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La libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica Luigi Einaudi

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QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 19 APRILE 2012

di Ferdinando Adornato

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Il Consiglio dei ministri vara il ”documento di economia e finanza” che punta al pareggio in bilancio

Monti: il peggio non è alle spalle E Casini: «È ora di superare il finanziamento pubblico dei partiti» Il premier: «C’è qualcuno che si illude, ma stiamo ancora cercando di evitare la fine della Grecia». E lancia il piano per la crescita. Ma aggiunge: «I mercati aspettano anche la riforma della politica» 1 Savino Pezzotta 2 Luigi Paganetto 3 Marco Fortis Sequestrati i fondi de “l’Avanti!” Una svolta Tagliare Ci salveremo Comincia in Europa, la spesa solo se fallirà la caccia convinciamo per ridurre il fiscal la Germania il “cuneo” compact al tesoro

di Lavitola

di Savino Pezzotta

di Errico Novi

di Andrea Ottieri

iù passa il tempo, più cresce la domanda se si riuscirà a innescare una fase di crescita che stabilizzi la situazione, risponda ad alcune drammatiche emergenze sociali e che ci sottragga dai ricatti dei cosiddetti mercati. Avviare la crescita è indispensabile per contenere la recessione, ma anche per iniziare a progettare le condizioni di un nuovo sviluppo che non deve essere soltanto quantitativo. a pagina 3

ettere in dubbio l’opportunità del programma esposto dal governo? Non avrebbe senso, dice il professor Luigi Paganetto. Innanzitutto perché «si va nella direzione giusta». E poi perché se un dubbio esiste, esso non riguarda l’opportunità di puntare, su «infrastrutture, energie rinnovabili e innovazione»: il problema è «se possiamo fare tutto questo senza tagli alla spesa improduttiva». a pagina 4

arco Fortis non chiede di sperimentare nuove prodigiose alchimie contabili, non investe speranze in poderosi tagli. no, preferisce fare una scommessa in negativo: «Il fallimento del Fiscal compact: ecco da dove può venire l’unica, vera, possibile spinta alla crescita per l’Europa e per l’Italia. Anche perché l’Italia rischia di essere l’unico Paese in grado di rispettarlo. Ma a che costo...». a pagina 5

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Requisiti 2,5 milioni di contributi destinati al quotidiano del faccendiere. In “Casa Lega” intanto, spunta un dossier contro Roberto Maroni Lo Dico e Palombi • pagine 6 e 7

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Nessuna decisione sul futuro delle forze in Afghanistan: se ne riparlerà fra un mese

Domani a Bettona

Lasciare Kabul? La Nato rinvia

Giornalismo e impegno, nel nome di Renzo Foa

Il vertice di Bruxelles si incaglia anche sullo scudo antimissile di Antonio Picasso

Asma al Assad e l’altra faccia del regime

Le donne cancellate dal dramma siriano

i è aperto ieri e si concluderà oggi a Bruxelles il vertice preparatorio della Nato per il summit che, alla fine di maggio, verrà ospitato a Chicago. Entrambi gli incontri hanno il doppio focus dell’exit strategy dall’Afghanistan e dello scudo antimissile. È passato un anno e mezzo da quando, a Lisbona, si era deciso il destino dell’Alleanza atlantica. Sebbene questa abbia le idee chiare su entrambi i temi, preferisce procedere cautamente. a pagina 11

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EURO 1,00 (10,00

di Luisa Arezzo assenza di donne di potere, donne capaci di diventare un simbolo e generare un cambiamento. Basterà un appello a Lady Asma per trasformarla? Pensano davvero all’Onu che la donna, inglese per nascita e passaporto, siriana da parte di padre, non abbia ben chiaro quello che sta succedendo nel paese governato dalle bombe di suo marito? a pagina 10

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CON I QUADERNI)

• ANNO XVII •

NUMERO

76 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

di Gabriella Mecucci anno passato si è tenuta la prima edizione del Premio Renzo Foa, promosso e organizzato dal Comune di Bettona e dalla Fondazione Liberal per ricordare il grande giornalista. Il primo ad essere premiato è stato il “padre nobile” del dissenso cinese, Wei Jingsheng. Domani, invece, la seconda edizione premierà Toni Capuozzo e Marco Tarquinio.

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pagina 2 • 19 aprile 2012

Il leader centrista risponde all’appello del premier

Casini rilancia: «Superare il finanziamento pubblico» ROMA. Ancora una volta Mario Monti ha richiamato i partiti a un maggiore responsabilità. Ricordato che i mercati attendono «la riforma della governance del Paese». Appello accolto a stretto giro da Pier Ferdinando Casini, che conferma l’obiettivo di «superare il finanziamento pubblico». Rivolgendosi ai suoi colleghi, il leader dell’Udc spiega che «sarebbe peccato mortale dire che il peggio è passato. E da irresponsabili promettere oggi agli italiani: “Vi abbassiamo le tasse”. Nessuno ha la bacchetta magica e la crescita non si fa per decreto: è un insieme di azioni e non bisogna dimenticare che Monti ha preso in mano un Paese che non cresceva da 15 anni, ha evitato di farci fare la fine della Grecia. Ma è necessario che l’Europa faccia di più per la crescita». Quindi, entrando nel merito dell’appello di Monti, Casini ha spiegato: «Noi non abbiamo lingotti o diamanti da restituire. Io, per esempio, non avrei potuto fare la campagna elettorale senza l’anticipo della banca e sono soldi che dobbiamo restituire». In quest’ottica, ricorda la necessità di «controlli rigidi, trasparenti così come prevede l’iniziativa di Alfano, Bersani e il sottoscritto. Poi si deve andare a scemare col contributo pubblico ai partiti, quindi sostituirlo con le contribuzioni volontarie e fiscalizzate da parte dei cittadini. Per questo sposo in pieno la proposta del professor Capaldo, che è stata presentata per iniziativa popolare. Credo che possa essere la risposta al discredito della politica». Intanto Gianfranco Fini, intervenendo a un convegno organizzato dalla rivista Ago e Filo e dall’istituto Sturzo, ha sostenuto che «è importante la legge sui controlli di bilanci ma è altrettanto importante la riduzione dei parlamentari».

Palazzo Chigi presenta il piano in cinque punti per lo sviluppo. Confermato il pareggio di bilancio nel 2013 come chiesto dalla Ue

Fuga dallo spettro greco

Monti alza i toni per spiegare la politica per la crescita: «Riforme a tutto campo. Ma i mercati si aspettano anche quella dei partiti» di Francesco Pacifico

ROMA. Prima della crescita c’è la credibilità. «Occorre la riforma della politica, della governance del Paese». Mario Monti respinge ancora una volta gli ultimatum di partiti e sindacati, ma rilancia ricordando quanto è ancora labile il confine tra ripresa e default. Quanto ci sia ancora da fare «ogni giorno per evitare il drammatico destino della Grecia».

Così, nel giorno in cui il premier dà l’avvio alla Fase due e presenta il Documento economico-finanziario, finiscono per passare in secondo piano i 100 miliardi di euro in opere pubbliche da sbloccare nel prossimo biennio o i cinque punti di Pil da creare entro il 2020, e tornano ancora centrali per i destini del Belpaese i partiti e il complesso processo di responsabilizzazione della classe dirigente italiana in atto. Il monito di Monti infatti è semplice, ancora più diretto

perché ci riporta alla fine del 2011, quando – complice il possibile fallimento di Atene – lo spread tra Btp e Bund superava agevolmente i 500 punti e la speculazione considerava quasi spazzatura il debito sovrano di Roma. Perché i mercati e le agenzie di rating – fa presente il premier – guardano anche «quei cantieri ai quali finora i partiti hanno messo il loro impegno dialogando tra loro: riforma elettorale, riduzione del numero dei parlamentari, riforma del finanziamento dei partiti. E sono temi nei quali è primaria la loro responsabilità». Ergo, «non pensino i partiti che questi temi siano cosa diversa, separata e irrilevante dai temi del recupero di credibilità del Paese». In quest’ottica non aiuta certamente vedere Confindustria spaccarsi in due come fosse un partito oppure la prima forza della coalizione (il Pdl) attaccare a testa bassa il

proprio presidente del Consiglio dopo la decisione di voler mettere all’asta – come ci chiede l’Europa – le frequenze rese disponibili dopo il passaggio dal analogico al digitale terrestre. O sentire il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, annunciare che l’aziende potrebbe non partecipare alla gara e sostenere che «Corrado Passera, ha sbagliato e che il vero ministro è Paolo Gentiloni». Cioè il responsabile media del Pd. Un polverone che dovrebbe spingere Silvio Berlusconi a far saltare il pranzo previsto per oggi con Monti. Anche perché il premier ha rivendicato «La decisione del governo di annullare il beauty contest e mettere all’asta le frequenze tv, come presidente del Consiglio è una decisione che appoggio e difendo». Ma al di là dello scontro su Mediaset, il premier chiede a tutti un passo indietro, conscio

che «abbiamo di più nelle nostre mani di singoli Stati il destino della credibilità di bilancio e finanziaria che il destino della crescita economica». Soprattutto mentre i mercati continuano a scomettere al ribasso sul futuro di Italia e Spagna (ieri il differenziale tra il Btp e il Bund è salito a quota 377 punti base, quello tra i Bonos e il decennale tedesco a 413 punti) e il Fondo monetario prevede che «le pressioni sulle banche europee restano elevate». L’importante è guardare al futuro, seguire lo spirito del montismo. Che, proprio l’ex rettore della Bocconi, sintetizza

nella formula «governo breve chiamato a svolgere un compito lunghissimo». In quest’ottica il Def ha come principale obiettivo confermare – a dispetto delle previsioni del Fondo monetario – il pareggio di bilancio nel 2013 ed evitare una nuova manovra. Infatti Palazzo Chigi, pur rivedendo al ribasso gli obiettivi sul breve termine, stima un calo per il Pil nel 2012 dell’1,2 per


prima pagina Il premier Mario Monti ieri ha illustrato la politica del governo per la ripresa economica tracciando la rotta di un percorso lungo fino al 2020. «Con delle riforme serie - ha spiegato il Paese potrà crescere fino a 5 punti di Pil». Poi, alludendo alle fibrillazioni continue nella maggioranza ha detto: «È necessario che i partiti condividano le riforme al di là della vita breve di questo governo». Accanto a lui, è sempre più in primo piano il ministro Corrado Passera

cento e ritorno alla crescita l’anno dopo (+0,5 per cento), con il risultato di portare tra 12 mesi l’avanzo primario allo 0,5 per cento e il debito pubblico verso una china discendente (121,6 per cento). Difficile invece intervenire sulla pressione fiscale, visto che per il 2013 il livello di prelievo supererà il record del 2012 (45,1 per cento) toccando il picco del 45,4. Preoccupante poi anche lo stock di disoccupazione: la ripresa delle esportazioni inizierà a fare sentire i suoi effetti solo nel 2014 (quando scenderà all’8,9 per cento), visto che nel prossimo biennio non andrà sotto il 9,2 per cento.

Numeri che, però, dicono poco se staccati dal contesto europeo. E che potrebbero essere ribaltati se la Germania aumenterà i suoi acquisti nel Belpaese, ma anche peggiorare se il Vecchio Continente non uscirà dal torpore che ancora lo avvolge. Infatti mentre a Berlino l’associazione Imprese familiari minaccia le vie legali contro il Bundestag e la Buba per gli aiuti alla Spagna e a Parigi François Hollande promette di far riscrivere il patto di stabilità europeo in caso di conquista per l’Eliseo, Mario Monti ribadisce: «Mi conforta più il fatto che il ministro Schauble martedì, il suo portavoce ieri, la signora Lagarde 48 ore fa e qualcun’altro dagli Usa abbiano detto che l’Italia ha fatto e sta facendo le riforme che sono necessarie e che porteranno alla crescita e all’equilibrio dei con-

ti, di quanto mi sconforti il fatto che possa esserci mezzo punto percentuale in su o in giù di crescita nelle stime di qualche economista». Se dai partiti si aspetta Così, se dai partiti si aspetta senso di responsabilità sulle riforme in programma, è dall’Europa che l’ex rettore della Bocconi si attende il via libera al Documento economico e finanziario. Quindi a quel piano che, come spiegato dal ministro Corrado Passera, ha come priorità quelle di rilanciare le infrastrutture, di velocizzare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, di rimodulare gli incentivi alle imprese, abbassare il costo della bolletta energetica, incentivare la semplificazione burocratica. Secondo il titolare dello Sviluppo economico, «bisogna lavorare sulle riforme che vanno a rafforzare il nostro Paese nel tempo, ma anche su azioni concrete per fare si’che affluiscano risorse nei nel breve periodo. Non esistono singole misure né singole idee o ideone che risolvono il problema della crescita ma bisogna lavorare con pazienza su tutti i motori della crescita». Secondo questa logica è importante «accelerare l’accelerazione dei cantieri grandi e di lavori medi e piccoli», quanto «lavorare con il sistema delle banche, convinti che ci sia la disponibilità ad anticipare 20-30 miliardi di per i pagamenti pregressi della Pubblica amministrazione. Soldi che in un momento come questo possono fare la differenza».

