Promemoria, numero 3

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Sono attualmente in un tunnel ossessivo. Sconosciuti di ogni genere mi informano che tra poco compirò novant’anni. Era proprio quello che avrei gradito dimenticare. PerchĂŠ a queste date, a cui in un prossimo futuro si potrebbe anche non attribuire nessun significato, nella piccola Italia si attribuisce valore di scoop? Franca Valeri, 2010


Ricco come e più dei precedenti, questo numero di “Promemoria” esce a conclusione dell’anno dedicato alle celebrazioni per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia. Un anniversario importante, sul quale le istituzioni hanno riflettuto lungo tutto il 2011 con iniziative diverse, che hanno reso più accessibili fatti storici spesso dimenticati. Anche “Promemoria” si unisce al ricordo di un periodo fondamentale per la nostra nazione, proponendo testi e immagini che ci aiutino a capire quali furono i cambiamenti nel nostro territorio negli anni del passaggio dallo Stato Pontificio al Regno d’Italia. Dal lavoro di Cristina Ortolani e dei collaboratori della rivista emerge un ritratto della vita nei cinque Comuni appartenenti all’Unione “Pian del Bruscolo” (Colbordolo, Monteciccardo, Montelabbate, Sant’Angelo in Lizzola e Tavullia) che riserva molte sorprese, come per esempio i nomi dei combattenti nella III guerra d’Indipendenza, partendo dagli avvenimenti pesaresi del Settembre 1860. Un passo ulteriore nel cammino della Memoteca, un progetto che dal 2007 indaga le radici comuni dell’area dell’Unione “Pian del Bruscolo”, e che è stato tra i primi esempi nella nostra regione di conservazione digitale di un patrimonio documentario di grande importanza; patrimonio che grazie al sito www. memotecapiandebruscolo.pu.it e a “Promemoria” è messo a disposizione dei cittadini e di tutti quanti vogliano approfondire le proprie conoscenze sulla storia locale. Rivolgiamo ancora una volta il nostro più sentito ringraziamento a Banca dell’Adriatico, per il sostegno che continua ad accordare alle nostre attività, ai dipendenti dei Comuni e dell’Unione Pian del Bruscolo, a Cristina Ortolani, ideatrice e curatrice della Memoteca e di “Promemoria”, ai collaboratori della rivista e a tutti coloro che hanno fornito immagini e ricordi. Infine, porgiamo a tutti un fervido augurio per il nuovo anno, nella speranza che da questo momento di crisi, pur tra le difficoltà possano nascere nuove opportunità di sviluppo. Federico Goffi

Assessore alla Cultura e alla Promozione del Territorio Unione dei Comuni Pian del Bruscolo

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Claudio Formica

Presidente Unione dei Comuni Pian del Bruscolo

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A pochi giorni dalla mia nomina a direttore generale di Banca dell’Adriatico mi accingo con piacere a presentare il quarto numero di “Promemoria”, che Banca dell’Adriatico continua ad affiancare in un cammino dove le storie quotidiane sono accostate alle vicende nazionali. In particolare, il passato glorioso degli avvenimenti che portarono all’Unità d’Italia, celebrati lungo tutto l’arco del 2011, rivive qui grazie a testimonianze inedite e a interessanti focus su episodi e figure centrali per la storia del nostro territorio, alternati a sguardi sul presente e su anni meno lontani da noi, invitandoci con questo intreccio insolito e avvincente a riflettere sulla complessità dei tempi nei quali viviamo. Banca dell’Adriatico è tesoriere dell’Unione dei Comuni “Pian del Bruscolo” sin dalla sua costituzione: un legame che si esprime anche nell’adesione alle iniziative sociali e culturali che, insieme con il dialogo costante con i cittadini e le imprese, rende evidente la funzione sociale della Banca, nella valorizzazione del patrimonio culturale e delle specificità locali, sullo sfondo di un orizzonte più ampio. Credo che proprio in questo quotidiano rapporto con il territorio e con le realtà che lo animano stia la forza di un istituto come il nostro, che anche per il futuro è determinato a garantire un solido sostegno al tessuto socio-economico marchigiano. In questi momenti difficili, ma indubbiamente ricchi di opportunità, insieme con i nostri partner, da Confindustria alle Associazioni di categoria, e con il sostegno della Capogruppo Intesa Sanpaolo operiamo per cogliere tutte le occasioni di crescita: una crescita che non trascura il fondamentale settore della cultura, al quale guardare anche per conoscere le nostre radici e la nostra storia. Non mi resta che esprimere a Cristina Ortolani e agli amministratori dell’Unione “Pian del Bruscolo” il mio apprezzamento per il lavoro svolto; a loro e a i lettori il mio augurio per un sereno e prospero 2012. Salvatore Immordino Direttore Generale Banca dell’Adriatico

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* Sì perché noi facciamo sempre l’errore di stupirci di ciò che accade, ma in realtà quello che accade è già tutto accaduto, e il modo migliore per contrastarlo e per evitare che ci faccia male è proprio quello di conoscere la storia (Massimo Gramellini intervistato dall’Agenzia di stampa Dire, da www.dire.it/150%C2%B0Unit%C3%A0-d_Italia/gramellini_ italia.php?c=36998&m=33&l=it; 21 Dicembre 2010, ore 17)

Composto negli ultimi mesi del 2011, il numero 3 di “Promemoria” non poteva non tener conto della ricorrenza dei centocinquant’anni dell’Italia unita. Un anniversario che ha scandito forse più marcatamente del previsto l’intero arco dell’anno appena trascorso, indicando per certi versi la possibilità - la necessità di un mutamento di abitudini, prospettive, comportamenti. Nei giorni contrassegnati dall’imperativo della “sobrietà” ripercorrere centocinquant’anni di vicende nazionali, anche se con modi e intenti differenti, ha probabilmente contribuito a spostare l’attenzione su una moltitudine di italiani che ogni giorno fanno il loro dovere - niente retorica, si auspica anzi che “dovere” cominci a suonare non più come restrizione ma come norma -, lavorano con competenza e serietà, vivono insomma con responsabilità. È importante conoscere la nostra storia, ha detto Massimo Gramellini, autore insieme con Carlo Fruttero di La patria, bene o male (Milano 2010), esattamente come è importante conoscere l’album della tua famiglia. Anche se apparentemente non ti serve a niente, poi ci sarà un momento della vita in cui capirai che tu fai parte di un flusso, di qualcosa più grande di te, ed è giusto che tu lo conosca. Anche per non stupirti tutte le volte*. Come un album di famiglia, per non stupirsi tutte le volte “Promemoria” raduna numerosi anniversari che tra 2011 e 2012 si aggiungono al solenne compleanno dell’Italia. Con Franca Valeri, novantenne dall’intatta, ineffabile ironia, nutriamo seri dubbi sull’opportunità di ricordare fatti e persone solo nell’imminenza di un anniversario; tuttavia, riflettere sul valore di segnalibro, segnatempo vorremmo dire, di alcune date, lungi dall’attribuire loro risonanza di scoop, può aiutarci a comprendere ciò che ci circonda, o almeno a formulare al riguardo domande non troppo inappropriate. Così, nelle prossime pagine leggerete tra l’altro dell’11 Settembre 1860 a Pesaro, dei 55 anni dalla tragedia di Marcinelle, dei 50 anni dalla scomparsa di Scevola Mariotti sr. e dei 100 anni dalla nascita di Mario Franci, in un caleidoscopio che speriamo risulti coinvolgente e utile. Prima di concludere, rivolgo un caloroso benvenuto al nuovo direttore generale di Banca dell’Adriatico Salvatore Immordino e a Riccardo Paolo Uguccioni, che onora con un suo scritto la nostra rivista; esprimo poi le mie congratulazioni a Franca Gambini, nel Dicembre 2011 eletta Presidente dell’Accademia Agraria di Pesaro. Grazie ancora una volta a chi ha contribuito a costruire questo numero di “Promemoria”. A tutti buona lettura e buon 2012.

Cristina Ortolani

concept+image Memoteca Pian del Bruscolo

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Sommario > 1861-2011. Il Testimone M.P., Pesaro 1861 a cura di Cristina Ortolani pagina 8

> Esercitazioni Agrarie. 4 Luigi Guidi, dalla Scuola di agricoltura all’Osservatorio meteorologico di Franca Gambini - Presidente Accademia Agraria di Pesaro pagina 20 > 17 Marzo 1861-17 Marzo 2011 150 anni di Italia unita (ri)visti dall’Osservatorio dell’Archivio di Stato di Pesaro di Antonello de Berardinis - direttore dell’Archivio di Stato di Pesaro

pagina 22 > L’Ospite Antonio Cola “ladro ben cognito e fuggitivo” di Riccardo Paolo Uguccioni - Presidente Ente Olivieri, Pesaro pagina 30 > Luoghi della memoria Pesaro, l’Ospizio San Benedetto. Inediti e curiosità a cura di Simonetta Bastianelli pagina 36

> Avvenne ieri 1912-2012 Montelabbate, 9 Giugno 1912, Un telegramma del Re a cura di Cristina Ortolani pagina 48

> Album di Famiglia La leva del 1861. Classe 1839-1840 a cura di Cristina Ortolani pagina 52

> Avvenne ieri 1961-2011 Mio padre e io. Conversazione con Eleonora Mariotti Travaglini di Cristina Ortolani pagina 56 > Avvenne ieri 1912-2012 I bugatt di Mario Franci di Cristina Ortolani

pagina 60

> Storie di guerra Primo Ciandrini. Per un orologio, memorie dalla prigionia di Sandro Tontardini e Walter Ugoccioni pagina 62 > Storie di guerra Girolamo Signorotti. Settantadue giorni di cammino testimonianza raccolta da Cristina Ortolani

pagina 66 > centolire 1956-2011 Musi neri. Marcinelle, 1956-2011 di Cristina Ortolani > Vicini a voi Pesaro, 1875

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Centocinquanta! Pian del Bruscolo e l’Italia unita. “Promemoria” ha già ricordato i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia con alcuni contributi pubblicati sui numeri precedenti della rivista. Ecco dove ritrovarli. Numero 0, p. 49 - Talacchio di Colbordolo, 1861. Le scolaresche del paese insieme con le loro maestre, in una fotografia scattata in occasione delle celebrazioni per i 100 anni dell’Italia unita Numero 1, p. 17 - A. de Berardinis, DiSegnare il Territorio. 2 Pian del Bruscolo e il catasto dell’Italia unita p. 52 - 1860 - 1871. Il Diario di Marco Damiani p. 54 - Sant’Angelo in Lizzola. 4 Novembre 1860 p. 70 - Francesco Bertúccioli Numero 2, p. 89 - “Mi ricordo”, la camicia del Garibaldino Segnaliamo inoltre che i materiali relativi agli avvenimenti del 1861 sono stati in larga parte pubblicati nell’esposizione Pesaro, 1860-1861. Fatti ed eventi dell’Unità d’Italia, organizzata da Archivio di Stato di Pesaro e Banca dell’Adriatico in collaborazione con Coop Adriatica, allestita a Pesaro presso il Centro direzionale Banca dell’Adriatico di via Gagarin e, successivamente, presso la Galleria dei Fonditori (maggiori notizie sull’iniziativa sono riportate a pagina 76).

Esercizi di memoria a cura di

Cristina Ortolani

pagina 80 > La memoria delle cose | 1 Italiani di Pesaro. I Conti Spada pagina 81 > Il sapore dei ricordi Costanza Porta e Luisa Spada pagina 82 > La memoria delle cose | 2 Il Garibaldino Prandoni pagina 83 > La memoria delle cose | 3 Il Garibaldino Cinti pagina 84 > La memoria delle cose | 4 Enrico Monti pagina 85 > Pian del Bruscolo da sfogliare Terenzio Mamiani (1799-1885) pagina 86 > Capitanomiocapitano Pesaro, Soria, “Ricordi di scuola” pagina 88 > Parole nel tempo Per un minuto di diretta pagina 90 > Mi ricordo pagina 92 > Hanno collaborato a questo numero pagina 94 > La Memoteca Pian del Bruscolo

Avvertenza per la lettura Per non appesantire il testo e facilitare la lettura, si è scelto di ridurre al minimo le note, inserite alla fine di ciascun articolo e riservate perlopiù all’indicazione di Fonti e tracce. Abbreviazioni utilizzate in questo numero: s.d. (senza data di pubblicazione); id (idem). Eventuali altre abbreviazioni o sigle particolari usate nelle note sono date di volta in volta. Il corsivo identifica le citazioni da documenti, fonti a stampa e testimonianze orali; con (...) sono indicati gli omissis, tra [ ] le note dei redattori. In corsivo sono indicati anche titoli di libri, articoli, siti internet, spettacoli e manifestazioni, e il titolo originale delle fotografie; titoli di riviste e periodici sono invece riportati tra “ ”. Alle pagine 1, 13, 52, 78: parole di: Franca Valeri, Bugiarda no, reticente, Einaudi, Torino 2010 (p. 1 e p. 13); Aldo Cazzullo, Viva l’Italia, Mondadori, Milano 2010 (p. 52); Cristoforo Moscioni Negri, Linea Gotica, L’Arciere, Cuneo 1980 (p. 79). Alle pagine 1, 4, 91: dettagli di una scultura di Giovanni Battista Villa (Genova, 1832-1899) datata 1872 (Collezione Banca dell’Adriatico). A pagina 96, gli occhi di Franca Valeri. promemoria_numerotre

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Il Testimone. M.P., Pesaro, 1861 il testimone | 1861-2011

Pesaro, 19 Gennaio - 31 Dicembre 1861. L’anno dell’unità d’Italia raccontato da M.P., un anonimo testimone a cura di

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Cristina Ortolani

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1861. Gennaro, 19. Il regio Commissario Luigi Marchese Tanari assunse le funzioni d’Intendente Generale della Provincia di Pesaro e Urbino. (...) Gennaro, 27. Votazione nella Sala Municipale per la nomina del Deputato al Parlamento Nazionale, e venne eletto il Signor Terenzio Conte Mamiani. (...) Febbraio, 14. Giorno dopo le Ceneri, fuevi Opera e Ballo in Teatro sino alla successiva Domenica in cui dopo lo spettacolo ebbe luogo una festa da Ballo con maschera per festeggiare la presa di Gaeta. (...) Marzo, 14. Giorno onomastico di Sua Maestà Vittorio Emanuele II e per la notizia della resa della Fortezza di Messina venne festeggiato con apparati e Bandiere Nazionali a tutte le finestre, Concerto Musicale in giro per la Città, preceduto da Popolani con Canti patriottici, siccome solito nelle passate ricorrenze, ed illuminazione generale nella sera. Il Battaglione della Guardia Nazionale nel mezzo giorno sortì per la prima volta a fare le evoluzioni a fuoco nella Piazza Grande, ed era composto dei soli Militi con Uniforme in n. 88 accompagnato da quasi tutti gli Uffiziali in n. di 29. Cronistoria di Pesaro dal 19 Gennaio 1861 al 17 Luglio 1870 Da un quaderno manoscritto (20 x 27) già di don Antonio Angelini ora dell’Oliveriana (1924). Sopra la copertina aveva le semplici lettere M.P. Sac. GiovGabucci. A fianco, la copertina della copia effettuata da don Giovanni Gabucci del manoscritto di M.P., conservato presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro tra le carte di don Antonio Angelini (Archivio storico Diocesano, Fondo G. Gabucci). Come nota Gabucci, la Cronistoria si ferma ai primi giorni del 1862, interrompendosi per poi riprendere con brevi appunti del Luglio 1870. Per ragioni di spazio non pubblichiamo la trascrizione completa del manoscritto, segnalando tra ( ) gli omissis, riguardanti soprattutto i movimenti di battaglioni di passaggio a Pesaro; le annotazioni del 1870 sono in parte riportate a pagina 12.

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Pesaro, 11 Settembre 1860

Bombardamento della Fortezza a Pesaro nell’11 Settembre 1860 cartolina dei primi anni del ‘900, ed. Federici - Pesaro (Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci)

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La sezione d’artiglieria mandata avanti al trotto colla cavalleria aveva appena incominciato il fuoco contro porta Rimini che già il 7° Bersaglieri, assaltate e scalate le mura di porta Cappuccini, entrava nella piazza provocando la fuga dei difensori rimasti a difesa della cinta. Padrone della città, Cialdini fece tosto occupare dalla brigata artiglieria di riserva l’altura chiamata ‘Monte di Loreto’ che domina il forte di Pesaro. ...Essendosi fatta notte buia, il generale, ad evitare il pericolo di recare coi nostri tiri danno alla città, dispose, dopo qualche colpo sparato, che l’attacco si ripigliasse all’alba dell’indomani. (...) Durante la notte, il 7° Bersaglieri aveva occupato un convento prospiciente il vecchio castello sforzesco a quattro torri gradatamente trasformato in forte bastionato del XVIII secolo ove si era rifugiato tutto il presidio di Pesaro unitamente al Delegato pontificio Bellà il quale aveva in quei giorni fatto tradurre colà in ostaggio anche taluni pesaresi ‘sospetti’. (...) Dopo meno di mezz’ora di vivo fuoco della nostra artiglieria, il forte inalberò bandiera bianca. Respinta dal generale ogni trattativa di capitolazione condizionata, il colonnello Zappi dovette sottoporsi alla resa a discrezione. In mezzo al gruppo degli ufficiali prigionieri spiccava per il suo abito da prelato con croce d’oro al petto e calze pavonazze la virile e bruna figura di monsignor Bellà. (Baldassarre A. Orero, Da Pesaro a Messina - Ricordi del 1860-’61, Torino 1905) promemoria_numerotre


Nel mattino dell’11 Settembre improvvisamente si udirono allarmanti strepiti e ripetuti gridi di all’armi! aux armes! E vedevansi militi pontifici, sì indigeni che esteri, correre a precipizio verso le rispettive caserme, ed io pure che vi apparteneva... mi diressi verso il luogo ov’era accasermata la mia compagnia. (...) Nel mattino del 12, e per tempo, cominciò il cannone senza tregua a rovinarci il forte e smantellarne i bastioni, nostro riparo, che fummo costretti ben presto abbandonare. (...) Trattata la capitolazione... ci dissero che eravamo tutti prigionieri di guerra... Finalmente ci fecero sortire senz’armi (perché si trattava di una resa a discrezione) fra gli urli, fischi, sputacchi, sassate, ingiurie, apostrofi e simili della più schifosa plebaglia... e ci condussero in un campo, fuori Porta Fano, ove per ben sette ore ci tennero alla berlina, esposti ancora a una fitta e minuta pioggia. In conclusione, però, la nostra resistenza, per 22 ore, fu accanita e disperata e non eravamo che 1.200... con tre piccoli pezzi di artiglieria quasi inutili, mentre il corpo d’esercito del Cialdini composto di oltre 12.000 uomini, fornito di quaranta e più cannoni, e tutti di grosso calibro. (Nicola Mazzoli, Fatto d’armi nella città di Pesaro, Pesaro 1896)

Tancredi Bellà (1818-1878) Eletto Delegato Apostolico, non tardò a manifestare una sconfinata avversione alle nuove idee, ed il proposito di combatterle con ogni mezzo. Di carattere inflessibile, che lo spingeva ad incessanti e raffinate persecuzioni, lo si sarebbe immaginato un truce sgherro nell’aspetto; invece la cortesia... ne faceva un piacente gentiluomo. Alto robusto, bello ed altero, lo si sarebbe, dalle movenze, creduto napolitano, militare anziché prelato. (...) Il suo nome finì col destare terrore. (Giuseppe Grossi, Fatti d’arme e vicende politiche nel Settembre 1860, Fossombrone 1898) Il Bellà era rimasto prigioniero insieme con la guarnigione; e mi mostrarono un campo cinto da siepe, tra il fortino e la città, nel quale il Cialdini aveva obbligato il prelato, in pena della sua spavalderia, a passare all’aria aperta in calzoni corti da prete una rigida nottata d’autunno. Mandato a Torino, presto fu libero. (Gaspare Finali, Le Marche - ricordanze,Ancona 1896; ristampa anastatica Pesaro 2010)

Enrico Cialdini (1811-1892) Dopo i combattimenti di Rocca Costanza a Pesaro, il generale Cialdini sconfisse le truppe pontificie a Castelfidardo, meritandosi quindi il titolo di “Duca di Gaeta” per aver costretto alla resa la fortezza dove si era rifugiato Francesco II di Borbone, re delle Due Sicilie. Nel 1869 Vittorio Emanuele II lo nominò ambasciatore speciale in Spagna, dal 1873 al 1881 fu ambasciatore in Francia. Discusso protagonista della lotta contro il brigantaggio, a Enrico Cialdini il Comune di Pesaro intitolò nel 1936 l’antica via Porta Fano.

In alto, a sinistra: Pesaro, L’Antica Porta dei Cappuccini, cartolina dei primi del ‘900; a destra: Pesaro, viale Margherita (oggi viale della Liberazione), cartolina datata 13 Settembre 1904, ed. Nobili - Pesaro (Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci)

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Marzo, 18. Venne festeggiata la notizia della proclamazione del Regno d’Italia con Bandiere alle finestre, Concerto, Illuminazione, ed evoluzioni a fuoco della Guardia Nazionale nello stesso modo come la giornata precedente del 14 mese andante. Marzo, 19. Giorno di San Giuseppe, oltre la solita festa nella Chiesa parrocchiale di Sant’Arcangelo, alcuni popolani fecero una questua di denaro onde solennizzare esternamente il Santo del Nome di Garibaldi con Luminaria lungo la Strada di San Rocco, ampliata con l’atterramento dell’antico muro del Palazzo Almerici che serviva di cinta a tutta l’area di detto fabbricato distrutto da diversi anni per costruirvi una Caserma Militare. Oltre la suddetta luminaria vi fu il Concerto Musicale che percorse la città con molto popolo, essendosi spontaneamente addobbate con apparati e Bandiere le Botteghe e finestre lungo il Corso, ed illuminate nella sera. (...) Marzo, 25. Alle ore 4 pomeridiane giunse da parte di Rimini il Reggimento di Linea n. 50 - a cui andette incontro la Guardia Nazionale col Concerto. (...) Marzo, 29. Per le diverse traversate lungo il Corso del filo telegrafico che avrebbe impedito il transito al Cataletto per l’altezza della sua Croce, la processione del Cristo Morto dovette transitare fuori dall’usato per le strade di San Carlo, Trebbio, Calzolari e Piazza, sino alla chiesa del Sacramento. Sul mezzo giorno venne fatta perquisizione dalle Guardie di pubblica Sicurezza alle carte del Parroco di Sant’Arcangelo don Remigio abbate Piergiovanni da cui si rinvennero soltanto diversi libercoli stampati a favore del Pontefice. (...) Marzo, 31. Questa sera il cadavere del Prete don Filippo Mosca ex Cappuccino che votò nel Plebiscito a favore di Vittorio Emanuele II venne accompagnato alla chiesa degli Agostiniani da 12 giovani con torcie. (...) Aprile, 7. Votazione nella Sala Municipale pel Deputato al Parlamento invece dell’eletto altra volta Sig. Conte Terenzio Mamiani, che per voler tenere due candidature, dal Ballottaggio rimase senza rappresentante la nostra Pesaro, e sortivano eletti senza maggioranza il generale Enrico Cosenz, e l’avv. Giuseppe De Angelis. Aprile, 8. Nella Sala Municipale ebbe luogo la chiamata degli ascritti nella Leva Militare del 1839 e 1840 del Circondario di Pesaro presieduta dai Sindaci dei rispettivi Comuni del Mandamento, dal Commissario di Leva e dal Tenente dei Carabinieri, ed i giovani intervenuti estrassero il numero dall’urna, protraendosi la serata dalle 9 antimeridiane di oggi alle una pomeridiana del giorno seguente.

17 Luglio 1870. Rappresentazione serale di un Circo Americano costituito di una gran tenda apposita collocata sullo spiazzo di Porta Collina vicino al Teatro, in cui ebbero esecuzione giuochi sui cavalli, ginnastica ed esposizione di due grossi elefanti bene ammaestrati e lotta di Mr. [il manoscritto non riporta il nome] in una gabbia di sette leoni. Concorso straordinario, prezzi di entrata lire 3 pei primi posti, lire 2 pei secondi, lire 1 pei terzi. Qui finiscono le memorie benché rimangano ancora molti fogli bianchi. Sant’Angelo in Lizzola, copiato nei primi giorni di Ottobre del 1924. Sac. Giovanni Gabucci

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Aprile, 10. Alle due pomeridiane giunsero da Fano di transito il Reggimento 10 di Linea con Parco d’Artiglieria di 12 pezzi da Campagna ed uno squadrone di Cavalleria reduci dall’assedio di Gaeta. Furono incontrati con Banda ed accolti con fiori dalle finestre. Quattro compagnie del suddetto Reggimento di Linea si fermarono qui di guernigione. (...) Aprile, 14. Alle ore quattro antimeridiane partì tutta la truppa giunta jeri alla volta di Rimini. Alle dodici antimeridiane nella Sala del Municipio venne convocato il Collegio per l’elezione del Deputato al Parlamento sulla scelta dei due candidati Cosenz e De Angelis sortiti senza maggioranza di voti nello scrutinio seguito la scorsa Domenica, e venne eletto il generale Enrico Cosenz. Alle tre pomeridiane giunse il Reggimento 24° di Linea, uno Squadrone Cavalleria e 12 Cannoni come negli scorsi giorni reduci da Gaeta per la parte di Fano, e vennero incontrati dalla Banda Municipale, Signore con mazzi di fiori, e gettito di questi dalle finestre pavesate con Bandiere e coperte ed illuminate la sera come nei giorni precedenti. (...) Aprile, 28. Alle ore 12 meridiane venne installato il Consiglio Municipale in seguito della nomina a Sindaco del sig. Domenico Guerrini, dopo la rinuncia emessa dal sig. Carlo Marchese Baldassini che venne nominato in antecedenza. Aprile, 30. Alle ore una pomeridiane giunse il Reggimento di Linea n. 27 proveniente da Ascoli a cui fu fatto il solito incontro. (...) Maggio, 7. Alle dieci antimeridiane giunsero i prigionieri Napoletani rinchiusi nel Forte di Civitella del Tronto. (...) Maggio, 8. Alle sei ore antimeridiane partivano i suddetti prigionieri accompagnati da una Compagnia di questo Regimento 55 alla volta di Rimini. (...) Maggio, 30. Processione del Corpus Domini senza intervento delle Autorità Municipali e Governative. Nel dopo pranzo venne dato nella Villa Caprile un beveraggio ai reduci giovani che volontari concorsero nel 1859 alla guerra d’Italia, e v’intervennero il Sindaco Domenico Guerrini, e gli Assessori Carlo Marchese Baldassini e Andrea Marzetti. Maggio 31. Alle tre pomeridiane sono partite due Compagnie del Reggimento 55° qui stanziato alla volta di Urbino per circondare assieme ai Bersaglieri di guernigione colà la Banda del Grossi vagante per quei dintorni. (...) Giugno, 2. Festa nazionale dello Statuto in cui venne somministrato il pane ai poveri, la di-

Pesaro, Piazza Vittorio Emanuele, cartolina dei primi del ‘900, ed. Federici - Pesaro. A pagina 14, dall’alto: Pesaro, Piazza Mamiani, cartolina datata 26 Maggio 1927, edizioni Nobili, Pesaro; Monumento a Terenzio Mamiani... opera dello scuoltre Ettore Ferrari, cartolina datata 29 Dicembre 1927. Il monumento fu collocato in piazza Mamiani nel 1896 e si trova oggi nel giardino a fianco di Rocca Costanza. A pagina 16: Pesaro, panorama, cartolina datata 6 Luglio 1918, ed. Alterocca - Terni. A pagina 17: Pesaro, Piazza Grande e Piazza Mamiani, fotografia dei primi del ‘900. Tutte le immagini citate sopra provengono dal Fondo G. Gabucci dell’Archivio storico Diocesano di Pesaro

Quando non si faceva uso del termine “evento” succedevano veramente tante cose

Franca Valeri, 2010

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stribuzione del Drapó [in piemontese: bandiera] al Battaglione della Guardia Nazionale... eseguita sulla Piazza Grande appositamente addobbata con un palco al muro di San Domenico destinato pel Regio Intendente, Sindaco, Consiglieri Comunali ed altre Autorità Civili e Giudiziarie che vi concorsero. Nel dopopranzo vi fu Regata al Porto, Banda con Globo Aerostatico che non poté essere innalzato pel molto vento, addobbi per la Città e finestre, ed illuminazione. La sera vi fu festa da Ballo in Teatro a beneficio degli Asili Infantili da eriggersi. Alla regata in palco apposito sotto la Casa della Sanità assistettero il Sindaco, Commissario del Porto, tutta l’Ufficialità Militare, il Regio Intendente ed altri, e vi fu rinfresco in gelati e bibite. L’Intendente Generale dette pranzo di 40 coperti. Giugno, 7. Alle dieci antimeridiane vi fu Messa funebre in Duomo con Catafalco in suffragio dell’anima del defunto Camillo Cavour Presidente dei Ministri del Regno Italiano in cui vi assistettero la Guardia Nazionale e tutte le Autorità senza la formalità di essere ricevute dall’Autorità Ecclesiastica. Luglio, 16. Alle dieci antimeridiane vi fu la solenne apertura del Tribunale d’Assise posto nel Palazzo Machirelli sulla Piazza di San Giacomo. Alle ore 9 ½ pomeridiane per la Strada di Santa Maria delle Fabbreccie venne incontrato da una pattuglia il Sordo-Muto Pietro Rivalta pesarese, di professione calzolaio, mantenuto da tempo nel Collegio de’ Sordi-Muti in Roma a spese del nostro Municipo, il quale recavasi con una gerla sulle spalle nelle case coloniche a rattoppare le scarpe ed anche a scrivere per i Contadini. Fatto il “Chi va là?” per tre volte dalla pattuglia 14

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il Rivalta che naturalmente non poteva rispondere, accidentalmente deviò la strada maestra, collocandosi in un fosso, e la forza, vedendo fuggire un uomo di notte col volume sulle spalle, dopo avergli fatto altra chiamata gli esplose una fucilata da cui rimase gelato. Nella notte entrarono i ladri nella Bottega di Terenzio Terenzi derubandolo di circa Lire 120 in tanti Baiocchi di rame. I ladri entrarono nel portone di Casa Scipioni e facendo un’apertugio nel muro dell’andito penetrarono con tutto comodo nella Bottega del Terenzi. (...) Agosto, 1. Alle 9 pomeridiane certo Toni Casermiere del Comune ferì con coltello il falegname... per galanteria amorosa. (...) Agosto, 10. Alle 8 pomeridiane partiva insalutato ospite il regio Intendente Sig. Marchese Tanari e sua famiglia per Bologna, cessato dalle sue funzioni. (...) Agosto, 23. Alle ore 11 antimeridiane giunse una Compagnia di Linea da Rimini partita per Fano la mattina susseguente. (...) Agosto, 26. Alle 8 antimeridiane giunsero da Fano 500 circa militi Borbonici e sbandati reazionari accompagnati dalla suddetta Compagnia di linea appositamente mandata a Fano ove sbarcarono li suddetti Napoletani. Venne arrestato il Padre Guardiano dei Minori Conventuali per avere firmate le pagelle della pensione a nome di un Frate appartenente alla famiglia dei Francescani di qui, ma invece dimorante a Costantinopoli. Alle undici pomeridiane partirono alla volta di Rimini li 500 Borbonici giunti questa mattina.

