L’idea di libertà è resistente alle prove scientifiche?

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Università degli Studi di Messina

L’idea di libertà è resistente alle prove scientifiche? Consuelo Luverà

Scuola di dottorato in Scienze Cognitive - Dottorato in Scienze Cognitive

Introduzione Le acquisizioni conoscitive provenienti dalle scienze contemporanee inducono i filosofi a confrontarsi con una prospettiva “naturalistico-riduzionista” del mondo secondo cui non esiste alcuna entità al di fuori dell’ontologia delle scienze naturali. In questo quadro concetti filosofici tradizionali vengono ridiscussi e investigati in contesti concettuali nuovi in cui riduzione o eliminazione sembrano essere le uniche alternative. In particolare, le neuroscienze hanno prodotto una serie di dati empirici che mettono in discussione l’esistenza di un concetto fondamentale per l’essere umano: la nozione di libero arbitrio. Secondo tali evidenze neuroscientifiche l’idea che gli esseri umani siano creature libere, in grado di decidere autonomamente delle proprie decisioni e azioni sembra essere niente più che un’illusione. Analizzando una serie di dati provenienti dalla nuova experimental philosophy tenteremo di verificare se l’idea di libertà è resistente alle prove scientifiche.

Studi neuroscientifici Le fondamentali e pioneristiche indagini empiriche condotte dal neurofisiologo Benjamin Libet (2004) circa i nessi causali che intercorrono tra le decisioni consapevoli e i processi neurali sottostanti rappresentano una svolta decisiva in un quadro riduzionistico della nozione di libero arbitrio. Durante gli esperimenti da lui condotti si invitavano i soggetti sperimentali a sedersi di fronte ad un oscilloscopio, uno speciale orologio da lui ideato in grado di rilevare differenze di tempo dell’ordine del centinaio di millisecondi, dopodiché si chiedeva loro di compiere un semplice movimento, come una flessione del polso. La decisione di compiere il movimento doveva avvenire spontaneamente, quando il soggetto avesse avuto voglia di compierla: doveva essere, appunto, un’azione libera. Inoltre il soggetto doveva associare il momento della sua intenzione di muovere il polso con la posizione di un punto luminoso ruotante nell’oscilloscopio; durante l’esecuzione del compito, un elettroencefalogramma misurava l’attività elettrica del cervello del soggetto sperimentale. Da ripetute verifiche dell’esperimento risultò che intercorrono circa 200 millisecondi tra il momento in cui il soggetto decide di muovere il polso e il momento in cui effettivamente avviene il movimento, un tempo, dunque, necessario per mettere in atto la decisione di compiere il movimento; fin qui nulla di sorprendente. Ciò che invece rende estremamente interessanti questi esperimenti è che l’elettroencefalogramma registrava l’insorgere di un’attività elettrica del cervello (detta readiness potential) già 350 millisecondi prima che il soggetto sperimentale diventasse consapevole dell’impulso Figura 1: Diagram of sequence of events, cerebral and subjective, that precede a fully self-initiated voluntary act. Relative to 0 time, detected in the electromyogram(EMG) of the suddenly activateda muovere il polso e, dunque, 550 millisecondi prima del compimento dell’azione. Secondo l’interpretazione di Libet se il processo che porta al compi- muscle, thereadiness potential (RP)(an indicator of related cerebral neuronal activities) begins first, about –1050 ms. when some pre-planning is reported (RP I) or about –550 ms. with spontaneous mento di un’azione volontaria inizia a livello dell’attività neuronale (dunque in modo inconscio) 350 millisecondi prima che il soggetto decida consapevol- at acts lacking immediate pre planning (RP II). Subjective awareness of the wish to move (W) appears about –200 ms., some 350 ms. after onset even of RP II; however,Wdoes appear well before the mente di muoversi, l’azione stessa non è dovuta alla decisione del soggetto ma a eventi cerebrali inconsci e, quindi, al di fuori del controllo dell’agente. at act (EMG). Subjective timings reported for awareness of the randomly delivered S (skin) stimulus Dunque non è più possibile considerare le azioni volontarie libere poiché i determinanti causali delle deliberazioni sarebbero eventi neurali precedenti average about –50 ms. relative to actual delivery time (Fonte: Libet, 1999). le deliberazioni stesse, non già la volontà