, la tela risulta oggi mancante dell’episodio della Flagellazione, malamente asportato. Sulla Natività della Vergine, dispersa dopo la II guerra mondiale, riportiamo l’attribuzione a Bartolomeo Morganti (notizie 1493-1538) proposta da Bonita Cleri193 (Gabucci cita in proposito anche “la scuola del Bergognone”)194. Le tele sono documentate da due fotografie in bianco e nero, scattate nel 1931 da Cesare Lardoni. La descrizione degli altari lasciataci da Gabucci coincide con quella contenuta nella visita pastorale del cardinale De Simone, più volte

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ricordata, e con quella presentata dal questionario redatto nel 1858 per la visita di monsignor Clemente Fares, nel quale si data al 1625 la consacrazione della chiesa195. Nel 1776 il canonico Giuseppe Ciacchi aveva prescritto numerosi abbellimenti alla chiesa196. Il questionario del 1858 contiene anche precise notizie sulla confraternita della Natività, che contava 45 componenti, tra i quali il priore e quattro consiglieri, in carica per un anno: “i fratelli vestono di sacco bianco col rocchetto rosso, e stemma del Capitolo lateranense, e nelle processioni portano lo stendardo colla croce, i due corporali e per i morti lo stendardo nigro”197. Il restauro della chiesa ultimato nello stesso anno è documentato nel Libro del Venerabile Ospedale di S. Angelo198 le cui registrazioni, che coprono il periodo 1819-1859, mostrano come i lavori siano in realtà arrivati a coronamento di una lunga serie di interventi. Nell’estate del 1821 tra le spese straordinarie sostenute dall’ospedale “in comune colla compagnia della Natività” figurano lo “stilicidio fatto con pietra concia avanti la chiesa della Scola”, la “scalinata di pietra concia all’ingresso della chiesa della Scola, con due colonne, e suoi batti fianchi, ed altri riattamenti”; nella primavera dell’anno successivo “un impetuoso vento” rende necessario “riattare il tetto della chiesa della Scola, accomodare il campanile, ed altro”, tra cui “fare il tavolato al campanile”.

Esito, 1837, dal Libro del Venerabile Ospedale di Sant’Angelo

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La confraternita

I lavori, 1858


Nel 1837 si provvede a “dare la vernice a olio alla porta della chiesa” e nel maggio 1841, sempre “in comune colla Natività” si spendono circa 35 scudi “per aver rifatto una pacca di tetto alla chiesa della Scola per rimettervi due travi rotti, e spronare un muro verso il giardino del sig. Celli ed altro ”. Nel 1837 tra le spese a carico dell’ospedale vi sono anche circa cinque scudi per l’acquisto di stoffe e galloni “per una pianeta nuova per la chiesa della Scuola”. Sin dalla loro fondazione “le casse della confraternita della Santissima Natività e dell’ospedale vanno unite insieme, di modo che mancando alla confraternita prende all’ospedale, e mancando all’ospedale prende dalla confraternita”199. Finalmente il 1 maggio 1854 “don Agostino Bartoli riceve il rescritto lateranense per la ricostruzione della chiesa della Scuola”200, che sarà inaugurata quattro anni dopo, “con molta eleganza e soddisfazione del pubblico”. Simile alzamento venne approvato giusta la perizia del sig. ingegner Pietro Bartoli di Sant’Angelo montante a scudi 574,98 da monsignor Giuseppe proposto Lazzarini, vicario lateranense con rescritto in data 1 maggio 1854, ed altro rescritto per i lavori addizionali non contemplati nel piano di esecuzione dallo stesso monsignor vicario in data 11 aprile 1856. Quale alzamento del fabricato suddetto, ed ornato interno, ed esterno della facciata venne eseguito dal capo mastro muratore Biagio Tucchi di detto luogo sotto la direzione dello stesso Bartoli, che il tutto fu portato a termine nel settembre 1858 con molta eleganza, e soddisfazione del pubblico.

La spesa complessiva fu di 762,96 scudi, e solo nel 1860 vennero liquidate a Pietro Bartoli le sue “competenze”, per la somma di 20 scudi. Nell’agosto dello stesso anno la chiesa fu arricchita con la Via Crucis, per la quale furono spesi “scudi 12,57: tolti 2,50 dati dalle Benefattrici restano di spesa scudi 10,07”201. Nel 1952 “i priori delle riunite confraternite autorizzano i lavori di demolizione”202 della chiesa, distrutta nell’agosto del 1944. Nell’angolo dove sorgeva la chiesa della Scuola si affaccia oggi (da quasi cinquant’anni) un negozio di tessuti.

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La confraternita del Rosario Più scarne sono le notizie sulla confraternita del Rosario, eretta nel 1588 nella chiesa della Scuola e sin da allora titolare dell’altare della beata Vergine del Rosario. Proprietaria di un oratorio “ove si vestono i fratelli” e di una bottega sotto lo stesso oratorio, nel 1858 risulta composta da 43 confratelli, ed è retta da un priore e quattro consiglieri. Quando invitata [ai funerali] ha l’obbligo di andarci. I confratelli vestono di sacco rosso, e rocchetto torchino collo stemma della B.Vergine del SS. Rosario, e nelle processioni portano lo stendardo colla croce, e per i morti lo stendardo nigro colla croce203.

La confraternita del Santissimo Sacramento Agli stessi anni dovrebbe risalire la costituzione della confraternita del Santissimo Sacramento, che nel 1849 risulta beneficiaria di un legato datato 1592204 di don Agostino Ciarla, cappellano di San Michele dal 1566 al 1571205. La Compagnia celebrava la propria festa nel giorno del Corpus Domini, e aveva l’obbligo di mantenere l’altare del Santissimo Sacramento in collegiata; tra le sue proprietà figurava nel 1858 l’oratorio di due vani, uno dei quali adibito a cucina206. Di questa compagnia non si conosce l’erezione, ed è sotto l’invocazione del Santissimo Sacramento. La chiesa ove trovasi eretta è la priorale, ov’è la collegiata. [...] I fratelli vestono di sacco torchino col rocchetto bianco con l’insegne del Calice. Nelle processioni portano lo stendardo nigro colla croce e coll’insegna del calice, per i morti lo stendardo nigro della croce. [...] I confratelli sono 31 e i fratelli raccomandati fanno n. 3 che in tutto formano n. 34207.

Il legato Magni Morto nel 1744, dal 1710 al 1718 rettore e fino al 1743 priore della collegiata, Bernardino Magni208 lasciò alla compagnia del Sacramento un legato di 250 scudi “di moneta ducale da censirsi, e giunti alla somma di scudi 300 con li frutti di essi, il fruttato poi di detti scudi 300 ogni anno in perpetuo debbasi dispensare a tre zitelle”. Le ultime “zitelle” a ricevere la dote sono registrate nel 1861; tra gli “onorari” pagati dall’amministratore negli anni 1848-1859 figura anche l’organista Spadoni, che nel 1848 riceve per il suo servizio un compenso di 0,50 scudi e, dal 1849, il “maestro di cappella”, al quale viene corrisposto “il solito onorario come nella disposizione testamentaria”. Dal 1850 al 1860 il compenso per il maestro di cappella è di 3 scudi209. 130


La confraternita delle Sacre Stimmate di San Francesco Fu eretta da un cappuccino di nome Marcello da Monte Nuovo, il quale predicando a Sant’Angelo spinse il popolo a unirsi in questa confraternita. Ciò avvenne nell’anno 1632, il dì 5 di aprile. Fu approvata da monsignor Giovanni Francesco Passionei vescovo di Pesaro in occasione di sacra visita. Non si trova in che data. [...] Fu eretta nella chiesa parrocchiale ove un altare è dedicato alle stimmate di San Francesco. La sede è nell’oratorio attiguo alla chiesa (ex casa parrocchiale). La confraternita è aggregata all’arciconfraternita delle stimmate di san Francesco di San Lorenzo in Damaso di Roma. È detta anche confraternita del Sacco perché i confratelli vestono di sacco. Non è una pia unione come a prima vista potrebbe sembrare, ma una vera confraternita con proprio distintivo: gli uomini cappa di color grigio e una corda ai fianchi, distintivo di San Francesco.

“Oggi i confratelli sono ridotti a pochissimi”, prosegue nel 1941 l’estensore delle note sulla confraternita di San Francesco, anche se lo statuto prevedeva un numero di 33 associati “in memoria degli anni di Cristo”. Queste le cariche degli “ufficiali della confraternita”: “capo detto governatore, due guardiani, due sindaci, un cancelliere, un camerlengo, due infermieri, due questuari, due torcieri”. La sezione femminile, che avrebbe dovuto contare 60 sorelle, è composta nel 1941 di 50 socie, tra le quali “la governatrice, una avvisatrice, due infermiere”. Le sorelle indossano durante le funzioni “il vestito nero con un velo nero sul capo”210. I monti frumentari, 1776-1838 I monti frumentari, istituzioni benefiche nate alla fine del Quattrocento nelle regioni prevalentemente agricole, soprattutto per iniziativa dei francescani, largamente presenti anche nello Stato pontificio, ebbero grande diffusione nel Seicento. Come i monti di pietà avevano lo scopo di sottrarre i bisognosi, in questo caso i contadini più poveri, al prestito usurario: il contadino prelevava dal cumulo di grano comune le quantità necessarie per la semina, che poi restituiva aumentate di un tanto per l’interesse, al momento del raccolto. Dopo l’Unità d’Italia i capitali dei monti frumentari furono devoluti ad asili e ospedali o trasformati in casse di credito agrario, la cui gestione fu dal 1922 affidata alle amministrazioni comunali, con la vigilanza della Banca d’Italia. Nel 1776 il convisitatore Ciacchi rileva numerose irregolarità nella gestione dei monti frumentari delle tre confraternite santangiolesi: negligenze e perdite che sembrano risalire “a tanti anni addietro”, alle quali 131


occorre rimediare con misure severe. Gli “accrescimenti” sono “in vero molto piccoli”, e per il monte della compagnia del Santissimo Rosario “non si sa capire come mai in questo Monte abbiasi da ritrovare sì grandi perdite da tante sagre visite indietro, e debbasi ogni volta vedere una lunga nota di quelli che non sono più in istato di riportare il grano”. Il canonico Ciacchi ordina dunque, secondo il volere di sua eminenza il vescovo De Simone, che “tutti debbano riportare [il grano] e, caso che dentro il mese di settembre non l’abbiano riportato, sia incombenza dei priori e depositari portare la nota dei morosi in Cancellaria acciò possa procedersi contro di quelli per viam iuris [...] Si ordina ancora che il grano non sia dato se non a quelli del territorio”211. La situazione sembra ripresentarsi nel 1829 e ancora nel 1858, quando, in occasione delle visite dei vescovi Gentili e Fares, il convisitatore canonico Guidi biasima la trascuratezza dell’amministratore del monte frumentario della compagnia del Sacramento, il quale per “poca o niuna attività” ha causato al monte “molti danni perché non si sono ritirati i grani a tempo debito, e perché non si è dato luogo in diversi anni, o alle legali riferme o alle annuali dispense al ritiro delle analoghe obbligazioni”. Anche nell’Ottocento perdurava evidentemente la prassi di prestare il grano ai contadini di altre parrocchie: il Nuovo Libro del Monte Frumentario della Venerabile Compagnia del SS. Sacramento, che copre il periodo 1829-1861 registra infatti debitori provenienti da parrocchie limitrofe come Ginestreto, Monteciccardo, Monte Santa Maria, Mombaroccio, Candelara, Farneto, Montelabbate, e anche da paesi prossimi al confine con la Romagna, come Tomba (oggi Tavullia) e la sua frazione Montelevecchie (Belvedere Fogliense), Morciano212. L’ospedale Una planimetria del Borgo di Sant’Angelo, databile alla prima metà dell’Ottocento, ci mostra l’esatta ubicazione dell’ “ospedale dei Pellegrini”, situato all’inizio di via Borgo (attuale via Roma), di fronte alla chiesa di Sant’Egidio213. Nel disegno è indicata anche la “croce del Borgo”, posta al trivio formato da via Borgo, la strada da Ginestreto e la via per Monteciccardo. La posizione dell’ospedale è confermata dalla mappa del Catasto gregoriano, realizzata nello stesso torno di anni, dove è segnato al numero 669 del riquadro n. VII, al civico 1 di via Borgo. Documentata negli Stati delle anime almeno dal 1711214, ancora nel 1921 la “croce al Borgo” è citata nei diari di Giovanni Gabucci215. 132


Planimetria del Borgo, con lo “spiazzo di Sant’Egidio formante parte del Borgo di Sant’Angelo”, prima metà del sec. XIX; è ben visibile la “croce del Borgo” (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

Numerosi gli inventari dei beni dell’ospedale e della compagnia della Natività dei quali disponiamo: il più antico è datato 10 maggio 1643 e, accanto ad alcuni terreni e tre case in comproprietà con la compagnia del Santissimo Sacramento (due in fondo Spedaletto e una in fondo Campodonico), elenca alla voce “beni mobili” quattro lettiere: letti di piuma cinque grandi et un piccolo; capezzali di piuma tre; capezzali sei; lenzuoli venti; sacconi due; coperte dalla Pergola cinque; una cassa d’abeto; un quadro da letto con due cortine; pagliaricci quattro; una coperta bianca; un altro quadro da letto e due cortine; una catena da fuoco; un altro saccone216.

Più o meno gli stessi arredi elencati nel 1858: Lenzuola n. 3; coperte di straccio n. 8; sciuttamani nuovi n. 2; letti in buono stato n. 3; un caldaro piccolo usato; una cassa per tenere la biancaria con serratura e 2 chiavi; altra cassetta; tavolini n. 2 uno attaccato al muro; tavogliere collo schiadore; un loco commodo portatile; 2 pignatte con due coperchi e 2 tigami; lumi da mano 2217.

Posto “sotto l’invocazione di Sant’Antonio” l’ospedale ha tra i suoi obblighi la solennizzazione della festa della Beata Vergine di Loreto, il 10 dicembre di ogni anno, e quello di “somministrare ai pellegrini in caso di malatia le medicine, cibarie, legna e tutto l’occorrente”, 133


purché gli stessi pellegrini siano provvisti delle loro patenti. È affidato a “un uomo ed una donna di buona fama, qualità ed attiva... per aver cura dei suppellettili, dare alloggio ai peligrini, consegnarli la biancaria, e coperte in caso di bisogno”. L’ ”ospedagliere” alloggia gratuitamente nell’abitazione posta al pianterreno dell’edificio, “composto di quattro vani”; vi sono poi “altri tre vani colla bottega” dei quali però “ne paga il nolo”. All’ospedaliere spetta poi mantenere i letti colli lenzuoli e coperte secondo il bisogno. Far condurre all’ospedale di Pesaro li putti esposti, portandoli però prima a battizzare alla parrocchiale; dispensare in tempo d’inverno una fascina ovvero un bajocco ai poveri, purché siano pelegrini218.

Con il passare del tempo i pellegrini diminuiscono, ma l’ospedale continua almeno fino alla vigilia dell’Unità d’Italia ad assolvere la sua funzione soccorrendo i poveri del paese: se nel bilancio 1819 il libro dei conti riporta la spesa di 45 bajocchi “per le cibarie, ed altro per un’inferma forestiera” già nelle registrazioni di pochi anni dopo compaiono sempre più frequentemente indicazioni riguardanti “miserabili” del posto, ai quali si elargisce un sussidio in denaro, cibo e medicine. In alcuni casi l’ospedale provvede alla sepoltura dei poveri, e fino a tutto il 1851 si registrano uscite “per il trasporto di orfani all’ospedale di Pesaro”. Una consistente parte delle risorse se ne va tra il 1819 e il 1859 per riparazioni alle case e alle botteghe; vi sono poi le spese per “accomodare i lenzuoli vecchi (ripezzati), refe e fattura; imbiancare i lenzuoli; accomodare il caldaro; coperte e pagliericci, foglie per riempire” gli stessi pagliericci, che si aggiungono alle spese per solennizzare la festa della Confraternita, e alcuni sussidi a studenti meritevoli, come quello assegnato nel 1858 a Francesco Gabucci219. Zio di don Giovanni, Francesco Gabucci (1840-1901) diverrà nel 1892 primicerio, ossia parroco, della cattedrale di Pesaro, in questa veste cantato anche dal poeta pesarese Odoardo Giansanti (Pasqualon)220. Tra le curiosità si segnala nel luglio 1851 l’assistenza prestata “all’infermo Annacleto Arrischi sussidiario di Carabinieri ferito da sé coll’archibugio compreso il bocato di lenzuoli”. L’ultima annotazione del libro è datata 1861, e riguarda la somma pagata a “Giuseppe Giunta per fattura di quattro piedi eseguiti alla cassa mortuaria”.

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Sullo sfondo: il Borgo in una cartolina del 1922 (ed. Garattoni; Archivio storico Diocesano, archivio G. Gabucci). In primo piano: Romolo Liverani, il Borgo di Sant’Angelo, 1851 (da L’Isauro e la Foglia, Fano 1986)

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Romolo Liverani: Casa Mamiani e arcipretale di Sant’Angelo, Entrata del Castello in Sant’Agnolo, e “discesa nel torricino” di palazzo Mamiani, 1851 (da L’Isauro e la Foglia, Fano 1986)

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Gli anni di Terenzio Mamiani. Prima dell’Italia unita

Il battesimo di Giuseppe Mamiani, 1794

Addì 24 ottobre 1794. Giuseppe Gio:batta Maria Filippo figlio di S.E. sig. conte Gian Francesco Mamiani della Rovere conte di Sant’Angelo e di S.E. la sig.ra contessa Vittoria Montani sua consorte, nato questa mattina verso le ore 12 nel proprio baronale palazzo, dall’ecc.mo e R.mo sig. cardinale Giambattista De Pretis degnissimo vescovo di Iesi, quale trovasi qui in Sant’Angelo nel suo proprio palazzo in occasione di villeggiatura fu solennemente battezzato; patrini furono il detto eminentissimo porporato e S.E. la sig.ra contessa Marianna Malaspina vedova Mamiani. Il già detto eminentissimo cardinale, fu accompagnato ed assistito dal rev.mo capitolo, da sacerdoti e chierici di S.Angelo e specialmente assistito da me infrascritto priore, tra il suono giulivo delle campane, tra lo sparo e rimbombo di grossi mortari, facendo ala, e per istrada ed in chiesa, al detto eminentissimo ed a molta distinta nobiltà un picchetto di soldati di guardia del sig. conte col seguito di numeroso popolo. Per una tale sagra funzione, fu con tutta sollecitudine apparata la chiesa con damaschi, ornato il sagro fonte, ed anche gli altari, accesi sei falcolotti all’altare maggiore e altri sei all’altare della SS.Nunziata, dove si conserva l’augustissimo Sagramento, e quattro al picciol altare eretto avanti il sagro fonte, di sorte che la sagra funzione riuscì magnifica sempre però ad onore di Dio, della beatissima Vergine, e del glorioso nostro protettore san Michele Arcangelo, con edificazione ed universale gradimento di tutto il popolo. Terminata detta sagra funzione del battesimo l’ecc.mo porporato si pose ginocchione sul genuflessorio a tale effetto preparato con tapeto di seta rosso con cuscini simili, ascoltò la santa messa, quale terminata l’ecc.mo cardinale accompagnato dal rev. mo capitolo, sacerdoti e chierici, facendo ala come sopra il retrodetto picchetto di soldati tra il suono festivo de’ sagri bronzi, e spari di mortari ritornò al suo proprio palazzo, ed il rev.mo capitolo ritornò in chiesa accompagnato da già detti soldati, e così terminò la sagra funzione, funzione veramente straordinaria, e perciò degna di esser registrata nel presente libro ad perpetuam rei memoriam221.

Tappeti rossi, mortaretti, picchetti d’onore e, soprattutto, la presenza di un cardinale, Giovan Battista De Pretis, che aggiunge prestigio al feudo dei Mamiani, da poco divenuto anche residenza di villeggiatura dei Perticari. Il puntuale resoconto del battesimo di Giuseppe, primogenito del conte Gianfrancesco, offre al priore Domenico Bertuccioli la possibilità di fermare su carta una giornata indubbiamente memorabile per Sant’Angelo in Lizzola e i suoi abitanti. Con altrettanta precisione Romolo Liverani testimonierà nel 1851 strade, 137


case, botteghe e palazzi di un paese annoverato, almeno fino agli anni della II guerra mondiale, tra i più vitali della provincia pesarese, componendo con i suoi acquerelli un prezioso reportage tra borgo e castello. Un’atmosfera a cui Terenzio Mamiani, statista e uomo di lettere, tornerà con nostalgia negli anni del suo esilio parigino. Giuseppe, Virginia e Filippo Mamiani Giuseppe Mamiani (1794-1847), fratello maggiore di Terenzio, è ricordato oggi soprattutto per i suoi interessi scientifici: esperto di geologia e mineralogia lasciò anche molti saggi su temi di agricoltura, pubblicati tra l’altro sulle “Esercitazioni” dell’Accademia Agraria di Pesaro, di cui fu socio sin dalla fondazione, nel 1828. Nel 1845 alcuni suoi saggi furono raccolti in un volume edito a Firenze, con l’introduzione del fratello222. Dopo gli studi condotti presso il seminario di Pesaro, Giuseppe intraprese la carriera nella polizia pontificia, arrivando a occupare ruoli di responsabilità a Fabriano e a Senigallia; nel 1825 come tutti i sottodirettori della polizia dello Stato della chiesa fu collocato a riposo. Rientrato a Pesaro nel 1831, morì nel 1847. Sempre molto legato a Terenzio, amministrò “con parsimonia e diligenza”223 i beni di famiglia anche per conto del fratello, esiliato a Parigi dal 1821. Più snello è, sempre nei registri della parrocchiale, il resoconto del battesimo di Maria Virginia Elisabetta Mamiani, nata a Sant’Angelo il 2 luglio 1810 “alle 21 italiane incirca”, e battezzata in collegiata il giorno seguente dal canonico Gili224. Ultimogenita di Gianfrancesco e Vittoria Montani, unica femmina della nidiata (Margarita era morta poco dopo la nascita, nel 1807), Virginia fu sempre molto cara a Terenzio. Andata in sposa nel 1829 al marchese Giovanni Ghini di Cesena, Virginia rimase vedova nel 1846, e sposò in seconde nozze il conte Borsatti; fino alla morte, nel 1883, visse a Cesena225. Filippo Mamiani (1805-1855), quartogenito della famiglia, estroverso e poco incline al rigore degli studi, fu avviato alla carriera militare. Svolse servizio nel corpo dei carabinieri a Ferrara, dove ottenne il grado di sergente maggiore nel corpo scelto dei Cacciatori, sia per “la sua estraneità ai moti insurrezionali del 1831” (che costarono invece l’esilio al fratello Terenzio) sia, soprattutto, per l’intervento del cardinale Galleffi, cugino della madre. Trasferito da Ferrara a Perugia e poi, dopo la promozione a sottotenente, a Bologna, Filippo sposò in segreto nel 1833 Maddalena Barittoni di Faenza, con la quale visse sempre “in costanti difficoltà economiche, dopo aver abbandonato la carriera delle armi”226. 138

Giuseppe Mamiani

Maria Virginia Elisabetta Mamiani

Filippo Mamiani


Terenzio Mamiani (1799-1885) Parigi li 23 dicembre del 1841, Rue de Clichy, 66. Rispondete presto, che io vi ripeto per la millesima e una volta niuna cosa farmi tanto piacere quanto il conversar con voi per lettera e il ricevere nuove di codesti paesi, i quali probabilissimamente non rivedrò mai più ma che mi son cari oltre quello si possa credere. Vi farò ridere forse a dirvi che uno dei desideri che ò riposti nell’animo è di rivedere, indovinate? Sant’Angelo e gli alti pioppi che frondeggiano sulla discesa che va alla fonte. Cosi è fatto l’uomo. Addio. Vostro affezionatissimo Terenzio227.

L’infanzia e l’adolescenza a Pesaro

Gli studi a Roma

Firenze, Torino

1831, i moti a Pesaro e in Romagna

Nato a Pesaro il 18 Settembre 1799, Terenzio Mamiani non ebbe in età adulta troppe occasioni di tornare al castello di famiglia. In una vita di peregrinazioni tra Firenze, Parigi, Roma, Genova, Torino rare furono per lui anche le occasioni di soggiornare nella città natale, che vide per l’ultima volta nel 1879228. Dopo l’infanzia e l’adolescenza trascorse a Pesaro, dove fino al 1814 studia privatamente e dove si forma a contatto con il gruppo di intellettuali guidato da Antaldo Antaldi, Francesco Cassi e Giulio Perticari, dal 1816 Terenzio è a Roma, presso il Seminario Romano, dal quale viene espulso nel settembre 1819 per “immoralità”, nonostante si tratti, aggiunge la nota associata al suo nome, di “uomo di grande ingegno”. In realtà al giovane Mamiani è rimproverato un eccesso di ostilità nei confronti dell’apparato ecclesiastico (“facevami sdegno e ribrezzo la ipocrisia ed ignobiltà del cattolicesimo quale lo vedea praticato e in parte insegnato a tutto il clero romano”, ricorderà nel 1839). Dopo la parentesi pesarese nel 1826 Terenzio si trasferisce a Firenze: qui entrerà in contatto con letterati quali Gino Capponi e Giovan Pietro Viesseux. Nel 1827 è nominato professore di eloquenza nella Accademia militare di Torino, dove insegna fino al 1828. La sera del 7 agosto 1830 Terenzio Mamiani annota nel Giornale della mia vita: “il momento è venuto: fra breve il dramma sarà sciolto e sapremo se il secolo decimonono sarà schiavo o libero”. La parigina ‘rivoluzione di luglio’ aveva riacceso le speranze dei patrioti europei e italiani da tempo in fermento: nel febbraio dell’anno successivo Modena e Bologna insorgeranno, seguite da Pesaro. Mamiani ebbe una posizione importante tra i congiurati delle Romagne, tanto che il Governo provvisorio delle Provincie Unite d’Italia, creato il 5 Febbraio 1831, lo designerà quale rappresentante della Provincia di Urbino e Pesaro (come allora veniva indicata) all’Assemblea dei deputati radunata a Bologna. 139


Il 26 Marzo 1831 l’intervento austriaco mette fine alla breve esperienza del governo delle Provincie unite con la resa di Ancona. Due giorni dopo Mamiani si imbarca sul brigantino “Isotta” diretto a Marsiglia, insieme con gli altri membri del governo e alcuni patrioti; l’indomani la nave viene catturata al largo di Loreto, i prigionieri sono trasferiti a Venezia e, dopo tre mesi, a Civitavecchia, dove attendono le decisioni del pontefice. Nel mese di luglio i trentotto detenuti sono estradati per Marsiglia: “Quivi”, scriverà Mamiani nel 1881,

1831, l’esilio in Francia

al console pontificio fu comandato di informarci che da Gregorio XVI eravam tutti dannati all’esilio e allo sfratto perpetuo. A me in cambio appena toccato il territorio francese pareva che gli esuli veri ed i sbandeggiati fossero i miei poveri concittadini a cui interdicevasi allora ogni libertà e ogni diritto e quello puranco di rammaricarsi e piangere... Quindi affrettai di recarmi a Parigi, ove giunsi circa la metà di Settembre di quel medesimo anno229.

Schedato nel 1835 come “persona politicamente perversa”, Terenzio Mamiani resterà sempre in contatto con la famiglia, mantenendo anche costanti rapporti con alcuni tra i più noti personaggi politici, da Giuseppe Mazzini, anch’egli esule a Marsiglia (nel 1832 il pesarese rifiuterà però di aderire alla Giovine Italia, ritenendo temerario e utopico il programma unitario e repubblicano del sodalizio), a Vincenzo Gioberti all’abate Antonio Rosmini. Sono gli anni nei quali Mamiani mette a fuoco la propria visione politica, elaborando il primo vero programma moderato del Risorgimento italiano, che esporrà in un opuscolo divulgato nel 1839, intitolato Nostro parere intorno alle cose italiane. A Parigi Mamiani approfondì gli studi filosofici e letterari, dedicandosi alla stesura di componimenti poetici e saggi, pubblicando tra l’altro le Poesie nel 1843. Dopo aver respinto nel 1846 l’amnistia concessa da Pio IX, non ritenendosi colpevole di alcun reato, nel gennaio 1847 Terenzio toccava di nuovo la terra italiana, grazie a un permesso di soggiorno a Genova concessogli dal re di Sardegna Carlo Alberto. Rientrato a Roma il 23 Settembre 1847 con una ‘licenza temporanea’, il 24 ottobre raggiunse Pesaro, dove il 31 dello stesso mese tenne un discorso pubblico nel salone Metaurense del palazzo ducale e dove, ancor prima del suo arrivo, fu nominato consigliere comunale. Il 1847 è anche l’anno della morte di Giuseppe Mamiani, del quale Terenzio sarà erede universale. Il 29 Aprile 1848 Pio IX annuncia la partecipazione dello Stato pontificio alla I guerra d’Indipendenza a fianco delle truppe sabaude; poco 140

1847, a Pesaro

1848


prima aveva concesso lo statuto, che prevedeva un parlamento composto da due camere, una delle quali elettiva. In un clima di grande agitazione il 4 Maggio 1848 il pontefice vara un nuovo governo, per la prima volta composto tutto di laici, affidando a Terenzio Mamiani il ministero dell’Interno. Le pesanti perdite subite a Vicenza e la disfatta di Custoza inducono il papa a ritirare il proprio esercito dal fronte; la situazione a Roma diventa incandescente, e il malcontento sfocia in una crisi culminata il 15 novembre con il ferimento a morte del ministro Pellegrino Rossi, avvenuto sul portone del palazzo della Cancelleria, sede del governo. Non vale a placare gli animi nemmeno la formazione di un nuovo governo, nel quale Mamiani è ministro degli Esteri: Pio IX è costretto ad abbandonare la città nella notte tra il 24 e il 25 novembre, rifugiandosi nella fortezza di Gaeta, ospite del re di Napoli Ferdinando II. A Roma si costituisce una giunta di stato, che indice le prime elezioni a suffragio universale maschile per il 21 e 22 gennaio 1849. Dopo la denuncia della indebita soppressione del parlamento, Mamiani si dimette dall’incarico di governo, rifiutando di entrare nel nuovo esecutivo varato il 23 dicembre.

Terenzio Mamiani, da G. Saredo, I contemporanei italiani - Galleria nazionale del secolo XIX, Napoli 1861

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Il 5 Febbraio 1849 si apre l’esperienza della Repubblica romana: nella “assemblea nazionale dei popoli romani” siedono anche Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi; insieme con Aurelio Saffi e Carlo Armellini il primo sarà anche uno dei componenti il “triumvirato”a capo della Repubblica. Il 4 Luglio la Repubblica romana soccombe, non prima però di aver approvato la costituzione sotto le cannonate dell’esercito francese, schierato contro la Repubblica insieme con le truppe austriache, spagnole e del regno delle Due Sicilie. Tra i morti di quell’estate anche Goffredo Mameli, autore del Canto degli Italiani. Terenzio Mamiani è estradato dal territorio pontificio il 25 luglio: costretto a riparare a Genova, si apre per lui il periodo che avrebbe in seguito definito “il mio secondo esilio”. Stabilitosi a Genova, vi resterà fino al 1856, anno del matrimonio con Angiola Vaccaro e dell’elezione nel parlamento del Regno di Sardegna. Naturalizzato cittadino dello stato sabaudo nel 1855, nel 1856 si trasferirà a Torino. Nel 1853 Mamiani stipula un accordo con “l’amicissimo” dottor Giacomo Salvatori di Pesaro, al quale cede tutti i suoi averi in cambio dell’impegno di soddisfare i carichi gravanti il patrimonio; il Salvatori si obbligava anche a corrispondere a Mamiani vita natural durante un “annuo assegnamento di scudi romani 1.320”, oltre ad altre somme che probabilmente assicuravano all’esule una disponibilità di denaro liquido superiore al reale ammontare dei propri capitali, che, tolti gli oneri, non sarebbe stato superiore a 900 scudi l’anno. Il 20 Gennaio 1860 Terenzio Mamiani è nominato ministro della Pubblica Istruzione del regno di Sardegna: resterà in carica fino al 22 Marzo 1861, diventando così il primo ministro della Pubblica Istruzione del regno d’Italia. In poco più d’un anno presenterà sette progetti di legge, sei dei quali giunti in parlamento. Tra le linee essenziali della sua riforma trovano spazio anche proposte volte a migliorare le condizioni dei maestri. Sessantaduenne, nel giugno 1861 sarà inviato da Vittorio Emanuele II alla corte del sovrano di Grecia Ottone I di Baviera, con l’incarico di ministro plenipotenziario. Rientrerà in Italia nel 1864; dopo la nomina a senatore a vita partirà nel 1866 per Berna, ancora come ministro plenipotenziario. Numerosi i riconoscimenti tributati a Mamiani nell’ultimo scorcio di vita, dall’incarico di vicepresidente del Senato ricevuto nel 1870 alla cittadinanza onoraria di Roma (1872) fino alla nomina, nel 1875, a vicepresidente dell’Accademia dei Lincei (nel 1884 ne diverrà presidente onorario a vita). Titolare dal 1871 della cattedra di Filosofia 142

La Repubblica romana

A Genova

1860, ministro della Pubblica Istruzione del regno d’Italia

Gli ultimi anni


Angiola Vaccaro, la moglie

della storia all’università “La Sapienza” di Roma, disciplina che già aveva insegnato a Torino dal 1857, negli ultimi anni Mamiani si dedicò prevalentemente agli studi filosofici. Anche dopo la visita del 1879, l’ultima, durante la quale gli verrà consegnato un attestato firmato da 751 cittadini, Mamiani non dimenticherà la città natale, adoperandosi tra l’altro per l’istituzione del liceo musicale “G. Rossini” (l’odierno Conservatorio) e del liceo classico che porta il suo nome. Sempre più logoro e vecchio, ma ancora attivo, Terenzio Mamiani si spegne il 21 maggio 1885, nel piccolo appartamento romano di via Varese, assistito dalla moglie Angiola Vaccaro. Fu proprio Angiola a decidere che le spoglie dell’amatissimo marito riposassero a Pesaro, secondo il volere manifestato da Terenzio sin dai tempi dell’esilio. Anche Angiola volle trascorrere i suoi ultimi anni a Pesaro, dove morì il 10 Maggio 1909. Roma, 19 Novembre 1883. Terenzio Mamiani a Gaspare Finali. Io sopravvivo a me stesso e ogni giorno, collega mio caro, un bricciolo delle forze rimaste si consuma o dilegua. La memoria poi è spenta addirittura e quel che leggo, solo una confusa generalità mi s’imprime nella memoria. Cotesta declinazione è cominciata da poco, ma sembra voglia crescere rapidamente230. Roma, 22 Maggio 1885. Gaspare Finali. La gioventù italiana, anche per le dimostrazioni di onore che il senato a ciò convocato e il governo rendono a Terenzio Mamiani, imparerà ad apprezzare la grandezza dell’esempio ch’egli ha dato e nelle lettere, e nella filosofia e nella politica: e sebbene oggi allo sparire di questi grandi astri non se ne veggano apparire altri nel cielo italiano, poiché i grandi uomini del secolo videro realizzarsi speranze magnanime, giovi a noi sperare che l’Italia libera ed una, saprà dare al mondo grandezze non minori di quello che poté dare l’Italia serva e divisa231.

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Sant’Angelo in Lizzola, 1776-1855. Tra borgo e castello

In villa. Palazzo De Pretis Il cardinale Giovan Battista De Pretis-Bussi, che tanto solennemente aveva battezzato nel 1799 il primogenito di Gianfrancesco Mamiani, apparteneva a una nobile famiglia di Urbino, dove era nato da Francesco Maria e Lucrezia di Porto Ravennate nel 1720; investito nel 1744 della prelatura istituita da monsignor Giuseppe Bussi, ne aggiunse il cognome al proprio. Esercitò diverse cariche nella curia romana, divenendo infine presidente dell’Armi, governatore pontificio di Narni, Benevento, Spoleto, Ascoli, Ancona e Civitavecchia. Nel febbraio 1794 Pio VI lo creò cardinale, nominandolo vescovo di Jesi, dove morì nel 1800. A Sant’Angelo aveva la sua casa di campagna a metà Borgo, ove si conserva ancora un suo ritratto a olio. [...] La famiglia De Pretis di Urbino aveva il Jus Patronato dell’altare del Crocifisso nella chiesa della Scuola. Il 10 giugno 1857 il nobile Ubaldo De Pretis, in occasione della ricostruzione della chiesa (dopo il colera del 1855) cedette in perpetuo a detta chiesa l’imagine miracolosa del SS. Crocefisso nonché quella del Cristo morto (che custodisce nel suo palazzo) e gli arredi sacri della sacrestia232.

Come Romolo Liverani documenta, e come ancora alcuni santangiolesi possono testimoniare, il giardino e il palazzo De Pretis - poi Marcolini - occupavano quasi l’intero isolato tra le attuali piazza Perticari e via Roma, più o meno di fronte alla scuola “G. Branca”. Alcune proprietà di “Maddalena Fraccalossi ne’ De Pretis” compaiono sul libro d’estimo e negli Stati d’anime della prima metà del Settecento233, mentre Ubaldo De Pretis figura tra i consiglieri comunali in carica nel 1834, insieme con Gordiano Perticari234. Nel febbraio 1853 il comune di Sant’Angelo acquista dai De Pretis “un appezzamento di terreno con pozzo d’acqua perenne di proprietà della famiglia per formarne un piazzale”: atto approvato dal delegato apostolico, il quale loda “lo spirito patrio che consigliò una tale risoluzione, diretta al decoro, ed alla comodità di cotesti abitanti”235. Pochi mesi dopo il consiglio delibera di “ridurre a perfetto piano il terreno che il municipio acquistò dal sig. De Pretis per costruirvi un muro di prospettiva con quattro cunette per lo scolo delle acque”236, 144


Romolo Liverani, Veduta del Teatro Perticari, aperto l’Autunno del 1851 (da L’Isauro e la Foglia, Fano 1986). In primo piano: Carlo Antonini, ritratto del cardinale Giovan Battista de Pretis-Bussi (www.bildarchivaustria. at/Bildarchiv//618/B7529176T7529181.jpg)

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affidando i lavori a Biagio Tucchi237. Il piazzale tornerà al centro delle cronache del paese nel 1912, quando lo zampillo della fontana inaugurerà il nuovo acquedotto. Presumibilmente intorno alla metà del XIX secolo il palazzo viene acquisito dai Marcolini: il registro dei fabbricati già citato, il cui primo impianto è datato 1876, segnala tra i beni di Angelo Marcolini nel Borgo anche una casa di 4 piani, suddivisa in 28 vani238. In villa. Le famiglie Muccioli e Fantaguzzi Tra le famiglie più in vista sul principio del XIX secolo vi è poi quella dei conti Fantaguzzi di Cesena, già nominato nella relazione per la visita pastorale del cardinale De Simone, proprietario di una “possessione con casino e casa colonica in località Il Trebbio”, che ha ereditato dalla famiglia Muccioli239. Negli anni Venti del Novecento Riccardo Muccioli, residente a Buenos Aires, rivendicò il titolo di conte: anch’egli si rivolse, in cerca di notizie genealogiche, a Giovanni Gabucci, il quale fornì molti particolari sulle vicende della famiglia, dedicando successivamente uno studio a Pierfrancesco Muccioli, vescovo di Messene. Tra le più antiche e importanti famiglie di Sant’Angelo in Lizzola vi era quella dei Muccioli, infatti Domenico di Mucciolo era capo massaro della comunità al 1 gennaio 1584; vi furono diversi sacerdoti, fra cui don Camillo rettore del Farneto (1571-1606). I Muccioli non solo avevano la loro casa di abitazione nel centro del castello sulla via Vedetta (ora E.L. Morselli n. 7); ma tenevano anche una comoda villa alla località Trebbio, che però al tempo del nostro vescovo era in possesso dei conti Fantaguzzi di Cesena. La casa passò dai Fantaguzzi ai Sallua e quindi ai Garattoni240.

Entrato “ancor giovanetto nell’ordine dei Minori conventuali”, presso il convento di San Francesco di Fossombrone, Pietro Muccioli “vestì l’abito religioso nel 1801 [o nel 1802]. Siccome i Conventuali non usano cangiare il nome entrando in religione, forse allora il Muccioli vi aggiunse quello di Francesco, sia perché era comune nella sua casa, come per ricordare il fondatore del suo ordine”. In qualità di priore del convento di Fossombrone “pose tutta la sua energia perché la chiesa di San Francesco, la cui costruzione era stata iniziata nel 1796, fosse compiuta, ed ebbe la consolazione di vederla ultimata nel 1826, quando fu consacrata dal vescovo mons. Luigi Ugolini”. Nello stesso anno Muccioli fu nominato vicario apostolico in Sardegna, e nel 1834 Muccioli vescovo di Messene e amministratore in partibus della diocesi di Anagni. 146


La consacrazione del novello vescovo fu fatta con tutta la solennità in Roma il 2 gennaio 1835 nella chiesa dei SS. Apostoli dal card. Francesco Galeffi, protettore dei Conventuali. [...] Possiamo credere che fra il consacrante e il consacrato vi fossero anche legami di amicizia e famigliarità, perché la madre del card. Galeffi (nata a Cesena il 27 ottobre del 1770) era della famiglia Fantaguzzi, che possedeva in quei tempi la villa dei Muccioli a Sant’Angelo in Lizzola, passata a loro non so se per acquisto o per eredità.

Ritiratosi a Roma nel 1838, vi rimase fino al 1846, quando tornò a Pesaro dove, certo per trovare un sollievo ai suoi mali... andò presso il suo fratello germano Giuseppe, e si trattenne per qualche tempo al di lui casino, dove l’aria era molto salubre. [...] Non ho potuto identificare ove fosse la casa di campagna ove il vescovo soggiornò dal maggio al settembre 1846: potrebbe essere anche la casa paterna di Sant’Angelo, ma di quell’epoca non v’è qui alcun documento in proposito.

Muccioli morì nel 1850 a Fossombrone, e fu sepolto nella chiesa di San Francesco. “Al suo fido cameriere, che morì vecchissimo a Fossombrone verso il 1895, volle che i frati corrispondessero una pensione annua di 45 scudi”241. “In Pesaro esiste ancora un palazzo Muccioli costruito (1610-1650) da Antonio Muccioli come da stemmi scolpiti nel portone d’ingresso (lettera del 15 luglio 1916). Il palazzo è quello degli Oliva in piazza Olivieri (o piazzale di San Giacomo). [...] Sui dadi o capitelli si legge ANTONIVS MUCCIOLVS”242.

