Pesaro la moda e la memoria, edizione 2009

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Pesaro, la moda e la memoria

La vera creatrice della moda è la storia Alfredo Panzini

Pesaro, la moda e la memoria nuova edizione




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Pesaro, la moda e la memoria Il lavoro dei sarti 1900_1970 a cura di Cristina Ortolani nuova edizione riveduta e ampliata

CNA di Pesaro e Urbino


Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa Associazione provinciale di Pesaro e Urbino

Pesaro, la moda e la memoria - il lavoro dei sarti 1900_1970 nuova edizione riveduta e ampliata concept, ricerche e testi Cristina Ortolani progetto grafico e impaginazione Ufficio Stampa CNA Pesaro - Maria Grazia Nardini il testo su Anna Maria Lugli è di Claudio Salvi le fotografie e i documenti riprodotti appaiono con l’autorizzazione dei proprietari e degli aventi diritto; il materiale raccolto è stato inserito con la massima cura; tuttavia l’editore è a disposizione per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti; i testi di Cristina Ortolani sono rilasciati sotto la licenza Creative Commons “Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0” (http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0) in copertina: Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Defilé al Teatro “G. Rossini” (raccolta Cristina Ortolani, Pesaro); per informazioni: CNA - Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa Associazione provinciale di Pesaro e Urbino - www.cnapesaro.com - info@cnapesaro.com

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Una nuova edizione di “Pesaro, la moda e la memoria” ci sembrava un atto dovuto. Per tutti coloro che per ragioni diverse come la mancanza di informazioni dirette testimonianze e materiale erano rimasti esclusi dalla prima ricostruzione storica. Ed ancora per i tanti che non sono riusciti ad entrare in possesso della prima edizione rivelatasi un vero e proprio successo editoriale con copie andate subito esaurite nelle librerie. Era insomma nostra intenzione cercare di raccontare in maniera ancora più esaustiva rispetto alla prima edizione la storia della moda e della sartoria a Pesaro e dintorni. L’obiettivo di questa nuova opera è rimasto lo stesso del progetto iniziale: documentare una storia lunga quasi un secolo, descriverne i personaggi, le vite, i sogni, le relazioni, i luoghi. Ricostruire un percorso nel quale poter leggere le vicende ed i suoi protagonisti ma anche le trasformazioni di una società attraverso le mode, i costumi e soprattutto gli abiti. Attraverso la testimonianza diretta dei protagonisti, dei loro discendenti, dei parenti più stretti, questo secondo libro sulla moda e la memoria a Pesaro è diventato un nuovo straordinario volume illustrato sulla sartoria al quale ognuno ha portato il proprio contributo: chi spontaneamente, altri grazie al passaparola, chi dopo aver letto i nostri inviti pubblici a fornire materiale e testimonianze. Grazie ancora al lavoro certosino paziente ed appassionato di Cristina Ortolani questa nuova edizione di “Pesaro, la moda e la memoria”, è diventata così la più importante ed autorevole storia sulla moda e la sartoria a Pesaro. In queste nuove pagine ritroveremo il racconto ancor più preciso di una città, delle mode che l’hanno attraversata, di coloro che l’hanno resa ora distinta ed elegante, ora fantasiosa innovativa ed anticonformista. Di chi attraverso quegli abiti ha trasmesso, prima ancora dell’abilità, tutto il proprio gusto, la creatività: in una parola “l’anima” del proprio sentire. A tutti questi maestri del vestire, piccoli e grandi che siano stati, che hanno lavorato per anni nelle loro botteghe in silenzio, magari lontano dai grandi clamori delle passerelle, va oggi tutto l’omaggio ed il ringraziamento della CNA. In queste pagine piene di immagini e storie, che sono il frutto di un grande lavoro collettivo al quale gli stessi protagonisti hanno in grande misura contribuito, c’è il cammino di una società, la storia ed il lavoro appassionato di tante donne e uomini, delle loro famiglie, dei dipendenti, di tutti coloro che li hanno aiutati a realizzare le proprie aspirazioni. Volevamo raccontare tutto questo in un libro affinché non andasse disperso questo prezioso patrimonio e perché si continuasse a realizzare così quell’entusiasmante progetto che ci ha mosso sin dall’inizio: raccontare la sartoria, la moda ed i suoi protagonisti a Pesaro. Speriamo anche questa volta di esserci riusciti. Giorgio Aguzzi Presidente provinciale CNA

Camilla Fabbri Segretario provinciale CNA VII



Il sogno si è avverato! Quando circa quattro anni fa, nel mio ufficio in CNA a Pesaro, nacque l’idea di un progetto che potesse dare visibilità ad un settore come quello del tessile e abbigliamento, per anni pilastro dell’economia della nostra provincia, ed ora gravemente stretto nella morsa della crisi, fummo circondati da una coltre di diffidenza perché l’obiettivo che ci eravamo prefissati era visto come irraggiungibile. Ebbene sì, il sogno era quello di dare una nuova linfa e un nuovo coraggio alle aziende del sistema moda del nostro territorio, partendo dal passato, dalla rievocazione di antichi saperi, dalla riscoperta di radici lontane che hanno per anni reso le nostre maestranze, probabilmente, le migliori al mondo; e allo stesso tempo dare la possibilità agli artigiani di oggi di mostrare le loro capacità e la loro inventiva, unanimemente riconosciuta, partendo dalla consapevolezza di essere gli eredi diretti di una storia davvero importante e per certi versi unica. Da queste valutazioni nasce il progetto della CNA di Pesaro e Urbino intitolato “CNA Idee in Moda”, un progetto che da subito si è articolato in due momenti distinti, da un lato la rievocazione e la ricerca storica, che si è concretizzata con la creazione di una mostra fotografica e documentale e la pubblicazione di ben due edizioni del volume “Pesaro, la Moda e la memoria” che hanno ricordato l’ importante e meravigliosa storia della sartoria nella città di Pesaro e dintorni dal 1900 al 1970 circa, e dall’ altro le sfilate di moda in Piazza del Popolo a Pesaro, che nelle prime tre edizioni hanno visto un successo di pubblico incredibile, con una media di circa settemila presenze a serata e che hanno dato grande visibilità ai brand partecipanti. Il sogno si è avverato! Pilastro fondamentale e insostituibile per CNA nella creazione di questo progetto, in particolar modo nella riuscita della ricerca storica, la figura di Cristina Ortolani, stilista, scrittrice, ricercatrice, ma soprattutto appassionata del suo lavoro in tutte le sue molteplici sfaccettature. Grazie alle sue capacità, alla sua innata predisposizione a scovare in qualsiasi parte della città anche la più piccola “traccia” che potesse essere utile alla causa, oggi siamo in grado di presentare questa riedizione della pubblicazione “Pesaro, la Moda e la memoria” e dobbiamo soprattutto a lei, che è riuscita ad aggregare nel nostro progetto l’interesse di tantissime famiglie pesaresi, la copertura di una lacuna storica imbarazzante: fino ad oggi non esisteva nessuna pubblicazione in materia nella nostra città. Una città che invece di storia da raccontare ne aveva tanta e di grande qualità! IX


Infine un ringraziamento particolare è assolutamente dovuto ad una collega CNA che è stata con il suo lavoro davvero preziosissima e insostituibile, Maria Grazia Nardini, che ha curato tutta la grafica della pubblicazione e la sua impaginazione, rendendo possibile la realizzazione dell’ intero libro tutta all’interno dalla nostra associazione. Davvero una bella soddisfazione per la CNA! Il sogno si è avverato! Moreno Bordoni Responsabile provinciale CNA Federmoda

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La moda è la sorella preferita della memoria La sartoria, lo sanno i pochi sopravvissuti, vestiva la persona e spesso riusciva a vestire la personalità_Franca Valeri

L’artigiana che aveva cura dei nostri fianchi. L’artigiano che rimediava con imbottiture discrete e fenditure sapienti alle sviste di madre natura (cm 2 panciuto, vuoto di torace, curvo lieve). Su misura. Prima dell’avvento delle confezioni, della moda pronta diffusasi in Italia su larga scala soprattutto nel secondo dopoguerra, tutti si vestivano su misura. Nelle grandi sartorie, tra premières, mannequins e specchiere in stile veneziano o, più frequentemente nelle piccole città come la nostra, ricorrendo ad artigiani che, in genere dopo un periodo di apprendistato presso qualche sarta o sarto di nome, intraprendevano un’attività propria rivolta al paese, al quartiere o a pochi, affezionati clienti che bastavano a tirare avanti. Abiti che duravano dal padre del padre e che, rivoltati, accorciati e riadattati accompagnavano le generazioni al pari dei mobili o delle foto di famiglia. Un senso del vestire che oggi sembra essere (irrimediabilmente?) smarrito, in un ostentare malfermo o sotto gli artifici della customizzazione, che col su misura non è imparentata nemmeno alla lunga. Dopo l’esposizione fotografica - documentaria dell’estate 2007, nata nell’ambito del progetto Idee in moda, e il volume che nel 2008 ne ha raccolto i materiali, questa nuova edizione di Pesaro, la moda e la memoria si arricchisce di nuovi contenuti. Altre storie di sarti si aggiungono, mentre quelle già presentate si completano con insoliti particolari: piccole tessere che portano una diversa luce al nostro composito racconto. Come sempre accade in questi casi, la carta stampata ha sollecitato i ricordi, e in tanti si sono fatti avanti con un dettaglio, un’immagine, una precisazione. E così nel capitolo sulla Bolognese compaiono finalmente bilanci e relazioni che rivelano in pieno la dirompente personalità di questa signora della moda, cui fanno da controcanto le testimonianze delle lavoranti; così si recupera almeno la memoria di figure e produzioni che hanno segnato la storia cittadina (le tante fabbriche di fettucce, per esempio); così, infine, lo sguardo comincia a comprendere anche artigiane e artigiani che a Pesaro hanno imparato il mestiere, tornando poi nei borghi d’origine, dove hanno vissuto carriere spesso più longeve rispetto a quelle dei loro colleghi di città. Di nuovo, occorre evidenziare che si tratta di un tessuto complesso, del quale è probabilmente impossibile determinare le esatte dimensioni, e la cui ricostruzione è affidata in larga parte a XI


testimonianze orali e a materiali conservati presso raccolte private. Sarti, sarte e sartine; setaiole, tessitori e tessitrici, modiste, cappellai, per non parlare di camiciaie, asolaie, pantalonaie, ricamatrici: un esercito di artigiani dei quali restano pochi documenti, talvolta a malapena i nomi. I nomi. Più che dichiarare intenzioni di metodo, desideriamo stavolta esprimere l’originaria attitudine di questa ricerca: nel caparbio tentativo di tener traccia di un sapere artigianale, si è cercato di dar conto di tutte le segnalazioni arrivate dopo la presentazione del primo volume, anche quando si è trattato, appunto, di fissarle in poco più di un nome e una data. Una sorta di repertorio dal quale ripartire, magari volgendo lo sguardo ancora più indietro. Accogliere le storie significa anche fare spazio a diverse voci. Le pagine che seguono sono intessute di testimonianze di figli, nipoti e amici di sarte e sarti, riproposte quasi senza modifiche, così come ci sono state consegnate: una sorta di quilt, dove nei ritagli di stoffa si leggono le vite. Ancora una volta il punto di vista privilegiato è quello degli stessi artigiani, per focalizzare l’attenzione sulle modalità, sugli strumenti e sui ritmi di un operare quotidiano dal quale, nonostante la relativamente scarsa distanza cronologica, sembra separarci un tempo incolmabile. E, come in una foto destinata all’album di famiglia, ci siamo stretti un po’ per lasciare ai nuovi ospiti l’agio di sistemarsi. Se per accogliere altre voci abbiamo rinunciato alla sezione dedicata agli strumenti (a rappresentarli tutti sono rimaste le forbici), nelle pagine che seguono acquista evidenza la città, a rispecchiare la sostanza dei racconti, il cui filo rosso, è davvero il caso di dirlo, si snoda sempre attraverso vie, piazze, borghi, delineando un’ideale topografia del costume locale.

Ringrazio la CNA di Pesaro e Urbino, che con gli altri promotori del progetto mi ha dato l’opportunità di presentare al pubblico questo lavoro, nato da un’antica e tenace passione personale: grazie dunque a Camilla Fabbri e Giorgio Aguzzi, che hanno creduto nell’importanza di documentare in modo così approfondito un’attività artigianale che davvero va scomparendo. Grazie di cuore poi a Moreno Bordoni, che con passione e sensibilità ha promosso e coordinato il progetto; a Claudio Salvi dell’Ufficio stampa CNA e, in particolare, a Maria Grazia Nardini che con la consueta generosità e professionalità ha impaginato il volume. Infine, ringrazio ancora tutti coloro che hanno accettato di condividere con noi i loro ricordi e le loro storie, per la disponibilità con cui ci hanno accolto e l’entusiasmo con cui hanno contribuito a ri-tessere la trama del vestire pesarese. Cristina Ortolani XII


La vera creatrice della moda è la storia Alfredo Panzini_1930

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Avvertenza Il corsivo identifica le citazioni da documenti, fonti a stampa e testimonianze orali; tra [ ] le note dei redattori. In corsivo sono indicati anche titoli di libri, articoli e riviste, siti internet, spettacoli e manifestazioni; nelle didascalie, i titoli sono identificati dal carattere tondo. Nella datazione delle cartoline si è tenuto conto della data di edizione se disponibile; del timbro postale o, dove questo risulta illeggibile, della data apposta dal mittente. La numerazione delle note ricomincia a ogni sezione. Per le citazioni dai siti internet si è seguita la regola di indicare, ove disponibili, titolo e autore del contenuto citato, seguito dall’indirizzo url completo, dalla data e dall’ora in cui il sito è stato consultato, nell’intento di fornire il maggior numero di informazioni possibili a chi voglia documentarsi personalmente. Gli artigiani e le sartorie sono presentati in ordine cronologico, a seconda della data di inizio dell’attività. Al termine di ciascun capitolo è riportata la datazione approssimativa delle testimonianze. Poiché ogni racconto è frutto di incontri e conversazioni telefoniche ripetuti nel tempo, per non appesantire inutilmente i testi si è deciso di segnalare solo indicativamente il periodo durante il quale sono stati raccolti e precisati i ricordi dei nostri testimoni, molti dei quali hanno partecipato alla ricerca dalla primavera del 2007.


Pesaro, fine ‘800 - primi ‘900. Piazza Vittorio Emanuele (fotografia, Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci)

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E cle vest, sa v’arcordè, Quand le à cminced usè, Sa chi cerch cum i palon, Ce steva sotta ott person! (…) Dop è vnud un’antra moda: Le soten fatt sa la coda. Anca quell era poch blén Da portè tutt chel stragén!... (…) Dop useva el fioch di dria, L’era insegna dl’ostaria. Adess usa l’gonn tired; Sa i’avé ben osserved (E pó s’en credé, guardè) Quand le s’ved a caminè Sarà un palma el pass dla donna S’la ‘l fa d’più la romp la gonna! (…) L’en va tant a considrè Ch’c’è le vest dop d’arconcè Che ce vria più d’na stmena Arconcé qualca sotèna, A pulila e pó a lavela Dop c’è bsogn anca d’stirela; E pó dop fatt sta fatura La ‘n fa più la su figura, Mo sa vlé che la sotèna La s’mantenga sempre sèna A m’arcmand, non ve sforzè, Fè chel pass ch’a podé fè; En ve sucedrà più gnent E a v’podrì trovè content Fina a la mort, e fè la prova; Sempre a i’avrì la vesta nova1. Odoardo Giansanti (Pasqualon)_1886


Pesaro, primi del ‘900. Panorama (cartolina datata 7 Ottobre 1913, fotograďŹ a Alterocca, Terni; Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci)

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Pesaro_1860 - 1900 Sarti, mercanti e filatori Entro il recinto pentagonale delle Mura, la Pesaro d’allora [1849 - 1859] differiva assai poco dalla attuale [1910]. Ognuno sa che gli ampi caseggiati esterni a Porta Fano e Barriera Garibaldi onde al presente la città cresce, sono posteriori al cinquantanove; e che allora fuori Porta Fano, perduta insino la memoria del grosso borgo che nel dodicesimo secolo v’aveva fiorito, esistevano soltanto le “Vecchie Case”, presso il passaggio a livello. Di fronte al baluardo del Trebbio, Miralfiore; giù, lungo la riva sinistra del Foglia, le case del Porto povere e basse: di qui andando sino alla Rocca, la riviera disabitata, come se le mura formassero linea chiusa verso il mare. (…) Non esistevano ancora le “Barriere”... Ma non si vorrebbe piuttosto entrare nella città? La Porta Corina fu barricata con sacchi di sabbia, nei giorni ricordevoli del sessanta: la scavalcarono i bersaglieri. Si presentò al loro sguardo il Trebbio: non ridente come è ora, ma con il tetro convento dei cappuccini a sinistra, e sul loro piazzale una gran croce di legno; a destra la fila delle case meschine, stallatichi ed osterie. Anche via Branca è ora molto migliorata: alcune vecchie case, sovra cui sorse in seguito il Palazzo Lazzarini, si oltrespingevano a morderne l’accesso; egualmente rapaci le case all’altra estremità della via, presso San Domenico; qualche anno dopo riattate e portate quasi in linea retta2. Giorgio Ugolini_1910


Pesaro, seconda metà dell’800. Via Branca durante i lavori del rettifilo (fotografia, Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci)


E via Branca? - chi non rammenta d’averla sentita chiamare dal popolo, tenace nelle tradizioni: “via dei Calzolari”? - allora più storta, più sudicia, più oscura, insieme con le bottegucce dei calzolari, offriva parecchie ben fornite botteghe di cordami e di pannine (note tra esse quelle della “sora Ghita”, della “sora Nina” e del vecchio Frontali). Vetrine? Basti il lusso di qualche scaffale, dentro, e di un bancone non indecenti. (…) Vogliamo voltare per il Corso? Nell’angolo del Palazzo Comunale, ove è il negozio Bailetti, c’era un barbiere: sopra, nell’attuale Esattoria, le Scuole Elementari. All’altro angolo di via Rossini, invece della drogheria Viterbo, la bottega di novità e bigiotterie Giglioli. Ma troppo tempo richiederebbe l’enumerazione delle botteghe e dei proprietari! Basti scrivere che tutte le botteghe, anche pel Corso, poco prima del cinquantanove, si mostravano munite del famoso muricciolo: e che più piccole e più sudice, erano ivi quasi altrettante d’oggi (al principio del secolo quasi tutte le botteghe si trovavano nel Ghetto)3. Giorgio Ugolini_1910

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[Nel ducato dei Della Rovere] V’erano artefici e meccanici in buon dato; e celebratissimi divennero tra questi Bartolomeo Campi e Alessio Didi ambo pesaresi; l’uno per la sua scienza nell’architettura militare e per la costruzione di maravigliose machine semoventi; l’altro perché l’arte del tessere, assai rozza a quel tempo con bellissime invenzioni illustrò e rese più facile. Stampò il Didi un libro (non si sa bene il luogo della stampa ma verisimilmente fu in Pesaro) col titolo Opera fatta per mano di Mastro Alessio Didi Tessaro in Pesaro appartenente ai Tessari4. Camillo Marcolini_1868

Ricordo di Pesaro – La Piazzetta nel 1600 ora corso XI Settembre da un disegno del tempo di proprietà della famiglia Cinelli (cartolina, collezione Cav. Gualtiero Federici, Pesaro; Archivio Diocesano di Pesaro)

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Pesaro, 15065 Quartiere Sant’Arcangelo Benvignuto, m.ro Domenigo di Giovampietro, sarto Giovanfrancesco di Nicolò “el Vechieto”, sarto m.ro Gerolamo di Vicenzo di Arciuffa da Novilara, sarto Pascucci, m.ro Bartolomeo di Alesandro, da Ginestreto, sarto Quartiere San Giacomo Antonelli, ms Piergiorgio di m.ro Battista, sarto d.a Battista moglie di m.ro Pierpaolo da Candia, sarto d.a Gostanza moglie di m.ro Pierantonio da Ferrara, sarto Fidele. Bartolomeo di Gasparro di m.ro Giannetto, sarto m.ro Domenigo di Fedrigo di Francesco da Urbino, sarto m.ro Giovanmartino di Iacomo da Mandello, sarto m.ro Giulio di Ippolito “di Mason”, sarto m.ro Paolo di Martino veneziano, sarto m.ro Simone di Cristovano da Imola, sarto Madalena, moglie di m.ro Vincenzo di Cristovano “Bruscandola”, sarto Olivieri, m.ro Alesandro di m.ro Andrea, sarto Pasciolini, Giovanpaolo di Pierdomenigo, sarto Piccino, m.ro Battista di Berardino di Giovanni, da Gradara, sarto Quartiere San Nicola Zanobio, m.ro Giovanpaolo di m.ro Giovanbatista, sarto Cesaro e f.lli di m.ro Benedetto da Mantova, sarto m.ro Leonardo di Francesco da Ferrara, sarto della signora duchessa m.ro Orelio di Francesco da Ferrara, sarto


Pesaro, 1810_Elenco esercenti qualche ramo di trafico6 Nome, e Cognome

Specie di Qualità della trafico Fabrica Andrea Palazzoli Droghe, e Corami7 Paolo Vitali Gioje e perle Gioielliere Tele, mussoline, Antonio Politi ed altro Giuseppe Ronconi Tele, panni e lini Fabricatore Perle, e Gioje Orefice Pietro Androanti Giuseppe Ghirlanda Braccini Panni o Corami Panni, e Setarie Giacomo Cariboni Fabricatore di Tele, e setarie Venanzio Guidomei pannine Tele, e fettucce Bartolomeo Vincenti Perle, e gioje Orefice Francesco Maria Rinolfi Panni, tele e Giuseppe Giglioni setarie Chingagliere Giovanni Vanini Gioje, e Perle Orefice Celestino Barbanti Gioje, e Perle Orefice Emanuele Rossi Cappelli Andrea Romagnoli Chincagliere Biagio Nucci Telerie, e pelli Fabricatore Antonio Giorgetti Giovanni [il cognome non è Cappelli Fabricatore riportato] Seta grezza Negoziante Mariano Gallucci Droghe e Fabrica di seta Antonio Gennari Fettuccie Tele, setarie e Traficante Giuseppe Berarducci gioje Pietro Baldini Perle, e Gioje Orefice Perle, e Gioje Orefice Pietro Cecchini Gioje e Perle Orefice Antonio Togni Stanislao Cecchi Gioje e Perle Orefice

8

Numero della Casa, Nome della Bottega, o Fondo Contrada 3067 San Rocco8 401 Piazza Grande9 293

Fondachi10

290, 291 279 275 3

Fondachi Fondachi Fondachi Fondachi

6, 289

Fondachi

9 15

Fondachi Fondachi

14

Fondachi

17 19 21 22 23 25

Fondachi Fondachi Fondachi Fondachi Fondachi Fondachi

233

Fondachi

56

Loggie di Piazzetta11

59

Loggie di Piazzetta

73

Fonterossa12

74 75 2053 2031

Fonterossa Fonterossa Porta Marina13 Porta Marina


Maria Polidori Giuseppe Garbini Felice Pesaresi

Pannine e tele Gioje, e Perle Pellami

Negozio Baldini

Pellami

Fabricatore Fabrica per loro conto Giojellieri Fabrica Fettuccie Fabrica Fettuccie Fabrica per suo conto

Gioje, e Perle Seta grezza Seta grezza Seta grezza Pellami Cera, e seta Fabricatore Rafaele Severini grezza Fratelli Giovacchini Seta, ferrareccia e d’Ancona pellami Bonajuto, e Figli d’Ancona Panni e Setarie Manifatture, Salomone e Rafaelle Foligno pellami e cambi Pellami e seta David Abramo Gentilomo Gioje, e Perle Commissione David Samuele Rimini Pellami Moisè Levi Panni, e Pellami Leon Viterbo Panni, Seta e Fratelli Gentilomo Camilletti Gioje Eredi Samuele Del Bene [?] e Pellami Droghe, e Pellami Amadio Bolaffio Droghe, e Pellami Donato Beer Droghe, e Pellami, Amadio, e Jacob Fano e Canepe Droghe, e Pellami, Samuele, ed Angelo Levi e Canepe Jacob Del vecchio, e Comp. Pellami, e Droghe Panni, e Iona Levi Mussoline Droghe, e Pellami Rafaelle Sanzon Levi Sabbato Fano anche sotto la Panni, e Telerie Ditta Todeschi Negozio Scacciani Vincenzo Mosca Negozio Pistoja Giovanni Della Valle Antonio Benedetti

9

438, 439 533 2920

Strada Calzolari14 Strada Calzolari Strada de’ Matti

1595

[Ubicazione non indicata]

2582 2249 2926 108 1590

Piazza Mosca Monici15 Strada Molini16 San Carlo17 Strada Matti Pozzo dell’Antalti18, e Strada Cappuccini

[s.n.] 2314

Ghetto19

1776

Ghetto

2453

Ghetto

1828 1772 1818 1775

Ghetto Ghetto Ghetto Ghetto

457

Ghetto

2476 2495 2308

Ghetto Ghetto Ghetto

2318

Ghetto

2465

Ghetto

2293

Ghetto

2315

Ghetto

1813

Ghetto

[non indicato]

[non indicato]


Pesaro_1849, Elenco dei negozianti e commercianti20 Ajuti Domenico, Articoli diversi, singolarmente pellami con concia, e scontista Albini Raffaele, Tessuti in seta, lana e cottone Azzi Filippo, Tessuti in seta, lana e cottone Beer Israele, Seta semigrezza Berarducci Marco, Giojelliere, e negoziante di gioje Bolaffi Raffaele, Seta semigrezza, altri articoli, e scontista Bonvicini Carolina e Terenzio, Tessuti diversi Bracci Maddalena vedova Polverini, Tessuti diversi Cecchini Pietro*, Orefice, argentiere, e negoziante di sue manifatture Cividali Angelo Ditta, Seta semigrezza, altri articoli, e scontista Cividali Israele Ditta, Seta semigrezza, altri articoli, e scontista D’Ancona Moisè, Seta semigrezza e industriante Foligno Giuseppe Ditta, Seta semigrezza, altri articoli e scontista Foligno Sal. Raffaele Ditta*, Simile Pesaro, primi del ‘900. Corso XI Settembre (fotografia, Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci)

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Foligno Salomon q. Isach, Tessuti diversi Franceschelli Giuseppe, Tessuti diversi Gennari Francesco q. Antonio*, Seta semigrezza e filatore Giglioni Giuseppe*, Tessuti diversi e chincaglie Giorgetti Sante*, Pellami diversi Girometti Giuseppe, Seta semigrezza, altri articoli, scontista e spedizioniere Girometti Francesco Ditta, Generi diversi, e filatore di seta Guidarini Chiara, Tessuti diversi Lorini Pasquale, Pellami con concia Madami Terenzio, Fabbricatore di fetuccie Marcolini Giuseppe, Fabbricatore di cappelli con spaccio Mariani Domenica e Gaspare, Tessuti diversi Melchiorri Cintio, Negoziante d’articoli diversi, e filatore di seta semigrezza Melchiorri Riccardo, Tessuti diversi Mondajni Antonio, Negoziante d’articoli diversi, e filatore di seta Montebaroccio Lazzaro, Scontista, e seta semigrezza Moretti Mariano, Negoziante d’articoli diversi, e filatore di seta semigrezza Mosca Vincenzo*, Fabbricatore di fetuccie Padovani Giacobbe, Scontista, e negoziante di seta Paoloni Sabbatino, Tessuti diversi Paolucci Rosa, Tessuti diversi Perotti Raffaele e Francesco, Fabbricatori di fetuccie Piccini Ubaldo, Pellami con concia Piva Vittoria, Tessuti diversi Politi Antonio Ditta*, Tessuti diversi Rapous Cesare, Cappelli di felpa e feltro Riffelli Maria, Tessuti diversi Rinolfi Raffaele, Gioje, ori ed argenti Scacciani Fratelli Ditta, Gioje, e legnami da costruzione Sponza Giovanni, Legname di abeto, e seta semigrezza Sponza Nicola, Legname di abeto, e seta semigrezza Tamburini Carolina, Tessuti diversi in seta Tommassini Antonio, Gioje, ori e argenti Viterbo David Ditta, Seta semigrezza, altri articoli e scontista 11


Per quanto riguarda Commercio, Industrie, Manifatture, Arti e Mestieri, oltre l’Elenco delle condizioni e professioni cui si applicano individualmente gli abitanti di questa Città e territorio, che solo può porgerne vera e reale cognizione… faremo speciale menzione dei principali stabilimenti che vi esistono. Essi sono Varie Filande da seta che costituiscono 400 fornelli de quali metà a vapore e da cui si ha un prodotto in Seta di Kil. 6,000 ogn’anno; Quattro opificj di Conciapelli dell’annua produzione media di Kil. 33,000. (…) Dodici fabbriche a telaj di Cordelle, Fettuccie e Passamani sì in seta che in bavella e in cotone21. Guida di Pesaro per Annesio Nobili_1864

Pesaro, primi del ‘900. Via G. Rossini (fotografia, Archivio Diocesano di Pesaro; Fondo Giovanni Gabucci)

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Pesaro, 1864_Elenco delle condizioni e professioni degli abitanti la cittĂ e il territorio22 Mestiere

Berrettai

Maschi

Femmine 2

Calzettaie

Totale 2

4

21

21

Calzolai

278

278

Cappellai

20

20

2

2

15

15

7

7

Chincaglieri Ciabattini Conciatori di Lana Conciatori di bavella

3

3

180

180

27

28

Filatrici

177

177

Lavandaje

108

108

31

31

Cucitrici Fettucciai

1

Modiste Ombrellai

2

2

44

44

5

5

Ricamatrici

21

21

Sarti e Sarte

73

OreďŹ ci Orologiai

292

365

Setajuole

284

284

Stiratrici

15

15

2

15

Tintori

13

13


Pesaro, primi del ‘900. Piazza Grande e Piazza Mamiani (fotograďŹ a, Archivio Diocesano di Pesaro; Fondo Giovanni Gabucci)

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Pesaro, 1881 In tutta la provincia [vi sono] 12 fabbriche di cappelli... L’unica industria di materie animali che si mantiene in fiore è quella della seta23. Sono 37, fra piccole e grandi, le filande esistenti nella provincia, alcune delle quali, in Pesaro, Fano, Fossombrone e Urbino, di notevole importanza e tenute coi migliori sistemi. Vi lavorano per buona parte dell’anno non meno di 1.442 operai; e di questi 155 sono uomini, 1.000 donne e 287 fanciulli. Il loro prodotto totale è di lire 1.221.262; e da esso togliendo il valore delle materie prime ch’è di lire 996.980, la spesa della mano d’opera in lire 106.580, e le altre spese per interessi diversi, rimane l’utile netto di lire 71.510 e la media di lire 15,38 per ogni 100 lire di capitale impiegato. (...) Un’industria nascente nella provincia è quella del seme di bachi preparato col sistema Cantoni-Pasteur... ora molto in voga. Due sole ditte, una di Fossombrone, l’altra di Pesaro, esitano una buona quantità di seme scelto col microscopio... La spesa totale è di lire 55.162 e l’utile netto di lire 29.838; in ragione di lire 54,09 per ogni 100 lire del capitale impiegato24. (...) Fra le 24 fabbriche di fettucce, una sola può dirsi vero e grandioso stabilimento industriale, fondato da poco tempo in Pesaro dal signor Hoz a Porta Rimini coll’applicazione dei migliori sistemi economici. Vi è pure annessa una tintoria. Il Municipio ha dato all’intelligente e coraggioso fabbricante ogni maniera di facilitazioni per l’apprestamento del locale costituito con tutte le regole dell’arte ed in forma elegante. Queste facilitazioni e il tenue costo della mano d’opera assicurano allo stabilimento una vita rigogliosa. Il valore dei prodotti che oggidì si ottengono da tutte le fabbriche di fettucce è di circa lire 200.000; vi lavorano, pressoché continuamente, 238 operai, per lo più donne; la mano d’opera costa lire 126,390, e l’utile netto si fa ascendere a lire 35.050; ed in media lire 22,06 per ogni 100 lire del capitale impegnato25. Giacinto Scelsi_1881

Pesaro, 1883 Per quanto riguarda l’industria ed il Commercio daremo un cenno statistico dei principali Stabilimenti industriali dai quali si potrà fare un’idea di ciò che produce il paese, e quali sono i prodotti che, in ragione della loro quantità, possono essere esportati. Vi sono: BACHI - Uno stabilimento a confezione di seme bachi che con 40 operaj dà un prodotto di 2.000 oncie in media. FILANDE - Sei filande a vapore e 11 a fuoco diretto: le prime in tutto contano 281 bacinelle, lavorano da 6 a 8 mesi circa nell’anno, impiegando 850 operaje e producendo annualmente chili 9.000 di seta. Le seconde hanno 62 bacinelle, lavorano circa 4 mesi e con 170 operaje, producono chili 1.800 circa di seta. HOZ OTTONE - Sedici fabbriche di fetucce che vengono tutte ecclissate o quasi da quella del sig. Hoz Ottone che impiega tutto l’anno in

quest’industria 160 operaje, producendone 40.000.000 di metri all’anno, giusto il nastro che ci vorrebbe per cingere la terra all’equatore. Lo stesso Sig. Hoz tiene nel suo vasto e magnifico Stabilimento una tintoria a vapore con 50 operai26. Giuliano Vanzolini_1883 15


Pesaro, 1883 - 1884_ Filande a vapore27

Filanda

n° bacinelle

Cecchi Agostino Fratelli Giovanelli Eredi Spinaci

34 32

Testenoire e Palluat

72

Valazzi Luigi

36

n° operai nel 1883

n° operai nel 1884

110 (105 femmine, 3 maschi e 2 fanciulli) 110 (107 femmine e 3 maschi) 100 (95 femmine, 2 maschi e 3 fanciulli) 191 (160 femmine, 6 200 maschi e 25 fanciulli) 82 (80 femmine e 2 107 maschi)

Produzione media annuale in kg (1883)

1.600 850 750 2.400 1.400

Pesaro, 1883 - 1884_ Filande a fuoco diretto Filanda Bonetti Matilde Brunelli Luigi Bruscoli Ercole [la filanda risulta chiusa nel 1886] Cartoceti Giocondo

n° bacinelle n° operai nel 1883 2 6

6 15

4

9

3

7

Cinotti Giuseppe

14

Guidi Filomena Marini Andrea Mariotti Marianna Massacesi Eredi Mini Giuseppe Pagnoni Terenzio Roberti Terenzio Sponza Melchiorre Terenzi Domenico

9 4 8 3 4 8 6 63 4

n° operai nel 1884 7 (6 femmine e 1 fanciullo) 17 (16 femmine e 1 fanciullo)

Produzione media annuale in kg (1883) 200 60 90

42 tutte femmine (44 nel 1885: 42 femmine e 2 fanciulli)

44

11 10 19 7 10 19 (17 femmine e 2 fanciulli) 15 (13 femmine e 2 fanciulli) 190 (182 femmine, 4 maschi, 4 fanciulli) 14

16

800 150 30 200 300 3.600 170


Pesaro, 1883 – 1884_ Fabbriche di fettucce Industria Della Costanza Raffaele, fabbrica fetuccie (sic) con 10 telai e, dal 1884, anche tintoria Fabbri Secondo, fabbrica fetuccie con 6 telai Gennari Raffaele, fabbrica fetuccie con 8 telai e, dal 1884, anche tintoria Hoz Ottone, fabbrica fetuccie con 126 telai e tintoria Tamburini Raffaele, fabbrica fetuccie

n° operai nel 1884 Produzione media annuale in kg (1883) 16 (13 femmine per la fabbrica di fettucce; 3 maschi 500 per la tintoria) 10 (7 femmine e 3 fanciulli) 14 (10 femmine; 4 maschi per la tintoria) 135 (124 femmine, 8 maschi, 3 fanciulli per la fabbrica di fettucce; 40 per la tintoria) 18

500 500 40.000 2.000

Confronto delle mercedi giornaliere corrisposte agli operai nel 1860 e nel 188028

Sarti Cappellai Calzolai OreďŹ ci Conciapelli Canepini Filandieri

1860

1880

1,25 (Fano e Urbino: 1,75) 1,50 (Urbino: id; Fano 1,75) 1,25 (Fano: 1,00; Urbino: 1,50) 1,30 (Fano: 1,10) 1,25 1,30 (Fano: id) 0,65 (Fano: 0,80; Fossombrone: 0,80; Mondolfo: 1,00)

1,50 (Fano e Urbino: 2,00) 2,00 (Fano e Urbino: id) 1,50 (Fano id; Urbino: 1,75) 1,50 (Fano: id) 1,50 1,60 (Fano: 1,50; Urbino: 1,75) 0,90 (Fano: 0,80; Fossombrone: 0,90; Mondolfo: 1,00)

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Pesaro, primi del ‘900. Viale Margherita; sulla destra, lungo le mura, la filanda Torre (cartolina datata 13 Settembre 1904, Ed. Tip. A. Nobili, Pesaro; Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci). Nella pagina successiva: Pesaro, primi del ‘900. Porto e via Doria (cartolina datata 1901, ed. O. Semprucci, Pesaro; Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci)

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Pesaro_1860 - 1900 Setaiole, sartine, modiste

Le setaiole Orario invernale dalle ore 4 e 1⁄4 fino alle 18 con soltanto un’ora di intervallo a mezzodì per mangiare pane con cipolla o grugni, allattare i bimbi che venivano a quell’ora portati. Lavoro duro, con mani sempre a bagno nell’acqua bollente della bacinella per le seguenti paghe: operaia lire 0,40 al giorno; sotira: lire 0,50; maestra, lire 0,60. Per tale paga le operaie, che erano in maggioranza del porto, venivano anche da fuori (da Saltara, Gallo ecc.) il lunedì mattina a piedi, portando un sacchetto di pane per tutta la settimana; pagavano a Pesaro due soldi ogni notte un giaciglio. La nostra casa a Porta Rimini confinava con la Filanda Torre (detto il Francese); io ero a volte svegliato alle 4 dalla sirena che chiamava a lungo le operaie, e le conoscevo e le vedevo ogni giorno a frotte. Non esistevano sale di riunioni per le operaie, spogliatoi ecc.; scendevano a mangiare per la strada e sull’ingresso29. Giorgio Ugolini_1910

Al temp di bocc’le d’la seta [1920 - ‘30] c’era i cuntadéin ch’i ariveva giò a Pesre par vendje, acsé, e po’ i giva a to’ la saragheina in Pescheria, i la fèva côcia da Muscôn davanti alla Pescheria30. Maria Orselli_1960


L’arte di cavar la seta_1776 Nicola Stampatori, e Francesco Muccioli prima della metà del prossimo mese di Marzo dovranno partire da Pesaro per la via di mare, e conducendo seco le loro rispettive Mogli, e tre figliole femine dovranno, sbarcati in Trieste senza il minimo ritardo ad ogni richiesta del Signor Paolo Tiburzi negoziante di quel Porto; portarsi in Illok Città situata in Sirmio posta nel Regno di Schiavonia spettante a Sua Altezza il Sig. Duca Livio Odescalco per ivi abitare, ed insegnare agli abitanti di quella Città, ed a’ sudditi di detto Sig. Duca l’arte di cavar la seta, custodire, e far stagionare li bozzi, portando con loro le mostre opportune per far le caldare, li naspi, il seme da comprarsi però a spese dell’Altezza Serenissima, e tutto ciò che è necessario per tirare li vermi da seta alla perfezione del bozzo secondo l’arte. All’incontro in compenso somministrerà l’Altezza Serenissima a detti Cavatori di seta scudi trenta, cioè scudi 15 a Nicola Stampatori, et 15 a Francesco Muccioli per arra da scomputarsi colle mesate in contanti, che si esprimeranno in appresso alla ragione della metà per qualsivoglia mese, quando ne restino compensate con le spese del viaggio, che dovranno pagarsi interamente dal Sig. Duca suddetto. Ai detti cavatori si concederà da Sua Altezza in Illok il comodo dell’abitazione senza pagamento d’affitto, e tra tutti di farà loro la parte di grano, e vino alla ragione di boccali quattro al giorno e di coppe tre grano al mese misura di Pesaro per tutto il tempo, che si tratterranno nel ducato, e dominio spettante al suddetto Sig. Duca Livio II. Né mesi poi d’Aprile e, Maggio, e Giugno tanto agli uomini quanto alle donne si pagherà dalla Cassa ducale un paolo al giorno, o siano karantani tredici moneta di Sirmio, sessanta de’ quali formano un fiorino in oro con obligo però, che debbano tutte le dette persone tanto uomini, che donne, lavorare circa li vermi da seta per quanto v’estende la loro possibilità, ed insegnare a quei che stanno vicino a Mori gelsi l’arte di custodire li vermi, e tutt’altro, che sarà necessario per servigio dell’ Altezza Serenissima, che s’intende obligata di dare il comodo del cavallo quando li detti uomini dovranno andare in luoghi lontani dalla casa della loro abitazione per insegnare l’arte suddetta, ne’ mesi poi di Luglio, ed Agosto si pagherà alle donne solamente paoli due al giorno a testa. O siano karantani 24 per ciascheduna con obligo di far ardere una, o due, e anche più caldare di seta a piacimento di detto Sig. Duca con cavare la seta ad uso d’arte, e colla maniera più perfetta, che potrà loro riuscire, perché così sia e nient’altro sia, e negli altri mesi poi dell’anno si darà loro il comodo suddetto d’abitazione, e parte di grano, e vino senz’altra mesate, e tutto ciò per quel tempo, che si tratterranno in Illok, e nel dominio dell’Altezza Serenissima. Se mai poi, per qualsisia causa ancorché qui non espressa, e che fosse necessaria ad esprimersi non potesse riuscire d’introdurre nel dominio dell’A.S. l’arte di cavare la seta, custodire li vermi, e perfezionare li bozzi, purché non sia per fatto, o colpa di detti cavatori, e Cavatrici allora, ed in tal caso questi con tutta la loro robba, e bisognevole dovranno esser ricondotti a Pesaro a tutte e singole spese anche di cibarie del medesimo Sig. Duca31. Duca Livio Odescalco_1766

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La lavorazione della seta a Sant’Angelo in Lizzola Usciti di chiesa e proseguendo sino in fondo alla via, venti anni fa saremmo stati fermati dal canto delle filandaje che lavoravano con passione i bozzoli acquistati sul locale mercato serico allora molto fiorente. La filanda era gestita da tre proprietari di ideali diversi che il popolo aveva ribattezzati col nome di Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ora al posto della filanda è stato aperto nel 1942 l’Asilo infantile con annessa scuola di lavoro e doposcuola sotto la direzione delle benemerite Maestre Pie dell’Addolorata; ed il locale accoglie provvisoriamente anche le scuole elementari, in attesa che venga definitivamente sistemato il nuovo edificio Scolastico dedicato a Branca, posto fra la piazza Perticari ed il viale Dante Alighieri32. Giovanni Gabucci_1948

Sant’Angelo in Lizzola, 1927. Operaie della locale filanda (raccolta Associazione culturale “G. Branca”, Sant’Angelo in Lizzola)

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Nel Maggio 1903 il Comune di Sant’Angelo in Lizzola (2003 abitanti nel 1900) decide di istituire un proprio mercato serico: già dal 1883 i registri della Camera di Commercio di Pesaro segnalano nel Comune due stabilimenti bacologici, quello di Luigi Marcolini e quello di Giovan Battista Sallua. Presso lo stabilimento Marcolini sono impiegati 10 operai, e la produzione annua corrisponde a un valore di 2.880 lire; lo stabilimento Sallua, che risulta fondato nel 1874, conta 15 operai, con una produzione annua pari a un valore di lire 4.032. In quegli anni figurano nell’elenco degli Utenti Pesi e Misure anche un sarto, Giuseppe Sora, e due tintori, Giuseppe Guidi e Napoleone Giovagnoli33. Nel 1907 la Statistica dei prodotti agricoli e bestiame - Camera di Commercio ed arti in Pesaro (Marzo 1908) registra per il Comune di S.Angelo la produzione di 90,18 quintali di bozzoli (pari a 414 lire); nel 1930, secondo i dati del censimento agricolo, la produzione complessiva dei bachi da seta è di 5.165 kg (peso complessivo dei bozzoli freschi). Il 7 Maggio 1926 i Registri delle delibere consigliari riportano una Domanda per la costruzione di un padiglione per mercato serico: Considerato che il mercato serico, il quale si svolge da tempo assai remoto in questo paese e ha assunto uno sviluppo notevolissimo, tanto che dal diritto di pesa dei bozzoli il Comune ritrae annualmente un gettito di lire 3.000, minaccia di declinare perché il Comune non ha un luogo coperto ove possa essere tenuto, di guisa che nei giorni di poca buona stagione i venditori, piuttosto di correre il rischio di perdere il loro prodotto, si recano a Pesaro; riconosciuto essere indispensabile - in primo luogo per non perdere i notevoli, e assai sensibili vantaggi che ritraggono il Comune e il Paese e in secondo luogo per assecondare le due fiorenti industrie della filatura della seta e produzione del seme bachi esistenti in questo Capoluogo - costruire un apposito padiglione per il mercato serico, affinché questo non si debba svolgere più all’aperto lungo la via principale del paese e sia evitato l’esodo dei venditori e lo sconcio di vedere, nei giorni di pioggia improvvisa, mercanti e merci riparare in Chiesa; visto il progetto di massima redatto da un tecnico incaricato, dal quale si desume che la spesa che importerà al Comune... sarà di lire 40.000 [il Consiglio Comunale] ...delibera in via di massima di costruire nel Capoluogo un padiglione per il mercato serico. 22


Più di un anno dopo, il 17 Settembre 1927, il Consiglio delibera di chiedere al prefetto l’autorizzazione a cominciare i lavori in economia data l’urgenza di iniziare i lavori per combattere la disoccupazione, mentre da una delibera del 1 Dicembre 1927 si ricava che i costi per la costruzione del padiglione sono saliti a 47.000 lire. Il 27 Luglio 1930, tra le note liquidate dal Comune compare anche la voce Compenso agli incaricati del servizio per il mercato serico: ...nel passato mese di Giugno durante il mercato serico prestarono servizio le seguenti persone 1 - N.C. contabile; 2 - S.L. Pesatore; 3 - D.V.D. pesatore; 4 - C.D. registratore; 5 - G.E. sorvegliante; ...Il servizio quest’anno fu più importante [dell’anno scorso] perché si sono incassate a beneficio del Comune L. 2.376,50 mentre l’anno scorso si riscossero L. 2.089,80, e malgrado la differenza il Commissario concede lo stesso compenso e cioè 1 - N.C. contabile L. 200; 2 - S.L. Pesatore 80; 3 - D.V.D. pesatore 80; 4 - C.D. registratore 80; 5 - G.E. sorvegliante 30. Il 30 Luglio 1931 le delibere riportano ancora i compensi per gli incaricati del mercato serico, dove nel 1931 furono venduti e comprati 6.187,800 chilogrammi di bozzoli con un beneficio per la Cassa comunale di Lire 1.237,55 per diritti di pesatura. L’ultimo riferimento al mercato serico nei registri delle delibere consigliari, infine, è del 1 Ottobre 1931, quando sono liquidate a C.G. 10 lire per stoffa bandiera mercato serico34. Tra il 1903 e il 1906, e in misura minore anche negli anni successivi, numerose operaie della filanda di Sant’Angelo in Lizzola emigrarono per il sud della Francia, dove trovarono impiego presso la manifattura di seta Franquebalme, a Villedieu, vicino ad Avignone.

In alto a destra: Sant’Angelo in Lizzola, Mercato serico, bollettino relativo al periodo 18 Giugno - 2 Luglio 1906 (Archivio Comunale di Sant’Angelo in Lizzola); in basso: Avignone, Francia, primi del ‘900. La filanda Franquebalme a Villedieu (cartolina, raccolta privata; Pesaro). Nella pagina precedente: carta intestata dello Stabilimento bacologico Sallua (Archivio Comunale di Sant’Angelo in Lizzola)

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Un uomo dall’apparente età di oltre 40 anni, di bassa statura e giusta corporatura, con capelli castagni, ciglia, occhi e barba simili e fronte bassa, naso grosso, bocca media, mento ovale, colorito biancastro; vestito con cappello di feltro nero in testa, tabarro di pellone35 verde, camicia di tela casareccia, corpetto di cambrie36 colorato, giacchetta di mezzalana colore olivastro, pantaloni di cottonina color piombino rigati, calzetti alle gambe di lana bianca e scarponcelli ai piedi di vitello nero con lacci…37 Vestito con corpetto di lana, sottana di rigatino turchino e bianco, camicia di canapa e con calzette nei piedi di filo bianco38.

L’allevamento [del baco da seta] di rado si fa nelle bigattiere, e quasi sempre nelle case coloniche e in molte case di città; anche i braccianti di campagna allevano per solito il baco. (…) Il vestiario in generale è di rascia, lana e filo di canapa, per l’inverno, e di rigatino, tutto filo, per l’estate, tessuti per lo più dalle donne di casa (...) Le biancherie sono o di filo di canapa, o di cotone secondo che vennero o tessute in casa o acquistate al mercato. La qualità può ritenersi per buona; ma e per la poca frequenza onde vengono mutate, e per la nessuna cura onde vengono rammendate e imbiancate si rendono presto tutt’altro che igieniche39.

Inchiesta Jacini_1877-1882

Nella pagina successiva e a pagina 27: Montelevecchie (Belvedere Fogliense) - Tavullia, primi anni Venti del ‘900. La Batôca e Pian Pian (Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci; con ogni probabilità le fotografie sono state scattate dallo stesso Gabucci durante uno dei suoi soggiorni in paese)

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Ricordo altresì che i coloni non portavano vestiti decenti tranne che in occasione delle feste, le quali consistevano unicamente nelle festività religiose. Questi vestiti erano di tessuti ordinari cioè di cotonina (rigatino) nell’estate; e di fustagno nell’inverno. Erano stati tessuti in casa al telaio; al pari della biancheria e delle coperte, delle calze e delle maglie, roba tutta tessuta in casa e duratura. I contadini e i braccianti non portavano scarpe; quando sul finire dell’Ottocento incominciarono ad adottare le scarpe io, che abitavo sopra Porta Rimini all’ingresso della città, li vedevo qui fermarsi e mettersi le scarpe; e all’uscita cavarsele. Praticavano questo per economia e per agio al piede non uso ad esse. Anche le scarpe e i più frequenti sandali per la neve venivano confezionati nella casa colonica dal ciabattino di casa che vi faceva una sosta annuale. Ricordo tutti i vecchi coloni maschi dei nostri monti portare alle orecchie leggeri cerchietti d’oro alla moda settecentesca. Ricordo che quando convittore nel collegio Massaioli di Sassocorvaro io recitai in quel teatrino, ebbi in prestito da un vecchio contadino che anch’egli portava gli orecchini d’oro, un vestito settecentesco di velluto pesante celeste con i calzoni corti. Egli mi narrava di averlo indossato in gioventù in tutte le festività e che quello era il vestito buono del nonno e poi del padre. Diceva lui: “i panni devono durare dal padre del padre”. E pareva persuaso che una stoffa la quale non “durasse” in uso da almeno cinquanta o sessant’anni, e non durasse attraverso parecchi successivi proprietari, non fosse da acquistarsi. Non prevedeva il raion40. 25

Giorgio Ugolini_1910 - 1942


Dalla Nota dei panni di lana, lino, seta, biancherie, ori e perle il tutto dato in dote a T. figlia di G. e S. coniugi B., maritata con L. C. di Calibano_184441 Camicie n. 9 padovane Altre due camicie use Una veste di rascia42 color caffè Una veste di rascia color torchino con guarnigione di velluto Una veste di rascia verdone usa Una veste di rascia verde con guarnigione di velluto Una veste di bavella43 color torchino Una veste bavellona usa Una veste cambrino44 fiorata usa Una veste cambrino rigata con fiori diversi usa Una veste bianca mossola [mussola] con guarnigione ed altro sottanino Una veste tela indiana fiorata torchino usa Altra veste simile con fiori diversi fondo torchino usa

Una sottana cotonina rigata torchino con corpetto usa 2 zinali rigatino nuovi 2 sottane rigatino Una veste rigatino torchino Zinali diversi, due cambrino, uno cotonina 2 scialli uno di lana e l’altro cottone Un fazzoletto di tullo Un fazzoletto da testa ricamato bianco Un busto Calzette n. 4 paia, due bianche e due torchino 2 paia scarpe La sposa vestita Un collo perle di file n. 8 Un paia pendenti d’oro Una verga di diamanti, con anello contornato simile e verga d’oro Un filo coralli Un paia pendenti di corallo Un paia cerchietti

Dalla Stima del corredo di G. A._193445 2 maglie di lana Un abito usato Uno spolverino usato 4 sottovesti bianche Un sinalone46 nero 12 fazzoletti 8 paia di mutande 16 camicie da giorno 2 da notte Un fazzoletto da testa

Un vestito da sposa Un paio di scarpe da sposa Un paio di ciavattine per casa 2 scialline 2 sottovesti a malia [sic] Una malia per sopra

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Diceva lui: “i panni devono durare dal padre del padre�

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La storia mia è breve. A tela o a seta ricamo in casa e fuori... Son tranquilla e lieta ed è mio svago far gigli e rose. Mi piaccion quelle cose che han sì dolce malìa, che parlano d’amor, di primavere, di sogni e di chimere, quelle cose che han nome poesia...47 La bohème_1896

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Monteciccardo, 1910 circa. Speranza Palazzi Pretelli con i ďŹ gli Marietta e Federico (raccolta Gabriele Bonazzoli, Monteciccardo). Nella pagina precedente: Sant’Angelo in Lizzola, 12 marzo1922. Scuola di lavori femminili (fotograďŹ a Bertozzi, Pesaro; raccolta Gabriella Giampaoli, Pesaro)

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Il corredo di Cesira Barbanti_191248 Letto completo / materassi, imbottita, lenzuoli, coperta bianca, 4 guanciali, federe, 2 piumini L. 300,00 Lenzuoli, paia 7 a L. 20 L. 140,00 Coperta bianca 13,00 L. Sotto - coperta L. 7,50 Sotto - coperta di lana L. 20,00 Federe di cotonina n. 12 a L. 18; n. 10 mussola L. 25 L. 43,00 Asciugamani comperi 4 L. 8; di casa 18 L. 36 L. 44,00 Camicie da notte n. 7 L. 35, giorno fine 6 L. 60; giorno grosse 7 L. 28; giorno grosse 17 L. 51 L. 174,00 Mutande di mussolo [mussola] 6 L. 30; bianche e colorate 8 L. 24 L. 54,00 Busti, 3 L. 15,00 Maglie di lana colorata 2 L. 4,00 Sottovesti bianche 6 L. 9; a maglia, L. 12 L. 21,00 Sottanini di mussolo 3 L. 24; 3, L. 12; bianchi e colorati 6 L. 18 L. 54,00 Fazzoletti 36 L. 10,80; battista 22, L. 3,30; di lino 6 L. 3,60 L. 17,70 Calze a mano p. 20 L. 20,00 Vestaglie 2 e grembiuli 2 L. 20,00 Parure celeste L. 15,00 Mattini49 bianchi 3 L. 15; colorati e accappatoi 9 L. 27 L. 42,00 Rovescini e coprifedere L. 25,00 Servizio da tavola, fatto in casa a spina; 2 tovaglie quadre, 6 tovaglioli L. 9,00 Servizio da tavola compero; 1 tovaglia e 6 tovaglioli L. 6,75 Servizio da tavola fatto in casa, canapa e cotone; tovaglia lunga e corta e 12 tovaglioli L. 20,00 6 tovaglioli da tèe [sic] L. 2,10 Asciugamani da cucina 6; grembiuli da cucina 6; strofinacci 7 L. 10,80 Comò e specchiera L. 150,00 Armadio L. 50,00 Bauli 2 L. 38,00 Abito da viaggio L. 48,00 Abito nero L. 49,25 Fattura di un abito bleu pesante L. 27,00 Camicetta di pizzo, bianca L. 25,00 Abito vecchio - verde L. 10; bleu L. 9 L. 19,00 Cappelli 2 (nuovi); 2 L. 98,00 Scarpe p. 2 (nuove) L. 29,00 Libretto della Cassa di Risparmio L. 100,00 Totale 2.629,10 30


Pesaro, 1912. La famiglia di Adolfo Barbanti; da sinistra: Emilia Barbanti [mamma di Maria Teresa Badioli], Guido Barbanti, Maria Angeli Barbanti, Silvia Barbanti, Adolfo Barbanti, Aurelio Barbanti, Cesira Barbanti e, seduta, Elvira Barbanti (Archivio Maria Teresa Badioli, Pesaro). Per i corredi erano famose le sorelle Valazzi, che avevano il laboratorio a Palazzo Spanocchi [dove ora si trova il centro commerciale “Il Cubo”, ex Standa; all’epoca via Pedrotti non era ancora stata aperta]: cucivano e ricamavano di bianco, e le signorine ‘bene’ della città, oltre a servirsi da loro per i corredi, frequentavano il loro atelier per imparare a ricamare. Anche la mia mamma Emilia e le sorelle sono andate lì, per imparare (Maria Teresa Badioli_2009)

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Sant’Angelo in Lizzola, primi del ‘900 (raccolta Leonella Giovannini, Sant’Angelo in Lizzola). Nella pagina successiva: Ginestreto, 1910 - 1920. Giovanni Braglia, commerciante (fotografia A. Remies, Pesaro; raccolta Raffaella Corsini Ortolani, Pesaro)

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Pesaro, 1890_dalla Lista elettorale50 Baglioni Luigi di Terenzio, sarto (1849) Berarducci Giuseppe di Marco, gioielliere orefice (1821) Castellani Giovanni di Vincenzo, cappellaio (Faenza, 1831) Cecchi Agostino di Antonio, filatore di seta (1826) Cecconi Adolfo di Guglielmo, sarto - mercante (1861) Coli Augusto di Vincenzo, calzolaio (1857) Corsi - Lunghi Francesco di Nicola, calzolaio (Frosinone, 1852) Donati Antonio di Terenzio, orefice - antiquario (1825) Ferri Giovanni di Lorenzo, negoziante in tessuti (Candelara, 183451) Frontini Luigi di Domenico, negoziante in tessuti (Fiorenzuola, 1849) Gasperi Augusto di Filippo, sarto - mercante (1847) Gennari Raffaele di Giuseppe, fabbrica nastri, tintoria (1823) Giovanelli Enrico di Amato, filatore di seta (1829) Giovanelli Ruggero di Enrico, confezione seme - bachi (1856) Giovannini Girolamo di Francesco, orefice scontista (1830) Gregori Nicola di Agabito, cappellaio (1855) Gregori Ubaldo di Giovanni, calzolaio (1853) Levi Ercole di Girolamo, negoziante in corami (1850) Mariotti Augusto di Eugenio, cappellaio (Morciano, 1850) Mini Giuseppe di Antonio, imballatore di seta (1825) Molari Napoleone di Luigi, orefice (1844) Monacciani Agostino di Vito, sarto - mercante (1835) Moretti Giuseppe di Luigi, sarto - mercante (1849) Moscatelli Adolfo di Raffaele, calzolaio (1858) Paolinelli Giovanni di Sante, calzolaio (1834) Raffaelli Vincenzo di Carlo, negoziante in corami (1814) Rinolfi Raffaele di Amato, orefice (1852) Rossi Domenico di Giuseppe, orologiaio (Fabriano, 1849)

