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Tipologia come guida per la restituzione

Partendo dalla convinzione che l’architettura esiste come frutto di opere ed esperienze che si sono nel tempo sedimentate e ripetute, il dibattito alimentato sul concetto di tipo serve per comprendere le motivazioni più profonde di determinate scelte progettuali. La casa a torre come residenza, un insieme di blocchi semplici e basilari diviene fulcro del progetto, archetipo in grado di dare risposta a molteplici questioni. Presenta la propria adeguatezza per la crescita della città di pendio, impossibilitata ad estendersi per vie orizzontali, non può che sfogarsi verso l’alto. Piano su piano, di dimensioni essenziali, con luci quasi modulari dettate dalle risorse a disposizione del costruttore ma soprattutto dalle finanze del committente. Casa massiva, con poche aperture, ora piccole poi grandi, che seguono una regola di simmetria e allineamento non scritta. Ma essa porta con sé anche un altro carattere tipologico: la casa di pendio. L’abitazione sfruttando la pendenza dello sperone, si innesta al suo interno guadagnando un piano interrato o seminterrato dove possibile. È ora il pendio stesso a fungere da distributore degli ambienti ipogei. Le due tipologie, comunque, non differiscono: presentano sempre un rustico al pian terreno o seminterrato nel caso della residenza di pendio. La casa è rappresentata sempre con scala esterna, mai coperta, con ballatoio a creare il tipico profferlo: tipica scala dell’architettura viterbese, caratterizzata da una rampa che sbocca su un pianerottolo in cui è presente la porta d’ingresso all’abitazione, mentre sotto di esso trova luogo l’ingresso alla bottega. Possiamo ritenere che le tipologie consolidate in un determinato luogo geografico sono estremamente conservative. Difficilmente troviamo modifiche tipologiche. Per questo l’esistente è la strada per la progettazione, il progetto è la preesistenza stessa. Il progetto è dettato dalle rovine, così l’idea Rossiana di “… non disegnare più l’architettura ma di riprenderla dalle cose della memoria.”1 vale solo dopo un attento ascolto e analisi nella preesistenza che permette di ritrovare “…gli aspetti essenziali che sono già impressi nell’architettura del passato e a partire dai quali, di nuovo, ugualmente, ripetutamente, ora l’architetto deve operare seguendone la traccia.”2 Frammenti apparentemente insignificanti, ma che assumono il loro significato nella forma finale. Una composizione logica e consapevole del manufatto, che trova come suo tracé régualteur il segno lasciato dal tempo, di una rovina senza tempo. La conclusione di un disegno lasciato a metà legando il progetto con continuità alla tipologia dell’architettura in cui si innesta. La naturale conseguenza è la creazione di un nuovo corpo, diverso, che guarda gli esempi della storia, ma intenzionato ad appartenere al tempo in cui viene prodotto, il proprio. Una rovina che non vuol essere celata, una frammentazione in cui risiede la chiave di lettura che permette di distinguere nettamente gli elementi che si sono andati ad aggregare durante la storia. Gli edifici crescono, si addossano gli uni agli altri e lasciano dei vuoti, essenziali ai fini della funzione. Queste rimanenze assumono a volte il valore di strada, a volte quelle di piazza e garantiscono un equilibrio inconsapevole alle logiche compositive. I tessuti viari si mischiano, si incrociano, salgono e scendono talvolta creando una cordonata. Luoghi di socialità, di gioco e di crescita. Vuoti che non separano ma uniscono. Un gioco di chiaro-scuri che permette di passare da una realtà all’altra con continuità, vivere l’interno come un esterno, mantenendo sempre la distinzione tra sfera pubblica e quella privata, e di conseguenza l’idea di città, alla quale l’architettura ritorna.