Da sinistra: timbro della Comunità di Sant’Angelo, 1762 (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola); sigillo della parrocchia di San Michele arcangelo, 1814 (Stati delle anime - San Michele arcangelo di Sant’Angelo in Lizzola, Archivio storico Diocesano, Pesaro)

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Gli uomini, i giorni Sul finire del Settecento Sant’Angelo in Lizzola è un luogo assai vivace, popolato di artigiani e negozi, dove come in passato non mancano oltre al maestro anche il medico, la levatrice, gli speziali. “In tutti i lunedì di settembre si tengono grosse fiere dove vi intervengono ancor de forastieri”243, la cui partecipazione è tale da indurre il consiglio a deliberare su un fondo di 24 scudi annui per attivare “un corpo di guardia onde mantenere il buon ordine”244. Gli artieri sono i seguenti, cioè, incominciando dalla croce Simone Cecchini archibugiere; Giuseppe Guerra calzolaio; Domenico Gili fabbro; Giovanni Galanti postiglione e ospidagliere; Giuseppe Guiducci mastellaro e Ridolfo Giangolini calzolaio; Giuseppe Ragonesi fabbro; Giambattista Masini e Gio. Grandi, marito di Rosalba figlia di Giambattista Masini, speziali; Pietro e Simone Damiani fratelli carnali tintori; Lorenzo Cermatori fabbro; Antonio Vampa calzolaio; Pasquale Bassi alias Banchetta spacciatore di pane, negoziante di tele e venditore di sale, polve e di salumi e da vigilia245 e da carne; Giacomo Bartoli, sartore; Ubaldo Bartoli, parimenti sartore e barbiere; Bartolomeo Pascucci e Giuseppe, Pietro e Bernardino, figli, negozianti di tele, aromati, vetri, piombo, tavole e spacciatore pubblico d’oglio in due botteghe, lavorante di mastelle in un’altra bottega contigua la chiesa della Scuola; Antonio Mori e Vittoria Lantini, sua moglie, negozianti di tele ed aromati e zuccari; Antonio Gili linaiolo e canapino; Giuseppe Del Vedovo barbiere; Pietro Guerra oste publico; Giacomo Luccarelli, piccolo negoziante di tele, pittore e indoratore; Domenico Mosca sartore; Giulio Nardini linaiolo e canapino; Sante Donati alias Spolino macellaio publico; Giuseppe Doani calzolaio avanti la chiesa collegiata; Maddalena Rocchi locandiera; Francesca Balducci parimenti locandiera; mastro Matteo Marzocchi pettinaro; Francesco Mazza alias il Bianco linaiolo e canapino; Egidio Piselli vasaio e capellaro; Gio. Bardoagni falegname; Settimio Mattei muratore; Giambattista Animali muratore; il signor Antonio Galli capitano di milizia, argentiere e orefice, quale presentemente sta in Urbino ed alle volte ritorna a casa da sua madre e da sua moglie in Sant’Angiolo; al Trebbio mastro Gio. Magnani tintore; alla Serra Francesco Mancini e Antonio Bezziccheri falegnami. In Sant’Angelo non v’è il monte della Pietà. V’è la scuola publica, il maestro è il signore Benedetto Mancini, ed è obligato insegnare tutta la gramatica e non altro. L’istituzione della scuola in Sant’Angelo è antichissima. [...] Il maestro in Sant’Angelo vien eletto e pagato dalla Comunità. V’è il giudice, o sia podestà e notaro. Viene eletto dal signor conte padrone del feudo ed è pagato dalla Comunità. Come anche il barigello si elegge dal conte e si paga dalla Comunità. V’è una sola levatrice o sia mammana per nome Antonia Felici, ed in caso di necessità è capace di amministrare il sagramento del battesimo. 148

Arti e mestieri


La collegiata e parrocchiale di Sant’Angelo contiene anime 882 e famiglie 210, comprese quelle dell’Arena di là dal fiume. Molte famiglie sono povere, ma si manifesteranno a voce. Gli ecclesiastici sono sedici246. I salariati della Comunità

Il bilancio comunale, 1790-1825

Lavori in corso, 1818-1821

Nel 1790 il medico riceve uno stipendio annuo di 60 scudi, contro i 33 scudi e 33 bajocchi del maestro di scuola; il barigello ha un salario di 24 scudi, il padre predicatore di 12 mentre 8 scudi vanno al capo priore. Il postiglione e il “segretario comunitativo” ricevono 4 scudi annui, e il regolatore del pubblico orologio 3 scudi. L’impegno del Podestà è ricompensato infine con 84 scudi e 5 bajocchi l’anno. Tra le uscite di quell’anno, che ammontano a 368 scudi e 53 baiocchi si segnalano poi 33 bajocchi per pulire le mura e 81 scudi di “spese extraordinarie”. Alla voce entrate, il cui importo complessivo è di 779 scudi e 30 baiocchi si registrano 106 scudi e 66 bajocchi dal forno di Sant’Angelo, 50 scudi dal macello, 36 scudi e 66 bajocchi dall’osteria di Sant’Angelo247. Con poche varianti le stesse voci compongono la tabella dei salariati per il 1825, dove compaiono in aggiunta anche le “guardie campestri”, alle quali era affidato il compito di vigilare sulla sicurezza pubblica delle proprietà rurali private e sulla conservazione del patrimonio rurale comunale. Tra le spese di quell’anno si segnalano anche 9 scudi e 66 bajocchi per l’alloggio ai carabinieri. Le entrate derivanti dal dazio sui generi di consumo registrano 92 scudi e 50 provenienti dal dazio sull’uva e mosto, 80,45 dal dazio sulle “carni di bue, vitella e castrati”, 10 da quello sulle porchette, 55 e 22 dal dazio “sulli generi di pizzicheria, e salumi, carni salate ecc.”. Gli affitti fruttano al Comune circa 200 scudi complessivi, così ripartiti: 86,45 scudi dall’affitto del forno, 17 dal macello, 18,50 dalla pizzicheria, 63 dall’osteria, 6 da non meglio identificate “botteghe annesse al palazzo comunale”, 9,70 da “mori gelsi e spazj intorno alle mura”. La tassa sui fuochi frutta 81 scudi e 54 bajocchi, quella sul bestiame 92,87 e quella sui carri 31 scudi e 61 bajocchi. Il bilancio complessivo per il 1825 si chiude - oggi diremmo in modo “virtuoso” - con 916 scudi di entrate contro 906 di uscite248. I lavori di ristrutturazione alle mura, oltre che agli altri edifici di proprietà comunale, ricorrono negli ordini del giorno del consiglio che nel 1818 approva una spesa di 102 scudi per la sistemazione dell’osteria del borgo, delle mura castellane e del fosso dei Rimpi. Nella stessa seduta si rileva anche che “lo spiazzo di questo borgo è oramai ridotto in cattivo stato”: nel giugno 1821 si procederà alla sua sistemazione, e alla ripavimentazione della rampa d’accesso al castello249. 149


Pianta ideale del pezzetto di selciato avanti la Porta Castellana di S.Angelo, 1821. A pagina 154: Inventario degli ottensili della scuola, 1807, dettaglio (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

Nel 1817 il consiglio delibera in merito all’erezione dei cimiteri di Sant’Angelo, Montecchio e dell’appodiato Montelabbate: una lunga seduta al termine della quale con 20 voti favorevoli e 4 contrari si approva la spesa di 781 scudi necessaria alla realizzazione del progetto presentato dal perito geometra Ubaldo Coraducci e dal perito muratore Domenico Tucchi. Cinquanta scudi deriveranno dall’abbattimento di due case nel castello di Montelabbate, che “trovansi in pessimo stato, e già diroccate quasi per la metà, ed essendo le medesime abitate da persone miserabilissime, le quali non pagano i noli, conviene più l’atterrarle, che il mantenerle, tanto più che è cosa impossibile il poterle ridurre in stato buono”250. 150

1817, i cimiteri


L’osteria

Numerosi inventari rendono conto, con una minuzia dalla grande capacità evocativa, delle suppellettili che arredavano i locali di proprietà comunale nel primo decennio dell’Ottocento, dall’osteria al forno, dal macello alla triccoleria senza tralasciare l’armeria e la scuola. Ecco come un documento elaborato in più passaggi tra il 1802 e il 1814 descrive l’osteria: Nella camera della piazza: una tavola lunga con due cavaletti e un banco da sedere; la porta con catorcio di ferro e la porta alla camera con catorcio. Nella cucina: un’altra tavola lunga con tre cavaletti, un banco da sedere nel muro e un altro movibile, un’altra tavola lunga con due cavaletti appoggiati nel muro, e due banche lunghe da sedere, un tavolone per fermare li barilj legato nel muro con altre due tavole sopra per tenere le misure, una scaffa con una tavola sopra; tutte le fenestre con suoi vetri, e tutto altro in buon stato; una credenza aperta con due tavole. Nella camera di sopra in faccia la scala: una tavola con due cavaletti, e le finestre senza vetri. Nell’altra camera parimenti sulla piazza: le fenestre tutte con vetri in buon stato, e la porta con sua seratura e chiave. Alla porta cima la scala saltarello e suo catorcio, un’altra credenza nel muro vicino al camino con sua seratura, e chiave. Alla porta d’avanti con sua seratura e chiave. Alla porta della stalla suo catorcio e saltarello.

Nel 1805 subentra il nuovo oste Giovanni Marcolini, che manterrà la gestione dell’osteria almeno fino al 1810, e il gonfaloniere Giovanni Muccioli sottoscrive l’inventario, dichiarando che “tutto è in buono stato”, eccetto i vetri della cucina e “la mancanza della chiave della stalla”251. Sempre per l’osteria, nel 1804 un altro documento elenca un tavolino di noce con quattro piedi senza tiratori quasi nuovo; due padelle, una di rame usa ed una di ferro quasi nuova con manica lunga di ferro; una stagnata di rame quasi nuova con suo coperchio di rame di tenuta circa boccali dieci; una catena di ferro da camino; due coprifochi di ferro; una paletta di ferro; due graticole grandi use, ed una piccola parimenti usa; tre trepiedi, due grandi e uno piccolo; un ramajolo di rame; un forcinone e una schiomarola di ferro; un spiede lungo di ferro; un barile uso; un letto con palione, e tavole con due paja di lenzuoli usi, una coperta di accia252 verde e bianca e una di straccia bianca; un biroccio e mezzo circa di stabbia; due cassettine con serratura e chiave d’abeto253. La scuola

Ancora da un inventario del 1807, firmato da don Luigi Donati, ricaviamo gli arredi della scuola in quei primi anni del secolo: tre tavole d’abeto di circa quattro piedi con sei dei suoi cavaletti; un tavolino di lunghezza circa piedi tre e mezzo con suo cassetto, e seratura con chiave, il suddetto tavolino è d’abeto; una banchella d’abeto di lunghezza circa piedi quattro; un banchetto d’anoce; tre fenestre con 151


schuri per di fori con catorcio di ferro con sue vetrate in buon stato. In cucina: due tavole con barbacani al muro; una tabella della scuola; una credenza con sua seratura nel muro; due fenestre con vetri in buon stato; tre chiavi alle porte254.

Nel settembre 1827 il vescovo di Fano Nicola Serarcangeli autorizza il concittadino Vincenzo Mattioli “di aprire scuola privata elementare, e insegnare ai fanciulli di leggere, scrivere, primizie di aritmetica e grammatica latina, essendo stato riconosciuto abile previo l’esame, e fornito de’ requisiti richiesti, ed esistenti nella nostra curia, avendo già emessa la professione della fede”. Sant’Angelo, 30 settembre 1841. Convocati nella sala della pubblica scuola li molto rev.di sig. don Serafino priore Guadagnini, e don Francesco Bartoli canonico persone deputate dal consiglio all’esame dei discepoli di questa pubblica scuola, li medesimi sentito il maestro don Giuseppe Mariotti hanno rilevato, che nella scuola medesima erano destinate per comodo dei discepoli quattro classi, e cioè di alta Gramatica, di elementi grammaticali, di puri principi elementari, e di lettura, ed alfabeto. Quindi sono proceduti all’esame della prima classe formata da Annibale Pascucci, Giuseppe Rossi, Tommaso Bertuccioli, Achille Pascucci, Giuseppe Sacchini, Giambattista Giovanelli. Dal quale esame li lodati sig. esaminatori hanno dedotto che tutti li nominati sei discepoli di prima classe erano degni del primo premio, per la qual cosa posti i loro rispettivi nomi in carta, ed imbossolati, è sortito a sorte per il primo premio Achille Pascucci, per il secondo Giuseppe Sacchini. Progredendo all’esame della 2° classe composta dal giovane Domenico Rossi, sentito il medesimo si è conosciuto degno del primo premio con lode. Ed innanzi alla terza classe, composta da Antonio e Pietro Baldini, sentiti dai lodati esaminatori come sopra si è deciso che tutti e due sono degni di premio, e perciò estratti a sorte ha ricevuto il premio Antonio Baldini suddetto. Alli discepoli della quarta classe secondo il merito si sono dati dei santi in carta255.

Nel 1853 Antonio Baldini riceverà una sovvenzione dal consiglio comunale di Pesaro per poter studiare a Roma, e perfezionarsi nello studio dell’arte nel quale ha “dato prova di non comune ingegno, particolarmente in figura”. Anche l’amministrazione comunale di Sant’Angelo in Lizzola contribuirà, in vista della ottima disposizione che detto giovane possiede allo studio di cui sopra, della di lui buona volontà di perfezionarsi nel medesimo, e della vera mancanza in esso dei mezzi all’uopo necessari... elargendo una qualche somma a suo favore mentre si augura all’incremento delle belle arti, potria un giorno il predetto Giovane illustrare questa sua patria256. 152


Nel 1868 a chiedere un sussidio per studiare arte a Roma sarà Assunta Dori, figlia di Antonio, pittore che nel 1851 è, insieme con Romolo Liverani, tra gli artisti ai quali è affidata la decorazione del teatro Perticari257. Inventario dell’armeria di Sant’Angelo, 1815 Inventario dell’armeria consegnato dal sig. Giuseppe Berti gonfaloniere dell’anno 1815 al sig. Vincenzo Venturi gonfaloniere. Carabine n. 18; pantaloni bianchi n. 09; stivaletti, paia n. 09; grovattini n. 11; giberne in tutto n. 14; con sue bandoliere ed una senza; fochi di baionette n. 09; una girella con suo perno di ferro; otto polacche di legno; un telaro di ferro con un pezzo di ramata. Segue la robba esistente nella rimessa: egni del stecato lunghi e corti in tutto n. 25; legni grossi n. 07; una porta che era della salara demolita; una catasta di legna e poi vari altri legni258

Inventario degli otensili del pubblico Macello di questo Comune di Sant’Angelo consegnati a Matteo Donati, 1808 Nella botega di detto macello: un para di bilancioni con sue catene e suo appoggio, sotto numero de’ suoi pesi; un peso di libre nove, uno di libre sei, uno di libre cinque; uno di una libra e mezza; uno di una libra; uno di mezza libra; uno di oncie tre, il tutto di ferro; un bancone con due tiratori, e uno di questi con saratura con chiave; due zocchi [ceppi] per tagliare la carne; il carnaro in facia il zocco con una tavola sopra e di dietro, e con undici uncini di ferro; il carnaro tutto di legno con piroli di legno al muro in faccia a li zochi; altro carnaro di legno dietro il zocco con 4 uncini di ferro, ai travi uncini di ferro 5; una credenza sotto la scala con due sportelli e 4 uncini di ferro d’entro la porta e sportelli con 6 piastre e 5 catorcietti con sua serratura, e chiavi, tutto in buon stato. Nel scorticatojo; un tavolino uso; dui carnari con piroli di legno, dui paranchi con suoi ramponi di ferro e corde alle suddette, la porta che riesce al di fori con dui piastre e catorcio, una fenestra grande con ferata; un’altra picola simile. Sotto la loggia: 13 ramponi di ferro; un carnaro lungo al muro con piroli tutto di legno; un carnaro simile sopra la fossa; zocchi sotto la loggia numero 7 uno in muro di Matteo Donati, ed un altro da Domenico Tucchi, in tutto numero 9. Nella camera sopra il macello: due fenestre in buon stato con sue piastre e catorci ai scuri ed una di quelle con due sportelli con vetri in buon stato, la sua porta dell’ingresso della sudetta camera con sua seratura e chiave. Nell’altra casa vicino alla casa di Domenico Tornati, e Girolamo Grassetti: due camere a solaro, e una a pianterreno; una fenestra che guarda l’impetrata con scuro e sue piastre, e catorcio e due sportelli con vetri in buon stato; due scaffe una nel muro, e l’altra attacata al muro tutte dui in buon stato; il fondo 153


con porta d’avanti con sui piastre serature, e chiave, e l’altra che guarda al campo della fiera con una morsetta di legno. Nell’altra camera che guarda al di dietro con due fenestre con suoi scuri, piastre e catorci in buon stato; a piedi la scala sua porta con dui piastre, seratura e chiave; un’altra porta in cima la scala con due piastre, e saltarello di ferro259.

Inventario di tutti gli otensili spettanti al pubblico forno da rendersi conto dal nuovo fornaro Francesco Marzi per l’anno 1802 Nella situazione di sotto dove è il Forno: tavole d’abeto numero 9 per careggio di pane casareccio di lunghezza piedi 7 circa; un cavaletto lungo; un forchetto di ferro; 3 pale di legno; un lavamano di rame. Nella stufa: entro vi sono vari barbacani per mettere le tavole; la porta alla medesima col solo saltarello. Situazione dove si fa il pane: la matra grande con suo tavoliere; altra matra con tavogliere ricavata colla vecchia; la raschiatora per la matra di ferro; due vettine grande per l’acqua – una vettina mancante; un buzzo260 grande per l’acqua con un cierchio di ferro e suo coperchio; un bancone colla sua stanga per rafinare la pasta; un paja bilance in buon stato di legno per pesare la pasta con suo tavolone; una ramina per lavarsi le mani di rame; un buzzo con coperchio per mettere il formento. Stanza dove si fa il foco: due giarre per careggio del pane in buon stato; una mastella quasi nuova; un toppo con li suoi manigli di ferro da misura; il cassone d’abeto usato; una scalinata con tre scalini d’abeto; la bossola per butare il fiore nella matra; un bancone d’abeto con due casetti, e con chiave e seratura; una credenza lunga d’abeto con chiave, e seratura; due tavole lunghe d’abeto per posare il pane; un banco per stare a sedere per buratare la farina; una fenestra con vetri sani. Nella farinara: la sua porta con sertatura e chiave; una stadiera con marco di ferro; una belancia da mano con piatto di rame usato; un paja belance di legno inservibili dove si pesava la pasta; una caldara di rame di tenuta circa una soma usata; la fenestra con vetri; 4 fenestre con vetri rotti; 6 tavole nuove da careggio grande261.

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1816. “L’anno senza estate” L’anno del “Motu proprio” di Pio VII è ricordato anche per la grande carestia che colpì l’Occidente, dall’Europa settentrionale all’America del nord. L’Italia non fu risparmiata, e particolarmente difficile fu la situazione tra Romagna e Marche262: in realtà già nel 1814 il raccolto aveva cominciato a scarseggiare, e la carestia si farà sentire fino a tutto il 1818. Nel 1817 il quadro è aggravato da un’epidemia di tifo petecchiale, paventata tra gli altri anche da Giulio Perticari, che nel luglio 1817 si rifugerà nei “beati ozii” di Sant’Angelo “per timore del caldo, e della peste”263. Nel 1816 il conte Gianfrancesco Mamiani spedisce ai consiglieri cinque piastre per alleviare la miseria degli indigenti nel suo feudo, “dolendoci, ché le circostanze di famiglia c’impedischino di essere in ajuto a codesti poverelli quanto vorremmo”. Il conte Gianfrancesco ai massari di Sant’Angelo

Pesaro, 28 Marzo 1816. Gianfrancesco conte di Sant’Angelo al consiglio comunale. Illustri signori, la penuria delle vettovaglie, facendosi vieppiù sentire in questa calamitosa annata, si mancherebbe al proprio dovere e da noi, e da voi, se non si prendesse ogni cura possibile, onde ajutare gli operaj, e in specie la classe numerosa de’ veri indigenti. Per parte nostra abbiam, anche testè, prescritto a codesto giusdicente, spesse visite a’ luoghi di spaccio del pane venale, per assicurarsi, giacché questo è piccolo per la tariffa, sia almeno sempre del giusto peso e di buona qualità; procedendo per la grande, qualunque volta non si trovasse come esser deve. Non contenti di tal prescrizione, vi ordiniamo sotto la vostra responsabilità, che facciate osservare al proventiere del pubblico forno la legge, che tenga sempre in magazzeno l’occorrente grano per lo sfamo della popolazione di due mesi anticipatamente. Una tal misura, che è sempre provvida, nelle presenti circostanze diviene onninamente indispensabile, specialmente per un feudo. Inoltre radunerete subito il generale consiglio, e col vostro più fervido zelo pel pubblico bene gli esporrete il bisogno pressante (che purtroppo persiste anche in codesta terra), che si ajutino in tanta scarsezza di lavori gli artieri e in tanta carenza di viveri gl’indigenti. A vantaggio dei primi codesti illuminati consiglieri sapranno scegliere qualche pubblico lavoro più utile, e che già erasi fissato di fare in appresso. In soccorso dei secondi elegeranno qualche deputato ecclesiastico, e secolare de’ più caritatevoli perché gl’incarichino di fare una questua, distribuendone poi il prodotto per l’imminenti sante feste pasquali ai più poeri del feudo, acciò diano essi lode a Dio e preghino per i loro benefattori. Conoscendo poi il nostro obbligo, di dare cioè eccitamento agli altri anche co’ fatti oltre alle parole, vi spediamo inserte cinque piastre perché le consegnate ai deputati, che il consiglio eleggerà per la esortata elemosina; dolendoci, ché le circostanze di 155


famiglia c’impedischino di essere in ajuto a codesti poverelli quanto vorremmo. Vedremo tuttavia d’ajutare anche gli artisti [artieri], servendoci d’alcuni di loro nel ristauro d’una parte di codesto palazzo baronale che solleciteremo a bella posta. Viviamo infine nella fiducia, che ciascun facoltoso, facendosi carico delle attuali miserie de’ suoi prossimi, vorrà con proporzione alle sue forze soccorrerli, assicurandosi, che terremo a calcolo la vostra premura per ben riescire in opera sì santa, e caratteristica di buoni cittadini, e che vi riguardiamo colla maggior considerazione...264.

Nonostante un capitale dal valore calcolato in “scudi cento e un mila, duecentonovantaquattro e baiocchi ottantacinque moneta corrente ducato d’Urbino”, “non compresi bestiami, mobili, supellettili preziose”265, Gianfrancesco Mamiani si conferma anche in questo caso “morigerato e parsimonioso... impegnato nella quadratura di una contabilità in bilico fra i debiti contratti, le scarse rendite e i piccoli crediti esigibili sempre tra enormi difficoltà”, al pari di molte famiglie di antica nobiltà266. Né la famiglia Mamiani, ricca di titoli e scarsa di fortune, anche per la recente spogliazione delle terre feudali e per le imposizioni forzate della Cisalpina, si poteva permettere, come altre maggiori casate pesaresi, il lusso di mantenere precettori propri ai figliuoli267.

Stato delle anime della parrocchiale di San Michele arcangelo di Sant’Angelo in Lizzola, 1792, dettaglio (Archivio storico Diocesano, Pesaro)

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1816. Oltre il confine Molti storici citano l’anno senza estate come il principale motivo per la “conquista” nell’Ovest americano e il rapido crescere di stanziamenti umani nel Midwest. In generale le popolazioni furono colpite da una grande miseria, i coltivatori furono ridotti in grande difficoltà e molti capi di bestiame morirono. L’Europa, che stava ancora riprendendosi dalle guerre napoleoniche, soffrì per la mancanza di cibo: in Gran Bretagna e in Francia vi furono rivolte per il cibo e i magazzini di grano vennero saccheggiati. La violenza fu peggiore in uno stato senza sbocchi sul mare come la Svizzera, il cui governo fu costretto a dichiarare un’emergenza nazionale. La mancanza di foraggio ispirò Karl Drais, allora ancora un barone, a cercare nuovi modi di trasporto senza cavalli, il che portò all’invenzione della Draisina, detta anche Dandy horse o velocipede, il prototipo della moderna bicicletta (e della motocicletta) e diede un impulso decisivo ai successivi mezzi di trasporto personale a motore. Le “incessanti nevicate” del luglio 1816 durante un’”estate umida e non congeniale” costrinsero Mary Shelley, John William Polidori e i loro amici a restare al chiuso durante le loro vacanze svizzere. Essi decisero di gareggiare a chi avrebbe scritto la storia più spaventosa, e così Mary Shelley scrisse Frankenstein, or The Modern Prometheus e Polidori Il Vampiro. Gli alti livelli di cenere nell’atmosfera resero spettacolari i tramonti di quell’anno, tramonti celebrati nei dipinti di J.M.W. Turner. Secondo un’ipotesi formulata da J. D. Post della Northeastern University, il freddo fu responsabile, in qualche modo, della prima pandemia colerica del mondo. I test medici descrivono che, prima del 1816, il colera era circoscritto alla zona del pellegrinaggio sul Gange, mentre la carestia di quell’anno contribuì alla nascita di una epidemia nel Bengala, che si diffuse poi in Afghanistan e nel Nepal. Dopo aver raggiunto il Mar Caspio, l’epidemia si trasferì in occidente toccando il mar Baltico ed il Medio Oriente. La diffusione della malattia fu lenta, ma costante.

“Anno senza estate”, da Wikipedia, l’enciclopedia libera, http://it.wikipedia.org/wiki/Anno_senza_estate (2 giugno 2013, 17.00). 157


Comici dilettanti, steccati e “il gioco del pallone” Anche prima dell’arrivo degli intellettuali al seguito di Giulio Perticari e Costanza Monti i santangiolesi non erano estranei ai divertimenti teatrali. Nel gennaio 1802 “la gioventù dilettante di questo feudo, avendo stabilito dar divertimento a ogniuno in questo carnevale” chiede al conte il permesso di rappresentare “due comedie, l’una Rosmonda Goldoni [sic], l’altra Li due gobbi, o sia la confusione della somiglianza, con ridicolo onesto intermezzo detto Cicognona, con qualche tomboletta, e stecati”268. La Rosmunda di Carlo Goldoni fu rappresentata per la prima volta nel 1735269, mentre de I due gobbi, dell’attore e autore fiorentino Luigi Del Buono, creatore della maschera di Stenterello, esiste un’edizione datata 1791270. Qualche parola meritano anche gli “stecati”, divertimenti tipici del carnevale, così descritti dal nobiluomo veneziano Pietro Gradenigo nel 1760: “entrano varie compagnie di fabri e beccari ben in ordine vestiti, meglio armati di spadoni, et a suono di tamburi senza disordini fanno ingresso nel steccato, dove si taglia la testa ad uno o tre bovi”271. Con una circolare del Governo pontificio datata 28 dicembre 1816, il “governatore di Ginestreto e suoi annessi” risponde al gonfaloniere di Sant’Angelo in merito al tempo di carnevale, che è solito sempre incominciarsi nel giorno di Sant’Antonio, 17 p.v. genajo, ed in detta epoca, se V. S. vorrà far continuare il divertimento solito dello steccato per soddisfazione di codesta popolazione, qualora mi preciserà qual persona se ne incarichi come capo caccia, non sarò moroso di dare l’ordine in iscritto colle cautele solite a seconda del mio istituto. Come pure volendosi continuare a fare le caccie in codesta sua terra, che mi sia inoltrata una petizione da chi si vorrà rendere responsabile degl’inconvenienti che potessero mai nascere per tale divertimento, ed in allora saprò regolarmi sul permesso di esse in ogni tempo, in cui si crederà darsi tale divertimento272.

Di recite goldoniane si ha notizia anche nel carnevale 1813, quando “i soliti dilettanti comici di questo comune” chiedono al prefetto, tramite il sindaco, di poter “aprire il teatro, e di eseguire le recite espresse in calce”273, tra cui, oltre alle farse La neve ossia Rinaldo d’Asti, di Benoit-Joseph de Vivetières, rappresentata a Milano nel 1804274 e Il matrimonio improvviso di Francesco Albergati Capacelli275, vi sono poi Il vero amico e Il bugiardo di Carlo Goldoni. Neanche un mese dopo (21 febbraio 1813) “i dilettanti comici” chiedono di poter effettuare “una tombola di un collo di perle del valore di piastre diciotto”276. 158


Notizie circa la costruzione di un teatro sono contenute nel verbale di una seduta del consiglio comunale dell’ottobre 1811, e nel 1814 un inventario di materiali di proprietà comunale riporta tra l’altro “un telone rappresentante una camera, con legni e suoi rocchetti; il cartellone e due cassette contenenti varie robbe del teatro”277. Il sig. sindaco rende ostensibile una petizione promossa dal sig. vice prefetto in nome della gioventù di questo comune denominativo, perché questo comune istesso concorra nel progetto dell’erezione di un teatro, tanto più che senza caricarsi de’ debiti facilitare l’esecuzione, e

I consiglieri del Comune di Sant’Angelo, 1817, Libri del Consiglio, dettaglio (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

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spogliandosi solo di un capitale, che con intervallo di tempo può essere rinvestito a beneficio del comune medesimo. Esaminata accuratamente la proposizione delli sig.ri congregati, e riconosciuta plausibile, ben inteso, però, che il comune per aderire all’istanze promosse dalla gioventù non debba far altro sacrificio, oltre l’alienazione del campo progettato, e fermo rimanendo sempre, che pagato il prezzo della casa col retratto del campo medesimo, e pel dimeno, che potesse occorrere col prodotto dei noli, che si percipiranno dai fondi della medesima non servienti all’uso del teatro, debba il comune entrare in diritto di tali noli, onde reintegrarsi del valore del terreno, gli medesimi sig. ri congregati procedettero allo scrutinio dei voti, i quali dispensati, e quindi raccolti se ne ritrovarono dodici favorevoli, e tre contrari, avendo ballottato anche il sig. sindaco, e sig. Anziano Arduini, rimosso il sig. anziano Fabbri, essendosi firmato nell’enunciata petizione278.

Tra i divertimenti dei santangiolesi dell’epoca non manca il gioco del pallone col bracciale, assai praticato anche in altri piccoli centri della zona, tra cui Ginestreto e Mombaroccio, nel cui museo della civiltà contadina si conservano ancora palla e bracciale. Nell’aprile del 1795 i dilettanti del pallone di Sant’Angelo dettero un memoriale al possidente d’Urbino monsignor [Ferdinando Maria] Saluzzo [presidente della delegazione apostolica], chiedendogli, senza dar ricorso a Roma, che immediatamente dii ordine alla comunità di Sant’Angelo perché dilunghi il giuoco del pallone, facendosi anche un muraletto di tre piedi per non precipitarsi nel giocare, scendendo la spesa a più di scudi 70 come dalla perizia del muratore Tucchi, fatta sin dall’anno scorso istante che allora sì il conte di Sant’Angelo, che i comunisti si dimostravano propensi per questo allungamento di gioco, ma che poi nulla si è fatto, né si farà, se l’E. V. R.ma se ne darà l’ordine desiato da giocatori, popolo e forestieri279.

Nel 1802 il gioco del pallone è accusato dal podestà Nicola Trojani di causare danni alle mura, che necessitano di nuovi restauri: “le circostanze dei tempi passati, l’indolenza di chi poteva e doveva darci subito un pronto riparo, e la cattiva costumanza di permettere nel sito il gioco del pallone e il mercato dei maiali sono a mio credere la causa di questa ruina”280. Alcune fotografie degli anni Venti e degli anni Cinquanta del Novecento mostrano lo sferisterio (il luogo nel quale si praticava il gioco del pallone) affollato di bovini e altri animali, in occasione delle fiere che costituivano uno dei vanti di Sant’Angelo. Oggi el palón è destinato a parcheggio, e in una parte del piazzale trova posto l’isola ecologica.

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Sullo sfondo: Fiera zootecnica, 5 settembre 1921 (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci); in primo piano: viale Dante Alighieri, maggio 2013 (fotografia Cristina Ortolani)

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Villa Perticari, anni Venti del ‘900 (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola).

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I Perticari

Monteciccardo, addì 27 ottobre 1804. Il nobil uomo ill.mo sig. conte Andrea Perticari ammalatosi di malattia pericolosa in questo casino di lui situato dirimpetto il borgo del feudo di Sant’Angelo nella giurisdizione però di questa Parrocchia, furongli da me infrascritto rettore amministrati i SS. sacramenti in primo il SS. viatico, e poscia per ordine dei medici l’estrema unzione, ed infine la S. benedizione in articulo mortis, che poi jeri matina circa le ore 10 passò da questa a miglior vita, me presente fino all’ultimo respiro, ed in questo giorno il freddo cadavere di lui dopo le solite esequie secondo il rito del rituale romano, a cui v’intervenne il paroco del suo domicilio, fu sotterrato nella sepoltura gentilizia da lui eletta nella chiesa di Sant’Egidio di Sant’Angelo. La chiesa è di juspatronato della Casa Perticari. E qui per lume dei miei successori (mentre sono eventi che possono accadere) devo notare, che trasportando il cadavere dal suddetto casino nella suddetta chiesa su confini d’ambo le giurisdizioni di comissione del moltoreverendo sig. priore di Sant’Angelo dal suo cappellano fu fermata la mia croce, e rinovate le funzioni, ed io escluso da ogni passo. Allora, perché non avea l’occorrente per trasportare il cadavere nella mia chiesa, abbassai la croce e dimisi la stola, per prudenza essendo presente una multitudine di popolo partecipante. Fatto commesso contro ogni legge, e consuetudine. A dì 18 marzo 1911. Il conte Giulio Perticari figlio di Gordiano e Maria Ubaldini, nato a Pesaro il 14 agosto 1831, è morto in questa parrocchia rettorale di Monteciccardo il giorno 14 marzo 1911 alle ore 6 pomeridiane, munito de’ sacramenti e assistito dal sacerdote. Fatte le prescritte esequie, venne tumulato nella chiesa di Sant’Egidio di Sant’Angelo in Lizzola di sua proprietà281.

La famiglia Perticari arriva a Sant’Angelo in Lizzola nella seconda metà del XVIII secolo, in seguito al matrimonio di Angiola Lapi, figlia di Gordiano, con Giulio Perticari. “Nel XVIII secolo un Giulio è creato conte palatino, si ammoglia con Angiola Lapi di Pesaro; si trasferisce in questa città in seguito all’eredità dei beni di essa persona”282. Il figlio di Giulio, Giuseppe Antonio, sarà ascritto nel 1755 alla nobiltà pesarese con patto che tanto egli quanto i suoi discendenti dovessero possedere e tenere casa nobile aperta in questa città con l’effettiva loro abitazione almeno per la maggior parte dell’anno. Del qual patto si rese il Perticari fedele esecutore, senza però rinunciare al domicilio di Savignano ove casa e beni proseguì sempre ad avere283. 163


Da Maria Manzi Giuseppe Antonio ebbe Andrea, creato conte di Petrella e Castellare nella diocesi di Bertinoro; da Andrea Perticari e Anna Cassi nasceranno Gordiano, Giuseppe, Violante e, nel 1779, Giulio. Formatosi presso il seminario di Fano, sin da ragazzo Giulio si mostrò attratto dal teatro e dalla letteratura. Fondatore nel 1801 dell’accademia dei Filopatridi e nel 1808 dell’accademia Pesarese, dal 1801 al 1804 fu a Roma, dove attese allo studio del diritto; nel 1804, alla morte del padre rientrò a Pesaro per seguire gli affari di famiglia, mantenendo sempre i rapporti con la cerchia di intellettuali frequentati nella capitale. Giulio Perticari ricoprì diverse cariche pubbliche: entrato nel 1805 nel consiglio comunale di Sant’Angelo, sarà nominato nel 1808 gonfaloniere284; fu tra l’altro podestà di Savignano nel 1806 e, nel 1812, ispettore agli studi di Pesaro. Come molti degli intellettuali del suo tempo passò da posizioni filobonapartiste a un rinnovato appoggio a Pio VII dopo la restaurazione; dopo i contatti con Guglielmo Pepe, comandante di una parte dell’esercito di Gioachino Murat di stanza nelle Marche, sia Giulio sia il cugino e amico carissimo Francesco Cassi si avvicinarono alla Carboneria. L’impegno politico non fu mai per Perticari disgiunto dagli interessi letterari: di lui si ricorda soprattutto il ruolo centrale avuto nella cosiddetta “questione della lingua”, il dibattito sulla possibilità di una lingua comune a tutti gli italiani che assunse particolare rilievo negli anni della restaurazione. Perticari contribuì con due saggi alla Proposta di alcune correzioni e aggiunte al Vocabolario della Crusca,

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Giulio Perticari


Giulio Perticari e Vincenzo Monti

pubblicata tra il 1818 (ma con data 1817) e il 1826 dal suocero Vincenzo Monti285. “L’interesse del Monti alle questioni linguistiche può essere giudicato un frutto dell’influenza di Perticari sul suocero: infatti diventa preponderante negli anni successivi al matrimonio di Costanza, fra il 1813 e il 1814. Ed è Perticari ad offrire i due saggi più corposi e profondi dei sette volumi della Proposta”286. Il matrimonio di Giulio Perticari con Costanza Monti, fortemente voluto dalla madre di quest’ultima, Teresa Pikler, fu celebrato il 6 giugno 1812 nella cappella dei Monti a Maiano, frazione di Fusignano (Ravenna), dopo una lunga trattativa per gli accordi dotali. Dieci anni dopo Giulio morirà nel palazzo dei Cassi a San Costanzo, per una malattia epatica. Ingiustamente accusata di veneficio, Costanza sarà allontanata dalla famiglia del marito, e nel 1840 si spegnerà povera e malata a Ferrara, dopo aver trascorso gli ultimi anni in un continuo girovagare tra Milano, la Romagna e le Marche. La storia è troppo nota per essere ripresa qui e, del resto, ha offerto nell’ultimo secolo materia per numerose biografie e narrazioni d’ogni genere, compreso quello del ‘processo a teatro’. Per la tormentata vicenda di Costanza e Giulio rimandiamo dunque a questa copiosa produzione, concentrando qui l’interesse sui loro rapporti con Sant’Angelo in Lizzola.

Romolo Liverani: Veduta di Sant’Egidio dei Conti Perticari in Sant’Angelo in Pesaro vista dal parterre del suo casino, come nel 1851 (da L’Isauro e la Foglia, Fano 1986). Nella pagina precedente: Giulio Perticari, ritratto a olio in casa Perticari, Sant’Angelo (fotografia P. Belli, Pesaro; Archivio storico Diocesano, archivio G. Gabucci)

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Nell’estate 1838 Costanza Monti Perticari si reca a Livorno, sperando di trovare sollievo nei bagni di mare ai postumi dell’intervento subito tre anni prima per un tumore al seno. Proprio a Livorno avverrà l’incontro con Andrea Ranzi (1810-1859), promettente medico che passerà alla storia come “uno dei grandi maestri della scuola toscana di chirurgia”287, nato da una lunga liaison di Giulio con Teresa Ranzi, figlia di una domestica di casa Perticari. L’incontro è documentato da una lettera scritta da Ranzi a Giorgio Regnoli, primario chirurgo a Pesaro e marito della nipote di Francesco Cassi, maestro di Andrea, al quale aveva suggerito di incontrare la vedova del padre:

Andrea Ranzi

essa ed io ci guardiamo un istante senza parlare, quindi mi abbraccia, mi bacia, e piange, e anch’io la abbraccio, la bacio e piango. [...] Io le narro l’istoria mia, ora più ora meno combattuta dalla fortuna, ed essa baciandomi e abbracciandomi di nuovo mi dice ch’io l’abbia a considerare come una madre....

Altre lettere dello stesso anno confermano il rapporto affettuoso tra Andrea e Costanza, che subito dopo la morte del marito avrebbe cercato, senza successo per l’opposizione dei Perticari, di adottare il Ranzi288. Sin dalla morte di Giulio Costanza aveva accettato un “accordo predatorio” sulla restituzione della dote, in cambio dell’impegno di Gordiano a mantenere il figlio di Giulio. L’unico figlio che Costanza aveva avuto da Giulio, anch’esso di nome Andrea, era morto dopo soli 18 giorni dalla nascita nel febbraio 1814289. Tra il 1809 e il 1811, sino a pochi mesi prima del matrimonio, Giulio aveva convissuto a Sant’Angelo con la Ranzi e con il piccolo Andrea, nato nell’ottobre 1810290. Già nel 1798 Giulio era stato inviato dal padre presso i parenti di Savignano nel tentativo di interrompere la sconveniente relazione. Come nel palazzo di città, anche nella villa di Sant’Angelo (posta in realtà, come si è visto sopra, entro i confini del territorio comunale di Monteciccardo), “ricca di pitture e marmi” Giulio e Costanza riunivano “nella stagione autunnale il fiore degli ingegni di Romagna, fra i quali Vincenzo Monti, il Costa, l’Amati, il Betti”291. Giancarlo Cacciaguerra Perticari ricordava qualche anno fa che i trattenimenti del gruppo dei Perticari avevano luogo anche nella gloriette di cipressi, nel bosco sulla sommità del colle alle spalle della villa292, “un teatro diurno costruito con piante”293. “Sembra che Costanza Monti non recitasse, ma avesse certamente una parte importante nella direzione delle recite”294. 166

I Perticari a Sant’Angelo


Frequenti i rimandi a Sant’Angelo nell’epistolario di Perticari: oltre alla già citata lettera del 1817 a Benedetto Solustri, nel settembre 1815 troviamo in villa anche Vincenzo Monti, che grazie alla figlia e al genero conduce “fra le colline di Sant’Angelo i giorni più beati della mia vita sì che ancora non so trovare la via di dispiccarmene”295; sempre nel 1815 Giulio decanta il “romitaggio di Sant’Angelo” e la sua “beatissima quiete” anche a Terenzio Mamiani e, ancora, a Benedetto Solustri296. Tutta da verificare la presenza in quell’anno della “signora Costanza Perticari”, che Giovanni Gabucci segnala in veste di madrina a un battesimo297. Riguardo alle frequentazioni illustri dei Perticari e dei Cassi, imparentati tra l’altro con famiglie quali i Mosca e i Leopardi, è da ricordare qui almeno il rapporto con Rossini. Oltre alla somiglianza tra Giulio e Gioachino, fonte di non poche illazioni sui rispettivi padri, rimarcate anche dagli storici più sobri, è rimasto negli annali il brindisi che Rossini pronunciò nel 1818, durante il banchetto organizzato in casa Perticari per celebrare la riapertura del teatro Nuovo, inaugurato con La gazza ladra dopo i restauri avviati nel 1816 grazie agli auspici del Perticari, presidente della Congregazione economica di Pesaro. “È questa la scintilla,/ l’angelica armonia:/ questa che il Conte stilla/ squisita malvasia”: versi estemporanei che ci ricordano la “famosa malvasia che i contadini di Sant’Angelo in Lizzola producevano pei conti Perticari”298. Sempre nel 1818 Giulio e Costanza si recano a Roma, dove restano circa due anni. “In procinto di partire, finalmente deciso a cambiare aria e forse vita, Perticari cercò di affittare i suoi beni terrieri e gli immobili che possedeva a Sant’Angelo e a Pesaro”299.

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Sullo sfondo: la facciata del teatro “G. Perticari”, Teatro privato di casa Perticari in Sant’Angelo in Lizzola, in Alla contessa Vittoria Perticari sposa al signor Giovanni Ricci Bartoloni in Lugo, Pesaro, Tip. Nobili, 1854. In primo piano: l’interno del teatro, anni Venti-Trenta del ‘900 (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola) e la facciata in una fotografia dei primi del ‘900 (raccolta Giuseppe Fattori, Pesaro)

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Aristodemo nel “molin da olio”

Il teatro “G. Perticari”

È passato ormai a pieno titolo tra i topoi della storia culturale pesarese il distico satirico di Francesco Cassi che avrebbe indotto Gordiano Perticari a demolire il frantoio di via Borgo, per costruire al suo posto un teatro in grado di rivaleggiare con il teatro della Concordia di San Costanzo, in palazzo Cassi (oggi residenza municipale), nel quale “resta memoria che furono portate in scena per la prima volta le tragedie del Monti”300. Commentando un allestimento dell’Aristodemo di Vincenzo Monti realizzato all’interno del vecchio mulino santangiolese, lo spirito caustico del Conte Francesco Cassi lanciò l’epigramma: “Oh bel vedere Aristodemo in solio,/ Aristodemo, in un molin da olio”. Il conte Gordiano Perticari, fratello di Giulio, si sentì offeso per questa satira e ne fece una vendetta nobile atterrando il molino, e costruendo sulla sua area il teatro bello ampio ed elegante301.