Rossi Igino di Angelo, commerciante in tessuti (Mondavio, 1845) Roberti Terenzio di Giuseppe, rigattiere e filatore di seta (1841) Sanchietti Antonio di Giuseppe, negoziante in corami e calzolaio (1835) Severini Francesco di Antonio, sarto mercante (1830) Spinaci Alfredo di Alessandro, filatore di seta (1861) Sponza Melchiorre di Giovanni, capitano marittimo e filatore di seta (1829) Sprega Salvatore di Giovanni, orologiaio (Roma, 1834) Tombesi Pietro di Giuseppe, sarto - mercante (Borgopace, 1839) Tornati Cesare di Antonio, calzolaio (1862) Torre Angelo di Angelo, filatore di seta (Palazzolo sull’Oglio, 1855) Valazzi Luigi di Antonio, filatore di seta (1810) Venturini Giuseppe di Giulio, sarto - mercante (1838)

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Sarti (militari) Lepri Cesare Petroccione Pasquale Venturini Odoardo Sartorie da donna Mengaroni Rosa (corso XI Settembre) Lombardi Elisa Perazzini Sorelle Ciacci Spadoni Adelaide Subissati Azelia Temellini Azelia Modisterie (Laboratori) Baroncelli Dante Bartoli Lina, Maison de Blanc Celli Ercole Furiani Siepi Aida Lugli Rosina Paccapelo Ferdinando Paladini Italia, via del Fallo Santucci Aldo, corso XI Settembre

Pesaro, 1911_sarti, sarte e modiste52 Sarti (civili) Baglioni Luigi Bocci Vincenzo Baronciani Augusto Bracciaroli Guglielmo Campanati Casimiro Cecconi Adolfo (Piazza Vittorio Emanuele) Curina Ermete (via Branca) Francolini Alfonso per uomo e signora (via Branca) Garattoni Roberto [Umberto] (via Petrucci) Gasparelli Umberto Marcheselli Fernando (corso XI Settembre) Monacciani Leonida Monacciani Agostino (Ditta) Moretti Giuseppe Morigi Carlo Paladini Augusto Ricci Ettore Tombesi Pietro

Pesaro, 1914_Rete telefonica urbana - dall’Elenco degli abbonati53 n. 4 - Maison De Blanc, mode, corso XI Settembre n. 73 - Mengaroni Rosa, sartoria, via Rossini (s.n.) n. 50 - Paolucci Salvatore, stoffe, corso XI Settembre (s.n.) n. 102 - Piazzesi Alessandro, negozio manifatture, piazza Vittorio Emanuele (s.n.) n. 65 - Torre Angelo, setificio, via Governatore (s.n.) n. 243 - Colli Giacomo, filanda, via Doria 142

Nella pagina successiva: Paris, Aux Galeries Lafayette, catalogo 1910 (il catalogo proviene dall’archivio di un’importante famiglia della nostra provincia, che presso le Galeries Lafayette effettuava regolari ordini; raccolta Cristina Ortolani, Pesaro)

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Maria Teresa Badioli racconta: i Magazzini Paolucci54 Quando la mia mamma si è sposata, nel 1920, è “entrata in casa”, perché la mia nonna Teresa Grisi in Badioli, era morta a causa della guerra 1915-’18. Perciò la mia Mamma si è trovata con un marito, un suocero e quattro cognati. Poi dopo 2-3 anni siamo nati Luigi e io. Per quanto riguarda “la moda” degli anni 1920-’30, dirò come si svolgeva l’acquisto dei tessuti. Allora si lavorava molto in casa: biancheria personale, abiti, camicie, ecc. Al cambio di stagione, ad esempio in autunno, la Mamma telefonava al negozio “Paolucci stoffe” sito allora al corso, angolo via Almerico di Ventura, negozio molto grande, acquistato poi dalla Banca Popolare (ora Banca dell’Adriatico), per l’appuntamento onde comprare delle stoffe. Io andavo sempre con la mia mamma e mi interessavo molto alle stoffe. La signora Cesira Paolucci preparava la sedia per la mia mamma, che comodamente sceglieva le stoffe: 4 o 5 cappotti da uomo, sette-otto tagli abiti uomo, 10-12 camicie uomo, stoffe da donna, 6-7 per la mamma e per me, ecc., e infine una pezza intera di madapolam, cotone buono per biancheria, che era un rotolone alto 1 metro, spesso 40 cm. E poi stoffe varie per me, mio fratello e le domestiche (che allora erano due fisse). Nel frattempo io, che un po’ mi annoiavo anche, avevo il permesso di andare dietro il bancone e rimettevo a posto le stoffe non desiderate riavvolgendole sui loro cartoni. Poi la Mamma e io uscivamo, ma la Mamma non aveva mai pacchi e pacchetti come succedeva anche in altri negozi, poiché nel pomeriggio arrivava a casa nostra in viale Marsala, un omino piccino che tirava un carrettino dotato di due ruote e di due stanghe più lunghe dell’omino piccino; questi, arrivato, gridava “Badioli,le stoffe!” con grandi risate mie e di mio fratello Luigi. Maria Teresa Badioli_estate 2009

Pesaro, 1926. Inserzione pubblicitaria dei Magazzini Paolucci (da L’Ora, 31 Dicembre 1926)

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Pesaro, primi del ‘900. Piazza Vittorio Emanuele (cartolina, Archivio Diocesano di Pesaro; Fondo Giovanni Gabucci)

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lavorante Lucietta [successivamente Lucietta raccoglierà l’eredità della signorina Lugli, diventando anch’essa un’eccellente modista]. Il negozio-ingresso aveva sulla destra due banconi snelli e dolci, di legno, con il piano di velluto beige, mentre a sinistra tutta la parete era occupata da vetrine-armadi di legno e vetro, che contenevano nastri, nastrini, pizzi, velette e guanti, rifiniture, scialli eccetera. Dietro questo ambiente c’era un’altra stanza più piccola, dotata di un grande specchio, dove le signore misuravano i cappelli. C’erano sempre tricorni, ricordo tanti tricorni e cappellini con la veletta, sempre a pan di zucchero. La mia mamma aveva buongusto, essendo da sempre abituata a portare il cappello. Una o due volte l’anno la signorina Rosa telefonava alla mia mamma: Signora Badioli, sono arrivati i cappellini! E la mia mamma e io andavamo al pomeriggio dalla signorina Lugli. Ricordo negli anni Cinquanta il più bel cappellino che ha avuto la mia mamma: di feltro nero, con un bordo molto rialzato sul davanti, con una fascia alta quattro centimetri di lustrini - paillettes verdi. E poi i cappellini di paglia estivi! I cappelli arrivavano alla signorina Lugli dentro scatoloni di cartone grandi un metro cubo, leggeri, perché i cappelli erano leggeri, avvolti in carta da modelli; cappelli che le mani delicate della signorina Lugli presentavano alla mia mamma. Della signorina Lugli erano anche il velo e la ghirlanda di roselline che indossavo il giorno della Prima Comunione. Maria Teresa Badioli_Ottobre 2009

Maria Teresa Badioli racconta: le modiste I cappelli, dice riecheggiando una trasmissione televisiva dedicata alla storica ditta piemontese Borsalino, spesso coprono pietosamente zucche vuote e deserti di idee: non è il suo caso, anzi, molte delle pagine di questo volume nascono proprio dalla sua capacità di dare un volto a nomi ormai quasi dimenticati, pescando in una memoria davvero eccezionale, supportata da appunti ordinatamente annotati in decine di quaderni. Chi la conosce sa che nella stagione invernale non si separa mai dai suoi cappelli, complemento irrinunciabile delle sue mises sobriamente eleganti: Maria Teresa Badioli ricorda per noi Rosina Lugli55 e la Lucietta, due delle più conosciute modiste di Pesaro. Il negozio della signorina Rosa Lugli negli anni Venti del ‘900 era in Piazza Vittorio Emanuele (ora Piazza del Popolo), sul lato ove ora c’è il Palazzo Comunale, vicino al negozio di stoffe Alessandro Piazzesi. Quando avevo cinque anni sono uscita da questo negozio con una calottina di panno bianco spesso, tutto traforato a formare fiorellini e foglioline: è il primo cappello che ho avuto, lo ricordo benissimo, mi piaceva tanto. Non ricordo invece come fosse il cappello della mia mamma, forse un tricorno, allora molto di moda. Dopo il terremoto del 1930, il negozio di Rosa Lugli si è trasferito per il corso XI Settembre, tra via Zanucchi e via Perfetti, di fronte all’attuale “Porcellana bianca”; aveva una vetrina di ingresso e un’altra stanza grande per il laboratorio, dove lavoravano la signorina Rosa e la sua

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Pesaro, 1930 circa. Un ventaglio pubblicitario della modisteria Rosina Lugli. Sotto: Pesaro, anni Quaranta - Sessanta del ‘900. Due cappelli della modisteria Rosina Lugli (Archivio Maria Teresa Badioli, Pesaro)


ziata nella cappelleria, che dopo la morte di Marino sarà gestita dagli altri suoi eredi. Gli anni Sessanta vedono i due rami della famiglia continuare a occuparsi rispettivamente di cappelli e abbigliamento, mentre negli anni Novanta Gilberto, nipote di Marino e attuale titolare unifica i due negozi, mantenendo l’attività sotto la splendida insegna realizzata da Alcibiade Della Chiara. (Testimonianza raccolta nel Maggio 2007)

La Cappelleria Mancini Dai feltri modello Borsalino alle berrette, passando per i fascinosi panama, la Cappelleria Mancini di corso XI Settembre in quasi un secolo di vita ha ‘coronato’ le teste di molti pesaresi. La Cappelleria viene fondata negli anni Dieci del ‘900 da Marino Mancini; sul finire degli anni Quaranta suo figlio Piero apre un negozio di abbigliamento nel locale attiguo, per ampliare la vendita di confezioni già ini-

Pesaro, 1910 circa. Marino Mancini davanti alla Cappelleria (raccolta Gilberto Mancini, Pesaro)

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Materiali e fustelle per modista, Modisteria L’Arte di creare, di Loredana Della Costanza, Pesaro (1948 - 2008)

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Pesaro, 1934_Pietro Scrocco e la lavorazione del truciolo La Filanda Sociale Pesarese e la Filanda Giuliani e Vici, assorbono i prodotti comunali dell’allevamento del baco da seta. (...) Tra le produzioni artistiche artigiane si ricordano le Industrie Femminili Pesaresi per la lavorazione e confezione dei ricami Bella e proficua iniziativa industriale pesarese si deve all’attività di Pietro Scrocco, i cui stabilimenti per la lavorazione del truciolo e la fabbricazione di trecce di paglia per cappelli, senza mai aver conosciuto crisi di sorta, unici in Italia, esportano la loro produzione in Francia, Inghilterra ed America. [La ditta] fu fondata dal sig. Pietro Scrocco nel 1911, quando le classiche trecce di paglia di Firenze e di trucioli di salice, fatte a mano in Toscana e nel Modenese, cominciavano a perdere terreno, sotto la pressione della produzione tedesca e svizzera, ottenuta a macchina. (...) L’iniziativa del Sig. Scrocco, mentre in quel momento rispondeva a un bisogno dell’Industria Italiana delle Trecce in generale, cadeva opportuna per Pesaro, dove, per mancanza di altre industrie, era disoccupata la mano d’opera femminile locale, numerosa e diligente. Sorse così in Pesaro la fabbrica meccanica delle trecce: un embrione di fabbrica con poche macchine e 5 operaie, che a poco a poco sviluppandosi, raggiunse i primi ranghi tra le consorelle più anziane…56. Oreste Tarquinio Locchi_1934

Pesaro, anni Trenta del ‘900. La sala macchine dello stabilimento Scrocco (raccolta Sofia Scrocco, Milano)

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Villa Fastiggi, 1914. Nasce la Cooperativa di lavoro fra operaie per confezionare panni militari Il 24 Agosto 1914 si costituisce a Pesaro, presso il notaio Edmondo Mondaini (residente a Gradara ma con studio a Pesaro, in Via Cairoli 6) la Cooperativa di lavoro fra operaie per confezionare panni militari57. Presidente è Italo Erminia in Gennari, mentre il Consiglio è composto da Baldelli Angela in Amadori, Severini Olimpia Premoselli, Massa Elisa in Paolucci, Baronciani Iva in Testaguzzi; le socie (in tutto 35, compresa la presidente e le consigliere) possiedono una azione ciascuna, del valore di 10 lire, e risultano tutte residenti a Calibano. La società, la cui durata è fissata in anni trenta, si propone specialmente di esercitare ed eseguire in cooperazione lavori pubblici e privati quali sarebbero confezioni e riparazioni di vestiario ed altri effetti di corredo per militari Guardie ecc., concessi dalle amministrazioni militare e civile. La Società ha sede in Pesaro, provvisoriamente presso l’Ufficio di Ispettorato di assistenza contabile per le cooperative; nel 1917 le socie (il cui numero è nel frattempo salito a 7758) si riuniscono invece a Villa San Martino, in una sala di proprietà di Odoardo Guerra, gentilmente concessa59. Sempre secondo quanto riportato dallo Statuto, la Società sarà federata alla Lega Nazionale delle Cooperative; per entrare nella Società occorre farne domanda al Consiglio di Amministrazione comprovando di essere: operaia esercente l’arte od una delle arti o mestieri che formano oggetto della Società; aver raggiunto l’età di anni 16 e non oltrepassare i 40; essere notoriamente di buona condotta. Quanto all’organizzazione del lavoro, all’articolo 31 dello Statuto si legge: ove i lavori di cui è oggetto l’impresa sociale richiedano il concorso di collaborazione sussidiaria, il personale a quest’uopo assunto non potrà superare il numero delle socie occupate nei lavori stessi; l’articolo conclude che nella esecuzione dei lavori quando non possono esserci impiegate tutte le Socie il Consiglio di Amministrazione d’accordo con la Direzione dei lavori dovrà stabilire dei turni in modo che la totalità delle socie possa prender parte al lavoro nelle stesse proporzioni. Per il primo turno si procede mediante estrazione a sorte.

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Baldelli Maria di Terenzio Fastiggi Augusta Urbinati fu Luigi Paolini Antonia fu Domenico Fastiggi Maria Gennari fu Giuseppe Zampolini Giuseppina Panicali di Raimondo Galli Palma di Odoardo Campanari Pina fu Gaetano Giommi Cristina di Riccardo Paolucci Cleonice Tamburini di Ciro Giovannini Amalia di Luigi Ceccolini Amalia di Luigi Pandolfi Maria Ceccolini di Nicola Rosati Virginia Premoselli di Pasquale Giometti Margherita Rosati di Ernesto Biagini Severina di Francesco Amadori Erminia di Giuseppe Amadori Angela Baldelli fu Antonio Massa Margherita di Luigi Italo Erminia Giovannini Erminia fu Giovanni

Riportiamo qui, nell’ordine in cui compaiono nell’Atto costitutivo, le partecipanti alla prima assemblea generale della Cooperativa, svoltasi il 23 Agosto.

Panicali Marcellina di Raimondo Gasperini Settimia Benvenuti di Tomaso Massa Augusta Reggiani di Luigi Baronciani Maria [Piracini?] di Giuseppe Pianosi Iole di Antonio Baronciani Annunziata di Elpidio Ciabotti Teresa di Salvatore Testaguzzi Iva Baronciani di Pasquale Fattori Eudosia di Mariano Paolucci Elisa Massa fu Angelo Premoselli Cesira Guerrini di Luigi Lombardini Stella Biagini di Luigi Ceccolini Iole di Augusto Ferri Emilia di Riccardo Ceccolini Ersilia di Luigi

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all’altro, momenti di angoscia o di speranza. Comunque sono stati anni di grande esperienza. Eravamo negli anni Trenta, anni di grande crisi… Alle compagne di scuola, ai ragazzi delle famiglie emigrate toscane e liguri si erano aggiunte altre amicizie come le compagne midinettes (sartine), le storie delle loro famiglie, i loro flirts, un ambiente nonostante tutto giocoso, allegro, importante, e i loro problemi come i miei, di passaggio ulteriore di qualifica professionale. Per molte di loro era arrivare a essere premiére main (sarta finita). Io vedevo il mio futuro… Sì, diventare una brava sarta dell’Alta Moda, ma non solo per fare dei vestiti per le collezioni e per farli indossare alle donne borghesi, ma fare dei vestiti belli per le operaie, per le lavoratrici, che si vestivano così male con le confezioni dei grandi magazzini popolari: La Samaritaine, Hôtel De Ville… Erano proprio brutti questi vestiti!!! Il 25 Novembre è Santa Caterina d’Alessandria, la festa tradizionale delle sartine e delle modiste. Quasi sempre in ogni laboratorio vi era una ragazza che nell’anno in corso avrebbe compiuto 25 anni di età; per lei si confezionava una cuffia fantastica, di nastri gialli e verdi, il primo colore era quello della coppia, il verde era… la speranza di arrivare al matrimonio. La mattina del 25 Novembre con la nostra compagna infiocchettata andavamo a portare i fiori all’immagine di Santa Caterina all’angolo della rue St.Honoré, rione delle case di Alta Moda… La sera si andava in una delle grandi feste delle Midinettes e spesso tra un ballo e l’altro la nostra festeggiata incontrava il suo futuro sposo e così non entrava nello ‘zitellaggio’61. Sparta Trivella_1990

Le apprendiste sarte Lavoravano gratis del tutto una decina d’anni presso le proprietarie delle sartorie, maestre per imparare. Soltanto per la festa annuale ricevevano un regalino di un paio di lire come un fazzolettino di seta e una merenda60. Giorgio Ugolini_1910 Finite le scuole elementari, si doveva decidere cosa avrei fatto. …optai per il lavoro e a 12 anni andai a imparare a cucire. La mia maestra era una pesarese, emigrata a Parigi dopo la guerra [la I guerra mondiale]. …Con il lavoro cominciai a interessarmi ai problemi sindacali, perciò, dopo aver fatto i miei tre anni di apprendistato, lasciai la mia ‘padrona’ pesarese perché non procedeva a passarmi nella categoria successiva alla quale avevo diritto. Consigliata dal mio sindacato mi presentai in una sartoria più grande, di Alta Moda. (…) Cominciò il pellegrinaggio da un laboratorio

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Bologna, 14 Novembre 1960. Le sarte di Pesaro in gita al santuario di San Luca, in occasione della festa di Sant’Omobono (raccolta Cisa Paccassoni, Pesaro). I sarti della nostra città ricordano con particolare affetto un quadro di autore ignoto conservato presso la chiesa dell’Adorazione di Pesaro, raffigurante Sant’Omobono (Sant’Omobono veste i poveri della città, XVIII sec.) Nella pagina precedente: Aura Faldelli (1910 - 1951), zia di Marisa Faldelli; Aura lavorò a lungo nella sartoria di Erasmo Pezzodipane (raccolta Marisa Faldelli Bertozzini, Pesaro)

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“

La vera creatrice della moda è la storia Alfredo Panzini_1930

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Odoardo Giansanti (Pasqualon, 1852 - 1932), Guei ma chi tocca, da Poesie, antologia vernacola, a cura di G. Lisotti, Pesaro 1968, pp. 167 - 171. Giorgio Ugolini, Pesaro 50 anni or sono (1849 - 1859), prima edizione Pesaro, 1910, pp. 11 - 12. La citazione è tratta dalla ristampa a cura di G. Calegari e A. Brancati, Urbania 2000. Poliedrica figura del Novecento pesarese (e non solo), Giorgio Ugolini fu indubbiamente un protagonista della vita economica e culturale: farmacista, industriale, imprenditore; appassionato cultore dell’arte della ceramica, donò la propria collezione (oltre cinquecento pezzi dei secoli XVII e XIX) al Museo civico cittadino, ed è ricordato tra l’altro per l’insolita villa neorinascimentale fatta ricostruire e ampliare nel 1916 - ’17 in viale Trieste. Oltre al volumetto di ricordi sopra citato Ugolini lasciò molti altri scritti, tra i quali una serie di cronache pubblicate su alcuni quotidiani dell’epoca (cfr. G. Calegari, Giorgio Ugolini - un protagonista eclettico, in Omaggio a Giorgio Ugolini, a cura di A. Brancati e G. Calegari, Pesaro 2000; pp. III e segg.). 3 Id., pp. 12 - 13. 4 C. Marcolini, Notizie storiche della provincia di Pesaro e Urbino dalle prime età fino al presente, Pesaro 1868, p. 294. Su Alessio e Bernardino Didi cfr. G. Patrignani, Alessio e Bernardino Didi tessitori pesaresi del Seicento, in Le Collezioni di Palazzo Mosca a Pesaro: tessuti e merletti, Modena 1989; pp. 121 - 133. Il saggio della Patrignani riporta anche alcuni nomi di tessitori e tintori attivi a Pesaro tra la metà del ‘400 e la metà del ‘500 (pp. 126 - 127). 5 L’elenco, volutamente parziale, è tratto da G. Allegretti - S. Manenti, I catasti storici di Pesaro, vol. 1, tomo 1 - Catasto sforzesco (1506), Tabulati, Pesaro 2000, pp. 6 - 64. Non sono stati trascritti i (rari) tintori, guantari, capellari, orefici, e i (più frequenti) ciavattini, caligari, calzolari, merciari, pellicciari; va detto inoltre che, come gli autori del volume sottolineano la catastazione non è anche un censimento… l’indicazione di un solo fornaio non significa che in tutta l’area accatastata funzionasse un solo forno (id., p. 18). Il quartiere medioevale di Sant’Arcangelo corrispondeva grosso modo all’area compresa tra le attuali vie San Francesco, via G. Branca, via A. Manzoni e via XXIV Maggio; il quartiere di San Nicola o San Nicolò comprendeva la zona tra via Rossini, viale dei Partigiani e parte di corso XI Settembre; San Giacomo si estendeva invece tra corso XI Settembre, viale della Liberazione e via G. Branca (cfr. D. Trebbi - B. Ciampichetti, Pesaro, storia di una città, Pesaro 1984). Segnaliamo qui anche il breve saggio di D. Della Chiara su La legislazione suntuaria roveresca a Pesaro, apparso su Città e contà n. 2, Pesaro 1992; pp. 23 - 28. 6 Archivio di Stato di Pesaro (d’ora in avanti ASP), Regno d’Italia, 1810, Tribunale di Commercio, b 26; Elenco esercenti qualche ramo di trafico a term. dell’art. 1° del Codice di Comercio. Per ragioni di spazio sono stati trascritti solo gli esercizi e le manifatture relativi al settore dell’abbigliamento; l’elenco riporta anche quattro manifatture, senza altre indicazioni: Baruch Constantini (Ghetto, 1821), Moisè, e Fratelli Fuligno (Ghetto, 453, 455), Moisè recanati (Ghetto, 1809), Zaccaria Viterbo (Ghetto, 2.460). A titolo orientativo occorre ricordare che il ghetto di Pesaro fu istituito nel in seguito alla devoluzione del ducato roveresco allo Stato pontificio (1631) e alla conseguente parziale espulsione degli ebrei dal territorio dell’ex ducato; sulla comunità ebraica di Pesaro rimandiamo ai numerosi studi di R. P. Uguccioni e altri, apparsi su diversi numeri di Città e contà, rivista della Società Pesarese di Studi Storici, i cui indici sono disponibili all’indirizzo http://www. spess.it/ita/pesaro_citta.php?link=pesa (15 Novembre 2009; ore 10.10). Sull’economia del Ghetto di Pesaro segnaliamo l’omonimo saggio di V. Bonazzoli, pubblicato sul sito www.morasha.it (http://www.morasha.it/pesaro/index.html; 15 Novembre 2009, ore 10.15), insieme con altri materiali sullo stesso argomento. 7 CORAME sm Corium Aggregato di cuoi; ma non si dice fuorché delle pelli sottili (…) § I CORAME: per Paramento fatto di cuoj coloriti o dorati o stampati. CORAMI drappi arazzi a muri. (…) § CORAME: T. del Commercio. Specie di telerìa detta anche Crès. Corame, da F. d’Alberti di Villanuova, Dizionario Universale Critico Enciclopedico, Milano 1825, vol. 4, p. 261. 8 La chiesa di San Rocco si trovava all’angolo tra le attuali via San Francesco e via Diaz. Costruita nel 1527, fu demolita nel 1957 (Trebbi - Ciampichetti, cit.; p. 100). 9 Attuale piazza del Popolo, successivamente piazza Maggiore e piazza Vittorio Emanuele (P. Rufa, Pesaro, notizie biografiche, storiche, artistiche e toponomastiche della città, Pesaro 1978, p. 225). 10 Dal 1886 corso XI Settembre (Id., p. 281). 11 Il tratto di corso XI Settembre compreso tra l’attuale via Zanucchi e la chiesa di Sant’Agostino era conosciuto con il nome di “Piazzetta” (N. Cecini, Pesaro, l’immagine della città nelle fotografie di un secolo, 1880 - 1980, Pesaro 1986; p. 139). 1 2

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La Fonte rossa è la fontana che si trova attualmente in piazza Lazzarini, di fronte al Teatro “G. Rossini”, un tempo collocata all’incrocio tra l’attuale corso XI Settembre, via Cavour e via Mazzini (Trebbi - Ciampichetti, cit., p. 139). 13 Nel 1864 la Guida di Pesaro edita da A. Nobili indica come Porta Marina la Porta Sale dal conservarsi che si fa il sale quivi presso o Marina come quella che porta al mare (p. 3, nota); Porta Mare era però anche uno dei nomi della Porta del Gattolo, situata in fondo all’attuale Via Rossini (Trebbi - Ciampichetti, cit., p. 60 e passim). Porta Sale, in fondo a via Castelfidardo, fu abbattuta tra il 1910 e il 1914 (cfr. nota 1, p. 175) 14 Via Branca, cfr. nota 2. 15 Via degli Orti dei Monaci, attuale via L. Della Robbia (Rufa, cit., p. 90). 16 Attuale via Carlo Cattaneo (Id., p. 69). 17 Attuale via Passeri (Id., p. 211). La chiesa di San Carlo è oggi dedicata a Santa Lucia, dopo complesse vicende di accorpamento di diverse parrocchie (cfr. Trebbi - Ciampichetti, cit., p. 143 e http://www.arcidiocesipesaro.it/index.php/parrocchie/93-elenco-parrocchie-e-chiese/164santi-giacomo-e-lucia.html; 4 Novembre 2009, 10.35). 18 Attuale piazza Antaldi, (cfr. Rufa, cit., p. 25). 19 Via del Ghetto Grande (successivamente via dei Negozianti) era la denominazione dell’attuale via Sara Levi Nathan (Rufa, cit., p. 146). 20 ASP, Camera di Commercio di Pesaro, carteggio 1809 - 1937, b 10, Elenco dei negozianti e commercianti domiciliati nella parte marittima della Provincia di Urbino e Pesaro, 1849. Come per l’elenco del 1810, anche in questo caso estrapoliamo solo gli esercenti operanti nel settore dell’abbigliamento; con un asterisco sono indicati i nominativi e le ditte presenti già nell’elenco del 1810. 21 Da Guida di Pesaro per Annesio Nobili, Pesaro 1864, pp. 80 - 81. 22 Id., pp. 81 - 87. Popolazione complessiva della città: 19.905 individui, di cui 10.255 maschi e 9.650 femmine (incluse le sei parrocchie nell’esterno e cioè Trebbiantico, S. Maria dell’Imperiale o Fabbreccie, B. V. di Loreto, S. Pietro in Calibano, Roncaglia; id. p. 78). Pesaro, dal Ruolo esercenti arti, industrie e commercio, 1869. Bailetti Raffaele, fabbrica di tele con telai meccanici e vendita tessuti: Battistelli Bianca in Sanchioni, modista; Battistoni Carlo, corami e calzolaio; Baglioni Luigi, sarto; Carletti Ugo, tessuti; Castellani Giovanni, cappellaio; Cecconi Getulia, modista; Ceccolini Amalia, deposito macchine da cucire; Cecconi Adolfo, sarto-mercante; Gennari Pietro, cappellaio; Gregori Nicola, cappellaio; Giammarchi Romeo, sarto; Giovagnoli Ercole, sarto; Gattoni Salvatore, sarto; Gasperi Augusto, sarto e mercante; Mariotti Augusto, negozio di cappelli; Monacciani Agostino, sarto-mercante; Moscatelli Adolfo, calzoleria; Macchini Gaetano, calzolaio; Moretti Giuseppe, sarto; Orazi Francesco, sarto; Rossi Igino, venditore di tessuti; Raffaelli Ercole, parrucchiere; Severini Francesco, sarto-mercante; ditta Maria Salvino, manifattura cappelli di paglia; Spanocchi Cesira, modista; Servadei Pietro, cappellaio; Venturini Gino, sarto-mercante (ASP, Camera di Commercio di Pesaro, carteggio cit., b 10) 23 G. Scelsi, Statistica della provincia di Pesaro e Urbino, Pesaro 1881, tomo I; la citazione è tratta dalla ristampa anastatica, Provincia di Pesaro e Urbino 1997; p. 94 - 96. Non è questa la sede per approfondire il discorso intorno alla lavorazione della seta nella nostra città, che fino alla metà del XIX secolo rimane forse la principale attività manifatturiera; ci limitiamo a indicare di seguito alcuni spunti, utili a inquadrare l’argomento e a una sua futura analisi. Sin dal ‘700 la sericoltura ebbe grande diffusione nelle Marche, dove la coltura del gelso e l’allevamento del baco erano praticati nelle campagne almeno dal XIII secolo. Inizialmente esercitata presso le stesse abitazioni contadine, la trattura della seta si spostò progressivamente verso le città, organizzandosi intorno alle filande, che rappresentano all’inizio dell’800 uno dei primi esempi di fabbrica attivi in Italia. Nella nostra provincia, che nel 1839 era al quindicesimo posto nella graduatoria nazionale, la sericoltura si concentrava soprattutto a Fossombrone, dove nel 1744 erano attivi 44 opifici e che resterà il primo centro di produzione marchigiano fino al 1902, anno in cui sarà superato da Jesi (cfr. M. F. Chiodi, Le filande marchigiane tra Ottocento e Novecento, Ancona 2003). Secondo Camillo Marcolini, autore delle Notizie storiche della provincia di Pesaro e Urbino dalle prime età fino al presente (1868), l’arte della seta fu introdotta in Pesaro nel 1548 e riputatissime furono insino a’ nostri giorni le sete di Fossombrone. Marcolini aggiunge che in Gubbio fioriva l’arte della lana, mentre negli alti monti della Trabaria e del Montefeltro, dov’era in onore, ed è ancora, la pastorizia la quale con la coltura del bestiame bovino e degli animali neri e lanuti fu sempre fonte di grossi e onorati guadagni (C. Marcolini, Notizie storiche della provincia di Pesaro e Urbino dalle prime età fino al presente, Pesaro 1868; p. 294). In effetti, i documenti ottocenteschi elencano nel Montefeltro un discreto numero di produttori di cappelli di feltro, così come prevalente rispetto ad altre fibre risulta la produzione di lana della 12

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zona, almeno secondo i dati riportati in un’indagine sulle manifatture promossa nel 1824 sul territorio della delegazione di Urbino e Pesaro dal Governo pontificio (cfr. ASP, Delegazione apostolica, Arti, professioni e commercio, 1824, b 10. Quesiti, e risposte relativamente alle produzioni del suolo esistenti nella Comune di… Suo Territorio, Appodiati, e Luoghi annessi). Per quanto riguarda Pesaro, la lavorazione dei bozzoli nella nostra città impiegava il maggior numero di operai (oltre i tre quarti dell’industria manifatturiera), ed era seguita solo a grande distanza dalla produzione di maiolica e terraglia (cfr. G. Falciasecca, Manifatture pesaresi da un censimento del 1824, in Città e contà n. 21, Pesaro 2005; pp. 103 - 115). Nel 1824, all’interno della delegazione di Pesaro, le attività legate alla seta erano le preminenti (anche se le addette alle caldaie lavoravano solo per due mesi circa all’anno) e rappresentavano il 44,1% del capitale investito nel campo manifatturiero (id., p. 105). Falciasecca sottolinea però le condizioni di forte arretratezza in cui versava l’economia della nostra provincia e, in generale, dello Stato Pontificio: la seta filata era in gran parte esportata (all’estero, in Inghilterra la seta fine; all’interno dello Stato pontificio, verso Bologna, l’ordinaria), mentre era scarsa la produzione locale di damaschi, calze, fettucce di artigianato, incapace di resistere alla concorrenza lombarda e francese…. La realtà industriale pesarese si rivelava così una realtà di piccole imprese, prevalentemente artigianali o, addirittura, domiciliari, come la lavorazione dei bozzoli (…) il cui sviluppo fu frenato anziché favorito dalla politica protezionistica dello Stato pontificio (id., pp. 110 e 115). Circa vent’anni dopo il censimento del 1824, Luigi Serristori, nella sua Statistica dell’Italia (1842) alla voce Concie di suola e corami, scrive che le migliori sono quelle di Ancona, Pesaro e Sinigaglia, segnalando i Fratelli Baldini e Domenico Ajuti (L. Serristori, Statistica dell’Italia, Firenze 1842; pp. 233 e 235). I Fratelli Baldini sono citati nell’elenco del 1810 e del 1849 (cfr. nota 4), Ajuti in quello del 1849 (cfr. nota 17). Serristori nomina anche le fabbriche di fettuccie di seta, cotone, e bavella di Mariano Antonioli, Vincenzo Mosca e Perotti e Comp. (p. 235): Mosca compare sia nell’elenco del 1810 sia in quello del 1849; Perotti & C. solo in quest’ultimo. Anche per quanto riguarda le fettucce di seta (nastri), un tempo utilizzate in copiosa quantità a guarnire e decorare, soprattutto i paramenti sacri, Pesaro mantiene in quel periodo una buona posizione all’interno dello Stato Pontificio, pur senza oscurare Fossombrone, che detiene il primato per le sete più accreditate (A. Galli, Cenni economico – statistici: sullo stato pontificio con appendice, Roma 1840; p. 99). Diversi telai di fettuccie di seta esistono in vari luoghi. In Roma Bologna Pesaro Ascoli e Ancona si lavorano assai bene le calze di seta. Nelle prime tre delle indicate città si lavora in tutta seta o in seta mista ogni sorta di trine galloni frangie fiocchi ecc., tanto per ornamenti sacri quanto per tapezzerìe livree ed altro. A compimento di quanto riguarda le manifatture di seta occorre far parola dell’arte di orsogliarla, manifattura che era un tempo in grande attività nel nostro Stato e segnatamente a Bologna Rimino Faenza Forlì e Pesaro (Id., p. 259). Pesaro eccelleva dunque anche nell’arte di orsogliare la seta, ossia di filarla in modo da ricavarne dei cordoncini sottili e robusti, utilizzati poi per l’orditura dei tessuti: ORSOIO La seta più bella e più fina che si trae dal di sopra de bozzoli più scelti. La più bella seta filasi a più capi; quando si vuol farne orsoio si uniscono e si torcono insieme due tre o quattro fili. Per lo più adoperasi per l’orditura de’ tessuti; è quindi fatto in guisa da resistere convenientemente. Ogni filo di seta torto dapprima al torcitoio vien torto di nuovo con rari altri a guisa di piccola funicella. Quindi l’orsoio che si trova in commercio è una seta lavorata cioè filata e torta (Orsoio, da Nuovo dizionario universale tecnologico o di arti e mestieri, Venezia 1833, Tomo IX). 24 Gli Atti Officiali dell’Esposizione agraria industriale e artistica di Firenze del 1861 (Firenze 1861, pp. 147 e 150) citano tra gli espositori della Provincia di Pesaro e Urbino per il settore della seta Giovanelli Amato e Domenica, Hoz Corrado, Valazzi Luigi, Venerandi Gaetano. Nel 1898 lo Stabilimento bacologico R. Giovanelli vince la medaglia di bronzo nell’Esposizione generale di Torino: l’elenco degli oggetti spediti all’esposizione comprende un quadro con cristallo del valore di Lire 60; un album di fotografie valore 200 lire; cinque vasetti di vetro con bozzoli 10 lire (ASP, Camera di commercio di Pesaro, Carteggio cit., b 130 Esposizione generale di Torino, 1898). Nel 1911, infine, la Guida pratica illustrata di Pesaro riporta cinque Stabilimenti per la filatura della seta: Belardinelli Fernando, Bosone Carlo, Cecchi Romolo, Sponza Giuseppe, Torre Angelo. 25 Scelsi, cit. . Nel 1885 dalla fabbrica di fettucce di Ottone Hoz nasce la Società in Accomandita Semplice per la Fabbricazione di Nastri, e Tintoria a Vapore fra li signori Enrico Hoz di Winterthur, Cesare Sponza, Vincenzo Sponza, Banca Popolare Pesarese, Cassa di Risparmio di Pesaro, Casa Albani, Ingegner Alessandro Scalcucci e Carlo Raffaelli. (…) Ottone Hoz, il quale dovrà prestare l’opera sua nell’opificio è ammesso a far parte della presente Società come Socio Industriale senz’obbligo di conferimento di Capitale (ASP, Tribunale civile e penale, Soc. commerciali, b 1; Atto del 9 Febbraio 1885, rogato dal notaio Lorenzo Sellari, Pesaro). Nello stesso fascicolo è conservato l’atto di scioglimento della società, firmato dai soci amministratori Enrico Hoz e Alessandro Scalcucci e datato 31 Agosto 1887. Nel 1888 - ’89 il

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palazzo dove aveva sede la fabbrica di fettucce viene acquistato da Adeodato e Giuseppe Ugolini e, intorno al 1920, rivenduto dagli stessi alla famiglia dei fratelli Benelli (cfr. G. Ugolini, Memorie della famiglia Ugolini e dell’ambiente [1942], riportate in Calegari, cit., p. 417). Nel 1896 A. e G. Ugolini costituiscono una società con Sponza e Mazzucato per acquisto di bozzoli e cascame di seta gestendo all’uopo undici filande nella provincia (id., p. 418). Luigi [Ugolini] e i suoi figli avevano molta cura anche dei bachi e della seta, perché le istruzioni del Cardinale Albani erano state applicate dal fattore Antonio [padre di Luigi] nei propri poderi; e le Pantiere [frazione del Comune di Urbino, solcata dal fiume Foglia e situata nei pressi di Montefabbri, frazione di Colbordolo della quale la famiglia Ugolini è originaria] erano piene di gelsi. In quella lettera che Odoardo [figlio di Luigi] diresse lì 8 Luglio a Marsiglia al fratello Adeodato imbarcato sul brigantino austriaco Ezio, nella quale lo informava che il padre era “testardo a non vendere” leggiamo notizie così ghiotte per me e per i miei concittadini relative alla seta, che consento al piacere di citarle: “la raccolta dei bachi della mia bigatteria non è stata abbondante come nei trascorsi anni avendone avute con ottave 80 libbre 1200. Ciò è avvenuto per la foglia riscaldata, che sull’ultimo hanno portato i coloni della Pantiera, e insieme per un cambiamento istantaneo di atmosfera da 21 a 14 gradi. I prezzi sono stati dai bajocchi 40 a 50 la libbra, e qualche giorno qualche cosa sotto, la roba ordinaria. Qui sono venuti i bozzoli della maggior parte della Romagna, dal Fanese, dal Senigalliese, etc.; e qualche giorno hanno pesato alla nostra pesa 47-50-52mila libbre di bozzoli, ed in tutto circa 700mila libbre. E quasi tutta questa seta si cava qui, e tale e tanto è lo spirito del bisogno, che già è stata tutta venduta ai Francesi e ai Bolognesi, ai prezzi di scudi 5,40 a 5,50. Bulaffi è stato il primo a venderne una partita di diecimila libbre a scudi 4,90; e pochi giorni dopo questa è stata rivenduta a scudi 5,40. Ora la nostra piazza è prima per questo genere, sì per la qualità, sì per la quantità, e per il modo di filare. Oggi si contano circa 400 fornelli; questo altro anno supereranno di molto”. La lettera continua con ragguagli privati: “Noi non abbiamo venduto i bozzoli, ma abbiamo cavata la seta a nostro conto, insieme al Sig. Fazi e Carnevali, che hanno dato i bozzoli delle loro bigatterie; e il rimanente abbiamo comprato in Piazza la prima qualità, per libbre 7.500, e le facciamo cavare a Mondaini detto Tognetta, per cui essendo tutta roba scelta viene una seta sublime e rende bene. E già l’abbiamo venduta a Massa di Bologna a scudi 5,50, come la Costanza moglie di Giovannone, prezzi unici. Qui si fa gran seme per l’estero, per la malattia avuta specialmente in Francia; anch’io ne fo 136 libbre per la Lombardia, e si vende benino (sicuro evvi dell’impazzimento), e di ciò si è a società con Mazzucati e Sponza”. Queste notizie ci danno casualmente cognizione di un primato che Pesaro ha purtroppo perduto. Io ricordo di avere saputo e avere veduto che nelle case signorili di Pesaro e quasi sempre nel cortile eravi la fornacella “per cavare la seta” (id., p. 399 - 400). 26 G.Vanzolini, Guida di Pesaro, Pesaro, 1864; la citazione è tratta dall’edizione del 1883; p. 135. Nel 1877 si contavano a Pesaro 21 fabbriche di fettucce; tra parentesi sono indicati l’anno di fondazione, gli operai (esclusivamente donne) e il numero di telai a mano attivi: Chirici (?) Pacifico (1875, 4, 2); Arcangeli Emma (1863, 12, 6); Della Costanza Raffaele (1868, 12, 6); Donati Leandro (1856, 9, 5); id. (1852, 9, 5); Fastigi Raffaele (1858, 8, 4); Del Prete Vincenzo (1868, 6, 4); Decarli Cesare (1875, 2, 1); Gennari Raffaele (1861, 17, 9); Gallina Gaetano (1873, 2, 1); Giuliani Francesco (1861, 7, 3); Garattoni Giacomo (1876, 4, 2); Fabbri Secondo (1856, 12, 4); Mariotti Anna (1872, 6, 3); Mariotti Marianna (1856, 6, 3); Perotti fratelli (1800, 15, 9); Pantaleoni Teresa (1856, 2, 1); Pironi Raffaele (1876, 2, 1); Tamburini Raffaele (1846, 12, 7); Tamburini Angelo (1866, 20, 11); Trinelli (?) Giacomo (1873, 8, 4); Spinaci Luigi (1874, 9, 4); id. (1876, 2, 1) (ASP, Camera di commercio di Pesaro, Carteggio, cit., b 53). 27 ASP, Camera di Commercio di Pesaro, Registri Ditte 1883 - 1886, nostra elaborazione. 28 La tabella è ricavata da G. Scelsi, Statistica..., cit. (tavola XXXIV, pp. CXXXVIII – CXXXIX). 29 Ugolini, cit., p. 68. Sulle condizioni delle filandaie, cfr. G. Pedrocco – P. Sorcinelli (a cura di), Filandaie partigiani portolotti tra storia e memoria. Note di storia contemporanea della provincia di Pesaro e Urbino, Pesaro 1981; cfr. anche G. Flori, La filandaia e il portolotto. Il foro ecclesiastico in un caso di riparazione matrimoniale di metà ‘800, in Città e contà, n. 2, pp. 33 – 46. 30 La testimonianza di Maria Orselli è stata raccolta da Maria Teresa Badioli nel 1960. 31 ASP, Archivio notarile, Bernardino Costantini Notaio 1766-1767, ff 34 e 35, 19 Febbraio 1766. Livio II principe Odescalchi (1725 – 1804), Duca di Sirmio, Duca di Bracciano, Duca di Ceri. Al casato degli Odescalchi appartenne tra gli altri papa Innocenzo XI (1611 – 1689); per brevi cenni sulla famiglia Odescalchi cfr. http://www.odescalchi.it/CastelloF8.swf (15 Novembre 2009, ore 16.15). Sirmio è l’attuale Sremska Mitrovica, città serba; Illok si trova invece in Croazia. Dopo essere stata un importante centro della Pannonia romana, Sirmio subì numerose dominazioni e fu infine annessa ai domini degli Asburgo; Sant’Anastasia martire di Sirmio (celebrata il 25 Dicembre) è patrona dei tessitori

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(cfr. http://saints.sqpn.com/sainta18.htm; 15 Novembre 2009, ore 17.35). 32 Giovanni Gabucci, A casa nostra, lettura al cinema “Branca”di Sant’Angelo in Lizzola, 13 Marzo 1948, manoscritto, Archivio parrocchia San Michele Arcangelo, Sant’Angelo in Lizzola. Schietto e arguto, erudito e al tempo stesso umile, don Giovanni Gabucci è ancor oggi ricordato per la sua instancabile attività di raccoglitore di memorie, documenti, notizie storiche. Nato a Sant’Angelo in Lizzola il 9 Febbraio del 1888, come egli stesso ebbe a scrivere nel 1922 non volle mai la Parrocchia, preferendo svolgere la sua attività pastorale come predicatore e come coadiutore del parroco in vari paesi dei dintorni di Pesaro, tra i quali Montelabbate, Belvedere Fogliense (ex Montelevecchie). A Sant’Angelo, dove fu viceparroco, e dove morì nella notte tra il 4 e il 5 Settembre 1948, don Gabucci divideva con la sorella Angelina una casa nel castello, stipata di libri e carte, dove i gatti si aggiravano liberamente tra stampe e libri antichi. Ordinato sacerdote nel 1912, dopo gli studi compiuti presso il Seminario di Pesaro e quello di Fano, Giovanni Gabucci fu nominato nel 1918 ispettore onorario per le opere di Antichità e Arte dalla Soprintendenza alle Antichità delle Marche e dell’Umbria. Nel 1926 fu ammesso alla Scuola Vaticana di Paleografia e Archivistica, conseguendo agli esami finali ottimi risultati. Numerose le testate giornalistiche locali e le opere a stampa che lo video tra i collaboratori: da segnalare almeno La Provincia di Pesaro e Urbino di Oreste Tarquinio Locchi (1934), alla quale contribuì con le notizie sui castelli del pesarese, compreso Sant’Angelo in Lizzola. Le fotografie alle pagine 25 e 27 ci sono state segnalate da Don Orlando Bartolucci. 33 Un tintore, Giuseppe Berti, compare nei documenti dell’Archivio Comunale sin dal 1813 (cfr. G. Boschi [a cura di], Sant’Angelo in Lizzola, storia di un antico borgo, Comune di Sant’Angelo in Lizzola 2005, p. 49.); nel 1858 l’elenco Utenti Pesi e Misure riporta i tintori Raffaele Guidi e Gaetano Amadori, oltre al sarto Nicola Andreatini. A Sant’Angelo sono ricordate poi almeno tre generazioni di Giovagnoli tintori: Giuseppe, padre di Napoleone (Elenco Utenti Pesi e Misure, 1899) e, chiamato come il nonno, il figlio di Napoleone. Giuseppe Giovagnoli lavorava ancora negli anni immediatamente precedenti la II guerra mondiale nella sua abitazione vicino al Teatro “G. Perticari”, distrutto dai bombardamenti (dalla testimonianza di L. Giovannini e A. Donati) Salvo diversa indicazione, tutti i documenti citati relativamente alla filanda di Sant’Angelo in Lizzola sono conservati presso il locale Archivio Comunale: poiché l’archivio è attualmente in fase di sistemazione, diamo in nota solo gli estremi cronologici del documento, rimandando alle corrispondenti serie archivistiche. 34 Ancora L. Giovannini e A. Donati ricordano che il mercato dei bozzoli si svolgeva nel piazzale a fianco della Collegiata di San Michele Arcangelo: le contadine arrivavano con la cesta sulla testa, i bozzoli coperti con dei panni bianchi; passavano i compratori e sceglievano. 35 Pellone: Sorte di pannilano [panno di lana] (C. E. Ferrari, Vocabolario bolognese – italiano Bologna, 1853, III edizione; p. 171). 36 Cambrì: Tela di cotone, bianca o in colori, di cui l’uso è estesissimo (N. Tommaseo – B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, 1861 - 1879; citazione tratta da http://www.dizionario.org/index.php?dizionario-italiano; 18 Novembre 2009, ore 9.35). 37 ASP, Tribunale di prima istanza di Pesaro, 1844, b 15; Latrocinio e ritenzione di arma da fuoco proibita in ogni grado, La Curia e Fisco contro Giuseppe Grassetti muratore di Monteciccardo - carcerato; deposizione di G. Grassetti. 38 ASP, Tribunale di prima istanza di Pesaro, 1844, b 19; Supposta uccisione di Pignatti Domenica, Monteciccardo. 39 Inchiesta Jacini, 1877-1882, Industrie domestiche; la citazione, relativa al vestiario nelle zone di Pesaro, è tratta da G. Deriu, Un sito dedicato alle abitazioni rurali dell’Italia di fine ‘900, (http://web.gioder.altervista.org/jacini/index.php?option=circ&option0=c5&option9= i&option2=c5_i; 10 Maggio 2008, ore 14.15). Nel 1877 sul territorio provinciale esistevano oltre 16.000 telai da canapa e lino e 542 da lana, così distribuiti: Pesaro 2.050; Candelara 60; Fiorenzuola 79; Gabicce 20; Ginestreto 32; Gradara 50; Mombaroccio 20; Monteciccardo 157; Montelabbate 100; Novilara 150; Pozzo Alto 100; Sant’Angelo in Lizzola 224; Tomba di Pesaro 250; Fano 150; Cartoceto 192; Saltara 122; Serrungherina 130; Mondolfo 300; San Costanzo 274; Mondavio 200; Barchi 45; Fratte Rosa 131; Montemaggiore al Metauro 175; Monte Porzio 2; Orciano di Pesaro 20; Piaggie 25; San Giorgio di Pesaro 65; Sorbolongo 27; Pergola 1.500 (+ 9 da lana); San Lorenzo in Campo 442; Serra Sant’Abbondio 50; Urbino 592; Auditore 126; Colbordolo 250; Fermignano 200; Monte Calvo in Foglia 66; Petriano 56; Tavoleto 65; Cagli 1.000 (+ 500 da lana); Acqualagna 150; Cantiano 119 (+ 1 da lana); Frontone 90; Fossombrone 1.500, Isola del Piano 120; Montefelcino 250; San Ippolito 64; Macerata Feltria 150; Bel Forte all’Isauro 16; Frontino 45; Lunano 48; Monte Cerignone 150; Pian di Meleto 19; Pietra Rubbia 40; Sassocorvaro 77 (+ 32 da lana); Pennabilli 300, Carpegna 150; Montecoppiolo 230; Scavolino 115; San Leo 350; Majolo 107; Monte Grimano 110; Pian di Castello 110; Sasso Feltrio 138; Sant’Agata Feltria 500; Casteldelci 100; Talamello 317; Sant’Angelo in Vado 400; Borgo Pace 60; Mercatello 80; Urbania 500; Apecchio 150; Peglio 40; Piobbico 100. Totale 16.179 telai da canapa

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e lino + 542 telai da lana (ASP, Camera di commercio di Pesaro, Carteggio, cit., b. 53). A titolo indicativo, riportiamo inoltre alcuni dettagli sui telai esistenti in alcuni paesi del circondario di Pesaro, tra quelli più spesso citati in questo volume: Sant’Angelo in Lizzola: famiglie residenti 409, telai 224 - i quali servono alla promiscua confezione dei panni di lana e di lino e canapa ad esclusivo uso domestico; Monteciccardo: 150 famiglie, non esistono telai da lana, da canapa 157 tutti ad uso esclusivo di famiglia; Ginestreto: 276 famiglie, 7 da lino 25 da canapa, non esistono telai da lana; Montelabate: 407 famiglie, circa 100 telai fra quelli in buono ed in cattivo stato, i quali per uso esclusivo delle relative famiglie proprietarie, servono promiscuamente a fare tele sì di lana, come di lino e canapa, Tomba (Tavullia): 470 famiglie, 230 telai; sono quelli che si ritengono dalle famiglie per fabricarvi la tela di lino, canapa e mezzo lana per proprio uso (id.). 40 Ugolini Memorie..., cit., pp. 383 - 384. 41 Raccolta privata, Pesaro. 42 Rascia, specie di panno grosso di lana. 43 GUSCETTO: si dà questo nome a quella parte di seta che rimane dopo la dipanatura de’ bozzoli. La si fila e riducesi in matasse come la seta; se ne fanno nastri cinture cordoncino e certe stoffe di cui più innanzi diremo Il guscetto dicesi anche bava o bavella (Guscetto, da Nuovo dizionario universale tecnologico, Venezia 1835, tomo VII; pp. 25 – 26). 44 Cambrì, cfr. nota n. 36. 45 Raccolta Marcella Ugolini, Belvedere Fogliense, Tavullia. 46 Zinalone, zinale: grembiule. 47 L. Illica - G. Giacosa, La Bohème – scene liriche in quattro quadri; libretto per l’opera di G. Puccini (prima rappresentazione: 1 Febbraio 1896; quadro primo, citazione tratta da http://www.impresario.ch/libretto/libpucboh_i.htm; 18 Novembre 2009, ore 9.55). 48 Pesaro, 13 Settembre 1912. Archivio Maria Teresa Badioli; il documento è stato donato alla curatrice del volume da Maria Teresa Badioli, che ringrazio ancora una volta per la preziosa collaborazione. 49 Mattino o matinée: casacchina che le signore indossavano appena alzate o per pettinarsi, in luogo della vestaglia; ornata e decorata con trine e nastri, spesso era corredata anche di una cuffia. 50 R. Camera di Commercio ed Arti in Pesaro - Lista elettorale per l’anno 1890 – Circondario di Pesaro, Comune di Pesaro (raccolta privata, Pesaro). Tra ( ) l’anno di nascita dell’esercente; il Comune di nascita è segnalato solo se diverso dal Comune per il quale gli esercenti risultano nominati nella lista. 51 Il Comune di Candelara, come quelli di Fiorenzuola di Focara, Ginestreto, Novilara, Pozzo Alto fu soppresso nel 1929; Casteldimezzo fu aggregato a Fiorenzuola di Focara nel 1869 (cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Comuni_italiani_soppressi#Provincia_di_Pesaro_e_Urbino; 15 Novembre, ore 11.25). 52 Da Pesaro, guida pratica illustrata, cit. Pesaro 1911. L’ubicazione dell’attività è riportata sulla Guida solo per gli inserzionisti a pagamento; dalla stessa pubblicazione segnaliamo qui anche i nomi dei Berrettai: Bocci Vincenzo, Paladini Augusto, e dei fabbricanti di calze: Bossi Mauri Zoe, Cesarini Attilio, Giunta Maria, Sora Faustina. 53 I nominativi sono tratti da una copia fotostatica dell’Elenco abbonati alla Rete telefonica urbana per il 1914. 54 Salvatore Paolucci, detto Didòn (cfr. A. Brancati, Società e informazione a Pesaro tra il 1860 e il 1922, Pesaro 1984, p. 275). 55 Dal Registro Ditte della Camera di Commercio, contenente i dati relativi alle aziende cessate prima dell’istituzione del Registro delle Imprese, Rosa Lugli risulta iscritta alla Camera di Commercio nel 1927 e l’attività risulta cessata nell’Agosto del 1968. In realtà la Lugli è citata tra le modiste pesaresi già nella Guida del 1911. Segnaliamo qui anche l’attività di Loredana Della Costanza (1948 - 2008), a tutt’oggi l’ultima modista di Pesaro. 56 T. Locchi, La Provincia di Pesaro e Urbino, Latina 1934; pp. 840 - 845. L’industria serica, la filanda, occupava come quella delle trecce per cappelli fatte a macchina nello stabilimento Scrocco, per la gran parte lavoranti femminili. Anche presso Scrocco le condizioni di lavoro erano nei limiti e al livello dei tempi; un lavoro duro, anche qui, retribuito modestamente come si usava, in ambienti non riscaldati (solo nell’ora dedicata alla colazione le lavoranti in genere si riunivano nello stanzone dove c’era la caldaia che forniva vapore alle macchine) (C. Mattioli,

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Pesaro anni Trenta, Roma 1993; pp. 49 - 50). Dall’Atto costitutivo della sas Pietro Scrocco & C., rogato dal notaio Giuseppe Fabbri di Pesaro e datato 5 Ottobre 1912, la ditta risulta fondata dai soci Signori Pietro Scrocco fu Innocente nato a Celle San Vito (Foggia) residente a Pesaro, e Caggiano Giustino fu Michele nato a Buonalbergo residente a Troia. Tale società à per oggetto la fabbricazione delle treccie meccaniche per cappelli, e il capitale sociale di 100.000 lire è così suddiviso: lire 73.333,34 Pietro Scrocco (11/15); 26.666,66 Caggiano (4/15); la durata della società è fissata in anni 5, e il 31 Dicembre 1912 si aggiunge un terzo socio, Ettore Ritucci (ASP, Tribunale civile, Società commerciali, b 12, fascicolo 104: Atto costitutivo della sas Pietro Scrocco & C. costituita in Pesaro per la fabbric. delle treccie meccaniche per cappelli). Maria Teresa Badioli segnala che secondo testimonianze orali, Pietro Scrocco avrebbe appreso l’arte della fabbricazione delle trecce di paglia dai discendenti di Ciro Menotti: il patriota carpigiano era infatti titolare di un’industria per la lavorazione del truciolo, ottenuto dai rami del salice. I Menotti di Carpi erano ricca famiglia e industriosa che introdusse macchine ed estese la fabbrica di cappelli di trucioli col qual pretesto Ciro viaggiò ed affiatossi colla propaganda a Parigi e coi Buonaparte a Roma... (C. Cantù, Storia degli italiani, Torino, 1856, tomo VI; p. 520). Infine, è utile annotare qui che nell’Elenco dei negozianti e commercianti per il 1869 (cfr. nota 20) compare anche Maria Salvino, titolare di una manifattura di cappelli di paglia. Sulla Filanda Giuliani e Vici e, in generale, sul declino dell’industria serica, cfr. G. Pedrocco, Il cammino dell’industria: dalla seta al mobile, in A. Varni (a cura di), La Provincia di Pesaro e Urbino nel ‘900 - Caratteri, trasformazioni, identità, Tomo I, Venezia 2003, pp. 219 - 220. Allo stesso studio rimandiamo per un inquadramento generale del tema dell’industria serica tra Otto e Novecento nella nostra provincia. 57 ASP, Tribunale civile - società commerciali, b 18, fascicolo n. 36, Cooperativa di Lavoro fra Operaie per confezionare panni militari, Atto costitutivo, stipulato presso il notaio Edmondo Mondaini, (residente a Gradara ma con studio a Pesaro, in via Cairoli 6). Salvo diversa indicazione, tutte le citazioni riferite alla Cooperativa di operaie sono tratte dallo Statuto della Cooperativa stessa, allegato all’Atto costitutivo. 58 ASP, Id., Verbale di assemblea, 13 Maggio 1917. 59 Id., Verbale di assemblea, 5 Maggio 1917. Almeno dal 1916, però, la Cooperativa doveva avere una sede propria, visto che tra le voci di spesa del bilancio di quell’anno si legge fitto di locali 60 lire. Dallo stesso bilancio apprendiamo che i proventi delle lavorazioni ammontarono a lire 6.302,85; tra le spese figurano invece lire 5.3654,63 per mercede alle lavoranti, e 150,10 destinate ai viaggi. 60 Ugolini 1910, cit., p. 67. Per quanto riguarda le condizioni di lavoro delle apprendiste sarte, va ricordato che nel 1901 a Milano si registra lo sciopero delle “piscinine”, che resterà a lungo uno degli episodi più vivi nella memoria popolare milanese. Centinaia di apprendiste sarte cravattaie e stiratrici, tra i nove e i quattordici anni, chiedono il sostegno alla Camera del Lavoro per l’aumento del salario e la salvaguardia della propria dignità contro “insidie cui sono sottoposte nelle loro quotidiane peregrinazioni attraverso le vie della rumorosa città” (http:// www.cgil.milano.it/ChiSiamo/Pagine/Nel%201891%20sorge%20la%20Camera%20del%20Lavoro%20di%20Milano.htm; 20 Novembre 2009, ore 17.28). Nella nostra città le cronache dell’epoca segnalano alcuni Appelli ai sarti, affinché si uniscano per ottenere miglioramenti nelle condizioni di lavoro (cfr. Il Progresso, p. es. 30 Maggio e 14 Novembre 1903 e 7 Maggio 1904); sulle rivendicazioni delle operaie delle filande cfr. B. Montesi, La lega delle setaiole in A. Bianchini (a cura di) Lavoro, diritti, memoria - La Camera del Lavoro della provincia di Pesaro e Urbino dalle origini ai primi anni ’70; pp. 111 - 120. 61 S. Trivella, Sono contenta di essere nata femmina, Pesaro 1990; p. 61.