conscia del soggetto agente. Tuttavia, nell’interpretazione di Libet, durante i 200 millisecondi che separano la consapevolezza dell’impulso a compiere il movimento e il movimento stesso, il soggetto ha la possibilità di inibire o meno l’azione precedentemente “decisa” dal cervello. Dunque, secondo questa lettura dei risultati, gli esseri umani non possiedono il libero arbitrio nel senso tradizionale del termine, al più possiedono il “libero veto”. Sebbene la ricerca di Libet sia stata oggetto di numerose critiche a livello metodologico e concettuale di cui non si discuterà in questa sede, rimane la valenza innovativa e il merito di aver aperto la strada in ambito neuroscientifico allo studio della nozione di libero arbitrio. Si colloca in una prospettiva ancora più radicale rispetto a quella di Libet la recente indagine empirica condotta da un team coordinato da Chun Siong Soon (da ora in poi Soon et al.) relativa alla determinazione neurale delle decisioni libere (2008). Nei loro esperimenti l’azione che si chiedeva di compiere ai soggetti sperimentali prevedeva una doppia alternativa di scelta: premere il pulsante su cui poggiavano il loro dito indice destro o premere il pulsante sotto l’indice sinistro quando avessero sentito l’impulso a farlo in modo spontaneo. Il set sperimentale prevedeva che i soggetti fossero seduti di fronte a uno schermo sul quale scorrevano alcune lettere dell’alfabeto; si chiedeva loro di riferire quale lettera fosse in onda sullo schermo Figura 2: Behavioural control experiment on decision timing. Subjects were required to judge either the timing al momento della deliberazione. L’attività cerebrale era misurata durante lo svolgimento del compito tramite of their Left/Right decision (“Left/Right Decision”) or the timing of their decision to press the button (“Time Decision”). The symbols show the average reported timing judgements separately for each subject. Reports for la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Soon et al. osservarono che gli eventi neurali, veri determinanti both of these decision times were within 1,000 ms preceding the motor response (0 ms in this figure) and long causali del compimento di un’azione, precedono la consapevolezza di voler compiere l’azione di un tempo preceded the earliest prediction of the Left/Right decision from brain activity (Fonte: Soon et al., 2008). che arriva sino a 10 secondi, un tempo di gran lunga superiore rispetto al mezzo secondo di Libet. Dunque, secondo questi dati empirici, quando il soggetto raggiunge la consapevolezza di una propria decisione i suoi processi neurali inconsci sono iniziati molto tempo prima. L’idea che sta alla base di questo studio, che, è bene precisare, non è esente da obiezioni, è chiaramente eliminativista e non lascia spazio alcuno per la libertà che dunque, stando Figura 3: The experience of conscious will arises when the peralla tesi di Soon et al., si rivelerebbe puramente illusoria. son infers an apparent causal path from thought to action (purple Ha suscitato grande interesse in questa prospettiva eliminativista la tesi di Daniel Wegner circa l’illusorietà della volontà cosciente. Secondo Wegner operando un’illecita inferenza causale tra i nostri pensieri e le nostre azioni, noi ci illudiamo di causare le azioni che compiamo, quando in realtà la causazione riguarda solo i processi neurali: ovvero processi di cui noi non possiamo essere consapevoli. Portando a sostegno della propria tesi una lunga serie di esperimenti egli argomenta a favore dell’idea secondo cui la volontà cosciente è un’esperienza illusoria risultante da una causazione mentale solo apparentemente auto-percepita, mentre, in realtà, non abbiamo alcun accesso diretto alle cause delle nostre decisioni: “meccanismi inconsci e imperscrutabili hanno creato sia il pensiero cosciente sull’azione sia l’azione stessa, e hanno anche prodotto la sensazione di volontà che proviamo percependo il pensiero come causa dell’azione” (Wegner, 2002, p. 98).

arrow). The actual causal paths (green) are not present in the person’s consciousness. The thought is caused by unconscious mental events, and the action is caused by unconscious mental events, and these unconscious mental events might also be linked to each other directly or through yet other mental or brain processes. Conscious will is experienced as a result of what is apparent, not what is real (Fonte: Wegner, 2002).

