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In molte cose della vita, la fantasia è più importante dell’erudizione Albert Einstein

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • VENERDÌ 13 APRILE 2012

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Il tavolo dei saggi invia ai gruppi la bozza di revisione della Carta: l’esame comincerà subito in Senato

Costituzione, parte la riforma Accordo Pdl, Pd e Terzo polo: dopo 30 anni sarà la volta buona? Venti per cento in meno di eletti. Rafforzati insieme i poteri del governo e del Parlamento. La legge sul finanziamento e la trasparenza dei partiti porterà la firma di Alfano, Bersani e Casini di Osvaldo Baldacci

Previsioni nere nel bollettino mensile della Bce

L’Europa cerca lavoro: allarme disoccupazione di Draghi «Nei prossimi mesi la situazione peggiorerà ancora». L’Unione sembrava aver tappato la falla e invece si ritrova al punto di partenza

Pansa contro i “privilegi rossi”

ROMA. Due colpi battuti dai partiti. Riforme istituzionali e trasparenza sui bilanci. Come promesso, l’iter delle riforme è stato avviato. Nonostante tutto, i partiti stanno abbozzando dei tentativi di reazione alla crisi della politica e danno segnali di voler tornare ad essere protagonisti così come la democrazia richiede. a pagina 2

La faccia sinistra della casta italiana di Pier Mario Fasanotti

Punto per punto, ecco che cosa prevede l’accordo

Le novità: sfiducia costruttiva e superamento del bicameralismo Il premier può revocare i ministri e chiedere di sciogliere le Camere. Deputati a 21 anni e senatori a 35

Enrico Singer • pagina 10

Gualtiero Lami • pagina 4

Caos e proteste al vertice della Lega sulla «pulizia»

Resa dei conti avia Bellerio, Rosi si presenta con Pier Mosca A sorpresa la vicepresidente del Senato arriva con il suo compagno per evitare l’espulsione Marco Palombi • pagina 6

«È stato quasi come una vacanza pagata», ha detto dopo 29 giorni di prigionia

Bosusco libero: «India addio» Finita l’odissea della guida rapito in Orissa: «Non tornerò più» di Luisa Arezzo roppo magro? «È il frutto di 29 giorni di vacanza pagata». È passata appena un’ora dalla sua liberazione, ma le prime parole di Paolo Bosusco diventano subito un caso. Impossibile non pensare, in primis, ai nostri due marò rinchiusi nelle galere indiane che certo non se la stanno passando bene, et in secundis agli enormi sforzi compiuti dalla nostra diplomazia per riportare a casa il 54enne operatore turistico di origini piemontesi rapito dai maoisti il 14 marzo scorso nello Stato orientale dell’Orissa, insieme al connazionale Claudio Colangelo, rilasciato undici giorni dopo il sequestro. a pagina 12

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EURO 1,00 (10,00

CON I QUADERNI)

• ANNO XVII •

NUMERO

72 •

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• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

ur avendo visto tanti film di azione, avrei una certa difficoltà a ricordare e a descrivere il rumore del deragliamento di un treno. Aiuta però a immaginarlo il nuovo libro di Giampaolo Pansa, in libreria da mercoledì prossimo. S’intitola Tipi sinistri. Sottotitolo: «I gironi infernali della casta rossa» ( Rizzoli, 410 pagine, 19,50). Sarebbe dispettoso, o irriverente vista la notorietà, precisare chi è Pansa, per decenni faro critico de L’Espresso. Diciamo subito che il giornalista di origini piemontesi ha masticato politica, e politici (a volte sbranandoli con parole a forma di denti), è sempre molto documentato. E que- Il nuovo libro sta caratte- del noto ristica ha giornalista irritato non è una sorta poco quando in alcuni di secondo suoi libri “Bestiario” ha svelato le malefatte (peraltro già abbozzate da altri, ritenuti faziosi o poco credibili) dei partigiani. Di certi partigiani, è ovvio. Ma che c’entra il rumore del deragliamento? La metafora non è campata in aria perché Pansa, nel descrivere (documenti e dichiarazioni alla mano) fasi epiche e squallidi declini dei protagonisti della sinistra italiana, pare voglia tramutare le sue parole nel suono lugubre di un convoglio che esce dai binari, che sbanda, che si rovescia. a pagina 8

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società

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Il “mitico” disastro avvenuto un secolo fa, viene celebrato con pubblicazioni di ogni tipo, mostre e musei

Prima e dopo il Titanic Quel naufragio fu uno spartiacque che segnò l’inizio di una nuova, difficile era di Maurizio Stefanini ino a quel momento, l’umanità riteneva di aver trovato la chiave di una vita sicura, metodica e civilizzata. Da cento anni il mondo occidentale viveva in pace. Da cento anni la tecnica continuava a progredire e sembrava che i benefici della pace e dell’industrializzazione fossero filtrati in modo soddisfacente attraverso la società. Vedendo le cose nella debita prospettiva, può sembrare che la situazione d’allora offrisse minori garanzie di tranquillità e di fiducia; ma, a quell’epoca, la maggior parte degli uomini riteneva che tutto andasse bene. Il Titanic li svegliò. Mai più si sarebbero sentiti così sicuri di loro stessi. Il disastro rappresentò un terribile colpo, soprattutto sul piano della tecnica. Ecco, infatti, la “nave inaffondabile”, forse il più grande successo costruttivo dell’uomo, che colava a picco al primo viaggio. Ma c’era assai di più. Se quella suprema conquista era così tragicamente fragile, che dire di tutto il resto? Se la ricchezza aveva significato così poco, in quella fredda notte di aprile, che cosa poteva valere per tutto il resto dell’annata?».

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Solo 43 anni erano passati, quando nel 1955 Walter Lord scrisse queste righe: molti meno degli altri 57 che sono trascorsi da allora. Lo stesso Lord, che era stato membro dei servizi di informazione Usa durante la seconda guerra mondiale e per cui quello sul Titanic non fu che il secondo dei suoi numerosi best-seller di divulgazione storica, sarebbe vissuto fino al 2002, facendo anche in tempo a fare da prezioso consulente per il film di James Cameron. Eppure, quel libro continua a essere considerato il testo definitivo sulla tragedia. A Night to Remember fu il titolo originale: “Una notte da ricordare”, come l’altro film inglese del 1958 appunto tratto direttamente da quel testo (in italiano, Titanic, latitudine 41 nord). Sull’onda appunto di quel primo kolossal venne la prima edizione nostrana del 1959, con Garzanti. E ancora Garzanti ne ha pubblicate altre quattro edi-

zioni. La terza e la quarta tra 1998 e 1999, appunto in occasione del film con Leonardo Di Caprio e Kate Winslet. La quinta adesso per il centenario, il 15 aprile 2012. Titanic - La vera storia (190 pagine, 11,60 euro). Ovviamente, non è che siano mancati testi più recenti. Sarà forse per la vicenda del Costa Concordia per certi versi così simile: anche se mai come in questo caso vale il famoso detto di Karl Marx secondo cui la storia quando si ripete la prima volta è in tragedia, la seconda in farsa. Sarà più semplicemente che tutti gli anniversari per l’editoria sono occasioni ghiotte. Ma per questi cent’anni dal Titanic non c’è che l’imbarazzo della scelta. Romanzi? Corale alla fine del viaggio di Erik Fosnes Hansen (Tropea, 450 pagine, 18,00 euro): l’ultima notte del transatlantico vista da que-

inaffondabile di Aldo Caterino (Il Portolano, 200 pagine, 25,00 euro).

Un dossier è Speciale Titanic, a cura di Eliana Liotta e distribuito dal settimanale Oggi (100 pagine, 5,90 euro). Un’opera per i più piccoli Io Titanic di Fulvia Degl’Innocenti e Sonia Fossentini (Il Gioco di Leggere, 48 pagine, 16,00 euro). Pure per bambini dai sette anni in su è Titanic 3D. Libro pop-up di Emily Hawkins e Garry Walton (Emme Edizioni, 16 pagine, 22,90 euro). «4 grandi aperture pop-up. A ogni apertura pop-up corrisponde un chip sonoro diverso: la sirena della nave alla partenza, il frastuono degli enormi motori a carbone, le urla della folla presa dal panico mentre l’orchestra suona ancora l’ultimo valzer, il rumore delle profondità marine dove la

Insuperabile resta la ricostruzione di Walter Scott, ristampata per l’occasione. Un’opera definitiva per la quale l’autore (scomparso nel 2002) ebbe modo di intervistare i 63 sopravvissuti gli orchestrali di bordo che continuarono a suonare fino alla fine. Storia romanzata? Titanic, l’altra storia di Domenico Bellomo, che è appunto sia romanziere che storico della navigazione (Mursia, 290 pagine, 16,00 euro). Storia? Titanic 1912. La vera storia della nave

nave riposa da un secolo. Una perfetta sceneggiatura con colonna sonora! Tantissime notizie e curiosità sulla nave e sulla crociera che segnò la sua storia». Per ragazzi un po’ più grandi Titanic. Storia di un naufragio di Philip Wilkinson (De Agostini, 64 pagine, 14,90

euro). Per i modellisti che volessero provare a ricostruirselo c’è Build your own Titanic in edizione tedesca, inglese e francese (Taschen, 79 pagine, 9,99 euro). In Recuperate il Titanic! (Longanesi, 444 pagine, 9,90 euro), Clive Cussler immagina che nel 1988, in un mondo ancora preda della guerra fredda, una task force segreta che risponde direttamente al presidente degli Stati Uniti sta lavorando al progetto di un avanzatissimo sistema di difesa antimissilistico per il quale serve un minerale ormai introvabile in natura, ma di cui potrebbe esistere un quantitativo utile nella stiva del Titanic. Le vicende di viaggiatori illustri e no intrecciano l’ordito sia di Lo spettro del ghiaccio. Vite perdute sul Titanic di Richard Davenport-Hines (Einaudi, 370

pagine, 21,00 euro) che di Le luci del Titanic di Hugh Brewster (Piemme, 346 pagine, 17,50 euro). Pure edito da Piemme è Titanic, un viaggio che non dimenticherete (320 pagine, 18,00 euro), dell’espero in gialli e misteri storici Massimo Polidoro. E la chiave del mistero è anche quella di Claudio Bossi in Titanic. Storia, leggende e superstizioni sul tragico primo e ultimo viaggio del gigante dei mari (De vecchi, 288 pagine, 14,90 euro).

A cent’anni dalla tragedia, in quella Belfast dove fu costruito al Titanic hanno dedicato anche un museo, che è costato quasi 120 milioni di euro, e per il quale si è lavorato nove anni in modo da averlo pronto per il 31 marzo: che è poi la ricorrenza di quel 31 marzo 1909 in cui la costruzione della nave fu iniziata dai cantieri. Nove gallerie interattive in un edificio di sei piani, con una hall di 2000 metri quadrati. Entrata, 16 euro per un adulto e 8 tra i 5 e i 16 anni. Altri musei e mostre a Southampton, da dove il Titanic partì; nella francese Cherbbourg, dove fece sosta per imbarcare varie centinaia di passeggeri; nella canadese Halifax, nei cui cimiteri sono sepolte gran parte delle salme recuperate; e a Branson nel Missouri e Pigeon Forge nel Missouri, opera di un produttore televisivo appassionato della vicenda. Naturalmente verranno di nuovo trasmessi film e documentari: ce n’è anche uno nuovo del National Geographic. Il 26 aprile una lettera dal Titanic sarà messa all’asta per 200 mi-


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una chiosa all’opera definitiva che Lord ebbe modo di fare nel 1955, e che da allora non è stata più superata. Probabilmente, l’esperienza dei servizi segreti doveva avergli dato una particolare formazione alla ricerca di notizie che va ben oltre il normale scrupolo di giornalisti e storici: i primi, generalmente più attenti all’impatto della notizia che non alla sua fondatezza; i secondi che, per lo meno all’epoca, erano molto più dipendenti dal documento che dalla storia orale. Immagini storiche e reperti del Titanic. Sotto, una fotografia della nave inabissata. A sinistra, un visitatore di una delle tante mostre allestite per il centenario

la dollari, è saltata fuori la discendente di una naufraga che sostiene essere stata la sua bisnonna, la Rose cui si ispirò il film di Cameron, e naturalmente sono continuate a saltare fuori informazioni e teorie. Ul-

timissime, quelle che danno la colpa del disastro sia a una influenza della luna che mandò eccezionalmente l’iceberg sulle rotte navali di intenso traffico, sia a una sbronza del capitano. Ma il tutto, alla fine, non è che