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Savino Pezzotta

Per ripartire serve l’Europa: Monti convinca Berlino Non è possibile pensare di uscire da questa crisi senza tutta l’Unione di Savino Pezzotta

iù passa il tempo, più cresce la domanda se si riuscirà a innescare una fase di crescita che stabilizzi la situazione, risponda ad alcune drammatiche emergenze sociali e che ci sottragga dai ricatti dei cosiddetti mercati. Avviare la crescita è indispensabile per contenere la recessione, ma anche per iniziare a progettare le condizioni di un nuovo sviluppo. Uno sviluppo che deve essere diverso da quello quantitativo che abbiamo vissuto fino a poco tempo fa. La crisi che stiamo attraversando è molto profonda e sta mutando molti dei paradigmi economici e ci obbliga a ricercarne di nuovi, impresa non facile. Dobbiamo tenere conto che una sorta di software liberista è ancora presente nella

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tare vie nuove e delineare una nuova idea di benessere. Chi pensa che si possa tornare alla “regolazione fordista” s’illude e illude. Ora le centralità sono diverse e non è certo più il rapporto fabbrica/società e il welfare che da questo compromesso era scaturito. In questi ultimi vent’anni si sono liberate tante nuove energie, le persone hanno mutato la percezione di sé e del loro ruolo, è cresciuta la soggettività personale. Oggi vediamo che tutto questo, complice una crisi profonda e le necessarie politiche di austerità finanziaria, crea dei sommovimenti, delle rimostranze, dei rancori sociali che prima non avevamo sperimentato.

Al governo Monti va dato merito di aver tirato il freno a mano in una corsa che ci avrebbe precipitato in una situazione sicuramente drammatica e con costi sociali molto

ne le spese. In questo paradosso di una moneta unica e politiche differenziate e chiuse su una visione nazionale, si corre un grande rischio per tutti. Convincere l’Europa e la Germania che dalla crisi si esce solo insieme è il primo impegno per avviare la crescita.

Davanti a noi si prospetta una situazione tuttora difficile, di recessione, di mancanza di lavoro e di crescita del malessere sociale che (teniamone conto perché il nesso nazione/internazionale per il nostro Paese è sempre stato determinante) dovrà fare i conti con una fase mondiale di crescita lenta che ormai coinvolge anche i paesi emergenti. Inoltre, se si vuole avviare una nuova fase di crescita, occorrerà che si rifletta con attenzione che la crisi in atto evidenzia lo sgonfiarsi dell’illusione neo-liberista che tutto aveva puntato sull’autoregolazione dei mercati. L’aver consentito e favorito il crescere del potere finanziario concentrando a livello globale la proprietà dei capitali, ha espropriato l’economia reale delle sue capacità propulsive. Affermando come centrale il concetto di creazione di valore azionario si è imposto una nuova visione dei rapporti economici, della decisionalità, della creazione di ricchezza e della sua distribuzione. L’impresa si trasformata in una entità a servizio degli azionisti mettendone in discussione il ruolo sociale e relazionale. Puntare a una nuova fase di crescita significa anche ripristinare alcuni fondamentali dell’economia sociale di mercato in cui la produzione di beni e servizi, la valorizzazione del lavoro e la premialità del merito hanno un valore intrinseco al vivere comune. È urgente, radicalmente urgente che, dopo la cura di cavallo che è stata imposta agli italiani per evitare il peggio, si prospetti una nuova fase di crescita che allenti le tensioni sociali e ricrei un clima di speranza, togliendoci dalle secche del nichilismo protestatario.

È il momento di ripensare l’intera politica industriale del Paese: così nascerà un nuovo welfare

nostra economia e continua a condizionare le scelte, gli eventi e i pensieri.

Per riavviare l’economia servono nuove regole del gioco, nuove istituzioni, nuovi compromessi sociali. Credo che questo sia il problema più complicato che l’insieme delle economie europee deve affrontare. Non mi sfugge che questa è una questione complessa perché dopo anni di consumismo, di egemonia della finanza, di speculazioni e di promesse non è facile tornare con i piedi per terra e che magari in molti permanga il desiderio di tornare a prima. Sappiamo che questo non è possibile, e che bisogna avere il coraggio di sperimen-

più alti di quelli che stiamo affrontando e subendo. Ma è sempre stata una frenata brusca e chi guida l’automobile comprende bene la metafora. Non si può però stare fermi. I rischi non sono scomparsi dal nostro orizzonte, e le parole del Fondo monetario internazionale l’hanno ricordato, riportandoci alla dura realtà. La crisi non riguarda ora solo l’Italia, anche se continua a essere sotto osservazione; non mi preoccupa più di tanto l’andamento oscillante degli spread o delle borse, anche se ne tengo conto, ma mi turba il pensare che il rischio di una nuova crisi riguardi l’Europa nel suo insieme. È l’Europa che dovrebbe cogliere l’avvertimento, in primis la Germania che in questi mesi ha fatto una politica arcigna che se non la modificherà finirà anch’essa per far-


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Il ministro Passera ha annunciato un piano nazionale di riforma ed è stata presentata con una serie di diapositive (circa 40) che individuano il percorso che s’intende fare. Ora bisogna che dalla presentazione si passi alla concretezza e alla decisione. Si dice che le risorse sono scarse ma se non si parte, diverranno ancora più esili e nel frattempo il disagio occupazionale non farà altro che aumentare. Le indicazioni ci sono e sono per molti versi condivisibili come quelle che riguardano le infrastrutture e il project financing. Occorre rendere più chiaro il piano casa e la dismissione degli immobili e agire in fretta sui debiti che le Pubbliche amministrazioni hanno nei confronti delle aziende. Utile e indispensabile l’azione sul digitale recuperando i ritardi che ci segnala da tempo l’Europa. Sugli incentivi alle imprese credo che andrebbero maggiormente finalizzati verso le imprese che creano lavoro o producono innovazione . Sostenere la creazioni di nuove imprese con agevolazioni fiscali, detassazione degli investimenti.

Credo però che oltre a queste iniziativi che vedremo nel dettaglio servano delle politiche industriali in grado di produrre un cambiamento nei paradigmi tecnologici. Non ci sarà crescita se il lavoro non sarà detassato, l’occupazione sostenuta e rilanciata, se non si sosterrà il reddito delle famiglie e se non si risolveranno alcuni problemi che rischiano di assumere un rilievo sociale molto alto come quello degli esodati. Sostenere le imprese significa anche affrontare la questione delle famiglie e dei redditi familiari. Tutte le misure “tecniche” possono andare bene, ma da sole non bastano. Serve un’attenzione sociale molto alta che crei condivisone e voglia di cambiare. Bisogna anche smettere di parlare di mercati come se quelli finanziari riassumessero il tutto e fossero stabili e razionali, occorre tornare a riflettere e guardare al mercato dei beni. Questi si occupano di cose reali, con la capacità di giudicare, come diceva Giuseppe Toniolo, l’utile e non solo sul guadagno speculativo. I mercati dei beni sono quelli dove le persone si incontrano, stabiliscono relazioni, fanno accordi e si promettono impegni. Dunque si tratta di avviare un percorso che ci porti dall’economia liberista a quella civile che e fatta di relazioni e di coesioni. L’importante per crescere e creare le basi per un nuovo sviluppo è la consapevolezza che non ci troviamo di fronte a una crisi temporanea o congiunturale, ma a una “guerra”che va combattuta con mezzi non solo ordinari ma, soprattutto, straordinari.

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Luigi Paganetto

«Tagliare le spese per abbassare il cuneo fiscale» «La linea del governo è giusta, ma servono subito maggiori risorse» di Errico Novi

ROMA. Mettere in dubbio l’opportunità del programma esposto dal governo? Non avrebbe senso, dice il professor Luigi Paganetto. Innanzitutto perché «si va nella direzione giusta, quella degli investimenti e del sostegno all’innovazione, con particolare cura per il Mezzogiorno». E poi perché se un dubbio esiste, esso non riguarda l’opportunità di puntare, come annunciato da Passera, su «infrastrutture, saldo dei debito verso le imprese, energie rinnovabili e innovazione». Casomai il problema è «se possiamo fare tutto questo in assenza di una politica di tagli alla spesa improduttiva». Ecco il vero nodo, la vera formula che renderebbe traducibili, spiega il professore di Economia internazionale dell’università Tor Vergata, le sollecitazioni a incentivare la crescita diffuse dall’Fmi. «Se si vuole lasciare spazio ai tentativi annunciati dal governo, si dovrebbe procedere a un ulteriore intervento: ridurre l’acquisto di beni e servizi. Iniziativa peraltro indispensabile per ridurre la tassazione, e più precisamente per ridurre il cuneo fiscale. Siamo alla chiave del discorso: il cuneo fiscale va attenuato in duplice direzione, non solo per favorire la competitività delle imprese ma anche per rilanciare la domanda delle famiglie, la loro disponibilità a spendere. Senza questo tipo di azione difficilmente usciremo dalla spirale in cui siamo immersi». È molto chiaro, l’economista milanese, nell’enfatizzare questo specifico aspetto della capacità di spesa delle famiglie. E trova conforto – se così si può dire e se la qualità delle informazioni non fosse in realtà sconfortante – sia nei dati sui livelli record raggiunti dalla pressione fiscale sia nelle valutazioni del già citato Fondo monetario internazionale: «Che le politiche di rigore non basterebbero da sole a tirarci fuori da questa fase di grande difficoltà lo ricordano i dati diffusi dall’Fmi sulla nostra prevedibile decrescita: se davvero si realizza il pronostico di un -1,9%,

è chiaro che diventa più difficile raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio, e a sua volta, conseguentemente, si allontana la possibilità di una ripresa della domanda interna. Tutto questo ci dice che l’obiettivo della crescita è essenziale». Paganetto non ha la vocazione al fatalismo: «Dobbiamo essere contenti di avere un governo composto da persone molto serie, che con rigore hanno affrontato diverse questioni, innanzitutto quella del deficit. E penso che si debba aver fiducia nel fatto che, se pure ha realizzato molto, l’esecutivo possa fare ancora di più».

Il professor Paganetto d’altronde, confida proprio in una specifica mission assunta dal governo, in particolare «la spending review del professor Giarda», perché si raggiunga l’obiettivo di intervenire anche sulla spesa improduttiva. «Conosco Monti, e trovo infondata l’idea che si debba guardare a lui con sostanziale timore, come se offrirgli suggerimenti fosse una mancanza di riguardo». Monti «è ben disposto ad accogliere e a rendere effettivi suggerimenti validi». D’altronde l’economista insiste molto nel rilevare come a chiedere misure per la crescita siano quegli stessi attori della scena economica internazionale, come l’Fmi, che in passato hanno energicamente spinto per l’austerity. «Lagarde esprime preoccupazione per l’insufficiente crescita in Europa, soprattutto in Spagna e Italia. Che poi coincide con il timore di non veder realizzato l’obiettivo del pareggio di bilancio sul quale anche l’Italia si è impegnata. Beninteso: quell’impegno non è emendabile. Ma il suo conseguimento è pregiudicato dalla crisi in cui continuiamo a trovarci». Che il taglio della spesa improduttiva sia la direzione a cui tendere» lo si rileva anche dal fatto che «tali riduzioni non sono assimilabili ai tagli cosiddetti lineari, e che esse si

applicano a più livelli dell’amministrazione». Ma un aspetto (non a caso evocato dallo stesso Passera) altrettanto importante, secondo Paganetto, è «la logica con cui concedere gli incentivi: adesso lo Stato li somministra in modo un po’ indiscriminato, diciamo a largo spettro, mentre andrebbero concentrati esclusivamente sull’innovazione. Il che potrebbe anche determinare una conseguenza: e cioè che non ci sia sufficiente innovazione da assorbire tutto il credito d’imposta disponibile. Poco male: le risorse in avanzo potrebbero essere investite ancora nel

taglio del cuneo fiscale». Da ex presidente dell’Enea, Paganetto spera anche in una revisione – che pure intravede – sugli incentivi per l’energia rinnovabile. «C’è un margine molto elevato, lasciato a chi si avvale di questi incentivi, dovuto al fatto che viene finanziata l’energia rinnovabile, in particolare il fotovoltaico, a prescindere dalla tecnologia utilizzata. Si incoraggia così il ricorso agli standard meno innovativi e costosi, non certo europei, e un conseguente innalzamento della spesa per lo Stato». D’altronde sull’innovazione il governo dovrebbe battersi «an-


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Fiscal compact, Norvegia a parte. Altri, francesi e olandesi tra i primi, mancheranno l’obiettivo. A quel punto l’Italia avrà titolo per sedersi di fronte alla Merkel e dirle: ho firmato un patto, l’ho rispettato, mi sono deliberatamente condannato a un’inevitabile caduta del Pil, ora però mi dici come fa l’Europa a crescere. Ecco, la svolta arriverà nel momento in cui noi per primi ci presenteremo alla Germania per pretendere che si decida ad attivare finalmente gli eurobond e a utilizzarli proprio per finanziare la crescita. Fino a quel momento, che comunque arriverà, non credo possa muoversi nulla».