(...) Settembre, 12. Anniversario della venuta dei Piemontesi e dell’espugnazione del Forte con Monsignor Bellà, Armata e consoci. Furono addobbate le strade e finestre. La Guardia Nazionale prese stanza dal Convento dei Monaci in quello di San Domenico. La sera vi fu illuminazione e pochi fuochi d’artificio sulla Piazza. (...) Settembre, 24. Alle 11 antimeridiane giunsero i Reali Principi Umberto e Amedeo in privato con tre legni [carrozze] di seguito. Andettero incontro una Carrozza del Municipio ed altre dell’Intendenza, ed il loro passaggio dalla Chiesa di Sant’Agostino alla Corte venne schierato dal Battaglione Volontari mobilizzato di guarnigione, e dal nostro Battaglione della Nazionale. Giunti al Palazzo si affacciarono sulla ringhiera e la truppa, fatto il défilé, si schierò fino al Duomo in mezzo alla quale i R. principi andettero a visitare il Santissimo. Furono accompagnati dal Sindaco Sig. Guerrini, dal loro seguito, dall’Ufficialità militare ed Intendenza. In Chiesa furono ricevuti da due Canonici Ortolani e Ceccarelli funzionando in quel momento la Messa cantata il Vescovo per la festa di San Terenzio. Ritornati in Palazzo le Truppe si disciolsero e le L.M. partirono alla volta di Ancona ad un’ora pomeridiana. Le strade e finestre erano tutte addobbate. Nella tarda notte giunse il R. Intendente Generale nella nostra Provincia Sig. Bardesono. (...) Ottobre, 3. Alle 7 pomeridiane giunsero da Fossombrone per la via di Fano i Reali Principi di Savo-

Monsignor Clemente Fares (1809-1896), vescovo di Pesaro dal 1857 (fotografia Dario Uguccioni, Pesaro; Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci). Monsignor Fares (1809-1896) descrive in un diario, pubblicato nel 1998 sul n. 3 di “Frammenti”, la rivista dell’Archivio storico Diocesano di Pesaro, le drammatiche ore della resa di Pesaro, in seguito alla quale i soldati pontifici e lo stesso Delegato apostolico monsignor Tancredi Bellà furono tenuti a spettacolo e a discrezione di una plebaglia furente. Gli eventi del 1861 visti dalla prospettiva della Diocesi di Pesaro sono stati oggetto di un’esposizione storico-documentaria svoltasi nel Novembre 2011 presso il salone del Vescovato, intitolata Scopriamo le carte. Tracce dell’Unità d’Italia nella Diocesi di Pesaro

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Pesaro, 1864. La città secondo Giuliano Vanzolini. A dimostrare il ben essere morale, politico, economico e civile della nostra Città sarebbe mestieri trattare scientificamente della Statistica sia relativamente alla consistenza della popolazione, sia per ciò che alle scienze, al commercio, all’industria, alle manifatture, alle arti ed ai mestieri si concerne. Ma poiché la sarebbe dessa opera di gran lena e di gran mole, e non consentanea all’indole di questo libro, la Statistica del Pesarese sarà per noi ridotta ad un registro di cifre le quali, desunte dall’ultimo censimento ufficiale, benché sterili ed ineloquenti, diranno quanto basta ad averne un’idea generale e nel tempo stesso precisa ed esatta. (Giuliano Vanzolini, Guida di Pesaro, 1864).

I contemporanei di Vanzolini espressero in realtà alcune riserve sull’esattezza delle notizie contenute nella Guida di Pesaro, pubblicata in occasione dell’inaugurazione del monumento di Gioachino Rossini (21 Agosto 1864), oggi visibile nel giardino del Conservatorio intitolato al compositore. Pur se approssimativi, i dati riepilogati nel volume vanzoliniano offrono comunque un vivace spaccato (un’idea generale) della Pesaro di metà Ottocento, racchiusa dalle mura roveresche e popolata di ‘figurine’ i cui contorni appaiono ancora oggi familiari. La popolazione della Città e del territorio si compendia nel quadro seguente: Abitanti nella Città: n. 10.740; al Porto: 1.807; nelle Ville di S. Maria dell’Imperiale o Fabbreccie, e di S. Pietro in Calibano, non che nei Casali di Roncaglia, S.Veneranda,Trebbiantico e Santa Marina: 833; in case sparse nel territorio: 6.525; in totale 19.905 (nel 1660 era di 7.320 dentro la città, e 14.354 nel contado). (...) Ogni famiglia poi è ascritta a determinata Parrocchia o Chiesa avente cura di anime. Queste Chiese Parrocchiali sono sei nell’interno: Cattedrale, S. Giacomo, S. Michele Arcangelo, S. Cassiano, S. Lucia, S. Niccolò; sei nell’esterno:Trebbiantico, S. Maria dell’Imperiale o Fabbreccie, B. V. di Loreto, S. Pietro in Calibano, Roncaglia. 16 16

(...) Contemplata per Sesso la popolazione dividesi in Maschi, nell’interno 5.410, nell’esterno 4.845 in totale 10.255 ed in Femmine, nell’interno 5.330, nell’esterno 4.320, complessivo 9.650. Sotto l’aspetto dello Stato civile, la popolazione si forma di: Celibi-maschi 6.238; femmine 5.158 = 11.396; Conjugati-maschi 3.526; femmine 3.520 = 7.046;Vedovi id. 476; vedove 987 = 1.463. Per Lingue parlate dividesi in: lingua Italiana maschi 10.254, femmine 9.645 = 19.899; lingua Francese maschi 1, femmine 3 = 4; lingua Inglese maschi --; femmine 2 = 2. (...) Per quanto attiene all’importantissimo rapporto della Istruzione le tavole statistiche offrono i seguenti risultati: Individui che sanno leggere soltanto: in Città: maschi 132, femmine 528; in Campagna maschi 55, femmine 73 (tot. 788); che sanno leggere e scrivere: in Città: maschi 2.680, femmine 1.620; in Campagna maschi 379, femmine 103 (tot. 4.782); Illetterati od Analfabeti: in Città: maschi 2.598, femmine 3.182; in Campagna: maschi 4.411, femmine 4.144 (tot. 14.335). (...) Per quanto riguarda Commercio, Industrie, Manifatture, Arti e Mestieri, oltre I’Elenco delle condizioni e professioni cui si applicano individualmente gli abitanti di questa Città e territorio, che solo può porgerne vera e reale cognizione, faremo speciale menzione dei principali stabilimenti che vi esistono. Essi sono: varie Filande da seta che costituiscono 400 fornelli, de’ quali metà a vapore, e da cui si ha un prodotto in Seta di Kg. 6.000 ogn’anno. Quattro opificj di Conciapelli, dell’annua produzione media di Kg. 33.000, due fabbriche di Piombo da caccia con una produzione di annui Kg. 92.000; tre fabbriche di Maioliche e Terraglie della produzione annua complessiva di Lire 100.000; una Fonderia in ghisa con meccanica per attrezzi rurali, e macchine a vapore della forza di due a cinque cavalli. L’annua produzione di tale Stabilimento è di circa Lire 130.000; otto opifìcj per la fabbricazione del Miele, ed altrettanti per quelli della Cera gialla; dodici fabbriche a telaj di Cordelle, Fettuccie e Passamani, sì in seta che in bavella e in cotone; una raffineria di Zolfo, dell’approssimatia annua produzione di Kg. 200.000. I prodotti degli opificj, fabbriche e stabilimenti sopra enumerati si valutano attualmente nell’annua somma complessiva di Lire 1.300.000, mentre la prossima istituzione nella Città di una succursale della Banca Nazionale, lo sviluppo ognora crescente delle relazioni commerciali, e la facilità dei mezzi offerti alle importazioni ed alle esportazioni saranno per accrescere in breve volger di tempo lo sviluppo e l’importanza di essi. promemoria_numerotre


ia. L’incontro seguì come nel giorno 24. La Città era pavesata a festa con illuminazione alle finestre. Appena giunti pranzarono, e quindi venuti sulla Ringhiera di Corte in Piazza assistettero ai Fuochi artificiali fatti preparare per cura del Municipio. Le Bande Civile e Militare rallegravano con i loro concerti ed alle 10 pomeridiane in mezzo agli applausi i R. principi si ritirarono. Ottobre, 4. Alle 7 ½ antimeridiane partirono alla volta di Rimini i R. Principi con tre legni di seguito senza accompagno tranne le Autorità civili e Militari che andettero a complimentarli. (...) Ottobre, 8. Alle 5 antimeridiane giunse dalla parte di Rimini una Compagnia Bersaglieri. Alle 3 pomeridiane giunsero 300 circa prigionieri Napoletani sbandati e renitenti alla Leva dalla parte di Ancona. Ottobre, 9. Alle 5 antimeridiane partirono la Compagnia Bersaglieri, e li 300 Napoletani, giunti jeri, diretti alla volta di Rimini. (...) Ottobre, 20. Alle 5 pomeridiane giunsero dalla parte di Ancona 400 circa Napoletani sbandati e renitenti alla Leva disarmati come i precedenti arrivi e accompagnati. Alle 6 pomeridiane poco prima che finisse la processione del Voto pel Cholera certo Berti di Romagna fornitore delle Truppe che da qualche tempo trovavasi qui percorrendo al solito lungo il Corso in biroccino con velocità ebbe a ribaltare avanti San Cassiano nell’incontro col Corriere che giungeva dalla Romagna. Rimessosi in legno ripassò il Corso in egual modo per cui avanti il Caffè del Commercio ebbe a sentire qualche voce di “piano”. Costui fermò il cavallo e sceso da legno cominciò a percuotere colla frusta a rovescio a diversi fra i quali alcuni si presero a lottare contro il medesimo ed egli attorniato die’ mano ad un coltello menando a dritta e rovescio. Due restarono gravemente feriti.

(...) Novembre, 1. Alle 5 pomeridiane giunsero per la via di Ancona altri 150 Napolitani prigionieri che partirono alla volta di Rimini la seguente mattina alle 6 antimeridiane. Novembre, 10. Alle 2 ½ pomeridiane giungeva per la via Ferrata alla Stazione da Rimini il Convoglio Reale con Sua Maestà Vittorio Emanuele preceduto da altro Convoglio col Corpo Diplomatico diretti verso Ancona, corsa per l’inaugurazione dell’apertura della via ferrata da Bologna ad Ancona. Alla Stazione v’erano le Autorità Municipali e Governative con la Guardia Nazionale schierata, e vi fu molta accoglienza di tutti. I detti vagoni si fermarono senza che alcuno scendesse dai medesimi. (...) Novembre, 11. Alle 10 ½ antimeridiane giungeva da Ancona per la Ferro-Via di ritorno Sua Maestà Vittorio Emanuele diretto per Torino. I Vagoni Reali presero acqua alla stazione senza che alcuno scendesse. Vi erano le Autorità e la Guardia Nazionale come al passaggio di jeri. Alle 3 pomeridiane giunse l’altro convoglio del Corpo Diplomatico da cui scese il Ministro del Commercio Peruzzi, che andette col Sindaco e Prefetto a visitare i lavori del nostro Porto, e quindi rientrato nel Vagone si diresse a Torino assieme agli altri.

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Chiamato per telegramma a Torino ebbi colloquio con sua Maestà e colle LL. EE. i ministri Cavour e Farini l’11 Settembre... il 12 fu sottoscritto il decreto reale che mi nominava Commissario generale straordinario per le Provincie delle Marche. Tornai per poche ore alla mia ordinaria residenza di Como, e mossi il 14 per la nuova destinazione. Giunto a Rimini la sera del 15, raccolsi le poche notizie che la vicinanza al teatro della guerra mi offriva, composi e feci stampare il proclama che doveva annunciare alle popolazioni Marchigiane il mio arrivo tra loro e l’oggetto della mia missione. Pesaro era libera da alcuni giorni; monsignor Bellà aveva fatto come prigioniero di guerra cammino contrario al mio, e la guarnigione di quella piccola fortezza era stata contemporaneamente avviata a Genova. Nella Città sedeva già commissario provinciale il sig. marchese Tanari per incarico diretto del Ministero e sotto riserva di mia nomina formale. (...) Il 18 Gennaio consegnai l’amministrazione delle Marche ai quattro Intendenti Generali, ed ho la coscienza che il mio governo benché eccezionale, lungi dal render difficile la successiva opera loro, ha sgombrato il terreno dagli abusi e dagli inciampi. (...) Entrai in paese commosso dalla rivoluzione e dalla guerra, sfiduciato per troppi disinganni, non nuovo alle

intemperanze di parte, ai profondi odj, alle vendette di sangue. Io non aveva né leggi, né tribunali, né carabinieri. Pure il popolo fu tranquillo e moderato, lieto della liberazione e paziente ad aspettare le riforme. Alle quali io posi mano con alacrità e le eseguii con dolcezza ma pure fermamente, nello stesso tempo che lasciando piena libertà alle opinioni addussi il Popolo Marchigiano al plebiscito. In ogni parte del governo e dell’amministrazione proclamai francamente di volere che avesse forza la legge e rispetto il magistrato; ma volli pure che la gente conoscesse come io fossi uffiziale non altrimenti che di governo libero, sempre amatore di libertà. Alle mie parole ed a’ miei atti procacciavano fede di sincerità i precedenti di tutta la mia vita, senza dei quali né le parole sarebbero state autorevoli, né gli atti avrebbero avuto l’adesione compiuta e volonterosa che ottennero; il perché posso affermare che nessuna parola od atto del regio commissario potrà essere colta in contraddizione coll’opera e col linguaggio dell’antico giornalista, dell’antico deputato. Como 30 aprile 1861, Lorenzo Valerio (Le Marche dal 15 Settembre 1860 al 18 Gennajo 1861, relazione al Ministero dell’Interno del R. Commissario Generale Straordinario Lorenzo Valerio, Estratto dal “Politecnico” Vol. XI, Milano, 1861)

Lorenzo Valerio (1810-1865) fu Commissario Straordinario per le Marche dal 15 Settembre 1860 al 18 Gennaio 1861. Industriale e uomo di cultura, creò e diresse il giornale “La Concordia” (1847), e fu tra i fondatori di diverse istituzioni sociali (l’asilo e il convitto per le operaie del setificio di Agliè) e culturali (la Società di Belle Arti di Torino). Le cronache ricordano che nella sua casa torinese, di fronte a un gruppo di intellettuali e patrioti nacque nell’Autunno 1847 la musica de Il canto degli Italiani, l’inno nazionale composto da Michele Novaro sui versi di Goffredo Mameli. A Pesaro Valerio istituì nel 1861 l’Osservatorio meteorologico che porta il suo nome, situato all’interno degli Orti Giuli. 18

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Proclama del Regio Commissario Generale Straordinario Lorenzo Valerio “Agli Italiani delle Marche�, Rimini 15 Settembre 1861 (Archivio di Stato di Pesaro). Nella pagina precedente: Pesaro, Osservatorio Valerio, cartolina datata Pesaro, 14 Luglio 1909 (Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci)

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Esercitazioni Agrarie. 4 Luigi Guidi, dalla Scuola di agricoltura all’Osservatorio meteorologico esercitazioni agrarie in collaborazione con Accademia Agraria di Pesaro

Santangiolese di nascita, Luigi Guidi fu il promotore e il primo direttore dell’

Osservatorio meteorologico “Lorenzo Valerio” di Pesaro di Franca Gambini Presidente dell’A ccademia Agraria di Pesaro

Pochi anni prima dell’unificazione d’Italia l’Accademia Agraria registra un profondo rinnovamento; vengono a mancare quasi tutti i soci fondatori e una nuova generazione succede nella gestione dell’attività accademica. In questi anni, che si caratterizzarono per essere tra i più fecondi, la figura di maggior rilievo fu quella del socio ordinario, facente funzione di segretario, nonché professore di agraria, Luigi Guidi. La grossa mole di lavoro prodotta da Guidi, e di cui le memorie riportate nelle “Esercitazioni” non sono che una piccola parte, o per meglio dire un pallido riflesso, è rigorosamente aderente ai problemi pratici di una agricoltura sempre più sostenuta dalle scienze e dalle tecnologie sempre più avanzate: non sarà inutile ricordare che nel 1874 viene eseguita la trebbiatura meccanica del frumento per la prima volta nel territorio pesarese. I principali interessi di Luigi Guidi, com’è logico che sia per il professore d’agraria della Scuola di Agricoltura dell’Accademia, erano la botanica e la zoologia, la patologia animale e vegetale, accanto ai quali lo studioso coltivava una grande passione per la meteorologia le cui osservazio20

ni aveva iniziato giovanissimo come testimoniano numerose lettere riportate anche nelle “Esercitazioni”1. L’inizio dell’attività di Guidi nelle osservazioni meteorologiche risale al 1853 nel suo paese natale, Sant’Angelo in Lizzola, dove si trovava in soggiorno obbligato, così come evidenziato nella relazione inviata al conte Domenico Paoli e pubblicata sulle “Esercitazioni” del 18562: Prima di entrare nella particolarità delle mie osservazioni parmi conveniente premettere che esse venivano fatte all’altezza di M. 132 sopra il livello del mare, secondo la misura barometrica presa da me nell’anno scorso, calcolata sulle tavole di Oltmans, ed alla latit. di 43.44’.30’’ dedotta da una triplice osservazione della Polare (...) S.Angelo di Pesaro 10 Agosto 1853. La sua competenza nel settore della meteorologia gli consentì di entrare a far parte della Società Meteorologica, Geologica e Botanica di Francia e il suo grande desiderio di esercitare la professione del meteorologo lo portarono a richiedere il 28 dicembre 1860, al Regio Commissario Regionale per le Marche, Lorenzo Valerio, un sussidio per l’erezione in Pesaro di un Osservatorio Meteorologico3. promemoria_numerotre


Il progetto, dettagliatissimo sia per la parte costruttiva, sia per le relative attrezzature e strumentazioni è riportato nel volume XIII, sem. I del 18614, Progetto per la fabbrica ed ordinamento dell’Osservatorio Meteorologico da erigersi in Pesaro per Decreto del Commissario Generale Straordinario delle Marche in data 8 Gennaio 1861. Il progetto di costruzione dell’Osservatorio Meteorologico per il quale S.E. il Regio Commissario Generale delle Marche ad istanza del sottoscritto assegnò al Comune di Pesaro sul Bilancio del Regno per il corrente esercizio la somma di Lire 20.000 doveva risolvere tre problemi. I° Provvedere al collocamento degli strumenti… 2° Fare in modo che la fabbrica, senza fallire allo scopo scientifico per la quale era ordinata, non fosse priva di una certa eleganza…

3° Conseguire li effetti sopradetti con tutta l’economia imposta dal limite della somma... (...) Con tale modica spesa la città di Pesaro acquista uno stabilimento che per il numero delle osservazioni, i metodi, e le qualità degli istrumenti risponde a tutte le esigenze della scienza e provvede largamente al bisogno che il Nuovo Regno d’Italia ha di camminare del pari con gli altri Governi civili di Europa, i quali copersero i loro Stati di una rete di osservatori non dubitando d’incontrare spese gravissime d’impianto e conservazione per risolvere problemi che tanto interessano l’Igiene, l’Agricoltura e la Navigazione.

Sotto: Luigi Guidi (foto archivio Osservatorio Valerio di Pesaro - per gentile concessione)

Luigi Guidi nato a Sant’Angelo in Lizzola l’11 Maggio 1824, nel 1856 venne nominato accademico, l’anno successivo ricevette l’incarico di professore della cattedra di agricoltura nella scuola istituita dalla stessa Accademia Agraria; quindi gli venne conferito anche l’incarico di segretario. Rappresentò la provincia di Pesaro, entrata a far parte dell’appena costituito Regno d’Italia5, all’Esposizione Internazionale di Londra del 1862. Tra le altre cose si adoperò per ottenere da Lorenzo Valerio l’istituzione di una Scuola Tecnica che venne aperta nel 1862 e di un Istituto Tecnico, sorto con il nome di Scuola di Meccanica e Costruzione che iniziò ad operare nel 1864: di entrambe le scuole Guidi ebbe la direzione ed in esse impartì l’insegnamento delle scienze naturali, di chimica e agronomia. Alla sezione di Meccanica e Costruzioni dell’Istituto tecnico nel 1865 venne affiancata la Scuola di Agricoltura dell’Accademia Agraria che assunse la denominazione di sezione di Agronomia ed Agrimensura6. Guidi fu anche apprezzato consulente della Prefettura pesarese per tutti i problemi di carattere agrario della Provincia e certamente collaborò con il Prefetto Scelsi nella stesura del volume di statistiche della Provincia di Pesaro e Urbino edito nel 1881. Morì il 6 marzo 1883, quando non aveva compiuto ancora 59 anni e con alle spalle quasi un trentennio di intensissima attività suddivisa fra studi, insegnamento, direzione della scuola tecnica e presidenza dell’istituto tecnico, direzione dell’osservatorio meteorologico, sperimentazioni nel campo dell’accademia, ecc..

Riferimenti bibliografici 1 Luigi Guidi, Di un osservatorio Meteorologico in Pesaro - Lettera al Direttore della Corrispondenza Meteorologica Telegrafica di Roma, in “Esercitazioni dell’Accademia Agraria di Pesaro”, Pesaro 1856, a. XII, s. II. 2 Luigi Guidi, Intorno all’abbassamento di temperatura che suole accadere verso la metà di Maggio, in “Esercitazioni dell’Accademia Agraria di Pesaro”, Pesaro 1856, a. XII, s. II. 3 Luigi Guidi, Istanza del prof. Luigi Guidi al R. Commissario Generale Straordinario delle Marche per il sussidio al fine di erigere un Osservatorio Meteorologico in Pesaro, in “Esercitazioni dell’Accademia Agraria di Pesaro”, Pesaro 1861 a. XIII, s. I. 4 Luigi Guidi, Progetto per la fabbrica ed ordinamento dell’Osservatorio Meteorologico da erigersi in Pesaro per Decreto del Commissario Generale Straordinario delle Marche in data 8 Gennaio 1861, in “Esercitazioni dell’Accademia Agraria di Pesaro”, Pesaro 1861 a. XIII, s. I. 5 Luigi Guidi, Catalogo descrittivo dei prodotti inviati dal sotto-comitato di Pesaro all’Esposizione Internazionale di Londra del 1862, in “Esercitazioni dell’Accademia Agraria di Pesaro”, Pesaro 1861 a. XIII, s. I. 6 Luigi Guidi, Lettere del professore d’agricoltura al Presidente dell’Accademia intorno all’andamento della Scuola, allegato A al Rapporto intorno ai lavori dell’Accademia Agraria di Pesaro nell’ultimo quinquennio, in “Esercitazioni dell’Accademia Agraria di Pesaro”, Pesaro 1861 a. XIII. 7 Luigi Guidi, Il campo per le esperienze agrarie, in “Esercitazioni dell’Accademia Agraria di Pesaro”, Pesaro 1874 a. XV, serie II.

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17 Marzo 1861-17 Marzo 2011*

150 anni di Italia unita (ri)visti dall’Osservatorio dell’Archivio di Stato di Pesaro

in collaborazione con Archivio di Stato di Pesaro e Urbino

L’Archivio di Stato di Pesaro è tra i protagonisti delle celebrazioni provinciali dell’Unità d’Italia .

Da un osservatorio privilegiato, Stato Pontificio e Regno d’Italia

alcune riflessioni sul passaggio tra

di Antonello de Berardinis Direttore dell’Archivio di Stato di Pesaro e Urbino

* L’intervento di Antonello de Berardinis è stato pubblicato quale introduzione all’esposizione Pesaro, 1860-1861. Fatti ed eventi dell’Unità d’Italia, allestita a Pesaro presso il Centro Direzionale di Banca dell’Adriatico (1° Ottobre 2011) e presso la Galleria dei Fonditori (8-26 Ottobre 2011), con la collaborazione di Coop Adriatica

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L’undici settembre 1860 le truppe del generale Cialdini entrano a Pesaro, sancendo così, manu militari, la fine del Governo Pontificio sulla città. Con i plebisciti del 4 e 5 novembre 1860 la situazione di fatto, venutasi a creare a seguito dell’intervento armato, si trova ad avere anche una legittimazione popolare. Il Parlamento dell’Italia Repubblicana, con l’articolo 7 bis del decreto legge n. 64 del 30 aprile 2010 e con il decreto legge n. 5 del 22 febbraio 2011, ha proclamato festa nazionale il giorno 17 marzo 2011, ricorrenza del 150° anniversario della proclamazione dell’Unità d’Italia, e giorno festivo ai sensi degli articoli 2 e 4 della legge n. 260/1949. I cittadini pesaresi (e non solo loro) si saranno chiesti come mai proprio il 17 marzo e quale nesso legasse questa giornata con l’unità d’Italia. Dopo i fatti d’armi del 1860, i plebisciti dell’Italia Centrale e l’annessione del Regno delle Due Sicilie, occorreva dare al nuovo Stato un titolo giuridico valido anche a livello internazionale. La scelta della formula legislativa che doveva creare il nuovo Stato determinò, però, discussioni e contrasti all’interno del Parlamento, fino all’adozione di una soluzione di compromesso. Gli esponenti più radicali pretendevano che la formula dovesse essere ‘Vittorio Emanuele I re d’Italia per volontà della nazione’. Vittorio Emanuele, ‘secondo’ in riferimento alla successione dinastica del Regno di Sardegna, iniziando un nuovo Stato avrebbe dovuto assumere il titolo di primo re di questo nuovo Stato, e per di più ‘per volontà della nazione’, perché l’aveva nominato il Parlamento, non per le sue prerogative di esponente di Casa Savoia. La soluzione di compromesso promemoria_numerotre


Decreto del Regio Commissario Generale Straordinario Lorenzo Valerio, n. 30 “sulla regolamentazione delle monete nelle provincie delle Marche”, 4 Ottobre 1860 (tutte le immagini di queste pagine provengono dall’Archivio di Stato di Pesaro)

tito che ha accompagnato l’iter parlamentare dei due decreti legge che hanno proclamato giorno di festa il 17 marzo 2011. Anche gli eventi dispiegati per l’occasione hanno assunto un paludamento retorico che, lungi dallo stemperare il clima e rasserenare gli animi, si sono mostrati, a volte, instrumentum di lotta politica condotta da politicanti. Gli eventi, di qualunque natura, non andrebbero mai dimenticati, ma ‘storicizzati’, e in qualche modo superati. Giova rimarcare come molte altre nazioni, che pure hanno vissuto un processo di unificazione, non lo fanno oggetto di esaltazione né di discussione, appunto per evitare di riacutizzare quello spirito di guerra civile, tra sostenitori di opposti schieramenti, che inevitabilmente ha accompagnato il processo unitario. D’altronde lo spirito celebrativo è un vezzo connaturato con l’indole dello Stato Italiano. Celebrazioni sono state compiute innanzitutto nel 1911 per festeggiare i primi 50 anni di Stato Unitario. E leggendo gli scritti prodotti per l’occasione si avverte

adottata, ‘Vittorio Emanuele II, per grazia di Dio e volontà della nazione, re d’Italia’ compenetra le due esigenze del riconoscimento del voto parlamentare e dei meriti di Casa Savoia nel perseguimento dell’unificazione della penisola italiana. Il 17 marzo 1861, a Torino, la Gazzetta Ufficiale intitolata ‘del Regno d’Italia’ pubblica il Regio Decreto in base al quale Vittorio Emanuele II assume per sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia. In tutte le principali città del Regno 101 colpi di cannone annunciano solennemente la proIl valore della moneta in Italia dal 1861 al 2010 clamazione del Regno d’Italia. fonte: ISTAT, serie storiche Regno d’Italia proclamato per induAnno Coefficiente zione: proclamato il re d’Italia dove1861 8710,585 (1 lira = 4,5 euro) va per forza esistere anche un Re1911 7222,123 (1 lira = 3,73 euro) gno d’Italia, per quanto di un’Italia ancora in fieri, visto che erano an1961 23,333 (1 lira = 0,012 euro) cora sottratti alla sovranità sabauda 2010 1,000 (1 euro = 1.936,27 lire) il triveneto (oggi si direbbe il Nordest) e il Lazio. 1,00 Lire del 1861 corrispondono a circa 8.577,36 Lire del 2009 1,00 Lire del 1861 corrispondono a circa 1,21 Lire del 1911 Irrisolti contrasti, contrapposizioni e 1,00 Lire del 1861 corrispondono a circa 373,31 Lire del 1961 polemiche emergono in tutto il dibatpromemoria_numerotre