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Forbici/cesoie per sarto (raccolta Famiglia Garattoni, Pesaro)


Pesaro, primi del ‘900. Il Kursaal (cartolina datata 14 Settembre 1902, Lit. Federici, Pesaro; Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci)

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Storie di Sarti 1900 - 1944


Pesaro, primi del ‘900. Porta Sale poco prima dell’abbattimento (cartolina ed. O. Semprucci; Pesaro; Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci; il timbro postale è scarsamente leggibile, ma la cartolina è databile tra il 1903 e il 1908)


Voltiamo: le mura della Fortezza verso Porta Sale1, elevata in gran fretta per decisione del Consiglio Cittadino tre secoli e mezzo or sono, e munita di duemila armati per paura della flotta turca preannunciata. L’abbatté il Consiglio Cittadino in quest’anno... . Il fossato sotto la Porta Sale dove si intravede ora fra il pietrame ammucchiato un magnifico piazzale, contemplò la forca che i vecchi ricordavano in opera per la famosa banda Frontini. (...) Ci inoltriamo attraverso le nuove comunicazioni incompiute, presso le nuove ville e case dove già la vita cantando sfila il suo stame. Le lacune frequenti, gli svantaggi dei lavori in corso, il verde ancor diffuso non tolgono alla plaga balneare il carattere già acquisito di estensione edificata e semi cittadina. Gli orti non si rilevano o sembrano fuori posto, nello stesso luogo dove dieci anni or sono la verdura sulle sabbie deserte parve un tentativo audace, e dove cinque anni or sono fra il verde deserto degli orti e dell’alberata frinivano le cicale nei mattini estivi come in un paesaggio dell’Attica... Anche la malinconica strada Molo Vecchio s’è meravigliosamente rinnovata; uscente ora da un nuovo piazzale civico e terminata nella graziosa terrazza sul mare, ora sorride più ampia e cinta di case; e nuda di alberi. Il Viale dello Stabilimento2, rimasto alle costruzioni più aristocratiche, sarà presto una alberata chiusa da ville; che dovrebbe confluire in un piazzale più ampio (sia pure compresavi qualche villa) e più fiorito e vario. Ma già quest’anno una buona novità ci presenta l’arido piazzale con la fontana centrale, una pennellata di frescura e di verde3. Giorgio Ugolini_1912


Pesaro, fine ‘800 - primi ‘900. Antica Porta Sale (ora demolita) (cartolina datata 1912, Ed. F. Ravagnani, fotografia G. Molari; Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci)


Azeglia Coli Temellini Figlia di Antonio Coli, ceramista e musicista4; data per noi da Marta Soliman: veneziana di moglie di Attilio Temellini, di professione bar- origine ma pesarese di adozione, Marta combiere ma vero factotum cittadino dai mille inte- pare già nella prima edizione del volume con ressi, Azeglia Coli Temellini (1880 - 1951) cresce una lettera a Iolanda Secchiaroli, sarta e aminell’ambiente del Liceo Musicale “G.Rossini”5, ca di famiglia; in questa seconda fase del ladove il padre era custode, e inizia la sua attività voro ha seguito con grande tenacia e affetto le nei primissimi anni del ‘900, nell’abitazione di tracce di Azeglia, nonna di suo marito Carlo, e via A. Tortora 20. Nella Pesaro del primo No- di Luigi Sgrignani, noto sarto per uomo. Gravecento via Tortora significa soprattutto Casa zie dunque a Marta, anche per questi ulterioAvezza, all’angolo con corso XI Settembre, ri, preziosi tasselli del nostro racconto. dove dal 1913 al 1928 ha avuto sede la centrale telefonica6 e dove, ai tempi in cui Azeglia comincia a lavorare, si trovava il Magazzino Milanese di Giuseppe Vallanzasca, con il suo assortimento di stoffe, paletots e scialline7. Pochi anni dopo il matrimonio Azeglia va ad abitare in viale Zara, allora ancora un prolungamento di viale Castelfidardo8. Grazie al suo intuito di mediatore, infatti, Attilio Temellini acquista un’area fabbricabile nella zona verso la quale la città si va espandendo dopo l’abbattimento della cerchia muraria roveresca. Insieme con quelle delle famiglie Cancelli e Garattoni, la casa dei Temellini sarà tra le prime Lago di Como, 21 Aprile 1926. Attilio e Azeglia Temellini durante una gita: Attilio è il a sorgere in viale Zara. signore con i baffi all’estrema sinistra della foto; la moglie Azeglia è la signora con il Azeglia Coli Temellini è ricorcappotto nero (raccolta privata, Roma)

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commissione), ma la sua vera passione resterà l’incisione su osso. Con quest’arte si cimentò in parecchi lavori in stile veneziano: cofanetti, pannelli intarsiati per mobili d’arte e anche una colossale poltrona alla quale lavorò per parecchi anni. Tutta la sua produzione artistica è sempre stata ricercata con interesse da amatori ed antiquari. Azeglia cresce così nel Liceo Musicale, dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza insieme con la sorella, i fratelli e i genitori, dedicandosi sin da ragazza all’arte del taglio e del cucito. Giovinetta conosce Attilio Temellini allora giovane barbiere: gli amici lo chiamavano il Figaro pesarese e nella sua bottega, all’inizio di via Rossini verso la piazza del Popolo, oltre a barba e capelli si procacciavano affari, vendita case, affitti e compravendite. Si fidanzano e poco dopo, nel 1905, convolano a nozze: Azeglia è già registrata sui documenti come sarta, e la prima sede del suo laboratorio è la casa dove va ad abitare insieme con il marito Attilio, in via Tortora. Qualche anno dopo è proprio nella sua bottega di barbiere che ad Attilio capita un affare,

Azeglia Coli nasce nel 1880 a Pesaro, in via Canale, da Antonio ed Elvira Bedinelli. Il padre Antonio trascorse l’infanzia studiando viola e pianoforte; frequentando la fabbrica di ceramiche Nicoletti imparò anche l’arte del “gran fuoco”. In giovanissima età decise di sposarsi, scegliendo una coetanea nativa del porto… una scelta ardita per quei tempi, poiché tra la Città e il Porto esisteva una specie di muro: varcare la cinta daziaria che si trovava in fondo alla via Cavour voleva dire affrontare le ostilità dei giovani portolotti, e tanto peggio se si andava a portar via le loro ragazze. Inoltre, se un fidanzamento fosse andato a monte, queste non avrebbero più trovato un partito nel loro ambiente, ed ecco perché le ragazze del Porto difficilmente si spingevano, la domenica, oltre l’angolo della Pescheria. Antonio conosce Elvira diciottenne, si fidanzano, la porta a teatro dove lui suona nell’orchestra e dopo un paio d’anni, entrambi ventenni, si sposano: dalla loro unione nascono sei figli. Con il matrimonio Antonio mette da parte l’idea di fare il ceramista, perché la crisi economica e il pensiero di una famiglia in continua crescita lo fanno riflettere: decide cosi di presentarsi al Liceo Musicale “G.Rossini” per un lavoro fisso, facilitato dal fatto di essere provetto accordatore di pianoforti. Diventerà custode del palazzo con alloggio gratuito per sé e per la sua famiglia. La passione della ceramica però non l’abbandona: decide di costruirsi un forno in una stanza vicina all’abitazione e di mettere a frutto le sue esperienze artistiche, dedicandosi alle maioliche al terzo fuoco, nel rifacimento dell’istoriato cinquecentesco urbinate. Impara anche l’arte del dipingere (lavorerà su 64


Donna serena, metodica, senza fronzoli, pochissime variazioni sul tema, vestiva di scuro con qualche nota bianca della camicia, fermata al collo da una spilla, i capelli rigorosamente tirati su. La sua presenza in casa era costante, vero pilastro familiare, e intorno a lei ruotavano tutte le altre persone della famiglia, il marito Attilio, i figli, i nipoti. Trascorreva quasi tutta la giornata in casa, la mattina nel suo laboratorio, poi in cucina e di nuovo nel laboratorio dove, tra i fili colorati e i modelli cartacei che gelosamente conservava, tagliava le preziose stoffe. Mi ricordo che la nonna girava sempre con il metro sulle spalle, e che la sua macchina da cucire, un’Adria, faceva riecheggiare tutto il giorno il suo caratteristico e velocissimo planb-planb. Le clienti della nonna venivano accolte dall’unica lavorante ormai rimasta, l’Olga, che le faceva accomodare nella vietatissima, per noi bambini, sala da pranzo dove avvenivano le prove. Il nipote Franco ricorda anche che la nonna gli aveva confezionato un paio di pantaloncini, rigorosamente grigi, e un pullover, fatto con la lana riciclata che Azeglia aveva sferruzzato alla velocità della luce. Bye Bye cara nonna! (Marta Soliman_Luglio - Novembre 2009)

cioè di comprare un terreno, formare una cooperativa, e far costruire nell’attuale viale Zara con sette soci, sette case con giardinetto. Lui prenderà la prima di testa, all’angolo tra gli odierni viale Zara e viale Trento: dai documenti catastali l’edificio risulta esistente già dal 1913. Azeglia non vede l’ora di andare ad abitare nella nuova casa, sia perché la famiglia è cresciuta (sono nate già le prime figlie) sia perché là potrà ampliare la propria attività di sarta. Le sue prime lavoranti furono le sorelle Sgrignani, Giulia e Maria, che ancora giovanissime andarono da lei a imparare l’arte del taglio, del cucito e del confezionamento di abiti da donna. Le due sorelle rimasero a lavorare nella sartoria per sei-sette anni, poi lasciarono e aprirono un’attività in proprio; a loro seguirono altre ragazze, fra le quali ricordiamo l’Olga, collaboratrice di Azeglia fino a tutto il 1946. Negli anni della guerra l’attività della sartoria incomincia a rallentare, e Azeglia così potrà finalmente trovare il tempo per cucire vestiti per i nipoti. Azeglia Coli muore a Pesaro nel 1951. Così l’Azeglia viene ricordata con infinito affetto dal nipote Franco, che trascorreva lunghissime vacanze dai nonni in viale Zara. Franco rammenta come la nonna rappresentasse perfettamente il modello di madre e di piccola imprenditrice dei primi del ‘900.

Sopra: Giulia Sgrignani, una delle prime lavoranti della sartoria di Azeglia Coli (raccolta Sandra Cesarini Martinelli, Pesaro). Nella pagina precedente: la macchina da cucire di Azeglia Coli Temellini, un’Adria a pedale della fine dell’Ottocento (raccolta privata Pesaro)

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Attilio Temellini, barbiere in Pesaro Tutta Pesaro si ritrovava nella Barbieria Temellini di via Rossini: panni caldi per la barba e sapienti ritocchi alla chioma facevano da cornice alla vivace personalità del proprietario, quell’Attilio che, raccontano le cronache cittadine, sul finire degli anni Trenta era riuscito a convincere Beniamino Gigli a esibirsi in piazza del Popolo, in una domenica d’Agosto, per raccogliere fondi destinati alla Società di Mutuo Soccorso, di cui lo stesso Temellini era presidente9. Erano le sette di sera, racconta il commendator Pietro Franti [deputato all’ospizio Mazza Mancini], e Gigli passeggiava su e giù nella piazza di Recanati con tre o quattro persone. Nel vedere Temellini, lo riconobbe e gli andò incontro dicendogli: “Come mai a Recanati”? Al che il popolare barbiere gli rispose: “Abbiamo bisogno di voi, commendatore, perché la nostra Società [di cui Gigli era presidente onorario] ha molti soci, ma pochi quattrini e non può più concedere sussidi agli infermi.” “E i vecchi cronici e invalidi” aggiunse il comm. Franti, “muoiono di freddo nell’ospizio di via Mazza…”. Ci fu un attimo di esitazione nei tre, poi Temellini si fece animo e disse ancora, rivolto al tenore: “Gli operai pesaresi vi benediranno, ed io di seguito, e i vecchi pregheranno ogni sera per la vostra salute”. A questo punto Gigli ruppe il silenzio: “I vecchi e gli operai non devono soffrire”. E dopo una breve pausa: “Domenica sarò a Pesaro, nella vostra bella piazza” (Il Resto del Carlino, 1957)10.

Pesaro, primi del ‘900. Foto di gruppo per i soci della Cooperativa barbieri, fondata nel 1902: Attilio Temellini è il quarto da destra (raccolta privata, Roma)

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Pesaro, 1 Gennaio 1926. Attilio Temellini, marito di Azeglia Coli, davanti alla sua bottega di barbiere, in via Rossini (raccolta privata, Roma)

Viale Zara, un ricordo di Silvana Temellini Tra i figli di Azeglia e Attilio c’è anche Silvana Temellini (1924 - 2007), emigrata nel 1951 in Argentina, dove si è sposata con il torinese Dante De Castagno. In Argentina Silvana ha svolto un’intensa attività sociale e culturale: il suo nome è particolarmente legato all’Associazione Riojana Ciechi e Ambliopi, di cui è stata fondatrice, impegno che le è valso nel 1990 la Croce di Cavaliere della Repubblica. Così, nel 1998, Silvana ricordava viale Zara, in una lettera all’amica Guglielmina Cancelli. Vivevo in viale Zara nell’angolo con viale Trento, dove la bora in inverno e il garbino in estate, entravano fra gli alberi di acacie e come giocando colpivano le persiane (…) Il carro del lattaio tirato da un vecchio cavallo si avvicinava al mattino presto: al richiamo dell’uomo, le porte si aprivano ed apparivano i recipienti per introdurre il mezzo litro o il litro di spumoso latte. (…) Tutti gli alberi di viale Zara, con i loro rami nudi tremavano al vento. (…) Sempre pensavo che dal cielo a qualche angelo erano caduti fiaschi di pittura, perché sia nel mio giardino, come in molti altri c’erano mughetti, tulipani rossi, gialli, rosa assieme ai profumati giacinti che formavano macchie di diversi colori, come se fossero una tela di lana scozzese11. Silvana Temellini De Castagno_1998 67


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Umberto e Raffaele Garattoni

Nato nel 1888 a San Nicola, località a pochi Tra i più illustri clienti della sartoria Garattoni, chilometri dal centro di Pesaro, Umberto Ga- che arrivò a contare una quindicina di lavorattoni apre nel 1911 in via Petrucci la sua sar- ranti, ci fu anche il maestro Amilcare Zanella toria, una delle più antiche della città. (1873 - 1949), direttore del Liceo Musicale “G. All’inizio degli anni Trenta del ‘900 si trasferi- Rossini” dal 1905 al 194013. sce in viale Zara, nell’elegante villa all’ango- Nominato Cavaliere di Vittorio Veneto nel lo con viale della Vittoria ancor oggi abitata 1970, Umberto Garattoni si spegne nel 1982. dalla famiglia, che fa bella mostra di sé sul- (Testimonianza raccolta nel Giugno 2007) le cartoline pubblicitarie della sartoria. Nella bella stagione spesso mio nonno lavorava in giardino, racconta il nipote Giuliano, artista affermato che custodisce con dedizione i ricordi dell’attività di famiglia: fu uno dei primi a costruire in viale Zara, all’epoca questa zona era ancora quasi interamente occupata dagli orti, la città-giardino si concentrava tutta intorno al villino Ruggeri, nell’attuale Piazzale della Libertà. Dal 1933 Umberto Garattoni è affiancato nell’attività dal figlio Raffaele (1913 - 1992): rinunciando a malincuore alla vocazione di architetto, Raffaele continuerà in grande stile la tradizione del padre, dopo aver affinato il mestiere presso una nota sartoria di Roma. L’arte resta però una costante nella sua vita: pittore di talento, Raffaele si circonderà di amici artisti, gli stessi che Pesaro, anni Sessanta del ‘900. Da sinistra a destra, Raffaele Garattoni e la frequentavano la Bottega d’Arte di Al- moglie Maria Luisa Ruggeri, la signora Garattoni e Umberto Garattoni; dietro, Giuliano Garattoni, figlio di Raffaele cibiade Della Chiara12. 69


Pesaro, anni Trenta del ‘900. Sopra: Umberto Garattoni sul balcone della sua abitazione di viale Zara; sotto: cartolina pubblicitaria

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Pesaro, Luglio 1951. Gita della sartoria Garattoni alla Bettola, sul colle Ardizio

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In questa pagina, sotto: Bruno Baratti, ceramica raffigurante Sant’Omobono, protettore dei sarti: la ceramica fu donata a Raffaele Garattoni dai suoi dipendenti; sopra: Raffaele Garattoni, Ritratto del padre Umberto e (con i baffi) Autoritratto. Nella pagina a fianco: Alcibiade Della Chiara, insegna della sartoria Garattoni


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Egregio Garattoni, ho ricevuto i vestiti che man mano li proverò. Attendo la nota che spero sarà fatta da... amico. Vi avverto che i ritagli di stoffa sono troppo scarsi. Sarebbero scarsi anche se si trattasse di un vestito solo - Figuriamoci poi trattandosi di parecchi vestiti! Dunque mi raccomando...! Gradite i miei migliori saluti. Vostro Amilcare Zanella Pesaro, Liceo Musicale Rossini - 15/12/XVIII (1940)

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Umberto Garattoni e l’ars topiaria Viale Zara inizia a partire dalla nazionale (viale della Vittoria) e termina con il moletto, il caro vecchio moletto proteso sul mare, baciato dalle onde che sbattono contro gli scogli. Piano piano sorsero le case. Devo dire che la prima fu proprio quella dove sono nata. Viene a trovarsi all’incrocio con viale Cesare Battisti, all’angolo destro. La fece costruire mio padre nel 1911. (…) Ed ecco che la strada si anima, incomincia a vivere la sua vita fatta di uomini, di abitudini, di risa o di pianti di bambini che crescono, di lavoro quotidiano, di finestre che al mattino si aprono al sole, di portoni che possono di già chiudersi per sempre. Riemerge, come d’incanto, dal mondo dei miei ricordi il giardino fiorito del sarto Garattoni. Era proprio all’inizio, superata la nazionale. Il sarto Garattoni era noto per la sua bravura, aveva clienti molto esigenti (vedi mio fratello il dottor Cancelli) che solo lui riusciva ad accontentare e di ciò ne andava fiero. Ma io credo che la sua vera passione fossero i fiori. Quando non era particolarmente intento nel suo lavoro, era particolarmente intento al suo giardino. Era molto facile vederlo curvo sull’aiuola a zappettare, sarchiare, piantare o trapiantare... fiori per ogni mese, per ogni stagione, fiori per tutto l’anno. Dalle prime violette ai crisantemi. E chi passava di lì non poteva fare a meno di fermarsi ad ammirare quel tripudio di colori. “Che bello!” E il sarto Garattoni sorrideva felice14. Guglielmina Cancelli_1995 Umberto Garattoni e l’ars topiaria (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta della Famiglia Garattoni, Pesaro)

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Erasmo Pezzodipane

pane si mette in proprio nel laboratorio di via Mazza, affiancando da subito alla creazione di abiti da uomo anche la realizzazione di uniformi militari e di tailleur da donna15. Negli anni precedenti la II guerra mondiale la Sartoria Pezzodipane si trasferisce in corso XI Settembre, dove avrà sede sino alla chiusura, avvenuta nei primi anni Settanta. Assistito da una quindicina di lavoranti, Pezzodipane serve una clientela prestigiosa: mio padre, conclude la signora Licia, aveva molti clienti anche fuori Pesaro, gli affezionati non lo hanno mai lasciato, arrivavano da tutta la provincia e anche da fuori, da Milano, per esempio. Tra i riconoscimenti ottenuti dal sarto nel corso della sua lunga carriera c’è il Cavalierato, conferito anche alla signora Licia nel 2003. Erasmo Pezzodipane si spegne a Pesaro nel 1978.

Quando scelgo un tailleur, quando compro un tessuto, ancora oggi penso a mio padre: sono parole di Licia Pezzodipane Ratti, signora dell’eleganza che dal 1945 modella con gusto sicuro lo stile dei pesaresi, prima a fianco del marito Pietro Ratti, oggi coadiuvata dalla figlia Silvana e dalla nipote Matilde D’Ovidio. All’affermazione delle Boutiques Ratti, note in tutta Italia, ha certo contribuito quella particolare sensibilità per la cura del dettaglio artigianale, la qualità dei materiali, la perfezione del taglio che Pietro Ratti, tenente dei bersaglieri reduce dalla Russia in villeggiatura a Pesaro nell’immediato dopoguerra, intuisce nell’allora diciannovenne Licia, figlia di uno dei più noti sarti della città: Erasmo Pezzodipane. Sono cresciuta in sartoria, racconta la signora Licia, e sono stata la persona più vicina a mio padre, nel suo lavoro. In sartoria lo aiutavo a decidere stoffe e colori, e devo a lui se ho imparato a riconoscere al tatto la composizione di un tessuto. Il ricordo delle sue giacche mi ha accompagnato per tutta la vita, e l’attenzione scrupolosa che metteva nel suo lavoro è stata per me una lezione da non dimenticare. Nato nel 1899 a Macerata, dove quindicenne fu apprendista presso la Sartoria Marconi, Erasmo Pezzodipane arriva a Pesaro negli anni Venti del ‘900. Dopo aver brevemente collaborato con Umberto Garattoni, Pezzodi-

Sopra: Sartoria E. Pezzodipane, annuncio pubblicitario, da Pesaro, Piccola guida, 1951. Nella pagina precedente: Pesaro, anni Sessanta del ‘900. Erasmo Pezzodipane posa nella sartoria di corso XI Settembre: sul manichino, una giacca da uomo (raccolta Licia Pezzodipane Ratti, Pesaro)

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La storia della sartoria Pezzodipane e quella delle Boutiques Ratti si intrecciano, oltre che nella figura di Licia, anche nella persona di Mauro Sabatinelli, sarto di classe che proprio con Erasmo Pezzodipane imparò il mestiere e, dopo una lunga esperienza in proprio, è oggi responsabile della sartoria interna di Ratti. Di Erasmo Pezzodipane Mauro Sabatinelli ricorda soprattutto il rigore e l’instancabile ricerca della perfezione, che si traducevano in uno studio costante per aggiornare i metodi di

taglio: Pezzodipane padroneggiava cinque o sei diversi sistemi, e da ciascuno prendeva la parte migliore per arrivare al modello perfetto, all’a piombo ideale. Con me è stato generoso, mi portava ad assistere alle prove degli abiti, e questo mi ha permesso di imparare i segreti del mestiere, cose che non si possono apprendere sui libri. (Testimonianze raccolte tra l’Aprile 2008 e il Novembre 2009)

Mauro Sabatinelli, per sedici anni collaboratore di Erasmo Pezzodipane, premiato nel 1968 con la medaglia d’argento nel concorso Forbici d’oro, riservato ai giovani sarti. Sabatinelli, fanese di nascita, è stato a lungo titolare di una propria attività; dal 1985 è responsabile della sartoria interna della Boutique Ratti (raccolta Mauro Sabatinelli, Fano)

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Marcello Pezzodipane, in arte Tusco (1930-2001), attore e doppiatore, con uno smoking e un completo sportivo realizzati dal padre Erasmo Pezzodipane (anni Sessanta del ‘900; raccolta Licia Pezzodipane Ratti, Pesaro)

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Sopra: Roma, chiostro della basilica dei Santi Cosma e Damiano, Marzo 1967. L’ingegner Raffele Frattarolo e la moglie Livia Orlandi, fotografati nel giorno del loro matrimonio. Gli sposi sono ritratti insieme con i genitori di Raffaele, Carlo Frattarolo e Luisa Pagnini Frattarolo. Gli uomini della nostra famiglia, commenta ancora l’ingegner Frattarolo, sono stati per tre generazioni clienti della Sartoria Pezzodipane: il primo fu mio nonno Ugo Pagnini, direttore dell’Officina del Gas di Pesaro per più di quarant’anni, poi mio padre Carlo e infine io stesso. Anche il tight indossato dal padre dello sposo è opera della Sartoria Pezzodipane; da sottolineare infine che, pur non risiedendo a Pesaro, Carlo e Raffaele Frattarolo restarono a lungo clienti del sarto. A destra: Roma, Marzo 1967. L’ingegner Raffaele Frattarolo posa nei saloni dell’albergo “Le Grand Hôtel” con il tight realizzato dalla Sartoria Pezzodipane: la fotografia, ricorda l’ingegner Frattarolo, fu scattata proprio per donarla al sarto

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Ugo Pagnini Il Comm. Ugo Pagnini (Pesaro, 1880 - 1966) fu un personaggio eminente della vita della città; nato al Porto è lì vissuto per la gran parte della sua vita. Nelle sue funzioni di direttore dell’Azienda del Gas ne fu organizzatore attento e lungimirante; nel dopoguerra - con appassionata competenza - si prodigò per la ricostruzione degli impianti, completamente distrutti dagli eventi bellici, registrando in un suo diario le varie tappe di questo impegnativo lavoro. Nel diario sono puntigliosamente elencati - tra le altre annotazioni - tutti i bombardamenti che colpirono Pesaro. Fu uomo dai molteplici interessi e dalle molteplici attività: in gioventù - per hobby - fu costruttore di “sandolini” con i quali partecipava, insieme al fratello Guerrino, alle regate che si tenevano al Porto. Uno degli ultimi esemplari, costruito nel 1905, è posseduto dalla famiglia. Fu fondatore, insieme a un amico, nel 1898, della Società Ginnastica VIS e di una associazione ciclistica; fu, ancora, plurivincitore di gare di tiro alla carabina. Consigliere della Cassa di Risparmio di Pesaro, nel dopoguerra fu tra i fondatori del locale Club Lyons, Presidente della Croce Rossa e attivo membro dell’Associazione Dirigenti d’Azienda. Raffale Frattarolo_Novembre 2009

Sopra: Ancona, 2 Luglio 1960. Fiera della Pesca. Ugo Pagnini all’Assemblea dei Dirigenti d’Azienda. In alto a destra: Pesaro, 6 Marzo 1953. Ugo Pagnini con donna Carla Gronchi, Presidente della Croce Rossa Italiana, durante la visita di quest’ultima al Comitato locale della Croce Rossa

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Dicono che nelle case donne pallide sopra la vecchia Singer cuciano gli spolverini di percalle, abiti che contro il vento stiano tesi e tutto il resto siano balle, vecchio lavoro da cinesi eh eh Paolo Conte, Novecento16

Pesaro, primi del ‘900. Corso XI Settembre - Pescheria (Borgo) (cartolina, ed. Cartol. Tip. Buona Stampa, Pesaro; Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci)


Zaira Mignoni Ortolani

La scatola dei ricordi. Fotografie, bottoni, paziente dietro una tenda, tra carte, bottiglie anellini di latta, un microscopico portamonete e il poco superfluo di una famiglia che ha vidi velluto marròn, sottratto alla triste sorte di sto la guerra; dal 1983 se ne sta, in bella vista, diventare borsetta di Barbie. Storie impercet- all’ingresso del mio studio. Ogni tanto indostibili, conservate in un porta talco di cartone sa qualche raro velluto dei suoi tempi, perlodal disegno déco. Piccole voci che non si la- più fa da supporto a cappelli, sciarpe, veletsciano dimenticare. E che un giorno diven- te. Sempre, però, con il riguardo dovuto alle tano così insistenti da farsi raccontare in un anziane signore. E chissà cosa pensa, adesso, volume di più di trecento pagine. Quelle era- di questa nipote che non ha mai imparato a no le ragazze che lavoravano con la nonna, in cucire due maniche uguali, ma che le stoffe le usa per ricomporre le sue storie. una grande sartoria di Pesaro. Pesaro, viale Pola, primi anni Ottanta del ‘900. Di fronte, il parco di Villa Molaroni. Su un tavolo di cucina, stufa a carbone, pavimento di graniglia, mobili smaltati avorio e verde penicillina dritti dritti dagli anni Cinquanta, la nonna Zaira apre - è forse la prima volta in tante domeniche di Cynar e Idrolitina - la scatola delle fotografie, e un gruppo di ragazze, il sorriso composto sotto le onde gonfie delle acconciature un po’ liberty, rivive per un istante. Ma perché non le ho chiesto di più? Perché non le ho chiesto quale sartoria, dove? Forse arriva da lì il suo manichino, un busto primonovecentesco dall’inconfondibile linea a ‘S’, rivestito di un cotone nero sottile e consunto: per Pesaro, 1905 - 1910. Sarte e apprendiste in una sartoria pesarese: la bambina al centro è Zaira Mignoni (raccolta Cristina Ortolani, Pesaro) quasi cinquant’anni ha aspettato 83


Nata a Talacchio di Colbordolo, Zaira Mignoni (1899 - 1983) arriva a Pesaro insieme con la famiglia nei primissimi anni del Novecento. Trascorre l’infanzia al Porto, e successivamente si trasferisce nel Borgo: il 3 Luglio 1923 si sposa con Carlo Ortolani17 (1895 - 1981), meccanico e conduttore di caldaie a vapore, autista per l’Amministrazione Provinciale e reduce dalla Grande guerra. Sull’atto di matrimonio Zaira è già registrata come sarta, anche se i documenti della Camera di Commercio segnalano l’apertura della sua sartoria di via Mammolabella 50 nel 1928. Come dimostra una fotografia scattata nel 1926, già in quell’anno la sartoria, che lavorò sempre esclusivamente per signora, aveva diverse lavoranti: venivano quasi tutte da Soria, commenta Lidia Ortolani, primogenita

di Zaira e Carlo; tra loro ricordo Maria Filippetti, detta la Maria fanesa [di Fano], che poi si è messa in proprio, e Iolanda Cardinali. In via Mammolabella siamo rimasti fino al 1929, perché all’epoca del terremoto del 193018 abitavamo già in corso XI Settembre, continua Lidia. Le clienti abitavano per la maggior parte nel Borgo, e la mamma contava tra loro anche diverse signore in vista, alcune erano molto legate alla nostra famiglia: per esempio, una volta la moglie di un noto avvocato mi regalò un monopattino di metallo, era molto elegante rispetto a quelli di legno che avevano di solito i bambini. La mamma lavorava in una stanza adibita a laboratorio, vicino alla cucina, era attrezzata con un tavolone per il taglio, la macchina da cucire e il manichino; ricordo che le marcature [i punti per segnare il tessuto prima

Pesaro, 1926. Zaira Mignoni Ortolani con le sue lavoranti. Zaira tiene in braccio la figlia Lidia; la bimba con i capelli corti, al suo fianco, è la nipote Liliana Tangucci. Alle spalle di Zaira, in piedi, Maria Filippetti e, al centro della foto, Iolanda Cardinali (fotografia P. Belli, Pesaro; raccolta Cristina Ortolani, Pesaro)

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appena undicenne, Luciano, il secondogenito di Zaira e Carlo, colpito dalla meningite. Nel 1945, alla fine della guerra, siamo tornati a Pesaro continua Giorgio, figlio minore della coppia; dopo un breve periodo trascorso in via San Francesco, ci siamo trasferiti definitivamente in viale Pola: Zaira, che già nei primi anni Quaranta aveva rallentato l’attività, dal ritorno a Pesaro si dedica esclusivamente alla famiglia, continuando a cucire abiti per sé, per la figlia e per le nipoti.

di tagliarlo] si facevano su delle tavolette… qualche volta aiutavo anch’io in sartoria, ma quanto alle rifiniture, non mi lasciavano fare i sottopunti perché - diceva mia madre - facevo ‘i ceci’. Con l’ordine di sfollamento19, anche la famiglia Ortolani al principio del 1944 lascia il Borgo, per trovare riparo sulle colline dell’immediato entroterra (Bottega di Colbordolo prima, Ginestreto, Coldelce di Urbino e Farneto di Montelabbate poi); nello stesso anno muore,

A sinistra: Pesaro, 24 Giugno 1934. Lidia Ortolani fotografata nel giorno della sua Prima Comunione (fotografia P. Belli, Pesaro); a destra: Pesaro, 1934 - 1935. Lidia Ortolani con il fratellino Luciano. Il vestito era di organdis giallo chiaro, ricorda Lidia, e anche l’abito della Prima Comunione è stato realizzato da mia madre (raccolta Lidia Ortolani Giordano, Pesaro)

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Sopra: Pesaro, 1956 circa. Raffaella e Luciana Giordano, nipoti di Zaira Mignoni Ortolani; sotto a sinistra: Pesaro, 20 Novembre 1943. Lidia Ortolani con uno chemisier realizzato dalla madre Zaira (raccolta Lidia Ortolani Giordano, Pesaro); a destra: Maria Filippetti, apprendista presso la sartoria di Zaira Mignoni, in viaggio di nozze con il marito Vincenzo Clementi (raccolta Giovanna Clementi Macchini, Pesaro). Nella pagina seguente: Pesaro, 1924 circa. Zaira Mignoni con il marito Carlo Ortolani e la ďŹ glia Lidia (fotograďŹ a P. Belli, Pesaro; raccolta Lidia Ortolani Giordano, Pesaro)

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Le mie predilette sono le sartine indipendenti,

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le isolate, che abitano una periferia percorsa dai treni, e cuciono nella stanza da letto, misurano nella sala da pranzo (c’è sempre un grosso tavolo, con tappeto di pizzo ed aspidistra in vaso d’ottone, ed il lume trema al passaggio dei camion). Intanto la possibilità del miracolo l’avvolge: e non è puntuale, e non è precisa, e non accetta suggerimenti, né critiche. Se le si porta un giornale di moda, lo sfoglia appena, di malavoglia, indugiando soltanto sulle pagine della réclame, davanti a immagini colorate, vistose e inattuabili. Se le si affida il capo di buon taglio, che un’amica ci permette di copiare, lo solleva con due dita, lo disprezza in silenzio, lo lascia ricadere. Accetta suggestioni dal cinematografo soltanto, e da film americani: Loretta Young, e qualche volta Joan Crawford, sono le sue ispiratrici. I suoi prezzi sono imprevedibili, talvolta si presenta di sera tardi, a esigere, aspramente, le 1.500 lire di fattura per una sottana. Talaltra rimanda, per sei mesi, la fatica di scrivere, sopra un pezzetto di carta dubbia “Conf. Prinsess lire 6.00, lampo lire 380, ovattina lire 1.200, forniture varie lire 75”. Può decidere di diventare ricca e celebre, e ci riesce. Più spesso sceglie la povertà anonima, ma è sempre lei, confusa, violenta, sensibile, che governa la moda Irene Brin_1949


Pesaro, anni Venti e Trenta del ‘900. Il viale dello Stabilimento (oggi viale della Repubblica) visto da via Rossini (raccolta Famiglia Urso, Bologna)


Prima Paganelli, la Bolognese

bero preferito che dopo la scuola industriale continuassi l’attività di mio padre, che aveva una piccola officina… La zia Prima, poi, si interessava sempre delle vicende di noi nipoti, si era presa il ruolo di paciere famigliare, ricordo che spesso interveniva per mediare tra noi fratelli: quando c’era qualche attrito andavamo a Pesaro, lei aggiustava tutto e al ritorno quello che sembrava un dramma diventava una cosa semplice, era tutto risolto. Il primo viaggio della mia vita, all’età di cin-

È incredibile quanto una persona possa influire sulla vita di chi le sta vicino: noi dobbiamo molto alla ziona, se non ci fosse stata lei le nostre vite sarebbero state di sicuro molto diverse. Era una calamita, un catalizzatore di affetti. Così Roberto Urso, chirurgo ortopedico, ricorda la prozia Prima Paganelli, meglio nota in città come la Bolognese. È seguendo il filo della sua memoria, e di quella davvero eccezionale di suo padre Luciano, primario di anestesia e rianimazione all’Ospedale Rizzoli di Bologna, che abbiamo scelto di raccontare l’attività di una donna diventata il simbolo dell’arte sartoriale a Pesaro. Discussa e ammirata, dotata di una personalità magnetica che emerge intatta dai suoi ritratti, la Bolognese è ancor oggi, a quasi quarant’anni dalla morte, il primo nome che si affaccia alla mente dei pesaresi quando si parla di sarti e sartorie. Poco incline a farsi condizionare dagli eventi, che piuttosto volgeva a proprio vantaggio grazie a una volontà irresistibile, Prima Paganelli era donna di grande intelligenza, ma soprattutto di gran cuore, come testimoniano le parole dei suoi famigliari. Io sono quello che sono perché c’è stata la zia, commenta il professor Luciano, figlio di Pia, sorella di Prima: lei mi ha dato la possibilità di studiare medicina, una strada che volevo seguire sin dall’età di dodici anni, mentre i miei genitori avreb-

Pesaro, 1935. Prima Paganelli con una copia di Harper’s Bazaar (raccolta Famiglia Urso, Bologna)

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restano come vedova di Ermenegildo Mattei. Assai scarse anche le testimonianze che parlano della sua attività, iniziata in quegli anni con pochi mezzi e in brevissimo tempo cresciuta fino a raggiungere le dimensioni di un vero e proprio atelier, organizzato come le case di moda delle grandi città.

que anni, è stato proprio per raggiungere la zia Prima a Pesaro: mi hanno ‘caricato’ sul treno e mia madre mi ha affidato a una passeggera, chiedendole di farmi scendere una volta a destinazione. Quando mi sono laureato mi ha regalato un vaso d’argento con la dedica, era molto orgogliosa della mia laurea. Affabulatore nato, il professor Luciano Urso, che tra le importanti tappe della sua carriera annovera anche le fondamenta progettuali della Clinica mobile, l’ospedale viaggiante dei piloti motociclisti creato con altri colleghi nel 1972, ricorda ancora: le piaceva far sposare i nipoti, tra l’altro ha contribuito a organizzare il mio matrimonio, infatti mi sono sposato nella chiesa di Cristo Re. Io ero il primo nipote, e la zia Prima aveva un affetto speciale per me, continua, mentre il figlio Roberto aggiunge: noi abbiamo sempre trascorso le nostre estati a Pesaro, e tuttora io e la mia famiglia, appena abbiamo qualche giorno libero preferiamo trascorrerlo in questa città così piena di ricordi per noi. Eravamo sette nipoti, e tutti i pomeriggi ci ritrovavamo a merenda nel giardino della sartoria, in viale Corridoni: senza contare poi il ‘rito’ della pesatura, la ziona ci metteva sulla bilancia appena arrivavamo e quando ripartivamo, per vedere la differenza… Era una persona estremamente generosa, aveva sempre qualcosa per tutti, ha aiutato molte persone, sempre con grande riservatezza. Nata a San Lazzaro di Savena (Bologna), Prima Paganelli arriva a Pesaro nel 1923. Prima di quattro figli (oltre a lei, Pia, Ettore, Antonio), è registrata nei pochi documenti che ci

Pesaro, anni Quaranta del ‘900. Prima Paganelli insieme con il nipote Luciano Urso (raccolta Famiglia Urso, Bologna)

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Non sappiamo le motivazioni del suo trasferimento a Pesaro, chissà, magari ci è passata una volta per caso, le è piaciuta e ha deciso di fermarsi, dice il professor Luciano, aggiungendo non mi meraviglierebbe, sarebbe stata una cosa degna di lei. Aveva imparato il mestiere nella Sartoria Policardi di Bologna, una delle più importanti della città; a Pesaro la sua attività ebbe la prima sede in via Manzoni. Successivamente si trasferì in via Rossini, nel palazzo della Fabbrica Scrocco, e quindi in viale Corridoni, all’angolo con viale Zanella. Qui è rimasta fino alla fine, al piano terra c’era il laboratorio, al primo piano la sartoria vera e propria con i salottini per le prove e gli specchi, i tessuti e gli accessori e al secondo

l’abitazione. Mi ricordo ancora il numero di telefono, era il 268: la casa di viale Corridoni aveva appartamenti molto spaziosi, circa duecentotrenta metri quadrati per ogni piano. Luogo di eleganza e riti d’antan, la Sartoria Bolognese arrivò a contare nei periodi di maggior successo oltre cento lavoranti, tra apprendiste e maestre, il cui lavoro era coordinato dalle première20. In molti ricordano lo sciamare delle sartine fuori dalla villa tra viale Corridoni e viale Zanella: le più belle, quelle con il portamento, assurgevano poi per il tempo di un défilé al ruolo dorato di mannequin, popolando i sogni dei ragazzi in bicicletta che attendevano davanti ai cancelli, come nei film dei telefoni bianchi21.

Pesaro, anni Trenta del ‘900. Prima Paganelli fotografata all’ingresso dei bagni pubblici, in via Rossini (raccolta Famiglia Urso, Bologna)

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La zia aveva una grande manualità, creava i suoi modelli partendo da un drappeggio provato sul manichino, e quando c’era nell’aria qualche festa importante cominciavano a girare queste stoffe, che poi diventavano vestiti. Ma di Prima Paganelli va sottolineata innanzitutto la decisa capacità imprenditoriale e di gestione, che insieme a una grande attenzione all’immagine e a una certa schietta diplomazia tutta emiliana le hanno consentito di crearsi una clientela ragguardevole, sia a Pesaro sia in città come Roma, Venezia, Perugia. Cordiale ed estroversa, la Primetta, come affettuosamente la chiamavano le clienti più vicine, sapeva consigliare a ciascuna il modello più adatto o i colori più donanti: a volte, continua divertito il professor Urso, certe clienti

Pesaro, 1934. Tre immagini di Prima Paganelli al mare; nella foto in basso a destra si riconosce, con il costume a righe, Agridonia (Lola) Pescara, impiegata nel settore amministrativo della sartoria. Nella pagina seguente: anni Trenta del ‘900. Prima Paganelli in posa con la sua Lancia Artena ai piedi del San Bartolo (raccolta Famiglia Urso, Bologna).

diciamo così, di una certa opulenza, volevano a tutti i costi i modelli visti sfilare indosso alle mannequin, e la zia con un grande savoir-faire riusciva a convincerle ad apportare le modifiche necessarie. Le clienti le erano molto affezionate, con loro la zia instaurava un rapporto di amicizia: a Pesaro l’alta borghesia si serviva da lei, e tra le clienti di fuori c’erano molte personalità del bel mondo, la famiglia del prefetto di Venezia, la contessa Prampolini e Sofia, la prima moglie del generale Badoglio. Della parte amministrativa della sartoria si occupava il suo compagno Lelio Agostini, originario di Mercatello sul Metauro. Lelio aveva impiantato anche una tintoria, in via Castelfidardo, gestita poi dal fratello di zia Prima, Antonio.


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Sopra: Pesaro, 14 Luglio 1935. Gita agli abeti (raccolta Famiglia Urso, Bologna). Nella pagina seguente: Pesaro, anni Quaranta del ‘900. Adriana Tangucci Filippetti in posa da mannequin per la Bolognese (raccolta Adriana Tangucci Filippetti, Pesaro)

Due volte l’anno Prima Paganelli presentava le collezioni, tagliate su modelli acquistati a Parigi o creati ex novo, proponendo anche pellicce e accessori, fatti realizzare appositamente da artigiani della sua città d’origine. I défilé pesaresi erano accompagnati dai rinfreschi della pasticceria “Gino”, ma erano le sfilate romane quelle che più contribuivano ad accrescere la fama della sartoria: si partiva in treno, cariche di bauli, la signora Paganelli accompagnata dalla première e dalle manne-

quin, per andare a sfilare all’Hôtel Excelsior, di fronte ai personaggi che riempivano le cronache mondane. E ci scappava anche il tempo per un caffè da Doney, prima di ripartire. L’attività della sartoria continuò per tutti gli anni Cinquanta - Sessanta, sempre con grande successo, fino a cessare nell’Agosto 1969, un anno prima della morte della titolare. Fedele alla città che le aveva dato il successo, Prima Paganelli scelse di riposare per sempre nel cimitero di Pesaro. 94


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Moda autarchica Nel 1935 il regime fascista varò l’Ente Nazionale della Moda che aveva il compito di italianizzare il guardaroba femminile e di adeguarlo ai comandamenti dell’autarchia. Era appena stata scatenata la guerra d’Etiopia. …A Ginevra, la Società delle Nazioni, prima e più irresoluta edizione dell’Onu, aveva dichiarato l’Italia “Stato aggressore”, deliberando le sanzioni economiche e l’embargo per certi prodotti. Roma aveva risposto lanciando l’ideologia del “bastiamo a noi stessi”, dell’autarchia. Il popolo italiano doveva “consumare Italia” e felicemente indossare lana di caseina, la lanital, e cotone tratto dalle fibre di ginestra. Entravano in produzione i tessili dell’indipendenza e anche la moda doveva rendersi indipendente dai diktat di Parigi, doveva italianizzarsi come certe parole mutuate dall’inglese e dal francese: amoretto invece di flirt, arzente invece di cognac. Toccava ai sarti creare un’eleganza nazionale. Non ne furono entusiasti. A pestare in questo mortaio, ci si era messo lo stesso Mussolini e ancora prima delle sanzioni che avevano obbligato l’Italia a fare da sé. Il duce, sporgendo la mascella da un podio sullo sfondo del milanese Castello Sforzesco nel Maggio del ‘30, aveva proclamato: “Una moda italiana nei mobili, nelle decorazioni, nel vestiario non esiste ancora: crearla è possibile, bisogna crearla”. E di slancio erano state organizzate le “adunate della moda”. Nell’Aprile del 1933, Torino, eletta capitale dell’eleganza, aveva organizzato mostre e sfilate all’insegna dell’italianità e Mussolini aveva telegrafato: “Se l’inizio è buono, il seguito sarà migliore: si tratta di avere fede”... Ma i sarti e le sarte nicchiavano, perché le clienti pretendevano Parigi o qualcosa che avesse almeno quell’aria... Allora, l’Ente della Moda inventò il marchio di garanzia da assegnare solo a modelli “di ideazione e produzione italiana”. In una collezione, almeno il 50 per cento degli abiti doveva poter esibire quell’attestato di italianità, pena una multa da 500 a 2.000 lire. Spesso le Case, ottenuto il marchio di verginità, lo nascondevano alle clienti perché, se no, i modelli rimanevano a invecchiare negli armadi, invenduti. La bugia poteva costare da 1.000 a 5 mila lire di ammenda (stangata durissima nei tempi che cantavano “se potessi avere mille lire al mese”), ma salvare una collezione valeva il rischio. (…) Racconta la giornalista Elisa Massai: “L’autarchia ebbe almeno il merito di obbligare le case di moda a lasciarsi almeno un po’ alle spalle la comodissima abitudine di acquistare a Parigi, moltiplicare in Italia e vendere”.

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Finiva che tutti compravano le stesse cose. Sì, c’erano due, tre disegnatori che usavano Parigi e ricreavano, Pascali, Pelizzoni, Elio Costanzi. Ma nessuno si sarebbe messo in testa di fregarsene dei grandi francesi. Se no, addio alla clientela… Al di là delle forzature, l’idea nazionalista di una moda italiana non era affatto sballata. Il nostro artigianato era di prim’ordine. Avevamo, nelle sartorie, mani preziose. I nostri sarti da uomo erano fra i migliori del mondo. Spesso i tessuti, che passavano per inglesi, di inglese avevano solo l’etichetta. Erano prodotti nostri, salvo alcuni cachemire che noi abbiamo cominciato a lavorare solo negli anni ‘50. Il progetto di una nostra moda, di una moda che non pagasse tributi alla Francia, non era affatto peregrina. C’erano un humus adatto, un entroterra favorevole. Lo ha dimostrato, a partire dal Febbraio 1951, dalla prima sfilata di Firenze, il nostro prêt-à-porter. Nel periodo dell’autarchia della guerra, qualcosa si mosse: modelli un po’ scopiazzati ma con dentro un che di nuovo”22.

Pesaro, anni Trenta - Quaranta del ‘900. Nella fotografia, scattata durante una manifestazione fascista, si riconoscono in prima fila Elia Girelli (la prima a destra), lavorante della Sartoria Bolognese; Prima Paganelli; Agridonia (Lola) Pescara, impiegata della Sartoria (la quarta da destra), Malvina, una delle mannequin più note della Sartoria (al centro, con il tailleur scuro) e, alle sue spalle, verso sinistra, Dina Veronesi, una delle première (raccolta Famiglia Urso, Bologna)

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Mille lire al mese “Se potessi avere mille lire al mese” cantava Umberto Melnati nel film omonimo23: era il 1939 e fu allora che cominciò la corsa all’abisso di una banconota che tra il 1900 e il 1914 aveva conosciuto un periodo di straordinario splendore. Erano i tempi in cui chi aveva la fortuna di guadagnare 3.000 lire l’anno era considerato dalle madri “un buon partito”; non erano in molti a trovarsi in quelle condizioni, un medico generico oltrepassava di poco le 100 lire al mese, assai meno guadagnavano i maestri, dalle 50 alle 55 lire mensili. Nel 1914, prima della Grande guerra, con 1.000 lire si poteva comprare una carrozza; nel 1920, dopo una svalutazione del 42% durante la guerra, e dell’82% poi, ci si poteva acquistare appena una bicicletta, comunque un genere di lusso. Quando uscì il film Mille lire al mese il pane costava 1,60 lire il chilo, 2 lire il riso, 50 centesimi le patate (sempre un chilo), le uova 4 centesimi l’una; un cappotto da donna, comune, 475 lire; il primo elettrodomestico, un ferro da stiro elettrico dalle 40 alle 60 lire24. Maria Amantini, per lungo tempo collaboratrice di Prima Paganelli. Abilissima sarta, autodidatta, Maria emigrò in Francia nel 1929, insieme con il marito (raccolta Lucia Amantini Maggiulli, Pesaro)

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Sopra: la Bolognese con alcune lavoranti all’uscita dalla sartoria; sotto, a sinistra, Prima Paganelli (a destra nella foto) e, al suo ďŹ anco, Maria Amantini e Dina Veronesi (raccolta Lucia Amantini Maggiulli, Pesaro); a destra: raccolta Famiglia Urso, Bologna

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Pesaro, 3 Agosto 1940, Gita alla Bettola. Prima Paganelli è la signora con l’abito a pois a sinistra nella foto; di fronte a lei Bianca Spadoni, un’altra première della sartoria e, con il completo bianco, il fratello di Prima Paganelli (raccolta Lucia Amantini Maggiulli, Pesaro e, a destra, Famiglia Urso, Bologna)

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Sopra, Ferro alla patria, 1936 (raccolta Famiglia Urso, Bologna). Durante lo sfollamento, nel periodo dei bombardamenti, la zia fu ospitata dal veterinario di Mombaroccio (il bolognese Antonio Romagnoli, in un appartamento di Palazzo Del Monte), ma dappertutto aveva immagazzinato bauli con i materiali della sartoria e con gli oggetti più preziosi, racconta Luciano Urso (tra gli esemplari che la Paganelli riuscì a sottrarre alla furia della guerra un imponente vaso di ceramica Molaroni con il suo piedistallo, che oggi fa bella mostra di sé nell’abitazione bolognese del professor Urso); la sartoria aveva sospeso l’attività già dal ‘41 - ‘42, ma alla fine della guerra la zia poté subito riprendere a lavorare perché aveva stipato due casse di spolette e di tessuti nei sotterranei del suo ex atelier in via Rossini; a Montelabbate presso alcuni conoscenti aveva qualche valigia, tutti materiali che le permisero di ripartire dopo la guerra. Durante lo sfollamento aveva accumulato anche cioccolate per noi nipoti, sorride il professor Luciano, vicino alla zia anche negli anni di guerra.

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Prima Paganelli, il ricordo di Geppina Moroni Era severa, la signora Prima, molto severa… però mi era affezionata, e infatti sono rimasta con lei per più di dieci anni. Geppina Moroni Massa ricorda così la Bolognese, presso la cui sartoria ha lavorato dal 1932 fino alla fine della II guerra mondiale. Abitavo a Muraglia (quartiere ai margini del centro storico, a sud della città), e tutti i giorni andavo a lavorare in bicicletta; quando ho iniziato ero proprio una bambina, e la sartoria della Bolognese era ancora a Palazzo Scrocco, in via Rossini. La signora Paganelli teneva molto alla disciplina: ricordo che una volta, solo per una risata che mi era scappata mentre aiutavo una collega nella stiratura di uno strascico, mi ha sospeso per sette giorni… mi ha convinto a tornare in sartoria solo perché mi ha mandato a chiamare dal nipote Luciano, che veniva spesso a Pesaro a trovare la zia. Appena entrata sono stata assegnata al tavolo del “leggero”, abiti e abiti da sera, soprattutto, sotto la direzione della signora Bianca; la paga era di 2 lire e 50 centesimi al mese; quando sono uscita dalla sartoria, alla fine della guerra, ero diventata “maestra”, avrei potuto restare con una bella posizione, ma poi mi sono sposata e ho continuato a lavorare in casa, in proprio. Tra i ricordi di Geppina c’è anche il 10 Giugno del 1940, data in cui l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania di Hitler: per ascoltare la dichiarazione di guerra del duce, alla radio, la signora concesse a tutte le sue ragazze due ore di permesso. Pesaro, 1948 circa. Geppina Moroni Massa al tavolo da lavoro con alcune colleghe

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Pesaro, anni Venti - Trenta del ‘900. Alcune immagini dall’album della Famiglia Urso

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Maria Teresa Badioli racconta: la signora Prima Paganelli, la Bolognese La signora Prima Paganelli, quando venne a Pesaro, inaugurò la sua boutique in via Rossini nel Palazzo Scrocco, ora Ratti con una sola vetrina, quella a destra dell’ingresso. La mia zia Elide Badioli, sorella del mio papà, si è fermata a guardare la vetrina e la signora Prima, detta ormai “la Bolognese” perché veniva da quella città, guardando questa signora le disse “Sa che assomiglia in particolare nel naso, a uno studente universitario che ho conosciuto a Bologna e che si chiamava Badioli?” E mia zia: “Certo,io sono la sorella di questo Francesco Badioli”, poi diventato ingegnere. E così cominciò la conoscenza con la Bolognese. Poi mia zia Elide condusse dalla Bolognese la mia mamma, Emilia Barbanti, e da allora, io di pochi anni, la Bolognese ci prese a ben volere, in particolare a me, e ripeteva più volte alla mia mamma, lo ricordo bene “A questa bambina farò io il vestitino della Prima Comunione”. E così fu. Era un abitino di stoffa leggera (per Giugno) con tanti buchini che facevano quadratini, stoffa guarnita con un pizzo leggero e piccino nelle ruches che numerose scendevano dalla vitina fino a terra, e pure nei polsi (si vede nella fotografia). La mia Mamma ha continuato a frequentare la Bolognese dagli anni Venti fino al 1950, e così pure io perché nel 1950 mi sono laureata e non potevo più pretendere da mio padre abiti della Bolognese! Maria Teresa Badioli_2009

Arnoga (Sondrio), 1947. Maria Teresa Badioli con un abito della Sartoria Bolognese. L’abito era di lana bouclé, nei toni del verde e noisette, accompagnato da un paltoncino nelle stesse sfumature, più noisette che verde, precisa Maria Teresa Badioli

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Pesaro, 21 Giugno 1931. In queste immagini, Maria Teresa Badioli e il fratello Luigi nel giorno della Prima Comunione. La fotografia è stata scattata nel giardino della casa della Famiglia Badioli, in viale Marsala n. 13. Di solito la Bolognese non cuciva gli abiti per bambini, erano cosine che le facevano perdere tempo, commenta Maria Teresa Badioli, il mio fu un caso più unico che raro, quasi un gesto di amicizia della signora Paganelli verso mia madre, che era una delle sue clienti più affezionate. La coroncina, invece, la prendemmo in affitto insieme con il velo dalla Rosina Lugli, la modista, che alla fine non la rivolle indietro, e me la regalò. Anche il solino di mio fratello Luigi fu acquistato nel negozio della Lugli, mentre il suo abito era opera di un’altra sarta famosa, la Stamura, che lavorava in via della Vetreria, in una casa a schiera: era un donnone alto, ed era specializzata nei vestiti per i ragazzi: ricordo tra l’altro un cappottino a scacchi che dopo mio fratello è passato a me.