Il teatro “restò distrutto nella notte tra il 26 e il 27 agosto 1944 per lo scoppio degli esplosivi portati dai tedeschi nella piazza Perticari e per una bomba a orologeria nascosta nello stesso teatro dai guastatori tedeschi”302. Alcune fotografie ne mostrano la facciata, disegnata dallo stesso Gordiano Perticari, che aveva voluto dedicare il teatro al fratello Giulio e gli interni, decorati dai fratelli Liverani, Antonio Dori303 e Pietro Lorandini, autore quest’ultimo anche della statua di Giulio Perticari collocata sulla facciata laterale della chiesa di San Domenico, in piazza del Popolo a Pesaro (attuale palazzo delle Poste). La facciata

La facciata del teatro, la quale risponde alla lunghezza dell’interno, avendo così necessariamente richiesto la qualità del sito montuoso, è stata disegnata dallo stesso sig. conte. Sopra un gran basamento, agli estremi del quale si aprono due porte, s’innalza un ordine semplicissimo con cinque finestre e quattro nicchie intermedie ove sono posti sopra piedistalli i semibusti dell’Alfieri, del Monti, del Metastasio, del Goldoni. Sopra la finestra di mezzo è lo stemma gentilizio; sopra ciascuna delle due prossime laterali un medaglione, ove a basso rilievo è la testa di Melpomene, a sinistra di Talia copiate dalle monete di Q. Pomponio, zecchiere sotto l’impero di Augusto. Sopra le due ultime è un quadro, medesimamente a basso rilievo, in cui dall’una parte, a simbolo della tragedia, è rappresentato Saulle che licenziato lo scudiero, soprastando i vittoriosi Filistei, ne’ campi di Gelboe si uccide in su la propria spada. Dall’altra parte a simbolo della commedia, son figurati il Dottore a colloquio con Pantalone, ed Arlecchino e Brighella in atto di amichevolmente abbracciarsi. Sopra ciascuna delle nicchie sta so169


spesa una corona. Nel fregio leggesi in lettere di bronzo la modesta iscrizione GORDIANO PERTICARI FECE. Sopra l’attico posa nel mezzo la statua di Ercole Musagete, in marmo, grande oltre il naturale, sculta dal chiarissimo sig. cav. Pietro Lorandini, prof. dell’Accademia di Venezia. Di qua e di là un tripode di bronzo. Entro in semicerchio gira intorno alla platea un ordine di pilastri dorici, dietro a cui corre un aperto ambulacro. Sopra essi posa la loggia, dal cui parapetto spicca un simigliante ordine di colonne corintie, che sostengono la volta. Nel fregio sopra il proscenio è inscritto a lettere d’oro: NEL FINTO IL VERO IMPARA: all’intorno LUOGO DATO AL DILETTAMENTO E ALL’AMICIZIA DA GORDIANO PERTICARI NELL’AUTUNNO DEL MDCCCLI. Nel parapetto suddetto sono disposti i ritratti di quelli della nobilissima famiglia dei Perticari e di loro congiunti che si dilettarono recitando, e che più volte in temporario teatro allegrarono i Santangiolesi colla rappresentazione di tragedie e commedie. Fra i quali il conte Giulio Perticari, al cui nome niun elogio sarebbe pari, tiene il primo luogo; né vi è preterito l’illustre di lui cugino, conte Francesco Cassi. Questi ritratti sono stati dipinti dall’esimio giovane signor Giacomo Montanari romano. La pittura delle scene, della volta e della loggia è stata maestrevolmente eseguita da’ valenti artisti faentini Romolo e Antonio fratelli Liverani. Sarebbe lunga cosa a descrivere minutamente la squisita eleganza del lavoro, e la ricchezza dell’oro. Nella tenda si rappresenta la statua di L. Accio pesarese, principe de’ tragici latini, seduta in un tempio alle falde del monte che, vicino alla foce dell’Isauro, serba tuttavia la memoria e il nome d’esso poeta, al quale le ninfe delle circostanti colline, guidate da quella di Sant’Angelo, vanno a rendere onore, e porgere offerta di ghirlande d’alloro. Si sa da Plinio, che a Roma nel tempio delle Muse fu accolta ad onore la statua d’Accio; e ciò fe’ nascere nella mente del signor conte la immaginazione qui descritta: imperocché ben può dirsi che delle Muse sia tempio un teatro, scuola di costume e di gentilezza304.

La descrizione del teatro è di Francesco Rocchi, ed è tratta da un opuscolo realizzato nel 1854 dai nipoti di Giulio Perticari, Giulio, Giuseppe e Andrea, per le nozze della sorella Vittoria. È tradizione che Antonio [Liverani] attendesse principalmente alle decorazioni della sala e del soffitto dipinto elegantemente a grotteschi in oro e colori, e Romolo curasse la pittura delle mirabili scene che ancora si conservano. I teloni erano tutti intonati ai lavori dell’epoca, cioè alle tragedie classiche e alle commedie del Goldoni, come mi raccontava il babbo [Andrea Gabucci] che fungeva da macchinista, e anticamente ogni scena aveva anche il mobilio e vestiario corrispondente che ora [1941] più non esiste. Sono caratteristici la cucina, l’alcova nobile, la sala regia, il cortile ed il bosco con cascata d’acqua ad effetto di luna: ma quello che è importante per l’iconografia locale è 170

L’interno

Gli scenari, i fratelli Liverani


il secondo telone (o comodino) ove il Liverani riprodusse quell’ultimo tratto di via Borgo con la facciata del nuovo teatro, e di fronte l’angolo della villa De Pretis, la linea delle case, col timpano della chiesa di Sant’Egidio, ed in capo alla via la villa dei Perticari baciata dal sole che sorge dalla parte di Ginestreto. Peccato che questo bel telone sia stato un po’ alterato dall’acqua. Il lavoro scenografico riuscì egregiamente a e Romolo stesso, scrivendone al conte Perticari... dice di non avere mai messo tanta cura nel dipingere, come quando lavorò agli scenari del teatro di Sant’Angelo. Il sipario che raffigura le ninfe dei nostri castelli che recano al tragico pesarese L. Accio corone d’alloro non è del Liverani, ma del Dori305.

Il sipario

L’inaugurazione, 1851

Nato a Faenza da Gaspare, macchinista del locale teatro, formatosi alla scuola comunale di disegno con Pietro Tomba, Romolo Liverani (1809-1872) è a Pesaro per la prima volta nel 1840, quando dipinge il secondo sipario per il teatro Nuovo (poi teatro “G. Rossini”). Fino al 1864 la sua presenza nella nostra città è costante, non solo per motivi professionali: a Pesaro si era infatti sposata sua figlia Matilde306. Oltre ai lavori teatrali di Romolo Liverani vanno ricordate le decorazioni per alcuni palazzi pesaresi, tra i quali lo stesso palazzo Gradari e alcune sale del palazzo Ducale. “Il dottor Andreatini che fu l’animatore della filodrammatica Morselli di Sant’Angelo mi diceva che in Urbania gli scenari del teatro Bramante sono simili ai nostri, specie l’alcova e la cucina”307. Altre fonti aggiungono che la sala contava 400 posti e che le statue erano opera del ceramista e scultore Pietro Gai, il quale scolpì anche il monumento funebre alla stessa Vittoria Perticari, morta di tisi nel 1855 e sepolta in Sant’Egidio308. Il parapetto della galleria era decorato con “ritratti in carta del Montanari”309; la ninfa di Sant’Angelo raffigurata sul sipario nell’allegoria di perfetto stile neoclassico “aveva le fattezze della bella Costanza Monti”310, effigiata nelle vesti di una Musa anche sul sipario dipinto da Angelo Monticelli per il teatro Nuovo di Pesaro (oggi teatro “G. Rossini”). Situato al numero 19 di via Borgo, nel 1876 il “Teatro privato” risulta essere costituito di 3 piani e 11 vani311. Il teatro fu inaugurato nell’autunno 1851 con La locandiera di Goldoni e Saul dell’Alfieri, messi in scena dallo stesso Gordiano insieme con i suoi famigliari312. “Da quel tempo fino a noi il teatro è stato il centro della vita civile ed artistica del paese, perché ivi oltre alle recite si ebbero conferenze, riunioni, premiazioni scolastiche ed anche opere teatrali”313. 171


La fonte, 1846-’47 Una delle più note tavole dedicate da Romolo Liverani a Sant’Angelo raffigura la fonte, che l’artista ritrae dopo i lavori di restauro del 1846-’47. La tradizione vuole che qui si sia fermato Napoleone per far abbeverare il proprio cavallo; l’imperatore e il suo esercito avrebbero peraltro sotterrato a poca distanza anche ingenti tesori, sotto forma di sacchetti o forzieri colmi di monete d’oro zecchino, recuperati e impiegati da alcuni fortunati per l’acquisto di case e botteghe intorno alla metà dell’Ottocento. La fonte, o meglio la strada che a essa conduce, è citata dai documenti sin dal 1280314 e, come si è visto in precedenza, questioni relative alla fonte ricorrono costantemente negli atti comunali. Nel 1882 un fondo “la Fonte” viene venduto dalla famiglia Monti, insieme con altri terreni di pertinenza della tenuta intorno al “casino di villeggiatura”315 affacciato sulla strada tra Ginestreto e Sant’Angelo, compreso entro i confini del comune di Monteciccardo. Meriterebbero ulteriori approfondimenti anche le vicende della famiglia Monti, soprattutto del suo esponente più noto, Enrico, primo sindaco di Monteciccardo dopo l’Unità d’Italia, del quale si ricorda la partecipazione all’esperienza della Repubblica romana316. Solo recentemente è stato ritrovato nell’archivio comunale di Sant’Angelo un fascicolo con i disegni della fonte, ristrutturata a metà Ottocento dopo molti interventi parziali effettuati nei secoli precedenti. Impulso decisivo ai lavori del 1845 venne da un fatto di cronaca nera: nel giugno del 1845 fu trovato nella vasca della fonte il corpo di Barbara Balducci, morta annegata. Non si trattò di una disgrazia: il marito della Balducci fu infatti accusato di uxoricidio317. Tuttavia, anche per timore di “private vendette” l’amministrazione comunale deliberò rapidamente di “ridurre a forma migliore la nostra pubblica fonte, e purificare le acque togliendo con qualche sorta di artifizio quei pericoli a cui si trovano esposte le persone nell’attingere l’acqua”. E a dir vero, se basterebbe a tanto indurmi il solo motivo delle zozzure che tuttavia vi gettano dentro, o per malignità o per male costume, onde si rendono insalubri le acque di cui vi parlo, oggi ve ne ha fortissimo quel tristo avvenimento di Barbera Balducci che si è rinvenuta annegata, e morta, lasciando superstiti quattro teneri figli pressoché spogli di ogni sostentamento. Mi corre dunque obbligo strettissimo di rappresentarvi questi bisogni, onde vogliate impedirne i tristi effetti, che pur troppo potrebbero addoppiarsi anche per soddisfare alle private vendette, essendo questa fonte in luogo pressoché nascosto, ed 172


acconcio a simile perversità. Vi propongo adunque la chiusura dell’arco ossia volta della predetta fonte, ed a fronte della medesima di abbassare il piano del terreno fino al livello del fondo della fonte stessa, da cui tirando per mezzo di tubo di piombo fino a poca distanza le acque, siano queste gittate da una canella pel pubblico servizio.

“I signori consiglieri applaudendo allo zelo e premura del sig. priore, convennero pienamente nell’anzidetto progetto”. Il lavoro fu affidato ancora una volta al “capo mastro muratore Domenico Tucchi, il cui figlio Biagio attenderà una decina d’anni dopo al restauro della chiesa della Scuola. Trattandosi poi di lavoro urgente, e divisando che possa occorrere la spesa di scudi 60, fu proposto d’imporre per tale somma un aumento sul dazio mosto imbottato”318. I lavori, deliberati il 17 giugno 1845, sono approvati dal consigliere governativo della delegazione apostolica il 29 luglio.

Prospetto della pubblica fontana di Sant’Angelo in Lizzola, 1846 (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola). A pagina 175: sullo sfondo, la fonte, agosto 2011 (fotografia C. Ortolani) e, in primo piano, Romolo Liverani, Fonte di Sant’Angelo, 1851 (da L’Isauro e la Foglia, Fano 1986)

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Il capitolato dei lavori allegato alla delibera consiliare, sottoscritto da Domenico Tucchi il 19 giugno, descrive sinteticamente la fonte, che è l’unica che serve ai pubblici usi degl’abitanti del comune di Sant’Angelo. La medesima rimane in qualche distanza dal principale abitato, ed è sottoposta ad arco, ossia volta maestra con basso parapetto avanti, per cui quelli che attingono le acque possono con facilità precipitarvi319.

Nel settembre 1846 altri interventi si resero necessari: il collaudo evidenziò la necessità di stabilizzare ulteriormente l’area, per via della natura del terreno “così detto acquastrinoso”, che “nell’inverno scorso dal lato destro della fonte... dilamò, e si rese impraticabile l’accesso alla fonte”. Per sistemare adunque stabilmente questa fontana si progetta di costruire due muri di sostegno laterali, oltre a due muretti sul piano superiore della fontana. Di più si costruirà una chiavichetta... e di fronte alla fontana si costruirà il selciato ora sconnesso, onde sia posto in uno stato regolare. [...] Il coronamento e le testate dei muri saranno di soli mattoni a tre teste con due pietre agli angoli...Si taglieranno delle feritoie sulla superficie del muro, rivestite di mattoni, per dar sfogo alle trasudazioni dell’acqua.

Il tempo assegnato per condurre a termine il lavoro fu di due mesi, e l’importo complessivo del lavori fu stimato in 174,65 scudi320. Alla fonte Giovanni Gabucci riconduce una lapide trovata nel 1822 “in casa Romani” per la via Branca (detta la vàgina), recante l’iscrizione PIOPPI ET ULMI NOLI | FRANGERE AGMEN | ETIAM CUM CAPITE AD | STELLAS CONTINGANT | 1822. Misura esterna 39 x 58 - interna 26 x 46. Dicesi che una lapide simile si trovasse in prossimità del Furlo, al principio di un viale di pioppi. Se questa fu murata in Sant’Angelo fa pensare che fosse o nella casa ove fu trovata, ma esternamente e che lungo la costa vi fosse una piantata di pioppi ed olmi, oppure con maggiore probabilità si trovasse murata lungo le mura castellane, di fronte alla strada della fonte vecchia, o sulla stessa fonte, e ciò anche secondo quello che il filosofo Terenzio Mamiani scriveva dal suo esilio di Parigi al fratello Giuseppe a Pesaro il 23 XII 1841321.

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1855. Sguardi su un tramonto

La vendita di palazzo Mamiani, 1855

Il già palazzo baronale Mamiani situato entro le mura castellane di Sant’Angelo suddetto, composto di 4 piani compresovi il piano-terra, con una torre unita allo stesso palazzo, marcato dal civico numero tre 3, contraddistinto in mappa dal numero settecentotrentanove 739, di estimo scudi 475, avente per lati il terreno Marcolini, il vicolo pubblico, lo spazziale [sic] della chiesa e la casa comunale. [...] Questa vendita, e compra rispettiva i signori contraenti nelle rispettive congruenze e rappresentanze fecero, e fanno a corpo e non a misura; nello stato, in cui il ridetto palazzo con sua torre attualmente si ritrova; da cielo a terra, con tutti i suoi serramenti, fissi ed infissi; e pel concordato, convenuto e stabilito prezzo di romani scudi duemilacento 2.100, oltre l’accollazione ai signori compratori del canone detto, ed infradicendo. In conto, e diminuzione del qual prezzo il signor dottore Salvatori in nome procuratorio, dichiara e conferma di avere prima della presente stipulazione avuta e ricevuta dagli acquiescenti signori fratelli Bartoli, che dichiararono di pagare del loro comune denaro, in tanta buona moneta metallica d’argento a corso di tariffa, da paoli dieci lo scudo, la somma di romani scudi cinquecento, 500 de’ quali come avuti ricevuti e interamente percetti in conto e diminuzione del ridetto prezzo. [...] Oltre il pagamento di cui sopra, gli acquirenti signori fratelli Bartoli, solidalmente fra loro, si accollano, si assumono, e si addossano il peso e pagamento dell’annuo perpetuo canone di scudi 2 gravante la torre del suddetto palazzo a favore della Santa Sede, e sua R. E. A., eseguibile in Roma nella camera de’ Tributi nella vigilia o festa de’ gloriosi SS. apostoli Pietro e Paolo con la prestazione del consueto omaggio dovuto alla stessa R.E.A. in ricognizione dell’atto dominio sopra la torre del palazzo medesimo322.

L’atto di vendita di palazzo Mamiani, “fatto, letto e stipulato in Pesaro nel palazzo della signora marchesa Vittoria Mosca posto per la strada del Duomo”, e registrato a Pesaro il 26 maggio 1855 chiude idealmente l’epoca dei Mamiani e dei Perticari, che continueranno a frequentare Sant’Angelo ma la cui presenza sarà d’ora in poi, come è stato acutamente notato, anche geograficamente “a margine” delle vicende del paese. Nuovi nomi si faranno strada, esponenti di una borghesia consolidatasi negli anni proprio a partire dalle attività commerciali e artigiane fuori dal castello e, come in altri luoghi dell’antico contado di Pesaro, anche a Sant’Angelo il borgo assumerà progressivamente il ruolo di centro propulsore della vita eco177


nomica e sociale, che dopo la seconda guerra mondiale si sposterà progressivamente verso la valle del Foglia. Il paese di Sant’Angelo non è estraneo, negli anni tumultuosi del Risorgimento, ai fermenti che scuotono l’Italia - e Pesaro323. Un fatto piuttosto noto, legato all’esperienza della Repubblica romana avvenne la domenica delle Palme del 1849, quando “al grido di viva Maria” furono rialzate le insegne papali: Sante Oliva agiato possidente di campagna presso Mombaroccio ed uomo non creduto atto a queste cose si fé capo di una torma di villani; mosse il 1 aprile 1849 sopra Ginestreto; entrò in chiesa; fece benedire armi e bandiere; sonò la campana a martello: poi usci ad abbattere le insegne repubblicane avanzandosi per Sant’Angelo in Lizzola e Monteciccardo sino a Mombaroccio, i cui terrazzani chiuse le porte del castello ebbero la buona ventura di respingere i sollevati più che d’altro bramosissimi di vendicarsi di alcune offese ricevute dalla guardia nazionale dello stesso luogo.

Il giorno successivo i “briganti” furono dispersi da una colonna armata di cannone; la casa di Oliva fu saccheggiata e incendiata324.

G. Gabucci, Sant’Angelo in Lizzola dal Monte di Santa Lucia, 1919. A pagina 176: il Borgo, 1917 (fotografia D. Uguccioni, Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci)

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Sante Oliva, 1849


Il “cholera” a Sant’Angelo Angelo vedeva gli splendori barbari della terribile estate sulle alte colline: querce riarse, castagni calcinati, magri pascoli color verderame, cipressi nelle fronde dei quali luceva l’olio di lampade funebri, nebbie di luce che spiegavano intorno ad Angelo, come in un miraggio, una tappezzeria corrosa dal sole, nella cui trama traslucida fluttuava e vacillava il disegno sempre grigio delle foreste, dei villaggi, dei colli, della montagna, dell’orizzonte dei campi, dei boschetti dei pascoli quasi interamente dissolti sotto un’aria color tela di sacco. [...] A Marsiglia non si parlava più che di quello spaventoso odore di fogna... La città era troppo popolosa perché si potessero notare i dottori che, già all’inizio del pomeriggio, cominciarono a girare in carrozza. Del resto, quel tremendo odore d’escrementi dava a tutti un’aria triste e pensierosa325.

Nell’estate del 1854 un’epidemia di colera proveniente dalla Provenza si diffonde in tutta Italia. L’8 aprile 1855 il colera toccò anche Pesaro, dove il primo caso fu registrato nella zona del Porto: il contagio dilagò e nell’intera provincia di Urbino e Pesaro, su una popolazione di 220mila abitanti quasi 16mila furono le persone colpite (15.927), con 9.255 guarigioni e 6.694 morti (95 colerosi ogni 1.000 abitanti, con una mortalità “inferiore alla media”, pari a 42 abitanti su 1.000). A Pesaro si contarono su una popolazione di 12.500 persone 1.191 casi con 507 morti326. Il 21 giugno l’immagine della beata Vergine delle Grazie dipinta da Bartolomeo Morganti fu portata nella chiesa di San Francesco, dove furono celebrate funzioni per ottenere dalla Vergine, patrona della città insieme con San Terenzio, la liberazione dal flagello. L’epidemia si spense, e il 4 luglio nessun nuovo caso di colera fu segnalato. Il 21 ottobre 1855 fu celebrata la festa del Voto, che ancora oggi si solennizza la terza domenica di ottobre, come stabilito all’epoca dal consiglio comunale327. Anche Sant’Angelo, come si è visto precedentemente, rese grazie alla Vergine per lo scampato pericolo, ristrutturando la chiesa della Scuola. Il priore Guadagnini indisse una processione di penitenza, a capo del clero e scalzo, con una corda al collo portò il santissimo Crocefisso della Scuola sino al Monte per ottenere la grazia, che si ebbe, perché raccontava il canonico Bartoli che furono liberati completamente dal colera solo il nostro paese e uno del napoletano. Il fatto è provato storicamente dalla tradizione e dal libro dei morti del 1855, ove nessuno è notato morire di colera. Nell’ottobre fu fatta una festa solenne di ringraziamento e furono fatte con le offerte dei fedeli due incisioni del santissimo Crocefisso della Scuola e della Madonna del Monte. Eccone i documenti: sull’involto dei cliché che esistono nell’archivio par179


rocchiale si legge: “Due incisioni di Maria santissima di Monte Calvello e del santissimo Crocefisso della chiesa della Scuola di Sant’Angelo in Lizzola, fatte nel mese di ottobre dell’anno 1855 in occasione del solenne ringraziamento fatto alle suddette immagini per essere stata liberata questa parrocchia dal morbo colera, e la spesa delle dette incisioni fu sostenuta con la elemosina dei fedeli.

Le incisioni furono commissionate al libraio Odoardo Semprucci di Pesaro, che il 29 settembre 1855 ricevette 10 scudi per il lavoro e 65 bajocchi per “spese di porto, lettere ed affrancatura di denaro”. Nella chiesa di Sant’Egidio i conti Perticari eressero in ringraziamento una bella statua della Concezione in scaiola modellata dal prof. Rocchi di Savignano. Mons. Fares concedette 40 giorni d’indulgenza a chiunque recitasse un’Ave Maria innanzi a detta immagine, che si erge su base quadrata in una nicchietta al centro della chiesa a destra, ov’è la seguente epigrafe ricordativa: MARIAE | LABIS GENERIS EXSORTI | SOLLEMNI RELIGIONIS HONORE | SCITO PII.IX.P.M. | AUCTAE OB | PESTILITATEM INDICAE CHOLERAE | CIRCUM | QUOCUMQUE GRASSANTEM | AB OPPIDO ET AGRO | NUMINE EIUS PROHIBITAM | ANNO MDCCCLV.

Miracolosa immagine di Maria Santissima che si venera nella chiesa del Monte in Sant’Angelo di Pesaro e, nella pagina seguente Miracolosa immagine del SS. Crocifisso che si venera nella chiesa della Scuola di Sant’Angelo in Lizzola, 1855 (Archivio storico Diocesano; archivio G. Gabucci). A pagina 182: Comune di Sant’Angelo, Consiglieri, 1834, Libro dei Consigli (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

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Si raccontava che un giovanotto di Ginestreto schernisse la processione che i santangiolesi facevano per impetrare la liberazione dal colera, e che morì poco più tardi improvvisamente come castigato per la sua empietà. Il fatto sembra confermare la tradizione perché nel libro X dei defunti della parrocchiale di Sant’Angelo si trova la seguente particola: Addì 3 ottobre 1855. Amato Betti ammogliato in età di 32 anni della parrocchia di Ginestreto, essendo stato sorpreso in questa parrocchia da una violenta e grave malattia di febbri tifoidali, munito di tutti i conforti di religione ed assistito fino agli ultimi respiri da me sottoscritto cessò di vivere ieri mattina circa le ore 15 [sic]. Questa mattina il sig. arciprete di Ginestreto mandò un sacerdote con una compagnia di quel luogo per levare il cadavere dalla casa Paci e trasportarlo alla chiesa parrocchiale di Ginestreto ove fu fatto il funere...328

Il colera non risparmiò invece il vicino paese di Monteciccardo, dove il 23 agosto morì a 48 anni Domenico Silvestri, “preso da cholera morbus”329. In quella occasione fu istituita la Festa del voto che si celebra ogni anno nella chiesa della Scuola la I domenica di settembre ed il Comune stabilì di offrire in tale occasione per ringraziamento tre fagole da un kilo l’una la I domenica di settembre al SS. Crocefisso della Scuola, il 15 agosto, festa dell’Assunta, alla Madonna di Monte Calvello, e l’8 maggio, festa del protettore, a San Michele nella collegiata; ed i nostri vecchi ricordano ancora il valletto del municipio (Antonio Briga) che in guanti e col vestito di parata prima della messa solenne nei giorni ricordati faceva all’altare l’offerta dei 3 ceri in nome della comunità. Non so se l’offerta fu stabilita per 10 anni, o per un tempo più lungo, ma di fatto più non esiste330.

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Note 1 BOP, Archivio di Casa Mamiani della Rovere (d’ora in avanti: ACM), G. Mamiani, Memorie storiche riguardanti la famiglia Mamiani (d’ora in avanti MM), cartella n. 19, c.n.n., par. n. 80. 2 A. Brancati, G. Benelli, Divina Italia. Terenzio Mamiani della Rovere cattolico liberale e Risorgimento federalista, Urbania 2004, p. 29. 3 MM, nn. 81-82. 4 ACM, Memorie storiche della famiglia Mamiani della Rovere estratte dai registri della cancelleria comunale nel feudo di Sant’Angelo (d’ora in avanti: MF), b. 65, n. 12. 5 Cfr. nota n. 1. 6 “Cameriere segreto: si dice nelle corti quel cameriere che può senza altra imbasciata entrare a sua posta dal signore”, N. Tommaseo, B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino 1865, vol. I, parte II. 7 MF, p. 4. 8 F. Ugolini, Storia dei conti e duchi d’Urbino, Grazzini, Giannini e C. tipografi libraj editori, Firenze 1859, vol. II, pp. 481-482. 9 MF, p. 3. 10 AdP, Processi di nobilità, Famiglia Mamiani, cc. 107v-108r. 11 APSA, G. Gabucci, Sunto del Libro dei Consigli..., cit., p.3. 12 MM, n. 83. 13 “Maestro di camera: cortigiano al servizio personale di principi, prelati”, A. Gabrielli, Grande dizionario italiano, Milano 2011. 14 MF, p. 12. 15 A. Donati, A. Lazzari, La devoluzione alla Santa Sede apostolica degli Stati di Francesco Maria II della Rovere in G. Colucci, Delle antichità picene, tomo XII, “Delle antichità del medio e dell’infimo evo”, tomo VII, Fermo 1794, p. 122. 16 Ugolini, cit., pp. 447-449. 17 Ibid., p. 455. 18 MM, n. 89. 19 Ugolini, cit., p. 463. 20 MF, pp. 38-39. 21 ACM, Istrumenti di Casa Mamiani 1601-1650, c.c.n., testamento di Ottavio Mamiani, 4 ottobre 1642. 22 G. Calegari, Palazzo Mamiani Della Rovere: indagini e scoperte, in D. Trebbi et al., Palazzo Gradari, già Mamiani Della Rovere. Indagini e scoperte dopo il restauro, Comune di Pesaro, Ancona 2004, p. 123. 23 Trebbi, La storia, in Palazzo Gradari..., cit., pp. 15-19, 41-42. 24 S. Bruscia, A. Nori, Lo sviluppo architettonico del palazzo, in Palazzo Gradari..., cit., p. 74. 25 P. Rufa, Pesaro. Notizie biografiche, storiche, artistiche e letterarie della toponomastica della città, Pesaro 1978, pp. 157-158. 26 MM, nn. 84. 27 ACN, p. 16. 28 Tomassini, cit., p. 22. 29 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Palazzo Comunale di Sant’Angelo in Lizzola, 2 febbraio 1938, c.n.n. 30 Durante il mandato di Paolo Dionigi, sindaco di Sant’Angelo in Lizzola tra il 1987 e il 1993. 31 R. Berarducci, C’è da salvare!... La torre di Sant’Angelo in Lizzola, “Il Paese”, mensile della bassa val del Foglia, n. 4, maggio 1982. 32 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Palazzo Comunale di Sant’Angelo in Lizzola, Palazzo Mamiani, c.n.n. 33 D. Bonamini, Abecedario..., cit., pp. 138-139. 34 L. Fontebuoni, Il ciclo decorativo di palazzo Montani, in A. Brancati (a cura), Il palazzo e la famiglia Montani di Pesaro, Pesaro 1992, p. 247. 35 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Palazzo Mamiani, pitture e lapidi, iscrizioni da farsi alle figure della Sala Mamiani, in Memorie storiche della famiglia Mamiani Della Rovere estratte dai registri della cancelleria comunale del feudo di Sant’Angelo, copia delle Memorie conservate presso la Biblioteca Oliveriana di

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Pesaro a cura di Ida Smerczek Mamiani, c.n.n. (d’ora in avanti Memorie Smerczek). Il volumetto fu donato nel 1921 dalla Smerczek a Gabucci, il quale aggiunse alcune annotazioni di sua mano, in parte contenute su fogli sparsi, non numerati. Infine: la successione dei conti riportatata nella nota differisce in alcuni punti da quella che si ricava dalle memorie di cui sopra. 36 Ibid. 37 AcSA, Suppliche ed esposti ai Conti, n. 228. Per la supervisione della trascrizione e la traduzione della risposta del conte ringrazio Anna Falcioni e Giovanna Patrignani. 38 Allegretti, Mercanti, agricoltori, pittori: i Mingucci di Pesaro negli anni della devoluzione, in “Pesaro città e contà”, n. 7, Pesaro 1996, p. 48. Le tavole di Francesco Mingucci, conservate presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, sono pubblicate in Città e castella (1626). Tempere di Francesco Mingucci Pesarese, Torino 1991. 39 ASP, Archivio notarile di Pesaro, Luigi Bertuccioli, Pesaro, cc. 172r-178v, 24 maggio 1855. 40 Ivi, Catasto dei fabbricati, registro delle partite, Sant’Angelo in Lizzola, vol. 1, partita 14, Bartoli Giuseppe e Pietro. Sulla vendita di palazzo Mamiani cfr anche Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola, cit., p. 81. 41 ACM, G. Mamiani, Inventario dei mobili esistenti nel mio casino di Sant’Angelo, 1801. 42 “Calancà: tela stampata a fiorami e figure, che ci capita dalle Indie orientali, oggidì se ne fabbrica anche in Europa”, C. Zalli, Disionari piemonteis, italian, latin e franseis, Carmagnola 1815, vol. I. 43 “Bazzana: pelle di castrato, assai morbida”, Nuovo dizionario universale tecnologico, G. Antonelli, Venezia 1858, tomo LVIII. 44 “Luogo comodo: cesso (che si presta a certi bisogni)”, P. O. Pianigiani, Vocabolario etimologico della lingua italiana, Roma 19071, www.etimo.it/?term=comodo (26 aprile 2013, 8.55). 45 AcSA, Consigli, 1613-1628, c. 6r, 8-9r. 46 MM, pp. 9-14. 47 AcSA, Consigli, 1613-1628, n. 215, c. 6r, c 62r e c. 63r. 48 MM, pp. 14-15. 49 ACM, Istrumenti di Casa Mamiani 1601-1650, c.n.n., testamento di Giulio Cesare Mamiani, 1636. 50 E. Stumpo, “Lorenzo de’ Medici”, Dizionario biografico degli italiani, Treccani (2009), www.treccani.it/ enciclopedia/lorenzo-de-medici (8 maggio 2013, 14.50). 51 ACM, Istrumenti di Casa Mamiani 1601-1650, testamento di Giulio Cesare Mamiani, cit. 52 MM, n. 92. 53 MF, pp. 20. 54 N. Cecini, Cultura e letteratura nei centri maggiori e minori tra rinascimento e barocco, in F. Battistelli (a cura) Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino dalle origini a oggi, Venezia 1986, p. 351. 55 E. Mondaini, Le nostre glorie, Pesaro 1934, p. 79. 56 MF, pp. 14-24. 57 MM, nn. 166-167. 58 AcSA, Ordini, comunicazioni e suppliche, Ordini e comunicazioni del Conte alla Comunità, ai Massari ed ai Priori, n. 399, 19 ottobre 1638. 59 Allegretti, Monte Baroccio..., cit., p. 82. 60 AcSA, Memorie storiche, n. 438, Nota della spesa per le allegrezze fatte per la venuta dell’ill.mo sig. conte Girolamo... . 61 “Laura Martinozzi duchessa di Modena”, Enciclopedia Treccani, www.treccani.it/enciclopedia/lauramartinozzi-duchessa-di-modena (5 maggio 2013, 11.40). 62 MM, pp. 30-31. 63 AdP, Stati delle anime, Sant’Angelo in Lizzola - San Michele Arcangelo, ad annos. 64 Memorie Smerczek, p. 107. 65 Ibid., p. 108. 66 MF, pp. 30-55. 67 Bonamini, Le opere e i giorni nella Cronaca della città di Pesaro, a cura di G. Scorza, Pesaro 1978, p. 17. 68 MF, pp. 44-46. 69 BOP, Istrumenti di Casa Mamiani 1601-1650, cit., testimonianza del 6 marzo 1700. 70 MF, pp. 47-53. 184


Brancati, Benelli, Divina Italia, cit., p. 29. Ibid., p. 31. 73 G. Piccinini, Pesaro tra Sette e Ottocento, in Pesaro tra Risorgimento e Regno unitario, Pesaro 2013, pp. 3 e 13. Al saggio di Piccinini e agli altri contenuti nel V e ultimo volume della collana “Historica Pisaurensia” rimandiamo per un inquadramento generale del periodo. 74 ACM, cartella 15bis, Documenti riguardanti la compravendita del palazzo baronale di Sant’Angelo con allegata supplica a Pio VIII da parte di Giuseppe Mamiani, Supplica a Pio VIII da parte di Giuseppe Mamiani. 75 Giulio Perticari al padre Andrea, da Roma, in L. Baffioni Venturi, Costanza Monti e Giulio Perticari. Amore e morte tra Marche e Romagna all’inizio dell’Ottocento, Ancona 2008, pp. 101-103. 76 Ibid., p. 105. 77 Moto proprio della santità di nostro signore papa Pio VII in data de’ 6 luglio 1816 sulla organizzazione dell’amministrazione pubblica, F. Bartet stampatore-librajo, Milano 1816, p. 72. 78 A. Roveri, “Ercole Consalvi”, Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani (1983), da www.treccani.it/ enciclopedia/ercole-consalvi_(Dizionario-Biografico) (16 maggio 2013, 15.31). 79 ACN, p. 24. 80 Per le notizie relative alle opere conservate presso la canonica della parrocchia di San Michele ringrazio l’Ufficio Beni Culturali e Artistici della Diocesi di Pesaro, il suo direttore don Stefano Brizi e il responsabile dell’Archivio storico Diocesano di Pesaro, Filippo Alessandroni. 81 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Sant’Angelo in Lizzola, Assunta 1942. Una pagina di storia paesana, Chiesa di Monte Calvello, c.n.n. 82 AcSA, Ordini, comunicazioni e suppliche, Ordini e Comunicazioni dei Conti al Vicario, n. 267bis. 83 AdP, Sant’Angelo in Lizzola, Catasto, 1584, c. 125r, 131r, 131v, 18r, 22v, 178r. 84 AcSA, Annona et Abbondantia, Quaderno dell’anno 1609 fatto da me Tib. Randi Vicario del mese di aprile, n. 193, c. 35r. 85 Ivi, Consigli, n. 144, c. 191r, 3 agosto 1651. 86 Ivi, Ordini, comunicazioni e suppliche, Ordini e Comunicazioni dei Conti al Vicario, n. 273.. 87 Ivi, Consigli, n. 215, c. 1. 88 Ibid., c. 157r e v. 89 AcSA, Ordini, comunicazioni e suppliche, Ordini e Comunicazioni dei Conti al Vicario, n. 270, 28 luglio 1596. 90 Ivi, Annona et Abbondantia, Quaderno dell’anno 1609...cit., n. 193, c. 34r e passim. 91 Ivi, Ordini, comunicazioni e suppliche, Ordini e Comunicazioni dei Conti al Vicario, n. 275, 17 maggio 1607. 92 Ivi, 26 giugno 1607. 93 Ivi, Consigli, 1640-1661, n. 144, cc. 224v-230v. 94 Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola, cit., pp. 116-117. 95 AcSA, Catasto ed estimo, Libro d’Estimo, sec. XVIII, cc. 73r-74v. 96 Ibid., cc. 155r-158v. 97 Ivi, Memorie storiche, n. 435, Estratto dal libro di bottega di M° Domenico Caterba tintore, 13 luglio 1696. 98 Ivi, Catasto ed estimo, Libro d’Estimo, cit., c 106r. 99 “Tessuto spigato di lana grossolana”, Treccani - Vocabolario online, www.treccani.it/vocabolario/rascia (16 maggio 2013, 17.35). 100 “Sorta di panno fatto di lana, e lino”, in alcuni casi lana e cotone, Accademia della Crusca, Lessicografia della Crusca in rete, www.lessicografia.it/MEZZALANA (16 maggio 2013, 17.35). 101 “Tela di lana o di lino”, Ibid. 102 “Tessuto di lana leggera”, Treccani - Vocabolario online, www.treccani.it/vocabolario/lanetta (16 maggio 2013, 17.40). 103 Cfr. gli studi sulla storia sociale del colore di M. Pastoureau, p.es. Il piccolo libro dei colori, Gravellona Toce 2006. 104 Consiglio e ufficio provinciale dell’economia, Pesaro, Elenco generale delle ditte inscritte al 31 dicembre 1929 nel registro dell’Ufficio, Tip. Federici, Pesaro 1930. 105 AcSA, b. 242, Ruolo degli esercenti arti, industrie e commercio, 1907-1908 e ASP, Camera di Commercio di Pesaro, 1869-1894, fasc. 1, S. Angelo in Lizzola, Ruolo degli esercenti arti, industrie e commercio, 1889-1890. 71

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Notizie storiche statistiche, 17 settembre 1813, in Sant’Angelo in Lizzola - storia di un antico borgo, (a cura) Amministrazione comunale, Sant’Angelo in Vado, 2005, p. 46. 107 DS, p. 201. 108 C. Ortolani, intervista a Angelo Marcolini e Gianni Pentucci, 18 settembre 2010. 109 MM, cit., n. 130. 110 AcSA, Ordini, comunicazioni e suppliche, Ordini e Comunicazioni dei Conti al Vicario, n. 269, 31 gennaio 1595. 111 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Appunti dai libri di Battesimi della Collegiata di San Michele Arcangelo, cit. (cfr. parte I, nota n. 65). 112 AcSA, Ordini, comunicazioni e suppliche, Ordini e Comunicazioni dei Conti al Vicario, n. 276, 17 gennaio 1608. 113 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Appunti dai libri di Battesimi della Collegiata di San Michele Arcangelo, cit. 114 I toponimi sono tratti da: ASP, Catasto gregoriano, Sant’Angelo in Lizzola, AdP, Sant’Angelo in Lizzola - catasto, cit.; e AdP, Stati delle anime - San Michele arcangelo di Sant’Angelo in Lizzola, 1697-1811. 115 A. Carile, Pesaro nel Medioevo. Problemi di storia delle istituzioni e della società in Pesaro tra Medioevo e Rinascimento, Venezia 1989, p. 9. 116 “Ronco”, Dizionario di toponomastica, cit. 117 L. Michelini Tocci, Castelli della riva destra del Foglia, Pesaro 1973, p. 58. 118 “Villa”, “Serra”, Dizionario di toponomastica, cit. 119 Atto di infeudazione di Sant’Angelo in Lizzola a Giulio Cesare Mamiani, copia a stampa, Gavelli, Pesaro 1814, p. 6. La copia è conservata in ACM, Istrumenti di Casa Mamiani 1601-1650. 120 ASP, Archivio notarile di Pesaro, Luigi Bertuccioli, Pesaro, cit. 121 A. Amati (a cura), “Sant’Angelo in Lizzola”, cit. 122 L. Negri, Viaggio fatto da Venezia a Roma, citato da G. Volpe, Architettura e paesaggio rurale, in Pesaro dalla devoluzione all’illuminismo, Venezia 2005, p. 222. 123 Das heutige Italien: Marken, Lindau 1703, in Volpe, Architettura..., cit., p. 222-223. 124 L. Echard, “Pesaro”, Dizionario geografico portatile, Bassano 1770, tomo II, p. 134. 125 J.J. Le Français de Lalande, Voyage en Italie, Parigi 1784, vol. 8, p. 134. 126 AcSA, Ordini, comunicazioni e suppliche, Ordini e Comunicazioni dei Conti al Vicario, n. 267bis, 20 e 27 settembre 1584 e n. 268bis, 23 dicembre 1594. 127 Ivi, Bollette, Collette, Esigenze, Dazi e Gabelle, n. 204. 128 Notizie storiche statistiche, in Sant’Angelo in Lizzola - storia di un antico borgo, cit., p. 57. 129 C. Vernelli, La popolazione di Pesaro e del suo contado nei ristretti delle anime del Seicento, in “Città e contà”, n. 13, Pesaro 2001, p. 37. 130 AdP, Stati delle anime, San Michele arcangelo di Sant’Angelo in Lizzola, ad annos. 131 Indice alfabetico di tutti i comuni appodiati frazioni ed annessi dello Stato pontificio, Roma, presso Vincenzo Poggioli, 1828, p. 196. 132 Notizie storiche statistiche, cit., p. 44. 133 Bonamini, Le opere e i giorni, cit., pp. 31-32. 134 Ibid., p. 28. 135 C. Vernelli, La popolazione di Pesaro tra le crisi epidemiche del 1591 e del 1817, in Pesaro dalla devoluzione all’illuminismo, cit., p. 82. 136 Ibid., pp. 78-81. 137 AcSA, Ordini, comunicazioni e suppliche, Ordini e Comunicazioni dei Conti al Vicario, cit., n. 273, 10 luglio 1606. 138 Ivi, 22 marzo 1606. 139 Ivi, Bandi, editti, Ordini Pubblici e Circolari, n. 316, 16 giugno 1630. 140 DS, p. 202. 141 ACN, p. 26. 142 PSM, n. 84, Stato delle Chiese di Santa Maria di Monte Calvello, e della Beata Vergine del Carmine, poste nella corte di Sant’Angelo diocesi di Pesaro. 143 DS, p. 233. 106