Pier Ferdinando Casini, Angelino Alfano, Pierluigi Bersani, il ministro del Lavoro Elsa Fornero poi Susanna Camusso della Cgil e Emma Marcegaglia della Confindustria: la politica nuova di crescita del Paese per evitare «il baratro Grecia» (come lo ha chiamato Monti) avrà tanti protagonisti

che in Europa», dovrebbe «dar seguito alla lettera dei dodici, a cui ora vogliono associarsi altri Paesi, rivolta a ottenere dalla Ue maggiore sostegno allo sviluppo. E qui torna il discorso dello standard europeo, che esige investimenti di livello europeo su asset come le reti informatiche». Restano altre variabili, per esempio «il tipo di accordo che si raggiungerà con le banche per l’anticipo dei crediti vantati verso la pubblica amministrazione». Ma ciò che conta, dice Paganetto, è la disponibilità dell’esecutivo a fare di più, nonostante faccia già molto.

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Marco Fortis

«Solo se fallirà il fiscal compact potremo salvarci» I vincoli eccessivi di bilancio sono quelli che impediscono la crescita di Andrea Ottieri

ROMA. «Basta con questa forma di soggezione culturale secondo cui l’Italia dovrebbe riuscire a realizzare una crescita formidabile con tassi d’interesse che sfiorano il 6 per cento». Marco Fortis non chiede di sperimentare nuove prodigiose alchimie contabili, non investe speranze in poderosi tagli, «che magari sono un fatto di civiltà ma che non determinano incidenza immediata sul Pil». Non si affida, dunque, il professore di Econo-

mia industriale della Cattolica e vicepresidente della Fondazione Edison, a nuove leve che Monti e Passera dovrebbero azionare, ma a una scommessa in negativo: «Il fallimento del Fiscal compact: ecco da dove può venire l’unica, vera, possibile spinta alla crescita. Se guardiamo i dati non del nostro Def ma del Fiscal monitor dell’Fmi, ci accorgiamo che proprio l’Italia rischia di essere praticamente l’unico Paese europeo in grado di rispettare il

L’appassionata arringa di Fortis, editorialista di Sole-24 Ore, Mattino e Messaggero, non solo assolve l’Italia, ma in qualche maniera la solleva, diciamo così, del presunto onere di doversi produrre in nuovi miracoli. «Siamo con la Spagna, e senza considerare i disperati come la Grecia, il Paese che sconta l’impatto maggiore della crisi, ma siamo anche il Paese che riesce a compiere gli sforzi più incredibili nell’intero mondo evoluto. Lo dice appunto il Fiscal monitor dell’Fmi, che pure legge al ribasso le previsioni del Def. È il documento del Fondo monetario internazionale a ricordare che l’Italia avrà il più alto avanzo primario del mondo evoluto nel 2012 e nel 2013, a parte eccezioni mostruose come quelle di Norvegia e Giappone, economie che dovrebbero stare su Marte. Il nostro primario avanzo sarà del 3 per cento nel 2012 e del 4 e rotti nel 2013. Come fondamentali, siamo gli unici a reggere il passo con la Germania. Più di quello che facciamo, per la crescita, non possiamo. Non resta che attendere il fallimento del Fiscal compact». Sarà un paradosso, ma l’economista milanese lo difende a suon di statistiche: «Se consideriamo i numeri dell’Fmi, mi dice quale Paese, Norvegia a parte, sarà in grado di rispettare questo patto fiscale intergovernativo? La Francia fa crescere il Pil con la spesa pubblica, lo stesso fa la Germania. E i tedeschi starebbero messi molto peggio, o meglio mostrerebbero di stare effettivamente assai peggio, se solo la loro economia venisse considerata, per dire, secondo i parametri dell’Istat piuttosto che quelli utilizzati da loro. Mi spiego: la loro produzione industriale viene data in positivo, eppure il valore aggiunto manifatturiero è al -9 per cento. C’è poco da fare, uno dei due dati è sbagliato. È evidente che a far fede il valore del manufatturiero, e che quindi la differenza tra la nostra industria e la loro è si è no di 3 punti». Dopodiché Fortis mette sul tavolo l’ulteriore paradosso

di una Germania che impone la purga dell’austerity pur facendo leva sulla spesa pubblica, intrecciata a un abile fotoritocco statistico, per tenere su il Pil. «Hanno assunto 500mila persone nella pubblica amministrazione, noi ne abbiamo licenziati 70mila. Non c’è altra strada: ricavare 3000 miliardi dagli eurobond, vincolarne 2000 alla stabilizzazione del debito, con l’Italia che scende all’80 per cento, Francia e Spagna al 60, e destinare gli altri 1000 miliardi al potenziamento delle reti: autostrade, ferrovie, informatica. Ecco, così la fai la crescita: dello 0,5 per cento, ma la fai. Perché intendiamoci: la chimera di tassi di sviluppo del 2 per cento resterà tale per sempre, quelle cifre non torneranno mai più».

Poche scommesse si possono fare sul taglio alla spesa improduttiva, «che è un fatto di civiltà, al pari della riduzione dei costi della politica, dei tagli alla burocrazia, delle liberalizzazioni, ma che non produce effetti straordinari. Il governo dice che per il 2020 tali misure frutteranno un +2,4 per cento, e va bene. È quello che è successo con la Thatcher: ricordiamo che nell’immediato l’economia britannica, con quelle politiche, andò in caduta, che i benefici furono avvertiti anni dopo, e che l’Inghilterra ne ha vissuto di rendita, certo anche grazie al petrolio del Mare del Nord. Ma poi dal 2007 in poi il debito pubblico del Regno Unito è cresciuto di 30 milioni e rotti, ed è dunque andato sprecato tutto quanto era stato accumulato prima. E soprattutto, ricordiamoci che l’Italia stessa, l’Italia di oggi, crescerebbe addirittura del 3 per cento se solo potesse contare sui tassi tedeschi». C’è una competizione “drogata”, ricorda ancora Fortis, ci sono tassi che si spiegano «solo con l’impennata della spesa pubblica: il +2 per cento degli Stati Uniti si fonda su un debito pubblico aumentato del 60 per cento, e arrivato dunque al 110 per cento del Pil. Hanno fatto in 10 anni quello che ha fatto l’Italia in vent’anni di Prima Repubblica... Non ci sono exploit a portata di mano, non si possono tenere in considerazione quelli tedeschi, basati sulla crescita dell’occupazione a colpi di mini-job, cioè dei posti sottopagati. I tedeschi hanno un’ottima capacità di rappresentare la loro potenza, noi sappiamo solo mettere in piazza l’inefficacia dei nostri governi, prima di Berlusconi, ora addirittura di Monti. Si prenda il Fiscal monitor dell’Fmi e si faccia un bagno di realtà, se proprio non ci si fida del Def. Si scopra che i nostri fondamentali sono migliori di quelli francesi e olandesi. E che la crescita c’è nel momento in cui l’Europa si decide a crearla».


politica

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Le Fiamme gialle bloccano il contributo non ancora incassato dal giornale socialista che era stato concesso dalla presidenza del Consiglio per il 2010

Tutta Lavitola d’Avanti La Guardia di Finanza irrompe a Palazzo Chigi e sequestra 2,5 milioni di euro per il quotidiano. A giorni la decisione della Giunta sul senatore De Gregorio di Francesco Lo Dico

ROMA.

Quando uno va dai giudici e parla, poi rimane fregato, diceva in termini meno urbani di questi al discepolo Tarantini. Ma Valter Lavitola deve aver rinunciato al suo magistero, in questi mesi di latitanza che l’hanno trasformato nell’antieroe dei due mondi. Rientrato dall’Argentina ed accolto con tutti gli onori a Poggoreale, il faccendiere dell’Avanti è stato interrogato ieri intorno alle ore 14.15 dai sostituti John Henry Woodcock e Francesco Curcio e il gip Dario Gallo, alla presenza del difensore Gaetano Valice. Ma contestualmente all’interrogatorio di garanzia, gli agenti del nucleo tributario della Guardia di finanza, su mandato della procura della Repubblica di Napoli, hanno sequestrato 2,5 milioni di euro presso il Dipartimento per l’editoria della presidenza del

Consiglio dei ministri. Una somma che rappresentava i fondi già concessi ma non ancora erogati al quotidiano L’Avanti per l’anno 2010.

Dalle indagini era emerso che per oltre dieci anni – dal 1997 al 2009 – l’editrice International Press aveva drenato contributi pubblici per 23 milioni e 200.641 euro attraverso il continuo ricorso a fatture per operazioni inesistenti, documenti fasulli e prestazioni ambigue atti a ’gonfiare’ la tiratura del giornale (altrimenti invisibile in edicola) e per sovradimensionarne la diffusione. Ma c’è un’altra accusa a pendere sulla società editrice, che secondo i magistrati avrebbe cambiato più volte nome, sede e compagine societaria per eludere i controlli. Il malloppo, secondo i pm, sarebbe poi stato trasferito su

Il governo annuncia che dopo i raggiri dell’ex direttore del quotidiano cambieranno le regole dei contributi per l’editoria. «Soldi soltanto ai giornali veri», avverte il sottosegretario Peluffo COMUNE di BUONVICINO (Prov. di Cosenza) Via Roma – 87020 – Tel 0985/85873 – fax 0985/85003 e-mail: utbuonvicino@gmail.com - sito internet (URL) http://www.comune.buonvicino.net ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ Avviso di avvio del procedimento per l’adozione della variante al Piano Regolatore generale finalizzata all’imposizione del vincolo espropriativo ed alla dichiarazione di pubblica utilità per l’espropriazione e/o l’occupazione delle aree necessarie alla esecuzione dei Lavori di “ Ricostruzione ed ammodernamento strada di fondovalle “ Torrente Corvino “ di interconnessione tra i comuni di Buonvicino, Maierà e Diamante, con risanamento ambientale dell’area in destra del torrente Corvino e del collegamento alla strada provinciale Diamante – Buonvicino”. FINALIZZATO ALL’APPROVAZIONE DEL PROGETTO DEFINITIVO. (integrazioni ad avviso di avvio del procedimento in data 04.12.2009) ESTRATTO Il Responsabile del procedimento/Responsabile di Settore del Comune di Buonvicino, soggetto attuatore dei lavori di cui sopra, vista la delibera di C.C. di Buonvicino n. 04 del 09.02.2010, vista la delibera di C.C. di Diamante n. 07 del 05.02.2010; vista la delibera di C.C. di Maierà n. 05 del 10.02.2010, con le quali è stato approvato il progetto preliminare delle opere in oggetto, visto il D.P.R. n. 327/2001, rilevato come sia iniziato il procedimento di imposizione del vincolo espropriativo e di dichiarazione di pubblica utilità preordinato alla espropriazione ed alla occupazione delle aree sulle quali l’opera dovrà essere realizzata, ed atteso che occorre provvedere all’approvazione del progetto di livello definitivo che per sopravvenute esigenze è variato rispetto al preliminare approvato, ed inoltre, al momento interessa solamente i Comuni di Buonvicino e Maierà, presso i cui uffici tecnici è depositato il progetto definitivo da approvare; RENDE NOTO Ai proprietari ed ai possessori dei terreni oggetto di esproprio siti nei Comuni di Buonvicino e Maierà di cui al seguente elenco: Comune di Buonvicino, Foglio 4, mappali: 429, 435, 436, 442, 443, 447, 448, 641, 643, 647, 645, 649, 651, 659, 725, 726, 727, 728, 729, 730, 731, 732, 771, 830, 831, 832, 833, 851, 895, 896, 905, 907(792); Foglio 5, mappali: 175, 177, 216, 289, 290, 293, 294, 295, 296, 297, 298; Foglio 12, mappali: 3, 8, 9, 10, 25, 26, 28, 29, 30, 33, 37, 83, 660, 694, 696, 697, 800, 801, 918, 919, 920, 921, 943, 944; Comune di Maierà, Foglio 17, mappali: 344 (829, 830, 831), 345 (832, 833, 834), 346, 351, 400, 489, 519AA, 519AB, 537, 597, 598, 641, 862, 927, che l’avviso integrale – prot. n. 1488 del 12.04.12, è pubblicato all’Albo Pretorio dei Comuni di Buonvicino e Maierà, sul sito internet del Comune di Buonvicino - soggetto attuatore, all’indirizzo www.comune.buonvicino.net, nonché sul sito della Regione Calabria all’indirizzo www.regione.calabria.it; 1. che gli atti tecnici sono depositati presso gli uffici tecnici dei Comuni di Buonvicino, e Maierà e sono visibili nei giorni e negli orari di rispettiva apertura al pubblico; 2. che il Responsabile del Procedimento è il Geom. Fernando Greco, Tel. 098585873, indirizzo di posta elettronica utbuonvicino@gmail.com; 3. che entro il termine perentorio di 30 (trenta) giorni decorrenti dalla data di pubblicazione del presente avviso, i proprietari delle aree ed ogni altro interessato possono prendere visione degli elaborati depositati e presentare, entro lo stesso termine, le proprie osservazioni in forma scritta indirizzandole al Responsabile del Procedimento presso la sede del Comune di Buonvicino – Ufficio Tecnico – Via Roma, n.10 – 87020 Buonvicino. Le suddette osservazioni saranno valutate dall’Autorità espropriante ai fini delle definitive determinazioni; 4. che, trascorsi non meno di venti giorni dalla data di pubblicazione del presente avviso, il Consiglio Comunale dei comuni di Buonvicino (soggetto attuatore), Diamante, Maierà, procederanno all’approvazione del suindicato progetto definitivo con contestuale adozione della variante allo strumento urbanistico generale ai sensi dell’art.19, comma 2 del D.P.R. n. 327/2001. Il presente avviso sostituisce, con ogni effetto di legge, la comunicazione prevista dall’art.11, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 327/2001 in quanto il numero dei destinatari della procedura espropriativa è superiore a 50. Buonvicino, 12.04.2012 Il Responsabile del Settore III / Responsabile del Procedimento del Comune di Buonvicino “soggetto attuatore” geom. Fernando GRECO

una serie di conti esteri. La presidenza del Consiglio ha specificato nel pomeriggio che «l’iniziativa della Procura si inserisce nel quadro della collaborazione da mesi instauratasi tra la presidenza del Consiglio e gli organi inquirenti volta ad evitare la dispersione di risorse pubbliche in danno dei cittadini e delle imprese editoriali in regola con le prescrizioni di legge vigenti».