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Decreto del Regio Commissario Generale Straordinario Lorenzo Valerio n. 8 sulle “variazioni di prezzo del sale”, 24 Settembre 1860. Nella pagina seguente: avviso di apertura delle linee telegrafiche, 21 Ottobre 1860

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palpabile la soddisfazione di essere riusciti a durare tanto. All’indomani della proclamazione del Regno, infatti, in pochi scommettevano sulla sua durata. I legittimisti borbonici cospiravano dai territori rimasti nella disponibilità del Pontefice, il Papa stesso aveva inflitto la scomunica ai regnanti del nuovo Stato, che fin da allora doveva fronteggiare un debito pubblico da paura. E poi c’era il brigantaggio, nome dietro al quale si è consumata una guerra civile in una condizione di vera e propria occupazione da parte delle armate piemontesi di una porzione significativa del nuovo Stato. L’Italia si era trovata unificata nel 1861, ma senza una precisa regia, quasi per caso e, forse, un po’ troppo precipitosamente. I protagonisti di quegli eventi, Pio IX, Vittorio Emanuele II, Cavour, Mazzini, Garibaldi, si detestavano reciprocamente e nutrivano profonda diffidenza l’uno nei confronti degli altri. Eppure la nuova compagine statuale, in qualche modo, è riuscita a superare i vari ostacoli che si è ritrovata sul suo cammino per meriti propri, per circostanze favorevoli, per il complice aiuto della massoneria internazionale (si pensi a titolo esemplificativo alla foggia assai simile delle bandiere italiana, irlandese e messicana). Giunta al giro di boa del mezzo secolo l’Italia ha avvertito la necessità di elaborare una sorta di religione civile, creandosi dei santi laici da venerare, individuandoli proprio in quei personaggi che cinquanta anni prima mai nessuno avrebbe pensato di accostare, appunto Pio IX, Vittorio Emanuele II, Cavour, Mazzini, Garibaldi. Il collante della Nuova Italia è stato rappresentato dalla Prima Guerra Mondiale. Fatta l’Italia bisognava fare gli italiani, diceva D’Azeglio, e gli Italiani si sono formati come popolo con una precisa identità e senso di appartenenza proprio durante i lunghi anni della guerra di trincea sul confine orientale. Non a caso nella libellistica del Ventennio fascista la Prima Guerra Mondiale spesso viene indicata come quarta guerra dell’indipendenza nazionale. È al termine della Grande Guerra che l’Italia raggiunge i suoi confini naturali e che si unificano davvero, sotto un unico Governo, tutti i territori dove vivono gli Italiani. promemoria_numerotre


Altro giro di celebrazioni nel 1961. Questa volta c’era da festeggiare un secolo intero di convivenza, ma quel che veniva esaltato erano i valori della nuova Italia Repubblicana che proprio in quel torno di anni aveva completato la ricostruzione, cancellando i danni provocati dalla guerra, iniziava a vivere i primi momenti del boom economico e proseguiva in una crescita che si sarebbe rivelata inarrestabile per un buon decennio. Torino si trovava così ad essere celebrata di nuovo come capitale, se non più politica, senz’altro industriale e a Torino, allora come un secolo prima, continuamente facevano riferimento gli italiani tutti. È singolare ripercorrere anche i prevalenti indirizzi storiografici che si sono avvicendati negli anni e le più significative realizzazioni scientifiche propiziate dalle occasioni celebrative. Tra gli indirizzi coevi agli eventi va senz’altro menzionata l’idea dell’unità originaria, vera e propria vulgata demagogica: ‘Risorgimento’ in quanto l’Italia tornava a sorgere una e indipendente come uno era il suo idioma, una la sua letteratura, una e unica la sua arte. Successivamente si è venuta affermando l’idea dell’unità fatta dall’alto, senza partecipazione popolare, prima grande frattura tra paese reale e paese legale, quella che poi sarebbe stata definita ‘piemontesizzazione’ della penisola ed avrebbe dato una spiegazione al fenomeno del ‘brigantaggio’. L’interpretazione che il regime Fascista dà del Risorgimento mette in rapporto di continuità la rivoluzione fascista con i moti risorgimentali: il Risorgimento viene visto come primo esempio di movimento nazionale che negli anni venti del Novecento il Fascismo intende riprendere, inserendo le masse popolari nella vita dello Stato. Differenti sono le interpretazioni del Risorgimento elaborate dagli ambienti antifascisti. Benedetto Croce esalta il ruolo della borghesia liberale che è riuscita a coordinare l’impresa garibaldina e le attività diplo-

matiche con le potenze europee, evitando all’Italia la rivoluzione, come pure gli eccessi autoritari. Visto da sinistra, il Risorgimento si configura come un processo incompiuto, proprio per la marginalizzazione delle componenti popolari, rivoluzionarie e repubblicane, che avrebbero avuto finalmente voce e spazio solo con la Resistenza, dopo l’involuzione autoritaria rappresentata dal Fascismo. L’intervallo spazio-temporale che separa il 2011 dal 1861 consente oggi di esaminare quegli eventi con maggior distacco e serenità, sine ira et studio per usare un’espressione di Tacito. Senza misconoscere l’importanza che una compagine unitaria ha rappresentato per lo sviluppo economico, sociale e culturale dell’Italia, anche al di là delle intenzioni dei protagonisti degli eventi risorgimentali, c’è da considerare come il processo risorgimentale non si sviluppò in maniera lineare, quasi all’insegna di ‘magnifiche sorti e progressive’, ma ebbe varie anime e intendimenti ancor più disparati. Molte delle azioni condotte, all’epoca, vennero vissute come veri e propri atti di terrorismo ed i relativi autori/ispiratori erano

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banditi dal consesso celebrativo. D’altronde il fasto celebrativo delle passate ricorrenze si verificava in ben altra congiuntura economica che contribuiva a propiziare l’avvio di studi scientifici seri e rigorosi che si sarebbero sviluppati ed avrebbero visto il proprio compimento nei decenni successivi. Comunque, pur senza il sostegno econo-

mico che oggigiorno è sempre più difficile procacciare ad iniziative culturali, mettendo insieme le risorse istituzionali (di idee, di uomini, più che di mezzi) di vari soggetti che si sono trovati ad operare nell’ambito del gruppo di lavoro attivato dalla Prefettura di Pesaro e Urbino per le iniziative celebrative del 150° anniversario dell’unità d’Italia, si è ritenuto doveroso illustrare la portata, la ricaduta che l’unificazione nazionale ebbe per le popolazioni che vivevano nei territori già appartenenti alla provincia pontificia di Urbino e Pesaro. In proposito non si può misconoscere che, come in tutte le fasi di cambiamento, non pochi sono stati quanti hanno rimpianto il precedente assetto istituzionale: il nuovo Regno ha inasprito la pressione fiscale, non particolarmente efficiente sotto il dominio pontificio, ha introdotto la coscrizione obbligatoria, sottraendo per oltre un lustro braccia giovani all’economia mezzadrile del territorio, ha reso tesi i rapporti con il clero, aprendo non pochi dissidi interiori in quei sudditi che volevano assicurarsi la salvezza eterna, ha imposto pratiche - come l’inumazione nei cimiteri anziché nelle chiese- che cozzavano con il comune sentire di quanti erano ancorati alle tradizioni e nulla sapevano (né volevano sapere) di pratiche igieniche…

Pesaro - Pian del Bruscolo, Abitanti 1861-2010 - Fonte: ISTAT Abitanti 1861

Abitanti 1961

Abitanti 2010

Colbordolo

2.222

3.097

6.236

Monteciccardo

1.453

1.567

1.698

Montelabbate

1.900

2.802

6.754

Sant’Angelo in Lizzola

1.862

2.327

8.749

Tavullia (fino al 1938 Tomba di Pesaro)

2.517

3.925

7.820

Pesaro

26.496

65.973*

95.011

* Dal 1929 fanno parte del Comune di Pesaro anche i Comuni soppressi di Candelara, Fiorenzuola, Ginestreto, Novilara, Pozzo, Casteldimezzo

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Decreto n. 97 del Regio Commissario Generale Straordinario Lorenzo Valerio sulla “partecipazione del popolo delle Provincie delle Marche al plebiscito indetto nei giorni 4 e 5 Novembre 1860�, 21 Ottobre 1860. Nella pagina precedente: Decreto n. 582 del Regio Commissario Generale Straordinario Lorenzo Valerio riguardante i nuovi riparti territoriali delle Marche e dell’Umbria, 20 Dicembre 1860 promemoria_numerotre

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4 e 5 Novembre 1860. Il plebiscito nella provincia di Urbino e Pesaro Prospetto generale dello spoglio delle votazioni occorse i giorni 4 e 5 Novembre nella Provincia di Urbino e Pesaro per l’annessione al Regno di Vittorio Emanuele II Comuni votanti Inscritti Voti pel Sì Voti pel No Voti nulli Pesaro 5490 3861 2 4 Pozzo 101 1 Candelara 289 6 Fiorenzuola 175 Casteldimezzo 171 32 Gradara 516 68 1 Gabicce Mombaroccio Monte Ciccardo Montelabbate Novilara Sant’Angelo [in Lizzola]* Ginestreto Tomba di Pesaro Fano** Cartoceto Saltara Serrungherina Mondolfo San Costanzo Urbino Monte Calvo Colbordolo Montefabbri Fermignano Monte Guiduccio Petriano Tavoleto Auditore Fossombrone Isola di Fano Montalto Isola del Piano Montefelcino Monte Montanaro Sant’Ippolito Macerata Feltria Monte Cerignone Piandimeleto Belforte Lunano Pietrarubbia Frontino Sassocorbaro Pennabilli Carpegna Monte Coppiolo Scavolino

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5004 584 442 486

578 356 327 299

30 287 79 253 284 168 93 156 3111 353 193 250 407 155 2057 37 159 183 378 165 52 137 202 1270 211 71 172 44 19 251 404 56 186 74 77 27 3 309 365 62 95 75

1 2 2 3 3 18 2 4 2 3 4 2

2

14

8 6 5

3 1 4

2 16 4

2

1 12 2 2 10 5 7 1 1 24 28 7 24 10

1 1 1

2 1

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Comuni votanti Sant’Agata Feltria Casteldelci Talamello San Leo Majolo Monte Grimano Pian di Castello Sasso Feltrio Urbania Peglio Piobbico Apecchio Sant’Angelo in Vado Borgopace Mercatello Senigallia Ripe Tomba di Senigallia Monterado Mondavio Barchi Sorbolongo Fratte Montebello Monte Maggiore Piagge San Giorgio Monteporzio Orciano Torre (?) Sant’Andrea Gubbio Costacciaro Scheggia Pascelupo Cagli Acqualagna Cantiano Frontone Pergola Fenigli Montesecco San Lorenzo in Campo Montealfoglio Montevecchio San Vito Monterolo Serra Sant’Abbondio

Inscritti

1076 350 296 231 602 3 140 324

5900 462 340 272 510 321 166 255 185 278 188 321 495 429 142 203 6141 584 367 182

1800 175 735 437 160 174 162 180 398

Voti pel Sì 788 220 952 822

Voti pel No 7 1

Voti nulli 2

40

4

258 32 124 593 3 140 321 609 39 269 3912 61 11 121 405 259 136 138 119 103 70 114 336 223 133 60 3970 253 159 112 1026 401 336 84 1462 137 74 372 38 39 19 142 176

2 3 4

5

1

2

3 1 8 21 4 1 5 7 4

2 2

4 6 4 6 9 2 6 1 13 1 3 9 1 3

1

27 9 28 17 11 8

* N.B. Non compresi n. 30 voti del Sì sopraggiunti dopo la chiusura del Verbale ** N.B. Non compresi n. 18 voti del Sì sopraggiunti dopo la chiusura del Verbale Il verbale della Corte di Giustizia, redatto in Ancona il 9 Novembre 1860, riporta per il circondario di Pesaro 21.017 voti affermativi, 149 negativi e 68 nulli, per quello di Urbino 21.111 “Sì”, 365 “No” e 29 voti nulli. Occorre tuttavia ricordare che numerosi fattori rendono complessa la lettura dei risultati del plebiscito: per un’analisi più approfondita della questione rimandiamo a C. Colletta, Il voto d’annessione, in “Pesaro Città e contà”, rivista della Società Pesarese di Studi Storici, n. 30, Luglio 2011. Per i dati pubblicati in queste pagine ringraziamo l’Archivio di Stato di Ancona. promemoria_numerotre

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Antonio Cola “ladro ben cognito e fuggitivo” l’Ospite

Vita e gesta di Antonio Cola da Monte Gridolfo, brigante, nelle campagne tra Urbino e Pesaro

di

Riccardo Paolo Uguccioni Presidente dell’E nte Olivieri di Pesaro e della Società pesarese di studi storici

La fama di alcuni briganti sopravvive alla loro morte, e anzi si espande. Ma di solito le gesta dei masnadieri sprofondano nell’oblio, come è destino delle cose umane, e i loro nomi sono presto dimenticati. È il caso di Antonio Cola: la sua vicenda, oscura e per nulla eroica, indica - forse meglio di certi briganti mitizzati - quale fosse la vera vita del bandito: sanguinaria, logorante e sempre destinata a un esito infausto. Antonio Cola nasce nel 1809 alle Pozze di Monte Gridolfo in una famiglia di contadini proprietari. Mancherebbe dunque l’estrema povertà come impulso prossimo al delitto, ma i piccoli poderi di media collina garantiscono solo una faticosa sopravvivenza. Qualche giovanile problema con la giustizia (rissa con amici per parole screanzate, porto di pistola proibita, ecc.) rientra nella norma. Nell’aprile 1834 Antonio si sposa con Teresa Modanesi, di due anni più giovane, e va ad abitare a casa della moglie, che vive anch’essa in un podere di proprietà. La loro è una felice unione: presto nasce una bimba. Ma proprio mentre sembra avviato a un ruolo di sposo e di padre, 30

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Antonio intraprende la carriera del brigante. Per naturale istinto alla trasgressione? È uno che “fatica poco, mangia molto e vive meglio”, dirà un vicino. Il 9 settembre 1834 Antonio incontra come per caso una decina di complici alla fiera di Sant’Angelo in Lizzola (c’è stata quindi una trama di incontri e di accordi nei giorni precedenti), poi camminano due ore e mezzo verso Monte Guiduccio, e giunti alla meta assaltano la casa di un contadino possidente. Nella rapina non scorre sangue, ma qualche rischio lo corre il basista perché il bottino è in tutto di 40 scudi. Un esordio da principianti, insomma, ma poi la tecnica migliorerà e le ruberie infittiscono. La notte sul 14 ottobre 1834 Antonio Cola con altri quattordici compari arriva alla parrocchiale di Monte Calende, dietro Urbino: qui forzano una finestra, rompono una parete (sono muri a sacco, con un po’ di pazienza - e in silenzio - basta un pezzo di legno a smontarli), sfondano un solaio, finalmente irrompono dove dorme il parroco, che minacciano di lampeggio (cioè di colargli addosso il grasso fuso del lardo e delle salsicce) se non consegna i soldi. Il bottino stavolta supera i 250 scudi, e comprende candele, formaggi, rotoli di lino.

Intanto la giustizia si mette in moto, aiutata dalle denunce delle parti lese, da maldestri tentativi di vendere la refurtiva e da una marea di chiacchiere imprudenti; nel novembre 1834 le autorità ordinano l’arresto di Antonio Cola, che risiede sempre con la moglie alle Pozze di Monte Gridolfo, e nei mesi seguenti i carabinieri pontifici del governo di Saludecio ne tentano invano l’arresto (ma lontano non è, perché la moglie è di nuovo incinta e a marzo 1835 nascerà un maschietto). Il 24 agosto 1837 Antonio Cola è condannato alla galera in vita per la rapina di Monte Calende e a ulteriori pene per gli altri reati: ma in contumacia, perché è uccel di bosco. Tra i 27 coimputati condannati c’è Luigi Urbinati da Saludecio: carcerato sin dal giugno 1835, nel maggio 1838 evade da Gubbio e qualche mese più tardi lo catturano verso casa; nell’aprile 1839 si dilegua mentre lo portano al bagno penale di Civitavecchia, torna e si riunisce al Cola. Il cardinal legato promette allora una taglia a chi farà carcerare i due. Frattanto, la notte sul 16 settembre

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1839 un gruppo di briganti invade il molino della Giovanna, sul fiume Foglia sotto Auditore: legano le vittime, frugano i paglioni e bussano sui muri alla ricerca di nascondigli segreti. Il bottino supera i 300 scudi e comprende monili, colli di perle, verghette d’oro: così apprendiamo che i mugnai sono al centro di un sistema di prestiti usurari, che li espone a rancori e a pericolose attenzioni. Forse per merito della taglia Antonio Cola, “discolo e famoso ladrone”, viene catturato con tre complici (tra cui l’Urbinati) la notte sul 13 dicembre 1839 in una casa colonica di San Cesareo, verso Fano (pare progettassero un furto in duomo). I carabinieri li circondano e per impedirne la fuga incendiano i pagliai; dopo lunga sparatoria e con “stringenti minacce” li inducono alla resa. Lo interrogano a Pesaro. Antonio è di alta statura, snello, barba e capelli neri. Risponde in modo sfacciato senza declinare le generalità (se l’hanno condan32

nato sapranno bene chi è, argomenta); e visto che gli hanno già inflitto il carcere a vita - aggiunge - “se me ne danno anche di più, chi se ne frega?” Al nuovo processo non si arriva, perché il 20 agosto 1840 Antonio Cola evade dal carcere di Urbino in compagnia di tal Agostino Salciarini, che è nato dalle parti di Nocera. E in Umbria i due si trasferiscono. Negli anni seguenti nella zona a cavallo tra le province di Urbino e Pesaro e di Perugia (il governo di Gubbio dipende dalla prima, secondo gli antichi confini rovereschi) si forma una audace congrega di masnadieri, di cui il Cola e il Salciarini sono l’anima. Tra le numerose imprese ricordiamo l’assalto alla fattoria Schifanoia, proprietà dei Baglioni Oddi, dove il bottino è cospicuo, più di mille scudi solo in monete d’oro e d’argento; oppure il temerario proposito di derubare una casa posta sulle mura di Gubbio in una notte di luna piena, assalpromemoria_numerotre


to che sfuma perché qualcuno li scorge e grida, un brigante spara e a quel punto tutti prendono la fuga; infine un prolungato assedio al curato di San Faustino, alpestre parrocchia verso Montone. In questo caso si capisce che attorno al reverendo ruotano sostenitori e fieri avversari, con storie di confini contesi, amori illeciti e altre ragioni di rancore; il parroco, più volte assalito, una volta spara nel buio (l’indomani ci sono tracce di sangue sulla neve), un’altra volta sventa l’intrusione suonando le campane a martello, ma alla fine abbandona la parrocchia. Si sparge però la voce che abbia lasciato i suoi denari presso una facoltosa famiglia a lui devota, ed è questa che viene assalita, la sera del 30 aprile 1844, da sei briganti dal volto annerito di fuliggine. Stavolta l’esito è tragico: due aggrediti muoiono per le percosse. Davanti a fatti così gravi sia il cardinal legato di Urbino che il delegato apostolico di Perugia istituiscono delle commissioni straordinarie, poi unificate per volontà di Gregorio XVI, e i carabinieri pontifici in breve decimano la banda: ma di Antonio

Cola per qualche tempo si perdono le tracce. Mentre la Forza lo cerca al di qua e al di là degli Appennini, il suo nome è suggerito per ogni delitto che non si sappia a chi attribuire. Perfino un legale di Mombaroccio, cui viene in mente di estorcere denaro al parroco di Monte Santa Maria e al conte Montani, usa il nome e la pessima fama del bandito: fatto che potrebbe anche significare che Antonio Cola sta davvero tornando verso casa. La direzione di polizia di Urbino, in effetti, sospetta la presenza del Cola e del Salciarini in una rapina a Montevecchio (base di partenza è Isola di Fano), sia in un assalto a una casa isolata nelle campagne di Monte Guiduccio, dove una vedova benestante si difenderà gagliardamente a fucilate costringendo i briganti ad abbandonare l’impresa. In entrambi i casi, c’è il suggerimento di qualche basista ben informato: a noi interessa che si dia per certa la presenza di Antonio Cola, “ladro ben cognito e fuggitivo sin da tanto tempo”. La durata della sua latitanza - più di un decennio - è in effetti, ormai, eccezionale.

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Dalle parole di Giovanni Cola, fratello del ricercato, sappiamo che in famiglia tengono bestiame a soccida, che hanno terreni in proprietà e in affitto, e che quando si è sposato Antonio ha ricevuto dal padre “un piccolo casolare con un po’ di terra”. Il fratello Giovanni si industria in mille modi: fa l’armarolo e il muratore, compra e vende bestiame sulle fiere, ha un’osteria al Trebbio di Monte Gridolfo “ove un uomo fa per noi da oste” (osteria strategica, perché lì corre il confine tra le province pontificie di Forlì e di Urbino e Pesaro, e quindi la linea daziaria). Nel 1846 i Cola comprano un podere a Montelevecchie verso il Foglia, in vocabolo Fiorino, e vi si trasferiscono; pochi anni dopo lo rivendono, ma restano a coltivarlo. Tanto dinamismo economico è sostenuto dalle rimesse furtive del brigante? La polizia lo sospetta, ma non riuscirà mai a provarlo. Frattanto, mancano notizie precise su Antonio Cola, sospettato ovunque ma da nessuna parte individuato davvero. È ancora in Umbria? Se è tornato verso casa, si tiene prudentemente nell’ombra. Ha buone ragioni per farlo: dopo il 1849 le Marche sono occupate dagli Austriaci, che vi hanno restaurato il governo pontificio e che ora reprimono senza complimenti il brigantaggio: quell’Agostino Salciarini, compagno di Antonio Cola nel “periodo umbro”, catturato con refurtiva e armi, viene fucilato nel 1853. Di Antonio Cola si torna ad aver notizie certe solo nel 1855: lo vedono a Gallo di Petriano, a Montelevecchie e a Monte Gridolfo, sempre in compagnia di tal Nazzareno Guerrini; si muovono a cavallo, cosa inconsueta. Il Guerrini, poi, ha modi cortesi, veste da cittadino, porta gli speroni: siccome si fa chiamare “Nicola”, viene detto “Signor Nicola”, e quel signor aggiunto è segno di rispetto ma anche di estraneità all’ambiente rurale. Chi è? Tra i suoi delitti spicca un omicidio politico (per ispirito di parte, si diceva allora) commesso a 34

Perugia, che determinerà il suo destino. Intanto si aggira nelle colline del Foglia e, assieme ad Antonio Cola, mette gli occhi sui Belenzoni di Talacchio, la cui ricca magione si dice contenga grandi ricchezze. Attorno a lui si crea una congrega, di cui diventa il direttore: “il nostro caporale”, lo definisce un brigante arrestato. A metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento il brigantaggio nella provincia pontificia di Urbino e Pesaro sembra in recrudescenza. Da San Marino a San Lorenzo in Campo, da Sassofeltrio a Piandimeleto, si muovono masnadieri e gruppi di contrabbandieri di polvere sulfurea. Ma non sono schiere solidali, i cui membri si aiutino mutualmente, bensì torme senza regole: un brigante non muore quasi mai sul patibolo, più spesso in uno scontro a fuoco, quasi sempre lo uccide un compagno. Verso pasqua del 1856 Antonio Cola gira con Nazzareno Guerrini tra le osterie di Cappone, della Bucca di Ferrara e di Gallo per discutere come rapinare i Belenzoni di Talacchio. Intanto il 24 giugno 1856 si sposa Albina, primogenita di Antonio Cola, e qualche giorno avanti il padre giunge a casa prima dell’alba, poi discute con lo sposo l’entità della dote (cui Nazzareno Guerrini, sempre presente, aggiunge qualche scudo); non potendo presenziare alle nozze, Antonio affida al fratello Giovanni il compito di badare alla cerimonia. Poi, il 27 settembre 1857, una dozzina di malfattori irrompono nella casa Belenzoni di Talacchio passando dal coretto della chiesa attigua, asportano un migliaio di scudi e si fanno promettere altre somme nei mesi a venire: ma Antonio Cola non è più nel gruppo. Sulla sua sorte, mistero fitto. Finché comincia a circolare la voce che sia stato ucciso proprio da quel Nazzareno Guerrini, di cui era “amicissimo”, per un “forte contrasto” insorto - sono parole di Ilario Frontini, fratello maggiore di quel Sante prima compagno, poi assassino di Terenpromemoria_numerotre


zio Grossi - fra Antonio Cola e lo stesso Guerrini sul progetto di “assassinare”, cioè derubare, “la diligenza del Governo per la strada di Pesaro”. La moglie e il fratello di Antonio sono interrogati. Da loro apprendiamo che il bandito tornava ogni tanto a casa, faceva sapere se si allontanava, quando era stato via anche per qualche anno mandava delle lettere per non farli stare in pensiero. Stavolta, invece, nulla; e quel Guerrini, amico suo, diceva in giro che “era andato per li monti e da queste parti non tornava più”. Passano le stagioni. Poi, nell’aprile 1860, un contadino, arando “più del solito” un campo vicino a Gallo, trova i resti di Antonio Cola: un cranio fracassato da una pallottola, un cerchio d’oro che portava all’orecchio, cappello e stivali ormai fradici, l’immagine in tela della Madonna che portava sempre con sé. I resti, chiusi in un sacco, sono inviati al parroco di Petriano per la sepoltura. Nazzareno Guerrini non gli sopravvive a lungo. Arrestato a Morciano nel marzo 1857, lo trasferiscono a Perugia, dove lo attende il processo per omicidio politico. Nell’aprile 1858 evade, ma qualche mese più tardi lo catturano dalle parti di Gubbio. Nel marzo 1860 è condannato a morte e dovrebbe essere decapitato a Perugia, luogo del delitto, nel settembre di quell’anno: ma arrivano i piemontesi, e il condannato è trasferito in fretta nel Lazio. Sarà giustiziato il 12 gennaio 1861 alla darsena di Civitavecchia.