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ACN, pp. 26-27. Altrove (GG, Sant’Angelo in Lizzola, Blocco storico santangiolese) Gabucci data l’incendio al gennaio 1918. 145 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Assunta, cit., c.n.n. 146 Ivi, Parroci, 1926, c.n.n. 147 PSM, n. 71, Inventario fedele descrizione di tutti i mobili e suppellettili... della chiesa di Monte Calvello, 29 settembre 1816. 148 DS, p. 238. 149 “Sant’Isidoro”, in www.santiebeati.it/dettaglio/53300 (28 gennaio 2013, 12.25). 150 Persi, Dai Prà, Ville e villeggiature..., cit., p. 255. 151 PSM, n. 4, Lavori necessari alla Chiesuola di S. Isidoro della Serra. 152 Ortolani, Il facchino..., cit., p. 236. 153 DS, pp. 202 e 233. 154 Tomassini, Sant’Angelo..., cit., pp. 153-154. 155 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Sant’Angelo in Lizzola, Parroci, cit., c.n.n. 156 Ivi, Paesi e castelli, Monteciccardo, Parroci. 157 DS, pp. 239 e 203. 158 Ibid., p. 233. 159 Ibid., p. 221. 160 Calegari, Apporti esterni e cultura locale nella pittura del Seicento, in Arte e cultura..., cit., p. 396. 161 P. Bargellini, “Sant’Egidio”, www.santiebeati.it/dettaglio/68500 (28 gennaio 2013, 17.45). 162 DS, p. 221. 163 ACN, p. 23. 164 DS, p. 222. 165 Ibid., p. 221. 166 AdP, Archivio segreto, tomo 5, fasc. 26, Sant’Angelo, feudo, Fabbrica della nuova chiesa parrocchiale. 167 L. Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola..., cit., pp. 133-135. 168 Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Pesaro, www.chiesacattolica.it/beweb, (15 maggio 2013, 18.05-18.20). 169 ACN, p. 17. 170 Ibid., pp. 16-17. 171 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Venanzio Guidomei, c.n.n. 172 DS, p. 222. 173 A. Turchini, Lo stato materiale e spirituale della diocesi di Pesaro nelle “visite ad limina”, in Pesaro dalla devoluzione all’illuminismo, cit., p. 35. 174 PSM, n. 95, Risposte fatte dal Segretario dell’insigne Collegiata di Sant’Angelo in Licciola ai quesiti per le chiese canonicali giusta l’ordinamento di Sua Eccellenza rev.ma Mons. Clemente Fares vescovo di Pesaro in occasione di Sacra Visita, 1848. 175 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Collegiata di San Michele arcangelo, Atti capitolari, c.n.n. 176 Ivi, Sant’Angelo in Lizzola, “Dipinse Vincenzo Milioni...”, miscellanea, c.n.n. 177 DS, p. 198 e GG, Sant’Angelo in Lizzola, Collegiata di San Michele arcangelo, Inventario San Michele, 1932, p. 2. 178 DS, pp. 198-199. 179 Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Pesaro, www.chiesacattolica.it/beweb, cit. 180 AcSA, Chiesa collegiata di San Michele Arcangelo, Introiti ed esiti (1608-1650), n. 188, Libro delle occorrenze. 181 Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Pesaro, www.chiesacattolica.it/beweb, cit. 182 Ibid. 183 G. Scarpetti, D. Simoncelli, G. Venturini (a cura), La Collegiata insigne di Sant’Angelo in Lizzola, opuscolo stampato in proprio, Sant’Angelo 2006, p. 6. 184 Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Pesaro, www.chiesacattolica.it/beweb, cit. 185 DS, pp. 200-203. 186 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Collegiata di San Michele arcangelo, Atti capitolari, cit. 144

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DS, pp. 205-206. Ibid., pp. 203 e 234. 189 PSM, n. 141, Pia Unione sotto la protezione di San Michele arcangelo e n. 140, Pia Unione del SS. Rosario posta sotto il patrocinio della Vergine di Pompei, 1910. 190 G. Scarpetti et al., La Collegiata insigne di Sant’Angelo in Lizzola, cit., p.23. 191 ACN, p. 19. 192 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Chiesa della Scuola, in Sant’Angelo in Lizzola, il crocifisso della Scuola, 1941, c.n.n. 193 B. Cleri, Officina fanese. Aspetti della pittura marchigiana del Cinquecento, Milano 1994, pp. 94-96. 194 GG, Sant’Angelo in Lizzola, danni di guerra, Quadri, edifici sacri e oggetti artistici danneggiati nell’agosto 1944 per il passaggio del fronte, c.n.n. 195 PSM, n. 93, Risposta agli articoli sottoposti ai Sigg. Priori o Superiori delle Confraternite dei Luoghi Pii di S. Angelo in Lizzola in sede di Visita Pastorale del Vescovo Clemente Fares, cc. 29r-30r. 196 DS, P. 233. 197 PSM, n. 93, cit., cc. 24v-25r. 198 AcSA, Ospedale di Sant’Angelo, Introiti ed esiti, Ospedale, esito, n. 158, c 1 e passim. 199 DS, p. 236 200 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Blocco storico santangiolese, 1 maggio. 201 AcSA, Ospedale di Sant’Angelo, Introiti ed esiti, Ospedale, esito, cit., c 200r e v. 202 ASP, Genio civile, Sant’Angelo in Lizzola, Perizia dei lavori di demolizione strutture pericolanti e sgombero macerie nella chiesa cappella votiva del capoluogo del comune di Sant’Angelo in Lizzola, 8 feb 1952. 203 PSM, n. 93, Risposta..., cit., cc. 15r-16v. 204 Ivi, Risposte ai Quesiti emanati da monsignor Giovanni Carlo Gentili..., cit., c. 45r. 205 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Parroci, cit. 206 PSM, n. 93, Risposta agli articoli..., cit., cc. 11r. 207 Ivi, Risposte ai Quesiti emanati da monsignor Giovanni Carlo Gentili..., cit., c. 44r-v. 208 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Parroci, cit. 209 AcSA, Censi e legati, Amministrazione Magni, n. 160, cc. 120-152 e passim. 210 PSM, n. 10, Confraternita sotto il titolo delle Stimmate di San Francesco in Sant’Angelo in Lizzola, 1941. 211 DS, pp. 236-237. 212 AcSA, Monte Frumentario, n. 161, Nuovo Libro del Monte Frumentario della Venerabile Compagnia del SS. Sacramento di Sant’Angelo in Lizzola, 1838, passim. 213 Ivi, Memorie storiche, Planimetria, n. 677. 214 AdP, Stati delle anime, San Michele Arcangelo di Sant’Angelo in Lizzola, cit., 1711. 215 Ortolani, Il facchino..., cit., p. 85. 216 PSM, n. 209, Compagnia della Natività e Ospedale, c.n.n. 217 Ivi, n. 93, Risposta agli articoli..., cit., cc. 33-35r. 218 PSM, Risposte ai Quesiti emanati da monsignor Giovanni Carlo Gentili, cit., c 33r. 219 AcSA, Introiti ed Esiti, Libro del Ven. Ospedale di S. Angelo, n. 158. 220 Cfr. Ortolani, Il facchino, cit., p. 47. 221 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Appunti dai libri di Battesimi della Collegiata di San Michele Arcangelo, cit. 222 T. Mamiani, prefazione a Opuscoli scientifici del conte Giuseppe Mamiani della Rovere, Società tipografica, Firenze 1845, pp. XIII –XXI. 223 Benelli, Brancati, Divina Italia, cit., p. 31. 224 Memorie Smerczek, p. 107. 225 Benelli, Brancati, Divina Italia, cit., pp. 33-34. 226 Ibid., pp. 32-33. 227 T. Mamiani al fratello Giuseppe, Parigi, 23 dicembre 1841, in T. Casini, La giovinezza e l’esilio di Terenzio Mamiani, Firenze 1896, www.archive.org/stream/lagiovinezzaeles00casiuoft/lagiovinezzaeles00casiuoft_djvu.txt (2 giugno 2013, 17.30). 228 Salvo diversa indicazione le notizie su Terenzio Mamiani sono tratte da Benelli, Brancati, Divina Italia, cit. 187

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In Benelli, Brancati, Divina Italia, cit., p. 122. Ibid., p. 461. 231 G. Finali, La vita politica di contemporanei illustri, Roux Frassati, Torino 1895, p. 364. 232 Gabucci, De Praetis-Bussi card. Gio. Battista, GG, Uomini illustri, schede, Sant’Angelo in Lizzola. 233 AdP, Stati delle anime, San Michele Arcangelo di Sant’Angelo in Lizzola, 1711-1716, cit. 234 AcSA, Governo provvisorio (1814-1816), Lettere di ufficio, n. 683, Consiglieri del comune di Sant’Angelo. 235 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Acquisto terreno De Pretis – Lavori piazzale, Il delegato apostolico al priore comunale di Sant’Angelo, 28 febbraio 1853. 236 Ivi, 24 luglio 1853. 237 Ivi, Ricevute del 3 settembre e del 17 ottobre 1853, Nota delle spese, 17 ottobre 1853. 238 ASP, Catasto dei fabbricati, registro delle partite, Sant’Angelo in Lizzola, cit., partita n. 100, Marcolini Angelo fu Luigi. 239 Persi, Dai Prà, Ville e villeggiature..., cit. p. 253. 240 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Muccioli, Muccioli a Sant’Angelo. 241 Gabucci, Il pesarese Pierfrancesco Muccioli vescovo di Messene,“Studia Picena”, pubblicazione del Pontificio Seminario Marchigiano Pio XI, Fano 1940, pp. 135-140. 242 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Muccioli, lettera di Riccardo Muccioli a Giovanni Gabucci, 15 luglio 1916, p. 3. 243 A. Donati, A. Lazzari, La devoluzione alla Santa Sede apostolica..., cit., p. 190. 244 AcSA, Regno italico, Consigli, 1811-1818, 13 agosto 1817. 245 “Baccalà, acciughe, sardine”, M. Barberini, Scarlino e il suo territorio, Firenze 1985, p. 312. 246 DS, pp. 201, 204 e 200. 247 ASP, Legazione Apostolica, Feudi, Sant’Angelo in Lizzola, b. 6, n. 26, Tabelle. 248 AcSA, Introiti ed esiti, Tabelle, 1826, n. 650, pp. 3-7. 249 Ivi, Governo provvisorio (1814-1816), Delibere di consiglio, 25 febbraio 1818. 250 Ivi, 23 luglio 1817. 251 Ivi, Lettere di ufficio, n. 683, Inventario fatto all’osteria degli otensili spettanti a questa Comunità, 1 gennaio 1802 - 13 luglio 1814. 252 “Lino, stoppa o canapa filata”, A. Morri, Vocabolario romagnolo-italiano, Faenza 1840. 253 AcSA, Governo provvisorio (1814-1816), Lettere di ufficio, n. 683, Inventario fatto ad instanza del sig. Giovanni Berti gonfaloniere di questa città... di tutti li mobili ed altro esistenti in questa osteria, 13 febbraio 1804. 254 Ivi, Inventario degli ottensili della scuola, 1807. 255 Ivi, Memorie storiche, n. 673, Licenza rilasciata dal vescovo Nicola Serarcangeli per aprire una nuova scuola, 1827 e Esame scolastico, 1841. 256 Ivi, Memorie storiche, n. 676, Sovvenzione per far studiare pittura a Roma al giovane oriundo Antonio Baldini, 1853. 257 Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola, cit., p. 97. 258 Ivi, Lettere di ufficio, n. 683, Inventario dell’armeria di Sant’Angelo, 1815. 259 Ivi, Inventario degli otensili del pubblico macello, 1808-1810. 260 “Vettina”: orcio, specialmente da olio, cfr. Dizionario italiano (Hoepli), www.grandidizionari.it/Dizionario_Italiano/parola/v/vettina.aspx?query=vettina; “buzzo”: grosso barile, cfr. M. Cortelazzo, I dialetti italiani: storia, struttura, uso, Torino 2002, p. 476. 261 AcSA, Lettere di ufficio, n. 683, Inventario di tutti gli otensili spettanti al pubblico forno, 1802-1804. 262 G. Cassi, Il Cardinale Consalvi ed i primi anni della restaurazione pontificia (1815-1819), Società Anonima Editrice Dante Alighieri, Milano-Genova-Roma-Napoli, 1921. 263 Giulio Perticari a Benedetto Solustri, 3 luglio 1817, in F. Petruzzelli (a cura), Opere del conte Giulio Perticari di Savignano, vol. I, Bari 1841, p. 238. 264 AcSA, Governo provvisorio (1814-1816), Lettere di ufficio, n. 683, lettera di Gianfrancesco Mamiani al priore del Comune di Sant’Angelo in Lizzola, 28 marzo 1816. 265 AdP, Processi di nobiltà, Famiglia Mamiani, cit., cc. 110v-111r. 266 Benelli, Brancati, Divina Italia, cit., p. 35. 267 T. Casini, La giovinezza e l’esilio..., cit. 229 230

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AcSA, Legazione apostolica, Suppliche ed esposti al conte, n. 552, 1800-1808. L. Strappini, “Carlo Goldoni”, Dizionario biografico degli Italiani, Treccani (vol. 57, 2002), www.treccani.it/enciclopedia/carlo-goldoni_(Dizionario-Biografico) (22 maggio 2013, 10.55). 270 R. Ascarelli, “Luigi Del Buono”, Dizionario biografico degli Italiani, Treccani (vol. 36, 1988), www. treccani.it/enciclopedia/luigi-del-buono_(Dizionario-Biografico) (22 maggio 2013, 10.55). 271 In G. Ortolani, Voci e visioni del settecento veneziano, Zanichelli, Bologna 1926, p. 40. 272 AcSA, Governo provvisorio (1814-1816), Lettere di ufficio, n. 683, 28 dicembre 1816. 273 Ivi, b. 81, I dilettanti comici al prefetto, 31 gennaio 1813. Il documento è stato consultato nel 2007, prima della sistemazione dell’Archivio. Per la collocazione attuale si rimanda all’Inventario dello stesso. 274 B. J. Marsollier des Vivetières, La neve, ossia Rinaldo d’Asti, trad. it. di Pietro Andolfati, in Terza raccolta di scenici componimenti applauditi, t. XI, Venezia 1808. La farsa fu rappresentata a Milano nel 1804: cfr. G. Martinazzi, Accademia de’ Filodrammatici di Milano, cenni storici, Milano 1879, www.archive.org/ stream/accademiadefilod00mart/accademiadefilod00mart_djvu.txt (22 maggio, 12.10). 275 In F. Albergati Capacelli, Opere, nella stamperia di Carlo Palese, Venezia 1783, tomo I. 276 AcSA, I dilettanti comici al prefetto, 31 gennaio 1813, cit. 277 Ivi, Governo provvisorio (1814-1816), Lettere di ufficio, n. 683, Inventario fatto dei legnami e altri generi esistenti nella rimessa pubblica ricevuta dal sig. Giovanni Muccioli ex sindaco, 26 maggio 1814. 278 Ivi, Regno italico, Consigli, 1811-1818, 10 ottobre 1811. 279 BOP, Fondo Mamiani, Affari del Feudo di Sant’Angelo e Montecchio dal primo Conte Giulio Cesare Mamiani della Rovere dal dì 4 aprile 1584 a tutto il dì 20 dicembre 1613, c.n.n. 280 Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola, cit. p. 46. 281 Monteciccardo, Archivio parrocchiale di San Sebastiano, Libri dei morti, 27 ottobre 1804 e 18 marzo 1911; ringrazio per la segnalazione Gabriele Bonazzoli. 282 “Rivista del Collegio araldico”, 1922, p. 21, http://books.google.it/books?id=PPsIAQAAIAAJ&q=angi ola+lapi&dq=angiola+lapi&hl=en&sa=X&ei=Sa56UfylB6ek4gStpYDYBg&ved=0CDkQ6AEwAQ (18 maggio 2013, 12.35). 283 L. Bertuccioli, Memorie intorno la vita del conte Giulio Perticari con un saggio di sue poesie, Pesaro 1822, pp. 4-5. 284 Baffioni Venturi, Costanza Monti e Giulio Perticari..., cit., p. 105. 285 M. M. Lombardi, “Vincenzo Monti”, Enciclopedia dell’italiano (2011), Treccani, www.treccani.it/enciclopedia/vincenzo-monti_(Enciclopedia-dell’Italiano). 286 C. Agostinelli, in R. P. Uguccioni (a cura), Atti del processo a Costanza Monti Perticari, Fano 2008, p. 18. 287 M. Donati, “Andrea Ranzi” (1935), Enciclopedia italiana, www.treccani.it/enciclopedia/ranzi_res23e9b6cf-8bb6-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia_Italiana) (20 maggio 2013, 16.55). 288 Andrea Ranzi a Giorgio Regnoli, 16 agosto 1838, in Baffioni Venturi, Costanza Monti e Giulio Perticari..., cit., p. 86 e p. 78. 289 G. Izzi, “Costanza Monti”, Dizionario biografico degli italiani, vol. 76 (2012), Treccani, www.treccani.it/ enciclopedia/costanza-monti_(Dizionario-Biografico) (23 maggio 2013, 10.10). 290 C. Agostinelli, Per me sola – biografia intellettuale e scrittura privata di Costanza Monti Perticari, Roma 2006, p. 66. 291 A. Amati (a cura), “Sant’Angelo in Lizzola”, Dizionario corografico dell’Italia, F. Vallardi tipografo-editore, Milano 1869, vol. VII. 292 Intervista di C. Ortolani a Giancarlo Cacciaguerra Perticari, autunno 2009. 293 Giovanni Gabucci a Antonio Zecchini, 5 marzo 1941, in GG, Sant’Angelo in Lizzola, Liverani, c. 1. 294 Cfr. “Rubiconia Accademia dei Filopatridi”, Quaderno n. 1, Savignano 1960, p. 30. 295 Vincenzo Monti a Giacomo Trivulzio, 15 settembre 1815, in Opere di Vincenzo Monti, “Epistolario”, presso G. Resnati e G. Bernardoni, Milano 1842, tomo VI, p. 284. 296 Giulio Perticari a Terenzio Mamiani della Rovere, 6 agosto 1815 e a Benedetto Solustri, 12 agosto e 10 settembre 1815, in F. Petruzzelli (a cura), Opere del conte Giulio Perticari..., cit., pp. 275 e 279. 297 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Appunti dai libri di Battesimi della Collegiata di San Michele Arcangelo, cit. 298 T. Casini, Rossini in patria, in “Nuova antologia di scienze, lettere ed arti”, vol. XXXVIII, Roma 1892, p. 122. 268

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Baffioni Venturi, Costanza Monti e Giulio Perticari..., cit., p. 45. F. Battistelli, Musica e teatri: l’apoteosi del melodramma, in Battistelli (a cura), Arte e cultura..., cit., p. 500. 301 ACN, p. 21. 302 AdP, GG, Sant’Angelo in Lizzola, Il teatro Perticari di Sant’Angelo, c.n.n. 303 Cfr. A. Cottino, “Antonio e Assunta Dori”, in Dipinti e disegni della Pinacoteca civica di Pesaro, Pesaro 1996, pp. 154-156. 304 F. Rocchi, Teatro privato di casa Perticari in Sant’Angelo in Lizzola, in Alla contessa Vittoria Perticari sposa al signor Giovanni Ricci Bartoloni in Lugo, Pesaro, Tip. Nobili, 1854, pp. 7-8. 305 Giovanni Gabucci a Antonio Zecchini, cit., c. 3. 306 Omaggio a Romolo Liverani a duecento anni dalla nascita, http://pinacotecafaenza.racine.ra.it/ita/ sale_1b.htm (12 giugno 2013, 10.30). 307 Giovanni Gabucci a Antonio Zecchini, cit., cc. 4 e 8. 308 Baffioni Venturi, Costanza Monti e Giulio Perticari, cit., p. 5. 309 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Danni di guerra, minuta della lettera inviata da Gabucci alla Soprintendenza delle Belle Arti di Urbino, 4 gennaio 1946, c.n.n. 310 Battistelli, Musica e teatri..., cit., p. 500. 311 ASP, Catasto dei fabbricati, registro delle partite, Sant’Angelo in Lizzola, cit., partita 124, Perticari Andrea, Giulio e Giuseppe. 312 Battistelli, Musica e teatri..., cit., p. 500. 313 ACN, p. 21. 314 Cfr. p. 315 Cfr. S. Picozzi, La vecchia fonte di Sant’Angelo in Lizzola, Sant’Angelo in Lizzola 2010, pp. 28-29. 316 Cfr. Ortolani, Il facchino..., cit., p. 117 e Monteciccardo. Cronache, storie, ricordi, Fano 2009, pp.6469. 317 Cfr. Picozzi, La vecchia fonte..., cit., p. 42. 318 ACSA, Memorie storiche, n. 675, Lavori alla pubblica fonte, 1845, c.n.n. 319 Ivi, Capitolato dei lavori. 320 Ivi, Scandaglio della spesa occorrente per compire la sistemazione della pubblica fontana di Sant’Angelo in Lizzola, 1846. 321 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Sant’Angelo in Lizzola, appunti e ricerche, pp. 70-71. 322 Cfr. nota n. 39. 323 Cfr. Uguccioni, Pesaro 1815-1860. Politica, istituzioni, società, in Pesaro tra Risorgimento e Regno unitario, cit., pp. 15-40. 324 C. Marcolini, Notizie storiche della provincia di Pesaro e Urbino dalle prime età fino al presente, Pesaro 1868, pp. CDXXXIII-CDXXXIV. 325 J. Giono, L’ussaro sul tetto, ed. digitale, Parma 2011. 326 Il cholera morbus nella città di Bologna l’anno 1855. Relazione della deputazione comunale di sanità preceduta da notizie storiche intorno le pestilenze nel Bolognese, Bologna 1857, pp. 426-428. 327 “Santuario della Madonna delle Grazie”, www.arcidiocesipesaro.it/parrocchie/93-elenco-parrocchie-echiese/433-santuario-madonna-delle-grazie.html (3 giugno 2013, 17.15). 328 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Il colera a Sant’Angelo, c.n.n. 329 Monteciccardo, archivio della parrocchia di San Sebastiano, Libro dei morti, cit., 23 agosto 1855. 330 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Il colera a Sant’Angelo, cit., c.n.n. 299 300

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III. Come una fotografia Lampi, 1860-1945



Il Regno d’Italia, 1860-1922

Sant’Angelo in Lizzola, 4 novembre 1860. Il plebiscito 4 novembre 1860. Nelle Marche si svolgono i plebisciti per l’annessione al Regno d’Italia. A Sant’Angelo in Lizzola si contano 168 sì, 3 no e 2 voti nulli, “non compresi 30 voti del Sì sopraggiunti dopo la chiusura del verbale”1. Il verbale della Corte di giustizia, redatto in Ancona il 9 novembre 1860, riporta per il circondario di Pesaro 21.017 voti affermativi, 149 negativi e 68 nulli, per quello di Urbino 21.111 “Sì”, 365 “No” e 29 voti nulli2. Tra le carte di Giovanni Gabucci si conservano le copie dei verbali della votazione per l’annessione al Regno d’Italia. “Manca il risultato della votazione”, annota il sacerdote, che forse per questo riporta numeri diversi da quelli del verbale: “il numero di 442 votanti dai quali detratti i minorenni votarono soltanto 163 persone (e non tutti certamente per il sì) e se ne astennero 279”. Sant’Angelo in Lizzola, 4 Novembre 1860. In nome di sua maestà Vittorio Emanuele II. Analogamente al rispettato decreto di S. E. il regio commissario straordinario in data 21 spirato ottobre n. 97, osservate le prescrizioni tutte del citato regio decreto, fra le quali la pubblicazione della lista elettorale di cui è risultato un n. di 440 votanti [Gabucci annota tra parentesi: sono 442], sotto la presidenza della commissione municipale, assistita dal proprio segretario è stata oggi 4 novembre alle ore 9 antimeridiane aperta in apposita sala del palazzo comunale di Sant’Angelo la pubblica adunanza, e dato principio alla votazione per l’annessione alla gloriosa monarchia di Vittorio Emanuele II. Quindi il sacerdote don Francesco canonico Felici ha data lettura al proclama del Municipio ai suoi concittadini in seguito di che hanno preso parte alla suddetta votazione i seguenti cittadini. 1860, i votanti

Guidi Raffaele, Betti Raimondo, Venturi Luigi, Pascucci Annibale, Alessandri Giuseppe, Celli Gregorio, Fedeli Fortunato, Frangi Lorenzo, Giunta Giuseppe, Mancini Francesco, Brighi Antonio, Felici Luigi, Giacconi Pietro, Macchini Raffaele, Iacomacci Fortunato, Fedeli Alessandro, Franci Augusto, Balducci Giovanni, Bartoli Giuseppe, Lazzari Giovanni, Bartoli Pietro, Cermatori Lorenzo, Giovannini Giuseppe, Del Vedovo Giacomo, Bailetti Francesco, Venturi Giacomo, Terenzi Gio. Batta, Corucci Felice, Giovannini Francesco, Allegrucci Domenico, Paci Terenzio, Appiotti Zenone, Riccioli Giuseppe, Bartolomeoli 195


Giacomo, Celli Cesare, Gambini Francesco, Gambini Giuseppe, Gambini Luigi, Urbinati Domenico, Angelini Girolamo, Bartolucci Angelo, Micheli Giuseppe, Micheli Giovanni, Fedeli Gualtiero, Gili Domenico, Giannoni Giulio, Garattoni Tommaso, Giovanelli Egidio, Giunta Giuseppe fu Domenico, Bellocchi Francesco, Sacchini Gio.Batta, Del Vedovo Giuseppe milite in permanenza, Felici Giovanni, Giovanelli Luigi, Pascucci Pietro, Pascucci Terenzio, Valesi Luigi, Mancini Girolamo, Pascucci Ciriaco, Ortolani Terenzio, Pieri Luigi, Romani Giovanni, Giuliani Francesco, Vagnini Angelo, Felici Giulio, Felici canonico don Francesco, Rossi Lorenzo, Pagnoni Domenico, Camilli Giuseppe, Barbanti Giulio, Barbieri Serafino, Pagnoni Pietro, Stramigioli Pietro, Brunelli Dorino, Spadoni Luigi, Borgoni Giuseppe, Cassiani Valeriano, Cassiani Giovanni, Fornacelli Eracliano, Romani Pasquale, Bacchiani Giuseppe, Fornacelli Giovanni, Sanchioni Francesco, Camilli Giacomo, Bassani Luigi, Amadori Antonio, Romani Angelo, Romani Giuseppe, Bezziccheri Giuseppe, Donati Paolo, Orfei Domenico, Amadori Giovanni, Pagnoni Giovanni, Sanchioni Raffaele, Bezziccheri Valeriano, Bezziccheri Giovanni, Gabrielli Giovanni, Gostoli Crescentino, Franci Mauro, Santarelli Giovanni, Gabrielli Domenico, Simoncelli Ignazio, Gabrielli Antonio, Gabrielli Giuseppe, Mengacci Giuseppe, Salucci Gio. Batta, Mariotti Giuseppe, Giovanelli Pietro, Bacchiani Vincenzo, Bui Giovanni, Giovanelli Ubaldo, Gili Terenzio, Bailetti Giacomo. Pervenute le ore 5 pomeridiane, e per conseguenza l’ora prescritta per la chiusura dell’adunanza è stata a pubblica vista suggellata l’urna contenente i Voti, e quindi la Commissione municipale ha dichiarata sciolta l’Adunanza medesima per riaprirla nel domani alla stessa ora, giusta il disposto del succitato regio decreto e così sia.

La votazione riprese la mattina del 5 novembre, alle 9, con 49 votanti: Foglietta Domenico, Gamba Nicola, Foglietta Giuseppe, Ricci Antonio, Pentucci Francesco, Borgoni Angelo, Uguccioni Vincenzo, Giovannini Pietro, Giovannini Domenico, Cassiani Giovanni, Ferrini Giacomo, Campanari Giovanni, Scavolini Giuseppe, Dini Angelo, Baiocchi Giovanni, Brunelli Bernardino, Brunelli Antonio, Orfei Giuseppe, Scavolini Agostino, Tucchi Francesco, Salvatori Giovanni, Battistelli Francesco, Pierucci Girolamo, Cenciarini Antonio, Cenciarini Francesco, Bailetti Domenico, Angelini Angelo, Del Monte Giuseppe, Uguccioni Eracliano, Paci Giulio, Cassiani Pietro, Bertuccioli Giovanni, Pascucci Pasquale, Giovannini Amato, Giampavoli Luigi, Pentucci Giacomo, Sanchietti Stefano, Brancorsini Francesco, Didoni Antonio, Dini Eduardo, Vergili Andrea, Angelotti Terenzio, Bezziccheri Giuseppe, Paccassoni Giovanni, Giulini Cesare, Fattori Giuseppe, Amadori Gaetano, Arseni Giuseppe, Giuseppe Foschi. 196


Romani Francesco, Appiotti Filippo, Paccassoni Giuseppe, Mancini Gaetano, Garattoni Enrico, Tucchi Enrico, Donati Roberto, Fedeli Vincenzo, Marcolini Angelo non furono ammessi al voto perché “mancanti dell’età prescritta”. Nel Regno di Sardegna la legge elettorale emanata da re Carlo Alberto il 17 marzo 1848 prevedeva che a esercitare il diritto di voto fossero solo i maschi di età superiore ai 25 anni, che sapessero leggere e scrivere e che pagassero al regno un tributo di 40 lire. Erano ammessi a votare, indipendentemente dal censo, anche i magistrati, i professori e gli ufficiali.

Il Proclama del Municipio

Proclama del Municipio. La votazione alla quale foste chiamati, non ha altro scopo che di unire anche le nostre Provincie, ed il nostro Paese col rimanente d’Italia libera. Il vostro voto dunque deciderà la sorte vostra. Quel sì che deporrete nell’urna faravvi sudditi di un re italiano, di un padre amoroso che altro non brama, che il bene degli sventurati suoi figli, e quai figli sleali daremmo il voto contrario per non unirsi a tal Padre, che sin d’ora ci ha date non dubbie prove di sua magnanimità collo sgravio, e diminuzione di tanti pesi che troppo gravavano i nostri miseri popoli! Accorrete adunque e senza indugio, né vi rattenga le perfide insinuazioni che alcuni maligni cercano sussurrarvi all’orecchio; questi altro non sono, che amici della oppressione, e nemici della Patria, che tentano pervertire il popol men colto, e con ben acconci raggiri trarlo in inganno, dando ad esso ad intendere, che mentre adempie il proprio dovere di buon cittadino incorre nella più grande scomunica.

Schede per la votazione del 1860 (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci). A pagina 194: Il castello e la torre, 1916 circa (fotografia Uguccioni, Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio Giovanni Gabucci)

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Falso ed ingannevol sospetto, mentre vien da essi confuso la polizia con la religione. A confutazione di tale assurdo rispondete che Vittorio Emanuele è cristiano, e cattolico, e che Dio è col suo popolo: e che se ingiusta è una sentenza non deve attendersi, avvegnaché una sentenza iniqua non grava nessuna coscienza né appo Dio né appo la chiesa sua. Col vostro voto affermativo, cioè col vostro Sì, voi farete trionfare la religione, procurerete un bene all’Italia, al nostro stato, e grande giovamento per voi stessi, e pei vostri figli, i quali attendono dai padri la parte per l’avvenire. Non curiamo dunque i perfidi suggerimenti, ma pronti accorriamo a deporre nell’urna il nostro Sì gridando Viva la religione, viva Vittorio Emanuele nostro Re, viva l’Italia unita. Sant’Angelo in Lizzola, 4 Novembre 1860, la Commissione: Raffaele Guidi, Raimondo Betti, Giuseppe Alessandri, Luigi Venturi, Annibale Pascucci.

Il canonico Felici, uno degli otto sacerdoti della Diocesi di Pesaro sospesi a divinis per il loro voto a favore dell’annessione, “era maestro di scuola e dopo la sospensione ebbe dal Municipio un sussidio di circa 60 lire”. Come rileva Gabucci, don Felici “si ravvide”: quando morì a soli 43 anni, stroncato dalla tisi, le sue esequie, descritte nel X Libro dei Defunti della Collegiata, furono celebrate in forma solenne3. Il 28 settembre 1861 il sindaco risponde, non senza una punta di orgoglio di campanile, al dispaccio del prefetto di Pesaro in merito al “periodico rapporto sullo spirito politico degl’abitanti di questo Comune principale, e sua frazione Montecchio”: [A Sant’Angelo in Lizzola] lo spirito politico della gioventù, e di molti altri abitanti è veramente patriottico. Vi sono però non pochi retrogradi ben conosciuti, del partito clericale, e di conseguenza avversi all’attuale legittimo governo di sua maestà. [A Montecchio] lo spirito politico di quegl’abitanti, niuno eccettuato, non solo non è punto razionale, ma anzi del tutto avverso all’attuale ordine di cose. La Gioventù poi è dedita soltanto all’ozio, vagabondaggio ed a reati d’ogni genere4.

Timbro del Comune di Sant’Angelo in Lizzola, Delibere consiliari, 1869 (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola) 198

Il canonico Felici


Persone e mestieri, 1858-1871 Ritroviamo i nomi degli ammessi al voto del 1860 nel Ruolo dei contribuenti per la tassa delle arti e commercio, riferito agli esercenti dell’intero comune di Sant’Angelo in Lizzola. L’importo della tassa va dai 50 bajocchi versati da barbiere, “canestraro” e “mastellaro” agli 8 scudi degli “affittuari”; salumaj, droghieri e macellaj pagano 1 scudo e 80 bajocchi, i carrettieri 1,20, gli “spacciatori di sali e tabacchi” 90 bajocchi; tutti gli altri versano 60 bajocchi. Tra Sant’Angelo e Montecchio esercitano 8 calzolai, 5 falegnami, 4 fabbri ferrai e altrettanti muratori, 3 “spacciatori di sali e tabacchi”, 2 salumai, 2 macellai, 2 droghieri, 2 calderai, 2 tintori cui si aggiungono 2 caffè, 3 mulini (uno dei quali registrato a nome di una donna, Colomba Donati), oltre a carrettiere, birocciaio, bottaio, canestraro, mastellaro, fornaio. Spiccano lo “spaccio di cottonine” gestito da Eugenia Bartoli, l’archibugiere, il sarto e un produttore di miele e cera d’api. Franzi Lorenzo, fabbro ferrajo; Corucci Felice, fabbro ferrajo; Gili Terenzio, droghiere; Giovannetti Ubaldo, falegname; Andreatini Nicola, sarto; Celli Cesare, sali e tabacchi; Bartoli Giuseppe, sali e tabacchi; Giunta Giuseppe, bottacchiaro; Garattoni Tommaso, salumaio; Bartoli Giuseppe, calzolaio; Mancini Girolamo, salumajo; Romani Giovanni, macellajo; Del Vedovo Giacomo, barbiere; Valesi Vincenzo, calzolaio; Baldelli Gio. Batta, calzolajo; Gostoli Crescentino, facocchio di arte bianca; Brighi Antonio caffè; Guidi Raffaele, tintore; Buj Giovanni, falegname; Mancini Franco, mastellaro; Gabrielli Lorenzo, caldaraio; Bartolomeoli Giacomo, caldararo; Bartoli Giuseppe, molino ad olio; Donati Colomba, molino ad olio; Macini [sic] Franco, idem di miele, e cera vergine; Giannoni Giulio, falegname; Felici Luigi, muratore; Tucchi Franco, muratore; Ricci Gaetano, fornaro; Bartoli Eugenia, spaccio di cottonine; Salucci Gio. Batta, birocciaro; Barbiere Serafino, calzolaio; Giannoni Franco, falegname; Amadori Giovanni, fabbro ferrajo; Donato Antonio, droghiere; Pagnoni Vincenzo e Domenico mola ad olio; Orfei Domenico, fabbro ferrajo; Donato Giuseppe, spaccio di sali e tabacchi; Rossi Salvatore, calzolaro; Amadori Gaetano, tintore; Bezziccheri Giuseppe, macellajo e pizzicagnolo; Alessandri Giuseppe, spaccio di farine; Branca Pietro, carro con bestia; Montagnoli Pasquale, canestraro; Garattoni Giuseppe, affittuario; Alessandri Giuseppe, affittuario; Betti Raimondo [?]; Tucchi Biagio, muratore; Gabrielli Giovanni muratore; Ortolani Terenzio, falegname; Celli Ercole caffè; Gennari Angelo, calzolaio; Brancorsini Luigi, archibugiere; Gerboni Enrico, calzolaio; Cassiani Giovanni, muratore; Di Cecco Terenzio, carrettiere; Simoncelli Ignazio, canepino; Pieri Luigi, affittuario; Paci Luigi, affittuario; Giunta Giuseppe, calzolaio5. 199


Domenico Bartoli e i “fratelli Gily”, commercianti in “ferrareccie e altri generi” sono i soli santangiolesi a comparire nell’Elenco dei negozianti e commercianti domiciliati nella parte marittima della provincia di Pesaro e Urbino, datato 18496; la “fabbrica di cera” è invece segnalata anche dal Dizionario corografico di Amato Amati (1869), basato su notizie dovute “alla cortesia dell’onorevole sindaco di questo comune”. Anche Amati pone l’accento su fiere e commercio, sottolineando oltre all’ “aere saluberrimo” e la “vista amenissima” anche la “buona rete di strade rotabili”7. Molti dei protagonisti della vita santangiolese tra Otto e Novecento arrivano infine dai paesi vicini, come si legge sul Registro della popolazione datato 1864, dal sarto Nicola Andreatini giunto da Gradara insieme col figlio Luigi, farmacista all’orologiaio Fortunato Iacomacci, originario di Cartoceto ai maestri di musica Abbondio Govoni, proveniente da Cento (Ferrara), Giovanbattista Colarizi e Zenone Appiotti, nativo di Senigallia, insieme con il figlio Filippo, “musicante dell’esercito italiano”8.

Disegno per la scanzia... per uso della Segreteria comunale, sec. XIX (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola). Nella pagina seguente: Sant’Angelo in Lizzola, 1913. Gruppo di Santangiolesi alla Villa Marcolini, dettaglio della fotografia alle pagine 192-193 (fotografia C. Lardoni). Da sinistra a destra, seduti: il segretario comunale Ferdinando de La Ville Sur Illon, il maestro Celestino Pizzagalli; in piedi: Andrea Marcolini, il maestro Duilio Tacconi, Gino Guidi, il farmacista Giuseppe Andreatini, l’ex maresciallo Emilio Giacomazzi, Antonio Pucci, Sandro Andreatini. L’indicazione delle persone ritratte è riportata da Giovanni Gabucci sul retro della fotografia (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci)

200


Sant’Angelo in Lizzola, 1871. Una fotografia Secondo il censimento del 1871, il secondo dell’Italia unita, Sant’Angelo in Lizzola conta 1.828 abitanti, distribuiti tra la borgata di Sant’Angelo, la villa di Montecchio e le campagne circostanti. I maschi sono 953, le femmine 875, di cui celibi 543, nubili 408, coniugati 368 maschi e 384 femmine, cui si aggiungono 42 vedovi e 83 vedove. “Sanno leggere” 207 maschi, 147 femmine; “non sanno leggere” 746 maschi, 728 femmine. Tra il 1872 e il 1879 diciotto atti di matrimonio risultano sottoscritti dallo sposo e dalla sposa, 15 dal solo sposo, uno dalla sola sposa; 68 atti, infine, da nessuno dei due. Le “case abitate” sono 199 di cui 70 agglomerate e 129 sparse nella campagna, le “case vuote” 27 (nella “villa di Montecchio” si contano 125 case abitate, di cui 53 agglomerate, 72 sparse e 30 case vuote). Le famiglie sono 240 a Sant’Angelo (101 agglomerate, 139 sparse) e 181 a Montecchio (93 agglomerate; 88 sparse). I residenti effettivi sono 941, di cui 363 nella “borgata” e 578 nella campagna (848 nella villa di Montecchio); gli abitanti “con dimora occasionale” sono 33 tra Sant’Angelo e la campagna circostante, 6 a Montecchio e campagna, mentre risultano “assenti dal comune” 51 persone a Sant’Angelo e 33 a Montecchio. Come di consueto poniamo brevemente a confronto Sant’Angelo in Lizzola con i paesi vicini e con la città di Pesaro: a Monteciccardo si contano 1.538 abitanti (833 maschi, 705 femmine); a Montelabbate 2.005 (1057/948); a Ginestreto, che fino al 1929 resterà comune autonomo, 1.541 abitanti (806/735). Pesaro conta infine 19.691 abitanti (10.062 maschi e 9.629 femmine)9.

201


Italia, 1871 Gli italiani residenti sono 27.303 milioni (presenti 26,801 milioni). Considerando i confini attuali, gli italiani sono 28.151 milioni. Le donne sono il 49,1%. Il 35,6% degli italiani è sposato. Quest’anno si sono celebrati 192.839 matrimoni. L’altezza media dei maschi iscritti alla leva (ipotizzando un’età di 17 anni) è di 162,64 centimetri. Il 28,3% sta tra i 160 e i 164 cm, l’1,7% misura meno di 145 cm, lo 0,6% 180 e oltre. Il Regno d’Italia ha una superficie di 296.305 km quadrati. I comuni sono 8.382, i centri abitati 25.337. Il 74,3% della popolazione vive nei centri abitati. Densità: 90,5 abitanti per km quadrato. Il 57,7% degli uomini e il 76,7% delle donne non hanno sottoscritto l’atto di matrimonio perché non sapevano scrivere (in totale il 67,2%). Per l’anno scolastico 1871-72 gli iscritti alla scuola elementare sono 1 milione e 723mila (960mila maschi e 762mila femmine), alle scuole media e superiore 24mila, all’università 12mila (il 35,6% è iscritto a un corso di laurea a indirizzo scientifico, il 31,9% giuridico, il 27,1% medico, il 3,1% agrario, l’1,4% letterario, lo 0,8% economico-statistico). l 69% dei maschi è occupato nell’agricoltura, il 15,2% nell’industria, il 15,8% in altre attività. Le femmine: il 65,2% nell’agricoltura, il 25,3% nell’industria, il 9,5% in altre attività. Gli italiani espatriati quest’anno sono 122.479.