Saverio Zavettieri, segretario dei Socialisti uniti oggi impegnati nel Movimento di Stefania Craxi, smentisce che Lavitola fosse latore di offerte all’ex segretario socialista. «Ho frequentato Craxi negli anni dell’esilio tunisino e non ricordo mai di nessun accenno di Bettino su Lavitola», spiega Zavettieri. E sempre ieri arrivano smentite anche dal fronte panamense, dopo la testimonianza dinanzi ai magistrati di Mauro Velocci, il presidente del consorzio di imprese che avrebbe pagato tangenti per costruire carceri nello stato sudamericano. «Lavitola ha sempre affermato che dietro i contratti tra le società di Finmeccanica e il governo di Panama c’era un grosso movimento finanziario ’in nero’ destinato al presidente Martinelli e che il contratto da lui avuto da Finmeccanica, per 30 mila dollari, era solo la copertura per giustificare la sua presenza e la sua attività a Panama», aveva detto ai pm napoletani. Na il presidente Martinelli smentisce: «Lavitola non ha ricevuto un centesimo», seguito a ruota dal ministro Josè Fabrega, che per parte sua ha escluso la stipula di contratti con l’ex direttore dell’Avanti. Il procuratore generale dell’isola, ha co-

Il faccendiere Valter Lavitola, arrestato dai carabinieri. Qui sotto, il pm napoletano John Woodcock

munque avviato un’inchiesta sulle presunte tangenti ma ha precisato che dall’Italia non è arrivata alcuna richiesta di informazioni. Panama avvierà «nei prossimi giorni altre azioni diplomatiche», recita la nota, «mentre l’irritazione sarà espressa anche nel corso della visita programmata da tempo che il vice cancelliere panamense Francisco Alvarez, compirà a maggio in Italia.

E

parecchia

irritazione

dev’esserci anche nelle file del governo, che ieri ha fatto sapere che il recente scandalo dell’Avanti rappresenta una sorta di spartiacque che riscriverà le regole dei contributi all’editoria. Sono allo studio nuove norme per cui «i contributi diretti all’editoria saranno erogati solo a certe condizioni», ha comunicato il sottosegretario con delega all’Editoria, Paolo Peluffo, facendo riferimento ai “casi di cronaca di queste ore”. «Una forma di legittimazione di contributo diretto può


politica

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La replica: «Ho visto l’incartamento, ci sono cose inventate di sana pianta»

E in casa Lega spunta un dossier contro Maroni Francesco Belsito avrebbe fatto spiare e poi confezionato documenti sull’ex ministro del Carroccio di Marco Palombi opo il profluvio di intercettazioni, assegni, lingotti e diamanti dei giorni scorsi, il problema nella Lega non sono più le indagini quanto il clima da caccia alle streghe che si è instaurato nel partito: il 2012 è infatti l’anno del terrore maroniano, il cui Comitato di salute pubblica altro non è che l’impaurito triumvirato che ha già esautorato Umberto Bossi e famiglia, giustiziato Rosi Mauro per insubordinazione e spinto alle dimissioni da assessore la tutor del Trota Monica Rizzi e il presidente del consiglio regionale lombardo Davide Boni, pur vicino all’ex ministro dell’Interno.Voci di epurazioni, di dimissioni richieste o offerte si moltiplicano ad ogni novità in arrivo dalle Procure interessate ai lumbard (quattro: Milano, Napoli, Reggio Calabria e Bologna) stanno spingendo il Carroccio in uno stato di fibrillazione continua e inconsistenza politica. Due i segnali citabili. Il primo riguarda il famoso beauty contest sulle frequenze tv che il governo annullerà con un emendamento al decreto Semplificazioni fiscali: la Lega in commissione ha votato a favore all’ultimo secondo e – raccontano fonti lumbard – senza rendersi conto del ginepraio politico da cui originava la piazzata dell’ex ministro Romani (il pidiellino Conte che mette ai voti il testo contro il parere dei berluscones di stretta osservanza). Il secondo sono le dimissioni dal gruppo della Lega del senatore Lorenzo Bodega, una “scelta dolorosa e irrevocabile”: “La situazione è precipitata e io non posso assistere alla giustizia sommaria esercitata contro il nostro leader indiscusso. Umberto Bossi ha pagato di persona colpe non sue”. È chiarissimo Bodega, già sindaco di Lecco per un decennio e considerato vicino al cosiddetto ‘cerchio magico’: “Ho avvertito troppa fretta in questa ‘operazione di pulizia’ e sento l’odore di resa dei conti. È un clima nel quale non mi posso e non mi voglio riconoscere”, mette a verbale. “Lo capisco: è difficile vedere la trasformazione da movimento in partito che qualcuno tenta di fare e soprattutto è difficile vedere l’uomo da cui è nato tutto e tutti piangere su un palco e prendersi le colpe di altri – gli fa eco il deputato ligure Giacomo Chiappori, cerchista anche lui – ma non condivido la scelta: la Lega è ancora casa nostra. E gente come noi la può ancora difendere, ma solo dall’interno, come io farò”.

D

esistere», ha chiarito Peluffo, anche se deve essere fatto in una maniera che elimini alla radice la possibilità del comportamento improprio». E ha chiarito alcune linee guida che ispireranno le nuove regole.«Il contributo fisso», ha spiegato, «deve essere legato al riconoscimento dell’assunzione corretta e stabile di giornalisti e poligrafici. Inoltre la spesa per stampa e di-

prodotto: è stato trovato uno schema che introduce un codice a barre. L’unica forma di spesa sarà quella finanziata con un credito di imposta per le edicole che dovranno installare apparecchi per la tracciabilità del prodotto fino al consumatore finale».

Dopo Lavitola, oggi arriva il turno di De Gregorio. La Giunta per le immunità del Se-

Da Panama arrivano smentite sulle mazzette: «Mai ricevuto un euro, protesteremo. Sembra che in Italia si stia cercando di sviare l’attenzione dal motivo iniziale di queste indagini», fa sapere Martinelli stribuzione deve essere certificata e terzo deve riguardare le spese per l’on line. Escono dal rimborso le spese per i service, i contratti di consulenza eccetera. Peluffo ha quindi sottolineato l’esigenza che il nuovo sistema premi e dia sostegno alle aziende meritevoli, nel senso di commisurare i contributi «all’impegno delle aziende nell’offerta di contenuti, nel passaggio al digitale, in via legale e a prezzi contenuti». La soluzione potrebbe essere il ricorso alla «tracciabilità della vendita del

nato presieduta da Marco Follini, procederà illustrando una relazione tecnica e stabilirà il calendario dei lavori e l’audizione con il senatore pdl per il quale la Procura di Napoli ha chiesto come misura cautelare gli arresti domiciliari nell’ambito della stessa inchiesta su L’Avanti. Ieri De Gregorio si è autosospeso dalla presidenza della delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare della Nato, «fino a quando il Senato non si sarà pronunciato sulla mia vicenda personale». Nato coraggioso.

Il bersaglio dei due e di altri che pure non parlano è Maroni. L’ex ministro, però, non pare aver esaurito la sua furia epuratrice. Panorama, infatti, ha scritto che dalle intercettazioni risulta che l’ex tesoriere Belsito avrebbe pagato un investigatore privato per costruire un dossier sull’ex ministro dell’Interno. Il commento del nostro, sullo stesso settimanale, non è stato esattamente tranquillo: “Dopo quello che ho sentito inizia una guerra termonucleare globale. Io voglio sapere, anzi, pretendo di sapere, se davvero qualcuno all’interno della Lega mi ha spiato e ha addirittura ordinato un dossier su di me, voglio e pretendo

di sapere chi lo abbia fatto. Sia chiaro - avverte pure il triumviro - non mi fermerò fino a quando gli eventuali colpevoli non saranno cacciati. Altrimenti me ne andrò via io: non resterò un minuto in più se, una volta accertate le responsabilità, non se ne andranno tutti i colpevoli. A tutti i livelli. E pazienza se dovessi scoprire altre amare verità, se cioè dovessi scoprire di essere stato tradito da un amico o da un presunto amico: non ci saranno sconti per nessuno”.

Sembrano parole di una persona che sappia più di quanto non voglia dire, impressione corroborata da altre parole pronunciate dallo

«Inizia una guerra termonucleare globale», ha detto l’ex capo del Viminale. «Non mi fermerò fin quando gli eventuali colpevoli non saranno cacciati» stesso Maroni ieri pomeriggio nel Transatlantico della Camera: “Non si tratta di un tentato dossier, è un dossier reale, che c’è e che è molto grave anche perché quand’è stato confezionato ero ministro dell’Interno. Sono stato accusato di farne io, ma la realtà è questa. Sembra che qualcuno, con i soldi dei militanti, abbia deciso di ingaggiare qualcuno per indagare su di me”. Maroni, comunque, non è preoccupato per i contenuti: “L’ho visto, ci sono cose inventate di sana pianta”. Il nostro non ha mancato nemmeno, com’è buona norma fare durante il Terrore, di ingraziarsi la folla che dovrà assistere alle esecuzioni: “Venderemo gli investimenti azzardati, tipo lingotti e diamanti, e distribuiremo i soldi alle sezioni”. “L’oro e i diamanti – ha detto invece l’ex tesoriere - li ho comprati per conto della Lega, non certo per me”. Pare, però, che almeno i diamanti non li abbia comprati nemmeno lui: sui certificati di consegna per 300mila euro di preziosi ci sono le firme di Rosi Mauro e Piergiorgio Stiffoni, che sostiene fosse un investimento fatto con soldi suoi e vuole andarlo a spiegare ai pm.


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l mondo di internet, all’interno del quale c’è il mondo dei social network, è un mondo che appare e scompare. Appare quando accendiamo il computer o il telefonino o l’iPad o una qualunque altra «diavoleria», e scompare quando li spegniamo. L’apparizione e la scomparsa valgono solo per noi e il nostro “accesso”alla rete, perché la realtà del mondo virtuale, diversamente dalla realtà del mondo reale, non appare e non scompare ma è eterna. Il mondo virtuale permane indipendentemente dalla nostra presenza o dalla nostra assenza. Sembra un’osservazione banale ma le sue implicazioni sono tutt’altro. Una volta si diceva“verba volant, scripta manent”ma oggi ciò che sembra volare è proprio la parola scritta su carta mentre la parola scritta su web dei naviganti ritorna sempre a galla, anche quando meno te lo aspetti. Un archivio classico ha la sua sicurezza che è garantita dalla materialità, ma un archivio on-line - e tutta la rete funziona come un archivio - è perennemente attivo e sempre accessibile. Da tutti.