Sotto e a pagina 33: Francesco e Terenzio Raffaelli, piante di due possessioni dell’Ospedale San Salvatore di Pesaro (1827-1828). Sotto: possessioni in vocabolo La valle del Picchio (Gradara); pagina 33: vocabolo Valcelli, Ginestreto (Pesaro). A pagina 30: Filippo Titi, Legatione del Ducato di Urbino, dettaglio (1697). A pagina 31: Pianta dimostrativa di alcune strade poste nel territorio di Montelevecchie, eseguita dal geometra Giuseppe Antonio Donati, perito dei Padri Conventuali di San Francesco di Mondaino (sec. XVIII). A pagina 32: Catasto Gregoriano (prima metà del secolo XIX), mappa di Montelevecchie [oggi Belvedere Fogliense, frazione di Tavullia] - appodiato della Comune di Montelabbate, quadro d’unione. Tutte le immagini di queste pagine provengono dall’Archivio di Stato di Pesaro

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Pesaro, l’Ospizio San Benedetto inediti e curiosità luoghi della memoria | 1861-2011

Mentre una parte delle truppe sabaude Rocca Costanza, alcuni soldati entravano a Pesaro passando per Porta Rimini aperta , dicono, dal dottor Agostino Sbertoli, vicedirettore del manicomio di San Benedetto. Frammenti inediti e curiosità era impegnata a

su un luogo assai caro ai pesaresi a cura di

Da molti anni in disuso, resta uno dei luoghi più cari alla memoria della città di Pesaro: l’Ospedale Psichiatrico San Benedetto - per tutti il Manicomio, termine politicamente scorretto quanto inequivocabile - è stato oggetto di studi, mostre, indagini fotografiche, meritandosi anche un romanzo per la vivace penna di Paolo Teobaldi (Il mio manicomio, edizioni E/O, 2007). Altri soldati entrarono per Porta Rimini aperta, a quanto raccontano, dal dottor Agostino Sbertoli, vicedirettore del vicino Manicomio di San Benedetto (A. Ghiandoni, La liberazione della provincia di Pesaro e Urbino nel 1860, “Studia Oliveriana”, 1954): tra le delizie dell’antico Barchetto pensato da Girolamo Genga per i duchi di Urbino, dove trovarono riparo le malinconie di Torquato Tasso, e gli echi dolorosi del Manicomio, inaugurato nel 1829, i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia offrono lo spunto per aggiungere qualche nota su questo complesso così carico di storia. Per maggiori approfondimenti rimandiamo alla bibliografia citata in “Fonti e tracce”, ricordando qui che tra i direttori del San Benedetto vi fu nel 1872 anche l’antropologo e criminologo Cesare Lombroso, la cui par36

Simonetta Bastianelli

tenza, scrisse il “Diario del San Benedetto in Pesaro”, fu dispiacevole, e così inaspettata da non potersi raffigurare. Da lui sembra aver quasi ogni cosa mutato d’aspetto, prosegue la rivista, fondata dallo stesso Lombroso, sotto la cui guida l’ospedale pesarese, già piuttosto rinomato, divenne una delle migliori strutture italiane per la cura dei malati di mente. Nel 2011 si è ricordato anche il centenario della morte di Pellegrino Artusi, gastronomo e intellettuale che nella sua raccolta di ricette ha codificato per primo la tradizione culinaria nazionale. Tra il 1855 e il 1876, anno della morte, sua sorella Geltrude fu ricoverata al San Benedetto: poche righe dal suo libretto nosografico, conservato presso l’Archivio di Stato di Pesaro e Urbino, restituiscono almeno a tratti la struggente storia di questa donna, una tra le tante, appassita tra corpetti di forza e cure devastanti in una situazione che in meno di cinque anni la portò alla demenza completa e allo stato di abbrutimento. Infine, una serie di fotografie scattate nel Settembre 2011 e il recente progetto per la sistemazione dell’area completano i frammenti presentati di seguito, a documentare con rapidi sguardi le articolate vicende architettoniche dell’Ospizio di San Benedetto (c.o.). promemoria_numerotre


Sulla costruzione dell’Ospizio San Benedetto di Pesaro (dallo Statuto del 1851) Monsignor Benedetto Cappelletti, che fu poi Cardinale, venuto a reggere nel 1823 questa Provincia concepiva tosto la generosa idea d’istituire in Pesaro un grande Ospizio in cui fossero custoditi, e curati tutti quei miseri della Provincia stessa che perdessero il senno. Col favore di molti Magistrati delle varie Comuni e specialmente del Gonfaloniere di Pesaro Conte Cassi e aiutato dalle elargizioni munifiche del Pontefice Leone XIII poté intraprendere l'impresa: acquistavasi per la Provincia il soppresso convento del Carmine in un con le case che gli si univano, ed ivi ebbe principio il Pio Stabilimento. Ed invero il prescelto luogo rispondeva ottimamente all'oggetto, imperocchè oltre il vantaggio di essere quasi isolato, perchè posto all'estremo della città, godere di liberissima aria, offre eziandio non comune piacevolezza di svariatissime prospettive. Difatti da un lato vedonsi i giardini del Parchetto, e le discoste colline da fronte gli Orti Giulii... fioriti, e boschivi riparti; da un altro lato la maggior via che mette a Porta Rimino, e più addietro le belle sponde dell'Adriatico e i due piccoli monti Accio ed Ardizio che al porto-canale fanno ala da ambo le parti. Certo che niun edifizio può per miglior postura scoprir tanto de’ dintorni e spaziare per tanta varietà di dilettevoli vedute. Né la fabbrica stessa quantunque cresciuta a più riprese, offre aspetto meno gradevole ai riguardanti o commodità troppo scarsa ai reclusi; che nella maggior sua fronte essa presenta tre ingressi bene ornati

e capaci. Pel primo si va alla parte abitata dagli uomini; pel secondo in quella che da ricetto alle donne; il terzo mette alla Chiesa. Il lato che guarda la via del corso s'innalza assai decorosamente per quattro impalcature ed ivi è l'ingresso agli uffici; gli altri lati rispondono sugli attigui giardini. Dell’interno diremo brevemente. A piano terra larghi cortili circondati da portici; luoghi di refezione, di lavoro, di ricreamento. Nel piano superiore corridoi spaziosi, e ottimamente arieggiati; camere libere, nette, salubri; molte di queste compite a modo signorile, alcune ad uso di biblioteche, di bigliardo, di pianoforte e di altre giocondità; tutto insieme l'edificio capace per circa trecento persone. Nel febbraro adunque del 1828 il novello manicomio che dal suo benemerito istitutore ha preso nome di San Benedetto, si aperse a pietoso e salutare ricovero di quei che perdettero la ragione. Ma lo stabilito locale non bastando in allora ad accogliervi che circa 40 di questi infelici, numero purtroppo ben ristretto a compiere il grande proposito; e succeduto frattanto al governo della Provincia medesima, che restituivasi allora all'onore di Legazione, il Cardinale Giuseppe Albani, questi ne ordinava l'ingrandimento, e disponevalo a miglior perfezione dandogli a Medico-Direttore il chiarissimo ed emerito cav. Domenico Meli... e, onde i reclusi avessero commodità di diporto nel loro stesso recinto, elargivagli a pio legato con atto di testamentaria disposizione la proprietà dell’annesso terreno il Parchetto, il quale (già un tempo giardino e luogo di delizia dei Duchi Rovereschi) conserva tuttora la casa che fu dimora di Bernardo e di Torquato Tasso.

Due immagini del San Benedetto da F. Ugolotti, L’assistenza agli infermi di mente in Italia, Pesaro 1967. Sopra: L'Ospedale di San Benedetto quale era verso il 1839, dieci anni dopo la sua apertura (da una vecchia stampa del giornale “Il Museo” di Torino, Tip. Fontana, 1841). Devo però osservare, continua Ugolotti, che tale incisione non risponde esattamente in qualche particolare alla realtà. Ad esempio, non si distingue bene il vicolo del Sesino, che in quel tempo ancora sussisteva, al limite sinistro del fabbricato; così pure il giardino Parchetto, che qui appare unito col fabbricato dell'Istituto, allora ne era ancora separato da una pubblica strada. Sotto: Il manicomio di San Benedetto per gli infermi di mente della Provincia di Pesaro fondato dal Delegato Apostolico Benedetto Cappelletti ed aperto alla funzione il 1° gennaio 1829, sito all'estremo occidentale del Borgo, ora Corso XI Settembre. Salvo diversa indicazione, i documenti e le immagini presentati in questo articolo provengono dall’Archivio di Stato di Pesaro

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Sopra e a destra: Catasto Gregoriano (seconda metà del secolo XIX). Pesaro, la zona compresa tra Porta Rimini e via Borgo (l’attuale Corso XI Settembre). Nella mappa sopra riprodotta è ancora visibile la Strada del Zezzino (o del Sesino), che verrà successivamente inglobata nell’area del San Benedetto, come si vede nell’immagine a destra. Sotto: la stessa area, oggi, in un’immagine tratta da Google Maps (9 Dicembre 2011, ore 17) e, in basso, Progettazione preliminare per la sistemazione delle aree pubbliche destinate a giardino e piazze, comprese all’interno del San Benedetto (http://urbanistica.comune. pesaro.ps.it; 9 Dicembre 2011, ore 17.45)

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1847 Ampliamento della parte meridionale dell’Ospedale La Deputazione del Pio Stabilimento stabilì l’acquisto di diversi caseggiati che fiancheggiavano la contrada del Parchetto ed una buona parte del vicolo del Sesino per offrire un dovuto e più conveniente ricovero degli alienati il cui numero cresceva costantemente e per eliminare ogni ostacolo che avrebbe potuto frapporsi con i proprietari delle case alla chiusura indispensabile della contrada per l’immediato accesso al Parchetto, che sarebbe divenuto parte dello Stabilimento, come luogo di delizia e di passeggio per i ricoverati.Avendo ottenuto la concessione della strada e dell’annesso viottolo dal Comune ...la Deputazione per aumentare la magnificenza di un tale Stabilimento che già primeggia fra gli altri dell’Italia, e forma decoro alla città e alla Provincia, si è fatta sollecita di ordinare un progetto di ampliazione e sistemazione del medesimo... Nelle unite planimetrie si offre il dettaglio dello scomparto e l’estensione della progettata costruzione, essendosi omesso il disegno dell’alzato e di spaccati interni, poiché i due nuovi bracci non sono che una semplice continuazione in accompagno degli esistenti, colla medesima altezza e larghezza dei piani rispettivi e con perfetta euritmia tanto nel prospetto esterno che in quello interno di fronte al cortile

degli uomini. La lunghezza totale della nuova fabbrica, nella parte che volge a mezzogiorno di fianco alla strada del Parchetto, è di m. 40,60 e giunge fino all’imboccatura della via Mamolabella, ove si è non ha guari eretto il muro di chiusura; il braccio di Levante misura m. 38,80 e la parte che piega a tramontana pel vicolo del Sesino risulta di m. 16,70. L’area occupata è di proprietà dello Stabilimento, e solo si eccettua una piccola frazione appartenente ad un laccio di 5 casette che occorrono in addizione all’acquisto fatto, onde prolungare il braccio intermedio fra il quarto degli uomini e quello delle donne, da cui debbono avere queste un separato accesso al Parchetto... Per rendere nel piano terra la dovuta comunicazione al quartiere delle donne colla strada di accesso al Parchetto, si rende indispensabile aprire il passaggio per l’attuale cucina, che viene distinta in pianta col n. 25 e si propone quindi la collocazione della nuova cucina, che occorre alquanto più ampla, nel braccio di mezzogiorno al n. 1, in rosso. Annesso alla medesima dev’essersi il cucinotto in cui vi corrisponde il pozzo e quindi appresso la dispensa con luce ambedue dal cortile degli uomini, che si rende quadrato formandovi il portico anche lungo il vicolo del Sesino ove attualmente vi è un semplice muro di cinta. Prossimi alla cucina vi sono 2 refettori; quello delle donne al n. 2, in rosso e l’altro degli

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uomini è ricavato dagli ambienti 11, 12 e 13 mediante la demolizione di due muri divisorii ai quali si sostituiscono due arcate per sostegno delle intramezze del piano superiore. I nn. 8, 9 e 10 lateralmente alla nuova scala sono destinati ad uso di magazzini per legna e carbone con accesso anche dalla strada del Parchetto mediante il retro posto corritojo. In fondo al nuovo braccio presso la strada della Mamolabella si hanno due vaste sale per collocarvi i telari poste in comunicazione con 2 arcate da chiudersi con cancelli, alle quali si accede per altra sala di fianco al refettorio che viene destinato ad uso di filatoio. Annessa alle dette sale, ove si trattengono le dementi nella maggior parte del giorno, vi rimane un piccolo avanzo di casa che non si occupa col nuovo braccio della fabbrica, il quale si presta opportunamente per stabilirvi una latrina, essendo l’altra delle donne molto lontana ed in fondo all’Ospizio, presso l’angolo del Borgo. Il piano superiore a cui si ascende a mezzo di una nuova scala di contro all’ingresso principale degli uomini, è totalmente a servizio dei Comuni, ai quali mancano principalmente dei dormitoii per tenervi separati i Cronici dai Convalescenti; ed un locale piuttosto vasto per trattenimento nell’inverno. I vani sono venti, compresa la scala ed un corritojo con luce del cortile e da ambedue le estremità, il quale continua anche lungo il braccio di mezzogiorno. Dal n.

1 al n. 6 sono tutte camere da letto per i Comuni e per un inserviente di guardia e i nn. 7 e 8 servono per trattenimento e sono posti in comunicazione mediante due arcate con cancelli come si è proposto nel piano inferiore per le sale dei telari. Lateralmente alla scala si osservano quattro dormitorii, due dei quali per i convalescenti, e due altri per i Cronici con due camerette annesse posteriormente alla detta scala, per i rispettivi custodi. Gli altri 4 ambienti, che rimangono di tutto il piano, si ritengono per collocarvi i dementi furiosi o per quelli che occorre far dormire separatamente. Tanto nel piano terra che nel superiore viene a togliersi la latrina dai nn. 13 e 17 in causa della collocazione del refettorio per gli uomini in prossimità della nuova cucina, e si propone la costruzione di una nuova latrina ai nn. 20, 21, 22 e 23 del piano terra e al n. 61 del superiore, dividendo quest’ultimo vano in due, onde serva separatamente tanto per i Pensionarii che per i Comuni. ...Tutto il piano terra verrà coperto con volte di mattoni in foglia, a risparmio dei soffitti per maggiore solidità e perché riesca maggiore altezza...come vedasi praticato nei tre bracci che circondano il cortile degli uomini. La volta del nuovo porticato sarà fatta a crociera come quella dei laterali, le altre interne saranno parte a botte e parte a schifo... Pesaro 24 novembre 1847. L’ingegnere provinciale Enrico Ionj.

Fonti e tracce Archivio di Stato di Pesaro e Urbino: Fondo Manicomio provinciale San Benedetto, Pesaro; Archivio sanitario ex Ospedale psichiatrico provinciale San Benedetto, Pesaro; Fondo Amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino F. Ugolotti, L’assistenza agli infermi di mente in Italia, La Grafica, Pesaro 1967.

Per saperne di più: A.Tornati, L’Ospedale provinciale de’ mentecatti in Pesaro, in L’Ospedale dei pazzi di Roma dai papi al ‘900, vol. II, Roma 1994. B. Riboli, Dal manicomio all’ospedale psichiatrico all’assistenza psichiatrica territoriale nella provincia di Pesaro-Urbino, in Bianchini-Riboli-Tornati, Breve storia del maniconio “San Benedetto” di Pesaro dalla fondazione all’istituzione del dipartimento di salute mentale P. Giovannini, Il San Benedetto. Storia del manicomio pesarese dalle origini alla grande guerra, in “Città e Contà”, rivista della Società Pesarese di Studi Storici, n. 27, 2009

Nel giugno 1885 fu ospitata in questo Manicomio un'intera famiglia toscana, di cui l'egregio prof. G. Pascoli colla solita cortesia ci ha disegnato i profili. Genovieffa, la madre, è affetta da demenza consecutiva; i figli sono due imbecilli microcefali. Vittorio, il minore, che ha perduto un occhio in seguito ad oftalmite scrofolosa, ha la testa che misura una circonferenza di mm. 430...Garibaldo, il maggiore, di 460...mentre Vittorio è alto 1,55 egli raggiunge m. 1,63... Hanno potuto imparare alcuni lavori manuali molto semplici e che ripetono ogni giorno meccanicamente...La madre, pare, era benestante ed anche adesso conserva l'aspetto di chi non ha sofferto disagi nella vita. Dapprima fu maniaca ed ora è caduta in completa demenza. ... Pare che il marito fosse un beone (“Diario del San Benedetto in Pesaro”, Gennaio 1888).

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A destra: Un saluto da Pesaro, Orti Giuli - Fiume Foglia - Porto, cartolina datata 3 Aprile 1902 (Edizioni Federici, Pesaro; Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci). Sopra e nelle pagine successive: Porta Rimini e il San Benedetto, fotografie Cristina Ortolani (Settembre 2011) e Archivio ASUR - Area Vasta n. 1, Pesaro promemoria_numerotre

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1851. Distinta del trattamento di vitto per gli Alienati, Impiegati ed Inservienti (dallo Statuto del 1851) Prima classe - Alienati Comuni Colazione: Pane e vino, ovvero Zuppa al brodo Pranzo: Minestra, lesso, una piettanza; pane e vino Cena: Piettanza, o insalata, e frutti; ovvero Zuppa e piettanza; pane e vino Seconda Classe - Alienati Pensionarj Colazione: Caffè col latte, cioccolata, od altro che loro aggrada, e crostini di pane Pranzo: Minestra, lesso, due piettanze, formaggio e frutti, pane e vino, e appresso Caffè, se non nuoce alla cura Cena: una piettanza, insalata ovvero Zuppa al brodo, formaggio e frutti, pane e vino Impiegati Colazione: Caffè col latte, o col cioccolato, e crostini di pane

Pranzo: Minestra, Lesso, una piettanza, formaggio e frutti; pane e vino Cena: Piettanza, insalata e frutti; pane e vino ---Il Cappellano in quei giorni che fosse obbligato di rimanere all’Ospizio per l’assistenza di qualche moribondo, sarà trattato secondo la indicata norma. --Inservienti Colazione: Pane e vino Pranzo: Minestra, lesso, una piettanza; e pane Cena: Pane e vino n.b. Invece della piettanza per la cena gl’inservienti ricevono un giornaliero compenso in denaro

Pasqualon (Pesaro 1852-1932) Tra i più conosciuti ospiti del Manicomio di San Benedetto vi fu il poeta Odoardo Giansanti, Pasqualon, le cui quartine descrivono con tutta la plasticità della lingua dialettale figure e aspetti della Pesaro tra fine Ottocento e primi Novecento (a fianco, Pasqualon in una cartolina conservata nel Fondo G. Gabucci dell’Archivio storico Diocesano di Pesaro, datata 24 Dicembre 1917). Tra le tante composizioni di Pasqualon riportiamo di seguito alcune strofe della poesia dedicata Al Signor Filippo Massarini, Economo del Manicomio (1896), così come trascritta da don Giovanni Gabucci.

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Signor Filippo Economo, in tempo un po’ ordinario gli annuncio con gran giubilo il mio anniversario.

Saluti il mio più intrinseco buon padre Cappellano con la superba scatola e la bottiglia in mano.

(...) Gli altri sette estatici Bablon, Pulin, Pantucci, Tambur, Cecconi e Semmola con San Domenicucci.

Compiti mesi dodici ch’io son di qui partito respiro l’aria libera con avido appetito.

Saluti a Pietro e Bartoli intrepidi portieri coi due enciclopedici Alfredo e Cavalieri.

(...) Saluti - tra parentisi Morotti e Garibaldi che premurosi corrono spogliarci caldi caldi.

(...) Saluti a Suor Teotima l’egregia dispensiera con tutte le altre Monache, ma la più cuciniera.

(...) Saluti i miei politici dottissimi infermieri che affogan tutta l’Africa nei litri e nei bicchieri.

Innanzi a Lei chinandomi con tutto il mio dovere... Ma... scusi non dev’essere escluso il Dispensiere:

Lo metterò per ultimo di questa gran Famiglia perché Lei stesso l’obblighi portarmi una bottiglia! promemoria_numerotre


Un’ora nel manicomio Sarebbe pur bella cosa portarsi a visitare uno dei più bei edifici di Pesaro il Manicomio di San Benedetto. Luogo superbo e magnifico, che sembra rappresentare un palazzo Ducale...Quando si è entrati, all’ingresso si osserva in primo luogo, dopo l’atrio, una gran sala d’aspetto, che ha tutt’altra forma che di sala, ma bensì d’un anfiteatro, luogo in cui ben spesso si danno lezioni pubbliche a vantaggio di tutti gli alienati; è questa sala ornata di molte figure, e decorata di molti stemma dei comuni circonvicini, e di ritratti dei più celebri alienisti italiani; una cupola che conduce sopra un terrazzo dell’appartamento del Direttore serve di luce, e con architettura di ottimo gusto; quindi si passa da due porte laterali, una al comparto degli uomini, e l’altro a quello delle donne; questi comparti sono graziosi per i giardini, e dei loggiati che coronano questi bei giardinetti, senza calcolare inoltre il vasto parco, che oltre ad essere di smisurata grandezza non manca di presentare una figura bizzarra, e non vi è vacuo che non sia ben coltivato e prodottivo. Ivi, lunghi viali servono di passeggio e di passatempo, e magnifici pini ed altri alberi forestieri danno fresca ombra; le verdi zolle formano gran tappeti gai, sovrastando in mezzo un bellissimo giardino in forma di circolo con fiori olezzanti che spirano soavi odori, rende tutto ciò una gran sensibilità....Tutto vi è comodo in questo stabilimento, e molto diversivo, come corridoi sale di trattenimento, scuole, musica biblioteca e passando alle arti che vi si esercitano con piacere, le maggiori, e molto utili, sono il sarto, il calzolaio, fabbro, falegname, giardiniere, tessirandolo, ecc. Ognuno che sia alquanto stabilito in salute può bene addestrarsi... per non rendersi cattivo nell’ozio; di quando in quando poi per maggior disvagamento resta l’accesso libero per recarsi codesti alienati in buon numero fuori a fare delle passeggiate, fatte ordinatamente sotto la veglia degl’infermieri. Un grande edificio a parte serve per gli studi anatomici e per le arti e quanto prima vi sarà impiantata ancora una lavanderia, che si sta costruendo... La cucina poi è tutta costruita di ferro fuso di recente venuta da Parigi con molti comodi e conserve di acqua calda.... (“Diario del San Benedetto in Pesaro”, Novembre 1872).

Orario col quale dovranno regolarsi in ciascun giorno le principali azioni dello Stabilimento di San Benedetto (dallo Statuto del 1851) promemoria_numerotre

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Numero centoundici donne: Geltrude Artusi Negli stessi anni in cui la Storia abbatteva le mura che frazionavano il territorio italiano, spalancando le porte ai moti del tricolore, la storia privata di una donna sensibile si tingeva dell’ombra del muro della reclusione, dietro il portone di un nosocomio. Tra il 1855 e il 1876 il San Benedetto ospitò Geltrude Artusi, sorella di Pellegrino, il celebre gastronomo di Forlimpopoli. Sconvolta dall’irruzione nella propria casa del Passator Cortese, Geltrude soffrì anche i maltrattamenti del marito, e fu ricoverata presso l’istituto pesarese, all’epoca ritenuto una delle più avanzate strutture italiane per la cura delle malattie nervose. Per quanto a me consta la donna non è pazza; un profondo dolore la domina e la opprime, scrive il suo medico al direttore del San Benedetto. Ammalatasi di colera nel 1856, Geltrude morirà nel 1876, per le complicanze di una bronchite contratta molto tempo prima. Già dal 1859 la demenza nell’Artusi era completa; nel Febbraio 1868 è giunta sino allo stato di abbrutimento. Di seguito è la trascrizione di parte del Libretto nosografico dell’alienata Artusi Geltrude in Medri da Forlimpopoli d’anni 26, possidente maritata, ammessa il giorno 16 luglio 1855, affetta da mania. Riconosciuta affetta da demenza semplice per causa di spavento e per mali trattamenti del marito; n. 111 donne.

Bertinoro 14 luglio 1855. Il dottor Domenico Forti al direttore dell’Ospedale San Benedetto di Pesaro, dottor Domenico Meli Credo non sarà mal fatto di esporle un breve dettaglio delle circostanze che hanno influito sul morale della donna che si affida alla di Lei esperimentata capacità. Nella famiglia, i di lei genitori la predilessero per le amabili di lei qualità, e ricevette una educazione fors’anche superiore alla di lei origine. Dotata di una straordinaria sensibilità, si commoveva anche per cause insignificanti. Alla occasione che la Banda del Passatore invase Forlimpopoli, ove era nata, ed ivi viveva coi suoi, sentendo che per sorpresa erano entrati nella propria casa onde imporre una contribuzione di alcune migliaia di scudi, gelosa del proprio onore, le riuscì di porsi in salvo sortendo seminuda per i tetti in una notte d’inverno, ove per lungo tempo dovette soffrire le più dolorose angustie. Questo fatto suscitò nel di lei sistema tanto suscettibile un orgasmo nervoso che di frequente stabiliva in lei scosse convulsive che la facevano

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soffrire altamente, talché era costretta condurre una vita infelice. Per disgraziata combinazione la famiglia andò a stabilirsi a Firenze; colà pure soggiacque spesso agli stessi incomodi nervosi per cui...le consigliarono di ritornare all’aria nativa e le fecero sperare che il matrimonio fosse l’unico mezzo di salvarla. Questo matrimonio ebbe luogo, ma ...capitò in una famiglia di campagna gente rozza, di maniere del tutto in opposizione all’ordinario di lei vivere, che le di lei gentile carezze venivano contraccambiate con modi villani, che infine per una mala intesa avarizia venne trattata dal marito con brutali percosse in occasione che dava per carità qualche pane a poveri. Un tale operato portò in campo tutta la scena nervosa che da qualche tempo era sopita, e che per i primi tre mesi di matrimonio non erasi mai manifestata... Quell’orgasmo nervoso divenne costante, per cui si è trovato necessario, anche per suggerimento dei genitori, di collocarla nel manicomio da Lei con tanta sapienza diretto, unico mezzo di allontanarla dagli autori della di lei disgrazia... Per quanto a me consta la donna non è pazza; un profondo dolore la domina e la opprime; disgustata dal marito, eppiù dal cognato non può vivere che ...ritirata nella propria stanza... o vagante per la campagna... è sempre molto taciturna ma, interrogata, risponde sempre a proposito e categoricamente. Sono poi in obbligo di prevenirla che, per indurla a montare il legno per condurla nel luogo destinato, si è usata una finzione che può molto influire su questa infelice; attaccatissima ad un di lei fratello che attualmente trovasi a Firenze per nome Pellegrino, che nelle sue disgrazie lo ha sempre desiderato, le si è fatta pervenire una di lui lettera colla quale le fa credere che trovandosi a Firenze desidera che si vada da lui e che nel caso non fosse più a Firenze, si trasferisse a Bologna ove interessi di commercio lo chiamavano. Ciò era nell’idea di condurla a Imola, ma preferendo io il manicomio di Pesaro, perché so esservi a capo il professor Meli al quale professo alta stima, si è cambiato alla donna avviso e le si è dato d’intendere che Pellegrino è dovuto andare in Ancona e che però ella deve variare itinerario e portarsi a Pesaro ove si congiungerebbe col fratello. Avvertita di un inganno sì marcato e vergognoso è indebitato che sdegnerassi e può addivenire benissimo che accada quello che non è fin qui. Valgasi quindi di queste cognizioni per affermare alla medesima che Pellegrino è in verità passato per Pesaro e che essendo andato in Ancona le ha intanto ritrovato quella casa ove ha stabilito per lei una dozzena, e che ogni giorno può essere di ritorno, e che avrà la consolazione di abbracciarlo, e ricevere i di lui consigli. Forse con tali lusinghe può essere che la illusione continui senza portare altro nuovo pregiudizio. promemoria_numerotre


Stazione di Pesaro, fotografia dei primi anni del ‘900, Studio fotografico Adolfo Bertozzi, Pesaro (Archivio storico Diocesano, Fondo G. Gabucci). Sullo sfondo: Strade ferrate meridionali, Orario attivato l’11 Gennajo 1872, arrivi e partenze dei treni nella stazione di Pesaro (Tip. Nobili, Pesaro 1872; Archivio Guido Baldassarri, Pesaro) promemoria_numerotre

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Montelabbate, 9 Giugno 1912. Un telegramma del Re avvenne ieri | 1912-2012

La “geniale festa” della Federazione Monarchica Rurale di Montelabbate, alla quale presero parte molti dei personaggi che abbiamo conosciuto nei primi numeri di a cura di

Monte l’Abbate (Pesaro) - Panorama visto da nord (cartolina, anni Dieci-Venti del ‘900; ed. Mauro Arceci, Colbordolo; Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci)

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“Promemoria”

Cristina Ortolani

Montelabbate, 9 Giugno 1912. Seguendo la consuetudine opportunamente iniziata fin dall’epoca della sua fondazione, la Federazione Monarchica Rurale del nostro mandamento aveva indetto per la Domenica 9 Giugno scorso un convegno a Montelabate. La geniale festa non poteva riuscir meglio, né aver maggior importanza politica. Fin dal mattino, nel ridente paesello, cominciarono a giungere numerosi da ogni parte i soci della Federazione Monarchica Rurale. (...) Verso mezzogiorno, nonostante una momentanea ostilità del tempo, gli amici si fecero più frequenti. Ogni Comune del Mandamento si trovò così degnamente rappresentato.

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Abbiamo notato: di Sant’Angelo in Lizzola il Presidente della federazione Cavalier Marcolini Luigi, Marcolini Angelo, Giacomazzi Emilio; di Ginestreto: il sindaco Mancini, Poderi Romolo, Betti Nazzareno, Arduini Antonio; di Monteciccardo il Sindaco Giovannini, il Segretario Mambrini, Paci Giulio, Betti Gaetano, Astolfi Lodovico, Betti Silvestro; di Montecchio: Rossi Romolo, Gnucci Egisto, Barbanti Ivo; di Montelevecchie: il Signor Ruggeri Ivo, Consigliere Scolastico Provinciale, il Dottor Olmeda, Segretario della Società, Bernardi Angelo e Giacomo, Stafoggia Eugenio, Bartolucci Federico e Matteo, quest’ultimo un simpatico veterano del 1866; di Tomba gli assessori Ghiandoni e Severini, Nicolini Basilio, Giavoli Luigi... di Montelabate il sindaco Tomassoli, Ortolani Luigi, Nicolini Gaetano, Fattori Mariano, Giulini, Panaroni, Stefanini, i reduci Bruscolini, Salvatori, Venturi ed altri. Alle ore 13 fu servito in una sala prossima all’ingresso del paese, ornata di trofei di bandiere, il banchetto sociale: di cui, attese le difficoltà dovute superare pel numero stragrande degli intervenuti, circa 150, va data lode alla commissione ordinatrice dal doppio punto di vista del buon servizio e delle buone vivande. Festeggiatissimi i reduci dalla Libia, invitati al banchetto; a loro, da ogni parte, congratulazioni ed auguri. Particolarmente complimentato il sig. Verchiani Celestino, padre dell’eroico tenente Verchiani, caduto valorosamente fra i primi in Tripoli. Parlarono, inneggiando ai reduci dall’Africa, all’eroismo dell’esercito, alla ridestata anima nazionale, molti intervenuti... I brindisi furono applauditissimi: ogni allusione patriottica, ogni affermazione di italianità sollevarono entusiastiche ovazioni.