Ma all’epoca i testimoni c’erano ancora.Tra i 63 sopravvissuti che Lord ebbe modo di intervistare, c’era perfino il panettiere Charles Burgess: «l’ultimo uomo dell’equipaggio del Titanic» che 43 anni dopo il famoso naufragio si trovasse ancora in servizio attivo sul Queen Elizabeth. «Non ci sarà mai più una nave come quella» ripeteva, pur dopo essersi imbarcato su tutte le grandi navi di servizio sulle rotte atlantiche. «Era come l’Olympic, sì, ma molto più lussuosa», gli raccontò. «Prendete per esempio la sala da pranzo: l’Olympic non aveva nemmeno un tappeto, mentre sul Titanic si affondava fino alle ginocchia. E i mobili: così pesanti che si potevano sollevare a fatica. E i rivestimenti… Potranno costruire delle navi più grandi e più veloci, ma difficilmente saranno altrettanto curate. Era bella, era una magnifica nave». Ma proprio il confronto tra le 63 testimonianze, i giornali e gli altri documenti lascia intravedere quanto difficile possa

poi essere ricostruire una verità oggettiva. «Probabilmente nessun avvenimento lascerà mai più tante domande senza risposta», commenta Lord. Tutti salvi dopo la collisione del Titanic fu addirittura uno dei primi titoli della stampa. Per esempio, non si sa neanche quante siano state le vittime: varie fonti anche ufficiali oscillano tra 1490 e 1635. «Quasi tutte le donne scampate» dissero di essersene andate «con l’ultima scialuppa». «È evidentemente impossibile che tutte abbiano trovato posto nella stessa imbarcazione», osserva Lord. «Eppure insistere su tale argomento è come insistere sull’età di una donna: è un’impresa vana». Neanche sulle cronologie o sulle conversazioni è possibile avere una versione univoca. Una semplice confronto tra il numero degli scampati nel racconto degli stessi e quello che venne contato rivela che si salvarono in 651, ma erano convinti di essere 854.

che l’Italia aveva celebrato col famoso balletto Excelsior, una nave costruita per essere inaffondabile affondò invece nel corso del suo primo viaggio: per una collisione con un iceberg che strisciando lungo la fiancata inondò contemporaneamente le varie paratie stagne studiate per ammortizzare l’effetto di una falla. E la gran parte dei passeggeri morì perché la fiducia nella tecnologia era stata tanto forte da non provvedere al numero di scialuppe che sarebbe stato necessario per salvare tutti. Di lì a poco, la grande strage della prima guerra mondiale avrebbe dimostrato che la tecnologia non solo non metteva al riparo dai disastri, ma poteva trasformarsi essa stessa in disastro.

Ma già allora, ricorda Lord, «decine di ministri del culto predicarono che la tragedia del Titanic era una lezione mandata dal cielo per scuotere gli uomini dalla loro compiacenza in se stessi; per punirli della comple-

Difficile arrivare a una verità oggettiva: tra le testimonianze non c’è accordo neppure sulla musica suonata dall’orchestra mentre il transatlantico andava a picco L’esempio più famoso di queste incertezze è sulla musica suonata dall’orchestra di bordo mentre la nave si inabissava. «Secondo la versione accettata come vera, l’orchestra si inabissò suonando Vicino a te, Signore. Molti dei sopravvissuti insistono però nell’affermare che l’orchestra abbia suonato solo ritmi jazz. Uno dei passeggeri asserisce di ricordare chiaramente che l’orchestra, negli ultimi momenti, non suonava affatto. In questo groviglio di testimonianze contraddittorie, il giovane telegrafista Harold Bride dà una versione che sembra la più credibile. Si tratta di un osservatore attento, meticoloso, accurato, rimasto a bordo fino all’ultimo momento. Bride ricorda chiaramente che, mentre il ponte lance veniva sommerso, l’orchestra suonava l’inno evangelico Autunno». Ma tutto ciò, se vogliamo, è un’altra metafora, collegata a quella da cui siamo partiti. Al culmine della grande sbornia di progresso della Belle Époque

ta fiducia riposta nel progresso materiale. Se doveva essere una lezione, essa è servita. Da quel momento in poi, la gente non si è più sentita sicura di nulla». Neanche, appunto, lo storico di testimonianze scritte e orali: al dunque, altrettanto inaffidabile delle paratie stagne del Titanic. «L’infinita successione di delusioni verificatesi in seguito non deve essere ascritta al Titanic, ma il suo naufragio costituì il primo colpo. Prima del Titanic, tutto era quieto; dopo, tutto fu tumulto. Ecco perché, per chiunque sia vissuto in quell’epoca, il Titanic, più di qualunque altro avvenimento singolo, segnò la fine dei vecchi tempi, e l’inizio di una era nuova e non sempre facile». E qui è forse il caso di ricordare ancora che Lord, storico del Titanic, nato nel 1917 durante la prima guerra mondiale, combattente e storico della seconda, morì il 19 maggio del 2002, proprio a New York. Insomma, ha fatto in tempo a vedere pure l’11 settembre.


ULTIMAPAGINA Incidente nel porto pugliese: dalla falla sullo scafo di una petroliera escono 20 tonnellate di carburante

Taranto, la nostra piccola di Massimo Fazzi Ilva proprio non trova pace. L’enorme acciaieria che domina il Golfo di Taranto e il resto della città, che ha scatenato tante proteste nel corso degli anni, è stata infatti ieri testimone di quello che poteva divenire l’ennesimo disastro ecologico ma che, almeno a quanto sembra, è sotto il controllo delle autorità. Succede che ieri diverse tonnellate di carburante si sono sversate nel mar Grande, a Taranto, in corrispondenza del terzo sporgente del porto, da una nave battente bandiera panamense. La chiazza, ha comunicato l’Agenzia regionale per l’ambiente, ha coperto in meno di un’ora una superficie d’acqua di 800 metri quadrati. L’allarme è scattato alle prime luci dell’alba quando si è aperta una falla in un mercantile di ottomila tonnellate e lungo 133 metri, ormeggiato al terzo sporgente dello scalo ionico. Tra le dieci e le quindici tonnellate di carburante sono finite in acqua, otto sono state recuperate nel pomeriggio. Dalla nave East castle è fuoriuscita una quantità enorme di carburante che è finito in mare e sullo scafo di altre due navi nelle vicinanze. Sul posto sono intervenuti i mezzi della capitaneria di Porto e le imbarcazioni della società Ecotaras, specializzati negli interventi di disinquinamento, e gli esperti dell’Arpa. Lo specchio di mare è stato immediatamente circoscritto per limitare il danno ambientale con una rete di protezione di oltre 500 metri. I mezzi dell’Ecotaras hanno avviato le operazioni di recupero del carburante con un particolare macchinario in grado di separare il combustibile dall’acqua di mare. I militari della capitaneria di porto hanno avviato una serie di accertamenti per comprendere la dinamica dell’incidente. Gli uomini del reparto sotto marino – i sub della capitaneria – avrebbero riscontrato una falla nella parte inferiore dello scafo del mercantile. La nave era arrivata a Taranto cinque giorni fa, l’8 aprile, per rimanere all’ancora in rada per due giorni. Martedì la nave era entrata in porto per ormeggiarsi al terzo sporgente. Nello scalo avrebbe dovuto imbarcare un carico di 10.000 tonnellate di coils (laminati di acciaio) prodotte dall’Ilva. Ma l’operazione non è andata a buon fine: ieri la dirigenza dello stabilimento ha aperto i cancelli alla stampa per documentare la situazione.

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EXXON VALDEZ

Ora per completare le operazioni di bonifica ci vorranno alcuni giorni. Secondo il direttore dell’Agenzia regionale Protezione Ambiente (Arpa) della Puglia, Giorgio Assennato, «tutte le procedure di contenimento sono state attivate. La situazione è tenuta sotto osservazione dai tecnici dell’Arpa». In ogni caso, l’accaduto ha riaperto le polemiche sulla situazione ambientale del Golfo. «Un incidente gravissimo che pone con urgenza la necessità di liberare il Golfo dal petrolio e finanziare un piano straordinario per la riconversione della città che, ormai, è un’emergenza nazionale», commenta polemico il presi-

In mare si è formata una chiazza di un chilometro quadrato. I mezzi della Capitaneria di porto hanno circoscritto la zona e iniziato le operazioni di bonifica dente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli candidato sindaco di Taranto per un cartello di associazioni ambientaliste - che ricorda come questo non sia il primo sversamento di idrocarburi in mare. «Lo scorso 19 gennaio - dice -

una chiazza di idrocarburi molto estesa è stata trovata sempre nel Mar Grande nei pressi di Punta Rondinella.Tra l’altro, questi ripetuti incidenti, evidenziano un allarme sicurezza enorme visto che, con l’ampliamento già approvato del Progetto “Tempa Rossa” dell’Eni si avrà un raddoppio del traffico delle petroliere che passeranno dalle attuali 30 a 140». Secondo Bonelli «quella che sta avvenendo a Taranto è una continua aggressione all’economia locale, già fortissimamente danneggiata dalla diossina e dall’inquinamento del Polo siderurgico e della raffineria, e in particolare alla mitilicoltura. È francamente inaccettabile - conclude - che anche il governo Monti dopo quello Berlusconi, nel decreto Semplificazioni, abbia commesso un’ulteriore ingiustizia consentendo alle compagnie petrolifere di trivellare non a 12 miglia dalla costa come avviene in tutta Italia ma a 5 miglia dalla costa».

Che la situazione ecologica e ambientale di Taranto non sia rosea è cosa nota da tempo. Camminando per i Tamburi, il quartiere più direttamente a contatto con l’acciaieria, si leggono scritte sui muri che recitano “L’aria uccide” o “Respira e poi muori”. La riconversione industriale della città ha creato molti disagi, e la fuoriuscita di ieri ne ha riproposto l’agonia. Speriamo serva a qualcosa.


Due riforme che rilanciano la centralità dei partiti

Il modo giusto per recuperare credibilità

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di Giancristiano Desiderio l cuore dell’antipolitica batte nella politica. Per sconfiggere la prima - che oggi si respira a pieni polmoni in tutt’Italia - la politica non ha altra scelta se non quella di fare bene il suo mestiere. Per essere ancora più precisi e concreti aggiungiamo che oggi l’Antipolitica non è alimentata dal governo ma dai partiti, i quali se vogliono riguadagnare fiducia devono dimostrare serietà. Negli ultimi due giorni ci sono state due buone azioni della maggioranza formata da Pdl, Pd e Terzo Polo: l’intesa sulla sciagurata legge dei rimborsi elettorali e l’accordo sulle riforme costituzionali. Nulla di sconvolgente ma almeno è un inizio. Ora bisogna continuare su questa strada passando dalle intenzioni alle azioni, da una parte migliorando i provvedimenti e dall’altra lavorando di buona lena per portare a casa il prima possibile dei buoni risultati.

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Partiamo da quello che è il nervo più scoperto: i troppi soldi ai partiti sotto forma di rimborsi. Le storie, storielle e storiacce che sono venute fuori nelle ultime settimane, da Lusi a Belsito, dalla morta e sepolta Margherita che incassava soldi anche da defunta alla Lega dura e pura che si è rivelata più familistica dei suoi odiati meridionali, hanno ulteriormente alimentato quel sentimento di avversione alla politica che in Italia è sempre attivo e in servizio. Non mettere mano con serietà intellettuale e morale in questa delicata materia sarebbe da stolti. I presidenti di Camera e Senato si sono impegnati personalmente sulla questione ed è bene che vadano fino in fondo confidando sull’autorevolezza istituzionale dei loro ruoli, altrimenti il rischio molto ma molto serio è un pericoloso effetto boomerang. L’accordo raggiunto prevede uno stop al ritiro dei 100 milioni che fanno parte dei rimborsi del 2008 ma non c’è nessun taglio alla quantità dei finanziamenti. Il controllo sui conti verrebbe garantito non dalla Corte dei Conti ma da una nuova authority composta dai presidenti della stessa Corte dei Conti, del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione o eventualmente dai loro delegati. Se saranno trovate irregolarità nei bilanci, la commissione potrà proporre le sanzioni da applicare ai presidenti delle Camere. Non bisogna essere esperti di politica, basta essere padri di famiglia e cittadini tassati per capire che le norme sono proprio e soltanto un primo passo perché così come sono non vanno bene: c’è bisogno che ai controlli corrisponda il potere della multa (salata), c’è bisogno di tagliare il quantitativo di soldi che dallo Stato passa ai partiti e c’è da aggiungere un controllo non solo in uscita ma anche in entrata. Ripeto: non procedere su questa strada sarebbe da irresponsabili. Ieri c’è stato anche l’accordo sulle riforme costituzionali e istituzionali. Cose importanti: riduzione del numero dei deputati (500) e dei senatori (250), superamento del bicameralismo perfetto, rafforzamento dei poteri del premier, sfiducia costruttiva. La novità più importante riguarda non tanto il merito quanto il metodo: le riforme non sono più solo una “bozza” ma un testo vero e proprio che nei prossimi giorni sarà presentato a Palazzo Madama. Cosa manca? La legge elettorale. Anche qui: fare le riforme e non toccare il sistema di voto sarebbe un boomerang.