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Sartoria Bolognese per Signora, i documenti Nel 1942 la Società Anonima Sartoria Bolognese per Signora costituita nell’anno 1934 in Pesaro si trasforma in Società a Nome Collettivo (Snc)25. L’atto, datato 25 Marzo 1942, fu rogato dal Notaio Giuseppe Fabbri di Pesaro, lo stesso che nel Dicembre 1933 aveva ufficializzato la costituzione della prima Società Anonima Sartoria Bolognese per Signora26. La nuova Bolognese, con sede in viale F. Corridoni 44, ha lo stesso oggetto della precedente società, ossia l’esercizio di un moderno impianto per laboratorio in confezioni da signora, l’acquisto di tessuti in genere, pelletterie ecc., ed è divisa in parti uguali tra Paganelli Prima di Augusto in Mattei nata a S.Lazzaro di Savena domiciliata a Pesaro e Agostini Lelio fu Settimio nato a Mercatello domiciliato a Pesaro, che detengono ciascuno sessanta azioni sulle centoventi costituenti il capitale sociale di detta società di lire 60.000. Amministratrice unica è - ça va sans dire - la signora Paganelli, sindaci revisori sono Baviera Igino, Amantini Enea e Secchi Marco. Nella gestione della società la Sig.ra Paganelli Prima dovrà dare la sua opera nel campo tecnico, ed il Sig. Agostini Lelio la propria nel campo amministrativo, senza compensi speciali per nessuno dei due. La durata della società, che agirà sotto la ragione sociale “Sartoria Bolognese per Signora - Paganelli Prima” è fissata in altri 10 anni a partire dal 1 Gennaio 1942. Nell’atto è riportato il bilancio al 31 Dicembre 1941, che si chiude alla pari, con un

totale attivo di 324.474,25 lire. Dato l’anno eccezionale, si legge nella relazione dei sindaci che accompagna il bilancio, abbiamo ragione di ritenere che da parte dell’Amministratrice Unica sia stato fatto tutto il possibile per evitare una perdita di bilancio che riteneva inevitabile. Dobbiamo pertanto rilevare che l’opera della Amministratrice Unica è stata ispirata ai migliori criteri di sana economia… Nel 1933, all’epoca della sua fondazione27, la Sartoria Bolognese per Signora contava cinque soci: oltre a Prima Paganelli e Lelio Agostini compaiono infatti nell’atto costitutivo anche il Sig. Corinaldi Mauro, nato a Modena e domiciliato a Bologna, viaggiatore; la Sig.ra Luca Elvira in Toni, nata a Fiorenzuola d’Arda e domiciliata a Pesaro; il sig. Ciafrè Emidio, nato a Nereto e domiciliato a Pesaro. Il capitale sociale di Lire 60.000 era suddiviso in 120 azioni da 500 Lire, così ripartite: Agostini - 32 azioni (tot. Lire 16.000), Corinaldi - 30 azioni (15.000 Lire), Toni - 24 azioni (12.000 Lire), Ciafrè - 2 (1.000 Lire), cui si aggiungono 10 azioni “liberate”28 (5.000 Lire) e le 22 di Prima Paganelli (11.000 Lire). Oltre alle 22 azioni, Prima Paganelli, Amministratrice Unica, conferisce alla costituzione del capitale sociale anche una serie di oggetti mobili il cui elenco, al di là del freddo linguaggio dei verbali d’assemblea, ci consente di immaginare l’interno della sartoria che, lo ricordiamo, ha sede nel 1933 in via Rossini 1829, nello stesso Palazzo Scrocco dove si lavoravano le fettucce di paglia:

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Paris, la Conciergerie, cartolina datata 1° Marzo 1931. La cartolina, insieme ad altre datate tra il 1933 e il 1949, fu inviata da Prima Paganelli a Emilia Barbanti Badioli ed è firmata Bolognese. Come ricorda Maria Teresa Badioli, figlia di Emilia, Prima Paganelli era solita inviare alle clienti migliori i suoi saluti da Parigi, dove si recava per le sfilate (ed. A. Leconte, Paris; archivio Maria Teresa Badioli, Pesaro)

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n. 6 macchine da cucire a pedale marca Singer; n. 10 tavoli grandi da laboratorio in legno abete non verniciati; n. 3 scaffali grandi da stoffa in legno abete verniciati in nocciola scuro; n. 1 bancone in legno abete verniciato in nocciola scuro; n. 1 macchina da scrivere Rojal [sic]; n. 1 scaffale da studio in legno rovere; n. 1 scrivania in legno rovere; n. 1 porta-pressa in legno rovere con pressa copia lettere, seggiole e banchetti varii30. Il bilancio del primo anno di attività, afferma l’Amministratrice Unica Prima Paganelli nella sua relazione annuale31, dimostra come la nostra azienda, forte della sua eloquente esperienza di un passato movimentatissimo, si vada orientando verso una sistemazione della propria organizzazione più razionale e più rispondente alla presente situazione del mercato in genere, ed alle condizioni di vita dell’ambiente in cui è costretta a svolgere gran parte della sua attività. Il continuo moltiplicarsi delle piccole aziende artigiane, costituite il più delle volte da elementi usciti dai nostri laboratori, che approfittano delle relazioni e dei contatti avuti con la nostra clientela per portarsela via e sottrarci il lavoro con il facile e seducente allettamento dell’economia della spesa, rappresenta una delle più gravi preoccupazioni ed il più serio pericolo per l’avvenire della nostra azienda. A rendere pertanto meno gravi le conseguenze di questa inevitabile concorrenza che ha alleati formidabili come: la mancanza di ogni gravame d’imposta, tasse e fitti di locali; la in-

significante entità delle spese generali, di amministrazione, di propaganda ecc., la nostra azienda ha dovuto e dovrà sempre più intensamente rivolgere ogni suo sforzo al mantenimento delle proprie relazioni con la clientela andandole incontro con riduzione dei prezzi, con facilitazioni di pagamento ecc. È indubitabile che questo sistema se ha lo svantaggio di ridurre a limiti straordinariamente ristretti i margini di guadagno, ha per altro il pregio di rappresentare l’unico mezzo pratico per evitare l’esodo della clientela. Oltre a ciò ho creduto anche utile continuare ad allettare la parte più aristocratica delle Signore Clienti, che purtroppo si fa sempre più esigua, con la costosa attrattiva di Modelli Parigini che stagionalmente mi reco a studiare visitando i più noti magazzini di Mode della Metropoli francese. Ma anche questo mezzo di attirare la clientela rappresenta un peso economico non indifferente. Ciò premesso, continua però Prima Paganelli, posso assicurarvi che il risultato economico di questo primo esercizio, pur non essendo dei più brillanti, rappresenta già un esito più che soddisfacente che spero valga a meritarmi la vostra approvazione. Il bilancio 1934 (che riportiamo più avanti) si chiude con un utile di 5.450 lire, che verranno così ripartite: L. 545 all’Amministratore Unico, L. 545 alla Riserva, L. 4.360 agli Azionisti. Nel 1936 la relazione di Prima Paganelli insiste nuovamente sulla spietata concorrenza di altri Laboratori i quali, per non pagare imposte e per non avere le esigenze tecniche di organizzazione e propaganda che, dati i suoi

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precedenti, sono ormai un onere inevitabile per la nostra Azienda, praticano condizioni forse apparentemente più allettanti, atte a toglierci buona parte del lavoro che noi una volta svolgevamo su questa piazza. L’inconveniente, già grave di per sé prosegue l’Amministratrice, ne provoca un altro forse non meno grave del primo: quello cioè di costringerci a ricercare su altre piazze lontane, con gravi sacrifici di disagio fisico e di rilevanti spese di viaggio, il lavoro che qui ci viene a mancare. D’altra parte, anche se lo spingerci a lavorare

fino a Roma, dove pure siamo costretti a fronteggiare la concorrenza locale, riduce i nostri margini di guadagno quasi a zero, è pur vero però che soltanto così ci riesce di ammortizzare, in una larga cifra di affari, il grave carico di spese generali e industriali che per la nostra Azienda sono ormai un onere irriducibile, data la sua organizzazione ed i suoi impianti che non consentono, almeno per ora, modifiche di sorta.

Sartoria Anonima Bolognese per Signora - Situazione patrimoniale al 31 Dicembre 1934 Attività

Totale

Lire 1.266,40 215.337,40 99.868,00 12.360,00 5.000,00 333.831,80

Totale

263.381,80 5.450,00 60.000,00 5.000,000 333.831,80

Contante in cassa Crediti verso clienti Merci, manufatti e materie prime in gazzino Macchine e mobili Cauzioni Passività Debiti vs fornitori Utili da ripartire Capitale sociale Cauzioni

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Dimostrazione del Conto Industriale Conto costi

Lire Materie prime impiegate Salari operaie Compenso Direzione tecnica Viaggi e Modelli esposizioni

412.461,85 82.287,60 6.600,00 14.007,85 515.357,30

Lavori fatturati Materie prime Ritenute Operaie

550.779,00 7.860,45 3.722,50 562.361,95

Conto ricavi

Totale Utile lordo della lavorazione

47.004,65

Spese generali Corrispondenza Perdite su crediti Legali ed Amministrative Reclame e propaganda Cancelleria e stampati Stipendi Gas, luce, riscaldamento AfďŹ tto locali Assicurazioni Ammortamento Varie Totale

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Lire 3.343,95 6.884,60 3.146,50 4.415,00 3.521,05 4.400,00 4.062,10 8.807,00 658,15 1.373,70 942,60 41.554,65


Sartoria Anonima Bolognese per Signora – Bilancio al 31 Dicembre 1941 Attivo

Totale

Lire 20.251,45 124.736,35 167.916,45 6.570,00 5.000,00 324.474,25

Totale

257.523,45 60.000,00 1.950,80 5.000,000 324.474,25

Cassa Clienti Merci e confezioni Mobili Cauzioni Passivo Fornitori Capitale Riserve Cauzioni

(Le testimonianze della Famiglia Urso sono state raccolte tra l’Aprile e il Maggio 2008; le testimonianze di Adriana Filippetti e di Lucia Amantini Maggiulli sono state raccolte nel Giugno 2007; i testi di Maria Teresa Badioli sono dell’estate 2009, così come la testimonianza di Geppina Moroni Massa; la testimonianza di Fausto Schiavoni, infine, è stata raccolta nel Novembre 2009) 111


Gli abiti della Bolognese nelle fotografie di Mario Schiavoni Singolare figura il cui ingegno vivace spaziava dalla chimica alla filosofia alla musica, Mario Schiavoni (1903 – 1955) catturò, con il suo occhio di fotografo attento e curioso, angoli e volti della Pesaro degli anni Trenta - Cinquanta del ‘900, che costituiscono un patrimonio di immagini davvero prezioso. Assiduo frequentatore della Bottega d’arte Della Chiara, Schiavoni fu amico di pittori e ceramisti come Achille Vildi, Alessandro Gallucci, Guido Andreani, Elso Sora e altri: artisti dei quali ha fotografato alcuni lavori, lasciandoci così anche una preziosa documentazione sull’ambiente culturale pesarese del ‘90032. Impiegato come contabile prima presso i Mulini Albani, successivamente nella fabbrica di ceramiche Molaroni, Mario Schiavoni fu in seguito assunto all’INPS. Nel suo archivio, amorevolmente custodito dal figlio Fausto, che dal padre ha ereditato la passione e il talento per la fotografia, sono conservati migliaia di negativi, tra i quali una serie di immagini di abiti realizzati dalla Sartoria Bolognese: Mia madre, Agridonia (Lola) Pescara, ricorda Fausto, ha lavorato dalla metà degli anni Trenta fino ai primi Quaranta per la Sartoria Bolognese, nel settore amministrativo. Dato che era piuttosto alta (un metro e settanta) e aveva un bel portamento, la signora Paganelli le chiedeva, in qualche occasione, di fare da modella per mostrare gli abiti alle clienti, o di posare per qualche fotografia. Le fotografie erano scattate, neanche a dirlo, da mio padre, che si divertiva a ritrarre mia madre e mia zia Emilia Schiavoni (sorella di mio padre e anch’essa lavorante dalla Bolognese) in casa nelle vesti di ‘modelle’. …Tra le passioni di mio padre c’era anche la musica, e fino a che non perse una mano si dilettava a suonare il violino. La sua vera vocazione però fu la fotografia, aggiunge

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ancora Schiavoni: insieme con l’amico Carlo Betti33 si può dire che ha istruito all’arte fotografica un notevole gruppo di pesaresi, alcuni dei quali diventarono anche professionisti. Tra questi appassionati c’era il conte Castelbarco Albani che consultava mio padre per saperne di più sugli ultimi tipi di fotocamere e cineprese. Una volta lo invitò a seguirlo a Milano per l’acquisto di una di queste e gli disse che avrebbe colto l’occasione per comperare un aereo. Mio padre osservò che gli sembrava un po’ troppo cresciuto per giocare ancora coi modellini, ma il conte ribatté che ne avrebbe acquistato uno vero! Penso che si trattasse del Piper di colore rosso che ebbe la sigla I-PINI e che era di base all’aeroporto di Fano. Pesaro, anni Trenta - Quaranta del ‘900. Alcuni modelli della Bolognese fotografati all’interno della sartoria, in viale Corridoni. Sotto, a sinistra e al centro: Agridonia (Lola) Pescara Schiavoni (1907 - 1977) posa con una vestaglia in seta; a destra, Agridonia nel giorno del suo matrimonio (Padova, 7 Settembre 1940; fotografie Mario Schiavoni, Archivio Fausto Schiavoni, Pesaro)

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Pesaro, anni Cinquanta - Sessanta del ‘900. Sopra: lavoranti a un tavolo della Sartoria Bolognese (raccolta Lucia Amantini Maggiulli, Pesaro); sotto: Prima Paganelli insieme con le sue dipendenti durante un pranzo per Sant’Omobono (raccolta Anna Gaudenzi Mariotti, Pesaro)

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Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. La villa all’angolo tra viale Corridoni e viale Zanella, sede della Sartoria Bolognese; sotto: anni Quaranta del ‘900. Foto di gruppo davanti alla sartoria (raccolta Famiglia Urso, Bologna)

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Anni Cinquanta - Sessanta del ‘900. La signora Giordana Mazzanti Urso, moglie del professor Luciano, con alcuni modelli della Sartoria Bolognese. Nella pagina seguente: Prima Paganelli in un’immagine del 1958 - 1959 (raccolta Famiglia Urso, Bologna)

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Pesaro, anni Sessanta - Settanta del ‘900. Luisa Rossi Giuliani con il marito Corrado Giuliani

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Luisa Rossi Giuliani

Se la moda pesarese degli anni Trenta del ‘900 è dominata dalla figura di Prima Paganelli, la rinomata Bolognese, non mancano in città altre sarte di spicco, tra cui Luisa Rossi Giuliani (1899 - 1981), attiva dalla metà degli anni Venti fino al 1944 e di nuovo, sebbene in misura minore, dopo il 1950. Prima della guerra mia madre aveva la propria sartoria presso Palazzo Avezza, all’angolo tra corso XI Settembre e via Tortora, racconta Fiora Giuliani, primogenita di Luisa e Corrado, in un edificio tuttora esistente, ma che è stato ricostruito dopo i danni provocati dai bombardamenti. Nel periodo di maggior successo, negli anni Trenta-Quaranta, la sartoria contava una decina di lavoranti, e i clienti erano prevalentemente i notabili della città, le mogli del Prefetto, del Questore, del Provveditore; c’era anche la signora Zandonai, la moglie del celebre musicista34. Ricordo che queste signore venivano in sartoria a provare gli abiti intorno all’ora di pranzo, verso le 13, continua Fiora: quello della sarta era un mestiere senza orario, e mia madre, che era conosciuta per la puntualità nelle consegne, era molto attenta ad assecondare le esigenze delle clienti, con le quali instaurava rapporti di amicizia oltre che professionali. Dopo gli inizi, con l’attività ben avviata, il rapporto con le clienti, la scelta dei modelli e dei tessuti, le prove, occupavano quasi com-

pletamente mia madre, e così il lavoro venne organizzato come negli atelier di alta moda: la lavorazione dei capi tagliati era affidata alla direttrice della sartoria, che coordinava le ragazze. Gli abiti erano tagliati su modelli che mia madre prendeva fuori, soprattutto a Milano, anche se poi apportava sempre qualche modifica. Specialmente nei primi tempi, però, le piaceva anche crearli ex novo, ricordo certi

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Roma, 1949. Un primo piano di Luisa Rossi Giuliani


bellissimi abiti da sera... E pensare che aveva iniziato per hobby, spiega Fiora: a quindici anni ha cucito il primo abito per sua madre, e poi pian piano ha trasformato la sua passione in un lavoro. Del resto quella del sarto era un’arte di famiglia, suo zio Filippo Rossi aveva una sartoria in via Castelfidardo, poi trasferita in via Petrucci e infine per il Corso. Per un breve periodo alla sartoria collaborò anche Sonia, la futura moglie del ceramista Bruno Baratti. Molte vicende, oltre a quella di Sonia Baratti, si intrecciano alla vita di Luisa Rossi Giuliani, prima fra tutte la storia della famiglia del marito, Corrado Giuliani35, ceramista per Molaroni e, successivamente, insegnante di ceramica al carcere minorile. Artista versatile, Corrado Giuliani collaborò a lungo con il fratello Amanzio, fondatore della Mobili e Ceramiche d’Arte Fratelli Giuliani, importante fabbrica di mobili intagliati per la quale Corrado realizzava le decorazioni in maiolica; anche Violetta, sorella dei due, fu ceramista presso le due più note manifatture pesaresi, Mengaroni e Molaroni, collaborando anche all’attività dei fratelli, e con la ditta Effeenne di Nino Falcioni. Il fratello Alcide lavorò a lungo come elettricista presso il Teatro - Cinema “Duse”; noto per il suo impegno politico, infine, l’altro fratello Lottaldo, presidente della nostra Provincia tra il 1959 e il 196836. Dopo lo sfollamento, negli anni successivi alla guerra Luisa Giuliani si trasferì a Roma, tornando a Pesaro nel 1950. A Roma entrò in contatto con diverse famiglie originarie della nostra città o che comunque con Pesaro mantenevano dei legami, magari per la

villeggiatura estiva; molte di loro divennero anche sue clienti quando, dopo la guerra, mia madre riprese a lavorare nella sua abitazione di traversa Monte Ardizio, vicino alla villa dei Ninchi, conclude Fiora, sottolineando è stato anche grazie al lavoro di mia madre, alla sua capacità organizzativa nel gestire la propria attività che durante la guerra siamo riusciti a far fronte alle difficoltà della vita. (Testimonianza raccolta nel Giugno 2008)

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Pesaro, 1933. Luisa Rossi Giuliani posa sulla spiaggia (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Fiora Giuliani Moretti, Pesaro)


Luigi Sgrignani

Noto familiarmente col soprannome di Gigion, dovuto alla corporatura imponente, Luigi Sgrignani nasce a Pesaro nel 1894, secondogenito di Giuseppe e Giovanna Capponi. Dopo l’infanzia e l’adolescenza trascorse insieme con la mamma Giovanna, la sorella Rosa e il fratello Girolamo, detto Momo, che entrerà a lavorare alla Montecatini, Luigi impara il mestiere presso diverse sartorie maschili della città. Secondo i documenti conservati presso l’Archivio della Camera di Commercio di Pesaro, Luigi Sgrignani apre la propria attività nel 192837: l’atelier, che in breve si guadagnerà un posto di tutto rispetto nel panorama delle sartorie per uomo pesaresi, occupa il primo piano dell’elegante palazzina ancora esistente, all’angolo tra l’attuale viale Gramsci e via Parini38; al pianterreno Luigi abita con la moglie Assunta Terenzi e i figli Renzo e Anna. Sin dall’inizio la Sartoria Sgrignani si fa conoscere per la qualità degli abiti prodotti. Il lavoro è tanto e, raccontano alcune sue lavoranti, pur di accontentare i numerosi e affezionati clienti non passa giorno senza che si facciano gli straordinari. A fianco di Luigi c’è l’amata moglie Assunta, che lo aiuta sia nella gestione del personale sia nella realizzazione degli abiti; anche il figlio Renzo entrerà più tar-

di a far parte della sartoria, diventata oramai famosa. Luigi Sgrignani muore nel 1953: lavorerà fino all’ultimo, lasciando ai suoi eredi e ai colleghi il ricordo di un uomo di classe. La sartoria resterà attiva ancora per qualche anno, fino al 1957, guidata dal figlio Renzo; successivamente sarà rilevata da un suo collega, Romano Oliva. Marta Soliman_Ottobre 2009

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Pesaro, 2009. In questa casa aveva sede la Sartoria Luigi Sgrignani (fotografia Marta Soliman, Pesaro)



Guido Giorgini

Guido Giorgini (Pesaro 1912 -1991), avviatosi già giovanissimo all’arte, è stato sarto tra i più significativi della sua generazione, quella dei Pezzodipane e dei Garattoni. Nel premiarlo, i colleghi pesaresi al momento del congedo dall’attività, riconobbero nell’encomio alla sua sensibilità sartoriale tratti precipui che lo avevano posto, nei decenni immediatamente

successivi al Dopoguerra, su un livello qualitativo di valore e portata nazionale. Più volte sollecitato a partecipare a concorsi e ad accettare riconoscimenti, declinò sempre tali inviti a riprova di un tratto umano schivo, riservato, sensibile. (Il ricordo di Giorgio Giorgini è datato 4 Novembre 2009)

Due ritratti di Guido Giorgini. Nella pagina precedente: al Porto di Pesaro, 6 Ottobre 1937; a destra: Pesaro, 5 Ottobre 1964. Il sarto nel laboratorio di via Gavelli (raccolta Giorgio Giorgini, Pesaro)

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Pesaro, anni Cinquanta - Sessanta del ‘900. Sartoria Giuseppina Francolini Magnelli, foto di gruppo per Sant’Omobono

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Giuseppina Francolini Magnelli

Occhi acuti e ridenti, tempra d’acciaio, Giuseppina Francolini Magnelli (1903-2004) ha vestito per anni le signore dell’alta borghesia pesarese con la stessa eleganza raffinata e nonchalante che caratterizzava la sua figura svelta, in tarda età inseparabile da quella della cagnolina Laika, anche lei sempre très chic con il suo collarino rosso. Dopo aver appreso le prime nozioni di taglio a Firenze, Giuseppina Francolini torna a Pesaro, dove sul finire degli anni Trenta del ‘900 comincia l’attività in proprio in un piccolo appartamento di viale Cialdini, spostandosi successivamente in via Manzoni e, con l’ampliarsi della clientela, nella più spaziosa sede di viale XXIV Maggio. Se i documenti sulla sua attività sono piuttosto scarsi, assai vivi sono invece nella memoria delle clienti e delle sue più giovani colleghe la verve e lo stile della signora Giuseppina: era bravissima, conferma Anna Maria Montagnoli, valente sarta formatasi proprio presso l’atelier della Magnelli; i suoi modelli erano lavorati alla perfezione, era attentissima a ogni particolare, ma soprattutto aveva una classe e un’eleganza rare. Era l’unica, all’epoca, che potesse competere con la Bolognese, era molto estrosa, e sapeva sempre cosa fare per valorizzare ogni cliente.

Aveva una clientela importante, che amava i suoi modelli molto particolari, continua la nuora Antonia, che insieme con il marito Giuliano, figlio della signora Giuseppina, ci ha aiutato a ricostruire il suo profilo. Proprio da una serie di fotografie appartenute a Giuseppina Francolini Magnelli, scattate durante l’edizione 1954 o 1955 del Festival della Moda al Teatro Comunale “G. Rossini” di Pesaro39, è partita la ricerca che ha portato a questa pubblicazione: ve le proponiamo alle pagine seguenti, trascrivendo anche le meticolose annotazioni che la signora riportò sul retro di ciascuna stampa.

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Anni Trenta del ‘900. Giuseppina Francolini Magnelli in posa con un suo cappotto


Documenti che, tra Prati fioriti in organdis di seta, gonne da Gitana in nastro di paglia, e Folletti in ottoman di cotone restituiscono intatto il sapore di un’epoca, quando la moda attingeva alla poesia, e raccontava la vita con i colori dei film e dei sogni di un’Italia appena uscita dalla guerra. Ma anche una testimonianza periferi-

ca e per questo da non dimenticare, della vitalità dello stile italiano, che proprio negli anni Cinquanta andava muovendo i primi passi con le creazioni di Schubert, Pucci e delle sorelle Fontana. (Testimonianze raccolte nel Maggio 2007)

Anni Trenta del ‘900. Giuseppina Francolini Magnelli, sopra con il figlio Giuliano (1938) e, a destra, con il marito

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Anni Cinquanta - Sessanta del ‘900. Sopra: due abiti da sposa; a destra: un ritratto di Giuseppina Francolini Magnelli


Firenze, 1951. Nasce la moda italiana Il 12 Febbraio 1951 Giovan Battista Giorgini, segugio del bello, del raffinato e compratore su commissione organizza nella propria villa di via dei Serragli a Firenze un défilé per proporre a un gruppo di buyers americani una selezione di capi di alta moda prodotti da sarti e artigiani. È l’atto di nascita dello stile italiano nella moda, di uno stile autonomo rispetto alla secolare sudditanza nei confronti di Parigi. (...) Giorgini aveva un bel rivendicare le antiche credenziali dei guardaroba etruschi, dell’italiana eleganza di Caterina de’ Medici, del ‘700 di Venezia e quelle più spendibili di un riconosciuto primato dei nostri tessutai, delle nostre mani al tombolo, della nostra sapienza nel lavoro d’ago e filo, sapienza da paese povero, da società di abiti fatti in casa, di vestiti delle madri riadattati per le figlie. Una moda italiana non esisteva. Aveva soltanto vagito negli anni dell’autarchia, quando Mussolini impose che i nostri atelier disegnassero in proprio, senza ispirarsi a Parigi o copiare, almeno il cinquanta per cento delle collezioni. (...) Mentre Giorgini pensava a un’eleganza firmata Italia, le nostre Case, le nostre sarte spendevano migliaia di franchi, di quelli vecchi e pesantissimi, a Parigi per comperare tele, modelli, esclusive da Dior, da Balenciaga, da Fath, da Patou, per sfamare gli appetiti delle italianissime clienti, voraci, dopo la lunga dieta di guerra, di moda francese, di modamoda si diceva, come si era detto caffè-caffè per distinguerlo dai surrogati. Perché, in quell’inizio del decennio ‘50, con il paese ancora ansimante e ferito dai cinque anni di guerra, avrebbe dovuto riuscirci Giovanni Battista Giorgini a incrinare quel granitico monopolio o almeno a correggere una secolare tendenza? Forse perché il terreno era stato concimato da quei primi tentativi autarchici. Senza dubbio perché la sua idea di incitare le sartorie, i nascenti stilisti, a un’autonomia creativa, senza plagi, senza vassallaggi, di organizzarli, di dare loro una comune strategia non puntava al mercato interno, elitario, snobistico, condizionato dalla tradizione francese, ma all’America, anch’essa, in fatto

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di alta moda, riverente verso Parigi, ma capace di pragmatismo commerciale. (...) [Giorgini] Proponeva alle sartorie di essere creative, di tentare uno stile italiano e di presentarlo tutte insieme, in uno stesso luogo e immediatamente dopo le sfilate di Parigi. Tre rivoluzioni in una. Era rara, quasi inesistente la creatività sartoriale. Mai le Case si erano alleate per défilé in comune. Da sempre sfilavano molte settimane dopo le collezioni di Parigi, per avere così il tempo di tradurre ed elaborare le indicazioni e le linee che la capitale della moda imponeva. Quell’immediatamente dopo, indispensabile per convincere i buyer a prolungare il viaggio europeo da Parigi a Firenze, era di per sé una garanzia che l’alta moda italiana non sarebbe stata una fotocopia dell’ultimo grido francese: magari non sarebbe stata sublime, ma di certo non avrebbe fatto scomodare i compratori per una scopiazzatura. (...) I capi erano imprevisti, giovani, freschi, portabili. I colori, un inaspettato tripudio. La qualità sorprendente. I prezzi incredibilmente interessanti. I compratori capirono subito che stava aprendosi un settore di mercato di vaste prospettive. Seppero subito riconoscere l’affare ed ebbero occhi attenti e ben disposti anche per le creazioni d’alta moda... All’ultimo modello, venne l’applauso. Ma non era ancora una prova. Poteva essere un applauso di stima, come s’usa in teatro quando un buon attore non azzecca la serata. Giorgini si avvicinò ai buyer: “Funziona? Qual è la vostra impressione?”. Stella Hanania, la compratrice di I. Magnin disse: “Parigi non ci ha emozionato così”. Gertrude Ziminsky di B. Altman disse: “Valeva il viaggio”. Stilisti, sarte, première, piscinine, stiratrici, vestiariste si affacciarono al salone, raggianti. Era nata la moda italiana40. Guido Vergani Pesaro, 1954 o 1955, Teatro “G.Rossini”, Festival della Moda. In queste pagine, tre immagini del modello Marinella completo spiaggia in tela di cotone, sfumature dal bluette - celeste - bianco (nei calzoncini c’è un ricamo a pesciolini rossi)

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In questa pagina, dall’alto in senso orario: modello Ore 17, elegantissimo abito in georgette di lana nero e taffetà seta pura nero, completamente plissettato à soleil a ciuffi incrociati (ancora, la signora aggiunge in calce: questo è splendido, peccato che nelle foto non si veda nulla, ma è il capo che à destato più ammirazione per la sua ampiezza); tailleur in lana color banana con manica kimono; abito in jersey rosso; tailleur. A pagina 130, sopra: completo estivo formato da abito con bretelline e giacca; a destra: modello Pinguino in organdis di seta bianco a grandi righe in raso nero - motivi di garofani eseguiti con valencienne in rilievo; sotto: due immagini del modello Prato fiorito - abito in organdis di seta a fiori bianco-giallo-verde-nero. A pagina 131 due immagini del modello Turismo, paletot di lana blu foderato in cinz rosso a bolli bianchi - tailleur in jersey di cotone bianco; sotto: due immagini del modello Gitana (questa gonna è una meraviglia annota sul retro la signora Francolini Magnelli): gonna in paglia grezza eseguita con 36 metri di nastro di paglia - 39 metri di vellutina bluette e m. 12 di bordo a fiori (tirolese)

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L’uscita finale del défilé di Giuseppina Francolini Magnelli; sotto, tre immagini del modello Sera d’estate - abito da gran sera in organdis di seta blu a bolli bianchi e jersey di seta bianco, fibbia, collier e pendente in strass

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Le sarte sul palco al termine della serata: nella foto sotto si riconoscono Iolanda Secchiaroli (la prima a destra), Isotta Guidetti Andreani (quarta da destra) e Giuseppina Francolini Magnelli (con gli occhiali)

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Roma, anni Sessanta del ‘900. Due modelli di Giuseppina Francolini Magnelli (foto Angelini, Roma; le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Famiglia Magnelli e dalla raccolta Cristina Ortolani, Pesaro)

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Anna Bacchelli

Della sartoria ricordo il gran cicaleccio, capirà, con dieci ragazze in casa… comincia così il racconto commosso ma divertito di Giovanna Bacchelli, figlia di Anna, titolare per lungo tempo di un atelier assai qualificato. Originaria di Bologna, Anna Fenara (1906 1990) si stabilisce a Pesaro negli anni Trenta del ‘900 insieme con il marito Renato Bacchelli, chiamato nella nostra città dal lavoro di rappresentante per la celebre casa farmaceutica Oreste Ruggeri; da subito Anna inizia l’attività di sarta, nel laboratorio di via Petrucci, poco distante dalla chiesa del Nome di Dio, che in breve diventa un punto di riferimento per le signore di Pesaro e dei dintorni. Mia madre amava moltissimo il cinema, dice Giovanna, e quando era in sartoria le piaceva raccontare alle ragazze le trame dei film che aveva visto, non dimenticava neppure un particolare. Aveva imparato a tagliare e cucire sin da giovanissima, continuano Bianca e Alessandra, sorelle di Giovanna, presso una sartoria bolognese, spinta prima di tutto dal desiderio di confezionare gli abiti per sé… con le sue maestre, due sorelle di nome Anita e Vittoria, ha mantenuto sempre un rapporto di amicizia, loro spesso venivano a Pesaro, a trovare la loro allieva e a godersi un po’ il mare. Grazie alla sua abilità, Anna Bacchelli fu più volte invitata dalla sua concittadina Prima Paganelli, la Bolognese per antonomasia, a diri-

gere il grande atelier di via Rossini (poi di viale E. Corridoni): nostra madre però declinò sempre l’offerta, perché preferiva la sua autonomia concludono le figlie, che sottolineano come la madre sia stata attiva sino in tarda età. Impossibile, anche in questo caso, ricordare tutte le lavoranti della sartoria, che arrivò a impiegare una decina di persone: per tutte segnaliamo Fernanda Ortolani, sorella del musicista Riz, che si divideva tra l’attività in sartoria e quella di ceramista presso Molaroni. Molti i “trucchi del mestiere” e gli strumenti, quasi tutti presenti ormai solo nella memoria, che affiorano dalla testimonianza delle sorelle Bacchelli: preziose indicazioni su modalità di lavoro, dal lenzuolo bagnato per prevenire il restringimento dei tessuti (si inzuppava d’acqua un lenzuolo, lo si strizzava e vi si avvolgeva il tessuto da trattare: con questo procedimento si evitava di mettere direttamente a bagno il tessuto, pratica che rischia di rovinarne la consistenza), fino alla gnocchina, il cuscinetto utilizzato per stirare le spalle e altre parti degli indumenti (va detto infatti che gli abiti all’epoca si stiravano sui tavoli, e non sull’asse sagomato come avviene oggi). Parole che rimandano a un’epoca in cui il rinnovo del guardaroba scandiva ricorrenze precise nell’arco dell’anno: in primavera, per esempio, rammenta Bianca, era d’uso indossare l’abito nuovo per il Giovedì Santo, per la visi-

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ta ai Sepolcri, mi ricordo che ci fu una stagione in cui per le ragazze era di moda il panno rosa e celeste, e Pesaro fu invasa in primavera da abitini e tailleur color confetto… era anche l’occasione per il primo gelato, aggiunge ancora Giovanna. Tra le clienti più assidue e affezionate anche la signora Teresa, moglie di Scevola Mariotti sr., e la loro figlia Eleonora. Come molti mariti, anche il severo professore41 amava dire la sua sullo stile degli abiti della moglie: mi raccomando signora, massima eleganza e massima semplicità, ricorda con un sorriso Giovanna Bacchelli; richieste confermate anche da Eleonora Mariotti Travaglini, figlia di Teresa e Scevola sr.: anche se i miei genitori conducevano uno stile di vita sobrio, non frequentavano feste ma solo conferenze e incontri culturali, mio padre in effetti era molto esigente, dava indicazioni precise alla signora Bacchelli specialmente sulla lunghezza delle sottane di mia madre… sui modelli per i miei vestiti, invece, ricordo che a volte mi diceva di pensarci la notte! (Testimonianze raccolte tra il Gennaio e l’Ottobre 2009)

Pesaro, Cattedrale di Santa Maria Assunta, 18 Settembre 1956. Eleonora Mariotti con l’abito realizzato da Anna Bacchelli per il suo matrimonio con il pittore Ettore Travaglini (raccolta Eleonora Mariotti Travaglini, Pesaro). A pagina 136: Emma Corvo, tempera, 1955. Il quadretto, con una dedica autografa sul retro, è stato donato dall’artista ad Anna Bacchelli (raccolta privata, Pesaro)

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Pesaro, 12 Giugno 1955. Teresa e Scevola Mariotti sr. La signora Mariotti indossa un abito realizzato dalla sartoria Anna Bacchelli (foto G. Belli, Pesaro; raccolta Eleonora Mariotti Travaglini, Pesaro).

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Pesaro, anni Cinquanta - Sessanta del ‘900. Iolanda Secchiaroli, al centro della foto, con le sue collaboratrici e con alcune clienti (raccolta Famiglia Cesarini e Wanda Giombini Cesarini, Pesaro)


Iolanda Secchiaroli

Iolanda Secchiaroli (1915 - 2005) inizia la propria attività in via della Battaglia, negli anni immediatamente precedenti la II guerra mondiale, dopo aver imparato il mestiere lavorando a fianco della sorella maggiore, Rosina Balducci Secchiaroli. Ultima di quattro fratelli, due dei quali morti in giovane età, la signorina, come tutti la chiamavano, nel 1955 trasferisce la propria attività nella vicina palazzina di viale Marsala 21, da lei stessa fatta costruire: al primo piano trova posto la sartoria, con il laboratorio e il salottino per le prove; al piano superiore c’è invece l’abitazione. Le ragazze arrivavano, lasciavano la bicicletta nel seminterrato e poi salivano in sartoria, ci hanno detto alcune sue ex lavoranti, che della signorina ricordano affettuosamente la gentilezza d’animo e la grande capacità lavorativa. Il lavoro è la miglior cura, ripeteva spesso Iolanda Secchiaroli, riferendosi alle difficoltà che aveva dovuto affrontare nel corso della sua vita; al pari delle colleghe Iolanda non si tirava indietro se c’era da fare le notti in piedi, per le consegne più urgenti: spesso, ricorda Wanda Giombini Cesarini, dal 1947 collaboratrice della sartoria, prima come apprendista poi come première, la signorina cenava con una bella bistecca, diceva che le dava forza per lavorare fino a tardi. Tra le clienti, sebbene presente in modo occasionale, anche Ave Ninchi42, che a

Iolanda Secchiaroli commissionò un cappotto. Specializzata nei tailleurs e negli abiti da sera, che le sono valsi numerosi premi in manifestazioni di moda, Iolanda Secchiaroli era tra le poche sarte pesaresi in grado di realizzare anche capi in pelliccia. Come altre sue colleghe presenti in questo volume, anche Iolanda Secchiaroli ottenne il Diploma conferito dalla rivista Amica alle sarte più votate. Le foto che la ricordano si riferiscono in gran parte a occasioni conviviali: in molte di esse la signorina appare circondata dai fiori, una delle sue grandi passioni insieme con la lirica e i viaggi. Le clienti sapevano di questo suo amore per i fiori, e per la festa di San Francesco, il 4 Ottobre (data in cui a Pesaro si tiene la tradizionale Festa dei fiori), la venivano a trovare portandole una pianta, aggiunge Wanda, che è rimasta fino alla fine accanto alla signorina.

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Iolanda Secchiaroli con una cliente nel salottino della sartoria


Maria Bacchiani, una cliente di Montelabbate, con due modelli realizzati da Iolanda Secchiaroli: sopra, un completo del 1942; a ďŹ anco: il cappotto bianco del 1946, indossato durante il viaggio di nozze a Roma (la fotograďŹ a è stata scattata a Montelabbate; raccolta Stefania Bacchiani, Montelabbate)

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Dall’album di Marisa Faldelli, una gita a Candelara Le immagini delle pagine seguenti provengono dalla raccolta di Marisa Faldelli, per circa dieci anni alle dipendenze di Iolanda Secchiaroli. Ritraggono quasi al completo le lavoranti della sartoria Secchiaroli, e sono state scattate a Candelara, a pochi chilometri da Pesaro, presso la casa della signora Iole Cermaria Benelli e di suo marito Filippo Benelli, alla fine degli anni Quaranta del ‘900. E’ stata una bella giornata, ricorda Marisa, abbiamo raccolto le fragole e poi ci siamo fermati a cena. Tra le ragazze si riconosce, con la maglia a righe e l’inconfondibile sorriso, anche Domenica Fabbri, per lungo tempo preziosa collaboratrice della signorina Secchiaroli e successivamente titolare di una tra le principali sartorie pesaresi degli anni Sessanta - Settanta. Mi chiamavano Marisina, perché ero piccola e anche per distinguermi da un’altra Marisa che c’era tra le lavoranti, prosegue Marisa Faldelli; ero volonterosa, mi impegnavo molto nelle cose che facevo, e così la signorina Secchiaroli mi affidava spesso delle commissioni, andavo in banca, alla mutua, a consegnare gli abiti… Ricordo che insieme siamo andate persino in Ancona, dalla signora Pizzi (proprietaria di uno dei più noti negozi di tessuti della città43), al negozio e anche in casa, per scegliere gli abiti per il matrimonio di suo figlio Massimo con Adriana Gennari di Pesaro. Ho imparato il mestiere proprio dalla signorina Secchiaroli, continua Marisa, quando ancora la sua sartoria si trovava in via della Battaglia. Ho iniziato a lavorare alla fine della guerra, e sono rimasta in sartoria fino al matrimonio, nel 1954; da bambina però frequentavo già, anche se non per lavoro, la sartoria di Pezzodipane con mia zia Aura, che lì faceva un po’ da factotum. Dopo il matrimonio ho lavorato per qualche tempo in casa, soprattutto per parenti e conoscenti, con gli abiti da sposa, da sera e con i tailleur. Pesaro, anni Quaranta del ‘900. Marisa Faldelli e Anna Gasperini fotografate in piazza del Popolo, all’imboccatura di corso XI Settembre

(Testimonianze raccolte tra il Maggio 2008 e l’Ottobre 2009) 143


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A sinistra: Pesaro, 24 Ottobre 1954, chiesa di Santa Lucia: Marisa Faldelli con l’abito da sposa, realizzato dalla sartoria Secchiaroli e donato a Marisa dalla signorina Iolanda insieme con il tailleur per il viaggio di nozze; sopra: Marisa Faldelli con il marito Gianfranco Bertozzini al ricevimento dopo la cerimonia. Nella fotografia, insieme con gli sposi, si riconoscono tra gli altri la signorina Secchiaroli, con l’immancabile collier di perle e Anna Gasperini, con la giacca dal collo in velluto nero. Per il mio matrimonio, racconta Marisa Faldelli, Walter Gnassi organizzò il primo buffet in piedi, all’americana, presso il circolo Iride, che si trovava nei pressi dell’attuale Ufficio del Registro. A sinistra, sotto: Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Matrimonio a Villa San Martino: la sposa indossa un abito realizzato dalla sartoria Secchiaroli; col tailleur doppiopetto, in primo piano, Marisa Faldelli (raccolta Marisa Faldelli Bertozzini, Pesaro)

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Sopra a sinistra: Iolanda Secchiaroli durante una riunione conviviale; a destra: Massimo Cesarini, figlio di Wanda Giombini Cesarini davanti allo specchio per le prove degli abiti nella sartoria di viale Marsala (raccolta Famiglia Cesarini, Pesaro); sotto: Iolanda Secchiaroli insieme a Adriana Mancini Soliman, sua cliente e amica (raccolta Marta Soliman, Pesaro)

Lettera a una cara amica A volte il destino aiuta due persone che si sono incontrate per anni per le vie della città, senza conoscersi, un saluto fugace, qualche amicizia comune. Mia madre Adriana sognava di poter un giorno indossare quei meravigliosi vestiti che la signorina Iolanda creava nel suo atelier, un sogno poi diventato realtà. Un viaggio le ha fatte incontrare per caso ed è stata subito amicizia, un’amicizia durata anni, anni felici, fatta di altri viaggi insieme, di simpatiche visite, di affettuose telefonate e di tanti abiti che le sue mani d’oro hanno creato per mia madre, modelli unici, moderni, spiritosi e sempre alla moda. Grazie Iolanda per la tua amicizia, per quella persona speciale che sei stata per mia madre Marta Soliman_Maggio 2008 147


Gigliola Gori posa con due abiti realizzati da Iolanda Secchiaroli; il modello in questa pagina è stato disegnato da Emilio Schubert (19041972), il grande creatore di moda amato dalle dive, noto tra l’altro per gli sfarzosi costumi indossati da Wanda Osiris nei ďŹ nali delle sue riviste (raccolta Gigliola Gori, Pesaro)

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Pesaro, 16 Luglio 1960, Teatro “G.Rossini”. Défilé di moda organizzato dalla Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato - Artigianato proviciale di Pesaro: Cerasella e Conchiglia (questo modello - ricorda Domenica Fabbri - era di un bellissimo broccato bianco e oro, mentre Cerasella era rosso, con una balza in tulle plumetis)


Domenica Fabbri

Nata a Pesaro il 5 Maggio 1923, Domenica Fabbri trascorre l’infanzia e la fanciullezza a Milano, restando dai 5 ai 14 anni presso un collegio di religiose. Nel Giugno del 1937 torna a Pesaro, dove inizia un periodo di apprendistato presso il laboratorio di Rosina Secchiaroli Balducci, sorella di Iolanda, in via Castelfidardo. Qualche tempo dopo apre un’attività in proprio che manterrà fino al termine della II guerra mondiale, con una breve interruzione nel periodo dello sfollamento da Pesaro. Nel 1947 Domenica è chiamata da Iolanda Secchiaroli a dirigere la sua sartoria, in via Marsala: all’epoca il laboratorio della signorina Secchiaroli conta otto dipendenti, arrivando poi fino a venti. Lasciata Pesaro per una breve parentesi in Romagna, dove nell’Agosto 1952 nasce a Cesenatico sua figlia Marina, Domenica torna nella città natale alla fine del 1953, per riprendere l’attività sartoriale in proprio nel piccolo appartamento di viale Trento 74. L’8 Maggio 1955 prende parte al II Festival della Moda, organizzato dall’Unione Artigiani al Teatro “G. Rossini”, dove i suoi modelli riscuotono un grande successo. Tra il 1956 e il 1957 Domenica si trasferisce a Villa Olga, nell’appartamento preso in affitto dalla famiglia Ruggeri; dal 1957 al

1967 svolge la sua attività nel laboratorio di via Picciola 14, poco distante dall’ex stazione delle corriere: è di questo periodo (1966) il “Diploma d’onore”, conferito dal settimanale Amica alle sarte più votate nel referendum nazionale indetto dalla stessa rivista. Con l’affermarsi della propria sartoria Domenica Fabbri si trasferisce nella villa di proprietà della famiglia Recchi in viale della Repubblica 8, dove rimane fino al 1989, anno in cui decide di cessare l’attività artigianale per dedicarsi al nuovo gratificante ruolo di nonna dell’adorato nipote Andrea (notizie raccolte e ordinate da Marina Fabbri nel Maggio 2008).

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Pesaro, Domenica Fabbri nella sua sartoria di via Picciola


Sorridente ed estroversa, Domenica Fabbri è ricordata con grande affetto dalle clienti – amiche: era la più brava, dicono ancora oggi, con una punta di rimpianto per quegli abiti dallo stile estremamente femminile, sempre attentissimi alla moda del momento ma capaci di durare nel tempo. I rari modelli che Domenica conserva nei suoi armadi stupiscono per la perfezione del taglio ma anche per l’elevata qualità dei tessuti, da sempre uno degli atout della sartoria Fabbri: i tessuti li sceglievo da Gandini, a Milano, racconta Domenica, mentre ripercorriamo con la figlia Marina le tappe della sua lunga attività di fronte a un tavolo ingombro di fotografie; per i modelli mi ispiravo a Vogue o ad Harper’s Bazaar ma alla fine aggiungevo sempre qualcosa di mio, mi piaceva personalizzare con un dettaglio, una

linea particolare… Ogni anno partecipavo a diverse sfilate, sia a Pesaro sia fuori, a Roma per esempio, e nell’autunno 1968 ne ho organizzata una anche nella mia sartoria, in viale della Repubblica, con indossatrici professioniste e la modista Zerri di Bologna. Nella vastissima produzione di Domenica occupano un posto particolare gli abiti da sera e, soprattutto, quelli da sposa e da cerimonia, anche per bambini (spesso mi invitavano alle feste, le clienti mi volevano molto bene, ero quasi la mascotte della sartoria, dice Marina): da segnalare poi, tra gli abiti per bambini, i deliziosi costumi per Carnevale, per i quali Domenica vinse anche alcuni premi. (Testimonianze raccolte tra Maggio e Giugno 2008)

Candelara (Pesaro), anni Quaranta del ‘900. Foto di gruppo per Iolanda Secchiaroli e le sue lavoranti presso la villa di Iole Cermaria Benelli, cliente della sartoria (altre immagini della stessa giornata si trovano alle pagine 144 - 145)

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Sopra: Milano, anni Quaranta del ‘900. Domenica Fabbri e Iolanda Secchiaroli durante un viaggio di lavoro. A destra: Domenica Fabbri, poesia di Emma Corvo (1963)

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Pesaro, 8 Maggio 1955. II Festival della Moda: alcuni modelli di Domenica Fabbri

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Pesaro, 16 Luglio 1960, Teatro “G.Rossini”. Défilé di moda organizzato dalla Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato - Artigianato proviciale di Pesaro: il programma e alcuni modelli della Sartoria Fabbri; Sopra: Cappuccino e Mattinata; sotto: Città di Pesaro (modello composto da un abito prendisole e un costume in lino nelle sfumature dell’azzurro con applicazioni e ricami) e Vernissage

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Pesaro, 16 Luglio 1960, Teatro “G.Rossini”. Sopra: Fuochi d’artificio, Via Veneto e Bosforo (modello composto da un abito prendisole e un costume in lino nelle sfumature dell’azzurro con applicazioni e ricami); sotto: Pistacchio, Derby e Calypso

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Marina Fabbri, figlia di Domenica, posa con alcuni costumi di Carnevale e abiti realizzati dalla madre. Sopra, Pesaro, 1958. Marina nei panni di una cinesina; al centro, Cappuccetto Rosso (primi anni Sessanta del ‘900) e, a destra (sopra e sotto), Pesaro, 1957. Marina, ancora nelle vesti di piccola modella, sfila al Cinema - Teatro “Nuovo Fiore” durante una manifestazione organizzata per promuovere il cotone Valle Susa. Sotto, a sinistra: Pesaro, 1958. I costumi di Domenica Fabbri premiati nel corso di una sfilata al Teatro “G.Rossini” (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Domenica Fabbri)

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Pesaro, anni Sessanta del ‘900. Due abiti da sposa della Sartoria Falciasecca (sopra: raccolta Emma Asdrubali Falciasecca, Pesaro; a destra: raccolta privata, Pesaro)

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Emma Asdrubali Falciasecca

Originaria di Santa Maria delle Fabbrecce, borgo alle porte di Pesaro, Emma Asdrubali (1914) si avvicina a quindici anni alla sartoria, iniziando l’apprendistato presso le sorelle Cavallari, due artigiane della piccola frazione. A ventisette anni Emma, trasferitasi in città con la famiglia di origine, si mette in proprio. Nella grande casa di via dei Mori (oggi via Madonna di Loreto44), dove Emma apre il suo primo laboratorio, c’è anche il nipote Aleardo Asdrubali che, sotto lo sguardo vigile della zia, apprende i primi rudimenti dell’arte del taglio e cucito, avviandosi a diventare uno dei principali sarti per uomo della città. Nel 1939 Emma si sposa con Remo Falciasecca (1912 – 2001); dopo un breve periodo in viale XXIV Maggio, all’inizio degli anni Cinquanta la famiglia e la sartoria approdano definitivamente nella sede di via V. Monti, dove l’attività conosce un successo sempre crescente: nei periodi di maggior impegno il laboratorio arrivò a impiegare fino a venti lavoranti, osserva il figlio Gabriele, noto storico pesarese, un numero davvero ragguardevole nel contesto delle sartorie cittadine. Discreta e riservata, nella sua lunghissima carriera (oltre sessant’anni) Emma Asdrubali Falciasecca non ha mai preso parte a sfilate o a eventi pubblici; ciononostante, ha sempre potuto contare su una clientela raffinata e fedele, che ne apprezzava la precisione e la

capacità di creare abiti dal disegno originale, sobrio ed elegante. Tra le clienti di Emma Asdrubali Falciasecca va annoverata anche la signora Pizzi, moglie del negoziante di tessuti, cui si aggiungono le famiglie dei prefetti e di altri personaggi in vista, sia pesaresi sia provenienti da altre città della nostra provincia come Fano, Urbino, Fossombrone; due, però, i nomi che spiccano in un ideale Libro delle misure della sartoria: l’attrice Ave Ninchi (era esigente, molto pignola, commenta con un sorriso la signora Emma), e la contessa Alberta Porta Natale di Gradara. Quanto alle pro-

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Pesaro, 1973. Emma Asdrubali Falciasecca e Aleardo Asdrubali (raccolta Aleardo Asdrubali, Pesaro)


prie creazioni, la signora Emma ricorda con particolare soddisfazione gli abiti da sera e, soprattutto, gli abiti da sposa. Attiva fino a pochi anni fa, Emma Asdrubali Falciasecca è tuttora molto legata alle clienti e alle lavoranti di un tempo, che non le fanno mancare il loro affetto e la loro amicizia. (Testimonianze raccolte nel Novembre 2009)

In alto: Pesaro, 1989. Emma Asdrubali e il marito Remo Falciasecca festeggiano i cinquant’anni di matrimonio; qui sopra: Pesaro, 1985 circa. Emma Asdrubali Falciasecca e le sue lavoranti riunite per la festa di Sant’Omobono (raccolta Emma Asdrubali Falciasecca, Pesaro)

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Ruggero Poderi Noto per la vitalità e per la sua prontezza di spirito quanto per l’abilità di sarto, Ezio Poderi, per tutti Ruggero (1916-1989), originario di Pozzo Alto, fu titolare tra la fine degli anni Trenta e il 1965 di una sartoria situata sopra l’Arco di Porta Rimini prima e al civico 244 di corso XI Settembre poi, nella zona del Borgo. Aveva imparato il mestiere in un atelier di Roma, nella capitale la madre era stata alle dipendenze della Contessa Spanocchi, esordisce Stefano, figlio di Ruggero, e probabilmente fu grazie a questi contatti che mio padre scelse Roma per il proprio apprendistato. Una curiosità: mia nonna raccontava che a casa Spanocchi aveva lavorato come maggiordomo Beniamino Gigli, e che ogni tanto gli chiedevano Beniamino canta qualco’. Tornato da Roma Ruggero si mise in proprio negli anni immediatamente precedenti la II guerra mondiale, guadagnandosi sin dai primi tempi un’ottima clientela, che ne apprezzava la simpatia oltre all’abilità di tagliatore. Poderi poté contare per tutto l’arco della sua carriera su clienti affezionati, in larga parte pesaresi ma anche provenienti da altre città, tra cui Fano e Ancona. Nella sua attività mio padre fu sempre aiutato da mia madre Onelia, continua Stefano, anzi, era lei, con la sua grande capacità lavorativa, a coordinare le dipendenti, a tenere le fila della sartoria, mio padre era quasi sempre impegnato con il taglio, le prove degli abiti e nei rapporti con i clienti. E in più, come tutte le donne della sua generazione, ha saputo mandare avanti la casa, crescere i figli e seguire la famiglia. Sarta ella stessa, prima di collaborare con

il marito Onelia è stata dipendente della Sartoria Sgrignani. Anche nella memoria di Stefano hanno un posto importante le veglie, ossia le nottate trascorse dai genitori a lavorare febbrilmente per far fronte alle consegne nei periodi più impegnativi, come i giorni del Natale; molti altri sarebbero gli aneddoti da raccontare, conclude Stefano, da quando mio padre, in ritardo nella realizzazione di una giacca, misurò al cliente quella destinata a un’altra persona, assicurando al malcapitato che con un colpo di ferro tutto si sarebbe sistemato (e la giacca era di un altro colore!), a quando dovette salire su uno sgabello per provare la giacca al primo giocatore americano della pallacanestro pesarese. Nottambulo per vocazione, mi piace ricordarlo con una frase che ripeteva spesso: quando morirò, avrò vissuto il doppio degli anni, tanti di giorno quanti di notte. (Testimonianza raccolta nel Giugno del 2008)

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Pesaro, Ruggero Poderi nella sua sartoria


Pesaro, anni Trenta - Quaranta del ‘900. Le lavoranti della Sartoria Sgrignani: tra loro, anche Onelia Poderi, moglie di Ruggero (le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Famiglia Poderi, Pesaro)

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Nicola D’Amario

Nato in provincia di Chieti, Nicola D’Amario apre la sua sartoria a Pesaro negli anni immediatamente precedenti la II guerra mondiale, dopo aver svolto nella nostra città il servizio militare. La prima sede della sua attività, racconta oggi il figlio Marco, era in via Mazza; poi mio padre si trasferì al 93 di corso XI Settembre e, infine, in via Branca, dove la sartoria si trasformò pian piano in un negozio di confezioni.