R. Raja (a cura), “Gli italiani nel 1871” (http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread. php?threadId=censimento1871)

202


Nell’immagine grande: via Borgo (oggi via Roma; fotografia Dario Uguccioni, Pesaro; Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci). In primo piano: a sinistra, Luigi Andreatini, farmacista (raccolta Giovanni Marcucci, Montelabbate); a destra: Fortunato Iacomacci, orologiaio (raccolta Gabriella Giampaoli, Pesaro), don Riccardo Giannoni (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci). Tutte le foto si riferiscono al primo decennio del ‘900. Nelle pagine seguenti: mappa del castello e borgo di Sant’Angelo con l’indicazione di alcuni dei proprietari degli immobili, 1876 (Catasto dei fabbricati, registro delle partite, e Catasto gregoriano, Sant’Angelo in Lizzola, Archivio di Stato, Pesaro)

203


palazzo Comunale

Bartoli Giuseppe e Pietro casa comunale

Demanio

casa della Confraternita del SS. mo Sacramento Collegiata

forno comunale

Gabucci Sac. Francesco, Giuseppe e Andrea fratelli Pieri Giuseppe casa e bottega

archivio notarile (?)

macello

osteria (propr. comunale) Pieri Domenica in Romani casa e bottega


Demanio

Villa Perticari (Comune di Monteciccardo)

Bartoli Giuseppe e Pietro (ex palazzo Mamiani) Ospedale dei pellegrini

casa parrocchiale Bartoli Giuseppe e Pietro casa comunale

Bartoli Sac. Andrea Marcolini Angelo fu Luigi

chiesa di Sant’Egidio teatro Perticari Perticari Andrea, Giulio e Giuseppe fu Gordiano Becci Sac. Cesare casa e bottega

Bartoli sac. Francesco bottega

Bartoli sac. Andrea casa della Confraternita della Natività

chiesa della Scuola (propr. Confraternita della Natività)

Celli Gregorio fu Biagio (e altri) casa e orto


1861-1899. Ordinaria amministrazione Primo sindaco di Sant’Angelo in Lizzola dopo l’unità d’Italia è Raimondo Betti, affiancato dagli assessori Annibale Pascucci e Giulio Barbanti, segretario comunale è Gregorio Celli. Dieci i consiglieri: Raffaele Guidi, Giovanbattista Santini, Gordiano Perticari, Domenico Guerrini, Francesco Gennari, Giovanbattista Sallua, Luigi Venturi, Cesare Celli, Giuseppe Alessandri, Domenico Orfei10. Alla metà dell’Ottocento il “palazzo comunale” di Sant’Angelo si trova al n. 10 di via Vedetta (oggi via Morselli), e risulta suddiviso in 8 vani, articolati su 3 piani11. Confina con la casa che dal XVI secolo appartiene ai Gabucci, di fronte alla collegiata: il 26 gennaio 1922, scriverà don Giovanni, “il comune prende in affitto la mia camera per farvi il gabinetto del sindaco. Ho combinato per lire 100 annue - col diritto di metter coperte e lumi alla finestra in occasione di feste”. Il 21 novembre 1924 “i muratori hanno finito il camino nella mia camera per la stufa del municipio. Io ho permesso purché al restituirmi la camera, la rimettano allo stato primiero e mi aumentino il fitto dal 1° Gennaio 1925”12. A quanto si legge nelle delibere consiliari del 1890 la “sala municipale” ospitava “feste di ballo”, che il consiglio vorrebbe vietare13. Oltre al palazzo comunale e a due “case civili” in via Vedetta il comune di Sant’Angelo possiede nel castello l’archivio notarile (via Rampa 2, 18 vani su 3 piani), il forno (via Vedetta 20, 9 vani su 3 piani), l’osteria (via Borgo 21, 8 vani su 2 piani), il macello (via Impietrata 1 e 4, 6 vani su 2 piani) e una “casa uso macello” (via Impietrata 1,3 vani su 2 piani)14. Sin dal maggio 1931 le delibere podestarili riportano cenni all’acquisto di “palazzo Mamiani di proprietà Marcolini per trasferirvi gli uffici comunali e le scuole elementari poste in questo capoluogo”15; nell’ottobre successivo le carte segnalano anche richieste al Genio Civile in merito ad accertamenti per “adattare palazzo Mamiani ad uso di scuole e sede comunale”16. Nell’ottobre del 1935 le stesse delibere parlano di “nuovo palazzo civico”. Nell’aprile 1889 il consiglio discute sulla “proposta pel collocamento di una lapide sulla facciata del palazzo dei fratelli Bartoli che rammenti come detto edificio appartenne all’illustre conte Terenzio Mamiani della Rovere di cui la famiglia aveva la signoria di questa terra”, ripresa da Giovanbattista Sallua nel 1893: entrambe non sembrano però aver seguito17. Una lapide sarà invece inaugurata nel 1936 su ordine del gran consiglio del Fascismo: la “lapide delle sanzioni”18, 206

La sede comunale, 1861


collocata dopo l’attacco italiano all’Etiopia del 1935 “a memoria delle inique sanzioni” economiche stabilite dalla Società delle Nazioni19. All’ordine del giorno del consiglio insediatosi dopo l’Unità d’Italia vi sono gli argomenti di sempre, primi fra tutti i lavori alle mura castellane, in realtà mai dimenticati dalle adunanze comunali; nel giugno 1874 si discute in merito all’istituzione dell’ufficio postale governativo20. Nel 1886 la rampa di accesso al castello prenderà il nome di via Mamiani, mentre via dell’Impietrata diventerà via Branca21; “molti abitanti” chiedono poi “l’istituzione di un ufficio notarile in paese... come vi era per lo passato”22. Tra i provvedimenti approvati nel 1871 figurano le misure volte a “sussidiare la classe operaia nella stagione invernale”: [...] la insolita miseria, che in causa della perniciosa annata affligge la estesa classe operaia, fa con ragione presagire qualche grave disordine nel prossimo inverno, in cui oltre il rigore della stagione si troverà la suddetta classe priva di lavoro e di pane, e potrà conseguentemente cagionare disturbo alla generalità dei cittadini. A prevenire siffatti temibili inconvenienti sarebbe efficace mezzo il procacciare alla ricordata classe un quotidiano lavoro, durante la imminente stagione invernale, onde da questo ritrar possa il proprio sostentamento23.

Da Montecchio

Dal 1866 a Sant’Angelo ci sono anche i Carabinieri reali, che hanno la loro caserma in casa Bassi, affittata dal comune e sublocata alla provincia24. Negli anni dopo l’Unità d’Italia si fanno sentire più forti le istanze della popolazione di Montecchio, che nel 1861 chiede per esempio di “fare un assegno conveniente” per un secondo medico residente nella frazione: La popolazione supplicante dista di circa 5 miglia dal capoluogo e per andarvi, onde non allungare soverchiamente la via, oltre al cammino dirupato, gli è d’uopo passare a guado il fiume o Foglia o Apsa, nell’invernale stagione spessamente impraticabile. Di quanto male sia cagione cotesto inconveniente, lo si può scorgere di leggieri, allorché si esamini la natura della cosa, e si prenda cognizione di quanto dispendio fossero spinte alcune famiglie per doversi provvedere altrove di Medico, e quante altre per mancanza di mezzi e diffetto di soccorso furono orbate de loro più cari! Montecchio e Rena hanno un censo di circa mille anime, ed un territorio fertile. Se lo si costituisse appodiato a Sant’Angelo con un’amministrazione a sé, potria provvedersi di medico e tutt’altro, non solo senza aggravio della popolazione, che anzi con alleggerimento ne’ balzelli25.

207


Lumi e lettorini, 1861-1898. Musica, teatro, giochi Nel 1847 il municipio di Sant’Angelo decreta “ad utile ed istruzione della gioventù locale, a lustro del paese ed a decoro delle funzioni ecclesiastiche l’istituzione di un maestro di cappella con lo stipendio di scudi cento somministrato dal municipio, parroco, capitolo e luoghi pii26.

Per circa un secolo le note del Concerto di Sant’Angelo faranno da colonna sonora alla vita del paese; spesso in trasferta: nel 1861 insieme con “i militi della Guardia nazionale” i musicanti partecipano ufficialmente al passaggio a Pesaro dei principi Umberto e Amedeo di Savoia”27, e nel 1896 il corpo bandistico al gran completo presenzierà, sempre a Pesaro, all’inaugurazione del monumento a Terenzio Mamiani, insieme con la Giunta municipale e la Società Operaia di Mutuo Soccorso28. Sin dai primi anni il corpo bandistico cerca di presentarsi al pubblico con un certo decoro: nel luglio 1869 chiede infatti all’amministrazione comunale “una sovvenzione qualunque per mitigare in parte la spesa da esso incontrata per fornirsi di uniforme”29. Un figurino inviato al prefetto per l’approvazione illustra anni dopo le caratteristiche della divisa: Sant’Angelo in Lizzola, 7 luglio 1899. Come si scorge dal modello nulla esiste che assomigli ai corpi dell’esercito nazionale. Il maestro veste in borghese e quindi non vi sono galloni né per esso, né per altri musicanti. Il cappello fatto all’alpina è di feltro e confezionato come quello che usano portare i cittadini solo vi è una fascia di tela cerata, e sull’innanzi una lira argentata e di fianco una penna rossa.

Il 9 ottobre il prefetto dispone che “esso figurino” sia modificato, perché “il copricapo adottato è per alcuni particolari di dettaglio lo stesso di quello che usano gli Alpini e le guardie di finanza”30. Nel 1870 il consiglio comunale accoglie favorevolmente “l’istanza del musicale concerto... volta a ottenere un sussidio per far fronte alle spese di copiatura della musica”: si concedono 170 lire annue “alla sola condizione che il Corpo medesimo abbiasi a prestare in qualunque circostanza venisse dal Municipio richiesto e sempre gratuitamente”. In realtà nel 1892 al Concerto sarà corrisposto un compenso di lire 5 per il servizio all’inaugurazione del monumento a Giuseppe Garibaldi, a Pesaro31. Le “istanze” si ripetono regolarmente, e anche i maestri cambiano con una certa frequenza: nel maggio 1871 il direttore è Giovanbattista Colarizi, sostituito nel novembre da Abbondio Govoni; di nuovi 208

Il Concerto di Sant’Angelo


maestri si parla anche tra il 1873 e il 1877, quando viene assunto Valdemiro Gennari32, che lascerà il posto nel 1891 ad Antonio Pavoni, nominato nuovo direttore “del musicale concerto” con 600 lire di stipendio annuo. Sant’Angelo in Lizzola, 11 agosto 1898. Ill.mo signor sindaco, questa società filarmonica trovandosi da molto tempo nella necessità di lettorini e lumi, e non potendo andare più innanzi per la troppa indecenza, fa domanda alla S.V. ill.ma onde volesse provedere colla massima sollecitudine. La società per questa piccola spesa non avrebbe certamente incomodata la S.V. ill.ma se non si trovasse indisposta da un debito come l’è ben noto; ragione per cui si spera che ella vorrà tenerne conto. Nella certezza che ella, tanto gentile, provvederà con quella premura come ha sempre avuto per noi, e che certamente col suo prestigio otterrà quanto ci necessita, in tale aspettativa la società anticipa i più vivi ringraziamenti.

Figurino del 1899 per la divisa dei musicanti (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

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Sant’Angelo in Lizzola, 26 marzo 1899. I componenti la società filarmonica espongono alla S.V. che impossibilitati di presentarsi al pubblico con legni veramente indecenti si trovano costretti farli nuovi inprontando il relativo importo come alle note che si accludono. Che i suddetti leggii restando di proprietà comunale i componenti stessi faranno istanza alla S.V. perché appoggi presso questo consiglio la domanda di rimborso. Fidenti si sottoscrivono33.

Allegata alle due lettere si trova una ricevuta non datata, firmata dal fabbro Lincoln Del Vedovo, per la “ferratura fatta ai lettorini del Concerto di Sant’Angelo in Lizzola” che costò al Comune 22,40 lire (2,80 lire per ciascuno degli 8 lettorini). Anche la “società filodrammatica paesana” continua la sua attività: nel 1871 chiede all’amministrazione comunale “un sussidio a pubblico peso, onde sopperire in parte alle spese occorribili nel corso delle rappresentazioni teatrali”. L’amministrazione delibera un contributo di 55 lire a favore della “società petente, costituitasi al lodevole scopo di offrire un divertimento al paese, per sé non solo lecito ed onesto, ma benanco inteso alla superiore educazione ed alla civilizzazione del popolo”34. Nessuna notizia nei documenti comunali coevi sulla sorte del teatro Perticari, che a nemmeno trent’anni dall’inaugurazione è così descritto dalla statistica Scelsi: “sono più anni che è chiuso al pubblico trattenimento per cui [è] di poca o nessuna importanza - la sua condizione è d’assai deteriorata”. La gestione è sempre della famiglia Perticari, e il teatro dovrebbe essere mantenuto con “l’annua rendita di un attiguo fondo rustico, disposta dal defunto conte Gordiano Perticari con suo testamento”35. Nei locali si gioca a briscola, briscolone, tresette, scoppa, dama, scacchi, bigliardo, “meno la Carrettella, e il Battifondo”, calabrisella, bazziga, tarocchi, domino, mariaccio, tresette scoperto, stoppa, petrangolo36, secondo quanto contemplato dall’articolo 43 della legge di pubblica sicurezza, datata 20 marzo 1865.

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Giochi consentiti


Vent’anni dopo. Tra borgo e castello

Artigiani e “industrianti”

Fiere e mercati

Lo Stato d’anime compilato dal parroco nel 1887 conta fra i 366 abitanti di Sant’Angelo 7 muratori (3 nel borgo, 4 nel castello), 4 fabbri ferraj (3/1) e altrettanti calzolai (3/1), 3 falegnami e 3 fornai, tutti nel castello, 3 sarti (2/1) e 2 “sartrici” (castello), 2 sensali (castello), un barbiere (borgo), un calderaio (borgo), un orologiaio, un macellaio e un birocciaio tutti nel castello, cui si aggiungono un’ostessa e un caffettiere (nel borgo) e 2 postini (castello). Completano il quadro alcuni “industrianti”, pochi braccianti con le mogli registrate come massaie (ma la maggior parte dei braccianti abitava naturalmente nelle campagne); 7 “possidenti” (4 nel borgo e 3 nel castello); sei sacerdoti (i canonici monsignor Cesare Becci e don Giovanbattista Giovanelli, don Gaetano Bartoli, don Andrea Paccassoni, il priore don Giuseppe Della Chiara e il cappellano don Riccardo Giannoni), il medico Giuseppe Rinieri da Bologna, la levatrice Teresa Angelini vedova Spadoni, i maestri Valdemiro Gennari e Celestino Pizzagalli, tutti residenti nel castello e, infine, gli agrimensori Ettore Guidi (borgo) e Luigi Marcolini (castello)37. Tra i residenti anche il segretario comunale Ottavio Gerunzi, sposato con la figlia del prefetto di Pesaro e fervente mazziniano Gaetano Brussi38. Di nuovo, quanto a mestieri e artigiani occorre ricordare che i dati e le definizioni, pur complessivamente attendibili nel delineare la situazione sociale del paese, vanno considerati con qualche approssimazione: non sempre l’attività indicata dai documenti ufficiali coincide infatti con la pratica quotidiana; “possidente”, per esempio, non implica necessariamente una condizione economica particolarmente agiata. Allora come oggi il mercato settimanale si tiene il lunedì (meno quelli di agosto e settembre), e il 1° settembre continua a svolgersi l’unica

Sant’Angelo in Lizzola

Pesaro

Monteciccardo

1860

1880

1860

1880

1860

1880

0,90

1,25

1,25

1,50

0,50

0,65

Muratori

0,65

0,90

1,50

1,75

1,00

1,25

Fabbri ferrai

0,90

1,25

1,50

1,75

---

---

Braccianti

0,75

0,90

0,80

1,00

0,65

0,75

Servitori

0,65

0,80

1,00

0,50

---

---

Calzolai

Confronto delle mercedi giornaliere corrisposte agli operai nel 1860 e nel 1880, nostra elaborazione da G. Scelsi, Statistica della Provincia di Pesaro e Urbino, 1881 (Pesaro, 1997)

211


fiera fissa, quella di Sant’Egidio (fiere mobili sono segnalate tutti i lunedì di Settembre): i generi principali che vi figurano sono bestiame e generi diversi. Se le fiere sono qualificate da Scelsi di “importanza mediocre”, i mercati risultano invece avere “molta importanza”39. La Tabella dei posteggi del 1886 fissa alcune norme riguardo all’occupazione del suolo pubblico da parte degli ambulanti: nella piazza del Borgo sono ammesse “merci di ogni genere eccetto cocciami”, inclusi in un primo momento “venditori di polli, uova, purché non occupino uno spazio superiore a un metro”; nella “piazza del teatro” trovano posto “cocciami, legna da foco, carbone, foraggi, compagnie equestri e simili, oggetti diversi di ogni specie”, mentre nelle “altre vie del paese” è ammesso “qualunque genere di merci”. Nel territorio comunale è attivo un mulino il cui lavoro è “intermittente”; tra gli esercizi commerciali si segnalano 4 caffè, 8 rivendite di vino e 4 di liquori40. L’assistenza sanitaria è garantita da un medico-chirurgo condotto (stipendio annuo: lire 2.500), una levatrice, un farmacista41. Nel gennaio 1899 la Relazione del sindaco per l’anno 1899 sulle industrie locali ricorda l’esistenza di due “fornaci laterizi”, che sono “a sistema antico e quindi di pochissima importanza e i loro prodotti vengono smerciati nelle vicinanze”42.

212


La scuola Nel 1873 le delibere consiliari fanno menzione di “un locale per la scuola femminile di Sant’Angelo”43, confermata anche dalla statistica Scelsi, che nelle tavole dedicate alle scuole pubbliche inferiori per il 1879-’90 offre maggiori particolari. Il maestro “con patente definitiva” della scuola maschile percepisce uno stipendio di 620 lire annue, cui si aggiungono 80 lire per il materiale didattico; la sua classe va da 19 a 27 alunni. La maestra della scuola femminile, anch’ella “con patente definitiva” ha uno stipendio di 450 lire (più 80 lire per il materiale didattico), e la sua classe varia da un minimo di 18 a un massimo di 31 alunne. Vi sono poi le “scuole miste, serali e festive pubbliche”, affidate a insegnanti di sesso femminile: la scuola mista inferiore ha 73 alunni (35 maschi e 38 femmine), e la maestra riceve uno stipendio annuo di 560 lire (più 70 lire per il materiale); la maestra della scuola festiva, con 24 alunne, ha uno stipendio di 24 lire44. Come è noto, le lezioni si svolgevano in case di proprietà del Comune o affittate da privati cittadini: per la costruzione di un edificio scolastico occorrerà attendere fino al 1935, e solo dopo la II guerra mondiale la scuola intitolata a Giulio Perticari sarà finalmente ultimata. Tra gli innumerevoli maestri avvicendatisi in paese ricordiamo Celestino Pizzagalli, menzionato nelle delibere consiliari almeno dal 1877 al 188945, la cui figura dai tratti antichi s’impone solenne in più d’una fotografia. Medici, speziali, farmacisti “Il 1° novembre 1865 Giovanni Battista Sacchini, speziale di Sant’Angelo, morì di anni 35 per ferita al ventre. Era consigliere comunale e scadeva il 24 luglio 1869”. Si rileva che la sera del 28 ottobre 1865 Gaetano Bui fingendosi ubriaco era sostenuto dal farmacista Sacchini e Terenzio Giovanelli. Dalla piazza andarono sulla via Le Mura, seguiti dal padre Giovanni Bui, falegname, e dalla madre. Il Gaetano staccatosi con uno strattone dal Giovanelli rimase sostenuto solo dal Sacchini, al quale Giovanni Bui inferse una coltellata al ventre. Il Sacchini tirò alcune sassate per difendersi da nuovi colpi. Nell’istruttoria si pensò a effetto di vendetta di Gaetano contro la moglie di Raffaele Guidi, avvisato da lettere anonime di cui si sospettava autore il Sacchini, ma l’autorità locale esclude ciò, anche perché la Francesca Guidi sovveniva tutti i bisognosi di polli ecc., e non solamente la famiglia Bui. Bui Giovanni fu Biagio detto Bugo, d’anni 55, nato a Fano dopo il ferimento si diede alla fuga. 213


“Oriundo di Ginestreto”, il Sacchini “aveva ottenuto il diploma di bassa matricola all’Università di Urbino il 20 luglio 1865”. Quando egli restò ucciso il 1° novembre 1865, la farmacia passò al suo assistente Luigi Andreatini, di Sant’Angelo, laureato in Urbino il 21 novembre 1868, e da lui al figlio Giuseppe, che ottenne la laurea pure in Urbino l’11 novembre 1906. Anche la moglie di Luigi Andreatini, sig.ra Maria Salucci, aveva il diploma di farmacista46.

Il dovere di cronaca impone di segnalare che un Gaetano Bui, “maestro elementare di Sant’Angelo in Lizzola” risulta fondatore nel 1887 della banda di Gradara47.

Un’immagine dei primi del ‘900 (raccolta Leonella Giovannini, Sant’Angelo in Lizzola). A pagina 212: Le mura a ponente, aprile 1916 (fotografia Dario Uguccioni, Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci)

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1860-1901. Le campagne

La Statistica Scelsi

L’Inchiesta Jacini

Il territorio di Sant’Angelo si estende su una superficie di 11,623 km quadrati, percorsi da 12 strade, la cui lunghezza è di 21,2 km, interamente carreggiabili. I terreni seminativi semplici coprono una superficie di 198 ettari e 64 are, i terreni seminativi alberati e vitati 783 ettari, 55 are; i prati artificiali si estendono su 44 ettari e 14 are, mentre 66 ettari e 21 are sono occupati da prati naturali e pascoli. Più di 13 ettari sono coperti da boschi cedui e, infine, i terreni occupati da strade, fiumi torrenti e caseggiati non censiti sono stimati in 56 ettari e 57 are. L’estimo censuario dei terreni ammonta a 71.259,37 scudi (corrispondenti a lire 379.099,85); i redditi imponibili accertati nell’anno 1878 sono di 9.527,86 scudi (lire 6.623,59). Ecco, infine, i numeri del censimento del bestiame: “specie cavallina”: 81 proprietari, 85 bestie (stalloni sotto i 4 anni: 1; cavalli castrati: 11; cavalle di 4 anni e più: 4, sotto i 4 anni: 6; muli e mule: 1; asini ed asine: 62. “Specie bovina”: 136 proprietari, 385 bestie (89 vacche; 3 “giovenche pregne”; 251 bovi da lavoro; 10 bovi da macello; un torello sotto i 6 mesi; 31 vitelli e vitelle sotto i 6 mesi); “specie ovina e caprina”: 145 proprietari, 333 bestie (pecore: 253; becchi: 79; capre: 1); “specie suina”: 154 proprietari, 185 bestie (12 scrofe; 159 maiali da ingrasso; 14 lattonzoli)48. Tra il 1877 e il 1885 l’inchiesta promossa dal parlamentare Stefano Jacini raccoglie dati sulle condizioni dell’agricoltura, settore di fondamentale importanza per l’economia del paese, ma ancora trascurato dal governo dell’Italia post-unitaria. Per quanto riguarda la provincia di Pesaro, l’inchiesta Jacini descrive case con ambienti di capacità varia ma sempre insufficienti rispetto al numero delle persone che vi abitano, e condizioni igieniche piuttosto precarie. [Le abitazioni] da per tutto lasciano molto a desiderare, vuoi per la cattiva costruzione (mattoni o pietra), vuoi per l’angustia e il numero insufficiente degli ambienti; vuoi per la infelicissima disposizione; vuoi per la pessima conservazione. [...] Ai coloni mezzadri in generale è destinata una casa per famiglia; ma dei casanolanti non è così, e spesso incontri più famiglie coabitanti in una stessa casa. Le une e le altre però sono disposte sempre in modo che la stalla resti al disotto o della cucina o delle camere da letto, con pavimenti così male connessi da lasciare libero vano agli effluvi che da quella si sollevano. La concimaia è costantemente addossata alle mura o a queste vicinissima... Al che se si aggiunga la poca nettezza della biancheria, la cattiva qualità dei letti formati da un saccone ripieno di foglie di granturco, o di paglia, assai raramente rinnovato o ripulito, e sostenuto da così detti trespoli di legno, conservatori eccellenti di ogni specie d’insetti; e la viziosa abitu215


dine generale di allevare negli ambienti stessi il baco da seta in proporzioni relativamente esagerate, si avrà più che non basti per formarsi un concetto preciso delle condizioni miserande in mezzo alle quali vive, genera e sviluppa l’abitatore delle nostre campagne. [...] L’uso molto generalizzato di sostituire all’olio di lino il petrolio, in lumi malissimo costruiti e senza camino, determina uno sviluppo di gaz graveolente in mezzo al quale, le donne specialmente, passano le sere d’inverno filando sia nella cucina, o sia, anche più frequentemente, nella stalla. È superfluo ripetere che come delle persone così anche le pratiche di nettezza della casa sono non solo trascurate ma del tutto ignorate. [...] La lana viene in buona parte consumata sul luogo nelle industrie casalinghe. È uso comune che i proprietari e i coloni fabbrichino i salumi in casa [...]. [Il vestiario] in generale è di rascia, lana e filo di canapa, per l’inverno, e di rigatino, tutto filo, per l’estate, tessuti per lo più dalle donne di casa... . Le biancherie sono o di filo di canapa, o di cotone secondo che vennero o tessute in casa o acquistate al mercato. La qualità può ritenersi per buona; ma e per la poca frequenza onde vengono mutate, e per la nessuna cura onde vengono rammendate e imbiancate si rendono presto tutt’altro che igieniche49.

Nel 1877 a Sant’Angelo in Lizzola il Comune censisce 224 telai (le famiglie sono 449), “i quali servono alla promiscua confezione dei panni di lana e di lino e canapa ad esclusivo uso domestico”50. Le case non hanno cessi, e mancano anche presso le famiglie più agiate; vanno nelle stalle o presso i letamai persino gl’infermi. [...] La nettezza pubblica non è del tutto trascurata, ma non quale richiederebbe l’igiene meno severa. I paesi mancano di fogne; pochi non hanno che parzialmente, in qualche via principale, scoli per acque piovane. Buoni i granai, e quasi per tutto asciutti, anche se è raro il caso di trovarli utilizzati nelle campagne, mentre il vino è così mal fabbricato, che per conservarlo durante l’estate convien riporlo nelle grotte51.

Una situazione non molto dissimile a quella evocata nel 1901 dalla relazione sanitaria del medico provinciale Goffredo Ungaro, che pone Sant’Angelo tra i comuni dove si registrano “frequenti” casi di tubercolosi (insieme con Ginestreto e Monteciccardo, per restare negli immediati dintorni). Tra le principali cause di diffusione della malattia nella nostra provincia Ungaro segnala “l’insalubrità dell’abitato” e, per quanto riguarda Sant’Angelo in Lizzola, Ginestreto, Monteciccardo anche la mancanza di un acquedotto “onde l’acqua diviene scarsa di estate e torbida d’inverno”. La deficiente fognatura domestica per cui gli escrementi e i rifiuti solo di raro si raccolgono in pozzi neri, ma nella maggioranza dei casi o si versano sulla pubblica via, o custodisconsi in un angolo della stessa 216

La relazione del medico provinciale, 1901


abitazione, favorendone con bello studio la fermentazione allo scopo di farne un buon materiale fertilizzante. [...] Tranne qualche raro caso, non vi è pavimentazione nelle vie, manca ogni sistema di canalizzazione, ed è persino raro il servizio della pubblica nettezza, come è frequente il caso che le piogge di autunno sgomberino le vie dei rifiuti accumulativisi durante l’intera estate52.

Luigi Guidi

Le osservazioni astronomiche di mons. Cesare Becci

L’inchiesta Jacini fu redatta anche attraverso l’invio di questionari alle diverse province italiane. Alcuni dei dati relativi al territorio pesarese furono forniti da Luigi Guidi, agronomo e meteorologo nato a Sant’Angelo in Lizzola nel 1824, che figura anche tra i collaboratori del prefetto Scelsi per la statistica della provincia di Pesaro più volte citata. Nominato nel 1856 accademico dell’Accademia agraria, ne divenne in seguito segretario53; nel 1862 fu l’autore del Catalogo descrittivo dei prodotti inviati dal Sottocomitato di Pesaro all’Esposizione internazionale di Londra, pubblicato sul numero XIII delle “Esercitazioni dell’Accademia agraria di Pesaro”, dal quale emerge “una impietosa analisi del mondo rurale del fondovalle pesarese”, fondato sul contratto mezzadrile, le cui caratteristiche condizionarono “fortemente la formazione e la crescita di qualsiasi attività manifatturiera” nel nostro territorio54. “Ardente patriota”, Guidi subì il carcere e il domicilio coatto, e fu “oggetto di continui sospetti e denunce”: la vocazione per gli studi scientifici si rivelò intorno al 1850, dopo aver frequentato la facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Firenze. “Risulta che nel 1853 Guidi aveva installato a Sant’Angelo in Lizzola un osservatorio meteorologico dotandolo a proprie spese della strumentazione fondamentale”; dal 1855 Guidi sposta l’osservatorio a Pesaro, dove nel frattempo si era trasferito. Nel 1860 ottiene dal “commissario generale straordinario per le province delle Marche” Lorenzo Valerio l’istituzione dell’omonimo osservatorio meteorologico, aperto nel 1864 all’interno degli Orti Giuli, del quale manterrà la direzione fino alla morte, nel 1883; ancora nel 1864 si apre la “Regia scuola speciale di meccanica e costruzioni, agronomia e agrimensura”, di cui Guidi è preside55. In oltre trent’anni di incessante attività sono da ricordare anche i suoi numerosissimi scritti, in gran parte pubblicati su “Esercitazioni agrarie”. Forse non fu estraneo alla passione di Guidi l’esempio di monsignor Cesare Becci, canonico della collegiata di San Michele, che dall’alto della torre di palazzo Mamiani, intorno alla metà dell’Ottocento “studiava il cielo e componeva un prezioso dizionario astronomico”56. 217


In villa. Baroni, contesse, cardinali Situata a poca distanza dall’antico Ospedaletto, una “casupola di proprietà della Confraternita della Natività di Maria, abbattuta intorno al 1870”, la casa dei canonici era registrata dal catasto pontificio come “casa da massaro con corte”. Nel 1878 “la quasi totalità dei beni ecclesiastici di Sant’Angelo viene devoluta al demanio nazionale, che provvede subito ad alienarli per ricavarne introiti sostanziosi”: l’edificio viene allora acquistato da Giovanni Foschi, il quale lo ristruttura, ultimando i lavori nel 189057. Sono probabilmente da ricondurre a questo edificio le spese fatte dal capitolo dei canonici di Sant’Angelo nel 1860, per consistenti lavori al “palazzo dei canonici”. Tra i mesi di aprile e maggio il muratore Gioachino Spadoni è incaricato di apportare all’edificio numerose migliorie, per una spesa di 92 scudi e due baiocchi, pagati il 28 giugno 1860 dal camerlengo del capitolo don Giambattista Giovannelli. Il bilancio complessivo della “fabrica” ammonta a 179 scudi e 10 baiocchi; tra le voci elencate nel libretto figurano 5 carri di calce, 133 toppi di gesso e 100 mattoni. Vi sono poi il “nuovo portone”, la “pietra d’iscrizione” fatta da Annibale Pascucci, il quale ha “pitturato il camerino dei canonici”, dove è stata fatta anche la “tavola da scrivere”, il restauro del pozzo e della “casa della villa”; sei sedie del capitolo sono state “ritessute”, altre sei (o forse le stesse?) “accomodate”. Infine, sono registrati 4 boccali di vino, mistrà e rhum “dati ai muratori in varie volte”. Una ricevuta firmata da Ubaldo Giovanelli riferisce di 3 scuri “fatti alle finestre verso la strada”, con relative staffe e riattamento 6 porte58.

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La casa dei canonici, 1860


Villa Carelli

La contessa Seckendorff

Nel 1898 la casa e le terre diventano proprietà dei fratelli Teodoro e Giovanni Spongia, industriali e possidenti che risiedono a Pesaro i quali, con successive acquisizioni, estendono la tenuta a 21 ettari dai 12 originari. Dopo la morte improvvisa di Teodoro, Giovanni cede progressivamente l’azienda agricola ai figli Ilda e Renato, i quali “nel 1929 vendono villa e fondo alla marchesa Angelina Trionfi-Honorati per lire 160.000”. Originaria di Jesi, la marchesa “ama Sant’Angelo e vi abita volentieri”; dopo una serie di alterne vicende la villa viene acquistata nel 1941, grazie alla mediazione di un commilitone, dal tenente colonnello barone Giovanni Carelli, originario di Napoli “ma domiciliato a Milano, dove in tempo di pace svolge il suo servizio effettivo permanente nel Regio Esercito Italiano”. Insieme con la moglie Virginia Cambiaghi, Giovanni Carelli soggiorna a Sant’Angelo nella stagione estiva. Verso la fine della II guerra mondiale la villa è requisita dal comando tedesco e poi occupata da un gruppo di sfollati; nel 1982, alla morte del barone, la villa passa ai nipoti “Giuseppe, Argentina e Pasquale Carelli, che vivono a Roma e continueranno a usare la villa di Sant’Angelo durante le vacanze estive e natalizie”59. Pur se in tono minore rispetto agli anni di Giulio e Costanza, i Perticari continuano a ospitare nella loro villa importanti personalità, come la contessa Melanie Seckendorff, a Sant’Angelo nel 1901. Sant’Angelo, 8 Maggio 1901. Berlinese, dotata di larghissimo censo, la giovanissima, assai bella signora, dalla figura singolarmente artistica e interessante, passa come un’immagine fatata in mezzo ai nostri buoni paesani, che la guardano con un misto di ammirazione e stupore. Dicono che abbia il cuore quanto mai accessibile alla pietà per tutti i sofferenti e che negli ospedali di Berlino siasi distinta in opere eroiche di soccorso e assistenza. I Santangiolesi, mentre porgono alla gentile Signora il loro reverente saluto, le augurano che tutto ciò che essi possono offrirle, cioè l’aria balsamica che spira tra i colli e il mare, conferisca vigoria e salute alla sua privilegiata esistenza60.

Sulla stessa pagina de “La Provincia” un trafiletto segnala la presenza a Ginestreto di monsignor Reggiani, nato a Pesaro da una famiglia santangiolese di origini non nobili ma al quale la comunità pesarese aveva conferito l’onore del patriziato ad personam, riservato a personalità meritevoli della stima e della gratitudine della città. Provicario della diocesi, membro del capitolo pesarese, “figura molto apprezzata negli ambienti vaticani”, Reggiani fu anche consigliere della Cassa di Risparmio di Pesaro e, dal 1886, cavaliere di Malta61.

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1900-1915. Il Progresso L’11 gennaio 1881 si tiene a Milano la prima rappresentazione del ballo Excelsior, di Luigi Manzotti su musica di Romualdo Marenco, i cui quadri inneggiano all’avanzare del Progresso, presentando una carrellata delle più grandi opere e invenzioni dell’umanità, dal telegrafo alla lampadina al battello a vapore fino al traforo del Frejus. Forte di un eccezionale successo (sarà replicato per 103 sere consecutive, prima di intraprendere una tournée che lo porterà in giro per il mondo fino agli anni della I guerra mondiale), il “gran ballo” è quasi un manifesto dell’Italia umbertina, con i suoi fervori positivisti e la fiducia nella crescente industrializzazione del paese, tuttavia ancora ben lontano da un reale sviluppo sociale ed economico, che faticosamente si avvierà solo nel decennio successivo. A Sant’Angelo il Progresso, sotto forma di impianto telegrafico e poi telefono, cinema, acqua corrente, luce elettrica e servizio automobilistico arriverà tra il 1900 e il 191662. Sullo sfondo dall’incessante attività del teatro Perticari e degli artisti locali, ci piace immaginare queste innovazioni proprio come in una sequenza di quadri - di scatti fotografici, accompagnata, perché no, da una pirotecnica colonna sonora.

Dintorni di Pesaro - Santangelo in Lizzola - Piazza, cartolina dei primi del ‘900 (ed. Semprucci, Pesaro). Nella pagina seguente: la piazza del Borgo in una cartolina datata 1922. A pagina 218: la casa dei canonici in località Ospedaletto, vista dall’imboccatura di via Branca, cartolina degli anni Venti del ‘900, dettaglio (ed. Garattoni, Sant’Angelo). Tutte le immagini provengono dall’Archivio storico Diocesano, archivio G. Gabucci

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Telegrafo e telefono L’11 dicembre 1899 Nicola Uguccioni avanza all’amministrazione comunale la richiesta per la permuta di un terreno. Contestualmente Uguccioni intende “dimostrare i danni che si arrecano al muro di cinta del suo orto posto in questo paese e precisamente in via Vedetta, dal transito dei carri che sono nell’impossibilità di voltare per la via delle Mura stante la ristrettezza della via stessa”63. Il passaggio dei carri nel castello è solo uno dei segnali dello sviluppo del paese, la cui popolazione supera nel 1899 le 2.000 anime64 (il censimento del 1901 registrerà 2.215 abitanti tra Sant’Angelo e Montecchio)65: già l’anno precedente il consiglio comunale si interrogava sull’opportunità di accogliere l’offerta di Guglielmo Giunta e Luigi Gili “per l’impianto dell’illuminazione pubblica a gaz acetilene”, mentre proprio in quello stesso 1899 si comincerà a discutere sull’impianto dell’ufficio telegrafico, necessario “per le condizioni speciali del paese di Sant’Angelo, e pel nuovo impianto del mercato bozzoli”. L’approvazione del prefetto di Pesaro arriva nel marzo 190066, ma il telegrafo entrerà in funzione solo nel 1901. Sant’Angelo in Lizzola, 18 luglio 1900. “La Provincia”. Il mercato bozzoli quest’anno pure è stato molto attivo, ragguagliando nel numero di chili, che furono 7954, la vendita dell’anno scorso. Prezzo massimo lire 3,57, minimo 2,40, medio 3,19. Si dice anzi che presto verrà aper221


ta una piccola filanda. [ ...] Sarà soddisfatta prossimamente un’antica aspirazione di questi paesani, l’impianto cioè della linea telegrafica, e ciò è dovuto all’attività ed energia del sindaco cav. Marcolini e della Giunta, coadiuvata anche nelle pratiche dal deputato Albani. Fra giorni si impianteranno i pali e sono giunti l’ingegnere, e gli operai specialisti. La spesa per ottenere l’ufficio postale di lire 735, di cui il Comune ha pagato lire 200. Si attende anche il contributo di Ginestreto, che lo ha promesso. Per la manutenzione della linea si pagheranno lire 90 l’anno, e l’impiegato sarà Luigi Andreatini, che è anche ufficiale postale. In occasione dell’inaugurazione della linea, che avverrà fra 15 o 20 giorni, si farà una piccola festicciuola, rallegrata anche dalla musica del concerto locale, diretto dal bravo maestro Antonio Pavoni67.

Il telefono, sul quale il consiglio comunale comincia a deliberare nel 1911, sarà operativo nel 1914, quando saranno “aperti al pubblico i posti telefonici di Montecchio, Montelabbate, Sant’Angelo e Ginestreto, collegati alla rete urbana di Pesaro come già lo furono quelli di San Pietro, Santa Maria, Pozzo, Pozzo Alto e Tomba”68. Il Municipio di Sant’Angelo ha il numero 041, la farmacia Andreatini risponde allo 042, la drogheria Enrico Garattoni e figli allo 04369. Il “funere” di Umberto I Pochi giorni dopo re Umberto I viene ucciso a Monza il 29 luglio 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci. Anche Sant’Angelo celebra in collegiata un “funere in suffragio della grand’anima del compianto ed amato sovrano”, del quale il sindaco Luigi Marcolini ricorda con “belle e acconcie parole” le ottime qualità. Alla solenne cerimonia del 21 agosto, accanto agli amministratori santangiolesi non mancano le giunte municipali di Ginestreto e Monteciccardo, una rappresentanza delle locali Società Operaie di Mutuo Soccorso (tutti offrono “splendide corone di fiori”); i RR. Carabinieri hanno prestato servizio d’onore comandati dall’ottimo maresciallo Giacomazzi. La società corale di Montecchio gratuitamente ha contribuito alla buona riuscita della funzione. Un particolare elogio merita questo parroco perché ha mostrato nobilmente sentimenti di sacerdote, e sentimenti di italiano, permettendo l’ingresso in chiesa delle bandiere delle varie corporazioni. Il concerto cittadino diretto dall’esimio maestro Pavoni ha prestato lodevole servizio bellissimo il corteo che dal teatro Perticari si è recato al tempio70.

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Il telefono


Il cinema “Trent’anni fa, quasi subito dopo lo svolto della strada, incontravamo l’ampio molino Garattoni con il soprastante cinematografo G. Branca inaugurato per la fiera di Sant’Egidio del 1911, ove ci si passava la serata con soli due bajocchi d’ingresso”71. La “sala del cinematografo” ricompare nei documenti comunali nel gennaio 1914, quando Carlo Alberto Donati richiede il permesso “di pubblico ballo a pagamento in tutti i lunedì di carnevale... compreso il giovedì grasso gli ultimi tre giorni di carnevale e la prima domenica di Quaresima. Le feste avranno luogo nella ex sala del cinematografo”; proiezioni e conferenze avverranno in seguito nella sala parrocchiale, attigua alla collegiata72.

Il Concerto di Sant’Angelo in Lizzola, anni Venti del ‘900 (fotografia Torcoletti, raccolta Gabriella Giampaoli, Pesaro); in primo piano, Geronte Garattoni (raccolta Costanza Garattoni, Sant’Angelo in Lizzola)

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L’acquedotto Il 15 settembre 1912 arriva finalmente in paese l’acqua corrente. A lungo atteso, l’acquedotto progettato dallo studio Pallucchini di Fossombrone fu inaugurato con memorabili festeggiamenti, solennizzati anche dalla presenza di numerose autorità non solo locali, accanto agli amministratori di Sant’Angelo. Il corteo percorse il paese imbandierato e festante e si recò nel teatro Perticari, ove ebbe luogo la premiazione degli alunni delle scuole elementari. Dopo la premiazione s’inaugurò l’acquedotto avanti la fontana di piazza del Teatro, con discorso dell’onorevole Mancini. Alle una dopo mezzogiorno si tenne un banchetto di circa sessanta coperti. [...] La festa si protrasse fino a tarda ora, in mezzo alla più schietta cordialità rallegrata dalla banda musicale del luogo e da altri spettacoli e divertimenti, quali il giuoco del pallone, le rappresentazioni cinematografiche, la lotteria, i fuochi artificiali del bravo artista signor Giulio Paci di Montegaudio, l’illuminazione a luce elettrica, e infine da una recita riuscitissima al teatro Perticari, rigurgitante di spettatori, dei bravi dilettanti del paese73. Comune di S.Angelo in Lizzola, inaugurazione dell’acquedotto, 15 settembre 1912. Programma dei festeggiamenti. Ore 9. Ricevimento delle Autorità e Rappresentanze con vermouth d’onore nella sala della Residenza Comunale; ore 10. Formazione del corteo - Premiazione degli alunni delle Scuole Elementari nel teatro Perticari gratuitamente concesso; ore 11. Inaugurazione della fontana in Piazza Mazzini con discorso dell’on. Ettore Mancini nel teatro Perticari; ore 12. Banchetto popolare; ore 16. Giuoco al Pallone; ore 17. Lotteria a beneficio della locale Società Operaia Femminile; ore 18 e 30. Servizio musicale prestato dal locale Concerto cittadino, diretto dal maestro signor Pavoni Antonio; ore 20. Fuochi artificiali della ditta Giulio Paci. Il paese sarà illuminato a luce elettrica gratuitamente concessa dalla ditta Garattoni. La quota per il banchetto è fissata in Lire 3, e le prenotazioni dovranno farsi non più tardi del giorno 12 corrente nell’ufficio della cooperativa di consumo.