I

Francesco Pizzetti, garante per la protezione dei dati personali, intervistato da Ivana Pais per l’edizione web del Corriere della Sera proprio sui problemi della tutela dei dati personali ha detto che «c’è un rischio che chi usa i social network deve mettere in conto. Se nei social network io mi esibisco ed esibisco degli aspetti di me che possono piacere al momento a pochi amici, potrei magari pentirmene domani perché queste informazioni, lette da altri in un contesto diverso, potrebbero finire per danneggiarmi». Ciò che accade nel mondo reale, insomma nella vita di tutti i giorni, passa e va. Ciò che accade nei social network non si cancella. Se scambiate quattro chiacchiere al bar con gli amici, le parole che dite volano via e un minuto dopo non esistono più. Se scambiate quattro chiacchiere al bar di Fb con gli amici, le parole che dite rimangono registrate e vivranno per sempre. Ecco perché Francesco Pizzetti dà un consiglio: «Attenzione, utilizzate i social network immaginando sempre che quello che state comunicando possa essere conosciuto da chiunque, per un tempo indeterminato». Proprio così, per un tempo indeterminato e il “tempo indeterminato”è stretto parente del tempo senza tempo: dell’eternità. Dunque, attenzione. Le cose dette o postate possono essere ridette da altri in diversi contesti o possono essere nuovamente postate, come nel caso delle Molinette di Torino: in una notte di fine anno, nell’ambito di un gruppo costituito da personale addetto al pronto soccorso, sono state postate foto di persone ubriache che ledevano la dignità del paziente. «Lo scambio - ricorda Pizzetti - avvenne nella convinzione che riguardasse solo un gruppo ristretto di persone e invece su Facebook le immagini erano accessibili a tutti. Facemmo un’ispezione e l’infermiera che aveva postato le immagini subì una sanzione disciplinare». Evidentemente a nulla sarà valsa l’osservazione che le cose dette e postate su Fb è come se fossero dette tra amici al bar. L’idea che un po’tutti hanno dei social network è proprio questa della più o meno ristretta cerchia o comunità di amici.Tuttavia, il confine tra“comunicazione” e “diffusione” è molto più sottile di quanto non si immagini: «Bisogna distinguere tra comunicazione e diffusione. La comunicazione è interpersonale, può anche interessare un numero elevato di persone ma identificabili; la dif-

il paginone Tutto quello che mettiamo in internet resta lì per sempre. Troppo spesso ci dimentichiamo di questa semplice constatazione che, di fatto, ha cambiato il nostro rapporto con il tempo, con la memoria e con le tracce che lasciamo di noi stessi

Attenti, l’infinito è

di Giancristia fusione invece riguarda opinioni e informazioni rese accessibili a un numero indeterminato di persone. Nei social network il rischio di diffusione è molto alto. Si possono impostare politiche di privacy protettive per scegliere di comunicare solo con quel determinato gruppo di amici, ma sappiamo tutti ormai che i social network consentono la ritrasmissione ad opera di altri e sono sempre potenzialmente strumenti di diffusione».

Un filosofo del Novecento, scomparso qualche anno fa, Jacques Derrida, diceva che vivere è lasciare tracce. Il mondo di internet, che funziona come un registratore sempre acceso e sempre accessibile, è una traccia continua. La scrittura, il cinema, i filmati televisivi, le fotografie, i filmati amatoriali sono tutte forme di “tracce” che ci fanno vivere virtualmente anche quando siamo morti. Anche i monumenti, le opere d’arte, i manoscritti sono “tracce” che puntano alla sopravvivenza del poveruomo o dei poveri cristi che passano su questa terra. Il rapporto che c’è tra la vita e le tracce è determinato dalla nostra mortalità. Se fossimo eterni non

avremmo alcun interesse a lasciare qualcosa di noi anche dopo la fine della nostra esistenza. Invece, proprio perché siamo destinati a uscire di scena desideriamo che qualcosa di noi rimanga in scena anche dopo la morte. Se così non fosse, non ci sarebbe propriamente “storia umana” che non è semplicemente ciò che c’è ma ciò che c’è stato e ci sarà e ciò che c’è sta-

anche i filmini familiari “girati” in occasione di feste come compleanni e matrimoni, ci riportano in casa i “nostri cari”. La filmografia è costituita ormai più da morti che da vivi (a parte il caso di attori morti che sono ancora vivi e di attori vivi anche se morti) e la televisione ripropone, soprattutto nel periodo estivo o nei “tempi morti”, filmati di trasmissioni

Il Garante della privacy ha detto: «Se nei social network esibisco degli aspetti di me che possono piacere in quel momento, potrei pentirmene domani perché queste informazioni, lette da altri in un contesto diverso, potrebbero danneggiarmi» to e ci sarà è costituito dalle “tracce”. Ciò che non c’è più e ciò che permane sono legati per costituzione: anzi, ciò che è eterno acquista senso proprio a partire da ciò che è mortale.

Il mondo della virtualità sembra essere, però, anche qualcosa in più delle“tracce” di Derrida e perfino della stessa eternità. Somiglia a qualcosa che è al di là dello stesso Aldilà. I film e la televisione, ma

passate. Questo è senz’altro un caso di eternità virtuale. Eppure, c’è un altro caso di eternità virtuale che rientra in quella categoria che abbiamo definito di “al di là dell’Aldilà”: accade quando il volto noto scompare dalla scena della vita ma non scompare dalla scena che continua in eterno a rappresentare se stessa. È accaduto almeno in tre casi: con la morte del popolarissimo Mario Merola, con il simpatico e signorile Gigi


il paginone

è finito nella Rete

ano Desiderio Sabani e con la passionale e trash Concetta Mobili (volto molto noto in Campania e soprattutto nel Casertano dove aveva il suo mobilificio reso celebre dalle sue torrentizie apparizioni televisive). Tutt’e tre erano protagonisti di spot pubblicitari che andarono in onda ben al di là del loro tempo mortale dando l’illusione di non essere morti o di continuare a vivere nell’al di qua anche se ormai erano nell’Aldilà. Ma nella categoria di chi è al di là dell’Aldilà non rientrano solo gli uomini e le donne diventi personaggi e perciò famosi. Anche i perfetti sconosciuti hanno diritto alla loro personale sopravvivenza. Anzi, è probabile che questa esperienza sia ancora più comune e probabilmente accade quasi ogni giorno: basta che il caro estinto sia presente su Fb, così mentre lui sarà andato via, il suo doppio o il suo avatar continuerà a vivere come se niente fosse accaduto. La pagina Fb continuerà ad essere presente e potrà essere aggiornata anche se i giorni del suo “titolare” sono finiti. La pagina Fb continuerà a ricevere messaggi, post, poke e gli amici che non sanno o che non sono stati informa-

ti della scomparsa dell’amico continueranno a rivolgersi a lui che se fosse effettivamente presente e difatti è presente perché nulla è cambiato rispetto a prima, fatta eccezione per quella cosa accidentale che si chiama morte (che però secondo Derrida, ma non solo secondo lui, è alla base della possibilità e del desiderio di “lasciar tracce”).

La virtualità e la realtà sono tra loro avvinte come l’edera di Nilla Pizzi. L’avvertenza del garante della Privacy è giusta: dobbiamo stare attenti e non considera-

tiamo”è molto più solido di quanto non si immagini. L’avvertenza, però, non deve giungere fino all’auto-censura; piuttosto, deve essere presa per quello che è ossia una regola di prudenza e buon senso che è utile e necessaria nella vita e anche sul web. La virtualità ha la sua ragion d’essere nella mortalità della vita che per essere vuole e deve essere rappresentata o raccontata. Con l’avviso che non si finisca come Don Chisciotte della Mancia che prendeva per gentili donzelle le donnine allegre e per castelli le osterie. In fondo, il rischio vero che promana dalla

Non bisogna dimenticare le parole di Don Chisciotte: «Felice età e secolo felice quello in cui verranno in luce le mie famose gesta degne d’essere incise nel bronzo, scolpite nel marmo e dipinte sui quadri ad eterna memoria» re il mondo di internet e dei social network solo come un mondo di immagini e video e parole liquide che vanno e vengono e svaniscono perché invece quel mondo che appare e scompare ogni volta che ci “connettiamo” e ci “sconnet-

virtualità che eterna tutto ciò che in lei si riversa come nella bocca della verità o del leone è lo stesso rischio che Cervantes vedeva all’opera nella lettura dei romanzi cavallereschi che fecero uscir di senno il gentiluomo della Mancia. Infatti,

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avendo, il povero Don Chisciotte, consumato tanti anni nella lettura di romanzi cavallereschi,“a forza di dormir poco e di legger molto, gli si prosciugò talmente il cervello, che perse la ragione. Gli si riempì la fantasia di tutto quello che leggeva nei suoi libri: incanti, litigi, battaglie, sfide, ferite, dichiarazioni, amori, tempeste e stravaganze impossibili; e si ficcò talmente nella testa che tutto quell’arsenale di sogni e d’invenzioni lette ne’ libri fosse verità pura, che secondo lui non c’era nel mondo storia più certa”. La colpa di Don Chisciotte non è quella di leggere i libri di cavalleria - se Cervantes non li avesse letti non avrebbe mai potuto scrivere il Don Chisciotte - ma di crederci. Si potrebbe dire altrettanto di tanti naviganti del gran mare dell’essere del web: la loro colpa non è quella di navigare bensì quella di credere di essere nella vita di tutti i giorni mentre si è già dentro una sua riproduzione. L’intelligenza a contatto con il mondo virtuale funziona allo stesso modo in cui funziona nel mondo reale: deve imparare a distinguere il vero e il falso ed a immaginare, pensare e agire di conseguenza. Altrimenti la vita si trasforma in romanzo e il romanzo in vita e la confusione sarà massima e i disastri in agguato. Per ogni navigante valgono le parole di Don Chisciotte che esce di casa, fa due passi e già dice a sé e al mondo: «Felice età e secolo felice quello in cui verranno in luce le mie famose gesta degne d’essere incise nel bronzo, scolpite nel marmo e dipinte sui quadri ad eterna memoria». E anche postate su Fb per l’ardua sentenza dei posteri.


mondo

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Primavera Araba docet: è più facile cacciare un dittatore che vedere una donna al potere

Lady Asma o lady Macbeth? Un appello su YouTube inchioda la moglie di Assad: da che parte stai? L’Occidente gioca la carta femminile, ma non funzionerà. Ecco perché di Luisa Arezzo lcune donne si preoccupano dello stile, altre delle le sorti del loro popolo. Alcune donne combattono per la propria immagine, altre per sopravvivere. Alcune donne sono certe di non avere scelta, altre semplicemente agiscono. Asma, cosa ti è successo? Centinaia di bambini siriani sono stati uccisi e feriti e un giorno i nostri figli ci chiederanno cosa abbiamo fatto per fermare il massacro. Cosa risponderai, Asma? Che non avevi scelta? Ferma tuo marito e chi lo sostiene, smettila di essere uno spettatore. A nessuno importa della tua immagine, a tutti importa quello che fai. Ora». Al Jazeera, la tv qatariota, è da 24 ore che manda in onda questo appello ad Asma Assad, first lady siriana, Un videomessaggio di quattro minuti crudissimo nelle sue immagini, postato su YouTube da Huberta von Voss-Wittig e Sheila Lyall Grant, mogli degli ambasciatori tedesco e britannico presso l’Onu. Quattro minuti in

«A

cui si alternano immagini piene di glamour della first lady siriana e scene strazianti che ritraggono donne del popolo sotto le bombe o davanti ai cadaveri dei loro bambini. Il contrasto è dirompente. L’attrito fra dolore e jet set capace di generare odio puro. Ecco la carta che l’Occidente sceglie di giocare davanti allo stallo di una guerra vissuta in diretta e che mette tutti all’angolo della propria coscienza. Una carta a dirla tutta un po’patetica e populista che però, e purtroppo forse involotariamente, mette il dito in una piaga del Medioriente ben più vasta. L’assenza di donne di potere, di quelle donne capaci di diventare un simbolo e generare un cambiamento. Basterà un appello a Lady Asma per trasformarla? Pensano davvero all’Onu che la donna, inglese per nascita e passaporto, siriana da parte di padre, non abbia ben chiaro quello che sta succedendo nel paese governato dalle bombe di suo marito? Escluso. Lady Asma sa benissimo cosa accade, e se anche fosse costretta a restare ai margini assoluti della partita, non si risparmia nulla. Altrimenti non si farebbe ancora ritrarre nella sua residenza reale intenta a giocare con i suoi figli come nulla fosse, vestita impeccabilmente di tutto punto, possibilmente Chanel. Asma Assad rischia di essere l’ennesima delusione femminile del mondo arabo.

Un mondo che di donne vive e sulle cui spalle tutto si regge, ma che non riesce a far germogliare nessun vero simbolo internazionale in rosa. Eppure l’intera regione è sconquassata dalla Primavera araba, donne agguerrite e forti si sono viste in Egitto, a Piazza Tahrir; in Arabia Saudita e altrove. Ma perché non è ancora il tempo di una Aung San Suu Kyi musulmana? Perché, fatto salvo l’Iran, che di donne simbolo ne ha (basti pensare alla Nobel Shirin Ebadi - oggi in Francia e troppo spesso costretta al silenzio perché il regime ha in mano la sua famiglia - o a Zahra Rahnavard, la moglie di Mussavi e vero faro del Movimento Verde, oggi agli arresti assieme al marito), c’è il deserto? Perché non cresce una Anja Politkovskaya o financo una Yulia Tymoshenko o una Golda Meir in salsa araba? Perché all’orizzonte non si vede in nuce nessuna Hillary Clinton, nessuna Condoleeza Rice, nessuna Thatcher, nessuna Merkel, nessuna Giovanna d’Arco, nessuna Indira Gandhi, nessuna Eleanor Roosvelt, nessuna Madre Teresa? Donne punto diverse, ma tutte a loro modo dirompenti e ispiratrici, creatrici e capaci di incidere sul corso della

Rasmussen: «Presto uno scudo antimissile provvisorio»

Nato, il 2014 resta l’anno della svolta A Bruxelles l’Alleanza conferma il ritiro dall’Afghanistan. Ma chiede altri soldi di Antonio Picasso i è aperto ieri e si concluderà oggi a Bruxelles il vertice preparatorio della Nato per il summit che, alla fine di maggio, verrà ospitato a Chicago. Entrambi gli incontri hanno il doppio focus dell’exit strategy dall’Afghanistan e dello scudo antimissile. È passato un anno e mezzo da quando, a Lisbona, si era deciso il destino dell’Alleanza atlantica. Sebbene questa abbia le idee chiare su entrambi i temi, preferisce procedere cautamente. I sanguinosi fatti di Kabul della scorsa settimana e le scelte unilaterali di alcuni membri non sembrano influire minimamente sull’agenda centroasiatica. Il 2014 resta l’anno di svolta della guerra, inteso come momento clou per il trasferimento delle consegne con il governo afgano. Per quell’anno si prevede che i 130mila soldati occidentali, impegnati attualmente nel Paese, tornino a casa. C’è molto ottimismo in queste decisioni. Quanto questo sia fondato sulla reale osservazione dei fatti non è dato saperlo. Certo è che l’immagine degli eserciti occidentali è sempre più screditata. Mentre i ministri degli Esteri del-

S

l’alleanza si confrontavano a Bruxelles, il Los Angeles Times pubblicava le foto di alcuni militari Usa che si facevano beffa dei cadaveri di alcuni nemici uccisi. È il nuovo scivolone dei Gi. E poco importa che le immagini risalgano a due anni fa. Nell’incontro di Bruxelles comunque non verrà presa alcun decisione determinante. Lo ha riconosciuto il suo stesso segretario, Anders Fogh Rasmussen.