Esponente della rinomata scuola abruzzese45, Nicola D’Amario aveva fatto pratica presso un’importante sartoria di Roma: molte le personalità pesaresi presenti nel suo Libro delle misure, mentre tra le sue creazioni, oltre agli impeccabili abiti da uomo nei quali era maestro, ci sono anche giacche per tailleur femminili. (Testimonianza raccolta nel Giugno 2007)

Nicola D’Amario al tavolo da lavoro (raccolta Famiglia D’Amario, Pesaro)

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Nicola D’Amario, cartoline dal Kursaal Sin dagli anni Sessanta del ‘900 Nicola D’Amario affianca alla sartoria la vendita di abiti prêt-à-porter: tra le sue clienti anche Maria Teresa Talamelli, titolare per circa trent’anni di uno tra i primi istituti di bellezza cittadini, la “Parrucchieria Mary”. Vivace e intraprendente come ogni vera romagnola, Maria Teresa, originaria di San Giovanni in Marignano (Rimini), ci ha raccontato delle sfilate che negli anni Sessanta organizzava per promuovere la propria attività, al Kursaal46 e in altri locali di Pesaro (il “Capriccio” di viale Trieste, per esempio): le modelle erano mie clienti, che per una sera d’estate ‘giocavano’ a proporre al pubblico acconciature particolari, ideate per l’occasione; gli abiti che indossavano, tutti di alta moda, me li procurava il signor D’Amario. Aperta intorno alla metà degli anni Cinquanta, la parrucchieria Mary si trovava in via Giusti: ho iniziato da bambina, commenta Maria Teresa Talamelli, a quindici anni già ero titolare del mio primo negozio, in viale Dante a Cattolica, e ho concluso la mia formazione al Centro di Perfezionamento de L’Oréal di Bologna. Dopo sposata mi sono trasferita a Pesaro, e ho aperto l’attività in via Giusti: alle mie clienti offrivo anche il servizio dell’estetista, e ricordo che per i prodotti e gli strumenti da lavoro nei primi tempi mi servivo in via Castelfidardo, da Tutto per i parrucchieri del rag. Angeletti e, successivamente, da Ambrogiani. Alla fine degli anni Settanta purtroppo ho dovuto chiudere l’attività, conclude Maria Teresa, perché avevo grossi problemi di allergia che mi impedivano di lavorare. Oggi Maria Teresa si dedica quasi a tempo pieno ai suoi molti hobbies, tra i quali la fotografia, che ha preso negli ultimi tempi il posto della pittura. (Testimonianza raccolta tra l’Ottobre e il Novembre 2009)

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Pesaro, anni Sessanta del ‘900. Queste immagini si riferiscono a diverse sfilate svoltesi al Kursaal. Sotto, a destra: nella foto si riconoscono, oltre a Maria Teresa Talamelli (terza da destra), Enrico Perugini, maestro parrucchiere di Cattolica (primo da destra) e un giovanissimo Orfeo Di Cecchi (primo da sinistra) che, dopo il periodo di apprendistato con Maria Teresa, diventerà uno dei più noti parrucchieri di Pesaro. Nella pagina precedente: Pesaro, anni Sessanta del ‘900. Un’immagine dell’interno del negozio di parrucchiera di Maria Teresa Talamelli, in via Giusti

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Sebastiano Buttafarro

Di origini siciliane, Sebastiano Buttafarro (1910-1973) arriva a Pesaro negli anni Trenta del ‘900. Nel 1940 i registri segnalano l’apertura della sua sartoria in via Zongo 45; poco dopo lo raggiunge a Pesaro il fratello Antonio, detto Nino, anch’egli sarto. Nino avvierà in seguito una propria attività in via Giordano Bruno, mentre Sebastiano, che resterà a lungo uno dei più conosciuti sarti da uomo della città, si trasferirà in via Sabbatini 30, a pochi passi da via Zongo. Appassionato fotografo (oltre che motociclista), Sebastiano Buttafarro è l’autore di alcune delle immagini di questo capitolo, come quel-

le che ritraggono un gruppo di sarti pesaresi in gita a Venezia. A questo proposito il figlio Gaetano ricorda con particolare simpatia i momenti conviviali che vedevano i sarti e le loro famiglie ritrovarsi in occasione della festa di Sant’Omobono47: prima ogni artigiano offriva il pranzo ai propri lavoranti, spesso in qualche ristorante ‘fuori porta’, nei dintorni di Pesaro; poi, dimenticate la rivalità e la concorrenza, i titolari delle sartorie si riunivano a loro volta per festeggiare con le famiglie al seguito. (Testimonianza raccolta nel Giugno 2007)

Pesaro, anni Quaranta del ‘900. Sebastiano Buttafarro al lavoro nel laboratorio di via Zongo

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Pesaro, anni Quaranta - Cinquanta del ‘900. Alcune immagini della Sartoria Buttafarro in via Zongo

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In queste pagine: Gita Turistica Artigiani di Pesaro, 1949 (Bologna, Padova, Venezia, Verona, Desenzano). Sopra: Foto di gruppo per i sarti pesaresi. Nell’immagine si riconoscono: seduto a terra, in primo piano, un giovanissimo Marcello Sili; alle sue spalle, da sinistra: Marcello Tusco, Denizio Guerra e Nino Buttafarro; seduto, in prima fila, all’estrema destra Pino Tebaldi. Nella fila centrale: il secondo da sinistra è Antonio Foti e, alla sua sinistra, Ernesto Lamberti; con il fiocco nero, il signor Mancini; sempre nella fila centrale, all’estrema destra Sebastiano Buttafarro e, alla sua destra, Nicola D’Amario. Nell’ultima fila, da sinistra, Ruggero Poderi, Luigi Sgrignani (con gli occhiali), Pino Mecchi e, penultimo della fila, Vito Bargnesi (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta di Loretta e Gaetano Buttafarro, Pesaro)

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Pesaro, primi anni Cinquanta del ‘900. I modelli realizzati da Ernesto Lamberti con soli due metri di tessuto, esposti nei locali della Camera di Commercio, in corso XI Settembre. Tra le innovazioni studiate da Lamberti anche una giacca maschile senza tagli sulle spalle

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Ernesto Lamberti

Una caratteristica di mio padre era quella di riuscire a tagliare un abito impiegando la minima quantità di tessuto necessaria: arriva subito al punto Ivana Lamberti, maggiore dei cinque figli del sarto Ernesto e, insieme al fratello Giuseppe, loro portavoce per l’occasione; prerogativa, questa, che negli anni difficili del dopoguerra era particolarmente apprezzata. Ideatore di un metodo di taglio che consentiva di realizzare un completo maschile con soli due metri di tessuto, contro i due metri e trenta-due metri e mezzo richiesti di solito, Ernesto Lamberti vendette poi il suo brevetto a un’azienda di confezioni: mio padre era molto abile nell’elaborazione dei modelli, aggiunge Giuseppe, addirittura per un periodo collaborò con una ditta francese realizzando i prototipi sui quali venivano poi prodotte le collezioni. In famiglia sia lui sia mia madre ci hanno sempre raccontato di una notte in cui riuscì a tagliare e cucire un completo da sposo tutto da solo; il suo ‘occhio’, poi, era leggendario, tanto che riusciva a fornire ai clienti gli abiti finiti senza nemmeno una prova. Originario di Vergato, paese dell’Appennino tosco-emiliano in provincia di Bologna, Ernesto Lamberti (1918 - 1966) si avvicina al mestiere a soli sette anni, quando inizia a frequentare il laboratorio di un sarto bolognese riconosciuto tra i migliori a livello internazionale: era il più giovane tra gli apprendisti

della sartoria, e secondo il suo maestro anche il più bravo, ricorda ancora Giuseppe. A soli quattordici anni ha tagliato e cucito interamente da solo il suo primo abito da cerimonia, il completo da sposo per il suo futuro cognato. Dopo aver lavorato sei anni presso il sarto D’Aurizio, nel capoluogo emiliano, a 17 anni mio padre è partito volontario per imbarcarsi sull’incrociatore “Giuseppe Garibaldi”, continua Ivana, si è sposato e ha finito il servizio militare a Venezia durante i giorni del

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Ernesto Lamberti


viaggio di nozze. Appena sposato, nei primi anni Quaranta ha aperto la propria attività in via Tortora ma nel tempo la sartoria, che realizzava sia abiti da uomo sia da donna, ha avuto diverse sedi: dopo una breve parentesi bolognese siamo tornati a Pesaro e ci siamo stabiliti in via Borgomozzo, con il laboratorio allestito nella mansarda, quindi in via Tebaldi, poi in via Mazza, in via Sabbatini e, infine, in via Milite Ignoto. Purtroppo mio padre è mancato solo una settimana dopo il trasloco, ricorda Ivana, era tanto orgoglioso della sua nuova casa… Oltre all’abilità di sarto, di Ernesto Lamberti va sottolineato anche l’impegno politico: dopo gli anni di guerra, nei quali partecipò alla lotta partigiana, mio padre restò fedele al proprio ideale, con una militanza appassionata. Del resto la nostra famiglia è sempre stata in prima linea nelle lotte politiche, a partire dalle bisnonne, emiliane di gran carattere che, per non sentire i morsi della fame, inventavano cori anarchici. Ernesto Lamberti ha cessato l’attività nei primi anni Sessanta, lasciando strumenti e segreti del mestiere ai suoi allievi. Gli erano molto affezionati, conclude Ivana, anche perché li rispettava: per esempio, un segno di questo suo atteggiamento altruista e generoso era la puntualità nei pagamenti, ogni sabato saldava i conti delle pantalonaie e delle lavoranti esterne, conosceva le esigenze delle famiglie e anche in questo era coerente con i propri principi. Nel periodo di maggiore espansione dell’attività, la Sartoria Lamberti contava una dozzi-

Pesaro, 1949. Ernesto Lamberti con i figli Ivana e Giuseppe durante una Festa de L’Unità agli Orti Giuli. (tutte le immagini di questo capitolo ptovengono dalla raccolta della Famiglia Lamberti, Pesaro)

na di dipendenti e circa trenta collaboratrici esterne. Tra gli allievi di Ernesto anche Console Costantini e Davide Camilli: quest’ultimo prima di aprire una propria attività a Pesaro, collaborò con il suo maestro nella sartoria di Bologna. (Testimonianze raccolte nel Giugno 2008)

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1 Porta Sale, un tempo situata al termine dell’attuale via Castelfidardo, fu abbattuta tra il 1910 e il 1914 (cfr. Gli atterramenti della Porta Sale e del viale Marsala, in G. Caresana, Pesaro, nascita della città moderna 1875 - 1914, Fossombrone 2004; al volume di Caresana rimandiamo per un dettagliato quadro delle complesse vicende urbanistiche della Pesaro primonovecentesca). 2 Attuale viale della Repubblica. Eretto dal Comune tra il 1881 e il 1883… e rimasto per qualche tempo l’unica costruzione della zona mare, lo Stabilimento “balneario” sostituì un baraccone di legno che, sorto una ventina d’anni prima sull’estrema punta della cosiddetta “palata” (attuale Moletto) al termine dell’odierno viale Zara (A. Brancati, Società e informazione a Pesaro tra il 1860 e il 1922, Pesaro 1984, pp. 105 - 107). La stagione si apriva il 29 Giugno, giorno dei santi Pietro e Paolo e si chiudeva ai primi di Settembre, con l’inizio della fiera di San Nicola. Rinnovato negli anni Venti, il Kursaal (denominazione ufficialmente assunta dopo la ristrutturazione), che sorgeva nell’area dell’attuale piazzale della Libertà, resterà tra i più noti della Riviera adriatica fino agli anni Quaranta, per essere poi demolito dopo la II guerra mondiale. Negli anni Cinquanta il vecchio Kursaal fu sostituito da un nuovo edificio, anch’esso oggi scomparso. Al volume di Brancati rimandiamo anche per un’esaustiva cronaca delle vicende cittadine tra i secoli XIX e XX. 3 G. Ugolini, Cronaca balneare e note cittadine, da La Sveglia democratica, 25 Agosto 1912; la citazione è tratta da G. Calegari, G. Ugolini, Le attività e gli scritti in cinquant’anni di storia pesarese, Pesaro 1997; p. 338. 4 Su Antonio Coli cfr. E. Coli, Mio padre, Pesaro 1970. 5 Fondato nel 1882, il Liceo Musicale “G. Rossini”, diventa Conservatorio Statale di Musica con la legge 1869 del 1939 e il successivo regio decreto attuativo del 1940 (cfr. http://www.conservatoriorossini.it/presentazione/default.aspx; 2 Novembre 2009, ore 18.25). 6 Brancati, cit., p. 65. 7 Id., pp. 273 - 275. 8 La delibera con cui la via fu intitolata alla città di Zara è del 14 Giugno 1929, come riportato da P. Rufa nel suo Pesaro, notizie biografiche, storiche, artistiche e toponomastiche della città, Pesaro 1978; p. 302. Dopo viale Castelfidardo, la via ebbe nome per un breve periodo Strada della Palata, dal piccolo molo che si protende sul mare al termine della via, inaugurato [nel 1911] da Filippo Tommaso Marinetti dopo una serata futurista al Rossini (ib.). Sulla serata futurista del 1911 cfr. anche Brancati, cit., p. 70. 9 La Società di Mutuo Soccorso di Pesaro fu fondata nel 1891 (Brancati, cit., p. 66). Attilio Temellini fu anche tra i fondatori della Cooperativa Barbieri di Pesaro, costituita nell’Ottobre 1902 (ASP, Inventario del Fondo Tribunale civile e penale di Pesaro, serie Società commerciali). 10 Gigli era legato a Pesaro da sinceri vincoli di simpatia, Il Resto del Carlino, 4 Dicembre 1957. 11 S. Temellini De Castagno, I ricordi sono palloncini rossi e blu, da Lo specchio della città, Pesaro, Marzo 1998. 12 Come e più della Barbieria Temellini, la bottega di “Cibi” Della Chiara è uno dei luoghi simbolici della memoria pesarese. Nato nel 1904 (si spegnerà nel 1972), Alcibiade Della Chiara per oltre quarant’anni radunò intorno a sé, nella Casa d’Arte di via Rossini, la Scapigliatura pesarese (secondo un’acuta definizione di Domenico Lombrassa), un gruppo di artisti e intellettuali del quale facevano parte tra gli altri il drammaturgo Antonio Conti, lo scrittore Fabio Tombari, numerosi pittori e ceramisti come Francesco Carnevali, Nino Caffè, Alessandro Gallucci, Achille Vildi, Bruno Baratti e tanti altri. Per Alcibiade Della Chiara si vedano Brancati, cit., pp. 90 - 91 ma, soprattutto, i ricordi di G. Filippucci, D. Lombrassa e F. Tombari in Notiziario del Rotary Club di Pesaro, Febbraio 1973. 13 Cfr. G. Calcagnini, Amilcare Zanella: Vicende Storiche, da http://crtpesaro.altervista.org/Cultura%20e%20Storia/Musica/Amilcare%20Zanella/ Vicende%20Storiche.htm; 20 Giugno 2007, ore 10.15. 14 G. Cancelli, Ricordo di una strada: viale Zara, Pesaro 1995. Tra i fratelli di Guglielmina Cancelli ricordiamo anche Ciro (1901 – 1968), pittore tra i più importanti artisti pesaresi del ‘900, fu condirettore della rivista di moda Linea, alla quale collaborava anche la disegnatrice Brunetta Mateldi (cfr. Arte e immagine tra Otto e Novecento a Pesaro e Provincia, catalogo della mostra, Pesaro 1980; p. 248). 15 Dal Registro Ditte della Camera di Commercio, contenente i dati relativi alle aziende cessate prima dell’istituzione del Registro delle Imprese, la Sartoria Pezzodipane risulta aperta nel Giugno 1925 e cessata nel 1972 (ASCCP, Schedario del Registro Ditte). 16 P. Conte, Novecento, dall’album omonimo (CGD, 1992). 17 Inutile nascondere, a questo punto, che non si tratta di un caso di omonimia: Zaira è la nonna paterna della curatrice. 18 Il 30 Ottobre del 1930 si verificò una scossa del 6° della Scala Richter, con epicentro tra le province di Pesaro e Urbino e Ancona. Notevoli i danni anche nella nostra città, specie per quegli edifici già lesionati dal sisma del 16 Agosto 1916; la scossa del 1930 causò anche diverse vittime

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(cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_terremoti_in_Italia_-_XX_secolo; 13 Novembre 2009, ore 12.35). 19 3 Gennaio 1944 - Viene affisso sui muri delle città costiere il manifesto in cui si avvisa la popolazione che l’autorità germanica ha disposto “lo sgombero della popolazione della fascia costiera per una profondità di 10 km. nel termine di 48 ore”. E’ l’inizio dello sfollamento in massa (A. Bianchini, Cronologia storia della Provincia di Pesaro e Urbino nel ‘900, 1960 - 1969, versione online a cura di C. Boiani, da http://www.bobbato. it/index.php?id=7944; 13 Novembre 2009, ore 13.00). 20 Première - Ruolo sartoriale per i capi su misura, per l’alta moda. La première è una sorta di traduttrice, perché in effetti traduce lo schizzo del disegnatore nel modello in tela e lo prova sulla mannequin d’atelier (altra figura simbolo, la cosiddetta “fissa”), per stabilire quale tessuto e modello scegliere per valorizzare meglio la linea. È una figura chiave. Ogni buona sartoria ne ha diverse, secondo la specializzazione. C’è infatti una première per ogni reparto (da http://dellamoda.it/dizionario_della_moda/p/premiegravere.php; 2 Novembre 2009, ore 17.55). 21 Nella zona prima della villa Ugolini, dopo la “nazionale” allora c’era un altro luogo che ci faceva sognare: era la Bolognese: la sartoria della gran moda negli anni Trenta. Era spesso al centro delle conversazioni, specialmente degli uomini perché si diceva che impiegasse splendide modelle. Andavamo ad appostarci per attendere l’uscita delle ragazze... Dietro quelle indossatrici correvano i nostri sogni ma si spegnevano presto... (C. Mattioli, Pesaro anni Trenta, Roma 1993; p. 57). 22 F. Belli, Moda autarchica, (da http://dellamoda.it/dizionario_della_moda/m/moda_autarchica.php; 12 Giugno 2008, ore 14.50). 23 Mille lire al mese, 1939, regia: M. Neufeld; interpreti: U. Melnati, A. Valli, O. Valenti e R. Cialente, (da http://www.imdb.com/title/tt0030450; 8 Novembre 2009, ore 11.10). 24 Da http://www.cartamonetaitaliana.it/articoli.php?num=21; 8 Novembre 2009; ore 11.15. 25 ASP, Tribunale civile, società commerciali; b 37, fasc. 453. La Snc risulta omologata al Tribunale di Pesaro con decreto del 24 Gennaio 1942; l’atto fa seguito all’assemblea generale straordinaria dell’8 Gennaio dello stesso anno, al cui Ordine del Giorno c’era appunto la trasformazione della forma societaria. Salvo diversa indicazione, tutti i documenti citati in questo paragrafo provengono dal fascicolo sopraindicato. Ringrazio qui Simonetta Bastianelli, alla quale devo la segnalazione di questo interessante materiale. 26 L’Atto di costituzione della Sartoria Bolognese per Signora è datato 30 Dicembre 1933, e fu registrato in Tribunale il 18 Gennaio 1934. Fino al 1942 la forma della Società Anonima corrispondeva all’incirca a quella della nostra Società per Azioni (SpA) (cfr. Società Anonima, da http:// it.wikipedia.org/w/index.php?title=Societ%C3%A0_per_azioni&oldid=27703712; 2 Novembre 2009, ore 15.55). 27 Ma Prima Paganelli era già attiva come sarta dalla metà degli anni Venti, cioè da quando era arrivata a Pesaro, secondo quanto risulta dalla testimonianza del nipote Luciano Urso, e di alcune ex lavoranti della sartoria. 28 Corrispondenti a porzioni di capitale non ancora versato (cfr. http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Societ%C3%A0_per_ azioni&oldid=27703712; cit.). 29 Secondo le testimonianze, il trasferimento della Sartoria da via Rossini a viale Corridoni avviene intorno agli anni Quaranta del ‘900; in realtà già nel 1939 l’attività si era spostata in viale F. Corridoni, come dimostra un Verbale dell’Assemblea dei Soci datato 30 Marzo 1939. Un altro Verbale di assemblea dimostra invece che a quella data la Sartoria Bolognese si trovava ancora in via Rossini. 30 ASP, Atto di costituzione… 1933, cit.. 31 ASP, Relazione dell’Amministratore Unico nel Bilancio del I esercizio - 1934, allegata al Verbale di assemblea ordinaria dell’11 Marzo 1934. 32 Per questi e altri artisti operanti a Pesaro tra la fine dell’800 e il primi del ‘900, rimandiamo al volume Arte e immagine… cit.. Per la Bottega d’Arte Della Chiara, cfr. nota n. 12. 33 Carlo Betti, di professione insegnante di Ragioneria all’Istituto “D.Bramante” di Pesaro ma ricordato oggi soprattutto per la sua attività di fotografo: oltre a numerose foto aeree della città, appartengono ormai alla memoria collettiva le sue immagini di una Pesaro devastata dalla guerra, scattate nei giorni precedenti alla Liberazione (29 Agosto 1944). Parte del Fondo Carlo Betti è oggi conservato presso la Biblioteca - Archivio “V. Bobbato di Pesaro. 34 Riccardo Zandonai (Sacco di Rovereto, Trento 1883 - Pesaro 1944) fu nominato nel 1940 direttore del Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro, e nella nostra città rimase fino alla morte, avvenuta nel 1944 (I direttori del Conservatorio “G. Rossini”, da http://www.conservatoriorossini. it/presentazione/direttori.aspx; 2 Novembre 2009, ore 18.25). 35 Corrado Giuliani (1896 - 1984) si avvicina alla decorazione ceramica lavorando, a partire dai primi anni del Novecento, presso la manifattura

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Berarducci. Specializzato negli stili antichi e nel decoro all’istoriato, nel 1903 rileva, insieme al fratello, la manifattura Ruggeri di Pesaro e fonda la Fratelli Giuliani che rimane attiva fino al 1911. Successivamente collabora con la fabbrica Molaroni e con la M.A.P. di Ferruccio Mengaroni (Archivio della ceramica del ‘900, a cura di R. Conti: Corrado Giuliani, da http://www.archivioceramica.com/CERAMISTI/G/Giuliani%20Corrado. htm; 8 Novembre 2009, ore 12.05). 36 Cfr. A. Bianchini, Cronologia… cit., versione online a cura di C. Boiani, da http://www.bobbato.it/index.php?id=7944; 2 Novembre 2009, ore 18.40. 37 Cfr. ASCCP, Schedario del Registro Ditte, cit.. 38 Viale A. Gramsci (dal 1947), già via Mura di Santa Chiara (dal vicino convento), successivamente via Palestro (1866), quindi Giuoco del maglio (nel fossato sottostante si praticava il gioco del maglio, poi quello del pallone col bracciale, quindi viale Italo Balbo (cfr. Rufa, cit., p. 129). Nel 1943, dopo la destituzione di Mussolini, viale Balbo era tornato a essere viale Palestro (delibera del Consiglio Comunale del 23 Agosto 1943). 39 La prima edizione del Festival della Moda di Pesaro ebbe luogo al Teatro “G. Rossini” il 28 Marzo 1954. Alla seconda edizione, svoltasi l’8 Maggio 1955, presero parte una decina di sartorie locali (tra loro anche Domenica Fabbri e Iolanda Secchiaroli) ma due motivi di attrazione invitano alla serata del Rossini: la nota ed applaudita cantante e attrice Jula De Palma, e la simpatica presentatrice della radio Isa Bellini, che i radioascoltatori hanno seguito lo scorso inverno nelle trasmissioni del “Motivo in maschera” (Festival della moda questa sera al Rossini, da Il Resto del Carlino, 8 Maggio 1955). 40 Guido Vergani, voce Giorgini (da http://dellamoda.it/dizionario_della_moda/g/giorgini.php; 12 Maggio 2008, ore 15.45). 41 Scevola Mariotti sr. (1880 - 1961), celebre francesista, autore tra l’altro di un fondamentale Vocabolario italiano-francese (Signorelli, 1952), insignito nel 1957 del diploma di Chevalier della Légion d’Honneur. Suo figlio Scevola jr. (1920 – 2000), fratello di Eleonora e professore di Filologia classica all’Università La Sapienza di Roma, fu invece uno dei più autorevoli latinisti e grecisti italiani. Un ricordo dei due Mariotti a firma della loro ex allieva e futura insegnante di scienze Maria Teresa Badioli è apparso in Lo specchio della città, Settembre 2007. 42 Ave Ninchi (1915 – 1997), dell’omonima dinastia di attori, cugina di Carlo (1897 – 1974) e Annibale (1887 – 1967; a sua volta padre di Arnaldo, 1935). Ave Ninchi esordì nel 1919, con il cugino Annibale nella prima rappresentazione del Glauco di Morselli; finissima caratterista e commediante, diplomata all’Accademia di Arte Drammatica di Silvio D’Amico, è oggi ricordata soprattutto per la sua attività cinematografica e televisiva. Oltre 100 titoli a partire da Circo equestre Za - Bum (1943) e proseguendo in una successione tanto fitta da farne per anni il prezzemolo del cinema italiano. Per non parlare della rivista, della tv e del teatro, dove la prosperosa Ave fu subito di casa come cugina dei celebri fratelli Ninchi: il solenne dicitore Annibale e il virile e incisivo Carlo. Marchigiana di nascita, aveva uno straordinario orecchio per altre parlate. (…) In realtà era una commediante a 360 gradi, esatta, intonatissima, ultraprofessionale: una lavoratrice infaticabile, una compagna di lavoro benvoluta da tutti, spiritosa e saggia. (…) Ave appartenne senz’altro alla categoria di coloro che allo spettacolo hanno dato molto più di ciò che hanno avuto (T. Kezich, Addio al sorriso di Ave Ninchi, in Corriere della Sera, 12 Novembre 1997). 43 Fondato nel 1935, il negozio di tessuti Aldo Pizzi nacque dalla ditta Aldo Pizzi di Ancona, attiva nello stesso settore, ed è rimasto aperto fino alla scorsa estate. Ebbe la sua prima sede nei locali di piazza del Popolo (oggi occupati dal negozio di abbigliamento maschile Gordon Pym), trasferendosi alla fine degli anni Ottanta nella vicina via Zongo. 44 Secondo P. Rufa (cit., p. 156), via dei mori, dal 1936 divenuta via Madonna di Loreto, dall’omonima chiesa nei pressi, prende il nome dai numerosi gelsi che si trovavano ai lati della strada. 45 Sulla scuola sartoriale abruzzese, da Nazareno Fonticoli (1906 - 1981), fondatore della sartoria Brioni a Domenico Caraceni (1880 - 1939), patriarca di una dinastia ancora attiva, cfr. Guido Vergani, Sarti d’Abruzzo, Le botteghe di ieri e oggi protagoniste del vestire maschile, Milano 2004. 46 Cfr. nota 2. Riaperto nel 1956 dal bolognese Ezio Giulietti, il Kursaal ospitò, prima di essere definitivamente demolito negli anni Settanta, artisti del calibro di Wanda Osiris, Domenico Modugno, Fred Buscaglione. 47 Sant’Omobono (13 Novembre). Oltre a essere patrono di Cremona, Omobono Tucenghi è protettore di mercanti, lavoratori tessili e sarti. Egli stesso, infatti, fu commerciante di stoffe stimatissimo in città. Era abile negli affari e ricco. Ma il denaro - nella sua concezione della ricchezza, vista non fine a se stessa - era per i poveri. La sua azione lo portò ad essere un testimone autorevole in tempi di conflitto tra Comuni e Impero (Cremona era schierata con l’imperatore). Quando morì d’improvviso, il 13 Novembre del 1197, durante la Messa, subito si diffuse la fama di santità. Innocenzo III lo elevò agli altari già due anni dopo. Riposa nel duomo di Cremona (da www.santiebeati.it; 20 Novembre 2009, ore 19.15).

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Pesaro, Agosto 1944. Piazza del Popolo devastata dai bombardamenti (foto Carlo Betti, Archivio - Biblioteca “V. Bobbato�, Pesaro, Fondo C. Betti)


Intermezzo Sguardi oltre le mura

Ad ogni angolo, puntando la Leica mi si mozzava il respiro. Ma continuavo a scattare, senza sapere perché e per chi1. Carlo Betti_1989

Me lo portavo sempre dietro, anche quando non mi serviva più, il mio bel sipario di lana blu. (...) Ai margini centrali del suo bel blu cupo brillavano, vanitosissime, le mie iniziali d’oro. ...Quando l’ultima guerra bestiale e forsennata si scatenò, anche il mio sipario dovette seguire la mia sorte. Lo portai, insieme con gli ultimi avanzi dei miei superstiti costumi teatrali, a Monte Santa Maria, dov’ero sfollato con mia moglie e la mia bimba di tre anni... Il poco denaro ch’era rimasto era insufficiente alle spese giornaliere... Alcuni contadini venivano per casa a portarmi qualche provvista di farina. Quando videro che mia moglie estraeva da una cassa, per riporli meglio, i più vistosi costumi di teatro, rimasero colpiti dai velluti, le sete e i broccati d’ogni colore e chiesero se per le loro donne che ormai erano nude, avesse avuto da vendere qualche stoffa un po’ meno sgargiante. Per tutta risposta mia moglie aprì il cassone dove dormiva il mio sipario... “C’è da vestire l’intero paese”, disse il più anziano. (…) Dopo qualche mese il mio sipario ebbe l’onore di essere trasformato in tanti tagli d’abito di solida stoffa pesante di color blu cupo. Tutto il paese e il circondario era vestito allo stesso modo, dallo stesso sarto che confezionava per quei contadini tanti completi blu, a doppio petto2. Annibale Ninchi_1946


Villa Fastiggi

Pesaro, anni Venti del ‘900. San Pietro in Calibano (cartolina datata 19 Aprile 1924 ed. O. Semprucci, Pesaro; Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci)


Annetta Fabbri e la Sartoria Francesconi

L’arguta memoria di Annetta Fabbri (detta no nel secondo dopoguerra molti politici delfamiliarmente Netta) ci consente di ricorda- la nostra zona: era molto bravo, si era perfere, almeno per sommi capi, una tra le poche zionato presso una scuola di taglio di Roma sartorie di grandi dimensioni situate fuori dei insieme con Erasmo Pezzodipane; erano tutti confini cittadini, la Sartoria Francesconi di Vil- e due molto giovani, allora Pezzodipane era la Fastiggi. Menzionata spesso dai nostri testi- ancora un ragazzo di bottega. La sartoria dava moni, purtroppo scarsamente documentata, la lavoro a tutta la famiglia: il nonno, la nonna, Sartoria Francesconi risulta attiva già ai primi mia madre, due zii, anche mia mamma Olga del ‘900, periodo in cui Marino Francesconi è era sarta, ma da donna… Singolarmente inregistrato come sarto tra i soci fondatori della traprendente, Annetta Fabbri sin da bambina Cooperativa di consumo di San Pietro in Ca- mostra una spiccata propensione per l’arte del libano3. Gli succede il figlio Filiberto la cui at- taglio e del cucito: a nove anni cucivo i gremtività compare nei documenti della Camera di biuli per mia nonna, e a scuola facevo i vestiti Commercio di Pesaro e Urbino4 dal 1948 al 1962 come sartoria per uomo, vendita manufatti e tessuti, situata al n.110 di San Pietro in Calibano; dal 1962 la sartoria è registrata sotto il nome di suo figlio Ferruccio Francesconi (l’indirizzo nel frattempo è diventato via Villa Fastiggi 110), che la chiuderà nel 1983. La Sartoria Francesconi aveva molti clienti, sia di Villa Fastiggi sia di Pesaro, ricorda Netta. Villa Fastiggi, Pesaro, anni Quaranta del ‘900. Filiberto Francesconi con le sue lavoranti: Da Filiberto si servivaAnnetta Fabbri è la seconda da destra (raccolta Annetta Fabbri, Pesaro) 181


per le bambole e li rivendevo alle mie compagne di classe, continua divertita. Ho sempre preferito cucire da uomo, gli abiti da donna, con quelle stoffe leggere e scivolose, proprio non mi piacevano, e infatti da mio zio me la sono sempre cavata molto bene, soprattutto facevo i pantaloni, poi ero molto brava con le asole. Da mio zio ho iniziato a lavorare quasi da bambina: c’era tanto lavoro, sotto le feste rincasavo molto tardi, a volte anche alle otto di mattina, dopo aver trascorso la notte a cucire, e appena arrivavo mia nonna [Netta ha perso molto presto la mamma] mi preparava il bagno nella mastella. Dopo il matrimonio, Netta continua a collaborare con la sartoria Francesconi, lavorando in casa: cucivo i pantaloni sul modello, continua Netta, poi li consegnavo a Pesaro, li portavo nella gluppa5. In quel periodo lavoravo sia per la sartoria di mio zio sia per altri clienti, ho cucito anche per Pezzodipane e Garattoni, e per un periodo ho anche collaborato con una mia amica. Mi ricordo certe notti in piedi, per rispettare le consegne… quando proprio non ne potevamo più, magari erano le due, o anche più tardi, riponevamo il lavoro e ci mettevamo ai fornelli, per chiudere in allegria con un dolce. Una volta, eravamo diverse donne, abbiamo anche fatto le cresciole6, non c’era bisogno di aspettare il Carnevale, si preparavano svelto svelto, era un lavoro a catena, una tirava la sfoglia, l’altra tagliava e un’altra friggeva, era un bel modo per concludere la veglia.

Il racconto di Netta si snoda sullo sfondo della II guerra mondiale, e così pian piano si arriva al 1944, quando, impegnata tra le fila dei partigiani (ma senza armi precisa), Netta e alcune sue compagne li rifornivano di cappotti: a Villa Fastiggi c’erano molte donne che lavoravano per il Distretto Militare, sin dai tempi della I guerra; andavamo a ritirare i cappotti tagliati in caserma, poi li cucivamo. Più che altro si trattava di cappotti e le divise per gli ufficiali. Dopo l’armistizio7 erano rimasti molti pezzi ancora da assemblare, e ne approfittammo per rimpannucciare di nascosto i partigiani. La stoffa fu tinta di un verde più scuro, il colore dell’erba, per non farli individuare: fu il mio futuro suocero (ancora ero fidanzata) Giuseppe Arceci, che faceva il tintore, ad aiutarci in quell’occasione. L’abbiamo vista brutta diverse volte, racconta ancora Netta. Una sera, ero con mia cognata Iole Pianosi, i Carabinieri hanno perquisito la casa alla ricerca dei cappotti: hanno rovistato dappertutto ma non li hanno trovati, perché avevamo nascosto tutto sotto le fascine; allora ci hanno portato nei locali dell’ex Dopolavoro e ci hanno interrogato, il maresciallo e il brigadiere ci hanno trattenuto per più di mezza giornata perché volevano sapere di quei cappotti… alla fine sono intervenuti Renato e Pompilio Fastiggi8, e ci hanno fatto rilasciare. (Testimonianza raccolta tra l’Ottobre e il Novembre 2009)

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Giannina Basili Giannoni

E’ davvero un grande patchwork il nostro viaggio nella moda pesarese: tra le persone a cui il progetto Pesaro, la moda e la memoria deve molto c’è anche un amministratore che, con la sua sensibilità e il suo entusiasmo, ha sostenuto il lavoro sin dai primi passi, da quell’esposizione che nell’estate 2007 ha dato il via alla ricerca. Sono nato in mezzo alle stoffe, e ancora ne sento l’odore; da piccolo, con i miei fratelli e i miei cugini, giocavo a nascondino tra i vestiti e le pezze di tessuto, e quei ricordi sono oggi tra i più preziosi per me: con queste parole Luca Pieri, attuale assessore all’Urbanistica e ai Grandi eventi del Comune di Pesaro, ci ha raccontato la sua infanzia trascorsa nel retrobottega del negozio della nonna Giannina Basili (1911 1996), affacciato sulla via principale di Villa Fastiggi, un tempo San Pietro in Calibano. Nella grande casa di Villa Fastiggi abitavano i miei nonni Giannina e Geppino Giannoni, e le famiglie delle loro tre figlie. Il negozio, aperto da mia nonna, si trovava sotto l’abitazione e la nostra vita si svolgeva quasi più lì che in casa, continua Luca: per esempio, il pranzo della vigilia di Natale, quando il lavoro teneva tutti impegnati fino a tardi, si apparecchiava nel retrobottega, e intorno alla tavola si radunava tutta la famiglia. A capotavola, naturalmente, c’era mio nonno, che da autentico patriarca distribuiva a tutti noi nipoti la “bustina” con

il regalo di Natale; portata principale del pranzo era l’immancabile stoccafisso, cui si aggiungeva il coniglio per accontentare anche i “miscredenti” (siamo negli anni Settanta, ed erano ancora molto accesi i contrasti politici tra i “rossi” e i “reazionari”, come avrebbe detto Guareschi). Il racconto di Luca Pieri si intreccia con le parole di sua madre Francesca e delle sue so-

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Pesaro, Villa Fastiggi, 1925 circa. Santa Baldelli Basili (seconda da sinistra), con le figlie Giannina (la prima a sinistra), Guerrina (terza da sinistra) e Giuseppina detta Gina (la prima a destra) (raccolta Francesca, Gabriella e Marisa Giannoni, Pesaro)


relle Marisa e Gabriella, figlie di Giannina: tutte e tre, infatti, collaborarono all’attività di famiglia fino al 1993, anno in cui dopo quasi quarant’anni di onorato servizio le Confezioni Gianna si congedarono dalla clientela. Giannina Basili in Giannoni, detta Gianna, apre il negozio di Villa Fastiggi verso la metà degli anni Cinquanta. Tornata a Pesaro nel 1943, dopo undici anni trascorsi a Roma al seguito del marito, all’epoca impiegato come capocantiere in diverse località del Lazio, Giannina mette a frutto l’esperienza maturata nella capitale, dove si era specializzata nelle riparazioni agli abiti per le famiglie dei palazzi presso i quali lavorava come portinaia. A quel tempo un po’ tutte sapevamo cucire e rammendare, commenta Marisa, la maggiore delle sorelle Giannoni: mia zia Gina (sorella di Gianna) lavorava da sarta, e mia madre da giovane aveva lavorato anche per Scrocco… io stessa per un po’ ho collaborato con la fabbrica Scrocco, cucivo i cappelli fatti con la treccia di paglia. Anche se il nostro era soprattutto un negozio di tessuti e confezioni, fino a tutti gli anni Sessanta ci occupavamo delle riparazioni, e addirittura della realizzazione degli abiti. Servivamo quasi tutte le sarte di Villa Fastiggi, e all’epoca non erano poche, aggiunge Gabriella, che ha imparato i rudimenti dell’arte del taglio e cucito presso Alba Scatassa (prima di trasferire la propria attività nell’atelier di via Battelli, alle porte del centro cittadino, Alba Scatassa esercitò l’attività di sarta nella natia

Villa Fastiggi); oltre all’Argentina Lombardini e a sua sorella Piera, che avevano il laboratorio proprio di fronte al nostro negozio, tra i nostri clienti ricordo Berta Fattori, Cleofe Cassiani, e la sartoria per uomo di Filiberto Francesconi, dove lavoravano molte ragazze della zona, continua Francesca. Dagli anni Settanta del ‘900 il negozio, adeguandosi alle esigenze del mercato, potenzia il settore della vendita di confezioni riducendo lo spazio dedicato ai tessuti. Per gli abiti prêt-àporter ci si rifornisce nei magazzini all’ingrosso, a Pesaro ma anche fuori provincia, tra i marchi più venduti c’è la Lebole di Arezzo: da bambino sono andato qualche volta in Toscana a fare il campionario con la nonna, accompagnati dal nonno, riprende Luca Pieri. Gli acquisti si facevano anche dai grossisti di Pesaro, erano quasi tutti in centro; i negozianti poi potevano contare anche su una sezione riservata a loro nel mercato del martedì… per me quelle giornate

Pesaro, Villa Fastiggi, anni Cinquanta del ‘900. Gianna Basili Giannoni fotografata dietro al bancone del suo negozio di tessuti. Nella pagina seguente, in alto: Pesaro, Villa Fastiggi, primi anni Trenta del ‘900. Geppino Giannoni (1909 - 2001) e Giannina Basili fotografati in occasione del loro matrimonio (raccolta Francesca, Gabriella e Marisa Giannoni, Pesaro)

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erano segnate dal rito del cappuccino di metà mattina. Pur continuando il suo lavoro nel settore edile (tornato a Pesaro, Geppino Giannoni fu capocantiere per importanti imprese di costruzioni cittadine, tra cui le ditte Pierangeli & Cangiotti e Morici), il marito di Gianna non trascurava di fare la sua parte nell’attività della moglie: mi piace ricordare qui, insieme con mia nonna, anche la figura di mio nonno, conclude Pieri, è grazie a lui che mi sono avvicinato alla politica, grazie ai lunghi discorsi e ai momenti trascorsi insieme in quel retrobottega, che per tutti noi della famiglia davvero è stato una sorta di focolare. (Testimonianze raccolte tra il Luglio e il Novembre 2009)

Pesaro, Villa Fastiggi, primi anni Quaranta del ‘900. Questa fotografia, proveniente dalla Biblioteca-Archivio “V. Bobbato” di Pesaro, è stata scattata dietro la casa della famiglia Giannoni, a Villa Fastiggi, nella zona detta le Grotte. Pubblicata per la prima volta sul volume Da San Pietro in Calibano a Pesaro, una storia lunga un secolo (1992), l’immagine ritrae un gruppo di donne che cuciono le divise per il Regio Esercito. Tra loro, seduta alla prima macchina da cucire da destra, anche Giannina Basili Giannoni; al suo fianco la sorella Giuseppina (Gina) Basili e dietro di lei, in piedi, Santa Baldelli, loro madre. Nell’immagine sono presenti anche due delle figlie di Giannina: Marisa (la bimba in piedi a destra) e Francesca (la bimba più piccola, in primo piano). Le divise arrivavano già tagliate, aggiunge Marisa Giannoni, a noi spettava il compito di confezionarle... nonostante si fosse in tempo di guerra, era bello ritrovarsi tutti insieme, con i bambini che giocavano.

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Ginestreto

Ginestreto (Pesaro), primi del ‘900. Il Borgo (cartolina, ed. Vittorio Stein, Venezia; Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci)


Un racconto a tre voci

Come Candelara e altri del circondario, il Comune di Ginestreto9 fu soppresso e aggregato a Pesaro nel 1929. Progressivamente spopolatosi nel corso del ‘900, il castello di Ginestreto rimase però fino agli anni precedenti la II guerra mondiale un centro assai vivace: due osterie, falegnami, fabbri, calzolai e ciabattini animavano il paese intorno alla splendida Villa Montani, ancor oggi conosciuta come la Villa del Generale10. Non mancavano alcune sarte, che ricordiamo grazie alla puntualissima memoria di Elvezia Baronciani Zaffini, Piera Zaffini Corsini e di Rina Corsini Terenzi. Nel borgo abitava mia zia Agnese Braglia, dice Rina, soprattutto cuciva abiti femminili, ma se capitava faceva anche qualcosa da uomo; nel dopoguerra ricordo la Edda Bardeggia, anche lei era molto brava. A me Agnese ha cucito l’abito della Prima Comunione, ricorda Elvezia, mentre l’abito da sposa me lo ha confezionato la Irma Giangolini Marinucci, che abitava nella valle11… suo figlio Sergio Marinucci poi è diventato sarto da uomo. Sarti da uomo all’epoca [anni Trenta del ‘900] non ce n’erano, in paese: per cucire il tailleur da sposa la Pina [Giuseppina Baronciani Corsini, cugina di Elvezia e cognata di Rina] è andata da un sarto di Pesaro. Mi ricordo che un sarto c’era a Villa Betti, nel dopoguerra, interviene Piera, e un altro a Sant’Angelo in Lizzola, lo chiamavano Ronzani12. Nonostante l’antica rivalità di campanile, dal

racconto delle nostre testimoni emergono forti i legami tra i due paesi confinanti: le stoffe si acquistavano a Pesaro o a Sant’Angelo, dalla Iole Poderi Giovagnoli; per la merceria sempre a Sant’Angelo c’era Garattoni, oppure l’Angelina Gabucci, da lei compravamo i fili da ricamo. Molte donne del paese, cucivano per il Distretto militare, aggiunge ancora Elvezia, sottolineando che il territorio di Ginestreto era piuttosto esteso, arrivava fino a Villa Betti e, verso Pesaro, fino alla Querciabella13, quindi il lavoro non mancava. Quasi tutte le ragazze imparavano a cucire e a ricamare dalle Maestre Pie dell’Addolorata14, e molte di noi cucivano per casa: a quei tempi si faceva in casa anche la biancheria, quella più fine era ricamata. (Testimonianze raccolte tra l’Agosto e il Novembre 2009)

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Ginestreto, anni Quaranta del ‘900. Elvezia Baronciani indossa un abito realizzato da Irma Giangolini Marinucci (raccolta Elvezia Baronciani Zaffini, Ginestreto - Pesaro)


Sopra: Ginestreto, anni Cinquanta del ‘900. Il matrimonio di Rina Corsini e Antonio Terenzi; la sposa indossa un abito della Sartoria Anna Maria Montagnoli di Pesaro (raccolta Rina Corsini Terenzi, Pesaro). Sotto, Ginestreto, anni Trenta del ‘900. Giuseppina Baronciani indossa un abito realizzato da Irma Giangolini Marinucci (raccolta Raffaella Corsini Ortolani, Pesaro)

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Luisa Talevi e la tessitura di Candelara

Attiva fino a pochi anni fa, Luisa Talevi è una delle poche artigiane ad aver continuato la tradizione della tessitura a mano di Candelara e Novilara, mantenuta viva per tutto il ‘900 dalle Pie Artigiane Cristiane di Novilara e Candelara. L’iniziativa, assunta sin dal 1929 dall’abate Terenzio Cecchini di Novilara, si è successivamente sviluppata anche nella vicina Candelara grazie all’opera del parroco monsignor Nicola Alegi, che si attivò per offrire una formazione professionale alle ragazze in cerca di occupazione negli anni del dopoguerra; l’attività ricevette ulteriore slancio dall’apporto della professoressa Egizia Bazzigaluppi Bargossi15. Tra gli apprezzatissimi prodotti della tessitura di Novilara e Candelara ricordiamo i tappeti in lana e le tele di canapa e lino, oltre ai ricami eseguiti con diverse tecniche; diminuita col passare degli anni, l’attività del sodalizio si interruppe definitivamente alla morte della professoressa Bargossi e dei due parroci. (Notizie raccolte da Martina Giorgi nell’Aprile 2008)

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Candelara (Pesaro), anni Ottanta del ‘900. Luisa Talevi al telaio (raccolta Famiglia Giorgi, Candelara, Pesaro)


Sant’Angelo in Lizzola

Sant’Angelo in Lizzola, 1940 (cartolina, Ediz. Artistica Timo Garattoni, S. Angelo in Lizzola, Pesaro, 1940 - XVIII; Archivio Diocesano di Pesaro, Fondo Giovanni Gabucci)


Leonella Giovannini e Anna Costantini Donati

Nel Borgo, nel castello: a Sant’Angelo in Lizzola, antico feudo dei Mamiani, che con i Perticari hanno lasciato su questo piccolo centro delle colline pesaresi un segno forte di arte e di cultura, è ancora ben presente la distinzione tra dentro e fuori le mura. Con Leonella Giovannini (soprannome di famiglia: Mistrà), e Anna Costantini Donati, originaria di Monte Santa Maria (Comune di Monteciccardo), ma santangiolese per matrimonio ormai da molti anni, abbiamo ripercorso in un pomeriggio d’estate quasi un secolo di storia, dipanando il filo del lavoro di sarte, sarti e merciai. Provengo da una famiglia della Serra16, esordisce Leonella: quand’ero ragazza, se eri un uomo facevi il calzolaio, se eri donna la sarta… e così i miei genitori mi hanno mandato a imparare il mestiere da una sarta del paese. Nel 1963 ho iniziato l’attività in proprio, dopo aver frequentato per qualche mese il corso di taglio della signora Moroni. Ho sempre lavorato molto, commenta Leonella, in certi periodi mi sono trovata a dover consegnare quattro abiti da sposa in un mese, ed erano abiti molto elaborati… i clienti? Perlopiù non si trattava di santangiolesi, soprattutto provenivano da Cattolica, Urbino, Pesaro, poi c’erano anche alcuni montecchiesi. Quando ho iniziato, a Sant’Angelo c’erano ancora parecchie sarte, aggiunge Leonella: ricordo la Giulia Tucchi, sempre qui in via Branca17, cuciva anche da

uomo, fuori dal paese, nella Serra, c’era la Teresa d’Puraccén (Teresa Foschi), che lavorava già prima della guerra, e poi la Teresa d’Niso (Teresa Iacchini Cermaria). La Teresa d’Niso aveva molte sorelle, e tutte cucivano. Nel castello poi c’era anche un sarto da uomo, Ronzani (Antonio Salvatori), che era molto rinomato.

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Pesaro, 1963. Foto di gruppo per le allieve della Scuola di taglio di Eva Tonucci Moroni: Leonella Giovannini è la prima a sinistra (raccolta Leonella Giovannini, Sant’Angelo in Lizzola


Prima della guerra, negli anni Trenta, in paese lavorava anche la Zaira Lenzoletti, prosegue Anna Costantini Donati; nel borgo poi, nella piazzetta del forno, c’era la Giulia Giunta, che aveva diverse lavoranti: per qualche tempo, dopo l’apprendistato a Pesaro, da Ida Sanchioni, anch’io ho collaborato con lei prima di farmi una clientela. E a Monte Santa Maria? Beh, il paese era piccolo, commenta Anna, però ancora alla fine degli anni Trenta dava lavoro a due sarte, la Clelia Tornati e la Rosina Baldelli, sorella del parroco. A Ca’ Mainardi18, invece, c’era la Giuseppina Gramolini, che serviva tutta quella zona. Stoffe, fili, bottoni: in paese c’era tutto il necessario. Per gli accessori più particolari si frugava nell’antro dell’Angelina Gabucci19, su nella piazza del castello, anche se il vero punto di riferimento per gli acquisti era l’emporio Garattoni, nella piazza del borgo, che riforniva il paese dai primi del ‘900. Nel dopoguerra sono nati anche diversi negozi di stoffe e biancheria, per esempio ricordo la Nella Giampaoli, e il negozio di Cafiero Giampaoli, che oltre a essere

orologiaio vendeva macchine da cucire ed elettrodomestici, continua Anna; in quegli stessi anni sono arrivate anche le confezioni, conclude Leonella, oltre a Rina Crescentini c’era anche Pietro Salucci, che vendeva vestiti e biancheria. Non ci stanchiamo di sottolineare che questo lavoro non ha (non potrebbe avere) pretesa di completezza; fedeli alla regola di segnalare tutti gli artigiani dei quali ci è stato dato anche un solo cenno, aggiungiamo però, poco prima di andare in stampa, il nome di Giuseppina Gambini (Peppa), sarta per uomo come la sorella Emilia. Anche mio zio, il figlio più piccolo di Giuseppina, è diventato sarto, continuando la tradizione di famiglia aggiunge Franca Gambini, che ringraziamo per la segnalazione. (Testimonianze raccolte tra l’Agosto e il Novembre 2009)

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Sopra: Sant’Angelo in Lizzola, anni Cinquanta del ‘900. Maria Donati e Umberto Roberti nel giorno del loro matrimonio; la sposa indossa un abito realizzato da Anna Costantini Donati (raccolta Anna Costantini Donati, Sant’Angelo in Lizzola); sotto: Sant’Angelo in Lizzola, anni Cinquanta del ‘900. Cafiero Giampaoli nel suo negozio insieme con la figlia Annamaria (raccolta Gabriella Giampaoli, Pesaro). Nella pagina precedente: due abiti da sposa realizzati da Leonella Giovannini. Sopra: anni Settanta del ‘900; sotto: anni Settanta - Ottanta del ‘900 (raccolta Leonella Giovannini, Sant’Angelo in Lizzola)

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Montecchio (Sant’Angelo in Lizzola)

Montecchio - Sant’Angelo in Lizzola (Pesaro e Urbino), anni Cinquanta del ‘900. Cartolina datata 8 Agosto 1959 (ed. Ballerini Duilio, Montecchio; fotografia Q. Candiotti, San Giovanni in Marignano; raccolta Vinicio Olivieri, Montecchio - Sant’Angelo in Lizzola)


Pierino Longhi

E pensare che avrei voluto fare il falegname…: in realtà, dopo una vita trascorsa tra aghi, fili e stoffe, Pierino Longhi è oggi, per tutti, il sarto di Montecchio. Montelabbatese dell’Arena, la zona attraversata dal Foglia divisa tra Montelabbate e Montecchio (Sant’Angelo in Lizzola), Pierino Longhi (classe 1936) ha vestito in oltre quarant’anni di carriera industriali, professionisti, ufficiali, provenienti dalla Valle del Foglia ma anche e soprattutto da Pesaro. Come molti giovani dell’entroterra anche Pierino Longhi, dopo un periodo di apprendistato nel proprio paese, con il sarto Carlo Donzelli di Montelabbate, si confronta con le sartorie della città frequentando il laboratorio di Sebastiano Buttafarro. Qualcosina sapevo già fare quando ho cominciato da Donzelli: mia madre, Marietta Tarini, era sarta, e anche se all’inizio il mestiere non mi piaceva, ho imparato da lei a dare qualche punto. Dopo due-tre anni da Donzelli sono entrato da Buttafarro, in via Zongo. Era il 1953, e lì sono rimasto un paio d’anni. Nel Giugno del 1955 mi sono messo in proprio, dopo aver seguito un corso di taglio a Roma, con il professor Franco Simonelli. Il primo laboratorio era in via Pantanelli, poi mio padre ha comprato una casa a Montecchio, e così ci siamo trasferiti qui, in via Roma numero 8. All’epoca via Roma era pochissimo abitata, commenta Longhi, e la nostra è stata una delle primissime case20. E così, in un

paese che dopo la distruzione della guerra21 si stava rapidamente espandendo, avviandosi a diventare il cuore della Valle del Foglia, tra i primi mobilifici e le industrie del legno, Pierino Longhi pone le basi della propria attività. Quando ho cominciato, un completo da uomo

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Montecchio, 1961. Pierino Longhi in sartoria; in piedi alle spalle del sarto: sua madre Marietta Tarini (prima a sinistra) e Maria Mattei; sedute: con l’abito a righe, Franca Gambini, dal 1961 moglie del sarto e, con l’abito a scacchi, Luisa Longhi, cugina di Pierino


costava intorno alle 5.000 lire (io ero un po’ più caro, perché i miei colleghi chiedevano in media 4.500 lire). La clientela si è formata nel giro di poco tempo, grazie al passaparola. In quel periodo sono partito per il militare, ma la sartoria non si è fermata: quando tornavo in licenza tagliavo i pezzi degli abiti, e mia madre e le lavoranti della sartoria, tra le quali c’era anche Carla Grassetti, portavano avanti il lavoro. Non avrei mai immaginato che nella mia carriera sarei arrivato a cucire dei vestiti di puro cashmere, oppure di lino irlandese osserva ancora Longhi; negli anni Settanta, come tutti, abbiamo risentito della grande diffusione della moda pronta, però abbiamo fatto una scelta in favore della qualità, che ci ha ripagato: la

sartoria Pierino Longhi ha infatti continuato l’attività fino al 1995, e almeno fino a tutti gli anni Ottanta con ritmi che solo la malattia ha imposto al sarto di rallentare. Nel 1968 ho subito l’asportazione di un rene, e naturalmente il medico mi ha consigliato di ridurre gli impegni… per un po’ ci ho provato, ma quello del sarto è un mestiere che non conosce orari: ho sempre lavorato fino al sabato pomeriggio, la domenica mattina consegnavo, e il pomeriggio preparavo il bancone per il lunedì. Negli anni Novanta, con la crisi del settore mobiliero, le richieste hanno cominciato a calare, e nel 1995 ho deciso di cessare l’attività. (Testimonianza raccolta nell’Ottobre 2009)

Montecchio, 1961. Foto di gruppo per Pierino Longhi e le sue lavoranti; da sinistra: Luisa Longhi, Maria Mattei, Franca Gambini

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A sinistra, sopra: Montecchio, 1 Marzo 1965. Piero Longhi nel giorno delle nozze con Franca Gambini. La coppia è fotografata insieme con i maestri del sarto: al braccio della sposa, Sebastiano Buttafarro; al suo fianco Carlo Donzelli e, al braccio dello sposo, Franco Simonelli; sotto: Casale Monferrato, 11 Febbraio 1959. Pierino Longhi durante il servizio militare nel 157° Reggimento fanteria “Genova” e, con la fisarmonica, Pino Cremante. Clarinettista autodidatta, Longhi è stato per lungo tempo primo clarinetto della Banda di Montelabbate, intitolata a Gioachino Rossini. Nel suo laboratorio, insieme con gli strumenti del mestiere e alla bicicletta utilizzata per recarsi a Pesaro ai tempi dell’apprendistato (cominciavo alle 7,30 e smettevo alle 19,30 di sera, e ho sempre fatto avanti e indietro in bicicletta!), il sarto ha creato un ‘angolo della musica’ dove troneggia un ritratto di Rossini ma, aggiunge con la passione autentica dei bandisti, a me la musica è sempre piaciuta tutta, dal respiro ineguagliabile del repertorio classico, Bellini, Puccini, Verdi, fino al jazz, e al liscio di Casadei (vedi pagina successiva). Sotto a destra: Montecchio, 2009. Pierino Longhi nei locali della sartoria (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta di Pierino Longhi, Montecchio - Sant’Angelo in Lizzola)

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Sopra: Montecchio - Sant’Angelo in Lizzola, anni Quaranta - Cinquanta del ‘900. A sinistra: Raniero “Fausto” Bezziccheri e le lavoranti della sua sartoria (raccolta Franco Bezziccheri, Montecchio); a destra: sartoria Marina Mariani (raccolta Vinicio Olivieri, Montecchio). Sotto: Montelabbate, anni Quaranta del ‘900. Zina Bedetti al lavoro insieme con alcune sue colleghe (raccolta Zina Bedetti e Famiglia Bertuccioli, Montelabbate/Archivio Memoteca Pian del Bruscolo)

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Aldo Cerioni

Originario di Urbania, Aldo Cerioni ha lavorato e risiede a Montecchio (Sant’Angelo in Lizzola), dove vive dal 1965. Nelle sue parole, come in quelle di molti suoi colleghi della zona, il racconto del mestiere di sarto si staglia sullo sfondo del mutamento che, tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del ‘900, ha visto l’immediato entroterra di Pesaro passare da un’economia di tipo rurale a una sempre crescente industrializzazione. Ho cominciato a lavorare in Urbino a 10 anni, appena finita la quinta elementare, racconta Aldo: ero apprendista, all’inizio senza paga, presso una grande sartoria, quella di Gaetano Paolucci, che si trovava in corso Garibaldi, vicino all’albergo Italia, ed era una delle più quotate di Urbino; i primi compiti che ho avuto in sartoria erano quelli di passare i fili lenti (per segnare i contorni del modello da tagliare), e di fare le consegne, naturalmente a piedi! Negli ultimi tempi, poco prima che lasciassi Paolucci per trasferirmi qui a Montecchio, prosegue, la mia paga era di circa mille lire al giorno. A Montecchio, che all’epoca era ancora un piccolo nucleo di case, ho aperto il mio laboratorio: molta parte dell’attività era legata agli abiti da sposo, i nostri clienti venivano dai paesi qui intorno, oltre che da Montecchio anche dal Gallo di Petriano, da Tavullia… ricordo che un

completo da sposo negli anni Settanta costava intorno alle 10.000 lire. Per gli strumenti, i fili e gli articoli di merceria due volte l’anno passava un rappresentante: per esempio, le forbici all’inizio le compravamo da una grossa ditta di Torino, le Fabbriche riunite, poi da Cantoni di Bologna, per i fili c’era invece Begni, di Brescia. Negli anni Novanta dalla sartoria siamo passati al laboratorio di confezioni conto terzi: l’abito su misura andava sempre meno, così abbiamo iniziato a realizzare capi per ditte pesaresi. La nostra specialità erano le giacche e i pantaloni, da donna e da uomo. (Testimonianza raccolta tra l’Agosto e il Novembre 2009)

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Montecchio, anni Settanta del ‘900. Aldo Cerioni nel suo laboratorio (raccolta Aldo Cerioni, Montecchio - Sant’Angelo in Lizzola)


Colbordolo

Luigia Damiani, sarta in Talacchio Luigia Damiani nasce a Talacchio di Colbordolo il 2 Novembre del 1914. Non aveva ancora vent’anni quando iniziò a frequentare come apprendista la sartoria della Bolognese, una delle sarte più rinomate di Pesaro. E’ rimasta a lavorare dalla Bolognese fino al 1940, tornando successivamente a Talacchio, dove viveva la sua famiglia, per avviare l’attività in proprio. Ha lavorato per più di cinquant’anni e nel suo laboratorio sono andate tantissime ragazze per imparare il mestiere: Gina, Augusta, Mariolina, Doriana, Adriana, Clara, Anna, Lola, Pina, Filomena, Giuliana, Maria... (notizie raccolte da Anna Damiani Tontardini e Sandro Tontardini nel Maggio 2008)

Talacchio, 1941. Luigia Damiani seduta (in primo piano a sinistra con il vestito scuro), insieme con alcune sue allieve e alcuni parenti (raccolta Anna Damiani Tontardini), Morciola - Colbordolo


Rino Galli Montefabbri di Colbordolo

Il mestiere del sarto, bisogna provarlo per credere Rino Galli_2009

Più che un sarto, Rino Galli da Montefabbri di Colbordolo è un’istituzione. Nato nel 1932, Rino ha dedicato la vita al suo paese, dove dal 1954 fino agli anni Novanta del ‘900, ha tagliato e cucito abiti da uomo e da bambino, oltre a divise per tranvieri e bandisti, aiutato dalla moglie, l’infaticabile signora Rina Gambarara. Mia madre Rosa faceva la sarta, esordisce Rino, la mia sorella maggiore (Rina anche lei!) lavora ancora come sarta da uomo: cos’altro potevo fare, io, se non imparare a cucire? A pensarci bene, poi, forse anche mia nonna era sarta… Insomma, ho preso l’ago in mano a tredici anni, e dopo aver lavorato un po’ con mia sorella sono andato a Pesaro: ho fatto un anno da Giuseppe Tebaldi, sulla montatina del Nuovo Fiore22 (via Barignani), e ho finito l’apprendistato da Lamberti, che all’epoca (era il 1953) aveva la sartoria in piazza Lazzarini, sul Trebbio. Ricordo che in quel periodo l’unico divertimento, dopo una settimana di lavoro intenso, era il cinema: le nostre finanze non ci consentivano che dei posti in piccionaia al Duse23, in via Petrucci, e con 30 lire vedevamo tre spettacoli, quello delle 15,

quello delle 17 e a volte anche quello dopocena... Spesso veniva in sartoria anche Console Costantini, che all’epoca collaborava con il sarto Farina, e sabato e domenica lavorava con noi per Lamberti. Nel 1959, quando ci siamo sposati, la Sartotecnica, che era l’azienda dove mio marito si riforniva, ci ha invitato a vedere la sede della

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Montefabbri, Colbordolo, estate 2009. Rino Galli e la moglie Rina Gambarara davanti alla sartoria, in via delle Mura (fotografia Bruno Olivi)


ditta a Milano…24, interviene Rina, e così anche il nostro viaggio di nozze è stato all’insegna dell’arte del sarto! Due anni prima, nel 1957, la Sartotecnica aveva assegnato a Rino Galli il “Diploma d’onore”, per i brillanti risultati ottenuti nei primi anni di attività della sartoria. Tuttora gli strumenti acquistati da Rino ai suoi esordi fanno bella mostra di sé in una delle stanze della casa appollaiata sulle mura di Montefabbri: un’intera collezione di ferri da stiro (il più grosso pesa cinque chili e duecento, precisa il sarto), le fustelle per le asole, di diverse misure, i ditali, le grosse forbici (mai visto un arrotino, le affilavo da solo) e, infine, el bugatt, il manichino, dall’aspetto consunto ma ancora perfettamente utilizzabile. C’è anche una scure della Wehrmacht, eredità della II guerra mondiale: la utilizzavo per battere sulle fustelle per le asole, era eccezionale, prosegue Rino, mentre i modelli per giacche e pantaloni, occhieggiano appesi in file ordinate alle pareti. Sempre in tema di “ferri del mestiere”, Rino ricorda che sua madre Rosa, sarta per donna, utilizzava per prendere le misure una serie di cordellini annodati invece del classico metro a nastro: per esempio, per stabilire la lunghezza di una gonna, si posizionava il cordellino al punto vita, lo si faceva scendere verso terra e si faceva un nodo in corrispondenza della misura desiderata. Ogni cliente aveva il suo ‘set’ di cordellini, per le sottane, il corpetto, le maniche e via dicendo. La mia giornata iniziava alle tre di notte, spesso non lasciavamo il tavolo da lavoro neppure per mangiare, per non perdere tempo. Come usava nei paesi anche da noi facevamo le ve-

glie, dopocena, ma mentre gli altri parlavano e raccontavano le storie e i fatti del giorno noi eravamo sempre al lavoro, fino a tardi. Il lavoro è sempre stato molto impegnativo, stressante, anche perché contemporaneamente all’attività di sarto negli anni Settanta sono stato a lungo impegnato come amministratore comunale, prima come Assessore alle finanze poi come Vicesindaco, ero in Giunta con Palmiro Ucchielli25. Anche nei panni di amministratore Rino ha espresso tutta la sua vitalità, promuovendo energicamente il restauro delle mura di cinta del suo paese26. A Palmiro abbiamo fatto il vestito per la Prima Comunione, sorride la signora Rina, e tra i nostri clienti

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abbiamo avuto, quand’era bambino, anche il dottor Patrizio Polisca, attuale medico del Papa, originario di Petriano. Dalle parole di Rino Galli emerge un insieme di usi del vestire che sembrano appartenere solo al tempo della memoria, ma che, a conti fatti, sono in realtà molto vicini: una volta i vestiti dovevano durare, se ne faceva uno ogni due-tre anni, oltre a quello per il matrimonio; in estate non era tanto diffuso il completo, usava farsi fare una giacca e poi due o tre paia di pantaloni, per i più agiati... i nostri clienti erano soprattutto persone della zona, la maggior parte erano contadini, e almeno fino a tutti gli anni Sessanta pagavano in estate, al tempo della battitura, quando anche loro riscuotevano. Per la fiera di Santa Marcellina, a Luglio, continua Rino, arrivavano a saldare il conto, e insieme con i soldi portavano un ciambellone. Era importante per loro e anche per noi, perché ci offrivano qualcosa. Capitava spesso, poi, che pagassero ‘in natura’, polli, uova, formaggi, c’erano più formaggi qui dentro che in un caseificio… una volta ci hanno persino pagato con 32 chili d’orzo per le galline. Però almeno eravamo sicuri di non morire di fame!