I partiti si rimettono in moto e firmano due compromessi di grande peso politico

Doppio colpo all’antipolitica

Le nuove regole per il finanziamento in una legge firmata dai tre segretari. E c’è già l’accordo perché l’Aula approvi rapidamente le modifiche costituzionali di Osvaldo Baldacci

ROMA. Due colpi battuti dai partiti. Riforme istituzionali e trasparenza sui bilanci. Come promesso, l’iter delle riforme è stato avviato. Nonostante tutto, i partiti stanno abbozzando dei tentativi di reazione alla crisi della politica e danno segnali di voler tornare ad essere protagonisti così come la democrazia richiede. Quali partiti si vedrà, e in parte deriverà anche dalla costruzione istituzionale che si sta riedificando, oltre che dall’onda di pressione delle nuove richieste della pubblica opinione. È tutto un insieme, ma è fondamentale perché è il fondamento delle regole della democrazia: legge elettorale, trasparenza, funzionamento dei partiti, finanziamento, assetto istituzionale. Quest’ultimo è addirittura il quadro del nostro Stato: è determinante che venga aggiornato e che venga fatto insieme. Occorre rigenerare le istituzioni affinché siano messe in grado di sprigionare la massima efficacia e la massima rappresentanza. La bozza che i principali partiti hanno redatto e che consegneranno al Senato come emendamento in modo che l’iter possa essere spedito è un segnale importante. E anche i tempi lo sono. Sappiamo quanto è complicato fare le riforme in Italia, e quanto sia stato praticamente impossibile negli ultimi anni in cui ha regnato la faziosità. Ma ci sono anche regole faticose, pensate per porre delle garanzie e dei vincoli, ma che impongono un surplus di impegno per trovare una strada nuova. Di fatto una riforma costituzionale deve essere votata due volte dalla Camera e due volte dal Senato nella stessa legislatura e con un intervallo di almeno tre mesi di tempo. Questo spiega l’esigenza di

partire subito e di partire bene in questo scorcio finale di legislatura, altrimenti tutto naufraga anche solo per mancanza di tempi.

I tecnici di Udc, Pd e Pdl ieri hanno messo a punto il progetto di modifica costituzionale: previsti il superamento del bicameralismo perfetto, il rafforzamento dei poteri del premier e la sfiducia costruttiva. L’iter inizierà al Senato, con la presentazione un emendamento soppressivo ed interamente sostitutivo ai disegni di legge già incardinati in Senato, davanti alla Commissione affari costituzionali. La novità, ha sottolineato l’Udc Ferdinando Adornato, è «che non è più solo una bozza ma un testo vero e proprio che verrà presentato sotto forma di emendamento o anche di più emendamenti visto che si tratta di più articoli». Intanto, ci sarà una riduzione dei parlamentari. Il testo definitivo prevede che “il numero dei deputati è di 508 (oggi sono 630), otto dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi è di 254 (oggi sono 315), quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero”. Il testo, dunque, conferma la riduzione del numero dei parlamentari dagli attuali 945 a 762. Si abbassa inoltre l’età per essere eletti: basteranno 21 anni per approdare alla Camera, 35 al Senato. La riduzione del numero dei parlamentari nell’intenzione dei proponenti va incontro al taglio dei costi della politica e anche alla maggiore efficienza. Allo stesso tempo la definizione di questo taglio e quindi del numero dei parlamentari è condizione preliminare per la definizione


«Cambiamo la governance del Paese» Adornato, Quagliariello e Violante presentano l’accordo. Pensando alla legge elettorale di Riccardo Paradisi ’accordo sulla riforma costituzionale tra le forze politiche che sostengono il governo Monti arriva in simultanea con un’intesa di massima sulla riforma della governance dei partiti, sull’introduzione cioè di regole per la trasparenza dei bilanci e norme volte a garantire la democrazia interna, in linea con quanto previsto dall’inapplicato articolo 49 della Costituzione.

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Un’accelerazione dovuta da un lato al precipitare della crisi politica prodotta dagli scandali che hanno investito prima l’ex tesoriere della Margherita Lusi e poi la Lega, dall’altro dall’esigenza di governare un periodo di transizione che rischia di diventare pericoloso senza regole condivise e chiare che garantiscano al tempo stesso democrazia e stabilità politica. L’accordo chiuso tra Pd, Pdl e Terzo Polo sulle riforme costituzionali, prevede anzi tutto una riduzione del numero dei parlamentari in linea con il ddl già presentato al Senato qualche mese fa e firmato da tutti i capigruppo di maggioranza. Una riduzione a 500 dei deputati e a 250 dei senatori. Si abbassa inoltre l’età minima per l’eleggibilità: 21 anni per diventare deputati e 35 per essere eletti senatori. Nella bozza di accordo viene superato il cosiddetto bicameralismo perfetto e si introduce il bicameralismo eventuale. I disegni di legge verranno cioè presentati al presidente di una delle due Camere: a Montecitorio quelli che riguardano le materie di legislazione esclusiva dello Stato, a palazzo Madama quelli su temi di competenza concorrente tra Stato e Regioni. Altra modifica costituzionale che mira a sveltire le procedure deci-

sionali è quella che consente al governo di porre un termine massimo per l’approvazione delle leggi ritenute essenziali.Vengono poi introdotte la sfiducia costruttiva e l’attribuzione al presidente del Consiglio del potere di revocare i ministri. Il presidente della commissione Affari costituzionali, Carlo Vizzini, che sarà relatore dei provvedimenti, assicura che «si lavorerà in tempi stretti, per fare in modo che le riforme entrino in vigore già dalla prossima legislatura». Non c’è ancora invece l’intesa sulla nuova legge elettorale. C’è un’in-

Convergenza sul modello tedesco ma il nodo da sciogliere è sui correttivi maggioritari. La fronda nel Pd e Pdl tesa di massima su un modello proporzionale alla tedesca, senza obbligo di coalizioni e con l’indicazione del premier ma il nodo irrisolto sembra essere la quota del premio di maggioranza. Il nuovo aggiornamento per trovare una possibile sintesi tra le forze di maggioranza è rimandato a martedì prossimo Intanto ieri a palazzo Wedekind a Roma in un workshop organizzato dalla fondazione Italia Futura le forze politiche moderate si sono confrontate proprio sul tema. La piattaforma resta la bozza Violante, il perimetro un modello proporzionale corretto che si ispira al sistema tedesco ma che a rigore dovrebbe essere definito ispano-tedesco. «Un nuovo sistema di voto condiviso dalle forze politiche

in dettaglio di una nuova legge elettorale. Resta da vedere se il taglio potrà essere operativo da subito o se occorrerà una norma ponte per la prossima legislatura. Nella bozza di accordo si introduce anche il bicameralismo cosiddetto “eventuale”. Cioè non più automatico, non è necessario che tutti i provvedimenti siano approvati in forma identica dalle due Camere, con la cosiddetta navetta. I disegni di legge verranno presentati al presidente di una delle due Camere: a Montecitorio quelli che riguardano le materie di legislazione esclusiva dello Stato, a palazzo Madama quelli su temi di competenza concorrente tra Stato e Regioni.

rappresenta un baluardo contro l’antipolitica» scriveva in una lettera al Corriere della Sera due giorni fa l’ex presidente della Camera, Luciano Violante, spiegando che le ipotesi in campo per cambiare la legge elettorale non creano il rischio né di un ritorno alla prima Repubblica e instabilità dei governi né di un controllo sulle candidature come nella legge Calderoli. È quanto Violante ha ripetuto anche ieri invitando le forze politiche a non perdere tempo perché le alternative alla riforma sono da un lato un modello di democrazia elitaria con i partiti e il parlamento depotenziati e dall’altro una democrazia demagogica che decide e si muove sull’onda degli umori. A chi contesta che la nuova legge elettorale segna un ritorno al passato Violante ricorda che il bipolarismo maggioritario non ha rispettato le promesse di partenza. Altro che governabilità e stabilità: le legislature degli ultimi lustri sono durate in media due anni e il premio di maggioranza dato alle coalizioni formate per vincere non ha garantito governabilità. La bozza Violante costituisce un passo avanti anche per Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori Pdl. «La legge elettorale che abbiamo non va demonizzata ha un grande inconveniente storico. È nata in un momento in cui le coalizioni esistevano, quando ancora c’erano Polo e Ulivo. Oggi quelle coalizioni non esistono più: l’avvento del governo Monti ha prodotto da un lato il divorzio tra Pdl e Lega dall’altro la separazione tra Pd e Idv». Peraltro se anche si riproponessero le vecchie coalizioni avrebbero grandissime difficoltà a raggiungere il 51% con

menti. Il primo dei quali è l’introduzione spesso invocata dell’istituto della sfiducia costruttiva. Le Camere potranno sfiduciare il premier, ma a patto di presentare una mozione di sfiducia che già indichi chi sarà il nuovo capo del governo e che venga approvata dalla maggioranza assoluta dei parlamentari. Il premier dal canto suo potrà chiedere al Capo dello Stato lo scioglimento delle Camere, o di una di esse. Al presidente del Consiglio dei Ministri invece

premi di maggioranza ragionevoli. Insomma chi vince le elezioni deve avere la responsabilità di formare il governo da solo, con una coalizione o in casi di necessità poter varare governi di unità nazionale. «Quello che non può accadere precisa Quagliariello è che chi vince le elezioni si trovi all’opposizione».

Il nodo come si diceva resta però il quantum del premio di maggioranza. Sul cui innalzamento premono Pdl e Pd mentre l’Udc insiste perché sia contenuto. Ferdinando Adornato insiste sul sistema tedesco: «In Germania c’è un modello proporzionale ma lo schema di gioco è sostanzialmente bipolare e bipartitico e il sistema è dotato di ammortizzatori che non costringono a coalizioni artificiali e coatte e che consentono soluzioni d’emergenza come le grandi coalizioni. Si tratta di trasferirlo in Italia con gli opportuni adeguamenti ma senza esagerare sui premi di maggioranza». È chiaro che se si vuole raggiungere una sintesi condivisa ognuno dovrà cedere qualcosa, ma l’accordo si sigla o salta appunto sulla qualità e la quantità dei correttivi maggioritari. A fare pressione perché l’accordo salti una mozione trasversale di venti parlamentari di Pd e Pdl e gruppo misto tra cui Mario Barbi, Arturo Parisi, Ricardo Levi del Pd e Giorgia Meloni, Antonio Martino e Gianfranco Rotondi del Pdl - che prendono posizione contro la bozza Violante di riforma elettorale. presidente della commissione Finanze, Gianfranco Conte, al termine della agitata seduta della commissione. Il punto è che tra le molte proteste e contraddizioni, è venuta meno l’unanimità dei gruppi per la ammissibilità dell’emendamento, a causa dell’opposizione di Lega (i maligni dicono che le nuove regole decurterebbero molto i fondi della Lega) e Italia dei Valori, “In questo caso – ha dichiarato un tecnico – l’alternativa può essere il decreto”. La proposta è di un articolo aggiuntivo di nove commi. In esso si stabilisce che “allo scopo di garantire la trasparenza e la correttezza nella gestione contabile e finanziaria, i partiti e i movimenti politici si avvalgono di una società di revisione iscritta nell’albo speciale tenuto dalla Consob”. Nascerà la Commissione per la trasparenza e il controllo dei bilanci dei partiti politici, che sarà composta dai presidenti di Corte dei Conti, Consiglio di Stato e Corte di Cassazione (o da loro delegati) e avrà il compito di visionare i rendiconti, le relazioni e le note integrative dei bilanci depositati entro il 15 luglio di ogni anno. Se troverà irregolarità, il Parlamento potrà comminare sanzioni paria tre volte la cifra di quelle irregolarità. I partiti dovranno rendere pubblico ogni finanziamento superiore ai 5 mila euro, e potranno investire esclusivamente in titoli di Stato. Con le nuove norme, in caso di approvazione o di decreto, i controlli della commissione ad hoc sui partiti sarebbero operativi già per l’ultima tranche dei rimborsi elettorali del 2008.

Corte dei Conti, Consiglio di Stato e Cassazione vigileranno insieme sulla trasparenza dei bilanci. Ma la Lega e l’Italia dei Valori promettono ostruzionismo per bloccare l’iter veloce in Aula per le nuove norme

Sempre per sveltire l’iter legislativo, un’altra modifica costituzionale consentirà al governo di porre un termine massimo per l’approvazione delle leggi ritenute essenziali. L’esecutivo potrà infatti richiedere che un disegno di legge sia iscritto con priorità all’ordine del giorno della Camera che deve esaminarlo e che venga votato entro un determinato termine, scaduto il quale, il ddl va in votazione “automatica” articolo per articolo, senza emendamenti, e con un voto finale di ratifica. Anche le Camere, inoltre, potranno fissare la data di promulgazione di una legge appena varata, a patto che la richiesta di entrata in vigore urgente sia suffragata dalla maggioranza assoluta dei componenti della Camera stessa. Nel senso del rafforzamento dei poteri dell’esecutivo vanno anche altri provvedi-

viene attribuito il potere di proporre al capo dello Stato la nomina e anche la revoca dei ministri, finora nominalmente spettante al Presidente della Repubblica.