Per i festeggiamenti si spesero 365,40 lire: tra le voci di spesa più rilevanti vi furono le 60 lire per il “vermouth d’onore”, 100 lire costarono i fuochi artificiali e altrettante l’illuminazione del paese. Il sindaco Vincenzo Sallua e l’amministrazione celebrarono lo zampillo della fontana rimarcando nel loro discorso il “grave pondo delle spese” sostenute dai cittadini, invitando tutti a festeggiare la “data fausta, che verrà scritta a caratteri indelebili nella storia di questo popolo laborioso e cosciente”74. 224

I festeggiamenti per il nuovo acquedotto, 1912


Sant’Angelo in Lizzola, piazza con la nuova fonte, 3 luglio 1916 (raccolta Pro Loco Sant’Angelo in Lizzola); in primo piano: l’inaugurazione della fontana della piazza, 1912 (raccolta Famiglia Carlo Salucci, Sant’Angelo in Lizzola). Sullo sfondo: Inaugurazione dell’acquedotto, 15 settembre 1912. Programma per i festeggiamenti (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

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La luce elettrica Con quella che definiremmo oggi una azzeccata scelta di marketing l’amministrazione di Sant’Angelo in Lizzola fissò al 31 dicembre 1914 l’illuminazione elettrica del paese, affidata alla ditta Andreatini e Lardoni. Sant’Angelo in Lizzola, 31 dicembre 1914. La sera dell’ultimo giorno dell’anno venne festeggiata l’inaugurazione della luce elettrica. Il concerto cittadino ha gentilmente prestato l’opera sua svolgendo un buon programma sulla piazza del paese sfarzosamente illuminata per l’occasione. Indi numerosi cittadini si riunirono a fraterno banchetto. La sala era illuminata a cura della ditta in modo splendido. L’intervento dell’intera cittadinanza fu una solenne affermazione di stima e di affetto verso la ditta Andreatini e Lardoni per la sua coraggiosa iniziativa dell’impianto elettrico. Allo champagne, offerto della ditta, si diede l’inizio ai brindisi. Si levò primo a parlare il segretario De La Ville, il quale si disse incaricato dall’amministrazione comunale, di porgere alla ditta l’espressione sincera della piena soddisfazione degli amministratori e della cittadinanza per lo splendido impianto. Parlò indi il cav. [Luigi] Marcolini che sciolse un inno a questa energia di cui è stato dotato il paese, augurando che da questa energia sorga un’era novella di fecondo lavoro. Dopo altri brindisi tutti improntati a sentimenti entusiastici verso la ditta sorse a parlare il sig. Andreatini Giuseppe che, anche a nome del socio [Cesare] Lardoni, ringraziò tutti per la solenne dimostrazione fattagli, ed affermò che tutta l’opera della ditta avrà sempre per mira il bene del paese. A mezzanotte, col sorgere del nuovo anno, gli adunati si sciolsero, scambiandosi calorosi auguri75. Si è inaugurata nel nostro paese l’illuminazione elettrica fornita dalla ditta Andreatini-Lardoni di qui. La luce è chiara, splendida, di soddisfazione generale, fa onore alla ditta ed accresce il decoro di questo paese, che per la sua eleganza, nettezza e vita industriale e commerciale arieggia a cittadina. Anche il telefono ha incominciato a funzionare e fra non molto speriamo di vedere attuata la corsa automobilistica. Così avremo a nostra disposizione tutti i mezzi dei quali l’attività moderna si conforta e si serve per svilupparsi nelle industrie e nei commerci. A festeggiare l’illuminazione della luce elettrica si è tenuto un banchetto con intervento anche di gentili signore e signorine, splendidamente riuscito76.

Meno enfatici i paesani, tra i quali anche Giovanni Gabucci, che annota nel suo diario “Si inaugura per le vie l’illuminazione elettrica, con esito soddisfacente”77. Orario dell’illuminazione, 1915. Gennajo dall’Ave Maria alle ore 7 del mattino; Febbrajo dall’Ave Maria alle ore 6 del mattino; Marzo dall’Ave Maria alle ore 5 del mattino; Aprile dall’Ave Maria alle 4 1/2 del mat226

L’inaugurazione dell’impianto, 1914


tino; Maggio dall’Ave Maria alle 4 del mattino; Giugno dall’Ave Maria alle 3 del mattino; Luglio dall’Ave Maria alle 3 del mattino; Agosto dall’Ave Maria alle 3 1/2 del mattino; Settembre dall’Ave Maria alle 4 1/2 del mattino; Ottobre dall’Ave Maria alle 5 del mattino; Novembre dall’Ave Maria alle 6 1/2 del mattino; Dicembre dall’Ave Maria alle 7 del mattino78. L’impianto di Ginestreto, 1915

Forte del successo ottenuto a Sant’Angelo il duo Giuseppe Andreatini e Cesare Lardoni inaugura nel gennaio 1915 anche l’impianto di illuminazione di Ginestreto, dove il 4 marzo si verifica “un’orribile disgrazia”: l’operaio Ciro Renzini muore cadendo da una scala, mentre attendeva ad alcuni lavori di manutenzione. “I funerali furono fatti per cura della ditta Andreatini e Lardoni”79.

Prospetto dell’illuminazione pubblica nel Comune di Sant’Angelo in Lizzola, 1915. A pagina 229: carta intestata della ditta Andreatini e Lardoni, 1915 (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola)

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Nel 1917 la ditta Andreatini e Lardoni si fonde con la ditta Ridolfini e Carboni di Pesaro, trasformandosi in una società di fatto, la SIPE [Società Industrie Elettriche Pesaresi]. Dal 1919 il carteggio relativo all’illuminazione di Sant’Angelo in Lizzola segnala lo scontento degli abitanti, impegnati in proteste continue per l’aumento dei prezzi e per il cattivo servizio: in una lettera inviata da un comitato di cittadini al prefetto l’amministrazione è accusata di essersi “lasciata prendere la mano dall’impresa”, e Sant’Angelo in Lizzola che poteva ripromettersi i massimi vantaggi nell’essere stato il primo dei paesi del mandamento ad approvare la assunzione della luce elettrica, si trova invece per la insipienza dei suoi amministratori, ad avere il maggior danno fra le due parti in litigio, perché, non fa duopo [sic] ripeterlo il paese vuole la luce ed al prezzo onesto.

La questione sembra risolversi almeno temporaneamente con il ripristino di lampioni a petrolio (presenti in paese dal 1905), ordinata nel novembre 1920 alla ditta “Andreatini Giuseppe e soci” per supplire alle continue interruzioni lamentate dagli utenti: Affinché non abbiansi a ripetere gli inconvenienti lamentati in queste ultime sere, di lasciare cioè il paese completamente al buio, anche con grave rischio alla incolumità personale, prego la S.V. disporre d’ora in avanti che ove avvenga un guasto che importi la sospensione del pubblico servizio per una o più sere, ne venga preavvisata la popolazione, e nel contempo disporre per l’accensione di tutti i fanali a petrolio che devono trovarsi sempre pronti all’uopo ed in perfetta conservazione, come li avrà certamente ricevuti in consegna dal Comune appaltante...

Curiosa l’aggiunta, due anni dopo, della ditta Ridolfini e Carboni Imprese costruzioni elettriche, che il 4 maggio 1922 scrive al sindaco ...non possiamo prendere in considerazione la posa di fanali a petroglio [sic] diversi di quelli che efettivamente [sic] ci à dato la V./a amministrazione, ne abelirli [sic] e modificarli per comodo di estetica o altro. Se il Comune crede oportuno avere una cosa più bella nella piazza principale, lo faccia, noi non dobbiamo che accendere i lumi a petroglio quando mancasse la luce elettrica e niente altro....

Almeno dal 1918 la SIPE forniva l’illuminazione anche a Montecchio: il 20 settembre 1918, per esempio, il Comune “corrisponde alla S.I.P.E. lire 2.131,45 per la fornitura di energia elettrica relativa al periodo novembre-dicembre 1916, gennaio-dicembre 1917, gennaiodicembre 1918”80. 228

La S.I.P.E.


Andreatini & Lardoni Poliedrica figura di imprenditore dall’ingegno brillante, Giuseppe Andreatini fu davvero uno degli animatori della vita di Sant’Angelo fino al 1947, anno in cui morì a 65 anni. Dalla filodrammatica alla luce elettrica alla fotografia, passione che condivideva con il socio Cesare Lardoni, senza dimenticare la farmacia ereditata dal padre, le cronache santangiolesi vedono Andreatini costantemente impegnato nella sperimentazione di nuove attività, incoraggiato oltre che da un’indole curiosa e vocata all’innovazione anche da “un affetto appassionato per il luogo natio”. Affetto ricambiato dal paese, che dopo quasi settant’anni dalla scomparsa ancora ricorda “Peppino” Andreatini, che seppe farsi amare per il “suo animo sensibile e leale, sotto ruvida scorza”81. Una preziosa fotografia dall’album della famiglia Marcucci mostra l’interno della farmacia, affacciata sulla piazza del Borgo (oggi il locale ospita la panetteria anzi, il “forno” Vagnini). Dietro il bancone, tra polveri e boccette, quasi come in una reclame del più celebre ‘sor Oreste’, Anita Ruggeri, moglie di Giuseppe, sembra affermare orgogliosa la sua abilità di farmacista: pur avendo studiato in collegio come tutte le signorine della buona borghesia dell’epoca non disdegnava, ricordano i nipoti, di preparare cartine e pomate nella farmacia di Sant’Angelo. Anche Anita proveniva da una famiglia di farmacisti: precisamente quella resa celebre dai “Glomeruli Ruggeri” e dal villino liberty fatto costruire a Pesaro da Oreste Ruggeri, industriale originario di Urbino. Il padre di Anita, Ivo Ruggeri, consigliere provinciale, era proprietario della farmacia di Rio Salso di Tavullia. A Rio Salso si sposerà nel 1903 la sorella di Anita, Amina, con Cesare Lombrassa, “ingegnere delle Miniere Albani”82; a Montelevecchie (oggi Belvedere Fogliense) – o forse proprio a Rio Salso, Anita andrà in sposa nel 1908 a Giuseppe Andreatini. Tra

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gli invitati anche Nazzareno Olmeda, il notaio originario di Montelevecchie con studio a Sant’Angelo in Lizzola, futuro presidente della Provincia di Pesaro e Urbino, insieme con la moglie Emma Ruggeri83. Manca lo spazio per tratteggiare più esaustivamente le vicende della famiglia Andreatini-Ruggeri; non si può però non citare almeno Sandro Andreatini, fratello di Giuseppe, che negli anni Trenta del Novecento fonderà in Brasile un’industria farmaceutica84, ricordando infine Guido Marcucci, medico di origini sanmarinesi (come suo padre Domenico, tra l’altro titolare della condotta di Montelabbate)85 che nel 1931 sposerà Adria Andreatini, figlia di Giuseppe e Anita. Dalla coppia nasceranno Agla, Giovanni, Laura, i cui ricordi hanno contribuito in maniera significativa alla costruzione di queste pagine. All’epoca in cui si associa con Andreatini nell’impresa della luce elettrica il veterinario Cesare Lardoni si è da pochi anni stabilito a Sant’Angelo, dove si è trasferito dal Veneto insieme con la moglie Elvira Grassi, maestra bolognese, figlia di un collega di Giosuè Carducci. Non meno eclettico degli amici Giuseppe e don Gabucci, Cesare Lardoni coltivò tra gli altri l’hobby della fotografia, scattando alcune delle più belle fotografie di ambiente santangiolese. A Sant’Angelo, ricorda l’avvocato Giuseppe Fattori, suo nipote, dove rimase con la famiglia fino alla seconda guerra mondiale, abitava nella piazza del Borgo86.

Anita Ruggeri Andreatini nella farmacia di famiglia (raccolta Agla Marcucci, Pesaro). Nella pagina seguente:Cesare Lardoni e Duilio Tacconi in una messinscena al teatro “Perticari”, anni Venti del ‘900 (Archivio storico Diocesano, Pesaro, archivio G. Gabucci)

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La Banca Popolare Pesarese Nel 1914 Giuseppe Andreatini si spende per l’istituzione di una filiale della Banca Popolare Pesarese, che nel paese dei Mamiani e dei Perticari aprì la prima agenzia fuori dai confini del capoluogo di provincia. Dopo la delibera del consiglio comunale del maggio 1913, l’agenzia fu aperta “in via di esperimento” nel 1914, “restando aperta”, informa il manifesto datato 21 maggio, “per ora, soltanto nei giorni di domenica e lunedì d’ogni settimana”. Antonio Pucci fu nominato agente, e la sede fu aperta “sotto l’autorevole patrocinio di un consiglio di vigilanza”, così composto: Vincenzo Sallua, sindaco e possidente; Giuseppe Andreatini, farmacista e possidente; Ferdinando De La Ville Sur Illon, segretario comunale; Geronte Garattoni, possidente e commerciante; Angelo Marcolini, possidente; Luigi Marcolini, perito geometra e possidente; Nazzareno Olmeda, notaio e possidente; Romolo Rossi, possidente. Per ora le operazioni dell’agenzia sono limitate alle seguenti: depositi e rimborsi su libretti di piccoli depositi a risparmio al 3,50%; depositi e rimborsi su libretti di C. C. ordinari al 3%; depositi e rimborsi su libretti di C. C. vincolati a tempo (saggio da convenirsi); trasmissione alla sede delle domande di acquisto di azioni; trasmissione alla sede delle domande di sconto di cambiali al 6%; pagamenti e incassi determinati87.

Entrata a far parte del Gruppo Intesa Sanpaolo, Banca dell’Adriatico, erede della Banca Popolare Pesarese, continua la sua attività in via Roma, a fianco dell’edificio che sorge sull’area occupata prima della guerra dal teatro Perticari.

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La casa sulla piazza [...] La casa di Sant’Angelo era una confusione di stanze, stanzini, gabinetti, salette e cucine: c’era una cucina per l’inverno, una per la primavera e per l’estate, dove ci si spostava all’inizio di ogni stagione, e dove aleggiavano sempre odori corposi di vivande e quello invitante del ragù che si consumava sul fuoco. Uno stuolo di donne pensava a pulire, e soprattutto a cucinare: c’era sempre qualcuno che lavorava la pasta all’uovo sulla tavola della madia fino a renderla elastica e liscia, e poi la stendeva col matterello e la trasformava in tagliatelle e tagliolini che si allungavano come nastri dorati su ogni mensola disponibile, pronti per essere cotti. Quella casa aveva un che di materno nel suo disordine, un’aria così avvolgente nel suo intrico di stanze, che conquistava. Io e mia sorella amavamo perlustrarla; e ogni volta c’era una cosa nuova da scoprire: un giorno un baule pieno di vestiti fuori moda, con i mutandoni lunghi e pieni di pizzi; un altro giorno un ripostiglio mai visto prima, pieno di statuette di cera, con ricchi vestiti, stoffe d’oro e d’argento, corone e aureole di fiori secchi; un’altra volta ancora erano i brusii e i bisbigli dei bachi da seta a lasciarci senza parole, grassi e bianchi, sdraiati su soffici tappeti di foglie di gelso, sparpagliate su tavole di legno. Altre volte era un misterioso abbaino da cui una misteriosa befana gettava mandarini, noci e mandorle il giorno dell’Epifania. Anche il giardino aveva lo stesso spirito della casa: fatto a terrazze, perché il terreno era tutto in discesa, era un guazzabuglio di rose, lillà, glicine rampicante da una parte, viti e alberi da frutta dall’altra, ma pieno di posti segreti, adatti per le nostre scorribande. Sant’Angelo mi pareva un luogo irripetibile dove tutto poteva avverarsi, dove sogno e realtà andavano di pari passo o si intrecciavano in un magico gioco. [...] Forse era l’allegria della gente a renderlo così particolare. Che fosse un paese pieno d’ironia e di umorismo, lo si capiva subito dai nomi, anzi dai soprannomi e dai nomignoli con cui venivano chiamate le persone, secondo ciò che caratterizzava la loro fisionomia o il mestiere che facevano, o secondo quello che avrebbero voluto fare ma non riuscivano a fare. Questa era la cosa più comica, che lo faceva diverso dai paesi che io conoscevo. E così c’erano Mascagni e Verdi, due fratelli che per quanto amassero la musica e per quanti strumenti avessero tentato di imparare, non riuscivano a strimpellarne nemmeno uno; poi c’era Cictuc il calzolaio; e poi Tantera, chiamato cosi perché non era mai cresciuto più di tanto. E il bello era che loro non si offendevano per questi nomignoli, anzi era diventata una cosa talmente naturale che quando dovevano presentarsi a qualcuno, lo facevano dicendo non il vero nome ma il soprannome. Così a volte venivano a crearsi degli equivoci divertenti, perché le persone spesso si raddoppiavano, e se uno veniva da fuori, non sapeva più se stava parlando con Cictuc o col calzolaio; e se chiedeva del signor Fabbri che mandava avanti il consorzio del grano e gli dicevano “ecco il signor Mascagni che lei cerca è qui”, non si raccapezzava più. [...] Gli inverni a Sant’Angelo erano freddi, non c’era mai la nebbia. Quando le vallate intorno poltrivano immerse in un mare lattiginoso e denso, Sant’Angelo galleggiava al sole 232


come una fantastica magica nave con le vele al vento. [...] L’unico luogo misterioso era la villa del conte, disabitata, che dominava in cima al borgo. Ma il suo mistero finiva nell’attimo stesso in cui si arrivava nella parte più alta del parco, al mitico monte Finestrino, che, posto sulla punta di una collina, sembrava davvero un finestrino sul mondo. [...] Il nonno Peppino sembrava un signore rinascimentale. [...] Uomo colto, le sue passioni erano il teatro e la meccanica. Aveva un’officina, cosi lui la chiamava, tutta tappezzata di utensili e arnesi di ogni foggia e grandezza, con cui, insieme a un suo lontano cugino, faceva ogni sorta di oggetti e di invenzioni. Era un fervido ammiratore di tutto ciò che significasse novità e progresso. Era stato lui che a Sant’Angelo aveva fatto arrivare la luce elettrica; ed era stato sempre lui ad aprire una filiale della Banca Popolare. Quando si era sposata la figlia, mia madre, appunto, aveva voluto una festa grandiosa. Non fu un matrimonio privato, ma fu simile a quello che fanno gli eredi al trono: il nonno aveva voluto che tutto il paese partecipasse, e anche i paesi vicini. I pasticcieri del luogo erano stati tutti mobilitati; il rinfresco era aperto a tutti, e la piazza del paese era diventata un enorme salotto, pieno di tavole imbandite. Montagne di bignè alla crema erano dappertutto. [...] Del suo passato conoscevo poco. Sapevo che da giovane avrebbe voluto fare l’ingegnere, ma che la morte prematura del padre l’aveva costretto a ripiegare sulla facoltà di farmacia. Orfano a vent’anni e con una sorella e un fratello molto più piccoli di lui da mantenere, aveva dovuto prendere in mano la farmacia del padre. Sapevo, poi, che anni addietro lui e la nonna erano stati grandi attori: c’era una stanza nella loro casa piena di fotografie che li ritraevano coi costumi dei personaggi che avevano interpretato e portato sulle scene del bellissimo teatro di Sant’Angelo. Laura Marcucci, Il cuore in viaggio, Roma 2000, pp. 42-50. Ringrazio qui Agla Marcucci Gattini e Giovanni Marcucci per i loro racconti e per aver consentito la pubblicazione di queste pagine dal libro di ricordi scritto dalla sorella Laura

Il matrimonio di Adria Andreatini e Guido Marcucci nel 1931: sullo sfondo la chiesa della Scuola (raccolta Agla Marcucci, Pesaro)

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Il servizio automobilistico L’estate del 1916 si apre a Sant’Angelo con l’inaugurazione, avvenuta il 18 giugno, della linea automobilistica “posta e passeggeri da Pesaro-Trebbio della Sconfitta-Mombaroccio-Sant’Angelo in Lizzola-Trebbio-Pesaro”. Partita alle 10 da piazza Vittorio Emanuele, a Pesaro, la “magnifica vettura - una FIAT da 25-35 HP - adornata di fiori e bandiere” con a bordo le autorità del capoluogo fece tappa a Candelara, dove fu servito l’immancabile “vermouth d’onore”. Raggiunse quindi Mombaroccio, dove fu ricevuta dagli amministratori comunali, e da rappresentanze municipali di Sant’Angelo in Lizzola, di Ginestreto, Candelara. Anche qui discorsi, rinfresco e banchetto, prima di partire alla volta del santuario del Beato Sante per una “breve gita”. “Nel ritorno autorità e invitati si recarono anche a Sant’Angelo in Lizzola, ove furono accolti festosamente. Così si è finalmente realizzato un bisogno, lungamente vagheggiato da quelle popolazioni che si vedono ora congiunte al capoluogo con un comodo e moderno mezzo di locomozione”. Il servizio effettivo ebbe inizio il 20 giugno, dopo la “gita di prova” del 7 maggio 1916. Poco sotto, la “La Provincia” del 18 giugno dà notizia di una “nuova scossa di terremoto in senso ondulatorio, abbastanza vispa ma di breve durata”, verificatasi il 16 giugno “alle ore 3,30, preceduta da un forte boato. Tutta la popolazione si è svegliata e, colta dal panico, parte di essa è scappata nelle vie. Fortunatamente non si è verificato alcun danno né alle cose né alle persone”88.

Qui sopra e nella pagina seguente, l’inaugurazione del servizio automobilistico, 1916 (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci e raccolta Giuseppe Fattori, Pesaro)

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Il terremoto del 1916 Ben più gravi, come è noto, le conseguenze del terremoto del 15 agosto, quando a Pesaro ha luogo la prima di una serie di scosse che, oltre a provocare crolli a numerosi edifici storici, costringeranno circa ventimila persone a cercare riparo nelle tende approntate dall’esercito, collocate in vari punti della città, nei capanni sulla spiaggia e persino a bordo dei trabaccoli ormeggiati al porto89. Ingenti danni si registrarono anche nei paesi sulle colline; l’epicentro fu localizzato in mare, di fronte alla costa riminese, e il terremoto ebbe conseguenze importanti in tutta la zona litoranea, da Rimini a Fano. Senza garanzie sull’autenticità dell’attribuzione a Odoardo Giansanti-Pasqualon, riportiamo di seguito una gustosa descrizione degli effetti del terremoto sulla canonica di Sant’Angelo, conservata tra le carte di don Giovanni Gabucci, al quale se ne deve la trascrizione, datata Sant’Angelo, 3-4 Ottobre 1916. Ricordiamo che nel 1933 Gabucci collaborò all’edizione dell’opera omnia di Pasqualon, pubblicata a Pesaro da Nobili. [ ] Fu el Cleric ch’en se moss/ sentend pur cle beli scoss./ Era armast sol in tla ches,/ benchè enn c’era da azzardes,/ el Prior e la Maria,/ Don Giovan e compagnia,/ Don Ricard sol sa la gata,/ Sor Giuseppe sa na ciavata / perché quand la sora Nena/ ha sentit che in tla cucena/ giò cascheva i calcinacc / e l’sofit faceva i stracc / j’a chiaped ‘na cagarela/ ch’à spurchit tutta la schela Dop ariva Bendulon,/ sagresten del Pignaton/ e d’la cura d’Montlabet/ pr’avisè mal vic-curet/ ch’è git giò tra i calcinacc/ Chiesa, chèsa e caminacc Tutt la gent a battaglion/ j’è fugit da Garatton./ T’el mulén, t’el su teatre/ l’a comdet ma quest ma st’atre/ j’è stat malé un bel pzulén; mo veden ch’el birichén/ en’arniva a dè fastidi,/ ringraziand ma Sant’Emidi,/ tutti a chèsa j’è artornet/ e acsé i s’è confortet 90.

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1900-1916. Ordinaria amministrazione Accanto alle grandi innovazioni, “coefficienti di civiltà e progresso”91, l’amministrazione comunale non trascura migliorie di carattere più quotidiano, che vanno dalla riselciatura del borgo all’installazione di servizi igienici, dalla pulizia delle strade alla sorveglianza della fonte, tutti argomenti affrontati dal consiglio e dalla giunta comunale nei primi quindici anni del Novecento. Tra il 1903 e il 1905 si procede alla ripavimentazione di via Borgo: deliberati nel 1903, ma discussi in consiglio almeno da dieci anni prima, i lavori sono collaudati tra il 1905 e il 190692. Sento di dovermi far interprete della pubblica soddisfazione pel nuovo selciato lungo la via Borgo del nostro grazioso e ridente paese, e di tributare un meritato elogio agli appaltatori sigg. Ballerini Giovanni da Montecchio ed Ortolani Luigi da Montelabate che così perfettamente e lodevolmente eseguirono il lavoro. Una parola d’encomio al valente ing. Alessandro Giamperoli della vostra Pesaro, progettista e direttore dei lavori, non che agli ottimi e distinti selcini Pagnini Romeo, Angelo e Federico Nicolini da Fiorenzuola di Focara, e a quanti altri hanno cooperato nel lavoro... Così il paese ha preso un aspetto più gaio, più lindo, più civile, tantoché i paesani e i passanti ne sono assai soddisfatti. Anche il Municipio, che da parecchi anni, fin dal sindacato Marcolini, poneva in servo man mano i fondi per la somma occorrente alla tanto necessaria opera, non ha mancato da sua parte di far sì onde il lavoro riuscisse compiuto e di pubblica soddisfazione93.

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Il selciato di via Borgo, 1903-1906


La pulizia urbana lascia tuttavia “molto a desiderare”, e la giunta propone nel 1906 di istituire una guardia con il compito di vigilare al riguardo: il consiglio “riserva di trattarne in sede di bilancio”94. Nel 1906 si comincia a discutere anche di “impianti di orinatoi” a Sant’Angelo e Montecchio: questione annosa che ricorre nelle delibere fino agli anni Trenta. “Sanno tutti come questo provvedimento sia assolutamente necessario per la pulizia ed igiene dell’abitato, oltreché per evitare un’infinità d’inconvenienti”. Il consiglio approva all’unanimità “l’acquisto di numero tre orinatoi di cui due per il capoluogo ed uno per Montecchio”95. Degna di nota è, tra le tante richieste inoltrate al Comune per lavori di ampliamento e ristrutturazione a edifici privati, una diatriba tra l’amministrazione comunale ed Enrico Garattoni il quale “malgrado la delibera del 13 gennaio 1905 ha iniziato i lavori di costruzione e ampliamento del fabbricato detto osteria nel relitto fra la torre detta Marcolini e la vecchia casa”96, pretendendo “di appoggiare un suo fabbricato alle mura castellane”. Traversiamo la piazza e imbocchiamo la via che ci porta al foro boario che nei giorni di fiera ci presenta questo spettacolo animato, e se qualcuno in tali circostanze non ha volontà né modo di tornarsene a casa per mezzogiorno, ecco l’oste che con la sua famiglia sta lavorando attivamente nell’attiguo giardino Marcolini per preparare ottime tagliatelle casalinghe e buone pietanze accompagnate dal pane

Andrea Marcolini nel pergolato del suo giardino, anni Venti del ‘900 e, nella pagina precedente, Chichén de Chieveron, la famiglia del trattore Francesco Tucchi, 1923 (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci)

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fresco ed odoroso e dal vino generoso scintillante nei bicchieri. E se volete una prova che quel che dico è verità, fate qualche altro passo nel giardino, e lì troverete vicino alla tettoia, il signor Andrea che col suo fare bonario di cor contento offrirà anche a voi un bicchier di vino dalla sua ampia cantina97.

Si susseguono poi le nomine di medici, levatrici e veterinari: tra gli altri ricordiamo Romolo Filippini, anch’egli parte di quel gruppo di animatori della vita paesana il cui nome ricorre nelle cronache. Nato ad Ancona, Filippini fu titolare della condotta di Sant’Angelo almeno dal 1905; a Sant’Angelo, dove risiedeva in una grande casa appena fuori le mura, e dove spesso arrivava in visita anche il fratello Francesco, storico dell’arte, Filippini morì nel 195398. Nel dicembre 1905 il medico dimostra “la sua capacità e opera solerte” nella cura di “parecchi casi di tifo, sviluppatisi disgraziatamente nel nostro paese, alcuni dei quali gravissimi”, e di “un gravissimo caso di difterite, toccato al figlio del colono dei sigg. Spongia”. “Tutti, uno solo escluso, furono vittoriosamente combattuti e guariti”99.

Romolo Filippini, medico condotto

Il clima politico La crisi economica che investe tutta l’Italia nel primo ventennio del Novecento non risparmia Sant’Angelo. Le partenze verso gli Stati Uniti d’America ma anche verso l’Europa, in particolare per la Svizzera e la Francia si fanno sempre più numerose (nel 1908 si registrano per esempio 138 emigranti: 120 uomini e 18 donne, su una popolazione di 2.215 abitanti100), e non è infrequente trovare al fianco di uomini e donne anche ragazzi, che partono in cerca di fortuna con le famiglie o anche a fianco di amici e parenti. Nel secondo dopoguerra si intensificherà anche da Sant’Angelo e dalle campagne circostanti l’emigrazione verso le miniere, e tra i caduti di Marcinelle, ci sarà anche un santangiolese, Sisto Antonini. Sono gli anni della costituzione delle leghe contadini, cui darà grande impulso nella nostra provincia l’attività dell’avvocato – poi onorevole - Giuseppe Filippini (Pesaro, 1879-1972), impegnato in quegli anni in una serie di comizi. A Sant’Angelo in Lizzola Filippini parla tra l’altro nel giugno 1906, anno in cui viene fondata la locale lega mezzadrile101, e nel clima di accesi contrasti ideologici non mancano posizioni radicali, come quella degli anarchici: nel dicembre 1908 Vincenzo Giampaoli chiede al sindaco “di poter tenere lunedì 7 corrente alle ore 3 pomeridiane una pubblica conferenza nella piazza del caffè sul tema ‘Cosa 238

Gli anni dell’emigrazione


Società cooperative a Sant’Angelo, 1919-1921

vogliono gli anarchici così detti malfattori’. Parlerà in merito Cesare Naldini”; stesso oratore e più o meno stesso argomento (“Gli anarchici e la questione operaia”) anche per la conferenza programmata da Giampaoli a Montecchio una settimana dopo, “in uno dei piazzali principali del paese oppure nella sala Ballerini Giovanni”102. La tensione crescerà negli anni successivi alla prima guerra mondiale, quando anche nella nostra provincia si accentueranno gli scontri tra mezzadri e coloni, e si succederanno rapidamente gli scioperi di quasi tutte le categorie di lavoratori, dai muratori ai minatori, dalle setaiole ai braccianti fino agli impiegati comunali. Tra il 1918 e il 1919 la situazione è aggravata dall’epidemia di spagnola, i cui morti si aggiungeranno alle perdite della I guerra mondiale. Tra il 1919 e il 1921 si costituiranno nel Comune di Sant’Angelo tre società cooperative: la Società cooperativa di consumo e la Società anonima cooperativa tra i muratori di Sant’Angelo, nate rispettivamente nel 1919 e nel 1921, e la Società anonima cooperativa tra i muratori manovali di Montecchio (1921)103; almeno dal 1892 è documentata la Società Operaia di Mutuo Soccorso104.

In primo piano: 2 maggio 1921 (fotografia A. Bernardi, Montelevecchie). Sullo sfondo: Ellis Island, New York, la pagina del registro di sbarco del piroscafo Königin Luise, proveniente da Genova, con i nomi dei santangiolesi Giulio e Luigi Salucci, 1911 (www.ellisisland.org)

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Il mercato serico e la filanda Usciti di chiesa e proseguendo sino in fondo alla via, venti anni fa saremmo stati fermati dal canto delle filandaje che lavoravano con passione i bozzoli acquistati sul locale mercato serico allora molto fiorente. La filanda era gestita da tre proprietari di ideali diversi che il popolo aveva ribattezzati col nome di Inferno, Purgatorio e Paradiso. Al posto della filanda è stato aperto nel 1942 l’asilo infantile con annessa scuola di lavoro e doposcuola sotto la direzione delle benemerite Maestre Pie dell’Addolorata; ed il locale accoglie provvisoriamente anche le scuole elementari, in attesa che venga definitivamente sistemato il nuovo edificio scolastico dedicato a Branca, posto fra la piazza Perticari ed il viale Dante Alighieri105.

Sin dal 1899 il consiglio comunale si interroga sull’opportunità di stabilire a Sant’Angelo il mercato dei bozzoli, i bachi da seta il cui allevamento costituiva una delle risorse dell’economia della provincia106. Già dal 1883 i registri della Camera di commercio di Pesaro segnalano in paese due “stabilimenti bacologici”, quello di Luigi Marcolini e quello di Giovan Battista Sallua: presso lo stabilimento Marcolini sono impiegati 10 operai, e la produzione annua “corrisponde a un valore di 2.880 lire”; lo stabilimento Sallua, che risulta fondato nel 1874107, conta 15 operai, con una produzione annua pari a un valore di lire 4.032. Nel 1900 un trafiletto apparso su “La Provincia” suggerisce “si dice che presto verrà aperta una filanda”108. Nel 1907 la Statistica dei prodotti agricoli e bestiame della Camera di commercio ed arti di Pesaro registra per Sant’Angelo la produzione di 90,18 quintali di bozzoli (pari a 414 lire)109; nel 1929, secondo i dati del censimento agricolo, la produzione complessiva dei bachi da seta è di 5.165 kg (peso complessivo dei bozzoli freschi)110; nel 1931 si arriva a 6.187,8 kg, “con un beneficio per la cassa comunale di lire 1.237,55 per i diritti di pesatura”. Il 7 maggio 1926 i registri delle delibere podestarili riportano una “domanda per la costruzione di un padiglione per mercato serico”: considerato che il mercato serico il quale si svolge da tempo assai remoto in questo paese e ha assunto uno sviluppo notevolissimo, tanto che dal diritto di pesa dei bozzoli il comune ritrae annualmente un gettito di lire 3.000 minaccia di declinare perché il comune non ha un luogo coperto ove possa essere tenuto, di guisa che nei giorni di poca buona stagione i venditori, piuttosto di correre il rischio di perdere il loro prodotto, si recano a Pesaro; riconosciuto essere indispensabile - in primo luogo per non perdere i notevoli, e assai sensibili vantaggi che ritraggono il comune e il Paese e in secondo luogo per assecondare le due fiorenti industrie 240


della filatura della seta e produzione del seme bachi esistenti in questo capoluogo - costruire un apposito padiglione per il mercato serico, affinché questo non si debba svolgere più all’aperto lungo la via principale del paese e sia evitato l’esodo dei venditori e lo sconcio di vedere, nei giorni di pioggia improvvisa, mercanti e merci riparare in chiesa; visto il progetto di massima... dal quale si desume che la spesa che importerà al comune... sarà di lire 40.000 [il consiglio comunale] ...delibera in via di massima di costruire nel capoluogo un padiglione per il mercato serico.

Più di un anno dopo, il 17 settembre 1927, “considerato che ora si ravvisa la necessità di costruire un padiglione che possa servire per il mercato in genere e per il mercato serico, data la importanza commerciale e industriale che va assumendo il Capoluogo con le fiere ed i mercati settimanali” il consiglio delibera di chiedere al prefetto “l’autorizzazione a cominciare i lavori in economia, data l’urgenza di iniziare i lavori per combattere la disoccupazione”, mentre da una delibera del 1 dicembre 1927 si ricava che i costi per la costruzione del padiglione, affidata alla ditta fratelli Badioli di Pesaro, sono saliti a 47.000 lire. Il 27 luglio 1930, tra le note liquidate dal comune relativamente al mese di giugno compare anche la voce “compenso agli incaricati del servizio per il mercato serico”. il servizio quest’anno fu più importante [dell’anno scorso] perché si sono incassate a beneficio del Comune L. 2.376,50 mentre l’anno scorso si riscosserono [sic] L. 2089,80, e malgrado la differenza il Commissario concede lo stesso compenso e cioè: Nardi Corrado contabile, lire 200; Solforati Luigi e Del Vedovo Dioscoride pesatori: lire 80; Capanna Duilio registratore, lire 80; Garattoni Egisto sorvegliante, lire 30.

Filanda Giunta, 1927 (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci)

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L’ultimo riferimento al mercato serico nei libri delle delibere comunali è del 1 ottobre 1931, quando sono liquidate a C.G. 10 lire per stoffa bandiera mercato serico111. Ancora Leonella Giovannini e Anna Donati, entrambe residenti a Sant’Angelo, ricordavano pochi anni fa che il mercato dei bozzoli si svolgeva nel piazzale a fianco della Collegiata di San Michele Arcangelo: le contadine arrivavano con la cesta sulla testa, i bozzoli coperti con dei panni bianchi; passavano i compratori e sceglievano112. Tra il 1903 e il 1909 numerose operaie della filanda di Sant’Angelo in Lizzola emigrarono come le loro colleghe di Fossombrone per il sud della Francia, dove trovarono impiego presso la manifattura di seta Franquebalme, a Villedieu, vicino ad Avignone. Tra loro Maria Simoncelli, Giulia Geminiani e Elvira Macrini in Cecchini, Maria Stramigioli, Antonia Giommi, che partirono nel 1909113.

Filandaie santangiolesi ad Avignone

Emigrati santangiolesi in Svizzera, Ginevra, 1920. Nella pagina seguente, nell’immagine grande: New York, Lyceum Hall, Primo anniversario della Società Gioachino Rossini tra marcheggiani e romagnoli, 25 novembre 1931 (fotografia Ciervo, Brooklyn; Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola); in primo piano, un panorama di Sant’Angelo, 1930 (cartolina, ed. Garattoni Timo, Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci)

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Sant’Angelo in Lizzola, 24 maggio 1915 Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria. Seguiranno più di tre anni di combattimenti durissimi, fino alla vittoria - il cui prezzo è noto - del novembre 1918. Ai santangiolesi morti al fronte verrà dedicata nel 1928 la chiesa della Scuola, trasformata in cappella dei Caduti grazie all’attività instancabile di un comitato di cittadini, primo fra tutti, neanche a dirlo, Giovanni Gabucci. Sant’Angelo in Lizzola, lunedì 24 maggio 1915. Sono svegliato verso le 3 dai cannoni delle corazzate tedesche venute a bombardare la costa Adriatica. Incomincia la guerra coll’Austria dopo l’ultimatum presentato ieri 23 che spirava stanotte a mezzanotte. Vado tosto a Pesaro per sbrogliare il Seminario che sarà adibito ad ospedale militare114.

Molti sono coloro i quali “chiedono di recarsi al fronte” in cerca di lavoro come operai, registrandosi negli elenchi del comune come “minatori, braccianti, manovali, cimetisti e muratori”115. Oltre al coprifuoco, tra i provvedimenti emanati dal prefetto nel 1916 in esecuzione delle disposizioni di legge c’è anche il divieto, “onde prevenire spiacevoli incidenti o falsi allarmi”, di accendere fuochi nelle feste religiose, come nelle campagne si usava fare nelle notti tra l’8 e il 10 dicembre, in occasione della solennità dell’Immacolata Concezione e della Beata Vergine di Loreto116.

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Ordinanza del sindaco Vincenzo Sallua “per misure preventive contro eventuali bombardamenti�, 1916 (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola); a destra: Guido Dionigi, caduto nella I guerra mondiale (Archivio storico Diocesano; archivio G. Gabucci). Nella pagina precedente: le memorie della I guerra mondiale di Elmo Cermaria, abitante del Brasco, dettaglio. I ricordi di Cermaria sono stati pubblicati a cura del nipote Francesco Nicolini (Il Fiorino, Modena, 2013)

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Ercole Luigi Morselli (1882-1921) Nel 1922 Sant’Angelo in Lizzola ricorderà con una serata al teatro Perticari lo scrittore e drammaturgo Ercole Luigi Morselli. In programma una commemorazione dell’avvocato Arrigo Cinti, seguita da una “sfarzosa messa in scena” del suo lavoro più noto, il Glauco. La recita, commenta inflessibile Giovanni Gabucci, “non riesce troppo bene per l’impreparazione degli attori”117. Il 26 maggio 1927 sarà proprio Gabucci, in quei giorni studente presso la Scuola Vaticana di Archivistica e Paleografia, a rappresentare il paese nella solenne cerimonia di inaugurazione della tomba monumentale di Morselli al Verano di Roma118. Lo possiamo considerare santangiolese perché la sua mamma era di qui, e tornava spesso quassù a ritemprare il suo fisico minato dal male. Anzi il Glauco, che fu il suo capolavoro, fu composto nella maggior parte quassù e letto a quel gruppo di amici intimi che lo portarono per tre volte con onore e con amore sulle scene del teatro Perticari. Ed eccolo il poeta sorridente nel giardino della villa Perticari, nel pomeriggio del 20 settembre 1915 per festeggiare il battesimo della figlia dell’avvocato Cinti alla quale cerimonia egli fece da padrino119.

Nato a Pesaro nel 1882, Ercole Luigi Morselli morì a Roma nel 1921, dopo una vita “romanzesca” trascorsa in giro per il mondo tra mille mestieri. Amico e sodale di Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, con i quali condivise gli anni della gioventù a Firenze, se ne allontanò per partire nel 1903, con l’amico Federico Valerio Ratti alla volta dell’Africa, per raggiungere poi il Sudamerica e, infine, l’Inghilterra e Parigi.

Foto di gruppo per il battesimo di Gaia Cinti, 1915. In piedi, terzo da sinistra, si riconosce Ercole Luigi Morselli (Archivio storico Diocesano, Pesaro, archivio G. Gabucci)

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Rientrato in Italia si dedicherà alla scrittura di racconti e drammi che riscuoteranno alterno successo: tra periodi di indigenza e relativa serenità si sposerà a Pesaro il 21 ottobre 1915 con Bianca Bertucci, ma l’aggravarsi della tubercolosi ben presto lo costringerà al ricovero nel sanatorio di Prasomaso, presso Sondrio. Nel 1919 il Glauco debutterà al teatro Argentina di Roma dove rinnoverà, amplificandolo, il successo ottenuto anni prima dall’Orione (1912). I proventi del Glauco consentiranno a Morselli di acquistare una piccola casa a Pesaro, sul San Bartolo, dove si trasferirà nel 1920. Già nel gennaio dell’anno successivo, però, le sue condizioni peggioreranno, tanto da rendere necessario un ricovero d’urgenza alla clinica Morgagni di Roma, dove lo scrittore morirà nel marzo 1921. Le affermazioni di Gabucci sulla permanenza di Morselli a Sant’Angelo trovano riscontro inei documenti conservati presso il fondo Morselli della Biblioteca Oliveriana di Pesaro, anche se il Glauco risulta scritto in Ancona, e letto in casa di Arrigo Cinti il 18 maggio 1915, poco prima che lo scrittore decida, insieme con la moglie Bianca, di rifugiarsi a Sant’Angelo per sfuggire ai bombardamenti che bersagliano la costa adriatica nell’estate 1915120. Il 15 giugno 1915 Bianca Bertucci annota nel suo diario ieri sera abbiamo cenato sul girone dei conti Perticari. [...] Verso notte, in direzione del mare, abbiamo visto moltissimi fuochi sparsi in qua e in là, tanto da sembrare di lontano una città illuminata. [...] Nella nostra comitiva c’è stata una forte indignazione e abbiamo immaginato che fossero segnalazioni ad aeroplani o navi nemiche per qualche bombardamento, come poi è avvenuto.

A Bianca, valente pianista, viene proposto di accompagnare “i virtuosismi canori” della contessa Perticari, e durante un ricevimento i Morselli conoscono il musicista Mezio Agostini, anch’egli a Sant’Angelo per un breve periodo. Nell’agosto del 1915 Morselli, che quasi ogni giorno si reca a piedi da Sant’Angelo a Pesaro, si sottopone in paese alla visita medica per la chiamata alla leva della classe 1882. La cartella clinica registra i primi sintomi della malattia che pochi giorni dopo sarà diagnosticata come tubercolosi. I Morselli saranno nuovamente a Sant’Angelo nell’estate del 1918, in cerca di riposo ma soprattutto per sfuggire all’epidemia di spagnola. Pochi mesi prima era morta sua madre, Annetta Celli, maestra diplomata, spentasi dopo una serie di ricoveri al manicomio di San Benedetto di Pesaro. “A Sant’Angelo la famiglia Celli era proprietaria di un palazzetto che fregiò con lo stemma di famiglia (tre stelle e una fascia in campo azzurro e un uccellino con un ramoscello nel becco)”121. 247


Sant’Angelo in Lizzola, ottobre 1917 Sabato 13 ottobre 1917. Alle ore 16 è morto a Sant’Angelo in Lizzola il cav. Luigi Marcolini di anni 62, consigliere e deputato provinciale. La dolorosa notizia, comunicata subito al nostro Sindaco, produsse un senso di vivo rimpianto anche tra i numerosi amici di Pesaro, che in lui amavano l’uomo probo e cortese, il soldato leale e fido dell’idea liberale. Già sindaco della sua Sant’Angelo, era pure fra i fondatori e presidente di quella fiorente organizzazione che è la Federazione monarchica rurale. Egli dedicò molta della sua attività a beneficiare il paese, che oggi piange la sua dipartita, come quella di uno dei suoi migliori figli. La Provincia invia commossa ai congiunti le più sentite condoglianze.