Dagli anni Settanta in poi, con l’affermarsi delle confezioni e la diminuzione della richiesta di abiti su misura, Rino Galli e sua moglie cominciano a realizzare divise maschili, prima per la Banda di Colbordolo, successivamente per gli autisti di autobus e per gli spazzini. Tra i loro clienti l’AMANUP (l’azienda di proprietà pubblica alla quale era affidato all’epoca il trasporto pubblico pesarese) e, in seguito, anche le principali autolinee private. La sartoria Galli forniva le divise complete di camicie e cravatte, che venivano acquistate già confezionate, riservandosi la realizzazione delle giacche e dei pantaloni (due paia per ogni divisa): una volta abbiamo stirato quasi trecento paia di pantaloni in due giorni, sembrava-

Sopra: Morciola di Colbordolo, 1952-’53. Un gruppo di musicanti della Banda di Colbordolo posa con la nuova divisa realizzata da Rino Galli. Nella foto si riconoscono, da sinistra: in prima fila Luigi Gambarara, Otello Camillini, Ferruccio Ferri; in seconda fila: Oreste Piermattei, Enzo Biagi, Carlo Moretti. Come ricorda Ferruccio Ferri, la divisa era grigio scuro, e piccava ma le gamb, cioè era di un tessuto ruvido e pungente (raccolta Ferruccio Ferri, Colbordolo; la fotografia è tratta dal volume La banda di Colbordolo, pubblicato nel 2003 dal Comune di Colbordolo, in occasione del centocinquantesimo anno dalla fondazione del corpo bandistico). Nella pagina precedente: Montefabbri, Colbordolo, 1960 circa. Rino Galli fotografato nel suo laboratorio (raccolta Famiglia Rino Galli, Montefabbri - Colbordolo)

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mo una catena di montaggio, appena stirati li stendevamo qui davanti casa, sui pali delle marughe [le acacie], ricorda ancora Rina, che insieme con il marito effettuava anche le consegne, a bordo di una stracarica Seicento. Quando ci vedevano, i tranvieri ci cedevano il passo… mi ricordo anche quella volta che abbiamo portato le divise per gli spazzini: era la prima divisa per loro, prima si vestivano un po’ come capitava, ed è stato un bello spettacolo quando hanno sfilato davanti al direttore: insomma, abbiamo faticato tanto ma abbiamo avuto anche delle belle soddisfazioni. Tra le ultime - in ordine di tempo - imprese di Rino si segnala, nel 2008, l’invio di 7.400 tagliandi (compilati e spediti con l’aiuto di una nutrita schiera di amici e parenti) a Il Resto

del Carlino, tagliandi che hanno consentito a Montefabbri di vincere il premio “Il Borgo dei sogni della provincia di Pesaro e Urbino”, indetto dal quotidiano. I 10.000 euro del premio sono serviti, insieme con i fondi dell’Amministrazione comunale, a restaurare la piazzetta del paese. Oggi Rino collabora con il circolo ARCI di Montefabbri, prosegue nell’attività di organizzatore delle feste paesane e, insieme con la moglie, dopo aver festeggiato con amici e clienti i cinquant’anni di matrimonio (il 18 Aprile 2009), accoglie i visitatori nel ‘suo’ piccolo borgo, raccontando con passione contagiosa le storie di questo paesino da fiaba affacciato sulle valli tra Pesaro e il Montefeltro. (Testimonianze raccolte tra l’Agosto e il Novembre 2009)

Montefabbri, Colbordolo, 2009 (fotografia Bruno Olivi - Colbordolo)

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Maria Luisa Gamboni Cappone di Colbordolo

Oltre cento gli abiti da sposa al suo attivo, tutti realizzati reinventando modelli di alta sartoria per adattarli alle esigenze e alle fantasie delle sue clienti: originaria del Montefeltro (mamma di Fermignano, babbo di Trasanni), Maria Luisa Gamboni lavora come sarta dal 1955, quando appena ragazzina entra come apprendista in una sartoria di Ribolla, in provincia di Grosseto. La famiglia Gamboni era emigrata in Maremma al seguito del padre di Maria, che come molti uomini della nostra provincia aveva trovato lavoro nella miniera di carbone di Ribolla, passata alla storia per l’esplosione di gas che nel 1954 causò la morte di 43 operai nella più grave tragedia mineraria italiana del dopoguerra. Tornata a Trasanni nel 1959, Maria Luisa si sposa nel 1961 con Italo Brocchi di Montefelcino, sarto per uomo tra i più noti di quella zona: l’impegno nella cura della famiglia e la collaborazione all’attività del marito assorbono tutte le sue energie; per molto tempo, ricorda Maria Luisa, i soli abiti da donna che ho realizzato sono stati quelli che facevo per noi di casa, per le mie figlie, come quelli della Prima Comunione, e per qualche parente. Però le mie figlie mi dicevano sempre: quando ci sposeremo vogliamo che il nostro abito da sposa sia realizzato dalla mamma… un vestito tira l’altro, le richieste aumentavano, e così, negli anni Ottanta, dopo tanto tempo, ho ripreso a lavorare

anche sui vestiti femminili, proprio con gli abiti da sposa e da cerimonia. Quanti ne ho fatti? Oh, povera me… di sicuro più di cento, avevo clienti fin da Fossombrone conclude Maria Luisa, mostrando orgogliosa l’album dove, a fianco di spose bianche e spumose come meringhe, campeggiano le immagini dei sontuosi costumi realizzati per una festa del suo paese. (Testimonianza raccolta tra il Settembre e il Novembre 2009)

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Ribolla (Grosseto), 1955 circa. Maria Luisa Gamboni indossa un suo modello (raccolta Maria Luisa Gamboni Brocchi, Cappone - Colbordolo)


Il mare d’inverno è un concetto che il pensiero non considera Enrico Ruggeri, Il mare d’inverno27

Marotta, anni Cinquanta del ‘900. Piazza Roma - viale Carducci (cartolina datata 31 Agosto 1959, ed. Antinucci Lucia, foto ed. Angeli - Terni; raccolta privata, Pesaro)


I calzoni del re Nazzareno Caraffa, sarto a Marotta

Marotta (Mondolfo), 1920. In un giorno che abiti da lavoro. Affacciandosi all’interno della ci piace immaginare grigio e ventoso, una di bottega, Nazzareno chiede Ma c’è sarti a Maquelle giornate dove il mare d’inverno è più rotta? Oddio, proprio sarti veri no, risponde il struggente, deviando dall’abituale percorso tra barbiere. Perdendosi poi nel racconto di quanMonterado (Ancona), suo paese d’origine, e do, da giovane, aveva riparato i pantaloni del Fano (Pesaro e Urbino), dove per affinare il me- re, Vittorio Emanuele II, ufficialmente di passtiere frequentava una sartoria, il ventunenne saggio a Marotta per una battuta di caccia; in Nazzareno Caraffa per una volta percorre sino realtà, pare, fedele alla sua fama di tombeur de in fondo via Vecchia Osteria, arrivando alla sta- femmes, attirato lì dalle grazie di una misteriozione. Marotta è ancora poco più di un villaggio sa signora30... di pescatori: l’osteria, la stazione ferroviaria… la caserma di finanza… alcune case28; grazie all’incremento dei commerci dovuto alla nuova stazione, inaugurata sul finire dell’800, e ai primi villeggianti attirati dalla bella spiaggia, il piccolo borgo cominciava a svilupparsi lungo il litorale, popolandosi nei mesi estivi di facoltosi signori, italiani e stranieri come el barbon, al secolo barone Alfonso De Kantuz Kubber, eccentrico proprietario di una grande villa dai vetri colorati, situata a Marotta di Fano29. Vicino alla stazione apre la sua vetrina la bottega di un barbiere, un vero e proprio factotum di paese, abilitato - se non alle professioni di chirurgo, botanico, spezial, veteriPesaro, 1961. Foto di gruppo per gli allievi del corso di taglio dell’Accademia SNOB. nario - alle riparazioni spicciole di Sandrino Caraffa è il primo in piedi a destra, in seconda fila. Il corso si svolgeva nei locali dell’Albergo Zongo, ricorda Caraffa, all’angolo tra la via omonima e via Branca (rare) palandrane e (più consueti) 207


Senza pensarci troppo, nel 1921 Nazzareno Caraffa decide di fermarsi a Marotta, e di aprire nell’allora piazza Fiume (oggi piazza Kennedy) la prima sartoria maschile del paese, in territorio appartenente al Comune di Mondolfo31. E’ a Sandrino Caraffa, figlio di Nazzareno e sarto egli stesso, che si deve la ricostruzione dell’incontro di suo padre con il barbiere, racconto che è ormai entrato a far parte della memoria collettiva di Marotta. Se le storie presenti in questo volume non escono dai confini del comune di Pesaro e dei suoi antichi castelli, facciamo un’eccezione per la storia della famiglia Caraffa, segnalataci da Sandrino con entusiasmo davvero inarrestabile. Mio padre non conosceva nessuno a Marotta, ma appena aperta la sartoria ha portato qui tutta la famiglia; girando per le campagne per procurarsi i clienti, ha anche trovato moglie. La sartoria ha subito preso piede, i primissimi clienti erano pescatori, contadini, e il fatto di essere il primo sarto di Marotta ha sicuramente aiutato mio padre… in poco tempo si sono aggiunti il signor Ricci, proprietario dell’osteria, Giulio Ghetti, il fornaio, il farmacista, il capostazione e tanti altri, compresi i turisti che dagli anni Trenta hanno cominciato a essere più numerosi. La clientela era prevalentemente maschile, ma c’erano anche parecchie signore affezionate ai tailleur e ai pantaloni, ricordo una signora di Perugia che si faceva realizzare dei pantaloni estivi di gabardine bianco, le piaceva che avessero una piega impeccabile, e così la faceva fissare con la righetta. Dal 1936 la nostra sartoria ha ospitato il primo

telefono pubblico, continua Caraffa; prima [dal 191432] era in Comune, e da noi è rimasto fino al 1979! Mio padre ha continuato a lavorare fino al 1975, già dagli anni Cinquanta anche mio fratello Tonino, che si era perfezionato con Pasqualini in Ancona, collaborava all’attività di famiglia, e io stesso ho lavorato in sartoria fino al 1964. Ma in realtà tutti noi abbiamo iniziato sin da piccoli, siamo nati in sartoria: mi ricordo che il primo giorno di scuola, appena rientrato, subito dopo pranzo mio padre mi mise a fare i soprammani. Anche se in seguito Sandrino si è dedicato alla riparazione e alla vendita di macchine per la maglieria, aprendo negli anni Sessanta anche un laboratorio di confezioni conto terzi, non

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sembra aver dimenticato le ore trascorse al bancone della sartoria: fare il sarto, riprende appassionatamente, significa dover plasmare la stoffa addosso a una persona, bisogna saper trattare i diversi tipi di tessuto, combinarli con i fili appropriati, saper utilizzare i vari punti a seconda delle loro funzioni. Per esempio, per il cavallo dei pantaloni, che deve essere particolarmente resistente, si usa un punto all’indietro, che dà una cucitura elastica, in alcune parti della giacca invece si deve stare attenti a che il punto sia invisibile, e così via. Per un abito completo occorrono almeno tre prove, per un cappotto due; per i pantaloni, mio padre misurava raramente, non parliamo poi dei vestiti da lavoro, all’inizio… La realizzazione di un abito prendeva in media tre giorni di lavoro, intendiamoci, si parla di giorni interi, dalle cinque a mezzanotte, non di giornate lavorative di otto ore… Ad aiutare Nazzareno, come quasi sempre, le donne di casa, la moglie Maria Serfilippi e la sorella Giuseppa Caraffa, alle quali erano affidate soprattutto asole e rifiniture. Come è avvenuto per altri suoi colleghi presenti in queste pagine, anche il racconto di Sandrino Caraffa evoca modalità di lavoro ormai desuete, che restituiscono un senso del vestire assai lontano dal nostro, fondato su un prêt-à-porter rapidamente sconfinato nell’usa-e-getta: all’inizio, quando i suoi clienti

erano soprattutto contadini o pescatori, mio padre lavorava a cottimo, specie in campagna; di solito si fermava presso le famiglie, e cuciva il guardaroba per tutti gli uomini di casa, diciamo dalla biancheria al vestito buono, che allora durava una vita, e anche oltre…. Quanto al pagamento, per vestire da capo a piedi una famiglia con quattro uomini, la tariffa era di 60/70 kg di grano, in più c’erano una serie di ‘benefit’, per esempio una certa quantità di strutto e lardo quando si ammazzava il maiale, una gallina a Pasqua, e il fieno per il cavallo.

Sopra: Marotta (Mondolfo), 1927. La famiglia Caraffa: Nazzareno Caraffa è in seconda fila, in piedi; alla sua destra (prima da sinistra per chi guarda la foto) c’è la moglie Maria Serfilippi: i due si erano sposati nel 1925. Al centro della foto Alessandro Caraffa (padre di Nazzareno) e la moglie Santamaria Barzetti. Nella pagina precedente: Marotta (Mondolfo), primi anni Cinquanta del ‘900. Sandrino Caraffa posa davanti alla vetrina della sartoria. Nella foto proietta la sua ombra l’insegna del telefono pubblico, dal 1936 al 1979 installato presso la sartoria Caraffa

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I marinai pagavano con il pesce ma anche in contanti (pochi, in verità!), perché grazie al commercio del pesce a loro accadeva di disporre di denaro liquido un po’ più frequentemente che ai contadini, legati alla tradizionale scadenza della battitura. Per molto tempo era mio nonno Alessandro che si occupava di riscuotere. Molti i nomi noti presenti nel Libro delle misure della Sartoria Caraffa: tra gli anni Cinquanta e i Settanta, per esempio, spiccano il celebre cronista sportivo Nando Martellini (1921 2004), che sin da piccolo era solito trascorrere le estati a Marotta, e Sergio Zavoli (1923), allora giovane giornalista, entrambi al seguito del Giro d’Italia: Martellini era figlio dell’autista del principe Barberini, che aveva molti terreni nella nostra zona e una villa a Marotta, aggiunge ancora Caraffa, e faceva sempre in modo di fissare a Marotta un “traguardo

volante” [posto di solito a metà tappa33], con lui spesso c’era anche Zavoli, tutti e due sono rimasti molto affezionati al nostro paese. Nazzareno Caraffa continuò a lavorare fino al 1975. Ancora oggi, nella casa di via Litoranea dove il sarto si era spostato nel dopoguerra, il figlio conserva gelosamente la squadra di legno per il taglio dei modelli fatta realizzare dal padre nel 1921, i ferri da stiro, le tavole per le misure, le forbici, insomma, gli strumenti che per una vita hanno accompagnato la famiglia. A conclusione della storia, ci piace ricordare insieme con Sandrino anche gli altri sarti che, dopo Nazzareno, hanno vestito Marotta: Virgilio Venturi, che prima di mettersi in proprio fu apprendista proprio nella Sartoria Caraffa; Renato Del Moro, Gianni Tinti, Mario Valentini e, infine, il signor Ricci. (Testimonianza raccolta tra l’Ottobre e il Novembre 2009)

Marotta (Mondolfo), 1938 - ’39. Nazzareno Caraffa con il figlio Tonino, in sartoria (tutte le immagini di queso capitolo provengono dalla raccolta di Sandrino Caraffa, Marotta - Mondolfo)

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1 Cfr. U. Maniscalco, 29 Agosto 1944, La Liberazione di Pesaro in Lo specchio della città, Settembre 1999 (da http://www.lospecchiodellacitta. it/cerca.asp?categoria=Home Page&id=1; 15 Ottobre 2009, ore 10.15). Su Carlo Betti, cfr. p. 176 2 Annibale Ninchi racconta…, Venezia 1946; pp. 261 - 265. Attore possente, Annibale Ninchi (1888 - 1967), frequentò la scuola di Luigi Rasi a Firenze, dietro incoraggiamento di Carducci. Fu primo attor giovane nella compagnia Stabile di Milano ed in quella dell’Argentina di Roma, con Irma Gramatica e Ruggeri. Dal 1914 fu direttore di compagnia e capocomico. Interprete di grande personalità e forza comunicativa grazie ai suoi mezzi fisici e vocali, si cimentò in un vasto repertorio, passando dai greci a Shakespeare, da Morselli (nel cui Glauco riscosse uno straordinario successo) a Shaw, da D’Annunzio (del quale fece vivere sulla scena memorabili personaggi) ad una serie di autori poco conosciuti. ...Fu applaudito interprete di Scipione l’Africano (1937) e, con Fellini, girò La dolce vita (1960) e Otto e mezzo (1963) (da http:// delteatro.it/dizionario_dello_spettacolo_del_900/n/ninchi.php; 20 Novembre 2008, ore 18.50). Il figlio di Annibale, Arnaldo Ninchi (1935), ha continuato la tradizione di famiglia. Sfollato a Monte Santa Maria (Monteciccardo), Annibale Ninchi raccontò quel periodo in due sapidi episodi della propria autobiografia Annibale Ninchi racconta... 3 Come si legge in Da San Pietro in Calibano a Pesaro, una storia lunga un secolo (Villa Verucchio 1992; p. 15), la Cooperativa di Consumo di San Pietro fu fondata tra il 1905 e il 1906. Marino Francesconi compare in una fotografia dei soci fondatori, riportata a pagina 17 dello stesso volume, al quale rimandiamo per tutte le notizie sulla storia di San Pietro in Calibano, divenuto nel secondo dopoguerra Villa Fastiggi. 4 Archicio Storico della Camera di Commercio di Pesaro, Schedario del Registro Ditte, cit.. 5 Il fazzoletto di tela grossa, di solito a quadrettoni blu e grigi con una sottile riga rossa, che serviva da rudimentale involucro, utilizzato generalmente dai contadini che si recavano al mercato. Gluppa = viluppo, involto (da M. Martinelli, Dizionario della lingua dialettale pesarese, Urbania 2005). 6 Frittelle di pasta sfoglia, ricoperte di zucchero. Con le castagnole sono uno dei dolci tipici del Carnevale pesarese; nelle loro innumerevoli varianti sono diffuse in tutta Italia. 7 L’armistizio di Cassibile (Siracusa), con il quale l’Italia cessava le ostilità contro gli Alleati, fu firmato segretamente il 3 Settembre del 1943, ma ebbe effetto dalla data del suo annuncio pubblico, avvenuto, com’è noto, cinque giorni dopo, l’8 Settembre 1943 (da http://www.anpi.it/militari/ index.htm; 1 Novembre 2009, ore 17.05). 8 Nato a Pesaro il 6 Agosto 1911, ucciso dai fascisti a Sant’Angelo in Vado (Pesaro e Urbino) il 2 Febbraio 1944, operaio fonditore, Medaglia d’Argento al Valor Militare alla memoria. Militante del Partito comunista (Pompilio Fastiggi, da http://www.anpi.it/uomini/fastiggi.htm; 7 Novembre 2009, ore 14.45). 9 Su Ginestreto cfr. L. Michelini Tocci, Castelli pesaresi sulla riva destra del Foglia, Pesaro 1973. Sui comuni soppressi e aggregati a Pesaro nel 1929, cfr. nota 51, p. 55 10 Il Generale Ajmone Cat marito della contessa Giuliana Raffa Spannocchi, proprietari dell’antica Villa Montani, ora sede della Fondazione Scavolini. 11 Indicazione riferita alla zona appena fuori dal paese di Ginestreto, verso Pesaro, dove si trovava la chiesetta di San Fabiano. 12 Per tutti i riferimenti a Sant’Angelo in Lizzola, cfr. le pagine seguenti. 13 Villa Betti, frazione di Monteciccardo; la Querciabella è invece la strada provinciale 145 Blilla, che collega Ginestreto a Candelara attraverso le colline. 14 Le Maestre Pie dell’Addolorata, presenti a Ginestreto dal 1872 e dal 1942 a Sant’Angelo in Lizzola (cfr. http://www.arcidiocesipesaro.it/index. php/comunita-religiose/53-elenco-comunita-femminili/239-istituto-maestre-pie-delladdolorata.html; 17 Novembre 2009, ore 15.25). 15 Egizia Bazzigaluppi fu tra l’altro allieva della Scuola Artistica Industriale fondata dalla marchesa Vittoria Toschi Mosca: Sappiamo infatti che nella scuola esisteva una sezione femminile, la quale nel 1903 era ammessa al solo “disegno di copia da stampe e da nature morte e aveva una frequenza di 24 allieve, tra le quali Egizia Bazzigaluppi, oggi [1941] titolare di disegno nella R. Scuola d’Avviamento in Pesaro e animatrice della nuova arte tessile della provincia” (T. Bignozzi, La regia scuola artistico - industriale “F. Mengaroni” di Pesaro, Firenze 1941, p. 11; la citazione è tratta da M. G. Ciardi Dupré Dal Poggetto, Osservazioni introduttive sul Museo Mosca nel contesto europeo, in Le Collezioni di Palazzo Mosca a Pesaro: tessuti e merletti, Modena 1989; p. 20). Ed è probabile - aggiunge Ciairdi Dupré Dal Poggetto - che fin da allora funzionassero i corsi “per la sartoria e il rammendo, pel ricamo e per la economia domestica che il Bignozzi ricorda esistenti nel 1922 e in quell’anno forniti di laboratori sufficientemente attrezzati” (ib).

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Località di Sant’Angelo, situata a pochi km dal paese, sulla strada provinciale n. 26. La via che dalla piazzetta del Borgo immette sulla provinciale n. 26, scendendo verso l’Apsella; in una casetta su questa via nacque l’illustre santangiolese Giovanni Branca (1571 - 1645), ingegnere e architetto, inventore di un prototipo di macchina a vapore. 18 L’attuale Villa Ugolini, località del Comune di Monteciccardo contigua a Villa Betti. 19 Angelina Gabucci (1877 - 1959), sorella di don Giovanni Gabucci, col quale ha trascorso la vita, è uno dei personaggi più vivi nella memoria dei santangiolesi. Nella sua casa di fronte alla Collegiata di San Michele Arcangelo, a fianco di Palazzo Mamiani, Angelina rivendeva nastri, pizzi, forcine, bottoni,fili da ricamo, stecche di balena… insomma, tutto l’armamentario di cui le sarte del paese necessitavano, oggetti quasi introvabili, spesso risalenti al secolo precedente, conservati - a detta di tutti - in un ordine difficilmente decifrabile, nel quale però l’anziana signora si trovava perfettamente a suo agio. 20 Via Roma è la strada che dal centro di Montecchio (frazione del Comune di Sant’Angelo in Lizzola) va verso Urbino, ed è stata aperta nel secondo dopoguerra. 21 Il 21 Gennaio 1944 lo scoppio di un deposito di mine, avvenuto verso le 21,30, distrusse quasi completamente Montecchio, causando trenta morti e un centinaio di feriti. Nell’estate del 1944, con il passaggio del fronte, i resti delle case di Montecchio furono rase al suolo per facilitare le operazioni di ritirata dell’esercito tedesco. Per approfondimenti su Montecchio cfr. http://www.montecchioracconta.pu.it, o C. Ortolani, Un paese lungo la strada, Sant’Angelo in Lizzola 2009). 22 Il Cinema - Teatro “Nuovo Fiore”, inaugurato nel 1936, era posto all’interno di Palazzo Giordani, in fondo a via Zongo. Il cinema fu chiuso negli anni Novanta del ‘900, quando iniziarono i lavori di ristrutturazione del complesso (cfr. D. Trebbi - B. Ciampichetti, Pesaro, storia di una città, Pesaro 1984; p. 168). Dal Registro Ditte della Camera di Commercio di Pesaro e Urbino (cit.), ricordiamo qui che la Sartoria Giuseppe Tebaldi, in via Barignani 10, risulta attiva dal 1931 al 1965. 23 Il Cinema - Teatro “Duse”, in via Petrucci, fu inaugurato nel 1926, con una recita di Sei personaggi in cerca d’autore, di Luigi Pirandello (cfr. A. Brancati, Società e informazione a Pesaro tra il 1860 e il 1922, Pesaro 1984; p. 91). 24 Ditta di forniture per sarti tra le più importanti d’Italia, la Sartotecnica è ricordata dalle cronache anche per l’occupazione del 1975 da parte degli operai, durante la quale negli spazi della fabbrica venne messo in scena il Mistero buffo di Dario Fo (cfr. http://www.archivio.francarame. it/biografia3.html; 10 Ottobre 2009; ore 12.35). 25 Palmiro Ucchielli (1950), eletto Sindaco di Colbordolo nel 1977, Senatore tra il 1996 e il 1999 e, dal 1999 al Maggio 2009, Presidente della Provincia di Pesaro e Urbino. 26 Sulla storia di Montefabbri, cfr. L. Moretti, Montefabbri, Colbordolo 1999. 27 “Il mare d’inverno [1983] è dedicata a un lembo di spiaggia semideserto e immutabile di Marotta, paesino tra Fano e Senigallia, schiacciato fra il mare e la ferrovia dove i Ruggeri andavano per le vacanze” (M.Luzzatto Fegiz, Chi si ferma è perduto, la fuga infinita di Ruggeri, in Corriere della Sera, 14 Settembre 1994; da http://archiviostorico.corriere.it/1994/settembre/14/chi_ferma_perduto_fuga_infinita_co_0_94091410134. shtml; 31 Ottobre 2009, ore 17,30). 28 A. Ricci, Marotta, appunti di storia e di cronaca, Ancona 1948; p. 37. 29 Id., p. 38. 30 “Il 10 Novembre 1861 passò per la nuova ferrovia lungo Marotta il re Vittorio Emanuele II. (…) Verso le amene colline che fan cornice all’azzurro del mare si eleva un civettuolo edificio che si crede appartenesse un tempo a Vittorio Emanuele II. …La villa… non fu di proprietà del re, ma del commissario di P.S. Paolini di Mondolfo, addetto alla sua persona. Ospite della villa era, se le informazioni sono esatte, una certa Matilde Scattaiani, alla quale il re fece delle numerose visite. Antonio Piccioli ci raccontò che egli da ragazzetto abitava nella casa attigua alla villa e che un giorno per ordine della signora accompagnò alla stazione un signore vestito alla cacciatora, con la barba e due lunghi favoriti, che gli regalò poi due scudi d’argento. Meravigliato del ricco dono raccontò il fatto alla signora che gli disse: “Altro che due scudi ti poteva regalare. Guarda un po’ la faccia che è impressa nelle monete… Quello era il re!”; id., p. 36. 31 La località di Marotta è suddivisa tra i Comuni di Fano, Mondolfo e San Costanzo, suddivisione che nasce nel secolo XV, quando il confine distingueva le terre del Ducato d’Urbino da quelle del Governo di Fano, alle dipendenze dello Stato Pontificio (da http://www.lavalledelmetauro. 16 17

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org; 31 Ottobre 2009, ore 18). La riunificazione di Marotta è un tema che tuttora anima l’atmosfera della località, spesso definita, proprio a causa della divisione del suo territorio, la Berlino dell’Adriatico, e non si contano le iniziative che dal Dopoguerra hanno portato il problema all’attenzione degli amministratori di ordine e grado: lo stesso Caraffa fece parte di una delegazione di venti marottesi che nel Settembre del 1959, in una storica staffetta, percorsero a piedi il tragitto Marotta-Roma (più di 300 km) per chiedere al Presidente del consiglio l’autonomia della città. Tutta l’Italia parlò di questo fatto e dei 20 giovani che a piedi arrivarono a Roma (da http://www.malarupta.com/attualita/19592009-50-anni-dalla-staffetta-a-roma-per-marotta-unita.html; 1 Novembre 2009, ore 10.50). 32 Ricci, cit., p. 38. 33 Espediente con il quale gli organizzatori hanno pensato di rendere più movimentata la corsa dalle prime battute (Giro d’Italia, da http:// it.wikipedia.org/w/index.php?title=Giro_d%27Italia&oldid=27599648; 1 Novembre 2009, ore 9.17).

Frazionatore automatico (raccolta Pierino Longhi, Montecchio - Sant’Angelo in Lizzola)

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Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Piazza del Popolo, notturno; la fontana al centro di piazza del Popolo, eretta tra il 1588 e il 1593, ristrutturata tra il 1684 e il 1685 dallo scultore romano Lorenzo Ottoni e distrutta dai bombardamenti del 1944, sarĂ ricostruita solo nel 1960 (cartolina datata 1955, ediz. A.M.P., fotograďŹ a Alterocca, Terni; raccolta Cristina Ortolani, Pesaro)

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Storie di Sarti 1945 - 1970

Il vero signore porta un abito nuovo come se fosse usato e un abito usato come se fosse nuovo. (...) Per i suoi abiti, il vero signore rifiuta i tessuti vistosi. Niente quadrettoni per recarsi alla partita, né rigoni bianchi su fondo marrone per recarsi al cocktail. (...) Profuma leggermente alla lavanda i suoi fazzoletti, ma se costretto a far uso di brillantina, pretende che sia assolutamente inodore. Non porta gioielli; portasigarette e accendisigari né massicci né troppo vistosi. (...) La signora elegante non si lascia mai incantare: i complimenti delle amiche, le lusinghe della sarta lasciano il tempo che trovano; lei crede solo ai suoi occhi, cerca sempre di vedersi così com’è e non come le piacerebbe essere. (...) La vera signora non serve la Moda, chiede piuttosto alla moda di servir lei. Colette Rosselli_1960

Non ci si poteva sbagliare sul fatto che una donna vestisse o meno in sartoria. Il confezionismo attuale ha spesso una sua perfezione, ma la sartoria, lo sanno i pochi sopravvissuti, vestiva la persona e spesso riusciva a vestire anche la personalità. E’ questo un elogio che possiamo anche chiamare un requiem per una tradizione sommersa. Franca Valeri_2005


Pesaro, anni Quaranta - Cinquanta del ‘900. Un’immagine dall’album della Famiglia Perugini


Elso Perugini

Tra i sarti che, in una Pesaro ancora devastata dalla guerra, esercitano la loro attività nella zona del Borgo, in fondo a corso XI Settembre, c’è anche Elso Perugini (1924 - 1976), attivo dalla metà degli anni Quaranta fino al 1969. Pesarese del Porto, Elso Perugini è figlio di Carlo, noto in città come Bicicletta, marinaio e abilissimo costruttore di brigantini e bastimenti in miniatura. Dapprima apprendista presso Erasmo Pezzodipane, Elso apre la sua sartoria all’angolo tra corso XI Settembre e via della Pace poco prima del matrimonio con Bruna Battistelli, avvenuto nel 1948. Mia madre era filandaia e sarta, dice la figlia Daniela, fedele custode delle memorie famigliari, e dopo essersi sposata collaborò a tempo pieno con mio padre in laboratorio, aggiunge, ricordando del padre la meticolosità e l’amore per il lavoro. Mio padre era sarto da uomo, anche se cedeva ogni tanto alle richieste di realizzare capi per me, speciali, su mio disegno: alcuni li conservo ancora con commossa nostalgia, prosegue Daniela sfogliando le pagine degli album di famiglia, dove le immagini di una Pesaro che non c’è più si sovrappongono a quelle, rare e struggenti ma fortemente vitali nel loro bianco e nero un po’ confuso, che mostrano il sarto al lavoro nella sua bottega. Non nascondono, questi scatti, la difficoltà di riprendere il lavoro in una città distrutta; dagli sguardi traspare

l’attesa per un futuro nel quale sono riposte molte speranze. L’aria che respiravo nel laboratorio era verace e famigliare. Ricordo con affetto alcuni dei lavoranti della sartoria, in particolare Remo Pugliese che fin da piccola ho visto in casa; Remo mi accompagnava all’asilo e mi faceva scherzi: l’ho sempre considerato un fratello acquisito, a cui i miei genitori erano affezionati e di cui mi hanno sempre tessuto le lodi, conclude Daniela. (Testimonianza raccolta nel Maggio 2008)

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Pesaro, anni Quaranta - Cinquanta del ‘900. Elso Perugini al lavoro nella sua sartoria di corso XI Settembre


Pesaro, anni Quaranta - Cinquanta del ‘900. Alcune immagini della Sartoria Perugini; nella foto grande un giovanissimo Remo Pugliese (il bambino in seconda ďŹ la a sinistra). Nella pagina a ďŹ anco, sopra: Elso Perugini e sua moglie Bruna Battistelli; sotto: appassionato di moto e di lirica, Elso Perugini era anche un abile suonatore di mandolino

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Venezia, 1949. I sarti pesaresi in gita (altre fotograďŹ e scattate in quella occasione sono presenti alle pagine 170 e 239; tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta della Famiglia Perugini, Pesaro)

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Lidia Pensalfine

Lidia Pensalfine, nata a Pesaro nel 1925, vive da oltre sessant’anni nel quartiere del Porto, dove tutti l’apprezzano per la sua modestia e la sua gentilezza. A quattordici anni si avvicina all’arte sartoriale, nel laboratorio di Alba Capriolo, e dopo pochi anni comincia l’attività in proprio, affiancata inizialmente dalla sorella Maria. Grazie alla sua serietà e alla sua competenza, Lidia da subito si guadagna una clientela numerosa, che la segue fedelmente nel corso della sua lunga carriera.

Dopo la cessazione dell’attività, Lidia Pensalfine ha continuato a cucire per amici e parenti; una delle sue più recenti realizzazioni è di appena tre anni fa, quando ha confezionato uno splendido abito da sposa per la figlia della sua migliore amica. (Il ricordo di Gianfranco Rossi è dell’Ottobre 2009)

Pesaro, 1953 - 1954. Lidia Pensalfine al lavoro (raccolta Lidia e Renata Pensalfine, Pesaro)

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Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Teatro Rossini (cartolina datata 1955, Ediz. A.M.P., fotograďŹ a Alterocca, Terni; raccolta Cristina Ortolani, Pesaro)


Anna Maria Montagnoli

Pesarese del Borgo, formatasi nell’atelier di Giuseppina Francolini Magnelli, dove ha lavorato dal 1935 al 1940, Anna Maria Montagnoli si mette in proprio negli anni immediatamente seguenti alla II guerra mondiale, lavorando in casa, in via della Maternità, a pochi passi dal Conservatorio “G.Rossini”. Dopo qualche anno, nel 1951, Anna Maria Montagnoli si sposa e si trasferisce in via Sabbatini, dove la sartoria resterà fino al 1960, per approdare poi definitivamente nell’ampio appartamento di piazzale Albani, dietro il Teatro “G. Rossini”. A mia madre dicevo sempre che volevo essere una sarta, ma una sarta brava come quelle che vanno a Parigi! racconta la signora Anna Maria, elegantissima in seta blu, in un completo – naturalmente! – di sua mano; e per questo ho deciso di andare a perfezionarmi a Bologna, negli anni tra il 1941 e il 1942, frequentando la Scuola di taglio Ferri Bagnoli. Appena tornata a Pesaro ho cominciato a tagliare e cucire i miei vestiti da sola, quando camminavo per strada le persone mi chiedevano dove li avessi comprati, e così ho cominciato pian piano a farmi conoscere.

Ciò che mi piace ricordare è che molte clienti le ho vestite per quaranta-cinquant’anni, siamo cresciute insieme, continua la signora, si fidavano del mio gusto, addirittura a chi non abitava a Pesaro spedivo gli abiti finiti senza nemmeno fare una prova. Gli abiti da sposa erano il mio forte, ricorda Anna Maria Montagnoli, in tutta la mia vita ne avrò fatti più di duecento, tante volte lavoravamo anche di notte, per finire e consegnare in tempo.

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Pesaro, un recente ritratto di Anna Maria Montagnoli


Il laboratorio, attualmente trasformato in grande sala da pranzo-salotto, ospitava fino a 20 ragazze: accompagnandoci in quello che era il salottino di prova, la nipote acquisita Dorothy Willoughby, interior designer, ci fa notare i tavoloni consumati dall’uso, segnati a intervalli regolari dalla presenza delle lavoranti che vi appoggiavano i piedi. La zia aveva molti clienti anche da fuori, e un suo abito, indossato dalla moglie di un diplomatico, è persino arrivato a Londra, a un ricevimen-

to di corte della regina Elisabetta, aggiunge Dorothy, grande fan della zia, mostrandoci con orgoglio alcune vestine in cotone che la signora Anna Maria ha recentemente creato per i nipotini. Insomma, posso dire di essere soddisfatta di quello che ho fatto: ho lavorato tanto, troppo forse, ma sono contenta perché a me piaceva fare delle cose belle, conclude la signora Anna Maria. (Testimonianze raccolte nel Maggio 2008)

Pesaro, 16 Luglio 1960, Teatro “G. Rossini”. Défilé di Moda organizzato dalla Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato - Artigianato Provinciale di Pesaro. In queste pagine e nella pagina successiva: gli abiti di Anna Maria Montagnoli (raccolta Anna Maria Montagnoli, Pesaro) e l’elenco dei suoi modelli (raccolta Domenica Fabbri, Pesaro). I tessuti li prendevo a Milano, da Galtrucco, oppure a Bologna da Valli, dice la signora Anna Maria; mi piaceva molto giocare con i colori, specialmente con il double-face, anche se è una lavorazione abbastanza complicata



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Sopra, due modelli di Anna Maria Montagnoli nel corso di una delle sfilate organizzate dal Gruppo Sarti al Teatro Sperimentale “O. Giansanti” di Pesaro (1975); a sinistra: un modello del 1981, presentato in una sfilata a Roma (raccolta Anna Maria Montagnoli, Pesaro)

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Anni Cinquanta - Sessanta del ‘900. Un modello da sposa di Osvalda Verdolini Orfei

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Osvalda Verdolini Orfei

Orario 8,30 - 12,30 poi 14,30 - 18,30: mi piaceva imparare e lavorare. Le nostre maestre erano cugine e abitavano nello stesso stabile, a pochi portoni dalla nostra casa. Anconetana di origine, Osvalda Verdolini (1921 - 2006) si avvicina alla pratica della sartoria sin da bambina: in alcuni appunti ricorda la sua maestra, una certa signora Elvira. Negli stessi appunti è menzionata Margherita, che insegna l’arte del ricamo a Marcella (1925 – 2008), sorella minore di Osvalda e sua futura, insostituibile collaboratrice. Nel frattempo frequentavo al Dopolavoro ferroviario [Osvalda era figlia di un ferroviere] le lezioni di taglio, era una scuola che mi interessava molto. Ormai di confezione ne sapevo abbastanza, così, nel 1938 e nel 1939, due volte alla settimana facevo i miei 6 Km andata e ritorno con cartella, libri, righe e matite, e imparavo con profitto ciò che mi piaceva veramente. La maestra era brava e simpatica. Nel Giugno del 1939 mi sono preparata per il primo esame teorico. Dovevo recarmi a Santa Maria degli Angeli (Assisi). La direttrice, che veniva da Milano, riuniva le diverse ragazze che volevano sostenere gli esami ogni anno in sedi diverse dei Dopolavoro ferroviari. Avevo la valigia colma di materiale pronto da far esaminare: delle confezioni cucite, gonna e giacca di taglio maschile, un vestitino fantasia molto carino e un paltoncino da mezza sta-

gione azzurro. Come tema d’esame ho dovuto fare un modello in carta e realizzarlo con una teletta per dimostrare quello che sapevo fare. Tutto è andato bene. L’appuntamento, a quel punto, era per l’anno dopo, per l’esame di didattica, dopo il quale sarei diventata Maestra di taglio.

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Pesaro, 1945 - 1955. Osvalda Verdolini Orfei e la sorella Marcella Verdolini insieme con il soprano Rinalda Pavoni


prende in affitto da uno zio una macchina per cucire e ricomincia a fare piccoli lavori sartoriali, nonostante l’impedimento dovuto alla ferita al braccio sinistro. Nel 1945 sua sorella Marcella viene ammessa al Corso di Canto del Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro: le due sorelle decidono di trasferirsi nella nostra città, dove affittano una stanzetta che dà sull’attuale corso XI Settembre, presso l’appartamento di Alfredo Giuli e di sua moglie Rinalda Pavoni (di origini fabrianesi), soprano e insegnante di Canto proprio al Conservatorio. Osvalda inizia così la sua attività pesarese, dedicata soprattutto alla sartoria femminile, aiutata da Marcella, bravissima nelle rifiniture, nei ricami e nelle applicazioni di paillettes, perline e strass. Nel Giugno del 1947 Osvalda perde anche la bambina, per una complicazione dovuta a una comune vaccinazione: nella disperazione si getta nel suo lavoro con una dedizione totale. Vivrà sempre circondata dall’affetto della sorella e, in seguito, dei nipoti. Osvalda e Marcella hanno sempre abitato assieme: nel 1955 si trasferiscono in via Mentana, con il marito di Marcella, il baritono Giuseppe Morresi, e la suocera. Nel 1962 si Anni Cinquanta - Settanta del ‘900. Alcuni abiti da sposa realizzati da Osvalda Verdolini spostano in viale Mar-

Osvalda si diploma il 29 Giugno 1940 a Foligno studiando anche il Metodo di taglio di Ida Galimberti. Nel 1942, a ventun anni, Osvalda sposa Orfeo Orfei. È in attesa di una bimba quando si trasferisce a Fabriano assieme ai genitori e alla sorella (sfollamento precauzionale), presso alcuni parenti del marito. Nel Gennaio 1944, in piena II guerra mondiale, rimane orfana di entrambi i genitori e vedova, proprio durante il primo bombardamento aereo alleato su Fabriano. Osvalda e la bimba che porta in grembo, insieme con la sorella Marcella, escono dalle macerie della loro casa vive quasi per miracolo. Le ferite riportate lasceranno segni indelebili nel fisico e nello spirito. Sono sole, senza più nulla. Nel Maggio del 1944 nasce Orfea (Fefina). Osvalda, per trovare qualche mezzo di sostentamento

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coni 37 (già 21) nell’appartamento posto al terzo piano della villa di Ugo Pagnini, direttore dell’azienda del Gas di Pesaro, che lasciano solo nel 2004 per trasferirsi in un più comodo appartamento della prima periferia. Osvalda ha sempre lavorato in proprio senza dipendenti; un fitto passaparola ha consentito il moltiplicarsi veloce delle clienti, tra le quali spiccano personalità del mondo musicale conosciute tramite suo cognato, il baritono Giuseppe Morresi, artista lirico al Teatro alla Scala: ricordiamo per esempio la pianista e insegnante di canto Emma Raggi Valentini, le arpiste e concertiste Gabriella Morosini e Bianca Maria Monteverde, insegnanti al Conservatorio “G. Rossini”, ma anche cantanti liriche e mogli di artisti lirici come Bianca Maria Casoni1, Rita Saponaro, moglie del direttore d’orchestra Giuseppe Patanè2. Artiste che si

rivolgevano a Osvalda soprattutto per gli abiti da sera e da concerto, realizzati con infinita cura e attenzione ai dettagli. Le clienti, sempre soddisfatte, le si affezionavano anche per i modi gentili, la qualità delle finiture e la puntualità delle consegne: molto spesso pur di consegnare i lavori nei tempi richiesti Osvalda e Marcella facevano nottate in bianco aiutate da grandi tazze di caffè. Ci piace chiudere il ricordo di Osvalda Verdolini segnalando che, nel corso di 68 anni di attività, realizzò ben cinquantaquattro abiti da sposa, la maggior parte dei quali confezionava come regalo di nozze ad amiche e parenti: come annotò in alcuni suoi appunti, …ho sempre amato il mio lavoro e creare gli abiti mi faceva sentire completamente soddisfatta. (Il ricordo della Famiglia Morresi è del Novembre 2009)

Sopra, da sinistra: 1996. Osvalda Verdolini mentre prova un abito da sposa e lo stesso abito indossato durante la cerimonia; Pesaro, 15 Giugno 2003. Marcello Morresi, nipote di Osvalda Verdolini, con la moglie Morena Pilotto (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta della Famiglia Morrresi, Pesaro)

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Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Corso XI Settembre (cartolina datata 1955, Ediz. A.M.P., fotograďŹ a Alterocca, Terni; raccolta Cristina Ortolani, Pesaro)


Tonino Vichi

Con l’ago e la pezzuola si tira avanti la famigliola: un vecchio detto, che trova riscontro nella vita di molti degli artigiani ricordati in questo volume, e che torna spesso nel racconto di Maria Vichi e di sua madre Wanda, rispettivamente figlia e moglie di Tonino Vichi (1923 - 2007), a lungo attivo nella sua sartoria nel cuore di Pesaro, nelle strette stradine dell’antico quartiere ebraico. La nostra famiglia ha sempre abitato in questa zona, mio padre ha lavorato qui per oltre cinquant’anni e, anche se abbiamo traslocato un paio di volte, non ci siamo mai spostati troppo, prima abitavamo in via Almerico Di Ventura, all’angolo con via dei Mulattieri, poi in via Pellipario prosegue Maria, e il suo racconto restituisce immediatamente l’atmosfera della Pesaro di un tempo, quando artigiani e botteghe di tele e pannine si concentravano tra via dei Fondachi (corso XI Settembre) e il Ghetto. Era appena finita la guerra, prosegue Wanda: nel 1947 ci siamo sposati al mio paese, Villanova di Bagnacavallo [in provincia di Ravenna], mio marito aveva appena messo su la sartoria, ma già aveva diverse lavoranti. Io avevo diciassette anni, lui ventitrè, e a diciannove è nato il nostro primo figlio!

Accanita lettrice (tra gli altri, Guareschi e Montanelli punteggiano la nostra conversazione), Wanda ha trascorso al fianco del marito Tonino sessant’anni di vita e lavoro e, insieme con i figli, custodisce oggi con dedizione gli strumenti dell’attività di famiglia. Io e mio marito ci eravamo conosciuti durante lo sfollamento, quando lui si era rifugiato dalle mie parti, dove viveva la sorella… pensi che negli ultimi tempi della guerra, quando i contadini nascondevano sottoterra le cose più preziose per non farsele rubare, mio marito era chiamato ogni tanto a ‘rinfrescare’ i vestiti. Disseppellivano i panni e il sarto, al riparo da occhi

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Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Foto di gruppo per Tonino Vichi e le sue lavoranti davanti alla sartoria


indiscreti, doveva stirarli prima di nasconderli di nuovo. In quella povertà, anche un lenzuolo poteva essere una ricchezza… però occorreva guardarsi dalle ‘spie’: spesso i contadini si illudevano di essere al sicuro mentre tiravano fuori le loro poche cose, e invece il più delle volte erano osservati da malintenzionati che poi li derubavano. Insieme con il collega e amico Aleardo Asdrubali, Tonino Vichi si era perfezionato presso la sartoria di Nino Buttafarro, in via G. Bruno, dopo un breve periodo presso il sarto Brenno (Tino) Barbadoro; come molti ragazzini dall’aspetto minuto, era stato avviato al mestiere sin da piccolo, quando al fianco della madre imparava a dare i primi punti. Una fragilità del tutto ingannevole, se confrontata con l’effettiva realtà del mestiere del sarto: tanto per fare un esempio, i ferri da stiro in uso nelle sartorie, maneggiati persino da apprendiste dodicenni, pesavano in media 6-7 kg. In famiglia, tra i nove fratelli e sorelle di Tonino, anche Annita Vichi aveva lavorato da sarta, presso la Bolognese. Nel 1947 Tonino frequenta un corso di taglio e cucito organizzato dalla SNOB di Torino, attiva nella nostra città almeno fino agli anni Sessanta del ‘900: in quegli anni, ricorda ancora Wanda, i corsi della scuola si svolgevano in un locale di via Giordano Bruno, nel complesso dell’ex convento di San Domenico. Da allora figli e nipoti lo ricordano, con grandissimo affetto, sempre dietro il bancone, intento a cucire o a tagliare, attorniato dai suoi lavoranti (tra loro anche Piero Battisti, successivamente titolare di un’attività in proprio). Impegnati-

vo e faticoso, il mestiere del sarto, ma anche capace di appassionare: come molti dei suoi colleghi, anche Tonino Vichi era solito ripetere, sottolineano Wanda e Maria, rinascendo avrei rifatto lo stesso mestiere. Gentile e disponibile, Tonino non si tirava indietro se c’era da dare una mano agli amici, ai tanti parenti e alla parrocchia, per Carnevale, mentre nei rarissimi momenti liberi realizzava tende e cuscini per casa: anche dopo gli anni della pensione aveva sempre l’ago in mano, proprio non riusciva a non cucire, conclude Wanda, mostrando un delizioso sgabello rivestito dal marito. (Testimonianze raccolte tra l’Ottobre e il Novembre 2009)

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Sopra: Pesaro, anni Ottanta del ‘900.Tonino Vichi al lavoro, nella sartoria di via Pellipario. Nella pagina precedente: Villanova di Bagnacavallo (Ravenna), 1947. Wanda e Tonino Vichi in una fotografia realizzata in occasione del loro matrimonio: come succedeva spesso, all’epoca, la foto è stata scattata nello studio del fotografo qualche giorno dopo la cerimonia

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Brenno Barbadoro Brenno Barbadoro (1915 - 2001), più noto come Tino, fu titolare tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del ‘900 di un laboratorio all’interno di Palazzo Baviera3. Sin dall’inizio ha avuto parecchi lavoranti, raccontano i figli, e la sua attività era molto ben avviata, i clienti erano molti. Tra i ragazzi di bottega c’è anche Tonino Vichi, che nel dopoguerra si metterà in proprio, restando sempre molto legato al maestro di un tempo. Aveva cominciato prestissimo, era proprio un bambino quando è andato a imparare il mestiere, e ha continuato a fare il sarto fino a dopo la guerra. Come sempre, moglie e figli danno una mano in sartoria: mia madre consegnava gli abiti, ricorda il figlio Vincenzo, mentre a me spesso toccava l’incombenza di ‘tenere la pezza’, quando mio padre stirava i capi, per eliminare i piccoli difetti. Le esigenze di una famiglia in crescita, unite alle difficoltà del periodo post-bellico, portano Tino a dedicarsi ad altre occupazioni, senza però trascurare i clienti di un tempo, che a lui continuano a rivolgersi almeno fino a tutti gli anni Settanta per riparazioni e modifiche. (Testimonianze raccolte nel Novembre 2009) Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Un ritratto di Brenno Barbadoro (raccolta Famiglia Barbadoro)

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Vito Bargnesi

Mio padre è stato un infaticabile artigiano, dedito al lavoro a tal punto da non concedersi mai vacanze… Ciò che ha caratterizzato la sua vita e il suo lavoro è stata la quotidianità vissuta nel silenzio e nella concentrazione del suo laboratorio all’interno della sua abitazione: così scrive Donatella Bargnesi ricordando il padre Vito, titolare di una sartoria attiva a Pesaro per oltre quarant’anni. Originario di Orciano (Pesaro e Urbino), Vito Bargnesi (1919 - 2003) apre la propria sartoria per uomo e per signora nell’immediato dopoguerra, dopo essersi avvicinato all’arte del taglio e cucito negli anni Trenta del ‘900, durante il periodo trascorso a Firenze presso il Collegio dei Salesiani, dove all’istruzione tradizionale si affiancava la formazione professionale. Insieme con Vito, a Firenze, c’è anche il fratello maggiore Pietro, successivamente titolare di una sartoria a Genova. La sartoria Bargnesi trova la sua prima sede in via Passeri, al n. 32 (poi 101); nel 1963 Bargnesi si trasferisce con la famiglia in via Manzoni 29, dove continuerà a esercitare la professione fino alla fine degli anni Ottanta del ‘900. Proprio nei locali dell’ex laboratorio, in mezzo agli strumenti che accompagnarono l’attività del sarto, amorevolmente conservati dalla famiglia, abbiamo incontrato Donatella e sua madre Lucia Ferrara, a lungo collaboratrice del marito. Le pareti sono costellate di dipinti

a olio di tutte le dimensioni, dai colori intensi: pretini alla Nino Caffè, nature morte, paesaggi ai quali Vito Bargnesi dedicava con grande passione il tempo libero, specialmente negli ultimi anni di vita, quando il ritmo del lavoro si era fatto meno serrato. Nei periodi di maggior lavoro, quando per molti arrivano le vacanze, e cioè quelli vicini alle festività di Natale e Pasqua, ricordo che mio padre si attardava molto in laboratorio, prosegue Donatella, sottolineando ancora una volta l’impegno richiesto dal mestiere del sarto: mio fratello e io lo aiutavamo nella semplice ma utile opera di sbastitura degli abiti, e nella loro consegna al domicilio dei clienti.