L’altro cantiere di riforma che è stato avviato ieri con la promessa di una rapida definizione è quello della revisione dei finanziamenti dei partiti. Ma qui per essere onesti c’è stato subito un primo intoppo. Anche questa riforma doveva essere presentata sotto forma di emendamento, stavolta al decreto fiscale incardinato alla Camera. Ma “allo stato l’emendamento al dl fiscale, contenente la riforma del finanziamento ai partiti, è da ritenersi inammissibile”, ha detto il


l’approfondimento

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Il testo della revisione costituzionale (e com’era prima della riforma)

Con queste regole può finalmente nascere la Terza Repubblica Riduzione dei parlamentari, sfiducia costruttiva e più poteri al premier: vediamo come cambierà la Carta e quali saranno i vantaggi per lo Stato I CARATTERI DELL’INTERVENTO a) La proposta si ispira al principio del minimo indispensabile (contrario al massimo possibile). Nella prossima legislatura si potranno affrontare i temi più rilevanti. b) Gli indirizzi seguiti sono: 1) rafforzare la rappresentanza; 2) semplificare le procedure parlamentari; 3) favorire governi di legislatura; 4) prevedere elementi di valorizzazione degli interessi delle Regioni nel processo legislativo nazionale; 5) costruire un forte governo in un forte Parlamento. c) La normativa proposta si può distinguere in tre blocchi di norme coerenti tra loro; ciascuno blocco ha autonomia rispetto agli altri. Ma il secondo e il terzo blocco esigono una lettura unitaria. d) Primo blocco: forte rappresentanza. Riduzione del numero dei parlamentari (articolo 56 e articolo 57 della Costituzione); elettorato arrivo per Camera e Senato a 18 anni, elettorato passivo per la Camera a 21 anni (articolo 56) e per il Senato a 35 anni (articolo 58); riduzione da 7 a 5 anni del numero minimo di senatori per Regione (articolo 56). e) Secondo blocco: forte Parlamento. Semplificazione del procedimento legislativo, superamento del bicameralismo paritario, introduzione di elementi di federalismo istituzionale: bicameralismo eventuale e non più obbligatorio (articolo 72 della Costituzione), potere di richiesta del voto a data fissa da parte del Presidente del Consiglio dei ministri. Nel caso si accettasse la ripartizione delle competenze fra Camera e Senato sulla base dell’articolo 117 della Costituzione, la previsione presso il Senato della Commissione per il parere obbligatorio sui ddl relativi alle Regioni introdurrebbe un elemento di raccordo tra Parlamento e Regioni. f) Terzo blocco: forte governo. Potenziamento del ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri e consolidamento del governo: la fiducia è data al solo Presidente del Consiglio dei ministri (articolo 94 della Costituzione). La fiducia è data a maggioranza semplice, la sfiducia, solo costruttiva, a maggioranza assoluta (articolo 94). Il presidente del Consiglio dei ministri può chiedere al Presidente della Repubblica la nomina e la revoca dei ministri (articolo 92). Il Presidente del Consiglio dei ministri può chiedere il voto a data fissa dei provvedimenti del governo. Effetti semplificatori del voto di fiducia (articolo 94).

di Gualtiero Lami tavolta lo Stato cambia davvero. Il testo sul quale ieri i “tecnici” del Terzo Polo, del Pdl e del Pd hanno trovato un accordo, disegna un’Italia un po’ diversa da quella che conosciamo. In pochissime parole: sarà più governabile, più giovane e costerà meno. Più governabile perché il premier avrà maggiori poteri; più giovane perché si abbassa l’età per essere eletti sia alla

S

Camera sia al Senato; costerà meno perché i deputati scendono a 508. Senza contare che sarà anche più federalista, dal momento che il Senato avrà una connotazione regionale molto più chiara e rilevante.

MENO DEPUTATI Mo vediamo nello specifico come sarà e come era l’ordinamento dello Stato. L’accordo di ieri riguarda in

tutto nove articoli della Costituzione.Tanto per comiciare, l’articolo 56 modifica in modo radicale la struttura stessa della Camera dei Deputati. La nuova formulazione dell’articolo dice: «La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di 508, otto dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle ele-

zioni hanno compiuto i 21 anni di età. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per cinquecento e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti». Tre gli elementi rilevanti in queste parole: intanto i deputati scendono da 630 a 508 e l’età per essere letti scende da 25 a 21. Ma ancora più importante è la nuova definizione dei collegi elettorali: questa norma di fatto impone una modifica della legge elettorale. La modifica degli articoli 57 e 58 di fatto propone modifiche parallele al Senato: basteranno 35 anni (contro 40 di oggi) per essere eletti senatori, il cui numero complessivo scenderà da 315 a 254, quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Anche in questo caso, i collegi subiscono un live aggiustamento.

SENATO FEDERALE La modifica dell’articolo 70 è lieve ma sostanziale. Il nuovo testo dice: «La funzione legislativa è esercitata dalle due Camere» eliminando l’aggettivo «collettivamente». Che significa? La fine del cosiddetto «bicameralismo perfetto», un artificio costituzionale pensato all’epoca per bilanciare – appun-

to perfettamente – i poteri all’interno dello Stato. A questo punto le due Camere legiferano e basta. Come a dire: ognuna per proprio conto e con funzioni differenti. Qui entra in gioco la questione del cosiddetto Senato federale, ovvero della sua nuova funzione. La nuova formulazione dell’articolo 72 dice: «Presso il Senato della Repubblica è istituita la Commissione paritetica per le questioni regionali, composta dai presidenti delle assemblee rappresentative delle regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano e da un eguale numero di senatori che rispecchi la proporzione dei membri dell’assemblea». Questa Commissione ha competenza su tutte le questioni che tirano in ballo il rapporto con le Regioni. Ma andiamo avanti: «I disegni di legge sono assegnati, con decisione insindacabile, ad una delle due Camere d’intesa con i loro presidenti secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il disegno di legge è esaminato, secondo le norme del regolamento della Camera alla quale è stato assegnato, da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale. Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l’urgenza». Questo di fatto significa che mentre prima ogni Camera agiva su qualunque tema, adesso le competenze sono diverse. Per capire come si differenzia-


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l’articolo 72. Se la legge è nuovamente approvata, questa deve essere promulgata».

SFIDUCIA COSTRUTTIVA

no, andiamo avanti con la formulazione del medesimo articolo 72: «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi e per il disegno di legge comunitaria. Per tali disegni di legge è necessaria l’approvazione di entrambe le Camere. Il Governo può chiedere che un disegno di legge sia iscritto con priorità all’ordine del giorno della Camera che deve esaminarlo e che sia votato entro un termine determinato secondo le modalità e con i limiti stabiliti dai regola-

menti. Può altresì chiedere che, decorso tale termine, il testo proposto o condiviso dal Governo sia approvato articolo per articolo, senza emendamenti, e con votazione finale. Il disegno di legge, approvato da una Camera, è trasmesso all’altra e si intende definitivamente approvato se entro quindici giorni dalla trasmissione questa non delibera di disporne il riesame su proposta di un terzo dei suoi componenti. La Camera che dispone di riesaminare il disegno di legge deve approvarlo o respingerlo entro i trenta giorni successivi alla decisione di riesame. Decorso inutilmente tale termine, il disegno di legge si intende definitivamente approvato. Se la Camera che ha chiesto il riesame lo ap-

prova con emendamenti o lo respinge, il disegno di legge è trasmesso alla prima Camera, che delibera in via definitiva». Insomma, tempistica e ruoli sono completamente diversi.

BICAMERALISMO ADDIO Come è noto, oggi ogni provvedimento deve essere approvato nella medesima formulazione da tutte e due le Camere. Dopo il sì dei deputati, poniamo, ogni testo deve essere – assolutamente – approvato dai senatori, ma se questi, sempre per fare un esempio, cambiano anche una sola parola del testo, i deputati sono chiamati a rivotare e ad approvare di nuovo il testo riformulato. E questo, praticamente, all’infinito. Non è difficile capire che, al di là delle ga-

ranzie costituzionali, questo meccanismo aveva finito per ingolfare le Camere, bloccando molti provvedimenti. Con la nuova legge, il potere legislativo spetterà ai deputati, mentre ai senatori toccherà il compito di vigilare sul rispetto dei vincoli regionali. Questi, infine, avranno quindici giorni per fare modifiche ai testi di legge, in caso contrario, le norme si riterranno approvate.

La riscrittura dell’articolo 73, poi, rende più celere l’entrata in vigore delle legge. Il nuovo testo dice: «Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione. Se la Camera che la ha approvato definitivamente, a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiara l’urgenza la legge è promulgata nel termine da essa stabilita. Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso». Insomma, in questo caso ci sono tempi certi. Resta comunque garantita la possibilità del Presidente della Repubblica di intervenire in modo costruttivo, giacché il nuovo articolo 74 dice: «Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione secondo le procedure di cui al-

E veniamo al tema centrale della maggiore governabilità ossia alle nuove attribuzioni concesse al premier. A questi temi sono dedicate le modifiche degli articoli 92 e 94. Leggiamo prima l’articolo 92: «Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, nomina e revoca i ministri». La novità è tutta nella parola “revoca”: di fatto, al Presidente del Consiglio viene concesso il potere di cambiare squadra in corsa. Ma non basta. Le maggiori novità arrivano con le modifiche dell’articolo 94. Intanto, fidua e tempistica: «Il Presidente del Consiglio dei Ministri deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera delibera sulla richiesta di mediante mozione motivata e votata per appello nominale. Entro dieci giorni dalla sua formazione il Presidente del Consiglio dei Ministri si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non comporta obbligo di dimissioni». Poi c’è la novità assoluta della mozione di sfiducia (oggi non esiste nel nostro ordinamento): è il sistema attraverso il quale il Parlamento può sfiduciare un governo avendo già predisposto un accordo politico per nominarne un altro. «La mozione di sfiducia deve essere sottoscritta da almeno un terzo dei componenti della Camera e del Senato, deve contenere la indicazione del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, da nominare ai sensi dell’art. 92, comma 2, non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

Il premier ha un potere nuovo anche in questa circostanza: «Qualora una delle Camere neghi la fiducia, il presidente del consiglio dei Ministri può chiedere al Capo dello Stato lo scioglimento delle Camere o anche di una sola di esse; le Camere non possono essere sciolte se il Parlamento in seduta comune entro venti giorni dalla richiesta di scioglimento indica il nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, da nominare ai sensi dell’art. 92, comma 2». Di fatto, la mozione di sfiducia assume un peso politico notevolissimo, anche per il fatto che votarla è chiamato il Parlamento in seduta comune. Insomma, che cosa sarebbe successo, nel novembre scorso, se già avessimo avuto questo grimaldello per risolvere la crisi della credibilità politica italiana?


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Nuovo stop di via dell’Umiltà dopo quello di Cicchitto

Riforma del lavoro: frena anche Alfano Il Pdl asseconda le richieste delle aziende e preme Monti per ottenere modifiche sulla flessibilità in entrata di Francesco Pacifico

ROMA. Va verso la terza riscrittura la riforma del lavoro. Il primo avvertimento in questa direzione, Mario Monti, l’ha ricevuto ieri mattina dai mercati. Cioè quando il Tesoro è stato costretto a rallentare il collocamento dei Btp triennali, dopo aver dovuto riconoscere agli investitori un tasso del 3,89 per cento. Un valore in netto aumento rispetto al 2,76 concesso all’ultima asta di metà marzo.

