L'Albania Salentina. San Marzano di San Giuseppe

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Emilio Piccione

L’ALBANIA SALENTINA SAN MARZANO DI SAN GIUSEPPE



Al mio Katundy, che mi ha insegnato ad Amare la mia Terra, la mia Lingua, me stesso.


COLLANA - RADICI

Il Salentino Editore S.r.l.® Via Larghi Case Sparse, 3 73026 Melendugno (LE) Tel. 0832 833918 Tel./Fax 0832 831481 www.ilsalentinoeditore.com info@ilsalentinoeditore.com ISBN 978-88-96446-08-9 Finito di stampare nel mese di dicembre 2012 presso Arti Grafiche FAVIA - Modugno (BA) Impaginazione e copertina Douglas Rapanà / Edita S.r.l. - Lecce (LE) Proprietà letteraria riservata. Tutti i diritti sui testi e immagini in Italia e all’estero sono riservati all’editore. La riproduzione in qualsiasi forma, memorizzazione o trascrizione con qualsiasi mezzo (elettronico, meccanico, in fotocopia o altro modo) sono vietate senza autorizzazione scritta dell’Editore.


INDICE INTRODUZIONE

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CAPITOLO I - L’Arberia

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LA STORIA: LE MIGRAZIONI La Prima e la Seconda migrazione Giorgio Castriota Skanderbeg: Atleta di Cristo ed Eroe Nazionale Dalla terza alla settima migrazione LA LINGUA E LA LETTERATURA La “Gjuha Arbëreshë” L’evoluzione letteraria LA RELIGIONE La storia Le peculiarità liturgiche La Commemorazione dei Defunti Il Carnevale La Quaresima e la Grande e Santa Settimana Le Tradizioni Popolari CONCLUSIONI

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12 12 14 16 19 19 21 23 23 28 29 32 34 36 39

CAPITOLO II – San Marzano di San Giuseppe

pag. 41

LA STORIA Il feudo “delli Rizzi” Il feudo di San Marzano Il santuario della Madonna delle Grazie L’Albania “Sallentina” Le origini del casale albanese di San Marzano La vicenda religiosa Lo sviluppo del casale albanese di San Marzano

42 46 48 50 53 55 58 62

LA LINGUA L’origine della lingua albanese La parlata Arbëreshë di San Marzano Riflessioni

67 67 70 81


LE TRADIZIONI POPOLARI La Festa di San Giuseppe LA TUTELA CULTURALE

82 85 99

CAPITOLO III – Carmine De Padova

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LA POLITICA CULTURALE L’OPERA: “DY MIQTE” CONCLUSIONI

105 109 110

INFORMATORI E COLLABORATORI

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BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Negli ultimi anni San Marzano di San Giuseppe sta cercando di riscoprire il proprio patrimonio culturale. La sfida si presenta ardua; a fatica è stata messa in atto un’inversione di rotta. Il passato di questo piccolo centro del tarantino è complesso e nello stesso tempo di grande valore. La fondazione dell’attuale centro abitato da parte degli Albanesi, e la conservazione dei tratti epiroti più significativi, hanno “emarginato” la comunità sammarzanese dal vicinato provinciale. La conservazione della lingua arbëreshë negli ultimi trenta anni è stata messa in discussione: la politica centrale distratta, l’avvento della tecnologia informatica e la scellerata educazione sociale, hanno portato ad accantonare gradualmente la peculiarità più distintiva della cultura sammarzanese. La finalità di questo lavoro sarà quella di riscoprire la storia di San Marzano (e quindi della sua cultura italo – albanese) e comprendere quali siano state le cause che l’hanno portata a conservare i tratti albanesi per lunga parte della propria vita, e comprendere le cause che la conducono, in questi anni, ad un progressivo deperimento culturale. Si partirà con l’ analizzare la storia e le tradizioni degli altri paesi dell’Arberia; il tutto sarà finalizzato alla chiara comprensione della situazione generale degli italo – albanesi nel centro – sud italiano. Poi focalizzeremo l’attenzione su S. Marzano, tratteggiandone la storia e le tradizioni. Infine sarà data una spiegazione alla perdita continua del patrimonio culturale attraverso l’analisi del più grande autore che S. Marzano abbia conosciuto: Carmine De Padova. La struttura complessiva sarà così tripartita. Il primo capitolo intitolato “l’Arberia”, si concentrerà sulla venuta degli Albanesi in Italia e sulle forme del loro sviluppo sempre in bilico tra tradizione illirica e italiana. Il se-