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Pesaro, 1950. Vito Bargnesi e le sue lavoranti


Nella ricca documentazione conservata dalla famiglia figurano tra l’altro alcune ricevute rilasciate dal laboratorio nell’Aprile 1947: all’epoca la confezione di un paio di pantaloni costava circa 500 lire; per un completo giacca e pantaloni la spesa si aggirava intorno alle 2.500 lire, che arrivavano a 3.000 se il completo comprendeva anche il gilet. Per una giacca di velluto occorrevano 2.000 lire, mentre un tenente di stanza a Pesaro spende, nello stesso Aprile 1947, 3.000 lire per un completo giacca/pantaloni e 600 lire per un paio di pantaloni da equitazione. La confezione di un paltò per signora costava 3.000 lire. Tra le principali soddisfazioni nella professione di mio padre vi era quella di infondere nei lavoranti, che si sono succeduti negli anni,

l’attaccamento al lavoro e il senso del dovere, da cui derivavano la puntualità e la precisione nella consegna degli abiti. Un’altra caratteristica della vita lavorativa di mio padre è stata la rettitudine nella vita e, in particolare, nel trattamento dei dipendenti, ora tutti pensionati. Proprio i dipendenti, nota ancora Donatella, riconoscenti al maestro sarto, hanno voluto riunirsi il 13 Novembre 1995, giorno di Sant’Omobono, per offrirgli una targa a ringraziamento. Cinque anni dopo è il maestro che invita i lavoranti di un tempo, ripetendo l’incontro nella giornata di festa di tutti i sarti: un legame di affetto testimoniato dalle immagini pubblicate in queste pagine. (Testimonianze raccolte tra il Luglio 2008 e il Novembre 2009)

Firenze, Collegio dei Salesiani, 25 Giugno 1937. Vito Bargnesi è il primo da sinistra in seconda fila, in piedi

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Sopra: Noverasco di Opera (Milano), 15 Aprile 1982. Il matrimonio di Luigi Bargnesi, figlio di Vito. Nella foto, da sinistra: Lucia Ferrara, moglie di Vito Bargnesi; Luigi Bargnesi con la moglie Adalgisa, e Vito Bargnesi. Tutti e tre i componenti della mia famiglia (padre, madre e fratello) indossavano abiti confezionati da mio padre, commenta Donatella Bargnesi; è un vero peccato che io non compaia in questa foto: per l’occasione, infatti, indossavo un delizioso tailleur grigio chiaro a quadrettini, completo di gilet, anch’esso confezionato da mio padre. A destra: Venezia, Giugno 1949. Le annotazioni riportate da Vito Bargnesi sul retro delle fotografie conservate nel suo album, ci hanno consentito di datare con esattezza le immagini della gita a Venezia già presenti nella prima edizione del volume, riproposte qui alle pagine 170 e 220. Secondo quanto scritto da Bargnesi, le fotografie si riferiscono alla Gita Turistica Artigiani di Pesaro, 1949; Bologna, Padova, Venezia, Verona, Desenzano; domenica 5 Giugno, lunedì 6 Giugno, martedì 7 Giugno (le immagini alle pagine 237 - 239 e 242 provengono dalla raccolta delle Famiglia Bargnesi, Pesaro)

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Vito Bargnesi, il ricordo di Albertina Bandieri Ancora affezionatissima a Vito Bargnesi e alla sua famiglia è, tra gli altri, Albertina Bandieri, alle dipendenze del sarto per quattordici anni. Originaria di Babbucce (Tavullia), Albertina è entrata nella Sartoria Bargnesi grazie a Sergio Bailetti, all’epoca anch’egli apprendista da Bargnesi e in seguito sarto in proprio: avevo tredici-quattordici anni, e avevo già fatto un po’ di pratica da mia zia Maria Di Carlo, sarta a Babbucce… poche cose, però ero già precisa. Il primo giorno Bargnesi mi ha dato da fare delle asole, poi pian piano mi ha affidato dei compiti sempre più importanti, fino all’imbastitura delle maniche, che di solito era fatta dal sarto in persona. Ho lavorato da Bargnesi fino al 1967, poi ho frequentato un corso di taglio a Milano, alla Sartotecnica: un mese il corso sugli abiti maschili e un mese per quelli femminili, eravamo solo due donne in un gruppo composto per la maggior parte da uomini. Nello stesso anno mi sono sposata, e da quando sono nati i miei figli ho continuato a lavorare in casa, più che altro per i parenti e gli amici: pensi che quando si è sposata mia sorella ho realizzato io gli abiti per tutta la famiglia! Pazza per la musica, secondo le sue stesse parole, Albertina ricorda che la Sartoria Bargnesi annoverava tra i suoi clienti anche personalità dello spettacolo come Riz Ortolani e sua moglie Katina Ranieri, che da Bargnesi si serviva per i tailleur. …Poi c’erano i Ninchi, Annibale, Carlo e Ave: con un’altra lavorante andavamo a consegnare i vestiti nella villa sull’Ardizio, e ricordo che ci davano come mancia una moneta da cinquecento lire, quelle d’argento, da dividere… Un posto particolare nel cuore di Albertina è occupato però da Luciano Pavarotti: alla fine degli anni Novanta un collega le propone di realizzare tre gilet bianchi e tre papillon per i frac del maestro, segnando l’inizio di una collaborazione durata fino alla scomparsa del tenore, nel 2007. Era una persona molto alla mano, di lui ho un ricordo bellissimo, sorride Albertina: ho continuato con i papillon e i gilet, dopo quelli bianchi ne ho realizzati di diversi tessuti e colori, da coordinare con smoking e tight, finché mi sono trovata a confezionargli un completo giacca e pantaloni. Si figuri che mi avevano detto che il maestro non misurava gli abiti, e così sono andata da lui con il completo quasi finito, tagliato su un modello che mi avevano portato. In realtà poi ho potuto misurargli sia la giacca sia i pantaloni, e fortunatamente non ci sono state molte modifiche. Albertina è anche l’artefice di molte delle camicie fantasia predilette da Pavarotti, con le quali il maestro appare nelle fotografie degli anni più recenti: una volta ho anche realizzato uno chemisier per la moglie Nicoletta, con lo stesso tessuto delle camicie del maestro, e ricordo

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ancora la giornata in cui provammo l’abito, ai bordi della piscina della villa sul San Bartolo… ho anche lavorato per un famoso direttore d’orchestra americano, suo amico. Conservo ancora tutti i biglietti che Pavarotti mi inviava a Natale, insieme con dei grandi cesti ricolmi di prodotti tipici modenesi: per me è stato proprio un incontro speciale! (Testimonianza raccolta tra l’Ottobre e il Novembre 2009)

Milano, 1967. Albertina Bandieri con i compagni del corso di taglio organizzato dalla Sartotecnica (raccolta Albertina Bandieri, Pesaro)

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Vito Bargnesi il ricordo di Marco Righetti Vito Bargnesi? Me lo ricordo come una gran brava persona, esordisce Marco Righetti, apprendista presso la Sartoria Bargnesi nei primi anni Cinquanta. Sono entrato in sartoria a undici anni, su una quindicina di lavoranti eravamo solo tre ragazzi, le altre erano tutte ragazze. Allora la paga era di 150 lire a settimana, che Bargnesi ci consegnava ogni sabato. Sono rimasto con lui per quattro o cinque anni, poi ho deciso di iniziare una mia attività, e mi sono iscritto al Corso di taglio dell’Accademia SNOB: le lezioni si tenevano all’Albergo Zongo, e con me c’erano altri due lavoranti di Bargnesi, Silvana Flenghi e Vito Bailetti. I corsi duravano sette - otto mesi, ed erano frequentati anche da molti ragazzi dell’entroterra e dei dintorni di Pesaro. Nel 1959 mi sono sposato, e mi sono messo in proprio, avevo trovato un locale in corso XI Settembre, nell’edificio a fianco della chiesa di San Cassiano. Avevo parecchi clienti, dico la verità commenta ancora Righetti, però accadeva spesso che tardassero nei pagamenti, a volte addirittura proprio non saldavano i conti… E non è che si parlasse di cifre astronomiche, per un completo da uomo negli anni Sessanta si potevano spendere cinque - seimila lire… Poi mi si è presentata l’occasione di cambiare mestiere. Il lavoro della sartoria cominciava a risentire della diffusione della moda pronta, la famiglia era aumentata, e così ne ho approfittato, ho cessato l’attività e ho deciso di dedicarmi ad altro, fino al tempo della pensione. (Testimonianza raccolta nel Novembre 2009)

Pesaro, 13 Novembre 2000, Sant’Omobono. A sinistra: Vito Bargnesi insieme con i suoi ex dipendenti: tra loro, anche Marco Righetti; a destra: Vito Bargnesi mostra orgoglioso il portachiavi donatogli dai suoi ex dipendenti

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Isotta Guidetti Andreani

Maestra di taglio, Isotta Guidetti Andreani, originaria di Ferrara, insieme con Eva Tonucci Moroni, titolare di un’altra qualificata scuola di taglio, ha avviato all’arte della sartoria un gran numero di ragazze, provenienti sia da Pesaro sia, per la maggior parte, dai paesi dell’immediato entroterra. Oltre che per la sua scuola di taglio, i cui corsi si svolgevano nella casa di viale Marsala ancora oggi abitata dalla famiglia, Isotta Andreani è ricordata con affetto per la sua attività di sarta costumista: suoi, infatti, sono i tutù e i deliziosi costumi di fantasia creati per i balletti della scuola di danza “Salus et Gratia”4, la prima istituita nella nostra città negli anni Cinquanta del ‘900. Isotta era affiancata spesso da Itala (o Italia), sorella del marito Guido Andreani, ceramista di gran talento, allievo di Ferruccio Mengaroni. Di seguito un ritratto di Isotta Andreani scritto per noi dalla figlia Serena. La mia mamma, Isotta Andreani, era maestra di taglio. Per casa c’erano sempre tante ragazze che arrivavano dai paesi vicini (Montecchio, Montelabbate, Isola del Piano, Gallo di Petriano…) per imparare il mestiere. Arrivavano alla mattina con la corriera, e se ne andavano nel tardo pomeriggio. Con noi abitava la zia Itala (o Italia), era una brava sarta, lavorava da sola ma aveva una buona clientela. Mia mamma amava tanto il suo lavoro di maestra di taglio, ma le piaceva tanto anche

cucire. Quando eravamo piccoli, lei e la zia ideavano per me e i miei fratelli dei costumi di Carnevale veramente belli; ai nostri tempi [gli anni Cinquanta del ‘900] c’erano le sfilate di costumi al Teatro Rossini: nel 1955 io e mio fratello abbiamo vinto il primo premio, in coppia, con la spagnola e torero (il premio consisteva nel partecipare alla sfilata carnevalesca di Bologna, ai Giardini Margherita, e anche lì abbiamo vinto un riconoscimento: ci avevano addirittura scambiato per autentici spagnoli!).

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Pesaro, anni Trenta del ‘900. Isotta Guidetti e Guido Andreani in una fotografia di Mario Schiavoni (Archivio Fausto Schiavoni, Pesaro)


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Nel 1951 mi iscrissero a scuola di danza classica e da lì cominciò per mamma il lavoro di sarta costumista per la danza. Iniziò con i tutù, poi per ogni balletto a soggetto lei studiava, sotto consiglio dell’insegnante, e confezionava il costume adatto. Lavorava tanto, specie nel periodo da Gennaio a Giugno, quando si teneva il saggio finale, e le stanze di casa si trasformavano in ambienti pieni di nuvole di tulle appese dappertutto (per i tutù) e di tante stoffe colorate per gli altri costumi. La scuola di danza era nata intorno al 1950, aggiunge Serena, per iniziativa di alcune mamme pesaresi, e le lezioni si svolgevano all’inizio nei locali di Palazzo Baldassini. L’insegnamento fu dapprima affidato a due ex

danzatrici di Milano, poi a Maria Rosa Ferrari; nel 1951 giunse a Pesaro Anna Bianchi Domini, prima ballerina del Teatro dell’Opera di Roma, che istituì nella nostra città la scuola G.Rossini, “gemella” della “Salus et Gratia”, presente dal 1949 in Ancona. La scuola ebbe la sua prima sede nei locali di Palazzo Baldassini, spostandosi tra gli anni Sessanta e i Settanta del ‘900, presso il Teatro “G.Rossini”, poi a Palazzo Sabbatini e in via Zongo. Isotta Andreani ha realizzato i costumi per tutti i saggi della scuola di danza pesarese nelle stagioni tra il 1951 - ’52 e il 1972 - ‘73. (Testimonianza raccolta tra l’Ottobre e il Novembre 2009)

A destra : Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Isotta Guidetti Andreani (al centro nella foto, seduta), insieme con il marito Guido e alcune ragazze della scuola di taglio. A destra, in piedi, Itala Andreani, sorella di Guido e sarta essa stessa. Nella pagina precedente, sopra: Pesaro, 9 Febbraio 1959. Carlo (Gianduja) Giorgio Badioli (il signor Bonaventura) con due costumi realizzati da Itala Andreani (foto B.B. Sport, Pesaro); Pesaro, 1950 -’51. Serena Andreani e suo fratello Marco con due costumi di Itala Andreani (foto Arceci, Pesaro) e Ascoli Piceno, anni Cinquanta del ‘900. Un costume realizzato da Itala Andreani per la Giostra della Quintana (raccolta Serena Andreani, Pesaro)

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Sopra: Pesaro, 1951 -’52. Costumi di Itala Andreani per il balletto “Le orientali�: le acconciature, ricorda Serena Andreani, erano opera delle sorelle Negrini, due modiste di viale Pola; sotto: foto di gruppo al termine del saggio di danza (raccolta Serena Andreani, Pesaro)

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Domenico Ciarrocchi

Schivo e riservato, Domenico Ciarrocchi comincia l’attività in proprio nel 1951, due anni dopo il suo arrivo a Pesaro, dopo aver collaborato brevemente con uno dei capostipiti della sartoria maschile pesarese, Erasmo Pezzodipane. Originario di Ascoli Piceno, Domenico Ciarrocchi aveva imparato il mestiere a Macerata, presso la sartoria dei fratelli Virgili: da un rappresentante di tessuti aveva saputo che a Pesaro Pezzodipane cercava collaborato-

ri esperti e aveva deciso di spostarsi, ci racconta la moglie Amelia, sempre al suo fianco anche nell’attività lavorativa. La prima sede del laboratorio è in via Perfetti (una piccola traversa di corso XI Settembre): tre anni dopo l’apertura il lavoro aumenta al punto da spingere il sarto a trasferirsi in un appartamento più grande, nella vicina via Mazzolari, presso Palazzo Cecchi, ove la sartoria arrivò a impiegare fino a una quindicina di lavoranti.

Sanremo, anni Sessanta - Settanta del ‘900.Domenico Ciarrocchi insieme con la moglie Amelia (raccolta Famiglia Ciarrocchi, Pesaro)

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Tra i clienti, dice ancora Amelia Ciarrocchi, molti pesaresi che hanno fatto strada, come Arnaldo Pomodoro, che spesso ci ospitava a Milano per le prove dei vestiti; da ricordare anche le uniformi (soprattutto per gli ufficiali superiori) realizzate dalla Sartoria Ciarrocchi e, tra le occasioni professionali più prestigiose, le sfilate al Grand Hôtel di Riccione. Anche se, aggiunge la signora Amelia, mio marito non ha mai amato molto le sfilate e le altre occasioni pubbliche, e a Sanremo (dove dagli anni Settanta del ‘900 il “Gruppo Sarti” di Pesaro prendeva parte al Festival della Moda) ci andavamo per vedere il lavoro dei colleghi ma, soprattutto, per goderci i pochi giorni di vacanza. Ricordo che spesso i miei genitori lavoravano in sartoria anche la notte di Natale, ricorda la figlia Maria Teresa, che al pari di molti altri figli di sarti contribuiva all’attività famigliare consegnando gli abiti ai clienti. Nel 1964 la sartoria si trasferisce in via del Corpus Domini, dove Domenico Ciarrocchi eserciterà il mestiere di sarto per altri vent’an-

ni: sempre attento all’aggiornamento professionale, fu tra i primi a dotarsi delle macchine che potevano alleggerire le fasi più pesanti della lavorazione, come per esempio i tavoli da stiro aspiranti o le macchine “Strobel” per i punti invisibili. Consigliere dell’Artigianato provinciale, Domenico Ciarrocchi è scomparso nel 2002, dopo aver insegnato il mestiere a molti sarti della generazione successiva, tra cui Piero Battisti e Console Costantini. Il suo congedo ai ragazzi che lasciavano la sartoria per mettersi in proprio era sempre lo stesso: ti auguro di lavorare tanto come ho lavorato io, conclude Amelia Ciarrocchi, sottolineando subito dopo che il successo della sartoria si deve senz’altro all’impegno e alla grande dedizione profusi dal marito nell’attività lavorativa. In chiusura ci piace ricordare, come in una sorta di ideale passaggio del testimone, che una nipote di Amelia e Domenico lavora oggi a Milano, per uno tra i più noti marchi italiani di moda. (Testimonianze raccolte tra l’Aprile e il Maggio 2008)

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Allegrina Brunetti Fulvi

Ho fatto una vita meravigliosa… ho faticato grina Brunetti cuce il suo primo vestito a dieci tanto, ma della mia storia non butto via niente anni: per realizzarlo ho tagliato un copriletto, Saggia e gentile, Allegrina Brunetti Fulvi con- mia mamma non era molto contenta, ricorda clude così il suo racconto, dove alle ristrettezze con espressione divertita; non voleva neppudei tempi di guerra si intreccia la passione per re che facessi la sarta, perché era un mestiere un mestiere che, come lei stessa ammette, è molto faticoso, invece mio padre, che era un sempre stato in grado di farle tornare il buonu- bravissimo falegname, mi aiutava: quando domore: quando avevo qualche problema o era vevo misurarmi un abito, era lui che mi teneun pochino arrabbiata, mi mettevo qui, al tavo- va gli spilli, e mi dava una mano nella prova allo specchio. Intorno ai dodici anni sono enlo da lavoro, e dimenticavo tutto… Allegrina di nome e di fatto, la signora Fulvi trata come apprendista da una sarta del paese, ha vestito in silenzio centinaia di pesaresi, che Iole Fiorelli, però sono rimasta poco, perché a tuttora le sono affezionatissime, al pari delle quattordici anni ho deciso di seguire i corsi di sue ‘ragazze’ di un tempo. Ho sempre avuto taglio della signora Borgogelli, a Fano: erano un bellissimo rapporto con le mie lavoranti, continua Allegrina, per loro ero quasi una seconda mamma, ne ho sentite di confidenze,tra un’imbastitura e una passata di ferro: mi chiedevano consiglio, un parere sui fidanzati, su qualche problema a casa, e ogni anno poi ci ritrovavamo per le gite del 2 Giugno, in campagna… siamo tutte grandi, ormai, ma continuiamo a sentirci con piacere, anche se più che altro ormai ci incontriamo per qualche festa. Ed è proprio una sua ex lavorante, Luisa Dionigi, che ci ha fatto conoscere l’attività di Allegrina, raccontandoci con parole affettuose l’atPesaro, 8 Dicembre 2007. Allegrina e il marito Silvio Fulvi festeggiano il tività della sua maestra. sessantesimo anniversario di matrimonio Nata a Orciano (Pesaro e Urbino), Alle249


frequentati da parecchie ragazze di campagna, e io andavo in bicicletta da Orciano! Ma la mia “vera” scuola, dice Allegrina, l’ho fatta sugli abiti delle grandi sartorie che le signore di Orciano mi portavano per le riparazioni. Il paese in estate si riempiva di villeggianti, figli di orcianesi emigrati che avevano fatto fortuna: le mogli e le figlie di questi signori mi affidavano i loro capi per qualche modifica e così io potevo studiare i tagli e le linee dell’alta moda di città come Bologna, Torino, Milano. E poi c’erano i film, quei bei film americani, dove tutti erano vestiti bene… mica come i nostri, nei film italiani si vedeva che c’era stata la guerra, erano tutti poveri, avevano addosso quasi degli stracci: le prime cerniere lampo io le ho viste nei film, da noi si sono diffuse nel Dopoguerra. Il racconto di Allegrina si sofferma sul periodo della guerra: ricordo che poco prima dello sfollamento i tedeschi sono entrati in casa e ci hanno sequestrato più di sessanta pezzi tra vestiti, parti di abiti da cucire e biancheria, ne

hanno fatto stracci per i cavalli… poi ci hanno distrutto la casa. In tempo di guerra mancava tutto, bisognava arrangiarsi: sa come facevo per le imbastiture? Compravo le calze da donna di cotone, tagliavo il piede e cominciavo a disfare la maglia, poi utilizzavo il filo per cucire. Però era bello lo stesso. A Pesaro Allegrina arriva nel 1957, seguendo il marito Silvio Fulvi, trasferito per lavoro nella nostra città: all’inizio ho incontrato molte difficoltà, perché certe persone non mi consideravano, sa, io ero una sarta di paese, e dovevo far i conti con delle sartorie molto rinomate. Succedeva anche che certe clienti mi facessero cucire un vestito, poi ci attaccassero l’etichetta di un’altra sarta, per darsi più importanza, aggiunge Allegrina con un tono di rammarico. Pian piano, però, mi sono fatta conoscere, e ho radunato intorno a

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Sopra, Orciano, 1944 - 1945. Due immagini di Allegrina Fulvi: la sarta indossa un abito e un cappotto di propria creazione; il vestitino della foto a destra era di crêpe di seta color prugna, ricorda Allegrina; a sinistra: Orciano, 1955. Un abito per la Prima Comunione realizzato interamente a mano da Allegrina Brunetti Fulvi. Nella pagina precedente, sopra : Pesaro, 1957 - ’63. Allegrina Brunetti Fulvi (la terza da destra) con le sue lavoranti, nella sartoria di via Flaminia; nella foto si riconosce Luisa Dionigi (prima a sinistra), mentre il bimbo in primo piano è Antonio, figlio minore di Allegrina; sotto: Pesaro, 1965 - ’70. Allegrina Brunetti Fulvi in sartoria

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me una cerchia di clienti che mi volevano bene, e con molte di loro sono ancora in contatto: sono proprio le sue clienti che consentono ad Allegrina, al pari delle sue più titolate colleghe, di ricevere nel 1965 il Diploma di Amica quale sarta più votata. Tra i ricordi più cari Allegrina conserva anche due scherzose poesie sul mestiere della sarta donatele dalle

sue ‘ragazze’ negli ultimi anni, insieme con decine e decine di foto di gite, pranzi, feste, dove la sarta è attorniata dalle sue lavoranti, che affollano le pareti della sartoria. Se dovessi tornare indietro? Farei la stessa cosa, afferma decisa al momento di salutarci. (Testimonianza raccolta nel Novembre 2008)

Sopra: Pesaro, 10 Settembre 1964. Il matrimonio di Luisa Dionigi e Giancarlo Arduini; a destra: Allegrina Brunetti Fulvi dà gli ultimi tocchi all’abito della sposa, sua affezionatissima lavorante e amica. Nella pagina precedente: Orciano, 1952. Foto di gruppo per Allegrina Brunetti Fulvi e le sue lavoranti (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Allegrina Brunetti Fulvi)

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Anna Maria Lugli

Ho sempre fatto quel che sentivo cercando di dar forma alle idee e ai miei gusti senza accettare compromessi. Anna Maria Lugli, una delle firme più prestigiose dell’abbigliamento in città, rivendica il coraggio e la tenacia con cui ha costruito negli anni una delle attività commerciali più longeve e blasonate del centro. Oggi, aiutata nella gestione delle sue boutique che si snodano lungo via Morselli e via Giovannelli dalle quattro figlie, la signora Anna non ha perso la grinta e quel suo grande spirito di indipendenza e libertà che ha sempre contraddistinto la sua vita. Ho cominciato a lavorare a sedici anni. Avevo una zia che faceva la sarta, si chiamava Alda Lugli e aveva una quindicina di lavoranti; insomma, una bella sartoria. Fu mia nonna Emma a spingermi verso quella strada: Vai e impara a cucire! mi disse. Io stetti lì qualche mese, cercando di imparare a fare orli, ricami, ma mia zia, che era molto esigente, mi disse che forse sarebbe stato meglio se mi fossi dedicata ad altro. Avrei considerato chiusa quell’esperienza se non fosse stato per mia mamma - Santina Masetti - che, invece, insistette. Ambiziosa, elegante, dedicava tanto tempo anche a noi e ai miei fratelli per vestirci bene e con cura. Fu così che mi spinse ad imparare il lavoro nella sartoria di Maria Cardellini. Fu proprio nel laboratorio di Maria Cardellini, in via Cavour, che Anna Maria Lugli ini-

ziò senza saperlo la sua carriera alla fine degli anni Cinquanta. Mi impegnai moltissimo e in meno di sei mesi divenni una delle più brave; avevo imparato a fare di tutto, e solo in quel momento decisi di mettermi in proprio. Mi ricordo che fu mio padre, a diciassette anni, ad anticiparmi dei soldi per una macchina da cucire che dovetti pagare poi a rate. Iniziai così a cucire facendo dei vestiti alle mie amiche e poi dei baschi di velluto. Il mio primo vero lavoro fu confezionare abiti alle figlie dei colonnelli del 6° Car della Caserma Del Monte, in occasione delle feste del Circolo Pesarese, dove vinsi dei premi. Fu proprio in quell’anno che partecipai a una sfilata al Teatro Rossini. Io, la più giovane, in mezzo a tante sarte molto più esperte e famose, riuscii a conquistare la giuria e il pubblico.

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Anna Maria Lugli in una recente immagine (raccolta Anna Maria Lugli, Pesaro)


Fu in quella sfilata che la bellissima attrice del cinema Anna Maria Pierangeli volle acquistare a tutti costi uno dei miei abiti. Insomma, cominciai così, divertendomi. Ma a plasmare la vita professionale di Anna Lugli fu senz’altro Milano. Volevo imparare la bellezza dello stile, conoscere l’alta e altissima moda, vedere sfilate. Fu proprio a Milano che iniziò la mia frequentazione con la famiglia Dogle-Farè esclusivista di Yves Saint Laurent e Christian Dior. Entrai nelle loro grazie e in quegli anni vidi le più belle creazioni della moda internazionale. Fu una palestra eccezionale perché lì affinai il mio gusto e la mia visione del vestire. Decisi a quel punto che era l’ora di aprire un’attività commerciale senza però abbandonare completamente l’attività sartoriale. Tornata a Pesaro l’intraprendente Anna Lugli decide così di aprire la sua prima attività commerciale: mio marito era contrario, non voleva che lavorassi. Ma io decisi a quel punto di fargli firmare una sorta di contratto-statuto in base al quale ognuno decideva di vivere la sua vita in piena libertà e autonomia, soprattutto dal punto di vista professionale, purché questo non andasse a discapito della famiglia qualora avessimo avuto dei figli. Lui accettò e firmò. Era

il 1959 e decisi di aprire la mia prima boutique in viale Trieste, sotto l’Hôtel Principe. Anche in quel caso ho creduto che fosse importante dare un’impronta personale a un’attività commerciale: ecco perché decisi di arredare tutto da sola, in base alle mie idee e ai miei gusti. Devo dire che fu proprio un bell’inizio. Ma di lì a poco decisi di spostarmi in via Rossini. Fu una sistemazione temporanea perché poi mi innamorai di via Morselli e di quello splendido giardino segreto di Casa Mancini5. Fu proprio qui che Anna Maria Lugli decide nel 1961 di stabilire il suo nuovo atelier e dare libero sfogo a tutto il suo gusto nell’arredare e ristrutturare, appagando allo stesso tempo il suo amore innato per l’architettura e l’arredamento. Dai pavimenti ai soffitti, dalle pareti agli arredi, dalle porte alle luci. Nulla lasciato al caso, ogni cosa rispondente a una precisa scelta stilistica: pareti con porzioni di mattoni a vista, soffitti in legno d’abete, mobili antichi, cristalli, sculture di Pomodoro e Facchini, quadri di Ceroli, Burri, De Carolis, Lugli, Basile. Boutique con un’anima, impregnate di cultura, raffinate e per una clientela “illuminata”. Una prima boutique, e poi un’altra e un’altra ancora. Fino a quattro (uomo, donna, bambino e borse), in poche decine di metri a imprimere un segno d’eleganza a un angolo bellissimo della città. Tutte nate con entusiasmo, fantasia, gusto: sono riuscita a creare con tenacia e passione un lavoro che è diventato per me anche un adorabile passatempo. (Testimonianza raccolta da Claudio Salvi nel Giugno 2008)

Sopra: Anna Maria Lugli bambina. A pag. 254: Pesaro, 16 Luglio 1960. Teatro “G. Rossini”. Défilé di moda organizzato dall’Artigianato provinciale: l’elenco dei modelli presentati da Anna Maria Lugli (raccolta Domenica Fabbri, Pesaro) e i modelli (raccolta Anna Maria Lugli, Pesaro) 256


Sopra: un abito da sposa degli anni Settanta del ‘900. Nell’immagine a sinistra si vedono tre delle quattro ďŹ glie della signora Anna Maria: Camilla, Giorgia, Micol e Uga. Micol ha ereditato la passione materna per la moda e lavora come stylist per importanti settimanali italiani. A destra: Anna Maria Lugli riceve un premio alla Camera di Commercio di Milano (raccolta Anna Maria Lugli, Pesaro)

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Remo Pugliese

Sono nato in sartoria, dice Remo Pugliese (1941), riferendosi scherzosamente alla giovanissima età alla quale ha iniziato il proprio apprendistato: a soli dieci anni, infatti, Remo entra nel laboratorio di Elso Perugini, in corso XI Settembre, nel Borgo. L’arte del taglio è nel DNA di Remo: il fratello di sua nonna materna era sarto, così come due suoi cugini per parte di padre. Successivamente titolare di una sartoria in via Cavallotti, Remo Pugliese a ventisei anni diventa modellista e prototipista presso la ditta Coronet-Salvaterra6, dove resta per circa sette anni; la voglia di sperimentare e il desiderio di mettere a frutto le esperienze acquisite lo spingono a intraprendere la strada delle confezioni di qualità, aprendo un’azienda artigiana di produzione in serie. Attiva dal 1973 al 2006, nei momenti di maggior impegno la sua azienda ha avuto una quarantina di dipendenti. Come molti colleghi anche Remo Pugliese ha svolto parallelamente al mestiere di sarto un’intensa attività nel campo della formazione: nel 1989 ha iniziato la sua collaborazione con la Scuola Regionale di Pesaro, e oggi ha al suo attivo ben cinquantacinque corsi tra Italia ed estero. Accanto ai corsi tenuti in numerose località della nostra provincia, Pugliese ha insegnato l’arte e i segreti del ta-

glio in Basilicata e Abruzzo e, all’estero, in Romania, Tunisia e, nel 2001 persino in Kazakistan, dove è stato chiamato nell’ambito di un progetto TACIS, promosso dall’Unione Europea e incentrato sull’alta formazione. Attualmente affianca all’impegno nel settore della formazione l’attività di consulente tecnico per aziende italiane ed estere.

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Remo Pugliese fotografato con un abito realizzato durante un corso di formazione


Ci piace segnalare, infine, che Remo Pugliese ha contribuito in modo decisivo alla nostra ricerca, indicandoci tracce, ripescando nella memoria nomi e indirizzi e riallacciando molti

dei fili che ci hanno permesso di recuperare, almeno in parte, volti e vicende delle sartorie pesaresi. (Testimonianza raccolta nel Maggio 2007)

A sinistra, dall’album di famiglia di Remo Pugliese: la raffinata signora è la nonna di Remo, originaria di Orense, nel nord-ovest della Spagna; sopra: Remo Pugliese al lavoro presso la Coronet-Salvaterra. (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Remo Pugliese, Pesaro). Nella pagina successiva: Pesaro, aani Cinquanta del ‘900. Piazzale del Kursaal (cartolina datata 1955, ediz. A.M.P., fotografia Alterocca, Terni; raccolta Cristina Ortolani, Pesaro)

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Il Gruppo Sarti

Pesaro, Piazza del Popolo, Agosto 1963 (foto Galvani di A. Marchi, Cattolica; raccolta Cristina Ortolani, Pesaro)


Tra gli anni Sessanta e Novanta del ‘900 la no dalle testimonianze presentate nelle pagistoria delle sartorie pesaresi coincide quasi del ne che seguono, provoca insieme con altri fattutto con quella del “Gruppo Sarti”, un’asso- tori la progressiva chiusura di quasi tutte le ciazione nata da diverse esperienze di consor- sartorie cittadine, delle quali assai poche rezi provinciali e regionali che riuniva artigiani stano oggi in attività. I sarti pesaresi sono però tuttora molto legadi tutta la provincia. Per tutti gli anni Sessanta - Settanta il “Grup- ti: alcuni di loro si ritrovano per festeggiapo Sarti”, in collaborazione con le Associazioni re Sant’Omobono o in altre occasioni, e non di Categoria, la Camera di Commercio e altri mancano parole affettuose per chi non c’è Enti cittadini, promuoverà il lavoro degli asso- più. Rispettando il loro desiderio, presentiamo ciati attraverso una serie di sfilate al Cinema - le sartorie legate all’esperienza del “Gruppo Teatro Sperimentale “O.Giansanti” di Pesaro, Sarti” in un unico capitolo, a rappresentare la le Rassegne della Moda, la cui prima edizione moda pesarese degli ultimi trent’anni. si svolse il 23 Agosto 1969. Dalla metà degli Pesaro. 7 Febbraio 1972. Si costituisce il “Coanni Ottanta fino ai primi Novanta le sfilate si mitato Sarti” [futuro “Gruppo Sarti”]. Dal cospostano in Piazza del Popolo, dove attirano municato stampa (raccolta Aleardo Asdrubaun pubblico numerosissimo, anche grazie al li): Si è riunito a Pesaro l’esecutivo del Gruppo puntuale e frizzante coordinamento dell’agen- Provinciale sarti e sarte, per esaminare problezia “Intercontact” di Silvia Cordella e Simo- mi specifici di categoria e per provvedere alnetta Campanelli. Negli stessi anni si ripetono anche in altre piazze della provincia, tra cui Fano e Cagli, oltre che presso i padiglioni fieristici di Campanara, nelle diverse edizioni della fiera Pesaro produce (successivamente Marche producono), alle quali il “Gruppo Sarti” prende parte sin dagli inizi, nei primi anni Settanta. Da ricordare anche la partecipazione del “Gruppo Sarti” a numerose edizioni del prestigioso Festival della Moda di Sanremo. La generale crisi del su misura, i cui molteplici aspetti emergoAncona, 1971. Il Gruppo Sarti riunito in occasione della Giornata della Sartoria (raccolta Rosetta Sili Mueller, Pesaro)

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la nomina degli organi direttivi che sono stati così distribuiti: presidente, Asdrubali Aleardo; Vice presidente: Righetti Bruno; Segretario, Garattoni Raffaele; Vice segretario: Macchniz Elsa; Cassiere: Camilli Francesco; Consiglieri: Fabbri Domenica, Scatassa Alba, Sabatinelli e Gualazzi, Tonucci Renato, Vichi Gianfranco. Il Consiglio si è poi incontrato con i rappresentanti delle Organizzazioni Sindacali Artigiane per illustrare l’atteggiamento del Gruppo e le sue prospettive di lavoro. E’ stata ribadita la volontà di affrontare solo problemi tipici e promozionali di categoria, mentre è stato riconosciuto insostituibile l’impegno delle organizzazioni sindacali a risolvere i problemi di fondo che investono la realtà artigiana.

Dalla bozza di statuto del “Gruppo Sarti” Art. 1 - L’Associazione di categoria dei Sarti e Sarte della provincia di Pesaro è libera da qualsiasi influenza esterna e non si sostituisce alle organizzazioni sindacali esistenti nella Provincia. Art. 2 - L’Associazione non ha scopo di lucro, ma solo [quello di effettuare] iniziative promozionali di categoria. Art. 3 - I Sarti e le Sarte conservano l’adesione alle organizzazioni artigiane di provenienza, impegnandosi alla individuazione, allo studio e alla soluzione dei problemi tipici della categoria; lasciando alle rispettive organizzazioni i compiti più generali di difesa della categoria e degli artigiani.

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Dal su misura alla confezione Alla fine degli anni Cinquanta, la confezione in serie italiana appariva ancora sottodimensionata se paragonata al resto dell’industria europea. Nel 1959, ad esempio, la produzione olandese di abiti e tailleurs per signora era pari a quasi tre volte quella italiana (che produceva soltanto per un terzo del mercato interno), mentre la Germania Occidentale, con oltre 25 milioni di pezzi, la superava di quasi venti volte. Il mercato italiano era dominato ancora da grandi couturiers, sarti e sartine. L’abito sartoriale (spesso riciclato, riadattato e riutilizzato) manteneva ancora un ruolo predominante rispetto a quello confezionato industrialmente, di basso prezzo, ma anche di qualità e vestibilità inferiori. Tuttavia, nel corso degli anni Sessanta, la domanda interna si riprese: i confezionisti italiani assimilarono metodi produttivi e formule distributive provenienti dall’industria confezionista americana, accrescendo la qualità dell’offerta pur mantenendo i prezzi a livello competitivo (i primi lotti in uscita dalla nuova produzione costavano un terzo di quelli su misura). Il prestigio della confezione seriale italiana si accrebbe ulteriormente grazie alla realizzazione di alcune ben congegnate idee promozionali, come quella del SAMIA (Salone Mercato Internazionale dell’Abbigliamento) di Torino, e grazie al successo americano della riproduzione seriale di modelli derivanti dall’alta moda e dalla moda boutique. L’interesse verso il pronto attirò anche i singoli sarti, che non si limitarono più solo a cedere i propri modelli ai department stores e alle manifatture americane, ma iniziarono a sviluppare loro stessi produzioni seriali d’alta moda, l’alta moda pronta, realizzando convenzioni con industrie italiane o, come una delle sorelle Fontana, aprendone di nuove loro stessi7.

Nella pagina precedente: Pesaro, anni Settanta del ‘900. Il Gruppo Sarti al termine di una sfilata al Teatro Sperimentale “O. Giansanti” (raccolta Rosetta Sili Mueller, Pesaro). Impossibile nominare tutti coloro che hanno preso parte alle sfilate del Gruppo Sarti tra gli anni Settanta e Novanta del ‘900; dalla pubblicistica relativa a quelle manifestazioni ricaviamo i nomi di alcuni altri componenti pesaresi dell’associazione: Maria Bocci, Giovanni Costanzi Anna Maria Severi, Alessandro Spadoni, Gianfranco Valli e Gianfranco Vichi

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Un articolo dedicato alla sfilata organizzata dall’Artigianato Provinciale al Teatro “G. Rossini” il 16 Luglio 1960.

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Elsa Macchniz

Profuga triestina (non esule, sottolinea), nata in Liguria e in tempo di guerra rifugiatasi con la famiglia in Garfagnana, Elsa Macchniz è una delle più conosciute sarte della nostra città. Giunta a Pesaro nel 1945, alla fine della II guerra mondiale, Elsa è sposata con Emilio Vichi, pesarese doc (la sua famiglia è originaria del Porto) ma cresciuto a Parigi e rimpatriato ugualmente a causa della guerra. Un incrocio di culture e atmosfere che ha profondamente influenzato la moda di Elsa Macchniz, intessendo i suoi abiti e i suoi colori. Dopo un breve periodo di pratica presso la sartoria di Tina Fiorani, Elsa continua il suo apprendistato nell’atelier di Giuseppina Francolini Magnelli: ma tu cosa pretendi, mi chiese la signora Magnelli quando andai da lei per il colloquio, e io risposi: niente, solo di imparare il mestiere. Ed è proprio quello che è successo, da lei ho imparato il mestiere e di questo ancora le sono grata. Grazie alla sua abilità nell’arte del ricamo, appresa dalla suore di Portorose a Trieste, Elsa salta tutti i passaggi dell’apprendistato, e dopo tre anni e mezzo, decide di lasciare la sua maestra per iniziare l’attività in proprio: nel 1948 può già contare su una base di clienti di circa venticinque famiglie. Nel 1955, a venticinque anni e con un figlio di uno, Elsa Macchniz si reca a Milano, all’Istituto “Marangoni”, a perfezionarsi nel taglio:

è qui che il suo stile già formato troverà quell’apertura verso la moda internazionale che caratterizza le sue creazioni, e che contribuirà a farle guadagnare numerosi premi e riconoscimenti (impossibile citarli tutti, ricordiamo qui solo il prestigioso Oscar della moda “Città di Rimini” vinto nel 1971). A ventisette anni Elsa Macchniz partecipa al suo primo défilé: è l’inizio di una serie ininterrotta di successi, che la porteranno a sfilare in tutta Italia, spesso anche in rappresentanza della nostra provincia e della nostra regione. Molto attiva anche nel settore della formazione, Elsa Macchniz ha collaborato con l’Istituto d’Arte “F. Mengaroni” di Pesaro e, in qualità di “esperta”, con diversi istituti professionali oltre che con la Regione Marche.

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Elsa Macchniz festeggia Sant’Omobono insieme con Giuseppina Francolini Magnelli (la signora vestita di bianco)


Sempre curiosa, si è cimentata inoltre nella conduzione di due programmi televisivi, Eva 78 e Eva oggi, dedicati al mondo delle donne dall’emittente locale Telepesaro; tra i successi di Elsa Macchniz ci sono infine anche due spettacoli teatrali, La Barba del Conte, dalla fiaba di Italo Calvino, musicata da Virgilio Savona (Pesaro - Teatro “G.Rossini”, 1991) e La storia di un povero fantasma, con la scuola media di Villa San Martino (Pesaro). Molto importante è stato per Elsa Macchniz l’impegno all’interno delle associazioni di categoria: tra i suoi incarichi ricordiamo quelli di vicepresidente e poi presidente della Cooperativa artigiana di garanzia, ruoli che ha ricoperto per vent’anni ottenendo importanti risultati; la vicepresidenza del “Gruppo Sarti” di Pesaro, (presidente Console Costantini) e, infine, l’attività svolta come consigliere della Confartigianato e del Consorzio Istruzione Tecnica. (Testimonianze raccolte nel Maggio 2007)

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A sinistra, Pesaro, 16 Luglio 1960. Teatro “G. Rossini”: gli abiti di Elsa Macchniz fotografati al termine della sfilata organizzata dall’Artigianato Provinciale; a destra: uno dei primi abiti realizzati da E. Macchniz. Nella pagina successiva: Alcuni modelli di E. Macchniz realizzati con veri fiori e foglie, per una sfilata a tema floreale; in basso: Elsa Macchniz con Mariolina Cannuli e Silvan


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Nel mio piccolo sono consapevole che, pur vivendo in una cittadina come Pesaro, ho contribuito a tenere alto il nome dell’alta moda italiana nel mondo Elsa Macchniz_Giugno 2007


Anni Cinquanta - Ottanta del ‘900. Sopra, a sinistra: un modello fotografato nella Sartoria di piazzale Collenuccio; a destra: alcuni modelli degli anni Settanta - Ottanta del ‘900 (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Elsa Macchniz, Pesaro)

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Alba Scatassa

Grande lavoratrice, talmente perfezionista da far ritardare le spose all’altare per dare gli ultimi tocchi a un orlo, a una manica o un pizzo, dotata di una fervida creatività che si esprimeva al meglio negli abiti da sera e da sposa e che è ricordata come la sua cifra distintiva: Alba Scatassa ha lasciato un segno forte nella moda pesarese. Le fotografie ce la restituiscono vitale e anche un po’ diva, come tutte le grandi sarte: nata nel 1923, pesarese di Villa Fastiggi, Alba impara il mestiere affiancando in giovane età la madre Giuseppina Bertuccioli Scatassa, anch’ella sarta. Dopo essersi perfezionata presso la Bolognese, Alba Scatassa si mette in proprio nei primi anni Cinquanta, aprendo un laboratorio in via Battelli. Ha dedicato tutta la sua vita alla sartoria, racconta la cognata Bianca Taini Scatassa, e ha continuato a lavorare fino agli ultimi anni. Quando c’erano le consegne più urgenti restavamo in piedi tutta la notte, e Alba chiedeva a noi della famiglia, alle persone più vicine, di darle una mano per finire in tempo. Persino il marito Luigi Pratelli, consapevole di avere al fianco un’artista, si era adeguato ai ritmi di lavoro di Alba, e l’assecondava in tutto. Si teneva aggiornata, anche in età avanzata continuava a documentarsi sulle novità, e quando trasmettevano le sfilate di moda in tv prendeva appunti, disegnava degli schiz-

zi, aggiunge la nipote Anna che, occasionalmente, da ragazza ha fatto da mannequin alla zia. Sempre attenta agli aspetti promozionali del proprio lavoro, Alba Scatassa non perdeva una sfilata, dagli esordi, con il Festival della Moda al Teatro “G. Rossini” alle Rassegne della moda degli anni Settanta - Novanta, insieme con il “Gruppo Sarti”, passando per i défilé al Circolo cittadino. Orgogliosa della propria attività, Alba Scatassa guadagnò nel corso della sua lunga carriera (quasi cinquant’anni) numerosi riconoscimenti, tra i quali i premi vinti nelle due edizioni del Festival della Moda al Teatro “G. Rossini” (1954 - 1955) e il “Diploma d’onore”, conferito dalla rivista Amica alle sarte più votate in un referendum nazionale.

Pesaro, anni Settanta del ‘900, un primo piano di Alba Scatassa

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Tra le creazioni della sartoria anche pellicce e cappelli coordinati, completi da mare e accessori, dei quali Alba Scatassa curava personalmente il disegno. Da sottolineare, specie negli abiti più importanti, la scelta di tessuti di alta moda, acquistati presso le principali case italiane, oltre all’accurata lavorazione delle decorazioni in pietre, paillettes e strass, applicati pazientemente uno a uno secondo disegni preparatori tracciati su carta velina. Per i suoi modelli utilizzava anche dei figurini di grandi atelier, che però personalizzava sempre con qualche modifica, anche per adattarli alle esi-

genze delle clienti, continua Anna: in sartoria c’era sempre un andirivieni di signore che venivano a provare, e io stessa ho ancora qualche abito che mi ha cucito la zia Alba, sono sempre attualissimi, hanno una linea classica ed elegante che li rende senza tempo. Alle clienti forniva un servizio completo, dal tessuto alla personalizzazione dei modelli, con risultati degni degli atelier delle grandi città. Fantasiosa e brillante, Alba Scatassa è ricordata in tutto come un’artista della moda: se le si poteva muovere un appunto, conclude la cognata Bianca, era quello di inseguire la perfezione fino all’ultimo momento, le sue consegne erano al cardiopalma, anche se poi, di fronte al capo finito, tutti restavano meravigliati del risultato; ricordo che una volta una sposa è arrivata in chiesa con un bel po’ di ritardo perché Alba voleva a tutti costi ritoccare l’abito fino agli ultimi minuti prima della cerimonia! (Testimonianze raccolte nel Giugno 2008)

Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Alba Scatassa al lavoro nella sartoria di via Battelli

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In questa pagina, Pesaro, anni Settanta - Ottanta del ‘900. Alcuni modelli di Alba Scatassa fotografati durante una sfilata al Teatro Sperimentale “O. Giansanti” . Nella pagina precedente, sopra: Pesaro, 1968. Due modelli di Alba Scatassa fotografati davanti al Kursaal; sotto: due modelli degli anni Settanta del ‘900. A pagina 273, anni Sessanta - Settanta: due figurini dall’archivio di Alba Scatassa e, sotto, due suoi modelli presentati in una sfilata al Circolo Pesarese (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta della Famiglia Scatassa, Pesaro)

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Pesaro, 24 Giugno 1952. L’interno della Sartoria Nino Buttafarro, in via Giordano Bruno. Aleardo Asdrubali è il ragazzo intento a cucire a destra nella fotografia

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Aleardo Asdrubali

L’attività di Aleardo Asdrubali inizia sotto il segno di una prestigiosa vittoria, il I Premio Assoluto al “Concorso Nazionale Fliselina”, indetto nel 1955 dall’Associazione nazionale dell’abbigliamento su misura e della moda insieme con l’Associazione italiana degli industriali dell’abbigliamento per lanciare un nuovo prodotto, la fliselina, una sorta di tela utilizzata per dare sostegno ai tessuti8. Il premio, consistente in un diploma e in una macchina per cucire Necchi, è solo il primo di una serie di riconoscimenti che il sarto pesarese otterrà nel corso della sua carriera. Primo presidente del “Gruppo Sarti” di Pesaro, esperienza grazie alla quale resterà sempre un punto di riferimento per i suoi colleghi, Asdrubali entrerà nel 1979, nell’Accademia dei Sartori di Roma9 in qualità di membro partecipante e delegato regionale. Ho imparato i primi rudimenti del cucito con mia zia, Emma Asdrubali Falciasecca, che aveva un’attività ben avviata; subito dopo le elementari sono entrato da Antonio Foti, che aveva una sartoria in via Castelfidardo, e ho continuato il mio apprendistato da Nino Buttafarro: il suo laboratorio si affacciava su via Giordano Bruno, ci si conosceva tutti e non è stato difficile crearmi una clientela, così a metà degli anni Cinquanta ho potuto aprire la mia attività in proprio. Dapprima situata in viale Trento, la Sartoria

Asdrubali si trasferisce successivamente nella più spaziosa sede di via Cavallotti: il lavoro era molto, è capitato che alcuni clienti dovessero aspettare mesi prima che potessi soddisfare le loro richieste, continua Asdrubali.

Pesaro, 1945. Aleardo Asdrubali insieme con alcuni colleghi, tra cui Tonino Vichi

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di Pesaro, la sua città), Aleardo Asdrubali chiude la sartoria nel 1999, dopo oltre quarant’anni nei quali ha vestito con occhio attento e mano sicura generazioni di pesaresi. (Testimonianza raccolta nell’Aprile 2008)

Appassionato cultore di storia locale con l’hobby della fotografia (le immagini che illustrano questo capitolo sono ordinate in grandi album, dove le tappe principali della sua carriera si alternano a immagini significative

Luglio 1955. Aleardo Asdrubali vince il I Premio Assoluto al Concorso Nazionale Fliselina. Il concorso fu indetto dall’Associazione nazionale dell’abbigliamento su misura e della moda, insieme con l’Associazione italiana degli industriali dell’abbigliamento. Così recita la motivazione: Giacca di perfette proporzioni e di linea molto netta. L’interno è costituito da un fusto di cammello con toppa di Fliselina 100 applicata in modo semplice e preciso. (...) Il rever e il bordo sono rinforzati da un’unica striscia di Fliselina 50 tra il cammello e la stoffa. L’effetto conseguito con tale ottima lavorazione è ben visibile...

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A destra: Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Aleardo Asdrubali, sempre elegantissimo, posa nel giardino di Villa Letizia, appartenente alla Famiglia Benelli; da notare, sottolinea il sarto, la giacca con i revers molto allungati, caratteristici dello stile dell’epoca; sotto: Febbraio 1963. Una riunione conviviale: insieme con Aleardo Asdrubali si riconoscono Erasmo Pezzodipane, Domenico Ciarrocchi, Sebastiano Buttafarro. Nella pagina seguente, sopra: Pesaro, Teatro Sperimentale “O. Giansanti”, 23 Agosto 1969 e 2 Settembre 1972 i modelli di A. Asdrubali fotografati in due diverse edizioni della Rassegna di Alta Moda; sotto, a sinistra: Pesaro, 14 Maggio 1973. Sfilata del Gruppo Sarti nell’ambito della XIII Mostra del Mobile presso i padiglioni fieristici di Campanara; Pesaro, anni 1980-1990: un completo della Sartoria Asdrubali. (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta di Aleardo Asdrubali, Pesaro)

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Gianfranco Magi

Titolare di una sartoria attiva per circa un tre pensionati, già scarseggiavano i giovani che ventennio, Gianfranco Magi inizia a lavora- volevano imparare il mestiere, e così ho deciso re ad appena undici anni come apprendista di cogliere un’opportunità che mi veniva offerpresso Romano Oliva, nel laboratorio di via- ta in tutt’altro campo. Anche Gianfranco ricorle Cialdini, a Pesaro. Romano Oliva aveva da con simpatia il rapporto creato con i clienti: una sartoria ben avviata, ricorda Gianfranco: dopo un po’ si diventava amici, e passavano da quando rilevò l’attività del collega Sgrignani, me anche solo a far due chiacchiere, come dal in via Gramsci, aveva una decina di dipen- barbiere. denti, più avanti trasferì la sede della sartoria Tra le tappe principali dell’attività di Gianfranin piazzale Collenuccio. co Magi ci sono, negli anni Sessanta - SettanNel 1958 Magi si mette in proprio, nei loca- ta del ‘900, le sfilate insieme con i colleghi del li presso l’abitazione di via Flaminia, proprio “Gruppo Sarti”, alle quali si riferiscono gran di fronte alla centrale telefonica: allora via parte delle immagini di queste pagine. Flaminia era molto meno trafficata, casa mia (Testimonianze raccolte nel Maggio 2008) confinava con i vigneti, e negli anni abbiamo assistito alla trasformazione di questa zona; all’epoca in Piazza Redi c’erano ancora i campi, e anche tutt’intorno, racconta insieme alla moglie Alfonsa. Figlio di una sarta, Anna Livi, che per un lungo periodo collaborerà con lui, Gianfranco Magi chiude la sartoria nel 1975, per dedicarsi a un’altra attività: quando ho deciso di cambiare settore, osserva, si sentivano i primi segni della crisi dell’abito su misura ma il lavoro aveva un buon ritmo, avevo parecchi clienti; però non c’erano prospettive 1971, Ancona, Gianfranco Magi premiato durante l’edizione di quell’anno della di sviluppo: i miei collaboratori erano Giornata della Sartoria 281


Sopra: Gianfranco Magi (il primo da destra nella foto) insieme con alcuni colleghi a Sanremo, durante un’edizione del Festival della Moda (19701975); sotto: Ancona , Giornata della Sartoria 1971. Un capo della Sartoria Gianfranco Magi; a fianco: una giacca in prima prova. Nella pagina seguente: Pesaro, Teatro Sperimentale “O. Giansanti”, 1970 - 1975. Sopra: i modelli di G. Magi fotografati in diverse edizioni della Rassegna di Alta Moda; sotto: foto di gruppo al termine di una sfilata (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta di Gianfranco Magi, Pesaro)

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Bruno Righetti

Bruno Righetti (1932 - 1992) compie il suo apprendistato negli anni Cinquanta, nella sartoria di Orlando Talevi; a metà degli anni Sessanta apre la propria attività, nel laboratorio presso l’abitazione di via Morselli. La nostra clientela è aumentata in poco tempo, si trattava soprattutto di pesaresi, ricorda la moglie Anna Del Grande, sarta ella stessa e fedele collaboratrice del marito. Ho imparato il mestiere da Marina Rossi, continua Anna, che aveva un piccolo laboratorio in via Mazza: quando mi sono sposata con Bruno, ho iniziato ad aiutarlo in sartoria; il lavoro non mancava: la nostra era una sartoria maschile, ma come tutti i sarti per uomo realizzavamo anche tailleurs, giacche e pantaloni da donna. Anche Bruno Righetti prende parte, negli anni Settanta, alle sfilate del “Gruppo sarti”, al Cinema - Teatro Sperimentale “O. Giansanti”; nello stesso periodo, al pari di altri suoi colleghi Righetti decide di affiancare al su misura la vendita di confezioni, per far fronte alla crescente richiesta di abiti prêt-à-porter. Nata nel quartiere di Baia Flaminia, l’attività commerciale di Bruno Righetti prosegue per un breve periodo in via Contramine, prima di trovare

la sua sede definitiva a Palazzo Perticari10, in corso XI Settembre, sotto l’insegna VOG - confezioni. Da allora la sartoria continuerà a funzionare soprattutto per le modifiche agli abiti pronti, intervenendo per migliorarne la vestibilità a seconda delle esigenze dei clienti. Dal 1992 l’attività è continuata dalla moglie e dalla figlia minore del sarto, Nadia Righetti, fino alla cessazione definitiva, nel Giugno 2009, seguita al trasloco da Palazzo Perticari. (Testimonianze raccolte nel Novembre 2009)

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Pesaro, 1990 circa. Un ritratto di Bruno Righetti (raccolta Famiglia Righetti, Pesaro)


Console Costantini

I sartor j’è tutt mez sciaparèl [I sarti sono tutti mezzi matti] Giovanna & Console Costantini_2008

Così, con profondo senso dell’ironia Console Costantini e sua moglie Giovanna riassumono quasi cinquant’anni di attività, segnata da grandi successi che hanno portato l’Atelier Console ai vertici dell’arte sartoriale in Italia e all’estero. Originario di Monteguiduccio, frazione di Montefelcino (Pesaro e Urbino), Console Costantini comincia il suo apprendistato presso un sarto del paese natale trasferendosi poi a Pesaro, presso Raffaele Farina, dove da subito si guadagna il posto di primo lavorante: con Farina sono rimasto dieci anni, ero uno di casa, abitavo con loro e ancora sono in contatto con i suoi figli. Salernitano, Farina è annoverato tra i principali sarti della città nel dopoguerra. Nel 1959 Costantini apre il suo primo atelier in via Rossini; tre anni dopo decide di perfezionarsi nel metodo di taglio presso l’Accademia dei Sartori di Roma, conseguendo al termine dei due anni di corso il Diploma di Maestro tagliatore: il mio maestro era l’abruzzese Ciro

Giuliano, con Caraceni era uno dei due più importanti sarti italiani, tra gli altri aveva vestito anche Mussolina. È l’inizio di una carriera che porterà Costantini a lavorare per importanti personalità internazionali del mondo della televisione, dell’industria e dell’arte: un nome per tutti, Bruno Bruni, il pittore e scultore tedesco d’adozione ma originario della nostra provincia, considerato tra i maggiori esponenti d’arte contemporaneo.

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Ancona, 2000. Console Costantini durante una premiazione


Tuttora in attività, Costantini da circa 35 anni collabora con clienti tedeschi, soprattutto nelle città di Berlino e Francoforte: nonostante negli ultimi tempi abbia rallentato un po’ il ritmo, ho molti clienti in Germania, attualmente servo circa venti-venticinque persone, in passato erano molti di più. Mi sono fatto conoscere grazie al passaparola, e continuo a fare la spola con la Germania un paio di volte al mese. Caratteristica di Console Costantini è proprio questa grande vitalità, grazie alla quale i suoi vestiti sono arrivati in tutto il mondo, da Mosca a Manhattan: per 14 anni l’Atelier Console ha avuto una sede a New York, nei pressi della prestigiosa Madison Avenue. Tra i clienti ho avuto l’onore di annoverare David Nahmad, un gallerista molto noto; ogni due mesi andavamo a Manhattan, a consegnare, ci fermavano quindici giorni

per prendere gli ordini, tornavamo in Italia a realizzare i capi e dopo quarantacinque giorni eravamo di nuovo a New York per le consegne. Ancora oggi lavoro a domicilio, prima presento al cliente i campionari di tessuti, poi torno con l’abito in prova e, infine, per consegnare il capo finito. Un servizio completo, che insieme all’elevatissima qualità della lavorazione ha consentito a Console Costantini di mantenere nel tempo una clientela affezionata, affrontando la crisi del settore senza troppi problemi. Sempre coadiuvato dalla moglie Giovanna, nota tra gli amici come Consolina, Costantini ha partecipato a un gran numero di sfilate (quante non ce lo ricordiamo neanche più, dice Giovanna), prima tra tutte quella svoltasi all’inizio degli anni Sessanta del ‘900 al Casinò de la Vallée di Saint-Vincent.

Saint Vincent, Casinò de la Vallée, 1960 circa. La prima sfilata dell’Atelier Console; sopra: foto di gruppo al termine della sfilata. Nella pagina seguente, sopra: Console Costantini insieme a Otis Redding; Giovanna Costantini insieme a Ricky Gianco; sotto: Otis Redding (foto Palopoli e foto Dall’Acqua, Torino)

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Poi... poi c’è da dire che io ho la malattia dei tessuti, aggiunge Console di fronte a una selezione di pezze di cachemire che occhieggia dagli scaffali del laboratorio di via Gramsci, attuale sede della sartoria; sono soprattutto tessuti da uomo, ma nel mio atelier ho sempre confezionato anche giacche, pantaloni e abiti classici da donna, anzi, ho ancora qualche cliente che preferisce farsi realizzare le giacche da me, come una volta. Vincitore di numerosi premi, Costantini ha ricoperto anche diversi incarichi all’interno delle associazioni di sarti: negli anni Settanta del ‘900 membro del Consiglio direttivo del Festival della Moda di Sanremo, è stato presidente del “Gruppo Sarti” di Pesaro e di altre associazioni marchigiane; nel 1972 gli è stata conferita la medaglia d’oro della Fondazione Maestrelli di Milano (rubata dal quadro dove la conservavo, ricorda mostrando lo strappo nell’attestato). Per finire, una nota curiosa: devo il mio nome al regime fascista, racconta divertito il sarto, quando sono nato, nel 1935, alle madri di due gemelli veniva corrisposto un assegno

cospicuo, che era consegnato dal Federale insieme ai nomi scelti direttamente da Roma, così io all’anagrafe sono Consolo, mentre il mio fratello gemello, purtroppo scomparso in giovane età, si chiamava Canzio, due nomi legati alla classicità latina. Canzio, in ricordo dello zio, è anche il nome di uno dei figli di Giovanna e Console, attualmente dirigente per il Sud-est asiatico di una grossa industria del riminese; l’altra figlia, Cristina, ha invece seguito le orme paterne, lavorando a lungo come stilista presso Missoni, Krizia, Rena Lange a Monaco, Calvin Klein a New York e, infine, Dolce & Gabbana a Milano. (Testimonianze raccolte nel Maggio 2008)

A destra: Saint Vincent, Casinò de la Vallée, 1960 circa. Un modello dell’atelier Console. Nella pagina seguente, sopra: Londra, 1972. Console insieme con Mario Cagna, titolare della ditta di tessuti Scotland house (foto Mossotti, Milano); sotto: alcuni capi realizzati tra il 1970 e il 1975 fotografati nell’atelier di via Rossini (foto G. Pandolfi) (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Console Costantini, Pesaro)

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Console Costantini e Renato Tonucci Insomma, la mia vita è un libro, conclude Console mentre, ancora una volta aiutato dalla moglie Giovanna, dà gli ultimi tocchi a una giacca, discutendo sui tipi di crine per infustire i tessuti e sulla loro resa. Su Console Costantini ci fermiamo qui: insieme a lui dedichiamo queste ultime righe a uno dei suoi colleghi, Renato Tonucci, grande amico di Console e suo collega.