Alcuni protagonisti della festa della Federazione Monarchica Rurale di Montelabbate del Giugno 1912. Da sinistra a destra: Andrea Marcolini, Lodovico Astolfi e il Maresciallo Emilio Giacomazzi; Cristoforo Mambrini, Segretario comunale di Monteciccardo; Luigi Marcolini; Eugenio Costantini, Sindaco di Monteciccardo (dettagli della fotografia in basso a sinistra, scattata a Sant’Angelo in Lizzola, all’interno di palazzo Marcolini, nel primo decennio del ‘900; Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci); il notaio Nazzareno Olmeda (raccolta Famiglia Olmeda, Pesaro; la fotografia è stata pubblicata sul numero 1 di “Promemoria”). Qui a sinistra, con il cappello: Giuseppe Andreatini, industriale e farmacista (Sant’Angelo in Lizzola, giardino di palazzo Marcolini, 1913;Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci; la fotografia è stata pubblicata sul numero 0 di “Promemoria”; l’indicazione dei nomi è di mano dello stesso Gabucci) promemoria_numerotre

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Seguì poi un corteo, che con le bandiere e la musica in testa attraversò prima il paese al suono della Marcia Reale e degli altri inni patriottici, portandosi poi nella sala destinata per l’adunanza della federazione, dove, dopo un bellissimo discorso del Dott. Nazzareno Olmeda, Segretario della Federazione stessa, si stabilì d’inviare a Sua Maestà il Re il seguente telegramma firmato dal Presidente Marcolini: Costituzionali Pesaro Mandamento riuniti convegno Montelabate, plaudendo eroismo Esercito Armata ammirando ascensione grandezza patria in libere istituzioni inviano giovane sovrano ossequiente devoto omaggio. Dopo di che la festa si sciolse con la maggiore soddisfazione di tutti. Il concerto prestò lodevole servizio, sotto l’abile direzione del maestro Polidori. L’accoglienza da parte della popolazione non avrebbe potuto essere più cordiale. Mentre suonava ancora sulla piazzetta affollata la musica, i convenuti ripartivano lieti della riuscitissima festa. Al presidente perveniva in risposta dal Ministro della Real Casa il seguente telegramma: Sua Maestà il re ricambia con cordiali grazie il saluto molto gentile rivoltogli da codesto sodalizio. Ci congratuliamo col Cavalier Marcolini, con il Dott. Olmeda, con tutta la Presidenza della Federazione Monarchica Rurale per lo splendido esito del convegno, che fu una solenne affermazione dei sentimenti liberali e patriottici del nostro Mandamento (“La Provincia”, 16 Giugno 1912).

Vittorio Emanuele III e l’introduzione del suffragio universale maschile Salito al trono nel 1900 in seguito all’assassinio del padre Umberto I, ucciso a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci, Vittorio Emanuele III nacque a Napoli nel 1869 e morì in Alessandria d’Egitto nel 1947, dove si era ritirato in esilio dopo aver abdicato nel 1944, sotto le pressioni degli Alleati, in favore del figlio Umberto II. Il lungo regno di Vittorio Emanuele III vide, oltre alle due guerre mondiali, anche una serie di avvenimenti fondamentali per la storia del nostro paese, tra i quali l’introduzione, proprio nel 1912, del suffragio universale maschile, approvato con la legge n. 666 del 30 Giugno di quell’anno. L’elettorato attivo fu esteso a tutti i cittadini maschi di età superiore ai 30 anni senza alcun requisito di censo né di istruzione, restando ferme per i maggiorenni di età inferiore ai 30 anni le condizioni di censo o di prestazione del servizio militare o il possesso di titoli di studio già richiesti in precedenza. Il corpo elettorale passò da 3.300.000 a 8.443.205, di cui 2.500.000 analfabeti, pari al 23,2% della popolazione. Nella stessa occasione la Camera respinse la concessione del voto alle donne (209 contrari, 48 a favore e 6 astenuti), che per avere il diritto di recarsi alle urne dovranno attendere il 2 Giugno 1946, con le prime elezioni della Repubblica Italiana. Al termine del primo conflitto mondiale la legge 16 dicembre 1918, n. 1985, ampliò il suffragio estendendolo a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto il 21° anno di età e, prescindendo dai limiti di età, a tutti coloro che avessero prestato servizio nell’esercito mobilitato (http://legislature.camera.it/cost_reg_funz/667/1157/1153/documentotesto.asp; 10 Dicembre 2011, ore 9.50).

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Montelabbate nei disegni di don Giovanni Gabucci Santangiolese di nascita, don Giovanni Gabucci (1888-1948) ricoprì dal 1916 al 1920 la carica di Economo spirituale della parrocchia dei Santi Quirico e Giulitta di Montelabbate. Anche negli anni successivi Gabucci continuò a collaborare alla vita parrocchiale, lasciando numerose testimonianze al riguardo, come la cronaca del trasferimento della parrocchia dal Castello al Borgo, avvenuto nel 1921, o alcuni appunti sull’inaugurazione del teatrino parrocchiale del 1925.Tra i materiali raccolti da don Giovanni e attualmente conservati presso l’Archivio storico Diocesano figurano anche alcuni manoscritti, come quello ricevuto dai Conti Leonardi di Montelabbate, dove è narrata la storia della famiglia e dei suoi componenti.

Alcuni dei materiali relativi a Montelabbate raccolti da don Giovanni Gabucci e conservati presso l’Archivio storico Diocesano di Pesaro. Dall’alto, in senso orario: Giovanni Gabucci, Castrum Montis Abbatis; Castello Mlabate - a memoria, 16 Settembre 1923; Parrocchia di S. Quirico - Montelabbate; il primo e l’ultimo disegno sono tracciati sullo stesso foglio; programma per l’inaugurazione del teatrino parrocchiale, 19 Febbraio 1925 (solo la data è di mano di don Giovanni Gabucci); Ottobre 1929, Dr. Filippini. Schizzo per un probabile restauro della chiesa di Montelabbate; Santissimo Crocifisso di Montelabbate, cartolina inviata a Gabucci da Angelo Bendoli, datata Pesaro, 24 Dicembre 1915; Madonna col Bambino venerata dai Santi Lucia, Antonio Abate e Filippo Neri, schizzo dalla tela di Giovan Francesco Guerrieri dipinta per la chiesa di San Martino al castello di Montelabbate promemoria_numerotre

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Album di famiglia. La leva del 1861, classe 1839-1840 album di famiglia

Eppure il Risorgimento avrebbe tutti i caratteri È una storia cui non manca alcun registro: l’eroico e il grottesco, l’aulico e il ridicolo, il tragico e il rocambolesco. C’è tutto: amore e morte, sangue e nobildonne, tradimenti e intrighi, battaglie e rivolte, re e imperatori, papi e cortigiane, l’esilio e il ritorno, rotte disastrose e clamorose sorprese. Ci sono eroi sconosciuti, martiri il cui nome è completamente dimenticato, nobili e analfabeti morti sul patibolo, in battaglia , in ospedali improvvisati, in carcere, gridando quel “Viva l’Italia” di cui oggi ci facciamo beffe. E ci sono uomini che dopo aver tentato uccidersi l’un l’altro finiscono per allearsi in nome della stessa causa . Come Cavour, che del suo grande nemico seppe dire: “Garibaldi ha reso all’Italia il più grande dei servizi che un uomo potesse offrirgli: egli ha dato agli italiani fiducia in loro stessi, ha provato all’Europa che gli italiani sanno battersi e morire sui campi di battaglia per riconquistarsi una patria” di una grande saga .

Aldo Cazzullo, 2010

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Sant’Angelo in Lizzola

In queste pagine: i nomi di alcuni cittadini di Pian del Bruscolo chiamati alle armi nel 1866, dai Registri Matricolari conservati presso l’Archivio di Stato di Pesaro. Sotto: il regno di Sardegna nel 1860; nella pagina precedente, sullo sfondo, la battaglia di Custoza, dal film Senso di Luchino Visconti (1954)

La terza guerra d’Indipendenza (1866) La terza guerra d’Indipendenza è la prima guerra che coinvolge l’Esercito Italiano così definito dal 4 Maggio 1861 e risultato della sommatoria dell’Armata Sarda, dell’Esercito Borbonico, dei Garibaldini e di tutte le altre forze assorbite dagli stati preunitari. (...) I primi anni di vita del neonato esercito non furono facili, poiché furono scanditi da una lunga e dura lotta al brigantaggio e dalla sfortunata conclusione della Terza Guerra d’Indipendenza, pur costellata di gloriose battaglie (1886 furono i caduti). Il 20 Settembre 1870, portando a termine gli ideali unitari, il IV Corpo d’Armata agli ordini del Generale Raffaele Cadorna occupò Roma, ridando all’Italia la sua naturale Capitale (www.esercito.difesa.it/Storia/storia_esercito/18611914/ Custoza/Pagine/default.aspx; 20 Dicembre 2011, ore 13.35).

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Tomba e Montelevecchie*

* Tomba divenne Tavullia nel 1938, mentre la sua frazione Montelevecchie giĂ dal 1922 aveva cambiato il nome in quello di Belvedere Fogliense (vedi “Promemoriaâ€? n. 1).

Monteciccardo

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Montelabbate

Colbordolo promemoria_numerotre

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Mio padre e io. Conversazione con Eleonora Mariotti Travaglini avvenne ieri | 1961-2011

Cinquant’anni fa si spegneva Scevola Mariotti sr., insigne francesista. Tra Pesaro, Monteciccardo e Sant’Angelo in Lizzola i ricordi della figlia Eleonora conversazione di

Fonti e Tracce Conversazioni con Eleonora Mariotti Travaglini, Estate 2007; Novembre - Dicembre 2011. Conversazioni con Glauco Mancini, Estate 2007

A destra: Alfredo Morgoni, ritratto di Scevola Mariotti sr. (olio su tela, anni Dieci-Venti del ‘900). Salvo diversa indicazione, tutte le immagini di queste pagine provengono dalle raccolte di Eleonora Mariotti Travaglini (Pesaro) e Italo Mariotti (Bologna)

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Cristina Ortolani

Tra gli anniversari che costellano questo numero di “Promemoria” c’è anche il cinquantenario della scomparsa di Scevola Mariotti senior, francesista illustre, affezionatissimo frequentatore delle colline tra Sant’Angelo, Monteciccardo e Ginestreto dove, insieme con la sua famiglia, negli anni precedenti la II guerra mondiale era solito trascorrere le vacanze. O meglio, la villeggiatura, poiché in quegli anni, in quella civiltà, si usava dire così. Partivamo da Pesaro dopo la fine della scuola con diversi bauli, ricorda la figlia Eleonora, nei quali mia madre riponeva abiti e libri, tanti libri. A me, che all’epoca ero una bambina piaceva particolarmente il viaggio in automobile, all’arrivo quasi ero un po’ delusa di dover scendere. Gentile e garbata, Eleonora Mariotti Travaglini ha, al pari dei fratelli, gli occhi celesti del padre, che brillano divertiti nel ripercorrere gli aneddoti dell’infanzia: a quello stesso celeste, appena un poco più intenso, sembra essersi ispirato Alfredo Morgoni, autore del bel ritratto che raffigura Scevola Mariotti sr. sullo sfondo del mare, con l’immancabile libro in mano. Prima della guerra passavamo l’estate in una grande casa colonica a Sant’Angelo in Lizzola, poco fuori dal castello, di proprietà di Caterina Pucci che lì viveva con la figlia Atala; successivamente per qualche anno ci spostammo a Ginestreto, dove fummo ospiti di Maria e Luigi Mosca promemoria_numerotre


[la famiglia Mosca era una delle più note di Ginestreto] e, infine, intorno al 1940 tornammo a Monteciccardo, che già i miei genitori frequentavano quando io non ero ancora nata, e mio fratello Scevola jr. era piccolissimo. A Monteciccardo la famiglia Mariotti, composta da Scevola con la moglie Teresa (1893-1977) e i figli Scevola jr. (affettuosamente detto Scevolino), Italo ed Eleonora si sistemava nella casa parrocchiale presa in affitto dal parroco don Antonio Bartolucci. Proprio nel giardino prospiciente la casa parrocchiale il professor Mariotti compose, con l’insostituibile collaborazione della moglie Teresa alla quale poi dedicò l’opera, il suo celebre dizionario di francese (prima edizione: Signorelli, Milano 1950). C’era anche mia nonna Maria, detta Marietta, la mamma di mia mamma, che viveva con noi e alla quale eravamo tutti molto affezionati, prosegue Eleonora, nei cui ricordi trova posto anche una vecchia conoscenza di “Promemoria”: a volte accompagnavo mio padre quando andava a trovare don Giovanni Gabucci, rivedo ancora la sua casa stipata di libri, nel castello di Sant’Angelo in Lizzola. Le vacanze si concludevano con la ripresa della scuola, tornavamo a Pesaro alla fine di Agosto o ai primi di Settembre, in tempo per gli esami di riparazione. Nato a Pesaro nel 1880 (ma amava ricordare che probabilmente la sua famiglia discendeva dal Beato Sante Brancorsini, aggiunge ancora Eleonora), Scevola Mariotti sr. è ricordato, oltre che come amatissimo insegnante di francese, anche per il suo contributo all’istituzione del Liceo scientifico “G. Marconi”, del quale fu preside fino al 1950. Importante fu anche il suo impegno nella Società “Dante Alighieri”, con la quale organizzò memorabili conferenze, in un’epoca nella quale gli incontri culturali nella nostra città erano piuttosto rari. Tra i riconoscimenti conseguiti dal professor Mariotti spicca il titolo di Chevalier de la Légion d’honneur, conferitogli nel 1957: alla Francia Scevola sr. rimase sempre molto legato, attraverso alcune amicizie. Anche i tre figli di Teresa e Scevola sr. seguiranno, ciascuno a suo modo, le orme paterne: Scevola jr., dopo gli studi alla Normale di Pisa diverrà notissimo latinista e filologo; Italo sarà per lungo tempo docente di filologia classica all’Università di Bologna ed Eleonora, che nel 1956 sposerà il pittore Ettore Travaglini, si dedicherà all’insegnamento delle Lettere in alcune scuole medie di Pesaro e dintorni.

Sopra, dall’alto: Monteciccardo, Estate 1941. La famiglia Mariotti nel giardino della casa parrocchiale. Da sinistra: Scevola jr., Maria Ciuffoli (madre di Teresa Mariotti), Italo, Teresa, Maria Rondina (nipote di don Antonio Bartolucci, rettore di San Sebastiano), Scevola sr. ed Eleonora; i fratelli Mariotti da bambini: Scevola jr., Eleonora e Italo (foto P. Belli, Pesaro). In basso: Scevola Mariotti e Teresa Mariotti all’epoca del loro fidanzamento, negli anni della I guerra mondiale

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Sopra: due cartoline inviate dalla Famiglia Mariotti durante la villeggiatura a Monteciccardo e Sant’Angelo in Lizzola. Dall’alto: S. Angelo in Lizzola - Piazza e Teatro Perticari; la cartolina è datata Monteciccardo, 12 Agosto 1923; S. Angelo in Lizzola - Torre e Palazzo Mamiani, datata Sant’Angelo in Lizzola, 12 Agosto 1929. Entrambe le cartoline sono pubblicate dalle edizioni Garattoni di Sant’Angelo in Lizzola e provengono dall’Archivio Stroppa Nobili di Ginestreto - Pesaro. Chat vit rôt, chat mit patte à rôt, rôt brôla patte à chàt, chàt lâcha rôt (il gatto vide l’arrosto, il gatto mise la zampa nell’arrosto, l’arrosto bruciò la zampa del gatto, il gatto lasciò l’arrosto). Con questo scioglilingua Maria Teresa Badioli [vedi “Promemoria” n. 1] apriva ogni volta il racconto della sua esperienza di allieva di Scevola Mariotti di francese, che io ho sempre chiamato così per distinguerlo dall’omonimo figlio, mio professore di Latino e Greco in II Liceo classico. (...) Il professore arrivava a scuola puntuale, appariva sulla porta dell’aula, alto, solenne, vestito di nero, con il cappello in testa. Poi se lo toglieva, lo appendeva e diceva: “Bonjour”, guardando noi allievi che, in silenzio, scattavamo in piedi senza rispondere... Parlava sempre francese e noi, in perfetto silenzio, dovevamo arrangiarci a capire. Aveva un metodo tutto speciale di insegnare: dovevamo scrivere quello che diceva sul “brouillon”, e a casa si ricopiava tutto nei relativi quaderni: grammatica, poesie, geografia, verbi; e poi omonimi, sinonimi, proverbi e gallicismi (modi di dire) a centinaia; e così ricopiando imparavamo (Maria Teresa Badioli, “Quaderni”, manoscritto; i ricordi di Maria Teresa Badioli su Scevola Mariotti sono stati pubblicati anche in “Lo Specchio”, Settembre 2007).

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Sotto: Firenze, 1957. Scevola Mariotti sr. riceve l’onorificenza di Chevalier de la Légion d’honneur.

Avevo i pantaloni corti ed ero un bambino piuttosto vivace e insofferente della formale disciplina scolastica, quando nell’ormai lontano Ottobre 1930 per la prima volta conobbi il professor Scevola Mariotti. (...) Rammento che di lui mi colpirono tre cose: il bastone sottile e leggero che portava sempre con sé, la piccola cravatta a fiocco che usciva ardita dalle anse di un originale colletto e gli occhi chiari, dallo sguardo tagliente e penetrante. Un’inflessibile energia trapelava da ogni Suo gesto, dal Suo stesso aspetto esteriore, singolare miscuglio di misurato ordine e di inconsueta originalità che tutti ci affascinava e suggestionava (Antonio Brancati, “Ricordo di Scevola Mariotti”, in I cento anni del “Mamiani, 1884-1984, Pesaro 1986). promemoria_numerotre


Monteciccardo, anni Quaranta del ‘900, Da sinistra a destra: i Mariotti insieme con Maria Ciuffoli, Maria Bartolucci, madre del rettore della parrocchia di San Sebastiano (al centro della foto, con il fazzoletto in testa) e la perpetua Marjina (con l’abito lungo nero); alle loro spalle: Scevola sr., la moglie Teresa e, dietro, Scevola jr.; in primo piano, da sinistra: Maria Rondina, Italo ed Eleonora Mariotti.Teresa e Scevola Mariotti sr. fotografati nel giardino di fronte alla casa parrocchiale e nei pressi della croce un tempo situata all’ingresso del paese. Eleonora Mariotti in una foto scattata negli anni dell’immediato dopoguerra e, nell’immagine piccola, ancora negli anni Quaranta, nel giardino della casa parrocchiale

Scevola Mariotti jr. Il ricordo di due amici Estate 1941. Ecco una foto che può interessare i Pesaresi della prima generazione del ‘900. A sinistra è il prof. Glauco Mancini (venti anni), in servizio militare presso l’11° Rgt. Bersaglieri a Gradisca d’Isonzo (Gorizia), il quale, trasferito al 2° Rgt bersaglieri accampato nei pressi di Corinto (Grecia), è sceso dal treno a Pesaro per ritagliarsi abusivamente una licenza di mezza giornata, e in abiti civili, in bicicletta, si è recato a Monteciccardo, dove l’amico carissimo Scevola Mariotti è in villeggiatura con la famiglia. A destra è il prof. Scevola Mariotti, che già andava rapidissimamente affermandosi come filologo di fama internazionale. Tutto questo, qualcosa come 66 anni or sono. Ormai siamo usciti dalla cronaca per entrare nella storia, se qualcuno si ricorderà di noi; altrimenti saremo entrati nell’oblio, e “hic manebimus optime”, come disse il centurione (Glauco Mancini; fotografie raccolta Glauco Mancini, Pesaro). Classicista eminente, Scevola Mariotti jr. (1920-2000) insegnò presso le Università di Urbino (dal 1956) e di Roma (dal 1963), dal 1992 socio nazionale dell’Accademia dei Lincei, fu direttore della “Rivista di filologia e di istruzione classica” e di “Studia Oliveriana”, pubblicazione della Biblioteca Oliveriana di Pesaro. Formatosi presso la Normale di Pisa, Mariotti jr. ebbe tra i suoi compagni di studi anche Carlo Azeglio Ciampi, che così lo ricorda in Da Livorno al Quirinale - storia di un italiano (Bologna 2010): Dei miei compagni il migliore, il più brillante era Scevola Mariotti: ci superava tutti di una spanna, sia come conoscenza della materia, sia anche come maturità intellettuale. Però non suscitava la nostra invidia: lo ammiravamo, ne riconoscevamo il valore e la superiorità; soprattutto gli volevamo bene, perché le sue caratteristiche personali erano tali che non si poteva non provare per lui affetto.

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I bugatt di Mario Franci

Ancora un anniversario “Promemoria”:

avvenne ieri | 1912-2012

per questo numero di

stavolta il festeggiato nato nel

è Mario Franci, caricaturista 1912 a Sant’Angelo in Lizzola. di

Un aforisma non ha bisogno di esser vero, ma deve scavalcare la verità. Con un passo solo deve saltarla.

Karl Kraus

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Cristina Ortolani

Tra Raffaello Sanzio di Urbino e Mario Franci di Sant’Angelo in Lizzola tanti anni fa fu stipulato un accordo: Mario rinunciava a dipingere e Raffaello si asteneva dal fare caricature. Siccome l’accordo fu scrupolosamente rispettato, io non divenni mai pittore ma mi dedicai a fare brutte le persone. Tutt’altro che “brutte”, le persone ritratte da Mario Franci sembrano piuttosto colte nella loro essenza, spaventosa certo nel caso di Hitler, soggetto di una caricatura che gli valse la Coppa d’argento alla X Biennale Internazionale dell’Umorismo di Tolentino (1979), bonaria e paesanotta nel gruppo del quale ogni santangiolese volle copia, dipinto da Franci - in arte Fran - sulla facciata della propria abitazione nel borgo, vicino alla farmacia del dottor Andreatini. Nato nel 1912 a Sant’Angelo, dove morirà nel 1999, Franci proveniva da famiglia di origine urbinate; laureatosi nel 1937 presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, nel 1941 sposa a Zara Geni Decovich. Dopo aver abbandonato la Jugoslavia l’8 Settembre 1943 la famiglia Franci comincia una vita errabonda nei campi profughi, trovando stabilità solo a guerra quasi finita, quando Mario otterrà una cattedra presso l’Istituto per Geometri di Sondrio. Ho mosso i primi passi nel lontano 1927 e il debutto lo feci nel 1931 pubblicando nella “Fionda” di Pesaro una felice caricatura di Maggioli (studente promemoria_numerotre


del Conservatorio Rossini) a cavalcioni di una scassatissima motocicletta. L’avvio fu promettente ma la mia attività non riuscì per vari anni a varcare i confini della provincia. (...) Fu a guerra finita (nella quale ho perso tutto, esclusa la pelle), che tentai la fortuna cominciando con l’esporre a Sondrio un assortimento di circa 300 facce valtellinesi. (...) Passai ben presto il confine svizzero alla ricerca di quelle acca che, di scarso valore per gli altri, per me significavano la possibilità di trasformare il cognome da Franci in Franchi: così St. Moritz divenne l’aurea meta dei miei weekend. Due giri ciclistici di Svizzera (19471949) e le Olimpiadi invernali di St. Moritz mi misero a contatto col mondo dello sport internazionale. Così ebbe inizio la mia proficua attività di produttore di caricature e di vignette-ricordo per i personaggi (atleti e non) del ciclismo, del bob, del calcio, dello sci e della pallacanestro, e la collaborazione a giornali svizzeri e italiani (il primo fu il “Guerin Sportivo”). Nel 1949 il professor Franci, assieme al caricaturista Fran, si trasferì a Milano, dove si intensificò il lavoro di disegno. Il “Corriere Lombardo” mi affidò una vetrina al centro di Milano, nella quale esposi in rotazione continua per vari mesi disegni illustranti i più importanti avvenimenti quotidiani. A partire poi dal 1952 iniziai a pubblicare nello stesso giornale delle vignette in veste di commentatore grafico delle riunioni del Consiglio Co-

munale di Milano. (...) Eccomi, ora [1977], a Pesaro con una personale alla Piccola Galleria. Questa mostra rappresenta una simbolica torta per il festeggiamento di mezzo secolo di mia attività nel mondo della caricatura. Sulla torta non ci sono candeline ma cinquanta lampioncini: sono i lampioncini della firma di Fran. Tra i molti sportivi immortalati da Fran vi sono assi del ciclismo (Fausto Coppi e Gino Bartali, Ferdi Kübler) e l’intera formazione del Grande Torino cancellata nel 1949 dall’incidente di Superga. Sul versante politico, accanto a Hitler, Mussolini e Vittorio Emanuele III salta agli occhi il ciuffo ispido di Enrico Berlinguer (1977), mentre tra le caricature dedicate a personaggi dello spettacolo, del teatro soprattutto, spiccano Erminio Macario (1937) con l’immancabile “virgola” impomatata, e la celebre maschera di Totò, l’ovale bislungo dominato dal nome a “scrivere” lo sguardo triste del principe della risata (1980). Una delle ultime fotografie conservate dalla figlia Ambra mostra Fran intento a realizzare il “murale” dedicato a Sant’Angelo in Lizzola, 1934. I bugatt ja fatt Mario Franci, si legge sotto la firma del lampioncino.

Gino Bartali, Fausto Coppi e Gino Sciardis, i rappresentanti italiani al Tour de France del 1949. Sopra: Gino Bartali, Fausto Coppi e Jacques Goddet, patron del Tour de France dal 1936 al 1986. La caricatura di Coppi è datata 1947. Nella pagina precedente, insieme con le caricature di Hitler, Enrico Berlinguer e Totò, è riprodotto un autoritratto di Mario Franci, apparso sull’opuscolo di presentazione della mostra svoltasi nel 1977 presso la Piccola Galleria di Pesaro. Tutti i disegni appartengono alla collezione di Ambra Franci. Fonti e Tracce Conversazioni con Ambra Franci, Sant’Angelo in Lizzola, Estate 2010 - Estate 2011. Fran (Mario Franci), presentazione alla mostra tenuta presso la Piccola Galleria di Pesaro, 17-23 Agosto 1977, Pesaro, tip. Montaccini, s.d.

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Primo Ciandrini. Per un orologio, memorie della prigionia Un orologio assai prezioso

storie di guerra | 1

è al centro dei ricordi di prigionia

Primo Ciandrini (1921-2009) nato e vissuto a Cappone di Colbordolo di

Sandro Tontardini e Walter Ugoccioni

di

Il 30 dicembre del 2009 ci recammo a casa di Primo Ciandrini per ascoltare il racconto dell’esperienza da lui vissuta durante l’ultimo conflitto mondiale. Dopo quel primo incontro, da cui ricevemmo una forte impressione, decidemmo di filmare la sua testimonianza per ricavarne un video, ma Primo ci ha lasciato prima che potessimo rivederci e portare a termine il lavoro. Fortunatamente, avvertendo il valore di quella esperienza e affinché in famiglia non ne andasse perduto il ricordo, qualche anno prima la figlia Paola aveva già realizzato una sorta di video-intervista, nella quale il padre rievocava i fatti più significativi della sua vicenda di soldato. Grazie a quelle immagini abbiamo potuto realizzare il filmato presentato al pubblico il 2 giugno del 2010, in occasione della Festa della Repubblica. Ora, a qualche mese di distanza, vogliamo proporre in queste pagine il testo ricavato da quel documento, con la precisazione che sebbene esso non possa rendere tutte le emozioni di un resoconto orale, riteniamo comunque importante affidare il racconto di una così intensa esperienza anche alla parola scritta, che è stata e rimane tuttora la principale risorsa della memoria collettiva. Introduzione: Il 1° settembre del 1939 scoppiava la seconda guerra mondiale. L’Italia fascista, benché legata alla Germania dal Patto d’Acciaio, non entrò subito nel conflitto, ma 62

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l’anno successivo, a fronte dei travolgenti successi tedeschi, Mussolini decise di scendere in campo al fianco di Hitler. Era il 10 giugno del 1940. L’8 settembre del 1943, dopo la caduta del Fascismo e l’arresto di Mussolini, il maresciallo Pietro Badoglio annunciò l’armistizio dell’Italia con gli alleati. La guerra sembrava dunque finita, ma iniziò una delle pagine più tragiche della storia del nostro paese, con l’occupazione da parte delle truppe tedesche, la fuga del re a Brindisi, l’istituzione della Repubblica Sociale Italiana e del Regno del Sud, la guerra di liberazione condotta dagli alleati e dai partigiani. Intanto le nostre truppe sparse per l’Europa erano rimaste senza ordini né direttive, e i tedeschi, ormai ex-alleati, avevano catturato centinaia di migliaia di soldati italiani, che furono avviati ai campi di internamento. Primo Ciandrini era stato richiamato alle armi il 7 gennaio del 1941 insieme ad altri coscritti del nostro comune: Bruscoli Livio, Marchionni Ezio, Marchionni Guido, Nucci Secondo, Pieri Edo, Tomassoli Dario. All’indomani dell’8 settembre egli si trovava nei territori occupati della ex -Jugoslavia, dove fu fatto prigioniero e avviato ai campi di lavoro. Ed è a questa tragica esperienza che fa riferimento la sua testimonianza.