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condo capitolo, “San Marzano di San Giuseppe”, ripercorrerà le tappe storiche fondamentali, coglierà le particolarità culturali di ogni natura. Il terzo capitolo, intitolato “l’Autore: Carmine De Padova”, metterà in luce la chiara figura di “poeta vate” del prof. Menino De Padova, il quale, appresa la necessità di un recupero delle tradizioni, ha preso per mano l’intera comunità sammarzanese, e con una metodologia d’avanguardia, ne ha mostrato l’ampiezza culturale. Il vasto campo d’azione ha reso necessario l’uso di numerosi scritti sull’argomento. Un contributo notevole è stato dato da alcuni informatori, cittadini sammarzanesi che hanno aiutato nell’allestimento della maggior parte del secondo capitolo. Dicembre 2012

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CAPITOLO I – L’Arberia Arbëreshë1 (pronuncia [ar’bəreʃ]) si definiscono quei 100000 e più cittadini italiani di minoranza linguistica albanese. Gli Arbëreshë, o Italo albanesi, vivono nelle 50 comunità2 dislocate nel centro-sud d’Italia. La loro storia affonda le radici nel XV secolo, quando gli esuli albanesi furono costretti ad abbandonare la Madre Patria attaccata dagli invasori Turchi e spiegare le vele al di là dell’Adriatico verso i porti italiani al seguito di nobili principi, primo tra tutti l’eroe leggendario Giorgio Castriota Skanderbeg (Gjergj Kastrioti Skënderbeu, Croia 6 maggio 1405 – Alessio 17 gennaio 1468). 1

Con il termine Arbëreshë indicheremo sia gli uomini (nei due generi e in numero), sia la lingua da essi parlata. In realtà la distinzione da fare è in larga parte quella di: “Arbresh” per il maschile, “Arbreshë” per il femminile, “Arbëreshë” al plurale e per la lingua “Arbërisht”. Preferiremo usare un solo termine per rendere più agevole la comprensione dopo aver qui chiarito la scelta. 2 In ordine alfabetico: Acquaformosa: Firmoza, Andali: Andalli, Barile: Barilli, Campomarino: Këmarini, Cantinella (frazione di Corigliano Calabro): Kantinela, Caraffa di Catanzaro: Garafa, Carfizzi: Karfici, Casalvecchio di Puglia: Kazallveqi, Cerzeto: Qana, Castroregio: Kastërnexhi, Cavallerizzo (frazione di Cerzeto): Kajverici, Chieuti: Qefti, Civita: Çifti, Contessa Entellina: Kundisa, Eianina (frazione di Frascineto): Purçìll, Falconara Albanese: Fullkunara, Farneta (frazione di Castroregio): Farneta, Firmo: Ferma, Frascineto: Frasnita, Ginestra: Zhura, Greci: Katundi, Lungro: Ungra, Macchia Albanese (frazione di San Demetrio Corone): Maqi, Marcedusa: Marçëdhuza, Marri (frazione di San Benedetto Ullano): Allimarri, Maschito: Mashqiti, Montecilfone: Munxhufuni, Pallagorio: Puhëriu, Piana degli Albanesi: Hora e Arbëreshëvet, Plataci: Pllatëni, Portocannone: Portkanuni, San Basile: Shën Vasili, San Benedetto Ullano: Shën Benedhiti, Santa Caterina Albanese: Picilia, San Cosmo Albanese: Strihàri, San Costantino Albanese: Shën Kostandini, San Demetrio Corone: Shën Mitri, San Giorgio Albanese: Mbuzati, San Giacomo di Cerzeto (frazione di Cerzeto): Shën Japku, San Martino di Finita: Shën Mërtiri, San Marzano di San Giuseppe: Shën Marcani, San Nicola dell’Alto: Shën Kolli, San Paolo Albanese: Shën Pali, Santa Cristina Gela: Sëndahstina, Santa Sofia d’Epiro: Shën Sofia, Spezzano Albanese: Spixana, Ururi: Rùri, Vaccarizzo Albanese: Vakarici, Vena di Maida (frazione di Maida (CZ)): Vina, Villa Badessa (frazione di Rosciano): Badhesa.


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Per oltre cinque secoli, soggetti alle pressioni esterne, gli arbëreshë hanno conservato in larga parte i tratti caratteristici originari, preservando la propria tradizione fino ai giorni nostri. Nel seguente capitolo analizzeremo i lineamenti più marcati della cultura italo – albanese soffermandoci sulla storia, sulla lingua, sulla religione, e sul folklore che accomuna in maggior misura tutti gli arbëreshë residenti nei diversi luoghi dell’Arberia (regione idealizzata che raccoglie tutte le comunità, ovviamente inesistente dal punto di vista istituzionale e fisico) e che li differenzia sensibilmente dal resto della popolazione italiana.