L’ eterogeneità del territorio italiano ha portato, negli anni, alla conoscenza e conseguente sviluppo di materiali e tecniche costruttive sempre più nuove ed innovative, diverse da luogo a luogo. Periodo storico, contesto geografico, economico, politico e sociale, sono solo alcuni dei fattori che da sempre condizionano le scelte progettuali e che, seppur apparentemente secondari, hanno strutturato l’architettura locale dell’intera penisola. Mentre la materia prima dipendeva fortemente dalle risorse reperibili in loco, il processo costruttivo e le soluzioni tecnologiche venivano selezionate su base esperienziale, al fine di garantire un ottimo livello prestazionale per ogni situazione. Con il tempo ed il progresso tecnologico la regola dell’arte cede il posto ad un modus basato sulla teoria esigenziale-prestazionale, come continua ricerca del soddisfacimento di un bisogno attraverso l’utilizzo di tecniche evolutive e di una maggiore conoscenza, anche se superficiale, della materia. Risultato di ciò è stato lo sviluppo di una relazione sincera tra tecnica e forma, tale che l’una non prescinde dall’altra: un equilibrio fondamentale per la riuscita dell’opera.

Murature

Unità tecnologica del sistema che dalle fondazioni si sviluppa in verticale raggiungendo altezze utili. Staticamente si fa riferimento ad un comportamento scatolare, questo per resistere alle sollecitazioni di qualsiasi genere. Sebbene le testimonianze risultino decimate rispetto all’intero abitato, queste ci forniscono delle informazioni fondamentali dal punto di vista delle malte e degli intonaci utilizzati e delle tessiture. A tal proposito, la molteplicità delle stesse, ritrovate a Celleno, confermano la necessità di continue ricuciture dovute ai cedimenti del terreno e ai terremoti. Anche se ciò potrebbe mettere in dubbio l’originalità della soluzione tecnologica, non viene pregiudicata l’autenticità della tecnologia. La materia prima per eccellenza viene a connotarsi da sempre con il tufo di colore rosso, ben lavorato e tagliato secondo un modulo specifico. È possibile riconoscere nell’intera Tuscia filari di dimensione diversa quasi in ogni paese, tanto che Celleno ricade nell’utilizzo di filari alti tra i 26-28 cm1, con uno spessore vario tra i 40 e i 60 cm. Una particolarità della muratura è la presenza di piccole scaglie di materiale differente, solitamente ceramica, nella parte superiore del corso verticale. La ceramica presenta generalmente una resistenza maggiore rispetto all’elemento tufaceo, tanto da pensare che quest’ultimo servisse da coprigiunto per proteggere la malta sottostante.2 Nelle tessiture più irregolari troviamo l’inserimento di scaglie di altro materiale, quali mattoni in cotto, peperino e raramente travertino. È possibile vedere aree di intonaco presenti in entrambi i lati della muratura, a dimostrazione che le pareti venivano rivestiste con uno strato di pochi centimetri come rifinitura esterna.

Solai

La quasi totale assenza di solai nelle poche strutture rimaste non permet- tere di avere una conoscenza esaustiva di come tali elementi dovessero essere fatti. Tracce di trave protese, irrompono nelle murature, lasciando intuire una partitura primaria di elementi lignei di diversa dimensione, per una luce che si aggira tra i 4 e i 5 metri. Questi elementi non solo sorreggono il solaio, ma danno la misura all’abitazione. Alcuni solai e coperture vengono ricostruite negli anni recenti grazie agli interventi di restauro iniziati nel borgo abbandonato. Alcuni scritti storici però ci offrono notizie essenziali su come dovessero essere realizzati i solai di copertura: la copertura viene fatta in legno con travi, travicelli, tegole3 e probabilmente pianelle o tavole. Si intuisce così l’uso di un tipico solaio ligneo che, analizzando le tracce sulla muratura, poteva aver uno spessore tra i 15 e i 20 cm. Per quanto riguarda il rivestimento del pavimento, sempre dal precedente scritto, si legge di una specifica richiesta di pavimento in battuto 4

Porte e finestre

Solitamente di piccole dimensioni, caratterizzano le facciate dell’intero abitato seguendo delle simmetrie irregolari. Elementi fondamentali per l’ingresso della luce e delle persone, ma critiche dal punto di vista della continuità strutturale in un contesto in cui il pieno ha sicuramente la meglio sul vuoto. Possono avere dimensioni varie: larghezza compresa tra 70 e 100 cm e altezza tra 200 e 250 cm per le porte, mentre per le finestre una larghezza compresa tra 45 e 100 cm, e un’altezza tra 60 a 140 cm. La loro realizzazione prevede spesso dei pezzi speciali che vanno a formare i piedritti, mensola e architrave, tanto da poter fare delle distinzioni tra le diverse tecniche utilizzate. Nello specifico:

• Piedritto in tufo con architrave in tufo

• Piedritto in tufo con arco in tufo

• Piedritto in tufo con architrave in legno

• Piedritto in mattone con piattabanda in mattone

• Piedritto e architrave in peperino

È interessante notare la varietà di porte e finestre aperte o chiuse nelle murature preesistente, in base alle necessità del committente, che lasciano un segno indelebile di come si dovessero sviluppare i piani e le facciate degli edifici. Esse ci indicano quale dovesse essere l’altezza del piano di calpestio, o ancora se una parete era di facciata o condivisa con un altro fabbricato. Espediente caratteristico, per impedire al freddo di entrare nell’abitazione, era solito proteggere le finestre con delle impannate, telai in legno in cui venivano aggrappati dei panni.5

La misura che ogni opera, inevitabilmente, stabilisce con quanto l’ha preceduta è non soltanto uno dei suoi caratteri più specifici[...], ma anche l’incentivo più straordinario che abbiamo a disposizione nel progetto.

(H. Tessenow, 2003)

L’approccio progettuale alla rovina segue un processo di scomposizione e conseguente analisi sul piano geometrico, morfologico, compositivo, partendo dal concetto di incastellamento, come lenta trasformazione di ciò che prima rappresentava il tipo di insediamento rurale sparso, a concepire una nuova forma di habitat compatto o villaggio fortificato, introiettato, autosufficiente a sé stesso, figlio delle logiche comunali e del potere “temporale”. Un nucleo urbano che tende a svilupparsi attorno alla massiva presenza del castello, fulcro dell’intera composizione, cuore nevralgico ed introverso per eccellenza, a cui vanno ad annettersi diverse funzioni fondamentali per gli equilibri del sistema castrum. Abitazione, bottega, luogo di culto. Tre condizioni da cui parte la Regola, nell’intento di riconsegnare alla città un territorio strappato dal tempo, attraverso l’analisi e il disegno degli spazi sulla base delle oneste tracce lasciate dal tempo. Un processo di progettazione che punta alla riattivazione di un brano di città tutt’oggi esistente, ridando forma all’ organismo smembrato del castro. In un contesto che appare per frammenti, l’intenzione con il progetto di far coesistere vecchio e nuovo non si risolve nella riproposizione di forme ormai svuotate dei propri significati o nella mera imitazione, ma tende all’interpretazione dei caratteri eminenti del luogo, sedimentati nella memoria collettiva. Quattro nuovi edifici ridisegnano il fronte insistendo sulle tracce del passato: ne reinterpretano i volumi e le forme, riconsegnando alla città quegli austeri prospetti tipici delle costruzioni in muratura. Vengono ristabiliti i rapporti tra i pieni e i vuoti, tra il costruito e il non costruito, fondamentale quest’ultimo come percorso distributivo, che, calcando l’orografia del terreno, si adatta creando un’alternanza tra chiari e scuri, vie e piazze. Piccoli affacci sulla Valle del Tevere, terminano sospesi sulle coste del pendio, mediando tra la sfera naturale e quella artificiale; sul fronte opposto di questa arteria, lacerti attendono invano il completamento e ne suggeriscono la soluzione. Qui la sfera artigianale del vivere quotidiano è ancora viva e gli spazi destinati a bottega per l’arte della ceramica ne sono testimonianza, fino al percorso museale, un procedere dall’alto verso il basso tra i ritrovamenti di notevole importanza del vicino butto. Ad un livello superiore si impostano ambienti per la ricerca e l’approfondimenti di questa materia: ecco l’arte non fine a sé stessa, ma oggetto di studio, ricerca, e costante lavoro, per essere poi regalata agli altri. A sinistra del percorso museale, un antico forno viene rivitalizzato con l’annessione di uno spazio per la mensa in comunità, e ancora al di sopra, spazi destinati all’esposizione. La Regola culmina con il luogo di culto, il congelamento di un fatto che cerca e trova il tipo nella rovina stessa. Una piazza aperta ma pro- tetta rovine inermi che segnano e narrano una storia che necessita di essere ricordata, mostrando tutta la voglia di essere ancora scritta. Vengono così a verificarsi tre differenti approcci: una nuova costruzione nel caso delle residenze che, nel confronto con la storia, reinterpretano una condizione del passato senza il timore di istaurarsi nel presente; un approccio di tipo aggregativo nel caso del museo, in cui è la preesistenza stessa che guida la nuova costruzione secondo un gioco non di opposti ma di integrazione, a creare un unicum in cui le parti rimangono comunque distinguibili; infine, la chiesa, in cui la rovina viene congelata nel tempo e continua a parlare di sè.