Poi, a ora di pranzo, Angelino Alfano gli ha chiarito che il Pdl non avrebbe mai votato il disegno di legge ora in Senato. Nessuna volontà di far cadere il governo, ma pieno appoggio alle modifiche chieste da Confindustria soprattutto sulla flessibilità in entrata. Se una settimana fa il governo

sulla flessibilità in entrata, mentre sull’articolo 18 mi pare ci sia un’accettazione, malgrado le riserve espresse». Infatti il Pdl, una volta ottenuto un accordo politico con Monti e gli altri partiti, punta a presentare emendamenti in grado di alleggerire i vincoli sulla monocomittenza delle partite Iva, il tetto del 30 per cento sugli apprendisti da stabilizzare e – soprattutto –´ l’aliquota Aspi dell’1,41 per cento sui contratti a tempo determinato. Alfano ieri mattina ha incontrato anche Emma Marcegaglia e gli altri rappresentanti delle altre parti datoriali. E se il leader uscente di Confindustria, ha fatto sapere che «è andato bene il vertice», da Rete Imprese Italia il presidente Marco Venturi ha ringhiato: «Le Pmi

Nuovo richiamo di Napolitano: «L’importante è attrarre investimenti dall’estero», mentre Passera ricorda: «Nella percezione mondiale non siamo attrattivi». Cazzola: «Verso una mediazione politica» ha dovuto fare i conti (e trattare) con l’asse Bersani-Camusso, adesso c’è da trovare un compromesso anche con l’inedita alleanza tra il Popolo delle Libertà e imprese. Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro della Camera, ieri spiegava che «il testo sarebbe da stracciare, ma il Pdl, per ragioni politiche, è impegnato alla ricerca di un equilibrio attraverso modifiche mirate. E le richieste delle imprese sono le nostre». Per l’ex segretario confederale della Cgil, la «partita si gioca

hanno bisogno di una ”flessibilità elevata nel lavoro». Forte dell’appoggio del mondo delle imprese, e prima di entrare a Palazzo Chigi, Alfano ha dichiarato: «Noi vogliamo approvare la riforma del mercato del lavoro, perché serve all’Italia, anche per quanto riguarda la credibilità nei mercati internazionali, ma serve farla bene, per questo vogliamo modificare alcune norme troppo gravose e negative per quanto riguarda le assunzioni». In un colloquio di un’ora – e che in un primo tempo doveva

La leader contestata si presenta a via Bellerio con il compagno Pier Mosca

Alla Lega va in scena la telenovela Rosi Mauro Clamore e polemiche al vertice che doveva decidere il destino della vice del Senato e del tesoriere Belsito di Marco Palombi entre andiamo in stampa ancora non si sa come finirà lo psicodramma leghista delle espulsioni (candidati: Belsito, Mauro e Renzo Bossi). Ieri era il gran giorno del Consiglio federale in cui Roberto Maroni aveva annunciato che il Carroccio avrebbe usato la scopa per fare pulizia. Al via dell’happening, attorno alle 16.40, i big del partito ci sono tutti: i triumviri (oltre al capo in pectore, Calderoli e la veneta Dal Lago), il sempre malandato Bossi, capi e capetti di quest’ultima fase dei patrioti padani. Qualche minuto prima c’era già stato il primo colpo di scena: nella storica sede di via Bellerio era arrivata pure Rosy Mauro, vicepresidente del Senato che rifiuta di dimettersi e minacciata dalla famosa scopa di Maroni, accompagnata peraltro dal suo caposcorta Pierangelo Moscagiuro, poliziotto e cantautore col nome di Pier Mosca (sua l’indimenticabile Kooly noody) su cui s’è incagliata la fantasia della stampa, visto che il nostro viene descritto nelle intercettazioni come “l’amico” della pasionaria mezza padana e mezza no. Storia facile e di sicuro successo mediatico, quella di Rosy Mauro: politica e soldi, sesso e potere, per di più con una donna a fare la parte solitamente appannaggio del maschio anziano. Se poi sia una storia vera non si sa e al momento, tutto sommato, è secondario. Al di là delle epurazioni (frettolose o meritorie, a seconda di come la si pensi), il problema vero è che la linea sottile su cui si tenta di muoversi il

M

nuovo corso leghista fa già acqua. In primo luogo per il clima da guerra civile che si respira all’interno del movimento: ieri, per dire, si rincorrevano voci di espulsioni ai danni di chiunque avesse avuto a che fare col cosiddetto “cerchio magico”. L’ex capogruppo Marco Reguzzoni, ad esempio, ha dovuto smentire pubblicamente: “Non mi sento nel mirino - ha spiegato proprio entrando a via Bellerio – anche perché il cerchio magico non esiste, l’ha detto pure Bossi”. Paura anche per Monica Rizzi, assessore in Lombardia e tutor politico del Trota con una tendenza a definirsi “psicoterapeuta” pur non essendoselo guadagnato in una università: «Nessuno ha mai chiesto le mie dimissioni – ha messo le mani avanti ieri – Dovrei dimettermi per evitare il mal di pancia a qualcuno? Mi pare che nell’inchiesta legata a Belsito stiano uscendo altri nomi legati a cifre e fatti che dovranno essere giustificati. Mi aspetto che qualcuno con coerenza proponga di dimetterci tutti in massa!». Col che Rizzi incrocia, probabilmente senza volerlo, una verità che è il vero problema dei triumviri e di chiunque altro voglia prendersi la Lega che sarà.

Se non si riuscirà – a livello processuale – a trasformare in capro espiatorio l’ex tesoriere Francesco Belsito e magari qualche personaggio secondario e folcloristico come il Trota o la stessa Rosy Mauro, è l’intero stato maggiore della Lega che rischia di venire giù d’un colpo,


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In apertura i ministri Passera e Fornero, rispettivamente incaricati dei dicasteri dello Sviluppo economico e del Welfare. Sulla riforma del lavoro allo studio, ieri si è espresso anche Angelino Alfano. A fianco, Rosi Mauro, la “badante” di Bossi, nell’occhio del ciclone per i fondi della Lega a partire proprio dal simbolo stesso del Carroccio, Umberto Bossi. Le indagini sui conti correnti e gli immobili della Lega sono appena cominciate, ma il senatur risulta già nei guai: tra le carte sequestrate, infatti, ci sarebbero già due suoi bonifici (soldi del Carroccio) a favore della moglie, il pagamento del suo dentista e forse quello di alcune tasse arretrate. Questo senza contare il colloquio “chiarificatore” tra Belsito e il capo (in sostanza l’ex tesoriere avrebbe ricordato a Bossi tutti i favori fatti a lui e alla sua famiglia) di cui il primo parla in una intercettazione asserendo di averlo addirittura registrato. Infine c’è quel pacchetto di assegni della Banca Aletti di Genova intestati a “Umberto Bossi”e che sono connessi all’ormai famigerata cartellina “The family” trovata in una cassaforte in uso a Belsito a Roma. Anche Roberto Calderoli, però, è citato nelle intercettazioni come una delle persone che avrebbero ricevuto soldi sottobanco da Belsito e persino “lo scopino”Maroni rientra nelle conversazioni degli indagati in maniera non proprio piacevole: parlando delle polemiche nate dagli investimenti leghisti in Tanzania, Romolo Girardelli – faccendiere in odore di ’ndrangheta – spiega al suo interlocutore che Maroni “sa tutto” e vuole

usare quelle informazioni per incastrare Bossi e gli altri (i due, peraltro, convengono che è giunto il momento di incontrare l’ex ministro e dargli le prove su Belsito, ma non si sa se questo sia avvenuto). L’ex ministro dell’Interno, per di più, è nel mirino anche per quella che potremmo definire “doppia morale”: mentre epura in lungo e in largo il cerchio magico, non ha detto una parola sul suo amico e sostenitore Davide Boni, presidente del Consiglio regionale lombardo, indagato per reati assai gravi e spiacevoli. Non è finita, ce n’è pure per Castelli (avrebbe avvertito gli indagati dell’inchiesta e del pericolo di intercettazioni) e Tremonti, citato in una telefonata di un altro degli inquisiti, Stefano Bonet: l’uomo d’affari sostiene – siamo al gennaio scorso – che Bossi e Tremonti avevano avallato gli investimenti a Cipro e in Tanzania perché bisognava “diversificare i loro risparmi”e non era improbabile che l’euro sarebbe collassato a breve. L’avanzare delle indagini, insomma, potrebbe influenzare parecchio non solo il risultato leghista alle amministrative di maggio, ma anche il congresso straordinario di fine giugno da cui comincerà il dopo-Bossi. Sarà ancora Maroni il favorito? E di un partito o di un partitino?

vedere presenti anche i leader di Pd e Terzo Polo – il segretario del Pdl avrebbe spiegato al premier la necessità di un riequilibrio sulla riforma del lavoro, dopo le modifiche imposte da Bersani sull’articolo 18. Alfano avrebbe anche espresso il suo placet sull’accordo stretto ieri con i partiti sul finanziamento pubblico e suggerito un alleggerimento dell’Imu. È difficile ipotizzare i termini e gli effetti di una nuova mediazione sulla riforma del lavoro. Anche perché finora il premier non ha mai perso l’occasione di ricordare che tutte le formulazioni sull’articolo 18 uscite da Palazzo Chigi avevano sempre avuto il pieno avallo dei partiti (Pdl, Pd e Terzo Polo) che appoggiano il governo. Senza dimenticare gli alleggerimenti ottenuti da Confindustria sulla regolamentazione dei contratti a termini e il tetto massimo di 24 mensilità agli indennizzi per i licenziamenti disciplinari o economici. Il clima, quindi, rischia di tornare teso. E non soltanto perché dalle parti del governo temevano (e temono) più la bocciatura dei mercati che i voltafaccia del Popolo delle Libertà. Non a caso Giorgio Napolitano ieri è stato costretto a mandare l’ennesimo inequivocabile monito alle parti. «È auspicabile che tutte le istituzioni pubbliche promuovano politiche capaci di attrarre capitali esteri», ha fatto sapere il

ti e l’incertezza normativa nelle cause di lavoro. Ma con il passare delle settimane prioritario per il governo diventa anche mantenere la pace sociale, che sarà messa a dura prova nei prossimi mesi.

Di conseguenza, diventa un interessante termometro la mobilitazione organizzata per oggi dai sindacati (e alla quale ha aderito un vasto e trasversale parterre che va dall’Acli e arriva fino all’Italia dei Valori) per difendere i diritti degli esodati. Secondo l’Inps circa 130mila lavoratori andati in pensione anticipata prima dell’ultima riforma e che ora rischiano di restare senza assegno e senza stipendio. Dalla segreteria confederale della Cgil Vera La Monica ha spiegato che, «al di là dei numeri, il governo deve sapere che non è piu’ possibile lasciare nell’ansia e nell’incertezza lavoratori e lavoratrici che sono vittime di una riforma sbagliata, fatta in fretta, senza confronto, e col solo obiettivo di fare cassa». Così, nell’ultimo bollettino della Bce, fa una certa impressione leggere che «le condizioni nei mercati del lavoro dell’area dell’euro non soltanto continuano a deteriorarsi: la crescita dell’occupazione è rimasta negativa mentre è proseguito l’aumento del tasso di disoccupazione». E la situazione è destinata a peggiorare soprattutto

Oggi scendono in piazza i sindacati in difesa degli esodati. Intanto i mercati sembrano preoccupati sull’evoluzione delle riforme in Italia. Schizza al 3,89 per cento il rendimento sui Btp presidente della Repubblica in un messaggio inviato al convegno annuale del Comitato investitori esteri di Confindustria, «Ma bisogna agire eliminando, in primo luogo, persistenti inadeguatezze normative ed amministrative e, più in generale, creando un clima favorevole alla ripresa della crescita economica e dello sviluppo civile del nostro Paese». Pier Ferdinando Casini, ieri mattina ricevuto al Colle, avrebbe garantito un atteggiamento più morbido da parte della maggioranza. Intanto è apparso meno diplomatico il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera. Il quale dopo aver ricordato anche lui «l’importanza di attrarre capitali esteri», ha sottolineato alla platea di Assolombarda quanto «nella percezione mondiale il mercato del lavoro italiano non sia attrattivo. Perché appare eccessivamente rigido. Di sicuro la percezione che si ha del nostro mercato del lavoro è peggiore di quello che effettivamente era e sarà». A muovere l’esecutivo sono state soprattutto le richieste europee e la necessità di superare la discrezionalità dei magistra-

in quei Paesi dell’Eurozona (Piigs in testa), dove «saranno necessari altri notevoli sforzi di risanamento per un periodo di tempo prolungato». Va da sé che se che maggiori sono gli interventi per sistemare i conti, minori sono le risorse destinate alle politiche di sviluppo. Con non poche ripercussioni sui debiti sovrani, soprattutto dopo che le maggiori organizzazioni internazionali e la comunità scientifica hanno chiesto all’Europa di puntare di più alla crescita. In quest’ottica sembra quasi un caso di scuola l’asta tenutasi ieri con il quale il Tesoro ha collocato i Btp triennali in scadenza. In un primo tempo dovevano essere piazzati pezzi per 3 miliardi di euro, poi – in corso d’opera – si è preferito fermarsi a quota 2,884 miliardi e a un tasso del 3,89 per cento. Oltre cento milioni in meno del previsto, che secondo il viceministro all’Economia, Vittorio Grilli, non sono entrati perché «abbiamo fatto la scelta di non prendere tutta la domanda che c’era, perché non abbiamo questa urgenza di fare funding a tassi che, secondo noi, non sono quelli giusti».


il paginone

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ur avendo visto tanti film di azione, avrei una certa difficoltà a ricordare e a descrivere il rumore del deragliamento di un treno. Aiuta però a immaginarlo il nuovo libro di Giampaolo Pansa, in libreria da mercoledì prossimo. S’intitola Tipi sinistri. Sottotitolo: «I gironi infernali della casta rossa» ( Rizzoli, 410 pagine, 19,50). Sarebbe dispettoso, o irriverente vista la notorietà, precisare chi è Pansa, per decenni faro critico de L’Espresso. Diciamo subito che il giornalista di origini piemontesi ha masticato politica, e politici (a volte sbranandoli con parole a forma di denti), è sempre molto documentato. E questa caratteristica ha irritato non poco quando in alcuni suoi libri ha svelato le malefatte (peraltro già abbozzate da altri, ritenuti fazioni o poco credibili) dei partigiani. Di certi partigiani, è ovvio. Ma che c’entra il rumore del deragliamento? La metafora non è campata in aria perché Pansa, nel descrivere (documenti e dichiarazioni alla mano) fasi epiche e squallidi declini dei protagonisti della sinistra italiana, pare voglia tramutare le sue parole nel suono lugubre di un convoglio che esce dai binari, che sbanda, che si rovescia. Rafforziamo la metafora: i treno non più controllato, o dalla tecnica o dal guidatore, si spezza in tanti tronconi (o vagoni). Come la sinistra.Tanto è vero che Pansa è chiaro: a pagina 189 si rifà al «virus ancestrale delle sinistre, quello di dividersi».