I funerali si svolsero due giorni dopo, e davvero, a leggere la cronaca riportata su “La Provincia” del 21 ottobre, “il trasporto riuscì una solenne manifestazione di affetto e di stima per l’illustre estinto, che tutta la sua attività consacrò al paese che amava”. Preceduto dalle confraternite e dai religiosi, il feretro era accompagnato da rappresentanze delle scuole, dei Comuni (presenti oltre a Sant’Angelo anche Monteciccardo e Ginestreto), delle locali Società operaie e, tra le altre, della Federazione monarchica rurale. Luigi Marcolini fu ricordato dall’onorevole Monti-Guarnieri e da altri notabili della zona, e assai nutrito è l’elenco dei telegrammi e corone inviati da conoscenti e amici. “Lungo tutto il percorso nelle vie del paese i negozi restarono chiusi”122.

S. Angelo in Lizzola (Pesaro) - Entrata da sud (raccolta Giuseppe Fattori, Pesaro)

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Nozze d’argento L. Marcolini - E. Bartoli, 1905 circa. Più volte pubblicata, questa immagine raduna molti dei protagonisti della vita di Sant’Angelo negli anni tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, i cui nomi sono trascritti da Giovanni Gabucci su un foglio incollato alla fotografia. Dall’alto al basso, Ia fila in piedi - Andrea Marcolini, Lodovico Astolfi, M° Bruscolini, segretario O. Gerunzi, don Riccardo Giannoni, Giuseppe Guidi, Luigi Andreatini, Cristoforo Mambrini segretario di Monteciccardo; 2a fila - in piedi maresciallo Giacomazzi, M° Pizzagalli, Pavoni M° di musica, dott. D’Erario, Vincenzo Sallua, daziere Botticelli, dott. Filippini, Aurora (?) Della Chiara, Nazzareno Mariotti, Enrico Garattoni; 3a fila, seduti - Paolina Sallua, Veronica Andreatini, Ersilia Guidi, sig. Luigi Marcolini, Eugenio Costantini, Angelo Marcolini, 4a fila seduti a terra - ?, Ciro Mariotti, Amelia Marcolini [seguono alcuni nomi illeggibili per via dell’inchiostro scolorito]; sdraiato il cuoco Carucci Alessandro e sui ginocchi... [id.]. A destra, una fotografia dagli album di Giovanni Gabucci: l’immagine non reca indicazioni riguardo a luogo e data; su entrambi i lati è però riportato il nome di Peppino Giovagnoli (Archivio storico Diocesano; archivio G. Gabucci)

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1921-1944. Annali del regime

Giuseppe Andreatini fu anche primo podestà di Sant’Angelo, carica che mantenne dall’estate 1926, anno in cui le leggi “fascistissime” ne istituirono la figura, fino al 1928. Primo sindaco del periodo fascista fu Antonio Pucci, sotto la cui guida nel 1924 il consiglio comunale di Sant’Angelo deliberò di aderire alla Federazione dei Comuni fascisti della Provincia, conferendo poi a Benito Mussolini la cittadinanza onoraria del paese123. Nell’ottobre 1922, nemmeno un mese prima della marcia su Roma, si era svolto a Pesaro il I congresso provinciale del partito fascista124. Nel ventennio mussoliniano anche Sant’Angelo sarà investita dalla consueta retorica di regime, tra saggi ginnici ambientati in piazza Perticari, “piantagioni” di alberelli celebrate con enfasi degna di miglior causa, progetti di opere importanti che vedranno la luce solo dopo la seconda guerra mondiale (per esempio il nuovo edificio scolastico), e realizzazioni meno impegnative come i mattatoi di Sant’Angelo e Montecchio. Più significativa appare l’apertura nel 1921 di viale Dante Alighieri, grazie al quale il paese sarà dotato di una “circonvallazione”125. Nel 1931 sarà soddisfatto l’obbligo “di intitolare a Roma la via principale del paese”, via Borgo, e nella stessa occasione saranno mutate le denominazioni di via Vedetta, che diventerà via Ercole Luigi Morselli, piazza Mamiani (piazza IV Novembre), via delle Mura (via M° Giacomo Boccalaro). Nessuna modifica, invece, per piazza Giulio Perticari, piazza Giovanni Branca, via Mamiani, via Branca, viale Vincenzo Monti e viale Dante Alighieri126. Uno sguardo di sintesi sul periodo fascista è offerto da una nota di Giovanni Gabucci, relativa al periodo 29 ottobre 1922-28 ottobre 1940. Tra le opere di viabilità sono elencate: asfaltatura della strada provinciale frazione Montecchio; sistemazione con stecconata della piazza Perticari; alberatura della piazza Perticari, viale Monti, Dante Alighieri e Branca; scarpata di rinforzo in muratura al viale Monti; allargamento via Trebbio sull’incrocio Serra e Montali; correzione via Provinciale in fondo viale Monti con stecconata in cemento armato (provincia) e scarpata in pietra viva (dott. Filippini). 250

1926, il Podestà

1931, nuovi nomi alle vie


1935, trasferimento del Municipio

Organizzazione fascista, 1932

Per le opere di edilizia Gabucci segnala il mattatoio, l’edificio scolastico (“non compiuto”), l’ampliamento della chiesa parrocchiale, avvenuto però a spese della Santa Sede come la costruzione della nuova casa parrocchiale, il molino da olio dei fratelli Garattoni, il “salone teatro cinema Marconi con bar (O.N.D.)”, l’acquisto dell’antico palazzo baronale “per sede del Municipio e delle organizzazioni del Regime”, l’elettrificazione del molino di cereali Daniele Bellucci. Infine, alla voce “Opere di bonifica e di igiene” è annoverata la “conduttura acqua potabile nelle case e nei negozi”127. Nel bilancio tracciato da “L’Ora”, settimanale fascista della provincia di Pesaro e Urbino, in occasione del decennale della marcia su Roma (1932), spiccano soprattutto le esigenze insoddisfatte del paese, tra le quali “la nuova residenza comunale, dato che l’attuale è insufficiente e indecorosa, e la costruzione di un nuovo edificio scolastico con palestra. Le delibere sono già state approvate dalle superiori autorità e si attende il mutuo per iniziare i lavori”. Anche il servizio postale risulta “insufficiente”, mentre “è viva l’attesa per la conduttura dell’acqua potabile a domicilio”. Nel comune esistono due Fasci, uno nel capoluogo e uno a Montecchio, forti complessivamente di 60 iscritti. L’Opera Balilla raccoglie a Sant’Angelo la quasi totalità degli alunni delle scuole (180 Balilla e 130 Piccole italiane). [...] L’attività assistenziale ha beneficato nell’inverno scorso una trentina di famiglie con generi alimentari per 1.800 lire e con somme in denaro. Questo nel Capoluogo; circa altrettanto il Fascio ha fatto a Montecchio. Per l’inverno che si affaccia sarà allargata l’opera di assistenza già compiuta. La disoccupazione è forte a Montecchio, dove c’è grande numero di braccianti. Opere pubbliche sono necessarie per dare pane e lavoro. [...] Il Dopolavoro sostiene le spese del Concerto cittadino. Da poco tempo si è formata anche la Società Sportiva SAIL la quale raccoglie la migliore gioventù santangiolese e aderisce all’O. N. D. locale128.

Completano il quadro alcune notizie dalle delibere podestarili: l’impianto, nel 1928, di un distributore di benzina affidato alla ditta SIAP (Società Italo Americana del Petrolio)129 e il contratto, stipulato nel 1933 dall’amministrazione comunale con l’Unione Esercizi Elettrici di Milano per la fornitura di energia elettrica a Sant’Angelo e Montecchio. Il canone per la pubblica illuminazione di Sant’Angelo e Montecchio è di lire 4.500 annue; l’impianto di Sant’Angelo è costituito da 15 fanali con lampade da 40 watt, 7 fanali con lampade da 60 watt e altrettanti con lampade da 100 watt, mentre a Montecchio vi sono 8 fanali da 60 watt. La fornitura è effettuata “dall’imbrunire all’alba”130. 251


Il ventennio fascista si chiude sull’istituzione dell’asilo infantile che, almeno dal 1939 “vagheggiato dalla popolazione”, prenderà corpo tra il 1940 e il 1943 grazie ad alcune donazioni di privati cittadini, prima fra tutte quella dell’edificio da ristrutturare, e al contributo governativo di 30.000 lire concesso dal duce. L’importo dei lavori fu di 53.666,60 lire, e i creditori furono saldati solo nel 1943, dopo una lunga serie di ritardi nei pagamenti131. La scuola intitolata a Giulio Perticari sarà invece ultimata solo nel 1953, secondo un disegno piuttosto diverso rispetto a quello al quale rimanda la delibera consiliare del 1930132.

Dall’alto: anno scolastico 1928-1929, la classe della maestra Salucci Ballarini; Raduno ex combattenti, 1935; a destra: Campagna Bacologica 1938. Massaia rurale Giunta Maria e Franco, Massaia rurale Terza Del Vedovo e Virgiana (Archivio storico Diocesano, archivio Giovanni Gabucci)

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1926. Artigiani e commercianti Nel 1923 fa capolino negli atti comunali Cafiero Giampaoli, “moderatore del pubblico orologio”, il quale richiede un aumento di stipendio133. Cafiero lavora con suo nonno Fortunato Iacomacci, nella bottega da orologiaio dove anche dopo la guerra continuerà a esercitare il proprio mestiere. L’Elenco degli artigiani datato 1926 lo registra, oltre che tra gli orologiai, anche tra i meccanici, insieme con Desdemone Del Vedovo (anche barbiere) e Giocondo Gili. Tra i fabbri figurano invece Egidio Gili e figli, Agile Gili, Germano Franci e Giuseppe Niccolini, mentre i falegnami sono Bruno Giunta, Giulio Giunta, Luigi Del Monte e Luigi Urbinati. I muratori sono Libero Giampaoli, Mariano Baronciani ai quali si aggiunge la Cooperativa muratori, presieduta da Adamo Giampaoli; in paese vi sono poi 3 calzolai (Luigi Romani, Arturo Lazzari e Giovanni Tucchi), 4 carrettieri (insieme con Francesco Branca, citato nelle prime pagine di questo volume figurano Luigi Cangini, Ernesto Ballerini, Guerrino Del Prete) e altrettanti macellai, Gino, Ciro e Germano Donati e Massimo Geminiani, che lavora però “solo carne suina e porchetta”. Infine, il fornaio Nazzareno Lazzari, e i carradori Giuseppe e Vincenzo Romani, padre e figlio134. L’Elenco generale delle ditte inscritte al 31 dicembre 1929 nel registro dell’ufficio del Consiglio provinciale dell’Economia135 conta tra Sant’Angelo e Montecchio 103 nominativi, comprendenti artigiani, titolari di esercizi commerciali e ambulanti. Oltre agli artigiani già citati nel 1926 si registrano 2 rivendite di vino, 3 di tessuti e generi diversi e una di chincaglieria, la “tintoria, manifattura, filati” di Napoleone e Giuseppe Giovagnoli, una rivendita di ferramenta e materiali da costruzione e una di “laterizi e cemento”, il frantoio di Geronte Garattoni e quelli intestati a Elisa Bartoli e Luigia Spadoni, uno spaccio di generi diversi-osteria, l’osteria della famiglia Tucchi, la “fabbrica di selz e gassose” di Nazzareno e Arturo Lazzari e, naturalmente, la farmacia Andreatini. A nome di Andrea Marcolini, “affittuario fondi rustici” figurano infine anche la “produzione di seme bachi” e la “fornace laterizi”. Gli ambulanti registrati sono 6, tutti commerciano in frutta e verdura, uno vende anche pesce, uno, infine, tratta “chincaglieria”.

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1928. La cappella dei Caduti e la collegiata Sin dal novembre 1927 a Sant’Angelo si discute sull’opportunità di dedicare ai Caduti la chiesa della Scuola136. Dopo mesi di incessante attività del comitato di cittadini coordinato ancora una volta da don Giovanni Gabucci, la cappella dei Caduti sarà inaugurata il 4 novembre 1928, “X annuale della Vittoria”, con lo scoprimento delle lapidi raffiguranti il “libro d’oro dei caduti in guerra circondato dall’alloro della Vittoria”, sulle cui pagine l’architetto Zambaldi “con pensiero geniale ha scolpiti i nomi dei 29 eroi del Capoluogo che diedero la loro vita per la Patria. [...] Sulla porta maggiore del tempio fu posta la leggenda in marmo: AI CADUTI PER LA PATRIA”137. I nomi dei Caduti presenti sulla lapide - probabilmente distrutta insieme con la chiesa dopo la II guerra mondiale - dovrebbero essere quelli riportati su un elenco conservato tra le carte di don Giovanni, e cioè Antonini Cesare, Artemi Luigi, Basili Nazzareno, Boschi Adamo, Branca Enrico, Bruscoli Federico, Cermaria Fernando, Dionigi Guido, Dionigi Primo, Dogali Domenico, Fratini (Frattini?) Nazzareno, Forlani Giuseppe, Gabrielli Giuseppe, Gili Araldo, Giorgi Sesto, Giovanelli Gordiano, Leonardi Guerrino, Mancini Giovanni, Marinucci Giuseppe, Marinucci Luigi, Paci Angelo, Pagnoni Settimio, Pieri Angelo, Rulli Oreste, Severi Emilio, Tombarini Primo, Tucchi Amilcare, Ugolini Clemente, Zaffini Amato.

Altre note aggiungono i nomi di Albertini Michele, Badioli Rinaldo, Barbanti Ilare, Bertini Nazzareno, Cangiotti Ernesto, Gili Terenzio, Levroni Celestino, Mancini Elpidio, Mancini Ugo, Pagnoni Terzo, Paolini Emilio, Pedini Augusto, Peruzzini Augusto, Porzini Augusto, Tartaglia Giovanni, Ugolini Pietro, Volponi Giuseppe, tra i quali i Caduti della guerra in Libia (1913) e quelli della II guerra mondiale138.

Nel 1930 saranno tumulate nella cappella dei Caduti le salme dei militi Guido Dionigi e Amato Zaffini139, rientrate in patria il 3 agosto 1924140 e nel 1925141. Dionigi era caduto a ventidue anni nel 1916 a Plava, sull’Isonzo (Slovenia), Zaffini morì invece trentaduenne presso l’ospedale di tappa di Este (PD)142. In due quaderni e una quantità di fogli e foglietti Gabucci dà conto di offerte da parte dei cittadini, spese sostenute, fornitori, riunioni, discorsi, richieste al ministero: un brulichio di attività avviate il 27 Luglio 1928, con la convocazione della prima adunanza del comitato “pro Lapide Caduti”, e culminate il 4 Novembre con lo scoprimento delle lapidi. 254


Per la tinteggiatura generale della chiesa “a due colori”, e la posa in opera delle due lapidi in marmo e cemento all’architetto Zambaldi fu corrisposta la somma di 2.800 lire, mentre al doratore Giannetto Paolucci, che “rifinì a oro zecchino i nomi dei caduti e le decorazioni della corona e del libro” fu riconosciuto un compenso di 300 lire. Senza dettagliare ulteriormente le spese, ammontanti in totale a 3.481,05 lire, riportiamo che il bilancio della realizzazione della cappella dei Caduti si chiuse in positivo, con un avanzo di 413,95 lire. Però coll’esposizione di queste cifre non finisce il compito del comitato, perché è nostra intenzione di voler quanto prima completare l’opera, e se non fosse stata causa la lunghezza delle pratiche burocratiche, oggi avremmo potuto espletare il nostro compito inumando nella chiesa le salme tornate dal fronte143. Il ritorno delle salme di Guido Dionigi e Amato Zaffini

Conclusione che avverrà appunto nel 1930: alla cerimonia del 4 Novembre di quell’anno segue l’arrivo in dicembre di “sei candellieri” ordinati alla ditta Tanfani e Bertarelli di Milano, succursale di Roma, “posti in chiesa la vigilia di Natale”144.

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Nel 1928 ricorre anche il XXV anniversario del “possesso parrocchiale” del priore della collegiata, don Vitale Zazzeri, che festeggia con l’offerta di alcuni abbellimenti all’interno della chiesa, ripulita e decorata dal “cavalier Giuseppe Paolucci di Urbino”. Non manca un banchetto di “oltre 70 coperti”, “tenuto nel salone dell’antico palazzo Mamiani, allora della sig.ra Elisa Marcolini”. “Colpito da paralisi progressiva il 22 Novembre 1929” il priore Zazzeri “poté però celebrare fino al 18 Settembre 1930. Declinando lentamente, spirò la sera del 15 corrente alle ore 9,30, assistito dal padre Giovanni da Pesaro cappuccino”. I suoi funerali furono celebrati con un certo sfarzo, e gran concorso di popolo e autorità145. Tra il 1932 e il 1933 la collegiata di San Michele assumerà l’aspetto odierno, con la costruzione della terza navata “sull’area della vecchia e cadente casa parrocchiale”146 e della nuova casa parrocchiale. Del 1934 sarebbe infine l’aggiunta del San Michele arcangelo dipinto su maiolica da Pietro Ciccoli, murato nel finto finestrone della facciata, i cui frammenti sono oggi conservati nei locali della canonica147. Nel 1921 era stata riaperta infine la chiesa di Monte Calvello, danneggiata qualche anno prima da un incendio dovuto a “una candela lasciata incustodita”148.

La collegiata dopo i restauri del 1933 (cartolina, ed. Garattoni Timo) e il pannello di ceramica realizzato da Pietro Ciccoli (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci)

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Lavori alla collegiata


Teatro Perticari, notizie 1901-1935

1901-1910

A dispetto della descrizione che ne dà la Statistica Scelsi, il teatro Perticari si conferma in realtà fino all’agosto 1944 un luogo di grande vivacità, dove tra concerti, conferenze e allestimenti d’opera e di prosa si possono incontrare personalità dello spettacolo come Carlo Ninchi (che a Sant’Angelo trascorreva le vacanze), Umberto Macnez, Mario Del Monaco, oltre agli agguerriti filodrammatici santangiolesi, i quali dal 1922 dedicheranno la loro “società” al drammaturgo Ercole Luigi Morselli. Negli anni fascisti non mancano neppure “brillanti esibizioni di boxe”. In attesa del completamento di una ricerca più dettagliata offriamo di seguito una prima ricostruzione dell’attività del teatro dal 1901 al 1935149. Ancora una volta va sottolineata l’abilità della filodrammatica di Sant’Angelo e dei suoi animatori, sempre pronti a cogliere le novità della scena teatrale italiana e a proporle in allestimenti capaci di attirare in paese anche il più smaliziato pubblico cittadino. Tra loro, accanto a Giuseppe Andreatini, c’è il nipote di Luigi Guidi, Gino. 17 novembre 1901, domenica. Concerto di Celestina Fanchiotti (violino) e Mery (sic) (flauto), accompagnate al piano da Ida Fanchiotti, a beneficio delle Società di Sant’Angelo in Lizzola e Monteciccardo. “Anche i bravi filodrammatici di Pesaro, signorina Nini-Bellucci, sig. Ricci e Signoretti contribuirono assai a rendere lieta la festa”150. 10 ottobre 1910. “Trattenimento”. Il teatro è “offerto” dalla famiglia Perticari. E si cominciò con la musica: la valente pianista sig.ra Caterina Paoletti Malinverno di Pesaro, interpretò con fine maestria e fra la più viva ammirazione dei presenti la sinfonia della Gazza ladra accompagnando il consorte avv. Renato Malinverno, il quale al merito di distinto funzionario congiunge anche quello di essere un violinista di forte temperamento artistico. Si passò quindi alla produzione drammatica Lucia Didier151 scelta con felice criterio e non meno felicemente interpretata. Ricordo anzitutto la signora Gualdesi Maria in Giacomazzi che rese la figura di Lucia con ottima spigliatezza e colorito; la signora Ruggeri Anita, un’elegante e briosa Alice che nella sua breve parte rivelò uno squisito intuito drammatico; il signor Andreatini Giuseppe, il quale del protagonista Didier seppe plasmare un’intelligente incarnazione, spiegando doti artistiche veramente pregevoli; il signor Marcolini Andrea (brillante Martin), esilarante per la sua signorile quanto inesauribile comicità; il signor Venerandi dott. Carlo (banchiere Sarzaune) un filo... drammatico pieno di diplomazia e di seduzioni; ed infine il signor Andreatini Sandro, il quale nella sua limitata parte ebbe pure agio di far risaltare le sue ottime disposizioni per il teatro. Diede ter257


mine allo spettacolo una serie d’irresistibili macchiette napoletane, riprodotte fra la generale ilarità dall’ottimo signor Giovanelli Ubaldo. La serata, oltre all’esito splendido sotto l’aspetto ricreativo, ebbe un notevole risultato finanziario per la locale congregazione di Carità, a cui beneficenza con gentile pensiero era stata organizzata152.

1913, La cena delle beffe

1913, dicembre. Sem Benelli, La cena delle beffe. Nelle fotografie, datate gennaio-febbraio 1913, si riconosce Giuseppe Andreatini, nella parte di Neri Chiaramantesi. Giovedì e domenica fu rappresentata La cena delle beffe di Sem Benelli. L’esecuzione fu resa più attraente dallo sfoggio dei vestiari venuti appositamente da Bologna, ed il pubblico accorse anche dai paesi vicini per gustare la produzione nuova per questi luoghi, In verità dagli esecutori non si poteva aspettare di più: quello che si aspettava era una produzione più morale, specialmente per certi attori che si dicono cattolici. Ora che si grida tanto da tutti contro la depravazione dei costumi non sarebbe bene che certe cose si lasciassero da parte, e si scegliessero produzioni oneste e belle che sono pure in gran numero e che tutti possono gustare? Speriamo che per l’avvenire facciano così153.

28 febbraio 1915. Recita di una “graziosa commedia disimpegnata con arte dai nostri filodrammatici”, “a beneficio del locale “comitato di soccorso pei disoccupati rimpatriati”, con un introito netto di lire 45. Il teatro era affollatissimo per l’intervento di pubblico anche dai paesi vicini”, tra gli attori “si distinsero” “specialmente la signora Marta Guidi e la Signora Giacomazzi, meritando fragorosi applausi”154.

Sem Benelli, La cena delle beffe, 1913. A pagina 261: il Circolo filodrammatico di Sant’Angelo, 1923 (Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci)

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1915


1921, Glauco

6 aprile 1915, martedì. Emile Zola, Teresa Raquin, allestimento della “locale filodrammatica”. “Il Concerto cittadino contribuì alla migliore riuscita della rappresentazione, ed ha prestato gratuitamente l’opera sua; così fu pure data gratuitamente l’illuminazione elettrica al teatro. L’incasso fu versato alla Congregazione di Carità di Sant’Angelo”155. 19 febbraio 1921* (cfr. pag. 262). “È dato per la prima volta il Glauco di Morselli”. 25 settembre 1921. Commemorazione dantesca. Nel paese imbandierato e impavesato - arrivo delle autorità - corteo e inaugurazione del nuovo viale Dante Alighieri. Conferenza al teatro Perticari dell’avvocato Diambrini, sindaco di Fano - che fu felice ed applaudito - alla sera lotteria. Illuminazione elettrica perché i palloncini non furono accesi. Servizio del concerto ed alla fine, fuochi artificiali di Paci di Montegaudio che, secondo una indovinata frase del M° Poderi di Ginestreto, erano bellini, ma non si vedevano per causa del fumo.[...] Dopo i fuochi, i Pesaresi recitarono al Perticari Tristi amori di Giacosa156.

1922-1923

2 novembre 1921, mercoledì. “È venuta a recitare al “Perticari” una compagnia siciliana, hanno incominciato iersera e, sembra, con produzioni morali; bravi se seguiteranno!”157. 22 gennaio 1922. “Commemorazione del poeta Ercole Luigi Morselli fatta dall’avv. Arrigo Cinti di Ancona seguita dalla recita del Glauco”. 27 dicembre 1922. V. Alfieri, Oreste, allestimento della “filodrammatica locale”. 3-18 dicembre 1923. Compagnia Amorosi-Pasquini “con Sangue spagnolo che poi è Jean Josè fatto dai nostri nel 1920. Incassarono circa 175 lire (su oltre 150 che ne ànno di spese)”. 10 dicembre, lunedì. Cacciaguerra non dà più il teatro alla compagnia Pasquini perché non ha avuto i quattrini.; 16 dicembre, domenica. “La compagnia torna a recitare al Perticari, pagando metà della quota fissata. Sembra abbiano intenzione di non partire più. Fanno la Morte civile”158; 18 dicembre, martedì. Ultima recita della compagnia Pasquini e domani partenza per Saltara. Buon viaggio159.

23 dicembre 1923. “Il prof. Luciani della Cattedra ambulante di Agricoltura di Pesaro illustra il film Pane nostro quotidiano, per la coltivazione razionale del frumento”. 2 marzo 1924, domenica. Souvage, Lupo di mare, dramma in 2 atti160; a seguire. “l’operetta La statua di Mercurio ovvero I due ciabattini”161. 1924

Carnevale 1924. Grande attività della locale filodrammatica “E.L. Morselli” con recite importanti e produzione della farsa in canto e musica I due ciabattini diretta da don G. Gabucci il quale (con l’autorizzazione del superiore) era il suggeritore della compagnia. 259


10 e 11 giugno 1924. Giuseppe Verdi, Traviata. Le rappresentazioni di Traviata furono un vero e proprio avvenimento per Sant’Angelo in Lizzola. Tra il pubblico anche numerosi pesaresi, accorsi in paese per ascoltare il tenore Umberto Macnez (“si contarono più di 25 automobili private”). “Sappiamo che per lo stesso complesso d’artisti l’opera... è stata data pure a Fano”162. Ecco la cronaca di quelle giornate, registrata da Giovanni Gabucci sul retro di una locandina dello spettacolo.

Traviata

Lunedì 9 Giugno 1924. Arrivano gli artisti alle 9 ½ -10 antimeridiane accolti dalla banda cittadina e dalla popolazione. Riunitisi in teatro di lì in corteo con a capo il Concerto salgono al Castello per il rinfresco (paste, liquori, cioccolato) sontuosamente servito nell’ampia sala del palazzo Mamiani (ora Marcolini) pagato dal Municipio. Prova generale dell’opera alle 9 ½ pomeridiane. Martedì 10 Giugno. 9.30 pomeridiane. Prima rappresentazione della Traviata riuscita egregiamente coll’intervento di molti pesaresi (però i bassifondi cittadini si mostrarono molto mascalzoni) tra i quali il principe Aldrighetto Albani. Molte chiamate alla fine degli atti, applausi lunghi insistenti durante la produzione. Alla fine del III atto offerta del dono (abatjour di seta da salotto, costato £ 300) alla soprano, pioggia di 1.500 cartellini con versi in lode del Tenore - Soprano - Baritono - Direttore - Artisti scritti dal cavalier Mambrini segretario di Monteciccardo. Alla fine del IV atto offerta di cesto di fiori dalle signore di Sant’Angelo. Ovazioni… Macnez commosso abbraccia la figlia e ringrazia affettuosamente il pubblico. Si contarono più di 25 automobili privati. Mercoledì 11 Giugno. 9.45. Seconda rappresentazione dell’opera. Applausi e fiori come ieri. Concorso quasi superiore di persone da fuori con automobili pubblici e privati. Dopo la recita riparte la maggior parte degli artisti. Giovedì 12 Giugno. Macnez con la famiglia e pochi altri avevano stabilito di partir nel pomeriggio alle 2. Cacciaguerra, non si sa come, verso le 8.30 antimeridiane va a chiamare tutti gli artisti perché partano. Macnez s’inquieta ed ha parole forti contro tutti. Chiarito l’equivoco alla sera banchetto alla trattoria Tucchi con discorso di Garattoni Geronte. Venerdì 13 Giugno. Gli arti-

sti partono coll’automobile pubblica. Macnez e famiglia vengono accompagnati a Pesaro da Andreatini, che li aveva pure portati a Sant’Angelo colla sua automobile163.

Domenica 25, lunedì 26, martedì 27 dicembre 1927, ore 21. Impresa Pallucchini e Garattoni. Recite straordinarie sotto l’alto patronato dell’illustre maestro Amilcare Zanella. Bufere - melodramma in un atto dal libretto di L. Biondelli - musica del m° Dino Olivieri; elenco artistico: soprano Rinalda Pavoni, tenore Roberto Pagliarani, baritono Armando Ziosi. Pagliacci - melodramma in due atti del M° Ruggero 260

1927, Bufere e Pagliacci


Leoncavallo - elenco artistico: Rinalda Pavoni, Roberto Pagliarani, baritoni Achille Baroggi, Armando Ziosi, tenore Tonino Gimori. Maestro concertatore e direttore d’orchestra Dino Olivieri; maestro sostituto Alessandro Bassi, maestro suggeritore Vincenzo Cinque, violino di spalla prof. Dino Giustini, direttore di scena Guidi Gino. Vestiario Caramba, scenari del Liverani [sic]. 40 professori d’orchestra, 30 coristi. Servizio automobilistico Pesaro-Sant’Angelo andata e ritorno, ore 19, da S. Angelo al termine dello spettacolo. Sono escluse tutte le entrate di favore, il teatro sarà riscaldato.

Nell’occasione fu murata nell’atrio del teatro una lapide “in marmo cenere con lettere dorate”, a ricordo della presenza a Sant’Angelo del maestro Zanella, direttore del Liceo musicale di Pesaro il quale però, precisa Gabucci “presenziò non diresse l’opera”. Il 27 dicembre 1927 – VI | AMILCARE ZANELLA | illustrava questo teatro | dirigendo personalmente | BUFERE | opera geniale del suo discepolo | DINO OLIVIERI | rappresentato con lieto successo per la prima volta | a S. ANGELO IN LIZZOLA | L’IMPRESA B. PALLUCCHINI E G. GARATTONI 1932, Lucia di Lammermoor

14 febbraio 1932. G. Donizetti, Lucia di Lammermoor. Tra gli artisti anche un giovanissimo Mario Del Monaco, che nella sua autobiografia ricorda l’esibizione a Sant’Angelo ad appena sedici anni ne Il normanno164. Protagonista il soprano sig.na Tina Carelli con l’intervento del tenore sig. Cesare Fabbri. Con B. Pallucchini, Mario del Monaco (lord Arturo Buhlow), Antonio Giusti, Sig. na Schiavazzi. 20 coristi 30 prof. d’orchestra. M° concertatore e direttore Mario Monachesi, M° sugg Gino Guidi, M° sostituto Elio Gennari, M° dei cori Pedro Ibanez. 261


Gabucci annota in proposito “E’ stata una schifezza ordita dai Pesaresi e da Pallucchini che per essere preso da Bacco e... dalla paura fu solennemente fischiato”. 22 maggio-5 giugno 1932. “A richiesta rappresentazione del Gruppo D.E.A., diretto dalla prof.ssa Olga Nini-Bellucci”.

1932

Un’avventura di Casanova, commedia in 1 atto di F. Longhi, musica di V. Raffaelli, con Ferdinando de Neuvitas, Claudia Costantini, Olga Nini-Bellucci, G. P. Leonelli, Franco Carloni, Anna De Negri. La fonte del miracolo, commedia in un atto di S. Zambaldi, musica di V. Raffaelli (G. P. leonelli,. F. Carloni, A. De Negri). La serenata dei convolvoli, canzone orientale sceneggiata, versi di G. Merlotti, musica di V. Raffaelli. Sig. na Claudia Costantini soprano; coreografia eseguita dagli artisti del gruppo; costumi della Casa d’Arte Caramba, scene di F. Sormani, 20 professori d’orchestra - dirigerà l’autore.

Febbraio 1933 Domenica scorsa i pugilatori del Fascio giovanile pesarese accompagnati dall’istruttore sig. Bononi e dall’addetto provinciale allo sport sig. Torre hanno dato vita nel teatro Perticari a brillanti esibizioni di boxe, precedute da esercizi dimostrativi di ginnastica svedese e di boxe a vuoto. Le seguenti coppie si sono amichevolmente incontrate fra il più vivo interesse del pubblico: Vitarelli-Bezziccheri, Salvi-Ceschini, Trebbi-Della Santina, Cioppi I. - Cioppi III., Molinelli-Zacchini. Una giornata complessivamente di ottima propaganda sportiva165.

19 novembre 1933. Concerto vocale-strumentale di Magda Baldini soprano, Antonio Morigi tenore, Nino Bettini baritono, Elio Gennari violoncello. Al pianoforte Giovanni Rotondi. Musiche di Ponchielli, Meyerbeer, D’Ambrosio, Boccherini, Verdi, Puccini, Popper, Mascagni. 30 agosto 1934. Commemorazione di G. Branca. 30 giugno 1935. Redenzione166, dramma di Roberto Farinacci, “dato dagli avanguardisti di Pesaro”167. *28 febbraio 1921, martedì. Trasferta a Mombaroccio dei filodrammatici santangiolesi. “I filodrammatici di Sant’Angelo sono invitati a Mombaroccio. Rappresentano l’Onorevole Campodarsego168 che è causa di un’aspra polemica sui giornali (“Avvenire”, “Idea” e “Progresso”). La polemica tra i santangiolesi e i mombaroccesi, innescata da un articolo a firma di questi ultimi nel quale si sottolineavano le “sozzonerie” contenute nel testo, arrivò, come accade spesso, a toccare fatti personali dei filodrammatici coinvolti169. 262

1933, i pugilatori del Fascio giovanile


Mario Franci (1912-1999) e i suoi bugatt Le “figurine” cui spesso abbiamo accennato nel corso di questo lavoro trovano finalmente volto e posa grazie alla penna di Mario Franci, nato a Sant’Angelo nel 1912 da famiglia di origine urbinate. Ben presto la vita lo porterà lontano dal paese natale, dove tornerà assiduamente solo negli ultimi anni, accompagnato dalla moglie Geni Decovich e dalla figlia Ambra. Pur nel contesto di una attività che supera il confine “locale”, proiettandosi su una scena che non è fuori luogo definire “internazionale”, Mario Franci “in arte Fran” continuerà sempre a tratteggiare i suoi bugatt, vignette e caricature legati alla quotidianità santangiolese, a lungo custoditi nel silenzio di molte delle case del paese. Dal 2012, grazie alla cura di Ambra Franci i bugatt fanno bella mostra di sé sulle pareti di negozi, bar e del ristorante di Sant’Angelo, a ricordo dell’omaggio reso a Fran nel centenario della nascita, voluto dall’Amministrazione comunale, e organizzato in collaborazione con la stessa Ambra Franci e il coordinamento di chi scrive. Dal libretto pubblicato in quell’occasione proponiamo di seguito una rapida autobiografia di Fran, e un breve cenno per inquadrarne l’opera.

Mario Franci, santangiolesi. Da sinistra, in senso orario: Valentina, 1927; Vittorina dla Tuda, 1933; Vincenzo Romani, s.d. ma prima metà degli anni Trenta del ‘900; Dén e Angiuléna de Dén, 1933; Verdiana, 1934 e, a figura intera, Giglién, 1933. Tutti i disegni provengono dalla raccolta di Ambra Franci, Sant’Angelo in Lizzola

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Mario Franci, in arte “Fran” (1912-1999) Tra Raffaello Sanzio di Urbino e Mario Franci di Sant’Angelo in Lizzola tanti anni fa fu stipulato un accordo: Mario rinunciava a dipingere e Raffaello si asteneva dal fare caricature. Siccome l’accordo fu scrupolosamente rispettato, io non divenni mai pittore ma mi dedicai a fare brutte le persone. Ho mosso i primi passi nel lontano 1927 e il debutto lo feci nel 1931 pubblicando nella “Fionda” di Pesaro una felice caricatura di Maggioli (studente del Conservatorio Rossini) a cavalcioni di una scassatissima motocicletta. L’avvio fu promettente ma la mia attività non riuscì per vari anni a varcare i confini della provincia. “Se io avessi la tua mano, farei questo... farei quest’altro” mi dicevano e io, che ero l’unico a possedere quella mano, invece, non riuscivo a fare né questo né l’altro. Fu a guerra finita (nella quale ho perso tutto, esclusa la pelle), che tentai la fortuna cominciando con l’esporre a Sondrio un assortimento di circa 300 facce valtellinesi. La stampa locale espresse giudizi positivi sui miei lavori e prese a ospitare sulle sue pagine caricature e scritti miei. Passai ben presto il confine svizzero alla ricerca di quelle acca che, di scarso valore per gli altri, per me significavano la possibilità di trasformare il cognome da Franci in Franchi: così St. Moritz divenne l’aurea meta dei miei weekend. Due giri ciclistici di Svizzera (1947-1949) e le Olimpiadi invernali di St. Moritz mi misero a contatto col mondo dello sport internazionale. Così ebbe inizio la mia proficua attività di produttore di caricature e di vignette-ricordo per i personaggi (atleti e non) del ciclismo, del bob, del calcio, dello sci e della pallacanestro, e la collaborazione a giornali svizzeri e italiani (il primo fu il “Guerin Sportivo”). Nel 1949 il professor Franci, assieme al caricaturista Fran, si trasferì a Milano, dove si intensificò il lavoro di disegno. Il “Corriere Lombardo” mi affidò una vetrina al centro di Milano, nella quale esposi in rotazione continua per vari mesi disegni illustranti i più importanti avvenimenti quotidiani. A partire poi dal 1952 iniziai a pubblicare nello stesso giornale delle vignette in veste di commentatore grafico delle riunioni del Consiglio Comunale di Milano. Intanto nello stesso 1949, al Canton dei Grigioni si era aggiunto il Canton Ticino come campo di lavoro. Mentre “Il Pungolo” iniziava a pubblicare quindicinalmente 2 mie vignette a carattere politico, il Carnevale ticinese richiedeva la collaborazione della mia matita per commentare fatti, fatterelli e scandali accaduti nell’arco di 365 giorni a Bellinzona, Biasca, Mendrisio, Capolago, Malvaglia, Ludiano e Bodio. Quest’anno ho festeggiato il 21° anno di collaborazione con Biasca. ESPOSIZIONI: 5 in provincia di Sondrio, 2 al Salone dell’Umorismo di Bordighera, 2 alla Mostra della Caricatura di Trieste; COLLABORAZIONI: “Guerin Sportivo” di Milano, “La Ronda Sportiva” di Verona, “Goal!” di Milano, “L’Esule” di Milano, il “Corriere Lombardo” di Milano, “Terra e Vita” di Bologna, “Agricoltura Nuova” di Bologna, vari settimanali di Sondrio, “Tip” di Basilea, “Sport” di Zurigo, “Die Tat” di Zurigo, “Aftonbladets” di Stoccolma, “Il Pungolo” di Mendrisio. Eccomi, ora, a Pesaro con una personale alla Piccola Galleria. Questa mostra rappresenta una simbolica torta per il festeggiamento di mezzo secolo di mia attività nel mondo della caricatura. Sulla torta non ci sono candeline ma cinquanta lampioncini: sono i lampioncini della firma di Fran. FRAN Fran (Mario Franci), presentazione alla mostra Cinquant’anni di caricature, Pesaro, Piccola Galleria 17-23 Agosto 1977, Pesaro, tip. Montaccini, s.d., ripubblicato in Fran. Omaggio a Mario Franci a cento anni dalla nascita, Sant’Angelo in Lizzola 2012 264


Fran. Il lampioncino e la fiaccola Guareschi, sì, ma anche Umberto Onorato e forse Riccardo Chicco per la gente di teatro; per lo sport Carlo Bergoglio - Carlin - e, per la politica, i più attuali Giorgio Forattini e Emilio Giannelli: questi e molti altri sono i nomi che salgono alla mente scorrendo i disegni di Franci, non ultimo, per alcuni tocchi insolitamente spessi, Jacovitti con le sue visioni grottesche. Di indubbia utilità per la comprensione dello sfondo (il contesto) sul quale si colloca l’opera di un artista che in punta di matita raccontò circa settant’anni di storia patria, il confronto con i più noti colleghi non offusca le peculiarità del segno di Fran che, pur capace di implacabili giudizi (Hitler), si distingue per un fondamentale tratto di gentilezza, di com-passione (“sentire con”) verso le debolezze della natura umana. Icastico e talora decisamente severo, a volte amaro - il retrogusto di chi in guerra “ha perso tutto esclusa la pelle” -, spesso riflessivo e bonario, sottilmente ironico ma mai sarcastico, Franci possiede senz’altro il dono del caricaturista vero, la capacità cioè di fissare un carattere in una linea, arrivando al nocciolo (all’anima?) delle persone senza disperdersi in futili sovrappiù. Ancora tutta da studiare, già da una prima ricognizione l’opera di Fran riserva delle sorprese: i “commenti grafici” sull’Amministrazione Comunale di Milano (sindaco Gino Cassinis), nella cui Giunta sedeva in quei primi anni Sessanta anche l’assessore all’Economato Benedetto poi Bettino Craxi; una galleria di personaggi che inducono al sorriso ricordando l’Italia di cinquant’anni fa, da Vittorio Orefice a Edmondo Bernacca a Ave Ninchi a Tino Scotti, fino ad arrivare ai tuttora attivissimi Roberto Gervaso, Maurizio Costanzo e Bruno Vespa per citare solo i più noti; intellettuali, artisti e campioni dello sport dell’Italia dell’immediato dopoguerra: Guido Piovene, Camilla Cederna, Arturo Toscanini, non escluso l’anziano Benedetto Croce e un apollineo Ottavio Tai Missoni, campione olimpico nella Londra del 1948. E poi i già citati politici, che prendono posto accanto ai teatranti Macario, Emma Gramatica, Enrico Viarisio, Nino Besozzi, Antonio Gandusio, Umberto Melnati, Eduardo De Filippo, Vittorio De Sica e Totò: insomma, un vero e proprio album di figurine capace di far emergere, appunto nella tonalità del sorriso, la storia più vera del nostro paese. “Uno che sa scrivere aforismi non dovrebbe disperdersi a fare dei saggi”, diceva più o meno Karl Kraus, che con la fiaccola di una parola cristallina e dolente per quasi quarant’anni, tra le due guerre, provò a fare luce nell’oscurità che inghiottiva l’Europa. Fatte le debite proporzioni, la dimensione contenuta del primo, piccolo omaggio voluto dal Comune di Sant’Angelo nell’estate 2012 non dispiacerà forse a Fran - al secolo Mario Franci, l’autore del lampioncino170. 265


1940-1944. Rapina e distruzione Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra, al fianco della Germania. In patria restano donne, bambini, anziani e pochi altri. Il fronte nella nostra provincia, segnata dal passaggio della Linea Gotica, arriverà nella tarda estate del 1944; Il 3 gennaio l’autorità tedesca aveva ordinato “lo sgombero della popolazione della fascia costiera per una profondità di 10 km nel termine di 48 ore”. Anche a Sant’Angelo affluiscono gli sfollati, le campagne si mobilitano per accogliere amici e parenti, chiese e conventi offrono asilo. “Da noi la popolazione è più che raddoppiata ed hanno occupato anche la cappella dei Caduti in cui ufficiavo io per metterci gli sfollati del porto”171, scrive Giovanni Gabucci nel gennaio 1944, pochi giorni dopo lo scoppio di esplosivi che rade al suolo l’intera frazione di Montecchio, causando trenta morti e un centinaio di feriti. Nella primavera 1944 anche il vescovo Bonaventura Porta si inginocchierà davanti al Crocifisso della Scuola “per impetrare la cessazione della guerra e la sospensione dello sfollamento obbligatorio incominciato dal comando tedesco” 172.. Tra il 26 e il 29 agosto le mine dei tedeschi faranno saltare la parte centrale del borgo con il teatro e la chiesa della Scuola (ne resteranno solo le pareti)173; anche la chiesa di Sant’Egidio sarà seriamente compromessa, mentre ingenti danni agli edifici del castello saranno causati dai cannoneggiamenti e dai bombardamenti del 27 e 28 agosto174, che distruggeranno anche l’ultimo piano di palazzo Mamiani. Sant’Angelo in Lizzola, Giovanni Gabucci a Teresa Righetti, Pesaro (s.d.). [ ] Teresina carissima, Vedo che il pericolo è sempre maggiore, quindi approfittate pure della nostra offerta per un rifugio alla meglio, e siccome verrà quassù anche il M° Bassi andate d’accordo con lui per il trasporto della robba [sic]. Per la camera è necessario, per mangiare portate pur su tutte le tessere, ed il grano e la farina se l’avete avuta, compresa quella del carbone. È più conveniente che teniate quella di Pesaro che - dicono - si trasferisce a Ginestreto, perché laggiù danno più robba che quassù. Vi attendiamo e vi salutiamo caramente. Sant’Angelo in Lizzola, Giovanni Gabucci ad Alessandro Bassi, Pesaro (s.d.). [ ] Carissimo Bassi, anche a nome dell’Angelina dico All’amico si risponde da amico: quindi venga pure che rimedieremo la camera e la tavola; ma s’intende l’una e l’altra non fornite di tutte le comodità di un tempo. Quindi per dormire è necessario che porti [spazio bianco] e per mangiare tutte le tessere ed anche il grano o la farina di tua razione, perché quassù si tira la cinghia più che in città, quindi è più conveniente mantenere le tessere di Pesaro anche per il carbone. 266


Siccome poi anche la Teresa Righetti la sorella di Pepón che sta in via Collenuccio 8 verrà da noi, lei sarà così gentile di mettersi d’accordo con la medesima per portar su la roba con un unico trasporto e così spendere qualcosa di meno e fare le cose più sbrigative. Meglio di così non posso fare: quindi se lei crede di accettare venga pure che è sempre il benvenuto175.