«E non mi faccio illusioni nemmeno per il vertice di Chicago. Né qui a Bruxelles, né il mese prossimo verranno convocati i Paesi donatori». La dichiarazione fa pensare che la Nato si stia rendendo conto di quanto sia ormai necessario puntare sulla parte economica per la ricostruzione dell’Afghanistan, anziché concentrarsi sull’aspetto operativo. Del resto, sembra che anche i talebani siano di questa idea. Sempre ieri infatti, gli studenti corani hanno lanciato sul web una richiesta di raccolta fondi per il prosieguo del jihad. «Tutti i musulmani – si legge nel comunicato – ovunque si trovino hanno il dovere di unirsi alla guerra santa, con il


mondo

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Storia? Perché anche la più traumatizzata Africa alleva in seno Nobel: dalla recentemente scomparsa Wangari Maathai (Kenya) alla presidente liberiana Ellen Johnson Sirleaf, alla straordinaria Nadine Gordimer (Sudafrica), e il Medioriente, fatta salva l’appena premiata Tawakkol Karman (che già vive più in America che nel suo Yemen) non ha nessuno?

dere con cura alla transizione con le forze di sicurezza afgane». Il virgolettato è dello stesso Sarkò.

È già stato messo in agenda il passaggio di responsabilità tra i militari australiani e francesi da un lato con quelli afgani nelle rispettive aree di competenza. A Uruzgan infatti, dove sono basati gli uomini di Canberra, la transizione è già iniziata. Per quanto riguarda Kapisa invece, il processo tra francesi e afgani è ancora in fase di definizione. L’atteggiamento di Rasmussen lascia perplessi. Preferisce non giudicare le scelte di Australia e Francia, mentre evita di assumere posizione per quanto riguarda la situazione in teatro. Domenica, dopo l’attacco, il presidente afgano, Hamid Karzai, aveva puntato espressamente il dito contro la Nato giudicandola inefficiente e, con essa, l’intelligence locale, addestrata dagli eserciti stranieri. Rasmussen è rimasto in silenzio. Infine, appare altrettanto vaga la posizione sullo scudo antimissile. «A Chicago, la nostra ambizione è di annunciare un progetto provvisorio», ha detto. «La difesa missilistica è un elemento chiave delle nostre risorse future. Oggi a Bruxelles abbiamo messo in chiaro che siamo tutti determinati a far sì che questo accada».

Il Los Angeles Times ha pubblicato nuove foto shock: marines che ridono davanti ai cadaveri dei kamikaze. Il Pentagono ha cercato di evitarne la diffusione denaro e con lo spirito». Australia e Francia. Sono questi i due partecipanti alla missione Isaf-Nato che, in teoria, potrebbero interrompere la fluidità della agenda Nato. Martedì il governo australiano ha reso nota la sua scelta di iniziare già da ora un ripiegamento. Nel frattempo, il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha confermato la propria autonomia nello smobilitare entro la fine del 2012. Quindi esattamente con un anno in anticipo rispetto al resto dell’Alleanza. In nessuno di questi casi però, il segretario generale, Anders Fogh Rasmussen, si è scomposto. «Non sono affatto preoccupato», ha detto. Un commento che fa seguito alle rassicurazioni francesi per cui «non vogliamo andare via in qualunque modo. Anzi, desideriamo proce-

A lato, Mozah bint Nasser al Missned, moglie dell’emiro del Qatar. Dall’alto, la nobel yemenita Tawakkol Karman e Zahra Rahnavard. In apertura, Asma al Assad. Nella pagina a sinistra, Rania di Giordania

Non è un interrogativo vuoto. È noto che l’Islam non privilegi un ruolo femminile nella politica attiva, ma sarebbe ingeneroso, miope e superficiale non risconoscere la presenza e la militanza di tante donne che cominciano a farsi strada nei gangli dei parlamenti, nell’ambito dei diritti umani così come in quello degli affari e del giornalismo. Quel tipo di donna non solo comincia a germogliare, comincia anche a diffondersi. Ma è ancora un passo indietro rispetto alla Storia. Lady Asma, giovane, bella, istruita e anche un po’ straniera, per qualche anno è sembrata poter aspirare ad un ruolo diverso. E invece si è ritrovata complice di un genocidio. Forse addirittura, moderna Lady Macbeth, a ispirare suo marito. In mancanza di una sua presa di posizione evidente, tutto diventa possibile. E che dire delle altre mogli eccellenti che potrebbero incarnare dei nuovi valori e proporre nuove speranze? Si va da Rania di Giordania, famosa soprattutto per la sua eleganza e le sue opere filantropiche e che Forbes piazza al 53esimo posto nella classifica delle donne più potenti al mondo, a Mozah Bint Nasser al Missned, consorte del potentissimo emiro del Qatar Hamad bin Khalifa Al Thani. Seconda delle tre mogli dell’emiro, madre di sette figli, è laureata e ricopre diverse cariche sia nel suo paese che all’estero. E al contrario delle altre consorti è attivamente coinvolta nella vita politica del proprio paese, soprattutto nell’ambito educativo. Ma il suo è un ruolo comunque di luce riflessa. Quella stessa luce che se dovesse spegnersi la condannerebbe a una fastosa vita di silenzio. La realtà è che in Medioriente è più facile cacciare un dittatore che vedere emergere, per davvero, una donna. Gamila Ismail, attivista egiziana di grande valore, ha dovuto rinunciare alla sua candidatura (terza in lista, non prima) alle elezioni parlamentari dei mesi scorsi, dopo essersi accorta del «disgusto» (parole sue) della gente del suo distretto a saperla entrare in politica. Quella stessa gente che però rispettava il ruolo ingessato e formale di Suzanne Mubarak o di Leila Ben Ali in Tunisia. Donne attive, certo, soprattutto a svuotare le casse dei loro paesi. In Libia spadroneggiava Aisha Gheddafi, l’unica figlia naturale del Raìs assassinato. Meglio conosciuta come la Claudia Shiffer di Tripoli, è adesso in Algeria, secondo molti con il bottino sparito. Donne lontane anni luce da quella semplice ragazza iraniana che la scorsa settimana, spinta dalla fame, è riuscita a salire sul cofano della macchina di Ahmadinejad per gridare al Presidente la sua disperazione. Il filmato circola ovunque nel mondo libero. In Iran nessuno sa più nulla di lei.

COMUNE DI VIESTE (Fg) Avviso di Gara CIG 4091284A5A

Si rende noto che questo Comune procederà mediante procedura ristretta all’aggiudicazione del servizio trasporto pubblico locale per la durata di anni 5, per un importo annuo di Euro 152.000,00 a base d’asta. Le domande di partecipazione alla gara dovranno pervenire entro le ore 12,00 del giorno 18/05/2012 all’Ufficio protocollo.Il capitolato, il bando di gara e lettera di partecipazione sono disponibili sul sito ufficiale “www.comunedivieste.it”. Vieste 12.04.2012 IL DIRIGENTE Dott. Angelo Raffaele VECERA


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grandangolo I punti di forza: rigore, stabilità, deficit basso e austerità

Ma quanto vale il modello tedesco di Angela?

Dalle riforme istituzionali al sistema elettorale, dalle pensioni alle ricette per la crescita economica, dal ruolo delle donne in politica alla grande coalizione, dal mercato del lavoro al nucleare e all’export. La nuova frontiera del politicamente corretto è prendere la Germania a esempio, sempre. Ma non tutto è oro quel che luccica... di Ubaldo Villani-Lubelli i questi tempi la risposta a tutti i problemi è una sola: modello tedesco. Dalle riforme istituzionali, alla riforma delle pensioni, dal sistema elettorale alle ricette per la crescita economica, dal mercato del lavoro al nucleare, dal ruolo delle donne in politica alla grande coalizione fino all’export. La nuova frontiera del politicamente corretto è prendere la Repubblica Federale Tedesca a modello, sempre e comunque, perché solo così si può uscire dalla crisi e si può riconquistare la fiducia dei mercati. Prendendo come punto di riferimento un astratto e non sempre ben definito modello tedesco tutte le differenze svaniscono nel nulla e le discussioni sui problemi del nostro paese vengono azzerate. Il richiamo costante e l’apprezzamento al modello tedesco è inversamente proporzionale al disprezzo teutonico per i vizi del Belpaese.

D

Sia ben chiaro. Che la società tedesca sia solida e vincente lo dimostrano i dati economici.Tra i paesi europei, Berlino è uscita prima e meglio di tutti dalla crisi, ha una disoccupazione costantemente in calo e l’export cresce. Quando nel 2011 tutti i paesi europei erano strozzati dalla crisi, la Germania continuava a crescere, riusciva a diminuire il numero dei disoccupati e l’export batteva tutti i record. Il sistema istituzionale tedesco garantisce, poi, governi stabili e duraturi. Le recenti dimissioni di ben due Presidenti della Repubblica e un Ministro

della Difesa hanno ulteriormente rafforzato l’immagine dei tedeschi come persone dal forte rigore morale e con un profondo senso delle istituzioni. La Germania ha, dunque, molti punti di forza che fa giustamente valere soprattutto nell’ambito della crisi del debito sovrano che ha colpito l’Europa. Angela Merkel impone il proprio modello di rigore e di stabilità dei conti al resto d’Europa forte

A Berlino niente crisi al buio in classico stile italiano, ma caduta del governo solo se c’è già pronta un’alternativa della solidità del sistema sociale ed economico tedesco. Proprio il rigore e la stabilità dei conti, in effetti, sono necessari ed importanti, soprattutto in un sistema comune come quello europeo. Il problema dell’Europa è, però, la crescita. A differenza della Germania (che pure sta attraversando una leggera flessione) gli altri stati europei devono confrontarsi con una società a crescita zero. Rigore, stabilità e riforme strutturali,

forse, contribuiscono a calmare e rassicurare i mercati ma per una ripresa della crescita e per tentare una diminuzione della disoccupazione ci vuole ben altro, come chiesto, del resto, da alcuni premier e capi di stato europei, tra cui Italia, Gran Bretagna e Olanda (e condivisa da altri 9 Paesi: Svezia e Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Spagna, Svezia) inviata al presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy e a quello della Commissione Josè Barroso.