P

Pansa disegna sul grande muro dell’attualità i ritratti dei “sinistri”, dei leader che siedono a sinistra dell’emiciclo parlamentare. Elemento comune: si fanno la guerra, rivendicano primogeniture ideologiche, mostrano brutti limiti caratteriali, evidenziano-si potrebbe dire “a loro insaputa”- contraddizioni larghe come crateri. Fatta salva, ovviamente, un’innegabile spinta ideale che li ha contrapposti all’affarismo algido e cinico di certi ultimi governi. In questo affresco ci sono anche i cosiddetti, o sedicenti, astri nascenti. Per esempio l’ex magistrato e attuale sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Velenosamente, ma con icontestabile esattezza dialettale, chiamato da Pansa “Giggino”, ed evocato mentre festeggia la vittoria alle elezioni comunali con in testa una bandana arancione, anzi una “maxi-bandana” di sapore popolaresco-rivoltoso (ah, la terra dei Masaniello!) al cui confronto quella esibita da Silvio Berlusconi, in Sardegna, “en attendant” il premier inglese Tony Blair, pare francamente un modesto quanto ridicolo riparo dal sole isolano. Il giornalista che non risparmia niente a nessuno ci tiene a partire dal “lato trombonesco” di Giggino, che appena può sfodera un entisiastico amoretifo per il Napoli calcio (e il suo presidente Aurelio De Laurentis). «Trombone politico è un insulto?» si chiede Pansa. Che si risponde: «Assolutamente no». Come dire: se la realtà, così nuda agli occhi di tutti, è questa c’è poco da fare e ancor meno da correggere, farisaicamente. Meglio consultare un dizionario: trombone dicasi di un signore che è felice di ostentare le proprie qualità, voglioso di dipingersi come simbolo della perfezione. Attenzione: è probabile che nella vita quotidiana e familiare De Magistris non sia affatto un vanesio orgoglioso. Ma in pubblico l’immagine è quella. Nel 2011 l’ex giudice scrisse un libro intervista (e il giornalista che

INVINCIBILI

Giorgio Napolitano

SCONFITTI

Carlo De Benedetti

Achille Occhetto

Romano Prodi

Fausto Bertinotti

ISTERICI

Antonio Di Pietro

Rosy Bindi

Massim

INDIGNATI

Dario Franceschini

Susanna Camusso

Vittorio Agnoletto

Renato Soru

Enrico Mentana

Lucia Ann

DISPERSI

Gianni De Michelis

Sergio Cofferati

Francesco Caruso

Giuliano

Il (nuovo) Bestia Esce un libro di Giampaolo Pansa che è quasi un esercizio satirico: un abbecedario dei privilegi dall’Ulivo in poi: D’Alema, Veltroni, Prodi, Bertinotti, Di Pietro... Insomma, un ritratto del radical-moralismo di Pier Mario Fasanotti formulò le domande sovente si mise in ginocchio o poco approfondì il tenore e il contenuto delle risposte), fonte primaria del Giggino-pensiero. Di modestia ne ha poca, effettivamente: «Sono una persona con una forte carica carismatica e dotato di un certo fascino. Sono in grado di trascinare la gente anche in ambienti non facili. Da ragazzo era più facile: “Chillu è ‘nu caporione”. Ma a me è successo da grande, all’interno della magistratura a Napoli e in politica. Ho

compreso che ho la capacità di coinvolgere fortemente». Come si sa, De Magistris è stato reclutato da Antonio Di Pietro nell’Italia dei Valori. E Giggino: «Se Antonio ha innalzato la qualità della classe dirigente del partito, io rappresento un plusvalore enorme». Accanto a un elogio formale c’è sempre in De Magistris un “ma”. Per esempio: l’ex alfiere di Mani Pulite s’è sempre contrapposto al personalismo monarchico di Berlusconi, tuttavia non ha mai tolto il pro-

prio nome dal simbolo dell’Idv. Giggino ‘sta cosa non la sopporta proprio.

Dalle nuove leve della sinistra passiamo ai senatori, detto in senso anagrafico. Massimo D’Alema, «un superstite meno superstite di tutti». Se un tempo aveva potere, oggi ne è privo. Tuttavia, con i suoi 63 anni davvero ben portati, conserva il suo “sorriso grifagno”, continua a manifestare insofferenza e antipatia verso i giornalisti, e quando apre la bocca, sotto quei baffetti,“non parla, scandisce, sia pure tra un “diciamo” e l’altro. Scrive Pansa: «Nel confronto con il resto del mondo è armato di una forte sicurezza.


il paginone SUPERSTITI

mo D’Alema

Piero Fassino

13 aprile 2012 • pagina 9

APPRENDISTI

Pier Luigi Bersani

Nichi Vendola

Luigi De Magistris

Matteo Renzi

BOLLITI

nunziata

Corradino Mineo

Bianca Berlinguer

RINATI

o Ferrara

Giulio Tremonti

Eugenio Scalfari

Emanuele Macaluso

Giuliano Amato

INGUAIATI

Giuseppe Pisanu

Primo Greganti

Filippo Penati

Cesare Battisti

ario della sinistra sola, vera mente politica: la mia». Su alcuni fogli della sinistra si parlò di lui come «gelido e opaco burocrate». Rina Gagliardi, senatrice di Rofondazione Comunista, scrisse su Liberazione, a proposito dell’intervento militare nella ex Jugoslavia (governo di Max D’Alema), che «nella sinistra al governo è successo qualcosa di sconvolgente, che ancora non capiamo fino in fondo». Sullo steso quotidiano, l’allora rubrichista Nichi Vendola trattò Max dai baffi sottili a pesci in faccia: “grevemente atlantico”,“goffamente demagogico”,“cinicamente spoglio di dolore”, dotato di “una spocchia da statista neofita” e di “un parlare frigiChe forse gli deriva dalla grande stima che ha di se stesso». Intelligente, e molto, lo è. Nel 1996 l’ex premier (per poco tempo: cadde per una profezia elettorale che lui stesso azzardò) confessò: «Io pecco di una certa arroganza intellettuale, e riconosco che per un uomo politico si tratta di un difetto sgradevole. Ho anche un cattivo carattere che mi porta a compiere qualche errore». Dalla sinistra di Baffino piovono critiche intrise di arsenico. Sergio Staino lo ha ritratto in tutta la sua fiera vanitas. In una tavola del disegnatore satirico D’Alema incontra a un brindisi Sophia Loren, alla quale spiega: «Il dramma dell’Italia è che possiede una

nista gaudioso» che sorride da tutti i poti. Pare non abbia mai seguito il consiglio di un amico: «Se vuoi essere un numero uno, devi smettere di dar ragione a tutti». Sospirante replica di Walter: «Sono fatto così, non posso odiare nessuno».Veltroni incappò nell’inchiesta promossa da Vittorio Feltri de Il Giornale. Scandalo “affittopoli”. Fu messo alle corde, denudato anche dall’Espresso, il cui direttore, alle sue rimostranze, gli propose di replicare su l’Unità. No, disse, «non posso perché noi siamo un giornale di informazione». Umonismo involontario o che cosa? Risalita politica: Romano Prodi lo portò con sé a Palazzo Chigi, dove i due abitarono per

Il popolare giornalista si diverte a tratteggiare i difetti di molti leader. Dalla vanità all’inconsistenza politica, sembra che i vizi di fondo della sinistra siano sempre gli stessi do e maestoso”. E così concludeva la sua dose di veleno: “È livido come i neon del metrò”.

Spocchioso? No. Arrogante? Nemmeno. Semmai “giulivo”. Ecco, secondo Pansa, chi è veramente Walter Veltroni, maestro, almeno nei festeggiamenti politici, di «una banalità a gogò». Ha i candore del bambino, aggiunge il giornalista-autore, capace d’apparire, e sempre, come «buo-

poco tempo (grazie al siluro lanciato da Rifondazione Comunista di Fausto Bertinotti, chiamato da Pansa “Il parolaio”). Dopo essere stato segretario dei Ds, Veltroni si rincantuccia sulla sedia del primo cittadino di Roma. Pansa: «Non aveva mai amministrato nulla, nemmeno un condominio». Discesa, ancora. Scrive Pansa: «Alla fine Veltroni non salvò neppure se stesso… l’avevo definito un Perdente di successo; oggi il successo è

scomparso e rimane soltanto il perdente. Anche se giulivo, come lui si mostra sempre». Dopo i Ds, quelli del Pd. Quindi Pier Luigi Bersani, alle prese con una continua guerra civile all’interno della sua compagine, molto somigliante all’armata Brancaleone. Pansa lo rimprovera non tanto per il sigaro pendulo, ma per la cravatta perennemente allentata, segnale di aspetto dimesso. Di lui hanno detto che fu un ottimo ministro dell’industria. Non altrettanto buono e determinato come leader. Economista avveduto? Pioniere di una contromanovra economica, a metà del 2011, fu stroncato da Tito Boeri su La Repubblica: «Il decalogo di proposte presentato da Bersani non ha né i numeri né i contenuti per riuscire nell’intento di convincere i mercati. Per quasi la metà del testo, consiste in critiche alla manovra del governo. Il resto del documento è un elenco di titoli generici, più che un insieme coerente e articolato di proposte».

I ritratti disegnati da Giampaolo Pansa sono tanti. Di Fausto Bertinotti, francamente logorroico ma non privo di fascino dialettico, Pansa ricorda quel che gli disse suo padre Enrico, ferroviere e socialista: «Fausto, mi raccomando: parla poco, sa che la gente si infastidisce». Niente da fare, l’uomo con giacche morbide ha sempre disobbedito. A Rosy Bindi viene riconosciuta «una stoffa superlativa». Sarà lei, si chiede l’autore de I sinistri, «a soffiare la poltrona a Bersani? Io ho sempre ritenuto di sì». Accanto al“trinariciuto bianco”, alias Dario Franceschini, c’è l’anonimo commento acido contro la leader della Cgil Susanna Camusso: «Quando la vedo in piazza con il berrettino del sindacato portato all’incontrario, mi sembra una di quelle zie burbere, e a volte un po’ isteriche, che non perdonano niente a nessuno. Si comporta sempre così. Anche nelle interviste televisive non parla: azzanna». Pansa ricorda le parole di Luciano Lama, di tenore profondamente diverso: «Chi tratta, vince». Nella categoria «apprendisti», Pansa ci infila NichiVendola, allievo del «Parolaio» Bertinotti. Ha due facce: «Quella del piacione cupo, un affabulatore senza soste, un mago dell’armonia». E l’altra? «È la faccia più nascosta» annota Pansa «quella del politico di sostanza maligna, pronto a disprezzare chi non obbediva ai suoi ordini». Insomma «un perfetto staliniano» che vuole l’egemonia della sinistra, «un impasto di coraggio e timidezze, capace di affascinare pure gli avversari, ma anche in grado di azzannarli alla gola senza riguardi né pietà. Un politico meridionale nel bene e nel male. E infine un cattolico a modo suo». E che dire del “rottamatore” Matteo Renzi, sindaco di Firenze, 37 anni, volto la ragazzino? Ha l’ambizione di svecchiare il Pd, a costo anche di tirarsi addosso le critiche andando a far visita a Berlusconi nella villa di Arcore. È stato ed è bastonato dalla nomenklatura. Pure da Eugenio Scalfari: «Lo considero un personaggio irrilevante, se non addirittura dannoso, per un riassetto della politica italiana». Alla fine un bel cazzotto: Renzi ricorda Craxi, quello che «cacciò i dinosauri del Psi». Giudizi avventati? Secondo Pansa certamente. Nella file di coloro che persero (ma domani chissà: ci può essere la rinascita dei “dispersi”)) figura Francesco Rutelli, noto a tutti come“Cicciobello”. Era convintissimo di battere alle elezioni Berlusconi anche perché secondo lui la sinistra si era presentata “con una maggiore unità, con candidati migliori e senza un padrone”. Perse. Appunto.