LA STORIA: LE MIGRAZIONI La prima e la seconda migrazione È solito tra i contemporanei, parlando di migrazioni albanesi, avere negli occhi le immagini delle imbarcazioni stracolme di profughi che giunsero in Puglia negli anni Novanta del secolo scorso. La storia degli esuli albanesi di cui tratteremo, ha origine nel basso Medioevo motivata da ragioni profondamente differenti da quelle di un ventennio fa. Non bisogna di certo pensare alla miseria e alla disperazione, gli albanesi giunti in Italia nel XV secolo furono principi e nobili soldati che, per risolvere le dispute dinastiche dei sovrani napoletani, finirono per affiancare l’amministrazione nelle terre del Regno. La motivazione che spinse gli Albanesi proprio verso i nostri lidi non è poi del tutto casuale. Già la dinastia sveva ebbe rapporti diplomatici con la terra d’Epiro: nel 1259 il principe Manfredi prese in sposa Elena, figlia del despota d’Epiro Michele Angelo II, “che portava in dote Durazzo, Valona, Berat e quasi tutta l’Albania meridionale”3. Sebbene ci siano ampie testimonianze dei rapporti politici tra le due corti, esigua e incerta è la documentazione circa i movimenti migratori4 3

R. Almagià, L’Albania, Roma, 1930, p.89. Sull’argomento: T. Morelli, Cenni storici sulla venuta degli Albanesi nel Regno delle due Sicilie, Cosenza, 1841; A. Gegaj, L’Albanie et l’invasion turque au XV siècle, Paris, 1937; 4

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che si susseguirono in un arco di tempo lungo e dai tratti dubbi. Conoscere la fondazione delle singole colonie e gli spostamenti di ciascun gruppo è pressoché impossibile; certo è che gli albanesi giunsero prima come soldati e successivamente come esuli in seguito alla conquista turca della loro patria. Essenziale per la nostra ricerca è lo studio fatto da Lorenzo Giustiniani (Napoli, 1761-1824), il quale in una lettera a S. E. Migliorini5, vescovo di Taranto, dice di aver raccolto “qualche notizia intorno alle diverse colonie greche, o sieno degli Albanesi, o Coroni, venuti in questo nostro Regno, e quali sieno i paesi che vi fondarono da tempo in tempo” 6. Sette sono le migrazioni che lo studioso, agli inizi dell’Ottocento, indica come certe e testimoniate. “La prima memoria, che incontriamo di essersi trasmigrati gli Albanesi in Regno è sotto di Alfonso di Aragona” 7, nel 1435 quando era alta la tensione con Renato d’Angiò, l’altro pretendente al trono di Napoli. Un impavido contingente di militari albanesi condotto dal nobile Demetrio Reres, fu mandato a Napoli da Giovanni Castriota al fine di aiutare Alfonso nella rivolta della Calabria Meridionale. Finita la guerra nel 1448, i soldati “non volendo poi più ritornare alle loro patrie, incominciarono a stabilirsi nel Regno” 8, fermandosi quasi certamente nell’attuale provincia di Catanzaro, dove fondarono colonie come Andala, Caraffa, Carfizzi, Gizzeria, Mercedusa, Palageria e S. Nicola G. De Rada, Sulle vicende degli Albanesi in Italia, Catanzaro, 1893; V. Dorsa, Sugli Albanesi, Ricerche e pensieri, Napoli, 1847; P.P. Rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia osservato dai Greci, monaci basiliani e Albanesi, libri scritti da Pietro Pompilio Rodotà professore di lingua greca nella biblioteca vaticana, Roma, 1758-1763; G. Schirò, Memorie storiche sugli albanesi, Palermo, 1834.1836; M. Scutari, Notizie istoriche sull’origine e stabilimento degli albanesi nel regno delle Due Sicilie, sulla loro indole, linguaggio e rito, Napoli, 1842; A. Serra, I profughi d’Albania verso l’Italia ospitale. Ricerche storiche sulle migrazioni albanesi in Italia nei secoli XIV-XVIII, Castrovillari, 1947; V. Giura, Storie di minoranze: Ebrei, Greci, Albanesi nel regno di Napoli, Napoli, 1984; M. Bolognari, La diaspora nella diaspora. Viaggio alla ricerca degli Arbëreshë, Pisa, 1989; F. Altimari- M. Bolognari- P. Carrozza, L’esilio della parola, ETS Editrice, Pisa, 1986. 5 L. Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Napoli, 1805. 6 Ivi., 1.X, pp.191-198. 7 Ivi., p. 191. 8 Ivi., p. 192.