Il secondo richiamo al “modello tedesco”è costante quando si discute di mercato del lavoro. Durante le trattative per una riforma in questo settore, che come sempre in Italia si è ridotta, miseramente, ad un sì o no all’articolo 18, Monti e il suo ministro Fornero hanno riproposto la soluzione magica: il modello è il sistema tedesco. Ben venga un sistema con molta mobilità, flessibilità o precarietà (chiamatela come volete). La Germania è un paese dove la questione è stata ampiamente superata anche grazie al fatto che esistono maggiori garanzie e protezioni sociali. In Germania, ancora, è più facile trovare lavoro perché il mercato del lavoro non è stagnante e fermo e, inoltre, le cause e controversie di lavoro non sono cresciute come in Italia (+24 per cento nel 2011). Prima di voler applicare il fantomatico modello tedesco dovremmo mettere nelle condizioni di creare posti di lavoro. So-

no proprio di questi giorni i dati sulla disoccupazione in Europa. I dati parlano chiaro: aumenta in tutta Europa, ma scende in Germania dove si è raggiunto un altro minimo storico: 5,7 per cento. La media europea è di oltre il 10 per cento. Come ricordato da Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera, l’obiettivo cardine della politica del lavoro non deve essere quello di compensare la disoccupazione ma di mettere ciascun adulto nelle condizioni di lavorare, tramite un mix di servizi, incentivi fiscali (e monetari) e percorsi guidati. A partire dai due governi di Gerhard Schroeder la Germania è riuscita a metter in piedi un sistema robusto ed efficiente di servizi per l’impiego, pubblico e privato. I servizi si “prendono cura”di ciascun disoccupato, soprattutto se “debole”: ultracinquantenni, giovani e donne con basse qualifiche. Questo sistema si è rivelato preziosissimo nel momento in cui è scoppiata la crisi. Purtroppo in Italia si discute più dei ricorsi in merito all’applicazione dell’articolo 18 che dei servizi e sostegni ai disoccupati. L’altro richiamo continuo alla Germania è in riferimento al suo sistema istituzionale. Ora, in Germania vige il Cancellierato: premier forte che può essere sfiduciato solo con il meccanismo della sfiducia costruttiva. Niente crisi al buio in classico stile italiano, ma solo se c’è già pronta un’alternativa, ovvero una nuova maggioranza in Parlamento. Il sistema tedesco prevede, inoltre, due ca-


e di cronach

Ufficio centrale Nicola Fano (direttore responsabile) Gloria Piccioni, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica) Direttore da Washington Michael Novak Consulente editoriale Francesco D’Onofrio Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria) Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)

mere (Bundestag e Bundesrat) con compiti (in gran parte) diversi – non come in Italia dove vige il bicameralismo perfetto. La prima è il Parlamento tedesco, la seconda è la Camera delle regioni. Ed ancora: in Germania il Presidente della Repubblica ha scarsissimi poteri, meno, certamente, rispetto all’Italia. La sua funzione è di mera rappresentanza. La legge elettorale, poi, non è, come spesso viene sostenuto, proporzionale puro con sbarramento al cinque per cento. La legge elettorale tedesca è, in realtà, molto più complessa e prevede un cinquanta per cento di seggi eletti con il sistema dei collegi uninominali che implica un rapporto diretto del candidato con il territorio e un cinquanta per cento dei seggi eletti con il proporzionale puro con

Che la società tedesca sia solida e vincente lo dimostrano i dati economici. Berlino è uscita meglio di tutti dalla crisi sbarramento al 5 per cento. Ora, naturalmente, non esistono sistemi istituzionali e leggi elettorali perfetti e validi in assoluto. In una repubblica federale come quella tedesca, questo sistema funziona molto bene e potrebbe anche essere applicato in Italia.

Certo è che molti sostenitori del sistema tedesco in Italia dimenticano con troppa facilità quel cinquanta per cento di seggi eletti con il sistema dei collegi uninominali. Un altro tema sul quale la Germania sembra fare scuola è il nucleare. Fu clamoroso l’abbandono dell’energia nucleare dello scorso anno, dopo che appena qualche mese prima Merkel e, l’allora vice-cancelliere, Guido Westerwelle, annunciavano, trionfalmente, il prolungamento dell’utilizzo dell’energia nucleare fino al 2050. Il dietrofront fu dovuto a ragioni interne, ovvero elettora-

li, e sull’onda emotiva dell’incidente di Fukushima. Da allora, tutti, in Europa, avremmo dovuto seguire il modello tedesco. Ma questa scelta, ecologicamente corretta, ha comportato maggiori investimenti nel carbone (una fonte non propriamente ecologica). Nel medio periodo, poi, la Germania vedrà aumentare la sua dipendenza da Mosca. Il North Stream di Gazprom, un gasdotto che porterà gas dalla Russia direttamente in Germania, sarà uno delle principali strumenti con i quali la Germania potrà soddisfare il proprio fabbisogno energetico. Si tratta di un gasdotto che, ricordiamolo, ha anche la benedizione dall’ex Cancelliere Gerhard Schroeder, che è a capo della società che sta realizzando l’opera. C’è, inoltre, da registrare che il boom dell’eolico in Germania è finito: troppo caro. La conseguenza è una serie impressionanti di fallimenti di grosse aziende che avevano investito in questa fonte energetica. Altra conseguenza immediata dell’abbandono del nucleare è un aumento record delle bollette elettriche.

Veniamo ora alla classe politica. La Germania è un paese che ha superato molto bene le dimissioni di ben due Presidenti della Repubblica, per scandali, tutto sommato, di scarsa rilevanza e sicuramente senza alcuna implicazione penale. In Italia si sarebbe già gridato alla fine della Repubblica, in Germania si è cercato ed, infine, eletto un nuovo Presidente con un’ampia maggioranza pari a circa l’ottanta per cento dell’Assemblea Federale. Se si aggiungono poi le dimissioni dell’ex star della politica tedesca, il Ministro della Difesa Karl Theodor zu Guttenberg, sembra quasi che la classe politica tedesca debba essere presa a modello di moralità. E così effettivamente è stato. In Germania è sufficiente un piccolo scandalo (una dichiarazione poco opportuna, un prestito agevolato o una tesi di dottorato plagiata) per costringere a rassegnare le dimissioni da incarichi pubblici. Se confrontato al malcostume italiano, la differenza è evidente. Un’altra caratteristica della classe politica tedesca, messa in evidenza dal settimanale liberal-progressista Die Zeit, è l’affermarsi di una figura politica diversa dal passato: donna e pragmatica. Se un po’ovunque si cercano politici carismati-

ci e spettacolari, in Germania con l’ascesa di personalità come Angela Merkel (Cdu), Hannelore Kraft (presidente della Nordreno Westafalia, Spd), Ursula von der Layen (Ministro del Lavoro, Cdu) e Annegret Kramp-Karrenbauer (presidente del Saarland, Cdu) si delinea un politico con caratteristiche forse meno affascinanti da quelle, del passato, di Gerhard Schroeder o Joschka Fischer, ma sicuramente più affidabile e che, in un periodo di crisi, trasmettono più fiducia. Peccato che queste donne siano in Italia molto poco conosciute e non prese a modello. La cronaca recente pone all’attenzione un ultimo aspetto: la Germania ha aumentato gli stipendi degli statali del 6,3 per cento in due anni. Un aumento superiore al tasso di inflazione che, ricordiamo, è del 2,5 per cento nel 2012 e, in previsione, del 2 per cento nel 2013. Si tratta di un dato in netta controtendenza rispetto ai tagli imposti ai paesi dell’area euro. Tutti i giornali italiani hanno riportato la notizia ma nessuno, in questo caso, ha invitato a seguire la strada intrapresa della Repubblica Federale Tedesca. Rigore, stabilità, deficit basso e austerità sono sempre state le coordinate del modello tedesco, almeno per gli altri, ma quando si tratta di aumentare i già magri stipendi italiani, la Germania, improvvisamente, non rappresenta più un modello da capire e imitare. È indubbio, infine, che la Germania abbia numerosi aspetti positivi e che possa essere un punto di riferimento per molti stati occidentali, Italia compresa.

La Germania resta il perno dell’Europa. I suoi successi dimostrano come la disciplina del bilancio pubblico e un’economia sociale basata sui principi di mercato siano, alla lunga, le migliori ricette per la crescita e lo sviluppo. Ma l’Italia verrà fuori dalla crisi quando avrà saputo trovare una propria strada per uscire dalla crisi alla quale sta lavorando il premier Monti. Anche perché ci sono settori in cui l’Italia potrebbe essere, addirittura, un modello per la Germania. L’esempio classico sono le liberalizzazioni sugli orari nel settore del commercio. Lo stesso Presidente del Consiglio italiano, durante la sua visita a Berlino del gennaio scorso, ha sottolineato come la Germania potrebbe imparare molto dall’Italia.

Collaboratori Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Osvaldo Baldacci, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Orio Caldiron, Anna Camaiti Hostert, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Anselma Dell’Olio, Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Aldo G. Ricci, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Gennaro Malgieri, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Antonio Picasso, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Franco Ricordi, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Emilio Spedicato, Maurizio Stefanini, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma Consiglio d’amministrazione Vincenzo Inverso (presidente) Raffaele Izzo, Letizia Selli (consiglieri) Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Bruno Lagrotta Amministratore delegato: Raffaele Izzo Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato, Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Antonio Manzo Angelo Maria Sanza Ufficio pubblicità: Maria Pia Franco 0669924747 Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.” “AP - Associated Press” Tipografia: edizioni teletrasmesse Seregni Roma s.r.l. Viale Enrico Ortolani 33-37 00125 Roma Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via di Santa Cornelia, 9 00060 Formello (Rm) - Tel. 06.90778.1 Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69925374 Abbonamenti 06.69924088 • fax 06.69921938 Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Unione di Centro per il Terzo Polo

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società

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L’evento dedicato alla memoria dell’intellettuale e fondatore di Liberal

Se a vincere è il giornalismo libero e anticonformista Domani a Bettona, la seconda edizione del Premio Renzo Foa. Che quest’anno assegna il riconoscimento a due esempi di coraggio e corerenza: Toni Capuozzo e Marco Tarquinio di Gabriella Mecucci anno passato si è tenuta la prima edizione del Premio Renzo Foa, promosso e organizzato dal Comune di Bettona e dalla Fondazione Liberal per ricordare il grande giornalista. Il primo ad essere premiato è stato il “padre nobile” del dissenso cinese, Wei Jingsheng. Domani, l’iniziativa umbra conoscerà la sua seconda edizione.

L’

Nel 1978, quando Den Xiaoping lanciò le “Quattro modernizzazioni”, mister Wei attaccò su tutti i muri di Pechino un dazebao dove sosteneva una tesi tanto semplice quanto eversiva per il totalitarismo post maoista: proponeva una quinta modernizzazione, l’introduzione della democrazia. Intellettuale prestigioso, ex militante del partito comunista, ex guardia rossa, il primo dissidente destò grande clamore in tutta la Cina e la repressione non tardò a venire.Venne accusato – senza alcuna ragione – di tradimento, e imprigionato. Restò in carcere sino al 1993, ben quindici anni. Venne scarcerato soltanto perché le autorità del suo paese volevano che il comitato olimpico internazionale accettasse subito (lo fece dopo) la candidatura di Pechino per i Giochi. Allora però si preferì Sidney e mister Wei fu rimesso in galera senza troppe spiegazioni. Nel 1997, a seguito di una pressante campagna internazionale che chiedeva la sua liberazione, guidata dal presidente americano Bill Clinton, fu rilascia-

to per ragioni di salute e inviato negli Stati Uniti dove venne accolto e dove vive tuttora. Il primo dissidente è stato dunque in galera in nome della libertà per quasi venti anni. Un tempo lunghissimo, poco meno di Nelson Mandela. E infatti Wei è stato definito “il Mandela cinese”. Anche negli anni più recenti ha continuato con intelligenza e coraggio a denuncia-

Quello di Wei è un esempio di lotta coraggiosa, sprezzante del pericolo contro un regime totalitario e contro il conformismo delle idee. In tanti quando cade una dittatura si affrettano a dichiarare di non averla né amata né appoggiata. E magari è del tutto vero. Ma pochi sono quelli che si ribellano quando ancora quel regime è ben saldo in sella. Accade dappertutto così. Quello di mister Wei è l’esempio più alto e coraggioso, accanto a quello di pochi altri, di chi sa testimoniare sino in fondo la propria convinzione, di chi – come ha scritto Renzo Foa – «non affida al tempo i conti con la verità, ma si muove anche da solo, anche rischiando». La gravità del pericolo che corrono hli “spiriti liberi”è diversa: nell’Unione sovietica di Stalin e nella Germania di Hitler chi dissentiva finiva sotto terra o in qualche “universo concentrazionario”. Nel caso di Wei o di Mandela o di Mario Chanes

Il primo è un grande cronista e inviato che rischia di persona per raccontare, senza peli sulla lingua, ciò che passa sotto i propri occhi dimostrando sempre una grande autonomia di analisi e giudizio re i misfatti della dittatura nel suo paese e anche a lui si deve se il comitato di Stoccolma ha finalmente deciso di assegnare nel 2011 il Nobel per la pace ad un esponente del dissenso cinese: si tratta di Lui Xiaobo, tuttora agli arresti.

(cubano), il prezzo è stato decenni di carcere. In democrazia per fortuna non si rischia nulla di tutto ciò. Essere intellettuali critici, “irregolari”, al massimo può comportare un certo isolamento, parecchi insulti gratuiti, qualche

privazione. Talora, semplicemente la rinuncia a carriere super prestigiose e fulminanti. Piccoli prezzi, rispetto a ciò che è accaduto nei totalitarismi. Eppure l’anticonformismo, la scelta individuale di resistere alle mode, ai luoghi comuni, alle campagne propagandistiche di tutti i poteri e sottopoteri anche se non ha nulla di drammatico, richiede sempre un certo coraggio intellettuale.

In alcune occasioni si può venire additati come traditori semplicemente perché, alla luce dei fatti o di informazioni sino ad allora non conosciute, si è cambiata idea.