Residenza

Destinati agli studenti sono i quattro edifici a torre ad altezza variabile che, sfruttando il pendio, trovano locazione per gli ambienti di servizio, biblioteca e aule studio, negli interrati e semi-interrati. Planimetricamente semplici, talvolta ad ambiente unico, nascono seguendo le tracce preesistenti e le curve di livello, che ne determinano la profondità: sfruttando al massimo il terreno, i blocchi pieni si spingono ora più avanti, ora più indietro. Ai piani più alti due ambienti: la grande stanza viene divisa in due parti portando alla creazione di una loggia che affaccia sul paesaggio circostante attraverso piccole aperture. Disegnate per ospitare due persone, le camere assolvono alla funzione di studio e riposo. I collegamenti verticali avvengono attraverso una torre, nel caso delle residenze a ovest, coronata ancora una volta da una loggia che affaccia sulla Valle del Tevere; a est un sistema di scale e ballatoi permette la distribuzione verticale e orizzontale. Prospetti austeri richiamano il costruire logico di questi luoghi, con poche e piccole aperture, a dichiarare quella massività, riservatezza, introspezione tipica dell’incastellamento. Il fronte interno, in opposizione a quello sulla valle, mostra invece tutta la sua leggerezza, criterio fondamentale a cui il progetto ha dovuto rispondere con prontezza a causa della grave fragilità del pendio e dall’insidiosa si- tuazione sismica: la torre viene innalzata per permettere l’ingresso al corpo scale, i ballatoi vengono svuotati e una struttura lignea dichiara la sua essenza. Questa si sviluppa per tre piani in alzato, rivestita con intonaco arricchito di pigmenti tufacei, si poggia su un basamento in calcestruzzo armato rivestito con lastre di tufo. La differenziazione dimensionale delle aperture contribuisce a esplicare le diverse attività ospitate all’interno delle stanze, riprendendo quell’inequivocabile sincerità dell’architettura rurale. Cornici segnano le aperture sulla parete intonacata, mentre saltano sui rivestimenti in tufo rafforzando il tema dell’incompiuto, mostrando una costante ricerca tra finito e non finito.

Bottega

La bottega dell’arte della ceramica trova spazio al termine di un percorso in discesa, che attraversando il museo, porta i visitatori all’interno del laboratorio, diventando esso stesso spazio espositivo dinamico, in cui avviene il processo di creazione. La struttu- ra, precedentemente di quattro piani, viene consolidata con la ricostruzione di due solai mancanti e l’edificio viene completato utilizzando una struttura in legno collaborante con una parete in tufo. Ciò permette di avere una struttura sismicamente leggera e prestante, ma con una tessitura tufacea che riprende il carattere della preesistenza e ne connota una continuità materica, valorizzando così la scatola muraria e i suoi processi di aggiunta e sottrazioni. Il percorso museale diventa esso stesso oggetto espositivo: velatamente mostra tutte le cicatrici del tempo, mettendo a nudo le diverse tessiture murarie, che possono essere viste, toccate e confrontante. Le stanze dialogano attraverso la riapertura delle porte preesistenti, e lo spazio espositivo viene sempre affiancato da un laboratorio tematico. Il collegamento verticale è garantito da una scala in pietra che richiama le tipiche scale rurali, costituite da un’unica pietra sagomata. Alla bottega sono affiancate due aule di ricerca, realizzate al di sopra del butto, una mensa, costruita sopra al vec- chio forno e infine un’ulteriore stanza espositiva realizzata sopra a quest’ultima, in cui si può accedere dalla Ex chiesa di S. Carlo. Per conferire leggerezza e prestazioni sismiche la struttura portante è sempre realizzata in legno: si svela in prossimità delle pareti preesistenti, mostrando la propria collaborazione con la parete in muratura. Lo sfalsamento tra le finestre della mensa e quelle della sala espositiva ne indica la diversità delle funzioni ospitate. Sulla copertura si apre una terrazza, accessibile esclusivamente da Piazza Castellani, da cui è possibile godere del panorama circostante.