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L’istituzione di Francoforte gela l’Europa: nonostante i provvedimenti presi la crisi non è superata

«Ci sarà un’invasione di disoccupati» di Enrico Singer

La Bce lancia l’allarme: «Nei prossimi mesi i senza lavoro saranno ancora di più», dice Draghi. L’Ue sembrava aver tappato la falla e invece si ritrova al punto di partenza. Vediamo perché a, allora, era tutta una sceneggiata? Dopo le maratone europee per decidere il salvataggio della Grecia dalla bancarotta, l’introduzione della disciplina di bilancio contenuta nel fiscal compact e, da ultimo, la dotazione finanziaria del nuovo Meccanismo di stabilità finanziaria varato per fermare la speculazione sull’euro, tutti avevano tirato un sospiro di sollievo. La crisi, se non alle spalle, sembrava almeno fermata e l’unità d’intenti dell’Europa appariva ritrovata. Poi ha cominciato a scricchiolare anche la Spagna e adesso è arrivata la sentenza della Bce che, pur con tutte le tradizionali cautele dell’Eurotower, dice in sostanza che siamo ancora in mezzo alla tempesta. E che, nonostante tutte le misure adottate, la prospettiva è quella di una «modesta e graduale ripresa con rischi al ribasso che riguardano in particolare il rinnovato intensificarsi delle tensioni nei mercati del debito». Con preoccupazioni speciali per la Spagna e per l’Italia, ma anche per la Francia, il Belgio, la Grecia, l’Olanda e il Portogallo che «presentano un fabbisogno di rifinanziamento pubblico particolarmente rilevante» e comunque superiore al 20 per cento del Pil. Non solo.

M

Secondo l’analisi contenuta nel Bollettino mensile della Bce diffuso ieri, aumentano le vulnerabilità dovute «a un clima di fiducia negativo e a effetti di propagazione avversi». Per Italia e Spagna c’è ancora allarme spread e per la Ue nel suo complesso c’è la minaccia dell’inflazione che nell’area euro si attesterà sopra il 2 per cento nel 2012, con «il prevalere di rischi al rialzo» e un rallentamento atteso soltanto nel 2013. In più, c’è l’effetto perverso sull’occupazione: un «deterioramento delle condizioni nel mercato del lavoro con le indagini congiunturali che anticipano un ulteriore peggioramento nel breve termine». Per il momento la media europea del tasso di disoccupazione è salita al 10,8 per cento: è un nuovo massimo, ma purtroppo non sarà l’ultimo. Se in America il Beige book della Federal Reserve, mercoledì, aveva dipin-

to un quadro dell’economia Usa in «lenta ripresa», Eurolandia arranca. Vuol dire che tutto quello che è stato finora è stato inutile? O è, piuttosto, la prova che non bastano i tagli per superare la crisi? Mario Monti ha ripetuto più volte – lo ha detto anche alla vestale del rigore, Angela Merkel – che bisogna coniugare austerità e ripresa: misure di risparmio nella spesa pubblica e riforme per rimettere in moto il sistema produttivo. Il problema è che gli effetti della faseuno, quella dei tagli, si fanno sentire subito, mentre la fase-due ha bisogno di più tempo per dare i suoi frutti. E avrebbe bisogno anche di essere condivisa, mentre l’Europa, ancora una volta, sta procedendo in ordine sparso su questo punto-chiave. Con Paesi, come l’Italia e la stessa Spagna, che cercano

nocchio molte aziende e il nuovo esecutivo ha promesso di pagare tutti in tempi rapidi. Questo darà sollievo all’economia reale, anche se non aiuterà il rigore di bilancio e nel breve periodo ha aumentato le tensioni sulla stabilità dei conti pubblici spagnoli – Rajoy è alle prese con la terza finanziaria in cento giorni di governo – e ha fatto salire i tassi sui Bonos (i nostri Btp) oltre il 6 per cento.

La Banca centrale europea coglie il «rinnovato intensificarsi delle tensioni dei mercati» sui titoli di Stato dell’area euro e lo considera «tra i maggiori fattori di rischio che gravano sulle prospettive dell’Unione valutaria». Prevede che molti Paesi dovranno fare ancora notevoli sforzi – «avranno bisogno di conseguire avanzi di bilancio prima-

Lo Stato iberico ha debiti con fornitori di beni e di servizi per 15 miliardi di euro. Per dare sollievo all’economia reale e sollevare le aziende, il governo Rajoy ha promesso di pagare tutti in tempi rapidi di spingere su entrambi i pedali ed altri – la Germania prima di tutti – che insistono soltanto sul capitolo del pareggio dei bilanci poiché hanno un sistema economico che tira senza necessità di particolari interventi come dimostrano, nel caso di Berlino, i dati sulla produzione e sulle esportazioni. In Spagna, per esempio, il governo di Mariano Rajoy ha annunciato un provvedimento di cui poco si è parlato, ma che è significativo. L’amministrazione pubblica aveva debiti con fornitori di beni e di servizi per 15 miliardi di euro: durante gli anni del governo Zapatero lo stillicidio nei pagamenti aveva messo in gi-

ri pari o superiori al 4 per cento del Pil» – e chiede «la massima responsabilità per assicurare la sostenibilità dei conti pubblici, accrescere la capacità di aggiustamento dei mercati dei beni e dei servizi da lavoro, incrementare la produttività e la competitività e garantire la solidità del sistema finanziario». La ricetta della Bce, insomma, propone un mix di provvedimenti, ma poi richiama – e non potrebbe fare altrimenti – gli accordi raggiunti a Bruxelles che prevedono l’impegno a istituire, nell’ambito del nuovo Trattato sulla stabilità, «il coordinamento e la governance nell’Unione economica e mone-


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taria». In altre parole quel fiscal compact che la Germania di Angela Merkel ha fortemente voluto per mettere un freno al debito. E qui si torna alla domanda di partenza: si può pensare di uscire dalla crisi con una politica tutta tagli e austerity? In un intervento sul Financial Times, ieri, George Soros sosteneva di no. L’uomo che si è conquistato dollari e fama con spericolate operazioni finanziarie nei primi Anni ‘90, dice chiaramente che quello che va bene per la Germania non va bene per chi si trova nella situazione di Spagna e Italia che avrebbero bisogno di un forte rafforzamento della domanda interna tedesca. Se Berlino non farà in modo di promuoverlo, «i Paesi fortemente indebitati non riusciranno ad attuare le misure necessarie o, se ce la faranno, non riusciranno a raggiungere i propri obiettivi a causa del crollo della domanda». La previsione di Soros è che, in entrambi i casi, «il rapporto debito/Pil salirà e il divario di competitività con la Germania si allargherà». Con il rischio di mettere in pericolo l’esistenza stessa di Eurolandia.

È vero che in passato altri Paesi hanno vissuto esperienze simili all’attuale crisi europea. Ma il problema di Eurolandia, nota Soros, è che non si tratta di un Paese, ma di un’unione sempre più litigiosa tra realtà diseguali. Ecco perché la «trappola del debito minaccia di distruggere una ancora incompleta unità politica». Il solo modo per scongiurare questa catastrofica prospettiva è rimodulare il rapporto tra rigore e rilancio. George Soros, per esempio, propone un piano di opere pubbliche a livello continentale che sia approvato e sostenuto dalla Bei, la Banca europea per gli investimenti. Passando dai suggerimenti di un finanziere ai programmi di un politico, il candidato socialista all’Eliseo, François Hollande, vuole denunciare – e, quindi, rinegoziare – il fiscal compact che considera una «camicia di forza allo sviluppo della Francia». La battaglia presidenziale francese è aperta e molto incerta: dopo il primo turno elettorale in programma il 22 aprile, soltanto il ballottaggio del 6 maggio dirà se alla guida del Paese resterà Nicolas Sarkozy o se il bastone

In alto: la cancelliera tedesca Angela Merkel assieme al presidente francese Nicolas Sarkozy. Sotto, il presidente del Consiglio Mario Monti. A sinistra: Mario Draghi, presidente della Bce e nell’immagine piccola Mariano Rajoy del comando passerà a Hollande. E questo spiega perché le turbolenze sui mercati continuano. L’incertezza è il nemico peggiore della fiducia degli investitori. Anche in Grecia il 6 maggio si annuncia come una data decisiva: ci saranno le elezioni politiche anticipate dalle quali non dipende soltanto il futuro dell’attuale governo tecnico di unione nazionale di Lucas Papademos, l’ex governatore della Banca centrale greca (ed ex numero due della Bce) che ha preso il posto del dimissionario premier socialista George Papandreou travolto dalla crisi. In Grecia il risultato del voto potrebbe anche segnare la fine del bipartitismo cominciato nel

un risultato che assicuri almeno la maggioranza all’attuale, forzata, coalizione di unione nazionale. «L’alternativa è il caos», ha detto Evanghelos Venizelos, nuovo leader del Pasok ed ex ministro delle Finanze, in un’intervista al quotidiano ateniese Kathimerini. L’incertezza del quadro politico in Francia e in Grecia paralizzerà l’azione europea ancora per tre settimane. Poi si dovrà riaprire il tavolo e si dovrà tornare a discutere. Perché ci sono delle scadenze che incombono – va anche nominato il successore di Jean-Claude Juncker alla presidenza dell’Eurogruppo che dovrebbe essere il tedesco Wolfgang Schäuble – e perché, dal pri-

Per Italia e Spagna c’è ancora allarme spread e per la Ue nel suo complesso c’è la minaccia dell’inflazione che nell’area euro si attesterà sopra il 2 per cento nel 2012 1974, anno della caduta del regime dei colonnelli, con l’alternanza tra il Pasok (i socialisti) e i conservatori di Nea Dimocratia. Questi due grandi partiti, che una volta rappresentavano complessivamente l’80 per cento degli elettori, oggi sono in qualche modo accomunati nel giudizio negativo sulle responsabilità della crisi e, secondo i sondaggi, potrebbero perdere anche la metà dei loro consensi a vantaggio del partito comunista e di altre formazioni finora minori. La sopravvivenza del governo Papademos – e per molti analisti la stessa permanenza della Grecia nell’euro e nella Ue – è condizionata a

mo luglio, dovrà entrare il funzione l’Esm, l’European stability mechanism. Tra l’altro, la Bce ha calcolato i contributi dei singoli Paesi di Eurolandia al fondo salva-Stati ed è subito emerso un altro paradosso: il contributo dell’Italia è, in percentuale al Pil, maggiore di quello della Germania e della Francia. Il paradosso è frutto di due elementi combinati: la ridotta dimensione del nostro prodotto interno lordo rispetto a quello di Parigi e di Berlino, e l’anemica crescita italiana registrata nel 2011 con il Pil nominale a 1.580 miliardi di euro. Così la Germania, che pure è il primo contributore

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dell’Esm con una quota del 29,07 per cento, spende 211 miliardi di euro, pari all’8,22 per cento del suo Pil. La Francia, secondo contributore, con una quota pari al 21,83 per cento, spende 158,4 miliardi, pari al 7,97 del Pil. La quota dell’Italia, terzo contributore, è del 19,18 per cento, ma in termini di spesa equivale a 139 miliardi: l’8,78 per cento del Pil.

Anche questi numeri dimostrano come sia diseguale il carico dei sacrifici all’interno di Eurolandia a tutto vantaggio di Germania e Francia. La spesa maggiore per partecipare al Fondo europeo salva-Stati è dei Paesi più piccoli dell’Eurozona. Per l’Estonia la partecipazione al fondo costa il 12,4 per cento del Pil, per la Slovacchia l’11,05 per cento, per Malta il 10,91, per la Slovenia il 10,13 e poi c’è l’Italia con l’8,78 per cento. Anche il premio Nobel per l’economia ed ex capo economista della Banca mondiale, Joseph Stiglitz, intervistato dalla Süddeutsche Zeitung, è convinto che la Ue «dominata politicamente dalla Germania» rischia di dover inghiottire una medicina più pericolosa della malattia. «Nel mondo non c’è un precedente che dimostri che la riduzione dei salari, delle pensioni e dei servizi sociali possa far ripartire l’economia». Ancora una volta, l’austerità come unico rimedio può innescare fenomeni di recessione con l’effetto perverso di ridurre anche il gettito fiscale che dovrebbe riportare in pareggio il bilancio dello Stato. Stiglitz, e non è la prima volta, sostiene che di fronte alla crisi della Grecia ha prevalso la «paura del default» e che, in fondo, sarebbe stato meglio permettere la bancarotta che «fa parte delle possibilità nel capitalismo moderno»: è stato proprio il tentativo di evitare il fallimento della Grecia che «è diventato un grande problema per l’Europa che è divisa sulle formule per far sopravvivere la moneta comune». C’è molto pessimismo ed anche una buona dose di interesse politico nell’analisi di Joseph Stiglitz che, non a caso, è tra gli economisti americani più citati da François Hollande nella sua polemica elettorale con Sarkozy. Ma sulle divisioni dell’Europa è difficile dargli torto.


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Dopo 29 giorni il 54enne torinese è stato rilasciato: «Sto bene». La soddisfazione del ministro Giulio Terzi

“Vacanze” finite Bosusco finalmente libero, ma a sorpresa dice: «È stata come una villeggiatura» di Luisa Arezzo roppo magro? «È il frutto di 28 giorni di vacanza pagata». È passata appena un’ora dalla sua liberazione, ma le prime parole di Paolo Bosusco diventano subito un caso. Impossibile non pensare, in primis, ai nostri due marò rinchiusi nelle galere indiane che certo non se la stanno passando bene, et in secundis agli enormi sforzi compiuti dalla nostra diplomazia per riportare a casa il 54enne operatore turistico di origini piemontesi rapito dai maoisti il 14 marzo scorso nello Stato orientale dell’Orissa, insieme al connazionale Claudio Colangelo, rilasciato undici giorni dopo il sequestro.