Sopra e nella pagina seguente: due fotografie di Primo Ciandrini negli anni di guerra (raccolta Famiglia Ciandrini, Colbordolo)

Non avevo ancora venti anni quando sono partito da Cappone per il distretto militare di Pesaro, con destinazione l’Istria e precisamente la città Pola. La prima esperienza da militare è stata abbastanza tranquilla, poiché, pur sapendo che in Europa c’era la guerra, la sentivamo comunque lontana. Ma il 9 settembre del 1943, disarmati e fatti prigionieri, i tedeschi ci hanno caricato sui vagoni di un treno merci: settanta persone in ogni vagone; tre giorni e tre notti chiusi senza poter bere né mangiare, finché siamo arrivati a destinazione in un campo di raccolta vicino a Berlino. In seguito ci hanno destinato ai campi di lavoro, e io sono stato assegnato ad una fonderia nei pressi di P..., nel territorio occupato della Cecoslovacchia. Per circa due mesi abbiamo mangiato una volta al giorno, non prima delle due o delle tre del pomeriggio, tre cucchiai di minestra e due piccole patate. Mi ricordo ancora perfettamente il tragitto che facevamo ogni giorno: sveglia al mattino alle cinque, tre chilometri a piedi, promemoria_numerotre

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sette in treno, ancora due a piedi e poi, sempre a piedi, attraversavamo la città di P.... Si marciava in fila per tre e nessuno voleva stare all’esterno, perché i tedeschi, uomini e donne, ci sputavano addosso e ci insultavano. Al termine della giornata ripercorrevamo lo stesso tragitto e alle nove e mezza di sera cenavamo con un po’ di crauti e una fettina di pane, oltre a 25 grammi di margarina distribuiti ogni tre giorni. Prima del rientro nelle baracche chi camminava più veloce riusciva a raccogliere di nascosto nelle discariche delle cucine alcune bucce di patata, di cavolo o di rapa, che venivano messe ad arrostire sopra la stufa della baracca in cui dormivamo fino a farle diventare croccanti: sembrava di mangiare le ”cresciole” di carnevale. Una volta, passando vicino alla cucina, abbiamo visto un mucchio di patate e io ne ho prese tre. Ma un caporale mi ha sorpreso e sono stato spedito in carcere a Dresda. Al processo mi è stato chiesto perché avevo rubato quelle patate. Io risposi: “Non ho mai rubato niente, né in Italia né in Germania; è stata la fame che mi ha spinto a fare questa azione”. Sono stato spedito per 30 giorni in carcere. In cella mi sono trovato insieme con alcuni condannati a morte, alla ghigliottina. Sono stato rinchiuso con un cecoslovacco sospetto di essere partigiano. Era una persona istruita e capiva l’italiano. Me lo ricordo come fosse adesso, perché lui mi rassicurava dicendomi che quello che avevo commesso non era grave e che presto sarei stato rilasciato. Aveva mani e piedi legati con delle catene, pregava sempre e ripeteva in continuazione la parola “kopfek!”, facendo con la mano il segno del taglio della testa. Dopo un po’ di tempo è stato portato via e non l’ho più rivisto: io ero disperato, ma fortunatamente dopo 40 giorni mi hanno rilasciato. I cinque mesi passati al campo sono stati i più terribili della mia vita. Eravamo 600 e siamo sopravissuti solamente in 180, tutti gli altri sono morti di fame e di stenti. Alla fine della prigionia eravamo tutti sfiniti, non riuscivamo più nemmeno a camminare e molti venivano caricati sui carri e così morivano, ammassati gli uni sopra gli altri. Anche io ero esausto e così un giorno ho marcato visita e non sono andato a lavorare. Mi hanno quindi portato in infermeria, dove mi hanno dato due piatti di brodo di cavolo a pranzo e due a cena. Riprese un po’ le forze, il terzo giorno sono stato dimesso e mi hanno mandato a lavorare in un pozzo. Eravamo in quattro e durante lo scavo avevamo trovato un grosso masso che non riuscivamo 64

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a spostare. Perciò un civile tedesco, uno diverso dagli altri, più umano, è sceso ad aiutarci. Ho chiesto a quest’uomo se voleva comprare il mio orologio e lui mi ha risposto: “Quanto vuoi?” “Niente” ho detto io,” voglio solo il pane”. “Quanto ne vuoi?” “Eh, ce ne vorrebbe una montagna”. È stata la persona che mi ha salvato la vita. In cambio dell’orologio mi ha dato sette filoni di pane, un barattolo di marmellata e 3 chili di farina di segale. Ancora lo benedico. Me ne portava un po’ al giorno, perché altrimenti avrei divorato tutto in un boccone, tanta era la fame. Alla partenza per il fronte pesavo 76 chili, durante la prigionia sono arrivato sino a pesarne 37 con tutti i vestiti invernali addosso. Le mie gambe erano ricoperte solo di pelle, la pancia e lo stomaco sembravano un sacco vuoto, le mie viscere erano scese tutte in fondo e si potevano contare tranquillamente tutte le costole. Il 25 marzo del 1944 sono arrivati due pacchi da casa e i caporali, verificato che non c’era nulla di pericoloso, mi hanno permesso di tenerli. Contenevano un sacchetto di quadrettini fatti in casa, un formaggio e del pane tostato. Ancora mi ricordo la felicità del momento: ho abbracciato tutte quelle cose piangendo e se mi avessero regalato tutto il capitale di una provincia intera non avrei provato lo stesso piacere. Nel frattempo avevano iniziato a darci da mangiare due volte al giorno e quindi si viveva meglio. Il 9 maggio del 1945 con l’arrivo dei russi siamo stati liberati. Eravamo convinti di tornare subito a casa, ma, in realtà, dopo varie vicissitudini, estenuanti giorni di marcia e dopo essere stati nuovamente rinchiusi in un campo vicino a Vienna, siamo stati definitivamente liberati dagli americani il 23 agosto del 1945 e portati alla stazione ferroviaria per riprendere la via del ritorno in patria. Siamo arrivati a Pesaro il 25 agosto alle due di notte. Non sapevamo cosa fosse successo in Italia, ma tramite la radio eravamo venuti a conoscenza dello scoppio di

Montecchio e della costruzione della linea gotica da parte dei tedeschi. La mia paura era che tutti i miei familiari fossero morti, perché avevamo visto tanta distruzione. Comunque, a piedi, dalla stazione sono giunto a Cappone alle sette del mattino. Il mio arrivo è stato anticipato da un bambino, Signoretti Valter, che vedendomi in strada era corso ad avvisare la mia mamma e le mie sorelle, che mi sono venute incontro. La voce di Primo viene rotta dall’emozione, poi continua: Sono passati più di sessant’anni, ma il mio ricordo è limpido e tutto mi appare davanti agli occhi come allora. Ricordo le persone, le camerate, le baracche, la strada che percorrevo ogni mattina... Ho vissuto tutto questo per cosa? La guerra è stata solo morte, desolazione e distruzione, e pensare che doveva servire a portare la civiltà! Questo era quello che ci dicevano! La testimonianza di Primo Ciandrini termina qui, ma pensiamo sia bello concludere questo racconto riportando la risposta all’ultima domanda che gli avevamo posto e che dà il senso di una vita trascorsa insieme: “come hai conosciuto tua moglie Zemira?”. Ero andato a ballare in una casa a Coldelce ed avevo parlato con una bella ragazza di Monteguiduccio. Quindi la domenica successiva ho preso la bicicletta e sono andato a cercarla, ma lei non c’era. Successivamente ebbi modo di incontrarla, ma lei mi faceva arrabbiare, era indecisa. Mi ricordo che una domenica avevo quasi messo il cuore in pace e quindi le avevo scritto un bigliettino di auguri pensando che ormai era finita... invece pochi giorni dopo lei mi ha scritto una lettera da perfetta innamorata. Vogliamo ringraziare Primo Ciandrini e i suoi familiari per averci dato l’opportunità di conoscere questa storia, che ha segnato per sempre la sua vita, ma che trasmette un monito e un insegnamento a tutti noi che siamo chiamati a costruire il futuro.

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Girolamo Signorotti. Settantadue giorni di cammino storie di guerra | 2

Settantadue giorni di cammino: il lungo viaggio di ritorno dalla ex Jugoslavia

di

Girolamo Signorotti, 1943

nell’A utunno del testimonianza raccolta da

Un quaderno grande a righe (una volta erano le righe di Quinta) accoglie i ricordi dei giorni di guerra di Girolamo Signorotti, classe 1921, originario di Tavullia ma da molti anni residente nella frazione di Belvedere Fogliense, dove è nata la moglie Luigia Marcheggiani. È proprio insieme con Luigia e la loro figlia Loredana che Girolamo ci riceve nella casa all’ingresso del paese, poco distante dal luogo dove un tempo si trovava l’accesso alla rocca, distrutta alla fine dell’Ottocento. Oltre a Loredana Girolamo e Luigia hanno un altro figlio, Alessandro. Sono partito per la Jugoslavia il 10 Luglio 1941, con la nave chiamata Stamura. Trascritte in parte dal nipote Luca, le memorie di Girolamo sono gremite di dettagli. A volte Luigia o Loredana intervengono a precisare una data, ridefinire un luogo, riordinare gli eventi. Della prigionia mio padre non ha mai parlato volentieri, aggiunge Loredana, e infatti anche la nostra chiacchierata sarà quasi interamente occupata dal racconto puntuale del ritorno. A poco più di vent’anni, dunque, Girolamo Signorotti si 66

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imbarca dal porto di Ancona con un centinaio di altri soldati. Andavamo di rinforzo alle batterie di artiglieria, per un anno e mezzo avevo fatto il militare a Pesaro, e poi ci hanno mandati in Jugoslavia. Tra i pesaresi ricordo un certo Onofri. Dopo dieci ore di viaggio arrivammo a Zara, e da lì ci smistarono al luogo di destinazione. Il fronte era già passato [le truppe tedesche entrarono in Jugoslavia nell’Aprile 1941; a Zara, nella regione della Dalmazia, l’esercito italiano aveva una delle sue basi], e gli Slavi avevano formato dei gruppi di partigiani. Dopo diverse tappe arrivammo all’isola di Melàda con il compito di contrastare i tentativi di occupazione dei partigiani: per due anni ho fatto tre ore di guardia tutte le notti, all’aperto, senza garitta. L’isola di Melàda (Molat, appartenente all’arcipelago di Zara, in Croazia) era sede di un campo di internamento italiano: si calcola che tra il 1942, anno della sua creazione e il 1943, quando fu smantellato dopo la capitolazione dell’Italia, vi furono rinchiusi circa diecimila prigionieri (cfr. www. didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=10401; 7 Dicembre 2011, ore 17). promemoria_numerotre


Ci hanno fatto diciassette punture per tener lontane le malattie e per mantenerci in forza, perché il mangiare era molto scarso. Ci si coricava quando si poteva, e sempre con un brontolio nella pancia. Con la fine del duce e del re siamo rimasti senza niente e sbandati, eravamo come gente sperduta. Dopo l’armistizio i Tedeschi ci hanno portati sulla terraferma, per otto giorni siamo rimasti sotto delle piante immense, guardati a vista. Quando sono arrivati ci siamo consegnati senza fare resistenza: ciascuno aveva a disposizione circa settanta chili di materiale, tra armi e munizioni, ma avevamo finito il cibo. Si sapeva che i Tedeschi sarebbero venuti a prenderci per portarci in un campo di concentramento. Di notte sentivamo i richiami dei partigiani slavi, ci chiamavano con il corno e gridavano: “Italiani, venite con noi, vi portiamo in Italia”. Alla fine in quattordici, tredici soldati e un sergente, decidemmo di seguirli. Fu un polacco ad aiutarci, non volle niente in cambio. A lui avevano distrutto la casa, ci disse “voi siete vicini a casa, perché non scappate?” Ci siamo fidati, nonostante i dubbi, e ci siamo uniti ai partigiani. Siamo fuggiti di notte, con trenta chili di peso sulle spalle perché i partigiani chiedevano di portare più munizioni possibile. Verso mezzanotte ci siamo fermati in mezzo al bosco, tutti raggruppati per la paura, nessuno voleva stare solo. Appena i partigiani ci videro ci baciarono e ci offrirono sigarette. Alle quattro del mattino arrivammo al loro accampamento, dove ci fecero depositare il nostro carico e ci lasciarono dormire in una stalla insieme con le bestie. Alle sei ci svegliarono per darci da mangiare, e allora vedemmo che erano tanti, tanti che uno non può immaginare. Donne, uomini, bambini, erano come formiche, tutti con il moschetto. Da lì è cominciato il nostro cammino verso il confine. Eravamo centoventi soldati in fila indiana; i partigiani, uno in cima alla colonna e uno in fondo, ci scortavano per una ventina di chilometri e poi si davano il cambio. Si camminava di sera, al far del buio. Un’ora o due fermi, poi via, di nuovo. Tanti si sentivano male, e allora li lasciavamo presso qualche famiglia. Lungo il cammino gli slavi ci requisivano le cose più buone, avevamo solo la divisa, ma ci obbligavano a scambiare le nostre scarpe con le loro. L’ordine era di non prenderci niente, ma tra quelle montagne non c’era rispetto. A me non hanno preso le scarpe solo perché le avevo tagliate, per dare sollievo ai geloni.

Una pagina del quaderno dove Girolamo Signorotti ha annotato i propri ricordi di prigionia e, in primo piano, una fotografia scattata negli anni di guerra, a Sebenico. Sul retro della foto si legge Gino Signorotti - Leardini Rimini / Sebenico - Tavoleto (salvo diversa indicazione, tutte le immagini di queste pagine appartengono alla raccolta della Famiglia Signorotti - Belvedere Fogliense di Tavullia). Nella pagina precedente, Girolamo durante l’incontro con “Promemoria” (28 Ottobre 2011). A pagina 68, Melàda e il Mare Adriatico, da Google Maps (7 Dicembre 2011, ore 15.45). A pagina 69: Girolamo Signorotti con la moglie Luigia Marcheggiani in una fotografia degli anni Cinquanta del ‘900, scattata a Windisch, nella Svizzera tedesca

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Quando siamo arrivati a Fiume ci hanno chiesto se volevamo rimanere con loro, per combattere i Tedeschi e i fascisti: lì c’era da mangiare, ma noi abbiamo deciso di provare a tornare verso casa. Ci hanno dato un permesso, era necessario per poter attraversare il bosco che era pieno di guardie, e siamo usciti dal campo. Eravamo una quarantina, ma in così tanti non saremmo riusciti a trovare da mangiare, e allora ci siamo incamminati a gruppi di due. E così è andata. Ma è stata dura. Abbiamo incontrato molti ostacoli: camminavamo sempre tra le montagne, nei boschi tra Pola, Gorizia, Trieste. Non c’era quasi nessuno, giusto qualche vecchio, a tutti chiedevamo se c’erano i fascisti o i Tedeschi, ma era faticoso capirli quando parlavano. Siamo stati undici giorni chiusi in una grotta, veniva un vecchietto a portarci da mangiare, eravamo in tre, uno l’abbiamo trovato già lì. Quel povero vecchio aveva molta passione per noi, ma anche molta paura. Una volta al giorno ci dava un po’ di brodo caldo, poca minestra e poco pane, niente carne. Per fortuna è andato tutto bene, e il 12 Novembre il vecchietto è venuto di prima mattina, nel buio, a dirci che i boia [i fascisti e i tedeschi] se n’erano andati. E allora abbiamo potuto vedere la luce di Dio. “Che Dio ve la mandi buona” fu il suo saluto, poi ci baciò come se fossimo suoi figli. Gli regalammo duecento lire, cento io e cento il mio compagno, ne fu contentissimo. Abbiamo percorso una vallata, poi di nuovo

nel bosco. Ogni tanto incrociavamo qualche anziano che pascolava le vacche, e gli chiedevamo la strada: a sentire che eravamo diretti a Pesaro, sulla costa Adriatica, qualcuno di loro che aveva fatto la guerra del ‘15-’18 ed era un po’ esperto ci consigliò di costeggiare il mare, ché saremmo arrivati di sicuro. Allora abbiamo camminato sulle montagne più alte da dove si vedeva il mare, e così ci incoraggiavamo. In pianura c’era il rischio di essere catturati, e per la notte ci si fermava in qualche paesino, lassù non ci sono case isolate come da noi in campagna, ma tutti paesini. Però anche loro avevano poco da mangiare, il cibo era razionato, c’era la tessera [la tessera annonaria], e avevano quattro etti di pane al giorno e pochissima minestra, carne ancora meno. Ringraziando il Signore ci lasciavano dormire nella stalla con le mucche. Dopo molti giorni siamo arrivati da una famiglia che ci ha ospitati per due settimane, ci siamo fermati per la stanchezza. Eravamo vicini al Piave, a piedi non si passava, poi avremmo dovuto attraversare il Po. La famiglia era composta da tre persone, la mamma con due figli, un maschio e una femmina. Il marito della donna, Giovanni, era morto; il figlio, militare, era scappato dalla Sicilia dopo lo sbarco degli Alleati. Aveva attraversato il fronte ma era riuscito ad arrivare a casa facendo quasi tutto il viaggio in treno. Stava quasi sempre nascosto nel sottoscala, per paura dei fascisti e dei Tedeschi. Lì abbiamo trovato la fortuna, perché sua sorella si è molto interessata a noi, si preoccupava per la nostra sorte. La loro casa si trovava a due chilometri dalla stazione ferroviaria: ogni mattina presto lei andava a piedi alla stazione per vedere se c’era pericolo, prendeva delle scorciatoie, tutti stradini di montagna. Una mattina tornò a dirci che la via era libera: ci accompagnò al binario dove si sarebbe fermata la locomotiva; ci siamo nascosti in una chiavica e appepromemoria_numerotre


na il treno è arrivato lei ha chiesto al capotreno di farci salire. Un paio di fermate prima di Mestre siamo dovuti scendere, per non trovarci di fronte i Tedeschi o i fascisti. Anche lì ci ha aiutati una famiglia, ci hanno dato un filone di pane, doveva essere circa un chilo e mezzo, formaggio e un fiasco di vino. Abbiamo pulito tutto, con quella fame! Ci siamo sistemati per la notte in un fienile con tanta paglia. Abbiamo fatto una dormita eccezionale e la mattina siamo ripartiti, prendendo un treno per Bologna. Di nuovo siamo scesi prima della città, e abbiamo raggiunto a piedi la stazione di Mirandola, poco dopo Bologna in direzione di Pesaro, dove avremmo dovuto aspettare il treno. Qui trovammo la sorpresa: la linea ferroviaria era stata devastata dalle bombe [la stazione di Bologna fu colpita, insieme con gran parte del centro storico, nell’Estate del 1943], i collegamenti erano difficilissimi. A un certo punto uno scampanellio annunciò un treno proveniente da sud: era carico di Tedeschi, molti di loro scesero e cominciarono a girare, avevano saputo che per Bologna non si passava più. Il capostazione ci consigliò di fingere di essere operai al lavoro, su una locomotiva ferma. Ci sporcammo con l’unto della macchina e anche quella volta ci andò bene. Finalmente arrivò il treno da Bologna, la macchina sulla quale eravamo gli fu attaccata e ripartimmo, tutti mezzi sporchi. Io sono sceso a Gradara, dalla parte opposta all’uscita vera, dove c’era la fratta: “Fai finta di fare un bisogno”, mi disse il capotreno. Da lì ho cominciato a camminare verso casa. Un passo era poco e due erano troppi. Era di sera, a Novembre fa buio presto. Quando sono arrivato da Tiravent [soprannome della Famiglia Banini, la cui casa si trovava non lontano da quella dei Signorotti] non mi sono dato da conoscere, perché a quel tempo ero disertore. Dopo settantadue giorni di cammino ero finalmente arrivato a casa. Poveretta la povera mamma, Col babbo piangeva dalla contentezza. Ma non è finita lì. Anche a casa dovevo nascondermi dai fascisti. Per quindici mesi non

sono quasi mai uscito, mia madre mi preparava da mangiare, ma per andare a tavola mia sorella Albina e mia nipote Filomena controllavano che non ci fosse nessuno, una sopra e una sotto casa. Nel mese di Giugno i fascisti hanno preso cinque amici della mia età, li hanno tenuti per dieci giorni nella Caserma dei Carabinieri di Tavullia e poi li hanno fucilati, al cimitero. Dopo questo episodio sono andato in montagna. A Valzangona, verso Petriano precisa Luigia, allora eravamo fidanzati, abitavamo in una capanna poco sopra la strada, un vecchio forno per il pane. Anche lì, riprende Girolamo, sempre nascosti, finché una bella mattina, era presto, arrivarono gli Alleati, con tanti carri armati. Era tutto da rifare, conclude Girolamo: strade, ponti, case. A noi i Tedeschi ci hanno portato via quasi tutte le bestie, i buoi, le vacche da arare, il terreno. Eravamo rimasti con due vitelle giovani, con una metà di venti ettari da arare, pensate un po’ cosa veniva fuori! Nel dopoguerra Girolamo e Luigia emigrano in Svizzera, seguendo il destino di tanti nostri connazionali che negli anni Cinquanta lasciano la loro patria in cerca di lavoro. Ma questa è un’altra storia, e ci sarà spazio per raccontarla in uno dei prossimi numeri di “Promemoria”. Mentre Girolamo si prepara a uscire con Loredana, Luigia ci offre un caffè e una fetta della sua (squisita) torta di amaretti. Tutto si ricompone in un quieto pomeriggio di Autunno, e nella luce che si ammorbidisce vien fatto di rivolgere un pensiero di riconoscenza a tutte quelle famiglie, a quelle persone che molti anni fa hanno avuto “passione” per quella “gente sperduta”. Di sicuro i loro gesti di condivisione, semplici solo in apparenza, hanno molto da dire a noi, oggi.

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Musi neri. Marcinelle, 1956-2011 centolire | 1956-2011

Nell’ Agosto scorso “Promemoria” ha partecipato a un viaggio a Marcinelle organizzato dalla Provincia di Pesaro e Urbino nell’ambito del progetto “Minerve”. Un’occasione importante per riflettere sul valore del ricordo, e per riscoprire il lavoro di chi ha costruito l’Europa di

Bois du Cazier, Marcinelle, 8 Agosto 2012. Ore 8.10. Duecentosessantadue rintocchi scandiscono i nomi delle vittime della tragedia che nel 1956 segnò indelebilmente la storia del lavoro e dell’emigrazione. L’aria è grigia, una pioggerellina fitta insiste sulle molte persone radunate nella vecchia struttura mineraria; solo più tardi il cielo si aprirà all’azzurro, per ora l’atmosfera ha ben poco di estivo. Bandiere, divise, ex minatori, vedove e orfani, autorità, pastori di ogni confessione si aggirano in silenzio, i più sono raccolti ai piedi della campana del lavoro “Mariae Mater Orphanorum”, uno dei tanti segni di fratellanza che l’Italia ha voluto inviare qui, dove quell’8 Agosto di cinquantacinque anni fa persero la vita 136 nostri connazionali. Corone, targhe commemorative, stendardi si accompagnano a tute, elmetti e lampade da minatore: la memoria ha una sua liturgia, un apparato che paradossalmente non sembra di troppo in un luogo dove a ricordare basterebbe il colore dell’aria. La campana continua la sua litania, più tardi il coro dei minatori la

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riprenderà intonando davanti al monumento ai Caduti Les corons, ballata di Pierre Bachelet (1982), quasi un inno per la gente di miniera. “Promemoria” è a Marcinelle grazie al progetto “Minerve”, finanziato con fondi europei, del quale la Provincia di Pesaro e Urbino è capofila. Tra i partner vi sono enti e istituzioni di Belgio, Lussemburgo, Polonia, Romania, impegnati a riscoprire la rete di migrazioni e migranti che nel dopoguerra ha contribuito a costruire l’Europa. In cinque giorni l’itinerario tocca alcuni tra i più importanti siti minerari del Belgio (oltre a Charleroi e Marcinelle ci saranno Mons, Beringen e Genk, a poca distanza dal confine con l’Olanda) senza dimenticare, sulle tracce dell’Europa unita, Bruxelles e Strasburgo. Sul pullman, oltre ad alcuni amministratori, vi sono studenti di diverse scuole superiori con i loro insegnanti, insieme con un un fotografo e un operatore. Dopo le storie dei minatori dei nostri paesi presentate sul numero 2 della rivista, ecco un breve racconto per immagini delle tappe salienti di questo ‘viaggio della memoria’. Ancora una volta, grazie anche da “Promemoria” all’assessore Massimo Seri, alla Provincia di Pesaro e Urbino e a tutti i compagni d’avventura per la bella - e utile - esperienza.

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Mi ricordo il canto dei minatori che arriva come un pugno nello stomaco e sembra che il cuore per un attimo si fermi... poi la commozione che si trasforma in una grande sensazione di pace.

Nadia Mollaroli, Marcinelle 8 Agosto 2011

Mi ricordo di questo momento molto emozionante quando i minatori hanno iniziato a cantare questa canzone che piaceva tanto a mia madre ...chiudevo gli occhi pensando ai Minatori morti per il lavoro e a lei morta di stanchezza, di avere allevato otto figli ...avrei voluto cantare ma non ci riuscivo, avevo paura che al posto delle parole uscissero le lacrime... sono rimasto immobile come tutti. Penso che ognuno di noi ha pensato a loro e a qualcuno di caro sparito, penso che tutti abbiamo avuto “il desiderioâ€? in questo momento di unire le nostre lacrime... in memoria dei lavoratori, gente semplice e umile!! FrĂŠdĂŠric Briaud, Marcinelle, 8 Agosto 2011

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Les Corons (1982) Au nord, c’étaient les corons La terre c’était le charbon Le ciel c’était l’horizon Les hommes des mineurs de fond Nos fenêtres donnaient sur des f ’nêtres semblables Et la pluie mouillait mon cartable Et mon père en rentrant avait les yeux si bleus Que je croyais voir le ciel bleu J’apprenais mes leçons, la joue contre son bras Je crois qu’il était fier de moi Il était généreux comme ceux du pays Et je lui dois ce que je suis Errata corrige. Sul numero 2 di “Promemoria” a causa di una svista la didascalia a pagina 58 riporta il nome di Alvaro Palazzi invece di quello di Albino Biagioli. Ce ne scusiamo con i lettori e con i proprietari della fotografia.

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Et c’était mon enfance, et elle était heureuse Dans la buée des lessiveuses Et j’avais des terrils à défaut de montagnes

D’en haut je voyais la campagne Mon père était "gueule noire" comme l’étaient ses parents Ma mère avait les cheveux blancs Ils étaient de la fosse, comme on est d’un pays Grâce à eux je sais qui je suis Y avait à la mairie le jour de la kermesse Une photo de Jean Jaures Et chaque verre de vin était un diamant rose Posé sur fond de silicose Ils parlaient de 36 et des coups de grisou Des accidents du fond du trou Ils aimaient leur métier comme on aime un pays C’est avec eux que j’ai compris parole e musica di Jean-Pierre Lang e Pierre Bachelet (Éditions A.V.R.E.P.) promemoria_numerotre


Sopra, 9 Agosto 2011, la miniera di Beringen, oggi divenuta museo. A sinistra: incontro con Rocco, ex minatore, oggi guida per i visitatori a Beringen; Massimo Seri, assessore della Provincia di Pesaro e Urbino insieme con un ex minatore, al termine del pranzo al Club dei marchigiani di Genk. Sotto: due immagini del complesso minerario de Le Grand Hornu, nella provincia di Hainaut. Alle pagine 70-71: Marcinelle, Bois du Cazier, 8 Agosto 2011. Immagini della celebrazione in ricordo della tragedia di Marcinelle del 1956 (a pagina 71, in bianco e nero). Nella pagina precedente: il complesso minerario del Bois du Cazier e, nelle foto piccole in alto, la chiesa di Marcinelle e una veduta del Bois du Cazier. Ancora nella pagina precedente: tre signore italiane emigrate in Belgio, fotografate lungo il tragitto dal Bois du Cazier alla piazza di Marcinelle, dove si è svolta la seconda parte della cerimonia dell’8 Agosto 2011 e, infine, un’immagine di Charleroi: sullo sfondo l’opera Passation, di Martin Guyaux

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Vicini a voi. Pesaro, 1875

Banca dell’A driatico

Banca & Territorio

è da sempre profondamente vicina alle esigenze del nostro territorio: la nascita e i primi anni della

Pesaro, 1925. Nella città di Pesaro 50 anni orsono gli Istituti di credito erano soltanto due: la Banca Nazionale che provvedeva ai maggiori industriali e la Cassa di Risparmio che provvedeva specialmente ai possidenti urbani e rurali. I piccoli commercianti, i piccoli industriali o artigiani, gli impiegati e gli operai dovevano necessariamente rivolgersi ai privati che spesso imponevano interessi altissimi. Era il tempo in cui Luigi Luzzatti [1841-1927, uomo politico ed economista, presidente del Consiglio tra il 1910 e il 1911 e più volte ministro del Tesoro, tra i primi assertori e fautori della necessità di una politica sociale], sceso in guerra contro tutte le usure, svolgeva in Italia un’ardentissima propaganda per la fondazione di Banche Popolari sulla base della cooperazione. E fu al fuoco di quella fiamma che un gruppo di pesaresi volenterosi, sospinti dal commendator Carlo Raffaelli 74

Banca Popolare Pesarese, fondata nel 1875

fondatore e primo direttore di questa Banca, giunse a costituirla mediante rogito del notaio E. Guidi del 16 Marzo 1875. Resa esecutiva la sua costituzione in forza del R. Decreto 28 Giugno 1875 n. 1076, la Banca apriva regolarmente gli sportelli al pubblico in quattro piccole stanzette al primo piano dell’attuale casa PadovanoViterbo in via Rossini. (...) Le difficoltà sul principio non furono poche, sia per deficienza di capitali e per le condizioni economiche della città, sia per una certa diffidenza di una parte del pubblico; ma i promotori non si perdettero d’animo e dopo pochi anni ebbero la soddisfazione di vedere l’Istituto alimentato da una discreta somma di depositi fiduciari e da una fedele e sempre più larga clientela. Dalla sua fondazione a oggi sono trascorsi quasi 50 anni, e la Banca, quantunque abbia avuto qualche perdita relativamente considerevole, e abbia attraversato periodi di crisi promemoria_numerotre


commerciali nonché gli anni pericolosi della guerra e del dopoguerra, tuttavia ha potuto non soltanto resistere ma irrobustire ed equilibrare fortemente il suo sano organismo allargando sempre più il campo della sua azione benefica, tanto da diventare uno degli elementi più preziosi per lo sviluppo dei commerci e delle industrie locali e coefficiente del progresso e dell’ampliamento della nostra città. La nostra Banca può vantarsi di aver mantenuta fede al suo carattere di istituto popolare cooperativo in ogni manifestazione sua. Tutti i commercianti e industriali della città, se nati da modeste origini, possono dichiarare di aver ricevuti i primi aiuti dalla Popolare e quasi soltanto da essa. L’Amministrazione ha avuto sempre per programma di dare il credito soprattutto a chi aveva buona moralità e volontà di lavorare e non ha avuto modo di pentirsene (La Banca Popolare Pesarese nel cinquantenario della sua fondazione, Pesaro 1925).