Tra tutti noi era il migliore, ecco cosa si può dire di Renato. Lo ricordo con molto affetto. Con Marcello [Sili] e Renato eravamo proprio amici, quasi un gruppetto a parte, ci scambiavamo i modelli e ci passavamo consigli, una cosa piuttosto rara in questo ambiente. Gran lavoratore, me lo ricordo come una specie di mascotte del gruppo, era buffo con i suoi baffoni e le camicie colorate, aveva una vena poetica che sbucava nei momenti più inaspettati. Ed era una persona di una profonda umanità, sanguigno, vivace, con un cuore grande così. Renato sarebbe contento che si ricordasse di lui anche la passione per la pallacanestro: nel 1988, proprio per festeggiare la vittoria nel campionato della sua squadra del cuore, la Scavolini, Tonucci si tagliò i baffi chilometrici, che erano un po’ il suo marchio di fabbrica, e oggi c’è un club di tifosi che porta il suo nome.

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Marcello Sili

gini della sua famiglia e di quella del marito Marcello, in un intreccio tra Pesaro e la Svizzera che davvero basterebbe da solo a riempire le pagine di un romanzo: in molte di esse compaiono anche le collaboratrici di Sili, tra le quali Rita Innocenti e Ivana Battilana, ‘storiche’ colonne della sartoria che con i loro ricordi hanno contribuito a comporre queste pagine. Grande tifoso di pallacanestro, passione che condivideva con il collega Renato Tonucci, Marcello Sili ha animato con le sue creazioni sempre à la page le iniziative del “Gruppo Sarti”, dalle sfilate pesaresi a quelle di Sanremo; anche per Sili, il ‘testimone’ della passione per la moda è stato raccolto dalla figlia Vanessa, che lavora per una tra le principali stiliste italiane. (Testimonianza raccolta nel Giugno 2008)

I colleghi lo ricordano con un sorriso, e la sua verve traspare anche dalle fotografie, dove sin da giovanissimo esibisce un’aria scanzonata e giocosa: allegro ma impeccabile nell’attività lavorativa, Marcello Sili (1931 -1990) è stato per circa trent’anni uno dei più attivi sarti pesaresi. Era molto allegro, conferma la moglie Rosetta Mueller, ma anche molto serio nel suo lavoro: ha iniziato come apprendista da suo zio, il sarto Guido Curina, nel laboratorio di via Petrucci 30; a diciotto anni è andato a Roma, dove ha lavorato fino al 1963 per uno dei principali atelier della città, e contemporaneamente ha frequentato la scuola di taglio Accademia, per perfezionarsi. Poi è tornato a Pesaro, e ha rilevato la sartoria dello zio. Anche il nonno materno era sarto, continua Rosetta, e così sua madre, Elvira Ricci, che ha aiutato Marcello nel suo lavoro per molto tempo. Del resto anch’io, nei momenti liberi ho dato una mano a mio marito in sartoria, aggiunge Rosetta, a lungo impegnata nel settore del turismo. Creativa, amante degli animali, Rosetta Sili Mueller è di origine svizzera, e vive tra readymade e quadri da lei stessa realizzati, insieme con la gatta Mitzi, fascinosa trovatella persiana (ma il suo piccolo zoo comprende anche cani, tartarughe e una capretta). La sua passione per le storie di famiglia è contagiosa, e si esprime in grandi album dove sono raccolte le imma-

Roma, 1955 - 1963. Marcello Sili al Colosseo

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Sopra: Gita di sarti e sarte per Sant’Omobono, anni Sessanta - Settanta del ‘900. Eravamo dei gruppi molto numerosi, ricorda Rita Innocenti, per dodici anni collaboratrice di Marcello Sili, e le gite erano organizzate da padre Gambini della parrocchia di San Pietro (Villa Fastiggi); a destra: Guido Curina (1889-1977), zio di Marcello Sili e suo maestro. Guido che lavorò anche come sarto teatrale per il Teatro “G. Rossini”, era figlio di Ermete, la cui sartoria risulta attiva già nel 1911. Nella pagina precedente, sopra: Pesaro, anni Settanta del ‘900. La Sartoria Sili al completo, riunita per il matrimonio di Ivana, collaboratrice di Marcello Sili. Nella foto, da sinistra: Elvira Ricci, madre di Marcello; Rosetta Sili Mueller, Marcello Sili; Ivana Battilana e il marito Claudio Gasparri; Anna Bellini, Rita Innocenti e suo marito Walter; sotto: Pesaro, anni Settanta - Ottanta del ‘900. Due modelli di Marcello Sili presentati nell’edizione 1971 della Rassegna della Moda su Misura svoltasi al Teatro Sperimentale “O. Giansanti” e un modello del 1989, insieme con un abito di Mina Forlani. Nella pagina seguente: Pesaro Teatro Sperimentale “O. Giansanti”, Settembre 1971. Marcello Sili, Francesco Camilli e Renato Tonucci (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Rosetta Sili Mueller, Pesaro)

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Francesco e Gabriele Camilli

Originari di Pedaso, in provincia di Ascoli Pi- proprio album molte immagini: con alcuni ceno, Francesco e Gabriele Camilli fondano dei miei colleghi si è instaurato negli anni un nel 1959 la Sartoria Camilli, pochi anni dopo il rapporto di vera e propria amicizia, continua, loro arrivo a Pesaro. Gabriele ha già lavorato e posso affermare che tra noi c’era una bella per un anno con un sarto della città natale e armonia, tanto che ancora oggi continuiamo ha proseguito il proprio apprendistato con Or- a ritrovarci due o tre volte l’anno, quasi come lando Talevi, in corso XI Settembre: in sartoria in famiglia. si occuperà soprattutto della lavorazione dei Come per tutti i sarti che abbiamo incontrato, capi, mentre Francesco si dedicherà, sempre anche per Gabriele Camilli il lavoro è stata la insieme a Gabriele, alle pubbliche relazioni e passione di una vita: era un’attività molto imai contatti con clienti e fornitori, impegno par- pegnativa, figurarsi che mi sono tagliato e cuticolarmente pressante durante i periodi delle cito io stesso il completo da sposo, lavorando sfilate, sia a Pesaro sia fuori provincia. L’attività dei Fratelli Camilli segue da vicino lo sviluppo della località di Borgo Santa Maria, tra Pesaro e Tavullia, dove la sartoria ha avuto sede dal 1963 fino alla chiusura, avvenuta negli anni Novanta del ‘900: la nostra fu la seconda casa costruita a Borgo Santa Maria, racconta Gabriele, e quando i suoi locali divennero troppo piccoli per ospitare l’attività, ci trasferimmo nella nuova sede all’interno del centro commerciale della zona. Molto legato ai colleghi del “Gruppo Sarti”, Gabriele Camilli ricorda con piacere i momenti conviviaSanremo, primi anni Ottanta del ‘900. Francesco Camilli (1939-1987) li, dalle gite agli incontri per Saninsieme con il collega Renato Tonucci in una fotografia scattata durante un’edizione del Festival della Moda t’Omobono, dei quali conserva nel 295


la notte prima del matrimonio fino alle quattro di mattina. Quando poi si partecipava alle sfilate o si otteneva qualche riconoscimento la soddisfazione ripagava di tutte le fatiche e le notti in bianco… Se guarda le fotografie delle feste di famiglia, comunioni, cresime, matri-

moni, noi abbiamo sempre l’aria stanca, perché non c’era occasione in cui non tirassimo tardi per finire qualche abito, aggiungono Vittoria e Maria, mogli rispettivamente di Francesco e Gabriele. (Testimonianze raccolte nel Maggio 2008)

A destra: con questo completo la Sartoria Fratelli Camilli vinse nel 1977 il II premio al Concorso nazionale Gran Premio Amilcare Minnucci, intitolato al celebre sarto fondatore dell’Accademia dei Sartori di Roma. Fu mio fratello Francesco che prese parte alla sfilata finale, a Roma, racconta Gabriele; il tessuto ci fu spedito dagli organizzatori del concorso, si fecero due prove dell’abito, una a Pesaro e una a Roma, prima della serata finale della sfilata e della premiazione. Nella pagina seguente: Pesaro, anni Settanta del ‘900: alcuni capi della Sartoria Fratelli Camilli dalle sfilate organizzate al Teatro Sperimentale “O. Giansanti” di Pesaro dal “Gruppo Sarti” (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Famiglia Camilli, Pesaro)

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Sembra quasi l’inizio di una favola, invece stiamo entrando in un mondo magico: l’atelier, la sartoria, un ambiente particolare dove si vive, si crea, si sogna e il sogno diventa realtà. La creazione di abiti sartoriali richiede preparazione manuale specifica, creatività, fantasia, spirito d’iniziativa perché ogni abito su misura deve essere personalizzato e studiato accuratamente per ogni figura, in special modo gli abiti da sposa che devono rispecchiare la personalità di chi li indossa ma devono anche essere attuali, seguire il trend stagionale ed esaltare la bellezza della sposa. I nostri abiti sono realizzati con tessuti preziosi che con artigianale cura e tanto amore diventano opere d’arte... arte da indossare Mina Forlani_1995

A sinistra: un modello degli anni Ottanta - Novanta del ‘900 fotografato in sartoria; a destra: Pesaro, Teatro Sperimentale “O. Giansanti”, 1980. Rassegna di Alta Moda, un modello da sposa presentato dalla Sartoria Mina Forlani

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Mina Forlani

Da piccola tutte le mie amiche mi portavano le bambole da vestire, ho sempre pensato che avrei fatto la sarta, e a tredici anni ho cominciato a lavorare, entrando come apprendista da Domenica Fabbri. Sorridente e gentile, di Mina Forlani, sarta tra le più rinomate della città, ci piace sottolineare subito l’entusiasmo con cui ci ha aiutato a ricostruire il tessuto di relazioni che ancora oggi unisce i protagonisti dell’arte sartoriale pesarese. Noi del “Gruppo Sarti” siamo rimasti molto legati anche dopo che molti hanno cessato l’attività, aggiunge Mina, e anche con i nostri maestri c’è un’amicizia, un affetto che dura nel tempo: ci sentiamo per le feste, ci ritroviamo insieme ogni anno, per Sant’Omobono o in altre occasioni, insomma, è un po’ come se fossimo una famiglia. Dopo l’esperienza nella sartoria di Domenica Fabbri, dove lavora per circa sei anni durante i quali apprende dalla maestra i segreti di un’eleganza raffinata e originale, fatta di dettagli particolari e mai sopra le righe, Mina Forlani apre la propria attività negli anni Sessanta del ‘900 in via Barignani, dove rimane fino al 1976. Appena sposata Mina trasferisce la sartoria nello stesso edificio dell’abitazione, in via Ugolini, a pochi passi dalla chiesa di Santa Maria di Loreto, usufruendo della spaziosa mansarda che si affaccia sul balcone colorato di fiori, una delle sue passioni insieme con la cucina.

Pesarese, nota specialmente per i suoi abiti da sposa da sogno, Mina è stata in realtà molto più che una sarta, inventandosi un ruolo di wedding planner ante litteram: ho vestito centinaia di spose, e tutte le ho accompagnate fino al giorno del matrimonio, scegliendo con loro accessori, addobbo della chiesa e bouquet; prima della cerimonia andavo a vestirle personalmente, mi piaceva seguire tutti gli aspetti dell’evento, in modo che tutto fosse coordinato. Uno stile che si ritrova anche in un’attenzione all’immagine davvero da grande atelier: etichette, grucce e custodie per gli abiti, tutto recava il marchio della sartoria, in una ricerca della perfezione che corrisponde alla passione per i ricami e i dettagli minuziosamente realizzati, cifra distintiva degli abiti di Mina Forlani. Da ricordare infatti la lavorazione del pizzo, Pesaro, anni Novanta del ‘900: MIna delicata fase che Forlani al termine di una sfilata

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non prevede cuciture a macchina, e che Mina non ha mai delegato alle assistenti, curando in prima persona i tagli e gli incastri. Quasi sempre ricamavo io anche le applicazioni di perline, un lavoro paziente e molto lungo, ripagato però dalla gratificazione di vedere il capo finito indossato dalla sposa. Da ricordare anche, a testimonianza di un sapere artigianale tramandato da maestra ad apprendista, la modalità di lavoro dell’alta moda, alle quali Mina è rimasta fedele: prima creavo il modello in carta sul manichino, poi lo riproducevo in tela, e solo alla fine procedevo al taglio dell’abito nel tessuto definitivo. Mi piaceva drappeggiare i tessuti sul manichino, ma spesso utilizzavo anche i modelli originali dei grandi atelier. Un metodo padroneggiato da

un numero sempre più esiguo di persone, che rischia di scomparire per sempre, come Mina già notava diversi anni fa: ora [1995] il nostro settore sta attraversando una crisi di ricambio generazionale perché per imparare il nostro lavoro ci vogliono tempi molto lunghi, molto spirito di sacrificio e tanta pazienza11. Presente per oltre trent’anni alle sfilate del “Gruppo Sarti”, Mina Forlani ne ha seguito anche gli aspetti organizzativi, ricoprendo diversi incarichi nelle associazioni di categoria e nella Cooperativa Artigiana di Garanzia, attività che le sono valse anche numerosi attestati e riconoscimenti. (Testimonianza raccolta tra il Maggio e il Giugno 2008)

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In questa pagina, Pesaro, Piazza del Popolo 1989 - 1990. Alcuni modelli di Mina Forlani presentati durante le sfilate del “Gruppo Sarti”: sopra, un abito da sposa e un abito da sera con gonna in taffetà viola/rosso; a destra un abito da cerimonia in raso di seta rosa e nero: la doppia gonna è caratterizzata da impunture, mentre la manica del corpino è impreziosita da incrostazioni di strass e perle. Nella pagina precedente, da sinistra: figurino di Marina Marchetti per la sartoria Mina Forlani; Le Mariage, edizione 1995 (supplemento a La Fiera del 22 Gennaio 1995); lo stesso abito durante una sfilata (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Mina Forlani, Pesaro)

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Piero Battisti

Dopo l’apprendistato svolto presso tre dei più conosciuti sarti della città, Tonino Vichi, Domenico Ciarrocchi e Raffaele Garattoni, Piero Battisti (1938) apre la propria sartoria nei primi anni Sessanta del ‘900. Il suo laboratorio, nel quartiere di Soria, sarà in funzione fino

al 1975, anno in cui Battisti decide di cessare l’attività, che come quella di molti colleghi cominciava a risentire della sempre maggior diffusione della moda pronta. (Testimonianza raccolta tra l’Aprile e il Maggio 2007)

Le immagini di queste pagine si riferiscono ad alcune delle sfilate alle quali Piero Battisti ha preso parte insieme con il “Gruppo Sarti” negli anni Settanta, al Teatro Sperimentale “O. Giansanti” e presso i padiglioni fieristici di Campanara; nella pagina precedente, il bimbo che sfila con aria perplessa è Riccardo Battisti il figlio di Piero (raccolta Piero Battisti, Pesaro)

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Sanremo, anni Ottanta del ‘900. Festival della Moda: quattro modelli della Sartoria FiorĂ

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Romeo Fiorà

Nato a Giulianova (Teramo), Romeo Fiorà comincia nel 1950, a soli 12 anni, il suo apprendistato presso una sartoria della sua città. Perfezionatosi prima in una Pescara devastata dalla guerra poi a Milano, durante il periodo della leva e infine a Roma, Fiorà ricorda così i suoi inizi: all’epoca era una prassi costante quella di frequentare più di una sartoria, per acquisire i diversi metodi di taglio; nei laboratori di provincia sin da piccoli ci si abituava a vedere le prove degli abiti, seguendone tutte le fasi della lavorazione, era un’ottima scuola, anche perché nei grandi atelier difficilmente ci si poteva occupare di più di un aspetto della realizzazione dei capi. Nel 1963 Fiorà si stabilisce a Pesaro, e pochi mesi dopo il suo arrivo apre la propria attività, coadiuvato da un collega: ho iniziato quasi casualmente, con una clientela di amici, grazie al passaparola. Devo dire che all’epoca i sarti erano molti, c’era una concorrenza agguerrita e sulle prime ho un po’ faticato a integrarmi nel contesto pesarese; poi, però, non ho più incontrato difficoltà. La prima sede della Sartoria Fiorà è in via Mazza; nel 1971 l’attività, di cui nel frattempo Fiorà è diventato l’unico titolare, si sposta in corso XI Settembre 101: provvisoriamente, continua il sarto, perché i tre piani di scale sembravano poco agevoli per i clienti… in realtà sono rimasto qui per più di quarant’anni!

Anche tra i ricordi di Romeo Fiorà occupa un posto di riguardo l’esperienza del “Gruppo Sarti”, nel quale entra dal 1972 - ’73, diventandone negli anni Novanta anche presidente. Erano nottate di lavoro, per completare i capi destinati alle sfilate: il primo appuntamento importante dell’anno era il Festival della Moda di Sanremo, dove ogni sartoria inviava

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1980, Concorso nazionale Amilcare Minnucci. Il completo presentato dalla Sartoria Fiorà, realizzato con tessuto Adam della ditta Ermenegildo Zegna


quattro capi; subito dopo, in Agosto-Settembre c’era Marche producono, che era nata come Pesaro produce: siamo arrivati ad avere mille spettatori a sera, sia da Pesaro sia da altre località, ogni sera si organizzava una sfilata alla quale prendevano parte tutti i sarti e le sarte del Gruppo. La stagione autunnale si concludeva con le sfilate allo Sperimentale e in Piazza, le Rassegne della Moda Adriatica su misura, che erano un altro appuntamento molto atteso da tutta la città.

Provetto cuoco (tuttora cucina le sue specialità di pesce per i colleghi-amici), Romeo Fiorà ha portato a Pesaro, insieme con Nicola D’Amario, la tradizione sartoriale abruzzese, nota in tutto il mondo; infaticabile organizzatore di iniziative a sostegno della categoria come di occasioni conviviali, Fiorà ha lavorato per qualche tempo insieme con la figlia Giorgia che, cresciuta in sartoria, si avvale nella sua attuale attività dei segreti imparati presso il laboratorio paterno. (Testimonianza raccolta nel Maggio 2008)

Pesaro, anni Ottanta - Novanta del ‘900. Piazza del Popolo, alcuni modelli della Sartoria Fiorà presentati durante le sfilate del “Gruppo Sarti”. Da sinistra: uno spezzato con giacca in seta grigia; un completo in seta bordeaux e uno spezzato con blazer bordeaux e pantaloni blu; un tailleur in tessuto gessato largo e un completo composto da abito più giacca (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Romeo Fiorà, Pesaro)

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Rosalia Canarini

Originaria di Frontone (Pesaro e Urbino), Rosalia Canarini è stata per dodici anni titolare della Sartoria Rosi, con sede a Pesaro in via A. Costa. Trasferitasi a Pesaro nel 1971, Rosalia ha appreso sin da giovanissima le basi del taglio e cucito presso una sarta del suo paese, seguendo il consueto iter artigianale; dopo una lunga esperienza come collaboratrice di Alba Scatassa apre nel 1981 l’attività in proprio, che porterà avanti fino al 1993, anno in cui decide di dedicarsi completamente alla famiglia. Poco incline ad apparire, Rosalia preferisce lasciar parlare le proprie creazioni, abiti da sposa e da sera soprattutto, nei quali si riconosce la lezione della sua maestra: alla Scatassa devo tutto, dice, è lei che ha risvegliato la mia creatività, che mi ha fatto venir voglia di mettermi in proprio; sin da piccola il mondo della moda mi affascinava, quello della sarta è un lavoro che ho sempre sentito dentro, e ho avuto la fortuna di incontrare questa persona che ha saputo farmi amare la sartoria, nonostante la fatica, le nottate in piedi per consegnare puntualmente. Penso che anche i miei modelli si siano evoluti dopo l’incontro con Alba Scatassa. Da segnalare la stretta collaborazione con la figlia Maria Teresa Caprini che della Sartoria

Rosi è stata, come dice Rosalia, l’anima creativa: mia figlia disegnava ed elaborava i modelli, forte anche della sua formazione all’Istituto d’Arte “F. Mengaroni” di Pesaro; alla chiusura dell’attività abbiamo lavorato insieme nella sartoria del Teatro Rossini, e dopo altre esperienze nel settore della moda, tra cui la realizzazione di campionari per l’industria e la mostra Concetto moda, anche Maria Teresa ha deciso di fare la mamma a tempo pieno. (Testimonianza raccolta tra il Maggio e il Giugno 2008)

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Rosalia Canarini in una recente immagine


In queste pagine: Pesaro, anni Ottanta - Novanta del ‘900. Alcuni modelli della Sartoria Rosi. Sopra: due abiti da sera, presentati durante una sďŹ lata in piazza del Popolo. Nella pagina seguente, abiti da sposa: sopra, a sinistra un modello con gonna corta bordata di raso di seta applicato su organza di seta; a destra: un abito caratterizzato da un corpetto interamente decorato con applicazioni di rose in tessuto; sotto: due modelli di linea classica (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Rosalia Canarini)

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Pesaro, 1967 - 1970. Alcuni modelli di giubartó sfilano all’Hôtel Spiaggia, sfilate 1967 - 1970

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giubartó

Artista dalle molteplici sfumature, fieramente eccentrico, schietto fino alla provocazione e acutissimo nel captare stili e tendenze, giubartó (nom de plume di Giuliano Bartoloni) è senz’altro uno dei più versatili creatori di moda pesaresi. Dalla sua casa-bottega di via del Fallo, una vera galleria d’arte che ospita opere di Arnaldo Pomodoro, Nino Naponelli, Luigi Carboni, sono passati alcuni tra i più importanti personaggi dello spettacolo e della cultura italiana, da Paolo Poli a Giorgio Gaber, fino agli amici carissimi Paolo Bordoni, pianista e la regista Giuliana Gamba; le attrici Anna Bonaiuto e Manuela Kustermann, Francesco Guccini e Memè Perlini, protagonista del teatro italiano, per citarne solo alcuni: un milieu che ha senz’altro contribuito ad ampliare le potenzialità espressive di giubartó il quale, dopo una vita tra forbici e tessuti, si dedica attualmente alla pittura e alla scrittura di testi teatrali. (P.S. Anche il nome giubartó, che ha siglato in tutte minuscole una vita ricca e piena, come dice lui stesso vissuta all’insegna della consapevolezza, ha una storia da raccontare: qui diciamo solo che è stato scelto da Luciano Beretta, uno dei più grandi parolieri italiani, autore tra l’altro del testo de Il ragazzo della via Gluck). La mia carriera nel mondo della moda è iniziata nel 1967, dopo cinque anni trascorsi

come correttore di bozze presso la Arti Grafiche Federici, ricorda Giuliano, che si è formato presso una nota sartoria romana: la mattina lavoravo nell’atelier, il pomeriggio in libreria,

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Un ritratto di giubartó realizzato dal fotografo Roberto Angelotti (gli interventi pittorici sulla fotografia sono di Francesco Bruscia)


fino a quando i titolari della sartoria si sono trasferiti a Parigi e io ho deciso di ritornare a Pesaro, a mettere in pratica nella mia città quello che avevo imparato. Insieme con la stilista Laura Angelini, con la quale collaborerà fino al 1970, giubartó apre nel 1967 un laboratorio in via Petrucci; successivamente la sua attività si trasferirà a Palazzo Baviera (di quegli anni ricordo con affetto le partite a carte nell’osteria della Guercia, un luogo pieno di poesia, dove ho visto i protagonisti di una Pesaro che non c’è più) e quindi, nel 1980, nella definitiva sede di via del Fallo. La moda è sempre stata il mio sogno, continua giubartó: da piccolo realizzavo con mia cugina gli abiti di carta per le nostre recite di bambini, che scrivevo io stesso: mi piaceva

creare i costumi e recitare le storie. Sono cresciuto amando Roberto Capucci, da sempre il massimo artista che si possa trovare nel campo della creatività della moda. Gli altri stilisti bravi, alcuni speciali ma mai Capucci. I suoi abiti sono nei più importanti musei del mondo come opere d’arte senza tempo. Che emozione rivederli! Nella mia casa-bottega sono passati grandi artisti nel campo delle lettere, arti, musica; amici, alcuni, che poi sono diventati anche clienti: moda, pittura, scrittura, musica, tanti momenti della mia vita, vissuti con persone importantissime che hanno arricchito la mia casa attraversando la mia storia - conclude giubartó. (Testimonianza raccolta tra il Maggio e il Giugno 2008)

Sopra: Pesaro, Agosto 1969. Sfilate al Teatro “Sperimentale”, alcuni modelli di giubartó. Nella pagina seguente: il periodo da indossatore, giubartó indossa un’opera del pittore Carlo Naglia

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Tornando indietro nei quarant’anni di attività (chiusa nel 2000), non posso dimenticarmi di persone che saltuariamente hanno collaborato con me condividendo il mio percorso artistico, e non sono solo dei nomi che affiorano… Paola, Gemma, Giuseppina, Ercolina, due Anite (grandi ricamatrici), Iside che sferruzzava tutto il giorno, Donna Maria (camiciaia storica morta a 100 anni) e Lina sua allieva, con la quale ho collaborato di più e più a lungo con armonia e rispetto. Non posso non citare agli inizi del mio viaggio nella moda Laura Angelini (la ‘mitica’ Lauretta for giubartó), versatile stilista con la quale ho passato tre anni di intenso lavoro, bravissima collaboratrice e amica-nemica che avendo prospettive allettanti da figurinista volante lasciò il

sodalizio da noi creato nel 1967, perché come artisti emergenti facevamo la fame. E se non ci fosse stato mio padre a sovvenzionare il tutto, avremmo aperto e chiuso. Come da copione. E Gabriella Pandolfi, pittrice eclettica con la quale ho collaborato negli anni Novanta con défilé di abiti, top, maglie e camicie dipinti totalmente a mano. E di lei ho un bellissimo quadro di due metri che rappresenta il mio atelier, sul soffitto, vicino a uno di Memè Perlini. Questi personaggi che hanno circondato la mia vita di creatore io li ho sempre chiamati gli “artigiani del tempo perso”, perché molti di loro lavoravano dieci-dodici ore al giorno sommersi tra altri lavori e famiglie allargate. Altri lavori perché l’artigianato puro non pagava e non paga: grandi soddisfazioni e pochissimi soldi. E’ finita quell’epoca! Negli anni Sessanta si respirava quell’aria, quella creatività, quella bellezza. Poi con l’avvento delle macchine che “fanno quasi tutto” si è perduta l’anima dell’uomo e la sua potenzialità. Penso alla mia vecchia Singer a pedale, che cuciture meravigliose! Si è snaturato tutto, poco mi entusiasma ora, tutto è più facile qualche volta inutile. Questi artigiani del tempo perso sono scomparsi, estinti come i dinosauri, non ci sono più botteghe con i loro caratteristici mestieri e c’è un grande rimpianto di quelli che come me hanno collaborato con loro. E’ finita un’epoca, dicevo. Gli anni Sessanta - Settanta sono evaporati al sole della modernità, lasciandoci orfani di un patrimonio irripetibile e ripensando con tenerezza e nostalgia a tutto questo mi sento enormemente fortunato di averne fatto parte giubartó_2008

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Le foto che vedete (anni Sessanta del ‘900) illustrano abiti fatti a mano (sferruzzati) o abiti di sartoria, ma dietro la doppia esecuzione c’era un lavoro enorme: le lane filate a mano in Ciociaria (noi le ordinavamo di pecore nere e bianche e relativi mélange; le lavavamo con acqua calda e lisciva, per eliminare l’olio con cui venivamo intrise nella lavorazione, e le facevamo tessere a Roma a mano); i tessuti venivano confezionati in sartoria secondo i nostri modelli (parlo al plurale perché c’era anche Lauretta [Angelini]). Gli abiti di seta pura li facevamo a batik con diversi bagni o ricamati a mano. Artigianato puro, molto dificile da capire nella nostra provincia, allora nel 1967 al primo défilé e anche dopo. Successo di critica, ma non molto di pubblico - giubartó, Maggio_2008

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Pesaro, Piazza del Popolo, anni Novanta del ‘900. Una serie di abiti dipinti a mano (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta giubartĂł, Pesaro)

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1 Bianca Maria Casoni, mezzosoprano, ha debuttato nel 1955: grande interprete rossiniana (al suo attivo oltre quattrocento recite del Barbiere di Siviglia, oltre a diverse edizioni de La Cenerentola e L’Italiana in Algeri), è passata nella seconda fase della sua carriera a un repertorio romantico; nel 1982 si è ritirata dalle scene per dedicarsi all’insegnamento (cfr. D. Dylan Pestalozza, Una vita nel mondo dell’opera – intervista a Bianca Maria Casoni, da http://www.deagostiniedicola.it/frontend/articolo.asp?artcat=6&artID=1033; 11 Novembre 2009, ore 9.00). 2 Giuseppe Patanè (1932 - 1989), napoletano, direttore d’orchestra. Tra le sue più note incisioni, tratte in gran parte da esecuzioni dal vivo, si ricordano opere novecentesche come il Mefistofele di A. Boito (Sony, 2006), il Trittico di G. Puccini, con L. Popp (RCA, 1987), Iris di P. Mascagni con P. Domingo (Sony, 2006) ma anche capolavori verdiani tra i quali la Messa da Requiem (Berlin classics, 2008) o La forza del destino (Myto, 1998) e rossiniani come Il Barbiere di Siviglia con L. Nucci e C. Bartoli nei ruoli principali (Decca, 1988). 3 Palazzo Baviera o ‘della Paggeria’ fu fatto costruire nel XVI secolo da Guidubaldo II Della Rovere (1514 - 1574) per alloggiarvi i dipendenti della propria corte. Pressoché immune da rifacimenti e interventi posteriori, la facciata è opera di Filippo Testi, autore della parte più antica dell’edificio, e di Niccolò Sabbatini, che per volere del duca Francesco Maria II (1549 - 1631) aggiunse al palazzo una nuova ala. Alla morte di Francesco Maria II, con la devoluzione del ducato roveresco allo Stato Pontificio, il palazzo tornò all’antico proprietario dell’area, l’Ospedale San Salvatore, che lo vendette successivamente ai marchesi Baviera (da http://www.comune.pesaro.pu.it/index.php?id=441; 13 Novembre 2009, ore 10.25). 4 La scuola Salus et Gratia, una delle prime nate in Italia, fu riconosciuta nel 1957 dal Ministero della Pubblica Istruzione (cfr. http://www. salusetgratia.org/la_storia.htm; 10 Novembre 2009, ore 12.35). 5 Tra gli edifici più antichi della città, Palazzo Fronzi (Casa Michetti - Mancini) si trova all’angolo tra via G. Branca e via E. L. Morselli. Fu fatto costruire tra il 1523 ed il 1525 dal mercante di stoffe di origine dalmata Lorenzo Fronzi, il cui nome compare nel fregio con stemma sul portale d’ingresso, attraverso il quale si accede al bel giardino interno (cfr. http://www.comune.pesaro.pu.it/index.php?id=455; 10 Novembre 2009, ore 12.00 e D. Trebbi - B. Ciampichetti, Pesaro, storia di una città, Pesaro 1984, pp. 132 - 133).

Meuccia Salvaterra creò nell’entroterra pesarese, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del ‘900, una rete di laboratori artigianali per la produzione di maglieria, destinata alle grandi ditte della zona di Carpi (Modena). Innumerevoli magliaie si sono formate e hanno avviato la loro attività in seguito a quest’esperienza. 6

Ivan Paris, La nascita della Camera Nazionale della Moda Italiana e il suo ruolo nello sviluppo del Sistema Italiano della Moda, in Balbi sei, Rivista digitale e on-line del Dipartimento di storia moderna e contemporanea Università degli Studi di Genova, n. 0 del 2004, da http://www. balbisei.unige.it/Paris.pdf; 25 Maggio 2008, ore 14.15. Per una documentatissima e dettagliata storia della moda pronta in Italia rimandiamo al volume dello stesso Ivan Paris Oggetti cuciti - l’abbigliamento pronto in Italia dal primo dopoguerra agli anni 70, Milano 2006. 7

Tessuto non tessuto, privo cioè dei tradizionali elementi di ordito e trama, costruito con fibre artificiali e sintetiche. Di aspetto simile al feltro, ma molto più sottile e leggero, può avere consistenza molto rigida. Fliselina è in realtà, il nome commerciale di un prodotto della ditta tedesca Freudenberg, anche se ormai è esteso a tutte le stoffe con uguali caratteristiche. Esiste anche in versione termoadesiva, come elemento di rinforzo nell’abbigliamento (Fliselina, da http://dellamoda.it/dizionario_della_moda/f/fliselina.php; 15 Giugno 2008, 15.15). 9 L’Accademia Nazionale dei Sartori nasce dall’Antica Università dei Sartori che fu fondata a Roma per volontà del Papa Gregorio XIII nel 1575. La sua prima sede era in via della Consolazione, vicino al Campidoglio, dove sorgeva la Chiesa di S. Omobono, tuttora esistente e luogo di culto dei sarti. L’edificio fu più volte distrutto e ricostruito subendo numerosi restauri. Nel 1574 la chiesa di S. Omobono venne concessa come sede sociale e religiosa alla corporazione. L’Università dei Sartori iniziò proprio qui la sua attività nel 1575 mediante un canone annuo di 20 scudi e 20 libbre di cera lavorata da versare allo Stato Pontificio. Nel 1801, tutte le corporazioni, compresa quella dei Sartori, vennero soppresse per ordine del Papa Pio VII con la conseguente chiusura dell’Università. Nel 1938, durante il periodo fascista, la chiesa venne restituita ai sarti e dal ‘40 al ‘42 fu anche restaurata a spese del comune di Roma. Nel ‘47 il maestro sarto Amilcare Minnucci decise di continuare la tradizione dell’Università dando vita all’attuale Accademia Nazionale dei Sartori. Nel ‘48, dopo 373 anni dalla fondazione dell’Antica Università, non sarà più l’edificio di S. Omobono a ospitare i Sartori ma un locale di Piazza San Silvestro dove viene presentata la prima sfilata di moda promossa dall’associazione. Nel ‘60 la sede è trasferita in via Due Macelli e nel ‘67 in Largo dei Lombardi dove è tuttora operante. Al principio del nuovo millennio sono in tutto 250 le sartorie che fanno capo all’Accademia dei Sartori (Accademia Nazionale dei 8

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Sartori da http://dellamoda.it/dizionario_della_moda/a/accademia_nazionale_dei_sartori.php; 15 Giugno 2008; ore 12.40). 10 Progettato verosimilmente dall’architetto Tommaso Bicciaglia, autore anche dei Palazzi Montani e Almerici, Palazzo Perticari fu fatto costruire nel XVIII secolo nell’allora via dei Fondachi (oggi corso XI Settembre) da Andrea, padre di Giulio, Giuseppe e Gordiano Perticari. Nelle sue stanze trascorse i dieci anni più belli della sua tragica vita Costanza Monti Perticari, figlia del poeta Vincenzo Monti e sposa di Giulio Perticari; fu proprio Giulio che, secondo Luciano Baffioni Venturi, affidò al pittore Felice Giani la decorazione di alcune delle stanze del palazzo di famiglia. Andato per lascito dell’ultima contessa Vittoria Perticari al Comune di Pesaro, nel 1948 (in realtà la contessa lo lasciò all’Ospizio Mazza Mancini, poi Irab, a scopo di beneficenza ma con l’incorporazione degli enti comunali di assistenza da parte dei Comuni l’edificio divenne proprietà del Comune di Pesaro), Palazzo Perticari è nel tempo progressivamente decaduto (cfr. L. Baffioni Venturi, Storia e miseria di Palazzo Perticari, da Lo specchio della città, Giugno 2007; citazione tratta da http://www.lospecchiodellacitta.it/articolo. asp?tit=Giugno 2007&titolo=Giugno 2007 / Lettere e Arti; 9 Novembre, ore 15.18). Sgomberato per questioni di sicurezza nell’inverno del 2008, successivamente messo all’asta, nell’estate 2009 è stato acquistato da un privato, e si attende ora l’inizio dei lavori di recupero. 11 Mina Forlani, da un’intervista apparsa su Il Resto del Carlino, 11 Maggio 1995.

Alfredo Panzini, La penultima moda (1850 - 1930), Roma 1930. Colette Rosselli, Il saper vivere di Donna Letizia, Milano 1960; pp. 229 - 230. Franca Valeri, L’artigiana che aveva cura dei tuoi fianchi, in Animali e altri attori - storie di cani, gatti e altri personaggi, Milano 2005; p. 128.

Prima di chiudere Più volte abbiamo ribadito l’impossibilità di dare alle stampe un lavoro “completo”, per molte ragioni, prima fra tutte la scarsità di documenti riguardanti il lavoro dei sarti. Non tutti i sarti citati in questo volume compaiono per esempio nell’Albo delle Imprese Artigiane, istituito nel 1956 e dal quale, dunque, restano fuori coloro che a quella data avevano già cessato l’attività. Del resto, lo stesso Schedario del Registro Ditte, che contiene, come ricordato in nota, i dati relativi alle attività cessate prima dell’istituzione del Registro delle Imprese, solo in alcuni casi risulta attendibile. Spesso, infatti, l’inizio dell’attività di sarti, sarte e modiste (le professioni sulle quali la nostra ricerca si è concentrata), è datato in base a iscrizioni ‘d’ufficio’ e non coincide con la realtà. Difficilmente disponibili, perché spesso conservati in archivi non ordinati o danneggiati dalla guerra, si sono poi rivelati i dati locali dei censimenti industriali e commerciali (1911, 1927, 1937 - ’40), vere e proprie miniere di informazioni per lavori di questo genere. Ciò premesso, prima di chiudere questa seconda edizione del volume, desideriamo di nuovo sottolineare che, senza troppo curarci dell’imperante quanto ingannevole obiettività del politically correct, abbiamo deciso di dare voce a tutti coloro che in qualche modo ci hanno segnalato sarti e sartorie, anche solo ricordando il nome e le date approssimative di attività degli artigiani nei quali ci siamo imbattuti nel corso della ricerca. Con questo spirito ricordiamo qui anche la Sartoria Anita Della Lunga (corso XI Settembre 250; attiva dal 1939 al 1962; dal 1949 al 1969 proprietaria della sartoria risulta però Eva Foglietti) e la Sartoria Anna Fiorani (viale della Vittoria 39; attiva tra il 1950 e il 1962), i cui nomi sono emersi proprio poco prima di andare in stampa, e delle quali abbiamo trovato scarne notizie nel Registro Ditte della Camera di Commercio di Pesaro e Urbino. Ci auguriamo tuttavia che la ricerca possa continuare e, perché no, invitare qualcun altro a collaborare o a raccogliere il testimone, per proseguire un lavoro che, appassionante e coinvolgente, ci ha accompagnato per quasi quattro anni.

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Per la pazienza, la disponibilità e per i loro racconti grazie a Don Igino Corsini, Archivio Diocesano - Pesaro Don Enrico Giorgini, Parrocchia di San Michele Arcangelo, Sant’Angelo in Lizzola (Pesaro e Urbino) Archivio di Stato di Pesaro Archivio della Camera di Commercio di Pesaro e Urbino Comune di Sant’Angelo in Lizzola (Pesaro e Urbino) Comune di Pesaro Unione Pian del Bruscolo/Memoteca Pian del Bruscolo (Pesaro e Urbino) Biblioteca Oliveriana - Pesaro Biblioteca Federiciana - Fano Biblioteca “V. Bobbato” - Pesaro Accademia Nazionale dei Sartori - Roma Museo della macchina da cucire - Arcore (Milano) Casinò de la Valée - Saint Vincent Associazione Culturale “G. Branca” - Sant’Angelo in Lizzola (Pesaro e Urbino) Lucia Amantini Maggiulli e Maria Laura Maggiulli - Pesaro Serena Andreani e Famiglia Andreani - Pesaro Francesca Arduini - Pesaro Demetrio Artusio - Pesaro Aleardo Asdrubali - Pesaro Giovanna Bacchelli Sisa e Giorgio Sisa, Bianca Bacchelli Esposito e Alessandra Bacchelli Ricci - Pesaro Stefania Bacchiani - Montelabbate (Pesaro e Urbino) Albertina Bandieri - Pesaro Valentina Bernesi Barbadoro e Famiglia Barbadoro - Pesaro e Ancona Lucia Ferrara Bargnesi, Donatella Bargnesi e Famiglia Bargnesi Elvezia Baronciani Zaffini - Ginestreto, Pesaro Ivana Battilana - Pesaro Piero e Riccardo Battisti - Pesaro Zina Bedetti e Famiglia Bertuccioli - Montelabbate (Pesaro e Urbino) Franco Bezziccheri - Montecchio, Sant’Angelo in Lizzola (Pesaro e Urbino) Famiglia Bonali - Pesaro Gabriele Bonazzoli - Monteciccardo (Pesaro e Urbino) Allegrina Brunetti Fulvi e Famiglia Fulvi - Pesaro Loretta e Gaetano Buttafarro - Pesaro


Maria e Gabriele Camilli, Vittoria Camilli - Pesaro Rosalia Canarini e Maria Teresa Caprini - Pesaro Sandrino Caraffa - Marotta, Mondolfo (Pesaro e Urbino) Aldo Cerioni - Montecchio, Sant’Angelo in Lizzola (Pesaro e Urbino) Sandra Cesarini Martinelli - Pesaro Amelia e Maria Teresa Ciarrocchi - Pesaro Giovanna Clementi Macchini - Pesaro Raffaella Corsini Ortolani, Giorgio Ortolani e Famiglia Ortolani - Pesaro Rina Corsini Terenzi e Antonio Terenzi - Pesaro Anna Costantini Donati - Sant’Angelo in Lizzola (Pesaro e Urbino) Giovanna e Console Costantini - Pesaro Marco D’Amario e Famiglia D’Amario - Pesaro Anna Damiani Tontardini e Sandro Tontardini - Morciola, Colbordolo (Pesaro e Urbino) Luisa Dionigi Arduini e Giancarlo Arduini - Coldelce, Urbino Domenica e Marina Fabbri - Pesaro Annetta Fabbri - Pesaro Emma Asdrubali Falciasecca, Gabriele Falciasecca e Famiglia Falciasecca - Pesaro Marisa Faldelli Bertozzini e Famiglia Bertozzini - Pesaro Ferruccio Ferri - Colbordolo (Pesaro e Urbino) Romeo Fiorà - Pesaro Livia e Raffaele Frattarolo - Bologna Rino Galli, Rina Gambarara Galli e Famiglia Galli - Montefabbri, Colbordolo (Pesaro e Urbino) Franca Gambini e Famiglia Gambini - Sant’Angelo in Lizzola (Pesaro e Urbino) Maria Luisa Gamboni - Cappone, Colbordolo (Pesaro e Urbino) Giuliano Garattoni e Famiglia Garattoni - Pesaro Anna Gaudenzi Mariotti - Pesaro Gabriella Giampaoli - Pesaro Francesca, Gabriella, Marisa Giannoni e le loro Famiglie - Pesaro Wanda Giombini Cesarini e Famiglia Cesarini - Pesaro Martina Giorgi e Famiglia Giorgi - Candelara, Pesaro Giorgio Giorgini e Ines Guerra - Pesaro Leonella Giovannini - Sant’Angelo in Lizzola (Pesaro e Urbino) giubartó - Pesaro Fiora Giuliani Moretti - Pesaro Gigliola Gori - Pesaro Rita Innocenti - Pesaro


Famiglia Lamberti - Pesaro Pierino Longhi - Montecchio, Sant’Angelo in Lizzola (Pesaro e Urbino) Anna Maria Lugli - Pesaro Elsa Macchniz Vichi ed Emilio Vichi - Pesaro Alfonsa e Gianfranco Magi - Pesaro Gilberto Mancini, Piero Mancini abbigliamento - Pesaro Eleonora Mariotti Travaglini - Pesaro Anna Maria Montagnoli - Pesaro Geppina Moroni Massa e Famiglia Massa - Pesaro Carla Morotti Poli - Pesaro Famiglia Morresi - Pesaro Bruno Olivi - Morciola, Colbordolo (Pesaro e Urbino) Vinicio Olivieri - Montecchio, Sant’Angelo in Lizzola (Pesaro e Urbino) Lidia Ortolani Giordano e Famiglia Giordano - Pesaro Cisa Paccassoni - Pesaro Antonia Patrignani Magnelli e Giuliano Magnelli - Pesaro Renata Pensalfine e Famiglia Rossi - Pesaro Lidia Pensalfine - Pesaro Daniela Perugini - Pesaro Stefano Poderi e Famiglia Poderi - Pesaro Boutique Ratti, Pesaro - Licia Pezzodipane Ratti, Mauro Sabatinelli e Anna Mola Famiglia Bruno Righetti - Pesaro Marco Righetti - Pesaro Bianca Taini Scatassa, Annamaria Scatassa e Famiglia Scatassa - Pesaro Fausto Schiavoni - Pesaro Sofia Scrocco - Milano Maria e Stefania Sgrignani - Pesaro Rosetta Sili Mueller - Pesaro Marta Soliman - Pesaro Maria Teresa Talamelli - Pesaro Adriana Tangucci Filippetti - Pesaro Franco Tani - Roma Palmiro Ucchielli - Colbordolo (Pesaro e Urbino) Luciano Urso e Giordana Mazzanti Urso - Bologna Roberto Urso e Flavia Lanzoni Urso - Bologna Wanda, Maria, Andrea e Domenico Vichi - Pesaro


Dorothy Willoughby - Pesaro Piera Zaffini Corsini - Ginestreto, Pesaro Grazie anche a Comune di Monteciccardo (Pesaro e Urbino), Comune di Tavullia (Pesaro e Urbino), Ufficio di Stato Civile e Anagrafe del Comune di Pesaro, Pro Loco Fogliense - Tavullia; Grazia Calegari, Simonetta Campanelli, Paolo Cappelloni, Silvia Cecchi, Sauro Crescentini, Lucia Curina, Antonino Emma, Elio Giuliani, Laura Macchini, Claudia Mares, Paola Mazzoni (Segreteria dell’assessore Luca Pieri), Simona Ortolani e Walter Vannini, Eugenia Peli Grianti e Isabella Grianti, Claudio Rosati della Camera di Commercio di Pesaro e Urbino; infine, un grazie particolare a Luca Pieri per la sua collaborazione; a Simonetta Bastianelli per le ricerche; a Mina Forlani e Remo Pugliese per i preziosi consigli e a Maria Teresa Badioli per i suoi ricordi


Indice degli artigiani e delle manifatture citate nel volume Per ragioni di spazio nell’indice sono stati inclusi solo i nomi di sarti, sarte, modiste, cappellai e le ďŹ lande. Il numero di pagina in carattere tondo si riferisce al testo; la presenza di un asterisco (*) indica che il nome compare in una didascalia, il corsivo segnala invece le note.

A Amantini Maria *98, *99 Andreani Guidetti, Isotta 243 - 245 Andreani Itala 243, *245, *246 Asdrubali, Aleardo 159, 234, 263 - 264, 276 - 280 Asdrubali Falciasecca, Emma 158 - 160, 277 B Bacchelli, Anna 137 - 139 Baglioni, Luigi 33 - 34, 51 Baldelli, Rosina 192 Balducci Secchiaroli, Rosina 141, 151 Bandieri, Albertina 240 - 241 Barbadoro, Brenno 234, 236 Bardeggia, Edda 187 Bargnesi, Vito *171, 237 - 242 Baroncelli, Dante 34 Baronciani, Augusto 34 Bartoli, Lina 34 Basili Giannoni, Giannina 183 - 185 Battisti, Piero 234, 248, 302 - 303 Bazzigaluppi Bargossi, Egizia 189, 211 Bezziccheri, Fausto (Raniero) 198 198 Bocci Maria *265 Bocci, Vincenzo 34, 55 Bolognese 89 - 117, 119, 125, 137, 176, 200, 234, 271 Bonetti, Matilde 16 Bracciaroli, Guglielmo 34


Braglia, Agnese 187 Brunelli, Luigi 16 Brunetti Fulvi, Allegrina 249 - 253 Bruscoli, Ercole 16 Buttafarro, Sebastiano 167 - 171, 195, *197, *279 Buttafarro, Nino *171, 234, 276 - 277 C Camilli, Davide 174 Camilli, Francesco 174, 264, *293, 295 - 296 Camilli, Gabriele 295 - 296 Campanati, Casimiro 34 Canarini, Rosalia 307 - 309 Caraffa, Nazzareno 207 - 210 Caraffa, Sandrino 207 - 210, 213 Cardellini, Maria 25 Cartoceti, Giocondo 16 Cassiani, Cleofe 184 Castellani, Giovanni 33, 51 Cecchi, Agostino 16, 33 Cecchi, Romolo 52 Cecconi, Adolfo 33, 34, 51 Cecconi Getulia 51 Celli, Ercole 34 Cerioni, Aldo 199 Ciacci, Sorelle 34 Ciarrocchi, Domenico 247 - 248, 279, 303 Cinotti, Giuseppe 16 Coli Temellini, Azeglia 34, 63 - 67 Colli, Giacomo 34 Costantini, Console 174, 201, 248, 268, 285 - 290 Costantini Donati, Anna 191 - 192, *193 Costanzi Giovanni *265 Curina, Ermete 34, *293 Curina, Guido 34, 291, *293 D D’Amario, Nicola 163 - 164, *171, 306


Della Costanza, Raffaele 17, 53 Della Costanza, Loredana *41, 55 Della Lunga, Anita 320 Del Moro, Renato 210 Donati, Costantini Anna 191 Donzelli, Carlo 195, *197 F Fabbri, Annetta 181 Fabbri, Domenica 143, 150 - 157, 177, *224, *256, 264, 299 Fabbri, Secondo 17, 53 Falciasecca Asdrubali, Emma 158 - 160, 277 Fattori, Berta 184 FiorĂ , Romeo 304 - 306 Fiorani Anna 320 Fiorani Tina 267 Forlani, Mina *293, 298 - 301, 320 Foschi, Teresa 191 Foti, Antonio *171, 277 Francesconi, Ferruccio 181 Francesconi, Filiberto 181 - 182, 184 Francesconi, Marino 181 - 182, 184, 211 Francolini, Alfonso 34 Francolini Magnelli, Giuseppina 124 - 135, 223, 267 Fulvi, Brunetti Allegrina vedi Brunetti Fulvi Furiani Siepi, Aida 34 G Galli, Rino 201 - 204 Gambini, Emilia 192 Gambini, Giuseppina 192 Gambini Longhi, Franca 195, 196 Gamboni, Maria Luisa 205 Garattoni, Raffaele *57, 69 - 75, 182, 264, 303 Garattoni, Umberto 34, 63, 69 - 75, 77, 123 Gasparelli, Umberto 34 Gasperi, Augusto 33, 51 Gennari, Raffaele 17, 33, 53


Giangolini Marinucci, Irma 187 - 188 Giannoni, Basili Giannina vedi Basili Giannoni Giannina Giorgini, Guido 122 - 123 Giovagnoli, Ercole 51 Giovanelli, Enrico 33 Giovanelli, Fratelli 16 Giovanelli, Ruggero 33 Giovannini, Leonella *32, 54, 191 - 193 giubart贸 310 - 318 Giuliani Rossi, Luisa vedi Rossi Giuliani, Luisa Giunta, Giulia 192 Gramolini, Giuseppina 192 Grassetti, Carla 196 Gregori, Nicola 33, 51 Gruppo Sarti *227, 248, 262 - 265, 268, 271, 277, *279, 281, 284, 288, 291, 295, *296, 299, 300, *301, *303, 305, *306 Guerra, Denizio *171 Guidetti Andreani, Isotta vedi Andreani Guidetti, Isotta Guidi, Filomena 16 H Hoz, Corrado 52 Hoz, Enrico 52 Hoz, Ottone 15, 17, 52 I Iacchini Cermaria, Teresa 191 L Lamberti, Ernesto *171, 172 - 174, 201 Lenzoletti, Zaira 192 Lepri, Cesare 34 Lombardi, Elisa 34 Longhi, Luisa *195, *196 Longhi, Pierino 195 - 197 Lucietta 38 Lugli, Anna Maria 255 - 257 Lugli, Rosina 34, 38 - 39, 55 M


Macchniz, Elsa 264, 267 - 270 Magi, Gianfranco 281 - 283 Magnelli Francolini, Giuseppina vedi Francolini Magnelli, Giuseppina Mancini, Marino 40 Marcheselli, Fernando 34 Marini, Andrea 16 Marinucci, Sergio 187 Mariotti, Augusto 33, 51 Mariotti Gaudenzi, Anna *114 Mariotti, Marianna 16, 53 Massacesi, Eredi 16 Mattei, Maria *195, *196 Mecchi, Pino *171 Mengaroni, Rosa 34 Mignoni Ortolani, Zaira 83 - 87 Mini, Giuseppe 16, 33 Monacciani, Agostino 33, 34, 51 Monacciani, Leonida 34 Montagnoli, Anna Maria 125, *188, 223 - 227 Moretti, Giuseppe 33, 34, 51 Morigi, Carlo 34 N Negrini, Sorelle *246 O Oliva, Romano 121, 281 Orfei Verdolini, Osvalda vedi Verdolini Orfei, Osvalda Ortolani Mignoni, Zaira vedi Mignoni Ortolani, Zaira P Paccapelo, Ferdinando 34 Paganelli, Prima vedi Bolognese Pagnoni, Terenzio 16 Paladini, Augusto 34, 55 Paladini, Italia 34 Paolucci Gaetano 199 PensalďŹ ne, Lidia 221 Perugini, Elso 216 - 220, 259


Petroccione, Pasquale 34 Pezzodipane, Erasmo *47, 76 - 81, 123, 143, 175, 181 - 182, 217, 247, *279 Poderi, Ruggero 161 - 162, *171 Pugliese, Remo 217, *218, 258 - 260 R Rapous, Cesare 11 Ricci Elvira 291, *293 Ricci, Ettore 34 Righetti, Bruno 264, 284 Righetti, Marco 242 Roberti, Terenzio 16, 33 Ronzani vedi Salvatori, Antonio Rossi Giuliani, Luisa 118 - 120 S Sabatinelli, Mauro 78, 264 Salvatori, Antonio 187, 191 Santucci, Aldo 34 Scatassa, Alba 184, 264, 271 - 275, 307 Scrocco, Pietro 43, 55 - 56 Secchiaroli, Iolanda 63, *134, 140 - 149, 151- 152, *153, 177 Severi, Annamaria *265 Severini, Francesco 33, 51 Sgrignani, Giulia e Maria 65 Sgrignani, Luigi 63, 121, 161, *162, *171, 281 Sili, Marcello *171, 290, 291 - 294 Sora Giuseppe 22 Spadoni, Adelaide 34 Spadoni, Alessandro *265 Spadoni, Bianca *100 Spinaci, Alfredo 33 Spinaci, Eredi 16 Spinaci, Luigi 53 Sponza, Giovanni 11 Sponza, Giuseppe 52 Sponza, Melchiorre 16, 33, 53 Sponza, Nicola 11


Subissati, Azelia 34 T Talevi, Luisa 189 Talevi, Orlando 284, 295 Talamelli, Maria Teresa 164, *165 Tamburini, Raffaele 17, 53 Tarini, Marietta 195 Tebaldi, Giuseppe *171, 201, 212 Temellini Coli, Azeglia vedi Coli Temellini, Azeglia Terenzi, Domenico 16 Testenoire, Palluat 16 Tinti, Gianni 210 Tombesi, Pietro 33, 34 Tonucci, Renato 243, 264, 290 - 291, *293, *295 Tonucci Moroni, Eva *191, 243 Tornati, Clelia 192 Torre, Angelo *18, 19, 33 - 34, 52 Tucchi, Giulia 191 V Valazzi, Luigi 16, 33, 52 Valazzi, Sorelle *31 Valentini, Mario 210 Valli, Gianfranco, *265 Venturi, Virgilio 210 Venturini, Gino 51 Venturini, Giuseppe 33 Venturini, Odoardo 34 Verdolini Orfei, Osvalda 228 - 231 Vichi Gianfranco 264, *265 Vichi, Tonino 233 - 236, 277, 303


Sommario Saluti introduttivi Giorgio Aguzzi e Camilla Fabbri Moreno Bordoni

p. VII p. IX

Nota della curatrice

p. XI

Pesaro, 1860 - 1900 Sarti, mercanti e filatori Setaiole, sartine, modiste

p. 3 p. 19

Storie di sarti, 1900 - 1944 Azeglia Coli Temellini Umberto e Raffaele Garattoni Erasmo Pezzodipane Zaira Mignoni Ortolani Prima Paganelli, la Bolognese Luisa Rossi Giuliani Luigi Sgrignani Guido Giorgini Giuseppina Francolini Magnelli Anna Bacchelli Iolanda Secchiaroli Domenica Fabbri Emma Asdrubali Falciasecca Ruggero Poderi Nicola D’Amario Sebastiano Buttafarro Ernesto Lamberti

p. 59 p. 63 p. 69 p. 77 p. 83 p. 89 p. 119 p. 121 p. 123 p. 125 p. 137 p. 141 p. 151 p. 159 p. 161 p. 163 p. 167 p. 173

Intermezzo - sguardi oltre le mura Villa Fastiggi Annetta Fabbri e la Sartoria Francesconi Giannina Basili Giannoni Ginestreto Un racconto a tre voci Candelara - Luisa Talevi Sant’Angelo in Lizzola Leonella Giovannini e Anna Costantini Donati Montecchio Pierino Longhi Aldo Cerioni

p. 179 p. 180 p. 181 p. 183 p. 186 p. 187 p. 189 p. 190 p. 191 p. 194 p. 195 p. 199


Colbordolo Luigia Damiani Rino Galli Maria Luisa Gamboni I calzoni del re - Nazzareno Caraffa sarto a Marotta Storie di sarti 1945 - 1970 Elso Perugini Lidia Pensalfine Anna Maria Montagnoli Osvalda Verdolini Orfei Tonino Vichi Brenno Barbadoro Vito Bargnesi Albertina Bandieri Marco Righetti Isotta Guidetti Andreani Domenico Ciarrocchi Allegrina Brunetti Fulvi Anna Maria Lugli Remo Pugliese

p. 200 p. 200 p. 201 p. 205 p. 207 p. 215 p. 217 p. 221 p. 223 p. 229 p. 233 p. 236 p. 237 p. 240 p. 242 p. 243 p. 247 p. 249 p. 255 p. 259

Il Gruppo Sarti Elsa Macchniz Alba Scatassa Aleardo Asdrubali Gianfranco Magi Bruno Righetti Console Costantini Marcello Sili Francesco e Gabriele Camilli Mina Forlani Piero Battisti Romeo Fiorà Rosalia Canarini

p. 262 p. 267 p. 271 p. 277 p. 281 p. 284 p. 285 p. 291 p. 295 p. 299 p. 303 p. 305 p. 307

giubartò

p. 311

Ringraziamenti

p. 323

Indice dei nomi

p. 327


Finito di stampare nel mese di Novembre 2009 dalla SAT srl industria graďŹ ca (PU)



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Pesaro, la moda e la memoria

La vera creatrice della moda è la storia Alfredo Panzini

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