Le neuroscienze decreteranno la fine dell’idea di libero arbitrio? Riferimenti Bibliografici De Caro, M. (2004) Il libero arbitrio. Una introduzione, Laterza, Roma-Bari. De Caro, M. (2009) Le neuroscienze cognitive e l’enigma del libero arbitrio, Bruno Mondadori (in Il soggetto. Scienze della mente e natura dell’io, a cura di M. Di Francesco, M. Marraffa, Bruno Mondadori) Libet, B. (1999), Do We Have Free Will?, in Journal of Consciousness Studies, 6, No. 8–9 Libet, B. (2004), Mind time: The Temporal Factor in Consciousness, Harvard University Press (trad it. Mind time. Il fattore temporale della coscienza, Raffaello Cortina, Milano, 2007) Nahmias, E., Morris S., Nadelhoffer T., Turner J. (2004) The phenomenology of free will, The Journal of Consciousness Studies, 11, 162-179 Nahmias E., Morris S., Nadelhoffer T., Turner J. (2005) Surveying Freedom: Folk Intuitions about Free Will and Moral Responsibility. Philosophical Psychology 18: 561–84. Roskies, A. (2006) Neuroscientific Challenges to Free Will and Responsibility, Trends in Cognitive Science, 10 (9), pp. 419-423. Soon C. S., Brass M., Heinze H. J., Haynes J. D. (2008) Unconscious Determinants of Free Decision in the Human Brain, Nature Neuroscience, (http://www.nature.com/neuro/journal/v11/n5/abs/nn.2112.html) Wegner, D. (2002) The illusion of conscious will, MIT Press, Cambridge.

Conclusioni

Le acquisizioni delle neuroscienze, portando prove empiriche a favore della determinazione neurobiologica delle nostre decisioni e azioni, mettono, dunque, a rischio la nozione di libero arbitrio. Tuttavia c’è anche chi sostiene che le neuroscienze non sono in grado di minacciare la nostra idea intuitiva di libertà. Così, secondo Adina Roskies, la nozione di libertà proveniente dal senso comune rimarrà valida indipendentemente da quanto potranno dirci i progressi delle neuroscienze: i problemi relativi alla nozione di libero arbitrio esistono in maniera precedente e indipendente dai dati neuroscientifici che, lungi dall’essere non discutibili allo stato attuale delle cose, non sono sufficienti ad eliminare la nostra credenza nella libertà (Roskies, 2006). A sostegno della tesi secondo cui l’idea intuitiva di libertà non è minacciata dalle acquisizioni neuroscientifiche esamineremo recenti studi di experimental philosophy circa la tendenza naturale delle persone ordinarie ad essere compatibiliste piuttosto che incompatibiliste.

Experimental philosophy e libero arbitrio Nella filosofia sperimentale il metodo d’indagine più utilizzato consiste nel proporre ai soggetti scenari controfattuali di vario tipo, basati su mondi in cui tutto è determinato dalle leggi di natura o mondi in cui l’agire umano è soggetto all’indeterminatezza. Dopodiché si pongono ai soggetti sperimentali domande sulla possibilità che il libero arbitrio esista in questi mondi. In uno studio rappresentativo di questo tipo d’indagine Eddy Nahmias et al. idearono uno scenario in cui esiste un supercomputer in grado di dedurre dalle leggi di natura e dallo stato corrente di ogni cosa nel mondo ciò che succederà in un momento futuro, con una precisione del 100%. In un preciso momento precedente la nascita di un tale di nome Jeremy, il computer deduce con sicurezza da queste informazioni che Jeremy compirà una rapina in un preciso momento nel futuro. Come sempre la previsione del supercomputer è esatta: Jeremy commetterà il furto (Nahmias et al. 2005). Ai soggetti sperimentali venne chiesto se pensavano che, nel compiere la rapina, Jeremy avesse agito liberamente e il 76% dei partecipanti rispose positivamente, manifestando quindi intuizioni compatibiliste. Per i soggetti sperimentali il fatto che le azioni di Jeremy fossero determinate non rappresentava un ostacolo alla sua libertà, essi ritenevano comunque che Jeremy possedesse libero arbitrio e che in virtù di questo avesse deciso di compiere la rapina. Nahmias porta a sostegno della tesi del naturale compatibilismo delle persone ordinarie una serie di esperimenti che parrebbero tutti confermare una nostra reale e naturale tendenza verso il compatibilismo (piuttosto che verso il libertarismo, come invece si è ritenuto sino ad oggi).

Le osservazioni di Roskies e Nahmias si rivelano significativamente interessanti in relazione al timore che la ricerca neuroscientifica possa portare alla fine della nostra credenza nella libertà, con le relative conseguenze sociali. Infatti avere una naturale tendenza al compatibilismo implica che, se anche avessimo ragione di credere che le nostre decisioni e azioni sono determinate neurobiologicamente, ciò non inciderebbe sulla nostra intuitiva fiducia nel libero arbitrio; secondo la tesi compatibilista, che sostiene, appunto, la compatibilità tra ibero arbitrio e determinismo, la determinazione neurobiologica non impedisce affatto la libertà. La conclusione da trarre è dunque che, filosoficamente, le scoperte neurobiologiche non devono preoccuparci più di tanto, perché non mancano ragioni per continuare a credere nella nostra libertà.


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