Cambiare idea davanti ad una evidente smentita della storia e farlo controcorrente, magari solo un po’ prima degli altri, comporta spesso come conseguenza l’etichetta di voltagabbana. Una definizione tipica delle ideologie totalitarie: in democrazia infatti, fra persone intelligenti, riflessive e tolleranti, rivedere le proprie convinzioni dovrebbe essere considerato normale. Naturalmente c’è chi lo fa per ragioni strumentali: ma costoro non sono certo gli intellettuali critici, gli anticonformisti, ma piuttosto i carrieristi, pronti a saltare sul carro del vincitore. Il grande scrittore israeliano Amos Oz ha


società La posizione più difficile è quella di chi mantiene sempre e comunque una lucida ed autonoma capacità di valutazione. Libero dai fanatismi, dalle mode e dai lacci e lacciuoli del potere. In grado di capire cosa accadrà e di dirlo senza iattanza, ma anche senza timore di essere etichettato da qualche cretino o da qualche sacerdote del conformismo come un eccentrico, un esagerato, un pazzo, o peggio, un traditore Il Premio Renzo Foa verrà dato a personaggi siffatti: intellettuali, politici, giornalisti liberi, “irregolari”, anticonformisti. Persone insomma che somigliano a ciò che è stato Renzo Foa. L’anno scorso – la prima edizione – ha insignito un eroe. Quest’anno toccherà a persone che non hanno pagato prezzi altissimi come mister Wei, ma capaci nel loro lavoro di sostenere una posizione senza “imbrancarsi”, non temendo di trovarsi in minoranza o magari in solitudine. Credendo nelle proprie convinzioni e al tempo stesso rispettando quelle degli altri, facendo circolare idee e informazioni. Si tratta di due giornalisti: il primo è Toni Capuozzo, un grande inviato che rischia di persona per raccontare senza peli sulla lingua ciò che passa sotto i propri occhi dimostrando una grande autonomia i giudizio; il secondo è Marco Tarquinio, direttore dell’Avvenire, un quotidiano che ha realizzato una felice combinazione tenendo insieme senso di appartenenza e libertà professionale. Sia Capuozzo che Tarquinio, contribuiscono a far crescere la democrazia facendo bene e con coscienza il loro lavoro.

espresso un giudizio molto penetrante su chi lancia a piene mani accuse di “tradimento”.

«Traditore», ha detto, «è colui che cambia agli occhi di coloro che non possono cambiare e non cambierebbero mai e odiano cambiare e non lo concepiscono, a parte il fatto che vogliono continuamente cambiare te: così la penso io. In altre parole agli occhi del fanatico il traditore è chiunque cambi. Triste alternativa quella fra diventare un fanatico o un traditore. In un certo senso, non essere fanatici significa essere un traditore agli occhi dei fanatici».

Il riconoscimento assegnato al quotidiano L’Avvenire è stato deciso non solo per le indiscutibili capacità di Tarquinio, ma anche per stigmatizzare la violenta campagna stampa di cui è stato oggetto il giornale e l’allora suo direttore, Dino Boffo da parte di Vittorio Feltri. Un “trattamento” di cui lo stesso Feltri ha dovuto poi scusarsi. L’attacco si è rinnovato – in modo totalmente diverso – persino dai palcoscenici di San Remo. Negli anni a venire il Premio Renzo Foa – questo l’intento sia del Comune di Bettona che della Fondazione Liberal – dovrà sempre guardare con particolare attenzione alla lotta per la libertà in tutte le parti del mondo, cercherà di appoggiare le forme di dissenso e di comprenderne la natura. Diventerà un vero e proprio centro di «promozione della libertà e della cultura»: le due cose più insopportabili per ogni forma di regime, da quelli totalitari a quelli autoritari, è infatti la circolazione delle idee e delle informazioni. Ma la democrazia va sempre tutelata anche in casa nostra. E quindi, anche se il premio avrà una particolare attenzione alle

In queste pagine: il giornalista, intellettuale e fondatore di «Liberal», Renzo Foa; il “padre nobile” del dissenso cinese, Wei Jingsheng; l’inviato del «Tg5» e conduttore della trasmissione Mediaset «Terra», Toni Capuozzo; il direttore del quotidiano «L’Avvenire», Marco Tarquinio; un disegno di Michelangelo Pace

Il secondo è il direttore di un quotidiano che è stato capace di realizzare, in un momento difficile, una felice combinazione tenendo insieme senso di appartenenza e libertà professionale

La consegna avverrà domani alle 17 alla Pinacoteca comunale

«Due modelli che contribuiscono a far crescere la democrazia» omani, venerdì 20 aprile alle ore 17, verrà consegnato il «Premio Renzo Foa», promosso dalla Fondazione Liberal e dal Comune di Bettona e giunto quest’anno alla sua seconda edizione. La consegna si svolgerà presso la Pinacoteca comunale di Bettona e saranno presenti il sindaco Lamberto Marcantonini e l’onorevole Ferdinando Adornato. Quest’anno il premio è stato assegnato a due importanti giornalisti: Marco Tarquinio, direttore dell’«Avvenire», e Tony Capuozzo, inviato del tg5 e conduttore del programma «Terra». La scelta è caduto su Marco Tarquinio «perché la sua direzione si è caratterizzata per una grande autonomia di giudizio senza per questo perdere un forte ancoraggio ai valori originari del giornale». Le motivazioni dell’assegnazione del Premio a Capuozzo: «Per il suo intelligente impegno professionale, mai scontato e mai conformista». Caratteristica che rende «Terra» «una delle poche oasi di buon giornalismo televisivo».

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19 aprile 2012 • pagina 15

questioni internazionali – in perfetta sintonia del resto con gli interessi giornalistici e culturali di Renzo Foa – non smetterà però di occuparsi – come ha fatto quest’anno - anche di chi contribuirà nel nostro paese al dibattito culturale e alla comunicazione senza acquiescenze, senza strumentalismi, senza piaggerie e senza fanatismi. Col tempo occorrerà cercare di coinvolgere nella promozione del Premio un vasto arco di soggetti culturali e istituzionali sia a livello locale che a livello nazionale. In modo da farne un centro promotore non solo di un riconoscimento annuale, ma anche di altre iniziative. Bettona potrebbe così diventare un luogo di incontro e di dibattito sempre più ricco sia sul piano qualitativo che su quello quantitativo. Un piccolo paese dove ritrovarsi per tenere gli occhi ben aperti sul mondo. Perché – mi domando – da questa regione che fu patria di Capitini non si alza oggi nemmeno una voce (dal mondo politico, dagli intellettuali, dalla Tavola della pace) contro le atomiche iraniane? Eppure non ci vuole d’essere dei maghi per prevedere che il 2012 sarà un anno caratterizzato dalla terribile possibilità di uno scontro di natura bellica fra Teheran e Gerusalemme. Potremmo cercare di promuovere una riflessione su questo tema e – perché no? – una mobilitazione. Fare qualcosa per tempo evitando magari di convocare le solite manifestazioni contro la guerra quando ormai non resta altro che inveire. E naturalmente l’invettiva – come sempre è accaduto – verrebbe lanciata contro gli israeliani e contro i loro amici americani Un’attenzione di questo tipo, sarebbe un modo giusto per collegarsi alla migliore tradizione culturale dell’Umbria che si è espressa quando la regione ha saputo aprirsi: ha partecipato cioè a movimenti e a dibattiti che andavano ben oltre i propri confini. Anche questo significa essere una capitale europea della cultura.

Si contribuirebbe così a superare la costipazione dell’oggi. È infatti ormai un trentennio che l’Umbria non è più caratterizzata da quella creatività che le fu propria non solo in epoche lontane, quando – secondo Le Goff – il centro Italia era uno dei luoghi più vivaci d’Europa e quindi del mondo, ma anche in epoche più recenti: sino cioè agli anni SessantaSettanta dello scorso secolo. Un obiettivo troppo ambizioso? Può darsi, ma i traguardi difficili da raggiungere sono i più stimolanti. E comunque, chi scrive sottoporrà queste proposte prima di tutto all’attenzione del Comune di Bettona e della Fondazione Liberal. E – se ci sarà il loro accordo – anche ad altre istituzioni e organizzazioni culturali.


ULTIMAPAGINA Il Rapporto Fieg spiega che i giornali vendono sempre meno, ma le notizie si diffondono (di più) in Rete

Sarà il web a salvare la di Gualtiero Lami na buona notizia e una cattiva per gli editori. Quella buona è che gli italiani leggono di più. Quella cattiva è che sempre di più i lettori si informano sui siti web di informazione rinunciando ai giornali di carta. Direte che questa non è una notizia, che era già evidente dal trend mondiale dei consumi di informazione, ma ora c’è – come dire? – la certificazione definitiva della Fieg, la federazione italiana editori dei giornali che ieri ha presentato il suo rapporto sulla stampa nel 2009-2011, basato su rilevazioni audiweb. Con un certo aplomb, il rapporto dice che «le vendite sono in calo, ma la gente non rinuncia a leggere il giornale». Un dato su tutti: dal 2009 al 2011, il numero degli utenti di siti dei quotidiani in un giorno medio è passato da 4 a 6 milioni, con un incremento del 50%. Il problema, per gli editori, è che nella maggior parte dei casi i siti di informazione hanno accesso gratuito e solo in piccola parte prevedono costi per gli utenti. E quello che cresce, ovviamente, è l’uso dei siti liberi, non di quelli a pagamento.

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Ad ogni modo, secondo il rapporto Fieg, «tra il 2009 e il 2011 il numero complessivo di utenti attivi sul web in un giorno medio è passato da 10,4 a 13,1 milioni, con un aumento del 26%. La percentuale dei lettori dei quotidiani online sul totale degli utenti web, nel giorno medio, nel 2011 è del 46,8%, mentre nel 2009 era del 38,3%. Verosimilmente - aggiunge il rapporto - nel 2012 supererà la soglia del 50%». Un traguardo importante che da un lato contribuisce a chiarire la funzione stessa del web, ma dall’altra impone ai giornali di ripensarsi in modo radicale. Perché il web offre possibilità (e limiti) molto particolari. Intanto, l’informazione in rete non è solo scritta ma consente lo scambio di immagini, suoni e link. Da questo punto di vista, s’avanza una figura di giornalista dotato di telecamera che non solo scrive in poche parole ciò che vede, ma soprattutto «filma» le notizie: un cambio radicale nella storia di questa

La professione del giornalista è destinata a cambiare: non più un esperto che insegue i fatti, ma un film-maker in giro per il mondo con la sua telecamera professione. Non a caso, la figura del filmmaker legato al mondo dell’informazione è fortissimo sviluppo, specie tra le giovani generazioni: le varie scuole di giornalismo che sono spuntate come funghi in tutta Italia servono proprio a diffondere (e dare peso specifico) a questa nuova figura di professionista. D’altro canto, il web ha limiti evidenti per quanto riguarda le verifiche alle notizie. Spesso la Rete raccoglie “voci”, rumors, più che notizie vere e proprie: e non è sempre facile fare chiarezza tra le une e le altre. I blog, per dire, hanno prosperato e prosperano proprio su questo equivoco: la facilità di contrabbandare sensazioni e opinioni per notizie. Da questo punto di vista, il web ha portato indietro il mestiere di giornalista.

STAMPA? C’è poi il problema della capacità dei cittadini-fruitori di notizie di gestire le nuove tecnologie: «Le rilevazioni audiweb – spiega in questo senso la Federazione degli editori – sono confortate anche da quelle dell’Istat, che nel report su “Cittadini e nuove tecnologie” di dicembre ha rilevato che tra le persone di 6 anni e più che hanno usato internet nel 2011 il 51% lo ha fatto per leggere o scaricare giornali e riviste. Nel 2010 erano il 44%”. La lettura di giornali online è un’applicazione superata soltanto dalle comunicazioni di posta elettronica (80,7%) e dall’e-commerce (68,2%)». Insomma, il nostro rapporto con la tecnologia è migliorato e la rivoluzione web sta arrivando a compimento anche qui da noi. Salvo che resta da capire, alla fine, come ne uscirà il mondo della carta stampata. Ma non solo. A subire l’invasione vitale della Rete è tutto il settore delle comunicazioni: la stessa tv, per esempio, sta cambiando radicalmente. Nel senso che l’offerta tv della Rete (da Youtube in giù) ha indebolito enormemente quella tradizionale: le giovani generazioni non guardano quasi più la televisione propriamente detta, ma seguono i pro-

pri programmi preferiti (dalle fiction alle trasmissioni di approfondimento) direttamente tramite la Rete.

Tutto questo – è ovvio – non solo cambia il modo di fare informazione (e tv), ma cambia anche la struttura economica che sta intorno a questo modo. Perché fare notiziari (e programmi televisivi) sul web può costare molto meno che produrre giornali di carta (o talk show). Il problema è come ottenere ricavi dall’informazione via web. Sempre stando al Rapporto Fieg, «i ricavi derivanti all’editoria dalle attività online sono in forte crescita (+38,8% nel 2010, +32% nel 2011), anche se la loro incidenza sul fatturato globale del settore, l’1,4%, resta limitata». Come si vede, c’è uno squilibrio tra diffusione e ricavi economici: questo è l’imbuto attraverso il quale l’informazione del futuro deve passare. Anche perché sul web i ricavi sono e saranno sempre più legati alla vendita di spazi pubblicitari che – come è evidente – non è ininfluente sui contenuti dei notiziari. Insomma: il web non è quel paradiso della libertà che spesso si pensa, ma certo offre molte prospettive soprattutto ai giovani.


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