Sopra, dall’alto: Pesaro - Corso XI Settembre preso dalla Via Mazza ; sulla destra si intravede il palazzo sede della Banca Popolare Pesarese (cartolina, data del timbro postale: Novembre 1916; Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci) e la copertina della Relazione sul bilancio della Banca Popolare Pesarese per il 1935 (Pesaro 1936). A sinistra e nella pagina precedente: la copertina e una pagina dell’opuscolo La Banca Popolare Pesarese nel cinquantenario della sua fondazione (Pesaro 1925) promemoria_numerotre

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Vicini a voi. Notizie Vicini a voi. Notizie Vicini a voi. Salvatore Immordino, nominato nuovo direttore generale della Banca dell’Adriatico, sostituisce nell’incarico Dario Pilla. Gli amministratori dell’Unione dei Comuni del Pian del Bruscolo e la redazione di Promemoria gli porgono il benvenuto e gli auguri di buon lavoro. Il nuovo direttore - ha dichiarato Giandomenico Di Sante, presidente di Banca dell’Adriatico - punterà a rafforzare il ruolo che Banca dell’Adriatico già oggi svolge come banca del territorio della dorsale adriatica, consolidando il radicamento nelle tre regioni Marche, Abruzzo e Molise e mantenendo la stretta vicinanza alle famiglie, al mondo delle imprese, soprattutto quelle medio-piccole, agli Enti locali ed alle associazioni, forte anche degli strumenti operativi e finanziari di un grande gruppo bancario internazionale come Intesa Sanpaolo.

Invito a Palazzo Anche nel 2011 Banca dell’Adriatico - Gruppo Intesa Sanpaolo ha aderito a Invito a Palazzo, iniziativa promossa dall’ABI sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica, aprendo al pubblico il futuristico Centro Direzionale di Via Gagarin, a Pesaro. Una preziosa occasione per ammirare la collezione d’arte della quale fanno parte centotrenta opere di autori abruzzesi e marchigiani dal XVI al XX secolo, da Simone Cantarini a Giovan Francesco Guerrieri, fino a Arnaldo Pomodoro. Ospite d’onore in questa edizione di Invito a Palazzo dedicata ai centocinquant’anni dell’Italia unita il “Garibaldino” di Luigi Veroli, dipinto nel 1925 (riprodotto nella pagina seguente). La giornata del 1° Ottobre è stata aperta dall’anteprima dell’esposizione fotografico-documentaria Pesaro, 1860-1861. Fatti ed eventi dell’Unità d’Italia, organizzata da Banca dell’Adriatico in collaborazione con l’Archivio di Stato di Pesaro e Urbino e l’Archivio storico diocesano, e si è conclusa con un intenso recital incentrato sul libro Cuore di Edmondo De Amicis, raccontato da Ivana Baldassarri con letture di Lucia Ferrati e Cristian Della Chiara, accompagnato dal violino di Edoardo Brandi. Un’ulteriore testimonianza di attenzione al territorio nel quale operiamo, ha commentato il presidente di Banca dell’Adriatico Giandomenico Di Sante, sottolineando anche la funzione sociale della Banca che ha saputo nel tempo riunire, restaurare e conservare un patrimonio artistico che difficilmente, altrimenti, sarebbe giunto sino a noi. Dopo l’anteprima presso Banca dell’Adriatico, dove è stata visitata da oltre mille persone, l’esposizione è proseguita alla Galleria dei Fonditori, in un allestimento realizzato in collaborazione con Coop Adriatica.

Obiettivo Crescita, rinnovato l’accordo per lo sviluppo delle Piccole e Medie Imprese Le Piccole e Medie Imprese rappresentano la struttura portante del sistema produttivo marchigiano: per sostenerle Banca dell’Adriatico e Confindustria Pesaro e Urbino rafforzano la loro collaborazione, con un accordo che prevede un plafond di 600 milioni di euro su base regionale, stanziati dall’Istituto di credito e destinati a incrementare uno sviluppo che si può davvero definire a trecentosessanta gradi. Tre i punti più innovativi dell’accordo, presentato il 13 Dicembre 2011 nella sede di Confindustria Pesaro e Urbino, di fronte a una vasta platea di imprenditori marchigiani: la valorizzazione delle persone che lavorano in azienda con il sostegno alla formazione dei dipendenti e allo sviluppo occupazionale, gli interventi di finanza straordinaria e razionalizzazione organizzativa, i finanziamenti e la consulenza per una maggiore efficienza energetica ed eco-sostenibilità dell’azienda. Siamo al terzo rinnovo di un accordo, ha dichiarato il direttore generale di Banca dell’Adriatico, che ha dato risultati che all’inizio di questo percorso comune non era facile immaginare. Con Confindustria Pesaro Urbino oggi siamo una squadra che ha trasformato l’emergenza in occasione di crescita. Se guardiamo alla realtà di ogni singola azienda possono emergere opportunità di crescita inesplorate, nuovi mercati su cui affacciarsi, progetti da realizzare, possibili alleanze. Un punto importante dell’accordo è l’impegno per la formazione e quindi per l’occupazione. Il momento è difficile ma le nostre imprese hanno qualità e capacità imprenditoriale indiscusse e intatte e noi faremo fino in fondo la nostra parte, mettendo loro a disposizione credito, conoscenza e vicinanza. 76

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Proseguendo da solo, a piedi, entravo nel tratto finale della Gotica, in pianura... Il paese non esisteva più. Soltanto qualche muro emergeva dalle macerie sbriciolate e confuse, che formavano uno strato uniforme, compatto, coprendo tutto lo spazio dove prima c’era stata la vita, le case, i giardini, le strade. Gli inglesi avevano già aperto una deviazione nei campi ed io, seguendola mi allontanavo da quel luogo che mi era caro, perché lo conoscevo sin dall’infanzia... ma ormai tutto era cambiato e diverso. Persino i bunker in cemento armato si mostravano aperti e squarciati, qualcuno addirittura divelto e rovesciato sul fianco, forse centrati dagli aerei in picchiata, coi cannoni anneriti e contorti. ...Su quel terreno le fanterie canadesi, appoggiate dalle forze corazzate, si erano battute alla morte contro i paracadutisti tedeschi, prima di riuscire a staccarsi dalle rive del fiume. (...) Tornai di nuovo alla strada in basso, sul Foglia, quella che doveva ricondurmi a casa. Laggiù qualcuno si muoveva. Ogni tanto un autocarro passava, soffocandomi in una nube di polvere, sui lati delle squadre isolate, addette al recupero dei carri meno colpiti, si spostavano nei corridoi segnati in bianco attraverso le mine. Poi arrivarono anche dei reparti di salmerie coi muli, che gli inglesi avevano fatto venire da Cipro. Bestie col pelo sporco e poco curato, soldati con la divisa in disordine, che sembravano nomadi in viaggio, e ancora una volta sentivo una lingua che non riuscivo a comprendere. Ma ormai nessuna delle cose intorno a me mi era più familiare. Cristoforo Moscioni Negri, 1980

La bassa valle del Foglia durante il passaggio della Linea Gotica (l’immagine è il risultato di un montaggio di tre fotografie in possesso di Alberto Cudini; le fotografie provengono dall’Archivio ANPI - Pesaro)

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esercizi di memoria sulle tracce dell’Italia a cura di Cristina Ortolani

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Italiani di Pesaro. I Conti Spada La cultura di una nazione ha mille colori: dagli Eroi alle cucine, l’U nità d’I talia vista attraverso le memorie conservate da

Molte sono le tracce del Risorgimento nelle memorie di famiglia: trisavoli garibaldini con le loro camicie rosse, sciabole, medaglie e attestati del Re ai quali spetta il posto d’onore in bauli ben lucidati o tra le pagine di album dalle copertine di marocchino. Non è da tutti, però, annoverare tra i rami dell’albero genealogico due fratelli legati da vincolo d’amicizia a Massimo D’Azeglio: dall’archivio privato di Concetta Mattucci, discendente dei Conti Spada di Pesaro, vi proponiamo qualche nota su una famiglia protagonista delle vicende che portarono all’Unità d’Italia. Con D’Azeglio, negli anni 1845 e 1847 ospite glorioso i fratelli Alberico e Adolfo Spada cospirarono per la redenzione d’Italia, ricorda la lapide devotamente apposta dai cittadini di Pesaro sulla facciata del palazzo avito (Palazzo Fronzi, poi Spada) nel cinquantenario della Liberazione.

Concetta Mattucci, discendente dei Conti Spada di Pesaro

Nel 1847 segnalati dalla polizia provinciale di Pesaro per essere infaticabili nel senso della rivoluzione, Adolfo (1811-1869) e Alberico Spada (1821-1860) furono a più riprese incarcerati per la loro attività rivoluzionaria. Dopo aver combattuto nel 1848 a Vicenza, Adolfo fu tra i principali promotori dei Comitati nazionali, attività che nel 1859 gli costò l’esilio. Nel 1860 seguì l’esercito piemontese a Pesaro con il marchese Luigi Tanari, il quale, divenuto Commissario provinciale, lo nominò tra i componenti la Giunta provvisoria. Alberico partecipò alla assemblea Costituente della Repubblica romana dove votò in favore della repubblica, divenendo in seguito uno dei membri del governo provvisorio dell’Emilia Romagna. Infine, oltre a Adolfo e Alberico anche Augusto e Michelangelo Spada diedero l’opera loro alla causa della patria redenzione, come sottolinea l’opuscolo di Domenico Spadoni dal quale sono estrapolate le notizie di questa pagina (D. Spadoni, I Conti Spada nel Risorgimento italiano, Macerata 1910).

Nelle fotografie di Fausto Schiavoni: la facciata di Palazzo Fronzi poi Spada in via Branca, a Pesaro, con la lapide che ricorda Adolfo e Alberico Spada; Alberto Spada, caduto nel 1915, durante la I guerra mondiale e la targa della via a lui dedicata, nei pressi del palazzo di famiglia. Sopra, a destra: Andrea Carnevali ritratto da Giuseppe Castellani (1812-1891; il dipinto appartiene alla collezione di Gianfranco Carnevali, Urbino). Andrea Carnevali fu ucciso in combattimento a Vicenza nel 1848; il fratello di Andrea, Francesco Carnevali (prozio dell’omonimo illustratore), aveva sposato Carlotta Spada, sorella di Adolfo

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il sapore dei ricordi

Ricette d’Italia.

Costanza Porta e Luisa Spada

Tra le carte conservate da Concetta Mattucci vi sono anche i Ricettari di Costanza Porta e della nipote Luisa Spada, nonna di Concetta. Quasi centocinquant’anni di tradizioni alimentari (il quaderno di Costanza reca in copertina la data 1874), un modo per ripercorrere la storia del nostro paese e ricordare da un insolito punto di vista l’anniversario dell’Unità d’Italia. Se nelle ricette di Costanza riconosciamo parole e sapori della sua terra d’origine,Albenga, in provincia di Savona (il bonetto, una sorta di budino, i bascin, dolcetti speziati tipici della zona), scorrendo le pagine del quaderno di Luisa Spada nata Carnevali rimaniamo colpiti dalle ricette autarchiche al gusto di Vegetina Buitoni, una miscela di farine per il pane ottenuta dalla macinazione di lupini, ceci, ghiande, castagne, fagioli e piselli. In questi fogli logori, resi fragili dall’uso, la Storia

si affianca a storie minute ma tanto significative: parla di famiglia e di donne il tramandarsi della scienza culinare che si legge nel palinsesto delle grafie; alla mano di Luisa si alterna quella di sua figlia Sandra, e non meno preziose sono le ricette dell’Amedea o della Giustina, le donne di servizio (non esistevano ancora le colf, figlie del politically correct) o dell’Adele, che in casa Spada era addetta ai lavori di cucito. Del resto anche Pellegrino Artusi aveva composto un cospicuo trattato riunendo spunti ascoltati un po’ ovunque, soprattutto dalla sua cuoca Marietta Sabatini. Lo spazio basta appena per ricordare che Virginia Porta, figlia di Costanza (e bisnonna di Concetta), oltre a Luisa ebbe da Raniero Carnevali altri due figli, Ada e Francesco, quel Francesco Carnevali al quale dobbiamo tante indimenticabili pagine di fiaba, illustratore tra i più grandi d’Italia. In questa pagina: Costanza Croce Porta in una fotografia del Maggio 1860; il frontespizio e alcune pagine del suo ricettario (1874) e il Quaderno di ricette gastronomiche della nipote Luisa Carnevali Spada, iniziato negli anni Trenta del ‘900 (raccolta Concetta Mattucci, Pesaro)

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la memoria delle cose | 2

Il Garibaldino Prandoni I fratelli Prandoni custodiscono i cimeli del bisnonno

Giulio (Legnano 1833-1927), garibaldino e veterano delle guerre d’Indipendenza In questa pagina, alcuni cimeli di Giulio Prandoni e, sotto a sinistra, l’inaugurazione del Memoriale dei Mille a GenovaQuarto, nel Settembre 2010 (raccolta Famiglia Prandoni, Monza). I materiali ci sono stati segnalati da uno dei pronipoti di Giulio, Mario Prandoni, legnanese d’origine ma pesarese d’adozione. Il nome di Giulio Prandoni, come quello di molti altri partecipanti alla spedizione dei Mille, non è ancora stato registrato negli elenchi ufficiali, ma è stato segnalato al progetto Alla ricerca dei Garibaldini scomparsi, promosso dall’Archivio di Stato di Torino per far emergere dall’anonimato quella moltitudine di eroi sconosciuti provenienti da quasi tutte le regioni italiane, da molti paesi europei e anche dalle Americhe e dall’Africa, protagonisti di una epopea che solidamente ancora oggi resiste nell’immaginario collettivo. Il progetto, non ancora concluso, ha concentito di recuperare i nomi di circa 35.000 garibaldini: come i responsabili sottolineano, però, si tratta di un elenco in continua evoluzione che, pur tenendo conto del problema di una precisa individuazione delle fonti, sarà arricchito dalle segnalazioni provenienti dai cittadini (http://archiviodistatotorino.beniculturali.it/Site/index.php/it/progetti/schedatura/garibaldini).

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la memoria delle cose | 3

Il Garibaldino Cinti Anche Filippo Cinti (1832-1902), medico e farmacista, seguì Garibaldi nel nome dell’ Italia unita. Il pronipote Giuseppe Ballarini, noto artista originario di Sant’Angelo in Lizzola ci racconta la sua storia

Con la sensibilità che distingue l’intera sua opera, Giuseppe Ballarini, noto artista originario di Sant’Angelo in Lizzola, ha raccolto in un volume a tiratura limitata la storia dei suoi avi.Tra loro c’è anche Filippo Cinti, nato a Mondavio nel 1832, medico e farmacista, proprietario di una farmacia a Pesaro e successivamente a San Pietro in Calibano (Villa Fastiggi). Dalla sua unione con Zenaide Cippitelli nasceranno quattro figlie, tra le quali Dirce (1860), nonna di Giuseppe, per lunghi anni maestra nella scuola di Montecchio di Sant’Angelo in Lizzola. Ecco la sua storia, nelle parole dello stesso Giuseppe. Non ancora trentenne [Filippo Cinti] si arruola e segue il generale Garibaldi nella spedizione dei Mille con il grado di tenente medico. Si innamora, ricambiato, di Zenaide Cippitelli da Corinaldo (Ancona) [in alto a sinistra]. L’amore dei due giovani viene contrastato dal tutore di Zenaide, un sacerdote imposto dalla chiesa dopo l’avvenuta fucilazione di suo padre Francesco perché affiliato alla Giovine Italia e accusato, con altri, dell’uccisione di due prelati e di una spia infiltrata. (...) Si uniscono in matrimonio e Zenaide segue Filippo, ancora militare, prima in Sicilia e poi a Torino. (...) La famiglia, con la primogenita Dirce [in alto a destra], visse a Torino per un po’ di tempo, tanto che mia nonna parlava correttamente il francese. Filippo, congedato, si trasferisce a Pesaro. Al 31 Dicembre 1870 risulta residente in via Tebaldi 7. (...) Acquista una farmacia (ora Zongo) e per qualche anno esercita a Pesaro. Sceglie poi di vendere in Pesaro per acquistare un’altra farmacia in frazione San Pietro in Calibano e lì stabilirsi. In famiglia si diceva che così decise perché senza figli maschi a garantire la continuità dell’esercizio e (a bassa voce) perché grande amante della caccia e così più vicino alla campagna [sotto: un dettaglio della sua doppietta, fabbricata dall’armaiolo austriaco Yoh Scasuhl di Ferlach] (...) Muore in San Pietro in Calibano il 12 Novembre 1902 (Giuseppe Ballarini).

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la memoria delle cose | 4

Enrico Monti Artista e intellettuale dai mille interessi, Enrico Monti fu il primo Sindaco di Monteciccardo dopo l’ Unità d’Italia Il viaggiatore che si trovi a passare da Ginestreto a Sant’Angelo in Lizzola è inevitabilmente attratto, poco prima di arrivare nel paese dei Perticari e dei Mamiani, da un’elegante costruzione celata da una fitta siepe, che lascia intravedere una facciata dalle linee settecentesche e, poco più in là, il tetto di una chiesina.Villa Monti, che niente ha a che vedere con la Costanza figlia del poeta Vincenzo e sposa di Giulio Perticari, fu tra la fine del Settecento e i primi anni del Novecento residenza di villeggiatura della famiglia Monti, originaria di Sant’Angelo in Vado. Risparmiata dai bombardamenti della II guerra mondiale, fu donata nel 1939 ai Missionari Comboniani di Villa Baratoff di Pesaro da Emilia Monti Mazzuccato, figlia di Enrico, che ne mantenne però l’usufrutto. Negli stessi anni Villa Monti divenne rifugio della famiglia, sfollata dalla città ma costretta a una nuova partenza dall’arrivo delle truppe tedesche, che vi stabilirono la sede del loro comando. Dopo due passaggi di proprietà l’edificio è ritornato da alcuni anni nell’ambito della famiglia: ne è infatti attuale proprietario Giovanni Zaccarelli, discendente dei Monti per parte di madre.

Sindaco di Monteciccardo dal 1866 al 1873, Enrico Monti, che aveva la sua residenza di città nel Palazzo già dei Conti Leonardi (poi Scrocco), conosciuto dai pesaresi per la ‘volta della Ginevra’, fu artista e intellettuale dai mille interessi. Oltre alle cariche e alle pubblicazioni citate da Giovanni Gabucci [vedi box] il professor Zaccarelli ne ricorda la partecipazione all’esperienza della Repubblica Romana, insieme con Terenzio Mamiani. Uomo anticonformista, dalle grandi passioni e di indubbio fascino Enrico Monti fu anche valente pittore e intelligente collezionista d’arte: la pinacoteca di Villa Monti custodiva infatti numerose copie di capolavori, oltre a due Canaletto.

Sotto: Lavoro di Enrico Monti, disegno databile alla metà dell’Ottocento (Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci). Sopra: Villa Monti dalla strada di Sant’Angelo, 1947 (Id.); Villa Monti, targa con lo stemma di famiglia, a ricordo del restauro del 1911; una fotografia di Enrico Monti con sua moglie; Enrico Monti, autoritratto (raccolta privata, Pesaro)

Il cavalier Enrico Monti secondo don Giovanni Gabucci Nacque a Sant’Angelo in Vado nel 1818, figlio di Carlo, dottore in Legge e Patrizio Pesarese, e dalla Nobil Donna Gentile Clavari. Buon pittore e intelligente critico d’arte. Patrizio Pesarese e Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro. Di lui abbiamo: la descrizione pittorico-artistica dell’Imperiale nel bel volume edito nel 1881 dal Federici in collaborazione col Vaccai, Cinelli, Cardinali e Pavan, e poi stampata anche a parte; uno studio sul quadro del Giambellino già a San Francesco ora al Museo Civico; l’elogio del conte Giuseppe Mamiani; diversi opuscoli di materia amministrativa, e non pochi articoli d’arte stampati sull’Adriatico. Fu il primo Sindaco di Monteciccardo.Tenente d’Artiglieria nelle guerre d’Indipendenza 1848-1849, fu poi ufficiale della Guardia Nazionale. Ricoprì a Pesaro non poche cariche civili: vice Presidente della Società Rossiniana; Segretario della Cassa di Risparmio ecc. Morì a Rimini nel 1907, ma la sua salma fu portata a Pesaro e inumata nel Cimitero Comunale, avendo il sepolcro gentilizio nella chiesa di San Giovanni Battista dei Minori. Aveva acquistato la villa già della famiglia Briganti di Monteciccardo, incorporandovi anche la chiesina di San Francesco in suolo Lateranense, dove passò la maggior parte della sua vita la figlia Emilia Monti vedova Mazzucato (G. Gabucci, Uomini illustri - schede, “Enrico Monti”).

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pian del bruscolo da sfogliare

Terenzio Mamiani

(1799-1885)

Tra i protagonisti delle celebrazioni per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia ha finalmente trovato il giusto spazio Terenzio Mamiani Della Rovere (1799-1885), la cui figura era stata forse ingiustamente trascurata dalla storiografia degli ultimi decenni. Artefici di questa ‘riscoperta’ sono Giorgio Benelli e Antonio Brancati, che a Mamiani hanno dedicato ben tre volumi, frutto di uno studio lungo e accurato, condotto a partire dal cospicuo Fondo Mamiani conservato presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro: Divina Italia.Terenzio Mamiani della Rovere cattolico liberale e il risorgimento federalista (2004), Signor Conte… Caro Mamiani (2006) e, infine, Laicità, massoneria e senso religioso nell’ultimo Mamiani (1861-1885), uscito nel 2010. Dal lavoro dei due studiosi emerge la figura di un uomo politico a

tutto tondo, nel cui pensiero le istanze cattoliche non erano disgiunte da quelle liberali, in un momento in cui i due dati parevano antitetici, e animato da forti idealità federaliste; importanti anche gli scambi che Mamiani ebbe con i più grandi personaggi del suo tempo, primo fra tutti Cavour, a fianco del quale l’ultimo Conte di Sant’Angelo in Lizzola sedette nel Parlamento del Regno di Sardegna tra il 1856 e il 1861. I tre volumi sono editi da Il lavoro editoriale di Ancona, e si avvalgono del sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro.

Due immagini relative alla mostra Sant’Angelo in Lizzola negli anni di Terenzio Mamiani, organizzata dal Comune di Sant’Angelo in Lizzola tra il Novembre e il Dicembre scorso. In alto, nel testo, la copertina dell’ultimo volume della trilogia dedicata a Terenzio Mamiani da Giorgio Benelli e Antonio Brancati.

Centocinquant’anni di libri per ragazzi L’Associazione Hamelin di Bologna, che i cittadini di Pian del Bruscolo e della provincia di Pesaro e Urbino conoscono tra l’altro per la collaborazione alla Mostra del Libro per Ragazzi di Colbordolo, ha festeggiato i centocinquant’anni della nostra nazione con una mostra e una pubblicazione dedicate a I libri per ragazzi che hanno fatto l’Italia. Da Cuore a Pinocchio, da Giamburrasca al signor Bonaventura, arrivando a Jacovitti,Valentina Mela Verde, Munari, Rodari e Calvino - ma è davvero impossibile citarli tutti in poche righe - autori e personaggi tra i più amati rivivono nel lavoro di Hamelin sotto gli occhi del lettore, delineando un originale, coloratissimo ritratto di più di cento anni di vita del nostro paese. Discutere di libri nell’Italia unita, sottolineano gli autori, significa anche parlare di una lingua, l’italiano, condivisa all’epoca solo da una minima percentuale degli abitanti della penisola, dove l’analfabetismo toccava in quegli anni livelli elevatissimi: Proprio mentre i Mille risalgono la penisola e l’esercito sabaudo scende fino a Napoli, pochi giorni prima dell’incontro a Teano, Terenzio Mamiani emana i primi programmi della scuola italiana. Devono correggere vizi secolari, e contribuire all’unificazione linguistica e culturale con l’alfabetizzazione delle masse: gli analfabeti sono il 78%, e la comunicazione avviene solo tramite dialetti (...). La via è tracciata: l’Italia si costruisce a partire dalle nuove generazioni. E infatti, di lì a poco, altre forze contribuiranno all’impresa: Pinocchio e Cuore trasmetteranno lingua, valori e modelli di vita più di tanti interventi dall’alto. Per info e per sfogliare alcune pagine del volume: www.hamelin.net.

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Pesaro, Soria. “Ricordi di Scuola” Tra città e campagna, i ricordi Soria,

della scuola elementare di

raccolti in un opuscolo curato dagli alunni della scuola primaria

“S. Mascarucci”

Nel 2010 la Scuola primaria “S. Mascarucci” - I.C.S. “D. Alighieri” di Pesaro ha svolto, nell’ambito di un concorso bandito dal Centro sociale del quartiere Soria, una ricerca dedicata alla scuola negli anni a cavallo della II guerra mondiale. Diari, pagelle, quaderni e testimonianze hanno restituito dettagli di una Pesaro ancora incerta tra città e campagna, dove a Soria, tra mare e canneti intatti si svolgevano sul “Campo di Marte” le esercitazioni militari e sportive, mentre i carrettieri caricavano sabbia e ghiaia. Proponiamo su queste pagine alcuni brani dall’opuscolo Ricordi di scuola (Pesaro 2010), realizzato al termine della ricerca svolta dagli alunni della “Mascarucci” e segnalatoci da Paolo Pompei, insegnante in servizio nella stessa scuola, ringraziando ragazzi e insegnanti per la collaborazione. Già dagli anni Trenta del ‘900, nella scuola elementare di Soria che a quel tempo si trovava in un edificio di via Agostini, era presente una maestra che ancora oggi sono in tanti a ricordare con affetto e rispetto: parliamo della maestra Maria Pantanelli, una donna che ha dedicato tutta la vita alla scuola e ai bambini. Molto impegnata anche in parrocchia, fu una delle fondatrici della parrocchia di Soria. (...) Passata attraverso la guerra e indicibili sofferenze durante lo sfollamento narrate nel libro Piccola storia di Roberto Pantanelli, sarà proprio la maestra Maria Pantanelli la prima a riaprire la scuola elementare di Soria nel Gennaio del 1945. 86

Maria Pantanelli Cronaca dell’insegnante sulla vita della classe Pesaro, 21 Settembre 1940. Eccoli i miei novellini: tutti intorno a me come i pulcini intorno alla chioccia. Quanti occhioni vivaci e quante gambette irrequiete! La timidezza non è più la caratteristica della massa dei novellini alcuni dei quali, con aria sbarazzina e inquisitrice, perlustrano in lungo e in largo la spaziosa aula e sorridono con apparente soddisfazione ficcando le dita nel calamaio, per fortuna vuoto, e toccando i vari arredi. 15 Aprile 1943. Echi di guerra tra i banchi di scuola. Non lascio passar giorno senza rievocare atti di eroismo e di abnegazione compiuti dai combattenti di tutti i fronti e di tutte le Armi... Sprono, giornalmente, i ragazzi a schierarsi a fianco di questi prodi compiendo con maggior diligenza i piccoli doveri di figlioli e di scolari e affrontando con serenità e fierezza i sacrifici imposti nell’ora dura che attraversiamo. 6 Marzo 1945. Presentazione della mia scolaresca. Sono quasi tutti figli dei campi i miei bimbi, usciti dal nido solo per lo sfollamento e che negli occhi hanno ancora la visione delle brutte giornate passate e nelle orecchie il frastuono cupo degli scoppi di bombe e del tuono del cannone. Quanti lutti! ...Affettuosamente guardo le creaturine affidate alle mie cure e più che mai penso che per esse sarò mamma, sorella, maestra. Mi farò piccola, dimenticando le mie molte sofferenze... e m’adoprerò in tutti i modi per rendere loro la scuola piacevole e gaia. 4 Maggio 1945. Fine della guerra in Italia. Oggi, verso le dieci, per ordine Superiore, ho sospeso le lezioni per festeggiare la fine della guerra in Italia. promemoria_numerotre


9 Ottobre 1941, Anno XIX. Diario. Oggi la signorina ci ha letto una circolare.Tutte le massaie rurali devono offrire un uovo e chi può anche di più. Queste uova verranno vendute per comperare la lana per fare sciarpe, calzetti, maglie e guanti per i soldati. Io lo dirò alla mia mamma. 10 Ottobre 1941. Questa mattina la mamma non me lo à dato l’uovo, perché le galline non fetano. Mi dispiace molto che non lo posso portare.Vedo gli altri che le portano e io non ho nulla e rimango male. Nel 1941 facevo la prima e andavo a scuola a piedi da sola, dal colle San Bartolo nei pressi della Villa Imperiale fino alla scuola di Soria. La mia maestra era la Maria Pantanelli. Io avevo una gran paura lungo il tragitto da casa a scuola perché si diceva che c’era una signora che rapiva i bambini per fare il sapone. Inoltre era facile incontrare un uomo della zona che ti veniva vicino con gli occhi e i movimenti di un matto. Io non volevo più andare a scuola così che un giorno la maestra Pantanelli, accarezzandomi la testa, mi disse: “Tonina, non devi avere paura perché con te c’è sempra il tuo Angelo Custode che ti segue e ti protegge”. Poi, durante la guerra, sono sfollata a Sant’Angelo in Lizzola e lì ho ritrovata la mia maestra Pantanelli, anche essa sfollata, che mi faceva ugualmente scuola e così sono riuscita a non perdere l’anno scolastico nonostante la guerra. A destra e in alto: due pagine di A. Nobili, Prime Luci - alfabetiere figurato (illustrazioni di U. Bardi; Firenze s.d.). Nella pagina precedente: Pesaro, Monte San Bartolo - Spiaggia, cartolina datata 7 Luglio 1941 (Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci). promemoria_numerotre

Rosa Filippini, maestra d’asilo. Nonna Rosa, come veniva chiamata da tutti, nasce a Cattolica nel 1904, si sposa e si trasferisce a Pesaro ma rimane vedova a soli trent’anni e con tre figli piccoli. Dopo tanto impegno inaugura nel 1938 l’asilo di Soria. Purtroppo l’edificio, causa la guerra, nel 1944 viene distrutto dalle bombe degli Alleati. Al termine del conflitto mondiale Nonna Rosa torna a Pesaro e, dopo varie vicissitudini, riapre nuovamente una sua scuola fino a quando, ricostruito il nuovo Asilo, ne diventa direttrice, trasformandolo in un asilo modello che divenne meta di visite da parte di studiosi italiani e stranieri. Fu lei a intestare l’asilo di Soria ai tre martiri partigiani fucilati a Piazza d’Armi dai nazifascisti l’11 Maggio del 1944. (...) Morì il 10 Marzo 1993, a 89 anni.