T

Sforzi che certo non si meritavano la leggerezza delle sue parole, con tutta la comprensione per chi ha comunque appena visto apporre la parola fine a un’esperienza traumatica. E infatti Bosusco quella battuta poco dopo l’ha rinnegata, o meglio stemperata, di-

cendo: «Non è stata una vacanza. Anzi è stata dura. I maoisti hanno cercato di darmi il meglio che potevano, ma qualche problema c’è stato, il cibo era quello che era, e per due volte ho avuto la malaria». La sua prigionia, durata quasi un mese, è terminata nella notte fra l’11 ed il 12 aprile, quando i ribelli maoisti che lo tenevano in ostaggio lo hanno consegnato a uno dei mediatori che essi stessi avevano scelto, Dandappani Mohanty, accom-

minata l’istanza di libertà dietro cauzione. In realtà, la mossa sembrerebbe essere stata strumentale, un diversivo escogitato dai maoisti per guadagnare tempo e allontanarsi una volta rilasciato Bosusco, quando questi era già libero e in cammino verso Bhubaneswar, capitale dell’Orissa.

«Sono felice di essere ormai un uomo libero. Sono stanco, adesso ho bisogno di un pò di riposo», ha detto l’ex ostaggio

L’italiano è stato abbandonato vicino al villaggio di Mohona, il ritorno alla libertà a piedi, attraverso la foresta di Raingibari. «Nessun risentimento. Ma il mio tempo in India è finito» pagnato da alcuni giornalisti, che da giorni pernottavano nella zona, probabilmente a una manciata di chilometri di distanza dal nascondiglio. Il luogo del rilascio è all’incirca il medesimo del sequestro, che i rapitori avevano motivato con una presunta violazione dei costumi locali: Bosusco e Colangelo, infatti, erano stati fatti prigionieri mentre fotografavano un gruppo di donne. In realtà, i due italiani dovevano servire da moneta di scambio per la scarcerazione di altri insorti, i cui nomi erano stati inseriti in una lunga lettera di richieste in 13 punti, fra cui quella di vietare il turismo nelle loro terre.

Pochi giorni fa sembrava anzi che i sequestratori avessero avanzato un’ulteriore pretesa: la liberazione di una compagna, Aarti Manjhi, in prigione da due anni; tant’è che nella giornata di ieri era già prevista l’udienza in cui sarebbe stata esaA lato, il ministro degli Esteri Terzi. A destra, Rossella Urru. In apertura, Paolo Bosusco. Nell’altra pagina, i due marò detenuti in India

torinese. «Saluto tutti quelli che mi vogliono bene e tutti i miei amici, in Italia e nel mondo», ha continuato Bosusco, che vive e lavora da diciannove anni in India. «Voglio dire loro di non preoccuparsi, sono forte». Il 54enne torinese dovrebbe presto tornare a casa dal padre, Azelio Bosusco, che intervistato ieri dai giornalisti ha detto: «Mio figlio? È sicuramente un grosso personaggio, perché il suo percorso di vita è interessantissimo. Quando arriverà vi dirò tutto. Non so se potrò impedirgli di tornare in India: è grande e non lo posso obbligare. È innamorato dell’India. Ma ora spero solo che arrivi presto». Il desiderio di non lasciare l’Orissa Bosusco lo aveva espresso anche durante la sua prigionia, ma la real politik potrebbe farlo tornare sui suoi passi. E infatti ieri ha detto ai cronisti: «È giunto il momento di lasciare questo Paese, il mio lavoro qui è terminato». D’altronde, la sua liberazione è certamente costata agli indiani. Perché non c’è dubbio che qualche concessione ai maoisti sia stata fatta. È solo che Nuova Delhi non poteva permettersi due crisi aperte con l’Italia, e dunque ha scelto di risolverne almeno una.

Grande soddisfazione è stata espressa tra gli altri dal ministro degli Esteri, Giulio Terzi, che da Washington (dove ieri si è concluso il G8) ha voluto rin-

Da Rossella Urru a Maria Sandra Mariani

Gli altri nove italiani ancora in ostaggio opo la liberazione di Paolo Bosusco, rapito il 14 marzo dai ribelli maoisti dello Stato indiano dell’Orissa assieme a Claudio Colangelo, liberato il 25 marzo scorso, i connazionali ostaggio di bande armate in tutto il mondo, sono ancora nove.Tra di loro c’è Rossella Urru, 30 anni, la cooperante sarda del Cisp rapita nel sud dell’Algeria in ottobre e scomparsa tra le dune del Sahara: nelle settimane scorse si era diffusa la notizia, poi smentita, di una sua liberazione. Da allora è calato il silenzio. Nella stessa zona del sequestro Urru, è stata rapita nel febbraio 2011 anche la turista fiorentina Maria Sandra Mariani, 53 anni, le cui ultime notizie certe risalgono all’ottobre scorso. È l’ostaggio da più tempo nelle mani dei rapitori. I sequestratori fanno capo probabilmente ad Al Qaeda per il Maghreb islamico (Aqmi), la rete integralista che controlla l’immensa fascia desertica che va dall’Algeria alla Mauritania, dal Mali al Niger, al Ciad fino al Sudan. L’altro italiano ad essere stato rapito, lo scorso 19 gennaio, è il cooperante siciliano Giovanni Lo Porto, catturato con un collega tedesco in Pakistan nella località di Multan (Punjab). Sarebbe nelle mani del gruppo talebano Tehrik-e-Taliban Pakistan, capeggiato da Hakimullah Mehsud, fra i dieci terroristi islamici più ricercati dall’intelligence americana. Sono sempre prigionieri dei pirati poi, i sei italiani della nave “Enrico Levoli” sequestrata il 27 dicembre scorso al largo delle coste dell’Oman e che sarebbe alla fonda al largo delle coste somale.

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mondo La risoluzione del rapimento in Orissa potrebbe complicare il caso in Kerala?

Marò: l’Alta Corte chiude per ferie Se entro oggi non verrà fissata la data, se ne riparlerà a fine maggio. De Mistura: «Noi non li molleremo mai» di Laura Giannone ra stato detto fin dal principio. I maoisti dell’Orissa avevano scelto di rapire i due italiani non certo perché si li erano trovati davanti intenti a fotografare le loro donne - a fare, insomma, il cosiddetto human safari - ma perché consapevoli del delicato scontro diplomatico in corso fra Roma e Nuova Delhi, uno scontro che avrebbe potuto favorire l’accettazione delle loro richieste al fine di evitare ulteriori tensioni. Avevano ragione. Così come ne avevano coloro (e liberal è fra questi) che ravvisavano nella soluzione di una piuttosto che dell’altra emergenza, la disfatta della restante. O almeno il suo rallentamento. Certo è che da oggi, dopo la liberazione di Bosusco, nessuno potrà più accusare l’India di nutrire sentimenti anti-italiani e di trattarci male. La questione dei nostri due marò, dunque, (a cui dovremmo anche aggiungere gli altri quattro bloccati sul mercantile) potrebbe complicarsi ulteriormente. Almeno in termini temporali.Tanto per cominciare si è prolungata l’attesa per la sentenza sul ricorso italiano in cui si contesta la giurisdizione indiana e per l’accesso agli esiti della perizia balistica, i due elementi cruciali per la sorte dei fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, detenuti in India per l’uccisione di due pescatori scambiati per pirati lo scorso 15 febbraio.

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graziare l’Unità di Crisi della Farnesina, i diplomatici italiani e le stesse autorità indiane. «Ora il nostro lavoro», ha assicurato il capo della diplomazia italiana, «continua con la stessa determinazione per assicurare la liberazione di coloro che sono ancora ostaggio di rapitori in altri Paesi»: si tratta in tutto di nove persone.Terzi non ha ovviamente mancato di ricordare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò accusati dell’omicidio di due pescatori e imprigionati nello Stato del Kerala. Connazionali su cui Paolo Bosusco non ha speso nemmeno una parola (ma questo potrebbe essergli anche stato imposto).

Soddisfatto, ma decisamente un pò più duro, il commento del sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura: «La Farnesina indicava che in quella zona non ci si va, questo veniva raccomandato. Bosusco sembra essere molto esperto della zona e sembra conoscere anche la lingua, ma la nostra raccomandazione ufficiale e ufficiosa era di non andarci». De Mistura ha inoltre escluso che per la liberazione di Bosusco sia stato pagato denaro: «Quando si tratta con guerriglieri maoisti non si parla di denaro - ha detto - . Ci sono state altre richieste fatte alle autorità dell’Orissa e loro hanno discusso in maniera efficace».

L’Alta Corte del Kerala, il massimo organo giudiziario dello stato indiano meridionale che ha sede a Kochi, non ha infatti ancora fissato una data per pronunciarsi sull’eccezione di giurisdizione sollevata dagli italiani dopo la denuncia per omicidio. E oggi è l’ultimo giorno utile prima che scattino le ferie giudiziarie. Il calendario dell’Alta Corte prevede infatti la chiusura del Palazzo di Giustizia fino al 21 maggio. «Uno slittamento a dopo la pausa estiva sarebbe un irragionevole ritardo per la pronuncia sul ricorso», ha commentato un legale del foro di Kochi. Ma al momento è possibile. La decisione a cui è chiamato il giudice P.S. Gopinathan è estremamente complessa e, secondo gli esperti, rappresenterà un importante precedente nel diritto internazionale marittimo (e infatti il ministro Terzi ha sottoposto la questione al G8 di Washington). La tesi italiana è che il reato è stato commesso in acque internazionali al largo della costa del Kerala su una nave battente bandiera italiana e quindi tocca alla procura militare di Roma processare i due marò. Mentre gli indiani sostengono che il crimine è avvenuto a bordo di un peschereccio indiano e che quindi si applica la legge del luogo. Inoltre c’è ancora “suspence”anche sul fronte della perizia balistica sulle armi dei due fucilieri del San

Marco, conclusa la scorsa settimana e già consegnata al giudice istruttore di Kollam. I test condotti nel laboratorio della polizia scientifica di Trivandrum avrebbero identificato due fucili di marca Beretta - tra i sei in dotazione al team anti pirateria del mercantile - che hanno sparato ai pescatori sulla base della compatibilità tra le rigature delle canne e i proiettili recuperati dai cadaveri dei pescatori dopo l’autopsia. Ma i risultati dei test non sono stati ancora visionati dal team legale italiano o dagli esperti del Ros in quanto le indagini della polizia sono ancora in corso. Saranno disponibili, insieme alle altre prove, tra cui l’autopsia, solo quando si aprirà il processo a carico di Latorre e Girone.

I due fucilieri dovranno comparire lunedì prossimo davanti al magistrato di Kollam per la scadenza dei 14 giorni di carcerazione preventiva ed è probabile che siano rinviati ad altre due settimane di detenzione. La vicenda dunque è più che mai ingarbugliata. Tanto che sempre ieri Staffan De Mistura, sottosegretario agli Esteri, è tornato sul tema dicendo ai microfoni di Radio 24: «Loro hanno in mano i militari e la nave. Da un punto di vista di principio non bisogna mollare e non molleremo mai. Il precedente sulla giurisdizione è pericolosissimo per altre nazioni, quindi insistiamo. Se non insistessimo, loro tratterebbero i nostri militari, cosa inconcepibile, come dei criminali comuni che hanno sparato a pescatori inermi. I militari vanno giudicati solo in casa propria, non c’è un solo caso nella storia in cui questo non sia avvenuto. Lo stato del Kerala vive una situazione complessa: hanno 3 milioni di pescatori, di cui 28 uccisi in precedenti simili a questo. I pescatori votano, sono poveri e anche arrabbiati, dunque il governo del Kerala vuole usare questo caso come un esempio eclatante. Ci vogliono fermezza, determinazione, uso di pressione internazionale e dare un pò di tempo al meccanismo indiano nel quale purtroppo siamo entrati visto che la nave ha deciso di entrare in rada». A questo proposito e su eventuali errori fatti il 15 febbraio (forse proprio dalla Farnesina...), De Mistura ha replicato: «Nella vela, quando c’è una regata, si guarda avanti, non si discute sugli eventuali errori finché la regata non è finita. Noi siamo convinti di vincere la regata: i nostri marò torneranno in Italia e poi si farà una buona discussione se va cambiata la legge, se vanno cambiate le regole d’ingaggio, se quando ci sono incidenti debbano decidere i civili o i militari. Ma credo che dovremo rivedere le regole del gioco».

«I militari vanno giudicati in casa propria, non c’è un solo caso nella storia in cui questo non sia avvenuto» ha detto il Sottosegretario

e di cronach

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