Sant’Angelo 1943. Al confino Tra la primavera e l’autunno 1943 giungono a Sant’Angelo in Lizzola alcuni internati, “cittadini italiani e stranieri sospettati di ostilità al regime, la maggior parte dei quali ebrei”176, arrestati e avviati ai campi di concentramento dopo l’entrata in guerra, nel giugno 1940. Negli ultimi tempi numerose ricerche ne hanno ricordato le vicende, o almeno i nomi. Il database degli Ebrei stranieri internati in Italia durante il periodo bellico curato da Anna Pizzuti segnala a Sant’Angelo in Lizzola Marco Pordes e Maria Rosenzweig, di origine polacca; Giovanni, Ika e Violetta Abinum, Nicola Sarak, Aloisii Vesel, Stanko Silovic e la moglie Branch Veiner, jugoslavi; il rumeno Giuseppe Juk e l’austriaco Joan Emanuele Bondy, per i quali Sant’Angelo, dove sono registrati il 31 maggio 1943, è l’ultima località di internamento rinvenuta177. La ricerca di Lidia Maggioli e Antonio Mazzoni sugli ebrei internati nei comuni della Valmarecchia aggiunge i nomi di Giuseppe Levi, avvocato originario di Genova, e Leardo Saralvo, ferrarese, a Sant’Angelo rispettivamente nel luglio e nel maggio 1943178. Alcuni di loro sono stati precedentemente confinati a Mombaroccio, come Saralvo, altri vi saranno destinati, come Bondy, che a Mombaroccio è registrato nel settembre 1943. Dai documenti comunali integriamo l’elenco con il nome di Antonio Bertocco, presente a Sant’Angelo tra i mesi di aprile e agosto. Bertocco alloggiava presso la casa di Nazzareno Giusti, Bondy presso Alberto Mariotti179. 267


Sant’Angelo in Lizzola, 1941. Dall’alto, in senso orario: Imbocco di via Montecarbone, il Municipio, panorama e, infine, la fiera di Sant’Egidio (fotografie Mario Franci, Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci). Nella pagina precedente: Mario Franci, Hitler, 1947, replica della caricatura vincitrice della Coppa d’argento alla X Biennale Internazionale dell’Umorismo di Tolentino del 1979 (raccolta Ambra Franci, Sant’Angelo in Lizzola) 268


Sant’Angelo in Lizzola, 26-28 agosto 1944 Palazzo comunale. [...] Fu gravemente danneggiato nel bombardamento del 26-27-28 agosto 1944, ne restò gravemente lesionata la sala... . Teatro Perticari. [...] Fu raso al suolo la notte del 26 agosto 1944 per lo scoppio delle mine e degli esplosivi accantonati dai tedeschi nella piazza antistante. Andarono perduti: gli scenari del Liverani, il sipario del Dori, i ritratti in carta del Montanari che decoravano il parapetto della galleria. Chiesa di Sant’Egidio. [...] Fu gravemente danneggiata dal bombardamento del 26-27-28 agosto 1944, rovinando la maggior parte del tetto. Resta incolume lo splendido altare barocco in legno intagliato dorato a oro zecchino. Cappella della Scuola. Fu ridotta inservibile dal bombardamento del 27-28-29 agosto 1944. Restò distrutto il Crocefisso di cartapesta in grandezza naturale che trovasi custodito nella chiesa parrocchiale. Furono danneggiati i quadri in tela ritenuti uno del Pandolfi e l’altro della scuola del Bergognone, custoditi presso il parroco e che possono essere restaurati. Chiesa collegiata. Col bombardamento del 26-28 agosto ebbe in gran parte distrutto il tetto ed il soffitto con danno notevole dell’elegante coro in noce180. Giovanni Gabucci a Maria Elena Torricelli, Roma (s.d). [...] Del nostro povero paese poco è rimasto perché la via del Borgo è saltata in aria con le mine tedesche, il resto è stato crivellato e semi distrutto dai bombardamenti degli alleati. Anzi questi ultimi hanno creduto coronare la loro opera di liberazione ordinando ai pochi rimasti di sgombrare il paese entro un’ora. A quest’ordine seguì l’orgia del saccheggio operato dai Canadesi durato un paio di giorni, e proseguito poi dai [sic] sciacalli italiani anche quando, dopo il ritorno, si tentava il ricupero delle cose nostre fra le macerie delle case più o meno diroccate, in modo che senza perdere la serenità cristiana si può cantare col tenore del Rigoletto “Questi e quelli per me pari sono”. Si figuri che con la mia veste, cappello bastone e breviario hanno fatto una mascherata in piazza e la casa è stata devastata con la rapina di quasi tutta la biancheria e delle cose migliori comprese le monete antiche, e la distruzione di quello che non fu portato via. I suoi cugini hanno sofferto un eguale trattamento aggravato dalla distruzione completa del teatro e dei fabbricati annessi e della quasi totale rovina della chiesa e della villa ma di ciò le parlerà più dettagliatamente la contessa Costanza che è così gentile a recarle questa mia affinché non incappi nella censura. Io non mi scoraggio ma ho ripreso a lavorare. In nomine Domini sperando e pregando per una prossima era di pace181.

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Note Prospetto generale dello spoglio delle votazioni occorse i giorni 4 e 5 Novembre nella Provincia di Urbino e Pesaro per l’annessione al Regno di Vittorio Emanuele II, da “Promemoria” n. 3, Sant’Angelo in Lizzola 2011. 2 Numerosi fattori rendono complessa la lettura dei risultati del plebiscito: per un’analisi più approfondita della questione rimandiamo a C. Colletta, Il voto d’annessione, in “Pesaro città e contà”, n. 30, Luglio 2011. 3 GG, Sant’Angelo in Lizzola, La votazione del 1860, c.n.n. 4 AcSA, b 156, Regno d’Italia, 1861, Oggetti diversi, cat. 17, Rapporto sullo spirito politico degl’abitanti di questo Comune principale, e sua frazione Montecchio, 1861, c.n.n. 5 Ivi, Esercenti, Ruolo dei contribuenti per la tassa delle arti e commercio, c.n.n. 6 Elenco dei negozianti e commercianti domiciliati nella parte marittima della provincia di Pesaro e Urbino, tip. Nobili, Pesaro 1849. 7 Amati, “Sant’Angelo in Lizzola”, Dizionario corografico..., cit. 8 AcSA, Registro della popolazione, 1864. 9 G. Scelsi, Statistica della Provincia di Pesaro e Urbino, Amm.ne prov.le di Pesaro e Urbino, 1997, ristampa anastatica dell’edizione G. Federici, Pesaro 1881, tavv. I-XI. 10 AcSA, b. 155, Regno d’Italia, 1861, Delibere consiliari, 18 agosto 1861. 11 ASP, Catasto dei fabbricati, registro delle partite, Sant’Angelo in Lizzola, cit., partita n. 49, Comune di Sant’Angelo. 12 Gabucci, Diari, in Ortolani, Il facchino..., cit., p. 110 e p. 124. 13 AcSA, Delibere consiliari 1868-1892, 14 ottobre 1890. 14 ASP, Catasto dei fabbricati, registro delle partite, Sant’Angelo in Lizzola, cit., partita n. 49, cit. 15 AcSA, Deliberazioni podestarili, 1926-1932, 30 maggio 1931. 16 Ivi, b. 345, cat. 9, Istruzione pubblica, fasc. I, c.n.n. 17 AcSA, Delibere consiliari 1868-1892, 15 aprile 1889 e Delibere consiliari 1892-1899, 21 luglio 1893. 18 Ortolani, Il facchino..., cit., p. 196. 19 M. Innocenti, 18 novembre 1935: le sanzioni all’Italia in “Il Sole 24ore”, 17 Novembre 2009, www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/10/storie-storia-18-novembre-sanzioni-italia. shtml?uuid=682c2eb4-b999-11de-8e82-7af95a44f68d&DocRulesView=Libero (3 giugno 2013, 14.15). 20 AcSA, Delibere consiliari 1868-1892, 20 maggio 1879 e passim, 6 marzo 1874. 21 Tomassini, cit., p. 68. 22 AcSA, Delibere consiliari 1868-1892, 19 luglio 1886. 23 Ivi, 27 ottobre 1871. 24 Ivi, 7 febbraio 1869. 25 AcSA, n. 668, Pubblica salute, Petizione pro medico Montecchio, 10 marzo 1861. 26 ACN, p. 20. 27 GG, Blocco storico santangiolese, 5 ottobre. Gabucci trae la notizia dall’ “Eco d’Isauro” del 3 ottobre 1861. 28 GG, Sant’Angelo in Lizzola, civile, copia del ringraziamento inviato dal sindaco di Pesaro al sindaco di Sant’Angelo in Lizzola, 17 agosto 1896, c.n.n. 29 AcSA, Delibere consiliari 1868-1892, 11 settembre 1869. 30 AcSA, b 244, 1899, cat. XIV, fasc. Società filarmonica, lettere del 7 luglio e 9 ottobre 1899, c.n.n. 31 AcSA, Delibere consiliari 1868-1892, 14 ottobre 1870 e 19 dicembre 1892. 32 Ivi, 30 maggio e 27 novembre 1871; 24 settembre 1873, 23 marzo 1877, 20 febbraio 1891. Cfr. anche Tomassini, cit., p. 123. 33 AcSA, b 244, 1899, cat. XIV, fasc. Società filarmonica, lettere della Società filarmonica al sindaco, 11 agosto 1898 e 26 marzo 1899, c.n.n. 34 AcSA, Delibere consiliari 1868-1892, 4 aprile e 5 dicembre 1871. 35 G. Scelsi, Statistica della Provincia di Pesaro e Urbino, cit., tav. XCI. 36 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Nota dei soli giuochi permessi nei diversi esercizi del comune di Sant’Angelo in Lizzola redatta a senso dell’articolo 43 della legge di pubblica sicurezza in data 20 marzo 1865, c.n.n. 1

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AdP, Stati d’anime, Sant’Angelo in Lizzola – Parrocchia di San Michele arcangelo, 1887 Ringrazio qui Marco Gerunzi per le informazioni relative alla sua famiglia. 39 G. Scelsi, Statistica della Provincia di Pesaro e Urbino, cit., tav. XXVII. 40 AcSA, Delibere consiliari 1868-1892, 14 gennaio 1886. 41 G. Scelsi, Statistica della Provincia di Pesaro e Urbino, cit., tav. LVI. 42 AcSA, b. 242, 1898, cat. XI Arti, industria e commercio, classe 2, Industria, c.n.n. 43 Delibere consiliari 1868-1892, 26 ottobre 1873. 44 G. Scelsi, Statistica della Provincia di Pesaro e Urbino, cit., tav. LXXVI. 45 Delibere consiliari 1868-1892, 27 aprile 1877, 22 dicembre 1889 e Delibere consiliari 1892-1899, passim. 46 GG, FG5, Sant’Angelo, Farmacisti, c.n.n. 47 Banda di Gradara, 120 anni tutti suonati!, opuscolo edito dal Comune di Gradara, 2007, p. 2. 48 G. Scelsi, Statistica della Provincia di Pesaro e Urbino, cit., tavv. XX, XXII, XXIV. 49 Atti della Giunta Parlamentare per l’Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma 1881-1886, ristampa anastatica, Bologna 1978, vol. XI, tomo II, pp. 1182-1185, 457 e 868. 50 ASP, Camera di Commercio, Carteggio, b. 53, Notizie sui telai da lana, canapa e lino, 1877, c.n.n. 51 M. Panizza, Risultati dell’inchiesta istituita da Agostino Bertani sulle condizioni sanitarie dei lavoratori della terra in Italia. Riassunto e considerazioni, Stabilimento Tipografico Italiano, Roma 1890, p. 116. 52 Provincia di Pesaro e Urbino, relazione sanitaria pel 1900 fatta al Consiglio provinciale di Sanità il 27 aprile 1901 dal dott. Goffredo Ungaro medico provinciale, “La Provincia”, 18 agosto 1901. 53 F. Gambini, Luigi Guidi, dalla scuola di agricoltura all’Osservatorio meteorologico, in “Promemoria”, rivista della Memoteca Pian del Bruscolo, n. 3, Sant’Angelo in Lizzola 2012, cit., p. 23. 54 Cfr. G. Pedrocco, L’economia pesarese nel corso dell’Ottocento, in Pesaro tra Risorgimento e Regno unitario, cit., pp. 159-160. 55 E. Gamba, Domenico Paoli, l’Osservatorio “Valerio”, ivi, pp. 338-339. 56 ACN, p. 16. 57 Persi, Dai Prà, Ville e villeggiature..., cit., pp. 249-250. 58 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Libretto dell’introito e delle spese che occorsero per aver ristrutturato il palazzo dei Canonici e allegati, 1860, c.n.n. 59 Persi, Dai Prà, Ville e villeggiature..., cit., pp. 251-252. 60 “La Provincia”, 12 maggio 1901. 61 Persi, Dai Prà, Ville e villeggiature..., cit., p.236. 62 Per un quadro complessivo della Provincia di Pesaro e Urbino nel Novecento cfr. A VARNI (a cura), La Provincia di Pesaro e Urbino. Caratteri, trasformazioni e identità, Venezia 2003. 63 AcSA, Delibere consiliari maggio 1899-maggio 1905, 11 dicembre 1899. 64 Ivi, b. 246, 1899, Stato degli utenti dei pesi e misure per il 1899-1900, c.n.n. 65 Dati Istat, www.tuttitalia.it/marche/79-sant-angelo-in-lizzola/statistiche/censimenti-popolazione (14 giugno 2013, 14.00). 66 AcSA, Delibere consiliari maggio 1899-maggio 1905, cit., 21 novembre 1898, 23 settembre 1899 e 23 marzo 1900. 67 Argus, Da Sant’Angelo in Lizzola – Il mercato bozzoli – Il telegrafo a S.Angelo – L’ufficio di conciliazione, “La Provincia”, 22 luglio 1900. 68 “La Provincia”, 27 dicembre 1914. 69 Elenco degli abbonati alla rete telefonica urbana di Pesaro, Soc. Tip. Nobili, Pesaro 1914. 70 “La Provincia”, 26 agosto 1900. 71 ACN p. 25. 72 AcSA, b. 294, 1914, cat. 14, fasc. Oggetti diversi, Richiesta del 3 gennaio 1914, c.n.n. Per le proiezioni dagli anni Venti in avanti cfr. Ortolani, Il facchino..., p. 143 e passim. 73 “La Provincia”, 29 settembre 1912. 74 AcSA, b. 283, cat. X, fasc. Acquedotto Capoluogo e frazione, Inaugurazione dell’acquedotto, 15 settembre 1912. Programma dei festeggiamenti, Nota delle spese e minuta del discorso del sindaco, c.n.n. Per un dettagliato riepilogo in merito alle vicende dell’acquedotto cfr. Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola, 37

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cit., pp. 97-99. “L’Idea”, 16 Gennaio 1915. 76 “La Provincia”, 3 Gennaio 1915. 77 Ortolani, Il facchino..., cit., p. 65. 78 AcSA, b. 289, cat. X, Luce elettrica, 1914-1922, Orario per l’illuminazione del paese, 1915, c.n.n. 79 Cfr. “L’Idea”, 6 Marzo 1915 e 23 gennaio 1915. 80 AcSA, b. 289, cat. X, Luce elettrica, 1914-1922, lettere del 20 settembre 1918, 20 dicembre 1919, 14 novembre 1920, 4 maggio 1922; lettere del 9 aprile 1917 e 15 settembre 1918; fattura SIPE del 20 settembre 1918, c.n.n. 81 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Farmacisti e medici, ricordino funebre di Giuseppe Andreatini. Molti particolari su Giuseppe Andreatini si leggono nei diari di don Giovanni Gabucci, che del farmacista fu grande amico: cfr. Ortolani, Il facchino..., cit., passim. 82 “La Provincia”, 19 ottobre 1903. 83 “L’Idea”, 3 ottobre 1908. 84 Ortolani, Il facchino..., cit., p. 203 e passim. 85 Ibid., p. 245 e passim. 86 Intervista di C. Ortolani a Giuseppe Fattori, 6 giugno 2011. 87 AcSA, Delibere consiliari, 17 luglio 1905-21 novembre 1913, 5 settembre 1913 e b. 297, 1914, cat. 14, Oggetti diversi, manifesto della Banca Popolare Pesarese, 21 maggio 1914. 88 “La Provincia”, 21 maggio, 18 e 25 giugno 1916. 89 M. Battistelli, Cronache dal passato: Il terremoto del 1916, “Lo Specchio della città”, marzo 2002. 90 GG, Pasqualon, Il terremoto a Sant’Angelo, 1916. 91 “L’Idea”, 23 gennaio 1915, cit. 92 AcSA, Delibere consiliari maggio 1899-maggio 1905, 25 luglio 1903, 15 gennaio 1904; Delibere consiliari 17 luglio 1905-21 novembre 1913, 4 dicembre 1905, 30 aprile 1906. 93 Sant’Angelo in Lizzola - Per la costruzione del nuovo selciato al Borgo, “La Provincia”, 11 maggio 1905. 94 AcSA, Delibere consiliari 17 luglio 1905-21 novembre 1913, 30 aprile 1906. 95 Ivi, 28 maggio 1906 ma anche Deliberazioni podestarili 1926-1932, 27 luglio 1930. 96 AcSA, Deliberazioni di giunta, 1 gennaio 1903-26 maggio 1905, 7 aprile 1905. 97 ACN, p. 20. 98 Cfr. Ortolani, Il facchino..., cit., p. 33 e passim. 99 “La Provincia”, 31 dicembre 1905. 100 AcSA, b. 268, 1908, cat. XIII, Esteri, Il sindaco al pretore, c.n.n. 101 Ivi, b. 263, 1906, cat. XV, Pubblica sicurezza, lettera di Giuseppe Filippini al sindaco dell’11 giugno 1906, c.n.n.; per la costituzione della Lega contadini di Sant’Angelo cfr. A. Bianchini (a cura), Cronologia storia della Provincia di Pesaro e Urbino nel Novecento, versione online della cronologia elaborata per il volume La Provincia di Pesaro e Urbino. Caratteri, trasformazioni e identità, cit., www.bobbato.it/index. php?id=7914&L=4 (1906) (5 giugno 2013, 20.40). 102 AcSA, b. 268, cat. XV, Pubblica sicurezza, Vincenzo Giampaoli al sindaco, 3 e 12 dicembre 1908, c.n.n. 103 ASP, Tribunale civile e penale di Pesaro, Inventario, Società commerciali. 104 Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola, cit., p. 70. 105 ACN, p. 18. 106 AcSA, Deliberazioni consiliari maggio 1899-maggio 1905, 3 e 13 ottobre 1899. 107 AcSA, b. 278, cat. XI, Agricoltura, industria e commercio, carta intestata dello Stabilimento bacologico Vincenzo Sallua, c.n.n. 108 “La Provincia”, 22 luglio 1900. 109 AcSA, 1907, cat. XI, Agricoltura, industria e commercio, Statistica dei prodotti agricoli e bestiame ,1907, c.n.n. 110 AcSA, b. 340, 1930, cat. XI, Agricoltura, industria e commercio, Censimento agricolo, 1930. 111 AcSA, Deliberazioni podestarili 1926-1932, 17 settembre e 1 dicembre 1927, 27 luglio 1930, 1 ottobre 1931. 112 Interviste di C. Ortolani a Leonella Giovannini e Anna Donati, estate 2009. 75

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AcSA, b. 268, 1908, cat. XII, Esteri e XIV, Oggetti vari, c.n.n.; b. 272, 1909, cat. XII, Esteri, fasc. Passaporti, 1909, c.n.n. 114 Gabucci, Diari, in Ortolani, Il facchino..., cit., p. 66. 115 AcSA, b. 297, 1915, cat. XV, Sicurezza pubblica, Operai che chiedono di recarsi al fronte per lavoro, c.n.n. 116 Ivi, telegramma del prefetto di Pesaro al sindaco di Sant’Angelo, 4 dicembre 1916. 117 Gabucci, Diari, in Ortolani, Il facchino..., cit., p. 88. 118 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Blocco storico santangiolese e Uomini illustri, Morselli. 119 ACN, p. 30. 120 V. Bertoloni Meli, L. Ferrati, Ercole Luigi Morselli – vita e opera, Firenze 1993, p. 169. 121 Ibid., p. 170-171, 215-216, 5. 122 “La provincia”, 21 ottobre 1917. 123 Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola, cit., p. 79. Per un elenco completo dei sindaci, podestà e commissari prefettizi di Sant’Angelo cfr. ibid., pp. 87-88. 124 A. Bianchini (a cura), Cronologia storia della Provincia di Pesaro e Urbino, cit., www.bobbato.it/index. php?id=7915 (1922) (12 giugno 2013, 11.55). 125 ACN, p. 15. 126 AcSA, Deliberazioni consiliari, 1922-1926, 1 ottobre 1931. 127 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Civile, Opere del regime, c.n.n. 128 “L’Ora”, Dieci anni di Fascismo nella Provincia fedele, 26 novembre 1932. 129 AcSA, Deliberazioni consiliari, 1922-1926, 26 ottobre 1928. 130 AcSA, Deliberazioni podestarili 1926-1932, 22 maggio 1933. 131 Ivi, b. 416, 1943, cat. XIV, Oggetti diversi, Asilo infantile, c.n.n. 132 Tomassini, Sant’Angelo in Lizzola, cit., p. 87. 133 Ivi, 28 settembre 1923. 134 AcSA, b. 327, 1926, cat. XI, Agricoltura, industria e commercio, Industria e lavoro, Elenco degli artigiani, c.n.n. 135 Consiglio e ufficio provinciale dell’Economia, Pesaro, Elenco generale delle ditte inscritte al 31 dicembre 1929 nel registro dell’ufficio, Federici, Pesaro 1930, pp. 241-244. 136 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Sant’Angelo in Lizzola - Cappella dei Caduti, “Signori! Amici!”, c.n.n. 137 La Cappella dei Caduti inaugurata a Sant’Angelo in Lizzola, “Giornale d’Italia”, 11 Novembre 1928. Copia dell’articolo è contenuta in GG, Sant’Angelo in Lizzola, Chiesa della Scuola, p. 13. 138 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Chiesa della Scuola, Comitato Pro Lapide Caduti - Miscellanea, c.n.n. 139 Ivi, Blocco storico santangiolese, cit., 4 Novembre; Fondo Gabucci. 140 Cfr. “L’Ora”, 19 agosto 1924. 141 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Blocco storico..., cit., 26 gennaio. 142 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Chiesa della Scuola, Comitato Pro Lapide Caduti, cit., c.n.n. 143 GG, Sant’Angelo in Lizzola - Cappella dei Caduti, Signori! Amici!, cit, cc. n. 3-6r. 144 GG, Chiesa della Scuola, fattura della ditta Tanfani e Bertarelli, 11 Dicembre 1930. 145 Cfr. Ortolani, Il facchino..., cit., p. 54. Sul lavoro di Ciccoli, cfr. Ibid, p. 32 e passim. 146 ACN, p. 17. 147 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Blocco storico santangiolese, cit., 28 giugno. 148 Cfr. Ortolani, Il facchino..., cit., p. 81 e 90. 149 Salvo diversa indicazione i dati provengono da GG, Sant’Angelo in Lizzola, Perticari, cit. Alcuni dettagli sono stati precisati da Benito Lazzari e Maria Assunta Salucci, in due interviste del 2008 e del 2010. 150 “La Provincia”, 24 novembre 1901. 151 L. Battu, A. Jaime, Lucia Didier, trad. it. di F. Riva, Borroni e Scotti, Milano 1856. 152 “La Provincia”, 23 ottobre 1910. 153 “L’Idea”, 4 gennaio 1913. 154 “La Provincia”, 28 febbraio 1915, Da Sant’Angelo in Lizzola. 155 “La Provincia”, 11 aprile 1915, Da Sant’Angelo in Lizzola. 156 Gabucci, Diari, in Ortolani, Il facchino..., cit., pp. 82-83. 113

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Ibid., p. 85. P. Giacometti, La morte civile, 1861. 159 Gabucci, Diari, in Ortolani, Il facchino..., cit., pp. 114-115. 160 Lupo di mare ovvero Mastro Giorgio il marinaio, Salani, Firenze 1903. 161 La statua di Mercurio ovvero I due ciabattini, Salani, Firenze 1904. 162 “Il gazzettino di Fano”, 28 giugno 1944, in GG, Sant’Angelo in Lizzola, Perticari, cit. 163 In Ortolani, Il facchino..., cit., p. 120. 164 M. Del Monaco, La mia vita e i miei successi, Milano 1982, p. 30. 165 “L’Ora”, 25 febbraio 1933. 166 R. Farinacci, Redenzione, Cremona 1932. 167 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Blocco storico santangiolese, cit., 30 giugno. 168 L. Pilotto, L’onorevole Campodarsego, Libreria editrice Galli di G. Chiesa e F. Guindani, Milano 1893. 169 Gabucci, Diari, in Ortolani, Il facchino..., cit., pp. 89- 91. 170 Ortolani, Fran. Il lampioncino e la fiaccola, in Fran. Omaggio a Mario Franci a cento anni dalla nascita, Sant’Angelo in Lizzola 2012, pp. 28-29. 171 Giovanni Gabucci a Bice Rizzi Chiari, 29 gennaio 1944. La lettera è riportata in Ortolani, Il facchino..., cit., pp. 214-215. 172 GG, Sant’Angelo in Lizzola, Chiesa della Scuola, Sant’Angelo in Lizzola, il crocifisso della Scuola, A Gesù Crocefisso, preghiera di monsignor Bonaventura Porta, 1944, c.n.n. 173 ASP, Genio civile, Sant’Angelo in Lizzola, Perizia dei lavori di demolizione strutture pericolanti e sgombero macerie nella chiesa cappella votiva del capoluogo del comune di Sant’Angelo in Lizzola, cit.. 174 Le date si ricavano dai materiali contenuti in AcSA, Palazzo comunale, fascicolo che contiene la documentazione relativa ai lavori di ristrutturazione di palazzo Mamiani negli anni del dopoguerra. 175 In Ortolani, Il facchino..., cit., pp. 213-214. 176 L. Maggioli, A. Mazzoni, Con foglio di via – storie di internamento in alta Valmarecchia, 1940-1944, Cesena 2009, p. 25. 177 A. Pizzuti (a cura), Ebrei stranieri internati in Italia durante il periodo bellico, www.annapizzuti.it (12 giugno 2013, 15.15). 178 Maggioli, Mazzoni, Con foglio di via, cit., pp. 106-107 e 204-206. 179 AcSa, b. 416, 1943, cat. XIV, Oggetti diversi, c.n.n. 180 GG, Sant’Angelo in Lizzola, danni di guerra, Giovanni Gabucci alla Soprintendenza alle Belle Arti di Urbino, in risposta alla richiesta del 4 gennaio 1946, minuta, c.n.n. e Quadri, edifici sacri e oggetti artistici danneggiati nell’agosto 1944 per il passaggio del fronte, c.n.n. 181 In Ortolani, Il facchino., cit., pp. 215-216. 157

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La ricostruzione

Appunti di viaggio 1952-2012


Appunti di viaggio Nel 1952 i priori delle riunite confraternite santangiolesi autorizzano la demolizione di ciò che resta della chiesa della Scuola, “le cui strutture residue”, recitano le perizie del Genio Civile, “costituiscono serio pericolo per l’incolumità pubblica”. Nel 1958 palazzo Mamiani sarà coronato da una fila di merli, a prendere il posto del piano distrutto, crollato definitivamente - come testimoniano i ripetuti avvisi del sindaco Solforati - nel 1948. (Una curiosità: i documenti del Genio Civile di Pesaro riguardanti la sede municipale sono firmati tra gli altri da Arnaldo Pomodoro, giovane geometra fresco di studi). Molti sono, ancora una volta, coloro i quali partono per sfuggire alla miseria, attirati verso le miniere dai manifesti rosa che reclamizzano l’accordo bilaterale Italia-Belgio del 1946 (“l’accordo uomo-carbone”). Tra le vittime della tragedia di Marcinelle l’8 agosto 1956 ci sarà anche il santangiolese Sisto Antonini. Per la sua opera pastorale in favore degli emigrati si distingue in quegli anni il parroco don Pio Spadoni, arrivato in collegiata nel 1939. Di origine romagnola, don Pio morirà nel 1957 in un incidente, mentre si recava da Sant’Angelo a Fano a bordo della sua Vespa “per concludere un suo dovere di bene verso il prossimo”, annoterà poco dopo il nuovo priore don Oreste Marchionni. L’ultima cronaca di don Pio, conservata nell’Archivio parrocchiale, è datata 30 aprile-1° maggio 1957, e riguarda l’inaugurazione della cappella di Sant’Isidoro: “stassera dal cimitero, dove si trovava l’immagine del Santo da oltre 40 anni, fu portata in solenne processione di notte, con molti fuochi e falò, nella nuova cappella. Molta gente, ottima riuscita. Però oggi, 1° maggio festa del lavoro, i comunisti sull’aia del colono vicino hanno inalberato la bandiera rossa, per cui il parroco ha sospeso in quella cappella ogni funzione”. Don Oreste trascrive anche i risultati del referendum e delle elezioni per l’assemblea costituente del 2 giugno 1946: 930 voti a favore della repubblica, 283 per la monarchia (106 schede bianche e 16 nulle); nella scelta dei deputati all’assemblea costituente il Partito Comunista Italiano raccoglie 493 voti, la Democrazia Cristiana 322; il Partito Socialista ha 28 voti, i Repubblicani 38, le altre 4 liste si aggirano tra i 18 e i 28 voti. Grazie alla crescente industrializzazione della valle del Foglia Montecchio conoscerà tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta un forte sviluppo. Dalle campagne si scende per lavorare in fabbrica, e anche nel comune di Sant’Angelo arriveranno nuovi cittadini, dapprima provenienti dall’entroterra tra Pesaro e il Montefeltro, successivamente dalle regioni del Sud dell’Italia e, infine, da tutto il mondo. La popolazione di Sant’Angelo in Lizzola passa dai 2.312 abitanti del 1948 ai 3.312 del 1971; al 30 novembre 2012 il sito del Comune segnalava 8.892 abitanti: quasi 8.000 risiedono a Montecchio (7.901), contro i 991 di Sant’Angelo. Il progressivo spopolamento delle campagne non risparmia Sant’Angelo che, a differenza di altri borghi vicini mantiene però i connotati di un paese vivace, dove non mancano, accanto ai bar e al ristorante, numerosi esercizi commerciali. In estate anche la piazza del castello torna ad animarsi, grazie ai santangiolesi che, proprio come un tempo, tornano in villa per godersi qualche giorno di riposo. I Mamiani e i Perticari non sembrano poi così lontani, visti da quassù. 276


Sopra: colonia elioterapica a Villa Monti, 1951 (raccolta famiglia Cesare Antonini, Sant’Angelo in Lizzola); a sinistra: due fotografie della fine degli anni Quaranta-primi anni Cinquanta del ‘900 (raccolta Costanza Garattoni, Sant’Angelo in Lizzola); sotto: Adriana Tomassini e Pietro Salucci, 1952 (raccolta famiglia Carlo Salucci, Sant’Angelo in Lizzola). A pagina 275: gruppo di santangiolesi nei primi anni del dopoguerra; sullo sfondo si intravede la chiesa della Scuola, demolita nel 1952 (raccolta Costanza Garattoni, Sant’Angelo in Lizzola)

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Sotto: interno dell’osteria, anni Cinquanta del ‘900; in alto a sinistra, Natale 1957; qui a sinistra, 1955 (raccolta famiglia Carlo Salucci, Sant’Angelo in Lizzola). Qui sopra e in alto a destra: il negozio dell’orologiaio Cafiero Giampaoli (raccolta Gabriella Giampaoli, Pesaro) e, a destra, Sisto Antonini, minatore, rimasto vittima della tragedia di Marcinelle nel 1956 (raccolta famiglia Cesare Antonini, Sant’Angelo in Lizzola)

278


Sopra a e sinistra: 2a Rassegna intercomunale di bestiame bovino romagnolo, giugno 1957 (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola). In basso a destra, 1960 circa, un duello con i pugnali di legno acquistati alla fiera di Sant’Egidio (raccolta famiglia Carlo Salucci, Sant’Angelo in Lizzola)

279


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Nella pagina precedente: cartoline degli anni Settanta del ‘900 (raccolta privata, Pesaro); in primo piano: in alto a destra, una fotografia dall’album di Paola Solforati, Sant’Angelo in Lizzola; in basso, 1971: il sindaco Nazzareno Guidi con una delegazione del Comune di Cannobio durante le celebrazioni in onore di Giovanni Branca

Sopra: Angelo Marcolini con Maria Assunta Salucci, 2010 (fotografia G. Pentucci); sullo sfondo e in alto a destra “i bugatt j’a fatt Mario Franci”, bozzetto per il murale dipinto da Franci sulla facciata della sua casa nel Borgo; in basso a sinistra: Mario Franci dipinge il murale (raccolta Ambra Franci, Sant’Angelo in Lizzola). A sinistra: Una gita a...? [Sant’Angelo in Lizzola] da “La settimana enigmistica”, 7 gennaio 2012. Sotto e alle pagine 286-287: il dipinto realizzato da Giuseppe Ballarini a ricordo dell’Omaggio a Mario Franci, nel settembre 2012

281


Ringraziamenti Sono tante le persone che hanno contribuito con parole, immagini, ricerche, racconti e ricordi alla realizzazione di questo libro. A tutti va il mio ringraziamento, per la pazienza e per la disponibilità dimostrate. Archivio storico e Ufficio Beni Culturali e Artistici della Diocesi di Pesaro Parrocchia di San Michele Arcangelo, Sant’Angelo in Lizzola Archivio di Stato, Pesaro Biblioteca Oliveriana, Pesaro Filippo Alessandroni, Pesaro Famiglia Cesare Antonini, Sant’Angelo in Lizzola Elisa Antonini e Mauro Marcolini, Sant’Angelo in Lizzola Giuseppe Ballarini, Pesaro Giovanni Barberini, Monteciccardo Simonetta Bastianelli, Tavullia Giorgio Benelli, Pesaro Ruggero Berarducci, Sant’Angelo in Lizzola Francesco Bernardini, Montecchio - Sant’Angelo in Lizzola Massimo Bonifazi, Fano Don Stefano Brizi, Pesaro Giancarlo Cacciaguerra Perticari, Sant’Angelo in Lizzola Don Igino Corsini, Pesaro Anna Costantini Donati, Sant’Angelo in Lizzola Gabriele Falciasecca, Pesaro Anna Falcioni, Fano Giuseppe Fattori, Pesaro Ambra Franci, Sant’Angelo in Lizzola Franco Gambini, Sant’Angelo in Lizzola Costanza Garattoni, Sant’Angelo in Lizzola Paola Gennari, Pesaro Gabriella Giampaoli, Pesaro Don Enrico Giorgini, Sant’Angelo in Lizzola Leonella Giovannini, Sant’Angelo in Lizzola Federico Goffi, Monteciccardo Nazzareno Guidi, Montecchio - Sant’Angelo in Lizzola Benito Lazzari, Sant’Angelo in Lizzola Angelo Marcolini, Pesaro Agla Marcucci Gattini, Pesaro Giovanni Marcucci, Montelabbate Giorgio Ortolani e Raffaella Corsini, Pesaro Simona Ortolani, Pesaro Giovanna Patrignani, Pesaro Gianni Pentucci, Pesaro Filippo Pinto, Pesaro Pro Sant’Angelo – Pro loco, Sant’Angelo in Lizzola Maria Assunta Salucci, Sant’Angelo in Lizzola Famiglia Carlo Salucci, Sant’Angelo in Lizzola Paola Solforati, Sant’Angelo in Lizzola Francesco Nicolini, Sant’Angelo in Lizzola Infine, un ringraziamento speciale al Sindaco, all’Amministrazione comunale e ai dipendenti del Comune di Sant’Angelo in Lizzola 282


Sommario Guido Formica, sindaco di Sant’Angelo in Lizzola Sant’Angelo in Lizzola: uno sguardo nel passato... e uno sul futuro 5 Cristina Ortolani, Luoghi, figure, accadimenti. Le figurine sullo sfondo 7 Sigle e abbreviazioni 9 I. Sguardi. Da Clemente II ai Mamiani, 1047-1584

13

Lizzola, Monte Sant’Angelo

15

Chiese e ospedali

23

Orciai e boccalari

28

Ceramisti santangiolesi nei secoli XV-XVI 30 Ecclesiastici illustri 32 Giacomo da Pesaro 32 Sant’Angelo in Lizzola, 1506-1584. Aspetti di vita quotidiana 34

Artieri, fanti e massari. Spigolature, 1526-1584 Dai libri dei Consigli della Comunità, 1526-1585 Dai libri della collegiata di San Michele Arcangelo Località ricordate 1568-1586. Sant’Angelo in Lizzola, nati / morti

37 37 40 41 41

Giovanni Branca (1571-1645)

43

Note

49

II. Luoghi, figure. Sant’Angelo in Lizzola, feudo dei Mamiani. 1584-1855

53

I Mamiani alla corte di Francesco Maria II della Rovere, duca di Urbino 55

Il palazzo di Pesaro 60 Il palazzo di Sant’Angelo 62 Inventario dei mobili esistenti nel mio casino di Sant’Angelo, maggio 1801 69 I Mamiani, conti di Sant’Angelo 71

I Mamiani e il feudo tra il 1797 e il 1860

80

Albero genealogico della famiglia Mamiani della Rovere

86

Luoghi, figure, accadimenti, 1584-1718

91

I giorni del carnevale, 1595-1608 99 Artieri, fanti e massari, 1584-1631 100 Vicari 100 Toponimi tra i secoli XVII e XIX 101 Dodici reste di fichi secchi 104 I secoli XVI e XVII: aspetti demografici 106

Chiese e luoghi sacri, 1611-1718

110 283


Le chiese del Trebbio e di Monte Calvello, 1611 110 Sant’Isidoro della Serra 113 San Matteo 116 La chiesa di Santa Maria della Rena 116 Sant’Egidio 117 San Michele arcangelo 120 Le Confraternite 124 La confraternita della Natività e la chiesa della Scuola 125 La confraternita del Rosario 130 La confraternita del Santissimo Sacramento 130 Il legato Magni 130 La confraternita delle Sacre Stimmate di San Francesco 131 I monti frumentari, 1776-1838 131 L’ospedale 132 Gli anni di Terenzio Mamiani. Prima dell’Italia unita 137

Giuseppe, Virginia e Filippo Mamiani Terenzio Mamiani (1799-1885)

138 139

Sant’Angelo in Lizzola, 1776-1855. Tra borgo e castello

144

144 146 148 153 153 154 155 158

I Perticari

163

Aristodemo nel “molin da olio” La fonte, 1846-’47 1855. Sguardi su un tramonto

169 172 177

Il “cholera” a Sant’Angelo Note

179 183

III. Come una fotografia. Lampi, 1861-1945

193

195

Il Regno d’Italia, 1860-1922

284

In villa. Palazzo De Pretis In villa. Le famiglie Muccioli e Fantaguzzi Gli uomini, i giorni Inventario dell’armeria di Sant’Angelo, 1815 Inventario degli otensili del pubblico Macello di questo Comune di Sant’Angelo consegnati a Matteo Donati, 1808 Inventario di tutti gli otensili spettanti al pubblico forno da rendersi conto dal nuovo fornaro Francesco Marzi per l’anno 1802 1816. “L’anno senza estate” Comici dilettanti, steccati e “il gioco del pallone”

Sant’Angelo in Lizzola, 4 novembre 1860. Il plebiscito Persone e mestieri, 1858-1871 Sant’Angelo in Lizzola, 1871. Una fotografia Italia, 1871 1861-1899. Ordinaria amministrazione Lumi e lettorini, 1861-1898. Musica, teatro, giochi Vent’anni dopo. Tra borgo e castello

195 199 201 202 206 208 211


La scuola 213 Medici, speziali, farmacisti 213 1860-1901. Le campagne 215 Luigi Guidi 217 In villa. Baroni, contesse, cardinali 218 1900-1915. Il Progresso 220 Telegrafo e telefono 221 Il “funere” di Umberto I 222 Il cinema 223 L’acquedotto 224 La luce elettrica 226 Andreatini & Lardoni 229 La Banca Popolare Pesarese 231 Il servizio automobilistico 234 Il terremoto del 1916 235 1900-1916. Ordinaria amministrazione 236 Il clima politico 238 Il mercato serico e la filanda 240 Sant’Angelo in Lizzola, 24 maggio 1915 244 Ercole Luigi Morselli (1882-1921) 246 Sant’Angelo in Lizzola, ottobre 1917 248

1921-1944. Annali del regime

1926. Artigiani e commercianti 253 1928. La cappella dei Caduti e la collegiata 254 Teatro Perticari, notizie 1901-1935 257 Mario Franci (1912-1999) e i suoi bugatt 263 Fran. Il lampioncino e la fiaccola 265

1940-1944. Rapina e distruzione

250

266

Sant’Angelo 1943. Al confino Sant’Angelo in Lizzola, 26-28 agosto 1944

267 269

La ricostruzione. Appunti di viaggio, 1952-2012

275

Ringraziamenti

282

285




finito di stampare nel Giugno 2013 da SAT - Sant’Angelo in Lizzola (PU)



Comune di Sant’Angelo in Lizzola

Comune di Sant’Angelo in Lizzola

Cristina Ortolani

Sant’Angelo in Lizzola (1047-1947). Luoghi, figure, accadimenti

Cristina Ortolani

Sant’Angelo in Lizzola 1047-1947 Luoghi, figure, accadimenti


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