Intorno agli anni Trenta nascono “asili” parrocchiali e laici e nel 1938 il personale di due “asili” era già dipendente comunale di ruolo. Una vera scoperta, fonte di riflessioni e nuove ricerche, è stata la documentazione lasciata da Rosa Filippini, che, rimasta vedova con tre bambini, fondò nel 1938 la scuola materna di Pesaro-Soria. I documenti sono tantissimi e attestano un’attenzione e una cultura dell’infanzia che hanno portato la scuola materna di Rosa Filippini diretta dal ‘38 al ‘48 prima con un “comitato di donne”, poi con l’UDI e nel 1948 con il Comune di Pesaro, ad avere riconoscimenti ed encomi sia a livello locale che nazionale. Il lavoro educativo di Rosa Filippini con la sua prima collega, Fausta Del Bianco, è durato fino agli anni Settanta e ci ha lasciato documentazioni e riflessioni sui metodi pedagogici interessanti e ancora attuali (“Con” - notiziario del Comune di Pesaro, n. 86, Novembre 2008).


parole nel tempo

Belvedere Fogliense

per un minuto di diretta

“Promemoria” va in tv. Come rifiutare il quarto d’ora di notorietà? Cronaca semiseria di un pomeriggio in tv, finito tra torte, proverbi e un bicchiere di visner di

Certo, al quarto d’ora di notorietà non si può rinunciare, per quanto si possa essere snob le occasioni di promozione non vanno rifiutate, gli inviti devono essere accolti; soprattutto, perché privare chi si spende in un progetto della possibilità di metterne a parte molte più persone di quante se ne potrebbero raggiungere, poniamo, con “Promemoria”? E così, un giorno di Dicembre ho accettato, con gratitudine ma non senza l’ambascia di chi con la televisione ha scarsa dimestichezza, la proposta di intervenire in diretta a una trasmissione tv nazionale. Argomenti: le memorie come spunti per progettare il futuro, le esperienze e i progetti di conservazione portati avanti in questi anni. L’autore suggerisce un collegamento via webcam dal mio studio (crossmedialità, si legge sul sito della tv romana). Sarebbe interessante avere anche una di queste persone con le quali lavorate, consiglia. Presto fatto: siamo appena usciti dalle ‘cene in famiglia’ di Belvedere Fogliense (vedi “Promemoria” n. 1), e quale occasione migliore per parlare di storie, memoria e condivisione? Con Ida Pazzini Bartolucci, nume tutelare della frazione di Tavullia arroccata tra Marche e Romagna, ci troviamo il 12 Dicembre 2011 davanti al mio pc. Col vestito della Domenica (andiamo in tv), sulla scrivania troneggia una opulenta torta di frutta e cioccolato; controlliamo che la webcam funzioni e per un’ora, tra le 15 e le 16 ci hanno detto, attendiamo il collegamento.

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Cristina Ortolani

Ore 16, tutto tace. Telefoniamo all’autore: cincischia un po’ ma solerte ci richiama dopo pochi minuti. La grande scrittrice ospite della giornata ha sforato con i tempi, e per oggi niente diretta. La televisione è feroce, ribadisce l’autore a ogni poco. Recupereremo più avanti. Il nuovo appuntamento è per il 22 Dicembre. Atmosfera natalizia, il discorso sulla memoria deve adeguarsi, e si concorda una breve chiacchierata sulle tradizioni del posto. Stavolta il collegamento si farà da Belvedere: il giorno prima sarà da effettuare una prova, per verificare la qualità dell’immagine e dell’audio via webcam. Già, perché l’idea iniziale di inviare una troupe sul posto è rapidamente sfumata: prendiamo per buono il timore della neve incombente, anche se poi si vedrà che il 22 Dicembre, un Giovedì, il cielo è terso e l’aria quasi settembrina. Tutti a casa Bartolucci - nel frattempo la redazione chiede di collegarsi con un gruppo di ‘autoctoni’ che illustrino i locali proverbi dell’Inverno, la televisione ha le sue esigenze, e oggi si parlerà di minoranze linguistiche -, la diretta si farà tra le 15.35 e le 15.45. L’efficiente tam-tam avviato da Ida raduna nella casa di via Parrocchiale un gruppetto di fedelissimi che, per testimoniare cosa significa tenere vive le tradizioni, perché dedicare del tempo a costruire un presepe o a cucinare per l’Unione di Sant’Antonio, hanno scambiato turni di lavoro, disdetto impegni famigliari; chiesto a mogli, mariti e figli, infine, di sintonizzarsi sul canale... del digitale terrestre o sul... della tv satellitare. promemoria_numerotre


Pippo e Germano provano i detti, annotati su fogli a quadretti (sotto ne riportiamo alcuni), Ida velocemente aggiunge qualche nota ai suoi appunti, Marcella e Wanda arrivano trafelate. Meno male che Italo ha la buona idea di fare un salto a casa a prendere il visner, il vino di visciole caratteristico delle nostre zone. Si rivelerà provvidenziale, e non solo per accompagnare la torta (sempre la sontuosa torta di frutta e cioccolato) ma anche per tenere allegra la compagnia, e stemperare il disappunto. Sì, perché stavolta, dopo mezz’ora di prove e venti minuti di tableau vivant davanti alla webcam (il risultato è immortalato nella foto alla pagina precedente), il collegamento si farà. Ma, dopo un’interminabile - televisivamente parlando, s’intende - digressione sulla lingua arbëreshë, parlata dalle comunità albanesi d’Italia, complice un’oggettiva difficoltà con la linea telefonica, per “Promemoria” e i suoi amici di Belvedere resta solo, avvisa il conduttore più frenetico che mai, UN MINUTO. E, visto che siamo in chiusura, dato che lei (io) è una collega (beh, non proprio), le saremmo grati se potesse raccontarci i suoi progetti in non più di un minuto. Ringrazio madre natura per la parlantina veloce, che mi è costata tanti benevoli rimproveri, finalmente però torna utile, e alla meno peggio cerco di condensare in un minuto (forse un minuto e venti secondi) la Memoteca, “Promemoria”, le “cene in famiglia” e l’ultimo nato, “Pesaromemolab”. Torna in linea l’autore: teniamoci in contatto, si raccomanda gentilissimo come al solito, e salutami tanto la signora Ida e i gli amici di Belvedere. Per noi è diventata quasi come una di casa. E aveste assaggiato la torta, aggiungiamo noi. Su una cosa, però, siamo tutti d’accordo: dobbiamo ringraziare la tv per aver consentito di trovarci intorno a un tavolo, a scambiare due chiacchiere in un pomeriggio d’Inverno, senza rimpianti per i mil- Belvedere Fogliense, 22 Dicembre 2011, a casa di Ida Pazzini Bartolucci, Nella fotografia, da le impegni urgenti che ci siamo lasciati alle spalle. sinistra: Italo Giunta, Vanda Mariotti, Germano Cecchini, Giuseppe (Pippo) Generali, Marcella Ugolini e, oltre l’arco, la padrona di casa

Proverbi da Belvedere Fogliense Da

nadel a l’an nov

/

se slonga un pas de bó

/ Da Nadel

a la

Pasquela

se

slonga un pas d’videla

Da Natale all’anno nuovo [la giornata] si allunga di un passo di bue; da Natale all’Epifania si allunga di un passo di vitella Per la Santa Candelora da l’Invern a sem de fora / S’a n’avem fat ben i cont, a sem tel mez del pont

Per la Santa Candelora [2 Febbraio] dall’Inverno siamo fuori; se non abbiamo fatto bene i conti, siamo nel mezzo del ponte Sgnor aiuta ma’ i sgnor, ch’i puret i’è abituet a fè a la mej Signore, aiuta i ricchi, ché i poveri sono abituati a fare alla meglio

inviaci anche tu i detti e i proverbi della tua tradizione: li pubblicheremo sul prossimo numero della rivista

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mi ricordo Troppi

sono i fatti e misfatti fatti incisi nella memoria, ma

Tra Proust e Perec, proseguono le nostre memorie in libertà. E tu, cosa ricordi?

fra tutti i ricordi si elevano le parole del prof. Ciolli che, insegnandoci a progettare case, ci diceva che nella vita bisogna ridere e giocare, solo così si può vivere seriamente... ho capito che ci stava insegnando a progettare la vita.

Francesca De Riso Pesaro

Mi ricordo quando a volte andavo da ragazzo a portare il latte con la bicicletta alle famiglie di Pontevecchio [Colbordolo], al mattino molto presto. Non ero abituato, perché di solito andava mio padre. A metà consegna un cane mi inseguì fino alla fine del paese, e lì sono caduto buttando via tutto il latte: le ultime tre famiglie rimasero senza, e non vi dico cosa successe una volta tornato a casa... Giovanfranco Pieri Tavullia

Ricordo che mia zia Giovanna Casoni (1893-1979) ci parlava di un suo zio che era prete a Monteciccardo. Con ogni probabilità si trattava di don Aroldo Casoni. In particolare, mia nonna ci raccontava che, nel giorno della festa del paese, si recava in visita allo zio prete accompagnata dal marito (mio nonno) Giuseppe Pompei, detto Pepén e, sorridendo, narrava che lo zio, terminata la messa e seduti a tavola per il pranzo, era solito dire a mio nonno: Oh Pepén, t’ha sentid che prediga c’a j’ò fat? T’ha vést com’ i piagneva tótti? (Oh Peppino, hai sentito che predica che ho fatto? Hai visto come piangevano, tutti?). Paolo Pompei Pesaro

invia i tuoi ricordi a info@memotecapiandelbruscolo.pu.it

o postali sulla pagina Facebook della

Memoteca

Nato da un’idea di Franco Bezziccheri, e ufficialmente costituitosi nel 2007, il coro dei “Cantori della Città Futura” ha preso parte nel 2011 a diverse iniziative organizzate in tutta la provincia di Pesaro e Urbino in occasione dei centocinquant’anni dell’Italia. Il coro, che si esibisce per finalità benefiche sostenendo diversi progetti di solidarietà, è attualmente diretto dal M° Stefano Bartolucci. Da Alessandra Guiducci, una dei componenti del Coro, riceviamo e volentieri pubblichiamo Dieci motivi per cantare in un coro, in attesa di dedicare a questa bella esperienza uno spazio più ampio su uno dei prossimi numeri della rivista. Dieci motivi per cantare in un coro 1. Per curiosità 2. Per conoscere la musica 3. Per capire la musica 4. Per amare la musica 5. Per imparare a cantare con gli altri 6. Per incontrare nuove persone 7. Per partecipare a momenti conviviali 8. Per stare bene 9. Per viaggiare 10. Per solidarietà. Tutto questo è il coro dei Cantori della Città Futura dell’Unione di Pian del Bruscolo. Perché non venite ad ascoltarci al prossimo concerto? E se dopo vorrete provare a cantare con noi, vi aspettiamo!

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hanno collaborato a questo numero Cult movies: Ninotchka di Ernst Lubitsch, a pari merito con Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock, e The pirate diVincente Minnelli. Cult books: Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio; Cristina Campo, Gli imperdonabili; Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby. Luogo: la luce della Provenza. Colori: quelli di Matisse. Si avvicina al racconto della memoria attraverso i libri di Giovannino Guareschi, le storie di fantasmi della nonna e le provocazioni del professor Arnaldo Picchi, con il quale si è laureata a Bologna, al DAMS Spettacolo, nel 1993. Del teatro (per il quale ha firmato dal 1984 al 2004 i costumi di diversi spettacoli di opera lirica) le restano scatole di campioni di tessuti d’epoca, che utilizza per comporre artworks ristina ai quali - dice - spera di dedicare la vecchiaia.Tra storia e storie ha curato una ventina di pubblicazioni, rtolani principalmente legate al territorio provinciale di Pesaro e Urbino, tra cui Pesaro, la moda e la memoria (2008 e 2009). e Il facchino della diocesi. Giovanni Gabucci (1888-1948). Ha collaborato con la Fondazione Vittorio De Sica, con saggi sui costumi nei film del grande regista. Dal 1999 scrive anche per internet, occupandosi di costume, lifestyle, teatro e cinema. Dal 1996 collabora con enti locali e privati della Provincia di Pesaro e Urbino per progetti e iniziative culturali sui temi della memoria locale; nel 2005 ha creato la Memoteca Pian del Bruscolo e ideato le cene in famiglia di Belvedere Fogliense (Tavullia). Nel 2010 ha avviato pesaromemolab - laboratorio per la memoria condivisa promosso dal Comune di Pesaro e da diverse istituzioni culturali provinciali. È nata nel 1965 a Pesaro, dove vive e lavora.

C O

Laureato in filologia greca e latina presso l’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’, ha conseguito successivamente presso la Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’ prima il diploma di conservatore di manoscritti, poi il diploma di Archivista Paleografo, quindi il diploma di Paleografia Greca presso la Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica. Presso l’Università degli Studi di Macerata ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Cultura dell’età romanobarbarica’. Vincitore di concorso per archivista di Stato ricercatore storicoscientifico, dal 1999 è nei ruoli del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Dal 1 Giugno 2009 è direttore dell’Archivio di Stato di Pesaro. de

Antonello Berardinis

Nata a Sant’Angelo in Lizzola il 17 Febbraio 1958. Laureata in Scienze Agrarie. Sposata, con una figlia. Svolge attività di libero professionista, didattica e editoriale nel settore paesaggistico, agricolo ed ambientale. Dal Giugno 2009 è assessore del Comune di Sant’Angelo in Lizzola con deleghe alla Pubblica Istruzione, Formazione, Ambiente e Agricoltura. Dal 2012 Presidente dell’Accademia Agraria di Pesaro, per Promemoria Franca Gambini ha curiosato negli archivi di questa prestigiosa istituzione, con la serie Esercitazioni Agrarie.

Franca Gambini Giornalista pubblicista, nel 1990 ha fondato la Società pesarese di studi storici, di cui è da allora presidente. È presidente della Fondazione Ente Olivieri, vicepresidente della Deputazione di storia patria per le Marche, membro dell’Accademia Raffaello di Urbino e dell’Accademia agraria di Pesaro. Ha studiato aspetti di storia politica, sociale ed economica dell’Ottocento pontificio, occupandosi di viabilità, scuole, censura, moti risorgimentali, brigantaggio, ferrovie e telegrafi.

Riccardo Paolo Uguccioni

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Sono nata quando Modugno vinse Sanremo con Nel blu dipinto di blu. Laureata in Lettere con tesi in Storia dell’arte e diplomata in Archivistica, Paleografia e Diplomatica. E così ho dichiarato subito i miei due grandi amori. In nome del primo ho partecipato all’organizzazione di alcune mostre, tra cui quelle a San Leo sul Valentino, il Seicento eccentrico (di cui son stata co-redattrice del catalogo per Giunti Editore) e Ciro Pavisa a Mombaroccio; ho redatto e schedato per il volume I Santuari nelle Marche, relazionato a convegni sulla scultura lignea; ho collaborato alla stesura dei testi per il video Medioevo nella Provincia di Pesaro. Ho curato schede sugli arredi di alcune chiese dell’urbinate e, per la De Agostini, sui Pittori marchigiani dell’800. Per l’altro amore, l’archivistica, ho anche continuato imonetta a studiare, frequentando due Master sulla Progettazione e gestione informatica dei servizi docuastianelli mentari e un corso universitario; ho riordinato gli archivi di vari Comuni e lavorato al censimento, commissionato da Regione e Soprintendenza, degli archivi ospedalieri e degli enti assistenziali della Provincia. La conoscenza degli archivi e la ri-conoscenza per la storia mi hanno messo sulla via delle mostre storicodocumentarie e della pubblicazione dei relativi contributi. Oggi lavoro come archivista del Comune di Pesaro.

S B

Sandro Tontardini

Sandro Tontardini, 61 anni, insegnante tecnico pratico in pensione, sposato con due 2 figli. Vive a Bottega di Colbordolo. Si è sempre dimostrato attento e sensibile ai problemi di carattere culturale del proprio territorio. Collabora da tempo all’organizzazione della Mostra del Libro per Ragazzi di Morciola di Colbordolo, giunta quest’anno alla XXXIV edizione. Attualmente ricopre presso l’amministrazione comunale di Colbordolo la carica di assessore alla Cultura, Promozione del territorio e Volontariato.

Walter Ugoccioni ,anni 36, appassionato di storia, si è laureato in lettere presso l’università degli studi “Carlo Bo” di Urbino . Vive a Bottega. Insegna presso la scuola media di Pian del Bruscolo.

Walter

Ugoccioni “Promemoria” - Come collaborare La collaborazione a Promemoria è aperta a tutti ed è a titolo gratuito. Gli elaborati dovranno essere originali e inediti, e dovranno riguardare tematiche d’interesse della rivista: memoria locale, memorie personali, personaggi del territorio dell’Unione Pian del Bruscolo o di zone limitrofe ecc.; per altri temi consigliamo di contattare comunque la redazione, che valuterà ogni proposta. È possibile anche segnalare persone da intervistare o storie da raccontare ai nostri collaboratori. La pubblicazione dei contributi avviene a discrezione della redazione, che si riserva di apportare tagli e/o modifiche, rispettando il senso e la sostanza dei testi. I testi inviati devono essere accompagnati da nome e cognome dell’autore, luogo e anno di nascita, recapiti (compresi cellulare e indirizzo email), professione o qualifica. Saranno valutate tuttavia le richieste di pubblicazione sotto pseudonimo. La rivista è pubblicata anche in versione digitale sul sito della Memoteca Pian del Bruscolo; alcuni contributi potranno essere pubblicati, con il relativo materiale iconografico, anche in forma di pagine del sito. Per tutti i dettagli consultare il sito www.memotecapiandelbruscolo.pu.it. o scrivere a info@memotecapiandelbruscolo.pu.it. promemoria_numerotre

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La Memoteca Pian del Bruscolo Dal 2006 la Memoteca Pian del Bruscolo percorre il territorio della provincia di Pesaro, a partire dai Comuni dell’Unione di Pian del Bruscolo, raccogliendo ricordi e testimonianze in un progetto di recupero e valorizzazione della memoria (le memorie) delle nostre comunità locali. Oltre mille persone hanno sinora partecipato alla raccolta del materiale, con fotografie dagli album di famiglia, interviste, segnalazioni di documenti di diverso genere, dalle ricette di cucina alle lettere agli elenchi dei corredi, solo per citarne alcuni: un patrimonio ricco di minute informazioni, grazie al quale la vita quotidiana tra XIX e XX secolo si intreccia con la storia, componendo un quadro sempre più preciso delle trasformazioni avvenute nel nostro territorio. Materiale che, insieme con quello proveniente da archivi comunali, parrocchiali e altri è stato utilizzato per esposizioni, pubblicazioni, filmati, proposti al pubblico in numerose occasioni. Una parte di queste testimonianze è

Questa pubblicazione è realizzata grazie al sostegno di

in collaborazione con Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche Archivio di Stato di Pesaro e Urbino

La Memoteca Pian del Bruscolo - Pubblicazioni e iniziative dal 2007 2007 > Percorso espositivo Scrigni della Memoria. Sei tappe nei cinque comuni dell’Unione, in occasione di altrettanti eventi programmati dalle amministrazioni. > Partecipazione al II Festival nazionale dell’Autobiografia Città e paesi in racconto di Anghiari (AR). 2008 > Caccia alle tracce. Collaborazione al VII Concorso letterario per piccoli scrittori: lezioni nelle 13 classi partecipanti al Concorso; visita di due classi all’Archivio Comunale di Sant’Angelo in Lizzola; esposizione fotografica-documentaria presentata alla 31a Mostra del Libro per Ragazzi di Colbordolo; realizzazione del volume Caccia alle tracce - L’album del concorso, presentato al PalaDionigi di Montecchio. 2009 > Pian del Bruscolo. Itinerari tra storia, memoria e realtà: volume di itinerari tematici intercomunali alla scoperta del territorio dell’Unione Pian del Bruscolo.

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inoltre stata catalogata secondo standard internazionali e inserita sul sito web www.memotecapiandelbruscolo. pu.it, cuore del progetto, luogo virtuale di scambio tra persone e generazioni. Al di là del valore di ricostruzione di un tessuto storico e sociale fatto di dettagli (la microstoria), va segnalato l’interesse che le ricerche della Memoteca hanno suscitato tra le persone coinvolte, portando giovani e anziani, bambini, nonni e “nuovi arrivati” a radunarsi, e non di rado a far festa, intorno ai loro luoghi, scoprendone (o ritrovandone) radici e identità. Una vivacità che caratterizza il lavoro della Memoteca sin dagli inizi e che ne è ormai divenuta la cifra. Come dice Moni Ovadia, che certo di queste cose se ne intende, la memoria è un progetto per il futuro: recuperare le radici significa per noi attingere alla memoria nella sua connotazione più vitale e meno nostalgica, così come emerge dalla quotidiana frequentazione di persone e luoghi dove usi e tradizioni di stampo antico coesistono senza troppi attriti con la contemporaneità.

2010 - 2011 > Nell’Aprile 2010 l’esperienza della Memoteca Pian del Bruscolo è stata al centro della tavola rotonda Vetera componere novis, organizzata dall’Archivio di Stato di Pesaro in occasione della XII Settimana nazionale della cultura. “Promemoria”: numero 0, presentato nel Maggio 2010; numero 1 (Novembre 2010); numero 2 (Giugno 2011). Febbraio 2011: presentazione del primo dei “Quaderni della Memoteca”: Il facchino della diocesi. Giovanni Gabucci (1888-1948). > La Memoteca ha inoltre collaborato con il Comune di Sant’Angelo in Lizzola alle prime due edizioni del Piccolo Convegno di Storia Locale (luglio 2007 e agosto 2008) e al progetto editoriale Montecchioracconta - storie e memorie di un paese lungo la strada (2007-2009); con il Comune di Monteciccardo la Memoteca ha collaborato alla realizzazione del progetto editoriale Monteciccardo, cronache, storie, ricordi (2008-2009). promemoria_numerotre


> Promemoria - periodico culturale testata registrata presso il Tribunale di Pesaro, autorizzazione n. 578 del 9 Luglio 2010 > numero tre > chiuso in redazione il 13 Gennaio 2012 > direttore responsabile Cristina Ortolani > coordinamento editoriale, immagine e grafica Cristina Ortolani > hanno collaborato a questo numero Simonetta Bastianelli, Antonello de Berardinis, Franca Gambini, Sandro Tontardini, Walter Ugoccioni, Riccardo Paolo Uguccioni > in copertina Collage di immagini tratte dagli articoli pubblicati su questo numero della rivista > informazioni memotecapiandelbruscolo.pu.it; info@memotecapiandelbruscolo.pu.it Unione dei Comuni “Pian del Bruscolo”, via Nazionale, 2 61022 Bottega di Colbordolo (PU) - tel. 0721 499077 unionepiandelbruscolo.pu.it; info@unionepiandelbruscolo.pu.it Cristina Ortolani, via Avogadro 39 - 61122 Pesaro cristina@cristinaortolanistudio.it > le immagini appaiono con l’autorizzazione degli aventi diritto > il materiale raccolto è stato inserito con la massima cura, tuttavia i responsabili della pubblicazione si scusa per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e resta a disposizione degli aventi diritto per le immagini di cui non è stato possibile rintracciare i titolari del copyright > i testi sono rilasciati sotto la licenza Creative Commons “Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0” (http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0) > la responsabilità dei contenuti dei testi è dei rispettivi autori > stampa SAT - Montecchio, Sant’Angelo in Lizzola (PU) la carta utilizzata per la stampa di Promemoria ha ottenuto la certificazione ambientale F.S.C. (Forest Stewardship Council), che identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.

> per i documenti, racconti, le fotografie, la pazienza grazie a: Archivio storico Diocesano di Pesaro; Archivio di Stato di Pesaro; Archivio di Stato di Ancona; Accademia Agraria di Pesaro; Osservatorio “L. Valerio”, Pesaro; Provincia di Pesaro e Urbino; Comune di Pesaro - Assessorato all’Urbanistica e ai Grandi Eventi; ASUR - Area Vasta n. 1, Pesaro; ANPI, Pesaro e Urbino; Associazione Marchigiana Lavoratori Emigrati, Pesaro; Associazione Marchigiani in Belgio del Limburgo; Coop Adriatica; Coro “I Cantori della Città Futura di Pian del Bruscolo”; Scuola Primaria e Scuola Media di Sant’Angelo in Lizzola - I.C.S. “Giovanni Paolo II”, Sant’Angelo in Lizzola; Scuola primaria “S. Mascarucci” - I.C.S. “D. Alighieri”, Pesaro; Liceo artistico “F. Mengaroni” di Pesaro; Liceo scientifico “G. Marconi” di Pesaro; Liceo scientifico “G. Torelli” di Fano; Ipsia “A. Volta” di Fano; Istituto Omnicomprensivo “Montefeltro” di Sassocorvaro grazie ai collaboratori della Memoteca e di Promemoria agli amministratori e al personale dell’Unione dei Comuni Pian del Bruscolo e dei Comuni di Colbordolo, Monteciccardo, Montelabbate, Sant’Angelo in Lizzola e Tavullia e a Guido Baldassarri, Pesaro; Giuseppe Ballarini, Pesaro; Ida Pazzini Bartolucci, Belvedere Fogliense - Tavullia; Furio Berardi, Bertrange (Lussemburgo); Frédéric Briaud, Urbania; Gianfranco Carnevali, Urbino; Germano Cecchini, Belvedere Fogliense - Tavullia; Marta Cecconi, Pesaro; Famiglia Ciandrini, Colbordolo; Riccardo Corbelli, Pesaro; Franco Costanzi, Saltara; don Igino Corsini, Pesaro; Raffaella Corsini e Giorgio Ortolani, Pesaro; Famiglia Crescentini Anderlini, Pesaro; Alberto Cudini, Montecchio - Sant’Angelo in Lizzola; Antonello Delle Noci, Pesaro; Francesca De Riso, Pesaro; Luciano Dolcini, Pesaro (fotografie); Gabriele Falciasecca, Pesaro; Ambra Franci, Milano; Giorgio Gambelli; Giuseppe (Pippo) Generali, Belvedere Fogliense - Tavullia; Gabriele Giorgi, Pesaro; Elio Giuliani, Pesaro; Italo Giunta, Belvedere Fogliense - Tavullia; Alessandra Guiducci e Giovanni Barberini, Monteciccardo; Glauco Mancini, Pesaro; Luigia Marcheggiani e Girolamo Signorotti, Belvedere Fogliense - Tavullia; Eleonora Mariotti Travaglini, Pesaro; Italo Mariotti, Bologna; Vanda Mariotti, Belvedere Fogliense - Tavullia; Concetta Mattucci e Fausto Schiavoni, Pesaro; Nadia Mollaroli, Serra Sant’Abbondio; Simona Ortolani e Walter Vannini, Pesaro; Sergio Panizieri, Genk (Belgio); Giovanfranco Pieri, Case Bernardi - Tavullia; Luca Pieri, Pesaro; Filippo Pinto, Pesaro; Paolo Pompei, Pesaro; Mario Prandoni e Famiglia Prandoni; Matteo Ricci, Pesaro; Clara Santin, Pesaro; Massimo Seri, Fano; Loredana Signorotti e Giancarlo Borra, Belvedere Fogliense - Tavullia; Gabriele Stroppa Nobili, Ginestreto - Pesaro; Marcella Ugolini, Belvedere Fogliense - Tavullia; Giovanni Zaccarelli, Bologna

> la Memoteca Pian del Bruscolo è un progetto realizzato con il contributo della Provincia di Pesaro e Urbino ai sensi della L.R. 4/2010 > realizzazione del portale Servizio Informativo e Statistico - Provincia di Pesaro e Urbino, progettazione della banca dati Michele Catozzi > in collaborazione con Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche - Archivio di Stato di Pesaro e Urbino; Archivio storico Diocesano di Pesaro > coordinamento organizzativo Vincenza Lilli - Unione dei Comuni Pian del Bruscolo

Memoteca Pian del Bruscolo e “Promemoria” concept+image Cristina Ortolani

Puoi partecipare al progetto inviandoci fotografie o riproduzioni di altri documenti, raccontando la storia della tua famiglia o le storie del tuo paese: per informazioni puoi rivolgerti all’Unione dei Comuni Pian del Bruscolo (tel. 0721 499077), scriverci all’indirizzo info@memotecapiandelbruscolo.pu.it o consultare il sito www.memotecapiandelbruscolo.pu.it. La Memoteca ha anche una pagina Facebook (Memoteca Pian del Bruscolo).

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finito di stampare nel Gennaio 2012 da SAT s.r.l. - Montecchio (PU)



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