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dell’Alto, oltre ai casali di Amato, Arietta, Casalnuovo e Zangarone che oggi hanno perso i costumi e la lingua albanesi. Interessante è anche la sorte dei due figli del Reres, Giorgio e Basilio, che, mandati in Sicilia per evitare nuove sommosse, fondarono il casale di Contessa e popolarono di Albanesi i possedimenti di Palazzo e Mazzejeuse. “La seconda trasmigrazione di Albanesi fu poi sotto di Ferdinando figlio di Alfonso. Dopo la morte del padre nel 1458 nelle guerre, ch’egli ebbe cogli Angioini, e co’baroni del Regno […], ritrovò molto ajuto, e soccorso nel[lo] […] Scanderberg, il quale calato in Puglia nel 1461 con valorosa gente rinvigorì le forze del nostro Ferdinando e ben lo difese da’ suoi nemici ” 9. La seconda migrazione è così inscindibile dalla figura di Giorgio Castriota Skanderbeg, e a tal proposito meritano un approfondimento le sue vicende biografiche, le gesta che lo hanno consacrato Eroe nazionale. Giorgio Castriota Skanderbeg: Atleta di Cristo ed Eroe Nazionale “È curiosa la vita di esso Scanderbeg”, annota nella lettera al Migliorini il Giustiniani. Giorgio Castriota Skanderbeg10 (Gjergj Kastrioti Skënderbeu), discendente della famiglia Castriota della razza dei Masserekjes (ossia, ricchi massari), nacque a Croja nel 1405. Ben prima della sua nascita gli si concentrò un alone mitico che avrebbe così “giustificato” le sue illustri gesta. La leggenda vuole che la madre, la principessa bulgara Woizava, nell’imminenza della sua nascita,

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Cfr. ibidem. La letteratura sulla vita e le gesta dello Skanderbeg è vastissima. Elenchiamo qui le principali opere in riferimento all’eroe nazionale: M. Barlezio, Historia de vita et gestis Scanderbergi, Epirotarum principis, Venezia, 1505; G.T. Petrovich, Scanderberg (Georges Castriota), in “Essai de Bibliographie raisonnèe”, Parigi, 1887; G. Pallotta, Scanderberg, principe degli albanesi, Roma, 1967; A. Gegaj, L’Albanie et l’invasion turque au XV. me siècle, Lovanio, 1937; F.S. Noli, Storia di Scanderberg, Roma, 1924; F. Pall, Marino Barlezio, uno storico umanista, “Mèlanges d’historie gènèrale”, Cluj, 1938; P.Giovio, Elogio di Scanderberg, Roma, 1838; G.M. Monti, La spedizione in Puglia di Giorgio Castriota Scanderberg e i feudi pugliesi suoi, della vedova e del figlio, “Japigia”, X (fasc.3), 1939, pp.275-320; C. Padiglione, Di Giorgio Castriota Scanderberg e dei sui discendenti, Napoli, 1797; T. Jochalas, Giorgio Castriota Scanderberg nella storia della letteratura greca del XIX secolo, “Actes du II Congrès International des ètudes du sud.est europèen”, Atene, 1978. 10

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avesse un sogno premonitore nel quale apparve vegliare sulla terra d’Albania un drago gigantesco, abile ad inghiottire numerose schiere di milizie turche. Infatti, il destino di Giorgio fu da sempre intrecciato con l’opprimente realtà ottomana. All’età di nove anni, insieme ai suoi fratelli, fu costretto a lasciare la patria come ostaggio dei Turchi. I quattro prigionieri furono condotti alla corte di Ammurat beg II ad Adrianopoli11, dove il piccolo Giorgio mostrò da subito la grandezza d’ingegno e la destrezza nelle armi. Per le grandi abilità dimostrate quotidianamente, e per la fierezza del suo animo nobile, il sultano lo denominò Iskander-bey, ossia “principe Alessandro” con allusione alla figura di Alessandro il Macedone, enormemente apprezzato tra i Musulmani12. All’età di 18 anni fu nominato “Sangiacco”(comandate a capo di 5000 soldati), ma quanto più aumentavano fama e autorevolezza presso la fastosa corte turca, tanto più il principe meditava la vendetta contro gli oppressori del suo popolo. L’occasione giunse nel 1443 quando fu incaricato di respingere l’attacco dei Crociati in Ungheria. In questa occasione maturò l’odio per i turchi: lasciati passare i Cristiani del “Cavaliere Bianco”, Janos Humyadi di Transilvania, si diresse nella sua patria dove riunì tutti gli abitanti al fine di insorgere contro la pesante mano turca che da tempo gravava sulle loro teste13. Legittimato dalla Lega di Lezha del 1444, che lo elesse a capo dell’intero esercito albanese, difese e respinse gli attacchi ottomani (ne conosceva benissimo la strategia militare) tanto da divenire il problema numero uno della loro politica estera per più o meno 25 anni. Niente poterono gli attacchi del celeberrimo condottiero della Mezzaluna Alì Pascià, nessun risultato diede l’assedio di Firuz Pascià con i suoi 15000 uomini, la guerriglia di Skanderbeg non poteva essere contrastata. Fu proprio in questo clima di tensione che sorsero le Alleanze con Napoli e Venezia, di particolare rilevanza è l’accordo con Alfonso V d’Aragona: potremmo pensare che fu probabilmente questo a legittimare giuridicamente il futuro esodo degli Albanesi. 11