Chiesa

La chiesa di San Donato vede attuare un approccio diverso dai precedenti. Qui la memoria viene congelata, esposta e valorizzata. La pianta a croce greca si presenta ora come un’unica aula aperta al cielo. L’abside, posto prima a nord, poi ruotato verso ovest viene irrimediabilmente cancellato, così come la copertura, le colonne, il pavimento. L’unica colonna superstite por- ta con sé il valore intrinseco della regola che ha generato la chiesa, e ancora oggi evoca quei tracciati eloquenti impressi nel tempo. Poche tracce di inesplicabile comprensione, si caricano di quei valori esaustivi che solo un finito è in grado di rappresentare. La (in)compiutezza, affiancata dalla necessità di non agire con interventi ingiustificati ha prediletto la scelta di un intervento conservativo della rovina, valorizzato solo dalla creazione del solaio di calpestio. Tre blocchi in pietra e l’altare posto a est rappresentano gli unici gesti a cui è affidato il compito di evocare il valore spaziale e spirituale, tra il ricordo e la memoria.

Impazienza. È quella che fa chiedere a Stefano Moscini la tesi al professore all’inizio del Laboratorio di Progettazione dell’Architettura V, quando di solito semmai è dopo aver sostenuto l’esame che si può cercare di capire se il percorso fatto nel corso del semestre possa diventare un approfondimento da portare avanti come lavoro finale. Inattualità. È questa sequenza di disegni come una volta, tracciati a mano, col bianco che tira avanti i piani, e le ombre a dare profondità ai corpi. Questa tesi fa seguito a un Laboratorio di Progettazione del quinto anno e a una serie di lezioni tenute come una volta, svolte di ritorno dal lockdown per Covid e col sincero desiderio di tornare in aula ad ascoltarsi e guardarsi. Ostinazione. È quella che ci fa insistere, caparbiamente, nel recuperare un antico paese abbandonato negli Anni Trenta del Novecento a causa di un cedimento della collina che ne ha, per pezzi, eroso e sbranato l’integrità. Il tempo e le mutate condizioni ci consentono di non ritornare sui luoghi perduti, ma almeno di riconsiderarne una parte, la sua storia sospesa.

Irrequietezza. È quella che non ha fatto fermare l’autore di questi bei disegni, ridiscutendo passo passo l’agibilità di ogni muro, di ogni balza, di ogni cantina scoperchiata e di ogni volta collassata, ritrovando una ragione su cui si fondasse un allineamento, una platea più solida e sicura, un orizzontamento di solaio a ricercare senza sosta un’antica trama che sapevamo, sotto, pure doveva esserci.

Sfrontatezza. È il modo con cui abbiamo dovuto spesso dare delle risposte a chi ci tacciava di nostalgia o gusto per il vintage, andando invece dietro a certezze fatte di muri che c’erano, platee dove la terra era soda e sicura, curve di livello che davano la quota di imposta di muri di sostegno. Tutti fatti spaziali che un tempo erano stati calda vita. Messe in fila in questi capoversi, sono apparentemente caratteristiche negative.

Alla prova dei fatti un tentativo condiviso di tiepida speranza.

Francesco Collotti Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Finito di stampare per conto di didapress

Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Maggio 2023

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