Capitale del sultanato turco e sede della corte. La cultura musulmana vedeva in Alessandro il più grande condottiero di sempre. Si pensa che il riferimento fatto in Corano, XVIII si riferisca proprio al condottiero macedone. 13 “Io ho lasciato la falsa fede di Maometto e sono ritornato alla vera fede di Gesù Cristo”, afferma Skanderbeg in una nota al sultano turco Murad. 12

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Morto Alfonso V, salì al trono il figlio Ferdinando I, il quale a causa del suo atteggiamento molle, diede nuova vita alle pretese degli Angioini e dei nobili del Regno (soprattutto a quelle di G. A. Orsini duca di Taranto). Provvidenziale fu l’intervento dello Skanderbeg in sostegno dell’Aragonese, che stretta una tregua con Maometto II, si diresse in Puglia per fronteggiare i nuovi nemici, molti dei quali tremanti al solo pensiero di affrontarlo in battaglia. Riportata un’incredibile vittoria a Orsara, presso Troia in Capitanata, ricevette in cambio i feudi di S. Giovanni Rotondo e Monte Sant’Angelo, successivamente popolati dai soldati che non vollero tornare in patria preferendo la più tranquilla Puglia14. Pochi anni dopo il ritorno in Albania, il grande condottiero si spense mentre progettava l’ennesima difesa dall’assedio turco: era il 17 gennaio del 1468. Maometto II, che aveva un’alta considerazione dell’avversario, venuto a sapere della sua morte commentò: “un altro leone come questo, non nascerà più sulla faccia della terra”. Il ricordo di Skanderbeg restò vivido nella mente degli Albanesi, i quali si preparavano ad affrontare una sorte più triste di quella che avevano subito finora. Dalla terza alla settima migrazione “La terza trasmigrazione de’ popoli di Albania avvenne dopo la morte del suddivisato celebre Scanderberg nel 1467. I Turchi incominciarono ben subito morto che fu, quel coraggioso Generale a vendicarsi de’ torti, e delle vittorie, che avea riportate sopra di essi” 15. Caduta Croja nel 1478, nessuno ostacolo poté fermare i Turchi: la storia di questi anni si tinge inevitabilmente del sangue dell’intera popolazione albanese, gli slanci eroici non poterono ormai più nulla, si era definitivamente ai piedi degli invasori. 14

L. Giustiniani, op. cit., p.193; G.F. Calvelli, Parrocchie greche, fatto dal reverendo don Gaetano Calvelli di Faggiano a.D. MDCCLXXXVII, Archivio Curia Arcivescovile Taranto, ms. 1904 (copia dell’autografo del 1787), ff.128, pp. 96-112; G.M. Monti, op. cit., p. 269. 15 Ivi., p.193

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INFORMATORI E COLLABORATORI

- De Padova Ludovico -Donzella Cira -Flora Francesco -Forlando Maria Incoronata -Monopoli Pasquale -Ricchiuti Giuseppa -Tarantino Vita -Todaro Anna Immacolata -Todaro Cosimo -Todaro Luciano Si ringrazia il pres. della Proloco Marciana Genny Sapio, per aver messo a disposizioni diversi testi utili, il prof. Giuseppe Gallo e il Prof. Danilo Bertoli per il contributo sullo studio linguistico e Mimino De Padova. Le immagini sono state fornite gentilmente dalla Pro Loco Marciana, dal sig. Enzo D’Amuri e da Azzurra Saracino.

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BIBLIOGRAFIA

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